Retrobottega

di Hikari93
(/viewuser.php?uid=110541)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. Prologo - In bilico tra la vita e la morte si spalancano le porte della retrobottega ***
Capitolo 2: *** 01. Capitolo Primo - Nuove e strambe conoscenze e notizie da shock ***
Capitolo 3: *** 02. Capitolo Secondo - Un gioco di porte e di stanze ***



Capitolo 1
*** 00. Prologo - In bilico tra la vita e la morte si spalancano le porte della retrobottega ***


Retrobottega
 




00. Prologo
– In bilico tra la vita e la morte si spalancano le porte della Retrobottega –    

 
 


 
 

Non se ne capacitava, si domandava come fosse potuto accadere.
Un disastro, il dramma della possibile morte di un figlio stava sconquassando la loro, fino ad allora, felice esistenza. Minato lo riteneva inverosimile, non riusciva a pensare a nulla. Soltanto, si ripeteva con insistenza che tutto sarebbe finito, e sarebbe finito anche bene. A furia di ricordarselo, però, e continuando a osservare la disperazione crescente sul volto di Kushina, la speranza che ogni cosa potesse ritornare al suo posto andava scemando.
Avrebbe voluto saper essere più forte, capace di acchiappare tutta la positività del mondo e di dividerla con sua moglie – di cedergliela tutta, se necessario –, che ora dopo ora moriva un po’ in più assieme a Naruto.
Minato lanciò uno sguardo alla porta serrata, le mani sudate e il labbro deteriorato dai numerosi morsi di nervosismo e disperazione che si era inflitto al fine di alleviare quell’immensa sofferenza anche solo della millesima parte. Non riusciva più a palare con sua moglie, la voce non gli usciva, e anche se si fosse sforzata di venir fuori, lo stesso non avrebbe oltrepassato la barriera forgiata dalle numerose lacrime frastornanti di chi si trovava a un passo dal baratro.
E quindi, incapace di fare altro, incapace di mantenere la calma sia per sé che per Kushina, riuscì solamente ad allungarsi e a passarle un braccio intorno al collo, attirandola a sé e baciandole la fronte rovente e aggrottata per il pianto.
«Minato.» Un lamento, una supplica. Giuramelo. «Ce la farà… promettimi che ce la farà, che andrà tutto bene.»
E lui avrebbe voluto. Avrebbe davvero voluto gridarglielo, sorridendole in quel modo che a volte ancora la faceva arrossire, tranquillizzandola, assicurandole che Naruto non correva alcun rischio. Ma non poteva. Sarebbe stato bello aggrapparsi a una speranza sempre più lontana, proporzionalmente al tempo d’attesa che aumentava, ma non giusto. Solo da egoisti, solo per mascherare il proprio male e trasformarlo per un po’ in qualcosa di dolce e malinconico insieme. Solo per stamparsi in faccia un falso sorriso e fingere di stare bene ripetendosi che Naruto era forte, perché Naruto era ancora il loro bambino che con la sua immensa volontà, con la sua voglia di vivere e di vivere bene, avrebbe potuto spaccare il mondo.
Invece era stata una minuscola pallottola a spedirlo – e spedirli – in quel corridoio tanto bianco da far bruciare gli occhi, a rompere la maestosa volontà di loro figlio e a ovattare la sua risata prepotente e cristallina col suono acuto e stridente della sirena dell’autoambulanza.
Minato stava piangendo. Spinse Kushina contro il suo petto per nasconderle la verità che le sue lacrime stavano raccontando – ovvero che non poteva prometterle nulla, non poteva, anche se avrebbe fatto di tutto per esserne in grado –, e cominciò ad accarezzarle naturalmente i capelli, forse per sentirla più vicina, forse solamente per trattenere le proprie dita dall’infliggersi talmente tanto dolore sulla pelle da farsi veramente male.
Magari fosse servito…
Per un genitore non c’era sconfitta maggiore di sopravvivere al proprio figlio. Costituiva qualcosa di talmente innaturale che il sol pensiero sapeva di ridicolo, e lo faceva stare male – lo faceva morire senza ucciderlo per davvero – l’idea che sarebbe potuto succedere.
Rimase abbracciato a sua moglie per un po’, nella mente solo il nome di Naruto sussurrato all’infinito, finché la porta non si aprì e i passi del medico avanzarono.
Minato aveva paura di guardarlo in volto e scoprire, ma il momento della verità era irrimandabile.
 
 
 
 

*

 
 
 
«Calibro 9, un colpo alla tempia.» Una voce ovattata, grave, il rumore di un sorso profondo accompagnato dalla sensazione di qualcosa di puntinato e gelido a lato della testa. «Praticamente è un miracolo che tu non sia morto nell'immediato.»
Cercò di aprire gli occhi, ci vide poco e male.
Poi, gradualmente, i colori smisero di essere chiazze e si impressero, immobili, sul pavimento su cui era riverso e sul volto pallido di chi, presumibilmente, gli aveva appena parlato e poggiato l’indice contro, tra i capelli.
Naruto, seppur intontito, riuscì ad alzarsi a sedere, incrociando le ginocchia, e, prendendo pian piano possesso di sé, si massaggiò lentamente la testa; se fosse stato completamente consapevole della sua persona e di quello che gli era accaduto soltanto un paio di ore prima, si sarebbe domandato perché non scorreva il sangue e perché non provava dolore anche se era stato percosso.
«Dove… dove sono?» riuscì solo a mugolare.
«Benvenuto alla Retrobottega, in bilico tra la vita e la morte.»
 

 
 
 
 


























 
 
 

Credevo troppo in questa storia per lasciarla marcire a vita sul mio computer! *____*
Per questo la lascio marcire in eterno su EFP, LOL.
In realtà ho tanto da aggiornare e lo sapete, ma ho il bruttissimo difetto di riuscire a scrivere solo quello che mi sento. E, credetemi, per quanto provassi a buttar giù altro, la mia mente restava collegata a questa storia.
Forse perché è nata come HashiMada, chi lo sa. XD
In ogni caso, la coppia principale sarà la SasuNaru, però anche l’HashiMada avrà la sua notevole importanza (ricordate che all’inizio doveva essere ESCLUSIVAMENTE HashiMada). In ogni caso, era da troppo che non scrivevo una SasuNaru, davvero davvero troppo.
Un’altra cosa: a dispetto dell’inizio, questa storia avrà degli alti e bassi tra comico (siparietti carucci, secondo me) e momenti di malinconia totale. O almeno così si prospetta, poi finché non è scritta tutto può cambiare. XD
 
