Gli eroi di Sandpoint di MedusaNoir (/viewuser.php?uid=85659)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ho un’agenda piena di impegni e sono in ritardo per rimandarli ***
Capitolo 2: *** Non battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono veloci, più veloci di quanto tu possa credere ***
Capitolo 3: *** Dobbiamo ampliare la nostra cerchia di conoscenze ***
Capitolo 4: *** Il guaio è che non sono pazze. Sono donne e basta ***
Capitolo 5: *** Cosa rende l’acqua col cetriolo più dissetante dell’acqua senza cetriolo? ***
Capitolo 6: *** Amore è una parola grossa. Mica tanto, sono cinque lettere ***
Capitolo 7: *** Che piacevoli i vuoti di memoria, il premio che si trova sempre sul fondo di ogni bottiglia di vodka ***
Capitolo 8: *** Quando si è in guerra la regola è mai ritirarsi, mai arrendersi ***
Capitolo 9: *** Io credo nella lussuria a prima vista ***
Capitolo 10: *** Alcune cose non sono nel nostro destino, a prescindere da quanto le vogliamo ***
Capitolo 1 *** Ho un’agenda piena di impegni e sono in ritardo per rimandarli ***
Alcuni termini o riferimenti potrebbero non essere immediatamente
riconoscibili, per cui vi invito a leggere le note a fondo capitolo.
Per ogni parola che non conoscete, ne troverete sicuramente il
significato nelle note :)
Gli eroi
di Sandpoint
Ho
un’agenda piena di impegni e sono in ritardo per
rimandarli
Quando
la sveglia suonò, alle 7.50 di lunedì mattina,
Marta Giunti allungò il braccio
oltre il piumone, cercò il cellulare e spinse il tasto per
posticiparla di
cinque minuti, ignara di averla invece spenta. Sprofondò
nuovamente nel sonno,
rannicchiandosi tra le coperte e il cuscino mentre l’immagine
di David Tennant
le riempiva la mente. Com’era bello vedere il Decimo Dottore
tenderle la mano e
chiederle di seguirlo, in viaggio nel tempo e nello spazio, le labbra
così sexy
di David aprirsi per gridare: «Geronimo!»
Marta
aggrottò la fronte, perplessa. Quelle erano le parole di
Matt Smith, il Dottore
avrebbe dovuto dire: «Allons-y!» Si girò
nel letto e la se stessa del sogno –
che curiosamente aveva l’aspetto di River Song –
afferrò la mano di David
Tennant e si ritrovò nella base del Torchwood. Nessuna
traccia di Jack e degli
altri, però: c’erano solo cinque felpe nere appese
alla parete.
«Finalmente
sei arrivata.»
Marta-River
si voltò di scatto, allarmata, e scorse una figura di spalle
con indosso un
cappotto rosso che lei aveva già visto. Non riusciva a
crederci: avrebbe
scoperto l’assassino di Alison DiLaurentis prima degli altri
spettatori! Si
avvicinò cautamente – ma poco prima non
l’aveva chiamata proprio lui? –
chiedendosi se la voce che aveva sentito fosse maschile o femminile, ma
poi
scorse una ciocca di capelli biondi sotto il cappuccio;
poggiò una mano sulla
spalla della figura e la costrinse a girarsi, trovandosi faccia a
faccia con il
sorriso smagliante di Barney Stinson.
Marta
spalancò gli occhi, tornando immediatamente alla
realtà.
O
quasi.
“Quindi
Barney ha ucciso Ali? Non posso crederci, non sapevo che si
conoscessero…”
Le
ci volle qualche secondo perché si rendesse conto che si era
trattato solo di
un sogno. Cercò a tentoni il cellulare, imprecando quando lo
fece cadere a terra;
lo afferrò, strofinandosi gli occhi, e tentò di
leggere l’ora. L’una? No, era
andata a dormire tardissimo, non c’era possibilità
che fosse ancora…
Le
dieci.
Balzò
in piedi, maledicendo se stessa e il compleanno di Teresa, e le cinque
birre
che si erano bevute prima di tornare a casa, e le chiavi che non
giravano nella
toppa, e l’essersi buttata sul letto senza neanche togliersi
i vestiti. Aveva
lezione quel giorno, come le era saltato in mente di assecondare la sua
migliore amica?!
“Solo
un paio di drink” diceva, ma la faceva facile lei, che la
mattina dopo avrebbe
potuto dormire fino alle undici e avrebbe comunque avuto il tempo di
farsi la
piastra, pranzare e arrivare in anticipo
all’università!
Scese
dal letto e corse verso l’armadio, cercando di fare in fretta
per potersi
lavare i capelli prima di uscire. Aveva perso la lezione delle nove, ma
era
ancora in tempo per Letterature portoghese e brasiliana.
«I
jeans, i jeans… Possibile che non ci siano un paio di jeans
puliti?!»
A
malincuore dovette afferrare l’unica gonna che aveva,
promettendosi che il
giorno successivo sarebbe andata a comprare almeno dieci paia di jeans,
e
abbinarci la prima maglietta che trovò, nera con la scritta
“BAZINGA!” in
giallo. Si precipitò sotto la doccia e, dopo vari tentativi
di indossare
correttamente le calze, in poco più di mezz’ora fu
fuori di casa.
Fortunatamente il suo palazzo non era molto distante dalla fermata di
Eur
Palasport – ottima posizione nel periodo del Roma Comics al
Palalottomatica,
era grata ai suoi genitori per averla scelta inconsapevoli di quello
che
sarebbe significato per sua figlia ventidue anni dopo –
però la metro le
sfrecciò avanti mentre lottava con l’abbonamento.
“Che
faccio, torno a casa per beccare mio marito con un’altra o
aspetto il prossimo
treno?”
Sospirò
ed estrasse l’Ipod dalla borsa.
Riproduzione
casuale.
Sì,
i Guns N’ Roses andavano bene.
Resistette
due minuti prima di rendersi conto che non andavano bene per
niente. Mise in pausa e si sfregò le tempie,
cercando di farsi
passare il mal di testa causato dalla sera precedente. Non sarebbe
dovuta
uscire, ma Teresa aveva insistito così tanto, era arrivata
perfino a lamentarsi
che non passava abbastanza tempo con lei… In parte aveva
ragione, dovette
ammettere Marta. A causa delle sue passioni le giornate passavano tra
l’università, il negozio di fumetti in una
traversa di via Ostiense e
l’associazione ludica; spesso rientrava a casa presto, ma
c’era sempre una
nuova puntata di una serie tv ad attenderla, così non aveva
potuto difendersi dalle
accuse di Teresa.
“A
proposito dell’associazione, devo chiamare Stefania. Se non
mi muovo, finirà
che sarà prima lei a…”
Il
suo cellulare squillò.
“Ma
una che me ne vada bene?!”
Marta
interruppe la sigla di Doctor Who
inconsciamente, prima che avesse il tempo di decidere quale scusa
rifilare a
Stefania.
«Marta?»
La
voce brusca di Stefania Danesi giunse chiara al suo orecchio,
nonostante Marta
si trovasse all’interno della metropolitana. Il destino si
stava prendendo gioco
di lei.
«Ciao,
Ste. Come va?»
Come
al solito Stefania saltò i saluti e le domande di rito e
passò al motivo della
sua telefonata. «Stasera c’è la festa in
fumetteria, ricordi?»
«Sì,
ma n-»
«Perfetto,
temevo che mi dessi buca. Ti passo a prendere alle nove e
mezza.»
“Ma
non posso, voglio dormire” continuò mentalmente
Marta, consapevole che sarebbe
stato inutile dirlo a voce alta quando Stefania aveva già
chiuso la chiamata.
Forse però era meglio così: si sarebbe maledetta
anche l’indomani mattina, ma
almeno quella sera avrebbe potuto vedere lui.
♠
Leonardo
Sabatino inclinò la testa a sinistra senza alcun risultato,
ma quando la spostò
a destra le ossa del collo finalmente scrocchiarono. Sua madre gli
ripeteva in
continuazione che doveva smetterla, che in quel modo avrebbe finito per
farsi
male; tuttavia, mentre passava in rassegna le uscite di marzo, Leonardo
passò a
torturarsi le mani.
Posò
lo sguardo sul nuovo volume di Beelzebub:
la storia cominciava ad annoiarlo, contro ogni aspettativa, ma ormai
seguiva la
serie e non poteva permettersi di interromperla al tredicesimo volume.
Tenendolo stretto tra il braccio e le costole, afferrò un
altro manga e lo
sfogliò distrattamente, ancora concentrato sulla trama di Beelzebub, e così fu solo dopo
diversi secondi che si accorse di
tenere in mano il sesto volume di Arrivare
a te.
“Roba
da femmine!”
Con
orrore lo rimise al suo posto, concentrandosi sulle nuove serie. Tiger & Bunny non sembrava male,
Leonardo era quasi certo di averne visto anche l’anime; lo
stesso non poteva
dirsi di GE – Good Ending,
un hentai
a prima vista. A lui non piacevano, ma era certo che una persona di sua
conoscenza non avrebbe esitato a comprarlo.
Sussultò
quando si accorse che sugli scaffali era riposto anche il terzo volume
di Elfen Lied. Prese anche quello,
affondò
una mano nelle tasche e contò quanti soldi avesse dietro.
“Troppo
pochi.”
Avrebbe
dovuto trovarsi un lavoretto se voleva davvero continuare a vivere a
Roma e a
leggere manga; i suoi genitori gli mandavano i soldi per
l’affitto dalle
Marche, ma quello che lui aveva messo da parte dopo la laurea stava
cominciando
a scarseggiare.
Commesso?
E di quale negozio? Non faceva per lui, le possibilità di
trovare lavoro in una
libreria erano piuttosto esigue e non si sarebbe mai visto a vendere
vestiti.
“Le
calza benissimo. Certo che glielo sto dicendo solo per farla andare
via, è il
nono che si prova!”
Poteva
fare il cameriere. Sarebbe stato perfetto, se solo la sua timidezza non
gli
impedisse, anche nella sua immaginazione, di prendere le ordinazioni
senza
balbettare o guardare il pavimento.
Ripetizioni?
Non male, poteva sopportare un ragazzino delle medie alla volta. Delle
elementari sarebbe stato meglio, però.
Mentre
pensava a cosa scrivere su eventuali volantini –
“Giovanni mi permetterà di
attaccarne uno al negozio?” – una mano
passò davanti al suo volto per afferrare
GE.
«Lo
sapevo, si capiva dalla copertina!»
Accanto
a lui un ragazzo alto, con i capelli neri e l’espressione
soddisfatta, stava
sfogliando voracemente il manga proprio come Leonardo aveva immaginato.
Roberto
Trani era prevedibile: bastava un hentai o un gioco da tavola e le sue
giornate
potevano dirsi radiose!
«Ehi,
Leo, che si dice?»
Leonardo
si strinse nelle spalle e mormorò un: «Tutto
bene.»
«Ci
sarai stasera, vero?»
Annuì,
ma Roberto era ancora troppo preso dal nuovo manga per accorgersene.
«Sì.»
«Bene,
bene, allora ci vediamo più… Oh-oh-oh, ma che
vedo qua?»
Dopo
un timido: «Allora ciao» che non venne ricambiato,
Leonardo si avvicinò alla
cassa, ma una ragazza che prima non aveva notato nel negozio era
già intenta a
pagare i suoi nuovi acquisti. Gli sembrava una faccia conosciuta; lo
sembravano
i suoi occhiali e la corporatura massiccia, ma non la maglietta con il
logo di Game of Thrones sul
prosperoso petto. Se
la sarebbe ricordata sicuramente se l’avesse incontrata con
indosso quella
maglietta.
«Mi
hai trovato il numero che ti avevo chiesto?» chiese lei
all’uomo dietro la
cassa.
Giovanni
Nizzi non rispose subito, ma si voltò e cercò
negli scomparti alle sue spalle
finché non trovò un volume di Neon
Genesis Evangelion. «Ecco qua.»
«Grazie»
bofonchiò la fan.
Estrasse il
portafoglio dalla borsa e pagò l’acquisto,
salutò il proprietario del negozio
con un cenno del capo e uscì sotto il sole incerto di marzo.
Leonardo
aspettò che fosse scomparsa dalla sua visuale oltre la porta
a vetri, poi posò
la sua spesa sul bancone e si rivolse a Giovanni.
«Hai
visto questa nuova serie?» esordì, premendo il
dito sulla copertina di Tiger & Bunny.
«I protagonisti
indossano delle tute che li fanno sembrare dei mecha! Sembra
forte.»
Giovanni
posò gli occhi azzurri sul manga. «Mh.
Sì, stavo valutando l’idea di comprarlo.
Poi fammi sapere cosa ne pensi.»
«Tanto
lo lascio nel mio scomparto, prendo solo Elfen
Lied. Leggilo pure!»
«Oh,
grazie.»
«Di
niente. Senti.» Leonardo abbassò la voce, come se
temesse che qualcuno potesse
udirli, ma Roberto era assorto nella lettura – come sempre
prima di comprare
qualcosa preferiva leggerlo e ormai Giovanni non se ne curava
più – e non
c’erano altri clienti nel negozio. «Chi
è la ragazza che è uscita prima?»
Mentre
gli dava il resto, Giovanni sollevò un sopracciglio.
«Quella che ha comprato Evangelion?
Si chiama Stefania, se non
sbaglio.»
«Mi
sembra di averla già vista.»
«Vieni
in fumetteria ogni tanto. Credo che ci sarà alla festa di
stasera, l’ho sentita
che lo diceva poco fa al telefono.»
Una
festa nel negozio di fumetti passata a parlare di Game
of Thrones: Leonardo non vedeva l’ora!
«Matteo
non c’è oggi?» chiese poi, accorgendosi
dell’assenza del socio di Giovanni.
«Attacca
il pomeriggio. Ora è a casa, sta preparando la nuova
avventura.»
«D’accordo.
Salutamelo quando arriva!»
«A
stasera!»
Mentre
Leonardo apriva la porta a vetri, si chiese se sarebbe stato il caso di
indossare la maglietta degli Stark quella sera. Ottima idea per
mostrare alla
ragazza – come si chiamava? Stefania? – che era
disposto a discutere di libri e
serie tv, ma non molto saggia, a pensarci bene. E sei lei fosse stata
di una fazione avversaria?
♠
Dopo
averlo accartocciato, Matteo Romagnoli lanciò
l’ennesimo foglio dietro di sé,
mandandolo a fare compagnia a tutte le bozze della sessione di gioco
prevista
per il martedì successivo. Il pomeriggio sarebbe dovuto
correre a lavoro e la
sera doveva occuparsi di quella stupida
festa, non poteva permettersi nemmeno di rimandare al giorno seguente,
dato che
il suo turno al negozio di fumetti sarebbe iniziato fin dal mattino;
non che
potesse farlo pesare a Giovanni, con il motivo che lo avrebbe tenuto
lontano da
lì… Non lo invidiava di certo.
Si
alzò, facendo strusciare la sedia sulle piastrelle di
ceramica del pavimento.
Doveva rilassarsi e l’unico modo per farlo sarebbe stato
preparando il suo
spuntino preferito di metà mattina: cioccolata calda e
biscotti. Nonostante la
luce del sole quel giorno fosse piuttosto insistente, sbattendo contro
il vetro
della finestra per ricordargli che ormai era primavera, Matteo non
avrebbe
facilmente rinunciato a quell’abitudine. Ricordava quando,
due estati prima,
aveva ordinato a un bar sulla spiaggia una cioccolata calda; a sua
discolpa
poteva dire che fossero le undici di sera, ma non sarebbe bastato a
evitare
un’occhiataccia da parte della barista.
Aprì
la credenza alla ricerca della sua tazza preferita – recante
l’immagine del
capitano Kirk – e prese una nuova busta di biscotti.
Fortunatamente il suo
metabolismo gli permetteva di ingozzarsi senza pensare alla linea,
altrimenti
avrebbe dovuto mettersi a dieta ogni volta che l’ispirazione
tardava ad
arrivare e lo costringeva a correre dai suoi amati biscotti.
Mentre
il latte bolliva, Matteo osservò il proprio riflesso sullo
schermo grigio della
televisione. Alto, i capelli neri lunghi fino alle spalle, la barba da
accorciare, lui non si considerava un granché; credeva che
le sue doti
risedessero nel gioco di ruolo e di certo non aveva bisogno di essere
bello per
spaventare i suoi giocatori. Lo specchio improvvisato non gli
restituiva il
colore castano degli occhi e i capelli celavano il neo sul collo, ma
Matteo,
dopo trentadue anni, stentava ancora a riconoscere la sua immagine ogni
volta
che si vedeva un’espressione cupa sul volto.
Amava
preparare le avventure, tuttavia da qualche tempo aveva smesso di
provare
interesse per la campagna che aveva avviato sei mesi prima: due
giocatori lo
avevano abbandonato, un altro era subentrato al loro posto e ancora non
riusciva a capire cosa dovesse fare, i restanti sembravano divertirsi
di più a
chiacchierare fra loro che a interpretare i propri personaggi. Aveva
tentato di
scrivere avventure sempre più dense di suspense o di
combattimenti, ma –
eccetto il nuovo arrivato che tendeva a nascondersi in ogni momento,
anche
nelle taverne, quando era assai raro che apparissero dei draghi
– i suoi
giocatori tenevano così poco alle vite dei personaggi da
portarsi sempre dietro
una scheda di riserva, pronta per essere compilata. Ormai Matteo aveva
esaurito
le idee o forse era la presenza di ragazzi tanto idioti
a fargli passare l’ispirazione.
Mise
la tazza con la cioccolata sul tavolo, riflettendo che
l’unico motivo per cui
non aveva ancora chiuso la campagna era Leonardo, il solo in grado di
ruolare
senza farlo innervosire.
Accese
distrattamente la televisione, cercando di distrarsi. Notizie sul nuovo
papa,
sul governo italiano – preferì cambiare subito
canale invece di arrabbiarsi
inutilmente ancora di più – e sulla primavera che
si era presentata come tutti
gli altri anni, inaspettatamente a giudicare dalle parole della
giornalista;
finalmente riuscì a trovare una replica di Doctor
Who. Si trattava di una delle serie nuove e Matteo stava per
tirare un
sospiro di sollievo alla vista del nome “Steven
Moffat” – apprezzava il suo
sadismo – quando, con orrore, si rese conto che le puntate
non fossero in
lingua originale. Spense immediatamente la televisione, maledicendo
Christian
Iansante e tutti i doppiatori italiani – e anche se stesso,
troppo abituato ai
DVD da dimenticare che i canali televisivi passavano le serie doppiate.
Lui
odiava, detestava il doppiaggio: non capiva cosa ci fosse di male nel
guardare
un film con i sottotitoli – possibilmente in inglese, dal
momento che anche
l’errata traduzione di molti dialoghi lo faceva rabbrividire
– invece che
ascoltare la voce di un’altra
persona.
Affondò un biscotto nella cioccolata, tentando di calmarsi;
gli dispiaceva
perdere le staffe, ma la tensione di quei giorni si stava lentamente
accumulando. Era in ritardo per l’avventura, non aveva idee,
e in più solo due
ore prima aveva ricevuto una cartolina da…
Scosse
la testa, costringendosi a non pensarci. Riprese in mano il blocco di
fogli
bianchi e tentò di scrivere una nuova avventura, partendo da
zero. Impossibile:
al momento l’ispirazione mancava del tutto.
Strappò il foglio, lo appallottolò
e lo lanciò oltre la televisione, facendolo finire sugli
scatoloni che il
pomeriggio avrebbe dovuto portare al negozio. Si accorse di non averne
ancora
controllato il contenuto.
Seccato,
nervoso, privo di idee si alzò di nuovo e si
avvicinò al primo scatolone.
Tagliò il nastro adesivo con attenzione – a volte
i fornitori riempivano le
scatole fino all’orlo – ed esaminò il
contenuto. Manga, fumetti, DVD… Erano
arrivati anche i nuovi manuali di Pathfinder.
Li scrutò diffidente, ripensando a quanto lo stessero
facendo patire, finché
non si accorse di un manuale che non aveva mai visto.
E
il suo viso si illuminò.
NOTE
Il
titolo del capitolo è una citazione di Friends.
MARTA
- Le
serie tv del sogno sono, in ordine, Doctor Who,
Torchwood, Pretty
Little Liars e How I met you mother.
-
“BAZINGA!”: citazione di The
Big Bang Theory.
- “Che faccio,
torno a casa per beccare mio marito con un’altra o aspetto il
prossimo treno?”:
riferimento al film Sliding Doors.
LEONARDO
- manga: fumetti
giapponesi.
- anime: “cartoni
animati” giapponesi.
- hentai: opere a
sfondo pornografico.
- mecha: robot
pilotati dalle dimensioni mastodontiche.
- Stark: famiglia
residente a Winterfell (Grande Inverno) nella serie Game
of Thrones/A Song of Ice
and Fire.
MATTEO
- Capitano Kirk:
personaggio di Star Trek.
- ruolare: giocare
di ruolo.
- Christian
Iansante: doppiatore italiano di David Tennant nella serie Doctor Who.
- Pathfinder:
gioco di ruolo fantasy
SPAZIO AUTRICE
Ringrazio tutti
coloro che sono arrivati a leggere fin qua!
Avevo già scritto
una long originale, ma si trattava di personaggi collaudati con
precedenti
racconti, mentre ora sto partendo “da zero”. Vi
piaceranno i protagonisti di
questa storia? Chi più, chi meno, spero vi invoglino ad
andare avanti :)
Sono consapevole
della difficoltà che possano sorgere nella lettura,
trovandosi davanti a nomi e
parole mai sentite, però durante la mia
“carriera” di fanwriter (e lettrice) ho
notato che inserire particolari di questo genere aiuta a rendere la
storia
realistica. Spero quindi che seguiate la storia, anche aiutandovi per
alcuni
termini/citazioni con le note in fondo ai capitoli ;) (dubito che, per
quanto
riguarda la terminologia, troverete tante note in seguito)
Ancora grazie per
avere letto questo primo capitolo. Non nego che mi farebbe piacere una
recensione (di ogni tipo) con cui possa capire i punti forti e quelli
deboli di
questa storia :)
Ci vediamo al
prossimo capitolo, ambientato durante la festa: incontrerete i POV
degli altri
tre protagonisti!
Medusa
|
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Capitolo 2 *** Non battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono veloci, più veloci di quanto tu possa credere ***
Non
battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono
veloci, più veloci di quanto tu possa credere
Stefania
tamburellava sul volante della sua Panda rossa quando Marta si chiuse
la porta
del condominio alle spalle, scivolò sull’asfalto
bagnato e si aggrappò alla
ringhiera che recintava l’edificio. Sollevando un
sopracciglio, Stefania
constatò che la sua amica aveva deciso di indossare i jeans
anche quella sera. Non
aveva delle belle gambe? E allora perché si ostinava a
nasconderle, soprattutto
quando aveva l’opportunità di sfoggiarle in
presenza del “suo amato”?
A
Stefania non piacevano le ragazze magre. Le sentiva lamentarsi, nella
metro o
all’università, di quanto dovessero stare attente
al cibo, dei trecento grammi
che dovevano perdere e della taglia 38 che non potevano portare;
parlavano di
diete e di palestra, senza nemmeno sapere cosa significasse essere grasse. E non avere il coraggio
di indossare una gonna.
«Scusa
il ritardo, ero al telefono con Teresa!» esordì
Marta, fiondandosi nell’auto e
sbattendo la portiera prima che la pioggia potesse inzupparla
ulteriormente.
«Chi?»
«Bassa,
capelli ricci, piercing al naso…»
«Ah,
ho capito.»
«Voleva
sapere cos’avesse combinato stanotte. Sai, era il suo
compleanno, siamo andate
a bere…»
Stefania
non ascoltava; preferiva non farlo, perché era di cattivo
umore e di
conseguenza aveva da ridire su quasi ogni singola parola.
Ma
certo, Teresa aveva sempre la
priorità.
Tipico
delle ragazze senza cervello bere in continuazione, cercando qualsiasi
pretesto
per farlo.
Forse,
in preda all’alcol, si era scopata il dj della discoteca. Un
tipo muscoloso,
pieno di tatuaggi e con il suo stesso quoziente intellettivo. Quelle
come lei –
con un bel fisico e una terza perennemente in bella mostra –
bevevano sempre
per fingersi disinvolte e poterci provare con chiunque.
Stefania
era diversa. Le ragazze grasse non bevevano, lo facevano gli altri per
non
dover ricordare di esserci stati a letto.
Deglutì
e si fermò al semaforo, cercando di spannare i finestrini. Non voleva pensarci.
«…
e il fratello di una sua collega ci ha riaccompagnate a case»
concluse Marta.
«Ha portato prima me e poi lei, ma dubito che abbia allungato
le mani: è
fidanzato con un compagno del liceo da cinque anni!»
«Perché
non ti sei vestita carina?» le chiese Stefania con una nota
di disapprovazione
nella voce.
Nell’auto
calò il silenzio. Marta aveva abbassato lo sguardo,
pensierosa; Stefania sapeva
che stava cercando un modo per evitare l’ennesimo
“Odio le gonne”, ma si era
stufata di quella risposta.
«Lui
ci sarà di sicuro, no?» continuò.
«Secondo me dovresti metterti qualcosa di più
femminile, così finalmente ti noterà.»
Solo quando chiuse la bocca si accorse
di quanto dovesse sembrare bastardo quel
“finalmente”.
«Non
credo gli interessi l’aspetto fisico» si
limitò a rispondere Marta,
evidentemente abituata all’antipatica schiettezza
dell’amica.
“Fidati,
a chiunque interessa solo quello.”
Stefania
si morse la lingua e si concentrò sul parcheggio: era
difficile trovarlo a
Roma, lo era ancor di più nei pressi della stazione
Ostiense. C’erano perfino
delle auto con almeno due ruote sopra i marciapiedi; lei, senza farsi
problemi,
le imitò. Mentre si avviava verso il negozio di fumetti
seguita da Marta, si
chiese se alla festa ci sarebbe stato lo zucchero filato; si diede
immediatamente della stupida, rendendosi conto di quanto fosse
improbabile
trovarlo, in mezzo a manga e manuali di giochi di ruolo.
Immancabilmente,
come da copione, Marta bussò tre volte alla porta, ripetendo
il nome di Giovanni.
Stefania incrociò le braccia davanti al prosperoso petto e
sbuffò, voltandosi
per nascondere una smorfia divertita.
Ad
aprirle, però, fu qualcun altro.
«Ehi,
Marta!» esclamò Matteo, raggiante. Si fece
indietro per lasciarla passare.
«Come stai? Ah, Stefania, non ti avevo vista!»
“Certo,
come se fosse possibile.”
«Scusa
il ritardo, spero sia rimasto qualcosa da mangiare» disse
Marta, sorridendo e
inclinando la testa a destra, per poi scuoterla e tornare a guardare
Matteo, le
guance leggermente arrossate.
Stefania
sospirò e li oltrepassò, diretta verso il bancone
per salutare Giovanni con un
cenno del capo. Lo aveva visto solo alcune volte – lo
incrociava soprattutto
all’associazione ludica – e gli rivolgeva la parola
esclusivamente al momento
di pagare i suoi acquisti, ma non voleva essere maleducata. Il
proprietario
della Collina del Vecchio Mangaka
rispose con un sorriso di circostanza, poi tornò a riempire
il contenitore
verde delle patatine.
Non
erano in molti a conoscere Stefania da quelle parti: i compagni di Pathfinder erano più piccoli
di lei –
ventunenne – e andavano tutti al liceo, per cui quella sera
erano probabilmente
stati costretti dai genitori a restare a casa, visto che già
il giorno
successivo sarebbero rientrati tardi; quando lei si era iscritta
all’associazione ludica, quel gruppo era stato
l’unico a disporre di un posto
ancora libero, così aveva dovuto accontentarsi. Matteo
masterizzava nella
stanza accanto il martedì sera e le era capitato di
parlarci, ma l’unica vera
persona che potesse considerare un’amica era Marta, la
ragazza dai corti
capelli rosso fuoco – un tempo castani – e con la
mania dei telefilm che aveva
condiviso con Stefania il primo gioco di ruolo, tre anni prima: il
cugino di
Marta si divertiva a fare il game master, prima di doversi trasferire
per
lavoro in Piemonte, così aveva invitato lei, alcuni amici e
la vicina di casa –
Stefania – a provare la quarta edizione di D&D. Era
stata una bella
esperienza per la timida liceale che a quei tempi sfiorava i novanta
chili, ma
preferiva non ricordarla, perché altrimenti avrebbe dovuto
ammettere che quel
bel periodo si fosse concluso prima ancora della partenza del game
master. E
tutto perché si era stupidamente illusa.
“Cosa
diceva il Dottore? ‘Non battere ciglio’ Non esitare
nemmeno un istante, non
credere che qualcuno possa notarti. Vogliono solo prenderti in giro.
Non
illuderti. ‘Fallo e sei morta.’”
Scorse
una fila di sedie vuote e si sedette. Voleva andare alla festa per
vincere la
sua diffidenza per il genere umano, ma la lite che aveva avuto a cena
con i
genitori le aveva spento ogni speranza. Si guardò intorno
alla ricerca di Marta
e la vide intenta a spiare ogni movimento di Matteo; si sarebbe
volentieri
avvicinata, ma la sua amica era troppo prossima al tavolo dei dolci e
Stefania
non poteva permettersi di sgarrare la dieta.
Con
la coda dell’occhio notò due ragazzi chiacchierare
fittamente, lanciando di
tanto in tanto un’occhiata nella sua direzione. Uno di loro
era alto, moro e
apparentemente pronto a esibire in ogni momento il suo sorriso
smagliante.
L’altro era più piccolo e gracile, ma aveva gli
stessi capelli neri; indossava una
maglietta della HBO con lo stemma degli Stark. In un altro momento
forse
Stefania avrebbe apprezzato un fan del Trono
di Spade, seppure tifasse per quegli inetti
degli Stark, ma era troppo arrabbiata per contenere il suo disprezzo.
Soprattutto
quando l’aspirante “Re del Nord”
lasciò la sua postazione e si avvicinò a lei,
mentre il suo compagno ridacchiava divertito, Stefania trovò
la sua presenza
altamente irritante ancor prima che prima che aprisse bocca.
«Ciao!»
esclamò pimpante, prima di rivolgere una fugace occhiata
all’amico, alla
ricerca di approvazione.
Sta’
tranquillo, Rickon
Stark, hai cominciato nel modo migliore il perfetto finto abbordaggio.
Stefania
non rispose, si limitò a sollevare un sopracciglio,
attendendo che il ragazzo
parlasse di nuovo.
«Mi
chiamo Leonardo. Ti ho… ti ho vista oggi al
negozio» esordì, fissandosi le
scarpe. Oh, perfetto, non aveva nemmeno il coraggio di guardare in
faccia la
sua vittima! «Avevi… beh, indossavi una bella
maglietta.»
Che
si stringeva sulle
tue enormi e spaventose tette!
Stefania
impedì che continuasse. «Non so che razza di
scommessa abbiate fatto, ma andate
a trovare qualcun altro da prendere per il culo!»
Leonardo
sembrava spiazzato, alla disperata ricerca di una scusa che potesse
impedirgli
di apparire come un ragazzino in cerca di uno stupido divertimento
– proprio
quello che era, agli occhi di Stefania.
«No,
aspetta, non volevo… Tu… Ecco, Game
of
Thrones…»
«Ah,
perfetto!» Stefania scattò in piedi, il volto
paffuto completamente rosso.
Pregò che gli occhiali impedissero a Leonardo di vedere i
suoi occhi verdi diventare
lucidi. «Avevate già organizzato tutto, eh? Hai
perfino perso tempo a cercare
una maglietta adatta! Va’ al diavolo!»
Senza
aggiungere altro o ascoltare ulteriori tentativi di scuse, si
allontanò verso
il bagno, incapace di rimanere insieme ad altri esseri umani per un
secondo di
più.
♠
Roberto
non capiva proprio perché Leonardo ci fosse rimasto tanto
male, dopo che
quell’evidente misantropa l’aveva aggredito.
D’accordo, avrebbe voluto passare
la serata a chiacchierare di Stark, Lannister e quell’altra
casata coi draghi –
nomi impronunciabili – ma non sarebbe andata così.
E allora? Perché prendersela
per la reazione esageratamente isterica di una sconosciuta?
«Dai,
Leo, che ti frega?» disse per l’ennesima volta,
mentre a braccia conserte
osservava alcuni diciottenni giocare a Munchkin.
Giovanni
amava quel gioco, ma si limitava a osservare gli invitati dietro le
spalle di
un agitato nuovo arrivato, consapevole che avrebbe battuto quegli
inesperti
giocatori al terzo giro; Roberto, che aveva già fatto la sua
parte e bramava il
momento in cui il tavolo sarebbe rimasto libero per permettergli di
sconfiggere
Giovanni e Matteo, era stanco di ascoltare i lamenti di Leonardo.
«Ma
non capisco cosa sia successo! Un attimo prima mi ascoltava in
silenzio, quello
dopo mi urla addosso… Cosa le ho detto?»
«È
solo una pazza, lasciala perdere. Tieni.» Estrasse un hentai
a caso dallo
scaffale e glielo lanciò. «Leggiti questo, non
è male. Almeno penserai ad altro
per un po’.»
Leonardo
scosse la testa e fece segno di volerlo mettere a posto. «No,
grazie, non è il
mio genere.»
«Impossibile,
è il genere di tutti.»
Lo
lasciò lì, tra gli scaffali colmi di manga e il
tavolo su cui stavano giocando
a Munchkin, e si allontanò. Guardandosi intorno, Roberto si
chiese perché fosse
venuto alla festa: gli piacevano i giochi da tavolo – li venerava – e avrebbe volentieri
speso quella serata a vincerne
quanti più possibili, ma battersi con dei ragazzini alle
prime armi non faceva
per lui. E mentre attendeva che loro si stancassero cosa poteva fare?
Non
sapeva di cosa parlare: avrebbe volentieri sostenuto una conversazione
sugli
ultimi giochi che aveva provato, ma quanto sarebbe durata?
“Ehi,
bello 7 Wonders, è
veloce e divertente.
E adesso di che si parla?”
