Gli eroi di Sandpoint

di MedusaNoir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ho un’agenda piena di impegni e sono in ritardo per rimandarli ***
Capitolo 2: *** Non battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono veloci, più veloci di quanto tu possa credere ***
Capitolo 3: *** Dobbiamo ampliare la nostra cerchia di conoscenze ***
Capitolo 4: *** Il guaio è che non sono pazze. Sono donne e basta ***
Capitolo 5: *** Cosa rende l’acqua col cetriolo più dissetante dell’acqua senza cetriolo? ***
Capitolo 6: *** Amore è una parola grossa. Mica tanto, sono cinque lettere ***
Capitolo 7: *** Che piacevoli i vuoti di memoria, il premio che si trova sempre sul fondo di ogni bottiglia di vodka ***
Capitolo 8: *** Quando si è in guerra la regola è mai ritirarsi, mai arrendersi ***
Capitolo 9: *** Io credo nella lussuria a prima vista ***
Capitolo 10: *** Alcune cose non sono nel nostro destino, a prescindere da quanto le vogliamo ***



Capitolo 1
*** Ho un’agenda piena di impegni e sono in ritardo per rimandarli ***


Alcuni termini o riferimenti potrebbero non essere immediatamente riconoscibili, per cui vi invito a leggere le note a fondo capitolo. Per ogni parola che non conoscete, ne troverete sicuramente il significato nelle note :)

Gli eroi di Sandpoint

Ho un’agenda piena di impegni e sono in ritardo per rimandarli

Quando la sveglia suonò, alle 7.50 di lunedì mattina, Marta Giunti allungò il braccio oltre il piumone, cercò il cellulare e spinse il tasto per posticiparla di cinque minuti, ignara di averla invece spenta. Sprofondò nuovamente nel sonno, rannicchiandosi tra le coperte e il cuscino mentre l’immagine di David Tennant le riempiva la mente. Com’era bello vedere il Decimo Dottore tenderle la mano e chiederle di seguirlo, in viaggio nel tempo e nello spazio, le labbra così sexy di David aprirsi per gridare: «Geronimo!»

Marta aggrottò la fronte, perplessa. Quelle erano le parole di Matt Smith, il Dottore avrebbe dovuto dire: «Allons-y!» Si girò nel letto e la se stessa del sogno – che curiosamente aveva l’aspetto di River Song – afferrò la mano di David Tennant e si ritrovò nella base del Torchwood. Nessuna traccia di Jack e degli altri, però: c’erano solo cinque felpe nere appese alla parete.

«Finalmente sei arrivata.»

Marta-River si voltò di scatto, allarmata, e scorse una figura di spalle con indosso un cappotto rosso che lei aveva già visto. Non riusciva a crederci: avrebbe scoperto l’assassino di Alison DiLaurentis prima degli altri spettatori! Si avvicinò cautamente – ma poco prima non l’aveva chiamata proprio lui? – chiedendosi se la voce che aveva sentito fosse maschile o femminile, ma poi scorse una ciocca di capelli biondi sotto il cappuccio; poggiò una mano sulla spalla della figura e la costrinse a girarsi, trovandosi faccia a faccia con il sorriso smagliante di Barney Stinson.

Marta spalancò gli occhi, tornando immediatamente alla realtà.

O quasi.

“Quindi Barney ha ucciso Ali? Non posso crederci, non sapevo che si conoscessero…”

Le ci volle qualche secondo perché si rendesse conto che si era trattato solo di un sogno. Cercò a tentoni il cellulare, imprecando quando lo fece cadere a terra; lo afferrò, strofinandosi gli occhi, e tentò di leggere l’ora. L’una? No, era andata a dormire tardissimo, non c’era possibilità che fosse ancora…

Le dieci.

Balzò in piedi, maledicendo se stessa e il compleanno di Teresa, e le cinque birre che si erano bevute prima di tornare a casa, e le chiavi che non giravano nella toppa, e l’essersi buttata sul letto senza neanche togliersi i vestiti. Aveva lezione quel giorno, come le era saltato in mente di assecondare la sua migliore amica?!

“Solo un paio di drink” diceva, ma la faceva facile lei, che la mattina dopo avrebbe potuto dormire fino alle undici e avrebbe comunque avuto il tempo di farsi la piastra, pranzare e arrivare in anticipo all’università!

Scese dal letto e corse verso l’armadio, cercando di fare in fretta per potersi lavare i capelli prima di uscire. Aveva perso la lezione delle nove, ma era ancora in tempo per Letterature portoghese e brasiliana.

«I jeans, i jeans… Possibile che non ci siano un paio di jeans puliti?!»

A malincuore dovette afferrare l’unica gonna che aveva, promettendosi che il giorno successivo sarebbe andata a comprare almeno dieci paia di jeans, e abbinarci la prima maglietta che trovò, nera con la scritta “BAZINGA!” in giallo. Si precipitò sotto la doccia e, dopo vari tentativi di indossare correttamente le calze, in poco più di mezz’ora fu fuori di casa. Fortunatamente il suo palazzo non era molto distante dalla fermata di Eur Palasport – ottima posizione nel periodo del Roma Comics al Palalottomatica, era grata ai suoi genitori per averla scelta inconsapevoli di quello che sarebbe significato per sua figlia ventidue anni dopo – però la metro le sfrecciò avanti mentre lottava con l’abbonamento.

“Che faccio, torno a casa per beccare mio marito con un’altra o aspetto il prossimo treno?”

Sospirò ed estrasse l’Ipod dalla borsa.

Riproduzione casuale.

Sì, i Guns N’ Roses andavano bene.

Resistette due minuti prima di rendersi conto che non andavano bene per niente. Mise in pausa e si sfregò le tempie, cercando di farsi passare il mal di testa causato dalla sera precedente. Non sarebbe dovuta uscire, ma Teresa aveva insistito così tanto, era arrivata perfino a lamentarsi che non passava abbastanza tempo con lei… In parte aveva ragione, dovette ammettere Marta. A causa delle sue passioni le giornate passavano tra l’università, il negozio di fumetti in una traversa di via Ostiense e l’associazione ludica; spesso rientrava a casa presto, ma c’era sempre una nuova puntata di una serie tv ad attenderla, così non aveva potuto difendersi dalle accuse di Teresa.

“A proposito dell’associazione, devo chiamare Stefania. Se non mi muovo, finirà che sarà prima lei a…”

Il suo cellulare squillò.

“Ma una che me ne vada bene?!”

Marta interruppe la sigla di Doctor Who inconsciamente, prima che avesse il tempo di decidere quale scusa rifilare a Stefania.

«Marta?»

La voce brusca di Stefania Danesi giunse chiara al suo orecchio, nonostante Marta si trovasse all’interno della metropolitana. Il destino si stava prendendo gioco di lei.

«Ciao, Ste. Come va?»

Come al solito Stefania saltò i saluti e le domande di rito e passò al motivo della sua telefonata. «Stasera c’è la festa in fumetteria, ricordi?»

«Sì, ma n-»

«Perfetto, temevo che mi dessi buca. Ti passo a prendere alle nove e mezza.»

“Ma non posso, voglio dormire” continuò mentalmente Marta, consapevole che sarebbe stato inutile dirlo a voce alta quando Stefania aveva già chiuso la chiamata. Forse però era meglio così: si sarebbe maledetta anche l’indomani mattina, ma almeno quella sera avrebbe potuto vedere lui.

 

 

Leonardo Sabatino inclinò la testa a sinistra senza alcun risultato, ma quando la spostò a destra le ossa del collo finalmente scrocchiarono. Sua madre gli ripeteva in continuazione che doveva smetterla, che in quel modo avrebbe finito per farsi male; tuttavia, mentre passava in rassegna le uscite di marzo, Leonardo passò a torturarsi le mani.

Posò lo sguardo sul nuovo volume di Beelzebub: la storia cominciava ad annoiarlo, contro ogni aspettativa, ma ormai seguiva la serie e non poteva permettersi di interromperla al tredicesimo volume. Tenendolo stretto tra il braccio e le costole, afferrò un altro manga e lo sfogliò distrattamente, ancora concentrato sulla trama di Beelzebub, e così fu solo dopo diversi secondi che si accorse di tenere in mano il sesto volume di Arrivare a te.

“Roba da femmine!”

Con orrore lo rimise al suo posto, concentrandosi sulle nuove serie. Tiger & Bunny non sembrava male, Leonardo era quasi certo di averne visto anche l’anime; lo stesso non poteva dirsi di GE – Good Ending, un hentai a prima vista. A lui non piacevano, ma era certo che una persona di sua conoscenza non avrebbe esitato a comprarlo.

Sussultò quando si accorse che sugli scaffali era riposto anche il terzo volume di Elfen Lied. Prese anche quello, affondò una mano nelle tasche e contò quanti soldi avesse dietro.

“Troppo pochi.”

Avrebbe dovuto trovarsi un lavoretto se voleva davvero continuare a vivere a Roma e a leggere manga; i suoi genitori gli mandavano i soldi per l’affitto dalle Marche, ma quello che lui aveva messo da parte dopo la laurea stava cominciando a scarseggiare.

Commesso? E di quale negozio? Non faceva per lui, le possibilità di trovare lavoro in una libreria erano piuttosto esigue e non si sarebbe mai visto a vendere vestiti.

“Le calza benissimo. Certo che glielo sto dicendo solo per farla andare via, è il nono che si prova!”

Poteva fare il cameriere. Sarebbe stato perfetto, se solo la sua timidezza non gli impedisse, anche nella sua immaginazione, di prendere le ordinazioni senza balbettare o guardare il pavimento.

Ripetizioni? Non male, poteva sopportare un ragazzino delle medie alla volta. Delle elementari sarebbe stato meglio, però.

Mentre pensava a cosa scrivere su eventuali volantini – “Giovanni mi permetterà di attaccarne uno al negozio?” – una mano passò davanti al suo volto per afferrare GE.

«Lo sapevo, si capiva dalla copertina!»

Accanto a lui un ragazzo alto, con i capelli neri e l’espressione soddisfatta, stava sfogliando voracemente il manga proprio come Leonardo aveva immaginato. Roberto Trani era prevedibile: bastava un hentai o un gioco da tavola e le sue giornate potevano dirsi radiose!

«Ehi, Leo, che si dice?»

Leonardo si strinse nelle spalle e mormorò un: «Tutto bene.»

«Ci sarai stasera, vero?»

Annuì, ma Roberto era ancora troppo preso dal nuovo manga per accorgersene. «Sì.»

«Bene, bene, allora ci vediamo più… Oh-oh-oh, ma che vedo qua?»

Dopo un timido: «Allora ciao» che non venne ricambiato, Leonardo si avvicinò alla cassa, ma una ragazza che prima non aveva notato nel negozio era già intenta a pagare i suoi nuovi acquisti. Gli sembrava una faccia conosciuta; lo sembravano i suoi occhiali e la corporatura massiccia, ma non la maglietta con il logo di Game of Thrones sul prosperoso petto. Se la sarebbe ricordata sicuramente se l’avesse incontrata con indosso quella maglietta.

«Mi hai trovato il numero che ti avevo chiesto?» chiese lei all’uomo dietro la cassa.

Giovanni Nizzi non rispose subito, ma si voltò e cercò negli scomparti alle sue spalle finché non trovò un volume di Neon Genesis Evangelion. «Ecco qua.»

«Grazie» bofonchiò la fan. Estrasse il portafoglio dalla borsa e pagò l’acquisto, salutò il proprietario del negozio con un cenno del capo e uscì sotto il sole incerto di marzo.

Leonardo aspettò che fosse scomparsa dalla sua visuale oltre la porta a vetri, poi posò la sua spesa sul bancone e si rivolse a Giovanni.

«Hai visto questa nuova serie?» esordì, premendo il dito sulla copertina di Tiger & Bunny. «I protagonisti indossano delle tute che li fanno sembrare dei mecha! Sembra forte.»

Giovanni posò gli occhi azzurri sul manga. «Mh. Sì, stavo valutando l’idea di comprarlo. Poi fammi sapere cosa ne pensi.»

«Tanto lo lascio nel mio scomparto, prendo solo Elfen Lied. Leggilo pure!»

«Oh, grazie.»

«Di niente. Senti.» Leonardo abbassò la voce, come se temesse che qualcuno potesse udirli, ma Roberto era assorto nella lettura – come sempre prima di comprare qualcosa preferiva leggerlo e ormai Giovanni non se ne curava più – e non c’erano altri clienti nel negozio. «Chi è la ragazza che è uscita prima?»

Mentre gli dava il resto, Giovanni sollevò un sopracciglio. «Quella che ha comprato Evangelion? Si chiama Stefania, se non sbaglio.»

«Mi sembra di averla già vista.»

«Vieni in fumetteria ogni tanto. Credo che ci sarà alla festa di stasera, l’ho sentita che lo diceva poco fa al telefono.»

Una festa nel negozio di fumetti passata a parlare di Game of Thrones: Leonardo non vedeva l’ora!

«Matteo non c’è oggi?» chiese poi, accorgendosi dell’assenza del socio di Giovanni.

«Attacca il pomeriggio. Ora è a casa, sta preparando la nuova avventura.»

«D’accordo. Salutamelo quando arriva!»

«A stasera!»

Mentre Leonardo apriva la porta a vetri, si chiese se sarebbe stato il caso di indossare la maglietta degli Stark quella sera. Ottima idea per mostrare alla ragazza – come si chiamava? Stefania? – che era disposto a discutere di libri e serie tv, ma non molto saggia, a pensarci bene. E sei lei fosse stata di una fazione avversaria?

 

 

Dopo averlo accartocciato, Matteo Romagnoli lanciò l’ennesimo foglio dietro di sé, mandandolo a fare compagnia a tutte le bozze della sessione di gioco prevista per il martedì successivo. Il pomeriggio sarebbe dovuto correre a lavoro e la sera doveva occuparsi di quella stupida festa, non poteva permettersi nemmeno di rimandare al giorno seguente, dato che il suo turno al negozio di fumetti sarebbe iniziato fin dal mattino; non che potesse farlo pesare a Giovanni, con il motivo che lo avrebbe tenuto lontano da lì… Non lo invidiava di certo.

Si alzò, facendo strusciare la sedia sulle piastrelle di ceramica del pavimento. Doveva rilassarsi e l’unico modo per farlo sarebbe stato preparando il suo spuntino preferito di metà mattina: cioccolata calda e biscotti. Nonostante la luce del sole quel giorno fosse piuttosto insistente, sbattendo contro il vetro della finestra per ricordargli che ormai era primavera, Matteo non avrebbe facilmente rinunciato a quell’abitudine. Ricordava quando, due estati prima, aveva ordinato a un bar sulla spiaggia una cioccolata calda; a sua discolpa poteva dire che fossero le undici di sera, ma non sarebbe bastato a evitare un’occhiataccia da parte della barista.

Aprì la credenza alla ricerca della sua tazza preferita – recante l’immagine del capitano Kirk – e prese una nuova busta di biscotti. Fortunatamente il suo metabolismo gli permetteva di ingozzarsi senza pensare alla linea, altrimenti avrebbe dovuto mettersi a dieta ogni volta che l’ispirazione tardava ad arrivare e lo costringeva a correre dai suoi amati biscotti.

Mentre il latte bolliva, Matteo osservò il proprio riflesso sullo schermo grigio della televisione. Alto, i capelli neri lunghi fino alle spalle, la barba da accorciare, lui non si considerava un granché; credeva che le sue doti risedessero nel gioco di ruolo e di certo non aveva bisogno di essere bello per spaventare i suoi giocatori. Lo specchio improvvisato non gli restituiva il colore castano degli occhi e i capelli celavano il neo sul collo, ma Matteo, dopo trentadue anni, stentava ancora a riconoscere la sua immagine ogni volta che si vedeva un’espressione cupa sul volto.

Amava preparare le avventure, tuttavia da qualche tempo aveva smesso di provare interesse per la campagna che aveva avviato sei mesi prima: due giocatori lo avevano abbandonato, un altro era subentrato al loro posto e ancora non riusciva a capire cosa dovesse fare, i restanti sembravano divertirsi di più a chiacchierare fra loro che a interpretare i propri personaggi. Aveva tentato di scrivere avventure sempre più dense di suspense o di combattimenti, ma – eccetto il nuovo arrivato che tendeva a nascondersi in ogni momento, anche nelle taverne, quando era assai raro che apparissero dei draghi – i suoi giocatori tenevano così poco alle vite dei personaggi da portarsi sempre dietro una scheda di riserva, pronta per essere compilata. Ormai Matteo aveva esaurito le idee o forse era la presenza di ragazzi tanto idioti a fargli passare l’ispirazione.

Mise la tazza con la cioccolata sul tavolo, riflettendo che l’unico motivo per cui non aveva ancora chiuso la campagna era Leonardo, il solo in grado di ruolare senza farlo innervosire.

Accese distrattamente la televisione, cercando di distrarsi. Notizie sul nuovo papa, sul governo italiano – preferì cambiare subito canale invece di arrabbiarsi inutilmente ancora di più – e sulla primavera che si era presentata come tutti gli altri anni, inaspettatamente a giudicare dalle parole della giornalista; finalmente riuscì a trovare una replica di Doctor Who. Si trattava di una delle serie nuove e Matteo stava per tirare un sospiro di sollievo alla vista del nome “Steven Moffat” – apprezzava il suo sadismo – quando, con orrore, si rese conto che le puntate non fossero in lingua originale. Spense immediatamente la televisione, maledicendo Christian Iansante e tutti i doppiatori italiani – e anche se stesso, troppo abituato ai DVD da dimenticare che i canali televisivi passavano le serie doppiate.

Lui odiava, detestava il doppiaggio: non capiva cosa ci fosse di male nel guardare un film con i sottotitoli – possibilmente in inglese, dal momento che anche l’errata traduzione di molti dialoghi lo faceva rabbrividire – invece che ascoltare la voce di un’altra persona. Affondò un biscotto nella cioccolata, tentando di calmarsi; gli dispiaceva perdere le staffe, ma la tensione di quei giorni si stava lentamente accumulando. Era in ritardo per l’avventura, non aveva idee, e in più solo due ore prima aveva ricevuto una cartolina da…

Scosse la testa, costringendosi a non pensarci. Riprese in mano il blocco di fogli bianchi e tentò di scrivere una nuova avventura, partendo da zero. Impossibile: al momento l’ispirazione mancava del tutto. Strappò il foglio, lo appallottolò e lo lanciò oltre la televisione, facendolo finire sugli scatoloni che il pomeriggio avrebbe dovuto portare al negozio. Si accorse di non averne ancora controllato il contenuto.

Seccato, nervoso, privo di idee si alzò di nuovo e si avvicinò al primo scatolone. Tagliò il nastro adesivo con attenzione – a volte i fornitori riempivano le scatole fino all’orlo – ed esaminò il contenuto. Manga, fumetti, DVD… Erano arrivati anche i nuovi manuali di Pathfinder. Li scrutò diffidente, ripensando a quanto lo stessero facendo patire, finché non si accorse di un manuale che non aveva mai visto.

E il suo viso si illuminò.


NOTE

 

Il titolo del capitolo è una citazione di Friends.

 

MARTA

- Le serie tv del sogno sono, in ordine, Doctor Who, Torchwood, Pretty Little Liars e How I met you mother.

- “BAZINGA!”: citazione di The Big Bang Theory.

- “Che faccio, torno a casa per beccare mio marito con un’altra o aspetto il prossimo treno?”: riferimento al film Sliding Doors.

 

LEONARDO

- manga: fumetti giapponesi.

- anime: “cartoni animati” giapponesi.

- hentai: opere a sfondo pornografico.

- mecha: robot pilotati dalle dimensioni mastodontiche.

- Stark: famiglia residente a Winterfell (Grande Inverno) nella serie Game of Thrones/A Song of Ice and Fire.

 

MATTEO

- Capitano Kirk: personaggio di Star Trek.

- ruolare: giocare di ruolo.

- Christian Iansante: doppiatore italiano di David Tennant nella serie Doctor Who.

- Pathfinder: gioco di ruolo fantasy



SPAZIO AUTRICE

 

Ringrazio tutti coloro che sono arrivati a leggere fin qua!

Avevo già scritto una long originale, ma si trattava di personaggi collaudati con precedenti racconti, mentre ora sto partendo “da zero”. Vi piaceranno i protagonisti di questa storia? Chi più, chi meno, spero vi invoglino ad andare avanti :)

Sono consapevole della difficoltà che possano sorgere nella lettura, trovandosi davanti a nomi e parole mai sentite, però durante la mia “carriera” di fanwriter (e lettrice) ho notato che inserire particolari di questo genere aiuta a rendere la storia realistica. Spero quindi che seguiate la storia, anche aiutandovi per alcuni termini/citazioni con le note in fondo ai capitoli ;) (dubito che, per quanto riguarda la terminologia, troverete tante note in seguito)

Ancora grazie per avere letto questo primo capitolo. Non nego che mi farebbe piacere una recensione (di ogni tipo) con cui possa capire i punti forti e quelli deboli di questa storia :)

Ci vediamo al prossimo capitolo, ambientato durante la festa: incontrerete i POV degli altri tre protagonisti!

 

Medusa


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Capitolo 2
*** Non battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono veloci, più veloci di quanto tu possa credere ***


Non battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono veloci, più veloci di quanto tu possa credere





Stefania tamburellava sul volante della sua Panda rossa quando Marta si chiuse la porta del condominio alle spalle, scivolò sull’asfalto bagnato e si aggrappò alla ringhiera che recintava l’edificio. Sollevando un sopracciglio, Stefania constatò che la sua amica aveva deciso di indossare i jeans anche quella sera. Non aveva delle belle gambe? E allora perché si ostinava a nasconderle, soprattutto quando aveva l’opportunità di sfoggiarle in presenza del “suo amato”?

A Stefania non piacevano le ragazze magre. Le sentiva lamentarsi, nella metro o all’università, di quanto dovessero stare attente al cibo, dei trecento grammi che dovevano perdere e della taglia 38 che non potevano portare; parlavano di diete e di palestra, senza nemmeno sapere cosa significasse essere grasse. E non avere il coraggio di indossare una gonna.

«Scusa il ritardo, ero al telefono con Teresa!» esordì Marta, fiondandosi nell’auto e sbattendo la portiera prima che la pioggia potesse inzupparla ulteriormente.

«Chi?»

«Bassa, capelli ricci, piercing al naso…»

«Ah, ho capito.»

«Voleva sapere cos’avesse combinato stanotte. Sai, era il suo compleanno, siamo andate a bere…»

Stefania non ascoltava; preferiva non farlo, perché era di cattivo umore e di conseguenza aveva da ridire su quasi ogni singola parola.

Ma certo, Teresa aveva sempre la priorità.

Tipico delle ragazze senza cervello bere in continuazione, cercando qualsiasi pretesto per farlo.

Forse, in preda all’alcol, si era scopata il dj della discoteca. Un tipo muscoloso, pieno di tatuaggi e con il suo stesso quoziente intellettivo. Quelle come lei – con un bel fisico e una terza perennemente in bella mostra – bevevano sempre per fingersi disinvolte e poterci provare con chiunque.

Stefania era diversa. Le ragazze grasse non bevevano, lo facevano gli altri per non dover ricordare di esserci stati a letto.

Deglutì e si fermò al semaforo, cercando di spannare i finestrini. Non voleva pensarci.

«… e il fratello di una sua collega ci ha riaccompagnate a case» concluse Marta. «Ha portato prima me e poi lei, ma dubito che abbia allungato le mani: è fidanzato con un compagno del liceo da cinque anni!»

«Perché non ti sei vestita carina?» le chiese Stefania con una nota di disapprovazione nella voce.

Nell’auto calò il silenzio. Marta aveva abbassato lo sguardo, pensierosa; Stefania sapeva che stava cercando un modo per evitare l’ennesimo “Odio le gonne”, ma si era stufata di quella risposta.

«Lui ci sarà di sicuro, no?» continuò. «Secondo me dovresti metterti qualcosa di più femminile, così finalmente ti noterà.» Solo quando chiuse la bocca si accorse di quanto dovesse sembrare bastardo quel “finalmente”.

«Non credo gli interessi l’aspetto fisico» si limitò a rispondere Marta, evidentemente abituata all’antipatica schiettezza dell’amica.

“Fidati, a chiunque interessa solo quello.”

Stefania si morse la lingua e si concentrò sul parcheggio: era difficile trovarlo a Roma, lo era ancor di più nei pressi della stazione Ostiense. C’erano perfino delle auto con almeno due ruote sopra i marciapiedi; lei, senza farsi problemi, le imitò. Mentre si avviava verso il negozio di fumetti seguita da Marta, si chiese se alla festa ci sarebbe stato lo zucchero filato; si diede immediatamente della stupida, rendendosi conto di quanto fosse improbabile trovarlo, in mezzo a manga e manuali di giochi di ruolo.

Immancabilmente, come da copione, Marta bussò tre volte alla porta, ripetendo il nome di Giovanni. Stefania incrociò le braccia davanti al prosperoso petto e sbuffò, voltandosi per nascondere una smorfia divertita.

Ad aprirle, però, fu qualcun altro.

«Ehi, Marta!» esclamò Matteo, raggiante. Si fece indietro per lasciarla passare. «Come stai? Ah, Stefania, non ti avevo vista!»

“Certo, come se fosse possibile.”

«Scusa il ritardo, spero sia rimasto qualcosa da mangiare» disse Marta, sorridendo e inclinando la testa a destra, per poi scuoterla e tornare a guardare Matteo, le guance leggermente arrossate.

Stefania sospirò e li oltrepassò, diretta verso il bancone per salutare Giovanni con un cenno del capo. Lo aveva visto solo alcune volte – lo incrociava soprattutto all’associazione ludica – e gli rivolgeva la parola esclusivamente al momento di pagare i suoi acquisti, ma non voleva essere maleducata. Il proprietario della Collina del Vecchio Mangaka rispose con un sorriso di circostanza, poi tornò a riempire il contenitore verde delle patatine.

Non erano in molti a conoscere Stefania da quelle parti: i compagni di Pathfinder erano più piccoli di lei – ventunenne – e andavano tutti al liceo, per cui quella sera erano probabilmente stati costretti dai genitori a restare a casa, visto che già il giorno successivo sarebbero rientrati tardi; quando lei si era iscritta all’associazione ludica, quel gruppo era stato l’unico a disporre di un posto ancora libero, così aveva dovuto accontentarsi. Matteo masterizzava nella stanza accanto il martedì sera e le era capitato di parlarci, ma l’unica vera persona che potesse considerare un’amica era Marta, la ragazza dai corti capelli rosso fuoco – un tempo castani – e con la mania dei telefilm che aveva condiviso con Stefania il primo gioco di ruolo, tre anni prima: il cugino di Marta si divertiva a fare il game master, prima di doversi trasferire per lavoro in Piemonte, così aveva invitato lei, alcuni amici e la vicina di casa – Stefania – a provare la quarta edizione di D&D. Era stata una bella esperienza per la timida liceale che a quei tempi sfiorava i novanta chili, ma preferiva non ricordarla, perché altrimenti avrebbe dovuto ammettere che quel bel periodo si fosse concluso prima ancora della partenza del game master. E tutto perché si era stupidamente illusa.

“Cosa diceva il Dottore? ‘Non battere ciglio’ Non esitare nemmeno un istante, non credere che qualcuno possa notarti. Vogliono solo prenderti in giro. Non illuderti. ‘Fallo e sei morta.’”

Scorse una fila di sedie vuote e si sedette. Voleva andare alla festa per vincere la sua diffidenza per il genere umano, ma la lite che aveva avuto a cena con i genitori le aveva spento ogni speranza. Si guardò intorno alla ricerca di Marta e la vide intenta a spiare ogni movimento di Matteo; si sarebbe volentieri avvicinata, ma la sua amica era troppo prossima al tavolo dei dolci e Stefania non poteva permettersi di sgarrare la dieta.

Con la coda dell’occhio notò due ragazzi chiacchierare fittamente, lanciando di tanto in tanto un’occhiata nella sua direzione. Uno di loro era alto, moro e apparentemente pronto a esibire in ogni momento il suo sorriso smagliante. L’altro era più piccolo e gracile, ma aveva gli stessi capelli neri; indossava una maglietta della HBO con lo stemma degli Stark. In un altro momento forse Stefania avrebbe apprezzato un fan del Trono di Spade, seppure tifasse per quegli inetti degli Stark, ma era troppo arrabbiata per contenere il suo disprezzo.

Soprattutto quando l’aspirante “Re del Nord” lasciò la sua postazione e si avvicinò a lei, mentre il suo compagno ridacchiava divertito, Stefania trovò la sua presenza altamente irritante ancor prima che prima che aprisse bocca.

«Ciao!» esclamò pimpante, prima di rivolgere una fugace occhiata all’amico, alla ricerca di approvazione.

Sta’ tranquillo, Rickon Stark, hai cominciato nel modo migliore il perfetto finto abbordaggio.

Stefania non rispose, si limitò a sollevare un sopracciglio, attendendo che il ragazzo parlasse di nuovo.

«Mi chiamo Leonardo. Ti ho… ti ho vista oggi al negozio» esordì, fissandosi le scarpe. Oh, perfetto, non aveva nemmeno il coraggio di guardare in faccia la sua vittima! «Avevi… beh, indossavi una bella maglietta.»

Che si stringeva sulle tue enormi e spaventose tette!

Stefania impedì che continuasse. «Non so che razza di scommessa abbiate fatto, ma andate a trovare qualcun altro da prendere per il culo!»

Leonardo sembrava spiazzato, alla disperata ricerca di una scusa che potesse impedirgli di apparire come un ragazzino in cerca di uno stupido divertimento – proprio quello che era, agli occhi di Stefania.

«No, aspetta, non volevo… Tu… Ecco, Game of Thrones…»

«Ah, perfetto!» Stefania scattò in piedi, il volto paffuto completamente rosso. Pregò che gli occhiali impedissero a Leonardo di vedere i suoi occhi verdi diventare lucidi. «Avevate già organizzato tutto, eh? Hai perfino perso tempo a cercare una maglietta adatta! Va’ al diavolo!»

Senza aggiungere altro o ascoltare ulteriori tentativi di scuse, si allontanò verso il bagno, incapace di rimanere insieme ad altri esseri umani per un secondo di più.

 

 

Roberto non capiva proprio perché Leonardo ci fosse rimasto tanto male, dopo che quell’evidente misantropa l’aveva aggredito. D’accordo, avrebbe voluto passare la serata a chiacchierare di Stark, Lannister e quell’altra casata coi draghi – nomi impronunciabili – ma non sarebbe andata così. E allora? Perché prendersela per la reazione esageratamente isterica di una sconosciuta?

«Dai, Leo, che ti frega?» disse per l’ennesima volta, mentre a braccia conserte osservava alcuni diciottenni giocare a Munchkin.

Giovanni amava quel gioco, ma si limitava a osservare gli invitati dietro le spalle di un agitato nuovo arrivato, consapevole che avrebbe battuto quegli inesperti giocatori al terzo giro; Roberto, che aveva già fatto la sua parte e bramava il momento in cui il tavolo sarebbe rimasto libero per permettergli di sconfiggere Giovanni e Matteo, era stanco di ascoltare i lamenti di Leonardo.

«Ma non capisco cosa sia successo! Un attimo prima mi ascoltava in silenzio, quello dopo mi urla addosso… Cosa le ho detto?»

«È solo una pazza, lasciala perdere. Tieni.» Estrasse un hentai a caso dallo scaffale e glielo lanciò. «Leggiti questo, non è male. Almeno penserai ad altro per un po’.»

Leonardo scosse la testa e fece segno di volerlo mettere a posto. «No, grazie, non è il mio genere.»

«Impossibile, è il genere di tutti.»