E niente, il prologo è breve ma gli altri capitoli saranno più lunghi. Ah, so che retrobottega è maschile; qui è volutamente un nome femminile, poi sarà spiegato il perché. :)
 
E basta, davvero. Spero di avervi incuriositi, sono proprio soddisfatta di questa idea, la trovo molto originale. UwU”
 
Alla prossima – se sempre ci sarà qualcuno che mi seguirà. XD


P.S. Buon inizio vacanze. UwU



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 01. Capitolo Primo - Nuove e strambe conoscenze e notizie da shock ***


Retrobottega




 
01.   Capitolo Primo
– Nuove e strambe conoscenze e notizie da shock –  

 

 
 




 

«In bilico? Cosa… cosa intendi?»
L’uomo – ora messo completamente a fuoco nella sua folta capigliatura nera e negli occhi assottigliati al punto da diventare minacciosi – inclinò il capo, sollevando fino alla bocca un calice contenente del vino rosso.    
«In parole più semplici, il posto in cui ti trovi è un luogo di mezzo. Non c’è spazio né per i cuori pulsanti né per quelli marci, qui alla Retrobottega. Capisci che cosa significa?»
L’uomo si abbassò fino a raggiungere il viso di Naruto, e il ragazzo, ancora turbato e vagamente intimorito da quelle rivelazioni apparentemente senza senso – come uno scherzo di pessimo gusto –, riuscì soltanto a strusciare a terra, seduto, e indietreggiare di pochi centimetri, in volto un’espressione perplessa che però venne immediatamente sostituita da quella più temeraria ereditata da sua madre.
«Che sciocchezze vai dicendo?» urlò.
L’interrogato sorrise, strafottente, recuperando nell’immediato quella posizione dritta che gli donava un’aria da grande capo. Poggiò la mano sul fianco, alzando il mento e squadrandolo minuziosamente come il predatore con la preda.
«Se non mi credi, lascia che sia il tuo corpo a parlare per te. Poggia la mano sul petto. Dimmi, cosa senti?»
Naruto attese, immobile, col fiato mozzato. Sentì di non aver nemmeno il bisogno fisico di respirare, perché nulla bruciava nei polmoni se non lo faceva. Sotto il palmo, poi, non udiva alcun incessante battere.
Era il nulla, quello.
«Non…»
«Non?» incalzò l’uomo, beffardo.
«Non batte.»
«Già, Naruto Namikaze. Non batte.»
Se era vero che il ghignare non produceva alcun suono, era altrettanto vero che lo stridio udito da Naruto – e che, stranamente, gli fece sentire i brividi lungo la schiena e le spalle – non poteva provenire che dalle labbra, piegate all’angolo, di quel misterioso tizio. Si stava divertendo parecchio a vederlo in quello stato, Naruto ne era certo, e per quanto la sua personalità gli ordinasse di muoversi e di imporsi, la sensazione del vuoto assoluto dentro lui non voleva abbandonarlo, impedendogli così di agire e di domandarsi persino come facesse quello a conoscere il suo nome.
«Dovresti smetterla di terrorizzare chiunque arrivi qui, Madara.»
Naruto, sobbalzato come se fosse stato colto in pieno volto da una lampadina, e la figura chiamata Madara si voltarono contemporaneamente verso la stessa direzione, così da poter osservare l’entrata in scena di quello che sembrava un individuo molto più bendisposto e socievole. Naruto trasse immediatamente sollievo alla constatazione di non essere più da solo – anche se tecnicamente lo era ancora, con l’unica differenza che l’esclusiva compagnia di cui poteva godere non era più data solo da Madara –, come se il nuovo arrivato, difendendolo, avesse preso velocemente le sue parti.
«Tu, invece, dovresti curare i tuoi problemi di pessimo tempismo, Senju.»
Naruto, con suo sommo sollievo, sentì la tensione alleggerirsi, e poté permettersi un sospiro rincuorato. Pareva che persino Madara si fosse calmato, quasi fosse un’altra persona rispetto a quella che aveva conosciuto in quei minuti. In volto gli leggeva chiaramente un certo fastidio – evidenziato dalle labbra arricciate in un broncio e le sopracciglia alzate –, che tuttavia non sapeva ancora se attribuire alla presenza di quel Senju o se al fatto che non era riuscito a rigirarselo a suo piacimento e a farlo scoppiare il lacrime dal terrore. Non lo conosceva, ma intuì che probabilmente incidevano tutte e due le cose.
In ogni caso, adesso erano altri i suoi problemi, e francamente il cambio d’umore repentino di un perfetto sconosciuto passava in terzo piano.
Si alzò quindi dal pavimento, deducendo che parlare in faccia fosse più congeniale che rimanersene a terra e fissarli dal basso, prontissimo a chiedere e ricevere informazioni sul dove si trovasse, eventualmente sul come ci fosse arrivato e soprattutto sul come potersene andare – anche se tutta la sua euforia trovava un freno nel ricordo del suo cuore che non si udiva. Per rassicurarsi, cercò di immaginare che quello fosse un sogno e che si sarebbe presto svegliato; o, in alternativa, che era finito chissà come nella bettola di un mago, preferendo altamente ritenere plausibile l’esistenza della magia piuttosto che quella di un così detto limbo, anche se poi le due questioni non differivano enormemente, in quanto entrambe paranormali.
«Scusate!» esordì, imponente, deciso a mostrarsi talmente sicuro che quei due non avrebbero potuto rifiutarsi di rispondere alle sue domande. Non sapeva se sarebbe riuscito o meno a intimorirli, ma visti gli inizi poteva soltanto sperare di attirare la loro attenzione, proprio quella che entrambi, troppo presi da loro stessi, non sembravano assolutamente intenzionati a dedicargli.  
«Dovresti rilassarti, caro.» Senju sfilò il calice dalle mani del suo interlocutore e ne tracannò di colpo il fondo, facendo poi scoccare la lingua sotto al palato. «Niente male.»
«Come hai osato!? Hai infettato il mio bicchiere con quella tua sporca bocca da Senju!»
«La qualità è ottima, complimenti per la scelta» ammiccò l’altro, evitando lo sclero. «Dove posso trovarne ancora?»
«All’inferno, idiota!»
Madara sembrava sul punto di scoppiare – tradottosi in: strappare il calice di vetro dalle mani dell’altro e di spaccarglielo in fronte, riducendolo in mille brandelli; inoltre, insoddisfatto, c’avrebbe aggiunto volentieri anche una pestata a regola d’arte, con tanto di calci nello stomaco e in pieno viso, il tutto accompagnato da ritmati “così impari a tenere le mani a posto”. Pareva, almeno – mentre Senju cominciava, masochisticamente, a dargli colpetti sulla spalla, mentre sorrideva.
«Simpatica questa, Madara. Davvero simpatica. E’ un modo alternativo per dirmi che non me darai più?»
Naruto sbatté le palpebre un paio di volte, incredulo. Non poteva proprio pensare che uno di quei due tizi l’avesse quasi ucciso per lo spavento qualche attimo prima, mentre adesso si divertiva – poteva dire davvero che si divertiva? – a fare il diavolo a quattro e a fumare dalle orecchie e pure dalle narici per un normalissimo bicchiere di vino.
Tentò – ci provò con tutto se stesso – di mantenere un certo distacco dalla loro personalissima vicenda, poi ritentò, mestamente: «Ehm, scusate?»
Era così che venivano trattati gli ospiti alla Retrobottega o come diamine si chiamava?
«Ehi?»
Nulla. Risposte zero.
«Potrei riuscirci a spedirti, non sottovalutarmi.»
«Ancora che tenti di fare lo scienziato, Madara?»
«Io non tento di fare lo scienziato.»
La conclusione della frase apparve talmente ovvia a Naruto – ancor più ovvia della constatazione di star davvero ascoltando quei discorsi con vago interesse – che sentì l’”io sono uno scienziato” riecheggiare nell’aria anche se non era stato pronunciato. Bah, si stava quasi assuefacendo alle stranezze; se avesse avuto una ciotola di ramen, si sarebbe persino riseduto, auguratosi buon appetito e aspettato la sua richiesta attenzione nella speranza che lo pseudo litigio trovasse presto la sua fine.
«Oh, ma io proprio non capisco perché dobbiamo litigare in questo modo, dato che ci sarebbe tanto altro da poter fare» brontolò Senju.
In un nanosecondo, le sue dita avevano già sfiorato la guancia di Madara e beccatosi uno schiaffone,  a una velocità tale che Naruto si chiese addirittura se la mano avesse prima subito e poi agito o l’inverso.
«Tieni le tue d-»
«Le tue dannate manacce da Senju a ventimila miglia da me? Oppure le tue sudice mani?» cantilenò Senju. «No, impossibile, ho udito chiaramente una d! Potrebbe essere degradanti dita obbrobriose? C’ho azzeccato?»  
«Tsk.» Madara recuperò tutta la sua nonchalance – scoprendo probabilmente, senza troppa sorpresa, che Naruto non aveva smesso di fissarli e soprattutto di sentirli nemmeno per un istante –, e, incrociando le braccia al petto, assunse un’espressione mista tra il riflessivo e il serioso.
«Qualcosa di simile, sì. E già che ci sei, tienitelo a mente.»
«Il solito spettacolino, a quanto sembra.»
Naruto si dedicò ancora una volta all’ennesima, nuova presenza – sperando che fosse per davvero l’ultima e che non spuntassero altri tizi in giro come se fossero funghi –, sperando dentro di sé che non si trattasse di qualcuno da cui sarebbe stato meglio prendere le distanze. Il ragazzo che incrociò, però, non aveva proprio nulla che potesse portarlo a volersene allontanare o altro, anzi. Tra quelli che aveva visto, per ora pareva il più normale, ragion per cui volle provare a rivolgersi a lui.
«Ehi, amico! Almeno tu potresti spiegarmi che cosa sta succedendo? Non è che ci stia capendo granché» confessò, avvicinandoglisi. Poi, pensando di essere cortese, allungò la mano verso di lui: «Io sono Naruto Namik-»
«So chi sei» replicò l’altro, asciutto. «E’ tutto registrato. Vieni. A quanto pare non ti è stato ancora spiegato nulla, pertanto, se proprio dobbiamo parlarne, facciamolo in un posto tranquillo.»
Naruto rimase col braccio a mezz’aria e gli occhi fissi sulla schiena del suo interlocutore che si allontanava sempre di più.
Bah.
Ripensandoci, era il secondo, quel tizio, a conoscerlo di già, e si chiese come mai fosse possibile, dato che di sicuro non aveva mai messo piede in quel luogo, prima d’allora – e se fosse riuscito a squagliarsela, di certo non l’avrebbe più rifatto. Decise, per il bene superiore, di soprassedere su quella che aveva definito “maleducazione ed estrema capacità di sintesi” e di seguire senza battibecchi e lamentele il ragazzo che, al momento, appariva come la sua sola via di fuga, nonché la sola fonte da cui carpire informazioni.
«Posso sapere almeno chi sei?»
Quello si voltò, lo guardò di sbieco, superata di poco l’anta della porta d’uscita. «Sasuke.»
 
