They Have Trapped Me In A Bottle

di Easily Forgotten Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four. ***
Capitolo 5: *** Five. ***
Capitolo 6: *** Six. ***
Capitolo 7: *** Seven. ***
Capitolo 8: *** Eight. ***
Capitolo 9: *** Nine. ***
Capitolo 10: *** Ten ***
Capitolo 11: *** Eleven. ***
Capitolo 12: *** Twelve. ***
Capitolo 13: *** Thirteen. ***
Capitolo 14: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** One ***


Nuova pagina 1

…they have trapped me in a bottle…

Before you begin… Ciao, siamo Nai e liz *_* Ditelo, che siete felici di vederci <3 E questa è la seconda storia che scriviamo insieme e decidiamo di pubblicare dopo Cupid’s. Speriamo vi piaccia altrettanto X3 (anche perché questa è una storia vera!).

Precisazioni del caso: nessuno dei personaggi citati ci appartiene (e dal momento che sono veramente… ma veramente svariati °.° È giusto dirlo XD) e noi non abbiamo niente a che fare con loro se lasciamo da parte il fatto che li amiamo tutti, in un modo o nell’altro è_é Non abbiamo niente a che fare con loro e, per la maggior parte, non hanno mai fatto né faranno niente di quanto descritto in questa storia.

Ovviamente non ci guadagniamo niente >_< Sono solo fanfiction, in fondo ù_ù

Per quanto fanfiction, però, la base di partenza è reale °_° È ambientata fra la fine di luglio e l’inizio di settembre di quest’anno, durante il Projekt Revolution (festival itinerante al quale hanno preso parte band celebri come i Linkin Park, ideatori del progetto, e i My Chemical Romance… e il bello è che avranno tutti un ruolo, in questa storia XD). Siamo state abbastanza scrupolose, ma se c’è qualche cavolata random non badateci troppo >.<

Per quanto sia triste, né Cody né Gaia sono contemplati è_é” In fondo è meglio così, credeteci :D

Buona lettura :*

One:

Ci sono giorni che semplicemente dovrebbero non esistere.

A volte sogno di tracciare una linea rossa sopra questi giorni. Sogno che basti questo – un colpo di pennarello, pescato a caso dentro il cesto della frutta senza che nemmeno sappia come ci è arrivato – per farli sparire ugualmente dai miei ricordi.

Lo sogno.

E generalmente sto facendo proprio come ora. Sto guardando fuori da un finestrino un mondo che va veloce nella direzione opposta.

Sono stanco. Non ho molto altro da dire, molto altro che mi pesi addosso. Sono semplicemente stanco. Come qualunque persona che sia stata costretta per un lungo periodo di tempo a sottoporsi allo stress costante di un lavoro dai ritmi frenetici.

Potrei essere stanco come un manager di impresa, o come un dirigente di industria, o come un professore universitario in giro per congressi. Invece sono stanco come il cantante di una band rock in tour da quasi un anno e mezzo. E questo, per uno strano caso del destino, vale a togliere attendibilità, dinanzi alla gente, al mio stato fisico e mentale. Per questo strano caso del destino, infatti, la gente sembra credere che un musicista rock non possa in alcun modo rivendicare il diritto a qualificare il proprio come “lavoro”. Figuriamoci a riconoscergli “ritmi frenetici” al punto da indurlo a stancarsi.

Di conseguenza, io sono stanco. Davvero. Ma ufficialmente non posso dirlo.

Stefan fa un gran casino quando si lascia cadere pesantemente accanto a me. Il cuscino sistemato sulla panca si abbassa e slitta un po’ sul legno, lui si sistema contro il tavolo e mi gira lo sguardo addosso, anche se io non posso vederlo.

Infatti non lo vedo, ma lo so.

-Hai intenzione di restare con la faccia incollata al vetro finché la tua pelle non si fonderà con il finestrino?

È un’immagine disgustosa. Penso che dovrei dirglielo, ma mi limito a storcere il naso senza muovermi e a mugugnare qualcosa di assolutamente incomprensibile, che vorrebbe essere una protesta risentita.

Sono patetico.

Stefan sospira, si rimette dritto, so che sta scambiando un’occhiata con Steve. Lo so anche perché Steve smette per un attimo di giocare con quelle dannate bacchette e libera la mia mente dall’orrido e ripetuto ticchettio che ha prodotto finora. Presumibilmente Stefan gli sta chiedendo con lo sguardo cosa diavolo devono fare con me. Quasi certamente Steve gli sta rispondendo con un’alzata di spalle.

-Brian!- mi richiama Stefan con una certa urgenza. Mugugno di nuovo una cosa molto simile alla precedente, che stavolta vorrebbe essere un’attestazione di presenza…Il mio vocabolario si sta riducendo incredibilmente in questi pochi minuti.- O.k., senti.- Sento. Ma lui ci pensa su. Si ferma un attimo e raccoglie le idee. Nel frattempo io colgo l’immagine del deserto che sfila contro di noi. Poi il profilo di un altro autobus, leggo il nome del gruppo sulla fiancata quando ci superano. Il deserto ritorna nel mio spazio visivo…- C’è qualcosa che possiamo fare io e Steve per tirarti su di morale?- s’informa Stef alla fine.

-No.- borbotto appena.

La prima parola di senso compiuto da non ricordo quante ore.

Un altro sospiro. Adesso Stefan sta puntando Alex. Lei è seduta nel posto più lontano del tour bus. Si ricambiano lo sguardo, lei scuote il capo dicendogli di lasciarmi perdere. Mi passerà.

Ha ragione lei, è chiaro. Credo che nessuno, a parte i cavalli, sia mai davvero morto di stanchezza.

Solo che Stefan non accetta di lasciarmi perdere. Per lui occuparsi di me è una priorità, una necessità indefettibile. A volte questa cosa mi fa piacere. Altre volte mi sfinisce, esaurendo le mie ultime energie. Come questa volta…

-Senti, Bri.- Tono carezzevole, giusto per farmi sentire che è preoccupato per me e che, quindi, sarebbe carino che io gli dessi quel minimo di attenzione necessario a rassicurarlo. Mi ci sforzo, mi tiro un po’ più su sulla panca, rimetto le spalle in asse con il resto del corpo e stacco la fronte dal finestrino.- Lo so che siamo tutti a pezzi e che non vediamo l’ora di tornare a casa, ma dobbiamo tenere duro ancora un po’.

Borbotto qualcosa che non so nemmeno io cosa sia. Forse un assenso, forse una nuova protesta. Suscito l’ennesimo respiro profondo da parte di Stef. Lui mi guarda, io non alzo il viso ma tanto i suoi occhi li sento anche a metri e metri di distanza, anche quando sto facendo tutt’altro e non ho neppure voglia di voltarmi a sincerarmi che lui sia davvero lì…

C’è questo silenzio che si protrae un po’. Steve ridacchia, Stefan gli sibila di piantarla, aggiunge che è un cretino e che dovrebbe aiutarlo invece di ridere. Steve gli dice che si preoccupa troppo e si alza per andarsi a prendere una birra dal mini frigorifero. Torna indietro con tre bottiglie, ne posa una davanti a Stefan, l’altra me la apre e la allunga verso il mio viso.

-Grazie.- mormoro sollevando gli occhi su di lui mentre prendo la birra dalle sue mani.

Mi sorride come a dirmi che non importa.

-Beh, almeno guarda che bel tramonto.- prova ancora Stefan, cercando invano di scuotermi dalla mia apatia.

Mi volto. Oltre il finestrino si allunga una striscia rosa sull’orizzonte. Una parte del vetro, illuminata direttamente dalle luci del tour bus, mi rimanda il mio volto disfatto.

-Ne ho visti di più belli.- sussurro sollevando la macchina fotografica e fermando il tempo.

***

La fotografia è una “cosa” di Helena.

In una relazione, inevitabilmente, le persone prendono qualcosa le une dalle altre. Io ho preso da Helena molto più di quanto le abbia dato ed alla fine l’unica cosa che le riconosco è questa. Lo penso mentre soppeso la macchina fotografica sul palmo della mano.

Fuori si è fatto tutto buio. Ci sono solo le stelle ed i fari della nostra piccola carovana di autobus e camion ad illuminare la strada che passa attraverso il deserto. Io sono l’unico qui dietro ancora sveglio. Stefan se n’è andato a dormire da poco; Steve sonnecchia su un divanetto, ogni tanto si rigira, apre un occhio e mi brontola qualcosa, poi crolla di nuovo senza pretendere una risposta. Alex è in cabina guida, stava ascoltando musica con l’autista fino ad una decina di minuti fa, ora mi arrivano di tanto in tanto le loro risate e qualche battuta a voce alta. Mi ha chiesto se volevo sedermi con loro, ho risposto che preferivo restare ed andare a dormire anche io.

Helena è uscita dalla mia vita da un po’ ormai.

Helena ed io ci siamo lasciati in modo civile, seduti dentro un caffè, sorridendoci mentre ci dicevamo “addio”.

Ha fatto male lo stesso. Ma non a me.

Io da lei avevo già preso tutto quello che volevo. Il mio nuovo equilibrio, la mia nuova pace interiore, la mia nuova capacità di accettare e di farmi accettare dagli altri.

Lei da me voleva solo una cosa, ma quella davvero non poteva dargliela. Perché io non l’amavo, ed alla fine doveva accorgersene, doveva capire le mie bugie e la mia falsità, nascosta dietro lo zucchero. E dirmi che era finita lì. Com’è finita, infatti.

Sì, sembra strano a me per primo. È stata lei a lasciarmi, lei a dirmi che tra noi non c’era nulla, quando il nulla ero solo io. Il fatto che sia stata lei ha reso possibile che entrambi sorridessimo quando ci siamo alzati da quel tavolo dentro il caffè.

Da allora sono stato felice. Lo ero anche con lei, ma in modo diverso. Quel modo ordinario e pervicace delle storie serie ma senza anima. Lei mi aveva curato, io le ero riconoscente, ero vivo grazie a lei ed ero felice di questo.

Ma è stato solo quando lui è entrato nella mia esistenza che ho capito davvero che fino a quel momento ero sopravvissuto. E basta.

Suona il cellulare. Mi strappa ai ricordi. Poso la macchina fotografica davanti a me sul ripiano chiaro, spingo le dita nella tasca dei jeans e riesco con difficoltà a tirar fuori il telefono. Leggo il nome sul display mentre la suoneria sveglia di nuovo Steve. Solleva la testa e mi guarda, contrariato.

-Digli che non può rompere quando qui sono le tre di notte e noi domani abbiamo un concerto!- sbotta prima di lasciarsi ricadere sui cuscini.

Sorrido. Improvvisamente mi sento meno stanco.

-Matt.- chiamo rivolto alla persona dall’altro immaginario capo dell’apparecchio.

Ridacchia e poi tira un respiro profondo. Come se avesse davvero bisogno d’aria.

…Come se quell’aria fossi io.

-Brian!- esclama alla fine.- Dove sei?- mi chiede subito dopo con urgenza.

Ridacchio anch’io.

-Da qualche parte, in un deserto “x” qualunque, in uno stato a caso degli USA.- riassumo ricominciando a fissare il paesaggio oltre il vetro.

Adesso che è veramente buio riesco a vedere quasi solo il mio profilo. O quello dei mobili, che sembrano arancione sotto la luce artificiale. Vedo il divanetto su cui Steve ha ricominciato a dormire, la bottiglia di birra che Stefan ha mollato a metà. La mia ormai vuota. La macchina fotografica con l’obiettivo serrato ed il laccio logoro che mi ricade addosso oltre il bordo del tavolo.

-Uno Stato a caso?!- ripete Matt.

Sento che ne sta combinando qualcuna. Mi arrivano il rumore dei suoi passi e poi dei suoni sordi, come se spostasse qualcosa che cadendo produce un tonfo leggero. Mi piacerebbe chiedergli cosa sta facendo, ma preferisco aspettare. Matt è un mago, sapete? Sa fare piccole magie. Riesce a fare apparire cose meravigliose dal nulla. Ma se gli chiedi ad alta voce cosa sta facendo e lui ti risponde, allora la magia non funziona più.

I rumori finiscono. Ha una voce allegra ed eccitata quasi quanto quella di un bambino, quando riprende a parlare.

-Sai cosa ho comprato oggi?- mi domanda.

-No…- rispondo io. Alzo una gamba ed incastro il ginocchio contro il tavolo posandoci sopra il gomito.

-Un atlante degli Stati Uniti d’America.- mi spiega.

-Cosa dovresti farci?- chiedo stupito.

-Beh, come cosa?!- sbotta lui, deluso.- Ci seguo le tappe del Festival!

Rido.

-Matt!- lo richiamo.

Mi vengono in mente un centinaio di cose da dirgli, suonano tutte come una sorta di rimprovero. Mi fermo a metà quando mi rendo conto che sono altrettante scuse per non ammettere quanto mi faccia piacere questa sua idea.

Sì, Matt è un mago.

“E questa è una delle sue magie”, penso mentre mi sistemo contro lo schienale della panca e lo lascio continuare senza più contraddirlo.

-Ho preso una scatola enorme di pennarelli colorati…- si ferma e ci ripensa- O.k., i pennarelli li avevo presi per altro in realtà.- precisa.

-Cosa?

-Mah. Volevo fare una specie di disegno da appendere sul palco nelle prossime date, ma è venuto una schifezza!- confessa ridendo.- Allora ho deciso che potevo utilizzarli in un altro modo e, quando ho capito che Dom non apprezzava che ci colorassi i contorni della sua batteria…

-Come diavolo hai fatto a sopravvivergli?!- sbotto ridendo anch’io.

-Semplicemente si è vendicato su una delle mie chitarre!- mi risponde lui.- Ci ha fatto i baffi, Brian! Ti rendi conto?!- mi chiede come se da questo dipendesse la sua vita.- I baffi e poi…tipo…degli occhiali da sole o qualcosa del genere. Insomma, adesso ha una faccia e…

-I pennarelli sono indelebili?- domando io, passandomi le dita sugli occhi per scacciare via quel po’ di stanchezza che rimane. Voglio parlare con lui ancora un po’…

-Ma và!- ritorce lui. Non sembra particolarmente arrabbiato, ma del resto ormai l’ho capito che lui e Dominic hanno un loro linguaggio personale per comunicare, fatto anche di piccoli dispetti da ragazzini.- Ovviamente andranno via comunque, ma chiaramente adesso passiamo tutte le prove ad insultarci vicendevolmente ed a guardarci in cagnesco. Chris e Tom ci odiano già.

-Immagino.- soffio appena, sorridendo. Mi rilassa immensamente sentirlo parlare.- Allora dimmi, quando hai capito che Dom non gradiva la tua arte, cosa hai fatto dei pennarelli?- m’informo.

-Ah sì.- Riacchiappa qualcosa, un altro rumore, probabilmente l’atlante gli era scivolato, perché quando ci batte su la mano riconosco il rumore delle pagine e del cartonato plastificato della copertina.- Ho deciso che potevo segnarci le date del vostro tour. Tipo, in rosso le date del Festival, in blu quelle del tour di “Meds” e, quando andate via da una tappa, ci metto un segno verde. Poi indico anche i giorni che passate in ogni città e…

-Matt.

Si interrompe ed aspetta.

Io prendo fiato. Una. Due volte. Prendo fiato e glielo dico.

-Non dovresti.

Il suo silenzio fa più male di quanto pensassi. Ora so cosa ha provato Helena quel giorno, lo so perché adesso sì che sono innamorato. E quindi so cosa vuol dire avere paura.

-Sei un cretino, Brian.- mi risponde lui con una serietà che gli è totalmente inusuale.

-…già.

Un altro silenzio. Nel vuoto che lascia ci si potrebbero infilare migliaia di pensieri. Ma la mia mente si ostina a non farcene entrare nemmeno uno, perché è come se ciascuno di quelli che si affacciano iniziasse con “se lui non ci fosse…”. Ed io in realtà non voglio nemmeno pensare alla possibilità che lui non ci sia.

-Sai che tra tredici giorni tornerete in Europa?- mi chiede alla fine.

“…tredici giorni…”

-E voi andrete in Australia.- rispondo io.

-No, solo ad ottobre. A settembre siamo in Europa come voi.

-Est Europa.- correggo.- E noi in sala prove.

-Beh, come noi adesso.

Respiriamo con lo stesso ritmo. Qualcosa di terribile se non fosse meraviglioso. E ridiamo nello stesso momento, come due idioti.

-Che schifo di lavoro!- commenta lui per primo.

-Non ti credi nemmeno tu quando lo dici!- ribatto io.

-L’anno prossimo vacanze insieme!- pretende.

-L’anno prossimo si vedrà.- sminuisco.

-Tu non mi ami abbastanza!- protesta lui.

-Non vedo neppure perché dovrei farlo…- ci scherzo io.

-…Vuoi andare a dormire, cretino?! Domani devi lavorare!- sbotta Matt arrabbiato.

“No, Matt. Voglio parlare ancora un po’…”

-Sì, papà, vado a dormire, promesso.- sorrido invece.

-Ecco!

Quando riattacco e guardo di nuovo fuori dal finestrino, mi dico che avrei dovuto chiedergli dove siamo - “Guarda sul tuo atlante, Matt, dimmi se mi vedi” - invece non l’ho fatto, forse per paura che lui me lo dicesse davvero. Che puntasse il dito su un deserto “x” qualunque di uno Stato a caso e mi dicesse “sei qui”. E potesse avere ragione.

-Che ne dici se ora mantieni la tua promessa?

Mi volto verso Stefan, che mi guarda e sorride. Ricambio il suo sorriso e scivolo lungo la panca per uscire da dietro il tavolino.

-A che ora arriviamo domani?

-Alle dieci.- risponde lui sbadigliando.

-Dovremmo svegliare Steve e mettere a letto anche lui.- noto distrattamente, mentre passiamo per raggiungere la zona notte.

-Io non ci provo nemmeno, l’ultima volta mi stavo beccando un cazzotto sul naso!- ricorda Stefan, gettando un’occhiata a Steve.

-Questo perché lui ha aperto gli occhi e si è ritrovato il tuo brutto muso davanti. Invece, se lo sveglio io…- comincio ad argomentare con saccenteria, ma badando a tenermi lontano dal nostro batterista.

Stefan mi manda cortesemente a cagare e si infila risoluto nella propria cuccetta. Mi stendo anch’io e fisso il tettuccio del tour bus.

-Stefan.- chiamo. Lui brontola qualcosa per farmi capire che mi ascolta.- Che cazzo ci facevi ancora sveglio?- domando.

-Mi assicuravo che non cercassi di strozzarti con il laccio della macchina fotografica.- sospira girandosi verso la parete- Ed ora dormi, Brian! Dannazione a te!

Ridacchio e lo imito, arrotolandomi nelle coperte.

-‘Notte, Stef.

-‘Notte, insopportabile scocciatore dell’esistenza altrui.- mi risponde, prendendosi immediatamente una cuscinata addosso.

-Stronzo!- gli strillo contro.

-Fanculo!- ritorce lui restituendomi il favore.

-Volete dormire?!- strepita Steve, svegliandosi di botto e ripiombando nell’incoscienza quasi nello stesso momento.

-Come accidenti ci riesce secondo te?!- protesto fissando sconvolto Steve riprendere a russare come se niente fosse.

-Non è umano, è evidente.- afferma Stefan, annuendo convinto.- Ora, però, ti prego, Brian, dormiamo davvero!- m’implora, lasciandosi ricadere sul materasso.

-Sì sì.- borbotto stendendomi di nuovo anch’io.

-E dì a Bellamy di chiamarti di giorno, se ci riesce.

-Mi chiama quando vuole.

-Sei una ragazzina.

-E tu sei stronzo.

-Lo hai già detto.

-Beh, volevo ribadirlo.

-Se non dormite, giuro che vengo lì e vi “addormento” io.- s’intromette Steve.

***

Sedevo sul fondo del backstage. Avevamo appena finito di esibirci, ero felice di come fosse andata, ancora assordato dalle urla dei fan sotto il palco, sereno dopo che la mia storia con Helena era finita appena quattro giorni prima.

Stefan e Steve erano spariti da qualche parte. Dopo i concerti hanno ognuno il proprio rituale. Stefan ama continuare il bagno di folla, raggiungendo i fan per le foto, gli autografi, i complimenti a voce e tutto quanto ne consegue. Steve doveva essere corso a chiamare la moglie e la figlia.

Io non avevo niente da fare. Quattro giorni prima sarei stato attaccato ad un cellulare anch’io, ma in quel momento potevo starmene seduto a terra, contro le casse della strumentazione, con il cellulare effettivamente in mano e nessuno da chiamare.

Helena mi aveva fatto un regalo enorme. Fino a prima di lei questa mia condizione mi avrebbe gettato nello sconforto… in quel momento dentro di me c’era invece solo una luminosità calda e profonda.

Mi venne incontro direttamente dalla zona del palco. Aveva le mani in tasca e sorrideva, teneva gli occhi fissi su di me, quasi volesse farmi capire che mi cercava, che era proprio me che voleva. M’incuriosì, fino a quel momento non ci eravamo mai nemmeno scambiati due parole. Ero convinto che ci stessimo evitando, una di quelle convinzioni silenziose che si creano e che ci portano a parlare di “taciti accordi”. Il nostro accordo avrebbe dovuto prevedere che ognuno di noi due ignorasse l’altro. Lui lo stava per violare.

Si fermò davanti a me e mi guardò senza sfilare le mani dalle tasche dei pantaloni. Io ricambiai il suo sguardo ed attesi.

Quando parlò non mi sembrò davvero che avesse violato alcunché.

-Complimenti.- mi disse.

-Grazie.

-È stata un’ottima performance.

Mi strinsi nelle spalle, ripetere “grazie” era privo di senso. Non c’era ironia nella sua voce, non provavo alcuna avversione o fastidio nel rimanere seduto a parlare con lui. Già questo mi stupì.

-Noi ci esibiamo tra poco.- Lo sapevo, annuii.- Resti a guardarmi?

Rimasi sbigottito. Aprii la bocca annaspando. Lui mi fissava con un candore tale da darmi il capogiro e nemmeno si rendeva conto – credo – di quanto assurdo fosse quello che mi aveva appena domandato.

Sarebbe stato già tanto se lui mi avesse chiesto di rimanere per sentire loro. Ma mi aveva appena chiesto di rimanere a guardare lui. E nel farlo mi aveva fissato con la stessa espressione che io usavo da bambino, quando correvo da mio padre a mostrargli i voti presi a scuola, in cerca della sua approvazione.

In quel momento capii che, tutte le volte che Matthew Bellamy aveva detto di stimare me e la mia band, non aveva mentito. A differenza mia.

Che, quando gli avevo consegnato il premio agli EMA del 2004 e lui mi aveva abbracciato per ringraziarmi, non aveva mentito. A differenza mia.

…che, quando mi aveva fatto i complimenti poco prima, non aveva mentito.

Ma lì nemmeno io nel dirgli “grazie”.

Fu il senso di colpa a farmi accettare di restare. Provavo una vergogna terribile al pensiero di quanto ero stato meschino fino a quel momento. Guardai la sua esibizione, mi fermai anche dopo, quando mi invitò ad andare con lui al party che si teneva dopo il concerto; mi fermai con lui anche al party, mentre tutti gli altri intorno ci guardavano come se fossimo impazziti. E forse lo eravamo. Io rimanevo al suo fianco, lo ascoltavo parlare a raffica come il suo solito, e per una volta – la prima in questa assurda storia – non ne trovavo la voce sgradevole, il tono spiacevole, le parole stizzenti. Trovavo la sua presenza confortante.

So che non fu l’alcool – come mi giustificai il giorno dopo con Steve e Stefan – a farmi accettare il suo invito a casa. So che ero perfettamente padrone di me, mentre lo guardavo balbettare qualche scusa ridicola sul fatto che voleva il mio parere su alcuni lavori incompiuti. E so che ero perfettamente padrone di me anche quando acconsentii, ben sapendo che si stava nascondendo, ed anche male, e che i suoi occhi azzurri finivano per tradirlo più della sua incapacità di mentire.

Per questo, e per rendergli più facile il resto, fui io a baciarlo quando arrivammo a casa sua e lui ebbe richiuso la porta dietro di noi.

Ricordo che mi disse impacciato che non aveva mai fatto sesso con un uomo. Lo disse subito, ed io risi divertito da questa sua sincerità e dal fatto che riuscisse a mettere nero su bianco quello che voleva senza esserne veramente imbarazzato. In fondo a parte il mio bacio non avevo ancora ammesso di avere voglia di lui. Potevo tranquillamente prenderlo in giro, mollarlo lì ed andarmene. Lui non ne aveva paura. O più semplicemente, a differenza della maggior parte delle persone comuni, lui era disposto a rischiare di essere sincero.

Non posso davvero negare che fu questo a conquistarmi. Se lui fosse stato appena meno sincero, appena più interessato, quella notte sarebbe rimasta solo un episodio della mia vita, come negli anni se ne erano succeduti tanti. Ma Matthew Bellamy era quello che io vedevo e quello che vedevo mi aveva già strappato l’anima.

Mi si avvicinò quasi con timore, guardandomi attentamente, come non sapesse neanche cosa aspettarsi da me. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando cademmo con un tonfo pesante sul letto – senza spingerci, senza fretta, sfiorammo il materasso con le gambe dopo aver vagato alla cieca lungo tutto il corridoio e buona parte della camera da letto, e semplicemente ci lasciammo cadere lì come foglie – continuò a guardarmi a quel modo sbottonando la mia camicia, scivolandomi addosso con i polpastrelli, sfilando la cintura dai jeans dopo averla sfibbiata. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando rimasi completamente nudo fra le sue mani, come avesse paura che potessi improvvisamente trasformarmi in qualcos’altro o scomparire in una nuvola di vapore.

Continuò a guardarmi e lo guardai anch’io. E quando i suoi occhi incontrarono i miei, lui sorrise appena, imbarazzato, chiedendomi se mi stesse dando fastidio, se fosse troppo lento o troppo veloce. Capii che voleva essere rassicurato, ma non potevo realmente dirgli che nonostante i movimenti maldestri era così perfetto da farmi pensare avesse studiato quei momenti nel dettaglio per fare in modo che si adattassero perfettamente ai miei desideri.

Adoravo che mi guardasse in quel modo, adoravo che i suoi occhi irradiassero quel tipo di venerazione che riservi alle cose nuove che trovi stupende al punto da toglierti il fiato. Adoravo che mi toccasse piano, lievemente, come fosse spaventato.

…adoravo che mi toccasse.

E no, non potevo dirglielo, perché erano solo dieci ore e qualcosa che ci conoscevamo. Ed anche se per lui non sembrava passato troppo poco tempo per mettersi nelle mie mani in quel modo, per me era ancora troppo, troppo presto.

Mi limitai a sollevarmi sui gomiti e baciarlo, attirandolo a me con una mano sulla nuca, sperando che decidesse di lasciare da parte le insicurezze e si lasciasse un po’ andare.

Lo fece.

Affondò con un sospiro sollevato il viso nell’incavo fra il mio collo e la mia spalla, baciandomi lievemente in una scia bagnata e morbida che viaggiava verso il petto. Sembrava stesse seguendo una mappa ideale, toccando tutti i punti più sensibili del mio corpo, come volesse registrare le mie reazioni e imparare a muoversi nel modo giusto.

Come si stesse preparando ad altre milioni di volte.

E nessuno dei sospiri che mi sfuggirono dalle labbra, nessun ansito, nessun gemito, nessun movimento improvviso del mio corpo, nessun accenno di spinta verso di lui, niente fu falso, non simulai niente, non forzai nulla solo per compiacerlo; e quando mi morsi le labbra per non urlare, fu solo perché se non l’avessi fatto avrei urlato davvero; e quando mi aggrappai alle sue spalle per non cadere, fu solo perché se non l’avessi fatto sarei caduto davvero; e quando lui mi si strinse addosso, e chiamò il mio nome mentre veniva, io chiamai il suo. E non fu perché durante il sesso sono cose che si fanno. Fu perché lui era lì. E stava godendo per me, con me, dentro di me. Ed io facevo lo stesso. E ringraziarlo – per tutto, tutto – era davvero il minimo che potessi fare.

***

Vedevo i suoi occhi. Erano limpidi al punto da risplendere anche al buio. La luce della luna filtrava dalla finestra spalancata e lui mi guardava, perché quell’azzurro chiaro e brillante era fisso su di me. Mi guardava, appoggiato con i gomiti al cuscino, il busto sollevato, mi studiava come se fossi stato un’insolita opera d’arte caduta sul suo letto…

-…cosa?- mormorai alla fine.

Sorrise, penso, perché il suo sorriso fece un rumore divertente, come uno sbuffo leggero di fiato. Per un momento gli occhi si chiusero e poi tornarono a guardarmi.

Ma non mi ripose.

-Matt.- chiamai a bassa voce, sorpreso io per primo di come fosse stato facile prendere confidenza con un diminuitivo. Come se fossimo amici da sempre. Amanti da tutta la vita. Respirai e sollevai lo sguardo a ricambiare il suo attraverso la penombra. Mi chiesi se anche i miei occhi riuscivano ad essere così limpidi al buio- Che intenzioni hai adesso?

Non so perché glielo chiesi, ma immagino avesse a che fare con la consapevolezza che lui non sarebbe mai riuscito a rivolgermi quella domanda. La mia risposta la conoscevo già, volevo che tutto quello fosse più di una notte. La sua mi rigirava in testa dandomi un leggero capogiro, come se avessi le vertigini e rischiassi da un momento all’altro di cadere giù.

-Serie.- mi rispose lui come se stessimo discutendo di una cosa perfettamente ordinaria. Del tempo. Del tour. Dei progetti per il giorno dopo. Poggiò la guancia su una mano e mi fissò con il viso inclinato, aspettando.

Divenne urgente assicurarmi che avesse capito davvero.

-Sai di cosa sto parlando, Matthew?- ribadii, sentendo il mio tono alzarsi impercettibilmente, dandomi l’esatta misura dell’ansia che mi agitava. Annuì per interrompermi, ma non lo feci lo stesso.- Sto parlando di stare insieme. Sto parlando di sopportarci l’un l’altro ogni volta che uno di noi due starà male, che avrà voglia di urlare, di rendersi impossibile ed insopportabile. Sto parlando di dormire assieme e svegliarsi assieme la mattina dopo, sto parlando di imparare a capirsi anche quando non si parla, di riuscire ad intendere i silenzi anche quando si fanno pesanti, di superarli nonostante non se ne abbia la voglia. Sto parlando di dire al mondo che tu sei me ed io sono te, di ammetterlo davanti ai nostri amici, di farlo accettare a loro ed a chiunque altro e…

-Stai parlando troppo.- mi mormorò lui, piano.

Lo disse in un modo tanto quieto da zittirmi. Un tono fioco e sottile, che non perse di forza per essere così labile, ma acquistò di gentilezza e di delicatezza nell’infilarsi tra le mie paure ed i miei dubbi.

Sentii un nodo serrarmi la gola comunque, e somigliava fin troppo ad un pianto trattenuto.

-Tu mi hai chiesto che intenzioni io abbia, ed io posso risponderti solo su questo.- mi spiegò pacatamente lui- E ti rispondo che le mie intenzioni hanno a che fare con il non lasciarti uscire da qui per non tornare più.- ammise stringendosi nelle spalle- Il resto non lo so, Brian, e nemmeno me lo chiedo ora come ora.

Vorrei chiedermelo io per tutti e due…

Ed invece rimasi a fissarlo, le labbra schiuse su una frase che non ho mai detto. E, invece di chiedermelo per entrambi, ho smesso del tutto di farlo.

Ricordo che il mattino dopo quando mi svegliai ancora tra le sue coperte, lui era già uscito. Lo scoprii dopo un po’, quando tornò in camera da letto, vestito di tutto punto, con un vassoio e con i croissant appena sfornati ancora in un pacchetto. Risi, perché mi sentivo idiota nel ritrovarmi ad avere un uomo che mi portava la colazione a letto. Lui rise con me, rendendosi conto che era davvero ridicolo. Ma poi c’era una confusione terribile su quel vassoio, le tazze del caffè rischiarono almeno un paio di volte di cadere e Matt aveva dimenticato – grazie al cielo – sia i fiori, sia la spremuta d’arancia o la marmellata con le fette biscottate, e tutto questo bastò a rimettere le cose in ordine, mentre mi tiravo a sedere e lui si metteva di fianco a me, incrociando le gambe come un bambino e posando il vassoio tra noi.

Non ricordo, invece, di cosa parlammo. Sciocchezze, penso. E già pensare questo mi basta, e non riesco a ricordare altro. Mi basta perché era l’inizio della nostra abitudinarietà, la confidenza che si crea nelle coppie un pezzo alla volta e che è fatta anche di discorsi futili dimenticati subito dopo che si esce dalla porta di casa.

Quando uscii dalla porta di casa sua quel mattino, lui era con me.

Doveva andare agli Studi della Universal, ci salutammo sul portone ed io presi un taxi per farmi riaccompagnare. Sorridevo ancora quando scesi dall’auto ed attraversai la strada.

-Brian!

Sollevai lo sguardo, abbastanza stupito. E se già dovevo trovare assurdo sentire la voce di Stefan a quell’ora del mattino davanti casa mia, fui ancora più stupito quando me li ritrovai lì entrambi. Stef a braccia conserte sul petto e con un’espressione tutt’altro che amichevole in faccia e Steve che mi guardava divertito.

-Che accidenti ci fate qui?- chiesi d’istinto.

-Che accidenti ci facevi tu fuori casa?!- strillò Stefan furioso- E perché diamine sei vestito come ieri?! E soprattutto, dove accidenti sei finito ieri?!

Sbattei le palpebre, realizzando che era palesemente preoccupato per me.

-Stef, ho trentacinque anni…- feci notare.

-E non sei capace di badare a te stesso, è evidente!- strepitò lui senza neppure ascoltarmi.- Ti abbiamo cercato tutta la notte! Eravamo in pensiero per te! Potevi almeno…che so! fare una telefonata! O quanto meno rispondere al telefono!

Tirai fuori dalla tasca del cappotto il cellulare e mi accorsi che effettivamente mi avevano chiamato più volte.

-Ahah- registrai indifferente.- Sono vivo. Posso andare a dormire?- chiesi educatamente.

-Avresti già dovuto essere a dormire!- ci tenne a specificare lui.- Avresti dovuto aprire la porta in pigiama, urlare contro di noi che le dieci del mattino non sono un orario accettabile per essere svegliati e poi invitarci ad affogarci in un caffè!

-Hai di me una visione orribile.- notai perplesso.

-Non c’entra!

Scrollai le spalle, infastidito dal protrarsi inutile di quella discussione.

-Comunque io sono già affogato in un caffè per stamattina.- ammisi semplicemente, tirando fuori dalla tasca anche le chiavi per aprire il portone.- A casa di Matt.- specificai.

Stefan mi fissò come se non potesse credere che fossi proprio io, vivo, vegeto ed in carne ed ossa, davanti a lui. Steve si accodò a lui per un momento. Poi scoppiò a ridacchiare come un ragazzino – ed io lo seguii praticamente subito – e commentò.

-Allora era vero…

Stefan si voltò verso di lui, continuando a mantenere la stessa espressione sconvolta.

-Non dire “allora è vero” come se fosse una cosa normale…- lo pregò in un soffio strozzato.- Brian!- chiamò poi, voltandosi. Sbuffai e mi feci spazio per andare ad aprire- Cos’è questa storia? Vi hanno visti tutti al party ieri sera, ma io non posso credere che davvero tu e Bellamy…- non finì la frase, come se la sola idea fosse inconcepibile. Aprii il portone appoggiandomici con la schiena e li guardai, invitandoli silenziosamente ad entrare- Insomma, voi due vi odiavate fino a ieri!-mi ricordò alla fine.

Ci pensai su, spingendo il portone finché non urtò contro il muro, e rimasi lì appoggiato aspettando che loro sfilassero davanti a me.

-No, ci sbagliavamo tutti su quello.- spiegai quindi.

Steve rise di nuovo, facendo risuonare tutto l’atrio del palazzo, provai a dirgli di piantarla, ma siccome lo feci ridendo anch’io non servì a molto. Stefan invece mi guardò. Mi guardò attentamente per un bel po’ di tempo. Poi non disse più nulla e seguì Steve fino all’ascensore.

*

Nota di fine capitolo della Nai:

…bah.

E’ il concetto che credo renda meglio il perché di questa storia.

Giusto per dovere di cronaca, comunque, dico subito che il titolo è rubato a parte del titolo – chilometrico – con cui il Sig. Molko ha identificato una “graziosa” rassegna fotografica da lui realizzata durante il tour.

Il titolo completo è perfino più deprimente del pezzetto scelto! ^_^

Al momento l’unico “perché” della scelta è dato dal fatto che mi piacesse l’idea di un Brian Molko che dichiara al mondo di essere stato preso in trappola in una bottiglia. Come un genio o un folletto.

Ma sto divagando e, siccome devo lasciare spazio alla Liz per la sua nota di fine capitolo, mi interrompo qui.

Spero che vi sia piaciuto, avevo bisogno di zucchero e questa storiella a capitoli – leggera ed inconsistente – è zucchero e poco altro. Un po’ di sano romanticismo ogni tanto fa bene al cuore *_*

Inoltre sono così felice che la Liz abbia deciso di assecondare questa follia e collaborare alla sua realizzazione che penso piangerò di gioia (ç_ç) e desidero dichiararle pubblicamente il mio eterno amore!!!

Detto questo. Un bacio ed al prossimo capitolo!

Nota di fine capitolo della liz:

…amore a parte è___é Anche io sono molto felice di aver assecondato questa follia e…

…anzi, no, amore a parte il cavolo: questa storia È amore <3 È tipo la personificazione dell’amore romantico come lo intendo io nei miei sogni di gloria *.* Ed è fantastico che la Nai sia riuscita a partorire una cosa simile… peraltro tutta da sola <_< Non credetele, quando mi dà i meriti: la maggior parte delle volte mi arrogo meriti non miei perché lei scrive cose talmente belle che poi mi ispirano a scriverci su dando il massimo ù.ù *sì, in questo consiste il mio aiuto*

Comunque, comunque. Anche se ancora non si vede, per i capitoli futuri avrete di che odiarmi *-* *risata malvagia*

*scompare in dissolvenza*

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Capitolo 2
*** Two ***


Ringraziamenti all

Ringraziamenti all’inizio e note alla fine. ^_^

L’Easily Forgotten Love ringrazia tutti i lettori, ed in particolare ci tiene a ringraziare Memuzz, Stregatta, Will91 e IrishBreeze per aver recensito il primo capitolo della storia.

Vi amiamo, donne! ç_ç

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Two:

 

Mi sono allontanato dalla confusione. Mi arrivano ancora il rumore della festa, il canto stonato di qualcuno che è già ubriaco, risate e grida e chiacchiere che si perdono nella notte come le volute di fumo del nostro piccolo falò. Un’idea davvero scema quella di accendere un falò. “Per arrostirci qualcosa”, ha spiegato chi lo ha proposto. Ed io non ricordo nemmeno chi sia stato, ma ricordo che Stefan e Steve avevano accettato ancora prima che riuscissi a tornare dal palco sulla terra, abbastanza da rendermi conto di cosa si parlasse. Davanti alla mia faccia perplessa devono aver creduto che non mi andasse bene, perché Stef ci ha tenuto a ribadirmi che se si deve passare un mese in gruppo, allora è utile farne parte e non comportarsi sempre da asociali. Mi sono stretto nelle spalle e gli ho risposto che a me andava bene.

In fondo, è anche divertente.

Credo di essere un po’ brillo anch’io…

-Matthew…

-Brian!- Sul serio, a volte ho quasi la sensazione di vederlo, illuminarsi tutto, appena riconosce il numero sul display del telefono, e rispondere con un sorriso enorme sulla faccia. Uno di quei sorrisi che adoro, perché si accendono sempre nel momento più impensabile e seguono il filo assurdo dei suoi pensieri…Ed io ho imparato ad amare quel filo assurdo.- Come stai?

La confusione dietro di me ha un picco. Sorrido, immaginando che lui riesca a sentire il baccano infernale, e faccio qualche passo ancora per allontanarmi in mezzo al deserto illuminato dai fari dei camion e dei pullman. Le luci del palco in lontananza sono già tornate scure, è solo un profilo mastodontico ad un centinaio di metri da noi, intorno ci lavorano come formiche i tecnici impegnati a smontare la strumentazione. Se superassi la rete metallica che ci separa dal resto della location, camminerei in mezzo alle tende come in mezzo ai sogni di chi ci dorme…

-In questo momento, vestito come una zoccola.- rispondo sogghignando.

-Peggio del solito?- ritorce lui, ricambiandomi lo scherzo.

-Bella opinione che hai di me!- noto io.

Lui ride e fa una pausa.

-In realtà stai molto bene.- mi dice.

Trattengo il fiato.

-Come lo sai?- sussurro.

-Oh beh, i fan sono prodighi nel fornire alla rete immagini in tempo reale. Io ero qui che girellavo in internet…

Non lo faccio finire.

-Matthew, non posso pensare che tu sia stato attaccato alla rete solo per vedere se, per caso, qualcuno metteva on line foto del nostro concerto!- sbotto.

-Non avevo niente da fare!- si giustifica lui.

-Oh cielo!- sospiro. Poi prendo tempo, fissando ancora il palco e dicendomi che non può davvero stare succedendo a me. Perché non me lo merito.- E stasera che fate?- m’informo per cambiare argomento.

-Dom e Chris vogliono che esca con loro. Dicono che sto troppo rintanato in casa.

-Hanno ragione.

-Non mi va di uscire.

-Sei un misantropo.

-No, tu sei un misantropo. Io sono solo stanco.- ritorce Matt sbadigliando per rimarcare il concetto.

-Ehi!- protesto. Ma il fatto che lo faccia ridendo rende assolutamente inutile il mio tentativo.- Comunque non sono un misantropo! Anzi! Ero qui che mi divertivo ad una specie di…barbecue che hanno organizzato gli altri e…

-Tu ad un barbecue?!- m’interrompe incredulo.- Pioverà!

-Il tempo è splendido.- ribatto con un mezzo sorriso, che lui non può vedere ma intuisce nella mia voce.

Fatto sta che ricomincia a ridere ed io mi ritrovo a pensare che è un suono meraviglioso, che amo s’interrompa solo quando è lui a farlo, parlando ancora.

-E cosa stavate facendo al vostro barbecue?- mi chiede divertito.

-…perché credi che se io partecipo ad un barbecue questo deve essere un disastro?!

-Non l’ho detto.- mi fa notare.

-Sì, ma lo hai pensato!

-Adesso! Non puoi pretendere di sanzionare anche quello che penso!

-So divertirmi tanto quanto te!

-No, non lo sai fare, altrimenti avresti accettato quella sfida che Dom ti ha proposto l’ultima volta…

-Matt!- strillo sconvolto.- Voleva che rubassi il reggiseno alla cameriera che ci aveva servito!

Lui ci riflette un po’. Poi deve annuire, perché quando parla capisco anche questo dalla sua voce.

Ed è davvero tragico che io ci riesca.

-Forse hai fatto bene a non accettare.

-Forse, Matt.- sorrido io sarcastico.

-…o.k., Dom a volte esagera.- ammette lui con qualche difficoltà.

-Lascia perdere!- rido.

-Vabbè, ma posso sapere che state facendo a questo barbecue?!- insiste Matt.

-…cantiamo…- borbotto io.

-Cantate?!

-Sì, ma non è nemmeno un vero barbecue!- mi affretto a spiegare, a disagio.- E’ solo che a qualcuno è venuta l’idea di accendere un falò ed arrostirci su della carne che avevano comprato. Poi ovviamente c’è un fiume di birra e…

-State cantando.- completa lui ridendo.

-Sì, ma mica solo quello…- borbotto di nuovo.

-E cosa?

-Non vuoi saperlo.- ribatto a mezza voce. Ma quando lui comincia a protestare che pretende di saperlo, non posso che sospirare e cedere.- Facciamo una gara di resistenza, chiaramente.

-Non dire “chiaramente”!- continua a ridere Matt, senza ritegno.- Non c’è proprio nulla di scontato! Dio, vorrei essere lì a vedervi!- ammette.

-Sì, dovresti esserci.- convengo, ricambiando il suo divertimento con una punta di malizia.- Qualcuno aveva anche proposto una specie di caccia al tesoro tra i tour bus.

-Dimmi che non avete accettato!- grida lui tra le risate.

-Non so, li ho lasciati che stavano votando.- rispondo stringendomi nelle spalle.

Matt continua a ridere per un po’. Io continuo ad aspettare che quel suono meraviglioso cessi, e sorrido ancora mentre lo faccio, e cammino piano tra le pietre. Ne trovo una più grande delle altre, mi seggo dirimpetto al palco e qualche tecnico che passa mi saluta con un’alzata di mano. Rispondo.

-Beh, torna dagli altri dai.- mi dice Matt.

-Preferirei tornare da te.- ammetto io.

-Sì, ma ti verrebbe decisamente fuori mano.- mi fa notare con un risolino.

-Più che altro avrei difficoltà a trovarmi qui domani sera.- concordo.- Però, magari, se calcolo bene i fusi orari…

-Brian.- mi ferma con un sorriso.- Torna dagli altri, dai. A Stefan e Steve verrà un colpo se non ti vedono più.

-Sono qui, ci sono trentamiliardi di persone che vagolano intorno a me! Non può succedermi nulla senza che loro lo sappiano!- sbotto risentito.

-Il che non calmerà di una virgola la preoccupazione di quella chioccia di Stefan, se non ti ha sotto gli occhi per più di dieci minuti di seguito.- commenta lui.

Sospiro. Tristemente vero. Soprattutto perché Stefan ha paura di raccattare il mio “cadavere” al termine di ognuna di quelle telefonate. Ha il terrore che questa malinconia che mi tortura da giorni alla fine diventi depressione. Come in passato succedeva anche troppo spesso.

Non posso dargli tutti i torti.

-E poi pensa, se hanno deciso per la caccia al tesoro, rischi che qualcuno porti via la tua jaguar senza che nemmeno tu lo sappia.- mi fa notare.

-Cazzo, le mie chitarre!- realizzo sconvolto.

-Ciao, Brian!- mi prende in giro lui in sottofondo.

-Sei uno stronzo, lo hai detto apposta!- ritorco io, facendo per buttare giù. Ci ripenso, avvicino di nuovo il telefono all’orecchio e lo dico.- Ti amo, Matt, mi manchi.

-Ti amo anch’io.- risponde lui un secondo prima che chiuda davvero.

***

Mi è piaciuto da subito andare a vedere le loro prove. Si respira “aria buona”. Matthew, Dom e Chris sono veramente uniti – anche io, Stefan e Steve lo siamo, ma in un modo completamente diverso – e si divertono sul serio facendo quello che fanno.

Giocano.

Come dei ragazzini che siano riusciti a realizzare il proprio sogno nel cassetto.

Io non ho mai avuto quello spirito. Diventare una rockstar non era davvero il mio sogno nel cassetto, anzi, a ripensarci oggi mi domando se ho mai avuto un sogno nel cassetto. Perché in realtà anche diventare un attore non era che un modo come un altro per dire che volevo diventare qualcos’altro. Qualcun altro. Qualcuno che fosse diverso da quell’adolescente che ero stato e che non si piaceva mai.

Loro, invece, sono sempre ad una festa. Se anche sono stanchi, hanno comunque le energie per fermarsi a firmare autografi, ricambiare i complimenti dei fan, scambiare due chiacchiere con la gente che lavora intorno a loro. Vorrei avere un decimo delle energie che ho visto sprecare in entusiasmo a Matt durante le fasi di sistemazione del palco, vorrei avere un decimo della sua voglia di fare, quando punta il dito verso qualcosa ed espone idee come se piovessero. A volte credo che la sua mente sia una specie di vaso di Pandora e dentro ci si possa trovare qualunque cosa, solo ad aver voglia di cercare.

Io mi limito a starmene in disparte, lo guardo e mi dico che ho davvero tanto da imparare.

Ma quell’aria “buona” mi ha conquistato dalla prima volta, per cui non ci ho messo molto a sentirmi a casa nel backstage delle loro esibizioni. E questo nonostante il loro manager, Tom Kirk, mi abbia fissato a bocca aperta per quasi un’ora la prima volta che sono piombato lì con Matt, e Dominic non perda occasione per storcere il naso, borbottare infastidito ed andarsene via con aria scontrosa ogni singola volta che ci vede insieme. Chris è più tollerante, un po’ come Steve dalla “mia parte” ha accettato la cosa con un’alzata di spalle, un sorriso ed una stretta di mano. Penso che il suo atteggiamento abbia contribuito a farmi sentire comunque a casa.

Per Matt, ovviamente, non c’è stato nessun problema fin dall’inizio. Anzi. La prima volta che gli ho detto che mi faceva piacere accompagnarlo alle prove, lui mi ha guardato come se gli avessi appena fatto il regalo di Natale più bello della sua vita, si è messo i primi vestiti che ha recuperato dall’armadio e non mi ha dato nemmeno il tempo di rimangiarmi ciò che avevo detto che era già sulla porta, infilandosi il cappotto, con le chiavi in mano.

-Andiamo?- mi ha chiesto pressante.

Credo che per lui sia fondamentale coinvolgere la persona a cui tiene nelle cose che fa. Perché “le cose che fa” sono ciò che lui è, e ci tiene a condividersi con chi ama. Vuole il mio parere su tutto, quando espone un progetto nuovo o dà un consiglio per qualcosa, si gira ansiosamente aspettando un mio commento. Tanto che a volte mi sento in imbarazzo e non sono davvero stupito che Dom arricci il naso in una smorfia infastidita e batta a terra un piede con stizza evidente.

Cerco di schernirmi finché posso, di evitare queste sue domande. So che ci riesco molto male. Tutta la mia malizia non basta a mascherare nulla della spontaneità di Matt. Soprattutto con chi lo interpreta solo con uno sguardo distratto.

A volte sono stato geloso del loro rapporto. Del rapporto che li lega tutti e tre ma, chiaramente, soprattutto del rapporto che lo lega a Dominic. So che sono come fratelli, ma io quella complicità non l’ho mai avuta neppure con mio fratello e l’ho raggiunta solo con Stefan e solo grazie ad una storia andata a rotoli per causa mia.

Adesso mi ci sono abituato e, da parte sua, anche Dom si è abituato a me. È condiscendente. E sospettoso. Mi guarda sempre come se si aspettasse che da un momento all’altro ne faccia qualcuna delle mie, ed io sarei curioso di chiedergli cosa corrisponda – nella sua testa – ad “una delle mie”. Ma non glielo chiedo e cerco di non mettermi in mezzo, è l’unico modo che io abbia per farmi accettare e ritagliarmi uno spazio mio.

Siamo arrivati ad una convivenza pacifica, che ci permette anche di uscire in gruppo – con loro e con Steve e Stefan – e di stare seduti intorno allo stesso tavolo trovando la situazione piacevole e divertente. Basta che io ignori le sue occhiate e lui faccia finta di non vedere e sentire Matt quando si gira e mi domanda se “io farei diversamente la tal cosa”.

Quando Matthew si comporta così, io avrei voglia di dirgli la verità. Guardarlo e rispondergli semplicemente che ogni cosa che esce dalla sua bocca, dalle sue mani, dai suoi pensieri è sempre ben fatta. Perché non c’è nulla in lui che non sia genialità e, se anche io fossi sul serio tanto arrogante da voler rovinare qualcosa solo per affermare me stesso, non riuscirei comunque a trovare niente da cambiare in lui.

Una specie di tocco di Mida, Matthew. Solo che il tuo oro non fa mai male agli altri, e riluce davvero tanto.

***

Matt mi si avvicinò mentre scrivevo. Era sudato ed accaldato, ed aveva il fiatone. Lui non riesce a stare fermo, che sia un concerto o che siano – come quel pomeriggio – delle semplici prove, lui suonerà, canterà, salterà e farà casino allo stesso identico modo. Anzi, se saranno prove come quelle di quel pomeriggio, dopo aver fatto tutto questo avrà ancora le energie per scendere dal palco ed inseguire i tecnici per gli ultimi ritocchi o seguire Dom in qualcuno dei suoi scherzi cretini ai danni di Chris, Tom o chi per loro si offra come vittima sacrificale di turno.

Io ascoltavo una demo che avevamo inciso in studio il giorno prima, tentando di capire cosa non mi convincesse e segnando le modifiche che apportavo su un block notes, improvvisatosi quaderno musicale dopo che ci avevo tracciato un incerto pentagramma fatto di linee sbilenche. Matt mi raggiunse e letteralmente si lasciò cadere al mio fianco, riprendendo fiato con respiri lunghi e profondi, come se fosse di ritorno da una corsa. Sollevai il viso e mi voltai a guardarlo.

-Cosa fai?- mi domandò subito.

-Correggo.- risposi vago.

Lui fece un’espressione curiosa, allungò una mano verso l’auricolare dell’i-pod e mi fece capire che voleva che glielo lasciassi. Misi giù la penna e tolsi l’auricolare per passarglielo.

-È carina.- mi disse dopo aver ascoltato la traccia musicale.

Ridacchiai.

-Grazie.

Lui si dovette rendere conto di quello che aveva appena fatto, arrossì e mi fissò a disagio.

-Volevo dire che mi piace…- balbettò.