Roberto
non era in grado di definirsi: odiava il calcio e le discoteche, non
andava
all’università né avrebbe mai voluto
iscriversi, passava le giornate ad
ascoltare i Queen e, infine, si costringeva a seguire alcune serie tv
pur di
avere qualcosa di cui parlare. Tra imparare i nomi dei giocatori della
Roma e
gli interpreti di tutti gli undici Dottori, preferiva di gran lunga la
seconda
opzione. Aveva guardato qualche puntata di Supernatural,
ma l’aveva ben presto giudicata una
“schifezza”; gli avevano consigliato Pretty
Little Liars – «Non è solo
roba
per ragazze!» - e dopo qualche puntata presa qua e
là aveva decretato che sì,
era solo roba per ragazze. Torchwood
era passabile, The Big Bang Theory
insopportabile – ma doveva pur seguirla, tutti la seguivano-
e Glee tutto canzoni e niente
azione. Gli
piaceva Game of Thrones, ma non
sarebbe mai stato capace di intavolarci una conversazione: non
ricordava quasi
alcun nome, a lui interessavano solo le belle forme di Sibel Kekilli
– che
certamente non aveva conosciuto come Shae – e il sangue che
sgorgava in
continuazione. Si vergognava un po’ ad ammetterlo, ma forse
l’unica serie tv di
cui avesse guardato ogni puntata era Squadra
Speciale Cobra 11. Non lo avrebbe mai detto a nessuno.
Guardava
qualche anime di tanto in tanto, ma erano per lo più shonen
che amava fin
dall’infanzia e che cercava in streaming quando si annoiava.
Purtroppo la noia,
però, era sempre più frequente: doveva fare
qualcosa per combatterla, invece
che fingersi appassionato di manga e serie tv solo per cercare il
consenso dei
“nerd” dell’associazione ludica. Si stava
perfino stufando di vincere ogni
gioco da tavola che si trovava davanti! Forse poteva iniziare a mandare
sms
firmandosi A. Di sicuro si sarebbe divertito per un po’, ma
non conosceva i
segreti di nessuno.
Si
avvicinò al tavolo dei dolci, senza accorgersi che la
misantropa che aveva
spaventato Leonardo fosse proprio lì, intenta a mettersi nel
piatto due fette
di ciambellone; aveva un’espressione scura sul volto,
sembrava che si stesse
biasimando. Forse Roberto poteva far qualcosa per vincere la noia,
almeno
quella sera.
«Se
proprio devi farti del male, evita quel ciambellone. L’ha
fatto Giovanni, non
sa proprio cucinare.»
La
ragazza si voltò e lo fulminò con lo sguardo.
Roberto si aspettava che
scappasse, ma non lo fece.
«Io
sono Roberto.»
«Chissenefrega»
replicò lei, dandogli le spalle e servendosi una manciata di
salatini.
«Il
piacere è mio, miss Chissenefrega.»
«Battuta
scontata.»
«Come
il tuo atteggiamento da stronza.» Roberto si strinse nelle
spalle e le mise nel
piatto una fetta di torta di mele. «Questa è
buona, allevierà i tuoi sensi di
colpa.»
«Per
essere una stronza?» La ragazza si riprese
dall’iniziale sconcerto nel sentirsi
rivolgere quell’accusa e finse – com’era
evidente che fingesse! – che non le
avesse dato fastidio, esibendo un sorriso tirato.
«No,
perché sei andata contro la dieta mangiando roba che fa
schifo.»
«Chi
ti dice che sono a dieta?»
«Oh,
se non lo sei, dovresti.»
Ancora
una volta, lei restò spiazzata, così Roberto ne
approfittò per continuare.
«Il
mio amico c’è rimasto male, perché
l’hai trattato così?»
«Voleva
prendersi gioco di me.»
«Ma
figurati, lui…»
«Ah,
Stefy, eccoti!»
Fu
interrotto dall’arrivo di una ragazza, che si interpose fra
lui e la
misantropa. Capelli corti e mossi, unghie mangiucchiate, tre orecchini
e
immancabile paio di jeans, Marta non diede segno di averlo visto,
troppo
impegnata a sbavare dietro a Matteo. Tutti lo avevano notato, ma
sembrava che
il diretto interessato, come al solito, fosse l’unico a non
essersene accorto.
«Ciao,
Marta» la salutò, facendola voltare.
«Stavo facendo la conoscenza della tua
amica, ma si ostina a non dirmi il suo nome.»
«Un
motivo ci sarà» ridacchiò Marta,
afferrando la mano dell’amica e costringendola
a stringere quella di Roberto. «Roberto, lei è
Stefania. Stefania, Roberto.»
«Incantato»
scherzò lui, ammiccando a Stefania. «Come mai la
cercavi? Stavo godendo della
sua ottima
compagnia…»
Stefania
lo fulminò ancora una volta.
«Matteo
aveva una cosa da dirci» rispose Marta, emozionata.
«Ho pensato che a Stefania
potesse interessare…»
«Non
mi interessa.»
«Che
ne sai? Secondo me la sua è un’ottima
idea.»
«Certo,
le sue sono sempre ottime
idee!»
“O-oh,
sarebbe bello scrivere una femslash su di loro! Stefania gelosa
dell’amore che
Marta prova per Matteo… Uhm, però non verrebbe
una storia molto originale,
dovrei aggiungere altre complicazioni.”
Quella
era davvero una cosa che Roberto non avrebbe mai e poi mai detto a
nessuno:
scriveva racconti su un sito. Aveva anche un discreto successo, ma
alcuni
lettori gli avevano consigliato di allontanarsi dal rating rosso e dal
PWP
almeno per una volta. Lui stava riflettendo sulle possibili trame, ma
non ne aveva
trovata ancora una soddisfacente.
“Potrei
fare come in quel manga, Otomen:
basarmi su persone realmente esistenti e scrivere una long di
successo… Credevo
che Viola mi avesse fatto leggere una schifezza, ma forse
quell’unico volume
che ho comprato potrebbe darmi l’idea
giusta…”
Ma
lui non era abile nelle femslash. Poteva concentrarsi su Marta e
Matteo, ma la
loro storia era così noiosa…
Una
ragazza si prende una cotta che non verrà mai ricambiata,
che novità!
«Allora?»
Roberto
si riscosse dai propri pensieri. Gli occhi castani di Marta lo
scrutavano
indagatori, in attesa di una risposta. Stefania era sparita.
«Scusa,
ero sovrappensiero.»
«Ti
va di ascoltare quello che ha da dire Matteo? Stefy ha detto che
preferisce
prendere una boccata d’aria, magari le riferisco tutto
dopo…»
«Ma
sì, dai!»
Marta
era carina, rifletté Roberto mentre si avvicinavano a
Matteo, assorto in una
fitta conversazione con Leonardo e Giovanni. Non era altissima
– e questo era
un punto a suo favore: gli uomini spesso sono spaventati dalle ragazze
con
qualche centimetro più di loro – e i capelli rossi
le stavano molto bene;
probabilmente sarebbe risultata un po’ anonima senza tinta e
fuori da quel
contesto, doveva sembrare una ragazza come tante
all’università, ma nel negozio
di fumetti spuntava su tutti con la felpa di Doctor
Who e la collana con il simbolo dei Doni della Morte. Poteva
essere un soggetto interessante per una storia.
«…
e quindi avevo pensato… Ah, Marta, sei tornata!»
Matteo
era visibilmente eccitato alla prospettiva di esporre la sua idea.
Leonardo non
chiese niente a Roberto riguardo a Stefania, quindi non doveva averli
visti
parlare.
«Stavo
dicendo agli altri che i giocatori del martedì sera mi hanno
stancato,»
proseguì Matteo, gesticolando, «ma mi dispiaceva
chiudere l’avventura perché so
quanto a Leo stia a cuore. Oggi pomeriggio, però, ho
scoperto un nuovo manuale
di Pathfinder: ne avevamo
già un po’
in negozio, ci ho fatto caso solo ora.» Estrasse qualcosa che
aveva riposto
sotto il bancone, mostrandolo ai presenti.
«Rise of the Runelords» lesse
Roberto.
«Quindi stai riunendo un po’ di gente per giocare
una nuova campagna?»
«Io
ci sto!» si mostrò immediatamente disponibile
Marta, alzando la mano. Il
cellulare le squillò e fu costretta a ritrarla per leggere
il messaggio.
«Anch’io»
disse Leonardo. «Tu che ne pensi, Gio?»
Giovanni
alzò le spalle. «Non lo so, sono un po’
impegnato in questo periodo… Vi farò
sapere.»
«A
me va bene» concluse Roberto.
Matteo
era euforico, stringeva il manuale al petto come se fosse una sua
creazione.
«Vi va di cominciare questo venerdì? Ho
già letto gran parte dell’avventura.»
Annuirono
tutti, tranne Marta, concentrata sul cellulare.
«Marta?
Tutto bene?»
«Per
niente: Stefania se n’è andata, dice che si stava
annoiando.» Alzò lo sguardo,
accigliata. «Non so come tornare a casa.»
«Posso
accompagnarti io» propose Matteo. «Devi aspettare
che finisca la festa, però.
Dovrò aiutare a mettere a posto…»
Marta
stava già per sorridergli al settimo cielo, quando Roberto
fu colto
dall’ispirazione.
«Posso
pensarci io. Abitiamo vicino, no?»
Il
sorriso di Marta si spense, accompagnato dalle parole di Matteo:
«Forse è
meglio, credo finiremo molto tardi e se non mi sbaglio domattina hai
l’università.»
Marta
sembrava combattuta tra la delusione e la felice scoperta che Matteo
conoscesse
almeno un po’ i suoi orari. Si voltò verso
Roberto. «Grazie mille, allora verrò
con te.»
Lui
sorrise e le ammiccò. «Figurati, è un
piacere.»
♠
«Ci
vediamo domani!»
Matteo
chiuse la porta a vetri della Collina del
Vecchio Mangaka, facendo suonare i campanelli appesi al suo
interno. Era
stata una sua idea: se entrambi i proprietari, in quel momento, fossero
stati
nella stanza sul retro, sarebbero stati avvisati dai campanelli
dell’ingresso
di un cliente; peccato che, ogni volta, non si dessero nemmeno la pena
di
andare a controllare.
Mentre
inseriva l’allarme nel negozio e usciva nella strada
illuminata dai lampioni e
dalla luna, trasportando i rifiuti di quella sera, Giovanni si chiese
se lui e
Matteo non fossero troppo ingenui: chiunque, in loro assenza, avrebbe
potuto
rubare qualche manga o perfino un costosissimo manuale di Vampire: The Masquerade, però
i proprietari del Vecchio Mangaka
sembravano confidare
così tanto nel prossimo – o perlomeno nei loro
clienti – da non temere furti.
Finora, inoltre, non erano ancora stati messi alla prova.
Casa
sua non era distante dal negozio, così Giovanni si era
offerto di chiudere,
lasciando andare Matteo via prima – era talmente emozionato
che il suo collega
intuì che desiderava tornare a casa al più presto
per finire di leggere il
manuale. Da quanto tempo Giovanni non si emozionava come lui? Non si
sarebbe
fatto una domanda del genere il giorno prima, ma la mattina seguente
sarebbe
dovuto andare dall’avvocato. E avrebbe rivisto
Caterina…
Girò
la chiave nella toppa dell’appartamento, entrò e
appoggiò il mazzo di chiavi
sul mobiletto dell’ingresso. Rivedere quel posto
così familiare, senza sentire
la risata di Cate, gli mozzò il fiato in gola.
«Passeremo
qui il resto
della vita! Ci pensi? Abbiamo risparmiato fin dal liceo, ma ne
è valsa la pena.»
Nel
buio fu attratto da una luce. Proveniva dalla cucina, sembrava che in
casa ci
fosse qualcuno…
Fu
colto da un moto improvviso di sollievo, ma quando raggiunse la stanza
scoprì
che non c’era nessuno. Solo la televisione, che probabilmente
lui stesso aveva
lasciato accesa quando era uscito di casa. Il volume era basso,
un’abitudine
che Giovanni non aveva ancora rimosso. Amava restare alzato fino a
tardi, ma
Cate la sera era talmente stremata dal lavoro da bramare solo il letto,
così
lui sceglieva un DVD dalla pila dei suoi anime e lo inseriva nel
lettore, per
gustarselo anche con il volume al minimo, in modo da non disturbare la
moglie.
Durante i primi tempi la raggiungeva al letto dopo solo
un’ora, baciandole la
fronte e aspettando che lei si adagiasse sul suo petto, rassicurata
dalla sua
presenza, ma con il tempo Giovanni si era accorto di preferire stare
davanti
alla televisione piuttosto che entrare nella loro camera quanto prima.
Sollievo.
Già, era proprio quello che aveva provato all’idea
che Cate fosse tornata a
casa, non felicità: un patetico senso di sollievo per non
dovere alzarsi alle
otto, controllare i documenti e recarsi nell’ufficio del suo
avvocato, dove ci
sarebbero stati anche la moglie e il suo legale. Non avrebbe dovuto
farsi la
barba né scegliere un vestito adatto
all’occasione, ma soprattutto udire ancora
le parole taglienti di Caterina, mentre dondolava ritmicamente la gamba
nascosta
da una sottile calza.
«Voglio
la casa. Può
tenersi il resto, ma l’appartamento è
mio.»
Chiunque
avrebbe pensato che fosse una buona richiesta: Giovanni avrebbe tenuto
l’auto,
l’impianto stereo e le due televisioni; tuttavia tornare
nella casa dei
genitori a trentacinque anni era impensabile, inoltre sapeva che il
motivo per
cui Cate desiderava quell’appartamento era solo sottolineare
quanto fossero
gravi i loro problemi. Tanto da rinunciare al sogno che avevano
coltivato fin da
sedicenni.
C’era
una loro foto sopra la televisione accesa, risaliva al loro matrimonio.
Cate
indossava un abito bianco che si allargava sul ventre, dove spuntata la
causa
delle loro nozze frettolose – sebbene già stessero
insieme da dieci anni. I capelli
biondi, più chiari di quelli del marito, erano legati in una
crocchia stretta
sopra la testa, solo due ciuffi ricadevano ai lati degli occhi dorati.
A quel
tempo Giovanni non indossava ancora gli occhiali, così le
sue pupille azzurre
non erano nascoste dalle lenti. Entrambi gli sposi sorridevano, felici
come non
lo erano mai stati.
Ci
avevano provato. Dopo che i sentimenti erano appassiti, dopo che Cate
era
tornata a casa in lacrime, confessandogli di averlo tradito, avevano
provato ad
andare avanti; anche durante la separazione si erano frequentati, erano
stati a
letto insieme, ci avevano provato.
Ma
Giovanni aveva capito che era inutile fin dal momento in cui la notizia
del
tradimento non lo aveva ferito come avrebbe dovuto.
Avrebbe
soltanto desiderato che la fine della loro storia non avesse messo in
mezzo
avvocati e famiglie incredule. Avrebbe voluto che fosse come al liceo,
quando
lui e Cate si erano lasciati per due mesi e avevano semplicemente
smesso di
cercarsi a ricreazione – finché i loro migliori
amici non si erano messi in
mezzo per farli riappacificare.
Spense
la televisione e andò all’armadio per prendere una
coperta: quella notte
avrebbe dormito sul divano, faceva già troppo male per
tornare in quel letto
vuoto.
NOTE
Il titolo è una
citazione di Doctor Who.
STEFANIA
- “Marta bussò tre
volte alla porta, ripetendo il nome di Giovanni”: riferimento
a The Big Bang Theory.
- La Collina del Vecchio
Mangaka: in
un’avventura che sto giocando, esiste la locanda
“La Collina del Vecchio
Pirata”; “mangaka” è il
termine con cui si designano gli autori di manga.
- game master:
colui che guida l’avventura.
- HBO: canale su
cui viene trasmesso Game of Thrones.
- Rickon Stark: il
più piccolo figlio degli Stark, purtroppo ormai noto come
“quello che non si
fila nessuno”.
ROBERTO
- “Forse poteva
iniziare a mandare sms firmandosi A”: riferimento a Pretty Little Liars
- femslash: storia
d’amore tra due donne
- PWP: Plot? What
Plot?
Ho inserito anche
le note riguardanti le fanfictions, non si sa mai!
SPAZIO AUTRICE
Un abbraccio a
tutti! Sì, vi stritolo, perché sto cercando di
impegnarmi con questa long e mi
fa piacere che venga letta ^^ Se potete, lasciate una recensione,
giusto per
darmi un segno del vostro passaggio e dirmi cosa funziona e cosa non
funziona,
sennò non importa :D
Ringrazio tutte
coloro che hanno messo la storia nelle preferite/seguite e che hanno
recensito;
un grazie particolare va a Dark Aeris, che mi sta aiutando a cercare
gli errori
di distrazione e a sistemare qualche frase che non suona bene!
Secondo capitolo,
introduzione degli altri tre protagonisti. Mi dispiace che sia stato un
capitolo un po’ “pesante” (a eccezione
della parte su Roberto, ho parlato di
una ragazza “soffocata” dalla consapevolezza del
proprio peso e di un uomo alle
prese con una separazione), però ho dovuto farlo
perché non tutti i protagonisti
sono “allegri, pimpanti e sempre pronti a ridere”.
Andando avanti, però (e già
dal prossimo capitolo), le interazioni fra loro faranno sì
che la long assuma
sempre più l’aspetto di una commedia –
anche se momenti “bui” capiteranno
necessariamente (Giovanni dovrà pur sempre separarsi dalla
moglie, sigh).
Ci vediamo al
prossimo capitolo e grazie per ogni segno del vostro passaggio che
lascerete
(anche se sarà solo un numero nelle visualizzazioni della
storia)!
Medusa
|
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Capitolo 3 *** Dobbiamo ampliare la nostra cerchia di conoscenze ***
Dobbiamo
ampliare la nostra cerchia di
conoscenze
Lasciare
una campagna era sempre stato difficile per Leonardo – che
non era mai riuscito
a terminarne una, a causa degli impegni che gli altri partecipanti
usavano come
scuse – però, per la prima volta in otto anni, non
gli dispiacque la notizia
che il gruppo del martedì sera si sarebbe sciolto. Se non
importava a lui,
figurarsi ai suoi compagni, che nel gruppo Facebook risposero al lungo
avviso
di Matteo sulle motivazioni che avevano portato alla fine della
campagna con un
semplice e sbrigativo: “Meglio, stasera avevo una partita di
calcetto. Qualcuno
di voi vuole venire?”
Il
Matteo che Leonardo conosceva si sarebbe arrabbiato ed era
così che credeva di
trovarlo ancora, quando arrivò alla sede
dell’associazione ludica, ma
inaspettatamente il suo game master era raggiante, tanto entusiasta per
l’inizio della nuova avventura da avere perdonato in soli tre
giorni l’indifferenza
dei giocatori precedenti.
«Ciao»
lo salutò non appena ebbe varcato la soglia:
com’era prevedibile, lui e Matteo erano
stati i primi ad arrivare.
«Ehi,
Leo!»
Una
pacca sulla spalla – così poco da Matteo
– e il continuo gesticolare del game
master fecero capire a Leonardo che probabilmente
l’indifferenza totale riguardo
la chiusura della campagna non lo aveva neppure sfiorato. Lo vide chino
su
alcune schede, poi gliene passò una.
«Vi
ho chiesto di venire presto così possiamo cominciare subito
a giocare, dopo
aver preparato le schede» gli disse. «Sai
già che personaggio interpretare?»
Era
una domanda retorica. Leonardo sorrise e afferrò il foglio,
la matita già
pronta in mano.
Elfo
mago,
scrisse immediatamente.
In
molti gli avevano fatto notare che giocare lo stesso personaggio lo
faceva
apparire un power-player, ma a
Leonardo non interessava: gli elfi erano potenti e serviva sempre un
mago in
una compagnia di avventurieri. E anche un barbaro, ma lui sperava che
ci
avrebbe pensato qualcun altro.
A
Leonardo piaceva tenersi al sicuro, lontano dalla mischia, lanciando
magie e
creando elementali; inoltre giocare da anni la stessa classe gli aveva
fatto
apprendere ormai ogni singolo incantesimo, evitandogli di consultare in
continuazione il suo manuale, che comunque portava sempre con
sé.
«Come
pensi di chiamarlo?» gli chiese Matteo, dopo che Leonardo
ebbe distribuito i
punti. Il 20 in Intelligenza troneggiava sulle altre caratteristiche,
soprattutto sul 9 in Forza.
«Jerle.»
«Shannara?»
«Esattamente.»
«Voli
basso come al solito!»
A
parlare era stato Roberto, apparso sulla soglia della stanza con il
consueto
sorriso beffardo sul volto. Un paio di occhiali da sole celava i suoi
occhi
verdi.
«Sono
le otto e mezza, come puoi andare in giro così?»
Roberto
si tolse gli occhiali e ammiccò a Leonardo. «Sono
stato in giro tutto il giorno,
perdonami.»
«Il
tempo non è stato tanto bello da indossare gli occhiali da
sole.»
«E
avrei dovuto mostrare i miei occhi? Impossibile, non sarei riuscito a
venire
stasera, contornato da ragazze adulanti.»
Leonardo
non riusciva a capire se Roberto gli piacesse o meno. Di certo non era
un
ragazzo comune, riusciva anche a essere simpatico e la sera della festa
lo
aveva incoraggiato ad avvicinarsi alla pazza,
però gli bastava davvero poco per rendersi insopportabile ai
suoi occhi:
quell’atteggiamento di uomo di mondo era tanto prevedibile in
un bel ragazzo di
venticinque anni da ricordare a Leonardo le enormi differenze tra di
loro.
«Elfo
mago, non mi dire!» esclamò Roberto, scrutando
oltre le sue spalle.
«Preferirei
che non facciate tutti gli elfi,» disse Matteo, porgendo una
scheda anche a
lui, «l’ambientazione richiede soprattutto
umani.»
«D’accordo,
farò l’umano» si arrese Roberto.
«Non che avessi intenzione di crearmi un elfo,
non è proprio il mio genere. Ed è effemminato.»
«Non
è vero» protestò Leonardo.
«E
allora perché saresti arrossito?»
No,
Roberto non riusciva proprio a piacergli del tutto.
«Uhm,
vediamo… Un personaggio alla ricerca di gloria e
onori… Paladino? Naaa, non mi
piace fare il Legale Buono, preferisco un allineamento
Neutrale… Ma sì, mi
faccio un guerriero!»
«Ci
serve un barbaro.»
Leonardo
aveva sperato che fosse lui a farlo. Non sapeva in quanti sarebbero
stati, ma
era essenziale avere un barbaro nel gruppo – oltre a un
chierico pronto a
curare le ferite e a un ladro per disattivare le trappole e scassinare
le
serrature. I guerrieri potevano attendere, anche se forti.
«Ce
l’abbiamo, un barbaro.» Roberto gli rivolse un
sorriso compiaciuto, che
Leonardo non riuscì a comprendere.
«A
chi ti riferisci? Marta?»
«Marta
fa il ladro» si inserì nella conversazione Matteo.
«Giovanni?»
«Non
verrà.»
«E
chi…?»
«Uh,»
lo interruppe Roberto, «ecco la risposta che cammina
soavemente verso di noi.»
Leonardo
si voltò e fu costretto a sgranare gli occhi. Davanti a lui,
nel cortile che
precedeva l’ingresso all’associazione, Marta si
avvicinava a passo svelto,
reggendo una borsa a tracolla di Star
Trek che minacciava di scivolarle dalla spalla;
salutò i suoi futuri
compagni d’avventura, ma Leonardo era concentrato sulla
ragazza dietro di lei,
che sembrava non averlo ancora visto. Roberto gli diede una gomitata
nello
stomaco.
«Marta!
Come stai?» Si mosse subito verso la ragazza e
l’abbracciò. Leonardo notò che
quel gesto fu inaspettato per lei.
«Bene,
grazie. Ciao, ragazzi! Ho portato un’amica, alcuni di voi la
conoscono già.»
Fu
a quel punto che Stefania si accorse della presenza di Leonardo.
Probabilmente
si sarebbe limitata a fulminarlo con lo sguardo – come se lui
avesse qualche
colpa, era stato lei ad aggredirlo! – ma il ragazzo si
lasciò fuggire un: «Tu!»
«Rettifico:
tutti.»
«Che
cavolo ci fai qui?» gli chiese Stefania, invece di salutarlo.
«Ecco
il barbaro che cercavi» disse Roberto. «Ehi,
bellezza, come stai?»
Ma
Leonardo, ferito nell’orgoglio per quel tentativo di
approccio che gli era
costato così tanto, parlò sopra di lui.
«Questa
è la mia associazione ludica» rispose, tenendo il
mento alzato nella speranza
di sembrare più alto.
«L’hai
fondata tu?»
Quella
domanda lo colse di sorpresa. «Beh, no…
ma…»
«Allora
non è tua.»
Senza aggiungere altro,
Stefania si sedette e afferrò una scheda vuota.
«Ehm…
Qualcuno ha bisogno di aiuto?» chiese Matteo, nel disperato
ed evidente
tentativo di placare gli animi e mantenere l’euforia della
nuova campagna.
«Sì,»
si fece immediatamente avanti Marta, «ho provato a fare la
scheda da sola, ma
non sono sicura di…»
«Ti
aiuto io» la interruppe Roberto.
«Ah…
Va bene, grazie.»
Leonardo
si tolse il giacchetto e lo posò sulla sedia più
distante da Stefania, anche se
in tal modo era costretto a starle di fronte. La bella serata
minacciava presto
di rivelarsi un fallimento.
♠
Marta
aveva sperato che l’espressione raggiante di Matteo di
qualche sera prima, alla
festa, fosse riservata a lei e solo a lei. O che perlomeno ne fosse la
causa.
Invece Lui non aveva fatto altro che rivolgere sorrisi ebeti a tutti i
clienti
del Vecchio Mangaka e sospirare
davanti
agli scaffali; il lato positivo di quella piccola delusione era stato
finalmente l’inizio di una nuova campagna che rappresentava
la possibilità di
vederlo con certezza almeno una volta a settimana.
Si
erano conosciuti un anno prima, in quella stessa stanza tappezzata di
poster
dedicati a D&D e di giochi da tavola impilati uno sopra
l’altro. Dopo che la
campagna giocata con Stefania si era interrotta, Marta aveva scoperto
l’esistenza di quella associazione ludica, Il
Sotterraneo del Drow, e si era presentata lì
carica di speranze e
aspettative; ad attenderla, però, era stato un gruppo di
dodicenni impegnati in
un torneo di Yu-Gi-Oh! e
l’eccessivo
chiasso l’aveva convinta ad andare via. Stava per mettere un
piedi fuori dalla
porta quando qualcuno le aveva posato una mano sulla spalla, facendola
sussultare.
«Ehi»
le aveva detto. «Abbiamo già mangiato.»
Battuta
pessima, aveva pensato Marta, ma forse il suo interlocutore non aveva
avuto
tempo di pensarne un’altra, troppo impegnato a fermare una
delle poche ragazze
che si vedevano da quelle parti. Parlando con lui aveva scoperto che si
chiamava Giovanni, che gestiva un negozio di fumetti poco lontano da
lì e che
l’età media degli iscritti
all’associazione si alzava la sera, quando cessavano
le lezioni all’università e il giorno seguente si
poteva mettere la sveglia
alle dieci.
«Oggi
non posso allontanarmi da loro.» Con un cenno del capo
Giovanni aveva indicato
i giocatori. «Ma puoi tornare qui alle nove, ti
parlerò dell’associazione.»
E
Marta l’aveva fatto, si era presentata al Sotterraneo
quella stessa sera, meno motivata però del pomeriggio.
Almeno fino a quando non
aveva visto Matteo. Era in corso una sessione di Pathfinder
e Giovanni era uno dei giocatori; si sarebbe volentieri
preso una pausa per spiegarle ogni dettaglio
sull’associazione ludica, ma il
game master aveva insistito affinché Marta prendesse
temporaneamente il posto
di un giocatore mancante. Le era stata data la scheda di uno gnomo
bardo e per
mezz’ora lei si chiese chi mai avrebbe potuto scegliere un
personaggio del
genere, fino a quando non arrivò il ritardatario.
«Ciao,
ho cambiato sesso?»
Altra
battuta scontata, ma d’altra parte Marta già aveva
iniziato a covare dei
pregiudizi per chi gestiva un tale personaggio; si ritrovò
però ad ammettere
che quel Matteo fosse un ragazzo – un uomo – molto
carino, nonostante la
maglietta di Mazinga. Si
stupì
inoltre nel vederlo interpretare il suo bardo, era
l’attrazione più
interessante della sessione: non importava quante viverne stessero
combattendo,
i gesti spettacolari e avventati dello gnomo riuscivano ad alleggerire
la
tensione.
Dalla
settimana seguente Marta era entrata ufficialmente nel gruppo con il
suo
chierico, ma l’avventura volgeva già verso la fine
e lei aveva potuto
approfittare della compagnia di Matteo – che stava scoprendo
esserle sempre più
gradita – solo per altri tre mesi. E ora, a diverso tempo di
distanza, dopo
piccole one-shot e partite a La
Città dei
Ladri, Marta aveva finalmente
l’opportunità di vedere Matteo senza doversi
inventare una scusa per recarsi al negozio di fumetti o
all’associazione. Gli
rivolse un fugace sguardo soddisfatto, prima di tornare a concentrarsi
sul suo
personaggio.
Amy,
umana ladra.
Lesse
il nome che aveva scritto sulla scheda e sorrise. Dopotutto doveva
creare un
personaggio umano, no? E cosa le impediva di usare un nome inglese?
Marta amava
le serie tv, stava ancora soffrendo alla prospettiva di non vedere
più Karen
Gillan e sapeva che Matteo avrebbe apprezzato quel riferimento a Doctor Who. Perché lo avrebbe
capito, ne
era sicura: Matteo capiva tutto, tranne le cose più evidenti.
Sentì
Stefania sbuffare alla sua sinistra e si voltò verso di lei.
Aveva lasciato
andare la matita e fissava la sua scheda dopo essersi assegnata uno
spadone
come arma.
«Hai
quasi finito i soldi» notò Marta da ladra amante
del denaro qual era. «Sicura
che ne valga la pena?»
«Non
me lo chiederai più quando avrò falciato in due
il ghoul che ti attaccherà.»
«Piacere,
io sono Amy.» Ma Matteo non l’aveva sentita,
impegnato a scorrere le prime
pagine del manuale per ripassare l’avventura.
«Ygritte.
E la mia spada è Jhiquireah.»
«Ma
dai, hai dato un nome alla spada?» si intromise Roberto,
affacciandosi sopra la
spalla di Marta.
Gli
occhi di Stefania dardeggiarono nella sua direzione. «E avrei
fatto male?»
«No,
macché, hai fatto benissimo: la trovo una scelta molto
sensata, per un
personaggio – immagino – che da sempre se la porta
dietro. E tu, Marta, hai
dato un nome alla tua fionda?»
Una
fionda. Stefania aveva speso cinquanta monete d’oro per uno
spadone, Roberto
vantava una spada lunga e Leonardo poteva usare la magia; lei,
però, possedeva
solo una fionda.
“D’altronde
è quello che vuoi, no?” si disse. “Sei
un ladro, l’importante è rimanere fuori
dalla mischia e disattivare le trappole.”
Avvertiva
il fiato di Roberto sul collo mentre parlava con Stefania. Lo avrebbe
volentieri
cacciato via, ma si era dimostrato molto gentile in quei giorni, prima
ad
accompagnarla a casa e poi ad aiutarla con la creazione del
personaggio, e
Marta non voleva essere scortese.
«E
il tuo nome quale sarebbe?» sentì chiedere
Stefania.
«Robert.»
«Ti
chiami Roberto e il tuo personaggio… Robert?»
«Sì,
perché? È un bel nome.»
«Fa
schifo.»
«E
non vuoi sapere che nome ho dato alla mia spada?»
Dal
rossore inaspettato sul volto di Stefania, Marta intuì che
Roberto doveva
averle rivolto un sorriso ambiguo.
«E
tu, Leo?» Roberto cambiò interlocutore prima che
Stefania trovasse il modo
migliore per ribattere. «Come va il tuo… come si
chiamava?»
«Jerle»
rispose Leonardo.
Marta
notò che cercava di non essere coinvolto nella
conversazione, ma Roberto – per
dispetto o per aiutarlo a combattere l’evidente timidezza
– non sembrava
volerlo lasciare in pace.
«Jerle…
Jerle… Non è un elfo?»
Stefania
aggrottò le sopracciglia. «Un elfo?»
«Beh,
sì.»
“Tentativo
sprecato” pensò Marta. “Uno prova a
farlo sentire accettato… e l’altra lo
accetta direttamente.”
«Che
schifo gli elfi.»
«Perché?»
«Sono
spocchiosi, effemminati e credono di poter essere la roba migliore che
si trova
sulla piazza.»
Marta
non riuscì a sentire le motivazioni di Stefania, nella sua
mente risuonava solo
un meccanico “EXTERMINATE!”
Leonardo
avvampò e già Marta lo immaginava soccombere,
mingherlino, di fronte a
Stefania. «Non è vero! Gli elfi… beh,
non sono rozzi come voi barbari!»
«Aggiungi:
e usano motivazioni abbastanza scadenti» sussurrò
Roberto all’orecchio di
Stefania, abbastanza forte da essere certo che anche gli altri lo
udissero.
“No,
qui entrambi vogliono farlo a pezzi.”
E
poi Matteo parlò. Due semplici parole che in un altro
contesto non sarebbero
significate molto, ma giunte per chiudere la discussione, per placare
gli animi
e infondere serenità a tutti. Marta poteva vederlo mentre
sollevava il
cacciavite sonico e liberava l’universo dai Cybermen, mentre
usciva illeso da
una pira funeraria con tre uova di drago tra le braccia, mentre con
l’intelligenza
e la scaltrezza di due fratelli in una mente sola ricacciava un demone
all’Inferno.
«Possiamo
cominciare?»
Già,
rifletté Marta, Matteo era un eroe in carne e ossa.
♠
Avevano
avuto poco tempo per giocare, ma l’avventura richiedeva uno
scontro con dei
goblin la prima notte della loro permanenza a Sandpoint, in Varisia.
Nonostante
Roberto fosse ben attento a ciò che stava accadendo nella
realtà – cercando di
cogliere ogni sguardo che Marta lanciava a Matteo – riusciva
nel contempo a
immedesimarsi con l’umano varisiano che doveva interpretare.
Il
gruppo si era conosciuto quel pomeriggio alla Festa della Coda di
Rondine, che
si teneva in città negli ultimi giorni di settembre. Amy e
Jerle erano del
posto, mentre Robert veniva dalla più grande Magnimar in
cerca di onori – e
come non fermarsi a Sandpoint con una festa in corso? – e
Ygritte era una
Shoanti delle Kodar Mountains, fuggita dal suo paese natio dopo che
un’influenza mortale ne aveva colpito gli abitanti. Si
stavano chiedendo dove
avrebbero potuto alloggiare, quando delle urla provenienti dal centro
della
città li avevano messi in guardia.
«Sono
goblin!» esclamò Leonardo, accorso a vedere
insieme agli altri.
«Davvero,
Sherlock? Mi sembravano viverne.»
«Non
dovresti… Sei un barbaro, non dovresti parlare in questo
modo!»
«Ah,
giusto, allora ti prendo direttamente a botte!»
