Una notte col campione.

di 48crash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

 

Beatrice viveva a Toronto ormai da quasi 4 mesi e aveva trovato quasi tutto quello che era venuta a cercare.
Prima di tutto, un lavoro. Quando viveva ancora a Milano, Beatrice lavorava come aiuto parrucchiera in un minuscolo negozio da estetista, ma, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, non era felice di quello che faceva, e soprattutto non aveva studiato per anni per fare quello. Così, quando sua cugina Raffaella, che abitava in Canada da quando aveva 4 per via delle origini della madre e del divorzio dei genitori, le aveva proposto di “scambiarsi i posti” e di venire lei in Italia aveva accettato subito. Non che la decisione di trasferirsi non fosse stata sofferta, ma si era accorta anche fin troppo presto che erano più i vantaggi ad andare che a restare. La decisione più difficile da prendere era stata quella di abbandonare le sue grandissime amiche dai tempi del liceo, Linda e Camilla, e il suo ragazzo, che non aveva assolutamente intenzione di continuare con una relazione a distanza. Ma alla fine, trovandolo a letto con un’altra, il suo ragazzo era stata costretta a lasciarlo lei, e le sue amiche avevano promesso di venire a trovarla il più spesso possibile, perciò non erano rimasti ostacoli effettivi alla sua trasferta a Toronto. Arrivata in Canada, Beatrice si era subito messa all’opera per trovarsi un lavoro in grazia di Dio, e, neanche a farlo apposta, presso la redazione di un giornale sportivo stavano cercando un reporter proprio con le sue caratteristiche, studi, esperienze, e via dicendo. Lei si era subito presentata al colloquio, anche perché lo sport era un argomento a cui era particolarmente interessata, specialmente il pattinaggio sul ghiaccio, che i canadesi sono famosi nel seguire. L’avevano presa. E grazie alla sua versatilità e mancanza di legami in men che non si dica l’avevano spedita in giro per tutta la città a intervistare ogni sportivo del caso e le avevano fatto scrivere parecchi articoli.
Secondo, Beatrice era una curiosa. Era venuta non solo per un lavoro, ma anche per visitare quella città che aveva sognato di vedere da un sacco di tempo, e senza dubbio, anche grazie al lavoro, c’era riuscita.
Come terzo punto, Beatrice voleva perfezionare inglese e francese, e cosa c’è di meglio per farlo che studiare sul luogo dove le lingue sono parlate? Era migliorata a tal punto che riusciva a passare con estrema facilità dall’italiano, quando parlava con le amiche a casa, a inglese o francese con le persone intorno a lei, senza neanche pensarci.
Però, arrivando senza un uomo, ovviamente tra le speranze di Beatrice c’era quella di trovarlo lì. Questo obiettivo invece non era stato perseguito, ma Beatrice sperava di concludere qualcosa quella sera con un certo William, un hockeista che aveva conosciuto sul lavoro.
Inutile dire che, impegnata com’era sul lavoro, la ragazza aveva perso una decina di chili e non avesse nemmeno avuto il tempo di trovarsi qualche amico. E che, naturalmente, sperava di acquistare di nuovo chili e qualche conoscenza.


Questo non mi pare che sia il massimo…”stava pensando una brunetta coi capelli scarmigliati mentre guardava la sua immagine fasciata di rosso cremisi riflessa nello specchio appeso nel salotto del suo monolocale nel centro di Toronto. “Ho perso troppi chili per indossare roba simile”.
Si stava preparando per una serata che, se fosse andata a finire come doveva, avrebbe potuto sancire la fine della sua solitudine in quella città canadese.

