Traccia bonus - Le cinque e una notte.

di Entreri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Traccia bonus - Le cinque e una notte. ***
Capitolo 2: *** Seconda traccia bonus ***
Capitolo 3: *** Bucarest 2022 ***



Capitolo 1
*** Traccia bonus - Le cinque e una notte. ***


 

 

Londra 10 maggio 2012

 

Nonostante fosse stato lui a darle appuntamento in quel punto appartato del lungo Tamigi, Lucius non si era aspettato che Valeria venisse davvero;  per questo, quando gli apparve dinnanzi, coperta di sangue e avvolta dalla nebbia, per un attimo la prese per un’apparizione evocata dalla luce opaca della luna, un fantasma del passato venuto a maledirlo o ad annunciargli la morte ultima. Allungò la mano per toccarla,  aspettandosi di vederla dissolversi nella foschia e non poté che sussultare quando i suoi polpastrelli incontrarono la levigata freddezza della sua guancia.  

Le si avvicinò e lei non si ritrasse, limitandosi a fissarlo con gravità indecifrabile, e Lucius rimase in silenzio, diviso fra le mille domande che sarebbe stato ragionevole porle e il bruciante desiderio di fare un ultimo passo avanti per imprigionarla fra le braccia, stringendola per sempre, tanto forte da farle male.

«Ho ucciso David.»

Lo disse senza preavviso e senza passione, sorridendo con noncuranza, quasi si stesse scusando dello stato dei suoi vestiti,  ma dietro la maschera mondana della sua espressione, nascosta nella frivolezza del suo tono di voce, Lucius colse una rabbia cupa, un rancore ardente. Non le chiese perché lo avesse fatto.

Lo sa.

Aveva desiderato così tanto che lei aprisse gli occhi e si accorgesse di che uomo Messalla fosse davvero, eppure, ora che quel momento era finalmente arrivato, Lucius si accorse di non provare alcun piacere, solo rabbia per averlo dovuto attendere così a lungo: perché non era abbastanza, perché non era stata lei ad abbandonarlo quando ad esserne abbandonata.

Era splendida e spezzata, e Lucius odiò Messalla per quello che le aveva fatto e odiò lei per averglielo lasciato fare; per un breve, brevissimo istante odiò persino sé stesso per non essere stato in grado di impedirlo.

«Non hai niente da dire?»

La domanda gli parve simile a un’accusa e si ritrovò, non per la prima volta, a maledire gli dei, che pur avendogli fatto dono in un eloquio in grado di incantare le donne sciocche di cui si nutriva, parevano irriderlo da sempre nel lasciarlo senza parole di fronte all’unica di cui gli importasse davvero.

«Cosa vorresti che dicessi?»

«Che avrei dovuto saperlo, che me lo avevi detto. Che tu avevi ragione e io torto. Qualcosa, qualsiasi cosa.»

Vi era una tale intensità nel suo sguardo, una così sconsolata disperazione nei suoi occhi scuri, che Lucius fu tentato di crederle, di pensare che avesse bisogno di una parola di conforto e che desiderasse fosse la sua voce a pronunciarla.

Ma le mie parole non ti sono mai bastate.

«Perché sei venuta?»

L’interrogativo rimase nell’aria, denso come la nebbia umida che saliva dal fiume, e Valeria arretrò di un passo, scostando un paio di boccoli scuri lontano dall’ovale perfetto del proprio volto, all’improvviso quasi stanca e assente, restia ad affrontare la risposta. Quando infine si decise a parlare, gli rivolse un sorriso mesto, non privo di una certa  dolcezza, eppure in qualche modo venato di decisione.

«Ricordi mio fratello?»

Lucius annuì rabbiosamente: non avrebbe mai potuto dimenticare il volto squadrato di Lucius Valerius Flaccus, l’espressione di spocchiosa severità con cui gli aveva negato la mano della propria sorella; i suoi occhi l’avevano cercato freneticamente sul campo di Durazzo, la mano bramosa di conficcare il gladio nelle sue viscere. Non lo aveva trovato, ma Valerius Flaccus era morto lo stesso.

 «Certo che me lo ricordo.»

«Quando mi annunciò che avrei sposato Marcus, mi disse di aver preso quella decisione per il mio bene, dato che ero troppo stupida per capire chi meritasse il mio amore. Disse  innocente, o giovane, perché era mio fratello e mi amava, ma la parola giusta era stupida. Allora come adesso.»

Cercò il suo sguardo prima di proseguire e Lucius vi colse la risoluta durezza con cui aveva rifiutato di fuggire con lui in vita, si aspettò quasi di sentirle pronunciare di nuovo quell’interrogativo che tornava a tormentarlo ogni volta in cui cercava di portala via. Altrimenti cosa farai Lucius Cornelius Dolabella? Solo, in quel momento, non avrebbe avuto alcun senso.