Roberto
sorrise, ascoltandoli litigare. Aveva un sorriso per ogni occasione:
per
sedurre una ragazza, per provocare un rivale, per lanciare una
frecciatina
pungente e poi addolcirla perché il destinatario non si
rendesse conto di venire
deriso, perfino per ordinare il gelato al bar; e ovviamente aveva un
sorriso
tutto speciale per Giovanni e Matteo, quando arrivava alla cassa con
una scorta
di hentai appena usciti.. Poi c’era il sorriso sincero,
divertito, molto simile
a una contrazione involontaria delle labbra, ma preferiva mostrare un
sorriso
sardonico invece di quello. Tutto ciò che era autentico non
faceva per lui.
“Alla
faccia di Ciccio Wall!”
I
giocatori tirarono l’iniziativa: Roberto fu il primo ad
agire. Si lanciò sul
primo goblin e con un solo colpo lo debellò; Stefania
seguì il suo esempio,
mentre Leonardo – deciso a mostrare quanto valesse, ma
rendendosi conto
all’ultimo momento di non impugnare alcuna arma –
si avvicinò al goblin rimasto
e lo distrusse con un dardo incantato. Marta credeva che il
combattimento fosse
finito senza che nessuno si facesse del male o la rimproverasse
perché il suo
unico attacco era fallito, ma un goblin minacciò di
prenderla di sorpresa, alle
spalle; minacciò e basta, perché Roberto con un
tiro di Percezione se ne
accorse e si lanciò in suo aiuto, uccidendo il nemico prima
che potesse farle
del male.
“Ottima
opportunità. Grazie, Matteo, fai il mio gioco senza
rendertene conto.”
Roberto
allungò un braccio fino a toccare la mano di Marta,
dall’altro lato del piccolo
tavolo. «Tutto bene, Amy?» chiese con
un’espressione preoccupata.
Probabilmente
lei avrebbe preferito ritrarre la mano, ma parve ricordarsi che il
ragazzo
stava solo interpretando, perché mosse le dita e poi rimase
ferma.
«Sì,
Robert… La ringrazio.»
Roberto
sfoggiò il sorriso seduttore. «Dammi del tu, mia
cara.»
«Per
Gorum, che schifo!» esclamò Stefania, rivolgendo
gli occhi al soffitto.
Non
importava, lui aveva ottenuto l’effetto desiderato.
Allontanò la mano e lasciò
che il game master continuasse a raccontare.
Ma
quanto poteva essere cieco? Al suo posto si sarebbe accorto dei
sentimenti di
Marta, ne sarebbe stato perfino onorato… E avrebbe mandato
una viverna a
mangiarsi Robert in un sol boccone. Pensandoci bene, Roberto si rese
conto che
Matteo non lo avrebbe mai fatto: lui giocava lealmente. Erano diversi e
questo
rendeva la faccenda ancor più interessante.
Contava
di aprire Word non appena fosse tornato a casa, già colto
dall’ispirazione, ma
aveva ancora poche cose da scrivere. Fino a quel momento aveva solo
riaccompagnato Marta dopo la festa e flirtato con il suo personaggio,
ma non
sapeva come sarebbe andata avanti. La bella ragazza –
sì, era carina – dai
capelli rossi avrebbe accettato le avances
di un venticinquenne atletico e assurdamente attraente? Matteo avrebbe
lasciato
correre o finalmente, colto dalla gelosia, si sarebbe reso conto di
quanto
avesse fatto male a lasciarsi sfuggire Marta?
“Scrivi
su ciò che conosci.” Non ricordava chi lo avesse
detto, ma gli sembrava un
ottimo consiglio. E per sapere come sarebbe andata avanti
c’era un solo modo.
«Ci
sono altri goblin… Sono sette!» sentì
esclamare Matteo. «Tirate l’iniziativa!»
Era
davvero euforico: Roberto si chiese quanto lo sarebbe stata Marta
quando il
game master l’avrebbe strattonata via da lui, dichiarandole
amore eterno. O
l’avrebbe lasciata andare? Sarebbe stata
un’interessante svolta nella storia.
Il
combattimento durò diversi round e rischiò di
proseguire quando il personaggio
di Stefania si aizzò contro quello di
Leonardo, che già stava depredando i
“poveri” malcapitati.
«Sono
goblin! Cosa speri di trovare nelle loro mutande, un libro di
incantesimi?!»
«Potrebbero
avere qualche indizio!»
«E
poi dovrebbe essere Marta a perquisirli, è lei la
ladra!»
«Ehi,
non tiratemi in mezzo, adesso!»
Roberto
notò con piacere che Leonardo era riuscito finalmente ad
aprirsi: forse
Stefania non era la migliore delle compagnie – anche se per
qualche motivo di
cui era ignaro lui era interessato ad approfondire la sua conoscenza
– ma era
stata capace di far dimenticare al piccolo Leo, almeno per una sera, la
sua
insicurezza. Forse voleva dimostrarle che gli elfi non erano ridicoli e
inutili
come pensava lei.
Lui
li guardava. Amava osservare da lontano, ma non si sarebbe mai definito
un
“ragazzo da parete” – accidenti a Viola,
che lo portava a vedere certi film.
Osservava, ascoltava e riusciva a comprendere prima degli altri ogni
singolo
comportamento, per quello voleva capire cosa nascondesse il passato di
Stefania
per averla fatta diventare così… interessante,
più che insopportabile; al
contrario dei ragazzi da parete, però, Roberto amava agire
nel momento in cui
la situazione rischiava di rimanere statica. Faceva il suo gioco, si
faceva
anche odiare, ma almeno contribuiva a rendere le cose molto
più divertenti.
Gli
piaceva questo nuovo gruppo – la scorbutica Stefania, il
timido Leonardo, i due
inconsciamente innamorati Marta e Matteo. Forse era ora di
fossilizzarsi su di
loro, almeno per un po’, invece di continuare ad allargare le
sue cerchie.
Sentiva che lo avrebbero soddisfatto, almeno in quanto a ispirazione.
«…
lo sceriffo si sta congratulando con voi,» narrava Matteo,
«e la signorina
Ameiko vi ha offerto l’alloggio per una settimana nella sua
locanda, come
ringraziamento per aver debellato tutti i goblin che avevano assalito
la città.
Congratulazioni, siete gli eroi di Sandpoint!»
TERZO CAPITOLO
NOTE
Il titolo è una
citazione di The Big Bang Theory.
LEONARDO
- power-player:
termine, con accezione negativa, designante un giocatore che conosce a
memoria
le regole per utilizzarle a proprio vantaggio/gioca sempre gli stessi
personaggi perché sa nei minimi dettagli come sia migliore
agire.
- elementali:
creature governate da chi le ha invocate e che si basano sui quattro
elementi.
- Jerle Shannara:
personaggio elfo del ciclo di Shannara
di Terry Brooks.
MARTA
- Drow: elfo scuro.
- Yu-Gi-Oh!:
gioco di carte basato
sull’omonimo anime.
- viverna: drago
dell’immaginario collettivo.
- one-shot:
partite di una sola sessione (giornata).
- La Città dei
Ladri: gioco da tavola.
- Karen Gillan:
interprete di Amy Pond in Doctor Who.
- ghoul: non morto
capace di paralizzare con il morso.
- Ygritte: donna
del popolo libero (bruti) de Le Cronache
del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin.
- Jhiquireah:
dalla fusione dei nomi di due personaggi della stessa saga (Jhiqui e
Doreah).
- “EXTERMINATE!”:
riferimento ai Dalek di Doctor Who.
- le ultime
immagini che Marta ha di Matteo sono riferimenti a Doctor
Who, Game of Thrones
e Supernatural.
ROBERTO
- Ciccio Wall:
personaggio de Il seggio vacante di
J. K. Rowling.
- iniziativa: a
seconda dei punteggi del dado, si decide l’ordine di azione
dei personaggi.
- Gorum: divinità
della guerra nell’universo di Pathfinder.
- “ragazzo da
parete”: riferimento al film Noi
siamo
infinito, il cui libro nella prima traduzione italiana si
intitolava Ragazzo da parete.
GIOCO DI RUOLO
- Ogni personaggio
ha una razza (umano, elfo, halfling, gnomo, nano) e una classe
(barbaro, mago,
ladro, guerriero, bardo…).
- Gli allineamenti
che un personaggio può avere sono nove e vanno da Legale
Buono a Caotico
Malvagio, secondo le associazioni di Legale, Neutrale e Caotico con
Buono,
Neutrale e Malvagio.
SPAZIO AUTRICE
Un buon pomeriggio
a tutti voi!
C’è il sole dalle
vostre parti? Finalmente un briciolo di primavera!
Mi dispiace avere
aggiornato così tardi, ma ho cominciato a lavorare e non ho
avuto molto tempo
per scrivere. Ci si metta anche il Writing
day… Ah, non sapete cos’è?
Allora volate su LJ a leggere le storie
partecipanti :D Spam a parte per questa splendida iniziativa, sono
felice di
vedere che questa storia è seguita (sia per il numero di,
appunto, “seguite”
che per le recensioni). Mi fa piacere che vi stia piacendo!
Dovevo introdurre
il gioco di ruolo, ma non disperate, la storia non sarà
tutta così; mi è
servito però un intero capitolo per
“avvicinare” tutti i personaggi (o quasi,
ma Giovanni per il momento è “relegato”
al Vecchio
Mangaka!) e dar loro almeno una possibilità per
frequentarsi, volenti o
nolenti. Volevo chiedervi una cosa: secondo voi, è meglio
che io continui ad
andare avanti con piccoli riferimenti all’avventura che i
protagonisti stanno
giocando o volete che approfondisca, che descriva una parte degli
eventi, come
una determinata incursione in un dungeon o un combattimento? Ho
pensato,
finora, di non descrivere fisicamente i quattro personaggi per evitare
di
confondervi, ho dato loro solo dei nomi, ma se siete
d’accordo ogni tanto
potrei inserire delle scene più approfondite
“all’interno del gioco” (si tratta
comunque di farlo ogni tot capitoli e non per l’intero
capitolo).
Volevo poi dirvi
che continuerò a taggare su Facebook, ogni volta che
condividerò un capitolo
nuovo, anche tutti quelli che hanno la storia nelle seguite; se a
qualcuno
dovesse dar fastidio, scrivetemelo in un commento su Facebook,
così eviterò :)
Chiudo augurandomi
che questo terzo capitolo vi sia piaciuto!
Medusa
|
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Capitolo 4 *** Il guaio è che non sono pazze. Sono donne e basta ***
Il guaio
è che non sono pazze. Sono donne e
basta
A
Stefania piacevano i negozi di musica, che vendessero CD o strumenti
andavano
bene comunque. Le piaceva indossare le cuffie e ascoltare i dischi in
vendita,
allo stesso modo in cui si ritrovava a sorridere quando camminava
accanto alle
chitarre esposte a Music Town. Ma
le
chitarre non le interessavano se non per un rapido sguardo: lei suonava
il basso.
Lei amava il basso.
Le
amiche del liceo, quando aveva cominciato a prendere lezioni, le
avevano fatto
notare che quello strumento sarebbe stato soffocato dalla chitarra
elettrica e
dalla batteria, ma per la prima volta – la prima di una lunga
serie, però –
Stefania aveva deciso di non ascoltarle. Non le interessava suonare in
un
gruppo, voleva solo strimpellare il basso di tanto in tanto, godendo di
quel
suono che la faceva sentire viva.
Dimenticava
quasi di essere grassa in quei momenti, finché durante il
concerto di fine anno
scolastico, quando lei frequentava il terzo anno del liceo pedagogico,
alcuni
studenti che si ritenevano spiritosi non l’avevano prima
insultata durante la
sua esibizione e dopo, una volta in strada, teso un agguato volto a
distruggerle il basso, “così non avrebbe
più suonato di merda.” Se fosse stata
una bella ragazza non l’avrebbero presa di mira, ma forse le
sarebbe bastato,
pur grassa e un po’ miope com’era, cercare di farsi
rispettare invece che
fingere di essere invisibile durante le sei ore di lezione quotidiane.
Quando
era tornata a casa in lacrime, suo padre – per i sensi di
colpa di non avere
saltato il lavoro in modo da assistere al concerto, oltre che per la
rabbia di
vedere la figlia in quelle condizioni – le aveva fatto
costruire un basso su
misura, con inciso sulla paletta STEROCK: ad altri figli sarebbe
sembrata una
scelta patetica, ma Stefania la ritenne fin da subito la migliore firma
del
mondo.
Si
era fatta più furba da allora, un po’ alla volta,
fino a diventare la persona
più cinica che conoscesse. Aveva vacillato, tempo prima, ma
si era poi promessa
di non farlo mai più. Avrebbe smesso di farsi male.
Mentre
era immersa nei ricordi, le cuffie nelle orecchie, avvertì
qualcuno
tamburellarle sulle spalle. Il suo primo istinto, però, fu
di sgranare gli
occhi, perché era finita ad ascoltare una compilation che
non rientrava
assolutamente nei suoi gusti.
«Allora,
che mi dici di Mengoni?»
Stefania
riconobbe quella voce non appena si fu tolta le cuffie. Ma
perché proprio lui
doveva averla beccata in una situazione così imbarazzante?!
«Stavo
ascoltando la voce di una donna, in realtà»
rispose scocciata, incrociando le
braccia sulla difensiva e voltandosi verso il suo interlocutore.
Roberto
non staccò gli occhi dai DVD che teneva in mano.
«E fingi di non sapere neanche
chi fosse, vero?»
«Guarda
che sto dicendo la verità: non guardo Sanremo, non so come
sono finita a… Ma
sei pazzo?!»
Sorpreso
dalla voce improvvisamente acuta di Stefania, Roberto distolse lo
sguardo dai
suoi acquisti e lo portò su di lei. «Me lo
chiedono in tanti, ma di solito
faccio qualcosa prima.»
«Non
puoi farti vedere con questa roba!» Stefania gli
strappò un DVD dalle mani,
sconvolta. «È un porno!»
«Ora
sei tu a fartici vedere.»
«Sono…
sono tutti porno!»
«Esagerata,
ci sono anche due hentai.»
Lentamente,
Stefania si disse che doveva recuperare la dignità
– che stava diventando
inversamente proporzionale all’intensità della sua
voce – e lanciò al ragazzo
il DVD che aveva preso.
«Non
sarebbe meglio scaricarli?»
«Scherzi?
Questa è roba d’autore!»
Non
doveva ascoltarlo. Non doveva. La cosa migliore da fare era dimenticare
la
prospettiva di un rilassante pomeriggio al centro commerciale e correre
a casa,
sprangare la porta e infilarsi sotto le coperte, il più
lontana possibile da
quel pazzo megalomane. Si mosse
verso
l’uscita del negozio, ma Roberto la fermò.
«Ehi,
facciamo un patto: io non farò parola sul CD di Sanremo se
tu racconterai a
tutti quello che sto comprando. D’accordo, dearie?»
Megalomane.
E pazzo.
«Le
citazioni funzionano con Marta, non con me.»
«A
proposito di questo…»
«No,
non ti dirò come far colpo su di me.»
«Veramente
parlavo di Marta.»
Stefania
arrossì violentemente. Come poteva aver usato quelle parole?
Lei non pensava che
Roberto volesse provarci, credeva che stesse ordendo qualche piano
maligno.
«Intendevo…
Non “far colpo”, ecco…
Solo…»
«Capire
quali fossero i tuoi punti deboli per sedurti e abbandonarti. Sono
orgoglioso
di me, sono riuscito a lasciarti senza parole pur non facendo
niente!»
Voleva
andarsene. Voleva chiudersi in casa e sotterrarsi sotto le coperte, ma
per
un’altra ragione. Chi era quel ragazzo? Perché
sembrava conoscerla anche se
l’aveva vista appena tre volte? E poi quella stupida aria di
superiorità…
«Senti
un po’, Lannister, perché non andiamo a farci una
chiacchierata?»
Stava
per chiedergli come diavolo facesse a sapere anche quello, ma poi si
ricordò
quale maglietta stesse portando.
«Non
ne ho voglia.»
«Ti
offro un cornetto.»
«Sono
a dieta.»
«Beh,
meno male. Ma un piccolo sgarro te lo puoi concedere.»
Se
lo concesse. Roberto era un pazzo, un megalomane e anche un porco per
avere il
coraggio di andare in giro con una busta piena di porno – non
che qualcuno
potesse vedere l’oggetto dei suoi acquisti – ma
Stefania apprezzava la sua
schiettezza; in passato, quando qualcuno era stato schietto con lei,
l’aveva
fatto per deriderla, ma Roberto sembrava semplicemente incapace di
tenere la
lingua a freno. Perlomeno era più divertente di quella lagna
del suo amico.
Si
sedettero a uno dei bar del centro commerciale, con due
caffè e un cornetto al
cioccolato davanti: se doveva farsi del male, meglio farlo per bene.
«Di
che volevi parlare?»
«Di
Marta, no?» Roberto allungò i gomiti sul tavolo,
la testa poggiata sulle mani
chiuse a pugno. «Dimmi tutto quello che sai di lei.»
«Le
piace Matteo.»
«Non
credo potrebbe aiutarmi a conquistarla.»
«Ti
sto mettendo in guardia.»
«Lo
sapevo già. Film preferito? Genere musicale?»
Stefania
sollevò un sopracciglio. «Se sai che è
cotta di un altro, perché non ti tiri
indietro?»
«Un
Lannister lo farebbe?»
«Un
Lannister paga sempre i suoi debiti.»
«Ti
sei risposta da sola, allora.»
Si
concesse qualche minuto di riflessione, pur sapendo di avere gli occhi
verdi di
Roberto e il suo ridicolo ghigno puntati contro. Alla fine decise.
«Ama
le serie tv. Tutte. No, in realtà quasi tutte: detesta Gossip Girl. Non parlargliene mai, le
verrebbe il prurito.»
«Non
mi sarei comunque sognato di tirarlo in ballo.»
«Odia
le gonne.»
«Abbastanza
evidente. Qualcosa che non so?»
Stefania
rifletté ancora. «Il suo film preferito
è Apocalypse
Now, ha letto cinque volte in un anno Orgoglio
e pregiudizio e quando è giù di morale
fugge da qualche parte a scattare
fotografie.»
«Ottimo.»
Roberto bevve il suo caffè, mentre Stefania si concedeva un
morso condito dal
senso di colpa al suo cornetto. Un senso di colpa nei confronti della
sua
dieta, non dell’ipotetica storia d’amore tra Marta
e Matteo. «Perché mi stai
aiutando?»
«Perché
me l’hai chiesto.»
«Basta
così poco?»
Stefania
addentò una seconda volta il cornetto, assaporando
finalmente il cioccolato.
«Matteo ha dieci anni più di Marta, lei si farebbe
solo male. E poi sono una
tale noia.»
Roberto
le sorrise, soddisfatto, e si ritrovò a sorridere anche lei.
♠
Quel
pomeriggio non era cominciato bene.
Nel
giro di due ore, Giovanni aveva fatto crollare a terra,
nell’ordine, due action figures
di Death Note, il DVD del Castello
Errante di Howl, le copie nuove dei Fantastici
Quattro, una pila corrispondente a una serie completa di
manga – e non una
di pochi volumi: Dragon Ball
– e
l’espansione del gioco da tavola dei Pilastri
della Terra che aveva messo da parte per Roberto. Aveva
perfino imprecato
per la prima volta di fronte a un cliente.
Cliente
che, per sua fortuna, era Leonardo, subito accorso ad aiutarlo a
riunire i
pezzi del gioco da tavola. Poteva perfino dire di avere un rapporto
d’amicizia con
lui, quindi era abbastanza sicuro che uno dei suoi migliori clienti non
sarebbe
fuggito via per non tornare mai più al Vecchio
Mangaka.
Sbuffò
e sbatté la scatola sul bancone, esausto. Leonardo si
avvicinò a lui titubante
e dovette notare le sue occhiaie, perché gli chiese se
avesse dormito.
«No,»
rispose Giovanni, nervoso, «e neanche la notte
scorsa.»
«Non
puoi chiedere a Matteo di sostituirti?»
«Oggi
è il suo turno di occuparsi
dell’associazione.»
«Forse
sarebbe meglio se vi scambiaste, qui rischi di far cadere
altro…»
«No,
ieri è toccato a me e ho perfino rovesciato sulla maglietta
di un ragazzino il
tè che mi aveva chiesto.»
«Vuoi
che ti dia una mano?»
«Sì,
magari. Anche solo per controllare che non faccia altri
danni.»
Si
strofinò gli occhi rossi e stanchi. Non riusciva a dormire
da due giorni, aveva
anche provato a leggere Il Pendolo di
Foucault – libro che in altre occasioni non aveva
tardato ad aiutarlo – ma
era stato inutile. Come conciliare il sonno se, ogni volta che chiudeva
gli
occhi, una Caterina supplicante e poi furiosa appariva immediatamente
davanti a
lui? Doveva provare con i sonniferi, si disse che avrebbe chiuso
qualche minuto
prima quel giorno per poterli andare a comprare. O avrebbe chiesto quel
favore
a Leonardo.
«Cos’è
successo?» gli chiese proprio lui, mentre Giovanni si passava
stancamente una
mano sul viso.
«Ti
ricordi di Cate? Voglio dire… l’hai mai
conosciuta?»
Leonardo
aggrottò la fronte. «Certo che l’ho
conosciuta. Mi avete invitato anche a cena
una volta.»
Giovanni
si accorse di essere messo peggio di quanto pensasse. Scorse una
domanda negli
occhi di Leonardo, una domanda che lui non avrebbe mai avuto il
coraggio di
fare: «Vi siete già lasciati, che può
esserci di peggio?»
Poteva
esserci. Quando un rapporto si rompe, c’è spesso
possibilità di aggiustarlo,
c’è la speranza che tutto torni come prima
– soprattutto nel loro caso, con
dieci anni di fidanzamento alle spalle oltre a quelli del matrimonio
– ma con
il passare del tempo quella speranza si affievolisce e si crea un buco
nello
stomaco; Giovanni non amava più Caterina, però
questo non significava che la
sua assenza dopo quasi due decenni facesse veramente male.
«Cate
vuole l’appartamento,» spiegò,
«e io non ho idea di dove andare a vivere.»
«Il
lavoro non ti permette almeno l’affitto di una casa qua
vicino?»
«Non
è questo il punto.» Come faceva a non capire?
Eppure era così evidente: i
risparmi, la prima notte di nozze, la culla per il bambino, le cene con
i
parenti… «Abbiamo sognato di vivere insieme fin
dal liceo e ora quello che lei
vuole è proprio il nostro sogno. Tutto per lei.»
«Un
po’ egoista, eh.»
“Cate
non è egoista.” Si morse la lingua, impedendosi di
ribattere. Non aveva più il
dovere di difendere sua moglie, ora poteva dire ciò che
pensava.
E
Cate continuava a non essere egoista.
Ma
non lo disse, non aveva senso.
«Sei
ancora innamorato di lei?»
La
domanda di Leonardo arrivò a bruciapelo. Perché
avrebbe dovuto chiederglielo?
Forse pensava che fosse quello il motivo della sua insonnia?
«No,
non lo sono.»
Quanti
“no” quel giorno, sembravano tanto una scusa.
Scosse la testa, rifiutando
quell’idea.
Leonardo
non disse altro, rimase in silenzio e lo aiutò a sistemare i
nuovi arrivi sugli
scaffali. Giovanni rifletteva. Perché lo stava ancora
facendo? In fondo
rifletteva da due notti, da quando ci avevano riprovato, da quando si
erano
lasciati, da quando Cate gli aveva confessato il tradimento, da quando
avevano
cominciato a non amarsi più. Non era servito a niente,
perché lui non aveva fatto
niente: aveva solo guardato sua
moglie che se ne andava, il loro rapporto che si spezzava, i loro sogni
in
frantumi; avevano passato cose peggiori anni prima, avevano sofferto
come
Giovanni non avrebbe augurato a nessuno di soffrire, eppure quella
volta non
erano riusciti a reagire.
I
campanelli suonarono, annunciando l’ingresso di un cliente.
Giovanni si voltò
per accoglierlo, ma si bloccò.
«Ben-»
C’era
Caterina davanti a lui, una Caterina che ai tempi del liceo non avrebbe
mai
immaginato di vedere così, lo sguardo glaciale, il tailleur
da segretaria. Non
sognava di diventare un’archeologa? Com’era finita
a tenere la contabilità di
un’azienda di elettrodomestici?
“I
sogni fanno brutti scherzi.”
«Ciao»
lo salutò, avvicinandosi al bancone con sorprendente
lentezza.
La
voce che uscì dalla bocca di Giovanni era rauca.
«Cia… Ciao.»
Troppi
“no”, troppe domande, ma era davvero possibile non
chiedersi come due persone
che si conoscevano da vent’anni potessero rivolgersi un secco
e insapore
“Ciao”?
Cate
si accorse dopo un po’ della presenza di Leonardo, in piedi
accanto a lui.
Sgranò gli occhi. «Oh, ciao, Leo. Come
stai?»
«Bene,
Cate.»
Buon
vecchio Leonardo, così fedele al suo amico da reprimere la
gentilezza che lo
caratterizzava! Se solo Cate non fosse stata davanti a loro, Giovanni
gli
avrebbe detto che poteva trattarla come aveva sempre fatto, lui non si
sarebbe
offeso.
«Come
mai sei passata?» chiese Giovanni, fingendo di non sentire il
vuoto nello
stomaco che, stranamente, si faceva più profondo quando Cate
era con lui.
«Volevo…
volevo chiederti un anticipo sulla se…
sull’accordo» rispose Cate, distogliendo
lo sguardo e fissando apparentemente rapita il poster di Warhammer.
«Il servizio da tavola che abbiamo usato qualche anno
fa: i miei hanno distrutto il loro, sono rimasti solo cinque piatti, e
sabato
abbiamo una cena importante. Il mio capo, sai.»
“Quel
porco.”
Cate
sembrò ricordarsi del ruolo che il suo capo aveva avuto nel
loro matrimonio e
avvampò.
«Puoi
passare a prenderlo stasera, sarò a casa» disse
Giovanni, il tono più gelido di
quanto avrebbe voluto.
«Preferirei
se mi dessi le chiavi. Ho un impegno e sono piuttosto in
ritardo.»
“Perché
sei geloso solo adesso?” chiedevano i suoi occhi.
“Potevi fare qualcosa quando
ancora ne avevi il diritto.”
Giovanni
frugò nel cassetto del bancone ed estrasse un mazzo di
chiavi, che le porse
sgarbatamente; Cate fece un passo avanti, le afferrò e si
ritrasse.
«Grazie.
Ci vediamo.»
Uscì
mentre Giovanni la salutava con un cenno del capo.
«Ciao» disse, quando si rese
conto che non poteva vederlo, ma Cate era già andata via.
♠
Quello
era il secondo martedì in cui Matteo la sera non sarebbe
dovuto tornare al Sotterraneo del Drow
per masterizzare
una campagna per la quale, ormai, aveva perso interesse. Era eccitato
all’idea
di giocare ancora con il nuovo gruppo, quel venerdì, e
continuava a camminare
avanti e indietro nella ludoteca con la mente rivolta agli
“eroi di Sandpoint”.
Avevano
un barbaro e per quella campagna era perfetto: sperava solo non
compiesse
azioni tanto malvagie – «Sono caotico neutrale,
vedete di farvelo andare bene»
– perché al gruppo servivano eroi, non folli che
bramavano solo la sete di
sangue. Personaggi che lui, in altri casi, apprezzava più
degli altri. Stefania
giocava bene il suo personaggio, ma Matteo avrebbe preferito che
cessasse il
fuoco nei confronti di Leonardo.
Però
aveva ragione: era un elfo mago.
Scosse
la testa, ridendo da solo. Uno dei giocatori di Sine
Requie si voltò verso di lui e aggrottò
la fronte.
No,
un elfo mago non significava per forza un cattivo personaggio, anche
perché
Leonardo aveva sempre saputo interpretarlo bene; d’altronde,
quello che a lui
interessava era stare lontano dalla mischia. Matteo si disse di
controllare per
l’ennesima volta il manuale, alla ricerca di qualche nemico
della stessa classe
di Jerle che potesse renderlo muto nel bel mezzo di una battaglia. E
che
frantumasse lo spadone di Ygritte. Spesso i suoi giocatori gli dicevano
che era
sadico.
Roberto-Robert
non era male, ma temeva che anche lui potesse passare a un allineamento
malvagio; non lo pensava a causa del personaggio, bensì
dello stesso Roberto,
che non gli infondeva molta fiducia. C’era un qualcosa nei
suoi atteggiamenti…
Non importava, non doveva preoccuparsi subito, probabilmente sarebbe
andato
tutto per il meglio, nella campagna.
E
poi c’era Amy. Matteo sorrise al muro, ricordando anche lei:
Amelia Pond, la
compagna dell’Undicesimo Dottore. Amava quel personaggio ed
era felice che
fosse lo stesso anche per Marta, dal momento che non erano in molti
altri ad
apprezzare il suo carattere forte. La Amy di Sandpoint,
però, era diversa da
quella originale e Matteo apprezzava anche questo, preferendo un
personaggio
completamente nuovo a una scopiazzatura: non era sicuro che Marta
sarebbe stata
in grado di interpretare bene Amelia Pond. Non era poi tanto brava come
giocatrice, ma aveva deciso di darle una possibilità. Almeno
non era una di
quelle persone che davano buca all’ultimo momento: Marta
sembrava rimandare
qualunque impegno pur di giocare – aveva saputo, sentendola
parlare con
Stefania, che il venerdì successivo avrebbe avuto una festa
di laurea – e
Matteo apprezzava questo spirito.
Quel
pomeriggio lui si sentiva bene,
rilassato dopo tanto tempo, e niente avrebbe potuto guastargli quel
momento,
neanche i giocatori di Sine Requie
che scioccamente avevano interrotto la sessione per parlare del nuovo
capitolo
di Naruto – certe cose
erano sacre e,
se fosse stato Matteo il master, avrebbe punito la digressione su una
tale
cavolata di shonen con un pericolo mortale apparso dal nulla.
Ma
quel giorno niente gli avrebbe fatto andare di traverso la cioccolata
calda che
stava per prepararsi.
Il
cellulare squillò e Matteo se ne accorse solo dopo qualche
secondo; pensando
che forse Giovanni avesse bisogno di lui, lo afferrò e si
accinse a rispondere
senza controllare di chi fosse la chiamata.
Successivamente,
Matteo si rese conto di quanto potesse sembrare strana la sua
improvvisa
trasformazione a uno dei giocatori presenti nel Sotterraneo
del Drow dopo che ebbe spinto il tasto per accettare la
chiamata.
Voce
allegra. «Ehi, dimmi!»
Silenzio.
Tono
più basso. «Non avevo… no, pensavo
fosse un’altra persona.»
Breve
silenzio.
«Io
sto bene, e tu?»
Silenzio
ancor più breve.
«Federico
tutto a posto?»
Silenzio.
Respiro trattenuto. Ancora silenzio.
«Capisco…
Beh, non è una situazione facile. Immagino che lui non
sappia…»
Fiato
sospeso.
«Ovviamente.
Non preoccuparti, non ne farò parola in sua presenza.
Quando…?»
Silenzio.
«È
Pasqua.»
Silenzio.
Sguardo rivolto al soffitto. Piedi che battono nervosamente.
«E
sei sicura di farcela per domenica mattina? Senti, se è una
scusa…»
Silenzio.
Mano sugli occhi.
«Non
intendevo… D’accordo, va bene. Facciamo sabato. Ti
aspetto.»
Matteo
spinse il tasto per terminare la chiamata, poi ripose il cellulare
nella tasca.
Senza neanche salutare i giocatori di Sine
Requie uscì in strada per calmarsi.
«Passerò
il 31. Ti
prego, ne ho bisogno…»
Tirò
un calcio a una lattina, facendola cozzare contro la ruota di un'auto
parcheggiata in doppia fila. Non poteva certo tirarsi indietro.
NOTE
Il titolo è una
citazione di Skins.
STEFANIA:
- dearie:
citazione di Rumpelstiltskin (Once Upon A Time).
- Lannister: una
delle casate di Game of Thrones.
- “Un Lannister
paga sempre i suoi debiti”: non è il motto della
casata, ma una frase sempre
legata a essa.
GIOVANNI:
- Warhammer:
miniature.
MATTEO:
- Sine Requie:
gioco di ruolo italiano
basato su un AU, ambientato alcuni anni dopo, nel quale Hitler ha vinto
la
Seconda Guerra Mondiale e i morti tornano in “vita”.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti!
Questa volta sono
riuscita ad aggiornare prima del previsto (di un
“previsto” pessimista, due
settimane invece dell’unica settimana in cui speravo
all’inizio), ma sto già
lavorando al capitolo successivo, quindi potreste averlo proprio tra
una
settimana!
Non ho messo Naruto
nelle note perché, beh, credo sia
abbastanza conosciuto. Per quanto riguarda Amy Pond, io sono tra i suoi
detrattori, ma sto provando a “mettermi dalla
parte” di chi la ammira.
Mi è piaciuto
scrivere la parte su Stefania e Roberto, mi diverto a far interagire
quei due –
non parlo di un’ipotetica ship, ma della loro contemporanea
presenza “sulla
scena”.
Spero che questo
quarto capitolo vi sia piaciuto, sono felice di sapere che questa
storia è abbastanza
seguita (per i miei canoni, e tanto basta).
Grazie a tutti voi
e anche a Dark Aeris per aver controllato il capitolo!
A presto :)
Medusa
|
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Capitolo 5 *** Cosa rende l’acqua col cetriolo più dissetante dell’acqua senza cetriolo? ***
Cosa
rende l’acqua col cetriolo più
dissetante dell’acqua senza cetriolo?
Marta
Giunti si chiedeva ancora – dopo avere fermato una ciocca
ribelle con una
forcina, allacciato le scarpe da ginnastica e controllato il materiale
da
portare per l’inaspettata uscita – cosa avesse
spinto Roberto a proporle di
andare a scattare delle foto al Giardino degli Aranci. Non ricordava di
avergli
parlato della sua passione per la fotografia, ma probabilmente il
ragazzo, dopo
averle chiesto l’amicizia su Facebook, aveva spiato il suo
profilo, sfogliato
qualche album. Perché mai, però,
l’avrebbe fatto? Forse per noia, in un momento
in cui non trovava niente da fare che fosse più stimolante
di guardare le 1035
foto scattate e pubblicate da lei, o forse per un altro motivo: Marta
aveva
notato che Roberto cercava di starle vicino il maggior tempo possibile,
utilizzando qualsiasi scusa – come un passaggio o un aiuto
per la creazione di
un personaggio. E se Roberto fosse stato cotto di lei? Non le sembrava
di
avergli mai dato motivo di credere in una sua risposta positiva.
Roberto
era… Roberto, il fanfarone che si divertiva a rimorchiare
una ragazza ogni
sabato. Non poteva essere alla ricerca di una fidanzata. E di certo non
avrebbe
scelto lei, non avevano niente in comune!