Non va, non va affatto”. Si sfilò il vestito e ne afferrò un altro che aveva posato sul divano.
Azzurro. Gonna un po’ svolazzante fino al ginocchio. Maniche in tulle, a giudicare dalla consistenza. “Non so, ma provare non costa niente”fu il giudizio finale di Beatrice.
Se lo infilò e si guardò di nuovo allo specchio. “Ma sto andando ad un appuntamento con un giocatore di hockey o con la regina Elisabetta?”
Si sfilò il vestito cercando di rievocare il giorno in cui aveva deciso di comprarlo. Alla fine non le venne in mente quindi si limitò a ripiegarlo e a cacciarlo nell’armadio nascosto in un angolo dell’unico locale della sua casa.
Beatrice fissò l’orologio. 6:30. Aveva appuntamento con William alle 8:00 in un ristorante un po’ in periferia e l’unica cosa che sperava era di trovarlo senza problemi.
Provò ancora vari vestiti alcuni dei quali non riconosceva come suoi o collocava tra quelli che sua cugina aveva dimenticato lì, poi, quando venne scossa da un brivido di freddo, si ricordò che aveva ancora i capelli bagnati. Corse in bagno e afferrò l’asciugacapelli.
Dopo che si fu asciugata i capelli si guardò nello specchio sopra al lavandino: jeans stretti blu scuro e maglia di raso fuxia coi bordi neri e le maniche svasate. L’abbinamento non era male e decise di tenerlo, si passò un velo di lucidalabbra brillante e di ombretto rosa, poi si legò al collo una collana con un grosso ciondolo in vetro di murano.
Il cellulare fece un paio di squilli e Beatrice si mise a correre per evitare che scattasse la segreteria telefonica.
<< Pronto?... >>
<< Ciao! Sono appena rientrata dalla discoteca e non ho mai in mente com’è ‘sto fuso orario, pensavo di non beccarti in tempo ma, guarda te!, ce l’ho fatta! >>
<< Linda! Ti stavo aspettando >>.
<< Bene. Allora, devi uscire con l’hockeista stasera… >>
<< Sì, ma non ho tanta voglia >>.
<< E perché no? Non hai ancora socializzato lì e ci stai da 4 mesi oramai. Hai bisogno di uscire un po’ >>.
<< Mah… È che penso sempre di non essere all’altezza >>.
<< Ok, allora facciamo un controllo…Come ti sei vestita? >>
<< Jeans blu stretti e maglia di raso, fuxia >>.
<< La maglia è quella fatta a vestito che ti abbiamo regalato io e Camy? >>
<< Sì >>.
<< Bene. Ha anche una bella scollatura…Trucco? >>
<< Non tanto. Poco lucidalabbra coi brillantini e ombretto rosa. Altro? >>
<< No, sembri a posto. Scarpe? >>
<< Eh, non lo so, cosa dovrei mettere? >>
<< Sandali col tacco a spillo, quelli che ti ho dato l’ultima volta che sei venuta in Italia >>.
<< No, dai, sono scomodi. E sono estivi >>puntualizzò Beatrice.
<< E cosa sennò? >>
<< Ballerine. Quelle col fiocco fuxia davanti >>.
<< Ma è ridicolo! >>protestò Linda.
<< E perché? Sono alta già 1 metro e 75, non voglio sembrare Carla Bruni con Sarkozy! >>
<< E va bene, perlomeno sono abbinate. Ma quanto è alto lui? >>
<< 1 e 80. È meglio se non metto i tacchi >>.
<< Sì, giusto. Ok, sei a posto, non ti manca niente, puoi andare >>.
<< Ma sei sicura? >>
<< Di certo. Chiamami quando torni e dimmi com’è andata >>.
<< Ok, ciao >>.
Beatrice riagganciò e ricacciò il telefono in borsa. Si infilò le calze color carne e le ballerine che aveva scelto, prese la giacca e la sciarpa viola dall’attaccapanni e le indossò, afferrò anche la borsa e uscì di casa. Una volta chiusa la porta a chiave si precipitò giù dalle scale e si infilò nella sua macchina rosso ciliegia che aveva parcheggiato sotto casa.
Una volta trovatasi nel dedalo di strade poco fuori Toronto si rese conto del fatto che non aveva avuto affatto torto a partire da casa un buona mezz’ora prima dell’appuntamento.