«Sono stanca di essere una stupida.»

Non avrebbe saputo dire come fosse possibile, ma la calma collera con cui pronunciò quelle poche parole non fece altro che enfatizzare la sua bellezza.

«Sono stanca di avere paura, di provare vergogna, di essere derisa.»

«Quindi?»

Gli sorrise crudelmente, mostrando i propri piccoli, delicati denti bianchi, e le ombre proiettate sul suo volto insanguinato dalla luce della luna parvero conferirle un’aura di spietata disumanità.

«Chiedimelo di nuovo.»

Si domandò che fine avesse fatto la ragazzina dal sorriso timido che correva a nascondersi dietro l’appropriatezza per  timore dei suoi stessi desideri.

È morta, l’ho uccisa io.

Non era certo che quella donna bramosa di sangue e di vendetta gli piacesse altrettanto, tuttavia la fanciulla ritrosa che aveva incontrato a Tuscolo nella propria giovinezza non aveva mai detto sì, per cui le tese la mano senza esitare.

«Vieni con me.»

Dita morbide e affusolate scivolarono sulle sue e una gioia euforica lo pervase, ripagandolo di duemila e sessantacinque anni di attesa.

 


 

Lo so. Davvero. Lo so. Non uccidetemi.

Se vi state domandato cose come "Chi diamine è David?" oppure "si ma cosa è successo prima?" o " perchè diamine Valeria ce l'ha con Messalla?" o anche "qual è il senso di tutto questo?" avete perfettamente ragione. Davvero. Perfettamente. Non solo non ho spiegato niente di quello che lasciavo nel mistero ma ho peggiorato le cose. Solo ho scritto questa cosa (che in realtà ha un contesto, non sono del tutto impazzita!) e ho pensato a voi, stelline, che avete letto e recensito "Le cinque e una notte" e pensato che magari vi avrebbe fatto sorridere, e dato che era da tanto che non pubblicavo niente ho pensato che, non so, vi sarebbe piaciuto sapere che non sono morta. Ancora.

So anche che nelle cinque e una notte non ho usato la tecnica del " pensiero in presa diretta" e non lo farò se mai darò alla storia un seguito, solo questa mi è venuta così.

 

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Capitolo 2
*** Seconda traccia bonus ***


Premessa: A volte ho bisogno di scrivere una scena solo perché me la sono immaginata, di solito non sono i miei scritti migliori, perché devo tradurre in parole qualcosa che ho immaginato come in un film e io quando penso a qualcosa che devo scrivere di solito penso in termini di parole. Sempre di solito condivido poco queste piccole scene, ma ultimamente ho bisogno di comunità, di indulgere un po’, per cui ho deciso di pubblicare. Al contrario di tutte le mie storie, che cercano (non è detto che ci riescano) di parlare di qualcosa, questa non lo fa. Per cui prendetela un po’ come viene, ecco, e, se mi dovete giudicare come autrice, fatelo con qualcos’altro. ^^

 

York  25 luglio 2012

Alla fine era stato il modo in cui la poveretta aveva urlato il nome di Lucius a trascinare Valeria giù per scale; fino ad allora era riuscita a ignorare singhiozzi e lamenti, grida strazianti e ogni genere di suono sgradevole che proveniva notte e giorno dai sotterranei della grande villa vittoriana, lasciando che Messalla chiamasse “cantine” le proprie segrete e che i numerosi piani che la separavano dalle torture perpetuate in quelle celle intorpidissero la sua sensibilità come ottundevano i rumori che ancora riuscivano a raggiungerla.

Non sapeva che donna Messalla avesse incatenato nelle profondità della loro dimora, lui non l’aveva detto e lei non l’aveva chiesto, poiché non le importavano né il suo nome né le colpe per cui meritava quelle sevizie. Solo quando l’aveva sentita chiamare Lucius con un alto grido che aveva in sé l’angoscia dell’invocazione e il furore dell’anatema, per la prima volta si era domandata chi fosse, da dove venisse, cosa significasse per Lucius, cosa Messalla volesse da lei; interrogativi dapprima vaghi che si erano fatti sempre più insistenti e difficili da scacciare.

Sentiva quei dubbi accompagnarla, curva dopo curva di quelle ripide scale scavate nella pietra, sospingendola avanti, scalino dopo scalino, in quell’ambiente freddo e minaccioso, costringendola ad avanzare nonostante le tenebre si facessero più fitte e l’odore di putrefazione più difficile da ignorare.

