Y nada más importa-

di chaska
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Famiglia ***
Capitolo 2: *** Sigarette ***
Capitolo 3: *** Lezioni ***



Capitolo 1
*** Famiglia ***


Note: Questa cosa è abbastanza nostalgica, ma mi sembra doveroso scrivere le note prima che diate solo un'occhiata alla fic vera e propria.
Ehm, eccola qua. E' una storia che avevo in testa da tanto tempo, dopo aver letto vari libri dai quali è così palesemente tratta da far ribrezzo, e nonostante tutto è sopravvissuta a pc vari rotti e a fogli di carta volatilizzatisi poi nel nulla. Chissà che fine hanno fatto. Fatto sta che, in un modo o nell'altro, mi sono sempre ritrovata a scriverla. Maledettah. Per il resto, nonostante all'inizio mi sembrasse quanto meno interessante, adesso credo proprio che faccia pena, fra OOC e tante 'belle' cose varie. Quindi bella gente, vi ho avvertito, la sto postando solo per togliermela dalla testa, per il resto--- gh, se la leggerete, per favore, siate clementi. Ok, cià-
Ah sì, l'ho segnalata come una raccolta, perchè la considero tale, nonostante ogni capitolo sia in qualche modo collegato agli altri. Semplicemente narra momenti diversi della vita del protagonista.















Famiglia


La mano mi bruciava quasi fosse andata in fiamme, ma non m'importava.
Ricordo che, anche dopo aver sferrato il colpo, la strinsi forte contro la parete, ormai piena di crepe a causa del mio pugno. Però a me non importava nè delle dita doloranti, nè dell'antico quadro che dondolava lì accanto, minacciandomi di cadere da un momento all'altro.
L'unica cosa su cui riuscivo minimamente a concentrarmi era il ghigno che mi rivolgeva quel bastardo.

«Tu...»

Riuscivo a mormorare solo poche sillabe rabbiose, del tutto incapace di dire ciò che nella mia mente urlavo senza sosta.
E lui, lui abbassò i documenti che teneva in mano e li abbandonò inermi in un angolo.
Senza curarsi di me -se solo non fosse stato per quel fottuto ghigno- staccò i piedi dalla pregiata scrivania e si mise comodo sulla grande sedia. Andò poi a poggiare il mento sulle mani intrecciate fra loro e alzò un sopraciglio fino a farlo sparire fra le ciocche cremisi, come se fosse stato sorpreso nel vedermi nel suo studio. Che pessimo attore.

«Perchè sei qui? Dovresti essere a preparare le valigie o qualche cazzata del genere.»

Oh, se l'avesse visto nostro padre, ad oltraggiare con la sua insolenza la postazione del suo potere, l'avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Eppure, l'unica reazione dell'ormai fu Generale Kirkland, fu quella di dondolare incerto sul muro insieme alla sua cornice dorata.
Ma a me, di tutto ciò, non importava assolutamente nulla.

«Spagna.»

Lo sussurrai come se fosse solo uno scherzo di cattivo gusto.

«Dicono sia un bel posto. Magari ti farà bene, fratellino.»

La risata che ne seguì pesò come un macigno nel mio petto.
Quel bastardo, Iain, il mio stesso fratello mi stava mandando in Spagna. Peggio, me lo stava ordinando.
E quello, fidatevi, quello era il peggior insulto che potesse farmi.
Certo, certo, in via ufficiale la Gran Bretagna aveva promesso rinforzi in favore della causa spagnola, ma la realtà era ben diversa. Venivano mandate poche truppe sul territorio iberico, e fra le peggiori che i britannici potessero offrire loro.
Io lo sapevo, come tutti d'altronde: essere mandati presso il contingente spagnolo significava lottare e morire come inutili pedine senza valore alcuno.
E Iain, anche lui lo sapeva bene.

«Dimmi che è un fottuto scherzo! Non andrò in Spagna!»

Gli gridai contro fino a farmi dolere la gola.
Volevo veramente credere che fosse solo una presa in giro, ma la sua espressione rimase identica, il suo ghigno intoccabile.

«Vorresti disobbedire ad un tuo superiore? Corri, fratellino, corri prima che cambi idea e ti mandi a spalare merda a stelle e striscie nelle latrine.»