Ma dove accidenti è questo ristorante? Se andiamo avanti così arriverò in ritardo!”continuava a pensare mentre si perdeva sempre di più.
Alla fine, dopo aver sbagliato strada una decina di volte e aver chiesto indicazioni a svariati passanti, Beatrice arrivò piuttosto trafelata al ristorante prescelto per la cena. Tirò fuori dalla borsa uno specchietto e si fermò davanti all’entrata per controllare la situazione di trucco e capelli. Giudicato tutto abbastanza normale mise a posto lo specchietto e decise di fare il suo ingresso nel ristorante.
<< Nichols >>annunciò al cameriere che la fissava con aria interrogativa.
Lui la guidò ad un tavolo rotondo ben apparecchiato accanto alla finestra. William non era ancora arrivato.
Il cameriere fece accomodare Beatrice al tavolo e chiese se voleva ordinare subito. Beatrice lo liquidò dicendo che avrebbe aspettato.
Una volta che se ne fu andato, Beatrice ebbe il tempo di guardarsi intorno senza problemi. Il ristorante era composto dall’ entrata e da una grande sala quadrata con le pareti giallo chiaro, nel cui centro si ergeva un enorme vaso di fiori coloratissimi alto almeno un metro e mezzo; tutto intorno c’era una serie di tavoli tutti circolari con tovaglie giallo pulcino apparecchiate con lunghi calici e piatti rotondi di ceramica decorata.
Una volta finito di osservare il locale, Beatrice afferrò un menu appoggiato al centro del tavolo e cominciò a far scorrere velocemente i piatti
Nel tempo che Beatrice impiegò a studiare il menu, William era entrato e l’aveva raggiunta al tavolo.
<< Mi piacciono la donne quando sono concentrate >>commentò sedendosi di fronte a lei, che non si era accorta della sua presenza.
Beatrice, in risposta, quasi saltò per aria a questa affermazione. << Scusa, non ti avevo visto >>si affrettò a dire.
<< Ma non ti preoccupare, eri molto carina lo stesso. Ma che stavi guardando? >>
<< Stavo solo cercando di conoscere un po’ il posto dove mi hai portato >>.
<< Già! >>esclamò lui come colto da un’improvvisa illuminazione. << Non avevi detto che non l’avresti trovato e saresti arrivata in ritardo? >>
Beatrice, che ogni minuto arrossiva di più, stava già valutando l’idea di nascondersi sotto al tavolo e si strinse nelle spalle. << Beh, ho avuto un colpo di fortuna e l’ho trovato subito >>si giustificò.
<< Me ne sono accorto! Sono arrivato dopo io! >>. William cominciò a sistemare la sua giacca su un attaccapanni accanto al loro tavolo.
Beatrice lo fissò per un attimo. Era un ragazzo carino, sui trent’anni, con le labbra carnose e il naso a punta, la pelle abbronzata e i riccioli neri. Ovviamente il suo fisico era molto muscoloso in conseguenza degli anni di hockey. Non era ancora famoso, ma il suo talento l’avrebbe portato lontano ora che era stato preso nella nazionale.
<< Tu hai già ordinato? >>chiese lui una volta seduto.
<< Aspettavo te >>.
<< Beh, allora sarà meglio che chiamiamo il cameriere. Hai già deciso cosa ordinare? >>.
<< Sì >>.
William fece un cenno al cameriere che probabilmente lo conosceva già. Questo arrivò subito e si chinò al fianco del ragazzo.
<< Signor Nichols, desidera orinare? >>domandò.
<< Sì. Dunque, per me il solito e per la signorina… >>, guardò Beatrice con aria interrogativa.
<< Per me pizza margherita, grazie >>annunciò Beatrice.
Il cameriere fece un impercettibile cenno d’assenso e si allontanò leggermente dal tavolo. << Come va con la nazionale? >>chiese rivolto a William prima di allontanarsi definitivamente dal tavolo.
<< È dura, ma mi piace >>rispose lui.
Il cameriere se ne andò lasciando William e Beatrice di nuovo soli.
<< Ti piace questo posto? >>domandò William alla ragazza dopo pochi minuti.
<< Sì, mi pare…molto giallo, mi piace. Ha un’aria raffinata, e poi quei fiori sono stupendi >>.
<< Sono contento. A me piace perché qui non mi rompono per il fatto della nazionale, sono tutti molto discreti. E poi non ci sono mai troppi fan che chiedono l’autografo combinando casini, è molto discreto come posto >>.
Come per contraddire ciò che aveva appena detto, proprio in quel momento una ragazzina rossa sui 14 anni corse al loro tavolo.<< Oddio, tu sei William Nichols!... Sono contentissima di conoscerti, mi chiamo Majeline. Potresti farmi l’autografo? >>domandò eccitatissima.
<< Ma certo. Hai con te carta e penna? >>
<< Direi proprio di no, mi spiace >>.
<< Aspettate, ce le ho io >>esclamò pronta Beatrice afferrando la sua borsetta e pescandone un block notes e una penna. << Fatti fare pure qui il tuo autografo, cara >>, e porse il block notes alla ragazzina.
William firmò e poi strappò il foglietto dandolo a Majeline. << Lieto di averti conosciuto, tesoro. Desideri altro? >>chiese con un sorriso.
<< Beh, se potessi fare una foto con te… altrimenti le mie amiche non ci crederebbero mai >>.
William annuì e la ragazzina tirò fuori il cellulare da una tasca dei jeans, lo porse a Beatrice chiedendole se poteva scattare lei la foto. La ragazza accettò di buon grado.
<< Fatta! >>esclamò una volta finito. Restituì il cellulare a Majeline. << Siete venuti benissimo >>.
Lei guardò esterrefatta la fotografia, quasi credendo di esserselo sognato, ringraziò e raggiunse i suoi genitori al tavolo.
<< E così niente fan? >>chiese scherzosamente Beatrice.
<< Beh, di solito no, però quando sono in pochi sono sopportabili. E poi certe ragazzine sono così carine >>.
<< Anche tu sei molto carino con loro, se ti comporti così >>.
<< Grazie. E ora, salvo altre interruzioni, vorrei parlare un po’ con te >>.
<< E di che parliamo? >>
<< Di te. In fondo, dopo l’intervista che mi hai fatto, tu sai già tutto di me >>.
<< Va bene >>concesse Beatrice. << Vai. Prima domanda >>.
<< Quanti anni hai? >>
Beatrice lo fissò stupita. Nessun uomo si era mai azzardato a chiederglielo.
<< Ehm, cioè…Scusami. Non avrei dovuto andare così diretto al punto. Però era quello che volevo chiederti. Insomma, è la prima cosa che ho pensato quando ti ho visto, nello studio, per l’intervista. Mi sono detto: “Ma questa quanti anni avrà?”…Ne dimostri al massimo 22, ma di certo se avessi quell’età non potresti aver finito gli studi e quindi… >>
<< Ho capito >>lo interruppe lei. << 27 a dicembre. Niente commenti. Come vedi sono ben lontano dai 22 >>.Risero entrambi.
<< Si dice che ci si può aspettare di tutto da una donna che dice la sua età >>concluse alla fine William.<< Allora aspettati di tutto, William. Vai con la prossima >>.
<< La seconda cosa che mi sono chiesto quando ti ho vista è: “Chissà perché una ragazza così carina non ha un uomo”. Beh, veramente me lo sono chiesto solo quando me l’hai detto tu…Ma questo mi sembra troppo personale quindi ti chiederò la seconda vera cosa che ho pensato: perché fai la giornalista? Una donna che non invecchia sarebbe molto bene accetta tra la top model… >>.
<< Mi piace. Fare la giornalista intendo. Le modelle non le sopporto. A me piace mangiare, non fare lo stecchino perennemente a dieta >>.
<< Contenta te… >>
In quel momento il cameriere portò da mangiare.
E tra una chiacchiera e l’altra arrivarono al dolce.
<< Dopo ti porto in un bel locale, forse… >>disse ad un certo punto William.
<< Qui vicino o in centro? >>
<< Qui, molto vicino. Sai, se mi facessi vedere in centro, non so cosa succederebbe. In questa discoteca ci va chi vuole passare inosservato. Troverai probabilmente altra gente famosa, tu non ci fare caso e va’ per la tua strada >>.
<< Perfetto >>.
Beatrice si infilò in bocca una cucchiaiata di sorbetto.