Le grida erano cessate da qualche ora e tutto nel silenzio umido di quelle scale a chiocciola che discendeva di nascosto le pareva parlare di morte e di tristezza. Quando raggiunse l’ultimo gradino rimase immobile per un istante: in bilico fra mettere piede nel corridoio e tornare sui propri passi, fra il disubbidire a un ordine mai pronunciato ad alta voce e l’assecondare inquietudini che non avrebbe mai ammesso.

Un improvviso battito d’ali, il gracchiare inaspettato di un corvo, la fecero sobbalzare; attese ancora un momento, preda della propria incertezza, prima di avanzare cautamente, come se la lentezza con cui passava dinnanzi alle dieci celle spalancate e vuote potesse in qualche modo scusarla dall’approssimarsi all’undicesima porta, la gelida chiave stretta convulsamente in un pugno altrettanto freddo.

Non c’erano spioncini nell’enorme massa d’acciaio nero che sigillava la cella e Valeria se ne domandò il motivo aprendo i sette lucchetti che assicuravano la pesante spranga di ferro.

Dischiuse il portone leggermente, rabbrividendo al cigolare lamentoso dei cardini e quasi arretrando per il lezzo di morte e marciume che strisciò fuori da quel sottile spiraglio nelle tenebre. I corvi gracchiarono di nuovo, forse disturbati dalla luce delle torce alla base delle scale, forse dal movimento secco con cui Valeria spalancò la porta e fece un passo nella stanza.

Un ansito di spaesato orrore echeggiò nella camera e solo dopo qualche istante Valeria si rese conto che era suo: sconfiggendo a fatica la densa penombra della stanza, la luce fioca del corridoio scolpiva nella tenebra un corpo martoriato, divelto, inchiodato con paletti di frassino a una croce pendente dal soffitto, incatenato con i sui stessi intestini agli anelli di ferro sul pavimento, circondato da cadaveri putrefatti di bambini. Tre corvi banchettavano del sangue e della carni molli degli organi di quella donna, impedendo il richiudersi delle ferite che pure il suo sangue mistico cercava di curare. Contemplò per un istante quell’immobile sagoma spaventosa, finché non la vide sollevare il capo guardandola di rimando attraverso grandi orbite vuote.

Gridò.

Una mano sicura si posò delicatamente sulla sua vita e un corpo solido si strinse al suo, abbracciandola sotto lenzuola di seta.

«È solo un incubo, torna a dormire.»

La voce di Lucius era una carezza calda, un sussurro di velluto e se Valeria non avesse passato duemila anni a fuggire dalle sue insidie se ne sarebbe lasciata avvolgere e cullare, si voltò, invece, fronteggiando il suo volto avvenente e assonnato.

«Hai avuto molte donne in questi duemila anni?»

La smorfia costipata che distorse i suoi lineamenti scultorei l’avrebbe fatta ridere se solo non avesse avuto ancora impressa nella mente l’immagine di una giovane crocifissa e dilaniata.

«Potremmo rimandare questa conversazione a un momento in cui sarò abbastanza sveglio da rispondere senza provocare danni irreparabili?»

«Così tante?»

Il suo volto era tanto vicino da permetterle di contare le ciglia scure che incorniciavano i suoi grandi occhi neri e, osservando la luce ferina che brillava al fondo di quello sguardo intenso e appassionato, non si domandò più il numero delle sue conquiste, ma quello delle sue vittime; non quante avesse sedotto con dolci parole, ma quale avesse abbandonato esangui dopo essersene nutrito.

«E ce ne sono state con la pelle scura?»

«Devo chiamare un Leporello perché canti l’intera aria del mio Catalogo?»

Non disse nulla, attendendo la sua risposta con la calma cupa che quell’incubo da lungo tempo dimenticato aveva evocato in lei.

«Abbastanza: etiopi dalle gambe slanciate, schiave alessandrine e splendide odalische turche, tuttavia i loro volti sono sbiaditi nella mia memoria e i loro nomi smarriti del tutto. Non c’è mai stata che una donna per me.»

L’accarezzò nel dirlo e c’era una tale possessiva fermezza nel suo tocco e nella sua voce che Valeria tremò, sentendo risvegliarsi il desiderio smarrito di scappare lontano, di non ammettere a se stessa di amare l’uomo sregolato, crudele e folle che aveva ucciso una dopo l’altra tutte le persone cui lei avesse avuto la temerarietà di concedere un posto nel proprio cuore. Scacciò quel turbamento nascondendosi dietro un’altra inquietudine, evocando la disperazione piena di rancore con cui quella sconosciuta seviziata aveva chiamato Lucius come se lui l’avesse tradita, come se lui le dovesse qualcosa, come se ci fosse stata, a un certo punto del tempo e dello spazio, un’altra donna per lui.