Ma
era davvero così? In fondo non lo conosceva
neanche…
Scosse
la testa, facendo volare via la forcina, e mentre la raccoglieva si
accorse di
essere potenzialmente in un ritardo imbarazzante: doveva correre fuori
di casa
e infilarsi in metro il prima possibile, se voleva arrivare alla
fermata di
Circo Massimo senza rischiare di trovare solo lo scheletro impolverato
di
Roberto.
Scheletro
che, per fortuna, alla sua apparizione non c’era ancora; al
suo posto
all’uscita dalla metropolitana si trovava Roberto, con una
Nikon appesa al
collo.
«Ciao,
sei in perfetto orario» la salutò, avvicinandosi
per baciarle la guancia; si
ritrasse immediatamente, così che Marta dovette mettere via
il sospetto che il
ragazzo nutrisse particolari attenzioni per lei. A meno che non avesse
comprato
una macchina fotografica apposta, però le sembrava
un’idea da scartare.
«So
riconoscere il sarcasmo, non hai bisogno di andare in giro con un
cartello.
Scusami, avevo perso la cognizione del tempo…»
“Guardando
Battlestar Galactica”
aggiunse
mentalmente.
«Non
preoccuparti, avresti potuto cercare un Angelo e farti portare indietro
nel
tempo.»
Per
qualche istante Marta rimase interdetta, ma Roberto, che già
si stava dirigendo
verso la meta prefissata, non parve accorgersene.
«Non
funzionano proprio così, sai?» gli fece notare,
raggiungendolo. «Gli Angeli ti
portano indietro di parecchi anni, non…»
«Dici
che è ora di tirare fuori quel cartello che mi avevi detto
di lasciare a casa?»
Roberto
le sorrideva, sardonico, e Marta si rese conto di avergli permesso di
vincere
il primo set. Per fortuna lui non perse tempo a gongolare, ma tra una
chiacchiera e l’altra la trascinò lungo via del
Circo Massimo. Sorprendendola
ancora una volta, attraversò la strada e scattò
delle foto alle rovine, come
avrebbe voluto fare lei.
«Sei
proprio un appassionato, eh?»
«Sto
imparando adesso: me l’hanno regalata per il compleanno, ma
è poco tempo che
scatto foto. Tu da quanto lo fai?»
«Dalle
scuole medie. C’era un corso di fotografia base e mi
è piaciuto seguirlo, così
anni dopo mi sono iscritta a un corso professionista.»
«Wow,
invitami alla prima mostra che farai, allora!»
«Potrebbero
non piacerti le mie foto…»
“Non
sono nudi artistici.” Marta non disse neanche quello.
«Mi
piacerebbero le foto di chiunque fosse in grado di aiutarmi a mettere a
fuoco
l’immagine. Non riesco proprio a
regolare…»
«Da'
qua.» Afferrò la Nikon di Roberto, saldamente
legata al collo, e dovette di
nuovo sopportare di avvertire il suo respiro sui capelli. Era strano,
però, non
aveva mai fatto caso al respiro di qualcuno – a meno
che… No, doveva
toglierselo dalla testa. E poi lei venerava Matteo!
Roberto
però non venne in suo aiuto. «Così va
bene?» le chiese, costringendola a
stringersi a lui per osservare dal mirino della macchina fotografica.
«No,
regola meglio questo… Sì, ecco, ci
siamo.»
«Sei
un’ottima insegnante!»
E
si allontanò di nuovo attraverso il roseto
dall’altro lato della strada.
Marta
non capiva. E detestava non capire.
Roberto si comportava diversamente da come lo aveva conosciuto, ma non
cercava
di avere contatti fisici troppo lunghi con lei. Se fosse stato un altro
ragazzo,
probabilmente Marta avrebbe escluso a priori il pensiero di un
corteggiamento
preso molto alla larga, però conosceva bene il fascino del
“ragazzo che sarebbe
cambiato solo per lei”; lo vedeva nelle serie tv, lo leggeva
nei libri e non
aveva ancora capito se lo trovasse insopportabile o incredibilmente
romantico.
Però non lo aveva mai provato su di lei. E ora Roberto
– che non era il suo
tipo ideale, che a sentire le voci trattava le ragazze come macchine
fotografiche usa e getta, che mostrava in continuazione un sorriso ben
poco
affascinante per i suoi gusti – la stava facendo sognare di
trovarsi in una
storia del genere.
“Oddio,
no.”
No,
dovette convenire dopo un’ora, aveva ragione: Roberto non
stava cambiando. Nei
film il protagonista maturava al sedicesimo appuntamento, una volta che
aveva
conosciuto a fondo il suo interesse amoroso, ma Roberto era
già diverso. E se
in realtà lui fosse sempre stato così, in
presenza di una sola persona? Se
quello che recitava nel Sotterraneo del
Drow o al Vecchio Mangaka
fosse
solo, appunto, un personaggio costruito?
Si
erano fermati al Giardino degli Aranci, in piedi di fronte
all’imponente
panorama di Roma; Roberto aveva incrociato le braccia sul parapetto,
mentre
Marta metteva a fuoco la vista magnifica e scattava una serie di foto.
«Mi
è sempre piaciuto questo posto» rivelò
Roberto.
«Anche
a me, è uno dei luoghi di Roma che preferisco.»
Sgranò
gli occhi. «Davvero? Allora ho fatto bene a portarti qui! A
meno di non averti
fatto perdere qualche lezione…»
«Oh,
no, tranquillo, oggi non avevo niente.
Non si può dire la stessa cosa per domani, ho il pomeriggio
pieno…»
«Studi
lingue, non è vero?»
«Sì,
a Roma Tre.»
«Mi
sarebbe piaciuto studiarle. Sono più propenso per le lingue
orientali, però.»
«Cosa
ti ha fatto cambiare idea?»
Roberto
sospirò. «A mio padre serviva un aiuto in
officina. “Non posso assumere
sconosciuti per portare avanti l’importante azienda
Trani!”» borbottò,
facendogli il verso. Marta rise, ma lui aveva assunto
un’espressione
malinconica. «Così ho dovuto rinunciare
all’università. Adesso ho un po’ di
soldi da parte, potrei cominciarla quando voglio, ma temo che i miei
impegni
all’officina mi terrebbero troppo tempo lontano dalle
lezioni, e di certo non
ho un TARDIS sempre a portata di mano e pronto a tradurmi il
giapponese!
Secondo te vale anche con le lingue terrestri?»
«Sì»
rispose Marta, sorridendo. Ormai aveva rinunciato a capire il motivo
che aveva
spinto Roberto a chiederle di fare una passeggiata per scattare delle
fotografie – forse fare una passeggiata per scattare delle
fotografie – ed era
felice di scoprire dei lati del ragazzo che non conosceva.
«Perdonami,
non sono molto ferrato in materia.»
«Io
ho tutti i DVD della nuova serie.»
«Dici
davvero? Puoi prestarmeli?»
No,
non poteva: Marta non prestava alcunché, figurarsi sei
cofanetti di Doctor Who!
L’aveva detto solo per
vantarsi, ma non poteva certo rivelarglielo.
«Possiamo
vederli insieme» si sentì rispondere.
Di
nuovo il sorriso di Roberto, diverso però da quello
sardonico di un’ora prima.
«Non vedo l’ora.»
♠
Non
avere la possibilità di connettersi a Internet era stato un
dono del cielo per
Leonardo: aveva potuto studiare tutto il giorno per l’esame
di letteratura tedesca
– godendosi Goethe senza distrazioni – e anche
mettersi in paro con gli appunti
delle altre materie che seguiva quel semestre; aveva indossato i fedeli
occhiali da vista, pavoneggiandosi dell’aspetto saggio che
gli conferivano, pur
non avendo bisogno di lenti: quelle che aveva fatto mettere sulla
montatura che
era appartenuta al padre erano finte, ma Leonardo nutriva la profonda
convinzione che lo aiutassero a leggere meglio. Per sua fortuna, i due
ragazzi
che condividevano l’appartamento con lui – Patrick
e Fabio – sembravano non
essersi accorti dell’inganno, altrimenti lui era certo che
l’avrebbero
spifferato ai quattro venti. Non che loro si interessassero della sua
vita, ma
Leonardo temeva ogni tipo di giudizio; per questo teneva gli occhiali
ben
riposti in un cassetto che chiudeva a chiave prima di uscire,
premurandosi poi
di nascondere anche quella.
A
un’attenta analisi, Leonardo era piuttosto certo che i suoi
coinquilini non si
struggessero dal desiderio di scovare un suo imbarazzante segreto per
ricattarlo – in modo da ottenere cosa, poi? –
però la sua connaturata timidezza
e l’ansia di essere ignorato da tutti lo spingevano a farsi
una cattiva idea
del mondo che lo circondava. Lui lo chiamava “sistema di
autodifesa”.
In
fondo, cosa sapevano di lui Patrick e Fabio?
Che,
avendo cominciato la scuola un anno prima rispetto ai suoi coetanei, si
trovava
a seguire il primo anno della laurea magistrale in Lettere e filosofia
dell’Università di Roma Tre – avrebbe
potuto essere già al secondo anno, se
solo eventi inaspettati non lo avessero tenuto lontano dalla laurea per
diversi
mesi – e che aveva preso una camera singola in affitto vicino
alla facoltà,
perché la casa dei suoi genitori era nelle Marche.
Che
passava gran parte del tempo davanti al computer, lottando con la
connessione
che dava problemi all’intero condominio, e che non andava a
letto finché non
aveva finito di vedere le consuete cinque puntate della serie tv del
momento –
o almeno lo potevano dedurre dalla luce accesa fino a tardi nella sua
stanza.
Che
mangiava spesso fuori casa e che la mattina, prima di andare a lezione,
si
svegliava sempre alle otto e stendeva con un coltello da Nutella la
marmellata
di fragole su tre fette biscottate.
Mentre
lui cosa sapeva dei suoi coinquilini? Che condividevano una doppia, che
Patrick
era uno studente inglese in Erasmus giunto a Roma a settembre e che
Fabio era
il pugliese che aveva preso il posto della storica coinquilina di
Leonardo.
Rabbrividì,
ripensando a Elena.
“Dovrebbero
scrivere sul regolamento del condominio: ‘Niente storie
d’amore tra
coinquilini, soprattutto se una dei due è una pazza
scatenata della peggior
specie.’”
In
conclusione, Patrick e Fabio non sapevano molto di lui e Leonardo era
lieto di
poter dire la stessa cosa su loro: non gli interessava farsi gli affari
altrui,
ma solo vivere in pace e in armonia. Cosa che finalmente, dopo tre
anni, aveva
cominciato a fare.
Alle
sei decise di alzarsi dalla scrivania e fare un salto al Vecchio
Mangaka; c’era ancora un’ora prima della
chiusura e
Leonardo sentiva di doversi premiare per la costanza nello studio di
quel giorno.
Ripose gli occhiali, nascose la chiave del cassetto in una scatole per
le
scarpe e indossò la felpa degli Stark sopra alla maglietta
degli Stark. Molti
avrebbero detto che il suo guardaroba fosse monotono, ma solo
perché non
avevano visto il suo tatuaggio.
Degli
Stark.
Uscì
di casa e percorse le poche centinaia di metri che lo dividevano dal
negozio di
fumetti, ripassando mentalmente ciò che aveva letto negli
appunti.
«Ciao,
Matteo.»
Non
ottenne risposta, se non un rapido cenno del capo: Matteo doveva essere
indaffarato con qualche pacco che sembrava non essere giunto a
destinazione,
perché faceva avanti e indietro tra le due sale del Vecchio Mangaka senza che ci fosse alcun
cliente.
«Posso
usare il computer?» gli chiese.
“Spero
di aver usato il giusto tono di voce. Non vorrei approfittare della
connessione, però… Se ci fosse stato Giovanni
sarebbe stato più semplice…”
Matteo
si fermò e lo fissò con astio.
«Per
favore» aggiunse Leonardo, avvertendo uno strano calore
percorrergli il collo.
Per
tutta risposta, Matteo scrollò la testa e lo
fissò di nuovo, ma con
un’espressione confusa. «Che mi hai
chiesto?»
«Posso
usare il computer, per favore?»
«Ah,
sì, certo! Fa’ pure.»
Leonardo
non sapeva che il rosso di cui si era colorato il suo volto sarebbe
diventato
un rosa pallido quando avrebbe aperto Facebook. E visto le notifiche. E
guardato le novità nel suo gruppo di cosplayer.
«Ehi,
ora lavori qui, elfo di merda?»
Quelle
parole di scherno lo riportarono alla realtà –
doveva aver fissato con gli
occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta lo schermo del computer per
diversi
minuti – ma Leonardo non si offese, troppo abbattuto per
rispondere in
qualsiasi modo a Stefania, che lo osservava dall’altra parte
del bancone.
Si
lasciò cadere addosso allo schienale della sedia.
«Sono
rovinato.»
«E
quindi ti sei cercato un lavoro?»
«No,
intendevo… Merda, sono rovinato.»
Stefania,
dietro gli occhiali dalla montatura rossa, sollevò un
sopracciglio. «Wow, non
credevo sapessi certe parole. Che stai dicendo?»
Leonardo
si portò una mano alla fronte, senza preoccuparsi di darle
una risposta
adeguata: non voleva parlare, voleva solo passare il resto della
giornata sotto
le coperte mangiando cereali al cioccolato e giocando alla Xbox.
«Elfo?»
«Che
c’è?!» sbottò Leonardo,
facendola sussultare.
«Almeno
fammi pagare questo manga.»
«Non
lavoro qui!»
«E
per fortuna, altrimenti Giovanni e Matteo avrebbero perso tutta la
clientela.
Muoviti, devo tornare a casa a finire la seconda stagione del Trono.»
“Ecco,
infierisci! Possibile che sia così malvagia da attaccarmi
anche senza
rendersene conto?”
«Mi
devo sbrigare,» continuò Stefania, battendo
nervosamente i piedi a terra, «se
voglio essere pronta per la terza stagione.»
Leonardo
non riuscì a reprimere un singhiozzo disperato. Stefania
sgranò gli occhi e
corse dietro al bancone, scansando il ragazzo e facendolo cadere a
terra per
guardare il monitor.
«L’hanno
sospeso?!» esclamò, fuori di sé.
«Non può… non deve
essere! E cos’è questa pagina? Metti le
news, muoviti!»
«Da
terra?» Leonardo cercò di darsi un contegno,
sebbene fosse difficile dopo avere
avvertito sulla guancia il freddo del pavimento. «Non
c’entra niente la serie,
si tratta del Romics.»
«Del
Romics?» Stefania aggrottò la fronte.
«Non sapevo ci fosse uno stand come a
Lucca.»
«Non
è quello il punto… cioè, quasi.
Proprio perché i cosplayer ufficiali non
saranno al Romics, noi avevamo pensato di portare i costumi di Game of Thrones.»
«“Noi”?»
«Il
gruppo di cosplayer con cui vado alle fiere ogni anno. Il mio vestito
era
pronto da mesi, ma… maledizione, alcuni hanno dato buca e
ora è un disastro,
non possiamo fare il contest!»
«Quanti
siete?»
«Trentasette,
senza contare gli assenti.»
«E
allora qual è il problema?»
«Mancano
Ditocorto, le sorelle Tully… e Ned.»
«Cavolo.»
Leonardo
si stupì che Stefania avesse compreso la sua situazione, ma
poi pensò che
poteva essere anche lei una cosplayer. Ed ebbe un’idea.
«Fallo
tu.»
«Chi,
Eddard Stark?!»
«No,
un altro personaggio… Lysa.»
Stefania
lo soppesò con lo sguardo. «Perché
proprio lei?»
«Perché
hai il fisico adatto, mentre Cat…»
Poi
si accorse di essere sul punto di fare un’enorme gaffe.
“Mentre Cat è magra”
concluse mentalmente.
Stefania
però rifletteva. Non sembrava essersela presa per la sua
osservazione; al
contrario, quando tornò a guardarlo si
complimentò con lui.
«Credevo
fossi uno di quelli eretici che
seguono solo la serie tv. Lì Lysa Tully è
piuttosto secca.»
«Allora…
pensi di poter venire?»
«Oh,
sì, elfaccio del Nord. Ho un solo problema: non so cucire.
Dovrò chiedere a mia
madre se…»
«Posso
aiutarti io.»
Stefania
lo osservò, scettica. «A cucirlo?»
«Non
dire che è una cosa da femmina, è che ho dovuto
imparare per farmi da solo i
costumi…»
«Non
è da femmina, è da elfo. Dovevo capirlo
subito.» Sospirò, poi lasciò qualche
moneta sul bancone. «Questo è per il manga, dillo
tu a Matteo, lo vedo più
sconvolto di te. Quando mi porti il vestito?»
«Dovremmo
farlo insieme. Sai, devo prendere le misure…»
Rivolse
gli occhi al soffitto. «Ok, quando
ci
vediamo?»
«Giovedì
pomeriggio a casa mia?»
Rimasero
qualche secondo in silenzio.
«Va
bene. Mandami l’indirizzo su Facebook.»
«Ehi,
aspetta!» la fermò Leonardo prima che uscisse dal
negozio. «Dobbiamo trovare
anche gli altri cosplayer!»
Stefania
gli rivolse un ghigno. «Li abbiamo già
trovati.»
♠
«E
questo è quanto.»
Quando
Matteo finì di parlare, Giovanni dovette convenire che
qualcuno fosse più
incasinato di lui; forse non nell’immediato – anche
se le paure del suo amico
si sarebbero concretizzate quel venerdì – e forse
i problemi di Matteo
riguardavano il passato, ma Giovanni come lui aveva pensato che si
trattasse di
un capitolo chiuso.
“I
problemi tornano sempre a galla” si disse, prima di alzare
una mano per
ordinare un’altra birra.
Uscire,
andare in un pub, mangiare e dimenticare gli ultimi giorni: Giovanni
aveva
sperato che potesse servire, anche se poco, ad alleviare il vuoto che
avvertiva
nello stomaco; tuttavia Matteo si era presentato in preda al panico,
ancora
sconvolto dalla notizia del giorno precedente.
«Non
so come risolvere la situazione» riprese Matteo, torturandosi
le dita. Di
fronte aveva un’enorme fetta di torta al cioccolato, ma lui
sembrava non
vederla. «Dovrò rimandare la sessione,
è il minimo…»
«Devi
per forza?»
Sgranò
gli occhi. «Non posso mica rischiare che si sappia in giro!
No, devo rimanere
chiuso in casa questo fine settimana, o uscire lontano da sguardi
indiscreti.»
Giovanni
annuì. «Hai ragione. Ti coprirò io in
fumetteria sabato; potrei anche assumere
Leonardo solo per qualche pomeriggio, ho saputo che ha bisogno di un
lavoro.»
«L’hai
saputo o hai visto la valanga di manga che ha fatto mettere da
parte?»
Il
suo sorriso durò solo mezzo secondo e Matteo si diede un
colpo sulla fronte.
«Sono
un idiota, scusami. Avevo dimenticato la… L’avevo
dimenticata.»
Giovanni
sbuffò. «Puoi dirlo, sai? Fa più male
esserci in mezzo, che nominare la
separazione.» Rimase in silenzio per qualche istante prima di
raccontare al suo
amico cosa fosse successo il giorno prima. «Ci sono state
brutte sorprese per
entrambi: Cate si è presentata al negozio, ieri.»
«Che
voleva?»
«Un
“acconto” su quello che otterrà dalla
separazione, un servizio da tavola per
presentare al nuovo fidanzato lo straordinario timballo della
madre.»
Matteo
sgranò gli occhi. «Che
cosa?»
«Lo
vuole presentare ai suoi, a quanto pare.»
La
voce di Giovanni era calma e lui si ritrovò a desiderare con
tutto se stesso
che fosse solo un sistema di difesa per non far percepire a Matteo la
rabbia
che stava provando; però dovette ammettere di non sentire
niente. Era davvero
calmo, doveva sforzarsi per riuscire a immaginare il collo
dell’amante di sua
moglie nella stretta delle sue mani.
Dovette
ammettere che non gli interessava poi molto. Aveva smesso da tempo di
amare
Cate e allora perché ingelosirsi per un fatto del tutto
naturale? La verità era
che si stava confidando con Matteo perché di norma, in
situazioni analoghe, il
marito ferito si comportava così.
«Quindi
hanno deciso di portare avanti la relazione?» riprese Matteo.
Giovanni non
sapeva quante volte avesse ripetuto quella domanda, ma si accorse dal
suo
sguardo che non era la prima.
«A
quanto pare sì.»
«Forse
è meglio così.»
Parole
di circostanza, eppure Matteo aveva ragione: se proprio Cate aveva
dovuto
tradirlo, era più consolatorio sapere che lo avesse fatto
per amore.
“Lo
faccio per amore.”
Doveva
ricordarsi di maledire Leonardo per averlo contaminato.
Giovanni si trovava a proprio agio nel suo mondo popolato da mecha,
Munchkin e
musica classica, che bisogno c’era di influenzarlo
ulteriormente con la saga
fantasy più in voga nel Sotterraneo
del
Drow?
“E
non solo lì” dovette correggersi.
Probabilmente,
però, una parte della colpa era anche di Marta e della sua
mania di fare della
propria vita un’enorme citazione. I clienti del Vecchio Mangaka lo stavano trasformando
in uno di loro.
«Gianni?»
Sussultò,
ritrovandosi faccia a faccia con la torta di Matteo. Ecco, ora aveva
perfino le
visioni!
«Tutto
a posto? Nei limiti, intendo» gli chiese una voce poco simile
a quella di un
dolce al cioccolato.
Giovanni
si strofinò il volto con la mano, cercando di tornare alla
realtà. «Non lo so»
ammise.
Il
vuoto nello stomaco continuava a tormentarlo, ma la causa era
l’assenza di
qualsiasi risentimento.
QUINTO CAPITOLO
Il titolo è una
citazione di Una mamma per amica.
MARTA:
- “So riconoscere
il sarcasmo, non hai bisogno di andare in giro con un
cartello”: riferimento a The Big
Bang Theory.
- “Avresti potuto
cercare un Angelo e farti portare indietro nel tempo”:
riferimento a Doctor Who e ai
Weeping Angels.
- TARDIS:
riferimento a Doctor Who.
LEONARDO:
- Stark: casata di
Game of Thrones.
- Ned: “protagonista”
della prima stagione di Game of Thrones.
- “Elfaccio del
Nord”: gli Stark controllano il Nord.
GIOVANNI:
- “Lo faccio per
amore”: citazione di Jaime Lannister, Game
of Thrones.
SPAZIO AUTRICE
Dovevo aggiornare
presto. DOVEVO AGGIORNARE PRESTO. Ma, vi assicuro, questa volta non
è “completamente”
colpa mia: il computer mi aveva piantato in asso e, dopo giorni
nell’ansia di
dover riscrivere il capitolo da capo (ero arrivata a metà),
mi è arrivata la
buona notizia che non c’era bisogno di formattarlo.
Cercherò di
aggiornare ogni lunedì, se possibile; se è troppo
presto per voi, posso
aggiornare ogni dieci giorni.
E ora al capitolo!
Prima di tutto,
volevo scusarmi per i “merda” volati ogni tanto, ma
volevo rendere più
realistica la storia (Stefania è un po’ volgare,
se la persona che ha di fronte
non le ispira simpatia, mentre Leonardo in situazioni tranquille
è un ragazzo educato).
Seconda cosa, mi
sono resa conto di citare in continuazione DW e GOT. Dovrei trovare una
soluzione… ma non posso certo, dopo l’ultima
puntata di DW! *piange per sempre*
Cosa pensate dell’andazzo
della storia? Personalmente mi sto affezionando a Roberto, mentre credo
di non
essere ancora riuscita a delineare bene Matteo; Giovanni,
però, è quello che mi
dà più problemi, ma sto pensando di
“legarlo” a scene con altri per non
lasciarlo in un angolo per interi capitoli!
Ho appena creato un gruppo su Facebook dedicato alla long, Gli
eroi di Sandpoint, dove dare tutte le informazioni relative
alla storia
(nuovi capitoli, ritardo negli aggiornamenti,
anticipazioni…). Se volete
iscrivervi, ne sarò contenta ^^ Mi fa piacere sapere chi la
sta leggendo!
Grazie ai lettori,
ai recensori, a chi l’ha messa tra le preferite e a chi tra
le seguite, a Dark
Aeris che mi beta e ad Andre che mi legge :3
Medusa
|
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Capitolo 6 *** Amore è una parola grossa. Mica tanto, sono cinque lettere ***
Amore
è una parola grossa. Mica tanto, sono
cinque lettere
Matteo
aveva sonno.
Aveva
provato con tutto: due tazze di camomilla, un pacco di Gocciole, una
puntata in
lingua originale di Naruto
– ma aveva
dimenticato che guardare qualcosa che lo disgustava non gli metteva
noia, bensì
lo teneva ancora più sveglio, facendogli perdere le staffe.
Non era servito
niente, continuava a tenere lo sguardo fisso al soffitto bianco della
sua
camera, gli occhi arrossati per la stanchezza. Controllò
l’ora sul cellulare.
Le
due e mezza.
Le
due e mezza e lui si ostinava a non prendere sonno! Matteo era sempre
stata una
persona mattiniera e amava andare a dormire presto – non
oltrepassava quasi mai
il primo giro d’orologio dopo la mezzanotte e quando lo
faceva crollava sul
tavolo della cucina, con Torchwood
inserito nel lettore DVD. Quando si risvegliava il capitano Jack era
tornato
dalla morte, ancora.
Sapeva,
però, cosa lo tenesse ancora sveglio. Ogni volta che
abbassava le palpebre per
più di tre secondi, nella mente si formava la sua
immagine nel periodo peggiore della sua vita – quando lo
aveva
trascinato con sé nel buio; sentiva piangere nella stanza di
fronte alla sua,
ma quando riapriva gli occhi e, di malavoglia, correva a controllare,
il pianto
cessava e nella camera ormai vuota non c’era nessuno da
consolare. Tuttavia non
fingeva mai di non udire niente, preferiva accertarsi
dell’assenza di altre
persone in casa.
Aveva
chiamato, quel pomeriggio. La sua voce era agitata e sembrava
che… Già, lo sembrava
davvero, Matteo ci avrebbe
scommesso. Lui aveva avvertito più di un pugno nello
stomaco, una raffica che
nemmeno un monaco di dodicesimo livello sarebbe riuscito a
infliggergli; si era
sentito affranto per ciò che aveva immaginato fosse accaduto
e,
inaspettatamente, lo aveva colpito anche la notizia che quel
venerdì avrebbe
potuto masterizzare la nuova campagna. Faceva male, perché
dopo l’agitazione iniziale
si era abituato all’idea di passare il fine settimana
– il giorno di Pasqua –
in compagnia.
Avrebbe
potuto anche organizzare un bel pranzo pasquale, cucinando per le
persone a
cui, un tempo, aveva tenuto tanto – un tempo oscuro, da
dimenticare, un periodo
che l’aveva messo a dura prova e si era preso più
volte gioco di lui. Non aveva
voluto dirlo nel corso della telefonata, ma aveva già
comprato una colomba e un
uovo di Pasqua al cioccolato fondente; si era assicurato che potesse
contenere
una bella sorpresa e, per precauzione, sulla strada del ritorno aveva
acquistato anche un regalo.
«Non
cambierà mai,
Matteo.»
Quando
Giovanni, fissandolo con serietà, gli aveva detto quella
straziante verità che
lui tentava di tenere nascosto a se stesso, Matteo gli aveva inveito
contro,
dandogli dell’idiota, urlandogli che lui non ne poteva sapere
niente e che
doveva pensare solo alla sua perfetta vita con Caterina, invece di
rompergli le
palle. Il suo amico non aveva voluto discutere oltre, si era limitato
ad abbassare
il capo, sconfitto, e a lasciare il pub dove si erano visti; sul
momento Matteo
credeva di avere ottenuto una vittoria, ma prendersela con qualcuno lo
aveva
fatto stare bene solo fino alla mattina successiva. Per sua fortuna
Giovanni
non amava serbare rancore: lo aveva accolto in casa quando lui aveva
capito
quanto avesse ragione, aveva lasciato che si sfogasse e piangesse anche
su quel
divano bianco che era stato il primo acquisto della famiglia Nizzi. Se
ci
pensava, Matteo provava vergogna, non tanto per i singhiozzi e le
lacrime che
aveva mostrato al suo amico, quanto per essere stato tanto stupido e
fiducioso.
E
– si odiava per questo – a distanza di anni si era
scoperto a sperare di nuovo.
«È
saltato tutto, non
serve che venga a Roma venerdì.»
«Perché?
Hai…?»
«Devo
per forza aver
fatto qualcosa io?!»
«No,
scusami, non
intendevo…»
«Mi
sembra giusto, no?
Chi sbaglia una volta deve per forza sbagliare per sempre!»
«Ascolta…»
«Non
pensavo che fossi
così!»
«Mi
faceva piacere
vedervi!»
«Vaffanculo
te e
fanculo anche le tue cazzate! Ci hai buttati tu fuori dalla tua vita,
che cazzo
vuoi adesso?!»
Matteo
seppellì la faccia nel cuscino, cercando di trattenere la
rabbia: non doveva
permettersi di spaccare ancora un’altra cornice, aveva
già distrutto sette miniature
e la sedia della scrivania. Doveva contenersi, non poteva lasciare che
tornasse
a oscurare la sua vita anche a chilometri di distanza. Serrò
le palpebre e cercò
di dormire, ignorando i singhiozzi provenienti dalla stanza di fronte.
Il
pianto continuava, incessante, anche dopo diversi minuti; Matteo era
certo di
essere entrato nel dormiveglia.
Si
stava facendo più basso, ma sembrava cullarlo, seguendo un
ritmo. Un ritmo fin
troppo simile al tema di Dead Space.
Che
era anche la suoneria del suo cellulare.
Lo
cercò a tentoni sul comodino, agitandosi all’idea
che potesse chiamarlo di
nuovo. Quando lo trovò tirò un sospiro di
sollievo e allo stesso tempo sentì
una stretta agguantargli lo stomaco, in un tripudio di emozioni
contrastanti
come quelle che avevano caratterizzato quel passato da dimenticare.
Marta.
Cosa
poteva volere da lui a quell’ora? Erano quasi le tre! E si
stava finalmente
addormentando, maledizione.
Rispose
automaticamente, senza riflettere, e subito se ne pentì.
«Mh…
pronto?»
La
voce che giunse dall’altra parte era gioviale e si
distingueva a malapena dalle
risate di sottofondo. «Matteo?»
Lui
si sfregò gli occhi stanchi. «Marta? Cosa
c’è?»
Marta
rise, mentre una ragazza le gridava: «Dai,
chiediglielo!»
«Dove
sei?» domandò invece Matteo.
«Con
una mia amica!»
«Dove,
non con chi.»
«Non
ti importa con chi sono?»
Sembrava
urtata. E lui era stufo delle persone che si urtavano per una
constatazione o
una domanda del tutto normale.
«Sì,
mi importa, perché se mi chiami alle tre di notte non posso
che immaginarti in
pericolo e preda di qualche maniaco!»
«Ti
preoccupi?»
«E
su, diglielo!»
Stava
perdendo la pazienza. Se lo aveva chiamato per qualche
sciocchezza…
«Ti
va di uscire con me?»
«No,
non mi va e non mi andrà mai, e ora lasciami in
pace!»
Chiuse
la chiamata e lanciò il cellulare, che si andò a
schiantare contro una delle
miniature miracolosamente ancora in piedi – almeno fino a un
attimo prima – e
si nascose sotto le coperte, augurandosi che nessuna pazza ubriaca o
fuori di
testa avesse ancora intenzione di guastargli il sonno.
♠
«Oh,
hai trovato la casa.»
«Pensavi
fossi così idiota da perdermi?»
Leonardo
la considerava una stupida, era evidente. O forse era lui troppo scemo
da
formulare un saluto decente come: «Benvenuta, entra
pure.»
«Non
intendevo…»
«Mi
lasci entrare?»
Non
aspettò una risposta, ma lo superò portando in
braccio un cumulo di stoffe.
«Dove
ci mettiamo?» urlò da quella che dedusse essere la
cucina.
«Camera
mia?»
Stefania
lo fulminò con lo sguardo non appena Leonardo la raggiunse,
ma dopo qualche
attimo di riflessione decise che poteva andar bene. Annuì e
aspettò che lui le
mostrasse la strada.
«Stai
per dirmi che non è un granché, ma è
casa?» lo provocò, incapace di comportarsi
gentilmente con il ragazzo. «Ti avverto che non ti
dirò che è magnifica.»
Però
dovette ammettere che lo era, o almeno un po’. Se solo il
grigio e il nero degli
Stark non avessero dominato l’intera stanza. Il letto era
posizionato al centro
della camera e sopra di esso svettava lo stemma della casa
che-perdeva-un-membro-ogni-anno
di Westeros – Stefania ebbe un moto d’orgoglio,
come se fosse merito suo il
dominio dei Lannister e la tragedia del Nord – mentre una
delle pareti grigie a
lato era occupata da una libreria nera colma di fantasy, DVD di Harry Potter e della prima stagione di Game of Thrones e una pila in apparenza
interminabile di giochi per la Xbox, che giaceva in un angolo accanto
al
televisore.
«Dovresti
sostituire il nero con l’oro» suggerì
Stefania, abbandonando le stoffe sul
letto. E il grigio con il rosso, direi. Cambia un po’ tutto,
va’, ché è
meglio.»
«Cosa
sono?»
«Che
ti sembrano, elfo senza il Nord? L’occorrente per preparare
il costume.»
Leonardo
parve combattere tra il desiderio di chiudere la porta per evitare
eventuali
intrusioni – quell’appartamento era troppo grande
per una sola persona – e la
consapevolezza che Stefania gli avrebbe rivolto un’altra
osservazione
tagliente. Effettivamente quella osservazione era già sulla
sua lingua, pronta
a manifestarsi, ma alla fine il ragazzo scelse di lasciare la porta
spalancata.
Si avvicinò alla scrivania e aprì uno dei quattro
cassetti, estraendo un kit
per il cucito, poi si sedette sul bordo del letto.
«Hai
sempre un nuovo nomignolo per me?»
«Eh?»
In
realtà Stefania aveva capito benissimo, ma voleva far
pensare a Leonardo che
ogni modo con cui sceglieva di chiamarlo fosse inventato al momento; al
contrario si esercitava a casa, quando non aveva di meglio da fare, a
dare
soprannomi a tutti i suoi conoscenti. Quasi nessuno aveva ricevuto un
nomignolo
positivo.
Leonardo
cambiò discorso. «Dobbiamo… beh,
dobbiamo.»
«Dobbiamo
cosa?» gli chiese Stefania, confusa.
Lui
si guardò intorno, abbassò lo sguardo a terra e
concluse: «Dobbiamo prendere le
misure.»