-So cosa volevi dire.- risposi con calma, porgendogli nuovamente la mano perché mi restituisse l’i-pod.- Su su, ora fammi lavorare.- chiesi pazientemente, rinfilando l’auricolare al proprio posto e riprendendo la penna in mano.

Matt mi fissò ancora per un po’. Io non mi voltai a guardarlo, perché sapevo che se gli avessi dato corda non me lo sarei più scollato di dosso, il che poteva anche andare bene per me, ma non per lui che quella sera aveva un concerto e di sicuro non poteva passare il pomeriggio con me. Alla fine lo sentii sospirare e lo avvertii prendere ad agitarsi irrequieto. Si guardò attorno, si grattò la testa con aria concentrata, si voltò a fissare il fianco delle casse di legno a cui eravamo appoggiati ed in tutto questo per poco non scoppiai a ridere, continuando a spiarlo di sottecchi mentre fingevo di concentrarmi sul mio pentagramma. Poi lui si alzò in piedi, facendolo esattamente come avrebbe fatto un bambino, le mani a terra davanti a sé per fare leva e mettersi dritti con la schiena, mi nascosi frettolosamente dietro il block notes, spingendomi all’indietro contro le casse e sollevando il quadernetto davanti al mio viso. Da sopra il bordo lo vidi mentre girava intorno alle stesse casse e poi spariva oltre l’orlo…

Buttai giù il block e mi alzai anch’io.

-Matt, che diavolo stai facendo?!- chiesi stupito sporgendomi da sopra le casse e vedendolo steso a terra, piedi incrociati e mani sulla pancia.

Mi scrutò un momento perplesso, poi si strinse nelle spalle.

-Sono stanco. Dormo.- spiegò semplicemente.

-…per terra?- provai ad obiettare io.

-Beh, se vado nei camerini mi trovano subito e mi rimettono al lavoro…

Scossi il capo, tornando indietro e lasciandomi ricadere di nuovo al mio posto. Con un sospiro pesante sollevai per l’ennesima volta il blocco degli appunti e ricominciai da dove ero stato interrotto.

Avevo quasi finito di sistemare quello che sarebbe diventato il ritornello, quando mi accorsi delle manovre circospette di Dominic. Sollevai lo sguardo, appuntandolo su di lui per assicurarmi di non aver visto male, ma era decisamente Dominic e stava decisamente girando per il backstage con in mano una bottiglia piena d’acqua ma senza tappo ed un’aria da folle in caccia sul viso. Lui si accorse di me. Si fermò e mi guardò, incerto, come se stesse valutando l’idea di avvicinarmisi. Già dalla sua faccia capii che aveva intenzione di combinare qualcosa e, posto che non potevo essere io il suo bersaglio – tra noi non c’era ancora questa confidenza – se fissava me era perché cercava Matt e pensava che io sapessi dove fosse. Quindi stava considerando la possibilità di venirmelo a chiedere.

Spostai gli occhi da lui alla bottiglia e, poi, di nuovo al suo viso, per accorgermi che mi aveva seguito nel movimento e che, evidentemente, quello che avevo pensato era giusto. Mentre lui avanzava cautamente verso di me, io stabilii la cosa migliore da fare.

Sospirai, posai il blocco sulle ginocchia, capii che poteva passare una vita intera e Dom e Matthew sarebbero stati comunque qualcosa in cui io non avrei potuto mettere dito, allungai un braccio dietro di me ed indicai alle mie spalle le casse di legno, facendogli cenno di guardare al di là.

Dominic accelerò il passo e mi si affiancò in poche falcate, appoggiandosi al bordo delle casse per sporgersi oltre e sbirciare Matthew addormentato. Sollevò la bottiglia, mordicchiandosi concentrato le labbra, e meticolosamente ne rovesciò il contenuto sul povero Matt, che si svegliò, strillò e balzò in piedi non necessariamente in questo ordine.

Dom si tirò indietro ridendo, si allontanò di corsa di qualche passo e si fermò lì, voltandosi a contemplare la scena di un gocciolante ed infuriato Matthew, che tentava invano di scuotersi di dosso acqua e ultimi brandelli di sonno prima di decidere la mossa successiva. Poi Matt alzò il viso e lo vide che sghignazzava soddisfatto con la bottiglia vuota in mano, e capì.

-Dominic!- ruggì, dimostrando un’agilità non da poco nello scavalcare le casse di legno e me in un unico gesto atletico.

Mi piombò davanti solo per mettersi subito all’inseguimento dell’amico, che nel frattempo aveva badato bene di darsi alla fuga, ridendo e correndo all’impazzata a rischio di travolgere qualcuno dei poveri tecnici impegnati a lavorare.

-Dom, Matt, cazzo piantatela!- strepitò Tom Kirk inutilmente, apparendo dal fondo dei camerini.

Chris si affacciò oltre la porta di uno di questi, con un cellulare in mano ed un’espressione incuriosita in faccia.

-Che succede?- s’informò.

-Siamo alle solite, i due cretini fanno i dodicenni!- sbraitò il manager, mani sui fianchi, lasciandole ricadere sconsolatamente prima di voltarsi e tornare sui propri passi.

Chris adocchiò i due amici e ridacchiò, rientrando nel camerino mentre portava nuovamente il telefono all’orecchio.

-Solo Matt e Dom.- spiegò a qualcuno al di là dell’apparecchio.

“Solo Matt e Dom”. Una familiarità fatta di anni di convivenza.

Sospirai, posando definitivamente il block notes e staccando le cuffie dalle orecchie tirando il filo. Matt e Dominic mi passarono davanti in un secondo giro, Matt aveva trovato un’altra bottiglia abbandonata, le avevano riempite entrambe ed ora si combattevano a colpi di spruzzi.

-Sei un coglione, Matt!- rise il batterista, dopo aver messo a segno un punto piuttosto importante ed aver nuovamente ricoperto il proprio frontman di acqua.

Si spostò per evitare il contrattacco, balzando indietro.

-E tu sei finito, Dominic, aspetta che ti metta le mani addosso!- gridò Matt riprendendo ad inseguirlo.

***

Quando torno indietro, lo spiazzo dove abbiamo acceso il fuoco è deserto. Intorno a me ci sono gruppi di persone che si muovono rapidamente con risate e chiacchiericci confusi, comparendo e scomparendo tra gli spazi lasciati vuoti dai tour bus. Osservo perplesso quel movimento per un po’, mentre tento inutilmente di cacciare il cellulare nella tasca dei jeans decisamente troppo stretti. Rinuncio quando da lontano vedo Steve che cammina verso di me a passo svelto, con un sorriso idiota in faccia.

-Brian! Ma sei ancora qui?!- mi chiama a gran voce.

-Dove dovrei essere?- ritorco io perplesso mentre lui mi si avvicina. Ne approfitto per rifilargli il cellulare, che Steve fa sparire nella tasca dei propri pantaloni.

-Ma come?!- sbotta lui, come se davvero dovessi sapere perché tutti si siano improvvisamente trasformati in fantasmi vaganti ed io sia l’unico che ancora si ostina a rimanere nel regno dei vivi rischiarato dalla luce del falò.- La caccia al tesoro, Bri!- esclama Steve divertito quanto un bambino.

Sospiro pesantemente.

-Non posso credere lo abbiate fatto davvero, siete tutti adulti…

“Ed ubriachi” aggiunge la mia mente, interpretando per me la risatina stupida di Steve.

-Aaaah! Non fare il rompiscatole come sempre!- mi rimbrotta lui, afferrandomi per un gomito e tirandomi con sé- Dacci una mano piuttosto, dobbiamo ritrovare le cose che hanno preso gli arbitri…

-Le cose che hanno preso?- chiedo cominciando a provare un senso di inquietudine che risale dalla bocca dello stomaco.

“Ubriachi vuol dire incapaci di intendere e di volere.”

-Sì, una per ogni band.- risponde lui.

-Steve?!- chiedo strozzato.

-Uh?- fa lui voltandosi. Poi deve capire perfino il suo cervello annebbiato dall’alcool- Sì, hanno preso la tua jaguar, quindi dobbiamo muoverci. Potrebbe essere ovunque…- aggiunge pensieroso.

-La mia jaguar?!- ripeto io con sempre minor fiato.

E mentre tra me e me penso, irrazionalmente, che la prima cosa che farò quando sentirò Matt domani sarà dirgli che è un bastardo e rovesciargli addosso qualche insulto random per stare meglio con me stesso – e non so davvero per quale accidenti di motivo dovrei farlo, ma so che un motivo ci deve essere – da dietro un camion appare Stefan, sventolando un fogliettino con aria vittoriosa.

-Primo indizio!- annuncia a gran voce.

“È ubriaco anche lui!”, comunica il mio cervello.

Ma alla bocca l’informazione non arriva, perché mi libero con uno scossone dalla stretta di Steve, mi fermo in mezzo alla piazzola con le braccia incrociate e li guardo malissimo – e sì, sto usando un eufemismo.

-La prossima volta che tirate fuori l’assurda idea di un barbecue…- inizio in tono sibilante.

Steve e Stefan sospirano e scuotono la testa, rassegnati.

 

 

*

 

 

Nota di fine capitolo:

 

Steve Hewitt ha lasciato i Placebo. Notizia del primo di ottobre dal sito ufficiale.

È probabile che la gran parte di quelli che leggono risponderanno “e a noi che ce ne frega?”.

Siamo d’accordo con loro, ovviamente.

Perché è solo una band rock.

Perché ormai siamo grandi.

Perché nella vita ci sono un milione di cose importanti, ma talmente importanti che aggiungerci cazzate è inutile e dispendioso di energie.

In definitiva perché le fanfiction non sono la realtà e la realtà non coincide quasi mai con quello che vorremmo.

Per tutti questi motivi, pur rendendoci conto di quanto sia stupido, noi due vogliamo dedicare “Trapped” a Steve.

Perché per noi i Placebo sono anche Stevey, e ci teniamo a dirlo.

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Capitolo 3
*** Three ***


Ringraziamenti dell

Ringraziamenti dell’inizio!!!

Salutiamo e ringraziamo tutti coloro che hanno letto la storia ed un saluto ed un ringraziamento speciale vanno a Memuzz, Isult e Stregatta per aver trovato anche il tempo di commentare. Un bacione, donnine! ^_-

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Three:

 

Sto seduto nella mia cuccetta, la coperta tirata fin sopra la testa a mo’ di cappuccio, ed a gambe incrociate ridacchio, tentando invano di mantenere bassa la mia voce per non disturbare Steve e Stefan che – vista l’ora – dovrebbero dormire già da un po’. La luminosità del portatile crea un’ombra chiara intorno a me. Se mi guardassi da fuori somiglierei terribilmente ad un adolescente spedito a letto senza cena dai genitori, che disobbedisce agli ordini paterni passando la notte a leggere alla luce dell’immancabile torcia elettrica.

Invece ho trentacinque anni – quasi. E dall’altro lato della telecamera, msn mi rimanda l’immagine di un ventinovenne – quasi trentenne – che ridendo nel mio stesso modo imbecille continua ad inviare improbabili emoticon raffiguranti animali più o meno ridicoli e goffi.

“Io direi che il leoncino che saluta con la zampina è perfetto per Alex”, digito rapidamente, inviando il messaggio in risposta alla sua domanda subito precedente, cui era seguita una nuova sfilata di animali/emoticon.

“Sicuro?”, digita lui, “Io pensavo più… quell’omino cipolla, con le mani sui fianchi, che ride malvagiamente…”

“Tu la odi!”, ribatto divertito. E lo vedo sogghignare.

“O.k., allora passiamo a Chris, che ne dici?”, mi chiede.

Annuisco senza rispondere, sistemandomi poi la coperta sulla testa prima che scivoli via, mentre lui ricomincia ad inviare emoticon. Le lascio scorrere l’una sull’altra, riprendendo a sghignazzare silenziosamente, e sto quasi per indicargli il mio candidato – le dita già sulla tastiera – quando qualcuno mi tira via la coperta ed io mi ritrovo nel buio fitto del tour bus.

-Brian!- sospira Steve, con il tono che avrebbe usato mia madre nel beccarmi nella stessa identica situazione.

-Che accidenti state facendo a quest’ora della notte ancora in chat?!- completa Stef per lui, rassegnato.

Ci penso su. Immagino che una risposta dovrei dargliela.

-…parliamo?- balbetto dopo un po’, indicando lo schermo, su cui Matt ha preso ad agitarsi cercando di richiamare la mia attenzione.

“Non ora, Stef e Steve devono farmi la paternale”, gli notifico.

“…ah”

-Brian, ti prego! Sono le tre e mezza!- parte infatti Stefan, allungando le mani per tirarmi via il portatile.

-Ah, no!- lo precedo, spostando il pc perché non possa afferrarlo.- Saranno anche le tre e mezza, ma domani non dobbiamo fare nulla e potrò dormire quanto voglio!- piagnucolo in modo piuttosto infantile.

Steve e Stefan concordano con me sull’infantile. Ed infatti si fermano e mi guardano, e si scambiano subito dopo un’occhiata che sta a manifestare all’altro tutta la propria solidarietà.

-Sì, ma se continui così ti consumerai come una candela e…- parte Steve in aiuto di Stefan. Ma s’interrompe non appena si rende conto di quello che sta dicendo - Brian, Santo Cielo! non sono costretto a fare di questi discorsi nemmeno con mia figlia!- strepita a quel punto, allungandosi anche lui a tentare di afferrare il portatile.

Con una nuova, abile manovra metto il pc in salvo alle mie spalle, sedendomici davanti con aria bellicosa ed incrociando le braccia sul petto.

-Voglio parlare con il mio uomo.- sottolineo in tono fermo.

-Puoi farlo domattina.- tenta di farmi notare Stefan.

-Domattina sarà notte in Inghilterra e non avremo risolto niente comunque.

Sospirano. Stefan si passa una mano sugli occhi accennando una sorta di singhiozzo strozzato, Steve sbuffa ed il suo sbuffo diventa una risatina controllata che dimostra come l’abbia vinta io. Mi volto a recuperare il portatile e lo risistemo sul cuscino, Matt sta ancora agitando la mano, per farmi cenno e chiedermi se è tutto a posto.

“Sì”, rispondo.

Stefan si lascia cadere nella propria cuccetta, Steve si arrampica sul materasso dietro di me e sporge la testa a sbirciare, ricambiando il saluto di Matt quando si incrociano nelle telecamere.

-Cosa state combinando?- mi chiede il mio batterista.

Stefan borbotta qualcosa che si alza di tono fino ad assumere un significato molto simile ad un “non dargli corda!”, che non viene strillato solo per rispetto a chi dorme sul serio intorno a noi. Come la povera Alex, ad esempio.

-Facciamo un casting tra le emoticon per scegliere a chi abbinare i componenti dei nostri team.- spiego mentre do l’o.k. a Matt perché ricominci ad inviare i candidati al ruolo di Chris.- A proposito, Stef.- chiamo, ed indico la mia scelta.- Tu ti senti più pipistrello o scimmiotto?

Lui alza la testa – solo la testa – da sopra il cuscino, mi fissa per un istante ad occhi sgranati ed è evidente che l’informazione ha delle difficoltà a raggiungere il cervello ed a tradursi.

-Scim…mi…otto?- ripete poco convinto. Mi stringo nelle spalle.- Essere umano?!- mi chiede lui.

-Sei noioso oltre che stronzo.- concludo voltandomi di nuovo allo schermo.

Steve scoppia a ridere e mi si “abbatte” sulla schiena, io sghignazzo ma mi ostino a rimanere voltato anche quando Stefan si lascia cadere giù di nuovo, con l’ennesimo sospiro, portando la mano agli occhi ancora una volta e fingendo di voler agonizzare così, in un patetico tentativo di dormire.

-Ti prego, Bri, non dirgli così, che poi ci resta male!- esclama Steve tra le risate.

Non gli do retta, cerco qualcosa tra le immagini che Matt mi ha già inviato e la inserisco nella chat.

-Per te non abbiamo avuto dubbi, invece.- dico a Steve, che si asciuga una lacrimuccia solitaria vicino all’occhio e torna a sporgersi da sopra la mia spalla. Un grosso e grasso panda si agita ballando sullo schermo del computer, ondeggiando qui e lì con la sua forma vagamente oblunga ed il muso dagli occhietti perfettamente rotondi e pallati.- Steve, ti presento Stevey.

Stefan si stende a pancia sotto e si arrampica fino al mio letto, per guardare anche lui e prendersi una rivincita quando scoppia a ridere come l’amico poco prima. Steve, invece, sembra perplesso, indica il panda ballerino e poi mi guarda.

-…mi state dicendo che sono grasso?- mi chiede titubante.

Stefan ride più forte - infischiandosene allegramente della pace e del sonno “dei giusti” - si rotola nella cuccetta spostandosi verso la parete del tour bus, ed io gli getto un’occhiata e poi spiego.

-Tu sei stato un panda fin dall’inizio.- illustro, mentre Steve aspetta, forse sperando che smentisca la sua presunta obesità.- Ne avevamo parecchi, ma alla fine abbiamo ritenuto che questo fosse quello che ti rappresentava meglio.

E detto questo, mentre Stefan quasi si strozza, affondando il viso tra le lenzuola, io torno a voltarmi verso lo schermo, ma colgo lo stesso l’immagine di Steve che, perplesso, si solleva la maglietta che usa per dormire e si osserva la pancia.

-…ma se sono dimagrito…- mormora pungendosi con un dito gli addominali.

Soffoco una risata anch’io.

“Sei perfido.”, mi dice il mio uomo, ridacchiando come me.

“Ahah. Tu però mica me lo hai impedito.”, gli faccio notare.

“Dì a Steve che sta molto bene.”, mi provoca lui.

“…stai assumendo dei modi da puttanella che non mi piacciono proprio”, m’impunto.

Matt ride. Vederlo ridere è quasi meglio che sentirlo soltanto. Se potessi vederlo e sentirlo insieme, sarebbe meraviglioso.

…se potessi avere il suo profumo nelle mie mani mentre ride, sarebbe perfetto…

“Mi manchi”

Matt smette di ridere, fissa lo schermo e si fa triste.

“Mi manchi anche tu.”

Vorrei aggiungere qualcos’altro, ma scopro che non posso farlo. E non posso perché mi sento pesante e voglio piangere, e ci sono Steve e Stefan intorno a me, che bisticciano tra loro scambiandosi scherzi sussurrati come ragazzini in gita scolastica, e la loro presenza è un freno che m’impone di posare ancora le dita sui tasti, tirare un respiro che nessuno di loro sente e smetterla almeno per un momento di essere debole.

In fondo so che se non ci fossero anche loro – Stefan, che continua a sghignazzare, sempre più fiocamente, e Steve, che si ostina a tentare di catturare inesistenti “rotolini” di ciccia da sopra l’elastico dei boxer – probabilmente ora non riuscirei ad avere questa forza.

Perché se anche Matt è qualcosa di importante nella mia vita - qualcosa che mi permette di rimanere in vita - se fossi qui da solo in questo momento, non mi basterebbe mai vederlo scivolare e respirare lontano da me.

Una volta Stefan mi disse che io sono “affamato d’amore”, ne ho necessità più dell’aria che mi attraversa i polmoni. Ed aggiunse che ho bisogno che questo amore mi avvolga e mi protegga, perché mi faccio male con una certa facilità e, dopo essermi fatto male, magari riesco anche a tirare avanti, ma per un po’ arranco e c’è bisogno di qualcuno che mi impedisca di ricevere i colpi troppo forte e che, poi, mi sostenga mentre mi trascino per quel “po’”.

Matt non ha questo compito. A lui ne spetta uno più difficile ma meno ingrato, perché a lui tocca rendere il mondo un posto nel quale valga la pena di tirare avanti.

Il compito di attutire le cadute e recuperarmi una volta che sono a terra, invece, spetta a loro. Stefan e Steve. Ed a volte anche Alex – quando un’intervista è un disastro, quando mando al diavolo qualcuno della produzione, quando una rivista ci va giù troppo pesante. E se lo sono assunto da soli, non so perché e non me lo dicono, ma hanno deciso che va bene così e che si prenderanno cura di me. E se ci sono loro, io posso permettermi di ignorare il resto, anche quando “il resto” non vuole ignorare me. E se non ho voglia di combattere, mi nascondo dietro le loro spalle e lascio che si battano al posto mio. Se non ho voglia di rispondere, volto la schiena e lascio che loro erigano un muro di parole vuote tra me e gli altri. Se non ho voglia di vivere, mi rifugio tra loro e li lascio respirare al posto mio.

Ho davvero bisogno di tutto questo. Almeno quanto ho bisogno che loro non mi chiedano di ricambiarlo.

Dom entra in casa di Matt – aprendo con il doppio delle chiavi, che io non posseggo, ma lui sì, da sempre. Lo vedo sul fondo dello schermo infilarsi nella stanza dalla porta dietro le spalle di Matt. Nota il pc ancora acceso, fa un smorfia e si avvicina, piegandosi ad invadere lo spazio della telecamera per accertarsi che sono, come sempre, io. Lo saluto ma mi risponde con uno sbuffo, afferra il cane di peluche accanto al computer e lo piazza davanti alla telecamera.

Quando torno ad avere la visuale libera, lui si è già spostato verso il letto, ci si lascia cadere prendendo a gesticolare e – presumibilmente – a parlare a voce alta, mentre Matt, infastidito, gli tira dietro il peluche per vendetta. Prende Dom sulla testa ma lui lo ignora, lasciando che rimbalzi sul materasso verso il bordo del letto.

“Che sta dicendo?”, m’informo con Matthew quando torna a voltarsi verso di me.

“Non lo so!”, ammette lui sogghignando, “Non lo sto ascoltando!”

Il punto fondamentale di tutta questa storia, penso mentre Matt mi chiede se non trovo adorabile una specie di pac-man facciuto, che balla in tondo con un pannolone addosso e che lui chiama “Tom” perché ritiene somigli al loro manager, è che Stefan e Steve sono per me l’unica vera famiglia che possa dire di avere mai avuto.

Ed a modo loro, penso ancora quando Dom ricambia il favore e scaraventa di nuovo il cane di peluche sulla testa di Matthew per richiamare la sua attenzione, anche Dominic e Chris sono l’unica famiglia che Matt abbia mai avuto.

...Direi che siamo stati fortunati.

 

***

Mi si avvicinò con fare circospetto, ed io mi sentii quasi bene, perché era chiaramente un atteggiamento “da amico”, e nonostante quello strano prototipo di gelosia che provavo nei suoi confronti, be’, ci tenevo a farmi accettare da Dom.

Eravamo al ristorante. Era un posto che avevo frequentato spesso, che continuavo a frequentare spesso. Il solito posto di classe ma riservato e snob abbastanza da non permettere ai paparazzi di avvicinarsi impunemente senza rischiare la pelle. C’ero stato un milione di volte con Stef, c’ero stato altrettante volte con Helena e c’ero stato anche da solo. Mi conoscevano. Ero un buon cliente.

Ci tengo a specificarlo perché quello che successe dopo me ne impedì la frequentazione nei secoli a venire, il che mi dispiace, perché facevano il filetto di pesce spada più buono che io avessi mai mangiato.

Comunque.

Dom mi si avvicinò e mi sorrise malignamente, perciò io posai coltello e forchetta e gli diedi la mia attenzione.

- L’hai vista la cameriera? – chiese, indicando con un cenno del capo la moretta che aveva appena finito di servirci e si preparava a prendere le ordinazioni di un tavolo poco distante dal nostro.

Io le lanciai uno sguardo sospettoso. Magari aveva tipo una macchia sulla camicetta e Dom lo trovava divertente. Ma niente, era perfetta, ligia e sorridente nella sua elegante e castigatissima divisa bianconera.

- Sì, l’ho vista… - risposi incerto, mentre attiravo l’attenzione di Matt con un calcetto da sotto il tavolo.

- Ed è carina, no? – continuò imperterrito lui, mentre al terzo calcio Matt capiva che volevo renderlo partecipe della scena e decideva di abbandonare l’esame accuratissimo cui stava sottoponendo il suo risotto ai gamberi, nel tentativo di lasciare di lato i gamberi per mangiarli tutti alla fine come fa in genere con ogni condimento.

- Carina… sì, penso di sì… - dissi io, continuando a guardarlo, tirandomi un po’ più indietro come se trovassi il suo sguardo ammiccante e malefico una minaccia – cosa che in effetti era.

Matt lanciò uno sguardo alle proprie spalle, adocchiando la cameriera e tornando poi a guardare noi, annuendo anche lui per dimostrare l’apprezzamento nei confronti della ragazza.

- Avrà… - accennò Dom, pensoso, - più o meno la quinta di reggiseno, no?

Ecco, fu in quel momento che capii che la situazione era un po’ strana.

- Dom, ma-

- Ti sfido! – disse lui, illuminandosi di malizia e piantando il proprio coltello nell’innocente cotoletta che aveva sul piatto, - Toglile il reggiseno!

Saltai sulla sedia, colpendo la forchetta col polso e osservandola rotolare drammaticamente lungo il bordo del piatto fondo e anche quello del piatto piano, fino alla tovaglia, contro la quale si schiantò, lasciando una traccia di brodo giallognolo.

- Matt!!! – lo chiamai, sperando che mi desse una mano a declinare l’invito.

- Che figata! – disse invece ovviamente lui, mettendo definitivamente da parte riso e gamberetti e trattenendosi a stento dallo sbattere entusiasta le mani sotto il mento, - Dai, dai, dai, fallo!!!

Ascoltai Chris scoppiare a ridere, cercando invano di trattenersi e coprirsi con una mano, mentre Steve lo seguiva a ruota e Stefan si limitava a un enorme – e alquanto compiaciuto – sorriso paterno.

- Ma siete del tutto impazziti?! – dissi irritato, cercando di riporre la forchetta al proprio posto e arrendendomi di fronte al fatto che non ne aveva alcuna intenzione mentre la osservavo cadere nuovamente sul tavolo, - Avete visto dove siamo?! Questo non è il baracchino degli hot-dog!

- Al baracchino degli hot-dog non ci sono cameriere… - obiettò giustamente Dom, inclinando il capo come un cagnetto curioso.

- Avanti, Brian, non essere sempre così noioso! – rincarò la dose Matthew, incrociando le braccia sul petto, - È una cosa divertente! Devi solo sfilarle il reggiseno!

- Ma scusa, - mi lamentai io, - come pensi che dovrei farlo?! È… vestita! Sono abituato a togliere la biancheria intima alle donne solo quando sono già mezze nude… e… consenzienti, dannazione!

Matthew sbuffò sonoramente, indispettito.

- Si vede che non hai pomiciato molto, al liceo. – commentò vagamente.

Fu lì che anche Stef scoppiò a ridere, unendosi a tutti gli altri.

- Grazie. – asserii io, acido, guardando il mio bassista prima di tornare a guardare il mio fidanzato, - Davvero, grazie.

- Ma dico sul serio! – continuò Matthew, dimostrando di non avere alcuna intenzione di offendermi quando mi aveva dato dello sfigato, ma solo di farmi comprendere il suo punto di vista, - Quando stai a scuola e porti le ragazze nel vicolo dietro l’edificio, non puoi mica spogliarle per intero! Anche perché non ci stanno. – rifletté seriamente, - Quindi praticamente devi imparare a slacciare il reggiseno attraverso la camicetta, così poi puoi infilare le mani da sotto e-

- Matthew… - lo interruppi, massaggiandomi le tempie, - non solo non volevo avere questa conversazione con te, ma non te l’ho neanche chiesta, quindi potresti risparmiarmela? Tanto più che – rafforzai, scrollando le spalle, - non ho la minima intenzione di sfilare il reggiseno alla nostra cameriera!

- Questo mi fa felice, e le sono molto grata, signor Molko. – sorrise gentilmente la cameriera, appunto, chinandosi su di me, - Vino? – chiese poi, riempiendo il bicchiere prima ancora di aspettare la mia risposta e allontanandosi con tanta classe che per la prima volta mi sentii davvero invidioso della presenza di spirito di qualcuno.

- Però. – commentò Dom, osservandola inebetito mentre si dirigeva verso le cucine, - Figa. Mi sa che la invito a uscire.

- Mi sa che è troppo intelligente, per te. – osservò giustamente Matthew, mentre io mi lasciavo andare a un mezzo sorriso rassegnato e divertito.

***

Nel buio il respiro di Stefan si è fatto regolare.

“Addormentato”, penso, mentre mi mordicchio un’unghia e rifletto sul fatto che domani Nadine, la nostra truccatrice, si trasformerà in una belva nel vedere rovinato il suo lavoro di manicure ancora prima che a farlo ci pensino le corde della chitarra.

Steve sospira, si tira indietro sul materasso e poggia le spalle contro la parete del bus.

-Chiudo gli occhi per riposarli un po’, Brian.- mi dice gentilmente, incrociando le mani sulla pancia.

Annuisco senza ascoltarlo. Matt un po’ segue Dom, che è di nuovo in piedi e continua a vagare per la stanza facendo come un pazzo, un po’ si volta allo schermo e mi chiede di pazientare. Sbuffo, tirando via il dito e portando di nuovo le mani alla tastiera.

“Ma che vuole?!”, sbotto infastidito.

Lui si volta ancora, per poter scrivere a sua volta, Dom è troppo preso per accorgersi della manovra, passa sotto la telecamera agitando il cane di pezza come un oratore il testo del proprio discorso.

“Dice che Cathy lo prende in giro per come si veste.”, mi risponde.

Cerco nella memoria, ma non trovo nulla.

“Cathy?”, scrivo.

Lui annuisce.

“Ti ricordi la cameriera di quel ristorante che piace a te? Quella del reggiseno…”

Arrossisco.

“Sì!”, scrivo aggiungendoci anche una faccetta che faccia intendere bene quanto mi senta a disagio.

E dopo averla messa lì ed averla osservata rimandarmi il proprio adolescenziale significato, mi sento ancora più in imbarazzo.

“Solo tu riesci a farmi fare cose così idiote, Bellamy”, mi dico tra me e me. Ma a lui non lo dico, perché mi piace che ci riesca e spero che continui a riuscirci ancora per molto tempo.

Lui sghignazza.

Io realizzo e mi sento sempre più scemo.

“…Non dirmi che quella esce con Dom!”, scrivo in fretta.

Adesso ride proprio, prendendomi palesemente in giro.

“Se vuoi non te lo dico”, ritorce.

“Ma com’è che quella esce con Dom?!”, strillo io. Cioè, strillerei se lui fosse qui, o al telefono, o qui…!

Lui sembra sorpreso. E me lo dice anche a modo suo.

“Eh!”, fa, “Lui gliel’ha chiesto!” e ci mette anche un’altra faccina, una specie di…arancino o qualcosa del genere, rosa e piccolo, con gli occhietti tondi sgranati in un’espressione perplessa.

Mi sbatto una mano sulla faccia, giusto perché gli sia chiaro il concetto ancora prima che lo espliciti.

“Questo non spiega un accidente…”, faccio notare.

Matt fa spallucce, un gesto che gli viene davvero bene e che lo fa diventare tenero. Perché ha quelle spalle piccole e magre, che infila sotto i suoi amati maglioncini dai colori improponibili, e quando le solleva e ci si nasconde dentro pare davvero un bimbo e viene voglia di baciarlo.

O forse viene solo a me. A volte lo vorrei davvero solo per me.

“Lei dice che lui la fa ridere.”, spiega.

Il cane di peluche rimbalza di nuovo sulla testa di Matt, Dom si deve essere accorto che non gli sta dando alcuna attenzione. Il pupazzo rotola tra lo schermo e Matthew e si ferma sulla tastiera mentre lui si volta a fissare l’amico. Strillano tra di loro, Matt sbuffa, gli tira dietro il cane, si volta mentre già si sta alzando.

“Vuole che lo aiuti a vestirsi”, mi dice.

Si ferma, le dita sollevate. So cosa sta pensando.

Infatti.

“Non aspettarmi, si è fatto tardi, vai a dormire.”, mi chiede.

Sospiro. Cerco tra le emoticon, non gli ho detto che ne ho scaricata anch’io qualcuna da internet. Ne scelgo una e la metto lì. Invio.

Una piccola volpe rossa, con gli occhioni luccicanti di stupida gioia infantile.

“Questo sei tu”, gli scrivo.

Lui ridacchia.

“Grazie”, mi risponde, “Buonanotte”

“Ciao”

Quando spengo, resto fermo per un po’, per abituarmi al buio ma anche per abituarmi al silenzio. Quando Matt ed io parliamo, anche se lo facciamo come questa sera via chat e non per telefono, ho comunque sempre la sensazione di sentire dentro di me la sua voce. Me la immagino, in tutte le sfumature, modularsi in modo da assumere l’esatta enfasi delle parole ed esprimere tutta la gamma di sentimenti che riempiono il suo petto.

La voce di Matt ci riesce davvero. Lui parla e, mentre lo fa, ti dice esattamente quello che sta provando, quello che sta pensando.

È per questo che non sa proprio mentire.

Sollevo il pc con delicatezza e lo poso per terra, domani lo metterò a posto nella borsa, adesso è tutto spento e non voglio svegliare nessuno andandomene in giro. Mi volto per sistemarmi tra le coperte, Steve si è addormentato anche lui – inevitabile – ed occupa tutto lo spazio ai piedi della cuccetta. Sospiro, dovrei cacciarlo via ma so che non lo farò. Mi raggomitolo in un angolo e mi tiro su le coperte.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota di fine capitolo della liz:

 

No, dico, guardateliiiiiih çOç Non sono la cosa più adorabile che abbiate mai visto?! Sono così puccini, coi loro comportamenti sciocchi e adolescenziali, e Brian con tutte le sue insicurezze tatine… X3 (È bello parlare di una storia come non fosse propria *-* La realtà mi aiuta nel compito perché in effetti la gran parte di tutto la scrive Nai ù_______ù Il che mi rende estremamente felice, perché è amabile <3)

Vorrei davvero darvi un’idea delle faccine che usano XD Se siete fra i miei contatti MSN chiedetemi di mostrarvele, sono l’amore XD Soprattutto l’uomo-mutanda (la palla viola con pannolone) e l’uomo cipolla (che si chiama così perché sulla testa invece di avere i capelli ha l’estremità superiore della cipolla). Anche l’arancino rosa pallato è adorabile ç_ç Fa tipo così -> °-° È carino da morire *O* (e qui ci starebbe bene un’altra faccina, che è un arancino più grande, bianco, con le ali e l’aureola, che si agita felice come fosse innamorato <3).

*rilegge le proprie note*

Questo è un delirio °_° È colpa di Nai, mi ha obbligata lei a scriverle!

Al prossimo capitolo! E scusate se pubblichiamo così lentamente XD Ma non preoccupatevi, sono già pronti praticamente dieci capitoli su tredici <3 Direi che siamo a buon punto, eh? :3

 

 

 

 

Nota di fine capitolo della Nai:

 

Le emoticon utilizzate in questa ff sono tutte reali. Nessuna di loro è stata maltrattata per la realizzazione del capitolo ù_ù

Anzi, erano tutte molto felici di essere utilizzate da Brian Molko e Matthew Bellamy.

...

Se vi state chiedendo a cosa vi serva questa informazione…non sapevo cosa scrivere nella nota di fine capitolo XP

Però ringrazio tutti! e nell’ordine: un grazie enorme alla Lizzie e poi un grazie enorme a chi legge la nostra storia!

Spero continui a piacervi ^_-

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Capitolo 4
*** Four. ***


Come sempre l’Easily Forgotten Love ringrazia ^^

 

Un grazie speciale a Isult, Memuzz, Stregatta ed Erisachan per aver trovato il tempo di lasciarci una recensione. Grazie donnine ç*ç

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Four:

 

Mi sveglio. Fuori il sole è alto. Il bus è fermo da qualche parte e sento il rumore che fanno le persone che camminano di sotto. Mi tiro su sui gomiti e mi accorgo che Steve non è più nel letto e Stefan si è già alzato. Rotolo su me stesso per mettermi a pancia all’aria e girare intorno un’occhiata distratta, mentre cerco di riprendere appieno coscienza.

Sbadiglio. Sono le dieci del mattino, ho dormito cinque ore ed ho un mal di testa feroce.

-Caffè.- mi dice a voce alta la mia pancia. Ed il mio cervello concorda a sufficienza da obbligare i muscoli a muoversi ed uscire da lì.

Evito per un pelo di tirarmi dritto sul portatile e metto i piedi a terra proprio lì vicino, camminando scalzo per raggiungere la macchinetta sul piano della cucina.

Ci sono Alex e Stefan seduti al tavolo sotto i finestrini, fanno colazione e parlottano tra loro. Biascico un “buongiorno” che non capirei io per primo, ma loro sorridono e mi salutano: Alex mi risponde, Stef si limita a tirare su la mano. Mi indicano il caffè già nel bricco ed io scavo tra le tazze per individuare la mia e portarmela al tavolo. Spingo Stefan perché mi faccia spazio e lui mi ubbidisce docile, osservandomi in silenzio mentre mi lascio cadere accanto a lui e prendo a bere imbronciato. Sollevo una mano e la incastro tra i capelli per reggermi la testa quando mi abbatto sul tavolo.

-Non mi sento benissimo.- annuncio.

Stefan sospira, Alex ridacchia.

-Continua a fare le cinque ogni mattina e vedrai quanto ti sentirai bene.- mi dice lei, condiscendente.

Non ribatto, allungo appena il collo per spiare quello che succede fuori dal tour bus.

-Dove siamo?

-Alla nuova location.- risponde Stefan.

Sbuffo e mi accartoccio di nuovo su me stesso.

-Ho fame.- notifico ancora, voltandomi poi a guardarmi attorno, come se qualcosa di commestibile dovesse saltare fuori in una specie di evocazione.

E succede davvero.

Steve sale attraverso il portello del pullman, ha tra le mani una scatola di cartone rosa, con su stampigliato qualcosa in un colore acceso e con caratteri infantili, da giocattoli per bambini. Sorride soddisfatto e quando ci vede, seduti al tavolo, ci saluta a gran voce e ci viene incontro, posando la scatola tra noi sul ripiano.

-Cos’è?- chiedo curioso, sporgendomi ad aprirla.

-Un regalino per te.- mi spiega.

Litigo con l’adesivo che chiude la scatola e da dentro mi arriva un profumo delizioso che mi ricorda qualcosa.

-Cibo?!- esclamo speranzoso, infilando il naso dentro appena riesco a farmi spazio.- Donuts!- riconosco immediatamente, allungando subito una mano a prenderne una. Lo zucchero a velo mi riempie le dita, io non ci bado e tiro fuori il dolce fissandolo come se fosse incredibilmente bello.- Cavoli, erano secoli che non ne mangiavo una!- piagnucolo commosso prima di addentare la ciambella e concedermi un’espressione estatica. Socchiudo gli occhi, assaporando il burro sciogliersi sulla lingua e contro il palato. Sono appena fatte!- Steve, ti amo.- annuncio.

Lui ride divertito. Sento Alex borbottare, mentre tira via la scatola da sotto il mio naso.

-Non dovresti mangiare questa roba.- brontola ed io apro gli occhi e la guardo, continuando ad ingozzarmi incurante.- Sai quante calorie ha una di queste cose?- mi chiede.

M’imbroncio di nuovo.

-Faccio il cantante, non la modella!- protesto.

-Oh, tesoro! Per te, purtroppo, le due cose si equivalgono.- mi ricorda impietosa, porgendo le mie ciambelle a Stefan.

-Ti ringrazio, ma non ne vado pazzo.- declina lui.

Steve si siede accanto ad Alex e ne prende una.

-Andiamo, Stef, le ho comprate apposta per fare colazione tutti assieme.- lo invita.

-Pazienza! La sua la mangio io!- mi offro immediatamente, tentando di afferrare la scatola quando ripassa sotto il mio naso.

-No, Brian!- sbotta Alex, tirandomela via un’altra volta.- Tu no! E vai anche a farti la barba che sei… inaccettabile!

A questo punto so che dovrei offendermi. O protestare. O fare qualunque altra cosa che faccia intendere alla mia manager che il suo sottinteso – e nemmeno tanto – “sembri un uomo!”, mi ha quanto meno dato fastidio, visto che io sono un uomo. Anche se il resto del mondo stenta a crederlo e, quando lo rendo evidente, preferisce ignorarlo.

E vorrei anche ricordarle che, sebbene la mia casa discografica sia convinta che il modo migliore per vendere i nostri dischi sia quello di farmi sembrare sessualmente appetibile ad orde di ragazzini - e non - io sono un cantante e, come tale, non necessariamente soggetto alla “legge della taglia 38” che affligge il mondo della moda.

Ma siccome lei ha già chiarito, almeno su questo punto, che non ho un gran diritto di parola, sospiro e sto zitto, ma infilo comunque la mano nella scatola delle donuts e ne prendo una seconda, sfidandola con un’occhiata a contraddirmi quando apre la bocca per notificarmi il proprio dissenso. Ed Alex sta con noi da abbastanza tempo da sapere esattamente come gestirmi.

Quindi ci ripensa, chiude la bocca, si rimette comoda contro lo schienale del sedile e mi lascia mangiare in pace.

-Bene, oggi che abbiamo da fare?- chiede Steve oziosamente, ingurgitando anche l’ultimo pezzo di ciambella e reclamando caffè come tutti noi.

Glielo verso nella tazza che mi porge, Stefan abbassa la propria e risponde per Alex.

-Interviste.

Gli si legge in faccia quanto poco questo lo esalti. Io penso che avrei ragioni molto più valide di loro per scocciarmi all’idea di interminabili sequele di domande cretine e tutte uguali, che verteranno inevitabilmente sulla mia vita sentimentale, sulla mia sessualità, sulle mie antipatie ed, in misura residuale ed allo stesso modo, su vestiario, trucco, capelli e musica.

A volte mi chiedo se sia davvero un delitto avercela con la categoria dei – presunti – giornalisti…

Mi sto interrogando al riguardo - mettendoci anche una certa attenzione - quando qualcun altro fa la propria apparizione su per il portellone del tour bus. Approfitto del diversivo per riemergere dai miei pensieri e sollevare il mento, appoggiato distrattamente alla mano, ed il collo a spiare di chi si tratti.

La mia espressione curiosa muta istintivamente in fastidio palese quando riconosco Gerard Way, cantante – a sentir lui – di “non voglio nemmeno ricordare che razza di gruppo”, fare capolino sopra gli scalini, allargare la bocca in un sorriso immenso nel riconoscere Stefan accanto a me e lanciare una specie di richiamo gorgheggiante, assolutamente inappropriato al personaggio e decisamente irritante per le mie orecchie.

-Stef, hai da fare?- s’informa.

Registro che lo ha chiamato “Stef” e non “Signor Olsdal” come esigo e pretendo.

Registro che, ancora peggio, Stef sta prendendo in considerazione l’idea di rispondergli e che, se lo conosco…e decisamente io lo conosco! sta per scuotere la testa e dirgli che “no, non ha nulla d’importante da fare. Perché? Ha bisogno di qualcosa?”.

E registro che se questo dovesse avvenire io strangolerei Gerard Way con le mie mani, perché stamattina voglio che Stefan e Steve mi stiano attaccati addosso e non li dividerò di sicuro con quella specie di…moccioso darkettone che, dall’inizio del tour, continua a girare intorno al mio bassista.

Senza permesso.

Mi volto a fissare Stefan.

Lui abbassa lo sguardo ad incrociare il mio. Ha la bocca già aperta per rispondere, le spalle tese ed è concentrato su quello che sta per dire.

Ci ripensa appena mi vede.

-Scusami, Gerard,- cambia repentinamente risposta- abbiamo un paio di interviste e dobbiamo concordare tra noi cosa dire.

Lui è dispiaciuto, e non ha nemmeno il pudore di tenerselo per sé.

-Non importa.- mente goffamente.- Allora magari ci si becca dopo.

Lo osservo sparire oltre il portellone e mi rilasso, soddisfatto.

-Sbarazzatene.- ordino a Stef.

Lui non mi risponde subito. Analizza la mia presenza e le mie parole.

-No. Ne abbiamo già parlato.- mi ricorda pazientemente- Mi fa simpatia.

Sospiro. So che la vincerà lui, Stefan sa esattamente quando è il caso di assecondarmi e quando, invece, è necessario farmi sbattere i denti contro il muro. Stavolta mi tocca la capocciata.

-E’ ingombrante!- provo lo stesso.

E Chester Bennington ha ovviamente la strepitosa trovata di venire a togliermi quel poco di credibilità e di autorità che mi restano, imitando il nostro esimio collega appena dileguatosi e comparendo a sua volta sulla soglia del bus. Solo che lui cerca me, ed è invadente – con tutta la sua stima ed il suo affetto – quasi quanto l’Esimio Collega di cui sopra. Per cui devo ammettere che ho ben poche speranze di riuscire a convincere Stefan che non è il caso di creare intrusioni all’interno del gruppo, quando c’è un ragazzetto piuttosto ambiguo che mi saluta dalla porta e mi chiede se voglio andare con lui a fare un giro in città.

Ricambio l’occhiata che Stefan mi lancia, lo osservo inarcare un sopracciglio, riconosco che sono un coglione e poi rifilo al povero Chester la stessa balla che Stef ha rifilato a Gerard. Lui per lo meno ha più classe nell’uscire di scena con un “sarà per un altro momento, allora” ed un sorriso elegante.

-Brian…- esordisce Stefan appena restiamo noi quattro.

Steve ed Alex scoppiano a ridere, io mi metto buono ed aspetto la tirata d’orecchie.

***

Ricordo il film. Era Missione Tata. Lo ricordo perché Matt si presentò a casa mia tutto trafelato, come non avesse fatto altro che correre per tutta la giornata, agitando ossessivamente il dvd di Blockbuster e strillando “Brian, ma tu lo sapevi che Vin Diesel era anche un attore vero?!”. Io evitai di fargli notare che un film con quel titolo non poteva essere considerato un film vero, e che perciò nessuno degli attori che vi avevano preso parte potevano essere considerati degli attori veri – un po’ come il sottoscritto non può essere considerato un musicista vero… soprattutto di fronte a Matt – e crollai sul divano, scrollando le spalle e dicendo che ne avevo sentito parlare e sembrava non fosse poi così malaccio.

- No, ma tu hai visto XXX? – continuò lui, sempre più sconvolto, mettendo mano al lettore sotto la tv ed organizzandosi per far partire il film, - Cioè, quello è un film, ma Vin Diesel si limita a fare lo stunt-man, che poi è il suo lavoro, ed è accettabile! – si interruppe un attimo, annuendo con partecipazione nell’osservare il dvd che veniva inghiottito dal lettore, - Ma qui fa la tata! – riprese, scattando in piedi e raggiungendo il divano con pochi passi frenetici, per piombare al mio fianco, - Non lo trovi sconvolgente?

Avrei volentieri risposto che trovavo decisamente più sconvolgente che lui arrivasse a casa mia ad orari improbabili come quello – era quasi mezzanotte – soprattutto quando c’eravamo sentiti pochi minuti prima, concordando che era tardi ed avevamo entrambi bisogno di un sonno ristoratore, e perciò ci saremmo aggiornati all’indomani mattina e buonanotte.

Ovviamente tacqui.

Le immagini cominciarono a scorrere sullo schermo, ed io stavo veramente morendo di sonno.

Mi spinsi indietro, scivolando sul rivestimento del divano fino a raggiungere lo schienale e rovesciarmici sopra, esausto. Matt mi imitò, appoggiandosi un po’ sbilenco contro la mia spalla, fissando la tv con aria molto seria.

Qualcosa che sembrava un mini-plotone dell’esercito stava decidendo il da farsi. Vin Diesel dava gli ordini. C’erano gli scogli, un sole ghiacciato e lontanissimo ed il rumore delle onde del mare. La voce dell’attore andava affievolendosi sempre di più, secondo dopo secondo, e il respiro sereno di Matt accanto a me, oltre al debole calore che irradiava la sua guancia sulla mia spalla, attraverso il tessuto leggero della maglia che indossavo, mi rimandava un’idea di pace e tranquillità che… sì, rendeva il tutto decisamente soporifero.

Feci per chiudere gli occhi, ma Matt si riscosse lievemente, per cambiare appena posizione, ed io sentii un brivido di freddo affatto piacevole, che mi convinse a sollevarmi a mia volta e muovere qualche passo incerto – sentivo le gambe deboli – verso la camera da letto, alla ricerca di una coperta nella quale arrotolarmi.

Matt fece scattare un braccio e mi fermò, intrecciando le sue dita con le mie.

Come diavolo abbia fatto a prendere la mano al primo tentativo, contando il fatto che la stavo anche muovendo, resta un mistero.

- Dove vai? – mi chiese, un po’ stranito, costringendomi a voltarmi.

- A prendere una coperta… - risposi io, scrollando le spalle, - Ho freddo.

Lui arricciò le labbra in una smorfia e mi tirò a sé, mugugnando.

- Non ti serve… - sussurrò tranquillo, spalancando braccia e gambe ed obbligandomi a sedere nello spazio fra le sue cosce, prima di stringermi attorno alle spalle come… come se la coperta fosse lui.

Lo seguii nei movimenti, quando tornò a posizionarsi sul fondo del divano, aderente allo schienale, per stare più comodo.

Probabilmente era il sonno, ma quando, a fatica, riuscii a sollevare lo sguardo abbastanza da poterlo guardare senza muovere troppo il capo, per evitare di distruggere l’incastro perfetto dei nostri corpi in quel momento, mi sembrò luminoso e irreale come un sogno. Fissava il televisore, dritto davanti a sé, e le sue labbra sottili erano increspate in un piccolo sorriso soddisfatto. Gli occhi erano vigili e attenti, sembrava non avesse bisogno neanche di un secondo di riposo. Eppure era stanco, lo sapevo, perché me l’aveva detto e non poteva essere altrimenti. Ma tutto – lo sguardo limpido, il sorriso sereno, la stretta decisa e avvolgente – sembrava dire che non sarebbe mai esistito nient’altro che lui avrebbe desiderato come in quel momento desiderava restare lì con me a guardare uno stupido film per famiglie.

E questo era troppo bello per essere vero.

E quindi doveva essere un sogno.

Mi disincastrai dalla sua stretta, sollevando un braccio e sperando che lui tornasse a richiudersi su di me come un riccio non appena mi fossi fermato ancora. E lui lo fece. Accettò la nuova posizione con qualche piccola scossa di assestamento e non diede neanche segno di essere infastidito.

La mia mano raggiunse il suo mento, e prese a giocare con la sua fossetta. Mi divertii a far scivolare l’indice nel piccolo solco al centro, sorridendo appena mentre la lieve barbetta che portava strisciava sulla punta del dito senza farsi veramente sentire. Lui mi lanciò un’occhiata incerta e sorrise più apertamente, prima di tornare a guardare la tv.

Io sbottai una qualche disapprovazione e risalii con la mano lungo il profilo del suo viso, fino alla guancia, che pizzicai amorevolmente – rendendomi conto di quanto in realtà ci fosse poco da pizzicare – prima di ridiscendere lungo la superficie del collo, e infilare le dita nella scollatura della sua camicia, percependo il cambiamento di temperatura dall’esterno all’interno degli abiti e mordicchiandomi ansioso il labbro inferiore.

Avevo voglia di lui.

Avevo voglia di sentirlo.

E quando lui tornò a guardarmi, e spostò le braccia e la stretta verso il basso, infiltrandosi quasi timidamente per sfiorare il ventre sotto la maglietta, mentre con una mano cercava a tentoni il telecomando sul divano, capii che anche lui aveva voglia di me. Che non aveva alcuna intenzione di dissertare sulla possibilità o meno di dare a Vin Diesel dell’attore, o di stabilire se Missione Tata era un film che valesse la pena vedere o no.

Semplicemente, come me, aveva trovato inaccettabile essere, in fondo, così vicini – appena qualche isolato – e non vedersi. Non toccarsi. Non sentirsi respirare.

…in effetti, quel giorno c’eravamo solo sentiti per telefono…

Sentivo la mancanza del suo corpo come avrei potuto sentire quella di un arto se mi fosse stato improvvisamente mozzato, e me ne accorgevo in quel momento, solo allora che lui era lì e potevo sentire la sua forma premere contro di me. Il suo petto contro la mia schiena, le sue gambe attorno alle mie, il suo bacino contro il mio.

Si chinò, cercando le mie labbra con le proprie dopo aver ridotto la televisione al silenzio. Sentii il suo respiro affannoso, percepii il desiderio farsi strada fra le sue cosce e mi schiacciai contro di lui, offrendo la mia bocca dischiusa per un bacio umido e lento, quasi nostalgico. La lingua di Matt si mosse piano fra le mie labbra, prima di raggiungere la mia.

Gli ero mancato.

Gli ero mancato come lui era mancato a me.

Era incredibile avere gli stessi bisogni, muoversi in sincrono, pensare le stesse cose. Era incredibile intuire i desideri l’uno dell’altro, percepire la voglia d’essere sfiorati in un punto piuttosto che in un altro.

Girai su me stesso, quando me ne diede la possibilità, sedendomi a cavalcioni sul suo grembo e cingendogli il collo con le braccia, intrecciando le dita fra i suoi capelli. Matt mugolò soddisfatto, rendendo il bacio più profondo e attirandomi a sé con una mano sulla mia nuca, mentre con l’altra attaccava la fibbia dei pantaloni, provando a spogliarmi.