 
 
Camminando per i corridoi della Retrobottega, Naruto se ne sorprese del buio.
Ripensandoci, la sala in cui si era risvegliato non spiccava per la lucentezza, tuttavia, lì per lì, con tanti crucci in capo, la presenza di candele al posto di lampadine era passata inosservata. Mentre i candelabri elaborati, grigiastri, posti ai lati dei muri piuttosto stretti e di una colorazione viola veleno, non solo non erano passati inosservati, ma avevano anche accentuato l’ipotesi di essere giunto in una specie di mondo magico, e nello specifico al cospetto di uno stregone dagli oscuri poteri, un po’ come quelli dei racconti che aveva sentito in giro quand’era stato bambino. Inoltre, a rendere l’atmosfera molto più lugubre, contribuiva la lunghezza infinita di suddetto corridoio, sul quale, a ogni lato, spuntavano numerosissime porte di un nero intenso, sulle quali la maniglia, d’un bianco latte, spiccava, ipnotica.
Sasuke ne abbassò una e attraversò l’uscio. Il suo, parve un gesto quasi naturale, come se avesse imboccato un’entrata a casaccio – anche perché non pareva possibile poterle distinguere –, ma a giudicare dai suoi movimenti rapidi e dalla mancanza di indecisioni che Naruto gli leggeva sul viso, probabilmente lo aveva condotto in una stanza apposita.
L’interno del nuovo ambiente puzzava di un pulito asfissiante, del tutto diverso da quello solleticante del detersivo usato da sua madre. A livello di arredamento, definirlo spoglio era un eufemismo: le uniche cose presenti in quel bianco abbagliante da manicomio – Naruto rimase sorpreso dal cambiamento repentino del luogo, adesso addirittura luminoso – erano le due sedie in plastica – bianche anch’esse, da far venire il mal di testa –, simili a rigidi divanetti.     
Naruto si guardò un po’ intorno, poi, onde evitare di accecarsi e rincoglionirsi alla vista continuata di quella che pareva una chiazza di pittura tutta uguale, preferì imitare Sasuke e sedersi di fronte a lui: il seggio era duro, proprio come appariva alla vista.
«Senti, ma che cos’è questo posto?» gli chiese, impaziente, desiderando parlare in modo da non focalizzarsi sulle pareti, sul pavimento e sul tutto, semplicemente. «Mi pare che così l’abbia chiamata quel tizio…»  
«Si chiama Madara, lui. Consideralo pure il capo di questo posto, se ti va. Per quanto riguarda l’altra tua richiesta, ti trovi alla Retrobottega, immagino che ti sia stato detto.»
Naruto annuì veloce. «In effetti è proprio quello che mi ha detto Madara appena sono arrivato. Però vorrei capire… insomma, come diamine ci sono finito qui? Non mi sembra un posto troppo normale.»
Di nuovo lo intimidì il ricordo del suo cuore che non sussultava; ingoiò amaramente, decidendosi a fare un altro, silenzioso tentativo, nella speranza che prima si fosse solamente distratto o che, preso dalla paura e dal condizionamento di Madara che gli parlava, davvero non era riuscito a sentirlo, come se non battesse. Sasuke lo notò, e sospirò, evidentemente stufo di dover fornire lui tutte quelle informazioni.
«E’ inutile, non c’è.» Gli prese il polso, appoggiò il palmo sul suo, di petto. «E’ lo stesso anche per me. Sembra strano all’inizio, ma poi ci si abitua perché non se ne può fare altrimenti. Se non lo accetti, impazzirai. E’ già successo altre volte.»
Naruto rimase in silenzio, turbato, pallido. Si predispose all’ascolto, facendo segno a Sasuke, con gli occhi, di poter continuare.
«Cosa ricordi di prima?»
«C-come?»
Non si aspettava una domanda, tutt’altro; si era preparato psicologicamente ad ascoltare un discorso lunghissimo che, considerati gli inizi, probabilmente lo avrebbe sconvolto. Per questo fu colto di sorpresa dalla richiesta di Sasuke.
«Ti ho chiesto che cosa ricordi di prima» rispiegò, annoiato. «Prima che arrivassi qui, intendo» aggiunse, quando lo vide ancora confuso.
«Mmm… non ho ricordi troppo chiari, in realtà.»
«E’ normale, sei arrivato qui da poco. Prova a sforzarti e a ripensarci. Mal che vada, va bene qualsiasi cosa.»
Naruto annuì di nuovo, chiudendo gli occhi nello stesso istante. Quella stanza lo confondeva, e fu quasi tentato di dire a Sasuke di portarlo da qualche altra parte in modo da farlo ragionare meglio, tuttavia lasciò perdere, anche perché qualche pezzetto di passato venne a galla spontaneamente.
«Una pistola» mormorò.
Calibro 9, aveva detto Madara.
«Ehi!» spalancò gli occhi, alzandosi dalla sedia. «Tu dovresti saperlo, no? Conosci già il mio nome, hai detto che avete tutto registrato. Potresti anche darmi una mano» lagnò.
E sì, riflettere non era il suo punto forte.
«Soltanto Madara ha accesso a tutte le informazioni su di te. Per ora, a me sono state fornite solo le tue generalità» spiegò Sasuke, senza scomporsi, il viso inclinato sul dorso della mano. «Poi lo facevo per te, è una procedura della Retrobottega che spesso Madara preferisce ignorare – raccontando subito i fatti come con te – perché la trova estremamente noiosa e perditempo. Non che non concordi. Comunque, se non ti interessa, immaginati quanto possa importarne a me.»
«Che ne dici, invece, di parlarmi di questo posto?» chiese ancora Naruto, risiedendosi goffamente. «A queste cose di routine potremo pensare dopo, no?»
«Bene, se è così che preferisci… stai morendo.»
«Cosa?»
Naruto balzò di nuovo dalla sedia, tanto che, impercettibilmente, si domandò se non fosse più conveniente restarsene direttamente in piedi.
«Volevo fartici arrivare con calma, ma è stato sbrigativo sia per me che per te.»
«Sì, va bene, va bene» blaterò Naruto, in tensione. «Ma che cosa significa che sto morendo?»
«Arriva gente sempre più idiota in questo posto. E ciò può soltanto significare che più il mondo finge di andare avanti e più regredisce» commentò Madara, sbucato fuori all’improvviso. «Star per morire significa essere prossimi al baratro, al nulla e alla fine. Caput, fine, stop. Chiaro, adesso?»
L’uomo avanzò qualche passo, fino a posizionarsi al fianco di Sasuke e a sedersi su una sedia che fino ad allora – Naruto ne era certo – non c’era stata. Probabilmente era sbucata fuori dal pavimento, plasmandosi e assumendo i tratti di quell’insolito seggio squadrato.
«Però io sono qui.» Col cuore che non si sente e la vita che non scorre. «Questo non puoi negarlo» controbatté, convinto.
«E non lo farò, infatti. E, se ti interessa, sappi che anche nel tuo mondo esisti ancora. Un paio di tubi in bocca, aghi nelle vene, parenti disperati e quant’altro di bello possa esserci in una stanza asettica d’ospedale, ma ci sei. In altre parole» alzò la voce di un tono per non farsi surclassare da Naruto che già, pronto, aveva aperto bocca per replicare. «Coma.»
«In coma?»
«Questo ragazzino ha il pessimo vizio di ripetere qualunque cosa gli si dica» borbottò Madara a Sasuke, il quale si limitò a guardarlo per riflesso. «Fossi in te mi chiederei come uscire da qui. Sarebbe una domanda molto più intelligente da parte tua, per quanto apparentemente scontata. Coraggio, chiedimelo.»
Naruto strinse i denti; cominciava a non poterne proprio più di quell’atteggiamento saccente e beffardo. Si trovava lì da pochissimo tempo e già sperava di potersene andare quanto prima. Preferì comunque mantenere la calma, allontanando dalla mente il pensiero – piuttosto sciocco – di escogitare un modo intelligente per porre la domanda che, come Madara aveva anticipato, adesso avrebbe voluto porgli. Lo prendesse pure in giro, poi: se ne sarebbe andato presto da lì.
«Se sai già che voglio chiedertelo, perché non me lo dici direttamente?» domandò, d’istinto; si era ripromesso di non cacciarsi nei guai e di non parlare troppo – come suo padre gli ripeteva sempre –, ma stranamente in quelle occasioni era sempre il DNA di Kushina a emergere.
Madara si distese meglio contro lo schienale, allungandosi e alzando contemporaneamente il gomito sul bracciolo, in modo da sistemare comodamente il viso contro la mano.
«Non ho troppa voglia di fare chiacchiere, perciò te lo svelerò. Soprattutto perché immagino che la mia risposta non ti piacerà.»
«E allora?» lo forzò Naruto.
«Esiste il modo per uscire dalla Retrobottega, ma non sta a me dirtelo. Dovrai capirlo tu. E da solo, poiché a nessuno – me escluso – è dato il permesso di confidare questo… tabù
«Ma… ma senza indizi?» Naruto si voltò svelto verso Sasuke, sperando di trovare nei suoi occhi qualcosa che lo aiutasse, ma il ragazzo si limitò a scrutarlo in silenzio, senza permettergli di capire se conoscesse o meno quel mistero che gli avrebbe reso la libertà. «E quanto tempo ho a disposizione?»
«Oh, dipende da te. Quanto pensi di riuscire a vivere ancora sulla Terra dopo che una pallottola ti si è impiantata in testa?» domandò Madara, sornione.
Naruto strinse le mani. Si sentiva in trappola, da solo, abbandonato. In ansia. Doveva muoversi, cominciare le ricerche da subito, aprire a calci anche tutte quelle porte che aveva visto. Ma doveva riuscirci. Per forza.
«E cosa succederebbe se non ci riuscissi?» provò a chiedere, sperando che almeno quello fosse una bella notizia – se non bella, almeno decente.
«Vorrà dire che ci farai compagnia per l’eternità. Ti sembra tanto mostruoso?»