Lo lasciò lì, tra gli scaffali colmi di manga e il tavolo su cui stavano giocando a Munchkin, e si allontanò. Guardandosi intorno, Roberto si chiese perché fosse venuto alla festa: gli piacevano i giochi da tavolo – li venerava – e avrebbe volentieri speso quella serata a vincerne quanti più possibili, ma battersi con dei ragazzini alle prime armi non faceva per lui. E mentre attendeva che loro si stancassero cosa poteva fare? Non sapeva di cosa parlare: avrebbe volentieri sostenuto una conversazione sugli ultimi giochi che aveva provato, ma quanto sarebbe durata?

“Ehi, bello 7 Wonders, è veloce e divertente. E adesso di che si parla?”

Roberto non era in grado di definirsi: odiava il calcio e le discoteche, non andava all’università né avrebbe mai voluto iscriversi, passava le giornate ad ascoltare i Queen e, infine, si costringeva a seguire alcune serie tv pur di avere qualcosa di cui parlare. Tra imparare i nomi dei giocatori della Roma e gli interpreti di tutti gli undici Dottori, preferiva di gran lunga la seconda opzione. Aveva guardato qualche puntata di Supernatural, ma l’aveva ben presto giudicata una “schifezza”; gli avevano consigliato Pretty Little Liars – «Non è solo roba per ragazze!» - e dopo qualche puntata presa qua e là aveva decretato che sì, era solo roba per ragazze. Torchwood era passabile, The Big Bang Theory insopportabile – ma doveva pur seguirla, tutti la seguivano- e Glee tutto canzoni e niente azione. Gli piaceva Game of Thrones, ma non sarebbe mai stato capace di intavolarci una conversazione: non ricordava quasi alcun nome, a lui interessavano solo le belle forme di Sibel Kekilli – che certamente non aveva conosciuto come Shae – e il sangue che sgorgava in continuazione. Si vergognava un po’ ad ammetterlo, ma forse l’unica serie tv di cui avesse guardato ogni puntata era Squadra Speciale Cobra 11. Non lo avrebbe mai detto a nessuno.

Guardava qualche anime di tanto in tanto, ma erano per lo più shonen che amava fin dall’infanzia e che cercava in streaming quando si annoiava. Purtroppo la noia, però, era sempre più frequente: doveva fare qualcosa per combatterla, invece che fingersi appassionato di manga e serie tv solo per cercare il consenso dei “nerd” dell’associazione ludica. Si stava perfino stufando di vincere ogni gioco da tavola che si trovava davanti! Forse poteva iniziare a mandare sms firmandosi A. Di sicuro si sarebbe divertito per un po’, ma non conosceva i segreti di nessuno.

Si avvicinò al tavolo dei dolci, senza accorgersi che la misantropa che aveva spaventato Leonardo fosse proprio lì, intenta a mettersi nel piatto due fette di ciambellone; aveva un’espressione scura sul volto, sembrava che si stesse biasimando. Forse Roberto poteva far qualcosa per vincere la noia, almeno quella sera.

«Se proprio devi farti del male, evita quel ciambellone. L’ha fatto Giovanni, non sa proprio cucinare.»

La ragazza si voltò e lo fulminò con lo sguardo. Roberto si aspettava che scappasse, ma non lo fece.

«Io sono Roberto.»

«Chissenefrega» replicò lei, dandogli le spalle e servendosi una manciata di salatini.

«Il piacere è mio, miss Chissenefrega.»

«Battuta scontata.»

«Come il tuo atteggiamento da stronza.» Roberto si strinse nelle spalle e le mise nel piatto una fetta di torta di mele. «Questa è buona, allevierà i tuoi sensi di colpa.»

«Per essere una stronza?» La ragazza si riprese dall’iniziale sconcerto nel sentirsi rivolgere quell’accusa e finse – com’era evidente che fingesse! – che non le avesse dato fastidio, esibendo un sorriso tirato.

«No, perché sei andata contro la dieta mangiando roba che fa schifo.»

«Chi ti dice che sono a dieta?»

«Oh, se non lo sei, dovresti.»

Ancora una volta, lei restò spiazzata, così Roberto ne approfittò per continuare.

«Il mio amico c’è rimasto male, perché l’hai trattato così?»

«Voleva prendersi gioco di me.»

«Ma figurati, lui…»

«Ah, Stefy, eccoti!»

Fu interrotto dall’arrivo di una ragazza, che si interpose fra lui e la misantropa. Capelli corti e mossi, unghie mangiucchiate, tre orecchini e immancabile paio di jeans, Marta non diede segno di averlo visto, troppo impegnata a sbavare dietro a Matteo. Tutti lo avevano notato, ma sembrava che il diretto interessato, come al solito, fosse l’unico a non essersene accorto.

«Ciao, Marta» la salutò, facendola voltare. «Stavo facendo la conoscenza della tua amica, ma si ostina a non dirmi il suo nome.»

«Un motivo ci sarà» ridacchiò Marta, afferrando la mano dell’amica e costringendola a stringere quella di Roberto. «Roberto, lei è Stefania. Stefania, Roberto.»

«Incantato» scherzò lui, ammiccando a Stefania. «Come mai la cercavi? Stavo godendo della sua ottima compagnia…»

Stefania lo fulminò ancora una volta.

«Matteo aveva una cosa da dirci» rispose Marta, emozionata. «Ho pensato che a Stefania potesse interessare…»

«Non mi interessa.»

«Che ne sai? Secondo me la sua è un’ottima idea.»

«Certo, le sue sono sempre ottime idee!»

“O-oh, sarebbe bello scrivere una femslash su di loro! Stefania gelosa dell’amore che Marta prova per Matteo… Uhm, però non verrebbe una storia molto originale, dovrei aggiungere altre complicazioni.”

Quella era davvero una cosa che Roberto non avrebbe mai e poi mai detto a nessuno: scriveva racconti su un sito. Aveva anche un discreto successo, ma alcuni lettori gli avevano consigliato di allontanarsi dal rating rosso e dal PWP almeno per una volta. Lui stava riflettendo sulle possibili trame, ma non ne aveva trovata ancora una soddisfacente.

“Potrei fare come in quel manga, Otomen: basarmi su persone realmente esistenti e scrivere una long di successo… Credevo che Viola mi avesse fatto leggere una schifezza, ma forse quell’unico volume che ho comprato potrebbe darmi l’idea giusta…”

Ma lui non era abile nelle femslash. Poteva concentrarsi su Marta e Matteo, ma la loro storia era così noiosa… Una ragazza si prende una cotta che non verrà mai ricambiata, che novità!

«Allora?»

Roberto si riscosse dai propri pensieri. Gli occhi castani di Marta lo scrutavano indagatori, in attesa di una risposta. Stefania era sparita.

«Scusa, ero sovrappensiero.»

«Ti va di ascoltare quello che ha da dire Matteo? Stefy ha detto che preferisce prendere una boccata d’aria, magari le riferisco tutto dopo…»

«Ma sì, dai!»

Marta era carina, rifletté Roberto mentre si avvicinavano a Matteo, assorto in una fitta conversazione con Leonardo e Giovanni. Non era altissima – e questo era un punto a suo favore: gli uomini spesso sono spaventati dalle ragazze con qualche centimetro più di loro – e i capelli rossi le stavano molto bene; probabilmente sarebbe risultata un po’ anonima senza tinta e fuori da quel contesto, doveva sembrare una ragazza come tante all’università, ma nel negozio di fumetti spuntava su tutti con la felpa di Doctor Who e la collana con il simbolo dei Doni della Morte. Poteva essere un soggetto interessante per una storia.

«… e quindi avevo pensato… Ah, Marta, sei tornata!»

Matteo era visibilmente eccitato alla prospettiva di esporre la sua idea. Leonardo non chiese niente a Roberto riguardo a Stefania, quindi non doveva averli visti parlare.

«Stavo dicendo agli altri che i giocatori del martedì sera mi hanno stancato,» proseguì Matteo, gesticolando, «ma mi dispiaceva chiudere l’avventura perché so quanto a Leo stia a cuore. Oggi pomeriggio, però, ho scoperto un nuovo manuale di Pathfinder: ne avevamo già un po’ in negozio, ci ho fatto caso solo ora.» Estrasse qualcosa che aveva riposto sotto il bancone, mostrandolo ai presenti.

«Rise of the Runelords» lesse Roberto. «Quindi stai riunendo un po’ di gente per giocare una nuova campagna?»

«Io ci sto!» si mostrò immediatamente disponibile Marta, alzando la mano. Il cellulare le squillò e fu costretta a ritrarla per leggere il messaggio.

«Anch’io» disse Leonardo. «Tu che ne pensi, Gio?»

Giovanni alzò le spalle. «Non lo so, sono un po’ impegnato in questo periodo… Vi farò sapere.»

«A me va bene» concluse Roberto.

Matteo era euforico, stringeva il manuale al petto come se fosse una sua creazione. «Vi va di cominciare questo venerdì? Ho già letto gran parte dell’avventura.»

Annuirono tutti, tranne Marta, concentrata sul cellulare.

«Marta? Tutto bene?»

«Per niente: Stefania se n’è andata, dice che si stava annoiando.» Alzò lo sguardo, accigliata. «Non so come tornare a casa.»

«Posso accompagnarti io» propose Matteo. «Devi aspettare che finisca la festa, però. Dovrò aiutare a mettere a posto…»

Marta stava già per sorridergli al settimo cielo, quando Roberto fu colto dall’ispirazione.

«Posso pensarci io. Abitiamo vicino, no?»

Il sorriso di Marta si spense, accompagnato dalle parole di Matteo: «Forse è meglio, credo finiremo molto tardi e se non mi sbaglio domattina hai l’università.»

Marta sembrava combattuta tra la delusione e la felice scoperta che Matteo conoscesse almeno un po’ i suoi orari. Si voltò verso Roberto. «Grazie mille, allora verrò con te.»

Lui sorrise e le ammiccò. «Figurati, è un piacere.»

 

 

«Ci vediamo domani!»

Matteo chiuse la porta a vetri della Collina del Vecchio Mangaka, facendo suonare i campanelli appesi al suo interno. Era stata una sua idea: se entrambi i proprietari, in quel momento, fossero stati nella stanza sul retro, sarebbero stati avvisati dai campanelli dell’ingresso di un cliente; peccato che, ogni volta, non si dessero nemmeno la pena di andare a controllare.

Mentre inseriva l’allarme nel negozio e usciva nella strada illuminata dai lampioni e dalla luna, trasportando i rifiuti di quella sera, Giovanni si chiese se lui e Matteo non fossero troppo ingenui: chiunque, in loro assenza, avrebbe potuto rubare qualche manga o perfino un costosissimo manuale di Vampire: The Masquerade, però i proprietari del Vecchio Mangaka sembravano confidare così tanto nel prossimo – o perlomeno nei loro clienti – da non temere furti. Finora, inoltre, non erano ancora stati messi alla prova.

Casa sua non era distante dal negozio, così Giovanni si era offerto di chiudere, lasciando andare Matteo via prima – era talmente emozionato che il suo collega intuì che desiderava tornare a casa al più presto per finire di leggere il manuale. Da quanto tempo Giovanni non si emozionava come lui? Non si sarebbe fatto una domanda del genere il giorno prima, ma la mattina seguente sarebbe dovuto andare dall’avvocato. E avrebbe rivisto Caterina…

Girò la chiave nella toppa dell’appartamento, entrò e appoggiò il mazzo di chiavi sul mobiletto dell’ingresso. Rivedere quel posto così familiare, senza sentire la risata di Cate, gli mozzò il fiato in gola.

«Passeremo qui il resto della vita! Ci pensi? Abbiamo risparmiato fin dal liceo, ma ne è valsa la pena.»

Nel buio fu attratto da una luce. Proveniva dalla cucina, sembrava che in casa ci fosse qualcuno…

Fu colto da un moto improvviso di sollievo, ma quando raggiunse la stanza scoprì che non c’era nessuno. Solo la televisione, che probabilmente lui stesso aveva lasciato accesa quando era uscito di casa. Il volume era basso, un’abitudine che Giovanni non aveva ancora rimosso. Amava restare alzato fino a tardi, ma Cate la sera era talmente stremata dal lavoro da bramare solo il letto, così lui sceglieva un DVD dalla pila dei suoi anime e lo inseriva nel lettore, per gustarselo anche con il volume al minimo, in modo da non disturbare la moglie. Durante i primi tempi la raggiungeva al letto dopo solo un’ora, baciandole la fronte e aspettando che lei si adagiasse sul suo petto, rassicurata dalla sua presenza, ma con il tempo Giovanni si era accorto di preferire stare davanti alla televisione piuttosto che entrare nella loro camera quanto prima.

Sollievo. Già, era proprio quello che aveva provato all’idea che Cate fosse tornata a casa, non felicità: un patetico senso di sollievo per non dovere alzarsi alle otto, controllare i documenti e recarsi nell’ufficio del suo avvocato, dove ci sarebbero stati anche la moglie e il suo legale. Non avrebbe dovuto farsi la barba né scegliere un vestito adatto all’occasione, ma soprattutto udire ancora le parole taglienti di Caterina, mentre dondolava ritmicamente la gamba nascosta da una sottile calza.

«Voglio la casa. Può tenersi il resto, ma l’appartamento è mio.»

Chiunque avrebbe pensato che fosse una buona richiesta: Giovanni avrebbe tenuto l’auto, l’impianto stereo e le due televisioni; tuttavia tornare nella casa dei genitori a trentacinque anni era impensabile, inoltre sapeva che il motivo per cui Cate desiderava quell’appartamento era solo sottolineare quanto fossero gravi i loro problemi. Tanto da rinunciare al sogno che avevano coltivato fin da sedicenni.

C’era una loro foto sopra la televisione accesa, risaliva al loro matrimonio. Cate indossava un abito bianco che si allargava sul ventre, dove spuntata la causa delle loro nozze frettolose – sebbene già stessero insieme da dieci anni. I capelli biondi, più chiari di quelli del marito, erano legati in una crocchia stretta sopra la testa, solo due ciuffi ricadevano ai lati degli occhi dorati. A quel tempo Giovanni non indossava ancora gli occhiali, così le sue pupille azzurre non erano nascoste dalle lenti. Entrambi gli sposi sorridevano, felici come non lo erano mai stati.

Ci avevano provato. Dopo che i sentimenti erano appassiti, dopo che Cate era tornata a casa in lacrime, confessandogli di averlo tradito, avevano provato ad andare avanti; anche durante la separazione si erano frequentati, erano stati a letto insieme, ci avevano provato. Ma Giovanni aveva capito che era inutile fin dal momento in cui la notizia del tradimento non lo aveva ferito come avrebbe dovuto.

Avrebbe soltanto desiderato che la fine della loro storia non avesse messo in mezzo avvocati e famiglie incredule. Avrebbe voluto che fosse come al liceo, quando lui e Cate si erano lasciati per due mesi e avevano semplicemente smesso di cercarsi a ricreazione – finché i loro migliori amici non si erano messi in mezzo per farli riappacificare.

Spense la televisione e andò all’armadio per prendere una coperta: quella notte avrebbe dormito sul divano, faceva già troppo male per tornare in quel letto vuoto.



NOTE

 

Il titolo è una citazione di Doctor Who.

 

STEFANIA

- “Marta bussò tre volte alla porta, ripetendo il nome di Giovanni”: riferimento a The Big Bang Theory.

- La Collina del Vecchio Mangaka: in un’avventura che sto giocando, esiste la locanda “La Collina del Vecchio Pirata”; “mangaka” è il termine con cui si designano gli autori di manga.

- game master: colui che guida l’avventura.

- HBO: canale su cui viene trasmesso Game of Thrones.

- Rickon Stark: il più piccolo figlio degli Stark, purtroppo ormai noto come “quello che non si fila nessuno”.

 

ROBERTO

- “Forse poteva iniziare a mandare sms firmandosi A”: riferimento a Pretty Little Liars

- femslash: storia d’amore tra due donne

- PWP: Plot? What Plot?

Ho inserito anche le note riguardanti le fanfictions, non si sa mai!




SPAZIO AUTRICE

 

Un abbraccio a tutti! Sì, vi stritolo, perché sto cercando di impegnarmi con questa long e mi fa piacere che venga letta ^^ Se potete, lasciate una recensione, giusto per darmi un segno del vostro passaggio e dirmi cosa funziona e cosa non funziona, sennò non importa :D

Ringrazio tutte coloro che hanno messo la storia nelle preferite/seguite e che hanno recensito; un grazie particolare va a Dark Aeris, che mi sta aiutando a cercare gli errori di distrazione e a sistemare qualche frase che non suona bene!

Secondo capitolo, introduzione degli altri tre protagonisti. Mi dispiace che sia stato un capitolo un po’ “pesante” (a eccezione della parte su Roberto, ho parlato di una ragazza “soffocata” dalla consapevolezza del proprio peso e di un uomo alle prese con una separazione), però ho dovuto farlo perché non tutti i protagonisti sono “allegri, pimpanti e sempre pronti a ridere”. Andando avanti, però (e già dal prossimo capitolo), le interazioni fra loro faranno sì che la long assuma sempre più l’aspetto di una commedia – anche se momenti “bui” capiteranno necessariamente (Giovanni dovrà pur sempre separarsi dalla moglie, sigh).

Ci vediamo al prossimo capitolo e grazie per ogni segno del vostro passaggio che lascerete (anche se sarà solo un numero nelle visualizzazioni della storia)!

 

Medusa

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Capitolo 3
*** Dobbiamo ampliare la nostra cerchia di conoscenze ***


Dobbiamo ampliare la nostra cerchia di conoscenze




Lasciare una campagna era sempre stato difficile per Leonardo – che non era mai riuscito a terminarne una, a causa degli impegni che gli altri partecipanti usavano come scuse – però, per la prima volta in otto anni, non gli dispiacque la notizia che il gruppo del martedì sera si sarebbe sciolto. Se non importava a lui, figurarsi ai suoi compagni, che nel gruppo Facebook risposero al lungo avviso di Matteo sulle motivazioni che avevano portato alla fine della campagna con un semplice e sbrigativo: “Meglio, stasera avevo una partita di calcetto. Qualcuno di voi vuole venire?”

Il Matteo che Leonardo conosceva si sarebbe arrabbiato ed era così che credeva di trovarlo ancora, quando arrivò alla sede dell’associazione ludica, ma inaspettatamente il suo game master era raggiante, tanto entusiasta per l’inizio della nuova avventura da avere perdonato in soli tre giorni l’indifferenza dei giocatori precedenti.

«Ciao» lo salutò non appena ebbe varcato la soglia: com’era prevedibile, lui e Matteo erano stati i primi ad arrivare.

«Ehi, Leo!»

Una pacca sulla spalla – così poco da Matteo – e il continuo gesticolare del game master fecero capire a Leonardo che probabilmente l’indifferenza totale riguardo la chiusura della campagna non lo aveva neppure sfiorato. Lo vide chino su alcune schede, poi gliene passò una.

«Vi ho chiesto di venire presto così possiamo cominciare subito a giocare, dopo aver preparato le schede» gli disse. «Sai già che personaggio interpretare?»

Era una domanda retorica. Leonardo sorrise e afferrò il foglio, la matita già pronta in mano.

Elfo mago, scrisse immediatamente.

In molti gli avevano fatto notare che giocare lo stesso personaggio lo faceva apparire un power-player, ma a Leonardo non interessava: gli elfi erano potenti e serviva sempre un mago in una compagnia di avventurieri. E anche un barbaro, ma lui sperava che ci avrebbe pensato qualcun altro.

A Leonardo piaceva tenersi al sicuro, lontano dalla mischia, lanciando magie e creando elementali; inoltre giocare da anni la stessa classe gli aveva fatto apprendere ormai ogni singolo incantesimo, evitandogli di consultare in continuazione il suo manuale, che comunque portava sempre con sé.

«Come pensi di chiamarlo?» gli chiese Matteo, dopo che Leonardo ebbe distribuito i punti. Il 20 in Intelligenza troneggiava sulle altre caratteristiche, soprattutto sul 9 in Forza.

«Jerle.»

«Shannara?»

«Esattamente.»

«Voli basso come al solito!»

A parlare era stato Roberto, apparso sulla soglia della stanza con il consueto sorriso beffardo sul volto. Un paio di occhiali da sole celava i suoi occhi verdi.

«Sono le otto e mezza, come puoi andare in giro così?»

Roberto si tolse gli occhiali e ammiccò a Leonardo. «Sono stato in giro tutto il giorno, perdonami.»

«Il tempo non è stato tanto bello da indossare gli occhiali da sole.»

«E avrei dovuto mostrare i miei occhi? Impossibile, non sarei riuscito a venire stasera, contornato da ragazze adulanti.»

Leonardo non riusciva a capire se Roberto gli piacesse o meno. Di certo non era un ragazzo comune, riusciva anche a essere simpatico e la sera della festa lo aveva incoraggiato ad avvicinarsi alla pazza, però gli bastava davvero poco per rendersi insopportabile ai suoi occhi: quell’atteggiamento di uomo di mondo era tanto prevedibile in un bel ragazzo di venticinque anni da ricordare a Leonardo le enormi differenze tra di loro.

«Elfo mago, non mi dire!» esclamò Roberto, scrutando oltre le sue spalle.

«Preferirei che non facciate tutti gli elfi,» disse Matteo, porgendo una scheda anche a lui, «l’ambientazione richiede soprattutto umani.»

«D’accordo, farò l’umano» si arrese Roberto. «Non che avessi intenzione di crearmi un elfo, non è proprio il mio genere. Ed è effemminato

«Non è vero» protestò Leonardo.

«E allora perché saresti arrossito?»

No, Roberto non riusciva proprio a piacergli del tutto.

«Uhm, vediamo… Un personaggio alla ricerca di gloria e onori… Paladino? Naaa, non mi piace fare il Legale Buono, preferisco un allineamento Neutrale… Ma sì, mi faccio un guerriero!»

«Ci serve un barbaro.»

Leonardo aveva sperato che fosse lui a farlo. Non sapeva in quanti sarebbero stati, ma era essenziale avere un barbaro nel gruppo – oltre a un chierico pronto a curare le ferite e a un ladro per disattivare le trappole e scassinare le serrature. I guerrieri potevano attendere, anche se forti.

«Ce l’abbiamo, un barbaro.» Roberto gli rivolse un sorriso compiaciuto, che Leonardo non riuscì a comprendere.

«A chi ti riferisci? Marta

«Marta fa il ladro» si inserì nella conversazione Matteo.

«Giovanni?»

«Non verrà.»

«E chi…?»

«Uh,» lo interruppe Roberto, «ecco la risposta che cammina soavemente verso di noi.»

Leonardo si voltò e fu costretto a sgranare gli occhi. Davanti a lui, nel cortile che precedeva l’ingresso all’associazione, Marta si avvicinava a passo svelto, reggendo una borsa a tracolla di Star Trek che minacciava di scivolarle dalla spalla; salutò i suoi futuri compagni d’avventura, ma Leonardo era concentrato sulla ragazza dietro di lei, che sembrava non averlo ancora visto. Roberto gli diede una gomitata nello stomaco.

«Marta! Come stai?» Si mosse subito verso la ragazza e l’abbracciò. Leonardo notò che quel gesto fu inaspettato per lei.

«Bene, grazie. Ciao, ragazzi! Ho portato un’amica, alcuni di voi la conoscono già.»

Fu a quel punto che Stefania si accorse della presenza di Leonardo. Probabilmente si sarebbe limitata a fulminarlo con lo sguardo – come se lui avesse qualche colpa, era stato lei ad aggredirlo! – ma il ragazzo si lasciò fuggire un: «Tu!»

«Rettifico: tutti.»

«Che cavolo ci fai qui?» gli chiese Stefania, invece di salutarlo.

«Ecco il barbaro che cercavi» disse Roberto. «Ehi, bellezza, come stai?»

Ma Leonardo, ferito nell’orgoglio per quel tentativo di approccio che gli era costato così tanto, parlò sopra di lui.

«Questa è la mia associazione ludica» rispose, tenendo il mento alzato nella speranza di sembrare più alto.

«L’hai fondata tu?»

Quella domanda lo colse di sorpresa. «Beh, no… ma…»

«Allora non è tua.» Senza aggiungere altro, Stefania si sedette e afferrò una scheda vuota.

«Ehm… Qualcuno ha bisogno di aiuto?» chiese Matteo, nel disperato ed evidente tentativo di placare gli animi e mantenere l’euforia della nuova campagna.

«Sì,» si fece immediatamente avanti Marta, «ho provato a fare la scheda da sola, ma non sono sicura di…»

«Ti aiuto io» la interruppe Roberto.

«Ah… Va bene, grazie.»

Leonardo si tolse il giacchetto e lo posò sulla sedia più distante da Stefania, anche se in tal modo era costretto a starle di fronte. La bella serata minacciava presto di rivelarsi un fallimento.

 

 

Marta aveva sperato che l’espressione raggiante di Matteo di qualche sera prima, alla festa, fosse riservata a lei e solo a lei. O che perlomeno ne fosse la causa. Invece Lui non aveva fatto altro che rivolgere sorrisi ebeti a tutti i clienti del Vecchio Mangaka e sospirare davanti agli scaffali; il lato positivo di quella piccola delusione era stato finalmente l’inizio di una nuova campagna che rappresentava la possibilità di vederlo con certezza almeno una volta a settimana.

Si erano conosciuti un anno prima, in quella stessa stanza tappezzata di poster dedicati a D&D e di giochi da tavola impilati uno sopra l’altro. Dopo che la campagna giocata con Stefania si era interrotta, Marta aveva scoperto l’esistenza di quella associazione ludica, Il Sotterraneo del Drow, e si era presentata lì carica di speranze e aspettative; ad attenderla, però, era stato un gruppo di dodicenni impegnati in un torneo di Yu-Gi-Oh! e l’eccessivo chiasso l’aveva convinta ad andare via. Stava per mettere un piedi fuori dalla porta quando qualcuno le aveva posato una mano sulla spalla, facendola sussultare.

«Ehi» le aveva detto. «Abbiamo già mangiato.»

Battuta pessima, aveva pensato Marta, ma forse il suo interlocutore non aveva avuto tempo di pensarne un’altra, troppo impegnato a fermare una delle poche ragazze che si vedevano da quelle parti. Parlando con lui aveva scoperto che si chiamava Giovanni, che gestiva un negozio di fumetti poco lontano da lì e che l’età media degli iscritti all’associazione si alzava la sera, quando cessavano le lezioni all’università e il giorno seguente si poteva mettere la sveglia alle dieci.

«Oggi non posso allontanarmi da loro.» Con un cenno del capo Giovanni aveva indicato i giocatori. «Ma puoi tornare qui alle nove, ti parlerò dell’associazione.»

E Marta l’aveva fatto, si era presentata al Sotterraneo quella stessa sera, meno motivata però del pomeriggio. Almeno fino a quando non aveva visto Matteo. Era in corso una sessione di Pathfinder e Giovanni era uno dei giocatori; si sarebbe volentieri preso una pausa per spiegarle ogni dettaglio sull’associazione ludica, ma il game master aveva insistito affinché Marta prendesse temporaneamente il posto di un giocatore mancante. Le era stata data la scheda di uno gnomo bardo e per mezz’ora lei si chiese chi mai avrebbe potuto scegliere un personaggio del genere, fino a quando non arrivò il ritardatario.

«Ciao, ho cambiato sesso?»

Altra battuta scontata, ma d’altra parte Marta già aveva iniziato a covare dei pregiudizi per chi gestiva un tale personaggio; si ritrovò però ad ammettere che quel Matteo fosse un ragazzo – un uomo – molto carino, nonostante la maglietta di Mazinga. Si stupì inoltre nel vederlo interpretare il suo bardo, era l’attrazione più interessante della sessione: non importava quante viverne stessero combattendo, i gesti spettacolari e avventati dello gnomo riuscivano ad alleggerire la tensione.

Dalla settimana seguente Marta era entrata ufficialmente nel gruppo con il suo chierico, ma l’avventura volgeva già verso la fine e lei aveva potuto approfittare della compagnia di Matteo – che stava scoprendo esserle sempre più gradita – solo per altri tre mesi. E ora, a diverso tempo di distanza, dopo piccole one-shot e partite a La Città dei Ladri, Marta aveva finalmente l’opportunità di vedere Matteo senza doversi inventare una scusa per recarsi al negozio di fumetti o all’associazione. Gli rivolse un fugace sguardo soddisfatto, prima di tornare a concentrarsi sul suo personaggio.

Amy, umana ladra.

Lesse il nome che aveva scritto sulla scheda e sorrise. Dopotutto doveva creare un personaggio umano, no? E cosa le impediva di usare un nome inglese? Marta amava le serie tv, stava ancora soffrendo alla prospettiva di non vedere più Karen Gillan e sapeva che Matteo avrebbe apprezzato quel riferimento a Doctor Who. Perché lo avrebbe capito, ne era sicura: Matteo capiva tutto, tranne le cose più evidenti.

Sentì Stefania sbuffare alla sua sinistra e si voltò verso di lei. Aveva lasciato andare la matita e fissava la sua scheda dopo essersi assegnata uno spadone come arma.

«Hai quasi finito i soldi» notò Marta da ladra amante del denaro qual era. «Sicura che ne valga la pena?»

«Non me lo chiederai più quando avrò falciato in due il ghoul che ti attaccherà.»

«Piacere, io sono Amy.» Ma Matteo non l’aveva sentita, impegnato a scorrere le prime pagine del manuale per ripassare l’avventura.

«Ygritte. E la mia spada è Jhiquireah.»

«Ma dai, hai dato un nome alla spada?» si intromise Roberto, affacciandosi sopra la spalla di Marta.

Gli occhi di Stefania dardeggiarono nella sua direzione. «E avrei fatto male?»

«No, macché, hai fatto benissimo: la trovo una scelta molto sensata, per un personaggio – immagino – che da sempre se la porta dietro. E tu, Marta, hai dato un nome alla tua fionda?»

Una fionda. Stefania aveva speso cinquanta monete d’oro per uno spadone, Roberto vantava una spada lunga e Leonardo poteva usare la magia; lei, però, possedeva solo una fionda.

“D’altronde è quello che vuoi, no?” si disse. “Sei un ladro, l’importante è rimanere fuori dalla mischia e disattivare le trappole.”

Avvertiva il fiato di Roberto sul collo mentre parlava con Stefania. Lo avrebbe volentieri cacciato via, ma si era dimostrato molto gentile in quei giorni, prima ad accompagnarla a casa e poi ad aiutarla con la creazione del personaggio, e Marta non voleva essere scortese.

«E il tuo nome quale sarebbe?» sentì chiedere Stefania.

«Robert.»

«Ti chiami Roberto e il tuo personaggio… Robert?»

«Sì, perché? È un bel nome.»

«Fa schifo.»

«E non vuoi sapere che nome ho dato alla mia spada?»

Dal rossore inaspettato sul volto di Stefania, Marta intuì che Roberto doveva averle rivolto un sorriso ambiguo.

«E tu, Leo?» Roberto cambiò interlocutore prima che Stefania trovasse il modo migliore per ribattere. «Come va il tuo… come si chiamava?»

«Jerle» rispose Leonardo.

Marta notò che cercava di non essere coinvolto nella conversazione, ma Roberto – per dispetto o per aiutarlo a combattere l’evidente timidezza – non sembrava volerlo lasciare in pace.

«Jerle… Jerle… Non è un elfo?»

Stefania aggrottò le sopracciglia. «Un elfo?»

«Beh, sì.»

“Tentativo sprecato” pensò Marta. “Uno prova a farlo sentire accettato… e l’altra lo accetta direttamente.”

«Che schifo gli elfi.»

«Perché?»

«Sono spocchiosi, effemminati e credono di poter essere la roba migliore che si trova sulla piazza.»

Marta non riuscì a sentire le motivazioni di Stefania, nella sua mente risuonava solo un meccanico “EXTERMINATE!”

Leonardo avvampò e già Marta lo immaginava soccombere, mingherlino, di fronte a Stefania. «Non è vero! Gli elfi… beh, non sono rozzi come voi barbari!»