Pare che stia andando bene, per ora”commentò mentalmente. Cosa l’aspettava non lo sapeva ancora.
Finirono il dolce e si alzarono. William aiutò Beatrice ad infilarsi la giacca e se la infilò anche lui.
Pagarono il conto ed uscirono.
<< Vieni, andiamo in macchina fino a quel posto che ti dicevo. Ti porto io >>annunciò il ragazzo appena fuori dal ristorante.
<< Va bene >>.
Beatrice montò in macchina e si allacciò la cintura.
William guidava veloce, velocissimo, e si muoveva abilmente tra quelle vie complicate che li avrebbero dovuto portare al locale. Beatrice lì in mezzo, ne era convinta, si sarebbe persa sicuramente.
Alla fine arrivarono.
<< Eccoci >>annunciò William infilando la macchina in un angolo del parcheggio.
Beatrice stava afferrando la maniglia della portiera quando William la bloccò.
<< Aspetta un attimo, Bea… >>
La baciò. Lei rimase con gli occhi sbarrati a fissare fuori dal finestrino del guidatore.
Poi lui cominciò a baciarle il collo freneticamente. Aveva fretta. Beatrice se ne rese conto quando cominciò a slacciarle i bottoni della giacca veloce, troppo veloce, quasi a scatti. Le strappò via la sciarpa e si mise ad armeggiare con la cerniera dei suoi jeans.
Fu a quel punto che dentro di Beatrice qualcosa scoppiò.
Si staccò da lui, staccò da sé le sue mani, e gli diede uno spintone tanto forte da scaraventarlo contro la portiera.
<< Ma che ti prende? >>si lamentò lui.Lei si strofinò la bocca col dorso di una mano. << Mi fanno schifo gli uomini come te. E le donne che li lasciano fare >>disse.
<< Non mi sembravi così schifata prima, o stasera a cena >>.
<< Porco. Io non sono quel tipo di donna. Non sono una con cui andare a letto la prima sera. Se è quello che vuoi da una donna vai sulla statale e prendi una di quelle >>.
Afferrata la sua borsa, Beatrice spinse la portiera e scese. Gliela sbatté in faccia ancora prima che lui potesse ribattere.
William però saltò giù dall’altra parte e l’afferrò per un braccio.
<< Dai, torna dentro tesoro…Dopo ti porto anche lì nella discoteca se vuoi…Però torna in macchina con me adesso… >>
<< Vai via! >>urlò lei voltandosi di scatto. Lo schiaffo che gli aveva assestato era forte e a lui cominciò a zampillare sangue dal naso.
<< Ma cosa hai fatto? >>ansimò strofinando via il sangue con la manica della camicia.
<< Quello che ti meriti >>.
Beatrice corse via e lui non cercò di riprenderla. Solo quando stava per entrare nella discoteca le urlò: << Ora ho capito perché sei ancore single! >>
Beatrice entrò.