Non ci riuscì, perché la mia maglietta era troppo lunga e si ostinava ad arrotolarsi in sbuffi proprio sulla cerniera, e quando lo percepii sbottare infastidito e mordermi un labbro, affamato, frustrato, mi affrettai a staccarmi da lui e sfilare la maglietta dalla testa con un gesto veloce, prima di ritornare a baciarlo. Lui continuò a giocare con la mia lingua ancora per un po’, prima di decidere che non era abbastanza, che voleva di più, e che “di più” era il mio collo – lungo la vena pulsante e fino al solco fra le clavicole – e il mio petto, attorno ai capezzoli e lungo il profilo dei pettorali – giù fino al ventre – la linea appena accennata degli addominali e l’ombelico, all’interno del quale far scivolare la lingua come giocando ad acchiapparello con qualcosa che non c’era e che, perciò, non avrebbe preso mai.

Sospirai rumorosamente, infilando le mani fino ai polsi all’interno della sua camicia, lungo la spina dorsale, e accorgendomi appena dei bottoni a clip che si aprivano col suono di piccoli scoppi un po’ timidi, mentre saggiavo la consistenza della sua pelle sotto le dita, e contavo le vertebre una ad una, dandogli i brividi. Lui mi strinse un braccio attorno alla vita e con l’altro mi resse per il collo, e mi spostò, aiutandomi a distendermi sul divano come si fa con i bambini molto piccoli quando li si vuole rimettere nella culla.

Lo osservai, sorridendo teneramente. Era così premuroso, così gentile…

…così bello. In maniera devastante. Quando lo guardavo, quando lui guardava me, ogni volta che ci sfioravamo, anche solo quando aprivamo bocca per comunicarci qualcosa, o ci bastava un’occhiata di sfuggita per capire cosa stessimo per dire, ogni molecola del mio corpo sembrava in procinto di esplodere e farsi vapore. Volare via.

Mi sentivo leggero, ed era perché avevo il sangue alla testa.

La presenza di Matt mi dava il capogiro.

E anche un tremendo batticuore. Soprattutto quando pensavo che momenti come quello spesso riuscivano ad essere l’unico motivo per il quale potesse valer la pena affrontare un’altra dura giornata.

Lui mi si chinò addosso, armeggiando più facilmente con la chiusura dei miei pantaloni, mentre per fermare i pensieri io chiudevo le labbra attorno alla sua pelle, assaggiando il sapore del collo e godendo della sensazione dei muscoli tesi sotto la lingua. Matt mi liberò dei jeans. Io lo liberai della camicia. Poi lui si liberò dei propri pantaloni. E quando sentii la sua erezione premere contro la mia, fui io a sollevare il bacino. Fui io a sollevare le gambe e chiudergliele dietro la schiena come una tenaglia. Fui io ad aiutarlo a entrare, fui io a soffocare il suo primo gemito di piacere fra le mie labbra, mordicchiando le sue, distraendolo leccando lentamente la punta della sua lingua, mentre mi muovevo piano attorno a lui, accogliendolo dentro di me e discostandomi subito dopo, gioendo della sua fretta nello schiacciarmisi nuovamente addosso, irrequieto, impaziente, affondando con foga, veloce, ansioso.

Fuori controllo.

Quanto me, che mi spingevo contro di lui, che mi aggrappavo alle sue spalle, affondando le unghie e i denti nella sua pelle come volessi lasciargli addosso il segno indelebile della mia presenza, che continuavo a stringerlo, a stringerlo, quasi soffocandolo, e che mi soffocavo a mia volta, poggiando il viso sul suo petto, le narici sulla sua pelle, la bocca contro le sue mani.

Quella notte lui venne dentro di me, ed io ne fui estasiato. Al punto che neanche mi accorsi che il mio orgasmo era arrivato nello stesso momento. Quando aprii gli occhi, intontito dal piacere e dai residui di sonno e stanchezza che non riuscivo comunque a mandar via e che si mescolavano confusamente con l’odore un po’ ipnotico del suo profumo, lo trovai che mi fissava, gli occhi spalancati e luminosi di gioia.

Realizzai che avevamo avuto un orgasmo simultaneo, e questo mi spaventò.

Realizzai che la cosa l’aveva reso l’uomo più felice del mondo, e questo fece felice anche me.

Ridacchiai sbuffando, sistemandomi meglio sotto di lui perché potessimo entrambi distenderci sul divano, cercando di incastrarci per non cadere.

Se avesse detto anche solo una parola, avrebbe rovinato tutto. Se avesse detto “ti rendi conto…?”, sarebbe stata la fine. Se avesse espresso la propria soddisfazione con qualsiasi gesto che non fosse un abbraccio spontaneo e sentito, caldo, e stretto, e lievemente sudato, non ci saremmo più rivisti.

Ma non disse niente. Mi baciò lievemente su una guancia, lasciando una traccia impercettibile di saliva che non volli spazzar via con la mano, e chiuse gli occhi, stringendomi forte e addormentandosi in pochi minuti.

Non avevo affatto bisogno di una coperta. Aveva dannatamente ragione.

***

Ho fame.

So che è tardi, ma non ho la minima idea di che ore siano. So che sono andato a letto presto, perché domani abbiamo un’infinità di cose da fare e comunque ho già sentito Matt nel pomeriggio. So che ho mangiato praticamente solo un sandwich, oltre alle donuts che Steve mi ha portato stamattina.

So che ho proprio fame, sì.

Mi alzò lentamente, con circospezione, cercando di non svegliare nessuno. Stef russa nella cuccetta alla mia destra, mentre Steve dorme a pancia sotto, con la faccia affondata nel cuscino, alla mia sinistra.

Scivolo silenziosamente fuori della zona notte, zompettando in punta di piedi fino al cucinino in fondo al tour bus.

Arrivare di fronte al mini-frigo e spalancarlo sono praticamente un’unica cosa.

Scruto ansioso all’interno, fra i ripiani. Non che ci sia molto. Mi andrebbe della frutta fresca, ma valla a trovare in questa desertica confederazione di desertici stati. Dovremmo andare più vicino alle città. Dovremmo fermarci vicino alle fattorie. Dovrei parlarne con Alex.

Frattanto, davanti a me ci sono solo le orride merendine di Steve, quelle cose oscene ripiene di caramello e noccioline delle quali si rimpinza quando non ha tempo di mangiare altro e sa che sputerà l’anima sulla batteria per tre quarti d’ora durante l’esibizione. Ai fan dei Linkin Park non piace la musica melensa, vogliono sentire rock. È per questo che stiamo facendo qualche canzone anche dal primo album. Questa cosa stressa enormemente il mio batterista.

…sì, è del tutto giustificato, quando si riempie di questa roba.

Io non lo sono altrettanto, ma mi riempio lo stesso, fissando il deserto buio e silenzioso oltre il finestrino.

Mentre penso che in Inghilterra dovrebbe essere più o meno mezzogiorno, sto già afferrando il cellulare che ho abbandonato sul tavolo prima di andare a dormire, e sto già componendo a memoria il numero di Matt.

Lui risponde subito. Risponde sempre al primo squillo, è come se fosse sempre impaziente di risentirmi.

- Brian! – mi chiama felice, ma modula subito il proprio tono su una nota di rimprovero che stona da morire sulla sua voce, e che io non posso che trovare irrimediabilmente tenera. - Dovresti essere a letto! – dice, apprensivo, - Non voglio neanche immaginare che ore siano, lì da te.

Ridacchio un po’, a bassa voce.

- È tardi, in effetti. – ammetto, - Ma avevo voglia di sentirti.

Matt resta in silenzio per qualche secondo. Poi sento il rumore di fondo attorno a lui farsi sempre più debole, fino a sparire, e capisco che s’è appartato in qualche angolo per ascoltarmi più attentamente.

- Stai bene? – chiede in un soffio, preoccupato.

- Mmmh. Mi sento in colpa. – confesso a mezza voce, osservando il mucchietto di carta stagnola appallottolato in un angolo sul tavolo. – Ho divorato metà della scorta di merendine da adolescenti di Steve.

- …a quest’ora della notte, Brian? – si informa.

Posso sentire nella sua voce che se potesse piombare qui accanto a me con un salto lo farebbe.

- Avevo fame. – mi giustifico, stringendomi nelle spalle, - Ma sono uno stronzo lo stesso. Steve mi odierà.

- Non ti odierà… - mi rassicura ridendo, - Con te, se si arriva a superare una certa soglia, l’odio diventa un sentimento impossibile.

Steve e Stef l’hanno già passata da un pezzo, quella soglia, sai, Matt?

E tu?

- Farebbe bene ad odiarmi. – sbuffo contrariato, afferrando la pallotta di carta e cercando di far canestro nel cestino fissato alla parete oltre il corridoietto che attraversa il bus, - Stamattina mi ha portato le ciambelle. Appena fatte! – mugolo, mancando il bersaglio e protestando con una smorfia contro la sfiga, - Gli ho anche detto che lo amavo, sai? – lo aggiorno, mentre lui ride divertito, - E nottetempo vado a rubargli la merenda! Sono un essere umano veramente pessimo, non trovi?

- Non trovo. – risponde lui senza neanche prendersi un secondo per riflettere, - Trovo che tu sia adorabile. E se fossi lì con te, ti soffocherei di baci.

Ed io sarei felice di farmi soffocare.

Dio, in questi momenti mi manca come la terra sotto i piedi. Non riesco a reggermi dritto. Non riesco neanche a pensare, mi sento gonfio, ripieno di sentimenti e sensazioni di ogni tipo, sento la mia testa farsi rotonda ed enorme come un palloncino e temo potrebbe scoppiare da un momento all’altro.

- Un giorno lo faccio. – riprende lui, e io torno immediatamente a concentrarmi sulla sua voce, - Prendo il primo aereo e ti raggiungo. Tanto so sempre esattamente dove sei.

Rido divertito, perché so che magari non lo farebbe sul serio ma trovo estremamente carino che me lo dica. Anche perché so pure che se me lo sta dicendo è perché ci crede.

- Dove sono adesso? – lo sfido, ricordando che appena qualche giorno prima mi sono rifiutato di chiederlo per paura che lo dicesse sul serio.

- Toronto. – risponde lui, deciso, - Nell’Ontario. – e non fa affatto paura come pensavo. – È bello il Canada?

- L’avessi visto! – ironizzo, alzando gli occhi al cielo, - Ho appena il tempo di dare una rapida occhiata a qualche bar. Questo tour è una follia, ci muoviamo dappertutto in America del Nord. E non solo da nord a sud, pure da est a ovest! – sbotto contrariato, - Siamo come trottole impazzite, e Chester Bennington è un pazzo!

- Chester Bennington è solo il frontman dei Linkin Park. – corregge lui con un’altra risatina divertita, di quelle lievi che fa coprendo la bocca con una mano perché si vergogna di quell’adorabile incisivo storto, - Non credo abbia deciso lui date e location del tour.

- Ti stupirebbe scoprire quanto quel ragazzo riesce a tenere le redini della situazione, qui. Ora s’è messo in testa di fare uscire un book sul tour con foto e informazioni sulle band partecipanti… e rompe le palle agli sponsor perché si convincano ad utilizzare solo carta riciclata.

- Decisamente la frequentazione con Bono Vox l’ha segnato nel profondo… - lo prende in giro lui, con la consueta lieve crudeltà che si riserva sempre per gli assenti incapaci di difendersi.

- Oh, andiamo. – decido quindi di difenderlo io, visto che il ragazzo non è poi così male, - È una buona causa, in fondo.

- Già. – concorda Matt, annuendo. – Convinciamolo a una campagna per la promozione delle settimane di pausa fra una data del tour e l’altra. – butta lì, quasi casualmente, - Ho così tanta voglia di vederti che non mi stupirei davvero se nel bel mezzo della notte, in preda a un attacco di sonnambulismo, prenotassi un biglietto e ti facessi una sorpresa, spuntando quando meno te l’aspetti.

Rido, cercando di trattenermi per non fare troppo rumore.

- Ormai me l’hai detto, non sarebbe più una sorpresa.

Anche se questo non cambierebbe di una virgola il tono della mia risata, nel momento in cui ti vedessi sul serio.

- Mi sa che hai ragione. – concorda lui, dubbioso, - E adesso torna a nanna. Sei sazio, no?

Non si riferisce alle merendine.

Riguardo ciò di cui sta parlando sul serio, sì, sono sazio.

È incredibile come riesca sempre a dire la quantità esatta di parole che ho bisogno di sentire.

- Buonanotte. – dico dolcemente, mentre faccio scivolare un dito sul tasto per l’interruzione di chiamata, ignorando volutamente che per lui è solo la metà della giornata, perché preferisco parlargli come fosse qui, come stessimo facendo le stesse cose, come stessimo vivendo la stessa vita.

- Buonanotte. – risponde lui, la stessa nota dolce nella voce.

Un breve clic. Il tuu tuu rimbombante nelle orecchie.

Mi sollevo dalla panca, abbandonando il cellulare sul tavolo.

Tornando verso la mia cuccetta, mi chino a raccogliere la palla di carta scivolata per terra accanto al cestino e me ne sbarazzo, nascondendola sotto il cartone delle ciambelle ancora in cima.

Se sono fortunato, Steve se ne accorgerà solo dopo aver finito la prima bottiglia di birra, domani pomeriggio.

 

Nota di fine capitolo della Nai:

Periodo del cavolo!

Ma siccome non c’entra eviterò di tediarvi ^^

Invece do a tutti una buona notizia *_* (e se ci tenevi a farlo tu, Liz, ahah! Ti ho fregata!!!...o.k. la pianto).

“Trapped”, almeno per quel che mi riguarda direttamente, è terminata **

Ora non resta che pubblicarla e poi pensare a lavorare al seguito *ç*

Ma del seguito vi parlerà la Liz o io in una vita futura ù_ù

…oggi sono palesemente fuori.

A parte questo, notazione utile: il Project Revolution non è mai passato per il Canada, ma ci stava talmente bene come cosa che ce ne siamo fregate amabilmente ^^ Perdonateci, o Voi fan della precisione.

Un bacio a tutti.

Un grazie a Liz.

Un grazie a tutti i nostri lettori ç_ç Vi lovvo!!!

 

Nota della liz che non si accontenta di appestare già la fic ma vuole anche rompere le palle sul finale:

E’ vero, è un periodo del cavolo -___- Niente drammi esistenziali particolari, ma essere priva di internet già mi ammazza, soprattutto perché scrivo come una cretina e non tollero di non poter pubblicare >_< Poi la gente si convince che sono morta, non è bello >.<

Anyway anyway *O* E’ bellissimo che Trapped sia finalmente finita <3 (disse la donna che doveva ancora leggere il finale e scrivere l’epilogo -.-“) E poi vedrete quando cominceremo a lavorare al seguito… oh, lo amerete <3 Io lo amo già – e non è ancora scritto! *_*

Comunque adesso che è finita la pubblicheremo più regolarmente… si spera. Probabilmente no, le nostre vite sono casini ambulanti è____é Però ci amiamo, questo è bello <3

Grazie a tutte, vi amo :*****

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Capitolo 5
*** Five. ***


Nuova pagina 1

L’Easily Forgotten Love ringrazia tutti i lettori / lettrici, ed in particolare: Stregatta, Isult e Memuzz per aver anche trovato il tempo per lasciare un commentino. Siete adorabili, bimbe! ^^

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Five:

 

Siamo arrivati stamattina presto. Non so che ora sia in Inghilterra di preciso, ma visto che noi stavamo per metterci a tavola – anche abbastanza di fretta, se vogliamo sperare di finire per tempo il soundcheck – penso sia molto tardi. Steve e Stefan mi hanno fatto notare che, per sopravvivere, ogni tanto dovrei mangiare in modo decente. Io ho annuito frettolosamente, mi sono scusato con tutti mentre mi alzavo e sono corso fuori con il telefono già in mano.

-Matt?- lo chiamo, aprendo la comunicazione e cercando con gli occhi un punto della hall che sia abbastanza riservato.

Lui mi risponde.

-Ciao, Bri.

…senza il solito entusiasmo.

È successo qualcosa. Ma questo lo immaginavo già, perché lui non mi chiama mai a quest’ora, soprattutto quando sa che ho una giornata catastroficamente piena di impegni davanti.

La hall è un disastro e fuori c’è una specie di assembramento di fan in attesa. Sbuffo una mezza protesta e punto alla porta finestra che dà sul giardino interno.

-Che succede?- m’informo mentre spingo le porte a vetri.

Lui non parla subito. So che sta pensando che non avrebbe dovuto chiamare.

Vedo un punto sufficientemente appartato dietro un’uscita di servizio e mi seggo lì, su un paio di gradini impolverati nascosti da una siepe.

-Matthew! Andiamo!- lo esorto preoccupato.

-Tutto o.k., Bri.- mente lui sbrigativamente.- Solo che Tom mi ha fatto una tirata d’orecchie e Dom e Chris gli sono andati dietro…

-Perché?- gli chiedo quando la sua voce comincia a sfumare in un sussurro.

-Ho pasticciato un po’ di cose oggi.- ammette con difficoltà.- Stavamo vedendo se riuscivamo a buttare giù qualcosa di nuovo, ma io non ci stavo troppo con la testa ed ho fatto casino.

Sospiro. Traduco: “non ci stavo troppo con la testa, perché la mia testa è lì da qualche parte degli Stati Uniti, con te”.

Vorrei rimproverarlo anch’io e dirgli che Tom ha ragione e che il lavoro è lavoro e lui dovrebbe smetterla di perdere tempo appresso al resto e concentrarsi. Ma “il resto” siamo noi ed io non ho davvero voglia che lui smetta di perdere tempo per me. Anche quando non posso averlo davvero se non al telefono, se non a distanza di migliaia e migliaia di chilometri.

-Brian.- mi sento chiamare dopo un po’. Mi concentro su quel tono incerto ed esitante e so già che sta per chiedermi qualcosa. Intuisco i suoi bisogni e so che farei di tutto per assecondarli.- Parla ancora.- mi chiede lui.

-Oggi siamo in albergo.- comincio piano, senza nessuna ragione se non esaudire la sua richiesta. Ridacchio un po’, giusto per sciogliere la tensione stupida che si è creata.- Non immagini nemmeno che voglia avevo di dormire in un letto vero!- Quando lui mi viene dietro ridacchiando come me, so che il primo passo è stato fatto. Anche se è solo una risatina debole è già un primo passo. Mi sento soddisfatto.- Steve però ha cominciato a lamentarsi. Sostiene che ormai si è talmente abituato al rollio del bus che è convinto di non poter dormire senza! Lo culla!

***

Ne abbiamo parlato una volta. Matt dice che la mia voce lo rilassa.

Ne ho sentite dire di tutti i colori sulla mia voce. La maggior parte dei commenti sono qualificabili come “affatto lusinghieri”, ma quando è venuto fuori il discorso con lui, mi ha detto solo questo.

“La tua voce mi rilassa”. E poi, “Canta per me”.

Sembra assurdo ma non mi era mai successo prima. Nessuno mi aveva mai chiesto di cantare e nessuno lo aveva mai fatto chiedendomelo a quel modo, senza sottintesi e senza doppi sensi. Era una cosa così nuova da lasciarmi senza parole a fissarlo sorpreso.

Ero a casa sua da un’ora almeno. Quando ero arrivato mi aveva accolto in tuta, ed era sciatto, concentrato e completamente assente al resto dell’Universo. Stava lavorando, come avevo capito quando ero entrato in salotto ed avevo trovato il piano aperto e disseminato di fogli scarabocchiati. Non ci scrive quello che suona, Matt non scrive mai quello che compone, lui riempie fogli e fogli di disegni e parole in libertà. Lo fa mentre aspetta l’ispirazione del momento, perché è come se la sua mente e la sua mano non potessero stare semplicemente ferme ad aspettare ma avessero comunque necessità fisica di esprimersi.

Ed è disordinato. Perfino più di me. Io sono disordinato come una persona pigra, che alterna periodi di lavoro frenetico e serrato a periodi di rilassamento completo, in cui non voglio nemmeno dovermi occupare di sopravvivermi.

Lui invece è disordinato come tutte le persone creative. La sua è una mancanza di tempo vitale da dedicare a tutto quello che la mente elabora. Fa una cosa e già sta pensando a quella successiva, è distratto e pasticcione; può dimenticarsi di bere, mangiare e dormire per giorni, per seguire l’idea del momento, e poi crollare all’improvviso dopo averla realizzata, troppo esausto anche per godersi il risultato del proprio lavoro. Non lo fa solo con la musica, lo fa con qualsiasi cosa gli salti per testa; e quelli che gli stanno intorno, se davvero vogliono continuare a farlo, devono essere pronti a corrergli dietro con tutte le proprie forze. O lo perderanno inevitabilmente.

Stare con Matthew decisamente non è una cosa facile.

Quel pomeriggio, comunque, c’era qualcosa che non andava e lui era teso e nervoso.

Non sono bravo come Stefan nel capire e risolvere i problemi altrui. Non sono bravo neanche con i miei. Parto dal presupposto, forse sbagliato, che se qualcuno ha bisogno di aiuto me lo chiederà.

Così per un’ora mi limitai a parlare senza interruzione di cose inutili, senza chiedere nulla nonostante continuassi a percepire quella tensione. E lui mi assecondò anche, venendomi dietro nelle chiacchiere senza senso che sciorinavo e ridendo con me per le battute idiote che ci scambiavamo. Mi convinsi che era solo una mia percezione sbagliata e mi rilassai contro lo schienale del divano mentre Matthew mi raccontava un episodio ridicolo capitato a Tom durante l’ultima esibizione. Io girai intorno lo sguardo e realizzai la confusione che regnava nel salotto.

-Dovresti mettere in ordine.- lo rimproverai quietamente, interrompendo il racconto ormai approdato alla fase dei commenti stupidi che seguono sempre la narrazione dell’evento in sé.- Pensa se venisse qualcuno dei servizi sociali, riusciresti a farti togliere la patria potestà su te stesso, se si potesse!

Lo sentii ridere sommessamente e mi voltai per incrociare i suoi occhi limpidi. Mi sorrise senza gioia.

-Suoneresti per me?- mi chiese.

Ed io mi sentii come se mi avesse domandato la luna, fiducioso che io sarei riuscito a catturarla per lui.

***

Credo sia ormai chiaro che ho di Matthew e delle sue capacità una stima indiscussa. Io non lo apprezzo semplicemente, io sono ferocemente invidioso di ciò che lui è e di ciò che io non potrò mai avere.

Il mio amore per lui, però, mi ha portato con il tempo a mutare quel sentimento di gelosia iniziale che provavo in qualcosa di molto più simile ad un’adorazione cieca e fedele.

Credetemi quando vi dico che non mi capita con molte persone.

Fatto sta che ogni singola volta che Matthew si siede al piano ed io sono nei paraggi, mi accosto al divano o alla poltrona più vicini e mi seggo lì ad ascoltarlo, socchiudendo gli occhi mentre poso la testa sullo schienale per guardarlo suonare, oltre che sentirlo. Per me è una cosa semplicemente meravigliosa.

Immagino sembri logico a chiunque dovesse accadere che, prima o poi, Matt mi chiedesse di essere io a suonare per lui. Immagino sia logico che succedesse. Ma a me in quel momento non sembrò affatto così scontato. Anzi. Mi sembrò assurdo e lo fissai come se non avessi nemmeno capito di cosa stessimo parlando.

-…cosa…- m’interruppi quando mi accorsi che la mia voce si rifiutava di articolare domanda. Me la schiarii, nel tentativo di concludere comunque, anche se con un tono ugualmente incerto e perplesso- Cosa dovrei suonare?- chiesi abbastanza stupidamente.

Matt ricambiò la mia perplessità, si voltò ad individuare la forma del pianoforte alle proprie spalle, poi tornò a guardare me e si strinse nelle spalle, un gomito posato sopra la spalliera e la fronte appoggiata al palmo della mano.

-Non ti ho mai sentito suonare il piano.- mi disse.

-Non lo faccio spesso.- assentii io in modo meccanico.

Mi sorpresi da solo rendendomi conto che mi stavo già sollevando dal mio posto, sfilando la giacca e lasciandola lì. Repressi l’istinto di rimettermi seduto e girai intorno al salottino, raggiungendo il pianoforte.

Matt mi venne dietro in silenzio. Sentii che si alzava anche lui per raggiungere una poltrona più vicina a me, mi ostinai a non guardarlo e posai le dita sui tasti del piano. Sotto i polpastrelli avvertii il calore che avevano lasciato le mani di Matt sull’avorio, la mia testa fluttuò brevemente ed io capii che non ero davvero in grado di suonare alcunché. Lasciai ricadere i palmi sulla tastiera ed un suono sgradevole ed improvviso riempì l’aria.

Matt mi guardava senza battere ciglio quando mi voltai a fissarlo smarrito. Si era sistemato sulla poltrona nella stessa posizione che aveva poco prima e mi scrutava in attesa, silenzioso e fiducioso.

-Cosa vuoi che suoni, Matt?- ribadii. E sembrò a me per primo un’esclamazione con la quale manifestassi l’assurdità palese della sua richiesta.

Lui mi sorrise ancora e me lo disse.

-La tua voce mi rilassa.- confessò piano.- Canta per me.- mi chiese, quindi. E spiegò- Qualsiasi cosa andrà bene, ma suona e canta per me. Ti prego.

Fu allora che mi resi conto per la prima volta che sarei davvero salito a prendergli la luna se me l’avesse chiesta.

L’ammirazione che Matt mi mostrava non riusciva in alcun modo a lusingare il mio orgoglio, con lui non riuscivo a sentirmi soddisfatto, tronfio e pieno di me. La sua venerazione valeva a gettarmi in uno stato di bisogno costante, che si traduceva nella necessità di assecondare i suoi desideri, le sue richieste, in modo da non deluderlo mai. E se lui voleva che io suonassi e cantassi per lui, io lo avrei fatto.

Non sapevo sul serio cosa suonare, peraltro, e lasciai che fossero le mie mani a ripescare nei ricordi che la mia mente vuota ricacciava indietro. Scivolarono da sole sull’avorio, ricordando e ripetendo i gesti che avevano imparato da bambine.

Matt si sistemò meglio sulla poltrona, la pelle scricchiolò un po’ ma lui cercò di fare meno rumore possibile. Sorrisi.

I tasti avevano irregolarità impercettibili, che mi solleticavano, formate dall’uso e dallo scorrere del tempo. Erano state le dita di Matt a tracciarle, ripercorrerle era come ripercorrere una mappa ideale della sua anima, che scorreva sui tasti quando componeva. Mi adagiai in quella sensazione e le mie mani mi seguirono adattandosi alla forma di quelle imperfezioni, così come fin troppo facilmente si erano adattate alla forma del corpo di Matt che scorreva allo stesso modo sotto i polpastrelli.

Matt accanto a me ridacchiò soddisfatto. Mi voltai a scoccargli un’occhiata rapida da sopra la spalla e lo vidi che mi fissava ancora.

-Cosa?- gli chiesi divertito, tornando a concentrarmi sul piano.

-Suoni divinamente.- mi disse lui.- Non capisco davvero questo tuo rifiuto del pianoforte.

-Solo pratica.- sminuii.- Ho cominciato da piccolo e studiato tanto.

-Beh,- borbottò lui.- sei dannatamente bravo lo stesso.

Risi. Non sapevo ancora cosa volesse che gli cantassi, così mi voltai di nuovo per chiederglielo, ma mi zittii da solo. Matt non mi guardava più. Il suo profilo era fisso su un punto vuoto del muro davanti a sé, lo sguardo concentrato su qualcosa che non era lì.

Allora tornai a guardare i tasti, la processione di bianco e nero che scivolava via da sotto le mani come un torrente, un getto d’acqua che con facilità scorresse tra le mie dita. Pensai a qualcosa che potesse rasserenarlo e mi ricordai – stupidamente e senza nessun legame apparente – che era stata mia madre ad insegnarmi a suonare il piano. Quando ero davvero piccolo. Un bambino che fuggiva un padre ingombrante, correndo a nascondersi sotto le gonne delle donne e preferendo restare lì, all’ombra della madre, piuttosto che accettare di dover affrontare quei timori irrazionali.

Allora lei mi prendeva e mi sedeva accanto a sé sullo sgabellino davanti al pianoforte. Mi sorrideva e si voltava verso i tasti, posava le mani lassù – come me in quel momento – e le lasciava correre via piano…

Quando cominciai a cantare lo feci nei miei ricordi, seguendo la linea immaginaria che tracciavano le parole di mia madre. Una ninna nanna da bambini.

***

Matthew respira al mio orecchio. Dall’altra parte del mondo. E sembra strano che io possa sentirlo comunque.

Parlo. So che non sta ascoltando più il senso di quello che dico già da un po’. Non importa. Continuo a parlare solo per sentirlo respirare ancora. Poi mi fermo e prendo fiato.

-Matt.- Aspetto che lui si scuota, riconosca il proprio nome ed accetti di rispondermi con un assenso breve che si perde tra i disturbi nella linea.- La settimana scorsa siamo stati in una specie di locale jazz.- gli racconto.- C’era una tizia che cantava una canzone bellissima.

-Davvero?- lo sento trattenere il respiro per un istante.- La sapresti cantare anche tu?- mi chiede esitante.

Sorrido. È solo una piccola bugia che gli propino, non c’era nessuna tizia e nessun locale jazz, ma non importa.

Lo sappiamo entrambi, tanto.

-Vediamo cosa mi ricordo.- dico.

***

Mia madre ha cantato per me finché non ho fatto dieci anni. La sera del mio compleanno è venuta a darmi la buonanotte come tutte le altre sere, mi ha rimboccato le coperte e baciato la fronte e poi mi ha detto “sei grande, Brian. Ora devi imparare ad addormentarti da solo”. C’era mio padre fuori dalla porta, l’ho visto attraverso il battente dischiuso, lei è uscita, e con lei se n’è andato anche lo spiraglio di luce sottile che arrivava dal corridoio.

I passi di mio padre sono l’ultimo suono che ricordo.

Eppure quel pomeriggio le parole della ninna nanna di mia madre mi ritornavano alla memoria con una facilità disarmante. Avrei voluto interrogarmi sul perché le avessi scolpite così a fondo nella mente. Anche se sentivo distintamente la mia voce sussurrarle appena al di sopra delle note del piano, per me era come se fosse lei a cantarle. Come se fosse seduta accanto a me, vicino al mio letto, e stesse facendo scivolare quelle parole insieme con la sua mano sulla mia fronte. La vedevo come fosse stata davvero lì, come se ci fosse stata la stessa luce soffusa che c’era in quelle notti un po’ troppo fredde e silenziose, come se ci fosse stato lo stesso ticchettio della pioggia sui vetri o il rumore soffice della neve che si ammonticchiava sul davanzale. Avrei voluto che fosse così, ma era solo la mia voce…invece…

Lasciai che si spegnesse insieme con il ricordo. Tirai via le mani dal pianoforte e le feci ricadere lungo i fianchi, fissando intontito i tasti. Mi voltai piano. Cercai nuovamente il profilo di Matthew, solo per accorgermi che era sprofondato tra i cuscini e la poltrona, chiudendo gli occhi, il respiro regolare che gli solleva il petto.

-…vorrei poterti dire che ho voglia di piangere.- sussurrai.

Quando lo vidi scostarsi, come se volesse svegliarsi, mi zittii.

Mi alzai lentamente e cominciai a raccogliere i fogli sparsi in giro ed a fare un po’ di ordine.

***

Quando torno indietro, gli altri hanno finito di pranzare. Evito gli ascensori e scelgo le scale, nella speranza illusoria di evitare anche Steve, Stefan ed Alex e le inevitabili sequele di rimproveri che seguiranno.

Ho chiuso meno di un momento fa, ho sussurrato “buonanotte” ad un Matt che sapevo già profondamente addormentato. Ho sorriso, immaginandomelo arrotolato tra le coperte con il cellulare abbandonato accanto a sé, ancora aperto. Domattina mi chiamerà e si scuserà per ore, dimenticandosi che sarò io, allora, ad essere ad un fuso orario tale da avere bisogno di dormire.

Non è che io non sappia che hanno ragione i miei amici, nel dire che dovrei rimproverarlo…o almeno provarci, a fargli intendere che dovremmo avere entrambi una vita più regolare. Sono abbastanza adulto da rendermi perfettamente conto di starmi comportando come un ragazzino.

Ma il punto è che ho bisogno di comportarmi come un ragazzino. Ho bisogno che Matt mi faccia sentire incredibilmente stupido ed in colpa perché ho saltato il pranzo per stare al telefono con lui, che ha fatto troppo tardi e domattina sarà troppo stanco e non riuscirà a combinare niente di buono al lavoro. Ho bisogno di questo ridicolo modo di comportarsi di entrambi e di sapere che dipende solo dal fatto che nessuno di noi due può davvero resistere senza l’altro.

Metto piede nel corridoio e vedo Steve che mi aspetta a due passi dalla porta della mia camera. Guarda verso di me e mi scorge subito. Una mano appoggiata al muro e l’altra sul fianco. Sospiro ed avanzo per riconoscere il suo sorriso un po’ tirato, di chi tollera ma decisamente sa che è arrivato il momento di dirmene quattro.

-Brian.- esordisce infatti.

-Sì, sì, avete ragione!- sospiro io alzando gli occhi al soffitto.

-Me ne infischio di avere ragione!- ribatte lui senza farsi prendere in contropiede.- Senti, non è che io abbia qualcosa contro te e Matthew…- comincia accondiscendente- Anzi! Sai che quel ragazzo mi piace molto. Ma non puoi continuare a non mangiare e non dormire per attaccarti a quel dannato telefono.- arriva inesorabile.

Mi fermo davanti a lui e ricambio il suo sguardo. Sbuffo. Come un ragazzino, appunto.

Sono seriamente ridicolo!

-O.k., lo so.- ammetto tentando di suonare convincente a me per primo. Sono sincero, Steve, ti prego…cerca di capirmi.

Lui mi capisce, infatti. Si tira su e stacca la mano dalla parete, grattandosi distrattamente la fronte.

-Stefan è incazzato nero.- ci tiene ad informarmi.- E sono cavoli tuoi, Brian, io non voglio nemmeno saperlo che vi dite!- mi minaccia subito dopo, agitandomi un dito davanti al naso.

È stato carino ad avvertirmi. Sorrido.

-Tranquillo, vedrai che non mi ammazza nemmeno stavolta.- ritorco stringendomi nelle spalle.

Accenna alla porta alle proprie spalle per farmi capire che sono congedato, almeno per quel che lo riguarda: vuole fidarsi ancora una volta della mia capacità di giudizio.

È un illuso. Dopo dieci anni dovrebbe saperlo che “la mia capacità di giudizio” è una realtà inconsistente.

Mi premuro di non confermarglielo e lo supero, posando la mano sulla maniglia con un saluto distratto e passando la tessera magnetica nella serratura, che scatta docile.

Quando entro mi ritrovo la tavola apparecchiata proprio davanti al naso.

Rimango sorpreso a fissare dalla soglia i piatti ancora coperti dallo scaldavivande, lascio andare il battente e quello mi si richiude alle spalle permettendomi di avanzare dal salottino alla soglia della camera da letto, dischiusa. Da dentro arrivano le parole sussurrate di qualcuno, cammino in quella direzione continuando ad osservare perplesso il tavolo imbandito e poi spingo anche quella porta ed entro.

Stefan è di spalle, sta tirando fuori dei vestiti dall’armadio e li sta sistemando sul letto. Sono vestiti miei, ovviamente. Parla al telefono con qualcuno, dal tono immagino che sia Vincent. Amo sentirlo parlare al telefono con Vincent, è sempre così deliziosamente dolce e serio…Solo che non ho tempo di mettermi ad origliare la loro conversazione, lui ha finito di scegliermi gli abiti e si volta, incontrando il mio sguardo.

-Ora devo andare.- annuncia al proprio interlocutore.- Ci sentiamo dopo, Vin.

Chiude. Incrocia le braccia sul petto. E mi guarda.

Tossicchio, decisamente imbarazzato, e mi metto un po’ più dritto prendendo risolutamente la decisione di parlare. Faccio appena a tempo ad aprire la bocca, Stefan mi precede.

-Hai venti minuti, Brian, poi devi essere seduto in macchina. Sai che vuol dire?- mi chiede incolore.

Rimango sufficientemente spiazzato da chiedermelo davvero cosa voglia dire. Ovviamente lui me lo fa intendere abbastanza in fretta, infila il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, avanza verso di me – due passi e praticamente me lo ritrovo addosso. Perché è così maledettamente alto?! – mi afferra per un braccio come si fa con i bambini piccoli e stupidi e mi porta davanti al tavolo, sedendomi lì, proprio di fronte ad un piatto.

-Tra un quarto d’ora voglio vedere tutto finito, Brian.- ordina perentorio.- Poi ti vesti e scendi a razzo qua sotto.- continua implacabile.

-Stef…- provo ad interloquire.

-No, Brian, non ti ho detto che hai diritto di ribattere.- mi fa notare lui pacatamente.- Se per caso trovo che hai lasciato…un fagiolino!- sottolinea mentre scoperchia il piatto e mi mette in mano una forchetta- giuro che ti strangolo con le mie mani, Brian. Poi aspetto che rinasci e vengo ad ucciderti di nuovo.

-…non sei buddista.- faccio notare, giusto per dirgli che quella della reincarnazione è una prospettiva improbabile.

A lui ovviamente non interessa.

-E siccome voglio essere sicuro che stavolta tu finisca questo dannatissimo pranzo,- continua senza nemmeno prendermi in considerazione.- questo è sequestrato fino a stasera dopo il concerto.

-Ehi!- strillo quando mi tira via il telefonino dalla tasca dei pantaloni. Lo mette al sicuro decisamente troppo in fretta perché io possa sperare di riprendermelo, così mi tocca osservare quell’infernale oggettino elettronico sparire nel taschino della sua camicia.- Non è giusto!- borbotto infilzando i fagiolini.

-Se sei un idiota di tredici anni non è colpa mia.- ritorce lui senza pietà. Si avvia alla porta e la apre- Brian, sono qui tra un quarto d’ora, sei avvisato.- ribadisce prima di uscire.

Sbuffo di nuovo, fissando l’olio colare lungo la forchetta mentre la porta si richiude alle spalle di Stefan.

 

 

Nota di fine capitolo della liz felice <3

 

Ciao a tutte le mie puccine <3 Intanto vorrei scusarmi molto per il ritardo nell’aggiornamento >_< Adesso che ho finalmente scritto pure l’epilogo e l’inizio di un omake che spero mi farà perdonare una certa quasi immotivata aggiunta di nomi all’elenco personaggi XD non abbiamo realmente più scusanti agli enormi ritardi che continuano a funestare la povera Trapped >.< Solo che uno si dice sempre “durante queste vacanze mi metto tranquillo e faccio tutto quello che di solito non riesco a fare perché ho altri impegni”. Ovviamente poi finisce che durante le vacanze ti ritrovi più impegnato del solito e non riesci comunque a concludere niente -.- Io avevo tanti di quei programmi, ma poi per una cosa o per l’altra fra tre giorni si ritorna alle normali attività e, di quello che volevo fare, ho fatto pochissimo (se non niente!). Ma insomma, queste lamentele non riguardano voi che siete l’amore <3 e non siete neanche costrette a subirle XD Perciò vi ringrazio e vi saluto <3 A presto :*
PS: Ah, se vi state chiedendo come mai questo capitolo sia così bello, la risposta è presto detta è_é L’ha scritto tutto Nai <3

 

 

Nota di fine capitolo della Nai:

 

Eccooooooooomi!!! ^_^

In ritardo come sempre (tutta colpa mia, la Liz non c’entra ç_ç), ma alla fine ci si riesce comunque.

…peccato che non sappia bene cosa dirvi! °_°

Salvo che vi amo tutte dal profondo del mio cuoricino contorto di emogirl mancata e decisamente stagionata ç*ç

Grazie.

E grazie, Lizziechan ç_____________ç

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Capitolo 6
*** Six. ***


Imperdonabile, la Nai s’era dimenticata i ringraziamenti iniziali! *disse la liz alle quattro e dieci del mattino, preparandosi a dare una scorsa al nuovo capitolo di Trapped, prima di postarlo* Non venitemi a parlare di irrazionalità, sono stata al telefono fino all’una e mezza e ho svuotato posta per le successive due ore!!! Il mio comportamento è perfettamente razionale!!! *ansima* Peraltro, fino ad ora ho letto altra roba della Nai. Quindi è colpa sua se sono ancora sveglia. Ecco.
…comunque. Grazie a Whity (amiamo le new entry *-*) ed alle sempre adorate Isult, Stregatta, Erisachan e Memuzza <3 Vi lovviamo <3 A dopo, per le note finali che scriverò per ultima, yay <3

…they have trapped me in a bottle…

Six:

Certe volte mi sembra di vedere accadere le cose attorno a me come in quei videogiochi in cui lo schermo viene diviso in due per permettere ai giocatori di avere una visione in tempo reale di ciò che sta avvenendo in un altro luogo. “Vedo” le cose, anche quando non dovrei poterle vedere perché magari si stanno avvicendando oltre il muro, o a chilometri di distanza da me.
È più o meno la sensazione che sto provando adesso, mentre rovisto nello scatolone che ho trovato sul fondo di un sedile nel retro del tour bus e l’aria tranquilla della vettura rimanda alle mie orecchie la melodia di un vecchio successo estivo di qualche anno fa e… l’urlo bestiale di Steve che riemerge dalla propria cuccetta e si chiede – giustamente – cosa diavolo stia succedendo.
Posso vederlo davvero guardarsi intorno con aria smarrita, strabuzzando gli occhi incredulo, mentre cerca le parole per esprimere il proprio sconvolgimento.
Sorrido a metà, mentre mi tuffo più in profondità nello scatolone.
- Cos’è questo schifo, Stef?! – strilla Steve. Lo “vedo” passarsi una mano fra i capelli, dopo aver gesticolato animatamente quando poneva la domanda.
Sento Stef ridacchiare allegramente e rispondere che “questo schifo” significa che io sono felice, e che dunque lui dovrebbe portargli più rispetto.
- Lo preferivo quando era depresso! – commenta Steve, disgustato, - E questa canzone è… terribile! – aggiunge, con lo stesso tono inorridito col quale un padre molto severo rimprovererebbe il proprio figlio se gli trovasse una scatola di preservativi nel cassetto del comodino. – Lui dov’è?
Stef solleva un pollice verso il fondo del bus. Lo so, perché il suo risolino divertito sta dicendo che la prospettiva di Steve che mi maltratta per il mio pessimo gusto musicale lo alletta particolarmente. Poi, sento i passi decisi e pesanti di Steve, ancora un po’ strascicanti di sonno, avvicinarsi a me. Affondo ancora un po’ il viso nello scatolone, sperando di salvarmi dalla sfuriata.
- Brian! – comincia lui, ma si ritrova costretto al silenzio quando una vecchia maglietta dei Metallica gli finisce dritta sul naso, aprendosi come una rete da caccia e avviluppandoglisi attorno alla testa, soffocandolo.
- Questa avrà come minimo cinque anni! – gioisco, soddisfatto del ritrovamento, - L’ho usata per dormire per un intero mese durante il tour… credo di non averla neanche lavata, prima di infilarla qua dentro!
Steve si libera della maglia con uno sbuffo esasperato e vagamente disgustato, e me la avvolge attorno al collo come una sciarpa.
- Si può sapere cosa diavolo stai facendo?! – chiede un po’ incerto, squadrandomi dall’alto.
- C’era questo scatolo – dico, indicando appunto lo scatolo, - sotto quel sedile. – concludo, indicando anche il sedile incriminato.
- Oh. – annuisce Steve, incrociando le braccia sul petto, - Quindi stai facendo un revival. E La Macarena è la colonna sonora. Dio mio!
Ridacchio un po’, ficcando le mani in fondo allo scatolone e riemergendone con un paio di bacchette rosa fra le dita.
- Ah…! – esalo, al colmo del disappunto, - Le avevi lasciate qui, allora!
Steve arrossisce e cerca di rubarmele di mano.
- Non sapevo che fossero qua! – si giustifica blandamente, mentre allontano le bacchette da lui.
- Non ti regalerò più niente. – sbuffo contrariato, abbandonandole poi sulla pila di oggetti che ho già tirato fuori e osservando Steve chinarsi per afferrarle e nasconderle infastidito sotto la maglietta, incastrate fra il ventre e l’elastico dei pantaloni della tuta che indossa.
Continuo a rovistare, nella speranza che qualche altro cimelio storico riveli la propria presenza, confidandomi segreti che sono semplici ricordi, che credevo estinti – e che non lo erano.
- Questa roba dovresti bruciarla… - sussurra Steve, cogliendo in un colpo d’occhio una foto che mi raffigura ubriaco, intento a cantare qualcosa sul tetto di una macchina, prima che io possa affrettarmi a farla sparire sotto una sgabello ripiegabile.
- No… - dico io, con tono lamentoso, - Perché?
Lui sorride, indicando con un cenno del capo un’altra foto. Stavolta siamo io ed Helena, aggrappati l’uno all’altro sul divanetto di un locale londinese random.
Scrollo le spalle.
- Non sono cose che ricordo con tristezza, sai? – gli faccio notare, con una punta di fastidio, mentre anche lui si mette a rovistare nello scatolo, interrompendo la mia ricerca.
- Sono cose che non ti appartengono più. – spiega lui, tranquillo, - Roba vecchia. Non aggiunge niente a ciò che sei adesso. Che cosa sono questi calzini pelosi…?
- Li ho comprati ad Amsterdam! – sbotto, - Sai quanto tengono caldo la notte?
- Evidentemente non così tanto, - dice lui, con una scrollatine di spalle, - se li hai dimenticati qui per tutto questo tempo.
Abbasso lo sguardo sul contenuto dello scatolo, per poi spostarlo sulle cose che ne ho già tirato fuori, e che aspettano direttive per capire cosa fare di sé stesse.
In effetti, realizzo fin troppo serenamente, ognuna di queste cose ha un motivo ben preciso per trovarsi qui.
E anche un motivo molto valido per rimanerci.
- Suppongo di sì. – dico svogliatamente, lasciandomi andare seduto per terra.
Steve continua a rovistare nello scatolone ancora per un po’. Poi sul suo volto si apre questo sorriso enorme, e lui riemerge dal disastro in cui ha ficcato la testa e mi guarda. Solleva una mano. Fra le dita tiene una foto. Sulla pellicola lucida, tre volti sorridenti. Lui, io e Stef, stretti insieme in un melenso abbraccio di gruppo dopo un concerto.
- Salviamo questa e buttiamo tutto il resto! – suggerisce felice, - Ok?
Sospiro, poggiando i gomiti sulle ginocchia e piegandomi lievemente in avanti. Sorrido anche io.
- Ci penserò.

*

Mi avvicinai a lui solo dopo una mezz’oretta, perché stavo cominciando a sentirmi trascurato. È una cosa che può capitare, con Matt, perché da questo punto di vista è molto infantile, e quando si concentra su qualcosa difficilmente è in grado di pensare ad altro. Intendo, non è che si dimentichi della tua esistenza… probabilmente ha come un allarme interiore che, passato un determinato periodo di tempo, lo costringe a staccare gli occhi da qualsiasi cosa stia facendo e chiederti un parere a caso per rassicurarti sul fatto che sì, sa che sei ancora lì, e sì, gli interessa che tu ci rimanga…
…ciò detto, comunque, quando qualcosa di particolarmente accattivante cattura la sua attenzione, è difficile che l’allarme scatti prima di un’oretta o due. E siccome la mia tolleranza resiste al massimo quarantacinque minuti, cerco sempre di risvegliarlo dalla trance in tempi utili. Ovvero, prima di cominciare a strillare come un ossesso, affermando che mai e poi mai mi lascerò ignorare dal primo venuto, che non tollero neanche la sua vista e che farebbe bene a non farsi risentire mai più, “tanto, per quello che gliene importa!”.
Sì, a volte ho davvero reazioni simili. E no, non ne vado fiero. E sì, Matt c’è già passato, nonostante stia con me da relativamente poco. Ma no, non mi ha dato del pazzo furioso. Piuttosto, sì, s’è messo a ridere. E, sorprendentemente, no, questo non mi ha offeso.
Comunque, mi avvicinai e cercai di evitare di sbirciare oltre la sua spalla, perché io odio lo si faccia con me, e non volevo infastidirlo.
Lo vidi riscuotersi e sollevare il capo come avesse percepito la mia presenza.
- Brian! – trillò felice, ed io sorrisi istantaneamente. Mi piace quando dice il mio nome, lo fa suonare dolce. E il mio nome fa veramente schifo, quindi c’è di che stupirsi. È un’altra delle sue magie, suppongo… - Stavo pensando proprio a te! – aggiunse, ruotando sulla sedia per guardarmi meglio.
- Ero qui dietro… - gli feci notare dolcemente, appoggiandomi alle sue spalle con le braccia incrociate.
- Sì, lo so! – disse lui, ridacchiando, - Intendevo proprio che stavo pensando a te mentre lavoravo a questo…
- “Questo”…? – chiesi titubante, ancora restio a guardare sul tavolo.
Lui annuì tranquillamente.
- Un romanzo. – spiegò.
Le sue parole mi convinsero a dare una sbirciatina. Vidi fogli enormi, i tipici fogli da album A4, sparsi ovunque. Alcuni bianchi immacolati. Altri… colorati.
- Un romanzo, Matt…?
- Be’… - precisò lui, un po’ incerto, - Un romanzo illustrato.
Sbuffai, vagamente divertito.
- Non sapevo che avessi velleità di questo tipo.
- Ma no… - arrossì lui, - Non intendo mica pubblicarlo o che… Solo… concluderlo.
Ridacchiai.
- E vediamo un po’ questa storia… - lo stuzzicai, arrampicandomi sulle sue spalle per guardare meglio.
- Aaah! No! – mi contrastò, gettandosi a peso morto sul tavolo, coprendo i fogli col proprio corpo, - Non puoi cominciare da qui! – mi ammonì seriamente, - Devi cominciare dall’inizio, questa è circa la metà…
- Oh… - annuii, un po’ preoccupato dal fatto che lui la stesse prendendo così seriamente.
Mi lasciai trascinare per mano fino ad una specie di enorme credenza dall’aria antica, che riempiva per metà il corridoietto appena fuori dal suo studio. Lo osservai aprire gli sportelli e sobbarcarsi del peso di un’incredibile quantità di fogli, che riportò nella stanza dalla quale eravamo usciti. Nel frattempo, aveva anche preso a parlare. Si muovevano, lui e la pila di fogli, borbottando “Non essere troppo severo” sottovoce, ondeggiando pericolosamente. Il fruscio della carta sembrava anche lui un borbottio insicuro.
Scomparve oltre la soglia della porta e poggiò i fogli sul tavolo.
- Perciò… - cominciò, ma si fermò subito. Rimase un attimo in silenzio, e dopo un po’ lo sentii chiamarmi a mezza voce.
Io ero rimasto in corridoio. Non so nemmeno perché.
Si affacciò dallo studio e mi chiese se per caso non fossi scemo. Dopodichè, mi tese la mano. Io accettai la stretta e lasciai che fosse lui a trascinarmi di nuovo davanti alla scrivania.
- Bene. – disse con aria grave, sollevando un foglio, - Cominciamo.
Il disegno consisteva in una linea azzurra orizzontale, che tagliava in due l’immagine, una palletta rossa con due pallette nere sotto, a sinistra, e una palletta verde al centro. In alto, un’altra palletta, stavolta gialla.
Non avevo la minima idea di cosa potesse rappresentare. E dimenticai la sensibilità, nel farglielo presente.
- Come “cos’è”?! – strillò lui, mortalmente offeso, - Una strada! Una macchina che l’attraversa! …e questo è un cactus!
- Oh. – presi nota, - E quello è il sole…?
Lui annuì freneticamente, stringendo la presa sul foglio in maniera convulsa.
- Scusa… - mormorai incerto, mordicchiandomi le labbra.
Matt scosse il capo, posò il primo foglio e ne prese un secondo.
Stessa linea azzurra, stessa palletta gialla, stessa palletta verde. La palletta rossa con le due pallette nere si trovava adesso al centro, poco più indietro rispetto al “cactus”.
- …la macchina si è mossa?
Annuì, ancora deluso dalla mia incredulità.
Posò anche il secondo foglio e recuperò il terzo.
Tutto uguale, ma la palletta rossa era a destra, carico di pallette nere compreso.
- …ed ora è arrivata.
Lui annuì ancora.
- Ma solo alla fine del primo capitolo! – precisò, agitando un dito.
- Più un prologo, direi… - risi io, osservando il resto dei fogli sparsi disordinatamente sul tavolo.
Matt sbuffò e rimise tutto in ordine, borbottando deluso, preparandosi a riportare i fogli nella credenza.
- Non fare così, su… - dissi io dolcemente, abbracciandolo da dietro, - Perché non me ne dai un po’? Lo porto a casa e lo leggo quando ho tempo.
- Tanto non lo capiresti! – si lamentò lui, cercando di divincolarsi dalla mia stretta.
Io ridacchiai un po’. Mi dispiaceva averlo offeso così, ma la cosa nel complesso era così carina e, be’, diciamocelo, così idiota, che proprio non riuscivo a prenderla seriamente.
- Credo tu abbia ragione… - commentai, bloccandogli le braccia e sollevandomi appena per baciarlo sulle labbra, - Ma capisco anche solo la metà dei tuoi testi… eppure questo non ti impedisce di farmi ascoltare le tue canzoni.
- Sono cose diverse! – protestò giustamente lui, scuotendosi, infastidito dalla prigionia in cui l’avevo ridotto.
Lo lasciai andare, mettendo le mani sui fianchi e guardandolo, un po’ perplesso. Mi aspettavo che si allontanasse sbuffando come una piccola teiera in ebollizione, caricando sulla spalle la montagna di fogli e traballando lungo il corridoio lanciando fumo dalle orecchie.
Questo non avvenne.
Rimase fermo, lasciando cadere lo sguardo sui fogli quasi volesse accarezzarli e abbracciarli tutti.
Gli passai due dita sul mento, stringendolo dolcemente fra i polpastrelli e obbligandolo a guardarmi negli occhi.
- Non volevo. – dissi serio.
Lui esalò un lieve sbuffo d’aria.
- Lo so… - mormorò, - Sono io lo stupido.
- No che non sei tu… - ridacchiai, sollevandomi e strofinando una guancia contro la sua, - Non sono stato abbastanza sensibile.
- No, questa roba è idiota. – continuò lui, testardo, - Sono stupidi disegni infantili e la storia non va da nessuna parte. E-
- Ed è adorabile. – strinsi le braccia attorno al suo collo, sfiorandogli il lobo con le labbra, - È adorabile che sia così sciocchino e infantile. Sei adorabile tu.
Mugolò una protesta di un’unica emme strascicata, cercando di divincolarsi con poca convinzione. Io continuai a tenerlo stretto.
- Se avrai pazienza potrai spiegarmi tutto. – gli dissi, accarezzando lievemente le spalle sotto la maglietta leggera che indossava, - E se è vero che la storia non va da nessuna parte, possiamo trovarle un finale insieme.
Matt annuì, rilasciando finalmente il capo contro il mio e riprendendo a respirare come avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
In realtà, questa è una cosa che mi ha sempre fatto un po’ paura. Matt regge bene i colpi ed è una persona estremamente forte, perfettamente in grado di sopportare i drammi anche per gli altri, se è il caso. Ma ha questi momenti incredibili in cui ti si abbandona addosso e sospira, e tu lo senti piccolo e caldo contro di te, così rilassato e tranquillo, come ti stesse mettendo la vita nelle mani e non avesse la benché minima voglia di starci a pensare troppo su…
…è spaventoso, che riesca a farlo.
È spaventoso che, quando lo fa, riesca anche a darti l’illusione di essere in grado di reggerlo esattamente come farebbe lui con te, se le posizioni fossero ribaltate.
Quando, in passato, Matt s’è affidato a me, io ho sempre creduto che sarei stato in grado di aiutarlo. E quando lui mi sta vicino, la sensazione è ancora vivida. E riesco a crederci sul serio.
Quando è lontano, però, non è la stessa cosa. E troppo spesso ho un po’ di paura di non riuscire ad aiutare neanche me stesso, senza di lui. Figurarsi qualcun altro.