Rise, rise ancora per chissà quanto tempo dopo che gli volsi le spalle e me ne andai.
Ricordo che il quadro cade a terra accompagnato da un tonfo sordo e profondo, tale fu la forza con cui sbattei la porta.


E questo, esattamente questo, è l'ultimo ricordo della mia famiglia che possiedo.

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Capitolo 2
*** Sigarette ***


Sigarette

Nonostante fosse primavera da appena due settimane, il sole batteva caldo quella mattina, ben più del solito, almeno.
Eppure ben pochi notavano quello strano particolare, tanto la folla era attratta da tutt'altro spettacolo.
Tutti si accalcavano come formiche attorno alla Rambla, applaudendo e acclamando gli eroi che marciavano sulla stessa.
E io stavo lontano da quella calca, rintanato all'ombra di un portico in una delle rare quanto piccole traverse che davano sulla via principale.
Sbuffai nel sentire rimbalzare la parola héroes di bocca in bocca ad un gruppo che mi passò vicino per un momento.
Così alzai lo sguardo e prestai attenzione a questo cosidetto manipolo di eroi.
vidi ragazzi che sapevano a mala pena tenere un'arma in mano e che non avevano la più pallida idea di cosa fosse una marcia ordinata.
God, quegli spagnoli erano così disorganizzati da non avere nemmeno una divisa decente, bensì un accozzaglia di vesti messe a casaccio che dovevano avere un qualche vago senso comune, con qualche accenno di rosso qua e là.
Sospirai ancora più forte: altro che eroi, sembravano tante marionette pronte a cadere all'eco di un'unico sparo!
Ero così impegnato in quel momento a maledire in mille e più modi Iain per avermi mandato in quella bolgia infernale, che non mi accorsi che qualcuno mi si stava avvicinando. Così mi trovai all'improvviso i suoi stivali davanti agli occhi senza rendermene nemmeno conto.

«Vuoi una sigaretta?»

Alzai lo sguardo allarmato, e ciò che vidi per primo fu un pacco di sigarette dall'inconfondibile fattura spagnola. Un ragazzo dai ricci capelli neri e un sorriso stampato sul volto abbronzato me li stava porgendo.

«Che cosa?»

Domandai nel mio spagnolo incerto. Dopotutto un tizio sconosciuto sbucato dal nulla mi stava offrendo delle sigarette. Non so come qualcun altro avrebbe reagito, ma io un attimo perplesso ci rimasi.

«Sigarette. Sai, si fumano.»

Il suo tono e il sorriso accentuatosi sulle sue labbra non mi fecero venire voglia di agire nel migliore dei modi, ma faceva davvero troppo caldo per adirarmi sul serio.

«Senti, non so chi tu sia-»

«Antonio.»

Rimasi interdetto per qualche istante, riuscendo ad articolare solamente un lamento interrogativo. Cosa diavolo aveva quel tizio per la testa?

«Sono Antonio Fernanzed Carriedo.»

Ripetè con fare ingenuo la sua presentazione in perfetto spagnolo. Solo allora mi soffermai nel guardarlo per bene.
Antonio Fernandez Carriedo? Quel nome ridicolamnte lungo mi ricordava qualcuno, ma chi? Solo quando posai lo sguardo sul suo petto e i gradi lì alla bell'e meglio segnati, mi ritornò tutto in mente.
Ricordo che mi venne quasi un colpo al cuore, mentre con un balzo mi alzai e mi misi sugli attenti, il caldo e il baccano ormai divenuti dei particolari insignificanti.

«Mi scusi per la mancanza di rispetto, signore.»

Avevo davanti il sotto tenente Carriedo. Non aveva un grado memorabilmente alto, ma abbastanza per farmi passare dei brutti momenti, cosa che di sicuro, dopo la mia iniziale reazione, avrebbe ormai fatto.

«Oy, calma, se ti agiti con questo caldo potresti pentirtene. Ah, hai detto di chiamarti..?»

Incredulo, abbassai lentamente la mano dal capo. Stava... ridendo?

«Arthur Kirkland, signore.»