«Pensi
davvero che mi spoglierei davanti a te?» sibilò
Stefania, fissandolo in
cagnesco.
«Non
usare il condizionale, dovrai farlo per forza. Mi dispiace, non vorrei,
ma devo
misurarti e…»
«Sei
un idiota.»
«Pensi
che mi faccia piacere vederti nuda?»
Stefania
sgranò gli occhi, mentre un’ombra le attraversava
il volto; Leonardo non
sembrava essersi reso conto di ciò che aveva appena detto e
questo confermò la
sua ipotesi: non pensava di avere fatto una gaffe, avrebbe preferito
davvero
evitare di vedere la sua pelle strabordare dalle mutande.
«Ti
fa schifo perché sono grassa?»
Fu
il turno di Leonardo di fissarla con sorpresa. «No,
ma… ecco… non ci avevo…»
«Non
ci avevi pensato, certo» soffiò lei con rabbia.
«Sei
una ragazza, non voglio vederti nuda!»
Stefania
aggrottò la fronte, presa alla sprovvista da
quell’esclamazione: il ragazzo era
avvampato ancora di più e la guardava, in attesa forse che
lo scagionasse da
tutte le accuse.
«Scusa»
si ritrovò inaspettatamente a chiedere.
“Non
pensavo fossi ancora un bambino” avrebbe voluto aggiungere,
ma forse il motivo
della sua reazione era un altro e non voleva rischiare di essere lei a
fare
un’enorme gaffe. Estrasse un foglietto scarabocchiato dalla
tasca e glielo
porse.
«Sono
le misure, le avevo prese a casa. Dovrebbero esserci tutte.»
Lasciò
che Leonardo le leggesse, poi rovistò con lui nella montagna
di stoffe.
Non
passarono un pomeriggio tanto brutto come aveva temuto; Leonardo sapeva
essere passabile quando svolgeva un
lavoro,
dimenticando perfino la sua timidezza. Tagliarono e cucirono per un
paio d’ore
– possibile che avesse anche una macchina da cucire in
camera? – con il
piacevole sottofondo della colonna sonora di Game
of Thrones inserita nello stereo.
«Perché
gli Stark?» chiese Stefania di punto in bianco, mentre
Leonardo l’aiutava a
controllare la lunghezza della manica.
«Eddard»
rispose lui di getto, segnando con il gesso il punto in cui avrebbe
dovuto
tagliare la stoffa blu. «Mi piace che metta l’onore
al primo posto.»
«Mettesse» lo corresse Stefania
con un
sogghigno. «Avrebbe dovuto farlo sempre: vai contro
l’onore una volta e vedi
come rotola la tua testa.»
«La
colpa è vostra.»
Sollevò
un sopracciglio. «Nostra?»
«Solo
una Lannister parlerebbe così. È stato Joffrey a
far uccidere Ned.»
Si
strinse nelle spalle. «Qualche disgraziato può
capitare in famiglia, ma noi
abbiamo Tywin. Abbiamo Jaime. Tyrion.»
«Il
nano?» ridacchiò Leonardo.
«Meglio
nano che decapitato» ribatté Stefania, stizzita.
“Perlomeno
abbiamo qualcosa in comune” dovette ammettere.
“Peccato che tifi per gli Stark,
un motivo in più per scannarci ogni volta che ci vedremo. Mi
sa che farò fuori
il suo mago domani sera, se non riesce a creare un vestito
decente.”
«Vuoi
qualcosa?» le chiese Leonardo, alzandosi dal letto e
lisciandosi i jeans. «Una
fetta di torta?»
«Un
tè andrà bene.»
«Ma
la torta è buona, l’ha fatta uno dei miei
coinquilini…»
«Stark»
lo riprese Stefania, indicandosi. «Mi hai vista?»
Leonardo
avvampò e si passò una mano fra i capelli neri.
«Un… tè, allora. Quale vuoi?»
«Quali
hai?» Si alzò anche lei e lo precedette in cucina.
«Fammi vedere.»
«Sono
là, dietro le tazze…»
«Qui?
Ah, no, ecco. Ehi,» esclamò, sollevando una tazza
con il cervo dei Baratheon,
«e questa? È dei tuoi coinquilini?»
Inaspettatamente,
invece di risponderle balbettando o dirle che apparteneva a uno di
loro,
Leonardo le strappò la tazza dalle mani, livido in volto, e
la rimise a posto.
Poi abbassò lo sguardo, avvicinandosi mestamente al
lavandino.
«Cos’era
quello?» gli chiese Stefania, confusa.
«Una
tazza.»
«Beh,
sì, l’avevo notato. Cos’era quel gesto?»
Leonardo
riempì un bricco d’acqua e lo mise sul gas,
lasciando passare qualche secondo
prima di rispondere evasivamente: «Apparteneva a qualcuno che
l’ha dimenticata
qui.»
“Come
me” sembrava aggiungere con amarezza il suo tono piatto.
Stefania non fece
ulteriori domande, capendo di poter toccare un tasto molto delicato, e
si
sedette in attesa di un tè che, alla fine, non aveva neanche
scelto.
♠
A
Roberto, dopotutto, piaceva lavorare in officina: suo padre era un
bravo datore
di lavoro che gli garantiva lo stipendio ogni mese, era divertente
armeggiare
con i motori e l’università – per grazia
divina – non aveva mai fatto parte dei
suoi piani. Certo, aveva detto a Marta che avrebbe desiderato
frequentarla, ma
c’era forse qualcosa di male nel farle provare un
po’ di pietà per lui,
costretto a lavorare quasi tutti i giorni dalla mattina alla sera
nell’officina
di famiglia?
Se
avesse dovuto scegliere un motivo per cui detestare
quell’impiego, sicuramente
sarebbe stata la sensazione del grasso sulle mani che non accennava ad
andarsene neanche dopo una doccia; sparivano i segni, spariva
l’odore per lui
nauseante, ma la consapevolezza di essersi sporcato non lo abbandonava.
Non
importava, in fondo: gran parte delle volte – e anche grazie
ai due zii che
lavoravano con loro – Roberto poteva prendere giorni di ferie
senza che suo
padre sbraitasse troppo. Aveva inoltre una scusa per non essere in
grado di
seguire le serie televisive del momento.
Già,
non avrebbe scambiato il suo lavoro per qualsiasi università
– a meno che non
fosse frequentata solo da donne libidinose in attesa di un aitante
venticinquenne pronto a soddisfare ogni loro voglia.
«Mamma
voleva sapere se tua cugina viene a cena da noi»
esordì suo padre,
affacciandosi dalla seconda stanza dell’officina con il
cellulare vicino
all’orecchio.
Roberto
si passò una mano sulla fronte sudata. «Alle otto
e mezza come al solito»
rispose. «E non chiamarla “cugina”.»
Detestava
quando i suoi definivano così Viola. D’accordo, da
un paio di anni sua madre si
era sposata con uno dei cinque fratelli di Giuseppe Trani, ma Viola
faceva parte
della sua vita da… sempre? Avevano frequentato insieme la
scuola materna, le elementari
e le medie, dividendosi solo per le superiori; erano andati quasi ogni
estate
in vacanza insieme, e questo aveva contribuito a far conoscere i due
futuri
sposi; erano perfino nati nella stessa settimana e Roberto aveva
scommesso che
le loro madri fossero nella stessa stanza d’ospedale, per
quanto Maria avesse
più volte ripetuto al figlio di non avere conosciuto la
madre di Viola prima di
diversi mesi dalla loro nascita.
Viola
sarebbe andata a cena da lui come ogni settimana anche se non fosse
diventata
la sua “cuginastra”, ma i suoi sembravano
dimenticarlo in continuazione.
“E
so bene perché” si disse Roberto, armeggiando con
una Yamaha.
Amava
il suo lavoro, ma quel giorno non vedeva l’ora di tornare a
casa: era in
officina dalle nove di mattina e si era già occupato di
altre due moto, adesso
l’unica cosa che desiderava era che arrivasse
l’orario di chiusura per
infilarsi sotto il letto con una bella scorta di hentai e Bohemian Rhapsody nelle orecchie, prima
che Viola irrompesse nella
sua stanza per conoscere le ultime novità.
Avrebbe
voluto farlo, già, se solo le “ultime
novità” non fossero improvvisamente
apparse sul marciapiede che dava sull’officina. Marta stava
controllando
l’insegna e indossava una maglietta molto più
carina di quelle che solitamente
le vedeva addosso: nessun riferimento nerd, ma solo una scollatura che
metteva
in evidenza il suo piccolo seno. Nonostante avesse un debole per la
quarta
abbondante, Roberto pensava che la seconda misura di Marta lo
stuzzicasse così
tanto perché lo rendeva ai suoi occhi ancora più
diverso di quello che lei si
sarebbe aspettata – o, in altre parole, di quello che era
realmente.
«Marta!»
esclamò, passandosi l’avambraccio sulla fronte
scoperta. Grasso, sì, ma un
grasso che lo rendeva più appetibile a persone come Marta.
«Che ci fai qui?»
Lei
sorrise timidamente e, avvicinandosi, Roberto notò il solco
delle occhiaie.
«Ero all’università e ho pensato di
passare.»
“Oh,
piccola mia, devo insegnarti a dire bugie.”
Maglietta
scollata: Marta non gli sembrava il tipo di ragazza che si recava alle
lezioni
così, soprattutto in una giornata tanto fredda.
Borsa:
era troppo piccola per contenere un libro o anche solo un quaderno.
Occhiaie:
la sera prima aveva fatto baldoria.
Roberto
non leggeva Doyle, ma era piuttosto sicuro di aver fatto centro.
«Scusami,
ti saluterei con un abbraccio, ma non voglio sporcarti.»
“Meglio
enfatizzare di essere sudicio. Beh,
non proprio sudicio, un po’ sporco. Quel che basta a far
eccitare le donne.”
«Apprezzo
il pensiero» disse Marta con un sorriso.
Roberto
sorrise a sua volta e poi gridò al padre: «Vado a
fare un giro!»
«No,
non serve che ti allontani dal lavoro…»
tentennò Marta. Si portò una mano alla
bocca per torturarsi le unghie. «Volevo solo,
ecco…»
“Strana
reazione, qui c’è di mezzo qualcosa.”
«Non
fa niente, tanto sono qui dalle nove. Vado un attimo in bagno a darmi
una
pulita, tanto ho dietro il cambio, e poi andiamo a berci un aperitivo,
che ne
dici? O passiamo in libreria, così ne approfitto per cercare
un libro.»
«D’accordo.»
Mentre
si allontanava verso il bagno, Roberto si disse che doveva inventare un
titolo.
Poteva ammettere che voleva portarla in libreria per farle passare
un’oretta in
uno dei posti che, a sentire i resoconti di Stefania, Marta preferiva,
ma era
più divertente farle pensare che fosse lui a doverci andare.
“Gusti
in comune, anche se per finta.”
Afferrò
il cellulare e mandò un sms a Viola: “Potrei fare
tardi, pensa tu ai miei.
Novità in arrivo!”
Le
cose stavano andando meglio del previsto.
SESTO CAPITOLO
Il titolo è un
dialogo di Skins.
MATTEO:
- Il Capitano Jack
è il protagonista di Torchwood.
- Dead Space
è un videogioco.
STEFANIA:
- Westeros è il
continente occidentale in cui è ambientato Game
of Thrones/ASOIAF.
- Rosso e oro sono
i colori dei Lannister.
- “elfo senza il
Nord”: gli Stark, all’inizio della saga, erano
protettori del Nord. Erano, appunto.
- Baratheon:
casata di ASOIAF.
SPAZIO AUTRICE
Ho aggiornato in
mega-ritardo, (quasi) tutta colpa del POV di Stefania, che mi ha dato
diversi
problemi. Scusatemi, stasera comincio a scrivere il prossimo capitolo
così da
averlo già pronto!
Sto inserendo man
mano nuovi personaggi e creando dei
“misteri”… Forse niente di che, ma non
volevo creare una storia piatta. Nel prossimo capitolo
tornerà il gioco di
ruolo: verrà narrato, in parte, ma non prenderà
l’intero capitolo.
E qui invece ho
citato in continuazione GOT, altro che DW. Ma di che altro posso far
parlare
Stefania e Leonardo, al momento? u.u
Viola, Viola… Sì,
l’avevo già citata un paio di volte e
sì, apparirà nel corso della storia, ma
non sarà un personaggio fondamentale (perlomeno non lo
è al momento).
Grazie per aver
letto ^^
Medusa
|
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Capitolo 7 *** Che piacevoli i vuoti di memoria, il premio che si trova sempre sul fondo di ogni bottiglia di vodka ***
Che piacevoli i vuoti di memoria, il premio che si trova sempre sul fondo di ogni bottiglia di vodka
Quando
Amy scese a fare
colazione, la mattina seguente, trovò il gruppo immerso in
una fitta
conversazione con la proprietaria della locanda, Ameiko Kaijitsu.
L’ex
avventuriera, membro di una delle famiglie più potenti di
Sandpoint, aveva
offerto agli eroi della città vitto e alloggio per una
settimana e ora le
persone che avevano aiutato Amy a sconfiggere i goblin erano sedute
attorno a
un tavolo e pendevano dalle labbra della locandiera.
«Buongiorno»
salutò la
ladra con un sorriso.
Il
primo a risponderle
fu Robert, che immediatamente le fece posto sulla panca; il mago Jerle,
invece,
le rivolse uno sguardo poco interessato, mentre Ygritte si
limitò a emettere un
grugnito.
«La
signorina Kaijitsu
ci stava parlando di un fatto increscioso avvenuto questa
notte…»
«Oh,
andiamo!» scattò Stefania, roteando lo sguardo
verso l’alto. «“Signorina
Kaijitsu”?
“Fatto increscioso”? Sei un guerriero o un
paladino, tu?!»
Marta
affondò la testa nelle braccia: non avevano ancora iniziato
e già Stefania
aveva trovato un pretesto per sbraitare contro qualcuno.
Per
tutta risposta, Roberto sfoderò un ghigno divertito.
«Un guerriero non conosce
forse le buone maniere?» chiese, allargando le braccia.
Sapendo
che sarebbe partita una discussione di almeno dieci minuti –
Roberto era in
grado di tenere testa a Stefania e lei detestava non avere
l’ultima parola –
Marta si tappò le orecchie e fissò il poster di Sine Requie che quel pomeriggio qualcuno
aveva appeso alla parete.
Le faceva ancora male la testa per tutta la vodka che aveva bevuto due
sere
prima, ma non era stupida: sapeva che il vero motivo
dell’emicrania non era il
dopo sbornia, bensì la consapevolezza di ciò che
aveva fatto in preda
all’alcol.
“Ho
chiamato Matteo” si ripeté per
l’ennesima volta, soffocando un sospiro di
disapprovazione. “Gli ho chiesto di uscire con me. Ma come
cavolo mi è venuto
in mente?!”
Non
ricordava con esattezza come si fosse svolta l’umiliazione,
però aveva ben
impresso il rifiuto di Matteo. D’accordo, era notte fonda
– le pareva, almeno –
e d’accordo, doveva essere stata insopportabile da ubriaca,
ma le parole del
ragazzo erano state fin troppo lapidarie. Per quel motivo il pomeriggio
seguente si era recata da Roberto, con una maglietta che aveva
sgraffignato a
Teresa, da cui era rimasta a dormire; aveva scoperto che Roberto non
era male,
si era anche divertita in sua compagnia, forse voleva solo ripetere
l’esperienza.
“O
scacciare Matteo dalla mente, ammettiamolo.”
Possibile
che dovesse umiliarsi ogni volta che perdeva la testa per qualcuno?
Come quando
aveva sedici anni… Per fortuna era passato del tempo da
allora – parecchio
tempo, considerate le differenze tra la se stessa di adesso e quella
del liceo
– e nessuna delle persone in quella stanza l’aveva
conosciuta prima del
cambiamento. L’istinto masochista, tuttavia, si ostinava a
fare capolino di
tanto in tanto, costringendola a comportarsi in modo stupido e
affrettato.
Avrebbe
preferito che il suo grande amore
fosse un Silente, uno di quegli alieni di cui ci si dimentica non
appena si
distoglie lo sguardo; il problema, però, era che Matteo
rimaneva lì, non
importava quanti poster di Sine Requie
fissasse, e lei non era il Dottore né River Song: non poteva
distruggerlo.
«Questa
notte la tomba
del vecchio sacerdote è stata profanata»
spiegò Ameiko. «E il corpo…
sparito.»
«È
orribile» mormorò
Amy, avvertendo un brivido percorrerle la schiena.
«Non
avete idea di chi
possa essere stato?» domandò Jerle, abbassando il
cappuccio rosso.
Ameiko
scosse la testa.
«Lo sceriffo non ha ancora arrestato nessuno. In
realtà si chiedeva se voi…»
«Noi
uccidiamo» la
interruppe Ygritte. «Gli eroi non indagano.»
«Mi
sembra ovvio: io non posso usare “increscioso”, ma
il tuo barbaro conosce il
verbo “indagare”!»
«Andiamo
avanti» li riprese Matteo, prima che Stefania potesse aprire
bocca. Era
visibilmente infastidito, ma Marta non sapeva dire se per i continui
battibecchi tra i due giocatori o per la telefonata notturna.
“Non
mi ha ancora mai guardata” constatò. “Merda.”
«Non
si preoccupi,
Ameiko,» la rassicurò Amy, «possiamo
pensarci noi.» Si avvicinò all’orecchio
di
Ygritte e sussurrò: «Ci sarà
sicuramente un compenso, e poi potrai fare a pezzi
gli sciacalli che hanno profanato la tomba.»
Il
barbaro grugnì
ancora, dando il suo assenso.
«Vi
recate dallo sceriffo,» narrò Matteo,
«che vi conferma ciò che Ameiko vi ha
raccontato a colazione.»
«Gli
chiedo se hanno trovato delle tracce, delle impronte di
scarpe» disse Leonardo.
«Potrebbero essere umani o goblin.»
«I
famosi goblin che rubano cadaveri» sogghignò
Roberto, facendo ridere anche
Stefania.
Marta
stava cercando di seguire il loro ragionamento – dei giocatori, non dei personaggi.
Stefania si attaccava con
Roberto, tuttavia era dalla sua parte quando la vittima degli scherni
era
Leonardo. La mente di una donna era contorta, ma quella di Stefania era
un
labirinto di Dedalo.
Mentre
rifletteva, incontrò lo sguardo di Roberto, che gli sorrise
complice, come se
tra loro ci fosse un segreto che gli altri non avrebbero mai dovuto
scoprire.
Si riferiva al modo in cui le aveva parlato al Giardino degli Aranci o
alle
passioni e ai desideri che le aveva rivelato? O – Marta si
sentì contorcere lo
stomaco – alla relazione che c’era tra loro?
Quale
relazione, poi? Erano usciti un paio di volte, niente di
più, potevano
definirsi “conoscenti che pianificano di diventare
amici.”
“Che
definizione del cavolo.”
Già,
avrebbe potuto scacciare quell’ulteriore preoccupazione in
pochi secondi, ma
doveva ammettere che era corsa da lui dopo il rifiuto di Matteo, invece
di
tornare a casa e guardarsi un’intera stagione di Friends.
La
situazione si faceva sempre più complicata.
Non
appena gli eroi di
Sandpoint ebbero varcato l’entrata della cripta,
l’orrore si manifestò ai loro
occhi: due scheletri giacevano accanto alle pareti, ma bastò
la loro entrata
per farli animare. Li attendevano, era certo.
«Amy,
dietro di me!»
esclamò Robert, mentre Jerle lanciava una palla di fuoco
contro lo scheletro
più vicino.
L’avversario
fu preso
in pieno, ma il guerriero dovette farsi avanti per annientarlo
completamente.
Amy tese la fionda e tirò il sasso, raggiungendo
però solo l’orecchio di
Robert. Lo scheletro ancora in piedi utilizzò la spada e
graffiò l’armatura del
guerriero, fortunatamente senza ferirlo.
Venne
il turno di
Ygritte, che tranciò in due il nemico, uccidendolo; come se
non bastasse diede
un calcio ai resti del suo corpo.
«Sei
ferita?» chiese
Robert a Amy, che scosse la testa.
«No,
io… Scusami, non
volevo colpirti!»
Il
guerriero le rivolse
un rapido sorriso. «Non è stato niente,
può succedere.»
Jerle
strappò il
mantello dal primo scheletro, analizzandolo.
«Qualcuno
è stato qui» notò
Ygritte, dopo aver osservato le impronte che portavano fuori dalla
cripta. «Non
siamo noi e non possono essere stati gli scheletri… Sono
impronte umanoidi.»
«Dobbiamo
andare dal
Gran Sacerdote.»
«Ci
andiamo subito o perdiamo tempo ad analizzare il mantello?»
chiese Stefania,
incrociando le braccia dietro la nuca.
«Ehi,
non è una perdita di tempo!» esclamò
Leonardo.
«A
proposito di perdere tempo, Ygritte,»
ghignò Roberto, «ci hai messo un bel po’
prima di entrare in campo.»
«Non
è colpa mia: dadi schifosi. E tu, invece? “Sei
ferita?” Come devo ripetertelo?
Sei un rozzo guerriero di provincia, non un paladino!»
«Siete
voi barbari a essere rozzi, piccolina.»
Stefania
avvampò. «Non chiamarmi…»
«Ninfadora»
concluse automaticamente Marta. E, automaticamente, portò lo
sguardo su Matteo
per vedere se avesse colto la citazione.
L’aveva
fatto, ma nell’attimo in cui i loro occhi si incontrarono il
game master tornò
a concentrarsi sul manuale, visibilmente irritato.
♠
“Procede
meravigliosamente” constatò Roberto, appoggiando
la testa sulla mano in una
posa sognante. “Dev’essere successo qualcosa che
non so fra quei due… e devo
approfittarne il prima possibile.”
L’unico
neo del suo piano era l’ignoranza riguardo il motivo che
spingeva Marta e
Matteo a non incrociare gli sguardi: si erano sentiti, prima che lei
comparisse
davanti all’officina di Roberto? Sì, doveva essere
così, ma cosa potevano
essersi detti?
Detestava
non saperlo, lo vedeva come un
limite
alla storia che aveva intenzione di scrivere, ma in fondo uno scrittore
non
viveva di immaginazione? Stava già cominciando la prima
bozza ed era orgoglioso
di come si stesse presentando: nemmeno un accenno al sesso e credeva
che non ci
sarebbe stato per diversi capitoli.
E
nella vita reale?
“Beh,”
pensò, soffermandosi sulle dita di Marta che si
intrecciavano con i corti
capelli rossi, “non vedo l’ora.”
«Quanto
avete in carisma?» chiese Matteo, riportandolo alla
realtà. Ah, ignaro game
master, se solo avesse saputo cosa il destino – nome in
codice: Roberto Trani –
aveva in serbo per lui!
«Quattordici»
rispose Marta.
«Nove.»
«Mh,
ma dai? Non me lo sarei mai aspettato!» rise Roberto alla
risposta di Stefania.
«E tu, Leo?»
«Sedici.»
«Come
al solito, gli elfi devono splendere sempre…»
«Roberto?»
Si
dondolò sulla sedia, fingendo di non avere udito la domanda;
poi, dopo qualche
momento, rispose: «Diciotto.»
Per
poco Stefania non sputò l’acqua che stava bevendo.
«Diciotto? Ma sei un
guerriero o cosa?!»
«Oh,
piccola barbara…» Roberto rimase in silenzio,
riflettendo rapidamente sul modo
di approfittarne per far colpo su Marta. «Non giudicare in
continuazione i
guerrieri come se fossi una di noi. Tu non sai niente, Stefania
Danesi.»
Notò
di avere ottenuto l’effetto desiderato: Marta gli stava
sorridendo, mentre
Stefania, che doveva aver intuito il suo gioco, non replicò,
ma si rivolse a
Matteo: «A che ti serve saperlo?»
«Beh,
questo è un gioco in cui bisogna interpretare, piuttosto che
combattere.»
«Che
noia.»
«E
se è Robert il personaggio con maggiore
carisma…»
«Siete…
siete voi… gli
eroi di Sandpoint?»
Roberto
si voltò, sentendosi
tirare un braccio: di fronte a lui, affannata e spaventata,
c’era una ragazza
per la quale l’aggettivo “meravigliosa”
non sarebbe bastato. Lo fissava,
agitata, senza curarsi dei seni che minacciavano di uscire dal vestito
scollato.
«Calmatevi»
tentò di
tranquillizzarla il guerriero, posandole entrambe le mani sulle spalle.
La
ragazza parve rilassarsi a quel tocco.
«Cos’è successo?»
«Mi
chiamo Shayliss,
sono la figlia del proprietario dell’emporio» si
presentò.
«Il
mio nome è Robert,
e sono al vostro servizio.»
Shayliss
azzardò un
sorriso, tornando presto seria. «Robert, vi prego, venite con
me! C’è qualcosa
nella mia cantina che… oh,
divinità…»
«Se
proprio insiste…» Roberto si strinse nelle spalle.
«Ok, la seguo.»
«Se
fosse stata uno sgorbio non l’avresti aiutata»
sbuffò Stefania.
“Certo
che no” avrebbe voluto concordare Roberto, ma decise che non
sarebbe stata la
scelta più saggia in presenza di Marta.
«Prova
a chiedermi aiuto.»
«Ygritte
non lo farebbe mai.»
«Allora
non lo saprai mai.»
«La
donna,» riprese Matteo, «ti conduce alla sua
abitazione…»
«Là
sotto.» Shayliss
indicò una porta aperta, dietro la quale si intravedeva una
scala.
«L’avete
lasciata
spalancata?» chiese Robert, aggrottando le sopracciglia.
«O la creatura è
scappata?»
«No,
è stata una mia
dimenticanza…»
Sembra
piuttosto calma,
in quel momento, per una persona con un probabile mostro che girava per
casa –
forse si era già messo sotto le coperte. Robert
cacciò quel pensiero e sguainò
la spada, procedendo nel buio.
«Restate
indietro.» Con
la poca luce che filtrava dalla finestrella in cima alla cantina, il
guerriero
riuscì a riconoscere dozzine di scaffali su cui erano
accatastati libri, erbe e
vivande. Qualcosa gli scivolò accanto al piede, ma
scoprì presto che si
trattava di un innocuo topolino della grandezza di un bicchiere.
Si
voltò per risalire e
comunicare alla bella Shayliss che le sue paure erano immotivate, ma si
ritrovò
la ragazza alle spalle. Avrebbe volentieri messo la spada fra di loro,
se solo
una mano dalle dita affusolate non glielo avesse impedito, stringendoli
il
polso.
“Dev’essere
una
trappola” ebbe appena il tempo di pensare, prima che Shayliss
posasse le
carnose labbra sulle sue. “Oh, beh, al diavolo!”
Lasciò
che la ragazza
lo baciasse sul volto e sul collo, mentre gli toglieva
l’armatura con esperta
scioltezza; Robert le sollevò la gonna e indugiò
con le dita sulle morbide
cosce, finché…
«Che
sta succedendo
laggiù?!»
«Suo
padre vi ha scoperti!» esclamò Matteo, facendo
sussultare perfino il vero
Roberto.
«Ma
non è giusto!» protestò lui.
Scrutò la pagina del manuale che il game master
aveva di fronte. «Fa’ un po’ vedere
l’immagine di questa… Oh, cavolo! Beh,
è
bella forte. Come ho potuto pensare che fosse un’innocente
vergine in cerca
d’aiuto?»
«Shayliss
squittisce: “Cielo, mio padre!”»
Perfino
Marta scoppiò a ridere per il tono in cui Matteo lo disse,
mentre fingeva di
coprirsi con una gonna invisibile.
«Oh,
cielo, tuo padre!»
gli fece eco Robert, sbrigandosi a riallacciare l’armatura e
a correre oltre
l’uomo che gli intralciava il passaggio.
«Chi
sei tu? Che stavi
facendo a mia figlia?!»
«Gran
bella figlia» si
complimentò il guerriero con un sorriso, prima di scappare
dalla casa con il
negoziante alle calcagna.
«Ma
è accaduto veramente?» chiese Stefania,
visibilmente disgustata. «Non pensavo
avessi il gusto per l’osceno,
master.»
«Non
si tratta di volgarità, è Roberto che ha voluto
giocarla così» si difese
Matteo, agitando tra le mani una decina di dadi. Roberto non era sicuro
se lo
stesse facendo per puro sollazzo o se volesse tirarli per far cadere il
cadavere di una viverna su Ygritte. «E ho solo seguito il
manuale.»
“Sei
così bravo a farti dare ‘ordini’, voglio
vedere come ti comporterai con il mio
piano.”
«D’accordo,
d’accordo, credo di essere uscito indenne da
lì,» esclamò Roberto, «ora
possiamo continuare? Sai, master, temo che i miei compagni si stiano
annoiando…»
♠
Leonardo
non si stava annoiando, era semplicemente infastidito
dal modo di ruolare dei suoi compagni: chi di loro non stava
interpretando se
stesso? In fondo non gli interessava neanche più di tanto,
ognuno era libero di
giocare come preferiva, però trovava snervante alzare gli
occhi dalla scheda
del suo personaggio e trovarsi catapultato nella realtà
tanto rapidamente.
E
trovava snervante il reale carattere dei giocatori.
Nulla
da dire su Marta, gli era sempre sembrata una brava ragazza, ma Roberto
faceva
il possibile per attrarla a sé, senza che Leonardo riuscisse
a capirne il
motivo; era abbastanza evidente che non provasse niente per lei, e
allora
perché continuare quella farsa? Gli dava fastidio anche il
continuo bisticciare
con Stefania che, di punto in bianco, si tramutava in alleanza quando
l’oggetto
delle battute era lui. Erano andati avanti così per tutta la
sessione,
attaccandosi e poi alleandosi, con uno scambio di sogghigni e sguardi
divertiti
che Leonardo non trovava affatto divertenti.
Il
giorno precedente era stato bene con Stefania, aveva perfino scoperto
che era
in grado di rilassarsi – seppure per pochi minuti. In quei
momenti, quando la
sua fronte si stendeva e scomparivano i solchi simili a rughe che la
rendevano
arcigna e la invecchiavano di cinque anni, Stefania poteva essere una
piacevole
compagnia; tutto ciò durava poco, ma Leonardo aveva sperato
in un cambiamento
nel loro rapporto. Forse, stupidamente, si era in anticipo dato il
merito di
essere la prima persona a mettere Stefania Danesi a proprio agio.
«Jerle,
che fai?»
La
testa di Leonardo scattò in alto, mentre il ragazzo tentava
di capire a che
punto fossero della sessione. «Scusa,
cos’è successo?»
«E
il nostro bell’elfo si era perso nel mondo dei
sogni!» lo canzonò Stefania,
tirando un dado da venti facce. «Diciotto: a quanto pare
avevo ragione, stavi
pensando alla rossa che ha tentato di farsi Robert.»
«Avresti
voluto essere al mio posto, eh? Ti capisco, ti
capisco…» rincarò la dose
Roberto. «Ma puoi pensarci una volta a casa, staresti anche
più comodo.»
Quelle
parole fecero ribollire il sangue nelle vene di Leonardo. Insinuare una
cosa
del genere su di lui? Si disse di
stare calmo: loro non lo conoscevano – non così a
fondo – e sbraitargli contro
l’avrebbe solo fatto sembrare fuori di testa.
«Stavo
riflettendo su chi abbia potuto depredare il corpo del
sacerdote» rispose
invece.
«Questa
nuova conoscenza potrebbe aiutarci, forse» disse Marta, che
Leonardo notò
intenta a battere ritmicamente la punta della dita sul tavolo, come se
fosse
nervosa.
«Questa…?»
«Il
conte Aldern Foxgrove,» spiegò Matteo,
«l’uomo che vi ha invitati a caccia ieri
sera.»
«Ah,
è vero!»
«Siete
appena giunti al Bosco delle Zecche…»
«Che
nome entusiasmante!» esclamò Roberto.
Il
conte si avvicinò al
cavallo di Amy e le tese una mano per aiutarla a scendere.
«La
ringrazio» sorrise
la ladra, mettendo in pratica le doti carismatiche che aveva acquisito
con gli
anni e che le aveva già fatto guadagnare la fiducia di
malcapitati avventori di
Sandpoint.
«Non
posso lasciare che
roviniate il vostro bel vestito.»
Ygritte,
alle loro
spalle, grugnì e si lanciò giù dal suo
cavallo, rischiando però di cadere
contro il suolo: la sera prima, alla locanda della Lampreda dove
avevano
conosciuto il conte Foxgrove, mentre i suoi compagni si godevano la
zuppa di
astice lei si era cimentata nell’impresa di bere
l’acqua della vasca vicino
all’ingresso. A giudicare dal peso del sacchetto pieno di
monete d’argento che
aveva vinto, in molti dovevano averci provato, senza però
riuscire a resistere
dal fiondarsi in bagno prima di concludere la prova. Diversi clienti
della
locanda le avevano allora offerto da bere e andare a caccia dopo una
sbornia
non era la cosa più saggia che una persona potesse fare
– ma lei era un
barbaro, e i barbari non conoscevano la parola
“saggezza”.
«Dov’è
questo cinghiale
che dobbiamo ammazzare?» chiese, estraendo lo spadone dal
fodero che teneva
sulla schiena.
«Non
credo ci stia
aspettando» le rispose Jerle, preparando arco e frecce. Era
un mago, ma non
amava girare disarmato, era ancora agli inizi e preferiva non rimanere
senza
incantesimi nel momento cruciale. «E non credo neanche che
sia possibile
cacciare con quell’arma.»
Ygritte
si avvicinò e
lo sovrastò. «Ho ucciso una viverna con Jiquireah,
posso strapparci le budella
a un cinghiale.»
Forse
fu l’immagine di Stefania che torreggiava minacciosa su di
lui a convincere
Leonardo a chiudere lì il discorso.
«Ehm…
Cacciamo, allora?»
Trascorsero
due ore nel bosco alla ricerca di animali da portare ad Ameiko per
ringraziarla
del soggiorno offerto nella sua locanda e finalmente, quando i loro
stomaci
stavano iniziando a brontolare, erano riuscita a trovare e a uccidere
un
cinghiale – grazie a Robert, ma nessuno
volle farlo notare a Ygritte. Strano, aveva pensato Leonardo, convinto
che
Roberto ne avrebbe approfittato per fare a Stefania qualche battuta
sulla poca
utilità che aveva avuto il suo personaggio; si accorse solo
dopo che il ragazzo
era troppo impegnato a studiare il modo in cui il game master, nelle
vesti di
Aldern, tentava suo malgrado di mostrarsi gentile con Amy.
Se
n’era accorto anche lui: Matteo sembrava riluttante a
rivolgere la parola a
Marta e per tutto il tempo in cui il conte aveva cordialmente discorso
con Amy
i due non si erano mai guardati negli occhi. Stefania aveva poggiato la
testa
sul palmo della mano, rivolgendo uno sguardo sospettoso a entrambi.