*

- Matt, tu riesci a vederci nel futuro?
Non l’ho salutato. Non ho detto chi ero – ma di questo non c’era bisogno. Non gli ho chiesto come stesse, cosa stesse facendo, se avesse altri impegni, se avesse il tempo di starmi a sentire, di seguirmi nell’ennesima conversazione folle nella quale lo costringerò ad inerpicarsi per seguire il filo sempre più confuso e aggrovigliato del mio pensiero malinconico.
L’ho semplicemente sparata lì, perché è da tutto il pomeriggio che ci penso e non vedevo l’ora di essere libero da impegni di ogni sorta per potermi attaccare a questo dannato cellulare e raggiungere la sua voce dall’altro lato dell’oceano.
L’ho sparata lì sperando che lui riuscisse a tirarne fuori qualcosa di utile.
Perché è la classica domanda del cazzo che ti fai quando sei mortalmente triste e mortalmente annoiato e anche guardare un tramonto non riesce ad essere più una normale operazione vagamente romantica, ma deve trasformarsi necessariamente in qualche deprimente metafora sulla vita e sulla morte o, peggio, sulle relazioni sentimentali. E quindi sì, era una domanda inutile.
Ma ho visto Matt tirar fuori qualcosa di sensato anche da cose più assurde. Perciò ho buone speranze di riuscire nel mio intento.
- Come hai detto? – chiede lui, incerto, spostandosi verso un punto più tranquillo del luogo in cui si trova. Che, a giudicare dal vociare convulso attorno a lui, deve essere particolarmente affollato.
- Ti ho chiesto se riesci a vederci nel futuro. – ripeto seriamente, senza muovermi di un centimetro dal luogo in cui sono. Ovvero la tazza del bagno sul tour bus.
- Be’, mi piacerebbe. – ridacchia lui, in quel modo stupido e oltremodo tenero in cui sembra stia dicendo proprio hehe, - Ma non sono una chiromante. Non ancora, almeno. Ma ho una zia che se ne intende, se vuoi…
- Scemo… - biascico stancamente, lasciandomi andare di schiena contro la cassetta attaccata alla parete.
- Sicuro che sia tutto a posto? – chiede Matt, mascherando l’evidente preoccupazione nella voce con una risatina nervosa, - Quando ti ho sentito prima eri completamente esaltato, sembrava che dovessi cominciare a volare da un momento all’altro, e ora stai così
- Ma che vuol dire “così”? – rido anche io, altrettanto nervoso, - Guarda che non ho niente, ti ho solo fatto una domanda…
- Ma non mi hai mica chiesto com’è il tempo Brian… non sono stupido…
Mai pensato…
Cioè, forse sì.
Ma era tanto, tanto, tanto tempo fa, e ormai me lo scordo sempre.
E poi ero un idiota.
Oh, be’, lo sono ancora.
- Sei un idiota, Bellamy.
- Ma-…!
- È che stamattina – riprendo in fretta, prima che possa continuare, - ho trovato una cosa che mi ha fatto… ricordare delle cose…
- Dio, mi sembri mia madre…! – esplode lui, con tono lamentoso.
- Eh…? – chiedo io, dal momento che non comprendo il parallelismo.
- Ma sì! – spiega Matt, nella voce quel lieve tono di irritazione giocosa che i figli amano utilizzare quando parlano dei propri genitori, - Tipo quando mi chiama e comincia a ciarlare di cose assurde e poi spara fuori il nome di un qualche strumento allucinante e mi chiede se per caso non mi ricordi dove lo mettesse, dato che lei non riesce più a trovarlo! E comincia, “Ma sì, Matty, quel coso, lo mettevo sempre lì, nel coso, possibile che non ti ricordi?”. E io faccio l’espressione dell’arancino rosa con gli occhi pallati e faccio “Mamma, ma che diamine! Non vivo più con te da più di dieci anni! Come puoi pretendere che sappia in che coso hai ficcato il coso?!”. – sbuffa, mentre io trattengo a fatica le risate e sono seriamente tentato di afferrare l’asciugamano penzolante dal sostegno attaccato al muro e soffocarmi con quello, nella speranza di non svegliare nessuno, - A volte mi fa impazzire. Voglio dire, per quale accidenti di motivo avrei obbligato Paul a restare a vivere con lei, se non fosse per il fatto che io non potevo farle da balia?! – un attimo di pausa, che io utilizzo saggiamente per decidere che sì, posso usare l’asciugamano, o Alex mi strillerà in testa fino a domattina, e poi riprende, - Ma poi il coso che metteva nel coso?! Che cosa accidenti vorrebbe dire?! Scommetto che avrei difficoltà anche se vivessi con lei!
Si ferma, sbottando un ulteriore “bah” mentre mi ascolta affondare il viso nell’asciugamano e tamponarmi le labbra perché non sfuggano troppe risate sguaiate.
- Non ti ammazzare. – commenta ironico, punzecchiandomi.
- Ma che diavolo di mestiere faceva tua madre, Matt? – chiedo, ormai tanto preso dal discorso da poter accantonare la stupida domanda dalla quale tutto è partito, - La faccenda dei “cosi” mi preoccupa…
- Ma no, era un’innocua maestra elementare! Solo che da quando è andata in pensione ha deciso che l’arte è la sua via e s’è messa a dipingere quadri! Puoi crederci?
- Uhm. – mugugno, puntellandomi il mento con l’indice, - In una parola? Sì.
- Basta! – sbotta lui, soffiando nella cornetta, - Mi stai prendendo per il culo!
Ridacchio e resto in silenzio, dondolandomi tranquillamente sul water. Non so neanche di cosa resto in attesa, probabilmente era in un locale a passare un po’ di tempo con Dom e Chris e io sono piombato nel mezzo della sua serata blaterando insensatezze e costringendolo a blaterare a propria volta senza un perché, quindi, se volesse, potrebbe semplicemente salutare e buttare giù, e non potrei avere niente da ridire.
A volte spero quasi che lo faccia. Che mi dimostri che in fondo non siamo poi così attaccati, così disgustosamente compatibili e perfetti l’uno per l’altro.
- Comunque, certo che riesco a vederci nel futuro.
…no, ho detto una bugia.
- Felici e contenti.
Non vorrei mai che me lo dimostrasse.
- In una casa tutta nostra.
Semmai il contrario.
- Feste di Natale e compleanni coi parenti compresi.
Mi piacerebbe davvero continuare a illudermi fosse vero il più a lungo possibile.

 

Nota di fine capitolo della Nai:

*___________________________* 

Fidatevi, riassume esattamente il mio stato d’animo nel rileggere.
Questo per me è il capitolo più Bello! dell’intera fan fiction (per cui siete autorizzati a smettere di leggere da qui in poi -_-).
E posso dirlo con felicità e gioia! Perché io non ci ho messo niente di niente!!!
Quindi, senza alcun pudore, grido gioiosamente che questo è il Capitolo Più Bello Della Fanfiction!!! *-*
Amerò Matt per il resto della mia vita solo per quelle due battute finali T_T

- Felici e contenti.
e
- Feste di Natale e compleanni coi parenti compresi.
Brian, sposalo o sei un pirla!!! Tu non ti rendi conto!!! Sei la donna più fortunata del mondo!!! çOç
 

Lizzie, sei un genio ç_ç
 

p.s. per capire le affermazioni di Nai: Brian nella testa di Nai E’ donna ù_ù

 

 

Note di liz che si prepara ad intimorirvi:

Nai è pazza e questo NON è il capitolo più bello della fanfiction. La cosa è puntualmente dimostrata dal fatto che l’ho scritto io (previo betaggio immancabile della mia adorata, s’intende <3). Insomma, voglio dire. Io + capitolo più bello? Ma no. Suona strano anche a voi, no? Certo che sì, suona strano perché è strano e folle, quindi non sognatevi nemmeno di fermarvi qui, con la lettura: ci sono ancora un mucchio e mezzo di capitoli e devono succedere ancora mille cose fra l’orribile e il puccettoso (la colpa di gran parte delle quali, lo ammetto, è mia, anche se ogni tanto io e Nai ci ritroviamo seriamente a chiederci di chi sia stata l’idea di infilare Gerard Way in questa fanfiction. Per punire e lobotomizzare il colpevole, ovviamente -.-). Quindi, afferrato il messaggio? Non abbandonate Trapped, Trapped vi ama, amatela anche voi çOç
(È figo scrivere le note per ultima, mi permette di farvi il lavaggio del cervello! Non capisco perché Nai si ostini ad obbligarmi a scriverle per prima una volta sì e l’altra no, è indecente!!!)
Ci tengo a specificare che, quando ho scritto la prima parte del capitolo, il fattaccio non s’era ancora consumato ç^ç I Placebo erano ancora una splendida famiglia felice ç^ç E noi non avevamo alcun motivo per odiare irrazionalmente Brian per le sue dichiarazioni postume ai limiti del decoro umano ç^ç Quindi, chiaramente, quando poi il fattaccio s’è consumato, è stato drammatico riprendere il capitolo in mano e cercare di concluderlo mantenendo intatta la vena pucci-lol ç_ç Spero che le macchinine illustrate di Matt e il coso nel coso di sua madre (ahi, suona ambigua alquanto, mh? :3) siano serviti allo scopo. In caso contrario, mi scuso ç_ç
A presto <3

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Capitolo 7
*** Seven. ***


Nuova pagina 1

Ero ubriaca quella sera!!! (scusa improbabile della Nai per giustificare il mancato inserimento dei ringraziamenti)

ç__________ç

Perdono!

 

L’Easily Forgotten Love ringrazia tutti i lettori e le lettrici ^_^

Ed un grazie speciale con un grosso bacio a Whity, Isult, Stregatta ed Erisachan per il loro sostegno continuo!

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Seven:

 

- Tu non capisci. – esordisco al telefono, dopo aver aspettato per quelli che mi sono sembrati secoli che Matt sollevasse la cornetta e rispondesse un trasognato “pronto?”.

- …no… - ammette lui, confuso, - Non solo non capisco quello che mi stai dicendo, ma dato che sono le… - lo immagino lanciare uno sguardo veloce alla sveglia sul comodino, - …tre del mattino, Brian… non capisco niente neanche a livello assoluto…

- Però hai fiato per parlare! – sbotto io, appoggiando la schiena contro il finestrino e distendendo le gambe sulla panca accanto al tavolo.

Matt sospira e sbuffa un mezzo sorriso.

- Cos’è successo? – chiede premuroso, mentre lo ascolto sistemarsi fra le coperte per mettersi seduto.

- Stefan. – rispondo con naturalezza, lanciando uno sguardo circospetto tutto intorno a me.

- …Stefan?

- Stefan!

- …Stefan. Ok. Stefan. È successo qualcosa a Stefan?

- Certo che è successo qualcosa a Stefan, altrimenti non sarei qui a ripetere “Stefan” come un demente perché tu non riesci ad afferrarlo alla prima, Bellamy!

Matt ride. Sono contento che prenda questa mia momentanea isteria nel modo migliore – ovvero per la momentanea isteria che in effetti è. La sua risata tranquilla è esattamente quello che mi serve per smettere di strillare.

- Racconta, su. – mi incita. Nella sua voce non c’è più neanche una traccia di sonno, e non faccio in tempo a sentirmi in colpa per questo che lui insiste, - Allora? – e mi obbliga a rispondere.

- È cominciato tutto quando abbiamo incontrato i cosi, là, i My Chemical Lagnance!

- …i chi? – interroga lui, tornando confuso.

- Ma sì che li conosci!

Lui pare fare mente locale.

- I My Chemical Romance. Ok. Ti piacevano, fino a una settimana fa.

- Certo, perché ancora non conoscevo quel mostriciattolo diabolico del loro cantante!

- Uh. Avanti, in fondo Gerard non è così male…

- Gerard! – strepito, alzandomi in piedi di scatto e cominciando a vagare come un’anima in pena per il tour bus ormai vuoto, - Gerard, diavolo! Già il nome, Dio mio, è un nome da piccolo aiutante di Satana!

- Non confondere le leggende, Bri, quelli sono i folletti di Babbo Natale…

- Piantala, so esattamente di cosa sto parlando! – mi lamento indispettito, - E poi che vorrebbe dire “Gerard”? Lo conosci?

- Be’, sì, i MyChem hanno aperto il secondo concerto a Wembley…

Mi fermo, strabuzzando gli occhi e rimanendo in silenzio.

- …no, non li chiamerò mai più MyChem, Bri. Tranquillo.

Riprendo a respirare e borbotto un “sarà meglio!”, prima di ricominciare il racconto.

- Comunque, dovevo capirlo che sarebbe stato un problema. Fin dal primo giorno!

- Mh. – annuisce lui, attento, - Perché? Che ha fatto?

Raccolgo tutto il fiato che ho in corpo e sbotto.

- S’è messo a girare attorno a Stef!

È il momento di tacere un po’ anche per Matt.

- Ah. – dice, dopo una lunga pausa di riflessione, - Adesso capisco.

- Non sono geloso!

- No, no. – afferma lui, ridacchiando.

- Davvero! – rinforzo io, vagamente imbarazzato, - È che mi infastidisce! Il povero Vincent è li a casa ad aspettarlo come tutte le brave spose di guerra e Stefan se la spassa con questo ragazzino del cavolo!

- Vincent non è una sposa e voi non siete in guerra… - precisa Matt, continuando a ridere, - E oltretutto Gerard non è un ragazzino, Brian, ha la mia età…

Borbotto un dissenso poco convinto e mi fermo istantaneamente, quando lui ricomincia a parlare.

- E comunque non devi preoccuparti, è innocuo. Credo abbia una passione per i bassisti, ci ha provato anche con Chris. Probabilmente non ci prova con il suo perché sono fratelli, ma dal momento che è strano non ci giurerei…

Adoro quando blatera.

Adoro che lo faccia per consolarmi perché sono geloso.

- Innocuo non direi. – brontolo, lasciandomi ricadere di nuovo sulla panca, - Indovina cos’è successo stamattina?

- Mmmh… ti sei svegliato e te lo sei ritrovato nel letto? – ipotizza curioso.

- Né io né lui saremmo ancora vivi per raccontarlo! Comunque no. Stavo prendendo il mio caffé e all’improvviso sento gli anelli delle tende della zona notte che scorrono… - Lo sento sbadigliare, - Mi ascolti? – “sì, sì”, bisbiglia lui, - E insomma, mi volto – continuo impietoso, - e loro due stanno là, mezzi nudi, che escono insieme dalla zona notte!

Scoppia a ridere. Lo sento rotolarsi fra le lenzuola.

- Però! Dimmelo, se devo cominciare ad evitare Vinny…

- Ma no, che c’entra… - sbuffo, guardandomi alle spalle per vedere se riesco a distendermi, - Stef mi ha assicurato che non hanno fatto niente. Anche se, sinceramente, non so se credergli… dal primo giorno non ho fatto altro che dirgli che avrebbe dovuto smettere di trattarlo come un cucciolo carino e toglierselo di torno, ma lui mi ha sempre risposto che gli piace adottare cuccioli carini, perché sono carini…

- Oh, andiamo! – sbuffa divertito, - Conosco Stef, conosco Vin e conosco Gerard… - si interrompe, ascolta il mio silenzio, si corregge, - Conosco Stef e conosco Vin, so che si amano e scommetto che non sarà Gerard Way il motivo della loro separazione.

- Perché – chiedo agitato, - pensi potrebbe esistere un motivo per il quale separarsi…?

- Mh-hm. – annuisce scherzosamente lui, - Un frontman iperprotettivo, ad esempio.

- Stronzo! – sibilo io in una mezza risata, - Non sono un rovina famiglie! Mi offendi!

- Ah, sì! – concorda, - Hai anche tu una tua etica, lo ammetto.

Rimaniamo in silenzio per un po’. Lo ascolto respirare, dall’altro lato dell’oceano. Lo ascolto distendersi nuovamente fra le lenzuola, sistemare il cuscino sotto la testa, stendere le gambe sul materasso e incastrare un braccio dietro la nuca.

- Va meglio? – mi chiede a bassa voce.

Se dicessi sì, in questo momento, sarebbe palese che sto bene solo perché lo sento parlare, e che se sopravvivo è solo perché lui in qualche parte del mondo esiste e questo rende il mondo stesso un posto migliore.

Non sono sicuro di volerlo ammettere, nonostante tutto.

- Amore, ho sonno, cerca di farmi sapere se sei ancora vivo prima che torni in letargo…

Sbuffo e sorrido.

Matt non ha il minimo senso del limite.

- Sì, sono vivo. – lo rassicuro, - E sto meglio. Grazie.

***

Il primo problema, chiaramente, è sempre stato riuscire a vedersi.

Avere una relazione in cui entrambe le parti sono generalmente impegnate in giro per il mondo per periodi di mesi e mesi ininterrotti, può rapidamente trasformarsi nella ragione più valida perché una storia finisca in uno spazio di tempo brevissimo.

Non si tratta di una semplice relazione a distanza, in cui comunque si creano dei ritmi, ci si ritaglia degli spazi. Si tratta di non avere ritmi e non avere spazi, se non presi di forza, all’ultimo minuto, fuggendo da qualsiasi altro impegno più pressante che ci sia da osservare.

Quella notte accadde proprio questo.

Non ci capita spesso – a me e Matt, intendo – di poter passare la notte assieme. Sembra strano, ma invece è orribilmente ordinario, avere impegni per l’indomani mattina che ci impediscano di trattenerci a casa l’uno dell’altro. O comunque nel letto l’uno dell’altro.

Generalmente quelle rare volte che annusiamo questa possibilità, siamo entrambi talmente euforici da dimenticarci di tutto. Tipo, quella notte, dimenticarci che eravamo comunque ad un party di beneficenza e che ci si aspettava comunque che facessimo presenza, prima di dileguarci insieme. Cosa che, ovviamente, mancammo di fare. Aspettammo alla festa giusto il tempo necessario ad incrociarci dopo essere sgattaiolati da sotto i nasi dei rispettivi manager e compagni di band, poi, di comune accordo e senza nemmeno dircelo, ci fiondammo direttamente all’uscita e fuori da lì a tempo di record.

Casa mia era più vicina, lui non ci era venuto nemmeno tanto spesso, un altro migliaio di scuse ridicole, ed eravamo già sul letto, con Matthew attaccato alle mie labbra ed io che, ricordo distintamente, provavo anche a dirgli qualcosa… un’idea che mi era venuta o semplicemente un chiarimento di cui avevo bisogno, mentre lui mi zittiva continuando a baciarmi – ed a spogliarmi – e borbottava un “dopo, dopo” fin troppo esaustivo e decisamente tenero.

Il “dopo” non c’è stato. Era troppo tardi ed eravamo troppo stanchi. Ci siamo addormentati di sasso, l’uno accanto all’altro, ed abbiamo dormito beatamente fino al mattino, quando ho spento la sveglia con una manata ed ho osservato tra le palpebre socchiuse Matt agitarsi infastidito, voltarsi di schiena, rotolare in punta al letto e ricominciare a russare.

Ho preso fiato, respirando a fondo, e mi sono tirato sulle braccia per convincermi a mettermi dritto ed uscire dalle coperte.

Più tardi, anche Matt è emerso dal letargo. Ha ricordato di aver lasciato a casa mia una sottospecie di tuta che utilizza come pigiama in quelle rare occasioni in cui si ferma da me, appunto. L’ha infilata ed ha arrancato alla meno peggio fino alla cucina. L’ho visto emergere dalla porta in stile zombie, gli occhi ancora semichiusi ed un’aria intontita, ha sbadigliato ed io l’ho fissato da sopra l’orlo del giornale, seguendolo fino alla sua incursione presso il frigorifero. Si è fermato davanti allo sportello, scrutandolo per un po’ come se non sapesse bene cosa fosse, poi ha allungato una mano e lo ha aperto, infilandoci la testa dentro quasi nello stesso momento. Quando ne è riemerso reggeva tra le mani un contenitore in vetro, pieno di caffè macinato, se lo è rigirato tra le dita, continuando la propria indagine perplessa. Poi si è voltato, lo ha sporto in avanti, come i bambini quando ti mostrano i propri giocattoli come fossero trofei, e mi ha guardato.

Ed io lo ammetto. Era la cosa più carina che avessi mai visto in tutta la mia intera esistenza.

E se pensate che la parola “carina” riferita ad un maschio adulto ventinovenne – e riferita da un maschio adulto trentacinquenne – sia assolutamente fuori luogo, sappiate che avete la mia totale approvazione.

Ma resta il fatto che era la cosa più carina che avessi mai visto, e non era utilizzabile un altro aggettivo.

Perché se ne stava lì, con il suo faccino addormentato, la sua barbetta rada, i capelli aggrovigliati più del solito, i vestiti che gli cadevano addosso, i piedi nudi e quel barattolo davanti al viso, in cui gli occhi azzurri erano acquosi ed interrogativi.

-Questo si beve?- mi ha chiesto.

Ho pensato che avrei dovuto ridere. Il fatto che lo pensassi invece di farlo mi dice quanto lo trovassi assolutamente adorabile in quella versione. Così, invece di ridergli in faccia, ho sollevato la mia tazza di caffè, ancora piena, e l’ho agitata un momento davanti a lui. E Matt, chiaramente, ha lasciato perdere il barattolo e, portandoselo dietro, mi ha raggiunto all’isola centrale della cucina e si è arrampicato su uno degli sgabelli che stavano lì intorno, mollando il caffè in polvere accanto a sé ed attaccando subito la mia tazza.

-Grazie.- ha bofonchiato infilandoci il naso dentro.

A quel punto ammetto di essermi concesso anche una risatina, mentre mi alzavo ed andavo a recuperare un’altra tazza ed il bricco del caffè già pronto.

-Ci sono dei biscotti nel contenitore sul tavolo.- gli ho detto.

Lui ha infilato la testa anche lì, riemergendone deluso con un paio di biscotti integrali.

-Tu non sai proprio cosa voglia dire “vivere”.- ha commentato, fissandoli con aria depressa.

-Alex dice che devo mantenermi in forma per tutto il tour e che posso ridiventare un maialino rotolante solo quando finisce.- ho spiegato, tornando a sedermi anch’io e rubando dalle sue mani uno dei due biscotti.- Non sono male.- ho commentato, comunque, addentandolo.

-Bah!- ha sbottato lui, infilando l’altro in bocca e masticando di malavoglia- Uno non può fare sesso sfrenato tutta la notte e poi trovare questi ad aspettarlo il mattino dopo!- ha protestato vivacemente, mentre finiva il biscotto ed allungava la mano al contenitore per servirsi ancora.

-Se facessi sesso sfrenato tutte le notti, ti darei ragione.- risi io- Ma visto che non ci vediamo abbastanza spesso per sostituire la dieta e la palestra con te …

-Uhm- ha ribattuto lui, riflettendo con aria seria- Potrei proporre ad Alex di assumermi come preparatore atletico…

-Matt!- ho strepitato, mentre lui rideva.- Uff, sei un idiota…

-Ed io non facevo te così puritano.- mi ha risposto Matthew, ridacchiando ancora, mentre riprendeva a bere il caffè.

Non ricordo con esattezza di cosa abbiamo parlato e come ci siamo arrivati, ma ad un certo punto è finita che lui stava parlando di Dom già da un po’ ed io lo stavo osservando con fastidio sempre crescente. Così che lui se n’è dovuto accorgere necessariamente ed ha smesso di parlare, fissandomi interrogativo.

-Perché fai così?- mi ha chiesto, diretto come sempre.

-…così come?- ho ribattuto io, abbastanza incerto da fargli intendere che avevo capito benissimo di cosa stessimo parlando.

-Io non sono geloso del tuo rapporto con Stefan.- ha fatto notare lui.

Ho sospirato.

-Non avresti di che essere geloso.- ho ammesso.- Tra me e Stefan è finita. Un sacco di tempo fa e con una tale precisa completezza che sarebbe impossibile ricominciasse per qualsiasi motivo. È su questo che si fonda il nostro rapporto attuale.

Mentre scivolavo giù dal mio sgabello e mi portavo dietro le tazze per sistemarle nel lavello della cucina, Matthew è rimasto in silenzio. Ed io ho ascoltato quel silenzio.

-Allora…- ha cominciato lui dopo un po’.- è vero che siete stati assieme.

Mi sono voltato, pulendo le mani su un panno che ho abbandonato in una specie di mucchio disordinato sul piano da lavoro accanto ai fornelli.

-Cosa vuoi sapere, Matt?- gli ho chiesto senza nessun colore.

-La verità, penso.- ha risposto lui onestamente- Anche se non posso dirti che non importa…- ha confessato subito dopo, distogliendo gli occhi dai miei.

Io ho annuito, pure se non poteva vederlo, e sono tornato a sedere davanti a lui, incrociando le mani sul tavolo ed aspettando con pazienza che lui alzasse lo sguardo nel mio.

-Siamo stati assieme.- ho ripetuto a quel punto.- Per un bel po’ di tempo, anche. Ma ci aggiungerei che la mia storia con Stefan è stata forse la cosa meno simile ad una relazione in cui mi sia mai imbarcato. Comprese le scopate casuali del sabato sera.- ho ammesso senza problemi, scrollando le spalle ed osservando un vago fastidio disegnarsi sul viso di Matthew.

Lui lo ha ricacciato indietro quasi subito ed io ero così interessato a dirgli davvero chi fossi, che ho represso l’impulso istintivo di correggere il tiro.

-Perché dici questo?- mi ha chiesto quando è stato in grado di accettare e superare quel particolare buttato lì.

-Semplicemente perché è così, Matthew. Ero molto giovane, molto più stupido di adesso e decisamente poco intenzionato ad avere una relazione seria con chiunque.- ho riassunto per lui.- La verità è che Stefan si è fatto carico di me in un momento in cui avrebbe fatto bene ad imitare tutti gli altri, prendere quello che gli serviva e dimenticare il resto.

Ha sorriso, anche se con una punta di tristezza.

-Non credo che Stefan Olsdal sia capace di comportarsi come tu hai appena consigliato.- ha sussurrato con una certa ammirazione.

-Sì, credo di sì.- ho concordato con lui.- Fatto sta che era veramente un brutto momento e lui è stato praticamente l’unico che mi sia stato vicino mentre lo affrontavo. Ma io non sono mai stato capace nemmeno di dire “grazie”.- ho raccontato atono.- Quando più o meno ne ero fuori, lui ha pensato che fosse arrivato il momento di chiarire le cose tra noi. E mi ha lasciato.

Sapevo di averlo sconvolto. Non mi stupì vedere la sua espressione sorpresa, che mi squadrò come se avesse difficoltà nell’afferrare il senso di quello che dicevo. Aspettai che lo facesse da solo o che, quantomeno, arrivasse a chiedermi cosa intendessi.

-Ti ha lasciato lui?- si limitò a ripetere Matt, alla fine.

Sorrisi.

-Ti riesce così difficile crederlo?- ritorsi.- Lui ovviamente mi spiegò il perché, Stefan non è certo tipo da piantarti in asso senza dirti il motivo. Io lo odiai comunque, ma non glielo dissi perché dirglielo avrebbe significato ammettere di amarlo ancora, ed io non ero il tipo che ammette di avere bisogno di qualcuno.

-E lo lasciasti uscire dalla tua vita per orgoglio…- m’interruppe Matthew.

Lo osservai. Sapevo che si stava silenziosamente chiedendo se avrei fatto lo stesso con lui quando mi fossi stancato o quando tra noi fossero sorti problemi.

Non sapevo cosa rispondergli.

-Mesi dopo conobbe Vincent. Lui è l’esatto opposto di ciò che sono io.- ripresi in tono fioco, fuggendo io, stavolta, il suo sguardo azzurro quando si sollevò a cercarmi.- All’inizio, chiaramente, la sola presenza di Vin mi dava i nervi, lo evitavo come la peste, non lo sopportavo. Amavo ancora Stefan e non potevo arrendermi all’idea che non mi appartenesse più. Ma poi incontrai Helena, e lei in qualche modo riuscì a farmi stare bene ed a restituirmi una forma di equilibrio.- spiegai con una certa semplicità. Ed affinai il concetto- Lei sembrò quasi inserirsi in quell’opera di recupero che Stef aveva cominciato, riprendere da dove lui si era arreso e mettersi con calma a finire di ricostruire quella montagna di macerie senza senso che ero diventato negli anni.

Mi zittii da solo. Interrompendomi e guardandomi attorno come se cercassi all’esterno un modo per raccogliere le idee che erano dentro di me. Non era una cosa successa così tanto tempo fa, in qualche modo era ancora viva e pulsante dentro di me, metterla fuori avrebbe significato decidere di prenderne coscienza. Mi domandai se ne fossi già in grado.

-Io non l’ho mai amata.- ammisi alla fine in un sospiro, tornando a voltarmi verso Matthew. Lo trovai che mi osservava in attesa, senza alcuna espressione che non fosse una curiosità paziente ed affatto invadente. Apprezzai questo suo silenzio rispettoso e ne trassi il coraggio per continuare.- Lei, però, ha deciso comunque di aiutarmi ed a me bastava, quanto meno per mettere da parte una storia finita senza essere mai nata e prendere coscienza che io e Stefan potevamo esistere nello stesso luogo senza sfiorarci e senza che questo dovesse necessariamente lacerarmi.- buttai fuori.- Accettai anche Vincent… Dopo mesi accettai di incontrarlo. E quando parlammo per la prima volta, lui mi disse quello che Stefan non era riuscito a spiegarmi nel momento in cui mi aveva lasciato.

***

Matt ha il dono di stare a sentire la gente. Gli capita di rado, perché generalmente è sempre troppo “in movimento” per fermarsi abbastanza da ascoltare, ma quando lo fa ha il dono di saper ascoltare. Non è poco. Non tutti ci riescono. La maggior parte delle persone ha l’arroganza di voler sapere ancora prima di aver sentito, non stanno in silenzio, ti buttano lì i loro commenti senza pensare neppure che magari tu non li vuoi. Volevi solo sfogarti ed avere qualcuno con cui farlo.

Matthew è qualcuno con cui sfogarsi. Sta in silenzio fino alla fine, quando sa che serve farlo.

Quella cosa di Vincent era dentro di me da un bel po’, il discorso assurdo che lui mi fece la prima volta che ci incontrammo. Era ad una festa di compleanno. Di Stefan chiaramente. Vivevano già assieme ed avevano organizzato una specie di piccolo party da loro. Era la prima volta che mettevo piede in casa di Stef da quando Vin si era trasferito lì.

Non sarebbe stata l’ultima.

Io me ne stavo fuori, sulla terrazza del salotto. Avevo bevuto, e tanto. Helena era da qualche parte dentro che chiacchierava con la moglie di Steve, io cercavo solo di nascondermi, perché ancora non era tutto così chiaro come lo sarebbe diventato con il tempo ed ammetto che presentarmi lì quella sera era stato un bello sforzo per me.

Vincent venne fuori proprio con l’intento di parlarmi. Mi raggiunse anche se io gli voltai le spalle, sperando che capisse che non avevo piacere di intrattenermi con lui, ma chiaramente ignorò la mia scelta. So che a Vincent io non faccio simpatia particolare. Non più di quanta lui ne faccia a me, anche a distanza di anni. Sappiamo entrambi che siamo qualcosa di indispensabile per Stefan e che ognuno di noi ha un ruolo in questo ed io so che Vin è il genere di persona incapace di provare rancore o portare odio a qualcuno. Per cui è sincero quando si rapporta con me e questo vuol dire che, a modo suo, mi vuole anche bene.

Ed io, a modo mio, ne voglio a lui. Perché so che Stefan è felice con lui, come con me non è mai stato. E so che Stefan ha bisogno di lui, mentre decisamente non aveva bisogno di me e del mio essere così dannatamente contorto. E so che se loro due si dovessero lasciare per qualsiasi ragione, io mi sentirei tradito quasi quanto mi sono sentito tradito quando Stefan ha lasciato me.

Vorrei non fosse così. Vorrei poterlo odiare e penso che sarebbe più facile rivendicare diritti, che ho perso da tempo, su una persona che per me ora vuol dire qualcosa di così difficilmente inquadrabile da darmi il capogiro. In generale, credo di volere una vita più lineare. Ma non sono una persona lineare.

Quella sera, Vincent me lo disse esplicitamente. Mi guardò in faccia, dritto negli occhi e senza avere nessun problema a sostenere il mio fastidio o il sarcasmo con cui cercai di ricacciarlo indietro. Aspettò che la smettessi di punzecchiare inutilmente, come un gatto arruffato, e che accettassi un confronto su basi normali.

A quel punto mi disse quello che Stefan mi aveva già detto.

-Credo che tu sia stato e sarai per sempre la persona più importante della sua vita.- esordì.

Boccheggiai, guardandolo come se non potesse essere vero.

-Di che ti stupisci, Brian?- mi chiese lui.- Quante persone credi che esistano a questo mondo che siano riuscite a lasciare Stefan così pieno di veleno e di odio come ci sei riuscito tu? Ne è ricolmo ancora adesso, e questa è l’unica vera ragione per cui ti ha lasciato.

Tirai un respiro lento, nello spazio che lui mi dava per farlo e riprendere fiato. Poi ci appoggiammo entrambi al parapetto della terrazza e, quando mi resi conto che la sua vicinanza non mi dava l’irritazione che credevo avrei provato, capii che era lui ad avere ragione. Ed io un torto fottuto. Così lo ascoltai fino in fondo.

-Te lo ha detto lui?- gli chiesi.

Vincent annuì.

-Stefan mi ha parlato di te per settimane intere, all’inizio. Sembravi il suo unico argomento di discussione e sapevo che eri ancora l’unica persona che amasse.

-Ora non più.- sorrisi con una certa ironia.

-Non dipende da me o da te. Dipende da lui e da quello che vuole.- mi rispose senza lasciarsi ferire- E comunque non c’entra molto.- aggiunse.- Quello che devo dirti ha a che fare con Stefan solo in parte, Brian.

-E cosa dovresti dirmi?- gli domandai appoggiando la testa sul pugno chiuso ed osservando il suo profilo.

-Che il problema sei tu.- mi rispose lui tranquillamente.- Stefan, Helena e chi verrà dopo di loro, possono solo aiutarti, tu ti appoggerai in tutto e respirerai la loro aria, sarai come un parassita, in cambio della vita gli cederai veleno, perché sei tu ad esserne ripieno fino all’orlo. E non puoi sopravvivere così, devi cederlo a chi ti sta intorno.

-…e ho fatto questo a Stefan?- mi obbligai a chiedere, mentre sentivo la gola serrarsi.

Lui sospirò, voltandosi ad incrociare i miei occhi, ed io mi resi conto che i suoi erano di un colore così chiaro da risultare simili al ghiaccio e trasparenti. Non è facile sostenere occhi così.

-Brian, qualunque cosa io, o chiunque altro, ti dica non vale niente.- disse piano.- Sei tu che ci devi arrivare da solo e sei tu che devi aiutare te stesso.

***

Ecco cosa intendo quando dico che Vincent è il mio esatto opposto. Lui è come Stefan, per certi versi, solo meno generoso. Almeno con me. Vincent è l’equilibrio statico di chi ha raggiunto la piena realizzazione del proprio io e non c’è nulla al mondo che credo possa davvero scuoterlo da questo stato. Tranne forse la possibilità che tra lui e Stefan finisca senza un motivo reale.

Dio, se solo penso a quanto sono legati mi sento male. Li invidio. Sul serio. Vorrei riuscire ad essere come loro e ad amare Matt nello stesso modo maturo e adulto in cui loro due si amano.

Ma non sono come loro.

E nemmeno Matthew.

Gli raccontai quella cosa per intero, chiaramente, non omisi nulla di quello che Vin mi aveva detto. Lui mi ascoltò fino alla fine, come ho detto prima. Non m’interruppe, non disse nulla, non fiatò. Aspettò che io finissi di parlare e che tornassi ad accorgermi davvero della sua presenza. Credo che capì anche che il fatto di avergli detto tutto quello era la prova più lampante che potessi dargli dei miei sentimenti verso di lui.

Eccoti Brian Molko, Matthew, senza più scudi e senza difese. Ora puoi ucciderlo o accettare di amarlo per com’è.

E lui chiaramente non vedeva le cose così complicate come le vedevo io. O forse è solo che è un inguaribile ottimista. Ma non si fece spaventare dalla prospettiva che io potessi davvero essere una sorta di vampiro, che si ciba dei sentimenti altrui e li lascia pieni del veleno che ha in corpo.

Quando tornai a guardarlo mi chiese di Helena. E lo fece mentre mi fissava tranquillo e sereno, come se io non avessi nemmeno aperto bocca fino a quel momento.

-Helena?- ripetei.

-Sì.

Feci fatica a ricondurre il nome a qualcosa di diverso da quello che avevo già detto. E cioè che non l’amavo e che lei, invece, aveva amato me al punto da salvarmi. Mi ci sforzai un attimo.

-Credo che Helena sia stata una fortuna, Matthew. Dopo Stefan sarei potuto andare tranquillamente alla deriva, se non ci fosse stata lei.

Ricordo che mi voltai in modo naturale verso le mensole accanto all’ingresso della cucina. Ci tenevo le foto della mia famiglia, dei miei amici ed anche quelle della persona con cui stavo. Era sempre stato l’altarino della mia “vita”, cambiava con me, e mi piaceva al mattino, mentre facevo colazione, dargli uno sguardo distratto.

C’erano una foto dei miei con me e Barry da piccoli; una della famiglia di Barry, con i bambini; una del gruppo, con Vincent, la moglie di Steve ed Emily ed Alex con il compagno.

E poi c’era una foto di me ed Helena.

Corrugai la fronte. Era rimasta lì, non l’avevo tolta dopo che c’eravamo lasciati. Non l’avevo sostituita con una mia e di Matthew. Realizzai che non avevo una foto di noi due da mettere al suo posto. E mi fece un po’ male pensare che non avessimo mai avuto il tempo, il modo o il motivo per fare una foto assieme.

Matt seguì il mio sguardo. Vide la foto. Pensai di dovermi scusare, perché era davvero una cosa idiota che fosse ancora lì ed al posto suo io mi sarei sentito un imbecille e mi sarei incazzato. Ma non feci a tempo a dirgli “mi dispiace”.

-Non mettere il muso, Bri.- mi disse, sorridendomi e posando il mento sulla mano per sporgersi leggermente in avanti, verso di me.- Se vuoi una foto nostra, basterà che ti inviti a cena con me appena abbiamo tempo e poi ti baci all’uscita del ristorante.- scherzò.

Sorrisi.

-Anzi! Pensaci!- continuò ridendo allegramente- Avremmo un intero servizio fotografico gratis e saremmo perseguitati dalle nostre facce spiaccicate su tutte le riviste e tutti i muri di Londra!

-Matt…- lo chiamai io.

Lui mi guardò.

Non riuscii a dirgli niente, il telefono squillò nello stesso momento in cui qualcuno suonava al citofono. Chiesi a Matthew di vedere chi fosse e, bestemmiando contro il dannatissimo portiere che era incapace di fare il proprio lavoro, avvicinai la cornetta all’orecchio e sentii Alex riversarmi addosso tutti gli insulti che le venivano in mente.

Dall’altro lato della casa, Matt rispose a Tom che scendeva subito.

***

Fuori c’è un vento piuttosto fresco e ci sono dei nuvoloni affatto promettenti che si affollano sull’orizzonte. Mi stringo nella felpa, tirando su il cappuccio e la zip ed allungando le maniche a coprire le dita intirizzite.

Dannazione! Ci manca solo che mi prenda un colpo d’aria, Alex mi ammazza se mi viene il raffreddore… o peggio… il mal di gola…

La sola idea mi fa scorrere un brivido lungo la schiena. Ma mi sa che è il freddo e basta. Penso che dovrei tornare dentro ed acchiappare una di quelle graziose sciarpette di seta che, nell’ultimo periodo della mia esistenza, stanno diventando un dannatissimo must del mio abbigliamento. Ma poi ci ripenso. E per un motivo scemo.

Quando alzo lo sguardo, davanti a me c’è una distesa di nulla ed in quel nulla, fatto solo di terra e di cielo, c’è quest’immagine di nubi che il vento spinge via sull’orizzonte. È bello. Talmente bello da sembrare perfetto, nonostante le linee sgraziate dei pullman sulla parte più in basso di quel quadro grigio e blu. Bello, nonostante il vociare cacofonico delle persone che passano davanti a me, oscurando per un attimo appena un angolo dello stesso quadro. Bello in un modo che mi convince a rimanere a fissare il cielo, intontito, rabbrividendo nella felpa troppo leggera.

-Brian, cosa ci fai piantato lì?

Mi volto. Nadine mi viene incontro, è insieme ad un’altra ragazza che non ho mai visto, le sorrido di rimando quando lei mi si ferma davanti con la tizia. Immagino sia qualcuna dello staff di un altro gruppo, siamo troppi perché io riesca a ricordarmi davvero di tutti.

-Ah.- Cerco di fare mente locale e tirar su una balla, che valga da risposta, in tempi congrui.- Cercavo Stef, l’hai visto?- dico precipitosamente.

Ecco, Stefan diventa come sempre una specie di appendice che mi porto dietro. Dovrei smetterla di fomentare certe leggende urbane.

Nadine scuote la testolina rosso fuoco.

-Nah, Brian.- mi risponde spiccia. Poi mi pianta addosso uno sguardo sospettoso.- Non sarai vestito un po’ leggero per andare in giro con questo tempaccio…?- inizia.

-Ma no, sto bene, figurati!- sminuisco io, voltandomi rapidamente intorno.

Mi ci manca solo che la truccatrice si metta a farmi la predica!

-Sì, ok.- sbuffa lei scuotendo le spalle magre. Mi giro di nuovo, in tempo per vederla sfilarsi dal collo una sciarpa multicolore, da cui proviene un profumo intenso di fiori e frutta, che poi mi ritrovo serrata attorno al collo.- Senti, se ti ammali, Alex diventa intrattabile quasi quanto te. Ed io non ci tengo, visto che è lei la mia datrice di lavoro!- mi dice rapida.- Beh, noi andiamo.- aggiunge subito dopo.- Se cerchi Stef, prova a chiedere a Gerard, prima erano insieme.

La ragazza sconosciuta ridacchia in un modo che non mi piace affatto; quando alza la mano per salutarmi, prima di andarsene con Nadine, vedo che porta una maglietta di quei dannatissimi My Chemical Cosilà e capisco allo staff di quale gruppo appartiene. Sbuffo, lei e Nadine si tengono per mano allontanandosi. Mi sa che la mia cara, piccola truccatrice mi deve raccontare qualcosa che ha omesso di dirmi…

M’incammino verso il tour bus di Gerard Way e compagni, stringendomi le braccia al petto nel tentativo vano di impedire al vento di raggiungermi. Li trovo che stanno seduti appena fuori dall’ingresso del bus, stanno parlando di lavoro perché si passano di mano in mano degli spartiti pasticciati e confusi e discutono tra loro abbastanza animatamente. Ma Stefan decisamente non è lì.

E quindi io dovrei limitarmi a chiedere a Gerard se sappia dov’è e poi andarmelo a riprendere da un’altra parte.

E non ho nemmeno una ragione valida per fermarmi, invece, lì davanti a loro e guardare dritto in faccia il loro cantante ed aspettare che lui alzi il viso e mi veda.

Fa una faccia stupita. Nient’affatto convinta. Gli altri si zittiscono e si voltano a guardarmi anche loro, io però non gli bado.

-Gerard.- “hai visto Stef?”, conclude il mio cervello in tono piano- Posso parlarti un secondo?- chiedo invece.

Bene. Siamo in due a non sapere cosa sto dicendo, Gee. Quindi, fai un favore ad entrambi e non guardarmi a quel modo!

-S… sì… certo.- balbetta lui a disagio, mollando il quaderno musicale al ragazzo che gli sta accanto e sollevandosi in piedi.

Sembra intimorito. Ottimo. Adoro avere il predominio sugli altri, quando sto per prenderli ad insulti.

E sto per prenderti ad insulti, Gerard Way. Mi conosco abbastanza bene da sapere quando sto per fare una cazzata grande quanto una casa, anche se ancora a livello cosciente il mio “io” si è dimenticato di comunicare le informazioni al resto del corpo.

Ci allontaniamo di qualche passo. Dietro di noi, gli altri componenti della band allungano i colli il più possibile, strabuzzano gli occhi e ci spiano senza capire. Gerard lancia loro un’occhiata che vorrebbe essere distratta, ma che so benissimo interpretare per un tentativo pietoso di trarre da loro un minimo di coraggio per affrontarmi.

È una situazione surreale. Siamo praticamente coetanei, sei grosso il doppio di me ed io non mangio le persone. Anche se le persone sembrano non crederlo possibile. Finiamola qui e vediamo di parlarci in modo civile.

-Senti, Gerard.- esordisco colloquiale, sciogliendo le braccia per assumere un atteggiamento più rilassato e vedere di appianare un po’ quella cavolo di tensione.- Magari Stef non te lo ha detto, perché è uno abbastanza riservato, ma lui sta già con qualcuno.

-Ahah.- mi risponde Gerard.- Lo so.

Ah.

-…scusa… ma se lo sai, perché non la pianti?- butto fuori stringatamente.

Lui si stringe nelle spalle e scuote la testa.

-Tanto per cominciare, perché Stefan non mi ha mai chiesto di “piantarla”.- mi fa notare.

Sbuffo un mezzo sorrisetto, piuttosto tirato. Questo moccioso mi sta dando i nervi rapidamente.

-Perché secondo te non basta dire “sto con qualcuno”, per far intendere che puoi anche smetterla di provarci?!- gli chiedo cattivo. Voglio che sappia che può anche fare fesso Stefan… o meglio, credere di starlo facendo fesso, ma io so esattamente dove vuole andare a parare.- O.k, te lo dico io in modo più chiaro allora. Stefan ha un compagno, tu non sei niente, non sarai mai niente, non esisterai nemmeno mai nella sua classifica personale delle “cose da prendere in considerazione”.

-Oh.- mi risponde lui. Non mi piace la faccia che fa mentre se ne esce con quella semplice esclamazione. E mi piace ancora meno la faccia che fa dopo, quando si volta verso di me e mi sorride di rimando- Scusa, ma a te che te ne frega?- mi domanda a bruciapelo.

-E’ il mio migliore amico.

-Siamo grandi tutti e tre abbastanza da non doverci mandare gli ambasciatori per dirci le cose!- ride lui.

-Va bene, allora mettiamola in questo modo se preferisci.- comincio a spazientirmi.- Non voglio che giri più intorno al mio bassista, non lo ammetto. Chiaro?- sottolineo seccamente.

-Non è una tua proprietà!

Questo ragazzetto è un rompicoglioni a certi livelli!

-Sono cazzi miei cosa succede all’interno della mia band, Gerard Way!- ruggisco inferocito, allungandomi verso di lui e piantandogli un dito nel petto.- E non voglio che tu ci ficchi il naso! Ti voglio fuori dalle palle, ragazzino! In fretta ed in modo definitivo!- lo aggredisco.

Lui mi spinge indietro senza troppa gentilezza, si rimette dritto e mi pianta in faccia gli occhi pittati di scuro.

-Sentimi, tu, razza di coglione megalomane!- attacca.- A me non frega un cazzo se tu ritieni di poter tiranneggiare chi ti sta intorno come preferisci, io non lavoro per te e faccio il cazzo che mi pare! Se a Stefan dà fastidio me lo dice ed io deciderò cosa fare!

Adesso ho davvero voglia di sbranarlo.

-Forse non ti è chiaro il concetto…- inizio in tono calmo, paziente.

E non finisco.

Qualcuno mi strattona bruscamente per una spalla, spingendomi via.

-Scusaci, Gerard.- sento dire in tono basso e sicuro alla voce di Stefan.- Io e Brian dobbiamo parlare urgentemente.

Quello spostato di un darkettone rimane fermo dove sta, borbottando a mezza voce un “sarà meglio” che mi fa salire alla testa quel poco di sangue che avevo ancora in circolo. Ma siccome Stefan continua a trascinarmi per un braccio, nemmeno fossi un bambino di dieci anni al seguito del padre, non posso voltarmi a rispondergli come vorrei e sono costretto a seguire Stef fin sopra il nostro bus. Mi molla di mala grazia, spingendomi a sedere sul divanetto, e si ferma davanti a me.

-Ti sei bevuto quel po’ di cervello che le droghe non ti avevano fottuto, Brian?- s’informa gelidamente.

-Stavamo solo parlando.- rispondo io incolore, lasciandomi andare all’indietro tra i cuscini.

Stefan sorride a denti stretti.

-Raccontala a qualcun altro.- mi ritorce bruscamente.- Torno a farti la domanda, Brian, che cazzo stavi facendo?

Ci penso su. Evito di incrociare il suo sguardo perché so che finiremmo per litigare ed io non voglio litigare. Perché sono in torto e mi limiterei a rovesciargli addosso la qualsiasi pur di non doverlo ammettere e perdere così questo scontro. Ho bisogno di fare il punto della situazione.

-O.k.- mi precede Stefan- Rispondo io per te.- mi dice secco.- Stavi facendo una scenata di gelosia a Gerard Way.

-Stronzate!- sbotto, interrompendolo infastidito.

-No, Brian, le cazzate che hai detto a quel ragazzo sono “stronzate”!- sibila Stef. Ed  io sussulto nel sentirlo usare un tono simile e mi volto di scatto per riuscire a vedere la sua espressione furiosa. Sto zitto.- Te lo dico una volta sola ancora, Brian, poi mi limiterò a mandarti a fanculo. Te e tutte le tue paturnie del cazzo. Tieniti fuori dalla mia vita quando non sei stato esplicitamente invitato.

…fa più male di quello che pensavo.

Respiro.

-Te l’ho ripetuto in tutti i modi possibili ed immaginabili, Brian, Gerard Way ed io siamo amici. Lui mi fa simpatia. Tu non sei autorizzato a chiedermi di non vederlo o a pretendere alcunché da me o da lui.- mi spiega in modo lineare.- E soprattutto, Brian,- aggiunge fissandomi dritto negli occhi e parlando con estrema lentezza- non ti azzardare mai più a nasconderti dietro Vincent per mascherare la tua gelosia.

Fa più male di quello che pensavo, guardarlo uscire da lì.

Steve sulla porta lo incrocia. So che ha sentito tutto, o quasi, perché glielo leggo in faccia quando prova a fermare Stefan e viene mandato al diavolo senza troppi convenevoli. Si volta verso di me. In silenzio.