«Nessuna a cui tu abbia concesso il dono di sangue?»

«Solo tu.»

Non era mai stato un dono per lei, quanto un’imposizione, un gesto egoista con cui Lucius l’aveva strappata a tutte le cose che non avrebbe mai lasciato volontariamente.

«Nessuna che lo possedesse già?»

Lucius sollevò il capo dal cuscino, poggiandosi sul gomito in una posa plastica degna di un dipinto neoclassico.

«Cosa stai cercando di chiedere esattamente?»

Non ne era sicura: non c’era mai stata una domanda precisa, solo un nebuloso affanno, così si limitò a dire quello che sapeva per certo, sperando di ottenere da Lucius la risposta tranquillizzante che fino a quel momento le era stata negata.

«C’era una donna nei sotterranei di Messalla. L’ha torturata per anni ma lei non ha mai detto altro che il tuo nome.»

Lo stupore infranse le linee del volto di Lucius, lasciandosi alle spalle un’incredulità talmente confusa da far sospettare a Valeria che davvero non sapesse di cosa lei stesse parlando.

«E chi era?»

«Speravo che me lo dicessi tu.»

La fessura fra le imposte della finestra lasciava passare un sospiro di luce sufficiente ad evocare fra le tenebre della stanza la sagoma indistinta dei loro vestiti appesi all’attaccapanni: due figure lugubri e tristi, eternamente immobili seppure sempre sul punto di abbracciarsi. 

«Non hai pensato di chiederlo a lei?»

Si levò a sedere e la mano di Lucius le scivolò lungo il fianco più delicata e morbida dei grandi palmi callosi di Hildebrand e delle dita d’acciaio di Messalla.

«L’ho fatto, in realtà.»

La prima volta non aveva ricevuto risposta se non un sorriso stanco e gentile, materno al punto da sembrare surreale; la seconda la donna aveva emesso un gemito soffocato, simile a un sospiro; la terza le si era rivolta con voce roca e rotta, una benevola ironia a far tremare le sue parole di rimprovero: “Avete davvero una voce di pesca, ma temo non servirà. Se voleva farmi parlare mandandomi una bella donna, Messalla non avrebbe dovuto bruciarmi gli occhi”.  Un corvo aveva scelto quel momento per affondare il becco più in profondità nel suo fegato e la donna aveva spalancato la bocca in un grido muto, mettendo in mostra gengive vuote e sformate; anche solo il ricordo di quella bocca violentata, abitata da due canini solitari e scheggiati provocò a Valeria un conato di vomito.

«È stato così terribile?»

Probabilmente non lo sarebbe stato per Lucius, che aveva affrontato ogni orrore della sua lunghissima vita con un sorriso seducente e una scrollata di spalle aggraziata, ma Valeria, che pure era stata capace di ordinare terribili atrocità nei confronti di coloro che l’avevano offesa, non era mai stata brava a guardare in faccia la sofferenza degli sconosciuti.

«La cosa peggiore è che era così gentile.»

Percepì un tremito nella mano di Lucius, una tensione appena accennata eppure impossibile da ignorare e, guardandolo in volto, scorse un pensiero angosciato sul fondo dei suoi occhi, simile a un sospetto al quale non avesse coraggio di dare un nome.

«” Gentile” hai detto?»

Forse gentile non era la parola adatta, ma Valeria non avrebbe saputo spiegare altrimenti l’attitudine indulgente con cui la prigioniera le si era rivolta, sebbene la credesse venuta su ordine del proprio torturatore per estorcere con dolci moine quello che non le avevano strappato con le tenaglie.  Il sorriso bonario con cui le aveva chiesto di avvicinarsi sarebbe quasi riuscito a metterla a suo agio se non avesse aperto tagli sanguinanti sulle sue labbra tumefatte.

«Gentile. Quando sono inciampata su uno dei cadaveri sul pavimento, mi ha chiesto se stessi bene.»

La sua voce aveva avuto la stessa avvolgente premura della schiava che l’aveva cresciuta, ma Valeria cercò di non pensarci; Lucius aveva squartato Meda la notte in cui le aveva fatto il Dono di Sangue e fare il suo nome non avrebbe fatto altro che rinnovare quel dolore.

«Che cadaveri?»

Valeria non trovò la forza di rispondere: ogni bambino morto che avesse mai incontrato nella storia le ricordava la sua, il piccolo cadavere sanguinolento che aveva stretto fra le braccia piangendo la notte della morte di Cesare, e quelle creature esangui e marcescenti che giacevano abbandonate in mucchi disordinati attorno alla croce sospesa sarebbero stati una ferita aperta nel cuore di qualsiasi madre.