Author's Corner:
Mamma che parto è stato pubblicare questo lavoro! E sì che era solo una prova malriuscita. Forse avrei dovuto capire che non era il caso quando ci ho lavorato per mezz'ora cercando di convertirla in html e nel frattempo mi è sparita la pagina. Però ormai è andata e ve la siete beccata così com'era.
Credo di averlo fatto perchè ho letto troppe fanfiction di quattordicenni arrapate, così mi è venuta voglia di rispolverare quello che scrivevo io, quando ero una quattordicenne arrapata. Ed eccolo qui. Non l'ho trovato così impresentabile. Ad ogni modo chiunque sia stato così coraggioso da arrivare alla fine del capitolo tenga ben presente l'età che avevo.
Non nego di averlo fatto anche perchè è da molto, troppo, che non pubblico qui, a parte una OS e qualche originale. E un po' mi sento in colpa per le teante long lasciate a metà, che poco a poco conto di terminare per chiuderla per sempre.
Noto con piacere che Beatrice non è psicopatica quanto la maggior parte dei personaggi che ho creato. Mentre l'hockeista in questo caso è anche lui una mia creazione, al contrario dei personaggi che appariranno poi e che non mi appartengono in nessuno modo, e con cui mi scuso, visto che probabilmente non sono affatto come li ho dipinti.
Alla fine sono qui. Grazie a tutti quelli che hanno osato aprire e leggere!
Alla prossima,
Lucy

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Il locale era carino. Non troppo grande e con luci soffuse sulla tonalità del blu.
Beatrice si guardò intorno con le lacrime agli occhi. Sperava che lì non l’avrebbe seguita. Ma di sicuro non l’avrebbe passata liscia, tutti avrebbero saputo quello che in realtà era.
E poi la macchina. La sua era di fronte al ristorante, e lei non sapeva come arrivarci.
Lacrime di rabbia e di tristezza le scendevano dalle guance. Si portò verso il bancone dove un ragazzo muscoloso in canottiera stava servendo da bere a tre tipi che le parevano già ubriachi a sufficienza.
Prese un fazzoletto dalla borsetta e si ripulì gli occhi dal trucco che stava colando via. Poi si avvicinò al barista e lo chiamò con un gesto.
<< Vorrei un Margarita >>disse.
<< Subito, dolcezza >>.
A questo ci era già abituata. I baristi delle discoteche. Quando era in Italia ci andava spesso in discoteca, lì c’era andata solo un paio di volte, quando le sue amiche erano venute a trovarla a Toronto.
Il suo Margarita arrivò e lei lo buttò giù in un sorso. Stava un po’ meglio ora. Forse se si fosse ubriacata si sarebbe dimenticata di William. E del fatto che non sapeva più come tornare a casa.
Fu così che non ci pensò nemmeno quando ordinò un altro Margarita e, ancora una volta, lo finì senza nemmeno rendersene conto.