«Piacere di conoscerti, Arthur. E chiamami Antonio, mh? Siamo tutti compagni, no?»

E rideva ancora, mentre annuivo perplesso e lui prendeva posto proprio accanto a dove ero seduto io pochi minuti prima.

«Quindi, vuoi una sigaretta?»


Fu così che cominciai a far parte di quello strano mondo che era la Spagna.
Fu così che lo incontrai.















Note: Same as before, people.
Sono moralmente distrutta dall'amara scoperta che hanno usato la meravigliosa canzone di Assassin's Creed 3 per quella cagata dell'Ospite. Quale blasfemia. Blah.
Cià.

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Capitolo 3
*** Lezioni ***


Lezioni.



Le due settimane seguenti al mio arrivo furono le più inutili che che abbia il coraggio di ricordare.
Fui costretto a seguire come tutti un addestramento militare di base, che in pura teoria doveva formare i futuri soldati alla vita in guerra. O almeno quelle erano le intenzioni. In realtà sin dalla prima adunata si capì quale tipo di addestramento avevano in mente di propinarci. Basti solo dire che le lezioni più importanti furono quelle riguardo a come marciare, come salutare un superiore o come tenere un'ipotetica arma in mano.
Ipotetica, certo, perchè di artiglieria non se ne vide nemmeno l'ombra, tanto la milizia dei repubblicani scarseggiava di equipaggiamento.
Comunque, fu anche da quei primi giorni che iniziò l'ossessione generale nei miei confronti.
Dopotutto io ero l'inglés, così mi chiamavano non facendo nemmeno un minimo sforzo per ricordare il mio maledetto nome. Insomma, fra tutta quella marmaglia ero l'unico che aveva ricevuto un addestramento militare decente, l'unico che aveva una minima possibilità di sopravvivere e, cosa in cui tutti speravano, far sopravvivere gli altri.
Se per i primi due giorni riuscii ad evitare qualsiasi tipo di richiesta, al terzo non potetti fare altro che cedere.
Maledissi quel sotto tenente così stupido da non voler essere chiamato col suo nome, immaginiamo col suo grado! Lo maledissi in tutti i modi che mi vennero in mente mentre, appena trovammo un momento libero, smontavo la pistola dello stesso per poi riporla sullo sterrato.
Non che potessi ritirarmi da quello che vedevo come un ordine -all'epoca ero ancora troppo ancorato alla disciplina inglese per poter vedere la sua come una semplice richiesta. Non che, anche dopo, sarei mai riuscito a negargli qualcosa. Maledetto il suo carisma fin troppo acuto.
Comunque, quando smontai la pistola di Antonio, mi concentrai su di essa corrucciato, e iniziai ad indicarne ogni parte e a recitarne il nome.
Continuai così senza guardare nessuno in volto fino a quando non le elencai tutte, per poi alzare lo sguardo e trovarmi il sorriso accondiscendente di Antonio davanti. E ora perchè mi guardava con quell'aria da... da idiota?

«Inglés -il nome, il maledetto nome, che aveva di male il nome Arthur?!- devi capire una cosa.»

«What!»

Dissi secco nella mia lingua natìa ma, appena mi resi conto che per Antonio avrei potuto appena dire la peggiore delle bestemmie, scrollai le spalle.

«Cosa.»

Ripetei più calmo.

«Agli altri soldati, ai tuoi camerati, non credo interessi tutto ciò. Va bene, sarà pure importante, ma a loro interessa solo come non farsi fare un buco in più del dovuto. Capisci?»

Lo fissai allibito per qualche secondo. Quel ragionamento andava contro tutto ciò che mi avevano insegnato durante la mia vita -il rispetto, la disciplina, la conoscenza- però aveva senso.
Sospirai e rimontai la pistola.

«Vada a cercare un bersaglio, ehm, Antonio.»

Era arrivato il tempo di cambiare.































Note: AHAHAHAHAH credo di non aver mai scritto qualcosa di più noioso. Comunque rientrava nel progetto originale e... amen. <3
Grazie comunque a tutti coloro che leggono anche per sbaglio questa 'fic', la mettono fra i preferiti e i seguiti e a chi commenta! Onore a voi, o prodi!

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