Osservando nel ricordo il volto contratto dal terrore di un ragazzino di dieci anni, Valeria percepì Lucius levarsi a sedere, il suo corpo farsi ancora più vicino e la sua mente scivolare delicatamente nella sua, scrutando attraverso i suoi occhi il marchio di un morso sdentato sul collo del cadavere. Udirono insieme la voce spezzata con cui la donna rispose per la prima volta ad una domanda che Valeria non aveva neppure posto ad alta voce.

“È la stata la cosa peggiore che mi abbia fatto. Amavo gli allievi della mia scuola coranica: desideravo proteggerli dalla guerra, ma non ho potuto proteggerli neppure dalla mia sete. Saranno vendicati. In šāʾ Allāh.”

Lucius sussultò dentro di lei, Ahmad, lo sentì pensare, il nome carico di un sentimento tiepido, avvolgente come una coperta di piume o la voce di sua madre, un affetto misto a fiducia, rispetto e senso di colpa. La memoria di Lucius evocò il volto sorridente di un uomo allegro nell’esatto momento in cui, nel proprio ricordo, Valeria alzò gli occhi verso il viso deformato della donna e il suo sorriso mutilato e indecifrabile. La mente di Lucius lasciò la sua con un silenzioso grido d’orrore.

«L’hai riconosciuta?»

Aveva gli occhi chiusi e quando li riaprì per risponderle Valeria contemplò per un attimo la totale, smarrita umanità della sua espressione, domandosi quando fosse stata l’ultima volta in cui a Lucius era importato abbastanza di qualcuno da preoccuparsi in quel modo delle sue sorti.

«Non era una donna, era il mio migliore amico.»

«Era una donna: nemmeno il più forte dono delle forme avrebbe potuto cambiare aspetto in quelle condizioni.»

Lucius sospirò e guardò lontano nella penombra che avvolgeva i mobili mediocri di quel rifugio momentaneo, senza che l’estrema fragilità della sua espressione svelasse alcunché circa i suoi pensieri.

«Ahmad ha infranto la prima legge.»

Valeria sobbalzò; aveva conosciuto un solo vampiro che avesse bevuto il sangue degli stregoni: un uomo disperato e folle, imprigionato per sempre nel corpo del ragazzino che aveva ucciso, detentore di un potere enorme di cui era schiavo. Messalla diceva che poter dare ordini agli spiriti rendesse le persone pazze e lei stessa ricordava con spavento come l’insana disperazione di Raus generasse colonne di fuoco e i suoi lamenti portassero la tempesta.

«E gli spiriti obbediscono ai suoi comandi?»

«Non saprei, non l’ho mai visto comandare nulla in vita mia. È più il tipo che chiede cortesemente.»

Il sorriso mesto con cui le rispose non gli apparteneva e il gesto svogliatamente deciso con cui scostò le lenzuola alzandosi le parve carico di una lunga storia di cui lei non faceva parte e si trovò a sorridere, guardando sua flessuosa schiena bianca allontanarsi verso l’appendiabiti.

«Dove vai?»

«A tirarlo fuori di lì.»

Lo disse con tanta sicurezza, mettendosi la camicia con un movimento fluido, da sembrale il protagonista di un film d’azione, il che le provocò un brivido freddo: perché Messalla non era un cattivo da fumetto, perché lei non era una bond-girl qualsiasi e, soprattutto, perché non c’era più nulla di eroico che lui potesse fare.

«Lucius…»

Si voltò verso di lei con il ghigno arrogante che lo contraddistingueva e Valeria si trovò ancora una volta in bilico fra due i sentimenti opposti con cui aveva danzato negli ultimi duemila anni, desiderando allo stesso tempo abbracciarlo per prepararlo a quello che stava per dire, e ridere, godendo del piacere rancoroso di vedergli provare quel dolore che tante volte le aveva inflitto.

«…è morto.»

Le labbra sottili di Lucius si piegarono in una smorfia sofferta e Valeria si domandò cosa dicesse di lei il fatto di non aver mai trovato quell’uomo incredibilmente attraente tanto bello quanto in quel momento, mentre cercava inutilmente di non spezzarsi.

 


 Nota: Alcuni erano curiosi di sapere cosa fosse successo ad Ahmad e perchè fosse tanto arrabbiato con Lucius. Ne ho approfittato per dipingere un po' il "mio" folklore vampirico.
Non voletemene male, sto anche cercando di lavorare su qualcosa di più consistente, ma sono un po' giù di tono ultimamente.