Ma chi ha bisogno di William? No, anzi: chi ha bisogno di un uomo? Beh, io no di certo. E poi, di uomini così meglio non averne.”
Beatrice non si rendeva più conto di quello che stava facendo e ordinava un drink dietro l’altro.
Stava finendo di bere un Black Russian quando un ragazzo non troppo alto ma abbastanza carino si avvicinò al bancone.
Ordinò un Bloody Mary e urlò qualcosa ad un certo Chris che stava in pista.
Dopo un attimo comparve al suo fianco un altro ragazzo non altrettanto carino che ordinò una birra e precisò al cameriere che per l’altro tipo pagava lui quella sera. Il barista annuì e gli diede la sua birra. Il ragazzo se ne andò lasciando lì il suo amico.
<< Perché una ragazza così carina sta qui sola a bere? >> chiese a Beatrice.
<< È stata una brutta serata, devo dimenticare >>.
<< Beh, se ti può aiutare, ti faccio compagnia >>rispose lui. Afferrò uno sgabello e si sedette accanto a lei.
<< Non ce n’è bisogno… >>ribatté Beatrice.
<< Tranquilla…Prendi qualcos’altro? >>
<< Un Cuba Libre >>rispose rassegnata.
<< Bene. Ehi, Josh, due Cuba Libre >>.
<< Subito >>fece quello dall’altra parte del bancone.
I due cocktail arrivarono subito. E non furono certo gli ultimi della serata.
Beatrice e il suo nuovo compagno di disavventure parlarono a lungo, accompagnati da bicchieri di bevande alcoliche varie. Lei concesse al suo cavaliere anche qualche ballo.
Erano in mezzo alla pista e stavano ballando su una musica di Britney Spears quando Beatrice si appoggiò con la testa ad una sua spalla e si mise a piangere. Lui la trascinò fuori dalla mischia e la lasciò sfogare. Poi le offrì un altro Martini e la baciò.
Erano tutti e due troppo ubriachi per rendersi conto di quello che stavano facendo.
All’una di notte erano ancora seduti lì al bancone con un Cosmopolitan a testa in mano, e Beatrice non ricordava già più William. Aveva avuto ragione: l’alcool alle volte aiuta.
<< Senti, io sono stanco >>annunciò ad un certo punto il ragazzo di cui Beatrice, tra l’altro, non ricordava neanche il nome. << Vado in albergo. Ho prenotato qui da parte perché lo sapevo che non avrei guidato >>.
<< Io vado a casa >>biascicò Beatrice. Non si ricordava dove fosse la sua macchina.
<< Ok >>.
Il ragazzo urlò ancora qualcosa ad un certo Evan e poi accompagnò Beatrice di fuori.
<< Ecco, la mia macchina… >>cominciò Beatrice appoggiata al cofano di una vettura. Tirò fuori le chiavi e premette il bottone. << Sarà qui, ma non si apre… >>
<< Ma sei sicura? >>
<< Eh, sì, perché…eh, sono venuta in macchina. Abito in centro io >>.
<< Ecco. Anche io…Però, senti, se non si apre sali sulla mia e ti accompagno io… >>. Il ragazzo cominciò a frugare in una tasca del giaccone senza trovare nulla.
<< Ma sai che le chiavi non ci sono…mah! >>fece ad un certo punto.
Beatrice sentiva la testa girare come una trottola e il caldo nelle vene mentre lo ascoltava senza capire dal cofano della Citroen metallizzata lì accanto.
<< Però un’idea ce l’ho >>esclamò lui ad un certo punto. << Puoi venire su in albergo a dormire…io ho un letto che…basta per sei. Ci stai…se vuoi… >>
Anche lui si interruppe per appoggiarsi al cofano dell’auto.
<< Va bene…William >>.
Lui non rispose. Non si era neanche reso conto che quello non era il suo nome. Come lei non si rendeva conto di ciò che stava facendo.
Beatrice scivolò giù dal cofano della macchina sgraziatamente. << Sto…male…Portami dentro… >>supplicò a bassa voce.
Entrarono nella hall dell’albergo e lui afferrò un paio di chiavi dal quadro dov’erano appese.
Salirono nell’ ascensore e lui premette il pulsante per andare al 5° piano. Ad un certo punto l’ascensore ebbe uno sbalzo e il ragazzo cadde addosso a Beatrice, le cui gambe cedettero, e si ritrovarono entrambi sul pavimento. Lei non lo fece andare via.
Non lo cacciò nemmeno quando lui cominciò a baciarla.
Le porte dell’ascensore si spalancarono, e loro non si staccarono ancora. Seduti sul pavimento dell’ascensore, lui le mise una mano su un fianco e si alzò insieme a lei.
Cominciarono a spostarsi verso la camera strisciando sul muro.
Non sapevano più quello che facevano. Si staccarono solo per aprire la porta della stanza.
<< ..Questa non è la mia! >>esclamò lui dopo un po’ che rigirava le chiavi nella serratura.
<< Fammi vedere… >>disse lei inginocchiandosi e guardando la porta. << Ma com’è questa storia…? >>
Dopo qualche minuto che armeggiavano lui strappò le chiavi dalla serratura. << Non è camera mia >>disse con aria schifata.
<< Oddio… >>borbottò Beatrice trascinandosi verso il vano dell’ascensore.
Entrarono e scesero di un piano. Questa volta non ci furono intoppi e la porta si aprì subito.
<< Ecco…non so, dormi qui… >>spiegò lui appena entrati.
<< Ma io non voglio dormire… >>. Beatrice si sfilò la giacca e mise la borsa su una sedia. Si lanciò su di lui gettandolo sul letto e lo baciò.
Lui non parlò, lanciò la sua giacca da una parte del letto e si tolse anche la felpa, che fece la stessa fine.
Cominciarono a spogliarsi, così, senza un motivo. E non sapevano più se lo volevano o no, ma ormai era troppo tardi per dire “Scusa ma io non ho intenzione di venire a letto con te”. E ovviamente l’alcool non giocava a loro favore.

Chissà com’è andata col campione…”si stava chiedendo Linda, in Italia, nello stesso momento ma con 6 ore circa di fuso orario di differenza. “Mi aveva anche detto che mi avrebbe richiamato quando sarebbe tornata”.
Guardò l’orologio, che segnava le 9:30 del mattino. Non sapeva cosa fare.
Alla fine, spazientita, Linda sbuffò e afferrò il suo cellulare. Compose il numero di Beatrice e attese in linea.
Niente.