«Aggiungi: e usano motivazioni abbastanza scadenti» sussurrò Roberto all’orecchio di Stefania, abbastanza forte da essere certo che anche gli altri lo udissero.

“No, qui entrambi vogliono farlo a pezzi.”

E poi Matteo parlò. Due semplici parole che in un altro contesto non sarebbero significate molto, ma giunte per chiudere la discussione, per placare gli animi e infondere serenità a tutti. Marta poteva vederlo mentre sollevava il cacciavite sonico e liberava l’universo dai Cybermen, mentre usciva illeso da una pira funeraria con tre uova di drago tra le braccia, mentre con l’intelligenza e la scaltrezza di due fratelli in una mente sola ricacciava un demone all’Inferno.

«Possiamo cominciare?»

Già, rifletté Marta, Matteo era un eroe in carne e ossa.

 

 

Avevano avuto poco tempo per giocare, ma l’avventura richiedeva uno scontro con dei goblin la prima notte della loro permanenza a Sandpoint, in Varisia. Nonostante Roberto fosse ben attento a ciò che stava accadendo nella realtà – cercando di cogliere ogni sguardo che Marta lanciava a Matteo – riusciva nel contempo a immedesimarsi con l’umano varisiano che doveva interpretare.

Il gruppo si era conosciuto quel pomeriggio alla Festa della Coda di Rondine, che si teneva in città negli ultimi giorni di settembre. Amy e Jerle erano del posto, mentre Robert veniva dalla più grande Magnimar in cerca di onori – e come non fermarsi a Sandpoint con una festa in corso? – e Ygritte era una Shoanti delle Kodar Mountains, fuggita dal suo paese natio dopo che un’influenza mortale ne aveva colpito gli abitanti. Si stavano chiedendo dove avrebbero potuto alloggiare, quando delle urla provenienti dal centro della città li avevano messi in guardia.

«Sono goblin!» esclamò Leonardo, accorso a vedere insieme agli altri.

«Davvero, Sherlock? Mi sembravano viverne.»

«Non dovresti… Sei un barbaro, non dovresti parlare in questo modo!»

«Ah, giusto, allora ti prendo direttamente a botte!»

Roberto sorrise, ascoltandoli litigare. Aveva un sorriso per ogni occasione: per sedurre una ragazza, per provocare un rivale, per lanciare una frecciatina pungente e poi addolcirla perché il destinatario non si rendesse conto di venire deriso, perfino per ordinare il gelato al bar; e ovviamente aveva un sorriso tutto speciale per Giovanni e Matteo, quando arrivava alla cassa con una scorta di hentai appena usciti.. Poi c’era il sorriso sincero, divertito, molto simile a una contrazione involontaria delle labbra, ma preferiva mostrare un sorriso sardonico invece di quello. Tutto ciò che era autentico non faceva per lui.

“Alla faccia di Ciccio Wall!”

I giocatori tirarono l’iniziativa: Roberto fu il primo ad agire. Si lanciò sul primo goblin e con un solo colpo lo debellò; Stefania seguì il suo esempio, mentre Leonardo – deciso a mostrare quanto valesse, ma rendendosi conto all’ultimo momento di non impugnare alcuna arma – si avvicinò al goblin rimasto e lo distrusse con un dardo incantato. Marta credeva che il combattimento fosse finito senza che nessuno si facesse del male o la rimproverasse perché il suo unico attacco era fallito, ma un goblin minacciò di prenderla di sorpresa, alle spalle; minacciò e basta, perché Roberto con un tiro di Percezione se ne accorse e si lanciò in suo aiuto, uccidendo il nemico prima che potesse farle del male.

“Ottima opportunità. Grazie, Matteo, fai il mio gioco senza rendertene conto.”

Roberto allungò un braccio fino a toccare la mano di Marta, dall’altro lato del piccolo tavolo. «Tutto bene, Amy?» chiese con un’espressione preoccupata.

Probabilmente lei avrebbe preferito ritrarre la mano, ma parve ricordarsi che il ragazzo stava solo interpretando, perché mosse le dita e poi rimase ferma.

«Sì, Robert… La ringrazio.»

Roberto sfoggiò il sorriso seduttore. «Dammi del tu, mia cara.»

«Per Gorum, che schifo!» esclamò Stefania, rivolgendo gli occhi al soffitto.

Non importava, lui aveva ottenuto l’effetto desiderato. Allontanò la mano e lasciò che il game master continuasse a raccontare.

Ma quanto poteva essere cieco? Al suo posto si sarebbe accorto dei sentimenti di Marta, ne sarebbe stato perfino onorato… E avrebbe mandato una viverna a mangiarsi Robert in un sol boccone. Pensandoci bene, Roberto si rese conto che Matteo non lo avrebbe mai fatto: lui giocava lealmente. Erano diversi e questo rendeva la faccenda ancor più interessante.

Contava di aprire Word non appena fosse tornato a casa, già colto dall’ispirazione, ma aveva ancora poche cose da scrivere. Fino a quel momento aveva solo riaccompagnato Marta dopo la festa e flirtato con il suo personaggio, ma non sapeva come sarebbe andata avanti. La bella ragazza – sì, era carina – dai capelli rossi avrebbe accettato le avances di un venticinquenne atletico e assurdamente attraente? Matteo avrebbe lasciato correre o finalmente, colto dalla gelosia, si sarebbe reso conto di quanto avesse fatto male a lasciarsi sfuggire Marta?

“Scrivi su ciò che conosci.” Non ricordava chi lo avesse detto, ma gli sembrava un ottimo consiglio. E per sapere come sarebbe andata avanti c’era un solo modo.

«Ci sono altri goblin… Sono sette!» sentì esclamare Matteo. «Tirate l’iniziativa!»

Era davvero euforico: Roberto si chiese quanto lo sarebbe stata Marta quando il game master l’avrebbe strattonata via da lui, dichiarandole amore eterno. O l’avrebbe lasciata andare? Sarebbe stata un’interessante svolta nella storia.

Il combattimento durò diversi round e rischiò di proseguire quando il personaggio di Stefania si aizzò contro quello di  Leonardo, che già stava depredando i “poveri” malcapitati.

«Sono goblin! Cosa speri di trovare nelle loro mutande, un libro di incantesimi?!»

«Potrebbero avere qualche indizio!»

«E poi dovrebbe essere Marta a perquisirli, è lei la ladra!»

«Ehi, non tiratemi in mezzo, adesso!»

Roberto notò con piacere che Leonardo era riuscito finalmente ad aprirsi: forse Stefania non era la migliore delle compagnie – anche se per qualche motivo di cui era ignaro lui era interessato ad approfondire la sua conoscenza – ma era stata capace di far dimenticare al piccolo Leo, almeno per una sera, la sua insicurezza. Forse voleva dimostrarle che gli elfi non erano ridicoli e inutili come pensava lei.

Lui li guardava. Amava osservare da lontano, ma non si sarebbe mai definito un “ragazzo da parete” – accidenti a Viola, che lo portava a vedere certi film. Osservava, ascoltava e riusciva a comprendere prima degli altri ogni singolo comportamento, per quello voleva capire cosa nascondesse il passato di Stefania per averla fatta diventare così… interessante, più che insopportabile; al contrario dei ragazzi da parete, però, Roberto amava agire nel momento in cui la situazione rischiava di rimanere statica. Faceva il suo gioco, si faceva anche odiare, ma almeno contribuiva a rendere le cose molto più divertenti.

Gli piaceva questo nuovo gruppo – la scorbutica Stefania, il timido Leonardo, i due inconsciamente innamorati Marta e Matteo. Forse era ora di fossilizzarsi su di loro, almeno per un po’, invece di continuare ad allargare le sue cerchie. Sentiva che lo avrebbero soddisfatto, almeno in quanto a ispirazione.

«… lo sceriffo si sta congratulando con voi,» narrava Matteo, «e la signorina Ameiko vi ha offerto l’alloggio per una settimana nella sua locanda, come ringraziamento per aver debellato tutti i goblin che avevano assalito la città. Congratulazioni, siete gli eroi di Sandpoint!»



TERZO CAPITOLO

 

NOTE

 

Il titolo è una citazione di The Big Bang Theory.

 

LEONARDO

- power-player: termine, con accezione negativa, designante un giocatore che conosce a memoria le regole per utilizzarle a proprio vantaggio/gioca sempre gli stessi personaggi perché sa nei minimi dettagli come sia migliore agire.

- elementali: creature governate da chi le ha invocate e che si basano sui quattro elementi.

- Jerle Shannara: personaggio elfo del ciclo di Shannara di Terry Brooks.

 

MARTA

- Drow: elfo scuro.

- Yu-Gi-Oh!: gioco di carte basato sull’omonimo anime.

- viverna: drago dell’immaginario collettivo.

- one-shot: partite di una sola sessione (giornata).

- La Città dei Ladri: gioco da tavola.

- Karen Gillan: interprete di Amy Pond in Doctor Who.

- ghoul: non morto capace di paralizzare con il morso.

- Ygritte: donna del popolo libero (bruti) de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin.

- Jhiquireah: dalla fusione dei nomi di due personaggi della stessa saga (Jhiqui e Doreah).

- “EXTERMINATE!”: riferimento ai Dalek di Doctor Who.

- le ultime immagini che Marta ha di Matteo sono riferimenti a Doctor Who, Game of Thrones e Supernatural.

 

ROBERTO

- Ciccio Wall: personaggio de Il seggio vacante di J. K. Rowling.

- iniziativa: a seconda dei punteggi del dado, si decide l’ordine di azione dei personaggi.

- Gorum: divinità della guerra nell’universo di Pathfinder.

- “ragazzo da parete”: riferimento al film Noi siamo infinito, il cui libro nella prima traduzione italiana si intitolava Ragazzo da parete.

 

GIOCO DI RUOLO

- Ogni personaggio ha una razza (umano, elfo, halfling, gnomo, nano) e una classe (barbaro, mago, ladro, guerriero, bardo…).

- Gli allineamenti che un personaggio può avere sono nove e vanno da Legale Buono a Caotico Malvagio, secondo le associazioni di Legale, Neutrale e Caotico con Buono, Neutrale e Malvagio.



SPAZIO AUTRICE

 

Un buon pomeriggio a tutti voi!

C’è il sole dalle vostre parti? Finalmente un briciolo di primavera!

Mi dispiace avere aggiornato così tardi, ma ho cominciato a lavorare e non ho avuto molto tempo per scrivere. Ci si metta anche il Writing day… Ah, non sapete cos’è? Allora volate su LJ a leggere le storie partecipanti :D Spam a parte per questa splendida iniziativa, sono felice di vedere che questa storia è seguita (sia per il numero di, appunto, “seguite” che per le recensioni). Mi fa piacere che vi stia piacendo!

Dovevo introdurre il gioco di ruolo, ma non disperate, la storia non sarà tutta così; mi è servito però un intero capitolo per “avvicinare” tutti i personaggi (o quasi, ma Giovanni per il momento è “relegato” al Vecchio Mangaka!) e dar loro almeno una possibilità per frequentarsi, volenti o nolenti. Volevo chiedervi una cosa: secondo voi, è meglio che io continui ad andare avanti con piccoli riferimenti all’avventura che i protagonisti stanno giocando o volete che approfondisca, che descriva una parte degli eventi, come una determinata incursione in un dungeon o un combattimento? Ho pensato, finora, di non descrivere fisicamente i quattro personaggi per evitare di confondervi, ho dato loro solo dei nomi, ma se siete d’accordo ogni tanto potrei inserire delle scene più approfondite “all’interno del gioco” (si tratta comunque di farlo ogni tot capitoli e non per l’intero capitolo).

Volevo poi dirvi che continuerò a taggare su Facebook, ogni volta che condividerò un capitolo nuovo, anche tutti quelli che hanno la storia nelle seguite; se a qualcuno dovesse dar fastidio, scrivetemelo in un commento su Facebook, così eviterò :)

Chiudo augurandomi che questo terzo capitolo vi sia piaciuto!

 

Medusa

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Capitolo 4
*** Il guaio è che non sono pazze. Sono donne e basta ***


Il guaio è che non sono pazze. Sono donne e basta




A Stefania piacevano i negozi di musica, che vendessero CD o strumenti andavano bene comunque. Le piaceva indossare le cuffie e ascoltare i dischi in vendita, allo stesso modo in cui si ritrovava a sorridere quando camminava accanto alle chitarre esposte a Music Town. Ma le chitarre non le interessavano se non per un rapido sguardo: lei suonava il basso. Lei amava il basso.

Le amiche del liceo, quando aveva cominciato a prendere lezioni, le avevano fatto notare che quello strumento sarebbe stato soffocato dalla chitarra elettrica e dalla batteria, ma per la prima volta – la prima di una lunga serie, però – Stefania aveva deciso di non ascoltarle. Non le interessava suonare in un gruppo, voleva solo strimpellare il basso di tanto in tanto, godendo di quel suono che la faceva sentire viva.

Dimenticava quasi di essere grassa in quei momenti, finché durante il concerto di fine anno scolastico, quando lei frequentava il terzo anno del liceo pedagogico, alcuni studenti che si ritenevano spiritosi non l’avevano prima insultata durante la sua esibizione e dopo, una volta in strada, teso un agguato volto a distruggerle il basso, “così non avrebbe più suonato di merda.” Se fosse stata una bella ragazza non l’avrebbero presa di mira, ma forse le sarebbe bastato, pur grassa e un po’ miope com’era, cercare di farsi rispettare invece che fingere di essere invisibile durante le sei ore di lezione quotidiane. Quando era tornata a casa in lacrime, suo padre – per i sensi di colpa di non avere saltato il lavoro in modo da assistere al concerto, oltre che per la rabbia di vedere la figlia in quelle condizioni – le aveva fatto costruire un basso su misura, con inciso sulla paletta STEROCK: ad altri figli sarebbe sembrata una scelta patetica, ma Stefania la ritenne fin da subito la migliore firma del mondo.

Si era fatta più furba da allora, un po’ alla volta, fino a diventare la persona più cinica che conoscesse. Aveva vacillato, tempo prima, ma si era poi promessa di non farlo mai più. Avrebbe smesso di farsi male.

Mentre era immersa nei ricordi, le cuffie nelle orecchie, avvertì qualcuno tamburellarle sulle spalle. Il suo primo istinto, però, fu di sgranare gli occhi, perché era finita ad ascoltare una compilation che non rientrava assolutamente nei suoi gusti.

«Allora, che mi dici di Mengoni?»

Stefania riconobbe quella voce non appena si fu tolta le cuffie. Ma perché proprio lui doveva averla beccata in una situazione così imbarazzante?!

«Stavo ascoltando la voce di una donna, in realtà» rispose scocciata, incrociando le braccia sulla difensiva e voltandosi verso il suo interlocutore.

Roberto non staccò gli occhi dai DVD che teneva in mano. «E fingi di non sapere neanche chi fosse, vero?»

«Guarda che sto dicendo la verità: non guardo Sanremo, non so come sono finita a… Ma sei pazzo?!»

Sorpreso dalla voce improvvisamente acuta di Stefania, Roberto distolse lo sguardo dai suoi acquisti e lo portò su di lei. «Me lo chiedono in tanti, ma di solito faccio qualcosa prima.»

«Non puoi farti vedere con questa roba!» Stefania gli strappò un DVD dalle mani, sconvolta. «È un porno

«Ora sei tu a fartici vedere.»

«Sono… sono tutti porno!»

«Esagerata, ci sono anche due hentai.»

Lentamente, Stefania si disse che doveva recuperare la dignità – che stava diventando inversamente proporzionale all’intensità della sua voce – e lanciò al ragazzo il DVD che aveva preso.

«Non sarebbe meglio scaricarli?»

«Scherzi? Questa è roba d’autore!»

Non doveva ascoltarlo. Non doveva. La cosa migliore da fare era dimenticare la prospettiva di un rilassante pomeriggio al centro commerciale e correre a casa, sprangare la porta e infilarsi sotto le coperte, il più lontana possibile da quel pazzo megalomane. Si mosse verso l’uscita del negozio, ma Roberto la fermò.

«Ehi, facciamo un patto: io non farò parola sul CD di Sanremo se tu racconterai a tutti quello che sto comprando. D’accordo, dearie

Megalomane. E pazzo.

«Le citazioni funzionano con Marta, non con me.»

«A proposito di questo…»

«No, non ti dirò come far colpo su di me.»

«Veramente parlavo di Marta.»

Stefania arrossì violentemente. Come poteva aver usato quelle parole? Lei non pensava che Roberto volesse provarci, credeva che stesse ordendo qualche piano maligno.

«Intendevo… Non “far colpo”, ecco… Solo…»

«Capire quali fossero i tuoi punti deboli per sedurti e abbandonarti. Sono orgoglioso di me, sono riuscito a lasciarti senza parole pur non facendo niente!»

Voleva andarsene. Voleva chiudersi in casa e sotterrarsi sotto le coperte, ma per un’altra ragione. Chi era quel ragazzo? Perché sembrava conoscerla anche se l’aveva vista appena tre volte? E poi quella stupida aria di superiorità…

«Senti un po’, Lannister, perché non andiamo a farci una chiacchierata?»

Stava per chiedergli come diavolo facesse a sapere anche quello, ma poi si ricordò quale maglietta stesse portando.

«Non ne ho voglia.»

«Ti offro un cornetto.»

«Sono a dieta.»

«Beh, meno male. Ma un piccolo sgarro te lo puoi concedere.»

Se lo concesse. Roberto era un pazzo, un megalomane e anche un porco per avere il coraggio di andare in giro con una busta piena di porno – non che qualcuno potesse vedere l’oggetto dei suoi acquisti – ma Stefania apprezzava la sua schiettezza; in passato, quando qualcuno era stato schietto con lei, l’aveva fatto per deriderla, ma Roberto sembrava semplicemente incapace di tenere la lingua a freno. Perlomeno era più divertente di quella lagna del suo amico.

Si sedettero a uno dei bar del centro commerciale, con due caffè e un cornetto al cioccolato davanti: se doveva farsi del male, meglio farlo per bene.

«Di che volevi parlare?»

«Di Marta, no?» Roberto allungò i gomiti sul tavolo, la testa poggiata sulle mani chiuse a pugno. «Dimmi tutto quello che sai di lei.»

«Le piace Matteo.»

«Non credo potrebbe aiutarmi a conquistarla.»

«Ti sto mettendo in guardia.»

«Lo sapevo già. Film preferito? Genere musicale?»

Stefania sollevò un sopracciglio. «Se sai che è cotta di un altro, perché non ti tiri indietro?»

«Un Lannister lo farebbe?»

«Un Lannister paga sempre i suoi debiti.»

«Ti sei risposta da sola, allora.»

Si concesse qualche minuto di riflessione, pur sapendo di avere gli occhi verdi di Roberto e il suo ridicolo ghigno puntati contro. Alla fine decise.

«Ama le serie tv. Tutte. No, in realtà quasi tutte: detesta Gossip Girl. Non parlargliene mai, le verrebbe il prurito.»

«Non mi sarei comunque sognato di tirarlo in ballo.»

«Odia le gonne.»

«Abbastanza evidente. Qualcosa che non so?»

Stefania rifletté ancora. «Il suo film preferito è Apocalypse Now, ha letto cinque volte in un anno Orgoglio e pregiudizio e quando è giù di morale fugge da qualche parte a scattare fotografie.»

«Ottimo.» Roberto bevve il suo caffè, mentre Stefania si concedeva un morso condito dal senso di colpa al suo cornetto. Un senso di colpa nei confronti della sua dieta, non dell’ipotetica storia d’amore tra Marta e Matteo. «Perché mi stai aiutando?»

«Perché me l’hai chiesto.»

«Basta così poco?»

Stefania addentò una seconda volta il cornetto, assaporando finalmente il cioccolato. «Matteo ha dieci anni più di Marta, lei si farebbe solo male. E poi sono una tale noia.»

Roberto le sorrise, soddisfatto, e si ritrovò a sorridere anche lei.

 

 

Quel pomeriggio non era cominciato bene.

Nel giro di due ore, Giovanni aveva fatto crollare a terra, nell’ordine, due action figures di Death Note, il DVD del Castello Errante di Howl, le copie nuove dei Fantastici Quattro, una pila corrispondente a una serie completa di manga – e non una di pochi volumi: Dragon Ball – e l’espansione del gioco da tavola dei Pilastri della Terra che aveva messo da parte per Roberto. Aveva perfino imprecato per la prima volta di fronte a un cliente.

Cliente che, per sua fortuna, era Leonardo, subito accorso ad aiutarlo a riunire i pezzi del gioco da tavola. Poteva perfino dire di avere un rapporto d’amicizia con lui, quindi era abbastanza sicuro che uno dei suoi migliori clienti non sarebbe fuggito via per non tornare mai più al Vecchio Mangaka.

Sbuffò e sbatté la scatola sul bancone, esausto. Leonardo si avvicinò a lui titubante e dovette notare le sue occhiaie, perché gli chiese se avesse dormito.

«No,» rispose Giovanni, nervoso, «e neanche la notte scorsa.»

«Non puoi chiedere a Matteo di sostituirti?»

«Oggi è il suo turno di occuparsi dell’associazione.»

«Forse sarebbe meglio se vi scambiaste, qui rischi di far cadere altro…»

«No, ieri è toccato a me e ho perfino rovesciato sulla maglietta di un ragazzino il tè che mi aveva chiesto.»

«Vuoi che ti dia una mano?»

«Sì, magari. Anche solo per controllare che non faccia altri danni.»

Si strofinò gli occhi rossi e stanchi. Non riusciva a dormire da due giorni, aveva anche provato a leggere Il Pendolo di Foucault – libro che in altre occasioni non aveva tardato ad aiutarlo – ma era stato inutile. Come conciliare il sonno se, ogni volta che chiudeva gli occhi, una Caterina supplicante e poi furiosa appariva immediatamente davanti a lui? Doveva provare con i sonniferi, si disse che avrebbe chiuso qualche minuto prima quel giorno per poterli andare a comprare. O avrebbe chiesto quel favore a Leonardo.

«Cos’è successo?» gli chiese proprio lui, mentre Giovanni si passava stancamente una mano sul viso.

«Ti ricordi di Cate? Voglio dire… l’hai mai conosciuta?»

Leonardo aggrottò la fronte. «Certo che l’ho conosciuta. Mi avete invitato anche a cena una volta.»

Giovanni si accorse di essere messo peggio di quanto pensasse. Scorse una domanda negli occhi di Leonardo, una domanda che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: «Vi siete già lasciati, che può esserci di peggio?»

Poteva esserci. Quando un rapporto si rompe, c’è spesso possibilità di aggiustarlo, c’è la speranza che tutto torni come prima – soprattutto nel loro caso, con dieci anni di fidanzamento alle spalle oltre a quelli del matrimonio – ma con il passare del tempo quella speranza si affievolisce e si crea un buco nello stomaco; Giovanni non amava più Caterina, però questo non significava che la sua assenza dopo quasi due decenni facesse veramente male.

«Cate vuole l’appartamento,» spiegò, «e io non ho idea di dove andare a vivere.»

«Il lavoro non ti permette almeno l’affitto di una casa qua vicino?»

«Non è questo il punto.» Come faceva a non capire? Eppure era così evidente: i risparmi, la prima notte di nozze, la culla per il bambino, le cene con i parenti… «Abbiamo sognato di vivere insieme fin dal liceo e ora quello che lei vuole è proprio il nostro sogno. Tutto per lei.»

«Un po’ egoista, eh.»

“Cate non è egoista.” Si morse la lingua, impedendosi di ribattere. Non aveva più il dovere di difendere sua moglie, ora poteva dire ciò che pensava.

E Cate continuava a non essere egoista.

Ma non lo disse, non aveva senso.

«Sei ancora innamorato di lei?»

La domanda di Leonardo arrivò a bruciapelo. Perché avrebbe dovuto chiederglielo? Forse pensava che fosse quello il motivo della sua insonnia?

«No, non lo sono.»

Quanti “no” quel giorno, sembravano tanto una scusa. Scosse la testa, rifiutando quell’idea.

Leonardo non disse altro, rimase in silenzio e lo aiutò a sistemare i nuovi arrivi sugli scaffali. Giovanni rifletteva. Perché lo stava ancora facendo? In fondo rifletteva da due notti, da quando ci avevano riprovato, da quando si erano lasciati, da quando Cate gli aveva confessato il tradimento, da quando avevano cominciato a non amarsi più. Non era servito a niente, perché lui non aveva fatto niente: aveva solo guardato sua moglie che se ne andava, il loro rapporto che si spezzava, i loro sogni in frantumi; avevano passato cose peggiori anni prima, avevano sofferto come Giovanni non avrebbe augurato a nessuno di soffrire, eppure quella volta non erano riusciti a reagire.

I campanelli suonarono, annunciando l’ingresso di un cliente. Giovanni si voltò per accoglierlo, ma si bloccò.

«Ben-»

C’era Caterina davanti a lui, una Caterina che ai tempi del liceo non avrebbe mai immaginato di vedere così, lo sguardo glaciale, il tailleur da segretaria. Non sognava di diventare un’archeologa? Com’era finita a tenere la contabilità di un’azienda di elettrodomestici?

“I sogni fanno brutti scherzi.”

«Ciao» lo salutò, avvicinandosi al bancone con sorprendente lentezza.

La voce che uscì dalla bocca di Giovanni era rauca. «Cia… Ciao.»

Troppi “no”, troppe domande, ma era davvero possibile non chiedersi come due persone che si conoscevano da vent’anni potessero rivolgersi un secco e insapore “Ciao”?

Cate si accorse dopo un po’ della presenza di Leonardo, in piedi accanto a lui. Sgranò gli occhi. «Oh, ciao, Leo. Come stai?»

«Bene, Cate.»

Buon vecchio Leonardo, così fedele al suo amico da reprimere la gentilezza che lo caratterizzava! Se solo Cate non fosse stata davanti a loro, Giovanni gli avrebbe detto che poteva trattarla come aveva sempre fatto, lui non si sarebbe offeso.

«Come mai sei passata?» chiese Giovanni, fingendo di non sentire il vuoto nello stomaco che, stranamente, si faceva più profondo quando Cate era con lui.

«Volevo… volevo chiederti un anticipo sulla se… sull’accordo» rispose Cate, distogliendo lo sguardo e fissando apparentemente rapita il poster di Warhammer. «Il servizio da tavola che abbiamo usato qualche anno fa: i miei hanno distrutto il loro, sono rimasti solo cinque piatti, e sabato abbiamo una cena importante. Il mio capo, sai.»

“Quel porco.”

Cate sembrò ricordarsi del ruolo che il suo capo aveva avuto nel loro matrimonio e avvampò.

«Puoi passare a prenderlo stasera, sarò a casa» disse Giovanni, il tono più gelido di quanto avrebbe voluto.

«Preferirei se mi dessi le chiavi. Ho un impegno e sono piuttosto in ritardo.»

“Perché sei geloso solo adesso?” chiedevano i suoi occhi. “Potevi fare qualcosa quando ancora ne avevi il diritto.”

Giovanni frugò nel cassetto del bancone ed estrasse un mazzo di chiavi, che le porse sgarbatamente; Cate fece un passo avanti, le afferrò e si ritrasse.

«Grazie. Ci vediamo.»

Uscì mentre Giovanni la salutava con un cenno del capo. «Ciao» disse, quando si rese conto che non poteva vederlo, ma Cate era già andata via.

 

 

Quello era il secondo martedì in cui Matteo la sera non sarebbe dovuto tornare al Sotterraneo del Drow per masterizzare una campagna per la quale, ormai, aveva perso interesse. Era eccitato all’idea di giocare ancora con il nuovo gruppo, quel venerdì, e continuava a camminare avanti e indietro nella ludoteca con la mente rivolta agli “eroi di Sandpoint”.

Avevano un barbaro e per quella campagna era perfetto: sperava solo non compiesse azioni tanto malvagie – «Sono caotico neutrale, vedete di farvelo andare bene» – perché al gruppo servivano eroi, non folli che bramavano solo la sete di sangue. Personaggi che lui, in altri casi, apprezzava più degli altri. Stefania giocava bene il suo personaggio, ma Matteo avrebbe preferito che cessasse il fuoco nei confronti di Leonardo.

Però aveva ragione: era un elfo mago.

Scosse la testa, ridendo da solo. Uno dei giocatori di Sine Requie si voltò verso di lui e aggrottò la fronte.

No, un elfo mago non significava per forza un cattivo personaggio, anche perché Leonardo aveva sempre saputo interpretarlo bene; d’altronde, quello che a lui interessava era stare lontano dalla mischia. Matteo si disse di controllare per l’ennesima volta il manuale, alla ricerca di qualche nemico della stessa classe di Jerle che potesse renderlo muto nel bel mezzo di una battaglia. E che frantumasse lo spadone di Ygritte. Spesso i suoi giocatori gli dicevano che era sadico.

Roberto-Robert non era male, ma temeva che anche lui potesse passare a un allineamento malvagio; non lo pensava a causa del personaggio, bensì dello stesso Roberto, che non gli infondeva molta fiducia. C’era un qualcosa nei suoi atteggiamenti… Non importava, non doveva preoccuparsi subito, probabilmente sarebbe andato tutto per il meglio, nella campagna.

E poi c’era Amy. Matteo sorrise al muro, ricordando anche lei: Amelia Pond, la compagna dell’Undicesimo Dottore. Amava quel personaggio ed era felice che fosse lo stesso anche per Marta, dal momento che non erano in molti altri ad apprezzare il suo carattere forte. La Amy di Sandpoint, però, era diversa da quella originale e Matteo apprezzava anche questo, preferendo un personaggio completamente nuovo a una scopiazzatura: non era sicuro che Marta sarebbe stata in grado di interpretare bene Amelia Pond. Non era poi tanto brava come giocatrice, ma aveva deciso di darle una possibilità. Almeno non era una di quelle persone che davano buca all’ultimo momento: Marta sembrava rimandare qualunque impegno pur di giocare – aveva saputo, sentendola parlare con Stefania, che il venerdì successivo avrebbe avuto una festa di laurea – e Matteo apprezzava questo spirito.

Quel pomeriggio lui si sentiva bene, rilassato dopo tanto tempo, e niente avrebbe potuto guastargli quel momento, neanche i giocatori di Sine Requie che scioccamente avevano interrotto la sessione per parlare del nuovo capitolo di Naruto – certe cose erano sacre e, se fosse stato Matteo il master, avrebbe punito la digressione su una tale cavolata di shonen con un pericolo mortale apparso dal nulla.

Ma quel giorno niente gli avrebbe fatto andare di traverso la cioccolata calda che stava per prepararsi.

Il cellulare squillò e Matteo se ne accorse solo dopo qualche secondo; pensando che forse Giovanni avesse bisogno di lui, lo afferrò e si accinse a rispondere senza controllare di chi fosse la chiamata.

Successivamente, Matteo si rese conto di quanto potesse sembrare strana la sua improvvisa trasformazione a uno dei giocatori presenti nel Sotterraneo del Drow dopo che ebbe spinto il tasto per accettare la chiamata.

Voce allegra. «Ehi, dimmi!»

Silenzio.

Tono più basso. «Non avevo… no, pensavo fosse un’altra persona.»

Breve silenzio.

«Io sto bene, e tu?»

Silenzio ancor più breve.

«Federico tutto a posto?»

Silenzio. Respiro trattenuto. Ancora silenzio.

«Capisco… Beh, non è una situazione facile. Immagino che lui non sappia…»

Fiato sospeso.

«Ovviamente. Non preoccuparti, non ne farò parola in sua presenza. Quando…?»

Silenzio.

«È Pasqua.»

Silenzio. Sguardo rivolto al soffitto. Piedi che battono nervosamente.

«E sei sicura di farcela per domenica mattina? Senti, se è una scusa…»

Silenzio. Mano sugli occhi.

«Non intendevo… D’accordo, va bene. Facciamo sabato. Ti aspetto.»