Volevano
forse darla a bere a qualcuno?
«Bene,
direi che per oggi abbiamo finito qui» annunciò
Matteo, chiudendo il manuale.
«Solo
un misero combattimento e due – quattro
idioti che flirtano?»
«I
combattimenti arriveranno, Ste.»
«Uff,
lo spero.»
Stavano
mettendo tutti via le proprie cose quando Leonardo trovò il
coraggio di
poggiare una mano sulle spalle di Stefania. «Possiamo
dirglielo ora» sussurrò.
«Bene,
fallo» disse lei, ritornando a liberare il tavolo dai propri
dadi.
“Sembra
facile.”
Leonardo
detestava parlare in pubblico e detestava ancora di più
essere al centro
dell’attenzione, per questo aveva contato
sull’aiuto di Stefania – che, per la
milionesima volta in quella serata, lo aveva deluso. Restò
comunque in piedi
accanto a lei, sperando così di non essere l’unico
a cui i presenti avrebbero
rivolto lo sguardo.
«Devo
dirvi una cosa» dichiarò, dopo essersi schiarito
la voce. Marta e Roberto lo
fissarono, Matteo impiegò qualche secondo di più:
sembrava che quella sera
tutti fossero persi nei propri pensieri. «Io e Stefania
stiamo partecipando a
un gruppo di cosplay di Game of Thrones
e… ecco… alcune persone hanno dovuto rifiutare
per impegni dell’ultimo minuto.
So che il Romics è alle porte, però ci chiedevamo
se voi voleste…»
«Vi
va di mascherarvi con noi?» concluse Stefania, probabilmente
stanca della
lentezza del suo discorso. «Leonardo non è troppo
male a cucire.»
«È
un’ottima idea!» esclamò Marta, battendo
le mani. «Non ho ancora preparato
niente, temevo di non poter venire in cosplay quest’anno.
«Ci
sto anch’io» disse Roberto.
Matteo
tentennò. «Non lo so, Leo… Non ho mai
fatto un cosplay, credo che non mi
sentirei a mio…»
«Oh,
ma tu devi venire» lo interruppe Stefania, scoccando
però un fugace sguardo a
Roberto. «Sei perfetto per Ned Stark.»
Non
fu tanto il tono imperioso della ragazza, pensò Leonardo,
quando le sue parole
a persuadere Matteo: lo vide spalancare la bocca e aggrottare le
sopracciglia,
riflettendo.
«D’accordo,
proverò a farlo.»
«Ci
dai la tua parola?»
«Lo
farò.»
Raramente
Stefania doveva avere avuto un’espressione tanto raggiante,
sembrava essersi
presa l’idea del cosplay più a cuore di lui.
«Bene, Roberto, tu sarai
Ditocorto!»
«Un
ruolo perfetto per me.»
Stavano
uscendo dal Sotterraneo del Drow
quando Marta chiese: «E io?»
Leonardo,
che aveva silenziosamente delegato a Stefania il compito di assegnare i
ruoli,
la sentì rispondere distrattamente: «Oh, giusto.
Tu sarai Catelyn, la moglie di
Ned.»
Senza
capirne il motivo, Leonardo notò allo stesso tempo le
espressioni spaventate
sui volti di Matteo e Marta e lo scambio d’intesa fra
Stefania e un soddisfatto
Roberto.
SETTIMO CAPITOLO
Il titolo è una
citazione da The Big Bang Theory.
MARTA:
- Silente e River
Song: personaggi di Doctor Who.
- “Non chiamarmi
Ninfadora”: citazione di Harry
Potter.
ROBERTO:
- I punteggi delle
caratteristiche (come in questo caso il Carisma) possono, alla
creazione del
personaggio, arrivare a un massimo di 18/20.
LEONARDO:
- Ditocorto (Petyr
Baelish), personaggio di ASOIAF, è stato innamorato fin da
ragazzo di Catelyn
Tully Stark.
SPAZIO AUTRICE
Prima di tutto mi
scuso per il ritardo pazzesco. Poi mi scuso ancora, perché
il prossimo capitolo
non arriverà prima di tre settimane: ho deciso di rivedere
tutto dall’inizio,
di segnarmi ogni dettaglio e di farmi un breve riassunto dei futuri
capitoli,
perché altrimenti rischierei di far avvenire certe
situazioni prima di altre
(oltre a perdermi diversi particolari, ché ho una memoria
terribile); da quel
momento in poi, aggiornerò ogni due settimane,
perché è una “maratona” per
me
(e per voi che seguite la storia) postare ogni settimana – e
non ci riesco mai.
Passando al
capitolo, mi dispiace che sia proprio questo a collocarsi nel mezzo
della
pausa: non sono andata avanti di molto con la narrazione –
diciamo per niente –
ma ho voluto parlare anche del gioco di ruolo, avendo esso dato il
titolo alla
storia; si ripeterà, ma probabilmente prenderà lo
spazio di un solo POV (e non
di tutto il capitolo, come in questo caso).
Spero che vi sia
comunque piaciuto, alla prossima! ^^
Medusa
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Capitolo 8 *** Quando si è in guerra la regola è mai ritirarsi, mai arrendersi ***
Quando si
è in guerra la regola è mai
ritirarsi, mai arrendersi
Le
fiere del fumetto erano sempre state eventi irrinunciabili per gli
avventori
della Collina del Vecchio Mangaka e
del Sotterrano del Drow: il Romics,
che per la seconda volta nel giro di pochi mesi aveva allestito con
bancarelle
e tavoli da gioco i padiglioni della Nuova Fiera di Roma, attirava
curiosi,
famiglie con bambini e a volte perfino turisti che volevano godersi un
aspetto
differente della capitale italiana, ma a riempire i cortili esterni e
gli spazi
tra un espositore e l’altro erano loro, i cosplayers.
Era
piuttosto frequente incontrare tre persone travestite dallo stesso
personaggio
e così i vari Sasuke, Dante e Usagi si scambiavano
complimenti sugli accessori
utilizzati o sguardi di fuoco per avere avuto la stessa idea. Tra gli
stand
curiosavano perlopiù appassionati, nerd e otaku, ma la vera
attrazione della
fiera erano i cosplayers che posavano o più semplicemente
camminavano fuori dai
padiglioni, mostrando ai presenti l’accuratezza dei loro
abiti; lo scontro si
faceva più intenso la domenica, in occasione della sfilata e
dell’assegnazione
dei premi. Ed era proprio a uno di quelli – il premio per il
miglior gruppo –
che gli oltre quaranta cosplayers di Game
of Thrones stavano mirando.
In
quei quattro giorni di fiera Stefania aveva notato
un’abbondanza di Daenerys
Targaryen, dovuta forse alla facile reperibilità della
parrucca, oltre alla
sopravvalutata visione del suo personaggio. Forse perché
facente parte di una
delle fazioni avversarie, Stefania non riusciva a farsi andare a genio
personaggi ritenuti “epici” come Daenerys, Jon Snow
e Arya Stark; Tyrion
Lannister, invece, lui sì che poteva valersi di una fama e
un’ammirazione
meritate. Nel gruppo di cosplayers in cui Leonardo aveva trascinato i
suoi compagni
di gioco c’era una sola Daenerys, e Stefania era stata lieta
di constatare
quanto fosse in linea con il suo personaggio – perlomeno era
bionda e le
sopracciglia chiare non stonavano sotto la parrucca platino. Non era al
contempo soddisfatta del ragazzo esile e brufoloso nelle vesti dello
Sterminatore di Re né dell’uomo decisamente
sottopeso rispetto a Robert
Baratheon; nel complesso, però, dovette ammettere che gli
amici di Leonardo
avevano fatto un buon lavoro, allo stesso modo in cui lui
l’aveva fatto con il
vestito di Lysa Tully.
In
molti avevano chiesto a Stefania di scattare una foto, mentre
girovagava
interessata tra gli stand dei manga, e altri l’avevano
fermata solo per
complimentarsi della perizia con cui era stato cucito
l’abito; lei aveva abbozzato
un sorriso compiaciuto, ma non aveva mai accennato a chi
l’aveva aiutata a
preparare il cosplay.
Portandosi
una mano poco sotto la fronte per coprirsi da un insolito sole di
inizio
aprile, Stefania cercò Leonardo con lo sguardo: lo
trovò dopo qualche secondo
immerso in una discussione con Margaery Tyrell e Jon Snow; parlava
gesticolando, in un modo che lo rese ancor più vicino a
Matteo di quanto lo
fosse il cognome Stark temporaneamente condiviso, e sul suo volto era
da giorni
dipinto un sorriso eccitato. Si ritrovò anche lei a muovere
le labbra in una
smorfia divertita. Per tutta la durata del Romics, Leonardo non aveva
dato
alcun segno dell’usuale timidezza; probabilmente era
l’appartenenza a quel
mondo a renderlo tanto spensierato, ma se era così allora
come mai stentava a
prendere la parola anche quando si trovava in mezzo a giocatori di
ruolo e
amanti dei fumetti? Possibile che, all’università,
fosse ancora più silenzioso
di quanto si fosse mostrato al Sotterraneo
del Drow? Forse stava soltanto interpretando il “Re
del Nord” come
richiesto dal suo costume da Robb Stark e non poteva permettersi di
lasciar
vincere la timidezza.
«Ehi,
scusa, possiamo farti una domanda?»
Stefania
si voltò verso la fonte della voce, trovandosi davanti due
ragazze che dovevano
avere un paio di anni più di lei. Annuì, credendo
volessero informazioni sul
suo costume.
«Fai
parte di quel gruppo?» proseguì quella che aveva
già parlato, alta e dal sorriso
splendente. Stefania ebbe un moto di disgusto solo a guardarla.
«Sì.
Siete qui per le iscrizioni alla sfilata? C’è
stato qualche problema?»
«Oh,
no» ridacchiò la seconda, nascondendo i denti da
cavallo con una mano.
«Volevamo sapere se conoscevi Leonardo Sabatino. Ci
è sembrato di vederlo.»
Stefania
si accigliò. «Perché?»
«Beh,
sai… Ne abbiamo sentito parlare, è un tipo
piuttosto… strano, ecco tutto.»
Altre
risate che la fecero irritare. Diamine, quanto detestava le ragazzine
immature!
Alzò gli occhi al cielo e fece per andarsene, quando una
delle due le poggiò
una mano sul braccio.
«Ti
abbiamo fatta arrabbiare? Scusa, non credevamo fossi il suo
tipo…»
«Non
sono la sua ragazza» replicò Stefania, stanca di
ascoltare il loro stupido
belare. Ripensando all’ultima frase della “bella
ragazza” e credendo alludesse
alla sua stazza, le scoccò un’occhiata furente.
«E quale sarebbe il suo tipo,
sentiamo?»
«Uhm…
direi le ragazze minute che anche dopo la rottura continuano a mettere
in
guardia future vittime» spiegò l’altra,
improvvisamente più seria. «Perciò, se
ti interessa sapere il suo tipo per conquistarlo,
“sta’ alla larga da quel
bastardo.”»
Senza
aggiungere altro si allontanarono entrambe, limitandosi a farle un
cenno di
saluto con la mano. Stefania rimase immobile, impegnata a riflettere su
quelle
parole, poi spostò lo sguardo su Leonardo.
“‘Bastardo’,
quello là?”
«Ehi,
Ste, siamo richiesti al padiglione della sfilata!»
esclamò “Jaime Lannister”,
passandole accanto.
Stefania
lo seguì mentre radunava gli altri componenti del gruppo.
«Non dovrebbe
cominciare fra due ore?»
«Sì,
ma prima vogliono farci qualche foto. Accidenti, dove si sono cacciati
quelli
che Leonardo si è portato dietro?»
«Ditocorto
è là» disse, indicando con un cenno del
capo Roberto, che stava chiacchierando
con alcune cosplayer di Madoka Magica.
Si guardò intorno alla ricerca di Marta e Matteo,
maledicendo Roberto per avere
abbandonato il suo obiettivo. E per cosa, poi? Per abbordare delle
ragazze che
di cosplayers avevano ben poco?
O
forse era proprio quello il suo scopo, lasciare finalmente soli quei
due.
Stefania aveva notato, nei giorni precedenti, che Roberto si era
raramente
allontanato da Marta, con la quale cercava di intavolare più
discorsi
possibili; forse scomparire per un po’ dalla sua vista faceva
parte del suo
piano. E forse Matteo aveva deciso di farsi…
No,
si interruppe, non aveva deciso di farsi avanti proprio
per niente: lo vide spuntare da uno dei padiglioni, solo,
con una grossa grafic novel in mano; pochi minuti dopo, Marta apparve
dall’edificio
sul lato opposto.
«Ogni
anno Leo ci fa conoscere una ragazza di una casata diversa»
la riportò alla
realtà Jaime, di cui Stefania non riusciva proprio a
ricordare il nome.
«Quest’anno è il turno di una
Tully.»
Lei
inarcò le sopracciglia. «Sono una
Lannister.»
“Idiota,”
avrebbe volentieri aggiunto. “Altrimenti perché
rivolgerei la parola a uno come
te?”
«E
quella precedente era una Baratheon» ribatté
Jaime. «Però Elena ha voluto a
tutti i costi vestirsi da Jeyne Westerling.»
«Perché
proprio lei?»
«Devo
dire che fisicamente era molto adatta, ma credo avrebbe impersonato
perfino
Samwell Tarly, pur di fare coppia con Leo!»
Stefania
si fermò, raggiungendo il padiglione in cui avrebbero dovuto
essere
fotografati, ma Jaime corse verso gli altri Lannister. A quanto
sembrava, era
stata scambiata per la nuova fidanzata di Leonardo, e ciò
significava che… aveva avuto una
ragazza. Come ne fosse
stato in grado, lei non ne aveva idea. Per rivolgere la parola a
qualcuno,
probabilmente sarebbe servito che vivesse nella sua stessa…
“Ah.”
Ripensò
alla tazza dei Baratheon che aveva trovato nella cucina di Leonardo e
alla sua
reazione eccessiva per averla presa in mano.
«Apparteneva
a qualcuno
che l’ha dimenticata qui.»
Ora
cominciava a capire.
Si
avvicinò a Leonardo, facendosi strada tra gli altri
cosplayers. Riflettendo,
capì che il motivo per cui Jaime l’aveva
considerata la sua nuova ragazza era
da ricondurre al tempo che aveva passato con lui, da quando era
cominciata la
fiera fino a quel momento: Leonardo era – o poteva
essere, se ci avesse lavorato ancora un po’
– una piacevole compagnia, in
fondo, e le aveva presentato tutti i suoi amici; Stefania, pur non
ricordando
tutti i loro nomi, ma chiamandoli fra sé
“Nasone”, “Cotoletta” o
“Argus Gazza”,
si era leggermente lasciata andare, permettendo loro di conoscerla
almeno in
superficie. In eventi come quello, le donne grasse erano notate solo se
indossavano vestiti attillati che non nascondevano le loro forme, ma
quando
interpretavano personaggi della loro stessa stazza nessuno sembrava
guardarle
con derisione. Era grata a Leonardo per averle permesso di passare quei
giorni
in compagnia sua e dei suoi amici; non lo trovava più poi
così male, in fondo.
“Se
solo non fosse uno Stark.”
«Ehi»
esordì, avvicinandosi a lui. «Chi è
Elena?» domandò a bruciapelo.
Lo
vide avvampare e immediatamente impallidire, in preda al panico.
«È…» Leonardo
si scrocchiò le dita. «È una lunga
storia.»
«Sempre
la solita scusa. Allora, di chi si tratta?»
«Stavamo
insieme» rispose mentre si passava una mano fra i capelli, a
disagio. «Poi ci
siamo lasciati, non c’è altro da dire.»
«Era
sua la tazza?» insistette Stefania. «Vivevate
insieme?»
Leonardo
le diede le spalle. «Sì.»
«E…»
«Non c’è altro da dire»
ripeté, e lei non
poté non notare il nervosismo molto simile a una
dimostrazione di senso di
colpa.
«Sta’
alla larga da
quel bastardo.»
Possibile?
♠
Marta
districò un nodo, maledicendo la parrucca che dopo quattro
giorni iniziava a
darle sui nervi. Certo, Leonardo si era raccomandato di trattarla con
cura ogni
volta che la toglieva, oltre a spazzolarla prima di indossarla di
nuovo, ma lei
quella mattina si era alzata in ritardo e aveva dovuto vestirsi in
fretta e
furia, e chi avrebbe preferito pettinare una parrucca invece di farsi
una
rapida doccia, nel breve tempo a disposizione? Stefania aveva suonato
il
clacson per venti minuti prima che lei uscisse di casa e Marta era
piuttosto
sicura che, con il nervosismo che le stava facendo crescere, se solo
avesse
provato a occuparsi di quei rossi capelli sintetici avrebbe finito per
strapparli via dalla base d’appoggio – e guai a
farsi trovare da Leonardo calva
o con una grossa chiazza rosa tra la chioma elaborata. Il primo giorno
le aveva
contestato perfino le scarpe che aveva indossato!
“Come
se avessi avuto tanta scelta, tra un paio di stivali neri e le pile di
scarpe
da ginnastica che ho,” aveva pensato, contando mentalmente
per non aggredire il
suo isterico amico.
Per
fortuna, però, la tortura era giunta alla fine: Marta non
vedeva l’ora di
liberarsi di quel vestito e indossare un paio di jeans, le veniva da
piangere
al solo pensiero di non averli potuti toccare per tutto quel tempo.
Tuttavia
non era insoddisfatta della sua esperienza al Romics; al contrario,
Roberto era
stato in grado di renderle piacevole quasi ogni momento e Matteo
sembrava
essersi ormai scordato la loro telefonata notturna.
«Ehi,
tu, laggiù!» gridò un uomo
dall’aspetto scontroso. «Sei Catelyn Stark,
no?»
«Arrivo!»
Marta
si precipitò verso di lui, dimenticando la lunga gonna che
le circondava le
gambe; indossava certe diavolerie
tanto raramente che sarebbe stato meglio, per lei, evitare quello
slancio in
avanti: si ritrovò a inciampare sull’orlo del
vestito e di sicuro sarebbe
caduta a terra, se un paio di braccia non fossero corse in suo soccorso.
«Milady,
non vorrà sporcare il suo bel vestito?» la
canzonò Roberto.
Marta
si rimise in piedi, tentennando sulle maledette scarpe che Leonardo
l’aveva
costretta a indossare e appoggiandosi con una mano sulla spalla del suo
“salvatore” per non cadere di nuovo.
«Grazie,
sono una frana.»
«Trovo
invece che tu sia più aggraziata di quello che
credi.»
Sollevò
un sopracciglio, perplessa: stentava a comprendere quando Roberto la
prendeva
in giro, rivolgendole complimenti nelle vesti di Ditocorto, e quando
invece era
serio.
«Lord
Baelish» tuonò una voce alle sue spalle.
«Posso sapere come mai vi trovate così
vicino alla lady mia moglie?»
Marta
avvampò violentemente riconoscendo Matteo e la fangirl che
aveva dentro cacciò
un urlo acuto; cercò però di mantenere il
controllo, ripetendosi che il suo
amato stava soltanto interpretando Ned Stark e che di lei doveva
importarle in
realtà poco o anche meno. Dovette mordersi le labbra e
costringersi a darsi un
contegno.
«Mio
lord,» esordì, calata nel ruolo, «lord
Baelish mi stava aiutando a rimettermi
in piedi.»
«Vostra
moglie ha una predisposizione naturale per cadere tra le mie braccia,
lord
Stark.» aggiunse derisorio Roberto. Leonardo e Stefania non
avrebbero potuto
trovare un personaggio più adatto a lui: il sangue di Petyr
“Ditocorto” Baelish
scorreva nelle vene del ragazzo che aveva di fronte. Si chiese se non
fosse
uscito dalla saga di Martin per torturarla.
Marta
venerava il sarcasmo e Roberto
sembrava essere composto più da quello che da acqua; qualche
settimana prima
avrebbe detto “sentimenti” al posto di
“acqua”, ma il ragazzo la stupiva ogni giorno
di più. In primo luogo, le aveva confidato il suo amore per
lo studio e la
speranza di riuscire a iscriversi all’università,
un giorno, nonostante
l’avversione del padre; si era anche imbarazzato quando le
aveva detto di
studiare di nascosto, per poi liquidare il discorso con una battuta
riguardante
l’essere costretto a nascondere i libri sotto gli hentai.
Marta lo aveva trovato
veramente carino in quel momento, con i capelli scompigliati al termine
della
seconda giornata del Romics e quel lieve rossore sulle guance.
Avevano
passato insieme la maggior parte del tempo, benché lei
avrebbe preferito
trascorrerne di più in compagnia di Matteo – che
continuava a degnarla di
attenzione solo nel momento di ruolare Ned e Catelyn. Non le sarebbe
dispiaciuto ricevere un bacio da lui in quelle occasioni, ma forse
avrebbe preferito
un sorriso rivolto a Marta Giunti, e non a Catelyn Stark.
Roberto,
invece, non si comportava solo da Ditocorto in sua presenza. La faceva
ridere,
le chiedeva consiglio sui manga da leggere e le serie tv da guardare,
l’ascoltava delirare su ogni “Allons-y!”
di David Tennant e sulle ore spese
inutilmente davanti a Gossip Girl
nella speranza di trovargli un pregio – e, per la barba di
Merlino, quanto
detestava Blair Waldorf! Era decisamente una piacevole compagnia, tanto
da
alleviarle il vuoto nello stomaco che avvertiva ogni volta che Matteo
si
allontanava da loro o parlava con una bella ragazza.
Marta
era talmente assorta nei ricordi degli ultimi giorni da non accorgersi
che
Matteo e Roberto avevano continuato a punzecchiarsi; al termine di ogni
frase,
per quanto seria, detta da “Ned”, il suo cosplayer
lasciava andare un sorriso,
ma Roberto sembrava punto nel vivo: probabilmente era ancora la fangirl
che
viveva in lei a suggerirle quell’ipotesi assurda, tuttavia
Marta non poté fare
a meno di notare che Roberto sembrasse cercare di prevalere su Matteo,
come se
ci fosse qualcosa sotto.
L’uomo
scorbutico, nel frattempo, aveva fotografato altri cosplayers del loro
gruppo e
solo quando incontrò lo sguardo di Marta parve ricordare di
averla chiamata da
lui.
«Allora,
ti muovi? C’è una marea di gente da fotografare e
voi siete una ciurma! Su,
voglio qui anche Ned.»
La
mano di Matteo toccò la schiena di Marta, sospingendola
gentilmente in avanti.
«Non vorrei dovergli tagliare la testa, Cat»
sussurrò, concludendo la battuta
con una risata.
Il
suo atteggiamento la urtò invece di farla gioire: stava
cominciando a pensare
che non l’avesse realmente perdonata per quella telefonata in
piena notte, ma
che preferisse fingere per non recare disturbo agli altri; forse era
proprio
per quel motivo che non si era tirato indietro dopo avere scoperto che
lei
avrebbe interpretato sua moglie.
Il
fotografo si dimostrò decisamente più educato del
suo collega, secondo Marta.
«Ned… Posso chiamarti Ned, vero? Prendi la mano di
Catelyn… Ecco, così… Schiena
eretta, siate regali… Bene, ora proviamo una posa diversa.
Ned, potresti
abbracciare Cat? Mettiti in piedi dietro di lei e passale le braccia
intorno
alla vita, per favore.»
Mentre
l’imbarazzo, suo malgrado, riprendeva ad assalirla, Marta
udì distintamente un
indignato Leonardo esclamare: «Ma è pazzo? Che
razza di posa sarebbe quella?!
Non è IC, non è… Per gli
dèi antichi e nuovi, in quale occasione Ned
abbraccerebbe sua moglie in quel modo?! Davanti
a tutto il Nord, in preda al delirio?»
«Sei
una palla, elfaccio» si lamentò Stefania, che era
giunta insieme a lui per assistere
alla sessione fotografica.
Roberto
era accanto a loro, scuro in volto, e passava nervosamente una mano
sulla finta
daga che aveva appesa alla cinta. Parve rilassarsi un poco quando il
fotografo
chiamò anche lui.
«E
adesso scattiamo una foto con l’amante!» disse,
cambiando obiettivo.
«AMANTE!»
strillò Leonardo, scandalizzato, costringendo i cosplayers
intorno a loro a
voltarsi. «Ditocorto è nella friendzone per
eccellenza, e lui lo chiama amante!»
«Oh,
misericordia…» Stefania chinò il capo e
si allontanò, lasciandolo solo a
urlare.
Il
fotografo sembrava interdetto. Guardò Leonardo,
guardò Marta e Matteo – che si
strinsero nelle spalle – e infine guardò la
propria Nikon, forse chiedendosi
chi glielo avesse fatto fare.
«Ehm…
ok. Cercate di assumere una posa…»
Scoccò un’occhiata tesa a Leonardo, come se
temesse di indisporlo ulteriormente. «Quella che vi pare,
ok?»
Matteo
cercò di avvicinare di nuovo Marta, ma delle dita si
chiusero intorno al polso
di lei, che si sentì trascinare via. Il flash
arrivò proprio in quel momento,
catturando il sorriso soddisfatto di Roberto mentre attirava a
sé la ragazza.
«Perfetto,
è venuta benissimo! Restate così, ne faccio un
altro paio.»
Il
volto di Roberto era a pochi centimetri da quello di Marta.
«Potrei anche
rubarti un bacio adesso, mia dolce Cat» mormorò
dopo diversi scatti.
«Marta?»
Matteo
la fece sussultare. La stava fissando, la fronte aggrottata e lo
sguardo
perplesso.
«Eh?»
«Il
fotografo ci ha chiesto di spostarci all’aperto per una foto
di gruppo.
Venite?»
Marta
annuì, per poi tornare a guardare Roberto, scoprendolo
sfoggiare un’espressione
ostile verso Matteo.
Si
diressero nel luogo indicato, cercando di non accalcarsi o pestarsi i
piedi e
udendo i litigi di Leonardo e Stefania, che riuscirono a distrarre
Marta da
quanto accaduto poco prima. Per quanto tempo era rimasta a contemplare
il
sorriso sardonico di Roberto? Il polso le faceva anche un po’
male, sebbene sul
momento non se ne fosse accorta. Fortunatamente nella foto di gruppo si
trovava
abbastanza lontana da lui, ma la vicinanza a Matteo non aiutava.
Al
termine delle foto scattate all’aperto, i cosplayers si
resero conto di quanto
poco mancasse all’inizio della gara. Marta si
sistemò rapidamente la parrucca,
che le sembrava essersi spostata, e seguì il gruppo cercando
di non farsi
schiacciare dai ragazzi più grandi di lei; quando finalmente
raggiunsero il
palco, avvertì una scarica di adrenalina e
rischiò di farsi prendere dal
panico. Si voltò alla ricerca di qualche faccia conosciuta,
ma vide solo dei
cosplayers di cui a malapena sapeva il nome.
Poi
una mano strinse la sua, e pochi istanti dopo dalla folla apparve
Roberto.
«Tutto
bene?» le chiese premuroso.
«Sì,
solo un momento di… Niente di che, sto bene ora.»
«Sembravi
aver visto un Dalek nascosto sotto il costume di Darth Vader!»
Marta
rise per scacciare il nervosismo, respirò profondamente e si
concentrò sulle
parole dei presentatori che erano appena apparsi sul palco. Prima del
suo
gruppo ne sfilarono altri tre, ispirati a Hunger
Games, Sailor Moon e a un
anime
che lei non conosceva; Katniss e Peeta stavano scendendo e i
presentatori
stavano annunciando i cosplayers di Game
of Thrones, quando Roberto sussurrò al suo
orecchio: «In bocca al lupo.»
Non
si era neanche accorta che le stava ancora stringendo la mano.
«Al meta-lupo,
in questo caso» scherzò, preparandosi a precederlo
per salire insieme agli
altri Stark.
«Catelyn
Tully, il Nord non è mai stato il posto per te»
osservò Roberto, e Marta si
chiese di nuovo se stesse recitando o parlasse proprio a lei.
«È troppo freddo,
tu non sei nata per questo.»
Improvvisamente
la tirò a sé come aveva fatto prima, ma questa
volta le stampò un fugace bacio
sulle labbra.
«In
bocca al meta-lupo, allora» aggiunse con un sorriso che lei
non aveva mai visto
su quel volto olivastro, lasciandola interdetta.
♠
Non
sapeva perché fosse lì: forse per rivedere il suo
compagno di banco, da anni
residente a Lima, forse per farsi quattro risate in ricordo dei bei
tempi;
tuttavia, se i “bei tempi” in questione
rappresentavano anche gli anni in cui
aveva avuto inizio la sua storia con Cate, Giovanni non era tanto certo
di
riuscire a rivangarli con un sorriso.
Il
primo giorno di liceo scientifico era stato lieto di trovarsi in classe
con
alcuni ragazzi che già conosceva e si era affrettato a
prendere posto accanto
al sorridente Chad, che l’aveva accolto con un abbraccio.
«Credevo avessi
scelto il classico!» aveva esclamato, sorpreso di trovarlo
lì. Alla fine, dopo
tanti sforzi e minacce di non mangiare per l’intera estate,
Giovanni era
riuscito a convincere i suoi genitori a lasciarlo iscrivere allo
scientifico,
anche se la madre – insegnante di latino e greco da tempo
immemore – avrebbe
voluto che il figlio maggiore seguisse la sua strada; in seguito non
era stata
in grado di contenere il disappunto quando perfino Paolo e Loredana
avevano
intrapreso una carriera differente dalla sua. Nessuno dei tre Nizzi,
però, si
era mai dispiaciuto di essere andato contro il volere della madre
– sebbene la
piccola Lory avesse effettivamente iniziato il liceo classico, prima di
prendersi una sbandata per il suo professore di inglese e mollare la
scuola per
seguirlo a Salisbury. “Piccola Lory”: Giovanni non
aveva ancora smesso di
vederla come la sorellina di sei anni che si attaccava alla sua
maglietta.
Nella
I B del Liceo Cavour, Giovanni aveva incontrato la giovane Caterina,
una
ragazza timida e introversa che si infervorava solo quando si parlava
di
politica e che sognava di diventare un’archeologa: ora il suo
sogno giaceva
insieme alla sua laurea, nascosto in un cassetto. Chad si era subito
accorto
della cotta che il suo compagno di banco si era preso per quella
ragazza bionda
che indossava sempre magliette con incitazioni all’amore e
alla pace, così
aveva organizzato nei minimi dettagli il loro primo appuntamento, senza
mettere
nessuno dei due a conoscenza del suo piano; quando poi, dopo due anni,
si erano
lasciati, sia Chad che la migliore amica di Cate erano scoppiati a
piangere,
facendo il possibile per cercare di farli tornare insieme.
C’erano riusciti.
Ora
davanti a lui c’era Chad, la pelle scura messa in risalto
dalla camicia bianca,
e Giovanni si ritrovò a sperare che bastasse solo lui,
questa volta, per
rimettere a posto le cose.
«EEEEEHI!
Chi abbiamo qua?» esclamò il suo amico non appena
si accorse della sua
presenza, risparmiandogli un abbraccio stritolante solo
perché in una mano
reggeva un bicchiere di prosecco. Gli elargì comunque una
forte pacca sulla
spalla, facendolo sussultare. «John, è un sacco di
tempo che non ci si vede!
Come va, amico?»
Giovanni
si ritrovò a sorridere sentendosi chiamare in quel modo: si
teneva in contatto
con Chad grazie a e-mail e videochiamate su Skype, però
capitava solo una o due
volte all’anno di incontrarsi dal vivo e faceva sempre un
certo effetto
ricordare di essere ancora “Chad e John”.
Più o meno lo stesso effetto che faceva
quell’omone di due metri e dai bicipiti enormi ogni volta che
scoppiava a
piangere quando giungeva il momento di separarsi.
«Abbastanza
bene» gli rispose, pur sapendo che Chad avrebbe ridotto gli
occhi a fessure,
aggrottato la fronte e scosso la testa in segno di disapprovazione.
Come
infatti avvenne. «Amico, amico…» disse,
sospirando. «Questa storia di Cate è
una vaccata, fatevelo dire. A proposito, dov’è lei
stasera?» Si guardò intorno,
cercandola tra i diciannove compagni presenti alla cena che Miriam, la
loro
storica rappresentante di classe, aveva organizzato in un ristorante
sul
Tevere.
«Non
è venuta, aveva un impegno» rispose Giovanni,
sorseggiando il prosecco che Chad
gli aveva versato. «Me l’ha detto Miriam poco fa.
Dalla faccia che ha fatto
vedendomi, credo non sapesse nemmeno cosa fosse successo.»
«Anche
perché non durerà molto»
sentenziò Chad, rivolgendogli uno sguardo speranzoso.
«A
costo di farti piangere ancora, non andrà come pensi. Non
questa volta.»
L’apparizione
di Miriam fu provvidenziale: Giovanni non aveva alcuna intenzione di
parlare di
Cate.
«Chad!»
salutò la donna, baciando il senegalese su entrambe le
guance. «Non ti avevo
visto! Sei appena arrivato?»
«E
subito mi sono fiondato sul vino» rise Chad, mostrando il
bicchiere già vuoto.
«Ti ringrazio per avermi avvisato in tempo, ho potuto
prendermi qualche giorno
di ferie e organizzare un viaggetto in Italia.»
«Sei
l’anima della festa: come potevo invitarti alla cena di
classe all’ultimo
momento?»
«Non
posso contraddirti. Adesso scusami, ma ho visto quella testa pelata di
Bonomi,
vado a dargli qualche schiaffo per non avermi detto niente del suo
matrimonio!»
Chad
si allontanò, lasciando soli Giovanni e Miriam, che parve
essere a disagio.
«Allora…
ehm…» tentennò, gli occhi rivolti al
pavimento. «Mi hanno raccontato cos’è
successo con Caterina. Mi dispiace averti chiesto come mai tu fossi
venuto,
credevo che aveste un impegno comune… Per fortuna un paio di
persone hanno
disdetto oggi pomeriggio, così sono riuscita a rimediarti un
posto.»
«Non
preoccuparti» disse Giovanni, sorridendole per
tranquillizzarla. «La notizia
non si è ancora sparsa perché stiamo
ufficializzando adesso la separazione.»
«Quindi
è definitivo?»
Deglutì
a fatica. «Sì, lo è.»
«Cavolo,
non me l’aspettavo…»
«Tu
cosa mi racconti?» cambiò bruscamente discorso.
«Novità all’orizzonte?»
Miriam
tornò a guardarlo e si sistemo il caschetto nero.
«Parli di uomini? Beh, credo
che sul fronte amoroso siamo entrambi sulla stessa barca!»
«E
con il lavoro?»
«Lo
stesso. Intendo dire proprio lo stesso:
l’ultima relazione che ho avuto è stata con il mio
capo.»