Io deglutisco a vuoto.

-…che cazzo hai combinato, Brian?- mi chiede.

-…niente…- mento senza nessuna intonazione.

 

 

 

Nota di fine capitolo della liz, obbligata a scrivere per prima nonostante Nai sappia quanto le fa piacere distorcere le menti delle fangirl facendo loro il lavaggio del cervello per ultima!

 

Prima di tutto: giunta alla fine della correzione (ovvero di quel poco che c’era da sistemare) del capitolo, non ricordavo più con esattezza chi avesse scritto per prima e chi per ultima nello scorso capitolo; perciò, mi stavo coscienziosamente adoprando per aprire il sesto capitolo e vedere (per poi agire comunque di testa mia :D), quando alla fine di questo documento vedo le testuali parole:

 

LIIIIIIIIIIIIIIIIIIZ!

Tocca a te ù_ù

 

Il che dimostra palesemente che Nai è paranoica e non si fida di me, alla faccia di San Valentino >_< *festaccia immonda* *voglio un/a ragazzo/a çOç*

Per Stregatta: quando ci mettiamo a fare il nostro famoso giochino al ribasso, non siamo affatto carine >.< Dovresti vederci al telefono, “Nooo, tu sei più talentuosa di meeeee”, “Noooo, non è affatto veroooo, tu sei l’unica che abbia un po’ di talentoooo” eccetera eccetera… quando non c’è palesemente nulla da discutere: è lei quella talentuosa del duo u.u Lo dimostra che il novanta percento di questo bellissimo capitolo è suo <3

Comunque, buon San Valentino alle fidanzate/ammogliate d’Italia e del mondo (e l’augurio, chiaramente, implica anche Gaia ed Helena <3) (…e Vinny, se esiste <3). Ciu :*

PS: Poi abbiamo stabilito che la colpa di Gerard Way in questa fanfiction è mia. Be’. ç_ç. Ele, te lo dedico çOç :*

 

 

 

 

 

Nota di fine capitolo della Nai:

 

Non trovate la parte della telefonata iniziale semplicemente m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a?! *.*

Sìììììììììììì, lo è!!!

Ovviamente è di Liz  U_U

Detto questo. Sono in periodo di puccioseria romantica e Trapped ha ancora l’effetto di farmi sberlucciare felice, per cui è sempre un piacere rileggerla con la scusa della correzione *svolazza via felice*

…sarà S. Valentinooooooo…

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Capitolo 8
*** Eight. ***


Nuova pagina 1

L’Easily come sempre ringrazia tutti i propri lettori, sostenitori, ammiratori, detrattori...no questi ultimi no... o sì? Ma sì, va! Se ne parli bene, se ne parli male, purché se ne parli! ù_ù *la frequentazione con zio Oscar e il porcello reale ti fa male… ndliz*

 

A parte tutto, ringraziamo con affetto speciale Whity, Stregatta, Isult ed Erisachan per aver usato il loro prezioso tempo per dirci che ci vogliono bene. Noi ricambiamo çç

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Eight:

 

Ho la febbre alta. Mi è venuta stanotte, sono stato da schifo tutto il giorno ed abbiamo dovuto annullare la nostra esibizione di stasera.

Questo è il dato positivo in realtà.

Stefan non mi parla da ieri, ci siamo scambiati sì e no uno sguardo a cena prima di andare a dormire ieri sera e poi non si è nemmeno venuto ad informare se fossi vivo o morto. Ad essere precisi è scomparso da qualche parte stamattina prestissimo, prima ancora che io riuscissi ad emergere del tutto dalla specie di trance in cui mi aveva scaraventato la febbre, e non è tornato più.

Per cui, essendo praticamente impossibile anche solo pensare di esibirci con una simile situazione, le mie condizioni di salute sono da considerare un dato positivo. Visto che ci permettono, tra l’altro, di eludere la necessità di rispondere alle domande imbarazzanti di Alex circa “cosa diavolo abbia per la testa Stefan da ieri?!”. Io ho una faccia così pesta da riuscire a nascondere fin troppo facilmente quello che penso. E Steve è bravo a sminuire le cose, per cui regge bene agli assalti della nostra manager quando gli chiede se sappia cosa è successo al nostro bassista.

Fatto sta che stasera Stefan non è ancora rientrato; quando ho chiesto a Steve se sapesse dov’era, lui mi ha guardato e mi ha risposto seccamente “dai My Chemical Romance”, rimanendo poi in attesa di uno scoppio d’ira da parte mia. Io mi sono infilato nella mia cuccetta e mi sono nascosto sotto svariati strati di lana, perché ho un freddo dannato, non sono riuscito a mangiare nulla e sono così depresso che vorrei semplicemente sparire.

È a questo punto che squilla il cellulare.

Allungo una mano fuori del groviglio di coperte, cercando a tentoni al di sopra di queste finché non incontro la resistenza spigolosa del telefono. Lo apro già prima di portarmelo all’orecchio, tanto so chi può essere.

-Matt.- bofonchio incerto, tirando su con il naso.

-…

-Sì. Sto male.- confermo spiccio.

-…ah.

Rimaniamo in silenzio per un po’. Io respiro malissimo, si sente l’affanno e so che dall’altro lato del telefono Matthew si sta chiedendo perché non possa essere qui a stringermi forte, giusto per assicurarsi che sia vivo e che stia bene in tempi ragionevoli...

-Brian, cos’è successo?

O.k.

Lo so.

Non ha senso.

-…non è successo nulla…- mormoro sentendo il fiato mozzarmisi in gola completamente.

-Brian.- mi richiama lui. Respira a fondo, prende tempo e si concentra.- Non prendermi in giro.

-Hai parlato con Steve.- ipotizzo io, arrabbiandomi.

-No.

-Allora ti ha chiamato quello stronzo di Stefan!- sbotto, alzando istintivamente la voce.- No, perché se crede che mettendo in mezzo te…!

-Brian!- m’interrompe brusco Matt.- No.- ribadisce. Mi lascio cadere tra le coperte, prendendo fiato in respiri corti e difficoltosi.- Non ho parlato con nessuno, ma mi pare di capire di averci azzeccato. Che succede?- chiede ancora.

Dio! Come accidenti è riuscito a capire da… due frasi che ho detto che c’era qualcosa?! Come accidenti ci riesce?!

Mi porto una mano alla fronte. Scotto. Scosto i capelli sudati dal viso, trattenendoli indietro. Si sono appiccicati, mi danno noia, o forse è il semplice dover respirare ad irritarmi terribilmente.

-Brian.- mi sento chiamare ancora, stavolta con dolcezza.- Parliamone. Vedrai che ti farà bene.

-…ho litigato con Stefan.- ammetto.

-Perché?-mi chiede lui senza commentare.

Sospiro.

-Ieri, quando ho riattaccato con te, sono uscito a cercarlo. Ed invece di andare da lui, ho preso in disparte Gerard Way e gli ho fatto una scenata.- confesso senza risparmiarmi nulla.

Matthew non ribatte subito. Mi sembra quasi di poterlo vedere mentre riflette.

-Capisco.- borbotta alla fine.

Annuisco anche se lui non può vedermi, tiro un respiro profondo e vado avanti.

-Stef ci ha beccati mentre litigavamo, mi ha portato via praticamente di peso e mi ha detto che non devo più impicciarmi della sua vita.- concludo nello stesso modo secco e preciso.- Da quel momento non mi ha più parlato.

Matt sbuffa una risatina affatto divertita.

-L’hai fatta grossa, eh?- mi chiede ironicamente.

-Più di quello che pensi.- mi lascio scappare a mezza voce.- Ovviamente dicono tutti che sono solo un ragazzino viziato, la storia della sceneggiata a Way ha già fatto il giro del festival…

-E la voce?- mi chiede lui.

-Ho il raffreddore.- rispondo.

-Bravo.

-Grazie.

Restiamo in silenzio un’altra volta. Mi dà fastidio. Vorrei dirglielo. Ma prima che possa farlo, Matt riprende a parlare.

-Scusati con Stefan.- mi dice. Provo a protestare, a dirgli che non mi vuole nemmeno ascoltare… in realtà non mi vuole nemmeno vedere. Lui mi zittisce rapidamente.- E scusati anche con Gerard.- aggiunge.

-Cosa?!- strillo io in modo automatico.

-Brian.- mi rimprovera Matthew.- Mi hai capito benissimo.

-Ma ci sta davvero provando con Stef! Lo ha anche ammesso!- sbraito infastidito.

-E questo non è affar tuo.- mi fa notare lui senza scomporsi.- Ti sei reso ridicolo davanti a tutti, non hai più vent’anni. Eri ridicolo anche allora, ma adesso è veramente inconcepibile che tu ti possa comportare così con un collega durante un tour.- aggiunge spietatamente.- Scusati con Gerard, Brian.- ribadisce subito dopo.

-…Stefan non vuole più parlarmi.- torno a ripetere meccanicamente.

Il punto è tutto qui, Matt. Cavolo! Stef non vuole parlarmi! ...Dimmi qualcosa che mi faccia sentire un po’ meglio… per favore…

-Brian, Stefan ha ragione.- mi dice lui. Sospira profondamente.- Gli passerà.

Stavolta sono io a non riuscire a parlare. Ed a rimanere in silenzio così a lungo che alla fine lui sente il bisogno di chiamarmi ancora. Di nuovo in tono dolce, per farmi capire che non è arrabbiato anche se mi dice che sono uno stupido ad essermi comportato così.

-Bri.- sussurra.- Se devi dirlo, dillo e basta.- mi invita.

-…sono un coglione, Matt, se Stefan non mi perdonasse io non saprei cosa fare.- mormoro.

Matthew ridacchia.

-Hai solo la febbre e questo non aiuta il tuo umore.- mi dice.- E sappiamo entrambi che le arrabbiature di Stefan con te durano al più una giornata. Chiedigli scusa e smettila di tirare fuori questa cosa di Gerard e vedrai che sarà come se non fosse mai successo nulla.

-Mi ha detto che mi vuole fuori dalla sua vita.- ribatto.

Matthew ci pensa su un po’ troppo per i miei gusti.

-Lascia perdere.- taglio corto prima che mi rifili qualche fandonia per tenermi buono. Mi rigiro tra le coperte per potermi mettere seduto.- Ho fame, non ho mangiato praticamente niente, non seccarti ma ci sentiamo dopo.- taglio corto.

-Brian.- prova a richiamarmi lui.

E per un momento esito davvero, con il dito già sul tasto che chiude la comunicazione. Serro gli occhi e mando giù la saliva che mi blocca la gola.

-Davvero, Matt, sto bene. Ci sentiamo dopo.- lo liquido, chiudendo la telefonata.

***

Non mi stupisce di sognare Matthew. Di fatto, gli ho riattaccato il telefono in faccia. Di fatto, è perfettamente logico che io mi senta in colpa. Quindi, è perfettamente logico che il mio senso di colpa si traduca nel bisogno di averlo davanti e chiedergli scusa.

E siccome sono troppo orgoglioso per chiedere scusa a qualcuno davvero, mi limito a farlo in un sogno.

E so di stare sognando. Lo so anche se le percezioni fisiche che questo suscita sono così intense da farmi desiderare che non lo sia. O quanto meno da farmi desiderare di non svegliarmi mai più.

Perché l’assenza di Matthew sta diventando per me qualcosa di intollerabile. Si mescola alla stanchezza, alla frustrazione, agli eventi assolutamente sbagliati che la mia condotta infantile e stupidamente gelosa ha prodotto.

…Vorrei essere una persona migliore.

Vorrei essere altrove.

Vorrei che questo bacio che ci stiamo scambiando – che è dolce ed umido e sa di buono – fosse vero, e non solo l’illusione fittizia che la mia mente intorpidita mi trasmette per consolarmi.

Anche perché le illusioni hanno la tendenza a scomparire dalle mani. Ritrovarsi a stringere niente a volte fa male, meglio prenderne coscienza subito, così sbatto le palpebre e decido di svegliarmi.

Ci metto un po’ ad abituarmi nuovamente alla luce. Ed un altro po’ a mettere a fuoco i contorni delle cose. La febbre li rende sfuocati comunque, ed il fatto che io sia ancora a digiuno – perché a Matt ho mentito e non sarei mai davvero in grado di mettere un solo boccone sotto i denti in questo momento – non mi aiuta a scuotermi dallo stordimento. Quando ci riesco mi accorgo di non essere solo, e mi accorgo che la persona che è con me non ha nemmeno una ragione per esserci e mi fissa…imbarazzata?

-…Chester?- riconosco con voce impastata.

Lui arrossisce. Giuro, lo fa davvero. Me ne chiedo la ragione e, senza sapere perché, istintivamente sollevo le dita per portarle alle labbra, riabbasso la mano di scatto quando lo vedo tossicchiare a disagio.

-Come va?- mi chiede lui.

Vedo che ha ancora i vestiti di scena addosso. Deve essere venuto direttamente dal palco e deve anche essere tardi.

-Bene.- mento senza troppa convinzione.

-Alex ci ha detto che stavi male ed ho pensato di venire a salutarti. Ti sarai annoiato, tutta la sera da solo…

Già. Anche perché i miei compagni di band sembrano aver preso all’improvviso ad odiarmi. La mia manager mi odia ogni singola volta che faccio l’errore di ammalarmi. Ed il resto del festival al completo mi odia per principio, perché sono uno stronzo e lo dimostro appena posso.

Gli leggo tutto questo in faccia. Immagino che sia il motivo che genera il suo imbarazzo nello starmi di fronte. Sospiro, mi tiro a sedere e gli faccio cenno che può sedersi anche lui, così si sistema sulla cuccetta di Steve e mi guarda.

-Sei stato gentile.- ringrazio.

Per un po’ mi fissa in silenzio, poi tira un respiro profondo e me lo chiede.

-Brian. Senza che t’incazzi,- ci tiene a premettere. E lo fa in un modo così spontaneo che non riesco davvero ad incazzarmi, anche se immagino il seguito.- mi spiegheresti che è successo tra te e Gerard?

Penso che glielo spiegherei, senza nessun problema tra l’altro, ma dovrei saperlo io per primo. Ed il punto è che io non so cosa diavolo mi abbia spinto a prendere ad insulti Gerard Way. Se non ammettendo di essere effettivamente geloso di lui.

Questo aprirebbe la porta ad una serie infinita di domande che dovrei pormi su me stesso, prim’ancora che sul rapporto che ho con Stefan. Quello è abbastanza chiaro e, a differenza di quanto trova utile credere la gente intorno a me, non è una cosa che riguardi solo Stefan, quanto più il fatto che io abbia questa possessività spasmodica per tutti coloro che in qualche modo “mi appartengono”. Sono la gelosia fatta persona. E sono un tiranno.

Non ci metto nemmeno tanto ad ammetterlo con me stesso.

Ci metto molto di più a passare dall’ammetterlo al volerne prendere coscienza al punto da superare la mia irrazionale ed infantile gelosia. Quindi, non c’è davvero nulla di strano se io rifuggo ancora questa cosa e preferisco fingere di non sapere perché ho urlato in testa a Way.

E non posso certo rispondere tutto questo al viso di Chester, piantato nel mio, che aspetta pazientemente io dica qualcosa.

-Mi spiace di aver creato casini nel gruppo.- preciso quindi, prima di ogni altra cosa.- Immagino di essere molto stanco e di aver semplicemente reagito male.

Chester annuisce comprensivo. Ed io capisco che avrebbe accettato qualunque spiegazione io gli avessi fornita, semplicemente perché è venuto apposta per conoscere “la mia versione dei fatti”. È stato… carino… da parte sua. Peccato che a me non interessi spiegarmi con lui.

Tiro su le ginocchia e ci appoggio il mento, fissandolo da lì sopra, mentre lui pensa a qualcosa che non mi dice e che lo porta a distogliere lo sguardo da me per girarlo intorno.

-Senti, Brian… ma tu pensi davvero che Gerard e Stef…- ipotizza a mezza voce alla fine.

Rido.

-No!- esclamo subito dopo. E quando lui mi guarda interrogativo, mi rendo conto che è davvero così, non lo sto dicendo nell’ennesimo attacco di gelosia.- Senti, Chester, io conosco Stefan e posso dirti che è la persona più fedele dell’universo. Ed ha un ragazzo a casa che lo aspetta e che lui ama.- spiego pacatamente.- Gerard gli sta simpatico,- aggiungo stringendomi nelle spalle- ma Stef non ha interesse per lui. E penso glielo abbia anche detto.

-Mmmh.- concorda lui poco convinto.

Ricominciamo a stare in silenzio. È decisamente una cosa che mi mette a disagio. E che mette a disagio anche lui credo.

-Chester.- chiamo dopo un po’.

-Sì?

-Magari dovresti tornare dagli altri.- faccio notare.

-Mah. Non credo per loro faccia differenza.- borbotta lui, arrossendo di nuovo.- Ti do fastidio?- si premura di chiedermi subito dopo, piuttosto frettolosamente.- Magari volevi riposare!

-No.- ridacchio.- Ho dormito come un ghiro tutto il giorno, non sono nemmeno assonnato.- ammetto.- Pensavo solo di essere una compagnia noiosa.

-Che idea idiota!- sbotta lui contrariato. E poi si accorge di aver esagerato e torna immediatamente indietro.- Voglio dire che non sei affatto una persona noiosa! Anzi! Mi fa piacere farti compagnia…

-O.k.- sorrido.- Però troviamoci qualcosa da fare o diventerà una cosa strana.- aggiungo divertito.

Lui sorride con me ed annuisce.

-Non ti proporrò una partita a carte.- mi avvisa.- Le odio, e poi è una cosa talmente scontata che i gruppi musicali giochino a carte durante i tour…

-Nah, lascia perdere.- mi dico d’accordo, mentre mi allungo dalla cuccetta a prendere il mio portatile- Ti faccio sentire qualche canzone dei miei “cuccioli”.- propongo.

-Cuccioli?- ripete lui perplesso, sedendosi accanto a me mentre accendo il computer.

-Ahah- annuisco senza guardarlo. E poi mi spiego meglio.- Sono le band emergenti che scovo in giro per l’Inghilterra e gli Stati Uniti.

Lui sghignazza ed io lo fisso contrariato.

-Ehi!- lo riprendo offeso.

-Scusa…- mormora lui, continuando a sghignazzare comunque.

-Guarda che è quello che fate anche voi con questo festival itinerante!- gli ricordo.

-Sìsì, solo che sai… con il tuo personaggio non ci sta tanto bene che ti metta a fare da baby sitter…- mi fa notare.

-Non faccio da baby sitter!- protesto. E poi ci penso su e, mentre mi volto allo schermo per aprire la cartella che mi interessa, ammetto candidamente e con un mezzo sorriso- E poi lusinga la mia vanità farmi adorare da giovani talenti emergenti…

-Brian, sei terribile!- ride Chester.

***

Non ricordo chi di noi due fosse giù di morale, e quindi chi dei due avesse proposto di uscire a fare shopping. Ricordo solo che evidentemente qualcosa doveva essere successa, quella mattina. Qualcosa di abbastanza antipatico da costringere due uomini maggiorenni e normodotati – per quanto possa sembrare strano pensarlo – a vagare senza meta per le strade di Londra, appiccicando il naso alle vetrine dei negozi alla ricerca di qualcosa da acquistare.

Lo shopping è un’attività decisamente sottovalutata dal genere maschile. Il genere femminile in certe cose è così dannatamente avanti che ogni tanto mi rammarico di non essere nato donna. Sono contento di aver trovato un uomo che la pensi come me, in questo senso. Anche se in effetti è un po’ azzardato dire che Matt “la pensi” come me. Lui sa solo che spendere soldi per comprare cose inutili e idiote fa scorrere lunghi brividi piacevoli per tutto il suo corpo, quando è scazzato. E non è neanche una cosa che comprende a livello conscio, per quanto ne so – è solo che è scritto sulla sua pelle e quindi non può ignorarlo.

E quindi eravamo lì che saltellavamo da un negozio all’altro in Piccadilly Street, e ad un certo punto siamo usciti da questa boutique di cui non ricordo il nome, stracolmi di pacchi di ogni colore e con indosso un paio di pantaloni nuovi per ciascuno – che hanno tra l’altro una storia interessante, perché quel giorno eravamo usciti con due maglie molto simili e a Matt era molto piaciuta l’idea di andare in giro vestiti uguali, perciò mi aveva costretto a comprare due paia di jeans nuovi e identici che ci lasciammo addosso dopo averli pagati – e Matt sollevò lo sguardo e disse “Cavolo”.

Io mi fermai e lo guardai, e mi augurai che quella parola non volesse dire “Cavolo, il mio portafogli è vuoto e ora dovremo fermarci a prelevare al primo sportello utile, e mentre io lo farò tu dovrai reggere anche i miei quintali di vestiti nuovi, oppure potremo tornarcene tranquillamente a casa con la coda fra le gambe”.

Ma Matt non stava guardando desolato il proprio portafogli vuoto. Stava fissando ammaliato la strada.

- Che ti prende? – chiesi, avvicinandomi a lui e sospingendolo lievemente in avanti a causa dell’enorme volume di pacchi che ci separava.

- Guarda questa strada! – commentò lui, scrutando l’orizzonte, - È infinita!

Ridacchiai.

- Sembra sia la prima volta che la vedi…

- Di solito non me ne accorgo… - continuò lui, ancora preso dall’osservazione dell’ambiente circostante. – Ma poi guarda quante persone…

- Ossignore, Matt! – risi io, tirandogli una pacchettata sulla testa, - Siamo in Piccadilly Street! Torni sulla terra o che?

- Ma non ti sembrano allucinanti, queste cose? – insistette, indicando la punta della strada con un dito, fissandomi come se ciò che stava dicendo fosse ovvio e per me dovesse essere impossibile non capirlo.

- Quali cose? – chiesi io, incuriosito dalla possibilità che quello potesse diventare l’ennesimo discorso allucinante pre-canzone di Matthew Bellamy.

- Queste cose! – precisò vagamente lui, allargando le braccia con difficoltà e lasciando cadere sul marciapiede i pacchi che teneva in equilibrio sotto le ascelle.

- Non fare disastri… - lo ammonii io, chinandomi a raccogliere i pacchetti e trattenendoli fra le mani, dal momento che ne avevo meno di quanti non ne portasse lui, - Spiegati a parole, non coi gesti, visto che il buon signore ti ha dato una voce.

- Non parlare del buon signore, sei ateo!

- Non è questo il punto… - risi.

- Vero. – ammise lui, annuendo convinto, - Comunque guarda: filari di negozi neanche fossero alberi e milioni di formichine intente a… spendere!

- Che è quello che abbiamo fatto anche noi fino ad ora… - gli ricordai con un mezzo sorriso.

- Hai ragione! – si rese conto, sinceramente sconvolto e disgustato, lasciando andare per terra anche i pacchi che teneva fra le mani e osservandomi raccoglierli con un certo disappunto. – Lasciali lì!

- Li abbiamo pagati un sacco di soldi… - feci presente, cercando di infilare i suoi dentro i miei, dal momento che le mie dita non sembravano avere abbastanza spazio per ospitare tutte le maniglie.

- Motivo in più! Ci siamo prestati a un gioco del cazzo! – illustrò determinato, guardandosi intorno con aria ostile, - Non voglio far parte di tutta questa massa di gente che spende e spande senza la benché minima coscienza ed è felice con… così poco.

Lo guardai, e pensai che se c’era una cosa che non sarebbe mai potuta succedere era che lui si uniformasse al resto della massa. Non era proprio possibile. Shopping o no.

- Avevo visto una bella giacca, l’altro giorno, poco più avanti…

- Brian! – mi rimproverò, inorridendo, - Non penserai davvero che dopo ciò che ho detto-

- Era bella! – aggiunsi, - Velluto nero, lunga quasi fino al ginocchio, e aveva rifiniture rosse su tutti gli orli e sul bavero.

- Davvero, Brian. – sbottò lui, irritato, mettendo una mano sul fianco, - Se pensi che io sia d’animo così debole da cedere alle lusinghe di una stupida giacca alla moda, dopo che ti ho appena detto che non mi interessa uniformarmi alla massa dei modaioli, sei fuori strada.

Scrollai le spalle, finendo di organizzarmi per reggere correttamente tutti i sacchetti.

- A me piaceva. Vado a comprarla. – dichiarai serafico, facendo una breve mezza giravolta su me stesso ed incamminandomi deciso verso il negozio.

Lui rimase un attimo lì fermo. Era vagamente ridicolo, senza più nessun sacchetto in mano, immobile in mezzo al marciapiede con un’espressione allibita e decine di persone che gli sfrecciavano accanto quasi senza vederlo ma stando bene attente a non investirlo.

Feci solo sei o sette passi.

- Brian! – mi chiamò. Mi voltai a guardarlo e non dissi niente, - …se non costa troppo ne prendiamo due uguali. – si arrese, sospirando affranto e muovendosi verso di me con passo lento e strascicato.

Evitai di ridere sotto i baffi e mi limitai ad un sincero e sereno sorriso d’approvazione.

Lui lo apprezzò.

***

Squilla il cellulare. Di nuovo. Spero che sia Matthew, perché io non ho il coraggio di richiamarlo e chiedergli scusa, ma spero che lui mi richiami per permettermi di farlo. È una cosa idiota, lo so.

Quando alzo il telefono e riconosco il numero sul display, penso anzitutto che non è Matt. E questo mi da fastidio.

Poi apro la comunicazione e saluto il mio interlocutore.

-Ciao, Vin.- esordisco, prendendo mentalmente nota dell’evento/telefonata per poterlo segnare negli annali storici.

Ho un tono apatico, perché c’è una sola ragione al mondo per cui Vincent può chiamarmi ed è Stefan. E siccome Stefan oggi mi odia, allora Vincent non può avermi chiamato se non per parlare di questo dopo essersi sentito con lui.

Ed invece no.

-Mi ha chiamato Matthew.- mi risponde lui, senza neppure salutarmi.

A Vincent non piace utilizzare parole che può risparmiare, i saluti per lui sono impliciti in una conversazione telefonica. “Ti chiamo, quindi so che ci sei tu dall’altro lato del telefono, quindi è ovvio che ti ho chiamato anche per salutarti”.

Io i suoi ragionamenti faccio fatica a seguirli, a volte.

Continua, ignorando queste mie riflessioni.

-Mi ha detto che tu e Stefan avete litigato.

-Te lo avrà detto anche Stefan!- sbuffo io ironico.

-No. A lui non piace discutere certe cose per telefono. Ma l’ho sentito alterato.- mi concede brevemente.

Sbuffo ancora.

-Brian. Piantala.- mi rintuzza, stizzito come al solito dai miei comportamenti.- Non mi pare tu sia nella posizione di poter fare lo sbruffone. Hai torto marcio.

“Tanto per cambiare”, penso io annoiato.

-Andiamo, Brian. Lo sai tanto quanto me, quindi non farmi perdere tempo in chiacchiere inutili.- ci aggiunge, giusto per gradire.

Mi irrita da morire. Mi irrita sempre! Mi alzo di scatto, mettendomi a sedere tra le coperte mentre borbotto qualcosa in sottofondo, tanto per fargli capire che può anche fermarsi lì e non andare avanti.

Lui mi ignora ancora.

-Sappiamo entrambi che, per quanto Stefan possa essere tollerante, questo tuo atteggiamento geloso e possessivo è assolutamente fuori luogo. Ed è assurdo che tu non sia nemmeno in grado di controllare il tuo istinto e di evitarti figure pessime come quella che hai fatto stavolta.

-Non psicanalizzarmi!- ruggisco ferocemente.

-Non ti sto psicanalizzando! Si chiama “buon senso”, Brian Molko!- ritorce lui.

Sbuffo per l’ennesima volta dall’inizio della conversazione. E questa cosa mi da la misura di quanto io mi stia rendendo ridicolo anche con Vincent. E della necessità di piantarla finché sono in tempo, perché – tanto per cambiare, appunto – lui ha ragione.

Lo sento respirare a fondo, prendere tempo e raccogliere la pazienza come si fa quando si deve parlare con un bambino piccolo. Torna a farlo in tono studiatamente calmo e posato.

-Senti, Brian.- mi richiama. Aspetta per essere sicuro che io ricacci indietro il fastidio e mi metta nella disposizione d’animo di ascoltarlo davvero. Riprende da lì.- Stefan, per quanto possa essere arrabbiato, non riesce ad avercela con te troppo a lungo.- Odio la sola idea che possa aver espresso in forma analoga lo stesso concetto espresso da Matthew al riguardo.- Ma al di là di lui, resta il fatto che tu ti sia comportato in modo molto sciocco. Davvero troppo sciocco, vista la tua età, visto che eri già stato più volte gentilmente rimbrottato sull’argomento e visto che non sei da solo in quel posto, ma devi convivere con altri tuoi colleghi. E sai meglio di me che tutti i luoghi “ristretti”…

-Generano già di per sé maldicenze.- sospiro completando al posto suo la frase.

-Esatto.- mi rabbonisce Vincent.- Quindi, andarsele a cercare assumendo un comportamento eccentricamente egocentrico e dispotico, non è il massimo.

-No.- convengo, rassegnato e sconfitto. Mi lascio ricadere con le spalle contro la parete della cuccetta ed aspetto il resto.

-Non te lo sto dicendo perché provo un perverso piacere nel farti la paternale, Brian.- ci tiene a specificare Vin. Ed io penso che se lui provasse un “perverso piacere” nel farmi di quei discorsi, io avrei almeno un motivo valido per dire a Stefan che il suo uomo mi odia.- Te lo sto dicendo perché voglio darti un consiglio sereno su questa cosa.

-Quale consiglio?- mugolo in tono così basso da fare fatica per primo a sentirmi.

Ma Vincent ormai è abituato a me. Quindi, non trova difficoltà alcuna nell’evitare questi trucchetti pietosi che adotto per autodifesa strenua. Interpreta benissimo e mi risponde anche.

Sbufferei di nuovo se non avessi dei seri problemi con la mia autostima nel farlo.

-Il mio consiglio è che tu chiarisca anzitutto con Stefan, che sta aspettando solo una scusa per perdonarti. Chiaramente.- esordisce, infatti, Vin.- E quindi vada a scusarti, pubblicamente, con Gerard Coso o come accidenti si chiama lui.

…dimenticavo che Vincent ed il mondo del rock sono due realtà che si svolgono su rette parallele.

-Brian?- mi chiama quando il silenzio si protrae troppo a lungo per continuare a permettermi di fuggire le mie responsabilità.

Interrompo le interessanti riflessioni che stavo conducendo sul perché diavolo Stefan abbia scelto proprio un accidenti di psicanalista come compagno. E per giunta abbia scelto il proprio psicanalista, come compagno. E riporto la mia attenzione su di lui.

-…ci sta provando con il tuo uomo.- dico con cattiveria palese.

Vincent ride. E quando lo fa io sono costretto a prendere atto di una delle innumerevoli ragioni che hanno indotto Stefan a sceglierlo come compagno.

-Brian, se avessi anche solo un minimo dubbio su Stefan, non potrei starci ancora assieme.- mi fa notare gentilmente. Ed io immagino il sorriso tranquillo che si disegna sul suo volto, dando un minimo di luce a quegli occhi azzurri e glaciali- Non è che fate esattamente… gli idraulici… o che so io. Passate più tempo lontani da casa, di quanto ne passiate a casa. Credi che Gerard, o come si chiama, sia il primo o l’ultimo che ci prova con Stefan?- mi domanda in tono morbido.

Sospiro.

-No.- ammetto a mezza voce.

-Bene. Allora fa come ti ho detto.

Vorrei mandarlo a quel paese. Giusto per ringraziarlo del consiglio. Ma non posso farlo, perché sento i passi di qualcuno, poi la tenda della zona notte viene scostata e mi ritrovo in faccia lo sguardo di Stefan, che ricambia il mio.

-Riattacca e digli che lo richiamo io dopo.- mi dice, sorridendo.

E se mi sorride significa che non mi sottoporrà al secondo round del suo sdegno, ma parlerà con me per chiarire questa cosa.

-Scusami, Vin, lo hai sentito.- riferisco al mio interlocutore.

Lo sento sghignazzare e rispondermi un “va bene” conciso, che precede il suo chiudere per primo la telefonata.

Stefan solleva le braccia ed io vedo che ha il cellulare in mano anche lui, le incrocia sul petto e mi guarda. Adesso sono io a ricambiare il suo sguardo.

Sospiro.

-…scusa…- butto lì, girando gli occhi intorno a me per non dover continuare a fissarlo.

-O.k.- risponde lui. Mi viene vicino e mi batte una pacca sulla gamba per farmi cenno di lasciargli posto accanto a me. Ubbidisco, permettendogli di accomodarsi nella cuccetta.- Come stai?- s’informa.

Io sorrido malignamente. La mia piccola vendetta devo prendermela comunque, penso.

-Potrei essere anche morto e tu non lo avresti nemmeno saputo!- esclamo arricciando il naso, offeso.

-Lo avrei saputo, invece.- ribatte lui tranquillamente.- Figurati se la notizia non avrebbe fatto il giro del Festival in meno di mezz’ora.

-Cretino!- ritorco tirandogli un pugno sul braccio.

Ride. Io mi rilasso e prendo a respirare normalmente.

Ho freddo per via della febbre e penso che stargli vicino mi aiuterà a riscaldarmi. Mi accoccolo contro di lui, sentendo il suo profumo. Stefan mi lascia fare, condiscendente come sempre ai miei capricci.

-Dove sei stato?- borbotto contrariato.

-Ho suonato con i MyChem.- mi risponde lui.

Per poco non mi strozzo nel mandare giù la saliva che ho in gola.

Gli giro addosso uno sguardo sgranato ed allibito, che lui sostiene senza scomporsi, aspettando solo che faccia un’altra scenata. Lo so che se la sta aspettando. E so che se gliela faccio davvero, le mie scuse di due minuti fa saranno state completamente vane.

-Ah.- dico quindi, registrando l’informazione.- …potevi dirmelo.- faccio notare lo stesso, in tono dimesso.

-Sì, avrei dovuto.- conviene lui, senza problemi. Scrolla le spalle e prosegue.- Non avevo voglia di parlarti, però.

-…e ora sì?- chiedo titubante, fissandolo di sottecchi

Lui ridacchia di nuovo.

-Mi ha chiamato Matt.- mi spiega.- Mi ha detto che non stavi troppo bene e che, magari, era meglio se parlavamo in fretta di questa cosa, perché l’avevi presa male.

Respiro. Matthew dovrebbe imparare a farsi i cavoli propri. Dovrebbe sul serio.

Ma quando guardo Stefan ed incrocio i suoi occhi, in attesa, mi dico che devo richiamarlo e ringraziarlo. E farlo anche in fretta, perché se lo merita proprio. Ci mancano solo gli stupidi problemi di uno stupido compagno dall’altra parte dell’Oceano, che pur essendo più vecchio di lui – e ritenendosi per questo più saggio, senza avere nemmeno un motivo per affermarlo – si comporta come un imbecille. Povero Matt, non lo invidio.

-Mi dispiace. Hai ragione tu.- confesso rivolto a Stefan.

-Sì, questo lo so.- sminuisce lui, scuotendo le spalle. Non è quello che vuole, ed io ne sono consapevole, ma questa storia mi è già costata molto e farla costare ancora di più non rientra nelle mie aspirazioni.- Brian, sappiamo entrambi che non intendevo affatto dirti che non ti voglio nella mia vita.- riprende Stefan pazientemente. Ed anche se sì, lo sapevamo tutti, sentirglielo dire mi fa bene e mi sembra di riuscire a respirare meglio.- Ma devi smetterla di appenderti a me e Steve, come se fossimo la tua unica ancora di salvezza. Sei perfettamente in grado di stare da solo e, comunque, nessuno ti sottrae nulla qui. Meno che meno Gerard Way.

-Sì, certo.- concordo stringendomi anch’io nelle spalle.

-Bene. Allora gli chiederai scusa.- pretende lui.

Annuisco. Mi costa fatica farlo. Mi costerà ancora di più mantenere questa promessa.

Stefan lo sa e mi sorride quando torno a guardarlo.

-Fa ancora male la gola?- mi chiede.

Sbuffo.

-Ho la febbre.- ritorco imbronciato.

-Sì, lo so. Così impari ad andartene in giro in magliettina quando tira un ventaccio terribile.- ridacchia lui.

-Tu lo fai sempre!- ghigno cattivo.

-Io sono io.- afferma lui serafico.- Vedi di rimetterti in piedi per domani, Brian. O vedremo Alex davvero, davvero arrabbiata.

 

 

 

 

Nota di fine capitolo della Nai, che fa osservare alla Liz che tanto lei scrive comunque per ultima, visto che pubblica lei!

 

Ci tengo a rassicurare Isult sul fatto che né io né Liz abbiano alcunché contro Gerard Way. Anzi! Personalmente ho una passione “quasi” inconfessata per Porcello, anche se non sono una fan dei My Chemical Romance.

Detto questo.

La storia si avvia alla sua conclusione, ormai mancano solo 5 capitoli e l’epilogo e noi non abbiamo nemmeno messo dito al suo seguito O.O mi chiedo se non sia il caso di cominciare a metterlo in agenda…

Frattanto, un bacio a tutte con taaaaaaaaanto amore! *_*

 

 

Nota di fine capitolo di liz, che fa osservare alla Nai che “non c’entra niente” ù_ù perché è una questione di manipolazione mentale.

 

Prima di tutto, per Isult: a me piace Teenagers è_é/ Questo è quanto. Secondo poi: non è vero che non abbiamo messo mano al seguito! Il prologo, in realtà, è già scritto è_é! Ma tanto, se continuiamo a pubblicare così lentamente (scusateciscusateciscusateci, siamo schifosamente imperdonabili e pigre ç________ç!!!), i cinque capitoli e l’epilogo restanti li vedrete fra un mucchio di tempo è_é Vi ringraziamo tanto per il supporto e l’affetto con cui ci seguite T.T Siamo così immeritevoli, e voi siete così amabili T.T Tanto amore ed a presto <3

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Capitolo 9
*** Nine. ***


Prima che me ne dimentichi e ven

Prima che me ne dimentichi e venga giustamente bacchettata da Lizzie…

L’Easily ringrazia i propri appassionati lettori, in particolare manda un bacione affettuoso a Stregatta, Erisachan, Isult e Whity.

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Nine:

 

Il mattino ha l’oro in bocca.

Tranne il mio. Il mio sa di veleno.

Ieri sera, dopo che Stef è andato via per telefonare a Vincent, ho chiamato Matthew. Mi sono scusato e poi l’ho ringraziato. Lui ha riso ed ha detto che non avevo nessun motivo per ringraziarlo. Poi mi ha chiesto se fosse tutto a posto.

Ed io ho ricominciato a lamentarmi.

Matt ci ha messo tutto il proprio impegno nell’opera di persuasione, ma lo ammetto: questa cosa di dovermi scusare con Gerard Way non mi va né su né giù. Per un po’ ho anche pensato di continuare a fingermi ammalato per prendere tempo, ma la faccia di Alex stamattina, quando è venuta ad informarsi di come mi sentissi, è stata sufficiente a farmi recedere da ogni proposito di accennare un solo starnuto o un colpo di tosse.

Stavo palesemente rischiando la vita. E per un raffreddore – o per un darkettino del cavolo, che insidia i bassisti altrui – non ne vale la pena.

Così mi sono alzato, rassicurandola sul fatto che stessi bene, mi sono vestito, scansandola mentre mi agitava contro un termometro quale arma impropria, e sono sceso dal tour bus, dopo aver ingollato a stento un paio di sorsi di caffè bollente. Stefan ha sorriso e si è alzato dietro di me, Steve ha scosso la testa ed ha seguito entrambi. È carino da parte loro fare da sostegno morale nel momento della mia umiliazione pubblica.

Chiaramente Gerard è rintanato nel proprio bus. Sono le nove e mezza del mattino, presumo che, se anche è sveglio, si stia beatamente rotolando tra le coperte, godendosi i rimasugli di sogni che ha ancora appiccicati alla faccia.

Il solo pensiero che sia bastata l’idea di dovermi scusare con lui a far, invece, balzare me giù dalla cuccetta ad un orario assolutamente indecoroso, mi da i nervi! Per questo mi fermo davanti alla porta aperta del loro bus. Per questo aspetto di prendere fiato e di calmarmi. Per questo guardo Stefan, che mi sorride ancora, per ripetermi mentalmente il motivo per cui sto facendo tutto questo.

Volete ridere? Orario indecoroso o meno, intorno a questo dannato pullman c’è già una cazzo di folla di curiosi!

Salgo i due scalini che mi separano dall’interno e mi affaccio al cucinino.

-Gerard.- chiamo brusco, senza degnare di uno sguardo nessuno dei ragazzetti che pesco all’interno.

In realtà colgo solo, indistintamente, la presenza di “qualcuno”, ma non mi soffermo troppo a chiedermi di chi si tratti, perché li trovo abbastanza stereotipati da avere difficoltà a distinguerli e ricordarmene i nomi. Fatto sta che alla fine, stante il prolungarsi del silenzio, sono costretto ad appuntare l’attenzione sui due che mi fronteggiano, colazioni alla mano e sguardo assente.

Di Gerard nemmeno l’ombra.

Sbuffo.

-Dov’è il vostro cantante?- m’informo spiccio.

I due si guardano. Poi tornano a guardare me. E mica chiudono quelle boccacce spalancate in espressioni di stupore attonito! Indicano la tendina della zona notte, io giro lo sguardo seguendo le loro dita, ma poi inarco un sopracciglio e torno a fissarli.

-Mica posso andare a chiamarmelo da solo.- faccio notare colloquiale.

Uno dei due scatta come se lo avessi minacciato. Mi supera d’un balzo, riuscendo non so come ad evitare di urtarmi nonostante gli spazi ridotti, e s’infila di corsa dietro la tenda. Sento una mezza protesta, un vociare confuso, un’esclamazione strozzata molto simile ad un’imprecazione, e poi la tenda viene scostata di nuovo e Gerard appare in tutta la propria incazzata “magnificenza”. Dardeggiando su di me.

…Dio…se esisti dimostramelo ed inceneriscilo.

-Tu. Cosa. Ci fai. Qui.- m’interroga, sillabando la richiesta per essere sicuro che mi arrivi chiara.

“Respira, Brian.”

Mi guardo intorno. Non c’è spazio e non c’è aria. E non c’è Stefan a vedere come questa specie di moccioso rotolante mi stia apostrofando con così poca grazia.

-Ti spiace se usciamo?- domando, facendo finta di non aver colto il suo tono.

Non aspetto che mi risponda, ma mi volto e rifaccio i due gradini a ritroso, inseguito da un “Brian!” che vorrebbe mettermi in soggezione ma che mi da semplicemente un fastidio abominevole. Piombo sul piazzale e faccio qualche passo per discostarmi dalla porta e dargli modo di catapultarsi fuori, dietro di me, e raggiungermi in mezzo alla folla di cui sopra.

-Mi dispiace molto per averti trattato a quel modo.- dico tutto d’un fiato a quel punto, non dandogli neppure il tempo di accorgersi di quello che sta succedendo.

Ed infatti lui ci mette qualche minuto a capire. Mi osserva un attimo, mentre io me ne sto di fronte a lui imperturbabile. Gli ho sciorinato le mie scuse come se gli stessi gettando caramelle, con disinteresse evidente. Ed anche se non era quello che volevo – assumere un tono incolore – l’ho fatto, per cui immagino già da solo che come scuse non valgano troppo. Tanto più che continuo a ricambiare il suo sguardo stupito e perplesso in modo così sfacciato che, se potessi sdoppiarmi e parlarmi da solo, mi prenderei a ceffoni.

-…sai che cazzo me ne faccio delle tue scuse?- mi risponde lui, infatti. La sua voce si alza progressivamnte, da quel sussurro strozzato diventa pian piano un grido trattenuto a stento. Io non mi muovo e non batto ciglio. Lui continua- Tu sei la peggiore checca isterica con cui abbia mai avuto a che fare.- afferma.- Sei un arrogante, saccente, presuntuoso figlio di papà, che crede di poter venire qui a prendermi per il culo davanti a tutti e così fare la figura di quello “figo”…!

-Ti ho solo chiesto scusa.- lo interrompo laconico.

-No, tu mi stai insultando ancora!- corregge lui ferocemente.- Chi cazzo ti credi di essere, Molko?! Pensi che ci sia un motivo per il quale tu devi essere considerato migliore di chiunque altro?!

-Senti, Way,- sbuffo io senza lasciarmi tirare in mezzo al litigio.- non so cosa cavolo vuoi dire, io sono semplicemente venuto a dirti che mi dispiace di essere stato scortese con te l’altro giorno. Se questo non ti basta, è un problema tuo.- aggiungo spiccio.

Sento qualcuno premermi sulla spalla. Mi volto ed incrocio lo sguardo di Stefan, lo fisso interrogativo, ma lui mi fa cenno di andare via, così scrollo il capo e mi volto di nuovo.

-Se c’è altro, sai dove trovarmi.- liquido il mio interlocutore.

Seguo Stefan, osservandolo infastidito mentre accenna un saluto a Gerard prima che suo fratello venga a riprenderselo di peso per trascinarlo all’interno del bus. Quando arriviamo al nostro, mi ci infilo risolutamente e mi lascio cadere a sedere sul divanetto, voltandomi ai miei due compagni di band in attesa della ramanzina. Incrocio le braccia e li fisso corrucciato. Steve è perplesso, non sa come prendermi. Stefan ride, si appoggia al ripiano del tavolino e mi guarda, incrociando anche lui le braccia sul petto e fronteggiando il mio astio con la calma consueta.

-Sei l’unica persona che conosco che riesca a rendersi irritante anche quando si scusa.- mi dice Stef.

Sbotto.

-Cazzo! Lo hai sentito! Non faceva altro che ripetere che io lo stavo insultando!- strillo.- Ma se mi stavo solo scusando!- ringhio furioso.- Cosa voleva che facessi?! Che scoppiassi a piangere e gli chiedessi in ginocchio di perdonarmi?! Se pensa che mi sentirò in colpa per avergli detto di non rompere i coglioni al mio bassista…!

-Brian.- mi ferma Stefan pacatamente.- Va bene così.- concede continuando a sorridere.- Adesso ci penso io.- mi dice poi.

***

So di non avere un carattere facile.

E so che dire “non facile” è voler usare un eufemismo ed essere molto carini nei miei confronti.

Ho sempre avuto questo carattere del cavolo. Già da bambino ero uno di quei ragazzini isterici, introversi, fastidiosi, che passano il proprio tempo ad osservare il mondo in silenzio – rendendo le madri fiere dei commenti su “quanto è tranquillo il piccolo Brian” – e poi, alla prima, scattano come molle riversando tutto l’odio covato nei propri pensieri sul malcapitato di turno. Adesso ho solo cambiato bersagli. Ed autorità per strillargli contro.

Il mio staff mi teme. Dicono che sono irritabile e lunatico come una donna. Ed hanno ragione.

In generale, dicono anche che, quando sono “in vena”, sono adorabile. Nadine ad esempio mi ama palesemente. Ricambiata, peraltro. Anche Alex riesce generalmente a tenermi testa a sufficienza per potermi volere sinceramente bene. Con i tecnici il rapporto è più ambiguo, oscilla con il mio umore, appunto. Loro lo accettano, ormai sono rodati e sanno come prendermi anche quando do di matto perché la mia testa è altrove ed io sono ossessionato dai pensieri.

Quelli con cui ho difficoltà enormi restano i tipi della produzione. Mi irrita sentirmi dire cosa devo fare, mi ricorda il rapporto con mio padre e sono quasi sempre insofferente alle riunioni ufficiali. Devo prepararmi per giorni prima di andarci. Devo essere spiritualmente e psicologicamente pronto a vedere le loro facce e sentire le loro ragioni.

Io non sono un idealista. Sono, anzi, la cosa più lontana da un idealista che sia mai esistita. La disillusione ed io andiamo a braccetto da quando avevo quindici anni. Forse da prima. Le mie presunte rivoluzioni non sono state combattute in nome di un bene superiore, ma in nome del mio bene, quello di Brian Molko e delle ragioni del suo “voler fare il cazzo che gli pareva”. Sono rivoluzioni riuscite proprio per questo, secondo me. Gli ideali sono una delle cause principali del fallimento di qualcosa, non sono mai realizzabili, inevitabilmente s’infrangono contro la realtà e mandano a puttane gli sforzi fatti per arrivare all’obiettivo.

Per cui, non ho alcun problema a capire le motivazioni di base sulle quali si fonda il lavoro dei produttori. Fare soldi. E mi stanno bene, perché coincidono con le mie. Magari non del tutto, perché io, oltre a voler fare soldi, amo crogiolarmi in tutto quello che la notorietà ed il successo comportano come “accessorio”, e non rinuncerei a tutto questo per nulla al mondo. Però il punto è che loro, per fare soldi, mi dicono come devo comportarmi. E questo mi irrita.

E quando mi irrita troppo, scatto. E quando scatto, mando al diavolo tutti ed esco sbattendo la porta o, peggio, resto seduto e comincio a rompere i coglioni come mi riesce tanto bene fare. Tirata di battute crudelmente gratuite, sorrisetti malevoli e supponenti, interruzioni random e fuori luogo ai discorsi altrui, contraddizione per principio di tutto quello che mi viene presentato. “Troppo idiota”, “troppo intelligente”, “troppo qualcosa, fate voi cosa”…

In entrambi i casi, i poveretti che stanno sotto mi fissano a disagio e tentano inutilmente di muovermi a pietà, o di muovere a pietà qualcun altro dei presenti perché li salvino da me. Stefan scuote la testa, Steve si lascia andare sul tavolo ed Alex mi fissa, sospira, borbotta e mi caccia fuori a pedate “per parlarmi un secondo, Brian!”.

Il modo migliore per prendermi è arrivare da me e dirmi “Sig. Molko, avremmo un’idea su come potrebbe essere la promozione del prossimo album, vorremmo discuterne con lei i dettagli per poterla mettere a punto insieme”.

O ancora meglio, “Sig. Molko, fidandoci del suo parere, gradiremmo conoscere quali siano le sue idee per la promozione del prossimo album, eventualmente ne discuteremmo volentieri con lei”.

Tutto questo a tavola, davanti ad un bicchiere di vino d’annata e sorridendomi compitamente.

Sono davvero in pochi i produttori abbastanza furbi da capire tutto questo.

***

In definitiva, quel pomeriggio era andato tutto a puttane. E noi avevamo mollato gli uffici della Virgin, per rintanarci agli Studi, con me più incazzato che mai e Stefan e Steve più scazzati che mai. Nessuno sembrava intenzionato ad occuparsi del mio umore, ma tutti sembravano considerare un dovere di Alex cavarsela da sé e trovare un modo per tenermi buono.

Risultato? Quando Matthew arrivò, le mie urla contro uno dei tecnici addetti alla sala di registrazione stavano già facendo il secondo giro di eco per tutto il palazzo. Alex mi aveva mandato al diavolo meno di cinque minuti prima ed era scesa di un piano per raggiungere le macchinette del caffè e tentare di ignorare il casino che stavo combinando, così si incrociarono agli ascensori e si guardarono per un istante. Matt con una domanda silenziosa negli occhi ed Alex con una risposta ancora più silenziosa nei propri. Sospirò, entrò nell’ascensore con lui e premette il pulsante per tornare su ed accompagnarlo da me.

-Brian, che accidenti succede qui?- esordì Matthew spalancando la porta della sala prove ed infilandocisi risolutamente dentro.

-Succede che sono degli incompetenti!- ruggii io aggredendolo.

Matthew girò lo sguardo attorno a sé. Steve sedeva sconsolato alla batteria, rovesciato in parte sui piatti, ricambiò la sua occhiata solo per sollevare le sopracciglia in un’ammissione tacita d’impotenza. Stefan non fece neppure questo, seduto a terra in un angolo allungò le gambe davanti a sé e si accese una sigaretta, disinteressandosi del tutto dei divieti in tal senso affissi un po’ ovunque.

-Ti sembra normale che uno debba lavorare con degli imbecilli che non sanno nemmeno fare il minimo indispensabile?!- proseguii io, ignorando quello scambio di sguardi e proseguendo con la stessa ferocia. Mi liberai della tracolla della chitarra, sbattendola malamente a terra mentre tornavo a grandi passi verso l’uscita, ed ordinai perentorio.- Vieni! Vieni a sentire lo schifo che hanno fatto!

Matt mi seguì, tornando con me nella stanzetta di registrazione, dove due individui, di cui non conoscevo nemmeno il nome – né m’interessava saperlo – ma che da circa un’ora stavano subendo senza battere ciglio la mia sfuriata, ci fissarono con aria annoiata, ruotando leggermente sulle poltroncine che li ospitavano.

-Che succede?- ripeté Matt, senza darmi il tempo di riprendere ad urlare ed imprecare.

-Il Sig. Molko non è soddisfatto del nostro lavoro.- informò atono uno dei due, arricciando il naso con evidente fastidio.

-E ne ho motivo!- sbottai io.- Fategli sentire quella roba che avete registrato!- pretesi, incrociando le braccia sul petto ed aspettando, mentre l’altro – quello che non aveva parlato – sospirava pesantemente ed armeggiava con la consolle per far partire il pezzo.