Matteo spinse il tasto per terminare la chiamata, poi ripose il cellulare nella tasca. Senza neanche salutare i giocatori di Sine Requie uscì in strada per calmarsi.

«Passerò il 31. Ti prego, ne ho bisogno…»

Tirò un calcio a una lattina, facendola cozzare contro la ruota di un'auto parcheggiata in doppia fila. Non poteva certo tirarsi indietro.


NOTE

 

Il titolo è una citazione di Skins.

 

STEFANIA:

- dearie: citazione di Rumpelstiltskin (Once Upon A Time).

- Lannister: una delle casate di Game of Thrones.

- “Un Lannister paga sempre i suoi debiti”: non è il motto della casata, ma una frase sempre legata a essa.

 

GIOVANNI:

- Warhammer: miniature.

 

MATTEO:

- Sine Requie: gioco di ruolo italiano basato su un AU, ambientato alcuni anni dopo, nel quale Hitler ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e i morti tornano in “vita”.

 


SPAZIO AUTRICE

 

Ciao a tutti!

Questa volta sono riuscita ad aggiornare prima del previsto (di un “previsto” pessimista, due settimane invece dell’unica settimana in cui speravo all’inizio), ma sto già lavorando al capitolo successivo, quindi potreste averlo proprio tra una settimana!

Non ho messo Naruto nelle note perché, beh, credo sia abbastanza conosciuto. Per quanto riguarda Amy Pond, io sono tra i suoi detrattori, ma sto provando a “mettermi dalla parte” di chi la ammira.

Mi è piaciuto scrivere la parte su Stefania e Roberto, mi diverto a far interagire quei due – non parlo di un’ipotetica ship, ma della loro contemporanea presenza “sulla scena”.

Spero che questo quarto capitolo vi sia piaciuto, sono felice di sapere che questa storia è abbastanza seguita (per i miei canoni, e tanto basta).

Grazie a tutti voi e anche a Dark Aeris per aver controllato il capitolo!

A presto :)

 

Medusa

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Capitolo 5
*** Cosa rende l’acqua col cetriolo più dissetante dell’acqua senza cetriolo? ***


Cosa rende l’acqua col cetriolo più dissetante dell’acqua senza cetriolo?





Marta Giunti si chiedeva ancora – dopo avere fermato una ciocca ribelle con una forcina, allacciato le scarpe da ginnastica e controllato il materiale da portare per l’inaspettata uscita – cosa avesse spinto Roberto a proporle di andare a scattare delle foto al Giardino degli Aranci. Non ricordava di avergli parlato della sua passione per la fotografia, ma probabilmente il ragazzo, dopo averle chiesto l’amicizia su Facebook, aveva spiato il suo profilo, sfogliato qualche album. Perché mai, però, l’avrebbe fatto? Forse per noia, in un momento in cui non trovava niente da fare che fosse più stimolante di guardare le 1035 foto scattate e pubblicate da lei, o forse per un altro motivo: Marta aveva notato che Roberto cercava di starle vicino il maggior tempo possibile, utilizzando qualsiasi scusa – come un passaggio o un aiuto per la creazione di un personaggio. E se Roberto fosse stato cotto di lei? Non le sembrava di avergli mai dato motivo di credere in una sua risposta positiva.

Roberto era… Roberto, il fanfarone che si divertiva a rimorchiare una ragazza ogni sabato. Non poteva essere alla ricerca di una fidanzata. E di certo non avrebbe scelto lei, non avevano niente in comune!

Ma era davvero così? In fondo non lo conosceva neanche…

Scosse la testa, facendo volare via la forcina, e mentre la raccoglieva si accorse di essere potenzialmente in un ritardo imbarazzante: doveva correre fuori di casa e infilarsi in metro il prima possibile, se voleva arrivare alla fermata di Circo Massimo senza rischiare di trovare solo lo scheletro impolverato di Roberto.

Scheletro che, per fortuna, alla sua apparizione non c’era ancora; al suo posto all’uscita dalla metropolitana si trovava Roberto, con una Nikon appesa al collo.

«Ciao, sei in perfetto orario» la salutò, avvicinandosi per baciarle la guancia; si ritrasse immediatamente, così che Marta dovette mettere via il sospetto che il ragazzo nutrisse particolari attenzioni per lei. A meno che non avesse comprato una macchina fotografica apposta, però le sembrava un’idea da scartare.

«So riconoscere il sarcasmo, non hai bisogno di andare in giro con un cartello. Scusami, avevo perso la cognizione del tempo…»

“Guardando Battlestar Galactica” aggiunse mentalmente.

«Non preoccuparti, avresti potuto cercare un Angelo e farti portare indietro nel tempo.»

Per qualche istante Marta rimase interdetta, ma Roberto, che già si stava dirigendo verso la meta prefissata, non parve accorgersene.

«Non funzionano proprio così, sai?» gli fece notare, raggiungendolo. «Gli Angeli ti portano indietro di parecchi anni, non…»

«Dici che è ora di tirare fuori quel cartello che mi avevi detto di lasciare a casa?»

Roberto le sorrideva, sardonico, e Marta si rese conto di avergli permesso di vincere il primo set. Per fortuna lui non perse tempo a gongolare, ma tra una chiacchiera e l’altra la trascinò lungo via del Circo Massimo. Sorprendendola ancora una volta, attraversò la strada e scattò delle foto alle rovine, come avrebbe voluto fare lei.

«Sei proprio un appassionato, eh?»

«Sto imparando adesso: me l’hanno regalata per il compleanno, ma è poco tempo che scatto foto. Tu da quanto lo fai?»

«Dalle scuole medie. C’era un corso di fotografia base e mi è piaciuto seguirlo, così anni dopo mi sono iscritta a un corso professionista.»

«Wow, invitami alla prima mostra che farai, allora!»

«Potrebbero non piacerti le mie foto…»

“Non sono nudi artistici.” Marta non disse neanche quello.

«Mi piacerebbero le foto di chiunque fosse in grado di aiutarmi a mettere a fuoco l’immagine. Non riesco proprio a regolare…»

«Da' qua.» Afferrò la Nikon di Roberto, saldamente legata al collo, e dovette di nuovo sopportare di avvertire il suo respiro sui capelli. Era strano, però, non aveva mai fatto caso al respiro di qualcuno – a meno che… No, doveva toglierselo dalla testa. E poi lei venerava Matteo!

Roberto però non venne in suo aiuto. «Così va bene?» le chiese, costringendola a stringersi a lui per osservare dal mirino della macchina fotografica.

«No, regola meglio questo… Sì, ecco, ci siamo.»

«Sei un’ottima insegnante!»

E si allontanò di nuovo attraverso il roseto dall’altro lato della strada.

Marta non capiva. E detestava non capire. Roberto si comportava diversamente da come lo aveva conosciuto, ma non cercava di avere contatti fisici troppo lunghi con lei. Se fosse stato un altro ragazzo, probabilmente Marta avrebbe escluso a priori il pensiero di un corteggiamento preso molto alla larga, però conosceva bene il fascino del “ragazzo che sarebbe cambiato solo per lei”; lo vedeva nelle serie tv, lo leggeva nei libri e non aveva ancora capito se lo trovasse insopportabile o incredibilmente romantico. Però non lo aveva mai provato su di lei. E ora Roberto – che non era il suo tipo ideale, che a sentire le voci trattava le ragazze come macchine fotografiche usa e getta, che mostrava in continuazione un sorriso ben poco affascinante per i suoi gusti – la stava facendo sognare di trovarsi in una storia del genere.

“Oddio, no.”

No, dovette convenire dopo un’ora, aveva ragione: Roberto non stava cambiando. Nei film il protagonista maturava al sedicesimo appuntamento, una volta che aveva conosciuto a fondo il suo interesse amoroso, ma Roberto era già diverso. E se in realtà lui fosse sempre stato così, in presenza di una sola persona? Se quello che recitava nel Sotterraneo del Drow o al Vecchio Mangaka fosse solo, appunto, un personaggio costruito?

Si erano fermati al Giardino degli Aranci, in piedi di fronte all’imponente panorama di Roma; Roberto aveva incrociato le braccia sul parapetto, mentre Marta metteva a fuoco la vista magnifica e scattava una serie di foto.

«Mi è sempre piaciuto questo posto» rivelò Roberto.

«Anche a me, è uno dei luoghi di Roma che preferisco.»

Sgranò gli occhi. «Davvero? Allora ho fatto bene a portarti qui! A meno di non averti fatto perdere qualche lezione…»

 «Oh, no, tranquillo, oggi non avevo niente. Non si può dire la stessa cosa per domani, ho il pomeriggio pieno…»

«Studi lingue, non è vero?»

«Sì, a Roma Tre.»

«Mi sarebbe piaciuto studiarle. Sono più propenso per le lingue orientali, però.»

«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»

Roberto sospirò. «A mio padre serviva un aiuto in officina. “Non posso assumere sconosciuti per portare avanti l’importante azienda Trani!”» borbottò, facendogli il verso. Marta rise, ma lui aveva assunto un’espressione malinconica. «Così ho dovuto rinunciare all’università. Adesso ho un po’ di soldi da parte, potrei cominciarla quando voglio, ma temo che i miei impegni all’officina mi terrebbero troppo tempo lontano dalle lezioni, e di certo non ho un TARDIS sempre a portata di mano e pronto a tradurmi il giapponese! Secondo te vale anche con le lingue terrestri?»

«Sì» rispose Marta, sorridendo. Ormai aveva rinunciato a capire il motivo che aveva spinto Roberto a chiederle di fare una passeggiata per scattare delle fotografie – forse fare una passeggiata per scattare delle fotografie – ed era felice di scoprire dei lati del ragazzo che non conosceva.

«Perdonami, non sono molto ferrato in materia.»

«Io ho tutti i DVD della nuova serie.»

«Dici davvero? Puoi prestarmeli?»

No, non poteva: Marta non prestava alcunché, figurarsi sei cofanetti di Doctor Who! L’aveva detto solo per vantarsi, ma non poteva certo rivelarglielo.

«Possiamo vederli insieme» si sentì rispondere.

Di nuovo il sorriso di Roberto, diverso però da quello sardonico di un’ora prima. «Non vedo l’ora.»

 

 

Non avere la possibilità di connettersi a Internet era stato un dono del cielo per Leonardo: aveva potuto studiare tutto il giorno per l’esame di letteratura tedesca – godendosi Goethe senza distrazioni – e anche mettersi in paro con gli appunti delle altre materie che seguiva quel semestre; aveva indossato i fedeli occhiali da vista, pavoneggiandosi dell’aspetto saggio che gli conferivano, pur non avendo bisogno di lenti: quelle che aveva fatto mettere sulla montatura che era appartenuta al padre erano finte, ma Leonardo nutriva la profonda convinzione che lo aiutassero a leggere meglio. Per sua fortuna, i due ragazzi che condividevano l’appartamento con lui – Patrick e Fabio – sembravano non essersi accorti dell’inganno, altrimenti lui era certo che l’avrebbero spifferato ai quattro venti. Non che loro si interessassero della sua vita, ma Leonardo temeva ogni tipo di giudizio; per questo teneva gli occhiali ben riposti in un cassetto che chiudeva a chiave prima di uscire, premurandosi poi di nascondere anche quella.

A un’attenta analisi, Leonardo era piuttosto certo che i suoi coinquilini non si struggessero dal desiderio di scovare un suo imbarazzante segreto per ricattarlo – in modo da ottenere cosa, poi? – però la sua connaturata timidezza e l’ansia di essere ignorato da tutti lo spingevano a farsi una cattiva idea del mondo che lo circondava. Lui lo chiamava “sistema di autodifesa”.

In fondo, cosa sapevano di lui Patrick e Fabio?

Che, avendo cominciato la scuola un anno prima rispetto ai suoi coetanei, si trovava a seguire il primo anno della laurea magistrale in Lettere e filosofia dell’Università di Roma Tre – avrebbe potuto essere già al secondo anno, se solo eventi inaspettati non lo avessero tenuto lontano dalla laurea per diversi mesi – e che aveva preso una camera singola in affitto vicino alla facoltà, perché la casa dei suoi genitori era nelle Marche.

Che passava gran parte del tempo davanti al computer, lottando con la connessione che dava problemi all’intero condominio, e che non andava a letto finché non aveva finito di vedere le consuete cinque puntate della serie tv del momento – o almeno lo potevano dedurre dalla luce accesa fino a tardi nella sua stanza.

Che mangiava spesso fuori casa e che la mattina, prima di andare a lezione, si svegliava sempre alle otto e stendeva con un coltello da Nutella la marmellata di fragole su tre fette biscottate.

Mentre lui cosa sapeva dei suoi coinquilini? Che condividevano una doppia, che Patrick era uno studente inglese in Erasmus giunto a Roma a settembre e che Fabio era il pugliese che aveva preso il posto della storica coinquilina di Leonardo.

Rabbrividì, ripensando a Elena.

“Dovrebbero scrivere sul regolamento del condominio: ‘Niente storie d’amore tra coinquilini, soprattutto se una dei due è una pazza scatenata della peggior specie.’”

In conclusione, Patrick e Fabio non sapevano molto di lui e Leonardo era lieto di poter dire la stessa cosa su loro: non gli interessava farsi gli affari altrui, ma solo vivere in pace e in armonia. Cosa che finalmente, dopo tre anni, aveva cominciato a fare.

Alle sei decise di alzarsi dalla scrivania e fare un salto al Vecchio Mangaka; c’era ancora un’ora prima della chiusura e Leonardo sentiva di doversi premiare per la costanza nello studio di quel giorno. Ripose gli occhiali, nascose la chiave del cassetto in una scatole per le scarpe e indossò la felpa degli Stark sopra alla maglietta degli Stark. Molti avrebbero detto che il suo guardaroba fosse monotono, ma solo perché non avevano visto il suo tatuaggio.

Degli Stark.

Uscì di casa e percorse le poche centinaia di metri che lo dividevano dal negozio di fumetti, ripassando mentalmente ciò che aveva letto negli appunti.

«Ciao, Matteo.»

Non ottenne risposta, se non un rapido cenno del capo: Matteo doveva essere indaffarato con qualche pacco che sembrava non essere giunto a destinazione, perché faceva avanti e indietro tra le due sale del Vecchio Mangaka senza che ci fosse alcun cliente.

«Posso usare il computer?» gli chiese.

“Spero di aver usato il giusto tono di voce. Non vorrei approfittare della connessione, però… Se ci fosse stato Giovanni sarebbe stato più semplice…”

Matteo si fermò e lo fissò con astio.

«Per favore» aggiunse Leonardo, avvertendo uno strano calore percorrergli il collo.

Per tutta risposta, Matteo scrollò la testa e lo fissò di nuovo, ma con un’espressione confusa. «Che mi hai chiesto?»

«Posso usare il computer, per favore?»

«Ah, sì, certo! Fa’ pure.»

Leonardo non sapeva che il rosso di cui si era colorato il suo volto sarebbe diventato un rosa pallido quando avrebbe aperto Facebook. E visto le notifiche. E guardato le novità nel suo gruppo di cosplayer.

«Ehi, ora lavori qui, elfo di merda?»

Quelle parole di scherno lo riportarono alla realtà – doveva aver fissato con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta lo schermo del computer per diversi minuti – ma Leonardo non si offese, troppo abbattuto per rispondere in qualsiasi modo a Stefania, che lo osservava dall’altra parte del bancone.

Si lasciò cadere addosso allo schienale della sedia.

«Sono rovinato.»

«E quindi ti sei cercato un lavoro?»

«No, intendevo… Merda, sono rovinato.»

Stefania, dietro gli occhiali dalla montatura rossa, sollevò un sopracciglio. «Wow, non credevo sapessi certe parole. Che stai dicendo?»

Leonardo si portò una mano alla fronte, senza preoccuparsi di darle una risposta adeguata: non voleva parlare, voleva solo passare il resto della giornata sotto le coperte mangiando cereali al cioccolato e giocando alla Xbox.

«Elfo

«Che c’è?!» sbottò Leonardo, facendola sussultare.

«Almeno fammi pagare questo manga.»

«Non lavoro qui!»

«E per fortuna, altrimenti Giovanni e Matteo avrebbero perso tutta la clientela. Muoviti, devo tornare a casa a finire la seconda stagione del Trono

“Ecco, infierisci! Possibile che sia così malvagia da attaccarmi anche senza rendersene conto?”

«Mi devo sbrigare,» continuò Stefania, battendo nervosamente i piedi a terra, «se voglio essere pronta per la terza stagione.»

Leonardo non riuscì a reprimere un singhiozzo disperato. Stefania sgranò gli occhi e corse dietro al bancone, scansando il ragazzo e facendolo cadere a terra per guardare il monitor.

«L’hanno sospeso?!» esclamò, fuori di sé. «Non può… non deve essere! E cos’è questa pagina? Metti le news, muoviti!»

«Da terra?» Leonardo cercò di darsi un contegno, sebbene fosse difficile dopo avere avvertito sulla guancia il freddo del pavimento. «Non c’entra niente la serie, si tratta del Romics.»

«Del Romics?» Stefania aggrottò la fronte. «Non sapevo ci fosse uno stand come a Lucca.»

«Non è quello il punto… cioè, quasi. Proprio perché i cosplayer ufficiali non saranno al Romics, noi avevamo pensato di portare i costumi di Game of Thrones

«“Noi”?»

«Il gruppo di cosplayer con cui vado alle fiere ogni anno. Il mio vestito era pronto da mesi, ma… maledizione, alcuni hanno dato buca e ora è un disastro, non possiamo fare il contest!»

«Quanti siete?»

«Trentasette, senza contare gli assenti.»

«E allora qual è il problema?»

«Mancano Ditocorto, le sorelle Tully… e Ned.»

«Cavolo.»

Leonardo si stupì che Stefania avesse compreso la sua situazione, ma poi pensò che poteva essere anche lei una cosplayer. Ed ebbe un’idea.

«Fallo tu.»

«Chi, Eddard Stark?!»

«No, un altro personaggio… Lysa.»

Stefania lo soppesò con lo sguardo. «Perché proprio lei?»

«Perché hai il fisico adatto, mentre Cat…»

Poi si accorse di essere sul punto di fare un’enorme gaffe. “Mentre Cat è magra” concluse mentalmente.

Stefania però rifletteva. Non sembrava essersela presa per la sua osservazione; al contrario, quando tornò a guardarlo si complimentò con lui.

«Credevo fossi uno di quelli eretici che seguono solo la serie tv. Lì Lysa Tully è piuttosto secca.»

«Allora… pensi di poter venire?»

«Oh, sì, elfaccio del Nord. Ho un solo problema: non so cucire. Dovrò chiedere a mia madre se…»

«Posso aiutarti io.»

Stefania lo osservò, scettica. «A cucirlo?»

«Non dire che è una cosa da femmina, è che ho dovuto imparare per farmi da solo i costumi…»

«Non è da femmina, è da elfo. Dovevo capirlo subito.» Sospirò, poi lasciò qualche moneta sul bancone. «Questo è per il manga, dillo tu a Matteo, lo vedo più sconvolto di te. Quando mi porti il vestito?»

«Dovremmo farlo insieme. Sai, devo prendere le misure…»

Rivolse gli occhi al soffitto. «Ok, quando ci vediamo

«Giovedì pomeriggio a casa mia?»

Rimasero qualche secondo in silenzio.

«Va bene. Mandami l’indirizzo su Facebook.»

«Ehi, aspetta!» la fermò Leonardo prima che uscisse dal negozio. «Dobbiamo trovare anche gli altri cosplayer!»

Stefania gli rivolse un ghigno. «Li abbiamo già trovati.»

 

 

«E questo è quanto.»

Quando Matteo finì di parlare, Giovanni dovette convenire che qualcuno fosse più incasinato di lui; forse non nell’immediato – anche se le paure del suo amico si sarebbero concretizzate quel venerdì – e forse i problemi di Matteo riguardavano il passato, ma Giovanni come lui aveva pensato che si trattasse di un capitolo chiuso.

“I problemi tornano sempre a galla” si disse, prima di alzare una mano per ordinare un’altra birra.

Uscire, andare in un pub, mangiare e dimenticare gli ultimi giorni: Giovanni aveva sperato che potesse servire, anche se poco, ad alleviare il vuoto che avvertiva nello stomaco; tuttavia Matteo si era presentato in preda al panico, ancora sconvolto dalla notizia del giorno precedente.

«Non so come risolvere la situazione» riprese Matteo, torturandosi le dita. Di fronte aveva un’enorme fetta di torta al cioccolato, ma lui sembrava non vederla. «Dovrò rimandare la sessione, è il minimo…»

«Devi per forza?»

Sgranò gli occhi. «Non posso mica rischiare che si sappia in giro! No, devo rimanere chiuso in casa questo fine settimana, o uscire lontano da sguardi indiscreti.»

Giovanni annuì. «Hai ragione. Ti coprirò io in fumetteria sabato; potrei anche assumere Leonardo solo per qualche pomeriggio, ho saputo che ha bisogno di un lavoro.»

«L’hai saputo o hai visto la valanga di manga che ha fatto mettere da parte?»

Il suo sorriso durò solo mezzo secondo e Matteo si diede un colpo sulla fronte.

«Sono un idiota, scusami. Avevo dimenticato la… L’avevo dimenticata.»

Giovanni sbuffò. «Puoi dirlo, sai? Fa più male esserci in mezzo, che nominare la separazione.» Rimase in silenzio per qualche istante prima di raccontare al suo amico cosa fosse successo il giorno prima. «Ci sono state brutte sorprese per entrambi: Cate si è presentata al negozio, ieri.»

«Che voleva?»

«Un “acconto” su quello che otterrà dalla separazione, un servizio da tavola per presentare al nuovo fidanzato lo straordinario timballo della madre.»

Matteo sgranò gli occhi. «Che cosa?»

«Lo vuole presentare ai suoi, a quanto pare.»

La voce di Giovanni era calma e lui si ritrovò a desiderare con tutto se stesso che fosse solo un sistema di difesa per non far percepire a Matteo la rabbia che stava provando; però dovette ammettere di non sentire niente. Era davvero calmo, doveva sforzarsi per riuscire a immaginare il collo dell’amante di sua moglie nella stretta delle sue mani.

Dovette ammettere che non gli interessava poi molto. Aveva smesso da tempo di amare Cate e allora perché ingelosirsi per un fatto del tutto naturale? La verità era che si stava confidando con Matteo perché di norma, in situazioni analoghe, il marito ferito si comportava così.

«Quindi hanno deciso di portare avanti la relazione?» riprese Matteo. Giovanni non sapeva quante volte avesse ripetuto quella domanda, ma si accorse dal suo sguardo che non era la prima.

«A quanto pare sì.»

«Forse è meglio così.»

Parole di circostanza, eppure Matteo aveva ragione: se proprio Cate aveva dovuto tradirlo, era più consolatorio sapere che lo avesse fatto per amore.

“Lo faccio per amore.”

Doveva ricordarsi di maledire Leonardo per averlo contaminato. Giovanni si trovava a proprio agio nel suo mondo popolato da mecha, Munchkin e musica classica, che bisogno c’era di influenzarlo ulteriormente con la saga fantasy più in voga nel Sotterraneo del Drow?

“E non solo lì” dovette correggersi.

Probabilmente, però, una parte della colpa era anche di Marta e della sua mania di fare della propria vita un’enorme citazione. I clienti del Vecchio Mangaka lo stavano trasformando in uno di loro.

«Gianni?»

Sussultò, ritrovandosi faccia a faccia con la torta di Matteo. Ecco, ora aveva perfino le visioni!

«Tutto a posto? Nei limiti, intendo» gli chiese una voce poco simile a quella di un dolce al cioccolato.

Giovanni si strofinò il volto con la mano, cercando di tornare alla realtà. «Non lo so» ammise.

Il vuoto nello stomaco continuava a tormentarlo, ma la causa era l’assenza di qualsiasi risentimento.




QUINTO CAPITOLO

 

Il titolo è una citazione di Una mamma per amica.

 

MARTA:

- “So riconoscere il sarcasmo, non hai bisogno di andare in giro con un cartello”: riferimento a The Big Bang Theory.

- “Avresti potuto cercare un Angelo e farti portare indietro nel tempo”: riferimento a Doctor Who e ai Weeping Angels.

- TARDIS: riferimento a Doctor Who.

 

LEONARDO:

- Stark: casata di Game of Thrones.

- Ned: “protagonista” della prima stagione di Game of Thrones.

- “Elfaccio del Nord”: gli Stark controllano il Nord.

 

GIOVANNI:

- “Lo faccio per amore”: citazione di Jaime Lannister, Game of Thrones.




SPAZIO AUTRICE

 

Dovevo aggiornare presto. DOVEVO AGGIORNARE PRESTO. Ma, vi assicuro, questa volta non è “completamente” colpa mia: il computer mi aveva piantato in asso e, dopo giorni nell’ansia di dover riscrivere il capitolo da capo (ero arrivata a metà), mi è arrivata la buona notizia che non c’era bisogno di formattarlo.

Cercherò di aggiornare ogni lunedì, se possibile; se è troppo presto per voi, posso aggiornare ogni dieci giorni.

E ora al capitolo!

Prima di tutto, volevo scusarmi per i “merda” volati ogni tanto, ma volevo rendere più realistica la storia (Stefania è un po’ volgare, se la persona che ha di fronte non le ispira simpatia, mentre Leonardo in situazioni tranquille è un ragazzo educato).

Seconda cosa, mi sono resa conto di citare in continuazione DW e GOT. Dovrei trovare una soluzione… ma non posso certo, dopo l’ultima puntata di DW! *piange per sempre*

Cosa pensate dell’andazzo della storia? Personalmente mi sto affezionando a Roberto, mentre credo di non essere ancora riuscita a delineare bene Matteo; Giovanni, però, è quello che mi dà più problemi, ma sto pensando di “legarlo” a scene con altri per non lasciarlo in un angolo per interi capitoli!
Ho appena creato un gruppo su Facebook dedicato alla long, Gli eroi di Sandpoint, dove dare tutte le informazioni relative alla storia (nuovi capitoli, ritardo negli aggiornamenti, anticipazioni…). Se volete iscrivervi, ne sarò contenta ^^ Mi fa piacere sapere chi la sta leggendo!

Grazie ai lettori, ai recensori, a chi l’ha messa tra le preferite e a chi tra le seguite, a Dark Aeris che mi beta e ad Andre che mi legge :3

 

Medusa


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Capitolo 6
*** Amore è una parola grossa. Mica tanto, sono cinque lettere ***


Amore è una parola grossa. Mica tanto, sono cinque lettere

Matteo aveva sonno.

Aveva provato con tutto: due tazze di camomilla, un pacco di Gocciole, una puntata in lingua originale di Naruto – ma aveva dimenticato che guardare qualcosa che lo disgustava non gli metteva noia, bensì lo teneva ancora più sveglio, facendogli perdere le staffe. Non era servito niente, continuava a tenere lo sguardo fisso al soffitto bianco della sua camera, gli occhi arrossati per la stanchezza. Controllò l’ora sul cellulare.

Le due e mezza.

Le due e mezza e lui si ostinava a non prendere sonno! Matteo era sempre stata una persona mattiniera e amava andare a dormire presto – non oltrepassava quasi mai il primo giro d’orologio dopo la mezzanotte e quando lo faceva crollava sul tavolo della cucina, con Torchwood inserito nel lettore DVD. Quando si risvegliava il capitano Jack era tornato dalla morte, ancora.

Sapeva, però, cosa lo tenesse ancora sveglio. Ogni volta che abbassava le palpebre per più di tre secondi, nella mente si formava la sua immagine nel periodo peggiore della sua vita – quando lo aveva trascinato con sé nel buio; sentiva piangere nella stanza di fronte alla sua, ma quando riapriva gli occhi e, di malavoglia, correva a controllare, il pianto cessava e nella camera ormai vuota non c’era nessuno da consolare. Tuttavia non fingeva mai di non udire niente, preferiva accertarsi dell’assenza di altre persone in casa.

Aveva chiamato, quel pomeriggio. La sua voce era agitata e sembrava che… Già, lo sembrava davvero, Matteo ci avrebbe scommesso. Lui aveva avvertito più di un pugno nello stomaco, una raffica che nemmeno un monaco di dodicesimo livello sarebbe riuscito a infliggergli; si era sentito affranto per ciò che aveva immaginato fosse accaduto e, inaspettatamente, lo aveva colpito anche la notizia che quel venerdì avrebbe potuto masterizzare la nuova campagna. Faceva male, perché dopo l’agitazione iniziale si era abituato all’idea di passare il fine settimana – il giorno di Pasqua – in compagnia.

Avrebbe potuto anche organizzare un bel pranzo pasquale, cucinando per le persone a cui, un tempo, aveva tenuto tanto – un tempo oscuro, da dimenticare, un periodo che l’aveva messo a dura prova e si era preso più volte gioco di lui. Non aveva voluto dirlo nel corso della telefonata, ma aveva già comprato una colomba e un uovo di Pasqua al cioccolato fondente; si era assicurato che potesse contenere una bella sorpresa e, per precauzione, sulla strada del ritorno aveva acquistato anche un regalo.

«Non cambierà mai, Matteo.»

Quando Giovanni, fissandolo con serietà, gli aveva detto quella straziante verità che lui tentava di tenere nascosto a se stesso, Matteo gli aveva inveito contro, dandogli dell’idiota, urlandogli che lui non ne poteva sapere niente e che doveva pensare solo alla sua perfetta vita con Caterina, invece di rompergli le palle. Il suo amico non aveva voluto discutere oltre, si era limitato ad abbassare il capo, sconfitto, e a lasciare il pub dove si erano visti; sul momento Matteo credeva di avere ottenuto una vittoria, ma prendersela con qualcuno lo aveva fatto stare bene solo fino alla mattina successiva. Per sua fortuna Giovanni non amava serbare rancore: lo aveva accolto in casa quando lui aveva capito quanto avesse ragione, aveva lasciato che si sfogasse e piangesse anche su quel divano bianco che era stato il primo acquisto della famiglia Nizzi. Se ci pensava, Matteo provava vergogna, non tanto per i singhiozzi e le lacrime che aveva mostrato al suo amico, quanto per essere stato tanto stupido e fiducioso.

E – si odiava per questo – a distanza di anni si era scoperto a sperare di nuovo.

«È saltato tutto, non serve che venga a Roma venerdì.»

«Perché? Hai…?»

«Devo per forza aver fatto qualcosa io?!»

«No, scusami, non intendevo…»

«Mi sembra giusto, no? Chi sbaglia una volta deve per forza sbagliare per sempre!»

«Ascolta…»

«Non pensavo che fossi così!»

«Mi faceva piacere vedervi!»

«Vaffanculo te e fanculo anche le tue cazzate! Ci hai buttati tu fuori dalla tua vita, che cazzo vuoi adesso?!»

Matteo seppellì la faccia nel cuscino, cercando di trattenere la rabbia: non doveva permettersi di spaccare ancora un’altra cornice, aveva già distrutto sette miniature e la sedia della scrivania. Doveva contenersi, non poteva lasciare che tornasse a oscurare la sua vita anche a chilometri di distanza. Serrò le palpebre e cercò di dormire, ignorando i singhiozzi provenienti dalla stanza di fronte.

Il pianto continuava, incessante, anche dopo diversi minuti; Matteo era certo di essere entrato nel dormiveglia.

Si stava facendo più basso, ma sembrava cullarlo, seguendo un ritmo. Un ritmo fin troppo simile al tema di Dead Space.

Che era anche la suoneria del suo cellulare.

Lo cercò a tentoni sul comodino, agitandosi all’idea che potesse chiamarlo di nuovo. Quando lo trovò tirò un sospiro di sollievo e allo stesso tempo sentì una stretta agguantargli lo stomaco, in un tripudio di emozioni contrastanti come quelle che avevano caratterizzato quel passato da dimenticare.

Marta.

Cosa poteva volere da lui a quell’ora? Erano quasi le tre! E si stava finalmente addormentando, maledizione.

Rispose automaticamente, senza riflettere, e subito se ne pentì.