 
 
 


























 
 
 
 

Buonasera. :)
Un capito molto di spiegazioni questo. Lo so che vi sembra tutto un casino, ma pian piano vi sarà tutto chiaro. Per ora, fatevi bastare questo po’ che avete scoperto. ;)
Francamente, pensavo che la storia avrebbe preso una piega più comica, però, per come aveva reso la parte che volevo metterci, ho preferito lasciar perdere e cancellare – anche perché, per quanto ami il comico, io non sono troppo brava. X//)
Ah, Naruto chiama Hashirama Senju, perché non ha ancora capito che quello è il suo cognome e non il suo nome; non è un mio errore. Poi. Ho adorato scrivere la parte finale con Madara. =ççç=
Per quanto riguarda il femminile di Retrobottega, dovrete aspettare il prossimo capitolo. ;)
Per il resto, grazie per essere arrivati fino a qui. :)

 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 02. Capitolo Secondo - Un gioco di porte e di stanze ***


Retrobottega

 
 


02. Capitolo Secondo
–  Un gioco di porte e di stanze –

 
 






 

«Non ci posso credere, non ci posso credere.» Naruto percorreva la stanza avanti e indietro, nervoso, le braccia incrociate al petto e la camminata goffa, con ginocchia sollevate quanto più possibile, che lo rendeva simile a un soldatino incapace di tenere il passo. «E quel Madara tenta pure di fare il simpatico, poi. E’ ovvio che non voglio rimanere un secondo di più, qui!» E nel dirlo puntò il dito contro Sasuke, l’unico rimasto nel suo stesso posto ad ascoltarne le lamentele. «E poi la Retrobottega non ha stile, ed è pure sbagliato come nome» sbottò. «Non sono un genio a scuola, ma non ci vuole chissà chi per capire che retrobottega è un nome maschile!»
Sopportalo qualche minuto, gli passerà presto, gli aveva suggerito Madara.
Invece non sembrava un atteggiamento momentaneo.
«E’ stato Madara a volerla chiamare così» gli concesse, sperando di spostare la sua attenzione e così di potersi sbarazzare delle sue prediche. «Non voleva che si confondesse coi normali retrobottega. E’ un’idiozia, in pratica.»
«Quell’uomo ha dei seri disturbi mentali» commentò il ragazzo, ricominciando ad agitarsi. «E con lui anche tutto questo posto è anormale. Voglio tornarmene a casa.»
«Ascoltami un attimo e cuciti le labbra.» La bocca di Naruto assunse la forma di un ovale perfetto, mentre il dito, prima oscillante freneticamente, si bloccò a mezz’aria. «Anche se non ti va, devi necessariamente rimanere qui, non hai troppe scelte» continuò Sasuke, a silenzio ottenuto. «E Madara… che tu lo sopporti o meno è irrilevante. Fattelo piacere che co… mi stai ascoltando, almeno?»
«Eh? Sì, sì, ti sto ascoltando» annuì l’altro. «O almeno ti ho seguito fino a quando hai parlato delle scelte, quella roba lì.» Espose un’espressione perplessa che a Sasuke non piacque; come se stesse ragionando per raggiungere la soluzione al suo cruccio. «Dici che non ho possibilità di uscirne, ma Madara ha parlato diversamente» gli fece notare, sbilanciandosi in avanti, a un soffio dal naso.
Sasuke si ritrasse.
«Tanto non è pensabile che tu ci riesca» soffiò. «Quindi, è come se non ci fossero alternative. Siediti e vedi di combinare pochi casini. A lungo andare ti ci abituerai.»
«Sasuke.» E non lo stava interrogando. Ghignò. «Tu hai tutta l’aria di sapere come si esce da qua» constatò, sornione.
«Me ne sarei già andato, se avessi potuto, non credi?»
Naruto non si lasciò convincere dalla sua espressione sicura, captando chiaramente la menzogna nel suo tono di voce. Certamente, la maschera che aveva indossato Sasuke per ingannarlo non rasentava la perfezione; dedusse che il suo interlocutore dovesse essere un tipo alquanto onesto, oppure – e chissà per quale ragione si sentiva di dar credito maggiormente a tale ipotesi –, semplicemente preferiva la schiettezza ai giri di parole.
«Non credo» rispose quindi Naruto, sicuro. «Penso piuttosto che non voglia o non possa dirmelo. Ah, sì, ora ricordo!» Lo afferrò per le spalle, scuotendolo con fin troppo entusiasmo. «Madara ha detto che nessuno, oltre lui, può rivelare questa cosa, no? Bene, se il problema è questo, ti basta farmelo capire.» Naruto era su di giri, gli brillavano gli occhi dalla contentezza. «Sarà semplice! Hai mai giocato al gioco del mimo? Sarà qualcosa di simile! E poi io sono piuttosto bravo in questo gioco! Dai, comincia!»
Sasuke se lo scrollò di dosso con un gesto seccato, aggiustandosi subito dopo il colletto della camicia che indossava, un po’ sgualcita dalla frenesia dell’altro ragazzo.
«Puoi scordartelo.»
«Ma…»
Non gli venne data possibilità di replica, poiché Sasuke fu lesto a uscire e a sbattersi la porta alle spalle, cruento.
«Bah… sono tutti strani in questo posto.»
 