Matt lo ascoltò in silenzio, ricambiando lo sguardo che io gli rivolgevo e che consideravo già di per sé eloquente - insieme con l’ascolto - di quanto tutta quella storia fosse un complotto contro di me, per farmi impazzire del tutto. Lui non parve condividere questa opinione, comunque. Così, quando finì la musica, interrompendosi bruscamente, io non gli lasciai il tempo di fare domande che potessero far peggiorare il mio umore e lo prevenni.

-E’ qualcosa di indicibile! Un’ora qui dentro ed ancora non sono riusciti a regolare gli effetti degli strumenti!- sbraitai.- Cosa diavolo li paghiamo a fare?! E’ ovvio che non sono in grado di fare il proprio lavoro!- ribadii.

Matthew guardò i due tecnici, cogliendo le loro smorfie infastidite alle mie spalle. Io non li guardai, ma delle smorfie sapevo lo stesso, perché ne avevo colte a centinaia in situazioni analoghe sulle facce delle persone più disparate. Respirò. Scrollò le spalle per togliersi dalla posizione rigida che aveva assunto, innervosito dal mio comportamento, e si tolse il cappotto.

-O.k., il basso si sente poco, in effetti.- esordì lasciando l’indumento su una terza poltroncina in un angolo. Se l’allungò vicino con un piede e sedette, servendosi poi delle rotelle per arrivare fino alla consolle.- Ora vi do una mano anch’io e vediamo di sistemarla.- propose collaborativo, intanto.

I due tipi lo fissarono scettici. Io esitai quel tanto che bastava perché cominciassi ad accettare l’idea e Matt mi guardò serafico, in attesa della mia decisione, già accanto alla consolle.

-…o.k….- borbottai tornando indietro.

***

Posto che Matt riesce nel meraviglioso intento di calmarmi quando do di matto, Alex non può che amarlo in modo appassionato e sincero.

Quando quel pomeriggio ci raggiunse nuovamente nella sala prove, trovandoci intenti a discutere con Matthew delle possibili modifiche del pezzo e con i tecnici dei possibili effetti da applicare alla strumentazione, pensò che il mio ragazzo avesse delle doti paranormali, che lo rendevano molto simile ad un supereroe da fumetto americano. E quel giorno, Matthew si conquistò un posto nel suo cuore indipendente da quello che aveva già assunto all’indomani dell’inizio della nostra relazione ed a seguito dell’incidenza mediatica che questo aveva avuto.

-…e quindi, se lo cambi a questo modo…- E qui Matt infilò un arpeggio di pochi secondi che trovai semplicemente delizioso. Così come trovai delizioso che stesse suonando la mia chitarra, sebbene fosse un pensiero “da mocciosa” che mi urtava non poco. Ma non riuscivo proprio a smettere di pensarci e…- Bri?

Mi riscossi, tornando a concentrarmi su di lui.

-Sì, scusa.- mormorai.

-A me piace.- annunciò Stefan, che evidentemente aveva seguito molto più di me.

-Anche a me.- concordò Steve, annuendo con convinzione.

Spostai lo sguardo dall’uno all’altro.

-Vi piace?- ripetei. Loro scrollarono le spalle ed io guardai Matt.- Fammi rivedere come si fa.- concessi, per accorgermi del suo sorriso soddisfatto.

Alex ridacchiò, distraendoci tutti e quattro.

-Attento a non trasformarmeli in una cover band dei Muse, Matt.- lo redarguì divertita.

-Nah, ma non c’entra nulla con quello che suoniamo noi.- si schernì lui imbarazzato.

-Sì, è vero. È molto “nel nostro stile”.- convenne Stefan.

E Steve rise.

-Talmente nel nostro stile, Bellamy, che c’è da chiedersi da quanto ci ascolti!- esclamò prendendolo in giro.

E Matthew arrossì e balbettò qualcosa, mentre si sfilava la jaguar per restituirmela.

-Piantala, Steve.- lo rimproverai distrattamente, fingendo di lasciar cadere lì il commento.- Riprendiamo, così vediamo di registrare questa roba stasera, se riusciamo.

-Uh, sarebbe il massimo!- affermò Alex speranzosa.- Andiamo, Matthew, ti offro un caffè.- invitò poi, uscendo per prima.

Scoccai un bacio a fior di labbra a Matt quando si voltò a salutarmi, e poi mi tirai dritto ed infilai la tracolla.

-Sparisci.- ribadii indicandogli con un cenno del capo la porta ed Alex.

-Ci becchiamo dopo?- mi chiese.

-Cena fuori.- risposi io spiccio.- Ora levati dai piedi che devo lavorare.

***

Lo abbiamo fatto con le sue variazioni, quel pezzo. È una demo per l’album nuovo. Non so come verrà alla fine, ma so che piace a tutti e tre.

Mica male, visto che è anche il lavoro di un fan.

Quando scendo dal palco la sera, mi sento bene. Stefan ha chiarito con Gerard, ma ovviamente lui mi odia ancora. Non che questo mi interessi, s’intende. Il punto è che Stefan ha chiarito con me ed ora tra noi tre le cose sono esattamente come prima. Con la nostra intesa perfetta, con quel comprendersi solo con un cenno, con il nostro essere un trio. Mi piace. Mi piace respirare sul palco tutto questo.

Per cui, quando scendo da là sopra la sera, penso che è stata un’esibizione fantastica. E non importa che lo sia stata o meno, lo è stata per me.

Trovo Alex che ride con qualcuno al mio cellulare. Quando mi vede, mi fa un cenno con la mano per farmi avvicinare, ed io vado verso di lei.

-…sì, è qui. Te lo passo.- dice veloce al proprio interlocutore.

Mi passa il telefono con un “è Matt” lasciato cadere, ed io lo prendo e sorrido contro l’apparecchio.

-Ciao!- sbuffo subito.

-Ciao.- risponde lui.- Calcolati bene i tempi per beccarti mentre uscivate?- mi domanda divertito.

-Sei terribile!- ridacchio io.

-Alex mi ha detto che siete stati fantastici.

Mi piace che lo pensi. Il mio sorriso si accentua.

-Il solito.- sminuisco, scrollando le spalle.

-Bri, devo cercarmi i filmati in internet?- s’informa lui, ridendo.

-Piantala, scemo!- sbotto facendogli eco.- O.k., siamo stati fantastici.- ammetto con una più sincera immodestia.

Stefan e Steve mi passano accanto, Stef mi batte sulla spalla per richiamare la mia attenzione e fa cenno verso il palco.

-Ah, dobbiamo uscire per i ringraziamenti…- dico affrettatamente.- Ti mollo di nuovo con Alex.- gli annunciò un istante prima di allungare il cellulare alla mia manager.

Esco sul palco. La folla chiama i nostri nomi.

Penso che dovrei esserci abituato. Che non dovrebbe fare più effetto. Stefan concede inchini ed abbracci come sempre, io rido divertito da tutte le moine con cui ricambia il loro affetto. Lascio andare un bacio generale e saluto.

Qualcuno dalle prime file lancia un gattino sul palco. Un pupazzetto di peluche marroncino, tigrato, che rotola proprio davanti a me.

Di solito non lo faccio.

Di solito ignoro queste cose. Le trovo infantili e mi sentirei terribilmente stupido a darvi seguito.

Ma lo raccolgo, ringraziando con un cenno, ed esco dietro Steve.

Stefan mi ha aspettato. Mi fissa sorpreso anche se non gli rispondo, poi mi passa un braccio intorno alle spalle e mi accompagna fuori.

C’è Alex dietro le quinte che mi tende di nuovo il telefono.

 

 

 

 

Nota finale di liz & Nai (una volta tanto, unica!):

 

Questo non perché, come potreste giustamente supporre avendo in mente un’idea di Nai serena ed equilibrata, lei sia stanca o assente o che altro, no. Solo perché è una dannata pigrona e, figuratevi, quando le ho detto di scrivere una nota, mi ha detto “va be’, falla tu, dì a tutti che li amo e blabla. Salutameli”. Che pigrona u.u Che ingrata u.u Che essere inqualificabile u.u

Come avrete intuito, sono la liz *_*! E mai come oggi le mie note sono inappropriate, perché di questo capitolo non ho scritto una benemerita sillaba *____* Ma questo mi porta anche a dire con estrema gioia e senza peccare d’immodestia che è bellissimo ed io lo amo, ovviamente <3

E, come diceva Nai poco fa, in realtà questa storia è una dichiarazione d’amore nei confronti di Matt. Sincera e spassionata <3 *commuoviamoci* *lolla*

Grazie ancora a tutte per i complimenti, siete splendide <3 A presto *_*

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Capitolo 10
*** Ten ***


L’Easily Forgotten Love ringrazia Whity, Erisachan, Isult e Stregatta per averci come sempre regalato un commento a dimostrarci il loro affetto.
Che noi ricambiamo con un bacione enorme! *_*
 
…they have trapped me in a bottle…
 
Ten:
 
-Come lo hai chiamato?
Alzo leggermente lo sguardo, senza muovere la testa, con il mento poggiato sul dorso delle mani sopra il tavolino nel tour bus.
-Leonida.- rispondo a Stefan, che ridacchia e mi posa il caffè davanti la faccia.
Scosto la tazza per riprendere a fissare negli occhietti pallati il mio gatto di peluche marroncino e tigrato.
-Leonida è un nome idiota.- afferma Steve perentorio, attraversando il corridoio per arrivare al cucinino ed infilare la testa nel frigorifero.- Brian, hai di nuovo mangiato tutte le mie merendine?- mi chiede sollevando la testa di scatto.
-Sì.- ammetto spiccio.- Ma stavolta sono stato previdente!- affermo poi, alzandomi ed uscendo da dietro il tavolo.
Raggiungo Steve e mi allungo al di sopra della sua schiena per aprire uno degli sportelli del cucinino. Tiro fuori un pacco di merendine ancora intonso e glielo mostro con un sorriso compiaciuto.
-Al cioccolato!- annuncio.
Lui sorride, mi scompiglia i capelli come si farebbe con un bambino piccolo ma accetta il regalo e viene a sedersi con me e Stefan intorno al tavolo. Leonida ci fissa dal centro esatto. Gli rimando l’occhiata mentre spacchetto una delle merendine che Steve mi ha passato.
-Il cioccolato è una delle sette meraviglie del mondo.- afferma oziosamente il mio batterista, osservando compiaciuto la crema scura e densa che fuoriesce dal pan di Spagna.
-Sono quasi sicuro di no, Steve.- ribatte Stefan incolore.
-Non capisco perché tu dica che Leonida è un nome idiota.- borbotto contro Steve.
-Brian, a volte ti fissi sulle cose…- interloquisce ancora Stef.
-Non potrò più guardare “Trecento” con gli stessi occhi.- mi spiega intanto Steve- Avrò sempre l’immagine di una specie di coso peloso che mi fissa con occhi pallati.
Arriccio il naso. Guardo il gatto, poi di nuovo lui.
-Ti somiglia!- affermo.
Ed a quel punto, Chester entra a salvarmi dalle veementi proteste del mio batterista.
-Brian!- lo sento chiamare quando è già dentro il tour bus. Ha un sorriso enorme in faccia, scruto il suo entusiasmo chiedendomi da cosa dipenda, ma lui non sembra intenzionato a svelarmene i motivi.- Io sto andando in città, mi chiedevo se ti andava di venire con me.- mi propone invece.
Mi stringo nelle spalle.
-Se mi dai dieci minuti per infilarmi qualcosa di accettabile…- ribatto.
-Certo.- annuisce lui subito.- Ti aspetto all’ingresso.
***
Chester mi piace. È una persona semplice, uno di quei ragazzi che non hanno smesso di essere “alla mano” solo per via del successo.
Il mio esatto opposto, insomma.
Ma io, comunque, non sono mai stato uno alla mano. Nemmeno prima del successo.
Per questo mi piace avere a che fare con tipi come lui, non puoi entrare in competizione con uno così, alla fine ci passi ore assolutamente rilassate e tranquille. E poi è un nostro fan. Meglio, è un mio fan. Ed io sono un egocentrico. Amo avere gente che mi rispetta e che mi apprezza intorno, quindi ho una predilezione per chi riesce a farlo con una buona quantità di discrezione ed eleganza. Chester rientra nel novero di tali individui, per cui mi piace la sua compagnia e, sebbene di fatto non ci si conoscesse che di vista prima di questo festival, mi ritrovo con lui con una certa facilità.
È per questo che passiamo fuori tutta la giornata. Attraversiamo la città a piedi, ci infiliamo in negozi di souvenir e ci riempiamo di cianfrusaglie inutili. Penso distrattamente che l’anno prossimo mi ritroverò un nuovo scatolone pieno di ricordi da tirare fuori quando sarò di cattivo umore, ma non riesco ugualmente ad impedirmi di comprare a Steve un assolutamente inutile ed orribile paraorecchie peloso. Mentre rovistiamo negli scaffali, Chester mi parla, mi racconta di sé, della band, del lavoro in genere. Ci scambiamo battute distratte, ci fermiamo a mangiare da qualche parte e ripartiamo per un altro giro dopo pranzo.
Quando rientriamo al festival, in tempo per il concerto, ci separiamo infilandoci rapidamente nel backstage. Nadine mi accoglie strillando che se continuo ad arrivare così tardi si licenzia, io scrollo le spalle e le dico una cosa carina per tenermela buona, mentre raggiungo la costumista per cambiarmi.
Stefan, già pronto per uscire in scena, mi raggiunge mentre Nadine sta finendo di sistemare il trucco.
-Divertito?- mi chiede.
-Ho comprato cose inutili, chiacchierato di cose futili e mangiato schifezze.- riferisco brevemente, chiudendo gli occhi per lasciare che il mascara allunghi innaturalmente le mie ciglia.- Certo che mi sono divertito!- affermo quindi.
-Ed abbiamo anche trovato il tempo per spettegolare della nuova fiamma di Ville Valo.- aggiunge Nadine, ridacchiando insieme con me al pensiero delle ciarle che ci siamo scambiati poco prima.
-Bene.- sorride Stefan- Io suono di nuovo con i MyChem.- mi dice quindi.
***
- Non avevano davvero bisogno di un altro bassista. – preciso con uno sbuffo contro la cornetta, dopo essermi lasciato ricadere nella mia cuccetta sul tour-bus, - E tra l’altro due linee di basso non c’entrano niente con la musica dei My Chemical Lagnance. Per non parlare del fatto che chiaramente Stefan non aveva una propria linea di basso, per quelle canzoni, e ovviamente Mickey Way è troppo perfetto per permettere a qualcun altro nell’universo di utilizzare la sua! E quindi, di conseguenza, il mio bassista è stato anche costretto a perdere del tempo per idearne una nuova! Come non avesse già abbastanza da fare!
Termino lo sproloquio e resto in attesa.
Devo dire la verità: vedere Stef suonare coi My Chemical Romance mi ha irritato, ma non tanto quanto sto cercando di dare a bere a Matthew. Ho solo voglia di sentirmi un po’ rassicurato, e questo è uno dei trucchi meschini che utilizzo con gli altri quando sono in queste condizioni: fingo uno stato d’animo che non mi rispecchia per sentirmi dire ciò che voglio.
Matt, dall’altro lato della cornetta, per un po’ non dice niente.
Poi respira faticosamente e sbotta un “mh” che non capisco se prendere come un incitamento a proseguire o chissà che altro.
Proseguo.
- No, davvero. – insisto, - Con Gerard mi sono scusato e tutto, ma non capisco per quale motivo debbano stare così appiccicati! Non è per gelosia… - mi fermo, ridacchio, - Ok, non solo; è anche per rispetto nei confronti dello stesso Gerard! A lui Stefan piace sul serio. Alla fine Stefan lo pianterà in asso come niente e lui ci resterà male. Come fa Stef a non capirlo?!
Mi interrompo di nuovo ed aspetto.
Matt respira ancora, sempre più faticosamente.
- Matthew? – lo chiamo, preoccupato, - Ma stai bene?
Lui si prende ancora del tempo.
Odio quando lo fa.
Significa che vorrebbe dirmi delle cose che mi irriterebbero, e sta cercando di trovare un modo per addolcire la pillola prima di ficcarmela in gola.
- Dovresti… smetterla di parlarne. – mi dice seccamente dopo un po’.
- Mi lamento quanto mi pare e piace. – sbotto con tono falsamente irritato.
- No, dovresti smetterla di parlarne e basta. – afferma lui, più duramente.
I respiri riprendono, aritmici e spossati come se dovesse tirarseli fuori dal petto per forza.
Realizzo d’improvviso che Matthew è nervoso.
- Matthew, guarda che scherzavo… - preciso, un po’ incerto, sperando di interrompere l’apertura del baratro enorme che mi si sta formando sotto i piedi.
- Certo. – borbotta lui, sospirando pesantemente, - Scherzavi. Ma è più di una settimana che ti sento parlare solo di questa storia. Mi dà fastidio.
- Ma Matthew- - provo ad interloquire, roteando gli occhi.
- No! – urla lui, zittendomi. – No. – ripete più a bassa voce, cercando di farmi capire che è davvero al limite della sopportazione e non mi conviene spingerlo ancora, - Come diavolo fai a non capire?! Posso sentirti solo per telefono e solo due o tre volte al giorno, altrimenti sia i miei che i tuoi compagni di band desidereranno la mia testa su un piatto d’argento, e quando finalmente riusciamo a parlare l’unico argomento di conversazione che tiri fuori qual è? Stefan. Stai cercando di dirmi qualcosa, Brian?
Il suo tono, insinuante, affatto educato, direi addirittura irrispettoso, mi manda su tutte le furie.
- Adesso calmati. – intimo freddamente, - Non dire cazzate.
- Dovrei continuare ad ascoltarti mentre mi sputi in faccia quanto sei geloso del tuo ex, Brian?
Annaspo.
È un colpo basso.
Aveva tutte le armi per farmi una cosa simile. Gliele ho fornite io, quando gli ho raccontato tutto del mio passato, senza omettere neanche un particolare perché pensavo che non avrebbe mai potuto utilizzarli a proprio vantaggio contro di me.
Ma evidentemente mi sbagliavo.
- Come ti permetti? Bastardo! – urlo nel telefono, e Dio sa se vorrei averlo davanti agli occhi per prenderlo a pugni.
- Certo, Brian! – strilla lui a propria volta, con una risata sprezzante, - Urla! Offendimi! Avanti, fai come fai sempre quando sai di avere torto! Forza!
- Matthew, piantala immediatamente se non vuoi che questa conversazione si trasformi nella nostra ultima conversazione. – minaccio a bassa voce, sperando che ubbidisca.
- Per quello che t’importa, Brian, - bisbiglia, ed io tremo perché mi sembra di stare parlando con la copia isterica e confusa di me stesso, - credo che sarà comunque una conversazione di troppo.
Chiude il telefono.
Lo fa per primo ed è la prima volta che litighiamo in una situazione simile.
Il mio braccio perde forza, non riesce più a reggersi e si schianta esanime contro il materasso della cuccetta. La presa delle dita si affloscia, e il cellulare rotola fra le lenzuola fermandosi su uno sbuffo di tessuto, mentre lo schermo va in risparmio energetico e diventa grigio. Lo osservo ancora un po’, aspettando che perda del tutto i colori e si spenga.
Più di ogni cosa mi fa male non sapere cosa diavolo sia successo.
Io e Matthew abbiamo litigato e non saprò mai il perché. Sì, perché il motivo non era la mia gelosia nei confronti di Stefan, e non è neanche il fatto che siamo lontani e ci sentiamo poco. Queste sono solo le aggravanti del caso. C’era un motivo, dietro al nervosismo di Matthew. E potrebbe essere stata qualsiasi cosa. Uno scazzo con Dom, una performance o un’intervista andati male, magari una delle sue chitarre s’è rovinata o ha perso qualcosa di importante in casa.
Un tassello della sua vita s’è staccato dal quadro generale ed è scivolato sul pavimento. E dopo s’è perduto.
Lui quel tassello lo conosceva, perché l’aveva vissuto, e perderlo l’aveva irritato.
Io non ero lì. E non l’ho ascoltato abbastanza.
E quel tassello non lo conoscerò mai.
Chiudo gli occhi e respiro profondamente per qualche minuto. Cerco il cellulare a tentoni e quando lo trovo lo afferro e lo riporto con un gesto lento e stanco sul comodino. Sollevo le palpebre ed osservo la lucetta che indica che è acceso lampeggiare frenetica per qualche secondo, prima di tornare nel buio.
Mi appisolo senza rendermi conto dei minuti che passano nell’attesa del sonno.
So che quando mi sveglierò starò ancora male. Perciò spero di svegliarmi il più tardi possibile.
***
Ovviamente non succede.
Non succede quasi mai nulla di quello che voglio davvero.
Succedono solo le cose che ho perseguito con coscienza e volontà. Ostinatamente.
È per questo che ciò che sono è diventato sempre più uno specchio di una realtà distorta. Freddo, caparbio, falso e duro.
Strappare alla vita le poche certezze che è disposta a concederti non è piacevole. Non è bello. E non ti rende una persona migliore.
Io non faccio eccezione.
Apro gli occhi con una consapevolezza nuova che mi è strisciata addosso di soppiatto. Mi si è infilata in testa, risalendo lungo la spina dorsale, e mi è parso quasi di avvertirla mentre mi camminava addosso, sotto pelle, seguendo la linea dei nervi.
Quella consapevolezza si chiama bisogno.
Ed insieme si chiama abbandono.
Le ho sperimentate entrambe. Allora ero un ragazzino e, come qualunque altro ragazzino, ci sono finito dentro fino al collo. So come finisce. A leccarti le ferite per un tempo variabile, tendenzialmente lungo, nel quale comunque non hai diritto di soffrire, perché la sofferenza è un lusso che è concesso davvero a poche persone al mondo.
A me non è concesso. Ora meno di ieri.
Dunque, la consapevolezza di un bisogno legato a Matt e della sensazione fisica connessa al suo abbandono sono qualcosa che non posso permettermi.
Questa consapevolezza sveglia la parte di me che ha imparato ad essere uno specchio e lei, quella parte, decide che è arrivato il momento di agire.
Mi tiro in piedi, lancio uno sguardo distratto al telefono e lo vedo ancora quieto e silenzioso sul ripiano. Il led lampeggiante mi dice che è rimasto nella stessa silenziosa immobilità da quando l’ho posato lì.
Lo ignoro.
Sistemo la camicia in pochi gesti impersonali e già mi sto muovendo verso l’uscita del bus.
Da fuori arrivano i rumori di una festa. Si avvicina la fine del festival, è arrivato il momento di divertirsi e lasciarsi andare, allentare un po’ la tensione accumulata con la concentrazione di questo mese.
Penso vagamente che tra pochissimi giorni sarò a casa. Il mio stomaco mi dice che ho perso il motivo per tornarci solo pochi minuti fa. La mia testa lo ignora e mi indica le luci in lontananza, da dove proviene tutta la confusione.
Quando arrivo, stanno organizzando un paio di gruppi per andare in città. Mi viene incontro Chester, riconoscendomi da lontano; ha un sorriso gigantesco, perfino più grande di quello del mattino, l’adrenalina del palco lo ha reso euforico ed io mi concedo un sorrisetto sarcastico, pensando tra me e me che è solo un ragazzino.
Lo specchio che sono diventato ha superato l’euforia delle esibizioni da un pezzo. Sa riprodurla quando serve. E sa mentire quando gli viene chiesto.
Quindi Chester non si accorge di nulla nell’avvicinarmisi felice.
-Brian, vieni con noi?- mi chiede rapido, indicando un paio dei propri compagni di band e qualche altro tizio a caso che si stanno già infilando nelle auto parcheggiate in fondo al piazzale.- Andiamo a bere qualcosa.
A giudicare dalle facce di tutti – compresa la sua – hanno già iniziato a bere qualcosa mentre erano qui. Ed il qualcosa sta facendo anche effetto.
Penso che dovrei tornare indietro, prendere il cellulare, chiamare Matthew e scusarmi.
Ma è sempre il mio stomaco a pensarlo.
La testa gli ricorda pacatamente che Matthew non sarà in eterno lì dov’è.
E quindi perché ostinarsi a credere il contrario?
-Sì, perché no?- mi stringo nelle spalle.
Il sorriso di Chester diventa ancora più luminoso. Ne sono compiaciuto. Lo ammetto.
È troppo tempo che non mi godo la sana adorazione degli altri.
Troppo distratto per accorgermi che il mondo intorno a me mi regala ancora le solite, abitudinarie certezze di sempre.
***
Ho bevuto. E tanto.
Mi sento terribilmente confuso.
Ad inizio serata ho chiesto a Chester se sapeva dove fosse Stefan. Credo mi abbia risposto che lui ed i MyChem mi avevano cercato e poi erano usciti in città anche loro.
Lo credo solo. Ma più che altro perché ricordo di aver provato una certa irritazione. Magari avrei potuto parlare con lui, Stefan ha il dono di ridimensionare le cose. Io ho solo quello di capire quando è il momento di ridimensionarle.
Chiaramente la serata aveva deciso di prendere una piega diversa.
Osservo distrattamente la confusione terribile del locale. Quasi tutti quelli con cui siamo arrivati si sono trovati di meglio da fare che restare seduti al tavolo. Mi chiedo perché Chester non rimorchi qualcuno e si levi dalle palle anche lui. Ma non sembra intenzionato a farlo e continua a sciorinare stronzate al mio orecchio, mentre io evito di ascoltarlo e continuo ad ordinare da bere.
Mi ricordo che Matt ha sempre detto di amare la mia voce.
È stato uno dei suoi complimenti preferiti per un tempo terribilmente lungo.
In realtà lui non lo recepiva nemmeno come un complimento: quando mi diceva che gli piaceva la mia voce intendeva dire che avrebbe potuto restare per ore ad ascoltarmi cantare senza avere il coraggio di respirare troppo forte per paura di rovinare qualcosa.
Il fatto che dietro al suo concetto di “amore” per la mia voce ci fosse questo, dal canto mio, mi ha sempre messo in soggezione.
Non è facile essere amati da qualcuno che si stima. Ci si sente in difetto comunque, non all’altezza, e si tende a vedere nelle attestazioni dell’altro dei contentini al nostro orgoglio già ferito o, come nel caso di Matt, quando è impossibile pensare che siano menzogne, degli impegni pesanti da rispettare per non deludere l’oggetto della nostra ammirazione.
È molto più facile avere relazioni che non implichino la superiorità di nessuno dei due.
O, in alternativa, relazioni in cui si sia il soggetto più forte fin dall’inizio e si permanga in tale condizione fino alla fine.
La fine inevitabilmente arriva. Oscilla su un bordo, guarda giù e ci cade.
Sprofonda. In un mare liquido e torbido che è il pozzo senza fondo dell’animo umano. Un incidente di percorso.
Ma in fondo qualsiasi vicenda umana è classificabile come incidente di percorso, no?
Vorrei che questo incidente non fosse mai accaduto. Matt è qualcosa di troppo, qualcosa da cui rischio seriamente di non riprendermi come vorrei. Non posso permettermelo.
Così quando inizio a ricordare che lui mi ha sempre detto di amare la mia voce, ricordo anche che una delle volte in cui me lo ha detto eravamo a letto. Avevamo fatto sesso e, come nelle peggiori tradizioni, io avevo deciso di fumare. Sono impulsi che vengono in automatico, a distanza di anni non ci fai nemmeno caso più di tanto, così mi ero messo seduto tra le coperte ed avevo allungato una mano al comodino, scavando nel cassetto alla ricerca di accendino e pacchetto.
Matt mi aveva fissato in silenzio per un po’. Aveva tirato su la testa dal cuscino e si era appoggiato con il mento alla mano, scrutandomi da sotto in su mentre io mi appoggiavo all’indietro contro la testiera del letto.
-Brian.- mi chiamò dopo un po’. Solo allora mi accorsi di avere quegli occhi azzurri puntati addosso e lo fissai interrogativo.- Sai che hai un voce bellissima?- mi chiese.
Ricordo che arrossii in modo automatico, senza riuscire a rendermene nemmeno conto. Ringraziai la penombra per offrirmi un riparo molto più sicuro del mio autocontrollo.
-Grazie.- dissi quietamente, certo che lui non volesse affatto un ringraziamento e che quello fosse solo l’esordio di un discorso più lungo.
Ed infatti lo era.
-Sul serio. È incredibile come una voce come la tua possa risultare semplicemente ipnotica per chi la ascolta.- riprese come se io non avessi nemmeno aperto bocca. Si sistemò meglio, girandosi su un fianco e continuando a gettarmi occhiate trasversali mentre parlava.- Le voci molto nasali non sono piacevoli di solito. Ma tu non hai semplicemente un timbro meraviglioso, riesci anche a dare alla tua voce l’esatta vibrazione che serve per farla scivolare sottopelle a chi ascolta.
Capii che un mio intervento ulteriore, per arginare il flusso assolutamente inopportuno di complimenti che mi stava riversando addosso, sarebbe stato inutile. Nervosamente terminai la sigaretta e la schiacciai malamente sul fondo del pacchetto vuoto.
Matt continuò ignorando la secca stizza dei miei gesti.
-Ed è per questo che non riesco a fare eccezione. Finisco anch’io per rimanere stregato da te e per essere perdutamente innamorato della tua voce.
Quest’ultima frase la buttò lì come un regalo. Non mi guardava, e non era nemmeno veramente diretta a me. Erano i suoi pensieri che venivano fuori ed andavano a sistemarsi da qualche parte nello spazio che lo circondava.
Rimase in silenzio per un po’ ancora ed io pensai che avesse finito per infilarsi in uno di quei suoi contorti ragionamenti, che lo portavano ad estraniarsi completamente dalla realtà. Sospirai e mi stiracchiai, pensando di rimettermi giù e vedere di racimolare qualche ora di sonno.
Stavo ancora sprimacciando il materasso per cercare di trovarvi una sistemazione comoda, prima di ributtarmi steso, quando Matt riprese a parlare. Voltandosi di scatto verso di me e piantandomi gli occhi in viso a distanza ora ravvicinata.
-Brian, tu mi ami?- mi domandò a bruciapelo.
Rimasi interdetto, sostenendomi con le braccia per non cadere di botto sul materasso, sgranai gli occhi e lo guardai.
-…s…sì…- balbettai a mezzo fiato.
-E ti fidi di me?- aggiunse lui senza battere ciglio.
Tirai un respiro forzato. Le braccia cedettero nonostante tutto ed io ricaddi sul cuscino, con lui che si spostò proprio sopra di me, per continuare a fissarmi.
-Matt, che cavolo ti prende?- protestai.
-Smetti di fumare.- mi chiese lui.
Me lo chiese seriamente. Con molta calma e guardandomi senza ombra di ripensamento in viso. Non era un ordine, ma non era nemmeno una domanda, era una richiesta ben precisa, che implicava quel sottile ricatto morale comune alle coppie che si amano. Un modo come un altro di dire “fallo per me”.
Mi sentii stretto come da un nodo, mi serrò la gola e mi fece mancare il fiato. Matt aspettava una mia risposta?
-Pensaci su.- aggiunse alla fine, davanti al mio silenzio. Si strinse nelle spalle come per indicare che non aveva tanta importanza. Ma io sapevo che ne aveva e molta. Mi baciò, piegandosi ad annullare la distanza brevissima che ci separava.- Io ti amo.- disse poi.
***
Non gli ho mai dato una risposta.
Ma non ho più toccato una sigaretta da quella notte.
Per questo ora mi allungo verso Chester e lo vedo smettere istintivamente di cianciare per irrigidirsi e fissarmi attento e sorpreso. So che siamo troppo vicini, e so che questa cosa lo sta innervosendo. Ha ragione. Ma non m’interessa, non è un mio problema.
-Chester, hai una sigaretta?- chiedo spiccio, acquattandomi davanti a lui sul divanetto ed osservandolo mentre segue stregato il movimento delle mie labbra nel formulare quella domanda.
Socchiudo gli occhi.
Chester prova un certo interesse per me, registro pianamente.
Intanto lui deglutisce e scuote la testa.
-N…non fumo.- ammette strozzato.
Sbuffo, tirandomi indietro e distogliendo lo sguardo nello stesso momento.
Chester si sente subito meglio, ma a quel punto subentra un isterico desiderio di assecondarmi. Le persone sono così prevedibili…
Gli getto un’occhiata di traverso e lo vedo affaccendarsi a cercare qualcosa nel giubbotto di uno dei suoi amici. Mi porge sigarette ed accendino e, quando lo guardo inarcando un sopracciglio, lui si stringe nelle spalle.
-A Mike non darà fastidio.- assicura.
Scrollo le spalle anch’io.
-Se lo dici tu.- ribatto atono, sfilando una sigaretta dal pacchetto che regge per me.
Quando vedo le sue dita tremare leggermente capisco che l’interesse di cui parlavo prima è molto più intenso di quello che credessi. Presumibilmente complice qualche birra di troppo.
Sorrido.
Penso che non ho nemmeno un motivo valido per non approfittarne.
Matthew appare sul fondo della mia mente e viene cacciato via quasi nello stesso momento. So quanto sarà difficile riprendersi. E so quanto più facile diventerà se semplicemente me ne dimentico.
Di lui.
Di me.
Di noi due.
…soprattutto di me.
Non prendo l’accendino che Chester regge sopra il pacchetto. Poso la sigaretta tra le labbra ed alzo il viso, aspettando.
E nel farlo lo fisso dritto negli occhi, solo per vederlo diventare pallido e tentare di respirare.
Per poco il cilindro di plastica colorata non gli casca dalle mani, nel tentativo di sfilarlo da sopra il pacchetto ed accendere una sottile fiammella che si alza davanti al mio volto.
-Grazie.- sussurro quieto, piegandomi appena per avvicinare la sigaretta alla fiamma.
Mi tiro dritto, lasciandolo libero mentre chiudo lo sguardo ed assaporo il tabacco, sbuffando la prima nuvola odorosa.
Avevo quasi dimenticato il piacere che si prova nel nascondersi dietro i gesti consueti di una sigaretta. La incastro tra le dita, facendo scivolare via la mano dal viso con grazia, appoggio il gomito allo schienale del divanetto e torno a guardare Chester.
Lui non mi ha staccato gli occhi di dosso. Ma questo già lo sapevo. So esattamente quando la gente mi sta guardando, perché sono io a fare in modo che lo facciano. Non ci sono gesti casuali nel mio modo di attirare l’attenzione altrui.
-C’è qualcosa che non va, Chester?- domando suadente, sorridendo cattivo.
Gioco con le unghie attorno alla sigaretta, lui osserva per un attimo quel movimento poi si volta quasi di scatto, manifestando con facilità il nervosismo che lo agita.
-No.- risponde in un gemito strangolato.
Ridacchio. Mi sembra quasi di percepire i brividi che gli suscita quel suono insinuante. Scrollo la cenere sul bordo del mio ultimo bicchiere, lasciandolo andare ancora per qualche minuto.
È come pescare, Chester.
Tu sei un piccolo pescetto ingenuo. E ci sei cascato. Io ti do lenza e poi ti riprendo quando credi di essere ormai in salvo.
…come ora.
Rialzo il viso che sono praticamente ad un respiro da lui. Non è stato difficile.
Quando incrocio il suo sguardo, capisco che non si è nemmeno accorto del mio lento avvicinarmi a lui, era talmente affascinato dal movimento delle stesse labbra che ora fissa avidamente…
-Non dovresti mentirmi.- mormoro. Il mio fiato investe il suo viso, il suo il mio. Sentiamo entrambi odore di alcol, ma è eccitante, lo ammetto.- Non sono molto tollerante con chi cerca di prendermi in giro.
-…non volevo prenderti in giro.- risponde stupidamente lui.
Sorrido ancora.
-E cosa volevi?- chiedo.
Lui non risponde subito. Non mi mentirà stavolta, lo so. Ma voglio vedere se avrà il coraggio di chiedere.
Ed ovviamente non lo ha.
La sua bocca mi si incolla addosso, forza la mia. Mi spinge contro il divano, salendomi addosso ed allargando le mani a catturare i miei fianchi. È un comportamento tanto assurdamente inaspettato per quello che credevo essere un tipino ingenuo e timido, che rimango un secondo sorpreso e non oppongo nessuna resistenza, mentre sento le sue dita infilarsi risolutamente sotto la camicia.
Beh, non posso dire che mi spiaccia. È decisamente troppo tempo che non faccio sesso, decisamente troppo tempo che non mi concedo sfizi da una notte, e Chester promette di rivelarsi un’interessante scoperta.
Così, invece di respingerlo, lo assecondo. Circondo il suo collo con le braccia, attirandolo ancora di più contro di me, lui sussulta e geme tra le mie labbra, approfondendo il bacio che ora io ricambio. Attraverso i pantaloni avverto la sua eccitazione, faccio scivolare una mano verso il basso tra i nostri corpi e lo sfioro da sopra i vestiti, sentendolo rabbrividire e schiacciarmisi contro in cerca di un contatto maggiore.
-Brian…- mugola al mio orecchio, in una specie di preghiera.
Era tanto che non mi godevo un po’ di sana adorazione senza remore. Questo stesso bisogno spasmodico che mi viene riversato addosso in modo adorante e cieco, privo di controllo.
Penso che è esattamente quello di cui ho bisogno. Che Chester mi tratti con la riverenza che si riserva alle divinità per una notte e che io, domattina, mi dimentichi di lui, alzandomi dal suo letto per non tornarci mai più.
Non voglio essere legato a nessuno.
Non voglio avere paura di nulla.
Non voglio dover perdere nessuno.
Voglio solo questo. La sensazione di altre labbra che divorano le mie, con bramosia e quasi senza rispetto. La percezione di mani che non conosco che mi scavano dentro, che rubano la mia pelle, violando il mio corpo. Il peso di qualcun altro su di me, che mi schiaccia contro il velluto rosso del divano, affondandomi in un odore che non riesco a riconoscere…
Voglio solo questo.
Voglio solo questo.
Voglio…
***
No.
Voglio essere a Londra.
In un appartamento che è piccolissimo, per una persona che potrebbe permettersene uno dieci volte più grande.
E dalla finestra del salottino riesco a vedere fuori quasi tutta la città.
Quando piove diventa tutto grigio, ma dentro non fa mai freddo e non c’è mai umido.
Matt ha il parquet su tutto il pavimento del salotto e della camera da letto, a me piace perché posso girare a piedi nudi per casa e da sotto le tavole di legno viene su un calore confortante.
Lui dice che giro per casa come un gatto. Che sono un abitudinario e che mi impossesso degli spazi. Mi ci avvicino un pezzo alla volta e poi li faccio miei, a quel punto è come se potessi girare per casa anche ad occhi chiusi.
Dice anche che gli piace.
Perché pensa che sarebbe bellissimo se io diventassi una parte della sua casa e non ne uscissi più.
Quindi, no.
Non voglio questo.
Voglio qualcosa che ho perso solo pochissime ore fa.
Ed è ancora ad un passo da me.
Lo sento.
Se allungo le dita, lo sfioro.
E non ho intenzione di lasciarlo andare via.
***
Lo spingo via. Chester ci resta male, mi fissa ad occhi sgranati, io non ho tempo per dargli le spiegazioni che mi chiede.
Afferro il giaccone che ho lasciato sulla sedia accanto a me, mi disincastro da dietro il tavolo ed esco di corsa.
Non so come faccio a trovare un taxi a quell’ora assurda di notte. Per giunta, non ricordo nemmeno come arrivare alla location del festival. In qualche modo, comunque, riesco a dirgli come portarmi indietro. Arranco lungo i gradini del tour bus senza neppure accorgermi davvero che è ancora vuoto e spento, il cellulare è dove l’ho lasciato ed io lo afferro al volo e faccio al contrario la stessa strada.
E poi mi butto per terra dietro i generatori di elettricità del bus.
Tiro indietro i capelli, apro il display e chiamo.
Matthew risponde subito.
Ed io capisco dalla sua voce che stava aspettando che lo chiamassi. Perché non è più nervoso, ma solo ansioso ed angosciato, e quando mi chiama per nome è come se prendesse fiato dopo un’apnea di ore.
-Brian?!- mi chiama strozzato.
Vorrei rispondergli.
Mi ero fatto tutto un discorso terribilmente logico, che valesse a giustificare ogni cosa, ogni singola stronzata che ho fatto da quando l’ho chiamato stasera ad ora…Era un discorso molto convincente…
-…sono uno stronzo…- dico soltanto.
Mi accorgo da me che sto piangendo. Ne sono quasi sorpreso, sciolgo le dita dai capelli e le abbasso a sfiorare le guance.
Matt respira a fondo.
-No, Brian, non…
Non lo faccio finire. Se comincia a parlare lui, io non dirò più nulla e non è quello che voglio.
Ricaccio giù le lacrime e lo interrompo.
-No, Matt, ascolta!- protesto veemente.- Tu…- esito, prendo fiato a forza, cacciandomi l’aria in gola perché non posso permettermi di farmi soffocare proprio adesso. Dopo magari, ma a Matt devo un minimo di sincerità.- Tu faresti bene a mandarmi al diavolo una volta per tutte.- scandisco con calma, costringendomi a respiri corti e regolari.- Faresti bene a mandarmi a fanculo per poi dimenticarti anche della mia esistenza.- rincaro.- Perché io sono uno stronzo, Matt.- ribadisco subito dopo- E stavo per andare con un altro solo perché…
Oddio. Quanto può essere difficile capire se stessi? Eppure io sono sempre stato bravo nel farlo, ma di solito con gli altri mi difendo.
Di solito non mi butto via come sto per fare.
-…perché se tu mi lasciassi io non riuscirei a dire “non importa”. Ed anche se riuscissi a tirare avanti, sarebbe terribilmente difficile e non so quanto potrebbe fare male. Ma ho paura di farmi male, una paura fottuta. E quindi è più facile fingere che non m’importi e scopare con qualcuno che non m’interessa per dimenticarmi di te, e di noi, e di tutto quello che c’è stato…
Lo dico d’un fiato e non mi fermo fino alla fine.
Non mi fermo nemmeno dopo, vado avanti a sputare fuori tutto, come sto sputando fuori queste dannate lacrime che insistono a non fermarsi e che sicuramente avranno reso il trucco una maschera patetica. Odio rendermi ridicolo.
-Faresti davvero bene a dimenticarti di me, Matthew, perché sono una delle persone peggiori che si possano incontrare sulla Terra. E non ho nemmeno il sacrosanto coraggio di vivere quello che provo, e preferisco mandare a monte ogni cosa che affrontarle e…
A bloccarmi è la consapevolezza che non posso limitarmi a ripetere gli stessi due concetti in milioni di forme diverse.
Mi rendo conto che ho bisogno di respirare, deglutisco e lo faccio.
-Scusami.
Non ci credo nemmeno. Sgrano gli occhi, boccheggiando.
Matt continua come se niente fosse.
Ha il tono serio da grandi occasioni, quello che gli sento davvero di rado ma che suona sempre rassicurante, caldo, avvolgente. Come in questo momento.
-Mi spiace davvero tanto di aver detto quelle sciocchezze prima.- continua lui.- Non volevo ferirti. E nemmeno insinuare che tra te e Stefan ci sia ancora qualcosa. Solo che non stavo bene.
“…Matt…ho detto meno di due minuti fa che stavo per scopare con un altro…”
Lascio cadere all’indietro la testa, urto contro il metallo e mi faccio male, ma non apro bocca. Chiudo invece gli occhi e continuo a piangere.
-Brian,- mi chiama a mezza voce. Non ho la forza di rispondere e spero solo che lui vada avanti da sé.- spero che tu voglia perdonarmi…
Dio, Matt…tu non puoi essere vero.
 
Note di liz, che non ricordava esattamente se dovesse scrivere per prima o per seconda…
 
Il fatto è che l’ultima volta, causa pigrizia immonda della Nai, ho scritto le note uniche >.< Perciò sono dovuta risalire addirittura all’ottavo capitolo per capire dove dovessi collocarmi. Sfiga vuole che io debba collocarmi per prima, stavolta u.u” Odio parlare per prima, non riesco a manipolarvi come vorrei T_T
Fatto sta! In questo capitolo ho scritto una pagina *_*” A fronte delle dieci totali, un’inezia. Facciamo tutte un applauso alla Nai per essere riuscita a gestire miracolosamente bene un capitolo difficilissimo e sommariamente tragico quale era questo <3
Comunque sia, è stata una sua idea. *si nasconde dietro un dito, perché lei l’ha avallata* Dovreste vederla, ora! È tutta emozionata perché ama fare del male alle fangirl, e sta aspettando di vedere le vostre reazioni disperate a quello che è il dramma sommo di questa storia *_*
Vi preghiamo si sopportare ç_ç Dal prossimo capitolo andrà meglio ç_ç
PS: Per Isult, che si preoccupava dei nostri rapporti coi My Chemical Romance: il numero delle loro canzoni che mi piacciono è salito a due, perciò mi considero ufficialmente perduta XD
 
 
*spazio per le note di Nai – guai a te se non le scrivi >_
 
Note della Nai:
 
ehi! Io godo della sfiga dei pg, non di quella delle fangirl! >_<
E comunque ad ognuno la sua responsabilità! Se tu non avessi messo dentro Gerard Way, io non ci avrei infilato Chester e non avrei dovuto trovargli qualcosa da fare! ù_ù
…ok, non regge, lo so, ma cercate di capirmi: questa storia rischiava di diventare un po’ noiosa… (per lei la noia coincide con l’assenza di tragedie).
Vabbè, mi scuso per il ritardo abnorme e spero che questo non vi porti a smettere di volerci bene ç_ç
 
p.s. Stavolta lascio le minacce di Lizzie! Così capite che non è che io sono quella cattiva e lei è dolce e carina come sembra, eh! >_<

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Capitolo 11
*** Eleven. ***


L

L’Easily Forgotten Love vuole bene alle proprie lettrici *_* Ma tanto bene!!! *_*

Manda un bacio a tutte. Ed un bacio enorme a Sregatta, Whity, Erisachan, SweetPandemonium, Isult per averci manifestato il loro sostegno!!! :********

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Eleven:

 

Non sono sempre e sistematicamente un bastardo.

Nella mia vita, ogni tanto…sufficientemente di rado da non costituire davvero un lato della mia personalità, ho degli sprazzi di autentico, disinteressato, altruistico affetto.

Matt se n’è goduto uno, di questi sprazzi.

È stata una cosa folle. Non ricordo nemmeno perché diavolo l’ho fatta, ma eravamo all’inizio della nostra storia – circa un mese dopo che ci eravamo “messi assieme”, dopo la nostra prima volta – ed io ero assolutamente drogato di lui.

E lo vedevo poco.

Troppo poco perché subentrasse un sentimento più quieto e più solido, che valesse a darmi qualche certezza in più ed a spegnere almeno in parte il mio bisogno di lui.

Fatto sta che questa cosa è successa praticamente per caso una mattina in cui entrambi i gruppi erano in tour in Europa. Lui era a Monaco. Io a Madrid.

E stavo già camminando dentro l’aeroporto.

-Dove sei?

Mi ha risposto dopo qualche minuto, aveva bisogno di realizzare la ragione del mio tono secco e di quella domanda diretta. Immagino che abbia pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato e che abbia passato in rassegna qualsiasi evento che lo aveva visto protagonista nelle ultime ore, dalla sera prima. Non deve aver trovato molto che potesse giustificare un litigio, così mi ha risposto, piuttosto esitante.

-In albergo a Monaco…

-Ok.- ho detto io.- Tra un’ora sono lì.- ho aggiunto, buttando uno sguardo al tabellone delle partenze.

Lui ha trattenuto il fiato. Io ho riso in modo lieve e stupido.

-Brian.- mi ha chiamato. E poi si è fermato ancora per cercare le parole corrette e dirmi quello che pensava.- Mi stai prendendo per il culo, vero?- ha ammesso alla fine non trovando di meglio.

A quel punto la mia risata è diventata decisamente più aperta.

-No!- ho risposto quando sono riuscito a prendere fiato.- Salgo sul volo tra dieci minuti.

Ho potuto sentire la sua felicità già quando mi ha risposto, ridendo anche lui peraltro.

-Beh, sbrigati. Io tra quattro ore dovrò partire per l’Irlanda.

-Tranquillo!- l’ho rassicurato in tono professionale- Io devo essere a Barcellona per stasera alle dieci.

***

-Brian! che cazzo stai facendo?!

Quando Alex arriva ad urlarmi in testa durante il sound check, significa che io ho davvero toccato il fondo.

Ed ammetto di averlo fatto.

-E’ la quarta volta che sbagli attacco, Brian!- mi strilla lei da sotto il palco, le mani sui fianchi con un atteggiamento da mammina che mi irrita non poco.

Peccato non sia nella condizione per potermi lamentare.

-Se non hai voglia di suonare, dillo e troviamo qualcun altro che ci accompagni con la chitarra…- propone Stefan, ma mi accorgo che il tono paziente stavolta se lo sta tirando fuori di bocca a forza.

-Non se ne parla neppure! È solo che sono un po’ distratto…- mi giustifico io.

-Ah no!- protesta Stef, puntandomi contro un dito.- Non puoi sbagliare quattro volte l’attacco di “Every me, every you” perché sei un po’ distratto! Quella tu dovresti farla in automatico, senza avere neppure bisogno di una testa attaccata alle spalle!- mi fa notare.

Steve sospira, butta le bacchette all’aria e solleva le braccia al cielo in modo teatrale.

-Mamma! Papà! Quanto avevate ragione nel dirmi che dovevo fare il medico!- recita in tono drammatico.

-Fanculo, Steve!- ritorco io, infastidito, incrociando le braccia sopra la chitarra.

Lui sbuffa e si alza dalla batteria.

-Io faccio pausa.- annuncia dandoci le spalle.

Stefan si irrita.

-Ah, noi no, Steve. Continueremo tranquillamente senza batteria!- lo canzona osservandolo andare via.

Ma Steve non gli risponde e si limita a mostrare il medio ad entrambi.

Alex da sotto al palco tira un respiro profondo tentando di calmarsi. Si rimette dritta, lasciando cadere le braccia, ed io trovo che sia già un passo in avanti. Ma poi lei scuote il capo e si porta una mano ai capelli, arruffati sulla testa e tenuti su da una pinza enorme.

-O.k., facciamo dieci minuti di pausa tutti.- concede, tirandosi via da lì sotto ed avviandosi a passo lento verso il bar della location.

Mi sfilo la chitarra di dosso e vedo Stefan fare lo stesso con il basso, è nervoso e per poco non spinge via il tecnico che gli si avvicina per prendere in consegna lo strumento. Mi stupisce vederlo così. Sospiro, so che ne pagherò le conseguenze ma lo seguo lo stesso giù dal palco e dietro il backstage. Stef finge di non accorgersi di me finché non arriviamo in vista di un minifrigo pieno di bibite che qualcuno ha gentilmente portato lì per permetterci di riprenderci dalle prove massacranti e dal caldo torrido. Si piega a prendere un paio di birre, si volta e me ne porge una, dimostrandomi di sapere esattamente che lo sto seguendo da bravo cagnetto docile. Sbuffo.

-Ora spiegami.- ordina lui.

Accetto la lattina che mi ondeggia davanti al naso e la prendo di malagrazia, spostandomi poi verso una pila disordinata di casse di legno che possano offrirmi un sedile. Mi accomodo lassù e fisso Stefan.

-Ho fatto un casino con Chester.- ammetto subito. Ed aggiungo immediatamente- Ed ho fatto un casino anche peggiore con Matthew.

Lui non dice nulla.

Io abbasso lo sguardo ed osservo il bordo argentato della latta, piego la linguetta quasi in automatico ed apro. Un sottile rivolo di schiuma fuoriesce con un sibilo, Stefan mi imita aprendo la propria e viene a sedermisi accanto.

Beh, lo preferisco. È più confidenziale e mi da meno l’idea di una confessione che mi costerà l’ennesima paternale del tour.

-Ieri sera ho litigato con Matt.- inizio a raccontare- Per un motivo idiota, in realtà. Lui era nervoso, io ne ho detta una di troppo e lui si è incazzato. Così io gli ho dato addosso e lui me lo ha rinfacciato.- spiego spiccio.- Mi ha chiuso il telefono in faccia, io mi sono ritrovato a respirare male e, quando mi sono accorto che la sola idea che lui potesse non volerne più sapere di me mi faceva soffocare, ho deciso che era arrivato il momento di tagliare qui la cosa.

-Come al solito, eh, Bri?- sorride Stef amaramente.

Glielo concedo. Gliene devo ancora troppe per prendermela e potermi sentire offeso dalle sue parole.

Prendo un respiro e vado avanti.

-Sono uscito con Chester ed i suoi dopo.- A questo punto mi fermo e lo guardo. Il mio dovergli qualcosa non basta a farmi sentire meno arrabbiato con lui, in fondo è anche sua la responsabilità di questa storia.- Tu eri sparito da qualche parte.- faccio notare cattivo.- Avevo bisogno di parlare, ma non c’eri e così ho fatto la cosa più scema di tutte.

-Ti sei ubriacato e ci hai provato con Chester Bennington.- conclude per me, nascondendosi subito dopo nella birra. Beve un lungo sorso, mentre io lo osservo e mi chiedo quanto sia trasparente per lui. Quando è successo che Stef imparasse a conoscermi così bene? Si accorge del mio sguardo nel riabbassare la birra, mi concede un secondo sorriso distratto.- Andiamo, che quel tizio ti smania dietro è evidente come la luce del sole!- sbotta secco.