Allora. O è andata bene, anche troppo e quindi non ha avuto il tempo materiale di chiamare. Oppure è andata talmente male che non voleva più parlarne e è andata a bere in un pub. Speriamo la prima…”
Uno squillo, due squilli, tre. Niente.
Linda riattaccò e si mise a leggere.

Uno squillo, due, tre.
<< Il..il cellulare… >>ansimò il ragazzo, non esattamente William, che c’era a letto con Beatrice.
<< Non penso sia il mio… >>rispose lei, completamente ubriaca.
<< Però…però… >>
<< Non è il mio >>. E lo zittì con un bacio.















Author's Corner:
Finalmente, eccomi con il secondo capitolo dell'orrore! Oggi mi è tornata la voglia di continuarlo.
Ovviamente la serata di Beatrice continua e prende una piega che cambierà tutto. Entra in scena anche Jeffrey Buttle, l'uomo che dà un nome a questa storia infame. Che non mi appartiene. Ancora una volta dico "purtroppo". Gli amici che chiama in discoteca sono Chris Mabee e Evan Lysacheck. Nemmeno loro mi appartengono, e mi scuso con tutti per averli usati impropriamente...ma avevo quindici anni al massimo, quindi stavolta sono giustificata!
Non so se Jeffrey Buttle faccia sesso casuale, e di certo non sono affari miei, comunque, se lo facesse, conosco un paio di persone almeno a cui interesserebbe...
Grazie di aver letto.
Alla prossima,
Lucy