 

*

 
 
Madara reclinò il capo contro il palmo della mano, negli occhi riflessa la luce degli schermi mostranti ogni anfratto della Retrobottega. Tamburellò con le dita sulla guancia.
«Ci sta mettendo più tempo del dovuto per farsene una ragione» commentò. «Non mi piacciono i testoni. Fanno eccessiva confusione per un nonnulla, infantilmente, fin quando non riescono a ottenere quello che vogliono – anche quando questo non è completamente possibile. Eppure lo avevo avvisato di non ingegnarsi troppo.»
«Probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa nelle presentazioni» replicò Hashirama, buttandola sul ridere. «Magari non ha apprezzato il tuo ghigno malefico… in effetti c’è da lavorare. Non che sia troppo minaccioso…»
«Piantala di dire sciocchezze, possibilmente.»
«E tu?» gli domandò ancora Hashirama, mentre addentava un pezzetto di cioccolata alle nocciole. «Hai intenzione di tenerlo sottocchio per tutto il tempo? Suvvia, lascialo in pace.»
«Ti ho già detto di piantarla di dire sciocchezze, Hashirama.»
«Ehi, mi hai chiamato per nome!» esultò. «E’ da ricordare.»
Madara alzò gli occhi al soffitto, preferendo soprassedere.
 
 
 
Naruto avrebbe cominciato ad aprire tutte le porte perfettamente identiche. Non sapendo da dove iniziare, si sarebbe limitato a uscire dalla camera dove Sasuke l’aveva lasciato e ad abbassare una a una tutte le maniglie, prima da un lato e poi dall’altro, sperando di non dimenticarsene nessuna.
Una soluzione c’era, su questo avrebbe potuto scommetterci; inoltre, lo stesso Madara, prima, e Sasuke, poi, glielo avevano confermato. Dunque, bastava cercare, anche fino allo sfinimento.
Tanto qui non ho nulla da fare, se non aspettare, pensò. E se la soluzione non mi viene fornita con le buone, me la trovo io!
La buona volontà di Naruto pulsava vivida – almeno quella – in ogni parte di sé, al pari del desiderio di libertà e di rivedere i suoi genitori. Si costrinse a non pensare al fatto di star per morire nella vita reale, né alla sofferenza di suo padre e sua madre.
Sarebbe finita presto.
Il buonumore non scemò all’apertura della prima delle infinite porte, anche se l’interno lo lasciò talmente perplesso da obbligarlo a non muovere nemmeno un passo: di fronte, si allargava un’immensa distesa verde intenso, che pareva non aver mai fine. Allungando lo sguardo, Naruto poteva scorgere, senza difficoltà, un gruppo di montagne dalla cima anche innevata e, colpito anche da una brezza non così tiepida, si chiese istintivamente dove si trovasse e se quella fosse ancora la Retrobottega o invece, a fortuna, ne avesse già trovato l’uscita.
Prima di imbarcarsi in avanti – rischiando, se si fosse inoltrato, persino di perdersi, dato che mancavano punti di riferimento accettabili –, preferì constatare che quella fosse davvero la porta giusta, e l’unico modo che gli sovvenne per farlo fu di spalancarne un’altra e vedere cosa questa riservasse per lui.
Scelse quella di fronte, con sicurezza; si ritrovò in mezzo alla strada deserta di una normalissima città. L’ampiezza misurava dimensioni notevoli, ma non c’erano persone ad abitarla. Anche stavolta si spinse con gli occhi più in lontananza, nella speranza di incrociare qualche indizio fondamentale che l’avrebbe aiutato a capire se quella fosse o meno la porta giusta da imboccare, la via per la libertà.
«Dannazione.» Non ci riponeva troppa fiducia. «Ma dove diamine devo andare?»
Sentiva il nervosismo attraversarlo dalla testa ai piedi. Probabilmente, quando gli avevano assicurato che non avrebbe potuto trovare una via di fuga, volevano intendere proprio questo, che dovesse cercare la porta giusta tra le – Naruto si affacciò al corridoio, percorrendolo a vista fin quanto gli era possibile – centomila presenti.
L’importante è che c’è. Il doveè secondario, tentò di rassicurarsi.
Tuttavia non ce la faceva a sentirsi al settimo cielo per quella nuova constatazione. In fondo, poteva anche darsi che avrebbe dovuto comprendere da sé quale, tra le tante, fosse quella corretta. Magari gli presentavano degli ambienti così comuni solo per confondergli le idee, ma, in realtà, quello giusto esibiva un particolare che, colto, gli avrebbe assicurato la vittoria su quel labirinto di ingressi.
E se non lo capissi?  
L’osservazione accurata non rappresentava il suo punto di forza, anzi. Si riteneva un tipo alquanto distratto, che, pur facendo di tutto per notare i dettagli, non riusciva a staccarsi da una visione d’insieme. Senza considerare che il tempo gli era nemico e che, quindi, pur volendo, non avrebbe potuto mettersi a scrutare ogni minimo angolo.
Resisti, si disse.
Se il suo corpo avesse ceduto, sarebbe stato condannato a una vita eterna lì dentro. Allo stesso modo, se non fosse riuscito a trovare la soluzione al suo problema, il destino non gli avrebbe risposto in maniera diversa.
Resisti, dai.
«Le apro tutte, eh! Dovessi anche mandare in rovina questo postaccio!» urlò all’aria, supponendo che qualcuno – che fosse Madara o Sasuke – lo stesse ascoltando. «E me ne andrò di qua.» Lo ricordò più a se stesso, ricominciando la sua colossale impresa.
 
 
 