-…ma…?!- O.k. Non posso davvero dire “io non me n’ero accorto”. Suonerei falso alle mie stesse orecchie. Preferisco conservare un minimo di dignità con me stesso, visto che non riesco a farlo con il resto del mondo.- Sì.- biascico quindi. E stavolta sono io a fuggire il suo sguardo per affogarlo nella birra.

Stefan ridacchia. Io mi sento avvampare.

-Mi evita da ieri sera.- borbotto quando mi decido ad abbassare la lattina.

-Ci sei andato?- chiede lui impietoso.

-No!- protesto istintivamente. E mi rendo conto che non ha senso, in passato non avrei mai protestato così per una semplice domanda sull’essermi scopato o meno qualcuno. Siamo entrambi sorpresi, lo leggo sulla faccia di Stefan quando lo guardo. Così mi costringo a spiegarmi in modo onesto, e lo faccio per me stesso tanto quanto lo faccio per lui.- No. Ad un certo punto mi sono reso conto che non avrei risolto nulla e che non era quello che volevo. Sono tornato indietro ed ho chiamato Matthew per chiedergli scusa e…confessargli tutto.- aggiungo a mezza voce.

-Si sarà incazzato ancora di più, immagino.- mi dice lui.

Il mio viso si tira in una smorfia assolutamente istintiva, che vorrebbe essere un pietoso tentativo di sorriso e diventa una distorta ammissione di colpa.

-No. Mi ha chiesto di scusarlo per quello che aveva detto prima.- gli rispondo sbrigativamente.

Stefan non dice nulla, riprende a bere e ci pensa su. Io mi sento a disagio ed in errore. Ed anche se l’errore ed il disagio non dovrei provarli nei suoi confronti, non serve a nulla che la mia parte razionale lo ripeta al resto del cervello.

Mi faccio schifo lo stesso.

Perché ho fatto un casino terribile con Chester, che magari si è fatto chissà quali illusioni con me, mentre io mi ostinavo ad ignorare il suo interesse.

Ed ho fatto un casino con Matt, che magari sarà anche la persona meravigliosa che è, ma io non posso continuare a calpestare indifferente tutti i suoi sentimenti con il mio egoismo.

Vorrei essere decisamente diverso da ciò che sono…

-Hai davvero fatto un macello.- borbotta Stef dopo un po’.

Non mi guarda nel dirlo, così io posso permettermi di arricciare il naso in una smorfia infastidita, mentre lui prende la mira e fa canestro nel cestino accanto al frigo con la lattina vuota.

-Certo che tu uno come Matt non te lo meriti proprio.- aggiunge per sicurezza.- Insomma, Brian, continuare a passeggiare come un bulldozer sui sentimenti altrui è un vizio che alla lunga potrebbe costarti caro.

Vorrei dirgli che è uno stronzo. Se mi fosse rimasta la voglia di combattere per affermare contro tutto il mondo i miei errori, glielo direi. Se volessi essere così imbecille da farlo.

Ma quello che ha detto è dannatamente vero ed a dirlo è Stefan, e lui ha su di me una specie di privilegio che esplica nel tenermi con i piedi ben saldi a terra.

Tuttavia non posso lasciare impunita una bastardata. E la mia, a differenza della sua, è del tutto gratuita, e non finalizzata ad una presa di coscienza dell’altra parte. Ma gliela regalo lo stesso.

-E tu e Gerard?- butto con indifferenza.- Come va la vostra relazione? Intendi dirgli prima o poi che non ha speranze o ti limiterai a lasciarlo con il cuore spezzato al nostro rientro in Inghilterra?

Mi guarda.

Io so che lui è consapevole esattamente di tutte le mie motivazioni. Stefan non si è mai illuso che la mia meschinità fosse qualcosa di diverso, l’ha sempre presa per un lato negativo del mio carattere. Il fatto, che lui possa continuare a volermi il bene che mi vuole conoscendo i miei difetti, è il motivo principale per cui io non posso fare a meno di lui.

-Sono sempre stato chiaro con Gerard, Brian,- mi risponde con serietà.- lui non si è mai illuso, ma ha voluto continuare ad essere mio amico.- mi dice calmo.- Tu non sei mai stato altrettanto corretto con Chester.- rimarca.- Hai finto un’ingenuità che non ti appartiene affatto, hai voluto far finta di non vedere e ti sei servito di lui quando ti ha fatto comodo.- Si alza dal proprio posto, io penso che non vorrei farlo andare via ma so che non ho il diritto di trattenerlo.- Come al solito, Brian.- mi dice semplicemente, prima di voltarsi ed allontanarsi in direzione del bar.

***

La verità è che io faccio le cose sempre e solo in relazione all’utile che posso ricavarne.

A volte mi chiedo se sia solo una mia prerogativa o se qualsiasi essere umano agisca spinto da un bisogno ed al fine di soddisfarlo. In altre parole, mi chiedo quanto il cosiddetto “altruismo” sia solo una finzione sociale.

Matt ha finto di non sentire ciò che io gli avevo detto riguardo me e Chester. Ha preferito ignorare questa cosa, chiedermi di perdonarlo per uno scatto d’ira che in alcun modo giustificava la mia reazione e che, al confronto, avrebbe dovuto essere superato e dimenticato. Ma le sue ragioni, che possono istintivamente apparire nobili e giuste, sono davvero tali? Lo ha fatto per me…o lo ha fatto per sé?

Io so di aver bisogno di lui, so che se mi sono spinto con lui fino a determinati limiti e li ho superati è stato solo per un sano ed egoistico bisogno di lui. Adesso voglio pensare – e qui non faccio che sollecitare ancora il mio egoismo, accontentandolo una volta di più – che lui abbia lo stesso bisogno di me. E che sia quello a spingerlo a superare i propri limiti, e non il suo altruismo.

Un sentimento puro, privo di necessità istintive e meschine, sarebbe intollerabile per una persona falsa come me.

Non me lo meriterei davvero.

-Matt…

Mi risponde con una voce così allegra che sembra quasi non sia mai successo nulla. L’episodio del giorno prima scompare tra le pieghe di un “Brian!” euforico come al solito. Per un istante mi piace illudermi che basti, mi lascio il tempo di adeguarmi per poter sfoggiare la stessa illusa allegria. Ma non ci riesco.

-..ciao.- biascico in risposta.

-Ehi, piccolo, è tutto a posto?- s’informa lui apprensivo.

Respiro. Sto vagando per la location come un’anima in pena, il mio unico obiettivo è diventato evitare Alex per impedirle di rispedirmi al lavoro e non so esattamente da quanto tempo – mezz’ora… un’ora anche – sia scaduto il termine che ci aveva dato per la nostra pausa. Non ho la forza di prendere in mano una chitarra, di tornare sul palco, di fingermi qualcosa che non mi sento nelle ossa. Non oggi.

-No.- ammetto con Matthew. Sorrido stancamente.- Dovresti vedermi…- borbotto ancora.

-Beh, sì, dai l’idea di uno che ha passato un brutto quarto d’ora.- risponde lui.

-Fosse un quarto d’ora.- ritorco.- Non ho chiuso occhio tutta la notte ed ho sbagliato l’attacco di “Every me every you”. Peggio di così, posso solo addormentarmi in piedi durante l’esibizione…

E finalmente me ne accorgo.

Così m’interrompo e resto zitto per un momento. Matt attende paziente senza dire nulla.

-Come fai a sapere che non ho un bell’aspetto?- domando a mezza voce.

Ride ma non risponde.

-Matt, non vorrai dirmi che hai trovato in internet anche le foto del backstage! Non di già!- strillo io.

-No, non ho trovato nulla su internet, sta tranquillo.- sbuffa lui, conciliante.- Nessuno vedrà il tuo bel visino tirato e preoccupato.- mi prende in giro subito dopo.

-Matt, piantala!- ribatto sempre più istericamente.

-E tu rilassati. Non mi piace proprio vederti così!- mi rimbrotta infastidito.

-Matt, tu non puoi vedermi!- grido io a quel punto.

-Solo quando qualcuno dei tecnici mi passa davanti e quindi mi impedisce la visuale.- ritorce lui, quasi annoiato.

Mi cade di mano il cellulare. Lo vedo precipitarsi al suolo e schiantarsi contro il terreno aprendosi in frammenti colorati. La batteria vola da una parte e il resto del corpo di plastica e metallo dall’altra.

Penso che se si è rotto mi toccherà scendere in città a comprarne uno nuovo e oggi di sicuro non avrò tempo. Non so neppure se ne avrò domani.

-Sei un pasticcio.- mi dice Matt, piegandosi a raccoglierlo per me.

Io non lo prendo quando me lo porge, dopo aver risistemato la batteria nel vano che la ospita ed averlo richiuso. Se lo facessi, se allungassi una mano e lo toccassi o toccassi qualcosa che lo riguarda in qualche modo, sparirebbe. Lo so. Questa è chiaramente un’allucinazione ed io sto sognando e non desidero svegliarmi, per cui non lo toccherò.

-Brian.- mi chiama Matthew preoccupato.- Stai bene?

-No.- rispondo in automatico.

Lui fa una smorfia, infila il mio cellulare nella tasca della giacca e si fa avanti.

Evidentemente i miei sogni non ubbidiscono a quello che voglio, perché è lui a toccarmi. Mi scosta i capelli dalla fronte con delicatezza e ci poggia la mano.

Le mani dei sogni sono calde?

-Non hai la febbre.- registra. Si allontana guardandomi un attimo e sospira.- Però non stai affatto bene.- ammette scuotendo la testa.

Vorrei che tornasse a sfiorarmi. Visto che io non ci riesco e non posso e lui, invece, può, vorrei che tornasse a mettermi le dita sulla pelle. Vorrei ricominciare a sentire il suo calore…

E più di ogni cosa, vorrei riuscire a dirglielo. Ma siccome non ho fiato per parlare ancora, mi limito a guardarlo, sperando che interpreti da sé i miei occhi sgranati e fissi su di lui.

Sorride. Ed è un sorriso stanco che non capisco. Ma poi si sporge verso di me, le dita scivolano in basso e si intrecciano con le mie e la sua bocca si posa sulle mie labbra.

È un modo scemo per baciarsi, sembriamo due bambini dell’asilo. Eppure non riesco a staccarmi.

Così preferisco afferrare le stesse dita che sento contro i polpastrelli, saggiandone la consistenza per dirmi che sono vere. E preferisco di gran lunga affondare il viso incontro al suo, per schiacciarmi bocca su bocca a lui, e sentire il suo respiro dirmi che lui è sul serio qui.

E quando mi abbraccia e mi stringe, con trasporto improvviso, mi sembra di essere appena affondato nel mio sogno e di aver scoperto che è molto più consistente della realtà di tutti i giorni da un po’ di tempo a questa parte.

***

Scopro che Alex lo sapeva. Matthew l’ha chiamata appena atterrato in aeroporto, per sapere come raggiungerci alla location. Ovviamente le ha anche detto cosa è successo ieri sera, ragione per la quale Alex mi guarda malissimo appena ci vede apparire dal fondo del backstage e mi grida contro che, adesso, se sbaglio ancora una nota mi uccide con le proprie mani.

Io sbuffo, giuro che farò più attenzione e, mentre tutti ridono di me - Matt in testa - salgo di nuovo sul palco.

Stefan mi viene incontro mentre imbraccia il basso.

-Pace?- mi chiede con un sorriso.

Mi stringo nelle spalle.

-Abbiamo litigato?- chiedo distrattamente, facendo scivolare il plettro sulle corde della chitarra.

Mi piace sapere che, qualunque cosa io e Stef facciamo o diciamo l’uno all’altro, c’è sempre un ulteriore banco di prova.

Matthew si siede accanto ad Alex, i suoi occhi si sollevano su di me ed io, tornando verso il microfono dopo l’attacco della canzone, me ne accorgo. Così come mi accorgo che non mi lasciano più, da quel momento in poi, e se succede che me ne accorga è solo perché anche i miei non riescono a staccarsi da lui.

***

Matt mi ha detto che ripartirà domani nella tarda mattinata. Deve tornare a Londra, perché di fatto è fuggito senza dire nulla a nessuno e, quando ha telefonato a Tom per avvisarlo – ed era già negli Stati Uniti – lui, chiaramente, lo ha minacciato di orribili ripercussioni se avesse mandato a monte qualcheduno degli impegni che avevano in programma.

Ma Matt mi ha giurato e spergiurato di aver calcolato i tempi al secondo e di essere in grado di trovarsi dove deve all’ora esatta in cui deve.

Io sono abbastanza infantile da volermi fare rassicurare. Così fingo di credere alle sue capacità di organizzazione – palesemente inesistenti, come ha più volte dimostrato nel corso degli anni – e lascio perdere ogni tentativo di farlo ragionare.

Non ho mai davvero cantato per qualcuno, durante un concerto. Lo faccio oggi per la prima volta. E non mi sembra nemmeno strano, perché non c’è nulla di diverso da solito, se non la sensazione che mi scorre nelle vene. In mezzo alla folla, in mezzo al mondo intero, l’unico sguardo di cui mi importa me lo sento sulla pelle mentre ci esibiamo. Ed è per lui, per quegli occhi che mi seguono con attenzione da dietro le quinte del palco, che io canto, e suono, e parlo a ruota libera, ridendo come un ragazzino con il pubblico che mi risponde dalla platea.

Mi sento stupido, ed insieme mi sento felice.

Mi basta.

Mi bastano le sue labbra sulle mie appena fuori dalla scena. Quando mi fiondo su di lui, che mi accoglie a braccia aperte, ridendo come me e carezzandomi il collo con la bocca.

-Sono sudato.- protesto, fingendo di volermi liberare.

Matthew mi trattiene, stringendomi a sé senza smettere di baciarmi.

-Sai quanto me ne frega?!- mi sibila all’orecchio, eccitato.

Mi basta anche questo. La possessività affamata con cui mi porta via, salutando per me le persone che ci incrociano, evitandomi di dedicare loro più di un cenno distratto, che preferisco sostituire subito con la visione dei suoi occhi su di me, o con la percezione delle sue mani, del suo corpo, del profumo.

Credevo di averlo dimenticato, il suo profumo. Credevo che un mese e più di lontananza fosse sufficiente a cancellarlo. Lo ritrovo intatto e, chiudendo gli occhi, lo sento al punto da poterlo seguire e riacciuffare nei ricordi.

Saliamo i gradini del tour bus, è tutto buio ed io provo a cercare a tentoni l’interruttore che dovrebbe accendere la luce, ma non è facile con Matthew che mi spinge verso le cuccette, impaziente. Rido e protesto ancora, dicendogli che non ho voglia di inciampare e farmi male come Steve qualche giorno fa. Lui mi dice che da bravo gatto di sicuro ci vedo anche al buio e, se voglio, mi porta in braccio lui. Mando al diavolo l’interruttore, i gatti e lui, ma lo assecondo, facendomi portare nella zona notte e ritrovandomi un buio ancora più pesante e scuro addosso.

La bocca di Matthew non mi da tregua, morde le mie labbra, insinua la lingua tra i denti schiusi, mi stringe e mi abbandona ai ritmi frenetici che lui stabilisce. Mi stordisce, perché non riesco a starle dietro, ed insieme mi fa impazzire. Non mi accorgo quasi che mi sta già spogliando, slaccia i pantaloni e, per poco, mi strappa di dosso la camicia nel tentativo di aprire i bottoni.

-…Matt…- accenno io, provando a scostarlo un po’.

-No, ti prego.- mi implora strozzato, senza smettere di carezzarmi. E quando sento la nota di disperazione autentica che gli vena la voce, esito quel tanto che basta per lasciargli modo di riavvicinarsi, abbracciarmi e stringermi così forte da farmi soffocare.- Dio, Brian!- sussurra allo stesso modo.- Tu non hai idea di quanta paura ho avuto di perderti…!- ammette contro il mio orecchio.

So che dovrei rassicurarlo. Dirgli che lo amo e che è con lui e solo con lui che voglio stare. So che dovrei dire qualcosa sul fatto che mi dispiace di essermi dimostrato un bastardo una volta di più. Razionalmente so tutte queste cose ed altre ancora.

Ma non esce un solo respiro.

Ed io mi ritrovo steso, con Matthew dentro di me che affonda lento come un supplizio, molto prima di riuscire a capire che sono solo io che avrei dovuto avere paura, tra noi due. Lui non ne ha il dovere.

Eppure nei suoi gesti, nei movimenti studiatamente dosati e precisi, colgo intatto il sentimento che mi ha confessato solo un attimo fa. Lo avverto nei baci, che sono l’esatta antitesi dell’attenzione che pone nell’amarmi, si posano famelici sul mio corpo ed invadono ingordi la mia bocca. Lo avverto nel modo in cui spinge dentro di me, come se dovesse rivendicare un possesso sulla carne che ha tra le mani. E lo avverto nel modo in cui marchia la mia pelle con le carezze, stringendo e premendo sui muscoli per affondare tra i nervi e le vene.

Non vuole farmi male. Se accennassi anche solo un lamento, mi lascerebbe immediatamente e si scuserebbe con me. Tutto ciò che vuole è solo dire a me, dire a se stesso, che gli appartengo.

Ne ha il diritto.

Ed io voglio appartenergli.

Per questo non parlo. Assecondo il suo desiderio e vi adeguo il mio. Assaporo la sua paura perché è la misura dell’amore che prova per me, ed io forse non lo merito, ma è tutto ciò di cui mi importi sul serio in questo istante ed in qualunque altro istante della mia esistenza.

Matt non smette un momento di baciarmi, le sue spinte si fanno più profonde e ritmate, i suoi ansimi si confondono con i miei, ed a me sembra di impazzire sotto il suo tocco, perché non è mai stato così deciso ed io non ho mai provato così forte la sensazione delle sue dita che mi scorrono addosso. Mi sembra quasi che possano attraversare la carne, così come fanno i denti contro il mio lobo, il fiato caldo mi si infila nell’orecchio, m’inarco sotto le sue mani, voltando il capo per offrirgli il collo in cui affondare il volto. Le braccia di Matthew scivolano dietro la mia schiena, nello spazio che lascio libero per loro, mi afferrano e mi serrano, sollevandomi completamente dal materasso per stringermi a lui. Viene dentro di me, affondando ancora in spinte più violente e rapide, ed io vengo contro di lui, mischiando il mio sperma al sudore di entrambi, afferro il suo mento per costringerlo a baciarmi mentre lo faccio e lui ubbidisce, sussurrandomi il mio nome sulle labbra appena lo lascio.

È lui a riadagiarmi sul materasso. Lo fa con delicatezza infinita, nonostante sia stanco ed i suoi movimenti siano impacciati e goffi. Scivola fuori dal mio corpo e mi si sistema addosso, tentando di riprendere fiato contro il mio orecchio. Mi godo il suo respiro pesante, così come mi godo le sue carezze, che riprendono quasi subito, anche se più delicate e leggere.

Ho come la sensazione che Matthew non riesca a smettere di toccarmi stanotte, come se volesse assicurarsi di avermi ancora tra le mani, che io non sia già fuggito da lui. Lo lascio fare, mi adatto alla nuova posizione che assume nel sistemarsi un po’ meglio nello spazio ristretto di cui disponiamo, ma non mi allontano mai da lui. Matt non apre gli occhi, so che si sta già assopendo, per cui ha bisogno di sentire la mia presenza, dato che non può semplicemente vedermi accanto a sé. Poso la guancia contro la sua testa, che mi poggia sulla spalla, e chiudo gli occhi anch’io.

So che avremo freddo stanotte.

Ci sveglieremo. Probabilmente lo farò solo io, perché Matt è capace di ignorare quasi del tutto i propri bisogni fisici quando è stanco, e mi alzerò da qui per ripescare la maglietta che uso per dormire ed i miei boxer.

Quando succederà, Matthew si sveglierà. Accadrà nell’attimo stesso in cui sgattaiolerò da sotto il suo braccio per sollevarmi a sedere, non prima e non dopo. Succederà allora perché lui dovrà aprire gli occhi e cercarmi, ed io dovrò infilare in fretta i miei vestiti e rimettermi accanto a lui, per permettergli di trovare di nuovo una posizione che si adatti alla forma dei nostri corpi. E sarà soddisfatto solo quando potrà riprendere a dormire così, consapevole che io non andrò da nessuna parte senza di lui.

…so che succederà tutto questo.

E saperlo mi rende felice.

Perché significa che noi due abbiamo delle abitudini. Le conosciamo entrambi e le abbiamo “studiate” assieme, perché ci fosse un codice comune di comportamento.

E questo significa anche che noi due siamo una coppia.

 

*

 

Nota di fine capitolo della Nai:

E così facciamo contento chi sognava che i due pargoli finalmente si riabbracciassero XDDD

Lo hanno fatto! A saperlo, magari Brian fingeva di mettergliele prima le corna a Matt!

Ma tanto è tutta la storia che Matthew dice che gli farà una sorpresa. Beh, sorpresa fatta *_*

Non è amore, il piccolo Matthew? ç_ç Sì, lo è!

Un bacio ed alla prossima, bimbe! ^_-

 

 

Note della liz:

Si nota che il capitolo l’ha scritto tutto Nai, vero? *_*” Infatti è bellissimo T.T *si sente tremendamente inadeguata e stupida*

Comunque, io amo questo capitolo è_é Prima di tutto perché c’è Matthew T__T Giunto sul proprio cavallo bianco a salvare Brian e tutte noi dalla depressione T_T E poi perché insieme quei due sono un qualcosa di meraviglioso ç_____ç Non vi siete anche voi commosse sulla scena dell’aeroporto? çOç Io sì, quando l’ho letta ho amato profondamente Nai per tutto questo ç_ç

Vi saluto è_é Ormai manca davvero poco alla fine! Solo altri due capitoli e un epilogo oltre questo! Forse dovremmo davvero metterci a lavorare sul seguito… o.o”

 

 

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Capitolo 12
*** Twelve. ***


L

L’Easily ringrazia – con un bacio enooorme! – Stregatta! Isult! Sweet Pandemonium! (e benvenuta ^^) Whithy! Erisachan!

E poi andiamo a cominciare. Sempre più vicini alla conclusione ç_ç

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Twelve:

 

Mi sveglio perché qualcuno è entrato nel tour bus. Appena apro gli occhi registro che è giorno, una luce fioca trapela da dietro le tendine del pullman, e registro anche che, a parte la presenza che si muove goffamente nella zona giorno, io e Matt siamo soli. Le cuccette di Stef e Steve sono intatte, segno che stanotte non sono proprio rientrati. Presumo che abbiano cercato asilo dai tecnici o da qualche altra band, per lasciarci un minimo di intimità. Gliene sono grato, sarebbe stato abbastanza imbarazzante dover dormire con loro due ed il mio ragazzo.

La presenza del tour bus urta contro qualcosa, che nel cadere a terra fa un rumore risuonante e vuoto. Sospiro. Scivolo da sotto Matt, cercando per quanto possibile di non svegliarlo, e mi alzo per uscire dalla zona notte.

Chester mi fissa imbarazzato.

-…ah…Brian…- mormora arrossendo. Realizzo che sono in mutande e maglietta davanti a lui e, dopo quello che è successo tra noi, non è il massimo. Ammetto che la situazione imbarazza anche me.- Ciao.- borbotta lui comunque.

Alzo la mano per ricambiare.

-Credevo fossi sveglio.- si giustifica Chester per correttezza.

-Sì. Beh, non importa.- ribatto io condiscendente.

Chester tira un respiro e si guarda attorno.

Dopo un mese di vita vissuta in giro per gli States, questo bus ci rispecchia come la camera di un adolescente. Ci sono i cd di Stefan, le scorte di cibo di Steve, il mio disordine infantile e pigro…

A guardar bene si può capire quasi ogni cosa di noi tre.

-…pensavo che fosse il caso di parlarne.

Riporto l’attenzione su Chester, distogliendola dal caos familiare che mi circonda.

Mi domando di cosa voglia parlare. Cioè, è logico per lui pensare che ce ne sia bisogno, ma, sul serio, cosa dovremmo dirci che sia sufficiente a far tornare indietro il tempo?

-Io…ci tenevo a scusarmi.- risponde Chester ai miei pensieri. Sguardo basso, mani che giocano nervosamente con il laccio che stringe il giubbotto in vita. Fa una sorta di smorfia che vorrebbe essere un sorriso sardonico, ma a me da l’impressione di un bambino contrito che stia chiedendo scusa di una marachella troppo grossa.

Istintivamente mi rendo conto che dovrei interromperlo. Mettere in chiaro da subito come la responsabilità sia sua tanto quanto mia.

Non lo faccio. E lui va avanti.

-Sai come succede, no?!- butta giù.- Avevo bevuto qualche birra di troppo…- E “troppo” io so che è un aggettivo usato in modo assolutamente improprio. Lui, in compenso, pare ripensarci e decide di ridosare l’affermazione.- Mi sembra idiota negare che tu mi piaccia…- ammette.- Ma ho decisamente esagerato e, penso, non lo avrei fatto se non fossi stato così ubriaco, Brian.- Sospira e mi guarda.- E non mi va…che per un po’ di alcool di troppo io debba mandare a puttane anche la possibilità di continuare a frequentarci e…

Sbuffo un sorriso.

Lui lo prende per ironia e cinismo, io so che è un sincero moto di pietà nei suoi confronti, suscita perfino tenerezza in questo momento.

Sei proprio un bravo ragazzo, Chester, non ti meritavi di trovarmi sulla tua strada.

Sospira pesante.

-Lo capisco se sei arrabbiato.- mi dice, immagino lo faccia per incoraggiarmi a dirgli quello che penso. Non sa che è qualcosa di così lontano da ciò che sta ipotizzando, che mai e poi mai gli darò la possibilità anche solo di intuirlo.- Io lo sarei al tuo posto.- sorride ancora, ed il disagio torna prepotente.- Non sono stato molto…elegante.

Mi chiedo distrattamente se sia davvero così ingenuo come vorrebbe apparire.

-In definitiva, mi pento di tutto, Brian, e spero solo di non aver combinato un casino tale da…- Non sa neanche lui cosa stia cercando di salvare. È onorevole che ci provi, ma il punto è che non c’era nulla prima e non c’è nulla ora. Io sono bravo a non dare niente di me agli altri.- C’era un certo feeling…io vorrei solo poterti vedere anche in qualche altra occasione e…

La tenda della zona notte viene scostata.

So cosa vede Chester, non ho bisogno di voltarmi. Glielo leggo sulla faccia quando la sua attenzione si sposta da me e dalla frase che stava finendo, a qualcuno alle mie spalle. Sento Matthew sbadigliare, in quel suo modo rumoroso che serve a richiamare gli sguardi dei presenti su di sè. Io non mi muovo lo stesso, non mi volto e non sciolgo le braccia dalla posizione in cui le tengo, incrociate sul petto. Vedo Matt avanzare e muoversi solo nello sguardo di Chester. Nella sua comprensione lenta, violenta ed imbarazzata.

Conosco i gesti di Matt, li conosco uno ad uno, so che ora si starà stiracchiando come un bambino, che avrà i capelli arruffati e ci infilerà le dita in mezzo solo per fare un disastro maggiore, so che sta camminando a piedi nudi, che la prima cosa a cui penserà sarà il caffè e che adesso probabilmente ha visto Chester e gli sta sorridendo in segno di saluto.

So tutto questo.

Quello che non so, Matthew me lo dice appena mi raggiunge.

Mi passa un braccio attorno alla vita, si sporge verso di me, investendomi con il suo profumo, e mi posa le labbra sul collo.

-Ciao, amore.- mi sussurra contro la pelle prima di baciarmi.

Lo sento solo io. Ma Chester lo capisce comunque. Perché Matthew sta palesemente rivendicando il territorio. Ed è geloso. Non è uno stupido, ha visto la faccia di Chester, ha visto me, sa che la persona con cui stavo per tradirlo è lui. Quindi ribadisce un possesso che io non desidero negargli. La sua gelosia mi piace - inclino il capo di lato per permettergli di baciarmi il collo - mi piace il modo in cui mi stringe sollevando lo sguardo a ricambiare quello di Chester, mi piace che stia fingendo con lui una cordialità che non prova affatto.

È un lato di Matt che vedo così di rado da esserne ancora affascinato e che mi da l’esatta misura di quanto lui sia perfettamente cosciente di sé, di me e di ogni altra persona che ci circondi.

-Lui è Chester Bennington, Matt.- presento spiccio, indicando il ragazzo che ci fronteggia.- Chester, Matthew Bellamy.

È Matt il primo a muoversi, lascia cadere il braccio con cui mi teneva e porge la mano all’altro, regalandogli ancora un sorriso ed una battuta educata, pronunciata in un tono così entusiasticamente coinvolto da sembrare sincero.

-Beh, diciamo che è difficile non sapere chi tu sia, Chester, e sono felice di conoscerti.

Chester ricambia la stretta e, impacciato, anche il sorriso.

-Sì…beh…non è che la situazione sia molto diversa, per me…- mormora.

No, lui non ci riesce proprio a fingere, in compenso.

Matt si tira dritto. Adocchia la cucina dietro Chester e la indica.

-Se non vi secca, io cerco del caffè mentre voi chiacchierate.- annuncia, sfilando poi lungo il corridoietto per raggiungere la macchinetta.

Chester ed io rimaniamo da soli. La presenza di Matt è ingombrante comunque, il rumore che fa nel mettere su il caffè arriva pesante tra noi due. Chester ci prova un paio di volte ad aprire la bocca per riprendere il discorso, io invece non faccio nulla per rendergliela più facile.

Alla fine scuote un braccio e sorride, stavolta con sincerità ed insieme con una buona dose di autocommiserazione.

-Sono un cretino.- annuncia piatto, sollevando una mano per salutarmi.

Si volta e va via senza che nemmeno gli risponda.

-Vuoi la panna nel caffè?- mi domanda Matthew.

“Non vuoi sapere nulla, Matt?”

-No, Alex mi strangola.- borbotto.

-Io ti trovo un po’ sciupato, secondo me potresti tranquillamente concederti della panna nel caffè.- ribatte venendomi incontro con le tazze.

Mi supera per posarle sul tavolo e mi guarda da lì.

-Beh?- mi chiede fissandomi perplesso.- Vuoi fare colazione o no?

“Non vuoi sapere proprio nulla, Matt?”

-Sì, certo.- rispondo distrattamente, andandogli vicino.

Fa sedere me per primo, poi mi si siede accanto.

-Ti amo, Brian.- mi dice senza nessun motivo, fissando lo sguardo sul fondo limaccioso della propria tazza.

E poi riprende a bere.

“Nemmeno quanto è stronzo il tuo ragazzo?”

***

So che non mi si staccherà di dosso tanto facilmente.

-Perdi l’aereo.

So che se dipendesse da lui...da me...da un qualunque fattore di questo Universo che uno di noi due potesse influenzare, questo momento si congelerebbe esattamente così.

-Non è che me ne freghi più di tanto…- brontola a mezza voce.

Con lui attaccato alle mie spalle, con il naso affondato nel collo, superando la resistenza della camicia.

-A te non fregherà, ma a Tom sì.- ribatto.

Con questa immobilità fatta di una confusione che non riesce a raggiungerci.

Adoro il fatto che negli Stati Uniti tanto il suo quanto il mio gruppo siano poco conosciuti.

-Si fotta.- borbotta Matt affondando ancora di più il viso e facendo perdere quelle parole in un punto imprecisato tra il risvolto del colletto e la mia clavicola.

Ridacchio. Un po’ perché il suo fiato mi solletica la pelle, un po’ perché mi fa tenerezza quando si comporta come un moccioso e mi si appiccica addosso come un adolescente alla prima scopata.

-Matt, piantala.- lo rimprovero comunque.

Più precisamente, adoro il fatto che questa mancanza di notorietà ci permetta di restare in pubblico a scambiarci smancerie senza correre il rischio di essere assaltati dai fan o, peggio, da qualche giornalista in cerca di scoop facili.

Lui mugugna. Quando arriviamo ai suoni inarticolati, significa che ho vinto e sta per decidersi a mollarmi e salire sull’aereo. Hanno chiamato il suo volo già da un quarto d’ora buono, non voglio sul serio che rischi di restare a terra, ho sentito le urla di Tom quando lo ha chiamato prima e non mi va di avere né lui né il suo manager sulla coscienza.

Infatti sbuffa. Si tira dritto e lascia ricadere le braccia, così che per un momento ho un po’ di freddo senza averlo più addosso.

-Ci vediamo tra due giorni.- mi sforzo di ricordare ragionevole.

-Bah!- sbotta lui arricciando il naso come un ragazzino. Incrocia le braccia sul petto con aria bellicosa e mi guarda fisso- Non sperare di rabbonirmi così!- protesta.- Due giorni sono un’eternità! E poi avrete da fare anche quando arriverete in Inghilterra! Io la conosco Alex, quella vi molla solo dopo morti!

-Sparisci.- ordino senza lasciarmi fuorviare da quei capricci. Indico con la testa i gates di imbarco.- Su.- ripeto paziente.- Fila via.

-Tu non mi ami.- annuisce lui con convinzione, recuperando quel po’ di dignità che conserva dopo questa pagliacciata ed apprestandosi ad utilizzarlo per consegnare il biglietto alla hostess e farsi accompagnare sull’aereo.- Che palle…- borbotta ancora guardando la signorina sorridente da lontano.

-Matt, vai.- ripeto. Ci provo a restare saldo nei miei propositi, ma non è che non senta da me che la voce mi trema. Matthew mi guarda affatto convinto, ho fatto un casino…già la sua voglia di partire è pari a zero.- Muoviti, ti prego.- ribadisco tentando di mantenere un tono fermo.

Sospira.

-Dopodomani ti aspetto direttamente sulla pista di atterraggio, giuro.- mi sussurra.

-Sì, certo!- rido io.- Vai.

Fa un po’ male alle volte. Dipende principalmente dalla consapevolezza che per noi riuscire ad avere ciò che hanno tutte le altre coppie è immensamente più complicato.

Dipende dal fatto che siamo dei privilegiati.

Su un mucchio di aspetti.

E paghiamo un prezzo. A volte un po’ troppo alto.

Vedere la persona che si ama darti le spalle e fare due passi che la porteranno dall’altro lato del globo, ad esempio, è un prezzo davvero salato quando sai che hai rischiato tutto.

Io non sono davvero un idealista, all’amore eterno mi ostino a non credere; pensare, che ogni cosa che ho e che adesso mi appare bellissima, possa sparire da un momento all’altro è stata un’abitudine che ho assunto anche troppo in fretta.

Quindi non capisco davvero perché mi costi così tanto vederlo fare questi due passi, consegnare un foglio di carta, voltarsi un’ultima volta e sollevare un braccio per salutarmi.

***

Da quando stiamo insieme, Matt non mi ha mai chiesto esplicitamente di presenziare ad un suo live. Più di una volta gli ho letto sulle labbra una sorta di ansia curiosa un po’ infantile che, mentre le osservavo stringersi e passare sotto l’impietosa striscia di morsi cui le sottopone quando è nervoso, mi ha dato un’idea molto precisa di quanto grande fosse il suo desiderio di esplodere ed afferrarmi per un polso, trascinandomi giù per le scale fino alla macchina che lo aspettava sotto casa – mia o sua, dipendeva da dove si faceva trovare – per condurmi alla location e costringermi a stare lì nel backstage per tutta la durata del soundcheck e del concerto.

S’è sempre frenato. Probabilmente perché neanche io gli ho mai chiesto di venire a vedermi.

Io, è ovvio, lo faccio perché ho paura della sua opinione nei miei confronti. Non in quanto persona – non c’è niente che Matthew possa dirmi che io non abbia già pensato di me stesso da qualche parte durante il mio percorso di vita, o che non continui comunque a pensare quando mi do l’occasione di farlo… e oltretutto dubito seriamente che Matt possa raggiungere i livelli di crudele meschinità che mi riservo quando penso a me stesso – ma in quanto artista. Matthew non esprime giudizi, ma tende ad esporre le proprie idee esattamente come nascono nella sua testa. E le idee, a volte, sono peggio dei giudizi. I giudizi possono essere falsati da tante cose – la rabbia del momento così come un eccesso di improvvisa tenerezza – ma le idee, quando non sono bugie, sono pure. Intonse.

Per dire, una volta si stava parlando del più e del meno e Matthew mi ha confessato di non apprezzare particolarmente le canzoni in cui la linea di batteria è realizzata con la drum machine. La ritiene una semplificazione alla stregua dei sintetizzatori, con la differenza che il rispetto che riserva per la batteria come strumento ha accezioni quasi sacrali, e quindi il solo sentire una ritmica basata sull’inconfondibile suono sempre troppo ovattato e troppo veloce delle drum machine lo irrita. “È per questo che generalmente neanche ascolto i remix che fanno delle nostre canzoni per infilarli nei singoli”, ha confessato mugugnando, “Lì le utilizzano spessissimo”.

Ora. L’ottanta per cento della musica che mi piace è talmente influenzata dalla techno che le drum machine sono quasi la norma.

Ovviamente, Matthew non mi stava dicendo “la musica che ascolti mi schifa”.

Ma se sono stato in grado di passare un’intera nottata scrollando la playlist dell’IPod, riascoltando tutti i brani di un certo tipo e ponderando seriamente se fosse o meno il caso di eliminarli dalla mia quotidianità soltanto perché Matt aveva mostrato di non apprezzare la categoria alla quale appartenevano, vi lascio immaginare cosa sarei capace di fare se le sue idee, invece di andare a toccare soltanto la musica che ascolto, andassero a toccare la musica che faccio.

Sarebbe evidentemente un cataclisma di proporzioni talmente enormi che niente riuscirebbe ad arginarlo! Sarebbe come un maremoto! Andrei in giro come uno zombie strillando che devo dare una svolta alla mia vita e blaterando dissensi random mentre vado riascoltando l’intera discografia dei Placebo e medito di ritirare tutti i nostri album sparsi per il mondo, vagheggiando di raccoglierli in pire come altari sacrificali e dar loro fuoco per eliminare ogni traccia di Male dalla faccia della Terra!

Quindi, in definitiva, è perfettamente comprensibile che io mi sia ben guardato dal chiedergli di venire con me ad un concerto. Anche perché mi conosco abbastanza bene da sapere che, alla fine dell’esibizione, gli sarei saltato addosso pretendendo pareri anche se Stef avrebbe fatto di tutto per fermarmi.

Quello che non si capisce è perché lui, che è evidentemente un genio – e questo è stato sempre abbastanza chiaro per tutti, perfino per me e perfino quando invece di ammetterlo mostravo di non crederci – possa preoccuparsi di qualcosa di simile.

Voglio dire, è ovvio che adoro qualsiasi cosa crei! Adoro perfino quello sciocco romanzo illustrato che si ostina a portare avanti nonostante sia vero che non ha né capo né coda! Figurarsi se potrei mai dire “ba” anche solo su una nota partorita dal suo cervello. Anche se è abbastanza chiaro per tutti pure il fatto che in realtà il cervello musicale di Matt non si muove per note ma per lucine colorate che abbina a suoni più o meno acuti o più o meno gravi.

Ma questo non c’entra.

Comunque, non ero mai stato invitato ad un live prima di quella volta, ed effettivamente neanche quella volta successe.

Era inverno. Probabilmente gennaio.

Io e Matt abbiamo scelto proprio i periodi peggiori delle nostre vite per incontrarci e innamorarci. È talmente ovvio e talmente idiota nella sua ovvietà che fa quasi pensare che sì, un ordinatore dell’universo debba esistere – ed odiarci tutti. Perché non si può concepire che due persone intelligenti quali noi siamo possano coscientemente dare un’occhiata ai loro programmi per l’anno in corso, vedere che sarà massacrante e aggiungerci anche una relazione. È assurdo.

Sta di fatto che io avevo finalmente strappato ad Alex una serata libera dopo mesi e che, tutto contento, ero tornato nel mio appartamento saltellando come un coniglio ed afferrando il cellulare per chiamare Matt, dargli la bella notizia ed annunciargli che se non voleva che andassi a prelevarlo direttamente a casa sua avrebbe fatto meglio a trovarsi da me in dieci secondi netti, quando mi sento rispondere che “amore, devo essere sul palco fra mezz’ora…”.

- Dove diavolo sei?! – chiesi, strillando istericamente nella cornetta. Già terrorizzato dal fatto che lui potesse candidamente uscirsene con un “Ma amore, in Bangladesh, te l’ho detto ieri!” che mi avrebbe spezzato il cuore e costretto a strapparmi i capelli dalla testa uno ad uno, cercai di fare mente locale, chiedendomi se per caso mi avesse detto che doveva espatriare mentre mi stavo passando lo smalto. Tendo a non badare a niente di ciò che mi circonda, quando passo lo smalto.

- Uhm… - tergiversò Matt, - Aspetta.

Lo sentii allungare il braccio e afferrare qualcosa.

Capii che non era “qualcosa” quando il qualcosa strillò “Matt, vai a cagare!”, con un tono di quelli che ti fanno pensare che chi lo usa sia arrivato ben oltre il punto di rottura già da tempo. Allora compresi che doveva trattarsi di Dom.

- Dov’è che siamo? – gli chiese Matt con innocenza, e nel tempo che io utilizzai per schiaffeggiarmi la fronte con una mano, Dom riuscì non solo a dirgli il nome del posto in cui si trovavano, ma anche a ricoprirlo di una tale quantità di epiteti ingiuriosi che il mio vocabolario di imprecazioni ne uscì notevolmente arricchito.

- Che ci fate lì? – chiesi io, quando sentii la voce di Dom allontanarsi abbastanza da darmi ad intendere che la diatriba era finita.

- Mah. – rispose lui, sbottando infastidito, - Tom dice che stiamo perdendo il contatto col pubblico. Perciò ci ha messo a suonare in piazza.

- Ahah. – ridacchiai divertito, - E quanti milioni di londinesi staranno stipati in questa piazza?

- Temo pochi. – borbottò Matt, - Hanno finito di montare il palco tipo due ore fa e pare che ancora non se ne sia accorto nessuno. È uno spettacolo a sorpresa. Di quelle cose che fanno i musicisti affermati quando vogliono far prendere un infarto ai fan, sai?

- Mai fatto niente del genere in vita mia. – ammisi, scuotendo il capo. – Quando voglio far prendere un infarto ai fan generalmente bacio il mio bassista.

Lui rimase un po’ in silenzio, dall’altro lato della cornetta. Per un attimo temetti si fosse offeso.

- Brian, - rispose dopo che il silenzio si fu esaurito, - sai che a volte ho difficoltà a credere che Muse e Placebo abbiano esattamente lo stesso tipo di fan?

- In realtà è del tutto normale. – spiegai con un sospiro supponente, - Noi diamo a loro ciò che voi siete incapaci di fornire.

- A-ha. E sarebbe?

- Mmh… tanto amore?

Scoppiò a ridere ed io lo seguii senza neanche rifletterci. L’eco della mia risata risuonò per tutto l’appartamento vuoto, ritornando indietro fino a me e abbattendosi crudelmente contro la mia faccia, ed io mi sentii vuoto e perso ed ebbi così tanta voglia di vederlo che dovetti mordermi un labbro per non dirglielo.

- Adesso devo scappare. – disse lui frettolosamente, sbuffando irritato, - Ti chiamo appena finisco, aspettami sveglio, se puoi.

Non ebbi nemmeno il tempo di salutare.

Comunque, neanche un minuto dopo, ero già in macchina. Fortunatamente, la piazza che era stata adibita a location per il concerto non era particolarmente lontana da casa mia, perciò arrivai nei paraggi in poco più di un quarto d’ora.

Una volta lì mi resi conto di quanto pie fossero state le illusioni di Matt, quando mi aveva detto – magari credendoci per davvero – che a quel concerto non sarebbe andato nessuno. La piazza era gremita di gente. Chi non entrava all’interno dell’area riservata al pubblico, delimitata da lunghi e pesanti cordoni gialli intrecciati, retti in aria da pali arancioni lunghi poco meno di un metro e piantati in enormi blocchi di cemento che faticavo a immaginare potessero avere un utilizzo serio oltre quello per il quale erano stati usati quella sera, si disperdeva lungo le stradine laterali. Le file erano enormi. I balconi dei palazzi intorno, strabordanti. La folla era gonfia come un fiume in piena, spaventava quasi.

Fu sostanzialmente un miracolo che uno dei collaboratori di Tom passasse di lì, per controllare che i cordoni non cedessero, e mi notasse. Mi fissò incredulo e attento per qualche secondo, e io pensai distrattamente che, per una persona che probabilmente mi aveva visto in tutto tre volte, e solo quando ero perfettamente truccato perché nel momento in cui mi aveva posato gli occhi addosso ero anche sulla copertina di qualche rivista, non dovesse essere facile riconoscermi in una situazione come quella. Ma lui mi riconobbe.

- Brian Molko? – chiese, avvicinandosi, un po’ incerto.

Io sorrisi, stupito, ed annuii.

Poi venne il momento della domanda scomoda.

Era chiaro che non poteva chiedermi “e che ci fai qui?”. Sarebbe stato terribilmente maleducato, e sicuramente quello che aveva sentito dire di me non lo incitava a comportarsi con leggerezza nei miei confronti. Ciononostante, la situazione imponeva di vederci chiaro, e lui pensò di farlo nel modo più limpido e inequivocabile possibile.

- Sei il ragazzo di Matthew, vero? – chiese con una punta di paura, stringendosi nelle spalle.

Io risi.

- L’ultima volta che ho controllato, sì. – risposi conciliante, cercando di non metterlo a disagio. Immaginavo quanto dovesse essergli costato fare una domanda simile. È il tipo di domanda che costa sempre fare, quando non hai più quindici anni, non lavori per un giornale scandalistico… e be’, non sei Matthew.

L’uomo sollevò una parte del cordone, mandando due energumeni a bloccare il resto della folla mentre mi invitava a passare e mi conduceva velocemente nel backstage, dove mi affidò alle amorevoli cure di Tom. Il quale mi fissò, sconvolto, e fece la domanda che, per delicatezza, il suo collaboratore non mi aveva fatto.

- E tu che diamine ci fai qui?!

Ovviamente, per lui il convenevole del “sei il ragazzo di Matt” non aveva senso. Quindi era anche giustificato, in parte, se metteva in secondo piano l’educazione per concentrarsi sulla realtà sconvolgente per la quale l’uomo del suo frontman si trovava nel backstage di un concerto del proprio ragazzo e si aspettava anche che di lui fosse fatto qualcosa di utile.

- Sono venuto a guardare… - risposi a mezza voce, lasciando vagare lo sguardo sul caos di persone e apparecchiature che affollava il retro del palco.

- Dio mio. – mugugnò Tom, sconvolto, - Matthew lo sa?

- Non ho avuto tempo di dirglielo. – ammisi. Il fatto che non ci avessi neanche pensato non mi sfiorò neppure da lontano.

Tom annuì, digerendo l’informazione e incrociando le braccia sul petto.

- Okay. – disse infine, arrendendosi. – Però non puoi stare qui. Ogni volta che finisce una canzone questo posto si trasforma in un delirio. – si fermò, guardandosi intorno e catturando una povera ragazza che si muoveva sbatacchiando da un lato all’altro la Manson argentata di Matt. – Monica!!! Si può sapere dove diavolo stai portando Silver?!

La ragazza si giustificò dicendo che Matthew era nervoso, era completamente impazzito e minacciava di non usarla se non fosse stata perfettamente lucida, e quindi lei stava andando alla ricerca di una spugna e un prodotto adatti allo scopo. Tom la lasciò andare con un sospiro e le disse di tornare da Matt e convincerlo ad usare Silver senza fare storie. – Con le buone o con le cattive, Moni. Non mi interessa. Se è il caso, spaccagliela sulla testa. – poi tornò a rivolgersi a me, - L’idiota si è del tutto rincoglionito, se pensa di poter mandare a lucidare la chitarra con cui deve aprire a due minuti dall’inizio del concerto.

Io ridacchiai sommessamente e, sinceramente, cominciai a pentirmi di trovarmi lì. Quel backstage non somigliava affatto a quelli dei nostri concerti. Da noi era sempre tutto estremamente calmo. Estremamente pianificato. Non c’erano mai enormi scossoni, se pure mancava qualcosa la si ritrovava sempre in tempo per evitare lo scoppio di una crisi di panico da parte di uno qualsiasi di noi. Lì invece la dimensione prettamente lavorativa delle esibizioni live sembrava essersi persa tra una buccia di banana e l’altra, come dimostrava il cestino della carta straccia rigato di giallo.

- Facciamo così. – disse Tom, riflettendo seriamente, - Soffri di vertigini?

Negai risoluto, anche se stavo mentendo. Non mi sembrava il caso di fare impazzire Tom, e lo sguardo che aveva era proprio di quelli che sembrano dirti “contraddicimi e comincio a mangiarmi la maglietta qui ed ora”.

- Bene. Allora, vedi lassù i fari? – chiese, afferrandomi per le spalle e stringendomi a sé perché potessi osservare esattamente il punto che stava indicando, oltre i tendoni che coprivano il backstage e lasciavano intravedere l’estremità superiore dell’impalcatura. – Lì c’è una specie di intercapedine. Fa un caldo boia ma è un posto sicuro. E potrai osservare tutto quello che succede sul palco! – concluse, con lo stesso tono col quale avrebbe parlato di una meravigliosa vacanza a Ibiza se fosse stato impiegato in un’agenzia di viaggi.

Io deglutii e annuii e, ancora stordito da tutte quelle parole – e da tutto quel dannato casino – mi lasciai condurre su per una ripidissima scaletta che sembrava appena appoggiata ai sostegni del palco, ma che, come mi ricordò Tom, cercando di rassicurarmi dal momento che anche lui notò il mio sguardo, e anche il mio sembrava di quelli che possono costringere a mangiare una maglietta, era in realtà fissata con delle viti talmente enormi che anche se le avessi viste non avrei creduto alla loro esistenza.

Una volta là sopra, mi accoccolai fra una luce rosa e una luce blu, aggrappandomi alla ringhiera e guardando di sotto.

- Sta’ lontano da queste blu, adesso. Le usiamo per Map e per Time. Map apre. Non ti fare fulminare o Matt mi ucciderà. – mi istruì seriamente Tom. – Quelle rosa, invece, non le usiamo prima del finale. – continuò con piglio severo, agitandomi un dito davanti alla faccia, - Il finale è Knights. Quando senti Knights, scendi, perché le usiamo tutte… - borbottò, indicando con un ampio gesto delle braccia ogni singolo faro presente là sopra, - …e qui potrebbe diventare bollente. – si interruppe e mi guardò. Stavo ancora mollemente appoggiato al faro blu, fissando con aria assente alternativamente lui e il vuoto sotto di me. – Mi hai capito? – chiese dubbioso, inarcando un sopracciglio. Io annuii. – Non voglio ritrovarti fritto. Né alla brace. Né lessato. – rifletté qualche secondo, probabilmente dandosi dell’idiota per aver accettato di portarmi fin lassù. – Per carità, fatti trovare vivo. – concluse infine. Dopodichè girò sui tacchi e, agitando un braccio come a dire che sarebbe stato comunque tutto un disastro, raggiunse la scaletta e scomparve di sotto.

Non so per quanti minuti rimasi lì, da solo, in silenzio. Mi sembrarono eterni, in ogni caso. Rimasi appoggiato al faro, poi realizzai effettivamente che mi era appena stato detto di staccarmi da lì e quindi tornai ad aggrapparmi esclusivamente alla ringhiera davanti a me, poggiando il gomito sul ferro e il mento sul palmo aperto.

Poi si fece tutto buio.

La folla esplose in un delirio di urla e richiami festosi.

La luce blu si accese.

E Matthew era lì. Sotto di me. Prima ancora che la folla potesse individuarlo con precisione, complici anche le luci bassissime che confondevano la vista, l’attacco della chitarra distorta di Map era partito. Silver non riusciva a splendere, con tutto quel buio, ma il pad rifletteva una minuscola lucina fosforescente sulla spessa asta del microfono davanti a lui. Da qualche parte, accanto alla batteria, il tastierista aggiunto spezzò l’assolo di chitarra con le tre note dal suono cristallino e tintinnante come quello dei campanellini, che contraddistinguevano la linea di piano di quella canzone, e quasi contemporaneamente Chris attaccò con la linea di basso. Quando anche Dom si aggiunse al perfetto quadro sonoro che si andava delineando, la folla impazzì, ed io assieme a lei. Persi completamente il senso della realtà. Dello spazio. Del tempo. Rimasi incantato ad osservare i movimenti di Matt sul palco, la chimica perfetta con la quale interagiva coi suoi compagni di band, la naturalezza un po’ scomposta e infantile con la quale si lasciava andare ai saltelli e al trottolio confuso che lo guidava da un lato all’altro del palco in un movimento frenetico e senza sosta.

E poi la canzone terminò, lui si mise a giocare con gli effetti della chitarra e, per rendere la cosa più credibile, se la sfilò di dosso e la sollevò sulle braccia tese fin sopra la testa, come la stesse offrendo in sacrificio a un dio superiore. Era un movimento che aveva un che di assurdo e, al contempo, di affascinante. Il che riassumeva un po’ Matt nella sua interezza.

Sorrisi teneramente, incapace di staccargli gli occhi di dosso.