«Mh… pronto?»

La voce che giunse dall’altra parte era gioviale e si distingueva a malapena dalle risate di sottofondo. «Matteo?»

Lui si sfregò gli occhi stanchi. «Marta? Cosa c’è?»

Marta rise, mentre una ragazza le gridava: «Dai, chiediglielo!»

«Dove sei?» domandò invece Matteo.

«Con una mia amica!»

«Dove, non con chi

«Non ti importa con chi sono?»

Sembrava urtata. E lui era stufo delle persone che si urtavano per una constatazione o una domanda del tutto normale.

«Sì, mi importa, perché se mi chiami alle tre di notte non posso che immaginarti in pericolo e preda di qualche maniaco!»

«Ti preoccupi?»

«E su, diglielo!»

Stava perdendo la pazienza. Se lo aveva chiamato per qualche sciocchezza…

«Ti va di uscire con me?»

«No, non mi va e non mi andrà mai, e ora lasciami in pace!»

Chiuse la chiamata e lanciò il cellulare, che si andò a schiantare contro una delle miniature miracolosamente ancora in piedi – almeno fino a un attimo prima – e si nascose sotto le coperte, augurandosi che nessuna pazza ubriaca o fuori di testa avesse ancora intenzione di guastargli il sonno.

 

 

«Oh, hai trovato la casa.»

«Pensavi fossi così idiota da perdermi?»

Leonardo la considerava una stupida, era evidente. O forse era lui troppo scemo da formulare un saluto decente come: «Benvenuta, entra pure.»

«Non intendevo…»

«Mi lasci entrare?»

Non aspettò una risposta, ma lo superò portando in braccio un cumulo di stoffe.

«Dove ci mettiamo?» urlò da quella che dedusse essere la cucina.

«Camera mia?»

Stefania lo fulminò con lo sguardo non appena Leonardo la raggiunse, ma dopo qualche attimo di riflessione decise che poteva andar bene. Annuì e aspettò che lui le mostrasse la strada.

«Stai per dirmi che non è un granché, ma è casa?» lo provocò, incapace di comportarsi gentilmente con il ragazzo. «Ti avverto che non ti dirò che è magnifica.»

Però dovette ammettere che lo era, o almeno un po’. Se solo il grigio e il nero degli Stark non avessero dominato l’intera stanza. Il letto era posizionato al centro della camera e sopra di esso svettava lo stemma della casa che-perdeva-un-membro-ogni-anno di Westeros – Stefania ebbe un moto d’orgoglio, come se fosse merito suo il dominio dei Lannister e la tragedia del Nord – mentre una delle pareti grigie a lato era occupata da una libreria nera colma di fantasy, DVD di Harry Potter e della prima stagione di Game of Thrones e una pila in apparenza interminabile di giochi per la Xbox, che giaceva in un angolo accanto al televisore.

«Dovresti sostituire il nero con l’oro» suggerì Stefania, abbandonando le stoffe sul letto. E il grigio con il rosso, direi. Cambia un po’ tutto, va’, ché è meglio.»

«Cosa sono?»

«Che ti sembrano, elfo senza il Nord? L’occorrente per preparare il costume.»

Leonardo parve combattere tra il desiderio di chiudere la porta per evitare eventuali intrusioni – quell’appartamento era troppo grande per una sola persona – e la consapevolezza che Stefania gli avrebbe rivolto un’altra osservazione tagliente. Effettivamente quella osservazione era già sulla sua lingua, pronta a manifestarsi, ma alla fine il ragazzo scelse di lasciare la porta spalancata. Si avvicinò alla scrivania e aprì uno dei quattro cassetti, estraendo un kit per il cucito, poi si sedette sul bordo del letto.

«Hai sempre un nuovo nomignolo per me?»

«Eh?»

In realtà Stefania aveva capito benissimo, ma voleva far pensare a Leonardo che ogni modo con cui sceglieva di chiamarlo fosse inventato al momento; al contrario si esercitava a casa, quando non aveva di meglio da fare, a dare soprannomi a tutti i suoi conoscenti. Quasi nessuno aveva ricevuto un nomignolo positivo.

Leonardo cambiò discorso. «Dobbiamo… beh, dobbiamo.»

«Dobbiamo cosa?» gli chiese Stefania, confusa.

Lui si guardò intorno, abbassò lo sguardo a terra e concluse: «Dobbiamo prendere le misure.»

«Pensi davvero che mi spoglierei davanti a te?» sibilò Stefania, fissandolo in cagnesco.

«Non usare il condizionale, dovrai farlo per forza. Mi dispiace, non vorrei, ma devo misurarti e…»

«Sei un idiota.»

«Pensi che mi faccia piacere vederti nuda?»

Stefania sgranò gli occhi, mentre un’ombra le attraversava il volto; Leonardo non sembrava essersi reso conto di ciò che aveva appena detto e questo confermò la sua ipotesi: non pensava di avere fatto una gaffe, avrebbe preferito davvero evitare di vedere la sua pelle strabordare dalle mutande.

«Ti fa schifo perché sono grassa?»

Fu il turno di Leonardo di fissarla con sorpresa. «No, ma… ecco… non ci avevo…»

«Non ci avevi pensato, certo» soffiò lei con rabbia.

«Sei una ragazza, non voglio vederti nuda!»

Stefania aggrottò la fronte, presa alla sprovvista da quell’esclamazione: il ragazzo era avvampato ancora di più e la guardava, in attesa forse che lo scagionasse da tutte le accuse.

«Scusa» si ritrovò inaspettatamente a chiedere.

“Non pensavo fossi ancora un bambino” avrebbe voluto aggiungere, ma forse il motivo della sua reazione era un altro e non voleva rischiare di essere lei a fare un’enorme gaffe. Estrasse un foglietto scarabocchiato dalla tasca e glielo porse.

«Sono le misure, le avevo prese a casa. Dovrebbero esserci tutte.»

Lasciò che Leonardo le leggesse, poi rovistò con lui nella montagna di stoffe.

Non passarono un pomeriggio tanto brutto come aveva temuto; Leonardo sapeva essere passabile quando svolgeva un lavoro, dimenticando perfino la sua timidezza. Tagliarono e cucirono per un paio d’ore – possibile che avesse anche una macchina da cucire in camera? – con il piacevole sottofondo della colonna sonora di Game of Thrones inserita nello stereo.

«Perché gli Stark?» chiese Stefania di punto in bianco, mentre Leonardo l’aiutava a controllare la lunghezza della manica.

«Eddard» rispose lui di getto, segnando con il gesso il punto in cui avrebbe dovuto tagliare la stoffa blu. «Mi piace che metta l’onore al primo posto.»

«Mettesse» lo corresse Stefania con un sogghigno. «Avrebbe dovuto farlo sempre: vai contro l’onore una volta e vedi come rotola la tua testa.»

«La colpa è vostra.»

Sollevò un sopracciglio. «Nostra?»

«Solo una Lannister parlerebbe così. È stato Joffrey a far uccidere Ned.»

Si strinse nelle spalle. «Qualche disgraziato può capitare in famiglia, ma noi abbiamo Tywin. Abbiamo Jaime. Tyrion

«Il nano?» ridacchiò Leonardo.

«Meglio nano che decapitato» ribatté Stefania, stizzita.

“Perlomeno abbiamo qualcosa in comune” dovette ammettere. “Peccato che tifi per gli Stark, un motivo in più per scannarci ogni volta che ci vedremo. Mi sa che farò fuori il suo mago domani sera, se non riesce a creare un vestito decente.”

«Vuoi qualcosa?» le chiese Leonardo, alzandosi dal letto e lisciandosi i jeans. «Una fetta di torta?»

«Un tè andrà bene.»

«Ma la torta è buona, l’ha fatta uno dei miei coinquilini…»

«Stark» lo riprese Stefania, indicandosi. «Mi hai vista?»

Leonardo avvampò e si passò una mano fra i capelli neri. «Un… tè, allora. Quale vuoi?»

«Quali hai?» Si alzò anche lei e lo precedette in cucina. «Fammi vedere.»

«Sono là, dietro le tazze…»

«Qui? Ah, no, ecco. Ehi,» esclamò, sollevando una tazza con il cervo dei Baratheon, «e questa? È dei tuoi coinquilini?»

Inaspettatamente, invece di risponderle balbettando o dirle che apparteneva a uno di loro, Leonardo le strappò la tazza dalle mani, livido in volto, e la rimise a posto. Poi abbassò lo sguardo, avvicinandosi mestamente al lavandino.

«Cos’era quello?» gli chiese Stefania, confusa.

«Una tazza.»

«Beh, sì, l’avevo notato. Cos’era quel gesto

Leonardo riempì un bricco d’acqua e lo mise sul gas, lasciando passare qualche secondo prima di rispondere evasivamente: «Apparteneva a qualcuno che l’ha dimenticata qui.»

“Come me” sembrava aggiungere con amarezza il suo tono piatto. Stefania non fece ulteriori domande, capendo di poter toccare un tasto molto delicato, e si sedette in attesa di un tè che, alla fine, non aveva neanche scelto.

 

 

A Roberto, dopotutto, piaceva lavorare in officina: suo padre era un bravo datore di lavoro che gli garantiva lo stipendio ogni mese, era divertente armeggiare con i motori e l’università – per grazia divina – non aveva mai fatto parte dei suoi piani. Certo, aveva detto a Marta che avrebbe desiderato frequentarla, ma c’era forse qualcosa di male nel farle provare un po’ di pietà per lui, costretto a lavorare quasi tutti i giorni dalla mattina alla sera nell’officina di famiglia?

Se avesse dovuto scegliere un motivo per cui detestare quell’impiego, sicuramente sarebbe stata la sensazione del grasso sulle mani che non accennava ad andarsene neanche dopo una doccia; sparivano i segni, spariva l’odore per lui nauseante, ma la consapevolezza di essersi sporcato non lo abbandonava. Non importava, in fondo: gran parte delle volte – e anche grazie ai due zii che lavoravano con loro – Roberto poteva prendere giorni di ferie senza che suo padre sbraitasse troppo. Aveva inoltre una scusa per non essere in grado di seguire le serie televisive del momento.

Già, non avrebbe scambiato il suo lavoro per qualsiasi università – a meno che non fosse frequentata solo da donne libidinose in attesa di un aitante venticinquenne pronto a soddisfare ogni loro voglia.

«Mamma voleva sapere se tua cugina viene a cena da noi» esordì suo padre, affacciandosi dalla seconda stanza dell’officina con il cellulare vicino all’orecchio.

Roberto si passò una mano sulla fronte sudata. «Alle otto e mezza come al solito» rispose. «E non chiamarla “cugina”.»

Detestava quando i suoi definivano così Viola. D’accordo, da un paio di anni sua madre si era sposata con uno dei cinque fratelli di Giuseppe Trani, ma Viola faceva parte della sua vita da… sempre? Avevano frequentato insieme la scuola materna, le elementari e le medie, dividendosi solo per le superiori; erano andati quasi ogni estate in vacanza insieme, e questo aveva contribuito a far conoscere i due futuri sposi; erano perfino nati nella stessa settimana e Roberto aveva scommesso che le loro madri fossero nella stessa stanza d’ospedale, per quanto Maria avesse più volte ripetuto al figlio di non avere conosciuto la madre di Viola prima di diversi mesi dalla loro nascita.

Viola sarebbe andata a cena da lui come ogni settimana anche se non fosse diventata la sua “cuginastra”, ma i suoi sembravano dimenticarlo in continuazione.

“E so bene perché” si disse Roberto, armeggiando con una Yamaha.

Amava il suo lavoro, ma quel giorno non vedeva l’ora di tornare a casa: era in officina dalle nove di mattina e si era già occupato di altre due moto, adesso l’unica cosa che desiderava era che arrivasse l’orario di chiusura per infilarsi sotto il letto con una bella scorta di hentai e Bohemian Rhapsody nelle orecchie, prima che Viola irrompesse nella sua stanza per conoscere le ultime novità.

Avrebbe voluto farlo, già, se solo le “ultime novità” non fossero improvvisamente apparse sul marciapiede che dava sull’officina. Marta stava controllando l’insegna e indossava una maglietta molto più carina di quelle che solitamente le vedeva addosso: nessun riferimento nerd, ma solo una scollatura che metteva in evidenza il suo piccolo seno. Nonostante avesse un debole per la quarta abbondante, Roberto pensava che la seconda misura di Marta lo stuzzicasse così tanto perché lo rendeva ai suoi occhi ancora più diverso di quello che lei si sarebbe aspettata – o, in altre parole, di quello che era realmente.

«Marta!» esclamò, passandosi l’avambraccio sulla fronte scoperta. Grasso, sì, ma un grasso che lo rendeva più appetibile a persone come Marta. «Che ci fai qui?»

Lei sorrise timidamente e, avvicinandosi, Roberto notò il solco delle occhiaie. «Ero all’università e ho pensato di passare.»

“Oh, piccola mia, devo insegnarti a dire bugie.”

Maglietta scollata: Marta non gli sembrava il tipo di ragazza che si recava alle lezioni così, soprattutto in una giornata tanto fredda.

Borsa: era troppo piccola per contenere un libro o anche solo un quaderno.

Occhiaie: la sera prima aveva fatto baldoria.

Roberto non leggeva Doyle, ma era piuttosto sicuro di aver fatto centro.

«Scusami, ti saluterei con un abbraccio, ma non voglio sporcarti.»

“Meglio enfatizzare di essere sudicio. Beh, non proprio sudicio, un po’ sporco. Quel che basta a far eccitare le donne.”

«Apprezzo il pensiero» disse Marta con un sorriso.

Roberto sorrise a sua volta e poi gridò al padre: «Vado a fare un giro!»

«No, non serve che ti allontani dal lavoro…» tentennò Marta. Si portò una mano alla bocca per torturarsi le unghie. «Volevo solo, ecco…»

“Strana reazione, qui c’è di mezzo qualcosa.”

«Non fa niente, tanto sono qui dalle nove. Vado un attimo in bagno a darmi una pulita, tanto ho dietro il cambio, e poi andiamo a berci un aperitivo, che ne dici? O passiamo in libreria, così ne approfitto per cercare un libro.»

«D’accordo.»

Mentre si allontanava verso il bagno, Roberto si disse che doveva inventare un titolo. Poteva ammettere che voleva portarla in libreria per farle passare un’oretta in uno dei posti che, a sentire i resoconti di Stefania, Marta preferiva, ma era più divertente farle pensare che fosse lui a doverci andare.

“Gusti in comune, anche se per finta.”

Afferrò il cellulare e mandò un sms a Viola: “Potrei fare tardi, pensa tu ai miei. Novità in arrivo!”

Le cose stavano andando meglio del previsto.


SESTO CAPITOLO

 

Il titolo è un dialogo di Skins.

 

MATTEO:

- Il Capitano Jack è il protagonista di Torchwood.

- Dead Space è un videogioco.

 

STEFANIA:

- Westeros è il continente occidentale in cui è ambientato Game of Thrones/ASOIAF.

- Rosso e oro sono i colori dei Lannister.

- “elfo senza il Nord”: gli Stark, all’inizio della saga, erano protettori del Nord. Erano, appunto.

- Baratheon: casata di ASOIAF.


SPAZIO AUTRICE

 

Ho aggiornato in mega-ritardo, (quasi) tutta colpa del POV di Stefania, che mi ha dato diversi problemi. Scusatemi, stasera comincio a scrivere il prossimo capitolo così da averlo già pronto!

Sto inserendo man mano nuovi personaggi e creando dei “misteri”… Forse niente di che, ma non volevo creare una storia piatta. Nel prossimo capitolo tornerà il gioco di ruolo: verrà narrato, in parte, ma non prenderà l’intero capitolo.

E qui invece ho citato in continuazione GOT, altro che DW. Ma di che altro posso far parlare Stefania e Leonardo, al momento? u.u

Viola, Viola… Sì, l’avevo già citata un paio di volte e sì, apparirà nel corso della storia, ma non sarà un personaggio fondamentale (perlomeno non lo è al momento).

Grazie per aver letto ^^

 

Medusa

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Capitolo 7
*** Che piacevoli i vuoti di memoria, il premio che si trova sempre sul fondo di ogni bottiglia di vodka ***


Che piacevoli i vuoti di memoria, il premio che si trova sempre sul fondo di ogni bottiglia di vodka



Quando Amy scese a fare colazione, la mattina seguente, trovò il gruppo immerso in una fitta conversazione con la proprietaria della locanda, Ameiko Kaijitsu. L’ex avventuriera, membro di una delle famiglie più potenti di Sandpoint, aveva offerto agli eroi della città vitto e alloggio per una settimana e ora le persone che avevano aiutato Amy a sconfiggere i goblin erano sedute attorno a un tavolo e pendevano dalle labbra della locandiera.

«Buongiorno» salutò la ladra con un sorriso.

Il primo a risponderle fu Robert, che immediatamente le fece posto sulla panca; il mago Jerle, invece, le rivolse uno sguardo poco interessato, mentre Ygritte si limitò a emettere un grugnito.

«La signorina Kaijitsu ci stava parlando di un fatto increscioso avvenuto questa notte…»

 

«Oh, andiamo!» scattò Stefania, roteando lo sguardo verso l’alto. «“Signorina Kaijitsu”? “Fatto increscioso”? Sei un guerriero o un paladino, tu?!»

Marta affondò la testa nelle braccia: non avevano ancora iniziato e già Stefania aveva trovato un pretesto per sbraitare contro qualcuno.

Per tutta risposta, Roberto sfoderò un ghigno divertito. «Un guerriero non conosce forse le buone maniere?» chiese, allargando le braccia.

Sapendo che sarebbe partita una discussione di almeno dieci minuti – Roberto era in grado di tenere testa a Stefania e lei detestava non avere l’ultima parola – Marta si tappò le orecchie e fissò il poster di Sine Requie che quel pomeriggio qualcuno aveva appeso alla parete. Le faceva ancora male la testa per tutta la vodka che aveva bevuto due sere prima, ma non era stupida: sapeva che il vero motivo dell’emicrania non era il dopo sbornia, bensì la consapevolezza di ciò che aveva fatto in preda all’alcol.

“Ho chiamato Matteo” si ripeté per l’ennesima volta, soffocando un sospiro di disapprovazione. “Gli ho chiesto di uscire con me. Ma come cavolo mi è venuto in mente?!”

Non ricordava con esattezza come si fosse svolta l’umiliazione, però aveva ben impresso il rifiuto di Matteo. D’accordo, era notte fonda – le pareva, almeno – e d’accordo, doveva essere stata insopportabile da ubriaca, ma le parole del ragazzo erano state fin troppo lapidarie. Per quel motivo il pomeriggio seguente si era recata da Roberto, con una maglietta che aveva sgraffignato a Teresa, da cui era rimasta a dormire; aveva scoperto che Roberto non era male, si era anche divertita in sua compagnia, forse voleva solo ripetere l’esperienza.

“O scacciare Matteo dalla mente, ammettiamolo.”

Possibile che dovesse umiliarsi ogni volta che perdeva la testa per qualcuno? Come quando aveva sedici anni… Per fortuna era passato del tempo da allora – parecchio tempo, considerate le differenze tra la se stessa di adesso e quella del liceo – e nessuna delle persone in quella stanza l’aveva conosciuta prima del cambiamento. L’istinto masochista, tuttavia, si ostinava a fare capolino di tanto in tanto, costringendola a comportarsi in modo stupido e affrettato.

Avrebbe preferito che il suo grande amore fosse un Silente, uno di quegli alieni di cui ci si dimentica non appena si distoglie lo sguardo; il problema, però, era che Matteo rimaneva lì, non importava quanti poster di Sine Requie fissasse, e lei non era il Dottore né River Song: non poteva distruggerlo.

 

«Questa notte la tomba del vecchio sacerdote è stata profanata» spiegò Ameiko. «E il corpo… sparito.»

«È orribile» mormorò Amy, avvertendo un brivido percorrerle la schiena.

«Non avete idea di chi possa essere stato?» domandò Jerle, abbassando il cappuccio rosso.

Ameiko scosse la testa. «Lo sceriffo non ha ancora arrestato nessuno. In realtà si chiedeva se voi…»

«Noi uccidiamo» la interruppe Ygritte. «Gli eroi non indagano.»

 

«Mi sembra ovvio: io non posso usare “increscioso”, ma il tuo barbaro conosce il verbo “indagare”!»

«Andiamo avanti» li riprese Matteo, prima che Stefania potesse aprire bocca. Era visibilmente infastidito, ma Marta non sapeva dire se per i continui battibecchi tra i due giocatori o per la telefonata notturna.

“Non mi ha ancora mai guardata” constatò. “Merda.”

 

«Non si preoccupi, Ameiko,» la rassicurò Amy, «possiamo pensarci noi.» Si avvicinò all’orecchio di Ygritte e sussurrò: «Ci sarà sicuramente un compenso, e poi potrai fare a pezzi gli sciacalli che hanno profanato la tomba.»

Il barbaro grugnì ancora, dando il suo assenso.

 

«Vi recate dallo sceriffo,» narrò Matteo, «che vi conferma ciò che Ameiko vi ha raccontato a colazione.»

«Gli chiedo se hanno trovato delle tracce, delle impronte di scarpe» disse Leonardo. «Potrebbero essere umani o goblin.»

«I famosi goblin che rubano cadaveri» sogghignò Roberto, facendo ridere anche Stefania.

Marta stava cercando di seguire il loro ragionamento – dei giocatori, non dei personaggi. Stefania si attaccava con Roberto, tuttavia era dalla sua parte quando la vittima degli scherni era Leonardo. La mente di una donna era contorta, ma quella di Stefania era un labirinto di Dedalo.

Mentre rifletteva, incontrò lo sguardo di Roberto, che gli sorrise complice, come se tra loro ci fosse un segreto che gli altri non avrebbero mai dovuto scoprire. Si riferiva al modo in cui le aveva parlato al Giardino degli Aranci o alle passioni e ai desideri che le aveva rivelato? O – Marta si sentì contorcere lo stomaco – alla relazione che c’era tra loro?

Quale relazione, poi? Erano usciti un paio di volte, niente di più, potevano definirsi “conoscenti che pianificano di diventare amici.”

“Che definizione del cavolo.”

Già, avrebbe potuto scacciare quell’ulteriore preoccupazione in pochi secondi, ma doveva ammettere che era corsa da lui dopo il rifiuto di Matteo, invece di tornare a casa e guardarsi un’intera stagione di Friends.

La situazione si faceva sempre più complicata.

 

Non appena gli eroi di Sandpoint ebbero varcato l’entrata della cripta, l’orrore si manifestò ai loro occhi: due scheletri giacevano accanto alle pareti, ma bastò la loro entrata per farli animare. Li attendevano, era certo.

«Amy, dietro di me!» esclamò Robert, mentre Jerle lanciava una palla di fuoco contro lo scheletro più vicino.

L’avversario fu preso in pieno, ma il guerriero dovette farsi avanti per annientarlo completamente. Amy tese la fionda e tirò il sasso, raggiungendo però solo l’orecchio di Robert. Lo scheletro ancora in piedi utilizzò la spada e graffiò l’armatura del guerriero, fortunatamente senza ferirlo.

Venne il turno di Ygritte, che tranciò in due il nemico, uccidendolo; come se non bastasse diede un calcio ai resti del suo corpo.

«Sei ferita?» chiese Robert a Amy, che scosse la testa.

«No, io… Scusami, non volevo colpirti!»

Il guerriero le rivolse un rapido sorriso. «Non è stato niente, può succedere.»

Jerle strappò il mantello dal primo scheletro, analizzandolo.

«Qualcuno è stato qui» notò Ygritte, dopo aver osservato le impronte che portavano fuori dalla cripta. «Non siamo noi e non possono essere stati gli scheletri… Sono impronte umanoidi.»

«Dobbiamo andare dal Gran Sacerdote.»

 

«Ci andiamo subito o perdiamo tempo ad analizzare il mantello?» chiese Stefania, incrociando le braccia dietro la nuca.

«Ehi, non è una perdita di tempo!» esclamò Leonardo.

«A proposito di perdere tempo, Ygritte,» ghignò Roberto, «ci hai messo un bel po’ prima di entrare in campo.»

«Non è colpa mia: dadi schifosi. E tu, invece? “Sei ferita?” Come devo ripetertelo? Sei un rozzo guerriero di provincia, non un paladino!»

«Siete voi barbari a essere rozzi, piccolina.»

Stefania avvampò. «Non chiamarmi…»

«Ninfadora» concluse automaticamente Marta. E, automaticamente, portò lo sguardo su Matteo per vedere se avesse colto la citazione.

L’aveva fatto, ma nell’attimo in cui i loro occhi si incontrarono il game master tornò a concentrarsi sul manuale, visibilmente irritato.

 

 

“Procede meravigliosamente” constatò Roberto, appoggiando la testa sulla mano in una posa sognante. “Dev’essere successo qualcosa che non so fra quei due… e devo approfittarne il prima possibile.”

L’unico neo del suo piano era l’ignoranza riguardo il motivo che spingeva Marta e Matteo a non incrociare gli sguardi: si erano sentiti, prima che lei comparisse davanti all’officina di Roberto? Sì, doveva essere così, ma cosa potevano essersi detti?

Detestava non saperlo, lo vedeva come un limite alla storia che aveva intenzione di scrivere, ma in fondo uno scrittore non viveva di immaginazione? Stava già cominciando la prima bozza ed era orgoglioso di come si stesse presentando: nemmeno un accenno al sesso e credeva che non ci sarebbe stato per diversi capitoli.

E nella vita reale?

“Beh,” pensò, soffermandosi sulle dita di Marta che si intrecciavano con i corti capelli rossi, “non vedo l’ora.”

«Quanto avete in carisma?» chiese Matteo, riportandolo alla realtà. Ah, ignaro game master, se solo avesse saputo cosa il destino – nome in codice: Roberto Trani – aveva in serbo per lui!

«Quattordici» rispose Marta.

«Nove.»

«Mh, ma dai? Non me lo sarei mai aspettato!» rise Roberto alla risposta di Stefania. «E tu, Leo?»

«Sedici.»

«Come al solito, gli elfi devono splendere sempre…»

«Roberto?»

Si dondolò sulla sedia, fingendo di non avere udito la domanda; poi, dopo qualche momento, rispose: «Diciotto.»

Per poco Stefania non sputò l’acqua che stava bevendo. «Diciotto? Ma sei un guerriero o cosa?!»

«Oh, piccola barbara…» Roberto rimase in silenzio, riflettendo rapidamente sul modo di approfittarne per far colpo su Marta. «Non giudicare in continuazione i guerrieri come se fossi una di noi. Tu non sai niente, Stefania Danesi.»

Notò di avere ottenuto l’effetto desiderato: Marta gli stava sorridendo, mentre Stefania, che doveva aver intuito il suo gioco, non replicò, ma si rivolse a Matteo: «A che ti serve saperlo?»

«Beh, questo è un gioco in cui bisogna interpretare, piuttosto che combattere.»

«Che noia.»

«E se è Robert il personaggio con maggiore carisma…»

 

«Siete… siete voi… gli eroi di Sandpoint?»

Roberto si voltò, sentendosi tirare un braccio: di fronte a lui, affannata e spaventata, c’era una ragazza per la quale l’aggettivo “meravigliosa” non sarebbe bastato. Lo fissava, agitata, senza curarsi dei seni che minacciavano di uscire dal vestito scollato.

«Calmatevi» tentò di tranquillizzarla il guerriero, posandole entrambe le mani sulle spalle. La ragazza parve rilassarsi a quel tocco. «Cos’è successo?»

«Mi chiamo Shayliss, sono la figlia del proprietario dell’emporio» si presentò.

«Il mio nome è Robert, e sono al vostro servizio.»

Shayliss azzardò un sorriso, tornando presto seria. «Robert, vi prego, venite con me! C’è qualcosa nella mia cantina che… oh, divinità…»

 

«Se proprio insiste…» Roberto si strinse nelle spalle. «Ok, la seguo.»

«Se fosse stata uno sgorbio non l’avresti aiutata» sbuffò Stefania.

“Certo che no” avrebbe voluto concordare Roberto, ma decise che non sarebbe stata la scelta più saggia in presenza di Marta.

«Prova a chiedermi aiuto.»

«Ygritte non lo farebbe mai.»

«Allora non lo saprai mai.»

«La donna,» riprese Matteo, «ti conduce alla sua abitazione…»

 

«Là sotto.» Shayliss indicò una porta aperta, dietro la quale si intravedeva una scala.

«L’avete lasciata spalancata?» chiese Robert, aggrottando le sopracciglia. «O la creatura è scappata?»

«No, è stata una mia dimenticanza…»

Sembra piuttosto calma, in quel momento, per una persona con un probabile mostro che girava per casa – forse si era già messo sotto le coperte. Robert cacciò quel pensiero e sguainò la spada, procedendo nel buio.

«Restate indietro.» Con la poca luce che filtrava dalla finestrella in cima alla cantina, il guerriero riuscì a riconoscere dozzine di scaffali su cui erano accatastati libri, erbe e vivande. Qualcosa gli scivolò accanto al piede, ma scoprì presto che si trattava di un innocuo topolino della grandezza di un bicchiere.

Si voltò per risalire e comunicare alla bella Shayliss che le sue paure erano immotivate, ma si ritrovò la ragazza alle spalle. Avrebbe volentieri messo la spada fra di loro, se solo una mano dalle dita affusolate non glielo avesse impedito, stringendoli il polso.

“Dev’essere una trappola” ebbe appena il tempo di pensare, prima che Shayliss posasse le carnose labbra sulle sue. “Oh, beh, al diavolo!”

Lasciò che la ragazza lo baciasse sul volto e sul collo, mentre gli toglieva l’armatura con esperta scioltezza; Robert le sollevò la gonna e indugiò con le dita sulle morbide cosce, finché…

«Che sta succedendo laggiù?!»

 

«Suo padre vi ha scoperti!» esclamò Matteo, facendo sussultare perfino il vero Roberto.

«Ma non è giusto!» protestò lui. Scrutò la pagina del manuale che il game master aveva di fronte. «Fa’ un po’ vedere l’immagine di questa… Oh, cavolo! Beh, è bella forte. Come ho potuto pensare che fosse un’innocente vergine in cerca d’aiuto?»

«Shayliss squittisce: “Cielo, mio padre!”»

Perfino Marta scoppiò a ridere per il tono in cui Matteo lo disse, mentre fingeva di coprirsi con una gonna invisibile.

 

«Oh, cielo, tuo padre!» gli fece eco Robert, sbrigandosi a riallacciare l’armatura e a correre oltre l’uomo che gli intralciava il passaggio.

«Chi sei tu? Che stavi facendo a mia figlia?!»

«Gran bella figlia» si complimentò il guerriero con un sorriso, prima di scappare dalla casa con il negoziante alle calcagna.

 

«Ma è accaduto veramente?» chiese Stefania, visibilmente disgustata. «Non pensavo avessi il gusto per l’osceno, master.»

«Non si tratta di volgarità, è Roberto che ha voluto giocarla così» si difese Matteo, agitando tra le mani una decina di dadi. Roberto non era sicuro se lo stesse facendo per puro sollazzo o se volesse tirarli per far cadere il cadavere di una viverna su Ygritte. «E ho solo seguito il manuale.»

“Sei così bravo a farti dare ‘ordini’, voglio vedere come ti comporterai con il mio piano.”

«D’accordo, d’accordo, credo di essere uscito indenne da lì,» esclamò Roberto, «ora possiamo continuare? Sai, master, temo che i miei compagni si stiano annoiando…»

 

 

Leonardo non si stava annoiando, era semplicemente infastidito dal modo di ruolare dei suoi compagni: chi di loro non stava interpretando se stesso? In fondo non gli interessava neanche più di tanto, ognuno era libero di giocare come preferiva, però trovava snervante alzare gli occhi dalla scheda del suo personaggio e trovarsi catapultato nella realtà tanto rapidamente.