Giovanni
avvertì un brivido percorrergli la schiena. Non aveva mai
veramente riflettuto sui
vantaggi di avere un’attività tutta sua, ma ora
cominciava a capire a quali
pericoli fosse sfuggito. Detestava i superiori e detestava ancora di
più quelli
che avevano rapporti con i loro sottoposti: li immaginava come viscidi
uomini
privi di volto che allungavano le mani verso le impiegate
più carine,
convincendole a intraprendere relazioni che le avrebbero distrutte
– o
avrebbero distrutto le loro famiglie.
Seppur
molto diversa da Cate e dai capelli biondi che portava spesso sciolti,
anche
Miriam era una bella donna, dai lineamenti delicati e gli occhi scuri;
aveva
una piccola voglia sul collo, ma di fronte alle sue forme gentili
passava presto
in secondo piano. Anche il suo capo si era approfittato di lei?
“Quello
di Cate non l’ha fatto,” sussurrò una
voce fastidiosa nella sua testa. “Lei ti
ha tradito perché voleva farlo. E ora l’ha
presentato alla famiglia.”
Giovanni
aveva pensato che si fosse trattato di un rapporto occasionale; in
fondo
qualche settimana dopo la separazione lui e Cate avevano provato a
uscire di
nuovo insieme, avevano anche dormito nello stesso letto –
quello di un motel,
però, perché condividere ancora il letto in cui
avevano passato quasi quindici
anni avrebbe risvegliato in loro troppe speranze – e Giovanni
aveva dato per
scontato che lei non si vedesse più con quell’uomo.
«Giovanni?»
Si
riscosse dai propri pensieri, trovando Miriam che lo osservava curiosa.
«Scusami,
ho dormito poco questi giorni… Il mio collega si
è preso le ferie da giovedì a
oggi e ho dovuto coprire anche i suoi turni. Mi dispiace per la tua
storia
finita male, davvero.»
«Non
preoccuparti, non è stato niente di troppo doloroso. Ti
volevo solo dire che ci
stiamo mettendo a tavola, ti ho tenuto il posto accanto a me,
così potrai stare
davanti a Chad.»
«Grazie
mille.»
Si
sforzò di non pensare a Cate per tutta la sera.
Chiacchierò con i compagni di
classe che sedevano vicino a lui, scambiò diversi brindisi
con Chad – che lo
stava facendo bere come quando erano al liceo e si nascondevano a casa
sua per
guardare film vietati ai minori e scolarsi lattine di birra –
e scoprì nuovi
aspetti di Miriam che non conosceva: come fosse stato stressante il
lavoro di rappresentante
con individui come Chad sempre pronti a fare casino, da quale ditta
aveva
intenzione di licenziarsi per non subire ripercussioni dal suo ex,
quanto
amasse cantare al karaoke e interpretare i brani di Antonella Ruggiero.
Senza
rendersene conto, offuscato dal vino e dal cibo buonissimo come quello
che
aveva smesso di mangiare quando Cate se n’era andata via di
casa, si ritrovò a
organizzare una serata al karaoke, pur sapendo quanto poco facesse per
lui.
Miriam batté le mani, entusiasta, e rise quando Chad
versò ancora vino rosso
nel bicchiere di Giovanni mentre era voltato verso di lei
«Mi
accompagni a fumare?» gli chiese quando la cena stava ormai
volgendo al
termine.
Giovanni
si alzò insieme a lei. «Non fumo, però
prendo volentieri una boccata d’aria.»
«Davvero?
E quando avresti smesso?»
«Non
mi vedi dall’ultima riunione cinque anni fa, e già
non fumavo più.»
«Eppure
ricordo così bene il ragazzaccio che eri al liceo. Quante
volte ti sei nascosto
in bagno a fumare con Chad?»
«Cate
mi aveva convinto a smettere.»
«Lei? Caterina Soccorsi, dici davvero?
Quella
che ha rischiato di venire sospesa perché
l’avevano beccata con l’erba?»
«Aveva
i suoi motivi» rispose seccamente Giovanni.
Miriam
abbassò di nuovo lo sguardo. «Ah,
già… Dimenticavo quello che è
successo.»
Rabbrividì, attirando l’attenzione di lui, che si
tolse la giacca che poggiarla
sulle sue spalle. «No, non serve, dico
davvero…»
«Io
sto bene, non sento freddo.»
Sorrise
per ringraziarlo e aspirò il fumo una terza volta, prima di
riprendere a parlare.
«Posso
confessarti una cosa?»
«Dimmi.»
«Se
non ci fosse stata Caterina, al liceo, credo che mi sarei fatta avanti
io.»
Giovanni
aggrottò le sopracciglia, confuso. «Cosa
intendi?»
«Che
avevo una cotta pazzesca per te!» Miriam scoppiò a
ridere e si strinse nella
giacca di Giovanni.
L’odore
del suo profumo gli arrivò inaspettatamente alle narici. Era
buono, si rese
conto.
Il titolo è una
citazione da Gossip Girl.
STEFANIA:
- Sasuke, Dante e
Usagi: personaggi di Naruto, Devil May Cry e Sailor
Moon (Usagi è il nome originale di Bunny).
- Sterminatore di
Re: Jaime Lannister ♥
-
Jeyne Westerling: nei libri di ASOIAF
è la moglie di Robb Stark.
-
“Argus Gazza”: personaggio di Harry
Potter.
MARTA:
-
“Allons-y!”: ripetuto spesso dal Decimo Dottore
(interpretato da David
Tennant).
- “per
la barba di Merlino”: riferimento a Harry
Potter.
-
Blair Waldorf: personaggio di Gossip Girl.
- “Per
gli dèi antichi e nuovi”: riferimento ad ASOIAF.
-
Ditocorto conosceva Catelyn fin da bambina e l’aveva sempre
amata.
-
Dalek: riferimento a Doctor Who.
-
Darth Vader: riferimento a Star Wars.
-
Katniss e Peeta: protagonisti di Hunger
Games.
-
Meta-lupo: simbolo degli Stark.
- “Il
Nord non è mai stato il posto per te”: a Nord
risiedono gli Stark, la casata di
Catelyn si trova più a sud rispetto a dove vive ora lei.
SPAZIO AUTRICE
Ben
ritrovati!
Spero
che stiate passando bene queste vacanze :) E anche che questo capitolo
vi sia
piaciuto! A quanto pare lasciare in sospeso per un po’ ha
aiutato la mia
ispirazione, e ora sono già pronta per scrivere il capitolo
successivo;
capitolo in cui sarà introdotto un personaggio di cui si
è già parlato e che
finalmente apparirà in carne e ossa… E, a
proposito di personaggi secondari
introdotti, che ne pensate di quelli che compaiono in questo capitolo?
Ah, il
bacio tra Marta e Roberto… Rapido, fulmineo,
vero… ma pur sempre un bacio.
Chissà come si evolverà!
Volevo
ringraziarvi tutti, lettori silenziosi e non (e in questa categoria
rientrano
non solo i recensori, ma coloro che hanno messo la storia nelle
preferite/ricordate/seguite): ben quattro persone hanno già
inserito la long
tra le preferite, una tra le ricordate e diciotto – DICIOTTO!
– la stanno
seguendo. Wow, vi adoro! Grazie anche a DarkAeris
per aver come sempre ricontrollato
il capitolo prima della pubblicazione!
Già
che ci sono, vi suggerisco una bella long romantica che si discosta
dalla mia per temi, ma credo vi piacerà: Right
next to you.
Se
volete tenervi sempre aggiornati con la storia, potete iscrivervi al
gruppo su
Facebook: Gli
eroi di Sandpoint.
A
presto!
Medusa
|
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Capitolo 9 *** Io credo nella lussuria a prima vista ***
Io credo
nella lussuria a prima vista
Continuava
a rigirarsi il cellulare tra le mani. Lo fece volare da un palmo
all’altro, lo
vide cadere a terra, lo tenne in equilibrio su due dita; ogni tanto
lanciava
un’occhiata allo schermo, avvicinava un polpastrello ai
tasti, lo ritirava e
tamburellava con la punta del piede sul pavimento del Vecchio
Mangaka. Le voci di Stefania e Leonardo, che sfogliavano i
nuovi arrivi nella stanza accanto, gli arrivavano come da molto lontano.
Guardò
per l’ennesima volta il messaggio che gli era arrivato
quaranta minuti prima:
“Quando vieni? Fede”.
A
distanza di settimane e a volte perfino mesi, capitava che il cellulare
di
Matteo squillasse per l’arrivo di un messaggio e che poco
dopo comparisse come
mittente un numero che non era mai riuscito a dimenticare, nonostante
lo avesse
cancellato dalla rubrica anni prima; sapeva che il proprietario di quel
numero
preferiva chiamare, non aveva bisogno di leggere la firma a fine
messaggio per
sapere che era stata un’altra persona a inviarlo.
Maledizione, dopo tanto tempo
ancora rischiava di cadere in trappola!
Si
chiese se lo avesse davvero mandato “Fede”, quel
messaggio. La domanda –
“Quando vieni?” – era sempre la stessa,
mutava la forma, ma non la sostanza, ed
erano due anni che gli veniva rivolta; fortunatamente per Matteo era
più facile
mantenere il controllo senza udire la voce del suo interlocutore, ma
alcune
volte aveva ceduto. E rischiava di cedere ancora.
“Ho
un uovo di Pasqua che dev’essere aperto…”
Avrebbe
potuto aspettare un altro po’. E se fosse andato a male? Se
si fosse sciolto,
con l’arrivo del caldo? Dopotutto aveva ancora un regalo da
parte, poteva
attendere quanto voleva.
“Questa
estate” pensò di rispondere. “Ad agosto.
A settembre.”
Avrebbe
rimandato all’infinito, lo sapeva, ma non poteva parlare di
una fantomatica
“prossima settimana” o di qualsiasi altro giorno di
aprile. Era troppo presto e
rivedere Federico avrebbe significato trovarsi di fronte anche
un’altra
persona.
«…
e così l’ha baciata.»
Stefania
apparve nella stanza, trasportando una collana con il ciondolo dei
Lannister e
una rivista presa poco prima dal bancone del negozio. Leonardo la
seguiva,
incredulo, e solo allora Matteo si rese conto che la ragazza non si
stava
facendo beffe di lui, pur non essendo più nelle vesti di
Robb Stark e Lysa
Tully: l’esperienza del Romics doveva avere fatto bene a
entrambi.
Fu
colpito anche dallo sguardo fugace e colpevole che Leonardo gli rivolse.
«Hai
visto la puntata stamattina?» tentò di cambiare
discorso il suo cliente
abituale, passandosi una mano sui capelli neri tagliati a spazzola.
«Secondo me
ti è piac-»
«Elfo,
esisti sul serio?» lo interruppe Stefania, sollevando un
sopracciglio. «Ti sto
dicendo che Marta e Roberto si sono baciati e tu mi parli di Game of Thrones? Una puntata magnifica,
ma prova a tenere i piedi per terra almeno una volta.»
Matteo
smise di giocare con il cellulare. Aveva appena dato loro le spalle e
doveva
sembrare assorto nell’inventario, perché nessuno
dei due cercò di inserirlo
nella conversazione. Non era turbato dalle parole di Stefania, ma non
aveva mai
pensato di poter ascoltare una notizia del genere. Marta? Con Roberto? Non gli era sembrata quel
tipo di ragazza…
«Sai
cosa significa “baciare”, elfo?»baciare
«Certo
che lo so!»
«Hai
presente quando i tuoi genitori avvicinano i volti e si toccano le
labbra?»
«Ti
ho detto che lo so!»
«L’hanno
fatto vedere anche in Game of Thrones,
quindi il concetto dovrebbe essere chiaro perfino a te.»
Però,
riflettendoci, una ragazza che si lanciava su qualcuno solo
perché la sua prima
scelta si era rifiutata di uscire con lei era proprio il tipo da
Roberto. Forse
aspettava solo di essere notata, non aveva importanza da chi.
D’altronde, se
fosse stata realmente interessata a lui, lo avrebbe davvero chiamato in
piena
notte, ubriaca, per chiedergli un appuntamento?
Già,
si era sbagliato ampiamente su Marta.
«È
successo al Romics, poco prima della nostra sfilata»
continuò Stefania, alzando
la voce. «Da quanto ne so, lei l’ha presa molto
bene!»
«Ma
io credevo… Cioè, voglio
dire…»
«Che
credevi?»
«Pensavo
che a Roberto piacesse… cambiare, ecco…»
«Alle
scale piace cambiare, ma quel dongiovanni forse vuole mettere la testa
a posto.
Dopotutto, perché baciare una ragazza che vedrà
sicuramente ogni venerdì,
rischiando di sentirsi in imbarazzo tutte le volte che
giochiamo?» Toccò la
spalla di Matteo, che sussultò. «Ehi, devo correre
a lezione, posso pagare?»
«Sì…
subito.»
Non
era più immerso nei pensieri che lo attanagliavano
dall’arrivo del messaggio,
però non sapeva dire se ciò fosse un bene: ora la
sua mente era occupata dal
risentimento nei confronti di Marta, che aveva anche cercato di
trattare
gentilmente negli ultimi giorni – lei aveva sbagliato a
chiamarlo a un’ora così
tarda, ma doveva essere stata guidata dall’alcol,
perciò Matteo aveva deciso di
mettere da parte la rabbia iniziale e comportarsi come se niente fosse.
Scelta
comunque ardua, dal momento che la ragazza non lo aveva chiamato per
fargli uno
scherzo telefonico, ma – in modo alquanto bizzarro e poco
produttivo – per dichiararsi.
Titubante,
leggermente impacciato, durante il Romics Matteo aveva provato a
scusarsi con
lei a suo modo, pensando che dovesse essere stato ben poco delicato
venire
rifiutati con una simile rabbia, ma a quanto sembrava si era sbagliato:
a Marta
non era mai realmente importato di lui o forse quello era stato davvero
uno
scherzo telefonico.
“Ma
perché chiamare proprio me?”
«Questa
collana costava meno al Romics» disse Stefania, poggiando il
ciondolo ancora
imbustato di fronte alla cassa. «Però non ho fatto
in tempo a comprarla, quindi
mi tocca prenderla qui.»
Matteo,
che era in piedi da appena due ore e già aveva patito e
ascoltato abbastanza,
le avrebbe volentieri suggerito dove poteva mettersi gratuitamente
quella
collana, ma il tema di Dead Space
risuonò nel negozio. Estrasse il cellulare dalla tasca dei
jeans, preoccupato,
ma sullo schermo lesse Giovanni;
rifiutò
la chiamata, fece pagare Stefania, mise da parte i manga per Leonardo e
solo
quando furono usciti entrambi compose il numero dal suo collega.
Che,
si rese conto in quel momento, non si era ancora fatto vedere in
negozio.
«Ciao,
Gianni!» lo salutò. «Come mai sei
a…?»
«Ho
bisogno di vederti» dichiarò subito la voce
dall’altra parte, con un’agitazione
che fece nuovamente preoccupare Matteo. Non era abituato a sentire il
pacato
Giovanni in preda all’ansia: l’ultima volta che lo
aveva trovato in quello
stato Cate gli aveva appena proposto la separazione.
«Cos’è
successo?»
«Dobbiamo
parlarne di persona. Ho… ho bisogno di un
consiglio.»
Aggrottò
la fronte, ancora più sorpreso. Giovanni il dispensatore di
consigli aveva
bisogno di un consiglio dalla persona che più gli chiedeva
consigli?
«Non
posso lasciare il negozio adesso.»
«Corri
qui. O vediamoci a pranzo. È una cosa importante.»
«Gia,
mi stai facendo preoccupare sul serio. Cos’è
successo?»
«Ieri
ho visto una persona.» Pausa. Matteo si interrogò
su chi potesse averlo gettato
in quello stato: di certo non si trattava di una persona qualsiasi
incontrata
per strada. «L’ho rivista, voglio dire.»
Sembrava piuttosto restio a parlare,
come se ne fosse imbarazzato.
Non
poteva trattarsi di Caterina, Matteo aveva saputo che era passata al Vecchio Mangaka tempo prima e Giovanni
glielo aveva riferito in tutta calma solo quando lui aveva finito di
sfogarsi
per… Oh, cavolo, doveva rispondere a quel messaggio.
«Si
tratta di tua sorella?» tentò. Un pensiero
agghiacciante gli attraversò la
mente. «È incinta?»
«No,
no, macché! Non vedo Lory da mesi, lei e Paolo non
c’entrano niente.»
Ringraziò
in silenzio le potenze divine per avere sventato un tale pericolo:
Loredana
poteva essere considerata un pericolo pubblico per un bambino.
«Ieri
sera sono stato alla cena di classe» continuò
Giovanni.
«Ah,
è vero, mi ero dimenticato.» Allora forse Cate
c’entrava qualcosa. «C’era anche
Caterina?»
«No,
non è venuta. Ecco…» Matteo lo
sentì deglutire e ispirare profondamente, prima
di parlare di nuovo. «C’era una mia compagna del
liceo. Era la nostra
rappresentante, a scuola.»
«Beh?»
Matteo stava cominciando a irritarsi: perché Giovanni non
gli diceva chiaro e
tondo cos’era accaduto, invece di farsi tirare fuori il
discorso con la forza?
«Si
chiama Miriam.» Altro momento di pausa. «Avevamo
bevuto un sacco, non so
neanche come sono arrivato a casa…»
«Giovanni?»
fu costretto a chiedere Matteo, davanti all’ennesimo silenzio.
«Me
la sono trovata nel letto.»
Dovette
reprimere una risata per rispetto nei suoi confronti. Ma come poteva
prendere
sul serio un trentacinquenne che lo chiamava in preda al panico
perché era
stato a letto con la seconda donna della sua vita?
«D’accordo,
chiudo il negozio e passo da te.»
Il
messaggio continuò ad attendere una risposta che non
arrivò.
♠
Non
aveva una precisa idea del perché avesse accettato
l’invito di Roberto. Certo,
era curiosa di ciò che voleva dirle con tanta insistenza, ma
la sua curiosità
non giustificava il filo di matita che si era messa sugli occhi,
né gli
orecchini che per l’occasione erano tornati a essere due
– a dispetto dei tre
buchi che avevano fatto guadagnare alle sue orecchie, a detta della
madre, il
titolo di “lobi martiri” – e neanche la
maglietta scollata proveniente ancora
una volta dall’armadio di Teresa.
Teresa
che non aveva fatto altro che esprimersi con gridolini e sospiri,
esclamando di
tanto in tanto: «Ah, che bello l’amore!»
Ora
Marta cominciava a comprendere come doveva apparire agli altri quando
si
comportava da fangirl.
Sistemandosi
il ciondolo che era sceso tra i piccoli seni, Marta si chiese se non
fosse
troppo in anticipo: Roberto le aveva chiesto di vedersi alle quattro e
mezza,
ma mancavano ancora venti minuti all’ora prestabilita. Di
solito lei era una
ritardataria e molte erano state le volte che Stefania glielo aveva
fatto
pesare, però aveva passato la mattinata a chiedersi, tra una
lezione e l’altra,
come sarebbe accaduto quel pomeriggio; sarebbe stato meglio se Roberto
non le
avesse inviato un messaggio alle sette, implorandola di vedersi
perché “aveva
bisogno di parlarle”. Forse, se si fosse fatto sentire
più tardi, Marta sarebbe
riuscita a concentrarsi durante almeno una lezione.
Tuttavia
sapeva che non sarebbe cambiato nulla: per tutta la notte si era
interrogata
sul motivo che aveva spinto Roberto a baciarla, senza trovare una
risposta di
cui fidarsi completamente. Se si fosse trattato di un altro ragazzo,
avrebbe
pensato che ci stesse provando con lei, ma con lui non si poteva mai
dire.
Anche se si era già sbagliata parecchio nei suoi
confronti…
Sospirò,
scuotendo la testa e attirando l’attenzione di due passeggeri
in metropolitana.
Forse doveva solo accettare la realtà che si parava davanti
ai suoi occhi, e in
altre parole che Roberto aveva una cotta per lei.
E
di se stessa cosa poteva dire? Era stata sorprendentemente lusingata
dal suo
bacio, le avevano fatto piacere anche le attenzioni che le aveva
riservato nei
giorni precedenti, durante il Romics, ma lei credeva di provare per
Matteo
qualche di forte. Qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto eclissare.
D’altronde, a farsi eclissare era stato lo stesso Matteo.
Quando
arrivò alla fermata del Circo Massimo, dove si era svolto
anche il loro primo appuntamento
– era certa di poterlo
definire così? – Marta riconobbe immediatamente i
capelli neri e gli occhi
verdi di Roberto. E per fortuna, perché se lui avesse
indossato un cappello o
un paio di occhiali da sole avrebbe rischiato di non vederlo neanche.
Roberto
attendeva in cima agli scalini, la schiena contro il muro e un mazzo di
fiori
in mano. Marta fu tentata di fare marcia indietro, ma in quel momento
anche lui
la vide. Alzò la mano in un saluto rapido e imbarazzato,
accennò un sorriso e
camminò verso di lei a testa bassa, come se non avesse il
coraggio di guardarla
negli occhi. Inspirò profondamente, poi le porse i tulipani
rossi.
«Sono
per te» le disse in tono di scusa. «Non
avevo… Non volevo presentarmi a mani
vuote.»
«Grazie,
sono bellissimi.» Non era una bugia, ma a Marta non piaceva
ricevere fiori; a
dire la verità, nessuno glieli aveva mai regalati e questo
la stava mettendo a
disagio. «Sei qui da molto?»
«Sì»
rispose subito Roberto, per poi scuotere la testa. «Scusa,
non volevo dirti che
hai fatto aspettare. Sei perfino in largo anticipo, sono io
che… che non
riuscivo a resistere dentro casa. Dovevo uscire.»
«Problemi
in famiglia?»
Il
suo sorriso spuntò improvvisamente e altrettanto in fretta
scomparve. «No,
niente del genere. Ero solo un po’… Mi sentivo in
colpa.» Marta stava per
rassicurarlo che non c’era motivo di biasimarsi per averla
baciata, che
potevano tornare a essere amici – erano amici, in fondo?
– come prima, ma
Roberto riprese subito a parlare. «Ah, se non dovessero
piacerti i fiori, ti ho
preso anche qualcos’altro, venendo qui.» Le porse
la busta che teneva nella
mano destra.
«Cos’è?»
«Sorpresa.»
Rimase in silenzio finché Marta non ebbe estratto un DVD
dalla busta di
plastica. «Non so se è il tuo genere, ma
è il mio film preferito e ho voluto…»
«FANTASTIC!»
esclamò lei, spalancando gli occhi e saltando sul posto.
«Apocalypse Now
è anche il mio film preferito!»
«Davvero?»
Roberto sembrava sollevato. «Oh, sono contento di averci
preso… Ma non lo avevi
già, allora?»
«Non
nell’edizione limitata! Come hai fatto a trovarla?»
«Segreto»
rispose con un sorriso più rilassato, ma altrettanto fugace.
«Credo che valga
la pena tenerlo per me, così se in futuro vorrò
farti un altro regalo saprò
come sorprenderti.»
In
quel momento Marta gli sarebbe volentieri saltata al collo per
ringraziarlo, ma
per fortuna il DVD e il mazzo di tulipani che stava reggendo glielo
impedirono.
Si limitò a sorridere a sua volta, profondendosi in una
lunga serie di
«Grazie!» venuti dal cuore.
«Camminiamo?»
propose Roberto, e Marta annuì, continuando a contemplare Apocalypse Now come fosse il suo sogno
nascosto nel cassetto fin da
bambina.
«È
l’edizione in tre dischi» pigolò
entusiasta. «Peccato sia in blu-ray…»
Roberto
si fermò di colpo. «Non hai il lettore blu-ray?
Perché non l’hai detto subito?»
«Oh
no, non importa: troverò sicuramente qualcuno a cui
scroccare il lettore!»
«Possiamo
sempre vederlo da me. Funziona anche nella Play Station.»
Marta
tentennò. Si accorse solo in quel momento di quanto poco
fosse durata la sua
tensione, giusto il tempo di ricevere il regalo, ma poi il ricordo
recente del
loro bacio, solo un pomeriggio prima, tornò a farsi strada
nella sua mente e a
farle palpitare il cuore. Perché, poi? Non era innamorata di
Roberto, lei
voleva Matteo.
Un
Matteo che non la cercava mai…
«Carini
i fiori!» esclamò, cambiando discorso.
«Come mai hai scelto i tulipani?»
«Non
ti piacciono?»
«Non
sono tra i miei fiori preferiti» ammise. «Ma dubito
che avresti potuto trovare
una stella alpina da queste parti.»
Roberto
si sedette sulle basse mura che delimitavano il Circo Massimo e le
prese la
mano libera per aiutarla a salire insieme a lui. Era lo stesso punto
dove si
erano fermati durante l’appuntamento precedente,
notò Marta, e per combattere
l’imbarazzo gli diede momentaneamente le spalle con la scusa
di mettere da
parte fiori e DVD, ma poté farlo solo per pochi secondi;
quando tornò a
guardarlo, Roberto stava fissando le rovine, con suo sollievo. Ancora
una volta
le parve ben diverso dal ragazzo con cui credeva di avere avuto a che
fare fino
a quel momento.
«Conosci
la leggenda del tulipano?»
«No.»
«Si
dice che le odalische lanciassero i tulipani attraverso le sbarre
dell’harem,
come pensiero ai fidanzati che erano state costrette a
lasciare» spiegò
Roberto, continuando a fissare un punto lontano. «Per questo
i tulipani rossi
sono il simbolo della dichiarazione d’amore.»
Marta
sarebbe volentieri sprofondata nella terra, ma non poté fare
altro che
mangiarsi le unghie per alleviare la tensione.
«Non
è questa la leggenda della loro nascita,
però» continuò il ragazzo, tornando
finalmente a guardarla. «Si dice che un pastore si
suicidò per amore, e allora
la regina delle fate ricoprì la sua amata terra
d’Olanda dei fiori che le sue
compagne abitavano. Si lasciò addormentare e
basta… Il contadino, intendo dire.
Per questo non sono le rose il vero fiore dell’amore, ma i
tulipani: sono il
simbolo dell’amore che non potrà mai essere
ricambiato.»
Marta
pendeva dalle sue labbra. Aveva ascoltato attentamente ogni sua parola,
cercando
tracce del Roberto Trani che era stato prima di quel giorno, ma non
c’era
riuscita: vedeva solo un ragazzo imbarazzato e allo stesso tempo
deciso,
pessimista e – forse, ma solo forse – innamorato.
Perché proprio di lei?
Si
disse che era stanca di porsi domande, di interrogarsi su cosa avesse
spinto
Roberto a chiederle di uscire, a baciarla e ora a dichiararsi. Non le
erano mai
interessati i ragazzi dolci, però – come era stato
per i fiori – il motivo
probabilmente era che non aveva mai avuto a che fare con loro. E forse
era arrivato
il momento di cominciare a lasciarsi andare a una visione di
felicità, invece
di ostinarsi a pensare a una persona che le rivolgeva la parola solo
nelle
vesti di Eddard Stark.
«Non
dobbiamo per forza guardare un film insieme» riprese Roberto,
e Marta si
accorse di quanto disperato fosse il suo tentativo di essere accettato
da lei.
«Potremmo fare quattro passi, prenderci un gelato o chiedere
al Dottore di
portarci su Saturno.» Fece una risata nervosa. «O
potremmo tornare a casa. Se
non sei interessata, potremmo finirla qui.»
«Roberto,
senti…»
«No,
un secondo, ascolta solo un’ultima cosa: non ti sto giurando
amore eterno, non
sto nemmeno dicendo che sono innamorato. Potremmo uscire e renderci
conto che
non siamo fatti l’uno per l’altra e tornare a
comportarci come prima, restare
anche amici visto che non stiamo mettendo in gioco sentimenti troppo
complicati. Il fatto è che, se dovessi mettere la testa a
posto, vorrei farlo
per te.»
Marta
sorrise spontaneamente e, altrettanto spontaneamente, cercò
la sua mano.
«Proviamoci.»
Finalmente
il sorriso di Roberto smise di scomparire.
♠
Faceva
maledettamente caldo per essere aprile e l’unico desiderio di
Roberto, in quel
momento, era tornare a casa e accendere il condizionatore nella sua
stanza –
dopo aver messo su un disco dei Queen, ovviamente. Dopo una giornata
simile,
poteva anche concedersi un paio di puntate di Squadra
Speciale Cobra 11, ma stando attento a sceglierle da una
delle stagioni con Tom Kranich.
Non
appena ebbe varcato la soglia dell’appartamento,
scoprì di essere solo: l’odore
delle lasagne che sua madre gli aveva promesso non aveva ancora invaso
alcuna
stanza e tutte le luci erano spente. Trovò un biglietto sul
tavolo della
cucina, tra il cesto della frutta e il telecomando, con un
“Sono da zia Elsa,
torno per cena. Metti le lasagne nel forno verso le otto”
scritto a matita.
Dando un rapido sguardo all’orologio accanto al frigo,
Roberto constatò che
anche il padre sarebbe stato via per un’altra ora.
Perfetto,
avrebbe potuto osare di più che qualche puntata di Tom e
Semir.
Gli
piaceva guardare gli hentai senza dovere indossare le cuffie, che
trovava
limitanti rispetto alle due casse a cui di solito era collegato il
computer; forse
i vicini, un giorno, sarebbero accorsi indignati alla sua porta per
lamentarsi
dei rumori inconsueti che provenivano dall’appartamento, ma
poco importava: lui
era Roberto Trani, l’affascinante figlio di “Peppe
dell’officina”, e avrebbe
sempre trovato un modo per quietare gli animi e trarsi di impaccio da
situazioni indesiderate.
Entrando
nella sua stanza, però, si chiese in che modo avrebbe potuto
giustificare le
foto appese al muro, nel caso in cui Marta avesse accettato il suo
invito a
vedere Apocalypse Now. La camera
era
sommersa di hentai e poster di belle ragazze decisamente accaldate, ma
come
spiegarle le foto che lo ritraevano con Viola? Per quanto ne sapeva
lui, Viola
era sempre stata nella sua vita e questo era il motivo della sua
presenza in
tutti gli scatti attaccati alla parete e nelle cornici poggiate sugli
scaffali
della libreria.
Da
qualche parte Roberto doveva avere una loro foto a tre anni, ma nella
camera la
più vecchia risaliva alla prima elementare. Lui e la piccola
Viola si tenevano
per mano e sorridevano all’obiettivo, forse entusiasti
all’idea di fare
amicizia con altri bambini – chi poteva ricordare cosa
avessero effettivamente
pensato in quel momento? Roberto sapeva solo di essere stato fin da
subito
felice di trovarsi in classe con la sua migliore amica.
Accanto
a quella foto, incorniciata con un lavoretto fatto a scuola in
occasione del
Natale, ce n’era un’altra più nitida,
scattata da un fotografo professionista
il giorno della loro comunione; i capelli ribelli di Viola erano tenuti
fermi
da un’acconciatura che prevedeva diverse mollette ed entrambi
i bambini avevano
le mani sui fianchi, fieri di sé. Avevano fatto il
ricevimento insieme, proprio
come successivamente quello della cresima, e anche i regali erano stati
simili
– fatta eccezione per le collane e gli orecchini destinati a
Viola.
Le
foto alla parete ritraevano svariati momenti degli ultimi quindici
anni: Roberto
addormentato sulla pancia dell’amica durante il campo scout
in prima media –
erano stati iscritti un solo anno e mai, per un solo momento, avevano
rinunciato a stare insieme; i padri dei due ragazzi che li tenevano
sulle
spalle, al mare; Roberto e Viola intenti a spegnere le candeline dalla
torta la
sera della festa dei loro diciotto anni.
Viola
era una figura costante nella vita di Roberto, quelle foto lo
testimoniavano;
tuttavia, pensò lui, forse sarebbe stato ancor
più difficile giustificare a
Marta la presenza di Viola sul suo letto.
«“Eleonora non aveva mai avuto un debole
per
i ragazzi dolci: se c’era qualcosa che detestava, era il modo
in cui credevano
che tutto gli fosse dovuto, solo perché avevano
l’accortezza di rivolgere un
complimento o fare dei regali di tanto in tanto…”»
Roberto
spinse il tasto dell’accensione del condizionatore, poi tolse
dalle mani di
Viola il suo tablet.
«Ehi!»
si lamentò lei, rizzandosi a sedere.
«Non
ti ho ancora dato il permesso di leggerla» la
rimproverò Roberto con un sorriso
irrisorio sulle labbra.
Come
per magia, Viola era comparsa nella sua stanza per
l’ennesima volta. Doveva sentire caldo anche lei,
perché
indossava una camicetta a maniche corte aperta fino alla scollatura del
seno e
un paio di pantaloncini di jeans; la riccia chioma nera non era
però tenuta su
da mollette come nella foto della prima comunione, ma lasciata libera
di
solleticarle la nuca. Se davvero qualcuno credeva alla storia che
fossero
cugini, avrebbero detto che il differente tono della loro pelle fosse
dovuto a
una precoce abbronzatura della ragazza.
«Come
sei entrata?» le chiese dopo avere acceso anche lo stereo ed
essere salito sul
letto accanto a lei.
«Ho
le chiavi» gli spiegò Viola, facendo tintinnare il
mazzo di chiavi davanti al
suo viso.
«Queste
sono le mie chiavi, ecco
dov’erano
finite!»
«Beh,
tu ti ostini a non farmene una copia e ho dovuto procurarmela da
sola» si
giustificò, stringendosi nelle spalle. «Non mi
sembra male, come inizio.»
Indicò con un cenno del capo il tablet.
«Devo
cambiarlo: ho appena scoperto che a Marta non dispiacciono i tipi
dolci.»
«Oooh,
racconta!»
Roberto
si passò una mano tra i capelli, soddisfatto. «Che
devo dirti? Il piano sta
funzionando alla grande. Sai già che ieri l’ho
baciata…»
«Certo,
ti ho suggerito io di darti una mossa.»
«Ma
era mia intenzione farlo il prima possibile, quindi mi avevi solo letto
nel
pensiero. A ogni modo, oggi pomeriggio sono uscito con lei.»
La
sua espressione tronfia doveva rivelare tutto, perché Viola
sorrise
malignamente a sua volta. «E l’hai convinta a
frequentarvi.»
«Ho
dovuto fare il bravo ragazzo tutto il tempo, è stato
estenuante» si lamentò
Roberto, lasciando cadere la testa sul cuscino. «Davvero
estenuante. Ho dovuto
perfino fare un cosplay!»
«Ah,
già, idea della grassona.»
La
fulminò con lo sguardo. «Preferisco chiamarla
Stefania.»
«Sì,
come ti pare… Beh, che hai dovuto inventarti oggi?»
«Un’espressione
da cucciolo bastonato, la mancanza del coraggio necessario a guardarla
negli
occhi, roba così… Le ho pure portato dei regali
per farmi perdonare del “bacio
rubato”.»