E fu in quel momento che lui aprì i propri. L’avevo osservato spesso suonare per conto proprio, e sapevo che, quando cominciava, capitava raramente che riuscisse a tenere gli occhi aperti per più di dieci secondi consecutivi. La sua trance artistica prevedeva l’isolamento totale rispetto al resto del mondo, e gli occhi chiusi lo aiutavano ad ottenerlo.

Perciò immagino che si sia sentito spaesato, quando aprì gli occhi e guardò in alto e lì in alto trovò me.

Lessi tutto lo stupore che gli annebbiava la mente, nello sguardo enorme che mi piantò addosso. E nella linea delle sue labbra, che si dischiusero in una piccola “o” vagamente ridicola.

Fortunatamente non doveva star lì a badare alla chitarra, che continuava a cantare per i fatti propri, interagendo autonomamente con l’amplificatore a due passi da lui.

Io risi ancora, ed agitai una mano come per salutarlo, stringendomi nelle spalle. Mi augurai che mi vedesse. Mi augurai che scorgesse il mio sorriso, che percepisse almeno una parte di ciò che stavo provando in quel momento. Dell’ammirazione, della gioia, dell’amore assoluto che mi stava riempiendo al punto da farmi sentire quasi devastato.

Si lasciò ricadere addosso la chitarra. La fortuna volle che la tracolla gli si incastrasse sulle spalle, impedendo allo strumento di schiantarsi contro il legno del palco. Lui non le badò. Il suo peso non lo spostò di un millimetro. Continuò a fissarmi e sollevò un braccio. Due dita tese. Dritte verso l’alto. Come volesse raggiungermi.

Anche io stesi il braccio, ed allungai le dita.

Fisicamente, non ci toccammo.

Ma da qualche parte, nell’aria in mezzo a noi, in qualche modo ci riuscimmo comunque.

*

Ho perso tempo in città perché non mi andava di tornare subito. Quando rientro, Alex mi aspetta a braccia conserte sugli scalini del tour-bus.

- Mi auguro che non ci saranno altri colpi di testa, Brian. – dice severamente, picchiettando col tacco sul metallo e producendo un suono irritante che in qualche modo mi ricorda la Madre Superiora che dirigeva la scuola privata che ho frequentato per tutte le elementari. – Avanti… - prosegue, sospirando pesantemente ed addolcendo lo sguardo e l’espressione del viso, - Domani c’è l’ultimo. E poi si torna a casa! Riposo! Vacanza!

- Già. – annuisco io, sorridendo maligno, - Per una settimana. Poi di corsa in sala prove per tirare fuori nuovo materiale per il prossimo album, scommetto.

Alex si morde un labbro.

- A questo proposito, Brian…

- Ah, no! – la interrompo io, agitando una mano, - Se stai per dirmi che non avrò neanche la settimana che mi hai promesso, fanne pure a meno! – mi lamento, voltandomi e cominciando a camminare risolutamente verso un qualsiasi punto sia lontano da lei, - Non solo non intendo starti a sentire, ma intendo fuggire su qualche isola tropicale appena toccato il suolo inglese, ti avverto!

La sento sospirare ed arrendersi alle mie spalle. Borbotta un trasognato “non fare troppo tardi” e rientra nel tour-bus, mentre io continuo ad allontanarmi, vagando senza meta fra bus e camion, nel pomeriggio che sfocia in tramonto.

È proprio mentre vago che, a un certo punto, mi imbatto in una scena insolita che cattura la mia attenzione. Gerard Way e Chester Bennington stanno l’uno accanto all’altro, seduti su un amplificatore enorme. E, a quanto pare, stanno chiacchierando del più e del meno.

Nessuno dei due rientra nella ristrettissima lista di persone con le quali mi andrebbe di parlare, adesso. Ciononostante, non sospettavo che fossero amici, e vederli così… in intimità, per dirla in questo modo, mi stupisce e m’incuriosisce. Perciò, da brava adolescente cretina che non sono altro, mi nascondo dietro un rimorchio spaventosamente grande e resto in ascolto.

- E quindi in definitiva com’è andata? – chiede Way, distratto, guardandosi intorno come non vedesse l’ora di trovare un diversivo col quale porre fine a quella conversazione.

Chester non solleva lo sguardo dal terriccio polveroso che, dalla propria posizione, arriva appena a lambire con le punte dei piedi. Lancia un sospiro stremato e si sgonfia come un palloncino, sistemandosi gli occhiali sul naso.

- È andata male, come vuoi che sia andata. – risponde infine a bassa voce.

- Come?! – sbotta incredulo Gerard, allontanandosi da lui come potesse essere portatore sano di una malattia contagiosissima, - Che vuol dire “male”?! Non ci sei andato a letto?! Dopo tutta la fatica che ho fatto per lasciarti stare da solo con lui?!

- No! – strilla Chester, sollevando finalmente lo sguardo e strizzando i pugni abbandonati fra le gambe semidivaricate, - E non solo! Due giorni dopo trovo il coraggio per andare quantomeno a chiedere scusa per… Dio…

- Chester, ti prego

- …per essergli saltato addosso come un dannato cane arrapato, Cristo santo! E cosa scopro? Ma che ovviamente era fidanzato! E non con Pinco Pallo, no! Con Matthew Bellamy!!! Cazzo, cazzo e cazzo! E nessuno che si fosse premurato di dirmelo, ovviamente!

Gerard lo guarda, inarcando le sopracciglia come farebbe di fronte ad un adolescente particolarmente duro di comprendonio.

- Io credevo lo sapessi. – mugugna alla fine, scrollando le spalle.

- Come cazzo dovevo fare a saperlo, me lo spieghi?! – grida ancora il biondino, gesticolando animatamente.

Gerard scrolla nuovamente le spalle.

- Sta attaccato al telefono ventiquattro ore su ventiquattro e quando riemerge da dove si è nascosto per chiamare praticamente volteggia a un metro dal suolo… per essere più chiaro di così avrebbe dovuto scriverselo sulla fronte...

Chester si affloscia nuovamente su sé stesso, esausto.

- Sono peggio di te. Ho distrutto un rapporto presumibilmente serio e appassionato…

- Non hai distrutto un cazzo perché non sei stato neanche in grado di scopartelo, quello stronzo. – precisa Gerard con noncuranza, guadagnando, in cambio dell’epiteto, che il suo nome, recentemente scomparso dal mio Taccuino dell’Odio, vi ricompaia senza troppe cerimonie.

- Gerard: vaffanculo. – conclude eloquentemente Chester, sia per sé stesso che per me.

Gerard sospira pesantemente e poi solleva un braccio, passandoglielo sopra le spalle ed attirandolo a sé in un abbraccio un po’ goffo e infantile. Anche tenero, a proprio modo.

- Dai che non è successo niente. – lo rassicura, mentre Chester, stretto a lui, si lascia andare ad un respiro sollevato e ad un sorriso triste, - Comunque sei incolpevole. Non sapevi che fosse impegnato. E poi a te lui piace davvero, quindi sei giustificato.

- Mmmh… - mugugna Chester, ritrovano poco a poco sicurezza, - Be’, sì. In ogni caso sono meglio di te. Tu sai che Stefan è impegnato, eppure…

Gerard sorride, digrignando i denti.

- Purtroppo, so pure che per quanto possa provarci non caverò un ragno dal buco. – ammette controvoglia, pizzicando la spalla di Chester che ancora tiene stretta fra le dita, - È per questo che continuo a provarci, tanto so che le mie spoglie mortali resteranno pure e caste.

Be’.

Se non altro, questo dimostra che quando scelgo i bersagli contro i quali fare lo stronzo, dovrei informarmi meglio prima.

È chiaro che mi sono sbagliato su così tante cose che fatico a tenere il conto.

- Pure e caste. Sì, certo. – riprende Chester, ormai del tutto ristabilito, - Vienimelo a raccontare quando andrai di fronte a San Pietro e lui ti mostrerà incredulo il filmato su YouTube in cui baci tuo fratello, chiedendo a te come dovrebbe comportarsi nei confronti di un tale abominio.

- Dio mio, no! – si lamenta Gerard, staccandosi dall’abbraccio e saltando in piedi, - Come quando alle elementari la maestra osservava le macchie di pennarello sui compiti e poi diceva “Gerard, come pensi dovrei comportarmi di fronte a questo?”. – fa una smorfia irritata, tendendo una mano a Chester che la afferra per lasciarsi aiutare a saltare accanto a lui, - L’avessi davanti qui ed oggi risponderei “’cazzo ne so, signora maestra, è lei che pagano per punirmi. Quando pagheranno me per decidere che punizione propinarmi, sarà la volta buona che deciderò di punirmi con una vacanza alle Hawaii, vita natural durante”!

Chester ride di gusto e gli dà del cretino mentre si allontanano insieme, diretti da qualche parte.

Rido anche io. Prima sommessamente. Poi, quando sono sicuro che non possano più sentirmi, più apertamente.

- Ridi pure da solo, adesso. Bene. – dice la voce sorridente di Stef alle mie spalle, - Adesso posso chiamare davvero la neuro.

Rido ancora, infilando le mani in tasca e raggiungendolo.

- Mi cercavi? – chiedo a bassa voce, incamminandomi al suo fianco verso il tour-bus.

- Sì. – risponde lui, - Alex ha cominciato a borbottare che s’è fatto tardi e fuori fa freddo. E Steve non riesce a trovare le merendine al cioccolato.

- Perché gliele ho nascoste! – borbotto, - Non potevo mica lasciare che le facesse fuori tutte in un pomeriggio!

Stefan ride divertito.

- Alex ti amerà per questo. – commenta ironico.

Io spingo le mani più a fondo nelle tasche dei jeans, e le mie dita impattano contro il cellulare che, per fortuna, durante la caduta di due giorni prima non è andato completamente distrutto.

A due passi dall’entrata del tour-bus, mi fermo e lo tiro fuori. Stefan si ferma accanto a me, inarcando un sopracciglio inquisitore.

- Tutto a posto. – sorrido sereno, - Entro fra due minuti. A quest’ora Matt dovrebbe essere già arrivato.

 

*

 

Nota di fine capitolo della liz che dopo aver riguardato il tutto si vede apostrofata in una maniera indecente da Nai:

 

Sì, buonasera *-*;;; Oggi sarò breve (perché devo tornare a scrivere) ed immodesta: amo questo capitolo, pure se ne ho scritto una parte anche io T_T Questo è il capitolo in cui Matthew rinnova i suoi voti di possesso *_* Amo come stia appiccicato a Brian per tutto il tempo, sia sul tourbus che all’aeroporto X3 È una cosa tenerissima *.*

E poi sì, amo anche il pezzo del concerto, credo sia il pezzo migliore che abbia scritto per questa storia XD *immodestia rulez*

E poi ci sono Gerard e Chester che interagiscono <3 Io li trovo mortalmente amabili, voi no? *.* (sì, ci sto fangirlando su. Ma voi non volevate veramente saperlo, vero? O_ò).

Anyway, siamo quasi alla fine ç_ç Mancano solo ultimo capitolo ed epilogo. *piange* Mi dispiacerà abbandonare Trapped ;_;

 

 

Nota di fine capitolo della Nai:

 

Uh, visto che Liz si lamenta sempre che scrivendo le note per prima non può influenzarvi, faccio in modo che sia davvero così!!! **

Importante avviso ai naviganti! ù_ù Qualunque cosa la Liz dirà, non credetele! è_é

 

A parte ciò!!! Non ricordavo quanto fosse splendida la parte del concerto, Matt e Brian sono deliziosi, uno più rincoglionito dell’altro! *_*

Brian e lo smalto del Bangladesh! Matthew ed il qualcosaDom a cui chiedere dove sia XDDDDD

Ah! Viva l’essere fuori dal mondo ^_^

E siamo a meno uno! ^_-

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Capitolo 13
*** Thirteen. ***


L

L’Easily Forgotten Love ringrazia i propri lettori. Tutti tutti!

E sopra tutti ringrazia per le recensioni e l’affetto: Erisachan, Isult, Stregatta, Whity, Sweet Pandemonium, Memuzz, Irish Breeze, Will91.

Un bacio a tutte donnine :**********

 

…they have trapped me in a bottle…

 

Thirteen:

 

Sono decisamente un individuo umorale. Una di quelle insopportabili persone che riescono a passeggiare sugli eventi della vita e sugli altri con facilità spaventosa. Dimentico in meno di un istante quasi tutto quello che succede intorno a me – salvo poi conservarne una traccia indelebile sul fondo della mente, una traccia che inevitabilmente e sottilmente condiziona tutto il resto di me in un modo che non riesco neppure a percepire con precisione.

Oggi, ad esempio, quello che mi scorre nelle vene è indissolubilmente legato ad una sola consapevolezza.

Domattina sarò a Londra.

Il mondo potrebbe iniziare a girare dal lato sbagliato, la mia vita potrebbe prendere il corso che più le piaccia, io continuerei a percepire l’odore di Londra, del suo fumo, della sua nebbia puzzolente ed umida, del suo fiume limaccioso, come se fossi già lì e come se tutto questo dovesse diventare una miracolosa panacea per ogni male. Una sorta di rimedio infallibile contro la mia ostinazione e tutto quanto essa abbia prodotto di sbagliato fino ad oggi.

***

-Vado a chiamare Matt!- annuncio a voce alta mentre già mi sto infilando su per la breve scaletta che mi porterà all’interno del tour bus.

-Brian!- mi richiama Alex inseguendomi- Le prove!- strilla.

Ma io non l’ascolto, so questo dannatissimo album a memoria, ormai ricordo alla perfezione anche tutte le vecchie canzoni inserite nella scaletta dello show, se vuole gliele suono ad occhi chiusi e, sopra ogni cosa, io devo sentire Matthew, adesso.

-Amore!- esclamo appena apre la comunicazione, interrompendo il milionesimo, appassionato “Brian” di quest’ultimo mese di lontananza.

Ride.

-Ti sento di buon umore.- mi sfotte.

-‘Fanculo.- ritorco io sorridendo amabilmente e piazzandomi su una delle due panche davanti al tavolo.- Devo dirti una cosa fantastica!- aggiungo poi entusiasta.

-Davvero?- mi chiede lui distrattamente.- Cosa hai fatto oggi?- s’informa poi.

-Eh!- ribatto io- La cosa fantastica riguarda proprio quello che ho fatto oggi!- rido divertito.

-Ah, beh, allora racconta.- mi incita Matt.

Mi sistemo meglio sul sedile, rischiando di scivolare quando il cuscino che ricopre la panca slitta troppo, precipitando a terra in modo rovinoso.

-Uff.- sbuffo piegandomi a recuperarlo.- Dannati cosi…- borbotto.

Matthew ridacchia, ma io lo ignoro ed uso il cuscino per appoggiarmelo dietro la testa quando butto le spalle indietro sul finestrino del bus.

-Beh, allora, c’era questa bicicletta…

Lui m’interrompe subito.

-Quale bicicletta?- mi domanda curioso.

-…una bicicletta…- rispondo perplesso.

-Davvero?- continua lui.

-Sì.- rimarco sempre più stupito.- C’era una bicicletta nel backstage…

-Una bicicletta nel backstage?!- insiste Matthew.

-…Matt…non è la bicicletta il punto…- faccio notare.

-Ah no?! Come puoi dire che non è la bicicletta il punto?!- domanda lui infervorandosi.- Insomma, c’è una bicicletta nel backstage di un festival rock e tu non ti poni nessuna domanda?!

Segue un momento di silenzio.

Ed io so cosa gli sta frullando nella testa.

Lo so anche se lui mantiene un tono assolutamente serio mentre parla.

-…mi stai prendendo per il culo, vero?- gli chiedo quindi.

Matt scoppia a ridere ed io arriccio il naso.

-Certo che sì, tesoro!- confessa candidamente.

-Ho già detto “fanculo” in questa telefonata?- m’informo io allo stesso modo.

-Sì, ma fa pure.- mi concede lui.

-Allora “fanculo”.- ribadisco piatto.- Comunque, c’era questa bicicletta nel backstage e…- mi fermo, lasciandogli modo di valutare se infilarsi con la prosecuzione del proprio idiotissimo scherzo.

Ma a volte lo sottovaluto, lo ammetto.

-Beh?!- mi pressa.- Non arriveremo mai alla fine se continui ad interromperti!- mi rimprovera.

-Ahah.- mimo io pianamente.- E insomma io non avevo nulla da fare,- riprendo asciutto.- e quindi prendo questa bici e decido di fare un giro nel parcheggio del festival, che è tipo enorme!

-Uh, davvero?- mi chiede lui.

-…Matt, stai per ricominciare come per la bicicletta?

Sghignazza. Io sospiro e tento di andare avanti.

-In ogni caso qualche fan è già arrivato da stamattina e stava lì nel parcheggio a bivaccare…

-E sei stato assalito da ragazzine indemoniate che ti hanno strappato di dosso i vestiti ed hanno tentato di abusare di te e…

-No.- lo interrompo secco.

Lui pare deluso.

-…ah.- dice dopo un po’.

Sbuffo e grugnisco un dissenso a caso pescato sul fondo della mia memoria di bambino mai cresciuto.

-Ma che diavolo hai oggi?!- strillo fingendomi arrabbiato.

Così tutto il suo disappunto torna a sparire dietro una risatina da ragazzino dispettoso.

-Andiamo!- sbotta quindi.- Domani ci vediamo!

-No, se continui così!- lo minaccio.- Sei insopportabile! Ti pianto e mi metto con la hostess del nostro volo!- gli prometto, e ci ripenso subito.- Anzi, nemmeno! Ti pianto e mi metto con il pilota del nostro volo! Sarà sicuramente fighissimo! I piloti sono sempre fighissimi!- asserisco annuendo con convinzione anche se lui non può vedermi.

-Ma poi dovresti fingere di apprezzare il suo lavoro ed invece tu soffri di vertigini ed odi volare!- piagnucola Matt contrito.- Non faresti mai sesso con lui nella cabina di pilotaggio…- riflette, poi, con serietà.

-Sono cavoli miei dove faccio sesso e con chi!- strepito io offeso ed imbarazzato.

-Beh!- s’intromette lui.- Fino a domani, quando mi avrai piantato per il pilota del vostro aereo, sono anche fatti miei!- obietta.

-Matthew!

Ride ancora.

-Oh, insomma, se non sei stato violentato cosa può essere successo di interessante nel parcheggio del festival?- m’interroga piccato.

Sospiro, rendendomi conto che non riuscirò a cavargli un minimo di serietà quest’oggi nemmeno mettendoci tutto il mio impegno. E del resto non mi sento più in vena di lui in questo senso. Così mi scappa un sorriso, torno a poggiare le spalle contro il finestrino e riprendo con lo stesso infantile entusiasmo usato per esordire nel mio racconto.

-Beh, un gruppo di ragazzine c’era davvero.- ammetto ridacchiando anch’io. Matt fa “ahah!” e poi borbotta un “continua, continua” estremamente partecipativo. Il risultato è che sono costretto a strozzarmi per non ridergli in faccia e fingo di ignorare il suo continuo e palese prendermi in giro.- Comunque, di queste qui un paio conoscevano i Placebo e mi hanno riconosciuto, le altre ovviamente non sapevano nemmeno chi fossi.

-Nooo!- esclama Matthew ostentando uno stupore che non prova affatto. Tanto per cominciare nemmeno il suo gruppo è così conosciuto negli Stati Uniti e comunque non è affatto carino stare lì a sottolineare tutto!

M’imbroncio.

-Sei uno stronzo.- gli faccio notare.

-Vero.- concorda lui semplicemente.

Sbuffo.

-Vuoi sentire questa storia o vuoi continuare a dirmi cattiverie?- m’informo.

-…cattiverie.- risponde lui dopo averci davvero pensato su.

-‘Fanculo!- ribadisco.

-Eh, ma sei ripetitivo!- sbotta Matt.

-Ora ti attacco il telefono in faccia!

-Fallo, se ne hai il coraggio!- mi sfida ridendo.

-…Matt…non mettere alla prova il mio amor proprio.- consiglio pacatamente.

-Ok, ok!- ride Matthew.- Prometto che faccio il bravo fino alla fine del racconto.- mi dice condiscendente.

-…non ti credo…ma non ho molta scelta.- sospiro.- In ogni caso, io ero lì che girellavo felice sulla mia bici e non mi curavo affatto dei fan, quando questo gruppetto mi viene incontro con aria bellicosa.- Rido appena ripensando alla scena e tutto il presunto livore nei confronti di Matt si perde in quel ricordo scemo.- A quel punto ovviamente non potevo ignorarle.

-E magari passare loro addosso con la bici.- aggiunge Matthew per completezza, e mi pare quasi di vedermelo davanti che annuisce con gravità.

-Sei un coglione.- notifico a lui e, soprattutto, alla mia immagine mentale di lui.- Ma andiamo avanti. Mi fermo, le guardo, loro mi guardano…- m’interrompo per specificare- Tieni da conto che le due che mi hanno riconosciuto erano lì che mi fissavano senza riuscire a crederci!- dico fieramente. Matt chiaramente smonta tutto il mio sano orgoglio sghignazzando, ed il fatto che non dica nulla di perfido non vale minimamente a farmi sentire meno umiliato, come invece speravo.- Bah!- commento sgonfiandomi subito. E riprendo.- Le altre invece mi chiedono amorevolmente chi diavolo io sia e se per caso lavori per qualche gruppo.

-Magari speravano le facessi entrare nel backstage.- sbadiglia Matthew ragionevole. In effetti da lui dovrebbe essere davvero tardi…- Ma tanto lo so che non lo avrai mai fatto.- afferma poi indifferente.

-…cosa vorresti dire?- interloquisco incuriosito ed anche vagamente indispettito.

-Non sei molto socievole con i fan.- mi spiega Matt tranquillamente.

-Con queste sono stato socievolissimo!- sbotto.

Lui ridacchia.

-Certo, amore, continua pure.- m’invita.

-Oggi sei proprio insopportabile!- sottolineo di nuovo, prima di ricominciare il racconto.- Comunque! sono stato davvero carino con loro! Mi sono fermato da bravo bambino e gli ho risposto che sì, in effetti ero in qualche modo lì “con un gruppo”. Ed ho confessato loro di essere un roadie dei Linkin Park.- termino orgogliosamente.

C’è un momento di perfetto silenzio.

Tipo quello di prima, ma qui so che le rotelle della mente di Matt stanno girando a vuoto e lui sta cercando di afferrare l’esatta dimensione della scena.

E l’esatta dimensione della scena è anche peggio di quello che può immaginare lui.

Un Brian Molko in maglietta e jeans random. Assolutamente impresentabile. Che scorazza in giro su una bici derelitta, ridacchiando come un moccioso tredicenne il giorno del compleanno, con un cappellino scemo sulla testa, occhiali da sole ancora più scemi in faccia e convinto! – perché io ne ero convinto – di non essere “scoperto”.

Chiaramente le due ragazzine che mi avevano riconosciuto sono scoppiate a ridere dietro di me.

Insomma la loro…la mia reazione a questo splendido exploit è stata all’incirca…

-Oh mio Dio! Il mio ragazzo è una groopie!- strepita Matthew.- Maschio! Una groopie maschio!!!

Ecco, una cosa del genere.

-Cazzo, Brian! E che hanno detto le due tipe che sapevano chi eri?!- mi pressa ancora Matthew.

E dal suo tono di voce, nonché dal fatto che un po’ ride un po’ mi parla, capisco quanto sia stupidamente fiero di questi inusuali attacchi di imbecillità che mi riconducono sul piano delle persone mortali.

E mi avvicinano a lui. A quel mondo fatto di fanciullesca idiozia che ama tanto.

Così gli vado dietro.

-Niente!- ammetto.- Eravamo lì che ci scambiavano sguardi complici e continuavamo a ridere, mentre le altre, poverette, ci fissavano come se fossimo del tutto impazziti!

-Pensa cosa diranno stasera a vederti sul palco!- commenta Matthew.

-Ah, non so. Probabilmente che sono molto meglio da lontano!- mi canzono da solo.

-Assolutamente!

***

Matt ha un’abitudine orribile, che mi irrita in un modo allucinante.

Non è una cosa particolarmente originale o strana. È una cosa, anzi, piuttosto comune.

Ossia, a Matt piace cantare.

Ovviamente, quando dico “cantare”, non intendo ciò che fa per lavoro. Intendo, invece, quell’ordinario modo di fare che accomuna un po’ tutti e che consiste nel canticchiare pezzettini a caso di brani musicali vari ed eventuali mentre si fa tutt’altro. Esempi classici di attività a cui abbinare una colonna sonora improvvisata sono: la doccia, la barba del mattino, le classiche pulizie di casa e via dicendo.

E già qui sorge il primo problema.

Ho detto che Matt è disordinato per natura. Lui riesce a vivere in una condizione di disordine e di confusione che nessun altro essere vivente sarebbe in grado di tollerare. Chiaramente ha una ditta di pulizie che regolarmente si occupa del tentare di dare un senso ai suoi spazi vitali, ma lui riesce fieramente a rendere vano ogni loro intervento in questo senso già cinque minuti dopo che sono usciti dalla porta.

In ogni caso ha una ditta di pulizie, che è appositamente pagata per pulire casa sua.

Sono certo che sia stata un’iniziativa di Tom. O di Dominic. O di Chris…. Insomma, dubito che sia stata una decisione autonoma, ma è una realtà presente nella sua vita.

Quindi non riesco davvero a spiegarmi l’impulso irrefrenabile che gli viene ogni tanto e che lo porta a sollevare il volto, rendersi conto di abitare in un porcile e decidere immediatamente di infilare il grembiule, afferrare la scopa ed il piumino e squadrare i metri quadri di casa con aria minacciosa, un momento prima di lanciarsi risoluto nelle grandi pulizie di primavera.

In tutto questo, ovviamente, lui canta.

E qui sorge il secondo problema. Quello veramente insormontabile.

Io non lo sopporto.

Non è una mia presa di posizione gratuita, ci sono delle motivazioni quanto mai precise per la mia irritazione, ci sono stato attento, le ho analizzate, non sarei mai riuscito ad accettare di trovare semplicemente intollerabile – e senza nessuna vera ragione – una caratteristica di Matthew! Fosse anche una cosa stupida come questa!

Quindi, io ho i miei motivi.

Magari sbagliati. Senz’altro futili. Indubbiamente superabili.

Ma li ho.

E mi ritengo in diritto quanto meno di manifestare le obiezioni che nutro nei confronti del mio ragazzo.

Pertanto, io odio il canticchiare di Matt durante le pulizie per tre chiare e precise ragioni.

a. Matt ascolta solo musica commerciale.

Ora, io so perfettamente che Matt non ascolta davvero solo “musica commerciale”. Da qualche parte nella sua testa c’è un vano inaccessibile alle persone che lo circondano, in cui sono segregati ben stretti i nomi di gruppi ed artisti che hanno fatto la storia della musica moderna e che hanno influenzato, in modo più o meno evidente, la sua formazione ed il suo modo di lavorare.

Il punto, però, è che per una qualche strana idea che lui ha di sé stesso e del mondo, Matt parla esclusivamente di musica commerciale. Ed ascolta in casa solo musica commerciale. Ed è ossessionato, quasi, solo da stupidissime cantanti, di sesso femminile, che sono in grado di raggiungere – in forza della semplicemente appartenenza al proprio genus – note che nessun maschio adulto potrà mai nemmeno immaginare esistere nella propria scala di tonalità.

Quindi, sentire Matt cantare l’ultimo singolo di Christina Aguilera è indubbiamente qualcosa che dovrebbe essere vietato per legge.

Ma c’è una ragione “b”. Ossia, Matt non è in grado di ricordare i testi delle canzoni.

Non c’è da stupirsi. Matthew non sa scrivere.

Non nel senso che non sappia scrivere in assoluto, è chiaro, le scuole dell’obbligo le ha frequentate e non mette una “x” al posto del proprio nome quando gli si chiede di firmare qualcosa.

Lui, semplicemente, non è in grado di scrivere niente che abbia a che fare con il proprio lavoro.

Ora. Se non mi è difficile capire il concetto quando si tratta di spartiti musicali – non tutti dobbiamo conoscere la musica scritta – non mi è assolutamente comprensibile quando si tratta di testi. Che potrebbe tranquillamente appuntarsi dopo averli composti.

Ma lui si ostina a dire che tanto devono seguire la linea logica che ha nella testa, altrimenti non si accorderebbero con il suono, e quindi è inutile scriverli.

Peraltro è ovvio che, dovendo già ricordare la roba che fa per lavoro, lui abbia dei seri problemi ad immagazzinare altre nozioni con riferimento ai testi della sopra citata Christina Aguilera.

Solo che a me irrita da morire sentirlo improvvisare frasi assolutamente prive di senso ed appiccicate insieme da un filo di tale evidente idiozia che ci sarebbe da afferrarlo per le spalle, mentre si agita utilizzando la scopa come microfono, scaraventarlo su una sedia e schiaffargli in faccia le lyrics di “Genie in a bottle” stampate da internet per ordinargli di impararle adesso!

Ed infine, la peggiore di tutte è l’ultima motivazione.

Perché, “c”, Matthew stona.

Un’autentica. Assoluta. Insopportabile. Tortura per le orecchie.

***

 

Stavo provando a lavorare.

-… something ‘bout you caught my eye!- corressi sovrastando in qualche modo la voce di Matthew.

Lui continuò imperterrito.

C’era qualcosa che non era assolutamente come avrei voluto.

- Told the others, my lovers, both past and present tense!- ringhiai ancora.

Matt mi passò accanto oscillando a tempo di musica e muovendo a casaccio un piumino che – più che toglierla – contribuiva a produrre accumulo di polvere in quasi ogni angolo di casa.

Il punto è che, quando riarrangiamo una canzone per farne una cover, mi piace fare un lavoro ben curato.

-You're the kind of guy, a girl finds in a blue moon!- strillai al colmo dell’isteria- Matt, dannazione!- aggiunsi per completezza.

Finalmente lui si bloccò. Si voltò con il piumino sotto il mento ed uno sguardo sorpreso e mi chiese innocentemente.

-Perché? Io cosa ho detto?

-Non lo so cosa hai detto!- ammisi stizzito, buttando all’aria i fogli che avevo davanti a me sul tavolo in salotto.- Ma posso assicurarti che Cure e Christina Aguilera sono un’accoppiata scandalosa!- protestai veementemente.

-Uh.- disse lui, sempre con quell’aria da tonto che avrei voluto levargli dal muso a suon di schiaffi.- Stavi lavorando?

-No. Riarrangio pezzi a caso del rock classico.- ribattei io sarcastico.

-Ah, allora nulla di serio!- cinguettò lui riprendendo a muoversi a zonzo per casa con il proprio seguito di piume impolverate.

Rinunciai all’idea di rimettermi all’opera non appena sentii di sfuggita le prime note di “Maneater”, mi alzai dal mio posto solo per trascinarmi pietosamente fino ad uno dei divani e lasciarmici cadere stremato.

Matt faceva casino con qualcosa in bagno, un brivido mi scorse lungo la schiena appena mi si disegnò nella mente un’immagine terrificante dei suoi ultimi esperimenti di pulizia. Io e Dom, arrivando un pomeriggio, lo avevamo trovato chino su una bacinella sistemata nello stanzino, intento a rimestare qualcosa di vagamente rossiccio aiutandosi con una specie di spazzolone da bagno. Il qualcosa, si era scoperto dopo, era ciò che rimaneva di uno dei suoi completi rossi preferiti.

Inutile dire che uscì dal trattamento di Matthew già pronto per la pattumiera.

Dominic era riuscito a farlo smettere di lamentarsi solo promettendogli che lo avrebbe accompagnato quella sera stessa a comprarne uno nuovo.

-Sai, stavo pensando…- esordì Matthew schiantandosi sul divano accanto a me.

Assorto com’ero nei miei pensieri e quasi in procinto di assopirmi, non lo avevo sentito arrivare. Feci un balzo e tirai uno strillo tale che Matt mi fissò ad occhi spalancati mentre mi rincantucciavo nell’angolo più lontano del divano e lo scrutavo da lì terrorizzato.

-…Bri…

Mugugnai.

-Stai bene?- s’informò lui spaventato.

-…stavo meglio prima che cercassi di uccidermi…- ammisi fiocamente.

-Oggi sei un po’ nervoso.- notò lui perplesso.

-Non sono nervoso!- negai recisamente muovendo la testa istericamente.

Dando prova del fatto che ero molto più che un po’…nervoso.

Matt non è così idiota come vuole apparire. So che l’ho detto e ripetuto, ma il punto è che si tratta di una cosa che stupisce me per primo a volte.

Tipo quella.

Sospirò, voltando la testa verso la parete davanti a noi, allungò un braccio e mi catturò, attirandomi di peso a sé e stringendomi al suo petto.

-Sei una cosa incredibile!- cominciò a riprendermi mentre io tentavo rigidamente di sfuggirgli. Matthew non si scompose, non si offese e si limitò a non lasciarmi spazio di fuga, continuando a parlare serafico.- Insomma, lavori troppo, ti esaurisci e poi non riesci nemmeno a rilassarti!- spiegò pazientemente.

-Non lavoro troppo!- sbottai io, facendo forza per togliermi il suo braccio dal collo. Ma come accidenti faceva quel coso così mingherlino ad essere tanto forzuto?!

-Sì, invece.- asserì lui pacato.- Sei una corda di violino!- rimbeccò dandomi una scrollata e quasi strozzandomi.

Soffocai e mi lasciai andare contro di lui, sbuffando una protesta giusto per ribadirgli che avrei gradito che mi mollasse. Matt non lo fece. Io affondai il viso nel suo petto, in un punto morbido del maglione di lana, e strofinai il naso contro di lui.

Non so esattamente quanto tempo rimanemmo così. Abbracciati e senza parlare. Eravamo un po’ scemi, tutti e due fermi immobili a non fare assolutamente nulla. So che, però, ad un certo punto, Matt si mosse. La sua mano scavò tra i cuscini del divano cercando il telecomando della televisione. Accese Mtv e, mentre io ricominciavo a strillare e tentavo ancora di liberarmi, lui si mise a cantare felice dietro Lily Allen.

…vi ho mai detto che odio “Smile” con tutto me stesso?

***

C’è una cosa di cui mi sono reso conto nel tempo: capita a volte che, pensando a ciò che non ti piace della persona che ami, ti rendi conto che non esiste davvero nulla di serio che gli rimprovereresti a mente fredda.

Credo sia questo il significato della frase “mi piacciono i tuoi difetti”.

Non ci piacciono davvero i difetti del nostro partner, ma ci sono persone i cui difetti sono quelli giusti per noi. È allora che anche quella persona diventa “giusta” per noi.

***

Ci sono dei momenti nella vita delle persone che non sono esattamente “momenti di rivelazione”, ma in qualche modo sono momenti in cui si arriva a capire qualcosa. Una cosa non necessariamente importante, non necessariamente fondamentale al punto da determinare un cambiamento nella vita.

Si tratta, anzi, di cose per lo più davvero stupide. Fino ad un istante prima erano un groviglio inestricabile, una specie di nodo spinoso sistemato da qualche parte dentro di noi, in un punto in cui ci causava magari solo un dolore sordo, sopportabile. Ce lo avevamo cacciato noi a forza, in quel punto, dopo aver subito le punture di quello stesso nodo spinoso per giorni, settimane, mesi…a volte anni. Ed aver deciso alla fine che non ne valeva nemmeno la pena. Sul fondo dell’angolo in cui lo abbiamo relegato, fa male comunque, ma meno.

E poi succede. Si crea un momento perfetto, in cui l’aria sembra avere un odore diverso, la nostra mente è limpida come quella stessa aria ed il nostro animo, per un motivo incomprensibile, è leggero. Folle e libero. In quel momento si capisce esattamente come disfare il nodo spinoso, e si capisce esattamente perché continui a pungere nonostante il tempo e nonostante non sia più davvero “importante”.

Quello è il momento in cui si capisce anche quanto si sia sbagliato e si è disposti ad accettare di averlo fatto.

E ad accettare di dover mettere riparo a se stessi ed a ciò che si è fatto.

-Gerard.

A volte è difficile.

-Che vuoi, Molko?

Altre volte non così tanto quanto può sembrare.

-Avrei bisogno di parlarti.

La cosa davvero difficile di solito è vincere noi stessi.

-…come l’ultima volta…?

Lo guardo, è talmente palese che stia “in guardia” da farmi sorridere. Ricaccio indietro quel sorriso, scuoto la testa e mi stringo nelle spalle.

-No. Ho davvero bisogno di parlarti.- rispondo seriamente e con calma.

Gerard si volta a ricambiare lo sguardo sorpreso e affatto convinto del fratello, che si è fermato qualche passo più avanti ad aspettarlo, poi guarda ancora me.

-O.k.- mi concede con un sospiro.- Vi raggiungo dopo, Mikey.- saluta quindi.

Suo fratello esita per qualche secondo, mi fissa chiedendosi se io sia qualcosa di pericoloso o meno. Vorrei che la gente smettesse di porsi simili domande quando ha a che fare con me.

Va via comunque, più che altro – immagino – suo fratello non deve essere esattamente un tipo che ha bisogno di una guardia del corpo, mi è sembrato perfettamente in grado di fare fronte anche al mio io peggiore.

-Di cosa vuoi parlarmi, Molko?- mi chiede quando restiamo soli.

Adesso mi concedo di sorridere invece. Mi chiedo come fare per dirgli di rilassarsi e suonare convincente, mi piacerebbe davvero che questa discussione avvenisse su toni più miti. Ma sono io ad aver esasperato i rapporti tra noi due, addirittura da prima che esistesse un qualche rapporto tra noi due.

-Volevo scusarmi.- rispondo. Mi rendo conto da solo che non è sufficiente ed aggiungo subito.- Intendo dire “davvero”.

Non commenta, mi fissa ancora guardingo.

Sospiro.

-Niente trucchi, Gerard.- ammetto.- Sono stato uno stronzo ed ho sbagliato su tutta la linea. Punto.- gli concedo rapido.

Per un attimo l’idea che lui possa pretendere anche di più mi sfiora la mente. Attraversa i miei sensi come una percezione sgradevole e mi tira un pugno dritto alla bocca dello stomaco. Ne avrebbe il diritto – di restituirmi l’umiliazione ad esempio – ed io, se davvero volessi mettere a tacere tutta questa storia assurda in modo onesto, dovrei andargli dietro. Ma qui subentrano altri fattori e mi conosco a sufficienza da sapere che il mio amor proprio – il mio bisogno di proteggere me stesso – non mi concederebbe mai tanto.

Ma mi sbaglio ancora nel pensarlo. Gerard è davvero una persona molto migliore di come avevo creduto all’inizio. E soprattutto molto migliore di me.

-Non sono stato il massimo nemmeno io.- mi dice.

Ed io so che se lo dice è solo per sminuire le mie scuse. Mi sta concedendo un pareggio che non merito, è davvero un gesto elegante da parte sua.

Lo vedo stringersi nelle spalle. Arrangia un sorriso divertito e butta anche una battuta pungente.

-E poi mi spiaceva avere da ridire con te, la vostra musica non è malaccio…

-Ehi, ragazzino, dosa le parole!- lo ammonisco sogghignando anch’io e puntandogli contro un dito.

Sghignazza.

-Non ricominciare a fare la prima donna, Molko.- mi redarguisce.

-In ogni caso, se non ti spiace, preferirei che la piantassi di fare la puttanella con il mio bassista.- aggiungo io per ripicca incrociando poi le braccia sul petto con aria bellicosa.

-Ah!- esclama Gerard spalancando gli occhi.- Io farei la puttanella?!

-Beh, mica sono io che vado in giro strusciandomi addosso a mio fratello…- accenno girando intorno uno sguardo distratto.

-Non è mica colpa mia se il mio bassista è anche mio fratello!- ridacchia lui cattivo- Se fosse Stefan non avrei nessun problema morale, proprio come te!

-…brutto…stronzo…- biascico strabuzzando gli occhi.

-Susu, ormai tanto Stef lo sa che non deve farsi illusioni con te…

Avvampo.

-Non scherzare su questa cosa!- ordino inferocito.

-Ah!- sbotta lui scrutandomi come se avesse finalmente capito.

Non è una sensazione piacevole. Soprattutto perché si riconnette al fatto che magari ha capito davvero.

-Non è come pensi!- strillo subito.

Lui ride. Prima piano, poi, man mano che le mie proteste di innocenza vanno avanti, sempre più forte, fino a zittirmi completamente in un rossore talmente intenso che mi chiedo come si faccia, a trentaquattro anni, a ritrovarsi ancora in situazioni così imbarazzanti.

-E pensare che Chester si preoccupava di aver rovinato il tuo matrimonio!- mi schernisce lui.

Scuoto la testa, scrollando le spalle e sbuffando fuori un fiotto di aria compressa.

-Non è così semplice.- borbotto in un moto di sincerità.

Lui mi guarda, serio. Mi sorride in modo quasi gentile ed io penso che ha davvero dei begli occhi, e che ha un viso onesto ed un sorriso vero. Non mi stupisce che Stefan possa averci tenuto a lui, in qualche modo.

-Molko. Io e te non siamo amici e non lo diventeremo, - esordisce pianamente, come se non fosse davvero un problema.- non sei tenuto a dirmi cose che non devo sapere.

È in quel momento che vedo Chester spuntare da dietro una roulotte. Cammina a passo svelto, fissando dritto davanti a sé, ma per qualche insolito motivo si volta verso di noi e ci vede. So che esita, perché per un momento ci fissa con occhi sgranati ed attenti, ma poi si limita ad affrettarsi e tirare dritto.

Gerard mi guarda. Io mi sento a disagio, infilo le mani in tasca e non ricambio il suo sguardo.

-Devi delle scuse a qualcun altro.- mi fa notare.

Annuisco con un sorriso stanco.

-Ma non penso di esserne capace, ora come ora.- ammetto.

Gerard sospira.

-Certo che sei davvero complicato, Molko.- mi dice secco. Poi guarda Chester, lo segue mentre scompare in lontananza insieme ad un gruppetto dei suoi, in direzione del palco.- O.k.,- esordisce colloquiale.- vuol dire che ci penserò io per te.- aggiunge prima di voltarsi e seguire l’amico.- Ci si vede in giro, Brian.- mi saluta.

Non aspetta che gli risponda e così io non lo faccio.

Lo guardo camminare prima e poi correre per raggiungere il gruppetto. Si butta addosso a Chester come se fossero due ragazzini, lui protesta scuotendoselo di dosso, ma poi ride insieme a Gerard e sembrano stupidamente sereni.

Li invidio.

Ma domani sarò a casa e ci sarà Matthew ad aspettarmi.

Potrò sentirmi stupidamente sereno anche io.

-Ehi, Bri, ci sei?

Steve mi batte sulla spalla. Lo fa sempre allo stesso modo da dieci anni, è la sua maniera di richiamarmi sulla Terra quando nota che i miei pensieri mi trascinano su una china pericolosa. Mi da un colpetto sulla spalla, leggero e quasi affettuoso, come certi schiaffetti che i genitori tirano ai figli per rimproverarli senza fare loro troppo male. Sorrido e mi volto verso di lui.

-Ci sono.- rispondo, sbadigliando subito dopo. Mi copro la bocca con la mano, tirando le maniche sulle dita intirizzite dal freddo. Sono davvero stanco ormai, il rientro a casa mi farà bene.- Mi cercavate?- domando curioso.

-Beh, sì. Dobbiamo finire il sound check e poi c’è una tizia di non so che testata giornalistica che ha chiesto di noi…- elenca lui distrattamente.

Sbuffo.

-Uff. Sono felice che da domani siamo in vacanza!- esclamo esausto, buttandogli le braccia al collo ed appendendomi a lui perché mi trascini via ridacchiando.

-E’ l’ultimo concerto, eh Bri?- mi chiede.

Non so perché ma c’è una nota stonata nella sua voce mentre lo dice, una malinconia fastidiosa che non capisco affatto, così mi imbroncio.

-Non dirlo a quel modo!- protesto.- Se lo dici così, porta male!- aggiungo stupidamente.

Steve ride e mi obbliga a rimettermi dritto ed a camminare con le mie gambe.

-Sei impossibile, Brian.- mi riprende pazientemente.

-Ma dillo che ti piaccio anche per questo!- affermo con saccenteria e malizia, mentre mi metto in posa plastica perché lui possa scoppiare a ridere e precedermi lungo la strada.- Aspetta!- strepito correndogli dietro.

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Capitolo 14
*** Epilogue. ***


…they have trapped me in a bottl

…they have trapped me in a bottle…

 

Epilogue:

 

Ho fotografato di tutto. Qualsiasi cosa. Ogni stupidissimo centimetro del tour-bus che non rivedremo prima di altri due anni almeno – e spero che, nonostante gli inevitabili cambi che la produzione impone ai mezzi di locomozione, quando riprenderemo a viaggiare sia anche lo stesso, perché mi sembra di averlo vissuto più di tutti gli altri in tutto il resto della mia vita. Ogni angolo dell’ultima location. Ogni faccia. Ho fotografato Nadine con la fronte velata di sudore portare avanti e indietro un sacchetto ricolmo di bottiglie di birra – prima piene e ghiacciate, poi desolatamente calde e vuote – dal gazebo dei tecnici delle luci alla spazzatura affianco al bar e viceversa. Ho fotografato i Linkin Park al completo mentre prendevano il sole sulle sedie a sdraio nel bel mezzo del deserto, tutti in bermuda, uno accanto all’altro, sembrava la locandina di uno di quei film di Natale italiani appresso ai quali Matt impazzisce. Ho preteso che Steve mi fotografasse mentre giocavo a fare le smorfie a Levi, mandandolo su tutte le furie. Mi sentivo così esaltato da concedere perfino una fotografia a Stef e Gerard, con la promessa di mandarla ad entrambi via mail. Senza nemmeno una lamentela.

Poi, mentre prendevo in pieno la faccia di Alex nel bel mezzo di uno sbadiglio, lei s’è infuriata ed io sono scoppiato a ridere. E nella mia risata ho sentito una nota che non sentivo da anni. Il tempo s’è fermato ed ha preso a girare al contrario, e io mi sono ritrovato bambino – non più di sei o sette anni – inginocchiato sul prato davanti casa mia assieme a mio fratello, letteralmente circondato di cuccioli di dobermann. Mio padre ne aveva acquistati ben sette per farne dei provetti cani da guardia, ma quel giorno loro erano appena arrivati e non avevano ancora cominciato l’addestramento.

Ed io e Barry ridevamo come sciocchi – come i bambini che eravamo – rotolandoci nell’erba assieme ai cuccioli, spaventando le coccinelle e facendo saltare i grilli, incuranti delle macchie di terra umidiccia che si andavano allargando sui nostri abiti.

La risata di oggi è stata la stessa di allora. E quando, dopo avermi rimbrottato contro una serie infinita di rimproveri, Alex mi ha chiesto infastidita perché diavolo andassi fotografando qualsiasi cosa come fossi stato improvvisamente tramutato in giornalista da un maleficio incredibilmente crudele, in un primo momento, preso dall’euforia, non ho saputo come rispondere, ed ho continuato semplicemente a ridere.

Ma poi ci sono arrivato.

La verità è che il ricordo di quella giornata, trascorsa giocando coi cani, lo porto dentro di me e sulle mie spalle come un tesoro. E potrò raccontarlo a Matt, ma lui non ne avrà mai un’immagine, perché l’eco delle risate che ancora sento quando ci ripenso è tutto ciò che mi è rimasto, di quell’esperienza.

Non voglio che sia così, per questi ultimi mesi.

Non voglio che sia così, perché sento che sono stati ben più importanti di quel giorno.

Voglio condividerli con Matthew. Voglio che, in qualche modo, li veda anche lui. Voglio che diventi un pezzo fisico dei giorni che ho passato qui.

Scatto una foto alla strada mentre il bus comincia a muoversi verso l’aeroporto.

Questo è l’unico modo che ho per far sì che ciò che desidero diventi reale.

*

L’ha fatto davvero.

È la prima cosa che ho pensato scendendo giù dall’aereo e guardandomi intorno, sulla pista d’atterraggio. Matt è lì che mi aspetta, a una decina di metri dall’enorme agglomerato di edifici che compone l’aeroporto. È appena sceso dalla macchina, una gamba è ancora incastrata fra il sedile e i pedali, ma già si sbraccia per farsi notare, chiamandomi a gran voce. Non avrebbe bisogno di fare tutto questo casino, che era lì lo sapevo già. E non perché ignorare la camicia viola che indossa sarebbe impossibile, ma perché la sua presenza l’avevo fiutata, ancora prima di vederlo.

Chiaramente, siccome lui è Matthew Bellamy e siccome niente che sia fatto da Matthew Bellamy può risultare in alcun modo meno che plateale, non si è limitato a corrompere metà del personale perché lo lasciassero arrivare fin lì con la macchina, no. Lui ha corrotto anche l’altra metà per permettere che, assieme a lui, entrassero anche Vincent, mollemente appoggiato alla BMW a qualche metro da lui, e la moglie di Steve con sua figlia, che invece stazionano ansiose e saltellanti – soprattutto Emily, per dovere di cronaca – distanti da loro e un po’ più vicine all’aereo.

- Non ci posso credere… - esala Alex, sconvolta, mentre io, estasiato e senza parole, infilo una mano nello zaino, tiro fuori la macchina fotografica, la accendo e scatto. Lei sente il click e si volta a guardarmi. Boccheggia un po’, incredula, e poi ribadisce: - Non ci posso credere!

- Il tuo ragazzo è meraviglioso. – gorgoglia gioioso Steve, lanciandosi letteralmente di corsa sulla moglie ed afferrando al passaggio la figlia, che già zompettava felice verso di lui.

Vincent e Stef sollevano lo sguardo l’uno sull’altro e si lasciano andare ad un sorriso contemporaneo e vagamente imbarazzato. So che può sembrare assurdo che io lo dica, adesso, ma adoro osservarli in momenti simili. Sono due persone che hanno sempre il controllo della situazione e non si lasciano mai sfuggire niente di mano, ma quando si rivedono e ritrovano il contatto dei loro occhi riescono comunque a spandere nell’aria attorno a loro sensazioni talmente genuine ed umane da commuovere.

Più passa il tempo più la loro unione diventa perfetta.

E questo è cretino – non lo sembra e basta – ma vorrei che io e Matthew diventassimo proprio come loro.

Lancio un sospiro e sorrido, sollevando finalmente una mano in direzione di Matt, che comprende di essere stato notato e finalmente smette di gesticolare come un ossesso per utilizzare le proprie facoltà motorie in modo più intelligente – cioè cercando di districare la gamba ancora incastrata all’interno dell’abitacolo.

Scuoto il capo, ridacchiando sommessamente.

- Io torno con Stef e Vin. – mi informa Alex, condiscendente, prima ancora che io possa voltarmi e chiederle se le serve un passaggio, - Non preoccuparti.

Le sorrido con gratitudine e lancio un saluto distratto a tutti gli altri mentre prendo a muovermi verso lo sgorbio rachitico e mezzo scassato che Matt si ostina ancora a chiamare macchina, rifiutandosi di cambiarlo. Ce l’ha da quando lo conosco. Credo sia una Cinquecento originale. In ogni caso cade a pezzi, ma chiunque lo tocchi o si azzardi anche solo a suggerirne la sostituzione rischia la vita.

Ad un paio di metri da lui, inarco le sopracciglia e sbuffo.

- Ma cammina ancora? – mi lamento, indicando il trabiccolo, - Non dovrebbe essere vietato andare in autostrada con robe simili?

Matt scoppia a ridere e, senza nemmeno rispondermi, si avventa sulle mie labbra. Io mimo una protesta poco convinta e lascio subito perdere, stringendomi a lui ed afferrandolo con trasporto per il colletto della camicia.

- Non voglio più vedervi né sentirvi prima della prossima settimana! – minaccio ridendo il resto del mio gruppo, voltandomi velocemente a guardarli severamente, perché l’ammonimento risulti più credibile – per quanto l’effetto raggiunto sia ben lontano da quello desiderato.

Steve si stacca dalla figlia che lo riempie di baci e solleva un braccio verso di me, come a richiamarmi.

- Brian, aspetta, ti devo parlare! – sbotta agitato.

Io scuoto risolutamente il capo.

- Non c’è niente che non possa aspettare lunedì prossimo.

Rido, Matt ride con me e fa il giro della macchina per aprirmi lo sportello sul lato passeggero. Steve lascia ricadere il braccio e sorride teneramente, sbuffando un assenso poco convinto. Io gli lancio un bacio scherzoso, ridacchiando sotto i baffi. Matt, stufo di aspettare, mi afferra per la collottola e mi trascina dietro di sé. E, malgrado gli sfottò irripetibili che sento arrivare in un crescendo di risate da tutti i miei amici, stavolta non ho proprio alcuna voglia di protestare.

 

Nota di fine capitolo della Nai:

 

È finita! ç_ç

Sì, lo so che lo sapevo che sarebbe finita…(non fate caso alla forma ^^’) ma è finita T_T

E questa cosa un po’ mi uccide anche se era inevitabile ed è mitigata solo dal fatto che lo splendido epilogo – opera esclusiva della Liz – merita un premio per la dolcezza infinita e la bellezza meravigliosa che ha ç_ç

E loro sono così carini!!!! *_________*

…bene…posso tornare al mio sano emokidding ù_ù

 

 

Nota di fine capitolo della liz:

 

Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD

Baci e grazie di tutto :*

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