E trovava snervante il reale carattere dei giocatori.

Nulla da dire su Marta, gli era sempre sembrata una brava ragazza, ma Roberto faceva il possibile per attrarla a sé, senza che Leonardo riuscisse a capirne il motivo; era abbastanza evidente che non provasse niente per lei, e allora perché continuare quella farsa? Gli dava fastidio anche il continuo bisticciare con Stefania che, di punto in bianco, si tramutava in alleanza quando l’oggetto delle battute era lui. Erano andati avanti così per tutta la sessione, attaccandosi e poi alleandosi, con uno scambio di sogghigni e sguardi divertiti che Leonardo non trovava affatto divertenti.

Il giorno precedente era stato bene con Stefania, aveva perfino scoperto che era in grado di rilassarsi – seppure per pochi minuti. In quei momenti, quando la sua fronte si stendeva e scomparivano i solchi simili a rughe che la rendevano arcigna e la invecchiavano di cinque anni, Stefania poteva essere una piacevole compagnia; tutto ciò durava poco, ma Leonardo aveva sperato in un cambiamento nel loro rapporto. Forse, stupidamente, si era in anticipo dato il merito di essere la prima persona a mettere Stefania Danesi a proprio agio.

«Jerle, che fai?»

La testa di Leonardo scattò in alto, mentre il ragazzo tentava di capire a che punto fossero della sessione. «Scusa, cos’è successo?»

«E il nostro bell’elfo si era perso nel mondo dei sogni!» lo canzonò Stefania, tirando un dado da venti facce. «Diciotto: a quanto pare avevo ragione, stavi pensando alla rossa che ha tentato di farsi Robert.»

«Avresti voluto essere al mio posto, eh? Ti capisco, ti capisco…» rincarò la dose Roberto. «Ma puoi pensarci una volta a casa, staresti anche più comodo.»

Quelle parole fecero ribollire il sangue nelle vene di Leonardo. Insinuare una cosa del genere su di lui? Si disse di stare calmo: loro non lo conoscevano – non così a fondo – e sbraitargli contro l’avrebbe solo fatto sembrare fuori di testa.

«Stavo riflettendo su chi abbia potuto depredare il corpo del sacerdote» rispose invece.

«Questa nuova conoscenza potrebbe aiutarci, forse» disse Marta, che Leonardo notò intenta a battere ritmicamente la punta della dita sul tavolo, come se fosse nervosa.

«Questa…?»

«Il conte Aldern Foxgrove,» spiegò Matteo, «l’uomo che vi ha invitati a caccia ieri sera.»

«Ah, è vero!»

«Siete appena giunti al Bosco delle Zecche…»

«Che nome entusiasmante!» esclamò Roberto.

 

Il conte si avvicinò al cavallo di Amy e le tese una mano per aiutarla a scendere.

«La ringrazio» sorrise la ladra, mettendo in pratica le doti carismatiche che aveva acquisito con gli anni e che le aveva già fatto guadagnare la fiducia di malcapitati avventori di Sandpoint.

«Non posso lasciare che roviniate il vostro bel vestito.»

Ygritte, alle loro spalle, grugnì e si lanciò giù dal suo cavallo, rischiando però di cadere contro il suolo: la sera prima, alla locanda della Lampreda dove avevano conosciuto il conte Foxgrove, mentre i suoi compagni si godevano la zuppa di astice lei si era cimentata nell’impresa di bere l’acqua della vasca vicino all’ingresso. A giudicare dal peso del sacchetto pieno di monete d’argento che aveva vinto, in molti dovevano averci provato, senza però riuscire a resistere dal fiondarsi in bagno prima di concludere la prova. Diversi clienti della locanda le avevano allora offerto da bere e andare a caccia dopo una sbornia non era la cosa più saggia che una persona potesse fare – ma lei era un barbaro, e i barbari non conoscevano la parola “saggezza”.

«Dov’è questo cinghiale che dobbiamo ammazzare?» chiese, estraendo lo spadone dal fodero che teneva sulla schiena.

«Non credo ci stia aspettando» le rispose Jerle, preparando arco e frecce. Era un mago, ma non amava girare disarmato, era ancora agli inizi e preferiva non rimanere senza incantesimi nel momento cruciale. «E non credo neanche che sia possibile cacciare con quell’arma.»

Ygritte si avvicinò e lo sovrastò. «Ho ucciso una viverna con Jiquireah, posso strapparci le budella a un cinghiale.»

 

Forse fu l’immagine di Stefania che torreggiava minacciosa su di lui a convincere Leonardo a chiudere lì il discorso.

«Ehm… Cacciamo, allora?»

Trascorsero due ore nel bosco alla ricerca di animali da portare ad Ameiko per ringraziarla del soggiorno offerto nella sua locanda e finalmente, quando i loro stomaci stavano iniziando a brontolare, erano riuscita a trovare e a uccidere un cinghiale – grazie a Robert, ma nessuno volle farlo notare a Ygritte. Strano, aveva pensato Leonardo, convinto che Roberto ne avrebbe approfittato per fare a Stefania qualche battuta sulla poca utilità che aveva avuto il suo personaggio; si accorse solo dopo che il ragazzo era troppo impegnato a studiare il modo in cui il game master, nelle vesti di Aldern, tentava suo malgrado di mostrarsi gentile con Amy.

Se n’era accorto anche lui: Matteo sembrava riluttante a rivolgere la parola a Marta e per tutto il tempo in cui il conte aveva cordialmente discorso con Amy i due non si erano mai guardati negli occhi. Stefania aveva poggiato la testa sul palmo della mano, rivolgendo uno sguardo sospettoso a entrambi.

Volevano forse darla a bere a qualcuno?

«Bene, direi che per oggi abbiamo finito qui» annunciò Matteo, chiudendo il manuale.

«Solo un misero combattimento e due – quattro idioti che flirtano?»

«I combattimenti arriveranno, Ste.»

«Uff, lo spero.»

Stavano mettendo tutti via le proprie cose quando Leonardo trovò il coraggio di poggiare una mano sulle spalle di Stefania. «Possiamo dirglielo ora» sussurrò.

«Bene, fallo» disse lei, ritornando a liberare il tavolo dai propri dadi.

“Sembra facile.”

Leonardo detestava parlare in pubblico e detestava ancora di più essere al centro dell’attenzione, per questo aveva contato sull’aiuto di Stefania – che, per la milionesima volta in quella serata, lo aveva deluso. Restò comunque in piedi accanto a lei, sperando così di non essere l’unico a cui i presenti avrebbero rivolto lo sguardo.

«Devo dirvi una cosa» dichiarò, dopo essersi schiarito la voce. Marta e Roberto lo fissarono, Matteo impiegò qualche secondo di più: sembrava che quella sera tutti fossero persi nei propri pensieri. «Io e Stefania stiamo partecipando a un gruppo di cosplay di Game of Thrones e… ecco… alcune persone hanno dovuto rifiutare per impegni dell’ultimo minuto. So che il Romics è alle porte, però ci chiedevamo se voi voleste…»

«Vi va di mascherarvi con noi?» concluse Stefania, probabilmente stanca della lentezza del suo discorso. «Leonardo non è troppo male a cucire.»

«È un’ottima idea!» esclamò Marta, battendo le mani. «Non ho ancora preparato niente, temevo di non poter venire in cosplay quest’anno.

«Ci sto anch’io» disse Roberto.

Matteo tentennò. «Non lo so, Leo… Non ho mai fatto un cosplay, credo che non mi sentirei a mio…»

«Oh, ma tu devi venire» lo interruppe Stefania, scoccando però un fugace sguardo a Roberto. «Sei perfetto per Ned Stark.»

Non fu tanto il tono imperioso della ragazza, pensò Leonardo, quando le sue parole a persuadere Matteo: lo vide spalancare la bocca e aggrottare le sopracciglia, riflettendo.

«D’accordo, proverò a farlo.»

«Ci dai la tua parola?»

«Lo farò.»

Raramente Stefania doveva avere avuto un’espressione tanto raggiante, sembrava essersi presa l’idea del cosplay più a cuore di lui. «Bene, Roberto, tu sarai Ditocorto!»

«Un ruolo perfetto per me.»

Stavano uscendo dal Sotterraneo del Drow quando Marta chiese: «E io?»

Leonardo, che aveva silenziosamente delegato a Stefania il compito di assegnare i ruoli, la sentì rispondere distrattamente: «Oh, giusto. Tu sarai Catelyn, la moglie di Ned.»

Senza capirne il motivo, Leonardo notò allo stesso tempo le espressioni spaventate sui volti di Matteo e Marta e lo scambio d’intesa fra Stefania e un soddisfatto Roberto.


SETTIMO CAPITOLO

 

Il titolo è una citazione da The Big Bang Theory.

 

MARTA:

- Silente e River Song: personaggi di Doctor Who.

- “Non chiamarmi Ninfadora”: citazione di Harry Potter.

 

ROBERTO:

- I punteggi delle caratteristiche (come in questo caso il Carisma) possono, alla creazione del personaggio, arrivare a un massimo di 18/20.

 

LEONARDO:

- Ditocorto (Petyr Baelish), personaggio di ASOIAF, è stato innamorato fin da ragazzo di Catelyn Tully Stark.

 

 


SPAZIO AUTRICE

 

Prima di tutto mi scuso per il ritardo pazzesco. Poi mi scuso ancora, perché il prossimo capitolo non arriverà prima di tre settimane: ho deciso di rivedere tutto dall’inizio, di segnarmi ogni dettaglio e di farmi un breve riassunto dei futuri capitoli, perché altrimenti rischierei di far avvenire certe situazioni prima di altre (oltre a perdermi diversi particolari, ché ho una memoria terribile); da quel momento in poi, aggiornerò ogni due settimane, perché è una “maratona” per me (e per voi che seguite la storia) postare ogni settimana – e non ci riesco mai.

Passando al capitolo, mi dispiace che sia proprio questo a collocarsi nel mezzo della pausa: non sono andata avanti di molto con la narrazione – diciamo per niente – ma ho voluto parlare anche del gioco di ruolo, avendo esso dato il titolo alla storia; si ripeterà, ma probabilmente prenderà lo spazio di un solo POV (e non di tutto il capitolo, come in questo caso).

Spero che vi sia comunque piaciuto, alla prossima! ^^

 

Medusa

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Capitolo 8
*** Quando si è in guerra la regola è mai ritirarsi, mai arrendersi ***


Quando si è in guerra la regola è mai ritirarsi, mai arrendersi



Le fiere del fumetto erano sempre state eventi irrinunciabili per gli avventori della Collina del Vecchio Mangaka e del Sotterrano del Drow: il Romics, che per la seconda volta nel giro di pochi mesi aveva allestito con bancarelle e tavoli da gioco i padiglioni della Nuova Fiera di Roma, attirava curiosi, famiglie con bambini e a volte perfino turisti che volevano godersi un aspetto differente della capitale italiana, ma a riempire i cortili esterni e gli spazi tra un espositore e l’altro erano loro, i cosplayers.

Era piuttosto frequente incontrare tre persone travestite dallo stesso personaggio e così i vari Sasuke, Dante e Usagi si scambiavano complimenti sugli accessori utilizzati o sguardi di fuoco per avere avuto la stessa idea. Tra gli stand curiosavano perlopiù appassionati, nerd e otaku, ma la vera attrazione della fiera erano i cosplayers che posavano o più semplicemente camminavano fuori dai padiglioni, mostrando ai presenti l’accuratezza dei loro abiti; lo scontro si faceva più intenso la domenica, in occasione della sfilata e dell’assegnazione dei premi. Ed era proprio a uno di quelli – il premio per il miglior gruppo – che gli oltre quaranta cosplayers di Game of Thrones stavano mirando.

In quei quattro giorni di fiera Stefania aveva notato un’abbondanza di Daenerys Targaryen, dovuta forse alla facile reperibilità della parrucca, oltre alla sopravvalutata visione del suo personaggio. Forse perché facente parte di una delle fazioni avversarie, Stefania non riusciva a farsi andare a genio personaggi ritenuti “epici” come Daenerys, Jon Snow e Arya Stark; Tyrion Lannister, invece, lui sì che poteva valersi di una fama e un’ammirazione meritate. Nel gruppo di cosplayers in cui Leonardo aveva trascinato i suoi compagni di gioco c’era una sola Daenerys, e Stefania era stata lieta di constatare quanto fosse in linea con il suo personaggio – perlomeno era bionda e le sopracciglia chiare non stonavano sotto la parrucca platino. Non era al contempo soddisfatta del ragazzo esile e brufoloso nelle vesti dello Sterminatore di Re né dell’uomo decisamente sottopeso rispetto a Robert Baratheon; nel complesso, però, dovette ammettere che gli amici di Leonardo avevano fatto un buon lavoro, allo stesso modo in cui lui l’aveva fatto con il vestito di Lysa Tully.

In molti avevano chiesto a Stefania di scattare una foto, mentre girovagava interessata tra gli stand dei manga, e altri l’avevano fermata solo per complimentarsi della perizia con cui era stato cucito l’abito; lei aveva abbozzato un sorriso compiaciuto, ma non aveva mai accennato a chi l’aveva aiutata a preparare il cosplay.

Portandosi una mano poco sotto la fronte per coprirsi da un insolito sole di inizio aprile, Stefania cercò Leonardo con lo sguardo: lo trovò dopo qualche secondo immerso in una discussione con Margaery Tyrell e Jon Snow; parlava gesticolando, in un modo che lo rese ancor più vicino a Matteo di quanto lo fosse il cognome Stark temporaneamente condiviso, e sul suo volto era da giorni dipinto un sorriso eccitato. Si ritrovò anche lei a muovere le labbra in una smorfia divertita. Per tutta la durata del Romics, Leonardo non aveva dato alcun segno dell’usuale timidezza; probabilmente era l’appartenenza a quel mondo a renderlo tanto spensierato, ma se era così allora come mai stentava a prendere la parola anche quando si trovava in mezzo a giocatori di ruolo e amanti dei fumetti? Possibile che, all’università, fosse ancora più silenzioso di quanto si fosse mostrato al Sotterraneo del Drow? Forse stava soltanto interpretando il “Re del Nord” come richiesto dal suo costume da Robb Stark e non poteva permettersi di lasciar vincere la timidezza.

«Ehi, scusa, possiamo farti una domanda?»

Stefania si voltò verso la fonte della voce, trovandosi davanti due ragazze che dovevano avere un paio di anni più di lei. Annuì, credendo volessero informazioni sul suo costume.

«Fai parte di quel gruppo?» proseguì quella che aveva già parlato, alta e dal sorriso splendente. Stefania ebbe un moto di disgusto solo a guardarla.

«Sì. Siete qui per le iscrizioni alla sfilata? C’è stato qualche problema?»

«Oh, no» ridacchiò la seconda, nascondendo i denti da cavallo con una mano. «Volevamo sapere se conoscevi Leonardo Sabatino. Ci è sembrato di vederlo.»

Stefania si accigliò. «Perché?»

«Beh, sai… Ne abbiamo sentito parlare, è un tipo piuttosto… strano, ecco tutto.»

Altre risate che la fecero irritare. Diamine, quanto detestava le ragazzine immature! Alzò gli occhi al cielo e fece per andarsene, quando una delle due le poggiò una mano sul braccio.

«Ti abbiamo fatta arrabbiare? Scusa, non credevamo fossi il suo tipo…»

«Non sono la sua ragazza» replicò Stefania, stanca di ascoltare il loro stupido belare. Ripensando all’ultima frase della “bella ragazza” e credendo alludesse alla sua stazza, le scoccò un’occhiata furente. «E quale sarebbe il suo tipo, sentiamo?»

«Uhm… direi le ragazze minute che anche dopo la rottura continuano a mettere in guardia future vittime» spiegò l’altra, improvvisamente più seria. «Perciò, se ti interessa sapere il suo tipo per conquistarlo, “sta’ alla larga da quel bastardo.”»

Senza aggiungere altro si allontanarono entrambe, limitandosi a farle un cenno di saluto con la mano. Stefania rimase immobile, impegnata a riflettere su quelle parole, poi spostò lo sguardo su Leonardo.

“‘Bastardo’, quello là?”

«Ehi, Ste, siamo richiesti al padiglione della sfilata!» esclamò “Jaime Lannister”, passandole accanto.

Stefania lo seguì mentre radunava gli altri componenti del gruppo. «Non dovrebbe cominciare fra due ore?»

«Sì, ma prima vogliono farci qualche foto. Accidenti, dove si sono cacciati quelli che Leonardo si è portato dietro?»

«Ditocorto è là» disse, indicando con un cenno del capo Roberto, che stava chiacchierando con alcune cosplayer di Madoka Magica. Si guardò intorno alla ricerca di Marta e Matteo, maledicendo Roberto per avere abbandonato il suo obiettivo. E per cosa, poi? Per abbordare delle ragazze che di cosplayers avevano ben poco?

O forse era proprio quello il suo scopo, lasciare finalmente soli quei due. Stefania aveva notato, nei giorni precedenti, che Roberto si era raramente allontanato da Marta, con la quale cercava di intavolare più discorsi possibili; forse scomparire per un po’ dalla sua vista faceva parte del suo piano. E forse Matteo aveva deciso di farsi…

No, si interruppe, non aveva deciso di farsi avanti proprio per niente: lo vide spuntare da uno dei padiglioni, solo, con una grossa grafic novel in mano; pochi minuti dopo, Marta apparve dall’edificio sul lato opposto.

«Ogni anno Leo ci fa conoscere una ragazza di una casata diversa» la riportò alla realtà Jaime, di cui Stefania non riusciva proprio a ricordare il nome. «Quest’anno è il turno di una Tully.»

Lei inarcò le sopracciglia. «Sono una Lannister.»

“Idiota,” avrebbe volentieri aggiunto. “Altrimenti perché rivolgerei la parola a uno come te?”

«E quella precedente era una Baratheon» ribatté Jaime. «Però Elena ha voluto a tutti i costi vestirsi da Jeyne Westerling.»

«Perché proprio lei?»

«Devo dire che fisicamente era molto adatta, ma credo avrebbe impersonato perfino Samwell Tarly, pur di fare coppia con Leo!»

Stefania si fermò, raggiungendo il padiglione in cui avrebbero dovuto essere fotografati, ma Jaime corse verso gli altri Lannister. A quanto sembrava, era stata scambiata per la nuova fidanzata di Leonardo, e ciò significava che… aveva avuto una ragazza. Come ne fosse stato in grado, lei non ne aveva idea. Per rivolgere la parola a qualcuno, probabilmente sarebbe servito che vivesse nella sua stessa…

“Ah.”

Ripensò alla tazza dei Baratheon che aveva trovato nella cucina di Leonardo e alla sua reazione eccessiva per averla presa in mano.

«Apparteneva a qualcuno che l’ha dimenticata qui.»

Ora cominciava a capire.

Si avvicinò a Leonardo, facendosi strada tra gli altri cosplayers. Riflettendo, capì che il motivo per cui Jaime l’aveva considerata la sua nuova ragazza era da ricondurre al tempo che aveva passato con lui, da quando era cominciata la fiera fino a quel momento: Leonardo era – o poteva essere, se ci avesse lavorato ancora un po’ – una piacevole compagnia, in fondo, e le aveva presentato tutti i suoi amici; Stefania, pur non ricordando tutti i loro nomi, ma chiamandoli fra sé “Nasone”, “Cotoletta” o “Argus Gazza”, si era leggermente lasciata andare, permettendo loro di conoscerla almeno in superficie. In eventi come quello, le donne grasse erano notate solo se indossavano vestiti attillati che non nascondevano le loro forme, ma quando interpretavano personaggi della loro stessa stazza nessuno sembrava guardarle con derisione. Era grata a Leonardo per averle permesso di passare quei giorni in compagnia sua e dei suoi amici; non lo trovava più poi così male, in fondo.

“Se solo non fosse uno Stark.”

«Ehi» esordì, avvicinandosi a lui. «Chi è Elena?» domandò a bruciapelo.

Lo vide avvampare e immediatamente impallidire, in preda al panico. «È…» Leonardo si scrocchiò le dita. «È una lunga storia.»

«Sempre la solita scusa. Allora, di chi si tratta?»

«Stavamo insieme» rispose mentre si passava una mano fra i capelli, a disagio. «Poi ci siamo lasciati, non c’è altro da dire.»

«Era sua la tazza?» insistette Stefania. «Vivevate insieme?»

Leonardo le diede le spalle. «Sì.»

«E…»

«Non c’è altro da dire» ripeté, e lei non poté non notare il nervosismo molto simile a una dimostrazione di senso di colpa.

«Sta’ alla larga da quel bastardo.»

Possibile?

 

 

Marta districò un nodo, maledicendo la parrucca che dopo quattro giorni iniziava a darle sui nervi. Certo, Leonardo si era raccomandato di trattarla con cura ogni volta che la toglieva, oltre a spazzolarla prima di indossarla di nuovo, ma lei quella mattina si era alzata in ritardo e aveva dovuto vestirsi in fretta e furia, e chi avrebbe preferito pettinare una parrucca invece di farsi una rapida doccia, nel breve tempo a disposizione? Stefania aveva suonato il clacson per venti minuti prima che lei uscisse di casa e Marta era piuttosto sicura che, con il nervosismo che le stava facendo crescere, se solo avesse provato a occuparsi di quei rossi capelli sintetici avrebbe finito per strapparli via dalla base d’appoggio – e guai a farsi trovare da Leonardo calva o con una grossa chiazza rosa tra la chioma elaborata. Il primo giorno le aveva contestato perfino le scarpe che aveva indossato!

“Come se avessi avuto tanta scelta, tra un paio di stivali neri e le pile di scarpe da ginnastica che ho,” aveva pensato, contando mentalmente per non aggredire il suo isterico amico.

Per fortuna, però, la tortura era giunta alla fine: Marta non vedeva l’ora di liberarsi di quel vestito e indossare un paio di jeans, le veniva da piangere al solo pensiero di non averli potuti toccare per tutto quel tempo. Tuttavia non era insoddisfatta della sua esperienza al Romics; al contrario, Roberto era stato in grado di renderle piacevole quasi ogni momento e Matteo sembrava essersi ormai scordato la loro telefonata notturna.

«Ehi, tu, laggiù!» gridò un uomo dall’aspetto scontroso. «Sei Catelyn Stark, no?»

«Arrivo!»

Marta si precipitò verso di lui, dimenticando la lunga gonna che le circondava le gambe; indossava certe diavolerie tanto raramente che sarebbe stato meglio, per lei, evitare quello slancio in avanti: si ritrovò a inciampare sull’orlo del vestito e di sicuro sarebbe caduta a terra, se un paio di braccia non fossero corse in suo soccorso.

«Milady, non vorrà sporcare il suo bel vestito?» la canzonò Roberto.

Marta si rimise in piedi, tentennando sulle maledette scarpe che Leonardo l’aveva costretta a indossare e appoggiandosi con una mano sulla spalla del suo “salvatore” per non cadere di nuovo.

«Grazie, sono una frana.»

«Trovo invece che tu sia più aggraziata di quello che credi.»

Sollevò un sopracciglio, perplessa: stentava a comprendere quando Roberto la prendeva in giro, rivolgendole complimenti nelle vesti di Ditocorto, e quando invece era serio.

«Lord Baelish» tuonò una voce alle sue spalle. «Posso sapere come mai vi trovate così vicino alla lady mia moglie?»

Marta avvampò violentemente riconoscendo Matteo e la fangirl che aveva dentro cacciò un urlo acuto; cercò però di mantenere il controllo, ripetendosi che il suo amato stava soltanto interpretando Ned Stark e che di lei doveva importarle in realtà poco o anche meno. Dovette mordersi le labbra e costringersi a darsi un contegno.

«Mio lord,» esordì, calata nel ruolo, «lord Baelish mi stava aiutando a rimettermi in piedi.»

«Vostra moglie ha una predisposizione naturale per cadere tra le mie braccia, lord Stark.» aggiunse derisorio Roberto. Leonardo e Stefania non avrebbero potuto trovare un personaggio più adatto a lui: il sangue di Petyr “Ditocorto” Baelish scorreva nelle vene del ragazzo che aveva di fronte. Si chiese se non fosse uscito dalla saga di Martin per torturarla.

Marta venerava il sarcasmo e Roberto sembrava essere composto più da quello che da acqua; qualche settimana prima avrebbe detto “sentimenti” al posto di “acqua”, ma il ragazzo la stupiva ogni giorno di più. In primo luogo, le aveva confidato il suo amore per lo studio e la speranza di riuscire a iscriversi all’università, un giorno, nonostante l’avversione del padre; si era anche imbarazzato quando le aveva detto di studiare di nascosto, per poi liquidare il discorso con una battuta riguardante l’essere costretto a nascondere i libri sotto gli hentai. Marta lo aveva trovato veramente carino in quel momento, con i capelli scompigliati al termine della seconda giornata del Romics e quel lieve rossore sulle guance.

Avevano passato insieme la maggior parte del tempo, benché lei avrebbe preferito trascorrerne di più in compagnia di Matteo – che continuava a degnarla di attenzione solo nel momento di ruolare Ned e Catelyn. Non le sarebbe dispiaciuto ricevere un bacio da lui in quelle occasioni, ma forse avrebbe preferito un sorriso rivolto a Marta Giunti, e non a Catelyn Stark.

Roberto, invece, non si comportava solo da Ditocorto in sua presenza. La faceva ridere, le chiedeva consiglio sui manga da leggere e le serie tv da guardare, l’ascoltava delirare su ogni “Allons-y!” di David Tennant e sulle ore spese inutilmente davanti a Gossip Girl nella speranza di trovargli un pregio – e, per la barba di Merlino, quanto detestava Blair Waldorf! Era decisamente una piacevole compagnia, tanto da alleviarle il vuoto nello stomaco che avvertiva ogni volta che Matteo si allontanava da loro o parlava con una bella ragazza.

Marta era talmente assorta nei ricordi degli ultimi giorni da non accorgersi che Matteo e Roberto avevano continuato a punzecchiarsi; al termine di ogni frase, per quanto seria, detta da “Ned”, il suo cosplayer lasciava andare un sorriso, ma Roberto sembrava punto nel vivo: probabilmente era ancora la fangirl che viveva in lei a suggerirle quell’ipotesi assurda, tuttavia Marta non poté fare a meno di notare che Roberto sembrasse cercare di prevalere su Matteo, come se ci fosse qualcosa sotto.

L’uomo scorbutico, nel frattempo, aveva fotografato altri cosplayers del loro gruppo e solo quando incontrò lo sguardo di Marta parve ricordare di averla chiamata da lui.

«Allora, ti muovi? C’è una marea di gente da fotografare e voi siete una ciurma! Su, voglio qui anche Ned.»

La mano di Matteo toccò la schiena di Marta, sospingendola gentilmente in avanti. «Non vorrei dovergli tagliare la testa, Cat» sussurrò, concludendo la battuta con una risata.

Il suo atteggiamento la urtò invece di farla gioire: stava cominciando a pensare che non l’avesse realmente perdonata per quella telefonata in piena notte, ma che preferisse fingere per non recare disturbo agli altri; forse era proprio per quel motivo che non si era tirato indietro dopo avere scoperto che lei avrebbe interpretato sua moglie.

Il fotografo si dimostrò decisamente più educato del suo collega, secondo Marta. «Ned… Posso chiamarti Ned, vero? Prendi la mano di Catelyn… Ecco, così… Schiena eretta, siate regali… Bene, ora proviamo una posa diversa. Ned, potresti abbracciare Cat? Mettiti in piedi dietro di lei e passale le braccia intorno alla vita, per favore.»

Mentre l’imbarazzo, suo malgrado, riprendeva ad assalirla, Marta udì distintamente un indignato Leonardo esclamare: «Ma è pazzo? Che razza di posa sarebbe quella?! Non è IC, non è… Per gli dèi antichi e nuovi, in quale occasione Ned abbraccerebbe sua moglie in quel modo?! Davanti a tutto il Nord, in preda al delirio?»

«Sei una palla, elfaccio» si lamentò Stefania, che era giunta insieme a lui per assistere alla sessione fotografica.

Roberto era accanto a loro, scuro in volto, e passava nervosamente una mano sulla finta daga che aveva appesa alla cinta. Parve rilassarsi un poco quando il fotografo chiamò anche lui.

«E adesso scattiamo una foto con l’amante!» disse, cambiando obiettivo.

«AMANTE!» strillò Leonardo, scandalizzato, costringendo i cosplayers intorno a loro a voltarsi. «Ditocorto è nella friendzone per eccellenza, e lui lo chiama amante

«Oh, misericordia…» Stefania chinò il capo e si allontanò, lasciandolo solo a urlare.

Il fotografo sembrava interdetto. Guardò Leonardo, guardò Marta e Matteo – che si strinsero nelle spalle – e infine guardò la propria Nikon, forse chiedendosi chi glielo avesse fatto fare.

«Ehm… ok. Cercate di assumere una posa…» Scoccò un’occhiata tesa a Leonardo, come se temesse di indisporlo ulteriormente. «Quella che vi pare, ok?»

Matteo cercò di avvicinare di nuovo Marta, ma delle dita si chiusero intorno al polso di lei, che si sentì trascinare via. Il flash arrivò proprio in quel momento, catturando il sorriso soddisfatto di Roberto mentre attirava a sé la ragazza.

«Perfetto, è venuta benissimo! Restate così, ne faccio un altro paio.»

Il volto di Roberto era a pochi centimetri da quello di Marta. «Potrei anche rubarti un bacio adesso, mia dolce Cat» mormorò dopo diversi scatti.

«Marta?»

Matteo la fece sussultare. La stava fissando, la fronte aggrottata e lo sguardo perplesso.

«Eh?»

«Il fotografo ci ha chiesto di spostarci all’aperto per una foto di gruppo. Venite?»

Marta annuì, per poi tornare a guardare Roberto, scoprendolo sfoggiare un’espressione ostile verso Matteo.

Si diressero nel luogo indicato, cercando di non accalcarsi o pestarsi i piedi e udendo i litigi di Leonardo e Stefania, che riuscirono a distrarre Marta da quanto accaduto poco prima. Per quanto tempo era rimasta a contemplare il sorriso sardonico di Roberto? Il polso le faceva anche un po’ male, sebbene sul momento non se ne fosse accorta. Fortunatamente nella foto di gruppo si trovava abbastanza lontana da lui, ma la vicinanza a Matteo non aiutava.

Al termine delle foto scattate all’aperto, i cosplayers si resero conto di quanto poco mancasse all’inizio della gara. Marta si sistemò rapidamente la parrucca, che le sembrava essersi spostata, e seguì il gruppo cercando di non farsi schiacciare dai ragazzi più grandi di lei; quando finalmente raggiunsero il palco, avvertì una scarica di adrenalina e rischiò di farsi prendere dal panico. Si voltò alla ricerca di qualche faccia conosciuta, ma vide solo dei cosplayers di cui a malapena sapeva il nome.

Poi una mano strinse la sua, e pochi istanti dopo dalla folla apparve Roberto.

«Tutto bene?» le chiese premuroso.

«Sì, solo un momento di… Niente di che, sto bene ora.»

«Sembravi aver visto un Dalek nascosto sotto il costume di Darth Vader!»

Marta rise per scacciare il nervosismo, respirò profondamente e si concentrò sulle parole dei presentatori che erano appena apparsi sul palco. Prima del suo gruppo ne sfilarono altri tre, ispirati a Hunger Games, Sailor Moon e a un anime che lei non conosceva; Katniss e Peeta stavano scendendo e i presentatori stavano annunciando i cosplayers di Game of Thrones, quando Roberto sussurrò al suo orecchio: «In bocca al lupo.»

Non si era neanche accorta che le stava ancora stringendo la mano. «Al meta-lupo, in questo caso» scherzò, preparandosi a precederlo per salire insieme agli altri Stark.

«Catelyn Tully, il Nord non è mai stato il posto per te» osservò Roberto, e Marta si chiese di nuovo se stesse recitando o parlasse proprio a lei. «È troppo freddo, tu non sei nata per questo.»