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Erano le nove del mattino. Il sole di febbraio era ormai alto nel cielo ed emanava una chiara luce dorata. Il vento freddo aveva spazzato via tutte le nuvole, e la giornata si prospettava meravigliosa nonostante il freddo e i cumuli di neve sparsi ai bordi delle strade.
Nel centro esatto di Toronto il monolocale di Beatrice era ancora vuoto, come lo aveva lasciato la sera precedente. La luce vi filtrava attraverso la grande finestra che occupava quasi tutto il lato est dell’appartamento facendo apparire tutto più luminoso.
Non era altrettanto vuota la camera di un albergo pressoché sconosciuto poco fuori città, sperduto nel dedalo delle vie di periferia, chiamato “Happiness Hotel”. Anche qui le tende erano scostate e lasciavano che il sole penetrasse attraverso i vetri colpendo e accompagnando il profilo di due ragazzi addormentati in un grande letto. Avvolgeva dolcemente il corpo della ragazza, distesa a pancia in giù, i suoi capelli scuri e le spalle nude e dolci, la testa affondata nel cuscino. Abbracciava il ragazzo, che dormiva girato su un fianco accanto a lei, la sua espressione serena e rilassata e i suoi capelli chiari scompigliati.
Ad un certo punto la ragazza aprì gli occhi svogliatamente. Sbatté un paio di volte le palpebre. “Che bello che è questo posto” pensò tra sé e sé. “Adoro Toronto…Meno male che Raffy mi ha prestato casa sua. Mi dispiacerà andarmene.” Con gli occhi chiusi si stiracchiò allargando la braccia.
Ad un certo punto toccò qualcosa di caldo e morbido. Spalancò gli occhi ma non si voltò. Di fronte a lei un muro pulito color verde mela. Seguì il profilo di ciò che aveva toccato con le dita: una spalla, un braccio… Ritrasse istintivamente la mano e si tirò su seduta.
“Oh signore, dove diavolo sono?” si chiese guardandosi intorno. Era in una camera d’albergo, piuttosto che nel monolocale di sua cugina. Tutto era in ordine: un borsone su un mobiletto col televisore, la sua borsetta appoggiata su una sedia accanto ad un armadio, il pavimento fin troppo pulito, il muro verde e impeccabile. Unica nota stonata i vestiti sparsi in giro: i suoi jeans spiegazzati accanto al letto, un altro paio di jeans più chiari da uomo sbattuti sulla televisione, la sua maglietta per terra di fronte all’armadio con la sua giacca un po’ più in là, una felpa nera con una scritta in rosso che pendeva dall’angolo del letto opposto al suo, una maglia bianca che aveva fatto la stessa fine, scarpe e calze buttate un po’ dovunque, il suo reggiseno sul comodino, due paia di mutande raggomitolate al centro del letto. L’unica cosa che Beatrice non studiò a fondo era lui, si rifiutò di farlo.
All’improvviso si ricordò tutto. Il locale, William, i cocktail, l’hotel, la nottata. Tutto tranne lui. Si ricordò anche fin troppo bene di aver bevuto troppo non appena fu presa da un improvviso conato di vomito e fu costretta a correre in bagno.
Sollevò il coperchio del water e si liberò di tutto l’alcool che aveva in corpo. Poi tirò l’acqua, si avvolse in un accappatoio e si sciacquò la bocca nel lavandino. Si sedette per terra con la schiena contro al muro. Ad ogni battito del suo cuore una domanda, sempre la stessa. “Cosa ho fatto?”
In precedenza le era capitato di andare a letto con uno sconosciuto dopo essersi ubriacata soltanto un paio di volte, e, non essendoci abituata, ognuna di quelle volte si era sentita malissimo per un bel po’. Alla fine, fortunatamente, si era sempre risolto tutto bene.
“E se fossi rimasta incinta?” Uno dei suoi timori era quello, un figlio. E se il padre non avesse voluto prendersene cura? Poi veniva la storia delle malattie, che la preoccupava parecchio anche quella.
Si abbandonò con la testa contro le piastrelle fredde del muro. Qualcosa doveva pur fare.
Prese la sua decisione: si sollevò da terra, respirò a fondo un paio di volte e si diresse verso la porta del bagno.
Afferrò la maniglia della porta e la strinse forte. “Speriamo solo che sia un tipo ragionevole” pensò.
Un altro respiro ed era pronta a tuffarsi.
Si diresse a grandi passi, con i lembi dell’accappatoio che svolazzavano, verso il letto.
Un altro respiro. Dentro, fuori. Dentro, fuori.
Si accovacciò accanto alla sagoma raggomitolata sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto e pregando Dio che quello con cui aveva passato la notte non fosse uno di quegli stupidi che vanno a letto con le donne soltanto per vantarsene. Non era sicura di voler scoprire chi fosse.
Un altro respiro. Dentro, fuori. Dentro, fuori.
“Coraggio, Bea. Il danno è fatto oramai. Datti una calmata”.
Il cuore di Beatrice ormai stava battendo tanto forte da esploderle fuori dal petto.
Alla fine si decise a controllare chi fosse il ragazzo che c’era nel letto. Diede una sbirciatina sotto le coperte: era raggomitolato su un fianco, le gambe erano muscolose, probabilmente quelle di uno sportivo, gli addominali e i pettorali scolpiti, le braccia ben messe anche quelle. Il corpo era perfetto. Poi Beatrice salì con lo sguardo. Il ragazzo aveva il viso ovale e i capelli castani con ciocche bionde un po’ scompigliati, la pelle abbastanza chiara e liscia. Beatrice si soffermò sulla bocca, abbastanza larga, con labbra non troppo carnose, leggermente dischiuse a scoprire una fila di denti bianchissimi (quasi abbaglianti) e perfetti, che come numero sembravano anche più del normale. Il naso era ben proporzionato e un po’ a punta e le sopracciglia folte e castane. Gli occhi, non grandissimi, erano chiusi ma lei sapeva che quando li avrebbe aperti sarebbero stati blu e che quel ragazzo aveva degli occhiali da qualche parte.
E sapeva il suo nome e tutto quanto e le stava tornando tutto in mente su di lui.
Beatrice stava quasi per dare di matto.
Si alzò e girò intorno al letto. Sollevò di nuovo le coperte e guardò il tatuaggio che aveva sulla schiena per assicurarsi che fosse lui. Allungò una mano e gli sfiorò i capelli. Poi corse verso la sua borsa e ne rovesciò parte del contenuto per terra, ci frugò un po’ e infine riuscì a ritrovare il suo cellulare. Seduta per terra, compose il numero alla velocità della luce. E non le importava che ora fosse dall’altra parte del mondo.
<< Pronto? >>esclamò troppo su di giri per darsi un contegno.
<< Pronto?... >>fece stanca la voce dall’altro capo del telefono.
<< Camy?! Oddio, ho una cosa da dirti! >>
<< Sì, ma stai calma… >>protestò Camilla, che probabilmente era rientrata da poche ore da una notte brava e non aveva ancora recuperato tutte le ore di sonno dovute.
<< Non posso stare calma. Sono appena andata a letto con un ragazzo. Quel ragazzo si chiama Jeffrey Buttle >>.



Oddio.
Eccomi qua, la pazza è tornata! Nessuno conti su un'eventuale ispirazione, perché qui mi sono limitata a sistemare la roba vecchia, dato che l'altra sera mi è capitato di rileggere questa storia sul mio hard disk esterno e mi sono ricordata di aver preso l'impegno di pubblicarla con "una certa regolarità" eoni fa. Sono fatta così (male).
Sono molto contenta alla fine del personaggio di Beatrice: anche andando avanti a leggere, è così diversa dai personaggi che creo adesso, mi dà una speranza, mi fa quasi credere di non saper creare solo figure di un certo tipo.
Quindi, se siete arrivati fino in fondo senza sentirvi male, grazie di cuore!

A presto,
Lucy

 

 

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