«Allora, come va?»
Naruto si bloccò di scattò, sobbalzando alla voce di Madara alle sue spalle. Aggrottò le sopracciglia, mise su un’espressione nervosa.
«Ci riuscirò.»
«Ti ho chiesto come procede, non se ce la farai o meno. Su questo, in ogni caso, avrei i miei forti dubbi.»
Naruto gli diede le spalle, mordendosi la lingua per non rispondergli. Si apprestò ad aprire un’altra porta, mentre, con sempre maggiore intensità, si insinuava in testa la convinzione di star sbagliando mossa. Anche il fatto che Madara non si dimostrasse minimamente preoccupato lo metteva in tensione: poteva voler dire che non era quello il metodo giusto.
O forse lo fa apposta per farmelo pensare.
Inutile chiederglielo, anche se non sembrava intenzionato a staccarsi da lì, restandosene a braccia conserte. Mosse un passo quando Naruto proseguì.
«Sei venuto a darmi una mano, per caso?» gli sbottò contro, d’improvviso. «Se fosse così, potresti dedicarti alle porte dell’altra parte del muro, invece che seguirmi. Sarebbe più utile.»
Madara finse di pensarci, risultando intenzionalmente poco credibile.
«Sarebbe più utile, dici?» gli domandò, retorico. «Perdonami, se non riesco a condividere il tuo punto di vista. E, considerando chi è che comanda qui… mi sapresti dire chi di noi due sta attuando il comportamento migliore?»
E bla bla bla…
Naruto balzò all’indietro quando, all’ennesima porta aperta, si trovò contro un camion che gli correva contro a velocità indicibile, come succedeva in alcuni cartoon. Lì per lì non ebbe il tempo di ricordarsi che, a quanto aveva capito, lì dentro non poteva morire. Non che qualcuno glielo avesse assicurato, ma Madara aveva parlato di eternità, quindi…
«Ma che scherzi sono, questi?» sbottò Naruto. «Stava per prendermi un infarto!»
«Mh, sarebbe stato possibile, se il cuore ti stesse funzionando.»
«E smettila di ricordarmelo in continuazione, ho capito!» urlò, puntandogli un dito accusatore contro.
«Quindi? Ti è bastato o vuoi continuare?»
«Non pensare che mi arrenda, non succederà.»
«Come ti pare, allora» commentò Madara, mesto. «Coraggio, allora, apri la prossima» gli suggerì.
Naruto divenne nervoso.
«E’ un trabocchetto?»
«La Retrobottega è tutta un trabocchetto, moccioso. Per questo ti suggerirei di smetterla… ma a quanto pare non sei un tipo che accetta i consigli degli altri.»
«Non i tuoi.»
All’ennesimo, nuovo ambiente in cui Naruto fu catapultato, si affacciò anche Madara, con calma, trattenendo un sorrisetto poco rassicurante, come se, anche prima di scorgerlo, sapesse cosa ci avrebbe trovato.  
«Perché ridi?»
«Taci, non hai il diritto di fare domande» fu la sua risposta disinteressata.
La sua attenzione, infatti, era volte completamente alla gigantesca imbarcazione in legno, curata nei mini dettagli, galleggiante su un mare piatto e ancorata contemporaneamente al porto. Naruto non se ne intendeva di navi e ambienti marittimi, tuttavia le vele in alto, numerose ed enormi, facevano apparire la costruzione come una sorta di nave, se non da guerra, non certo per viaggi di piacere. Evitò comunque di domandarlo a Madara, pensando che, tra i tanti paesaggi visti, quello era il primo che raffigurasse il mare.
E forse se Madara fa così… potrebbe significare che è questa la porta esatta, pensò, entusiasta.
Consapevole che, se avesse perso l’occasione in quel momento, difficilmente se lo sarebbe ritrovato dinnanzi, avanzò un passo per immergersi completamente in quel posto.
Madara non lo fermò, e a Naruto neanche importò.
Compì pochi passi sulla superficie che immediatamente venne sbalzato all’indietro, finendo rovinosamente a terra. A spingerlo, una forza misteriosa della quale a Naruto sfuggiva l’entità.
«Ma cosa è successo?» domandò.
«Sei stato respinto, non te ne accorgi da solo?»
Respinto? «Cosa diamine vuoi dire?»
«Ah, adesso non ti disturba più la mia presenza, eh?» sogghignò, inclinando la testa per osservarlo dall’alto della sua altezza con più effetto. A Naruto diede fastidio quel suo atteggiamento, ma aspettò in silenzio che gli fornisse le informazioni che gli aveva chiesto. Madara dovette intuire, perché non aggiunse altro, in merito: «Le stanze della Retrobottega sono stanze speciali. Non puoi violarle con la tua presenza.»
«In che senso speciali?» Ma dove cavolo era finito? «Hanno… hanno una loro vita
«Una loro coscienza, qualcosa di simile.»
Naruto ci rifletté, pensoso. Anche le stanze erano vive? Che poi, quindi, le stanze erano vive e le persone morte? O meglio, non proprio morte, ma comunque non vive… non ci stava capendo più nulla.
«E perché non mi – mimò le virgolette con le dita – accettano
«Accetteresti un estraneo nella tua coscienza?»
«Dovrei… parlare con loro?» Si sentì ridicolo da solo per la domanda fatta e, nel frattempo, si immaginò mentre tentava, senza successo, di pregare un uscio affinché si aprisse al suo cospetto e lo facesse girovagare al suo interno.
«La fantasia non ti manca» osservò Madara; poi sospirò. «Ah, non volevo parlartene. Avrei preferito continuare a vederti sbraitare all’infinito contro tutte le porte della Retrobottega – ghignò – ma in fondo mi sono stufato. A lungo andare ci si annoia.»
Tempo di sbattere le palpebre – e di udire le dita di Madara che scoccavano – che Naruto si ritrovò in un’altra stanza; questa, stavolta, non aveva nulla di inconsueto dalle diverse quattro mura a cui era abituato. A parte che fosse particolarmente lugubre, oscura e perfettamente arredata in legno all’apparenza pregiato. Alla scrivania prese posto Madara, che lo invitò, con un gesto della mano, ad accomodarsi di fronte a lui, anche se Naruto non accettò. Di lato, invece, c’erano Senju e Sasuke. Naruto si domandò se quei tre fossero gli unici, insieme a lui, ad abitare la Retrobottega.