Improvvisamente la tirò a sé come aveva fatto prima, ma questa volta le stampò un fugace bacio sulle labbra.

«In bocca al meta-lupo, allora» aggiunse con un sorriso che lei non aveva mai visto su quel volto olivastro, lasciandola interdetta.

 

 

Non sapeva perché fosse lì: forse per rivedere il suo compagno di banco, da anni residente a Lima, forse per farsi quattro risate in ricordo dei bei tempi; tuttavia, se i “bei tempi” in questione rappresentavano anche gli anni in cui aveva avuto inizio la sua storia con Cate, Giovanni non era tanto certo di riuscire a rivangarli con un sorriso.

Il primo giorno di liceo scientifico era stato lieto di trovarsi in classe con alcuni ragazzi che già conosceva e si era affrettato a prendere posto accanto al sorridente Chad, che l’aveva accolto con un abbraccio. «Credevo avessi scelto il classico!» aveva esclamato, sorpreso di trovarlo lì. Alla fine, dopo tanti sforzi e minacce di non mangiare per l’intera estate, Giovanni era riuscito a convincere i suoi genitori a lasciarlo iscrivere allo scientifico, anche se la madre – insegnante di latino e greco da tempo immemore – avrebbe voluto che il figlio maggiore seguisse la sua strada; in seguito non era stata in grado di contenere il disappunto quando perfino Paolo e Loredana avevano intrapreso una carriera differente dalla sua. Nessuno dei tre Nizzi, però, si era mai dispiaciuto di essere andato contro il volere della madre – sebbene la piccola Lory avesse effettivamente iniziato il liceo classico, prima di prendersi una sbandata per il suo professore di inglese e mollare la scuola per seguirlo a Salisbury. “Piccola Lory”: Giovanni non aveva ancora smesso di vederla come la sorellina di sei anni che si attaccava alla sua maglietta.

Nella I B del Liceo Cavour, Giovanni aveva incontrato la giovane Caterina, una ragazza timida e introversa che si infervorava solo quando si parlava di politica e che sognava di diventare un’archeologa: ora il suo sogno giaceva insieme alla sua laurea, nascosto in un cassetto. Chad si era subito accorto della cotta che il suo compagno di banco si era preso per quella ragazza bionda che indossava sempre magliette con incitazioni all’amore e alla pace, così aveva organizzato nei minimi dettagli il loro primo appuntamento, senza mettere nessuno dei due a conoscenza del suo piano; quando poi, dopo due anni, si erano lasciati, sia Chad che la migliore amica di Cate erano scoppiati a piangere, facendo il possibile per cercare di farli tornare insieme. C’erano riusciti.

Ora davanti a lui c’era Chad, la pelle scura messa in risalto dalla camicia bianca, e Giovanni si ritrovò a sperare che bastasse solo lui, questa volta, per rimettere a posto le cose.

«EEEEEHI! Chi abbiamo qua?» esclamò il suo amico non appena si accorse della sua presenza, risparmiandogli un abbraccio stritolante solo perché in una mano reggeva un bicchiere di prosecco. Gli elargì comunque una forte pacca sulla spalla, facendolo sussultare. «John, è un sacco di tempo che non ci si vede! Come va, amico?»

Giovanni si ritrovò a sorridere sentendosi chiamare in quel modo: si teneva in contatto con Chad grazie a e-mail e videochiamate su Skype, però capitava solo una o due volte all’anno di incontrarsi dal vivo e faceva sempre un certo effetto ricordare di essere ancora “Chad e John”. Più o meno lo stesso effetto che faceva quell’omone di due metri e dai bicipiti enormi ogni volta che scoppiava a piangere quando giungeva il momento di separarsi.

«Abbastanza bene» gli rispose, pur sapendo che Chad avrebbe ridotto gli occhi a fessure, aggrottato la fronte e scosso la testa in segno di disapprovazione.

Come infatti avvenne. «Amico, amico…» disse, sospirando. «Questa storia di Cate è una vaccata, fatevelo dire. A proposito, dov’è lei stasera?» Si guardò intorno, cercandola tra i diciannove compagni presenti alla cena che Miriam, la loro storica rappresentante di classe, aveva organizzato in un ristorante sul Tevere.

«Non è venuta, aveva un impegno» rispose Giovanni, sorseggiando il prosecco che Chad gli aveva versato. «Me l’ha detto Miriam poco fa. Dalla faccia che ha fatto vedendomi, credo non sapesse nemmeno cosa fosse successo.»

«Anche perché non durerà molto» sentenziò Chad, rivolgendogli uno sguardo speranzoso.

«A costo di farti piangere ancora, non andrà come pensi. Non questa volta.»

L’apparizione di Miriam fu provvidenziale: Giovanni non aveva alcuna intenzione di parlare di Cate.

«Chad!» salutò la donna, baciando il senegalese su entrambe le guance. «Non ti avevo visto! Sei appena arrivato?»

«E subito mi sono fiondato sul vino» rise Chad, mostrando il bicchiere già vuoto. «Ti ringrazio per avermi avvisato in tempo, ho potuto prendermi qualche giorno di ferie e organizzare un viaggetto in Italia.»

«Sei l’anima della festa: come potevo invitarti alla cena di classe all’ultimo momento?»

«Non posso contraddirti. Adesso scusami, ma ho visto quella testa pelata di Bonomi, vado a dargli qualche schiaffo per non avermi detto niente del suo matrimonio!»

Chad si allontanò, lasciando soli Giovanni e Miriam, che parve essere a disagio.

«Allora… ehm…» tentennò, gli occhi rivolti al pavimento. «Mi hanno raccontato cos’è successo con Caterina. Mi dispiace averti chiesto come mai tu fossi venuto, credevo che aveste un impegno comune… Per fortuna un paio di persone hanno disdetto oggi pomeriggio, così sono riuscita a rimediarti un posto.»

«Non preoccuparti» disse Giovanni, sorridendole per tranquillizzarla. «La notizia non si è ancora sparsa perché stiamo ufficializzando adesso la separazione.»

«Quindi è definitivo?»

Deglutì a fatica. «Sì, lo è.»

«Cavolo, non me l’aspettavo…»

«Tu cosa mi racconti?» cambiò bruscamente discorso. «Novità all’orizzonte?»

Miriam tornò a guardarlo e si sistemo il caschetto nero. «Parli di uomini? Beh, credo che sul fronte amoroso siamo entrambi sulla stessa barca!»

«E con il lavoro?»

«Lo stesso. Intendo dire proprio lo stesso: l’ultima relazione che ho avuto è stata con il mio capo.»

Giovanni avvertì un brivido percorrergli la schiena. Non aveva mai veramente riflettuto sui vantaggi di avere un’attività tutta sua, ma ora cominciava a capire a quali pericoli fosse sfuggito. Detestava i superiori e detestava ancora di più quelli che avevano rapporti con i loro sottoposti: li immaginava come viscidi uomini privi di volto che allungavano le mani verso le impiegate più carine, convincendole a intraprendere relazioni che le avrebbero distrutte – o avrebbero distrutto le loro famiglie.

Seppur molto diversa da Cate e dai capelli biondi che portava spesso sciolti, anche Miriam era una bella donna, dai lineamenti delicati e gli occhi scuri; aveva una piccola voglia sul collo, ma di fronte alle sue forme gentili passava presto in secondo piano. Anche il suo capo si era approfittato di lei?

“Quello di Cate non l’ha fatto,” sussurrò una voce fastidiosa nella sua testa. “Lei ti ha tradito perché voleva farlo. E ora l’ha presentato alla famiglia.”

Giovanni aveva pensato che si fosse trattato di un rapporto occasionale; in fondo qualche settimana dopo la separazione lui e Cate avevano provato a uscire di nuovo insieme, avevano anche dormito nello stesso letto – quello di un motel, però, perché condividere ancora il letto in cui avevano passato quasi quindici anni avrebbe risvegliato in loro troppe speranze – e Giovanni aveva dato per scontato che lei non si vedesse più con quell’uomo.

«Giovanni?»

Si riscosse dai propri pensieri, trovando Miriam che lo osservava curiosa.

«Scusami, ho dormito poco questi giorni… Il mio collega si è preso le ferie da giovedì a oggi e ho dovuto coprire anche i suoi turni. Mi dispiace per la tua storia finita male, davvero.»

«Non preoccuparti, non è stato niente di troppo doloroso. Ti volevo solo dire che ci stiamo mettendo a tavola, ti ho tenuto il posto accanto a me, così potrai stare davanti a Chad.»

«Grazie mille.»

Si sforzò di non pensare a Cate per tutta la sera. Chiacchierò con i compagni di classe che sedevano vicino a lui, scambiò diversi brindisi con Chad – che lo stava facendo bere come quando erano al liceo e si nascondevano a casa sua per guardare film vietati ai minori e scolarsi lattine di birra – e scoprì nuovi aspetti di Miriam che non conosceva: come fosse stato stressante il lavoro di rappresentante con individui come Chad sempre pronti a fare casino, da quale ditta aveva intenzione di licenziarsi per non subire ripercussioni dal suo ex, quanto amasse cantare al karaoke e interpretare i brani di Antonella Ruggiero. Senza rendersene conto, offuscato dal vino e dal cibo buonissimo come quello che aveva smesso di mangiare quando Cate se n’era andata via di casa, si ritrovò a organizzare una serata al karaoke, pur sapendo quanto poco facesse per lui. Miriam batté le mani, entusiasta, e rise quando Chad versò ancora vino rosso nel bicchiere di Giovanni mentre era voltato verso di lei

«Mi accompagni a fumare?» gli chiese quando la cena stava ormai volgendo al termine.

Giovanni si alzò insieme a lei. «Non fumo, però prendo volentieri una boccata d’aria.»

«Davvero? E quando avresti smesso?»

«Non mi vedi dall’ultima riunione cinque anni fa, e già non fumavo più.»

«Eppure ricordo così bene il ragazzaccio che eri al liceo. Quante volte ti sei nascosto in bagno a fumare con Chad?»

«Cate mi aveva convinto a smettere.»

«Lei? Caterina Soccorsi, dici davvero? Quella che ha rischiato di venire sospesa perché l’avevano beccata con l’erba?»

«Aveva i suoi motivi» rispose seccamente Giovanni.

Miriam abbassò di nuovo lo sguardo. «Ah, già… Dimenticavo quello che è successo.» Rabbrividì, attirando l’attenzione di lui, che si tolse la giacca che poggiarla sulle sue spalle. «No, non serve, dico davvero…»

«Io sto bene, non sento freddo.»

Sorrise per ringraziarlo e aspirò il fumo una terza volta, prima di riprendere a parlare.

«Posso confessarti una cosa?»

«Dimmi.»

«Se non ci fosse stata Caterina, al liceo, credo che mi sarei fatta avanti io.»

Giovanni aggrottò le sopracciglia, confuso. «Cosa intendi?»

«Che avevo una cotta pazzesca per te!» Miriam scoppiò a ridere e si strinse nella giacca di Giovanni.

L’odore del suo profumo gli arrivò inaspettatamente alle narici. Era buono, si rese conto.


Il titolo è una citazione da Gossip Girl.

 

STEFANIA:

- Sasuke, Dante e Usagi: personaggi di Naruto, Devil May Cry e Sailor Moon (Usagi è il nome originale di Bunny).

- Sterminatore di Re: Jaime Lannister

- Jeyne Westerling: nei libri di ASOIAF è la moglie di Robb Stark.

- “Argus Gazza”: personaggio di Harry Potter.

 

MARTA:

- “Allons-y!”: ripetuto spesso dal Decimo Dottore (interpretato da David Tennant).

- “per la barba di Merlino”: riferimento a Harry Potter.

- Blair Waldorf: personaggio di Gossip Girl.

- “Per gli dèi antichi e nuovi”: riferimento ad ASOIAF.

- Ditocorto conosceva Catelyn fin da bambina e l’aveva sempre amata.

- Dalek: riferimento a Doctor Who.

- Darth Vader: riferimento a Star Wars.

- Katniss e Peeta: protagonisti di Hunger Games.

- Meta-lupo: simbolo degli Stark.

- “Il Nord non è mai stato il posto per te”: a Nord risiedono gli Stark, la casata di Catelyn si trova più a sud rispetto a dove vive ora lei.

 

SPAZIO AUTRICE

 

Ben ritrovati!

Spero che stiate passando bene queste vacanze :) E anche che questo capitolo vi sia piaciuto! A quanto pare lasciare in sospeso per un po’ ha aiutato la mia ispirazione, e ora sono già pronta per scrivere il capitolo successivo; capitolo in cui sarà introdotto un personaggio di cui si è già parlato e che finalmente apparirà in carne e ossa… E, a proposito di personaggi secondari introdotti, che ne pensate di quelli che compaiono in questo capitolo?

Ah, il bacio tra Marta e Roberto… Rapido, fulmineo, vero… ma pur sempre un bacio. Chissà come si evolverà!

Volevo ringraziarvi tutti, lettori silenziosi e non (e in questa categoria rientrano non solo i recensori, ma coloro che hanno messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite): ben quattro persone hanno già inserito la long tra le preferite, una tra le ricordate e diciotto – DICIOTTO! – la stanno seguendo. Wow, vi adoro! Grazie anche a DarkAeris per aver come sempre ricontrollato il capitolo prima della pubblicazione!

Già che ci sono, vi suggerisco una bella long romantica che si discosta dalla mia per temi, ma credo vi piacerà: Right next to you.

Se volete tenervi sempre aggiornati con la storia, potete iscrivervi al gruppo su Facebook: Gli eroi di Sandpoint.

A presto!

 

Medusa

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Capitolo 9
*** Io credo nella lussuria a prima vista ***


Io credo nella lussuria a prima vista



Continuava a rigirarsi il cellulare tra le mani. Lo fece volare da un palmo all’altro, lo vide cadere a terra, lo tenne in equilibrio su due dita; ogni tanto lanciava un’occhiata allo schermo, avvicinava un polpastrello ai tasti, lo ritirava e tamburellava con la punta del piede sul pavimento del Vecchio Mangaka. Le voci di Stefania e Leonardo, che sfogliavano i nuovi arrivi nella stanza accanto, gli arrivavano come da molto lontano.

Guardò per l’ennesima volta il messaggio che gli era arrivato quaranta minuti prima: “Quando vieni? Fede”.

A distanza di settimane e a volte perfino mesi, capitava che il cellulare di Matteo squillasse per l’arrivo di un messaggio e che poco dopo comparisse come mittente un numero che non era mai riuscito a dimenticare, nonostante lo avesse cancellato dalla rubrica anni prima; sapeva che il proprietario di quel numero preferiva chiamare, non aveva bisogno di leggere la firma a fine messaggio per sapere che era stata un’altra persona a inviarlo. Maledizione, dopo tanto tempo ancora rischiava di cadere in trappola!

Si chiese se lo avesse davvero mandato “Fede”, quel messaggio. La domanda – “Quando vieni?” – era sempre la stessa, mutava la forma, ma non la sostanza, ed erano due anni che gli veniva rivolta; fortunatamente per Matteo era più facile mantenere il controllo senza udire la voce del suo interlocutore, ma alcune volte aveva ceduto. E rischiava di cedere ancora.

“Ho un uovo di Pasqua che dev’essere aperto…”

Avrebbe potuto aspettare un altro po’. E se fosse andato a male? Se si fosse sciolto, con l’arrivo del caldo? Dopotutto aveva ancora un regalo da parte, poteva attendere quanto voleva.

“Questa estate” pensò di rispondere. “Ad agosto. A settembre.”

Avrebbe rimandato all’infinito, lo sapeva, ma non poteva parlare di una fantomatica “prossima settimana” o di qualsiasi altro giorno di aprile. Era troppo presto e rivedere Federico avrebbe significato trovarsi di fronte anche un’altra persona.

 «… e così l’ha baciata.»

Stefania apparve nella stanza, trasportando una collana con il ciondolo dei Lannister e una rivista presa poco prima dal bancone del negozio. Leonardo la seguiva, incredulo, e solo allora Matteo si rese conto che la ragazza non si stava facendo beffe di lui, pur non essendo più nelle vesti di Robb Stark e Lysa Tully: l’esperienza del Romics doveva avere fatto bene a entrambi.

Fu colpito anche dallo sguardo fugace e colpevole che Leonardo gli rivolse.

«Hai visto la puntata stamattina?» tentò di cambiare discorso il suo cliente abituale, passandosi una mano sui capelli neri tagliati a spazzola. «Secondo me ti è piac-»

«Elfo, esisti sul serio?» lo interruppe Stefania, sollevando un sopracciglio. «Ti sto dicendo che Marta e Roberto si sono baciati e tu mi parli di Game of Thrones? Una puntata magnifica, ma prova a tenere i piedi per terra almeno una volta.»

Matteo smise di giocare con il cellulare. Aveva appena dato loro le spalle e doveva sembrare assorto nell’inventario, perché nessuno dei due cercò di inserirlo nella conversazione. Non era turbato dalle parole di Stefania, ma non aveva mai pensato di poter ascoltare una notizia del genere. Marta? Con Roberto? Non gli era sembrata quel tipo di ragazza…

«Sai cosa significa “baciare”, elfo?»baciare

«Certo che lo so!»

«Hai presente quando i tuoi genitori avvicinano i volti e si toccano le labbra?»

«Ti ho detto che lo so!»

«L’hanno fatto vedere anche in Game of Thrones, quindi il concetto dovrebbe essere chiaro perfino a te.»

Però, riflettendoci, una ragazza che si lanciava su qualcuno solo perché la sua prima scelta si era rifiutata di uscire con lei era proprio il tipo da Roberto. Forse aspettava solo di essere notata, non aveva importanza da chi. D’altronde, se fosse stata realmente interessata a lui, lo avrebbe davvero chiamato in piena notte, ubriaca, per chiedergli un appuntamento?

Già, si era sbagliato ampiamente su Marta.

«È successo al Romics, poco prima della nostra sfilata» continuò Stefania, alzando la voce. «Da quanto ne so, lei l’ha presa molto bene!»

«Ma io credevo… Cioè, voglio dire…»

«Che credevi?»

«Pensavo che a Roberto piacesse… cambiare, ecco…»

«Alle scale piace cambiare, ma quel dongiovanni forse vuole mettere la testa a posto. Dopotutto, perché baciare una ragazza che vedrà sicuramente ogni venerdì, rischiando di sentirsi in imbarazzo tutte le volte che giochiamo?» Toccò la spalla di Matteo, che sussultò. «Ehi, devo correre a lezione, posso pagare?»

«Sì… subito.»

Non era più immerso nei pensieri che lo attanagliavano dall’arrivo del messaggio, però non sapeva dire se ciò fosse un bene: ora la sua mente era occupata dal risentimento nei confronti di Marta, che aveva anche cercato di trattare gentilmente negli ultimi giorni – lei aveva sbagliato a chiamarlo a un’ora così tarda, ma doveva essere stata guidata dall’alcol, perciò Matteo aveva deciso di mettere da parte la rabbia iniziale e comportarsi come se niente fosse. Scelta comunque ardua, dal momento che la ragazza non lo aveva chiamato per fargli uno scherzo telefonico, ma – in modo alquanto bizzarro e poco produttivo – per dichiararsi.

Titubante, leggermente impacciato, durante il Romics Matteo aveva provato a scusarsi con lei a suo modo, pensando che dovesse essere stato ben poco delicato venire rifiutati con una simile rabbia, ma a quanto sembrava si era sbagliato: a Marta non era mai realmente importato di lui o forse quello era stato davvero uno scherzo telefonico.

“Ma perché chiamare proprio me?”

«Questa collana costava meno al Romics» disse Stefania, poggiando il ciondolo ancora imbustato di fronte alla cassa. «Però non ho fatto in tempo a comprarla, quindi mi tocca prenderla qui.»

Matteo, che era in piedi da appena due ore e già aveva patito e ascoltato abbastanza, le avrebbe volentieri suggerito dove poteva mettersi gratuitamente quella collana, ma il tema di Dead Space risuonò nel negozio. Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, preoccupato, ma sullo schermo lesse Giovanni; rifiutò la chiamata, fece pagare Stefania, mise da parte i manga per Leonardo e solo quando furono usciti entrambi compose il numero dal suo collega.

Che, si rese conto in quel momento, non si era ancora fatto vedere in negozio.

«Ciao, Gianni!» lo salutò. «Come mai sei a…?»

«Ho bisogno di vederti» dichiarò subito la voce dall’altra parte, con un’agitazione che fece nuovamente preoccupare Matteo. Non era abituato a sentire il pacato Giovanni in preda all’ansia: l’ultima volta che lo aveva trovato in quello stato Cate gli aveva appena proposto la separazione.

«Cos’è successo?»

«Dobbiamo parlarne di persona. Ho… ho bisogno di un consiglio.»

Aggrottò la fronte, ancora più sorpreso. Giovanni il dispensatore di consigli aveva bisogno di un consiglio dalla persona che più gli chiedeva consigli?

«Non posso lasciare il negozio adesso.»

«Corri qui. O vediamoci a pranzo. È una cosa importante.»

«Gia, mi stai facendo preoccupare sul serio. Cos’è successo?»

«Ieri ho visto una persona.» Pausa. Matteo si interrogò su chi potesse averlo gettato in quello stato: di certo non si trattava di una persona qualsiasi incontrata per strada. «L’ho rivista, voglio dire.» Sembrava piuttosto restio a parlare, come se ne fosse imbarazzato.

Non poteva trattarsi di Caterina, Matteo aveva saputo che era passata al Vecchio Mangaka tempo prima e Giovanni glielo aveva riferito in tutta calma solo quando lui aveva finito di sfogarsi per… Oh, cavolo, doveva rispondere a quel messaggio.

«Si tratta di tua sorella?» tentò. Un pensiero agghiacciante gli attraversò la mente. «È incinta?»

«No, no, macché! Non vedo Lory da mesi, lei e Paolo non c’entrano niente.»

Ringraziò in silenzio le potenze divine per avere sventato un tale pericolo: Loredana poteva essere considerata un pericolo pubblico per un bambino.

«Ieri sera sono stato alla cena di classe» continuò Giovanni.

«Ah, è vero, mi ero dimenticato.» Allora forse Cate c’entrava qualcosa. «C’era anche Caterina?»

«No, non è venuta. Ecco…» Matteo lo sentì deglutire e ispirare profondamente, prima di parlare di nuovo. «C’era una mia compagna del liceo. Era la nostra rappresentante, a scuola.»

«Beh?» Matteo stava cominciando a irritarsi: perché Giovanni non gli diceva chiaro e tondo cos’era accaduto, invece di farsi tirare fuori il discorso con la forza?

«Si chiama Miriam.» Altro momento di pausa. «Avevamo bevuto un sacco, non so neanche come sono arrivato a casa…»

«Giovanni?» fu costretto a chiedere Matteo, davanti all’ennesimo silenzio.

«Me la sono trovata nel letto.»

Dovette reprimere una risata per rispetto nei suoi confronti. Ma come poteva prendere sul serio un trentacinquenne che lo chiamava in preda al panico perché era stato a letto con la seconda donna della sua vita?

«D’accordo, chiudo il negozio e passo da te.»

Il messaggio continuò ad attendere una risposta che non arrivò.

 

 

Non aveva una precisa idea del perché avesse accettato l’invito di Roberto. Certo, era curiosa di ciò che voleva dirle con tanta insistenza, ma la sua curiosità non giustificava il filo di matita che si era messa sugli occhi, né gli orecchini che per l’occasione erano tornati a essere due – a dispetto dei tre buchi che avevano fatto guadagnare alle sue orecchie, a detta della madre, il titolo di “lobi martiri” – e neanche la maglietta scollata proveniente ancora una volta dall’armadio di Teresa.

Teresa che non aveva fatto altro che esprimersi con gridolini e sospiri, esclamando di tanto in tanto: «Ah, che bello l’amore!»

Ora Marta cominciava a comprendere come doveva apparire agli altri quando si comportava da fangirl.

Sistemandosi il ciondolo che era sceso tra i piccoli seni, Marta si chiese se non fosse troppo in anticipo: Roberto le aveva chiesto di vedersi alle quattro e mezza, ma mancavano ancora venti minuti all’ora prestabilita. Di solito lei era una ritardataria e molte erano state le volte che Stefania glielo aveva fatto pesare, però aveva passato la mattinata a chiedersi, tra una lezione e l’altra, come sarebbe accaduto quel pomeriggio; sarebbe stato meglio se Roberto non le avesse inviato un messaggio alle sette, implorandola di vedersi perché “aveva bisogno di parlarle”. Forse, se si fosse fatto sentire più tardi, Marta sarebbe riuscita a concentrarsi durante almeno una lezione.

Tuttavia sapeva che non sarebbe cambiato nulla: per tutta la notte si era interrogata sul motivo che aveva spinto Roberto a baciarla, senza trovare una risposta di cui fidarsi completamente. Se si fosse trattato di un altro ragazzo, avrebbe pensato che ci stesse provando con lei, ma con lui non si poteva mai dire. Anche se si era già sbagliata parecchio nei suoi confronti…

Sospirò, scuotendo la testa e attirando l’attenzione di due passeggeri in metropolitana. Forse doveva solo accettare la realtà che si parava davanti ai suoi occhi, e in altre parole che Roberto aveva una cotta per lei.

E di se stessa cosa poteva dire? Era stata sorprendentemente lusingata dal suo bacio, le avevano fatto piacere anche le attenzioni che le aveva riservato nei giorni precedenti, durante il Romics, ma lei credeva di provare per Matteo qualche di forte. Qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto eclissare. D’altronde, a farsi eclissare era stato lo stesso Matteo.

Quando arrivò alla fermata del Circo Massimo, dove si era svolto anche il loro primo appuntamento – era certa di poterlo definire così? – Marta riconobbe immediatamente i capelli neri e gli occhi verdi di Roberto. E per fortuna, perché se lui avesse indossato un cappello o un paio di occhiali da sole avrebbe rischiato di non vederlo neanche.

Roberto attendeva in cima agli scalini, la schiena contro il muro e un mazzo di fiori in mano. Marta fu tentata di fare marcia indietro, ma in quel momento anche lui la vide. Alzò la mano in un saluto rapido e imbarazzato, accennò un sorriso e camminò verso di lei a testa bassa, come se non avesse il coraggio di guardarla negli occhi. Inspirò profondamente, poi le porse i tulipani rossi.

«Sono per te» le disse in tono di scusa. «Non avevo… Non volevo presentarmi a mani vuote.»

«Grazie, sono bellissimi.» Non era una bugia, ma a Marta non piaceva ricevere fiori; a dire la verità, nessuno glieli aveva mai regalati e questo la stava mettendo a disagio. «Sei qui da molto?»

«Sì» rispose subito Roberto, per poi scuotere la testa. «Scusa, non volevo dirti che hai fatto aspettare. Sei perfino in largo anticipo, sono io che… che non riuscivo a resistere dentro casa. Dovevo uscire.»

«Problemi in famiglia?»

Il suo sorriso spuntò improvvisamente e altrettanto in fretta scomparve. «No, niente del genere. Ero solo un po’… Mi sentivo in colpa.» Marta stava per rassicurarlo che non c’era motivo di biasimarsi per averla baciata, che potevano tornare a essere amici – erano amici, in fondo? – come prima, ma Roberto riprese subito a parlare. «Ah, se non dovessero piacerti i fiori, ti ho preso anche qualcos’altro, venendo qui.» Le porse la busta che teneva nella mano destra.

«Cos’è?»

«Sorpresa.» Rimase in silenzio finché Marta non ebbe estratto un DVD dalla busta di plastica. «Non so se è il tuo genere, ma è il mio film preferito e ho voluto…»

«FANTASTIC!» esclamò lei, spalancando gli occhi e saltando sul posto. «Apocalypse Now è anche il mio film preferito!»

«Davvero?» Roberto sembrava sollevato. «Oh, sono contento di averci preso… Ma non lo avevi già, allora?»

«Non nell’edizione limitata! Come hai fatto a trovarla?»

«Segreto» rispose con un sorriso più rilassato, ma altrettanto fugace. «Credo che valga la pena tenerlo per me, così se in futuro vorrò farti un altro regalo saprò come sorprenderti.»

In quel momento Marta gli sarebbe volentieri saltata al collo per ringraziarlo, ma per fortuna il DVD e il mazzo di tulipani che stava reggendo glielo impedirono. Si limitò a sorridere a sua volta, profondendosi in una lunga serie di «Grazie!» venuti dal cuore.

«Camminiamo?» propose Roberto, e Marta annuì, continuando a contemplare Apocalypse Now come fosse il suo sogno nascosto nel cassetto fin da bambina.

«È l’edizione in tre dischi» pigolò entusiasta. «Peccato sia in blu-ray…»

Roberto si fermò di colpo. «Non hai il lettore blu-ray? Perché non l’hai detto subito?»

«Oh no, non importa: troverò sicuramente qualcuno a cui scroccare il lettore!»

«Possiamo sempre vederlo da me. Funziona anche nella Play Station.»

Marta tentennò. Si accorse solo in quel momento di quanto poco fosse durata la sua tensione, giusto il tempo di ricevere il regalo, ma poi il ricordo recente del loro bacio, solo un pomeriggio prima, tornò a farsi strada nella sua mente e a farle palpitare il cuore. Perché, poi? Non era innamorata di Roberto, lei voleva Matteo.

Un Matteo che non la cercava mai…

«Carini i fiori!» esclamò, cambiando discorso. «Come mai hai scelto i tulipani?»

«Non ti piacciono?»

«Non sono tra i miei fiori preferiti» ammise. «Ma dubito che avresti potuto trovare una stella alpina da queste parti.»

Roberto si sedette sulle basse mura che delimitavano il Circo Massimo e le prese la mano libera per aiutarla a salire insieme a lui. Era lo stesso punto dove si erano fermati durante l’appuntamento precedente, notò Marta, e per combattere l’imbarazzo gli diede momentaneamente le spalle con la scusa di mettere da parte fiori e DVD, ma poté farlo solo per pochi secondi; quando tornò a guardarlo, Roberto stava fissando le rovine, con suo sollievo. Ancora una volta le parve ben diverso dal ragazzo con cui credeva di avere avuto a che fare fino a quel momento.

«Conosci la leggenda del tulipano?»

«No.»

«Si dice che le odalische lanciassero i tulipani attraverso le sbarre dell’harem, come pensiero ai fidanzati che erano state costrette a lasciare» spiegò Roberto, continuando a fissare un punto lontano. «Per questo i tulipani rossi sono il simbolo della dichiarazione d’amore.»

Marta sarebbe volentieri sprofondata nella terra, ma non poté fare altro che mangiarsi le unghie per alleviare la tensione.

«Non è questa la leggenda della loro nascita, però» continuò il ragazzo, tornando finalmente a guardarla. «Si dice che un pastore si suicidò per amore, e allora la regina delle fate ricoprì la sua amata terra d’Olanda dei fiori che le sue compagne abitavano. Si lasciò addormentare e basta… Il contadino, intendo dire. Per questo non sono le rose il vero fiore dell’amore, ma i tulipani: sono il simbolo dell’amore che non potrà mai essere ricambiato.»

Marta pendeva dalle sue labbra. Aveva ascoltato attentamente ogni sua parola, cercando tracce del Roberto Trani che era stato prima di quel giorno, ma non c’era riuscita: vedeva solo un ragazzo imbarazzato e allo stesso tempo deciso, pessimista e – forse, ma solo forse – innamorato. Perché proprio di lei?

Si disse che era stanca di porsi domande, di interrogarsi su cosa avesse spinto Roberto a chiederle di uscire, a baciarla e ora a dichiararsi. Non le erano mai interessati i ragazzi dolci, però – come era stato per i fiori – il motivo probabilmente era che non aveva mai avuto a che fare con loro. E forse era arrivato il momento di cominciare a lasciarsi andare a una visione di felicità, invece di ostinarsi a pensare a una persona che le rivolgeva la parola solo nelle vesti di Eddard Stark.