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Capitolo 3
*** Bucarest 2022 ***


Bucarest 2022

L’aria del pub era calda e umida e il vociare allegro degli avventori era coperto da una musica rock suonata a tutto volume con più entusiasmo che talento e Hildebrand si fece largo fra la folla, domandandosi come potessero quelle persone non percepire il pericolo che proveniva dal predatore ferito in mezzo a loro.

Aveva osservato Lucius per ore, cercando di trovare la calma necessaria per avvicinarsi a lui: aveva assistito al progressivo accasciarsi della sua schiena altera, alla rabbia secca con cui aveva scacciato le avventrici che gli si erano avvicinate e alla metodica ostinazione con cui aveva ordinato un bicchiere di vodka dopo l’altro nonostante non potessero avere alcun effetto su di lui.

Sebbene non si fosse mai voltato a guardalo, Hildebrand era certo sapesse che lui era lì e lo stesse ignorando con caparbietà rancorosa, quasi la sua presenza fosse l’ennesima offesa intollerabile in una notte da dimenticare.  Hildebrand condivideva il sentimento e non avrebbe desiderato altro che andarsene, lasciando Lucius libero di abbandonarsi al proprio dolore sanguinario, senza altra preoccupazione che nascondere la sua strage la mattina successiva, eppure le ultime parole di Ahmad gli echeggiavano ancora nella mente, sofferte e stanche, non prive di una certa malinconica accettazione; così sospirò e si diresse verso il bancone, perché al fantasma triste della voce di Ahmad Hildebrand non era in grado di negare la propria lealtà.

Sedette pesantemente accanto a Lucius ma questi non si mosse, fissando nel vuoto dinnanzi a sé, ebbro di cordoglio dove non poteva esserlo di liquore.

«Vattene.»

Lo disse sottovoce, il suo timbro di velluto quasi inghiottito dalla musica, e Hildebrand si concesse per un attimo di immaginare come sarebbe stato afferrargli la nuca e sbattere quel volto odioso contro il tavolo. Non gli sarebbe bastato naturalmente, avrebbe preteso di trascinarlo fuori e combatterlo, spada a spada, guerriero a guerriero e di versare tutto il sangue necessario a lavare l’offesa al suo onore e al suo orgoglio. Non era per questo che era venuto.

Fece cenno al barista di portargli da bere. Desiderava andarsene, lasciarsi alle spalle Lucius insieme a tutto il suo dolore e al desiderio di vendetta rabbioso che suscitava in lui, non poteva, tuttavia, abbandonarsi a quell’impulso egoistico: Anna era venuta prima di lui e questo non gli lasciava scelta.

Hildebrand aveva cercato di dissuaderla ma non era mai stato bravo con le parole, troppo incline a dire le cose come stavano per zuccherare di retorica verità amare al punto da essere inaccettabili. Le aveva detto che progettava un abominio e lei se ne era andata, chiusa in un silenzio ostinato, a cercare l’unico uomo che amasse Ahmad con lo stesso tenace egoismo con cui lo amava lei. Non si erano mai piaciuti Lucius e Anna, entrambi troppo egocentrici, troppo arroganti, troppo sicuri di sé, eppure Hildebrand temeva che Lucius avrebbe acconsentito a unirsi a lei, perché, per quanto poco la stimasse, non era uomo che potesse accettare di perdere qualcuno senza lottare.  Per questo, pur sospettando che non ci fosse niente da fare, Hildebrand si era recato a quel bancone per umiliarsi a chiedere, minacciare, implorare se necessario di non provare a resuscitare Ahmad.  “Non lasciare che facciano di me il signore degli abomini”, gli aveva sussurrato nella mente prima di essere consumato dalle fiamme e Hildebrand, che pure lo avrebbe voluto indietro tanto quanto gli altri, credeva che a un uomo spettasse il diritto di decidere del proprio destino.

«So che Anna è venuta a parlarti.»

Lucius batté il bicchiere sul tavolo, richiamando l’attenzione del barista che si affrettò a riempirlo ancora con un gesto impersonale e meccanico figlio di un uso brutale del più antico dei doni del sangue.

«È venuta.»

Hildebrand voltò lo sgabello verso di lui, fissando intensamente il suo profilo greco e chiedendone implicitamente l’attenzione, Lucius, tuttavia, continuò a guardare dinnanzi a sé con rassegnato distacco.

«Cosa le hai risposto?»

«Niente. Se n’è andata indignata e fredda, intimandomi che sarebbe tornata.»

Hildebrand si trovò pervaso insieme da sollievo e stupore.

«Cosa le risponderai quando tornerà?»