«Non pensavo che ti fossi deciso davvero ad allietare le sue pene» ridacchiò Senju. «La tua bontà aumenta di secondo in secondo, Madara.»
«Piuttosto, non ci sarebbe mai arrivato da solo. E non aveva molto tempo.»
«In che senso?» si agitò subito Naruto. «E’ già ora?» Sto già morendo?   
«Non è quello che pensi» replicò Madara. «Ma ci sarà tempo per tutto, poi. Abbiamo un’eternità davanti. E no, per favore» drammatizzò, bloccando sul nascere la reazione di Naruto con un’alzata di mano, «non ripetermi per l’ennesima volta che te ne andrai presto, ho afferrato il concetto. Non ti interessava sapere delle porte?» Naruto annuì, e Madara fu incentivato a continuare. «Le porte della Retrobottega non sono delle normali porte – figuriamoci, la normalità non è di casa, qui.»
Lo noto, avrebbe voluto dirgli Naruto, ma per una volta riuscì a tener chiusa la bocca, con sua estrema sorpresa.
«E, da porte particolari, contengono stanze particolari. Devi sapere che la Retrobottega ha un meccanismo che regge sulla presenza di anime che, come nel tuo caso, non sono capaci di sopravvivere in un corpo danneggiato enormemente e prossimo alla morte. Come se si staccassero da esso, per farla breve. All’inizio, questo avviene parzialmente – e quindi ti trovi tra noi, col cuore che ancora ti batte nel tuo mondo – mentre, se non riesci a uscire di qui, la separazione sarà totale, portandoti alla morte sulla Terra e alla permanenza infinita da noi. Ma fin qui immagino ti fosse abbastanza chiaro.»
«Chiaro.»
«E quindi» riprese Madara, «cosa mai potrebbero rappresentare quelle porte? Non ti sforzare, te lo dico io. Sai già che hanno delle coscienze proprie, ma, differentemente da quello che potresti pensare, tali coscienze non appartengono propriamente alle stanze, quanto alle persone. Ogni stanza, quindi, rappresenta un individuo. Nello specifico, una determinata coscienza. Nuove stanze si formano ogni volta che qualcuno mette piede alla Retrobottega, e per tutti gli altri è impossibile entrarvici. Come hai potuto constatare, molte stanze sono simili tra di loro, mentre altre sono totalmente diverse. Alcune estremamente vuote, in altri ritrovi oggetti.»
«E questo com’è possibile?»
«Ci stavo arrivando.» Naruto s’imbronciò al suo tono nervoso e da padrone, ma lasciò perdere, in quanto fremeva dalla voglia di sapere. «La conformazione della stanza dipende principalmente da ciò che l’individuo pensa» chiarì. «In molti, focalizzandosi sull’esperienza che li ha portati al coma, raffigurano soprattutto quella, ed è per questo che ti sei imbattuto perlopiù in strade. Gli incidenti stradali aumentano a dismisura per colpa dell’idiozia della gente. In ogni caso, ovviamente ci sono delle eccezioni: non tutte le menti si fossilizzano sul giorno dell’incidente; quelle più forti sono in grado di… modificare la loro stanza come preferiscono.»
«Quindi c’è anche la mia da qualche parte?» domandò Naruto, interessato. «E, se la trovo, potrò uscire da qui? Si può andare via solo tramite la propria porta, giusto?» chiese, speranzoso.
«Ovviamente no.» Madara si divertì a leggere la speranza sul suo volto che si dissolveva tutta a un colpo. «Non ti avrei detto nulla, se questa informazione avesse potuto aiutarti anche solo minimamente. E che non ti salti in mente di accusarmi di fingere. Nessuno dei due ci guadagnerebbe nulla.»
«Uffa, maledizione» borbottò l’altro tra i denti, cascando giù per la collera. Si sedette a terra, le gambe incrociate e la testa bassa. «Pensavo di averci visto giusto.»
«Ne sono profondamente spiaciuto
Sì, come no.
«Toglimi almeno una curiosità» mormorò. «La tua stanza della coscienza è questa?»
«Oh, no. La stessa Retrobottega rappresenta la stanza della mia coscienza» sogghignò Madara. «E tutto quello che vedi assume le sembianze che io voglio. Que-»
«Anche se io insisto nel dire che la tua stanza è quella bianca, Madara. Vuota, per una testa vuota come la tua» s’inserì Hashirama, scemando la tensione – e beccandosi un’occhiataccia furente; inoltre, Madara aveva stretto tra le dita il calamaio sulla scrivania, apparentemente pronto a lanciarglielo contro, spappolandoglielo. Hashirama intuì di doversene stare in silenzio, anche se non smise di sorridergli. Sasuke, invece, sembrava concentrato, perso tra i sue pensieri.
«C’è altro che vuoi sapere?» domandò Madara, rivolgendosi a Naruto.
«Approfittane, non lo troverai più così disponibile» gli suggerì Senju, fingendo di abbassare la voce per non farsi sentire.
«Hashirama, taci.»
Naruto non riuscì neanche a focalizzarsi sul fatto che Madara avesse chiamato Senju con un altro nome che non aveva afferrato al cento per cento. Si sentiva leggermente avvilito: credeva di esserci arrivato, e invece non poteva esserci più lontano. E non aveva alcun indizio, e poi nessuno sembrava intenzionato a parlargliene. Senza contare che non c’era alcun’altra persona, oltre loro, a cui avrebbe potuto domandare. Si chiese che fine avessero fatto tutti gli altri, i proprietari delle infinite stanze: trovava surreale che, con tutti gli incidenti quotidiani, soltanto lui si trovasse – sulla Terra, ovviamente – in una situazione clinica simile.
«C’è una cosa che voglio sapere» disse, interrompendo i bisbigli tra Madara e Hashirama, persi in un botta e risposta tutto loro. «Dove sono tutti gli altri? Non ci credo che voi siete gli unici.»
Pensò anche a che relazione dovesse esserci tra quei tre: Sasuke e Madara si assomigliavano anche, mentre Hashirama… magari solo le anime forti resistevano come corpo, ma gli pareva comunque difficile che fosse per questo.
«Finalmente un’osservazione accurata» si complimentò Madara. «Non devi preoccupartene. Presto non sarai più da solo. Se preferisci chiamarlo così, comincia il livello due.»  