Viola
rise. «Un mazzo di fiori?»
«Già,
tulipani rossi.»
«Ancora?»
«Sai
come sono le donne: basta darle una drammatica storia
d’amore, infilare qualche
cazzata qua e là e ci cascano sempre. Sono
prevedibili.»
«Non
siamo tutte così, non mi avresti conquistata con una
leggenda olandese e
quattro fiorellini.»
«Ho
evitato il “voi” apposta»
sogghignò Roberto. Rimase in silenzio qualche
secondo, poi ammise: «Le avevo preso anche un’altra
cosa che ho trovato su
internet.»
«Cioè?»
«L’edizione
limitata di Apocalypse Now.
Stefania
mi aveva detto che è il suo film preferito, ho dovuto
guardarmelo stamattina
per fingere che fosse anche il mio.»
«Uh,
ma allora ti piace davvero questa tipa!»
Si
tirò a sedere e riprese il tablet. «No, mi piace
la gloria che otterrò dalla
pubblicazione di questa storia.»
«Su
un sito.»
«Va
bene lo stesso come punto di partenza. Ho intenzione di non scrivere
scene
erotiche per almeno dieci capitoli, voglio provare a misurarmi con me
stesso»
«Un
bel cambiamento. E nella realtà?»
«Proverò
a cercare di non saltarle addosso, o al diavolo il piano.»
Diede una rapida
lettura ad alta voce al prologo, cercando l’approvazione di
Viola. «Che ne
pensi? Vorrei pubblicarlo stasera.»
«Mi
piace» disse lei, annuendo. «Però
dovresti inserire altri personaggi, sennò
rischia di essere il solito triangolo amoroso.»
«No,
non metterò in mezzo Stefania e Leonardo»
dichiarò Roberto con decisione.
Viola
alzò le spalle. «Era solo un’idea. E so
che ci rifletterai.»
Gli
tolse il tablet dalle mani e lo poggiò sul comodino, poi si
mise a cavalcioni
sopra il suo amico. «Quanto tempo abbiamo?»
Roberto
sogghignò di nuovo. «Almeno
mezz’ora.»
«Può
bastare.»
La
osservò sbottonarsi completamente la camicetta e gettarla
dietro di sé, tra i
mucchi di vestiti da lavare del ragazzo; dopo che si fu liberata anche
del
reggiseno, le circondò i seni con le mani e
lasciò che si piegasse in avanti
per baciarlo, mentre una mano cercava la lampo dei jeans.
Dopotutto,
pensò, non c’era bisogno di raccontare proprio
tutto nella storia che stava
scrivendo, no?
Il titolo
è una citazione da Sex and the City.
MATTEO:
- “Alle
scale piace cambiare”: citazione da Harry
Potter.
MARTA:
- “FANTASTIC!”:
citazione da Doctor Who.
ROBERTO:
- Tom
e Semir: personaggi di Squadra Speciale
Cobra 11. Io adoro SSC11.
SSC11 è bello. SSC11 è slash.
SPAZIO AUTRICE
Buondì
e buon post-Ferragosto a tutti!
Finalmente
avete fatto la conoscenza di Viola, che credo già molti di
voi amer- ehm, no,
forse non sarà così.
stato divertente
scrivere questo capitolo, specialmente il terzo POV (che aspettavo da
tempo di
scrivere!), però mi ero arenata sul secondo
perché – e lo sa che legge altre
mie storie – a me i ragazzi “dolci e
gentili” non fanno impazzire e non sapevo
come rendere Roberto interessante pur dolce agli occhi di Marta; a
proposito,
ho trovato le leggende e il significato dei tulipani girovagando su
internet,
purtroppo per me non si è trattato di una mia invenzione.
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto, ci vediamo tra due settimane con
il
prossimo ^^
Grazie
a tutti!
Medusa
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Capitolo 10 *** Alcune cose non sono nel nostro destino, a prescindere da quanto le vogliamo ***
Alcune
cose non sono nel nostro destino, a
prescindere da quanto le vogliamo
«Avete
trovato tracce
di Ameiko?»
Jerle
si portò l’indice
davanti alla bocca, facendo segno a Amy di non fare rumore.
«Saresti tu la
ladra esperta?» soffiò.
Per
tutta risposta,
Robert si intromise tra loro, sussurrando: «Capita a tutti di
sbagliare, Jerle.
Abbiamo altro di cui occuparci adesso.»
L’elfo
sembrava
indispettito, ma lasciò cadere il discorso: erano penetrati
in piena notte
nella vetreria di Sandpoint alla ricerca della locandiera scomparsa e
non
potevano sapere se qualcuno fosse lì ad attenderli;
dopotutto colui o coloro
che avevano teso un agguato a lei e al fratellastro Tsuto proprio in
quel luogo
– a mezzanotte, stando al biglietto inviato dal mezzelfo alla
sorella il giorno
precedente la sparizione – potevano trovarsi ancora
lì, in attesa dei “famosi
eroi” che certamente sarebbero giunti a cercare la loro
amica. Sapeva di
trappola, Jerle aveva già esposto i suoi dubbi al gruppo,
anche se la reazione
di Ygritte era stata: «Che ci frega? Andiamoci e
spacchiamogli il culo.»
Dovevano
fare
attenzione, molta attenzione, perché c’erano
diverse porte sull’unico piano
della vetreria e dietro ciascuna avrebbe potuto celarsi un imprevisto.
Amy
poggiò l’orecchio sulla prima porta, cercando di
ascoltare un eventuale
movimento dall’altra…
«Vuoi
un caffè?» interruppe la narrazione Roberto, la
mano destra poggiata sulla
spalla di Marta.
«Sì,
grazie, oggi ho dormito poco…»
«Ci
stavo pensando, infatti. Ieri sera non saremmo dovuti rimanere
così tanto al
telefono… Ehi, master, puoi farci due
caffè?»
Lentamente,
il cervello che bolliva, Matteo riemerse dallo schermo del game master
che
nascondeva il manuale dell’avventura al resto dei giocatori. Odiava essere interrotto sul
più bello,
specialmente per motivi futili, e richiedere un caffè pochi
minuti dopo la
consueta pausa della sessione rientrava perfettamente nella definizione
di
“futile”; anche Roberto poteva essere inserito in
una categoria e si trattava
senza dubbio di “irritante”.
“Stupido
ragazzino viziato che pensa solo a fare il figo”
pensò, annuendo con fastidio e
alzandosi per compiere il servizio richiesto.
«Mi
dispiace doverti fermare,» si scusò Roberto con un
tono che a Matteo non
convinse minimamente, «ma sei il solo responsabile presente
del Sotterraneo…»
«Non
importa. Mi avresti interrotto comunque, chiedendo a qualcun
altro.»
Un
lampo di divertimento attraversò lo sguardo di Roberto, un
lampo che il suo
master colse appena in tempo, prima che sparisse – come colse
il sorriso
trattenuto. Si chiese a quale gioco stesse giocando: smetteva mai di
ruolare,
al termine di ogni sessione?
«Due
cucchiaini, grazie, mi piace dolce» si limitò a
ribattere il ragazzo. «E tu, Marta?»
“E
tu, Marta?” gli fece mentalmente il verso Matteo. Si chiese
cosa ci fosse tra
quei due, se la gentilezza di Roberto avesse un doppio scopo e se dopo
quel
bacio… “Toglitelo dalla testa, non è il
momento di pensarci.”
«Ehi,
master, hai sentito?»
«Scusa,
cos’hai detto?»
Roberto
ridacchiò come se la temporanea distrazione di Matteo fosse
un raro evento
esilarante. «Marta prende un cucchiaino e mezzo di
zucchero.»
«È
inutile dirmelo, tanto ci sono le bustine.»
E,
con ben poca grazia, Matteo lanciò sul tavolo di gioco il
contenitore delle
bustine di zucchero.
«Certo,
aggiungiamone altro, come se non ne avessi già la
nausea» si lamentò Stefania,
appoggiando il capo sul palmo della mano.
«Dieta?»
chiese Leonardo, guadagnandosi uno sguardo di fuoco.
«No,
stupido elfo, ma grazie per avermela ricordata. Stavo parlando di quei
due.»
Stefania puntò due dita verso i giocatori che aveva di
fronte.
«Ti
stiamo dando fastidio?» chiese Roberto, apparentemente
sorpreso. «Che abbiamo
fatto?»
«State
lì a cinciallegrare da
quando siamo
arrivati, mi avete stancato.»
«Fatti
nostri. A te abbiamo stancato, Leo?»
«Ehm…
no. Cioè, come vi pare. Ma se a lei da fastidio, ecco, non
so, potreste evitare
di… In fondo non sono affari miei, però, quindi
non posso dirvi…»
“Se
lo chiede anche a me, dietro la porta faccio apparire un Tarrasque con
la
passione per i guerrieri, e a fanculo
l’ambientazione.”
«E
a te, Marta? Sto esagerando? Marta?»
«Eh?
Oh, scusa…»
Con
la coda dell’occhio, Matteo notò che la ragazza
aveva appena distolto lo sguardo
da lui. Chissà cosa stava pensando… Forse si
stava colpevolizzando per averlo
innervosito; già, quelle come lei
tendevano sempre a sentirsi in colpa per cose che non avevano fatto.
Respirò
profondamente, cercando di controllarsi: non aveva niente contro di
Marta, era
stata la stupidità di Roberto a infastidirlo – e
le sue continue allusioni al
tempo insieme che avevano trascorso negli ultimi giorni, come se a
qualcuno
potesse interessare. Per una volta si trovava d’accordo con
Stefania.
«Tieni.»
Le porse gentilmente il caffè e allungò una
tazzina anche a Roberto. «Riprendiamo
da dove eravamo rimasti. Marta, fammi un tiro di Percezione.»
«Diciotto:
superato… credo.»
«Senti
delle voci oltre la porta, ma non riconosci il loro
linguaggio.»
«Aspetta»
si inserì Leonardo. «Marta ha un punteggio
Intelligenza alto, parla altre
lingue.»
Stefania
si sporse sul tavolino per scrutare la scheda di Marta.
«Dubito che parlino
Draconico in una vetreria, sai?»
Lui
avvampò, balbettando qualcosa come: «Beh, ma
io… non potevo saperlo… Cioè, non
era detto che…»
«Sono
goblin» svelò Matteo, esasperato. «I
goblin hanno attaccato la città, i goblin
hanno tentato di uccidervi, i goblin
sono gli unici nemici che posso mettervi al primo livello. Possiamo
andare
avanti, adesso?»
La
porta era chiusa a
chiave, ma ad Amy bastarono pochi esperti gesti per far scattare la
serratura;
dietro di lei, Robert e Ygritte erano già pronti ad
attaccare chiunque
avrebbero trovato nella stanza. Lo spettacolo che si
presentò ai loro occhi,
però, fu tale da catturare l’attenzione del
guerriero, che fallì l’assalto.
Nessuno
di loro era
preparato alla vista di quell’orrore: nove cadaveri giacevano
avvolti nel vetro
fuso, come se i loro aguzzini si fossero divertiti a ucciderli
colandoglielo
addosso ancora caldo; nel volto di una della vittime, che non era stato
raggiunto dal vetro, si potevano ancora leggere l’espressione
di paura e
dolore, gli occhi spalancati, la bocca aperta in un grido muto. Jerle
lo
riconobbe: era il padre di Ameiko Kaijitsu.
Ygritte
fu l’unica a non
farsi prendere dal panico e a tranciare in un colpo solo il collo di un
allarmato goblin. Presto anche gli altri le furono addosso, ma un
fiotto acido
proveniente dalle mani di Jerle raggiunse uno di loro, ferendolo
gravemente. La
battaglia fu breve, tra i colpi di spada di Robert e Ygritte, le magie
dell’elfo e i sassi di Amy; solamente la barbara rimase
ferita, ma il modo in
cui sventrò il goblin che l’aveva colpita fu da
monito agli altri avversari,
che cercarono di tenersi lontano da lei – per quanto fu loro
possibile.
Quando
tutto fu
concluso, Ygritte passò a recidere le orecchie dei goblin
che aveva abbattuto
per ornare la sua collana, mentre Jerle esaminava i corpi e Robert e
Amy
rovistavano nella stanza in cerca di indizi e armi da poter rivendere
al
migliore offerente. La cosa più saggia da fare sarebbe stato
perquisire il
resto della vetreria, ma Robert scoprì orme di piccoli piedi
che conducevano a
una botola, seminascosta dietro alcune casse.
«Guardate
qua.»
«Potrebbe
essere il
loro nascondiglio» azzardò Jerle. «Forse
ci sono altri goblin… e forse è da qui
che sono passati quelli che hanno assalito la città la notte
della festa.»
«Dovremmo
dare
un’occhiata al resto delle stanze, però»
rifletté Amy ad alta voce. «Ameiko
potrebbe essere nascosta da queste parti… Tra i cadaveri non
c’era.»
«Ma
non possiamo
escludere che sia morta.»
«Cosa
facciamo?»
«Avete
una settimana per deciderlo» li interruppe Matteo, chiudendo
sonoramente il
manuale.
Leonardo
controllò l’orologio e aggrottò la
fronte. «Mancano ancora due ore. Di solito
non finiamo all’una?»
«Giovanni
ci aspetta al pub.»
«Potevi
dircelo prima, almeno» esclamò Stefania,
incrociando le braccia al prosperoso
petto.
Fu
la volta di Matteo di sentirsi indispettito. È vero, aveva
dimenticato di
avvertirli, ma loro non avevano dimenticato le buone maniere per tutta
la
durata della sessione? Buone maniere che imponevano che il master non
venisse mai disturbato mentre
narrava?
«Volete
venire?» si limitò a chiedere, senza neanche
scusarsi – per poi ricordare che a
dargli sui nervi era stato unicamente Roberto. Come al solito, se la
stava
prendendo anche con chi non c’entrava niente.
«Giovanni ha una sorpresa per
noi.»
Roberto
si strinse nelle spalle. «Per me non c’è
problema, tanto avevo già progettato
di fare tardi. Tu, Marta? Preferisci che ti riaccompagni a
casa?»
«No,
posso venire, tanto domattina non ho
l’università.»
«Meglio,
mi fa piacere stare un altro po’ con te.»
“Mi
fa piacere stare un altro po’ con te” gli fece di
nuovo il verso Matteo,
distogliendo lo sguardo dal sorriso che Roberto stava lanciando alla
sua
ragazza.
Era
sicuro che fosse la sua ragazza? Sì, non sembravano esserci
dubbi. Certo che
Marta si consolava facilmente.
«Veniamo
anche noi» disse Stefania, indicando Leonardo con un cenno
del capo.
Lui
impallidì, colto alla sprovvista.
«“Noi”? Non… Perché
parli anche per me? Non
mi piacciono i pub. C’è gente.»
«Anche
al Romics c’era gente.»
«Certo,
ma qui c’è gente gente.»
Stefania
alzò gli occhi al cielo. «Per gli dèi
antichi e nuovi, elfo, muovi il culo e
andiamo a bere!»
«Qual
è la sorpresa di Giovanni?» chiese Roberto,
sogghignando per il loro scambio di
battute e circondando con il braccio le spalle di Marta.
«Lo
vedrete» rispose Matteo, evasivo. Con la coda
dell’occhio notò Marta
distogliere lo sguardo da lui ancora una volta.
♠
I
polpastrelli di Giovanni tamburellavano nervosamente sulla superficie
consumata
del tavolo, soffocati dal caos che regnava all’interno del
pub. Era un locale
situato lontano dalle strade principali della zona, in una stretta via
dove era
difficile trovare parcheggio, eppure la clientela abituale affollava le
due
piccole stanze come ogni venerdì sera; per quello che
credeva essere una sorta
di miracolo, Giovanni era riuscito a trovare un tavolo libero in fondo
al
locale, addossato a una delle pareti di pietra e posizionato di fronte
al
camino spento. Il luogo non era certo dei migliori per un primo
incontro, ma su
quel punto Matteo era stato irremovibile.
«Deve
trattarsi di un posto a cui sei già abituato»
aveva detto, perentorio
«altrimenti finirai per comportarti come un idiota.»
“Come
se non lo avessi già fatto.”
Giovanni
reputava profondamente idiota
– e
irresponsabile, infantile e stupido – il modo in cui aveva
terminato la cena
degli ex studenti, portandosi a casa, inebriato dall’alcol,
una compagna di
classe che al liceo non aveva mai davvero notato: a quel tempo, e per
tanti
anni a venire, era esistita “Cate e solo Cate”;
c’erano stati baci con altre
ragazze, ma nessuna donna che non fosse Caterina l’aveva
visto muoversi, nudo e
impacciato, sotto le coperte.
“E
neanche Miriam mi ci ha visto, effettivamente.”
Del
poco che ricordava di quella notte, era ben impressa nella sua mente la
figura
di un uomo sicuro di sé, molto diverso da ciò che
Giovanni era veramente.
L’avevano fatto nel letto matrimoniale…
Quel
pensiero lo faceva arrossire e sentire un verme, ma bastava ricordarsi
che
Caterina lo aveva fatto con un altro uomo – in un posto
diverso, certo, però
mentre stavano ancora insieme – per convincerlo che non aveva
agito nel modo
sbagliato: quello era il suo letto
e
Miriam era la sua… beh, ex rappresentante di classe?
Qualcosa del genere. Non
ragazza, no; “persona con cui si stava
frequentando”, ecco.
«È
tutto a posto?»
La
voce di Miriam lo distolse dai propri pensieri, facendogli scattare la
testa
verso l’alto in un modo tanto innaturale da strappare una
risata alla sua…
“compagna di bevute”.
«Sì,
stavo solo pensando che ci stanno mettendo un po’.
L’appuntamento era per le
undici e un quarto e Matteo non ama fare ritardo…»
«Matteo
è il tuo migliore amico, non è vero? Dopo Chad,
intendo.»
«Sì,
è la persona che mi conosce di più. Sono felice
di lavorare insieme a lui.»
Frasi
di circostanza: entro poco avrebbe cominciato a parlare del tempo
– senza che
potesse vederlo, lontano dalle poche finestre del pub. Quel pensiero
gli
strinse il collo, dandogli la sensazione di soffocare, e Giovanni
dovette
slacciare il primo bottone della camicia per liberarsene.
«Sei
sicuro che la cosa
migliore sia presentarvela?»
«Ma
sì, ti dico: non le
dai troppe false speranze in un’uscita tra amici, e poi chi
ti conosce capirà
che hai messo da parte Cate, no?»
Per
la prima volta in vita sua aveva chiesto consiglio a Matteo, ma solo
ora
cominciava a chiedersi se avesse fatto bene; d’altronde, non
gli sembrava che
il suo amico fosse la persona più esperta in campo amoroso.
Parlarne con Chad
era escluso, non avrebbe fatto altro che piagnucolare perché
voleva che le cose
con Caterina si sistemassero, e non poteva neanche rivolgersi a suo
fratello,
con il quale non aveva un grande legame, o a Lory, nascosta in
chissà quale
parte del mondo. Si rese conto, con mestizia, che l’unica
persona a cui si era
sempre affidato nella vita per un consiglio era sua moglie –
la sua ex moglie. Presto lo sarebbe
diventata,
perlomeno.
L’improvvisa
apparizione di una faccia burbera lo fece incredibilmente esultare.
«Uff,
non c’era proprio posto, eh?» esclamò
Stefania, rivolta più a se stessa che a
Giovanni. Probabilmente impiegava il tempo libero a polemizzare tra
sé e sé per
le questioni più disparate. «Ciao»
salutò poi, ricordandosi di avere di fronte
altre persone. Aggrottò le sopracciglia quando vide Miriam,
come studiandola,
ma non disse nulla.
Leonardo,
al contrario, apparve turbato e il sorriso esibito da Matteo era tanto
largo non
essere per niente convincente.
«Ciao!»
esordì, tendendo un braccio verso Miriam. «Tu devi
essere Miriam. Io sono
Matteo, piacere di conoscerti.»
La
ragazza gli strinse la mano e sorrise a sua volta, passando poi a
presentarsi
agli altri presenti. «Piacere, Miriam.»
«Stefania»
bofonchiò l’altra, ma fu Leonardo a mettere di
nuovo in agitazione Giovanni.
«P-piacere,
Le-Leonardo.» Si guardò intorno, spaesato,
lanciando di tanto in tanto occhiate
fugaci a Miriam, come se si aspettasse di vederla trasformare in
Caterina da un
momento all’altro.
«Ci
siete solo voi?» chiese Giovanni.
«Stanno
parcheggiando» disse Stefania con il solito tono brusco.
«Ci prendiamo una
birra?»
«Credo
sarebbe carino aspettarli» le rispose gentilmente Miriam.
Giovanni
non dovette essere l’unico ad annusare il disastro
nell’aria, perché il timido
Leonardo sembrò scegliere di essere lui l’agnello
sacrificale.
«Aspettiamoli!»
esclamò con voce acuta. «Tanto stanno
per… Ehi, eccoli là!»
L’apparizione
di Marta e Roberto calmò temporaneamente la acque. Si
stavano facendo largo tra
la folla, cercandoli e tenendosi per mano. Quel particolare
portò immediatamente
lo sguardo di Giovanni su Matteo, ma il suo amico stava scrivendo un
messaggio,
in apparenza tranquillo.
«Scusate
il ritardo, non trovavamo parcheggio.» Roberto si sedette,
facendo spazio sulla
panca anche a Marta, poi guardò Miriam sorpreso.
«Ciao, io sono Roberto.»
Giovanni
notò che si stava limitando a porgerle la mano e rivolgerle
un sorriso educato,
senza complimentarsi per il taglio dei capelli o la collana che
scivolava nei
seni – al contrario teneva lo sguardo concentrato sui suoi
occhi.
«Miriam.»
«Marta.»
«Voglio
una birra.»
Giovanni
alzò un braccio per richiamare l’attenzione del
barista, in modo da far tacere
Stefania, ma c’era troppa confusione nel locale
perché chiunque lo notasse,
così fu costretto ad alzarsi. «Cosa vi
prendo?»
«Una
rossa.»
“Mi
piacciono le rosse”: ancora una volta, qualcosa che credeva
di sentir uscire
dalle labbra di Roberto lo deluse. Era strano il modo in cui si stava
comportando con Marta, possibile che lei gli interessasse realmente?
Non aveva
tempo di pensarci, perché i suoi amici stavano continuando a
fare le loro
ordinazioni.
«Rossa
anch’io, e per te, Marta?»
«Una
chiara» risposero in coro Marta e Matteo. Si guardarono per
una frazione di
secondo, poi voltarono bruscamente la testa, imbarazzata o indifferente.
«Io
anche… penso… una chiara… Non mi piace
molto la birra, forse sarebbe meglio una
Co-»
«Una
mezza pinta chiara per l’elfo.»
«Ma…»
«Stasera
ti inizieremo all’alcol.»
«Tu
cosa prendi?» Giovanni, ormai in piedi, si chinò
verso Miriam per sentire la
sua voce al di sopra di quelle che stavano affollando le sue orecchie.
Immediatamente si pentì di quel gesto, che dovette sembrare
alquanto intimo per
due persone che si frequentavano da così poco.
“Che
ne sanno loro da quanto vi frequentate?” disse una vocina
nella sua testa.
Maledetto
Matteo e le sue idee.
«Prendo
una chiara media, grazie.»
Cate
avrebbe preso una scura grande. Cate, la donna dall’aspetto
delicato e dai
capelli sempre in ordine: era cambiata dal liceo, ma alcune abitudini
erano rimaste.
Fu
così che Giovanni si ritrovò a ordinare una scura
di troppo e a farla passare
per sua, quando al ritorno al tavolo trovò
un’altra donna al posto di Cate.
♠
Al
contrario di quello che Stefania aveva detto, quella non
era la prima volta che Leonardo aveva a che fare con l’alcol;
semplicemente non lo faceva impazzire. E gettava sua madre
nell’agitazione, il
che era anche peggio.
Gli
sembrava di sentirla ancora raccomandarsi: «Non bere
alcolici. Non andate in
due su un motorino. Non parlare con gli sconosciuti. Non mangiare cibo
scaduto.
Rifai il letto. Ricorda di buttare la spazzatura.» Frasi che
chiunque vivesse
con i propri genitori si era sentito dire almeno una volta nel corso
dell’adolescenza, ma quelle parole erano uscite dalla bocca
di sua madre quando
per l’università Leonardo aveva deciso di
trasferirsi a Roma. E poco prima che
lei scoppiasse a piangere e stringesse a sé
l’amato figlio, che non avrebbe
rivisto per almeno un mese.
A
pensarci bene, la settimana seguente Leonardo sarebbe tornato a casa
per un po’
di giorni, era il caso che cominciasse a preparare i vestiti da mettere
in
valigia così sua madre li avrebbe lavati e stirati non
appena…
«Ehi.»
Una voce lo richiamò alla realtà. «Che
fai, non bevi?»
Da
quando Giovanni era tornato al tavolo con le birre, Leonardo non aveva
fatto
altro che tenere la sua tra le mani, intatta, e osservare i movimenti
di tutti
quelli che sedevano al suo tavolo: Roberto aveva fatto assaggiare la
sua Eagle a
Marta, lasciando poi scivolare un braccio intorno alle sue spalle;
Matteo
controllava spesso il cellulare, alzando di tanto in tanto lo sguardo
per
chiacchierare con Giovanni; il proprietario del Vecchio
Mangaka, da parte sua, cercava di prestare attenzione a
Miriam e di coinvolgerla nei discorsi con gli assidui frequentatori del
suo
negozio. L’unica a cui Leonardo non aveva prestato attenzione
era Stefania, che
sedeva accanto a lui.
Portò
lo sguardo sul bicchiere ancora pieno.
«Ho
cenato presto stasera e ora ho lo stomaco vuoto…»
ammise.
«Aspetta.»
Stefania
si alzò e si allontanò, probabilmente diretta in
bagno: forse voleva lanciargli
qualche frecciatina, però “la vescica la stava
chiamando” – non era così che si
diceva da quelle parti? Sì, di sicuro era quello il motivo
per cui lo aveva
canzonato dandogli del ragazzino che si preoccupava di mangiare prima
di bere o
lamentandosi di andare in giro con uno come lui. Marta doveva essere
una buona
compagnia per le bevute, invece, a giudicare da quanto alcol stava
mandando giù
quella sera.
«E
tu, Leonardo, cosa studi?» gli chiese Miriam, attirando la
sua attenzione.
«Lettere
a Roma Tre» rispose lui. Si chiese se in quel momento dovesse
bere un sorso di
birra per darsi un contegno.
«Oh,
che bravo! E che cosa vuoi fare da grande?»
Gli
dava fastidio il modo in cui Miriam si stava rivolgendo a lui, come se
fosse un
bambino. Avevano dodici anni di differenza, ma Leonardo non andava
più al
liceo! Cate non l’avrebbe trattato così.
Fu
solo dopo essersi indignato per il tono usato da Miriam che si rese
conto della
domanda che gli aveva posto. Che cosa voleva fare in futuro? Bella
domanda, di
sicuro si aspettava una risposta, ma stava passando troppo tempo in
silenzio.
«Già,
Leo» si intromise Roberto. «Che vuoi fare da
grande?»
Lo
guardò con un sorriso che non prometteva niente di buono, ma
Stefania non era
là a dargli corda, per fortuna, e Leonardo doveva
approfittarne per cercare di
tirare fuori le parole che gli si erano incastrate in gola.
«Beh…»
Tossì. «Il mio sogno è lavorare in una
casa editrice. So che è difficile,
però…
Mi piace, ecco.»
«Ami
leggere?»
Che
domande erano? Forse Miriam lo vedeva davvero come un bambino, forse
pensava
addirittura che Giovanni l’avesse portata all’asilo.
«Sì,
certo» si ritrovò a rispondere con più
glacialità di quando avrebbe voluto.
«Ecco
qua.» Stefania comparve dal nulla con in mano due piatti che
poggiò sul tavolo.
«Questo è per te, elfo. Spero ti piaccia il
formaggio.»
Leonardo
sgranò gli occhi. «Perché?»
«Beh,
hai detto di avere lo stomaco vuoto. Non potevo farti sprecare una
birra.»
Stava
sognando. Sì, stava decisamente sognando, non
c’era altra spiegazione. Eppure
il panino ripieno di hamburger, insalata e formaggio sembrava davvero reale; per assicurarsene ne
addentò un
pezzo e dovette ammettere che non si trattava di un sogno.
«Ti
restituisco i soldi.»
«Non
serve.»
«Lascia
che ti paghi la birra, allora.»
Stefania
si pulì le labbra sporche di ketchup con il tovagliolino in
cui era avvolto il
suo hot dog. «Studi fuori casa, non lavori e non puoi fare
sempre affidamento
sui soldi dei tuoi» disse, schietta.
«Perciò ora mangia quel panino e non
rompere le palle se ti offro qualcosa.»
Era
ancora incerto se sognare o no: l’atteggiamento di Stefania
restava lo stesso
che lui conosceva, ma i fatti… Gli stava davvero offrendo un
panino? No, non si
trattava di quello, ma dall’esserlo andata a comprare quando
lui aveva detto di
avere fame. Quella non era la Stefania che conosceva – in
parte sì, ma era la
Stefania del Romics. E in quel momento nessuno dei due era in cosplay.
Gettò
un’occhiata al bicchiere di lei, ma mancava pochissima birra
ed era certo di
non avergliene visto portare altra con sé quando era tornata
al tavolo. Nel
distogliere lo sguardo, notò che Stefania stava fissando con
astio Marta.
“Possibile
che…?”
Non
fu in grado di formulare l’intero pensiero, perché
Stefania si voltò verso di
lui. «È la prima volta che bevi?»
«No,
però… non ne vado pazzo, te l’ho
detto.»
Sorseggiò
della birra, fissando l’orlo del bicchiere. «Te ne
ho fatta prendere un po’
troppa, mi sa… Se non ti va lasciala, eh, quella puoi
pagarla tu senza sentirti
in colpa.»
«No,
la bevo con calma. Chiara non mi dispiace. Senti, posso chiederti una
cosa?»
Annuì.
Leonardo
si fece coraggio. «Perché non mi stai
insultando?»
«Eh?»
chiese lei, senza staccare gli occhi dal bicchiere.
«Non
mi hai preso in giro perché avevo paura di bere a stomaco
vuoto.»
«Significa
che non volevi ubriacarti.»
«In
effetti, no…»
«E
cosa c’è di male in questo?» La testa di
Stefania scattò di nuovo verso di lui
e Leonardo fu certo di vedere balenare nei suoi occhi verdi un velo di
tristezza. «Neanche a me piace molto la birra»
confessò. «La bevo solo rossa,
le poche volte che vengo al pub. Questo è il ritrovo
preferito degli associati,
vero?»
«Già,
lo chiamiamo “Testa di Porco”: non è
pulitissimo, Max lascia fumare all’interno
quando c’è poca clientela e
c’è un fortissimo odore di formaggio, ma si sta
bene, dà un’atmosfera di
“casa”. Che cosa ti piace, allora?»
Leonardo cambiò
bruscamente discorso, sentendosi ridicolo per quello che aveva appena
detto.
«Lo
zucchero filato. Mangerei montagne di zucchero filato.»
Sorrise
di fronte al suo sguardo improvvisamente felice. «Mi piace lo
zucchero filato.
E poi?»
«Sempre
cibo?»
«No,
tutto quello che ti viene in mente.»
«Beh,
sai già di Game of Thrones…
Neon Genesis Evangelion. Amo
Asuka.»
Stefania si indicò la maglietta. «Ho una vera
fissazione per quel manga, ho
anche i primi volumi e a ogni fiera compro una action figure di
Asuka.»
«Già,
mi ricordo di avertela vista prendere anche al Romics!»
«Sì,
quella con la gonna sollevata… Mi mancava. E tu? Cosa ti
piace?»
Leonardo
stava per chiedere se fosse davvero interessata a saperlo, quando
notò che i
suoi occhi stavano per diventare lucidi: aveva gettato
un’altra occhiata in
direzione di Marta e Roberto ed era ormai evidente che stesse facendo
il
possibile per pensare ad altro. Accorgersene gli chiuse
inspiegabilmente lo
stomaco.
«I
fantasy di ogni tipo. Ho letto Harry
Potter, Martin, Pratchett, Brooks, Dragonlance…
perfino Cronache del Mondo Emerso!»
«Che
schifo, dici sul serio?»
«Anche
Twilight.»
«Cosa?! Ma sei un uomo!»
Si
strinse nelle spalle. «Era in casa…»
«Ti
piace Benni?»
«È
una domanda a trabocchetto?»
«Rispondi.»
«Beh…
Non ho letto niente di suo.»
«Hai
fatto bene, fa schifo.»
Se
anche avesse insultato il suo scrittore preferito – cosa
alquanto improbabile,
dal momento che si trattava di Martin – Leonardo sarebbe
scoppiato a ridere
comunque, solo per alzarle il morale. Era piacevole parlare con lei
quando non
lo trattava male, e non solo delle Cronache
di Martin. Evitò però di chiederle il suo
personaggio preferito, intuendo che
si sarebbe impelagato in un bel guaio.
“È
una Lannister, di sicuro amerà Cersei. Non posso mica dirle
che voglio Sansa
sul Trono.”
Dietro
le spalle di Stefania, Roberto e Marta si stavano scambiando un bacio e
Leonardo fu lieto di averla distratta. Avrebbe volentieri continuato a
farlo
per tutta la serata, pur di risparmiarle quel dolore.
Il
titolo è una citazione da Una
mamma per
amica.
MATTEO:
- Tarrasque
LEONARDO:
-
Testa di Porco: pub situato a Hogsmeade nella saga di Harry
Potter
-
Cersei e Sansa: personaggi rispettivamente Lannister e Stark
SPAZIO AUTRICE
Poche
note per questo capitolo e un gigantesco SCUSATE IL RITARDO!
Tra
storie da betare e storie da correggere per un contest (ben trenta e
ancora non
ho finito) sono riuscita a scrivere il capitolo solo in questi ultimi
giorni.
Spero che soddisfi le vostre aspettative, perlomeno!
Matteo
(come Marta) sta risultando il più difficile su cui
scrivere, mentre Giovanni
fila abbastanza liscio come l’olio e i dialoghi tra Stefania
e Leonardo si
scrivono da soli; Roberto poi è il mio personaggio
preferito, ma non dovrei
avere preferenze. Non dovrei proprio, visto la fine che fanno i miei
personaggi
preferiti XD Ma non ho ancora in serbo niente per lui, don’t
worry!
Che
pensate di Miriam? Giovanni potrà abituarsi a una ragazza
che non è Cate? Cate
che finora è apparsa ben poco, ma tornerà nei
prossimi capitoli.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e anche di aggiornare presto. Se tra
voi
dovesse esserci qualche amante di Game of
Thrones, ne approfitto per spammare una minilong AU che sto
scrivendo e che
aggiornerò presto: Rabbit heart and Lion heart.
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