Lucius bevve la sua vodka in un’unica sorsata elegante prima di allontanare da sé il bicchiere con un gesto irritato e carico di disprezzo.

«Non sarò qui quando tornerà.»

Scivolò giù dallo sgabello con grazia svogliata e prese la giacca da quello attiguo senza guardare verso di lui; Hildebrand si sentì congedato e la sua irritazione si riversò nel suo tono di voce e nella prontezza con la quale si alzò a propria volta torreggiando su Lucius con le due spanne di cui lo superava in altezza.

«Non la aiuterai quindi.»

Lucius si voltò verso di lui e lo fissò finalmente negli occhi, senza rabbia né turbamento.

«No, Hildebrand.  Non la aiuterò; perché quello che vuole fare non è possibile e, anche se lo fosse, Ahmad non lo vorrebbe. Scuoterebbe il capo, sorridendo del sorriso bonario che riservava a chi amava quando faceva qualcosa di stupido e mi direbbe di non fare stronzate. Mi direbbe di lasciarlo andare.»

La rievocazione era così perfetta che Hildebrand non poté fare a meno di immaginarlo, sorridente e gentile eppure sempre deciso e coerente, e fu trafitto da un’improvvisa nostalgia e dall’inaspettata consapevolezza che Lucius la condivideva. Per la prima volta non erano più due rivali che amavano la stessa donna ma due uomini che piangevano lo stesso amico.

Si domandò se Ahmad avrebbe potuto immaginarlo.

Lucius non aspettò una risposta, indossando il cappotto pronto ad andarsene senza guardarsi indietro, e nel vederlo dargli le spalle in una cupa quiete, quasi spento e assente, tutta la rabbia impotente di Hildebran si ripresentò con violenza. Si domandò dove fossero il furore di Lucius, la volontà erculea che gli permetteva di affrontare ogni situazione con la rabbiosa convinzione di poterla volgere a proprio favore, l’egoismo sfrenato con cui distruggeva ciò che non poteva conquistare.

«Te ne andrai così, senza fare nulla?»

Le sue parole risuonarono feroci al di sopra del silenzio fra una canzone e l’altra e Hildebrand si stupì di averle pronunciate.  

«Cosa dovrei fare?»

C’era tanto rassegnato sconforto nella domanda che per un istante Hildebrand dimenticò che veniva da uno degli uomini che più disprezzava sulla faccia della terra.

«Esigere vendetta.»

Era la sola cosa che Hildebrand volesse, con tutta la frustrata collera gli che veniva dal ricordare la propria impotenza di fronte alla morte, alle fiamme e alle diavolerie degli stregoni. Non poteva immaginare che Lucius non volesse lo stesso. Non l’uomo che conosceva.

Lucius si voltò di scatto, avvicinandoglisi di un passo, minaccioso e aggressivo sebbene dovesse alzare il mento per guardarlo negli occhi, una violenza mostruosa e a stento trattenuta nella rigidità della sua postura.

«E quale vendetta sarebbe abbastanza? Ucciderli tutti? Perché a me non basterebbe. Voglio sterminare le loro famiglie ed estinguere i loro clan, sgozzare i loro vecchi e smembrare ì loro bambini e non mi basterebbe. Voglio bruciare Praga e spargere il sale sulle ceneri della Cecoslovacchia e non mi basterebbe. »

Aveva mantenuto bassa la voce, sussurrando parole di fuoco a pochi centimetri dal suo viso ma la furia irrefrenabile del suo timbro le aveva amplificate alle orecchie di Hildebrand al punto che quando gridò davvero non se ne stupì.

«Darei fuoco al mondo e non mi basterebbe!»

Il suo voltò simmetrico era deformato da una rabbia incontrollata e solo allora Hildebrand lo riconobbe.

«Quindi scegli di non avere niente?»

Per un istante la luce ferina negli occhi di Lucius gli suggerì che stesse per colpirlo ma un attimo dopo la sua intera figura si rilassò in un sorriso senza gioia.

«Non c’è più niente che io possa avere in ogni caso. Cosa vuoi veramente da me, Hildebrand?»

Contemplò la domanda per un istante, lasciandola risuonare attraverso una memoria infinita di torti e di rancori: voleva che morisse, che sparisse dalla terra, che smettesse di insidiare sua moglie, che Ahmad smettesse di amarlo pur portandogli rancore ma anche che non si rassegnasse, che non fosse un uomo diverso da quello che era tanto facile odiare, che lo aiutasse a vendicare Ahmad e a radere al suolo le città degli stregoni.

«Sai, non ho mai capito veramente perché a te e Ahmad importasse tanto l’uno dell’altro.»