 
 
 
























 
 
 
 
 

Salve a tutti! *----------*
Avendo finito l’altra storia a cui lavoravo, ho potuto riprendere Retrobottega. ♥
Abbiamo svelato pure il femminile che, di fatto, era una cretinata. XD
Comunque, devo dire che mi piace la piega che sta prendendo questa storia. Mi spiace che, per ora, non sembri una SasuNaru, quanto una Naruto centric + Madara XD, però E’ una SasuNaru. Più che altro, erano necessarie delle spiegazioni, e questo ho fatto. UwU
Sono contenta di come sta venendo il racconto e specialmente dell’originalità che, secondo me, gli sto dando. Solitamente, credo di peccare spesso da questo punto di vista, e spero che con Retrobottega non accada.
L’ho notato mentre scrivevo: chi conosce Yugioh! avrà potuto notare un parallelo tra le stanze di Retrobottega e le “stanze dell’anima” ù---ù” Non era intenzionale – sembra assurdo, lo so –, però, dato che me ne sono accorta, ho preferito puntualizzarlo (forse vuol dire che inconsciamente penso sempre anche a Yugioh!, oltre che a Naruto XD).
E che altro… spero che sia tutto chiaro. UwU
Ovviamente, la soluzione per uscire di qui c’è, ma sarà difficile capire qual è. Il primo tentativo è andato a vuoto. *povero Naruto*
Ah, e la stanza con la nave… di quella riparleremo più avanti. :)
 
Grazie per aver letto, e grazie a chi vorrà lasciare un commento. :)
 
P.S. Non so come me la sto cavando con l’IC, ma adoro rendere Madara così. =ççç=






Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1719047