Lucius sedette di nuovo e rise amaramente.

«Alla fine tornate tutti alla stessa domanda.»

Hildebrand non se ne stupì, era una domanda inevitabile; non vi era alcuna ragione per cui due uomini tanto diversi dovessero nutrire un tale attaccamento reciproco. Ahmad, che pure conosceva i difetti di Lucius con l’intimità di chi li abbia subiti più volte, non era mia riuscito a lasciarlo veramente alle proprie spalle e Lucius, che tutti sapevano incapace di curarsi di altri che di se stesso, sembrava devastato nel profondo all’idea di averlo perso irrimediabilmente.

«È così difficile credere che io possa avere un amico?»

Hildebrand rise perché, prima di conoscere Ahmad, prima di sapere che un tale incredibile individuo percorreva le notti della terra, avrebbe scommesso che fosse impossibile: Lucius era un pinnacolo di egoismo e culto di sé, un uomo del genere non poteva avere degli amici.

«Sì»

Lucius lo fissò, all’improvviso sprezzante e altero, all’improvviso l’uomo che ricordava, eppure in qualche modo più onesto e sincero di quanto non gli fosse mai parso prima,

«Eppure Ahmad era mio amico e mi importava di lui per lo stesso motivo per cui importava a tutti: indipendentemente da cosa accadesse, da quanto terribili fossero i nostri fallimenti, le nostre mancanze, la nostra stupidità, Ahmad riusciva sempre a essere felice di vederci, a farci credere che tutto sarebbe andato bene, che il domani sarebbe stato se non migliore almeno tranquillo. E ora è morto e non aprirà più la porta sorridendo a nessuno. Era questo quello che volevi sentirti dire?»

Rimase interdetto perché quella collera rassegnata, crudele nella sua chiarezza, rivelava per la prima volta un lato umano, comprensibile, disperato e quasi amorevole di quell’essere egocentrico e superficiale. Si chiese se era quello il Lucius che Ahmad conosceva, che Ahmad amava, si chiese se avesse mai potuto immaginare di causare con la sua morte tanto dolore

«Ahmad lo sapeva che lo amavi così tanto?»

Lucius si ritrasse per un attimo, basito e orripilato, prima di sospirare pesantemente.

«Non essere ridicolo.»

In effetti Hildebrand aveva difficoltà a immaginarseli Lucius e Ahmad seduti sotto un porticato a parlare di sentimenti e amicizia.

«E ora che sai qualcosa di inaspettato su un uomo che detesti, posso finalmente andarmene?»

La batteria scandiva il tempo del silenzio e Hildebrand prese una decisione fastidiosa, imprevista ma in qualche modo inevitabile.

«No.»

«No?»

«Il mio amico è morto, le sue ultime parole sono state per te. È morto chiedendomi di non farti fare qualcosa di imperdonabile. Hai idea di quanto io sia arrabbiato?»

Hildebrand era stato un amico migliore nei dieci anni che i pentarchi avevano passato a Bucarest di quanto Lucius fosse mai stato e avrebbe meritato di meglio.

«Quindi tu smetterai di piangerti addosso, andrai a prendere la tua piccola ridicola spada romana e uccideremo tutti gli stregoni. Sgozzeremo i loro vecchi, trucideremo i loro bambini, e daremo fuoco alle loro città, perché il nostro amico è morto e alla nostra vendetta spetta di devastare la terra. Poi potremo piangere e dopo avere pianto abbastanza, se saremo dell’umore giusto, risolveremo i nostri conti in sospeso.»

Mise una mano sulla spalla di Lucius e lui non si ritrasse, chinò la testa a sinistra in un gesto di pensoso stupore prima di sorridergli con una feroce esposizione di denti e Hildebrand seppe che sarebbe venuto con lui.

Si diressero verso la porta in un silenzio determinato, per la prima volta perfettamente concordi nello spirito e negli intenti. Solo sulla soglia Lucius lo guardò di nuovo, una malizia ferina all’angolo della bocca.

«E Anna?»

«Hai detto che quello che vuole fare è impossibile.»

Lucius rise e Hildebrand si chiese come quegli occhi scuri pieni di scaltrezza potessero essergli sembrati vuoti e stanchi solo un momento prima.

«È impossibile. Non sarebbe meraviglioso però se ci riuscisse e noi fossimo, per una volta, assolutamente al di sopra di ogni biasimo?»

***
Ecco, in verità non sono morta. Non del tutto. Forse mi sono perduta. Sicuramente ci siamo perduti. Se qualcuno che sapeva chi fossi è ancora qui da qualche parte, mi piacerebbe sentirmi dire che sta bene.
 

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