«Non dobbiamo per forza guardare un film insieme» riprese Roberto, e Marta si accorse di quanto disperato fosse il suo tentativo di essere accettato da lei. «Potremmo fare quattro passi, prenderci un gelato o chiedere al Dottore di portarci su Saturno.» Fece una risata nervosa. «O potremmo tornare a casa. Se non sei interessata, potremmo finirla qui.»

«Roberto, senti…»

«No, un secondo, ascolta solo un’ultima cosa: non ti sto giurando amore eterno, non sto nemmeno dicendo che sono innamorato. Potremmo uscire e renderci conto che non siamo fatti l’uno per l’altra e tornare a comportarci come prima, restare anche amici visto che non stiamo mettendo in gioco sentimenti troppo complicati. Il fatto è che, se dovessi mettere la testa a posto, vorrei farlo per te.»

Marta sorrise spontaneamente e, altrettanto spontaneamente, cercò la sua mano. «Proviamoci.»

Finalmente il sorriso di Roberto smise di scomparire.

 

 

Faceva maledettamente caldo per essere aprile e l’unico desiderio di Roberto, in quel momento, era tornare a casa e accendere il condizionatore nella sua stanza – dopo aver messo su un disco dei Queen, ovviamente. Dopo una giornata simile, poteva anche concedersi un paio di puntate di Squadra Speciale Cobra 11, ma stando attento a sceglierle da una delle stagioni con Tom Kranich.

Non appena ebbe varcato la soglia dell’appartamento, scoprì di essere solo: l’odore delle lasagne che sua madre gli aveva promesso non aveva ancora invaso alcuna stanza e tutte le luci erano spente. Trovò un biglietto sul tavolo della cucina, tra il cesto della frutta e il telecomando, con un “Sono da zia Elsa, torno per cena. Metti le lasagne nel forno verso le otto” scritto a matita. Dando un rapido sguardo all’orologio accanto al frigo, Roberto constatò che anche il padre sarebbe stato via per un’altra ora.

Perfetto, avrebbe potuto osare di più che qualche puntata di Tom e Semir.

Gli piaceva guardare gli hentai senza dovere indossare le cuffie, che trovava limitanti rispetto alle due casse a cui di solito era collegato il computer; forse i vicini, un giorno, sarebbero accorsi indignati alla sua porta per lamentarsi dei rumori inconsueti che provenivano dall’appartamento, ma poco importava: lui era Roberto Trani, l’affascinante figlio di “Peppe dell’officina”, e avrebbe sempre trovato un modo per quietare gli animi e trarsi di impaccio da situazioni indesiderate.

Entrando nella sua stanza, però, si chiese in che modo avrebbe potuto giustificare le foto appese al muro, nel caso in cui Marta avesse accettato il suo invito a vedere Apocalypse Now. La camera era sommersa di hentai e poster di belle ragazze decisamente accaldate, ma come spiegarle le foto che lo ritraevano con Viola? Per quanto ne sapeva lui, Viola era sempre stata nella sua vita e questo era il motivo della sua presenza in tutti gli scatti attaccati alla parete e nelle cornici poggiate sugli scaffali della libreria.

Da qualche parte Roberto doveva avere una loro foto a tre anni, ma nella camera la più vecchia risaliva alla prima elementare. Lui e la piccola Viola si tenevano per mano e sorridevano all’obiettivo, forse entusiasti all’idea di fare amicizia con altri bambini – chi poteva ricordare cosa avessero effettivamente pensato in quel momento? Roberto sapeva solo di essere stato fin da subito felice di trovarsi in classe con la sua migliore amica.

Accanto a quella foto, incorniciata con un lavoretto fatto a scuola in occasione del Natale, ce n’era un’altra più nitida, scattata da un fotografo professionista il giorno della loro comunione; i capelli ribelli di Viola erano tenuti fermi da un’acconciatura che prevedeva diverse mollette ed entrambi i bambini avevano le mani sui fianchi, fieri di sé. Avevano fatto il ricevimento insieme, proprio come successivamente quello della cresima, e anche i regali erano stati simili – fatta eccezione per le collane e gli orecchini destinati a Viola.

Le foto alla parete ritraevano svariati momenti degli ultimi quindici anni: Roberto addormentato sulla pancia dell’amica durante il campo scout in prima media – erano stati iscritti un solo anno e mai, per un solo momento, avevano rinunciato a stare insieme; i padri dei due ragazzi che li tenevano sulle spalle, al mare; Roberto e Viola intenti a spegnere le candeline dalla torta la sera della festa dei loro diciotto anni.

Viola era una figura costante nella vita di Roberto, quelle foto lo testimoniavano; tuttavia, pensò lui, forse sarebbe stato ancor più difficile giustificare a Marta la presenza di Viola sul suo letto.

«“Eleonora non aveva mai avuto un debole per i ragazzi dolci: se c’era qualcosa che detestava, era il modo in cui credevano che tutto gli fosse dovuto, solo perché avevano l’accortezza di rivolgere un complimento o fare dei regali di tanto in tanto…”»

Roberto spinse il tasto dell’accensione del condizionatore, poi tolse dalle mani di Viola il suo tablet.

«Ehi!» si lamentò lei, rizzandosi a sedere.

«Non ti ho ancora dato il permesso di leggerla» la rimproverò Roberto con un sorriso irrisorio sulle labbra.

Come per magia, Viola era comparsa nella sua stanza per l’ennesima volta. Doveva sentire caldo anche lei, perché indossava una camicetta a maniche corte aperta fino alla scollatura del seno e un paio di pantaloncini di jeans; la riccia chioma nera non era però tenuta su da mollette come nella foto della prima comunione, ma lasciata libera di solleticarle la nuca. Se davvero qualcuno credeva alla storia che fossero cugini, avrebbero detto che il differente tono della loro pelle fosse dovuto a una precoce abbronzatura della ragazza.

«Come sei entrata?» le chiese dopo avere acceso anche lo stereo ed essere salito sul letto accanto a lei.

«Ho le chiavi» gli spiegò Viola, facendo tintinnare il mazzo di chiavi davanti al suo viso.

«Queste sono le mie chiavi, ecco dov’erano finite!»

«Beh, tu ti ostini a non farmene una copia e ho dovuto procurarmela da sola» si giustificò, stringendosi nelle spalle. «Non mi sembra male, come inizio.» Indicò con un cenno del capo il tablet.

«Devo cambiarlo: ho appena scoperto che a Marta non dispiacciono i tipi dolci.»

«Oooh, racconta!»

Roberto si passò una mano tra i capelli, soddisfatto. «Che devo dirti? Il piano sta funzionando alla grande. Sai già che ieri l’ho baciata…»

«Certo, ti ho suggerito io di darti una mossa.»

«Ma era mia intenzione farlo il prima possibile, quindi mi avevi solo letto nel pensiero. A ogni modo, oggi pomeriggio sono uscito con lei.»

La sua espressione tronfia doveva rivelare tutto, perché Viola sorrise malignamente a sua volta. «E l’hai convinta a frequentarvi.»

«Ho dovuto fare il bravo ragazzo tutto il tempo, è stato estenuante» si lamentò Roberto, lasciando cadere la testa sul cuscino. «Davvero estenuante. Ho dovuto perfino fare un cosplay!»

«Ah, già, idea della grassona.»

La fulminò con lo sguardo. «Preferisco chiamarla Stefania.»

«Sì, come ti pare… Beh, che hai dovuto inventarti oggi?»

«Un’espressione da cucciolo bastonato, la mancanza del coraggio necessario a guardarla negli occhi, roba così… Le ho pure portato dei regali per farmi perdonare del “bacio rubato”.»

Viola rise. «Un mazzo di fiori?»

«Già, tulipani rossi.»

«Ancora

«Sai come sono le donne: basta darle una drammatica storia d’amore, infilare qualche cazzata qua e là e ci cascano sempre. Sono prevedibili.»

«Non siamo tutte così, non mi avresti conquistata con una leggenda olandese e quattro fiorellini.»

«Ho evitato il “voi” apposta» sogghignò Roberto. Rimase in silenzio qualche secondo, poi ammise: «Le avevo preso anche un’altra cosa che ho trovato su internet.»

«Cioè?»

«L’edizione limitata di Apocalypse Now. Stefania mi aveva detto che è il suo film preferito, ho dovuto guardarmelo stamattina per fingere che fosse anche il mio.»

«Uh, ma allora ti piace davvero questa tipa!»

Si tirò a sedere e riprese il tablet. «No, mi piace la gloria che otterrò dalla pubblicazione di questa storia.»

«Su un sito.»

«Va bene lo stesso come punto di partenza. Ho intenzione di non scrivere scene erotiche per almeno dieci capitoli, voglio provare a misurarmi con me stesso»

«Un bel cambiamento. E nella realtà?»

«Proverò a cercare di non saltarle addosso, o al diavolo il piano.» Diede una rapida lettura ad alta voce al prologo, cercando l’approvazione di Viola. «Che ne pensi? Vorrei pubblicarlo stasera.»

«Mi piace» disse lei, annuendo. «Però dovresti inserire altri personaggi, sennò rischia di essere il solito triangolo amoroso.»

«No, non metterò in mezzo Stefania e Leonardo» dichiarò Roberto con decisione.

Viola alzò le spalle. «Era solo un’idea. E so che ci rifletterai.»

Gli tolse il tablet dalle mani e lo poggiò sul comodino, poi si mise a cavalcioni sopra il suo amico. «Quanto tempo abbiamo?»

Roberto sogghignò di nuovo. «Almeno mezz’ora.»

«Può bastare.»

La osservò sbottonarsi completamente la camicetta e gettarla dietro di sé, tra i mucchi di vestiti da lavare del ragazzo; dopo che si fu liberata anche del reggiseno, le circondò i seni con le mani e lasciò che si piegasse in avanti per baciarlo, mentre una mano cercava la lampo dei jeans.

Dopotutto, pensò, non c’era bisogno di raccontare proprio tutto nella storia che stava scrivendo, no?





Il titolo è una citazione da Sex and the City.

 

MATTEO:

- “Alle scale piace cambiare”: citazione da Harry Potter.

 

MARTA:

- “FANTASTIC!”: citazione da Doctor Who.

 

ROBERTO:

- Tom e Semir: personaggi di Squadra Speciale Cobra 11. Io adoro SSC11. SSC11 è bello. SSC11 è slash.

 

 

 

 

SPAZIO AUTRICE

 

Buondì e buon post-Ferragosto a tutti!

Finalmente avete fatto la conoscenza di Viola, che credo già molti di voi amer- ehm, no, forse non sarà così.  stato divertente scrivere questo capitolo, specialmente il terzo POV (che aspettavo da tempo di scrivere!), però mi ero arenata sul secondo perché – e lo sa che legge altre mie storie – a me i ragazzi “dolci e gentili” non fanno impazzire e non sapevo come rendere Roberto interessante pur dolce agli occhi di Marta; a proposito, ho trovato le leggende e il significato dei tulipani girovagando su internet, purtroppo per me non si è trattato di una mia invenzione.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci vediamo tra due settimane con il prossimo ^^

Grazie a tutti!

 

Medusa


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Capitolo 10
*** Alcune cose non sono nel nostro destino, a prescindere da quanto le vogliamo ***


Alcune cose non sono nel nostro destino, a prescindere da quanto le vogliamo





 

«Avete trovato tracce di Ameiko?»

Jerle si portò l’indice davanti alla bocca, facendo segno a Amy di non fare rumore. «Saresti tu la ladra esperta?» soffiò.

Per tutta risposta, Robert si intromise tra loro, sussurrando: «Capita a tutti di sbagliare, Jerle. Abbiamo altro di cui occuparci adesso.»

L’elfo sembrava indispettito, ma lasciò cadere il discorso: erano penetrati in piena notte nella vetreria di Sandpoint alla ricerca della locandiera scomparsa e non potevano sapere se qualcuno fosse lì ad attenderli; dopotutto colui o coloro che avevano teso un agguato a lei e al fratellastro Tsuto proprio in quel luogo – a mezzanotte, stando al biglietto inviato dal mezzelfo alla sorella il giorno precedente la sparizione – potevano trovarsi ancora lì, in attesa dei “famosi eroi” che certamente sarebbero giunti a cercare la loro amica. Sapeva di trappola, Jerle aveva già esposto i suoi dubbi al gruppo, anche se la reazione di Ygritte era stata: «Che ci frega? Andiamoci e spacchiamogli il culo.»

Dovevano fare attenzione, molta attenzione, perché c’erano diverse porte sull’unico piano della vetreria e dietro ciascuna avrebbe potuto celarsi un imprevisto. Amy poggiò l’orecchio sulla prima porta, cercando di ascoltare un eventuale movimento dall’altra…

 

«Vuoi un caffè?» interruppe la narrazione Roberto, la mano destra poggiata sulla spalla di Marta.

«Sì, grazie, oggi ho dormito poco…»

«Ci stavo pensando, infatti. Ieri sera non saremmo dovuti rimanere così tanto al telefono… Ehi, master, puoi farci due caffè?»

Lentamente, il cervello che bolliva, Matteo riemerse dallo schermo del game master che nascondeva il manuale dell’avventura al resto dei giocatori. Odiava essere interrotto sul più bello, specialmente per motivi futili, e richiedere un caffè pochi minuti dopo la consueta pausa della sessione rientrava perfettamente nella definizione di “futile”; anche Roberto poteva essere inserito in una categoria e si trattava senza dubbio di “irritante”.

“Stupido ragazzino viziato che pensa solo a fare il figo” pensò, annuendo con fastidio e alzandosi per compiere il servizio richiesto.

«Mi dispiace doverti fermare,» si scusò Roberto con un tono che a Matteo non convinse minimamente, «ma sei il solo responsabile presente del Sotterraneo…»

«Non importa. Mi avresti interrotto comunque, chiedendo a qualcun altro.»

Un lampo di divertimento attraversò lo sguardo di Roberto, un lampo che il suo master colse appena in tempo, prima che sparisse – come colse il sorriso trattenuto. Si chiese a quale gioco stesse giocando: smetteva mai di ruolare, al termine di ogni sessione?

«Due cucchiaini, grazie, mi piace dolce» si limitò a ribattere il ragazzo. «E tu, Marta?»

“E tu, Marta?” gli fece mentalmente il verso Matteo. Si chiese cosa ci fosse tra quei due, se la gentilezza di Roberto avesse un doppio scopo e se dopo quel bacio… “Toglitelo dalla testa, non è il momento di pensarci.”

«Ehi, master, hai sentito?»

«Scusa, cos’hai detto?»

Roberto ridacchiò come se la temporanea distrazione di Matteo fosse un raro evento esilarante. «Marta prende un cucchiaino e mezzo di zucchero.»

«È inutile dirmelo, tanto ci sono le bustine.»

E, con ben poca grazia, Matteo lanciò sul tavolo di gioco il contenitore delle bustine di zucchero.

«Certo, aggiungiamone altro, come se non ne avessi già la nausea» si lamentò Stefania, appoggiando il capo sul palmo della mano.

«Dieta?» chiese Leonardo, guadagnandosi uno sguardo di fuoco.

«No, stupido elfo, ma grazie per avermela ricordata. Stavo parlando di quei due.» Stefania puntò due dita verso i giocatori che aveva di fronte.

«Ti stiamo dando fastidio?» chiese Roberto, apparentemente sorpreso. «Che abbiamo fatto?»

«State lì a cinciallegrare da quando siamo arrivati, mi avete stancato.»

«Fatti nostri. A te abbiamo stancato, Leo?»

«Ehm… no. Cioè, come vi pare. Ma se a lei da fastidio, ecco, non so, potreste evitare di… In fondo non sono affari miei, però, quindi non posso dirvi…»

“Se lo chiede anche a me, dietro la porta faccio apparire un Tarrasque con la passione per i guerrieri, e a fanculo l’ambientazione.”

«E a te, Marta? Sto esagerando? Marta?»

«Eh? Oh, scusa…»

Con la coda dell’occhio, Matteo notò che la ragazza aveva appena distolto lo sguardo da lui. Chissà cosa stava pensando… Forse si stava colpevolizzando per averlo innervosito; già, quelle come lei tendevano sempre a sentirsi in colpa per cose che non avevano fatto. Respirò profondamente, cercando di controllarsi: non aveva niente contro di Marta, era stata la stupidità di Roberto a infastidirlo – e le sue continue allusioni al tempo insieme che avevano trascorso negli ultimi giorni, come se a qualcuno potesse interessare. Per una volta si trovava d’accordo con Stefania.

«Tieni.» Le porse gentilmente il caffè e allungò una tazzina anche a Roberto. «Riprendiamo da dove eravamo rimasti. Marta, fammi un tiro di Percezione.»

«Diciotto: superato… credo.»

«Senti delle voci oltre la porta, ma non riconosci il loro linguaggio.»

«Aspetta» si inserì Leonardo. «Marta ha un punteggio Intelligenza alto, parla altre lingue.»

Stefania si sporse sul tavolino per scrutare la scheda di Marta. «Dubito che parlino Draconico in una vetreria, sai?»

Lui avvampò, balbettando qualcosa come: «Beh, ma io… non potevo saperlo… Cioè, non era detto che…»

«Sono goblin» svelò Matteo, esasperato. «I goblin hanno attaccato la città, i goblin hanno tentato di uccidervi, i goblin sono gli unici nemici che posso mettervi al primo livello. Possiamo andare avanti, adesso

 

La porta era chiusa a chiave, ma ad Amy bastarono pochi esperti gesti per far scattare la serratura; dietro di lei, Robert e Ygritte erano già pronti ad attaccare chiunque avrebbero trovato nella stanza. Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi, però, fu tale da catturare l’attenzione del guerriero, che fallì l’assalto.

Nessuno di loro era preparato alla vista di quell’orrore: nove cadaveri giacevano avvolti nel vetro fuso, come se i loro aguzzini si fossero divertiti a ucciderli colandoglielo addosso ancora caldo; nel volto di una della vittime, che non era stato raggiunto dal vetro, si potevano ancora leggere l’espressione di paura e dolore, gli occhi spalancati, la bocca aperta in un grido muto. Jerle lo riconobbe: era il padre di Ameiko Kaijitsu.

Ygritte fu l’unica a non farsi prendere dal panico e a tranciare in un colpo solo il collo di un allarmato goblin. Presto anche gli altri le furono addosso, ma un fiotto acido proveniente dalle mani di Jerle raggiunse uno di loro, ferendolo gravemente. La battaglia fu breve, tra i colpi di spada di Robert e Ygritte, le magie dell’elfo e i sassi di Amy; solamente la barbara rimase ferita, ma il modo in cui sventrò il goblin che l’aveva colpita fu da monito agli altri avversari, che cercarono di tenersi lontano da lei – per quanto fu loro possibile.

Quando tutto fu concluso, Ygritte passò a recidere le orecchie dei goblin che aveva abbattuto per ornare la sua collana, mentre Jerle esaminava i corpi e Robert e Amy rovistavano nella stanza in cerca di indizi e armi da poter rivendere al migliore offerente. La cosa più saggia da fare sarebbe stato perquisire il resto della vetreria, ma Robert scoprì orme di piccoli piedi che conducevano a una botola, seminascosta dietro alcune casse.

«Guardate qua.»

«Potrebbe essere il loro nascondiglio» azzardò Jerle. «Forse ci sono altri goblin… e forse è da qui che sono passati quelli che hanno assalito la città la notte della festa.»

«Dovremmo dare un’occhiata al resto delle stanze, però» rifletté Amy ad alta voce. «Ameiko potrebbe essere nascosta da queste parti… Tra i cadaveri non c’era.»

«Ma non possiamo escludere che sia morta.»

«Cosa facciamo?»

 

«Avete una settimana per deciderlo» li interruppe Matteo, chiudendo sonoramente il manuale.

Leonardo controllò l’orologio e aggrottò la fronte. «Mancano ancora due ore. Di solito non finiamo all’una?»

«Giovanni ci aspetta al pub.»

«Potevi dircelo prima, almeno» esclamò Stefania, incrociando le braccia al prosperoso petto.

Fu la volta di Matteo di sentirsi indispettito. È vero, aveva dimenticato di avvertirli, ma loro non avevano dimenticato le buone maniere per tutta la durata della sessione? Buone maniere che imponevano che il master non venisse mai disturbato mentre narrava?

«Volete venire?» si limitò a chiedere, senza neanche scusarsi – per poi ricordare che a dargli sui nervi era stato unicamente Roberto. Come al solito, se la stava prendendo anche con chi non c’entrava niente. «Giovanni ha una sorpresa per noi.»

Roberto si strinse nelle spalle. «Per me non c’è problema, tanto avevo già progettato di fare tardi. Tu, Marta? Preferisci che ti riaccompagni a casa?»

«No, posso venire, tanto domattina non ho l’università.»

«Meglio, mi fa piacere stare un altro po’ con te.»

“Mi fa piacere stare un altro po’ con te” gli fece di nuovo il verso Matteo, distogliendo lo sguardo dal sorriso che Roberto stava lanciando alla sua ragazza.

Era sicuro che fosse la sua ragazza? Sì, non sembravano esserci dubbi. Certo che Marta si consolava facilmente.

«Veniamo anche noi» disse Stefania, indicando Leonardo con un cenno del capo.

Lui impallidì, colto alla sprovvista. «“Noi”? Non… Perché parli anche per me? Non mi piacciono i pub. C’è gente.»

«Anche al Romics c’era gente.»

«Certo, ma qui c’è gente gente

Stefania alzò gli occhi al cielo. «Per gli dèi antichi e nuovi, elfo, muovi il culo e andiamo a bere!»

«Qual è la sorpresa di Giovanni?» chiese Roberto, sogghignando per il loro scambio di battute e circondando con il braccio le spalle di Marta.

«Lo vedrete» rispose Matteo, evasivo. Con la coda dell’occhio notò Marta distogliere lo sguardo da lui ancora una volta.

 

 

I polpastrelli di Giovanni tamburellavano nervosamente sulla superficie consumata del tavolo, soffocati dal caos che regnava all’interno del pub. Era un locale situato lontano dalle strade principali della zona, in una stretta via dove era difficile trovare parcheggio, eppure la clientela abituale affollava le due piccole stanze come ogni venerdì sera; per quello che credeva essere una sorta di miracolo, Giovanni era riuscito a trovare un tavolo libero in fondo al locale, addossato a una delle pareti di pietra e posizionato di fronte al camino spento. Il luogo non era certo dei migliori per un primo incontro, ma su quel punto Matteo era stato irremovibile.

«Deve trattarsi di un posto a cui sei già abituato» aveva detto, perentorio «altrimenti finirai per comportarti come un idiota.»

“Come se non lo avessi già fatto.”

Giovanni reputava profondamente idiota – e irresponsabile, infantile e stupido – il modo in cui aveva terminato la cena degli ex studenti, portandosi a casa, inebriato dall’alcol, una compagna di classe che al liceo non aveva mai davvero notato: a quel tempo, e per tanti anni a venire, era esistita “Cate e solo Cate”; c’erano stati baci con altre ragazze, ma nessuna donna che non fosse Caterina l’aveva visto muoversi, nudo e impacciato, sotto le coperte.

“E neanche Miriam mi ci ha visto, effettivamente.”

Del poco che ricordava di quella notte, era ben impressa nella sua mente la figura di un uomo sicuro di sé, molto diverso da ciò che Giovanni era veramente. L’avevano fatto nel letto matrimoniale…

Quel pensiero lo faceva arrossire e sentire un verme, ma bastava ricordarsi che Caterina lo aveva fatto con un altro uomo – in un posto diverso, certo, però mentre stavano ancora insieme – per convincerlo che non aveva agito nel modo sbagliato: quello era il suo letto e Miriam era la sua… beh, ex rappresentante di classe? Qualcosa del genere. Non ragazza, no; “persona con cui si stava frequentando”, ecco.

«È tutto a posto?»

La voce di Miriam lo distolse dai propri pensieri, facendogli scattare la testa verso l’alto in un modo tanto innaturale da strappare una risata alla sua… “compagna di bevute”.

«Sì, stavo solo pensando che ci stanno mettendo un po’. L’appuntamento era per le undici e un quarto e Matteo non ama fare ritardo…»

«Matteo è il tuo migliore amico, non è vero? Dopo Chad, intendo.»

«Sì, è la persona che mi conosce di più. Sono felice di lavorare insieme a lui.»

Frasi di circostanza: entro poco avrebbe cominciato a parlare del tempo – senza che potesse vederlo, lontano dalle poche finestre del pub. Quel pensiero gli strinse il collo, dandogli la sensazione di soffocare, e Giovanni dovette slacciare il primo bottone della camicia per liberarsene.

«Sei sicuro che la cosa migliore sia presentarvela?»

«Ma sì, ti dico: non le dai troppe false speranze in un’uscita tra amici, e poi chi ti conosce capirà che hai messo da parte Cate, no?»

Per la prima volta in vita sua aveva chiesto consiglio a Matteo, ma solo ora cominciava a chiedersi se avesse fatto bene; d’altronde, non gli sembrava che il suo amico fosse la persona più esperta in campo amoroso. Parlarne con Chad era escluso, non avrebbe fatto altro che piagnucolare perché voleva che le cose con Caterina si sistemassero, e non poteva neanche rivolgersi a suo fratello, con il quale non aveva un grande legame, o a Lory, nascosta in chissà quale parte del mondo. Si rese conto, con mestizia, che l’unica persona a cui si era sempre affidato nella vita per un consiglio era sua moglie – la sua ex moglie. Presto lo sarebbe diventata, perlomeno.

L’improvvisa apparizione di una faccia burbera lo fece incredibilmente esultare.

«Uff, non c’era proprio posto, eh?» esclamò Stefania, rivolta più a se stessa che a Giovanni. Probabilmente impiegava il tempo libero a polemizzare tra sé e sé per le questioni più disparate. «Ciao» salutò poi, ricordandosi di avere di fronte altre persone. Aggrottò le sopracciglia quando vide Miriam, come studiandola, ma non disse nulla.

Leonardo, al contrario, apparve turbato e il sorriso esibito da Matteo era tanto largo non essere per niente convincente.

«Ciao!» esordì, tendendo un braccio verso Miriam. «Tu devi essere Miriam. Io sono Matteo, piacere di conoscerti.»

La ragazza gli strinse la mano e sorrise a sua volta, passando poi a presentarsi agli altri presenti. «Piacere, Miriam.»

«Stefania» bofonchiò l’altra, ma fu Leonardo a mettere di nuovo in agitazione Giovanni.

«P-piacere, Le-Leonardo.» Si guardò intorno, spaesato, lanciando di tanto in tanto occhiate fugaci a Miriam, come se si aspettasse di vederla trasformare in Caterina da un momento all’altro.

«Ci siete solo voi?» chiese Giovanni.

«Stanno parcheggiando» disse Stefania con il solito tono brusco. «Ci prendiamo una birra?»

«Credo sarebbe carino aspettarli» le rispose gentilmente Miriam.

Giovanni non dovette essere l’unico ad annusare il disastro nell’aria, perché il timido Leonardo sembrò scegliere di essere lui l’agnello sacrificale.

«Aspettiamoli!» esclamò con voce acuta. «Tanto stanno per… Ehi, eccoli là!»

L’apparizione di Marta e Roberto calmò temporaneamente la acque. Si stavano facendo largo tra la folla, cercandoli e tenendosi per mano. Quel particolare portò immediatamente lo sguardo di Giovanni su Matteo, ma il suo amico stava scrivendo un messaggio, in apparenza tranquillo.

«Scusate il ritardo, non trovavamo parcheggio.» Roberto si sedette, facendo spazio sulla panca anche a Marta, poi guardò Miriam sorpreso. «Ciao, io sono Roberto.»

Giovanni notò che si stava limitando a porgerle la mano e rivolgerle un sorriso educato, senza complimentarsi per il taglio dei capelli o la collana che scivolava nei seni – al contrario teneva lo sguardo concentrato sui suoi occhi.

«Miriam.»

«Marta.»

«Voglio una birra.»

Giovanni alzò un braccio per richiamare l’attenzione del barista, in modo da far tacere Stefania, ma c’era troppa confusione nel locale perché chiunque lo notasse, così fu costretto ad alzarsi. «Cosa vi prendo?»

«Una rossa.»

“Mi piacciono le rosse”: ancora una volta, qualcosa che credeva di sentir uscire dalle labbra di Roberto lo deluse. Era strano il modo in cui si stava comportando con Marta, possibile che lei gli interessasse realmente? Non aveva tempo di pensarci, perché i suoi amici stavano continuando a fare le loro ordinazioni.

«Rossa anch’io, e per te, Marta?»

«Una chiara» risposero in coro Marta e Matteo. Si guardarono per una frazione di secondo, poi voltarono bruscamente la testa, imbarazzata o indifferente.

«Io anche… penso… una chiara… Non mi piace molto la birra, forse sarebbe meglio una Co-»

«Una mezza pinta chiara per l’elfo.»

«Ma…»

«Stasera ti inizieremo all’alcol.»

«Tu cosa prendi?» Giovanni, ormai in piedi, si chinò verso Miriam per sentire la sua voce al di sopra di quelle che stavano affollando le sue orecchie. Immediatamente si pentì di quel gesto, che dovette sembrare alquanto intimo per due persone che si frequentavano da così poco.

“Che ne sanno loro da quanto vi frequentate?” disse una vocina nella sua testa.

Maledetto Matteo e le sue idee.

«Prendo una chiara media, grazie.»

Cate avrebbe preso una scura grande. Cate, la donna dall’aspetto delicato e dai capelli sempre in ordine: era cambiata dal liceo, ma alcune abitudini erano rimaste.

Fu così che Giovanni si ritrovò a ordinare una scura di troppo e a farla passare per sua, quando al ritorno al tavolo trovò un’altra donna al posto di Cate.

 

 

Al contrario di quello che Stefania aveva detto, quella non era la prima volta che Leonardo aveva a che fare con l’alcol; semplicemente non lo faceva impazzire. E gettava sua madre nell’agitazione, il che era anche peggio.

Gli sembrava di sentirla ancora raccomandarsi: «Non bere alcolici. Non andate in due su un motorino. Non parlare con gli sconosciuti. Non mangiare cibo scaduto. Rifai il letto. Ricorda di buttare la spazzatura.» Frasi che chiunque vivesse con i propri genitori si era sentito dire almeno una volta nel corso dell’adolescenza, ma quelle parole erano uscite dalla bocca di sua madre quando per l’università Leonardo aveva deciso di trasferirsi a Roma. E poco prima che lei scoppiasse a piangere e stringesse a sé l’amato figlio, che non avrebbe rivisto per almeno un mese.

A pensarci bene, la settimana seguente Leonardo sarebbe tornato a casa per un po’ di giorni, era il caso che cominciasse a preparare i vestiti da mettere in valigia così sua madre li avrebbe lavati e stirati non appena…

«Ehi.» Una voce lo richiamò alla realtà. «Che fai, non bevi?»

Da quando Giovanni era tornato al tavolo con le birre, Leonardo non aveva fatto altro che tenere la sua tra le mani, intatta, e osservare i movimenti di tutti quelli che sedevano al suo tavolo: Roberto aveva fatto assaggiare la sua Eagle a Marta, lasciando poi scivolare un braccio intorno alle sue spalle; Matteo controllava spesso il cellulare, alzando di tanto in tanto lo sguardo per chiacchierare con Giovanni; il proprietario del Vecchio Mangaka, da parte sua, cercava di prestare attenzione a Miriam e di coinvolgerla nei discorsi con gli assidui frequentatori del suo negozio. L’unica a cui Leonardo non aveva prestato attenzione era Stefania, che sedeva accanto a lui.

Portò lo sguardo sul bicchiere ancora pieno.

«Ho cenato presto stasera e ora ho lo stomaco vuoto…» ammise.

«Aspetta.»

Stefania si alzò e si allontanò, probabilmente diretta in bagno: forse voleva lanciargli qualche frecciatina, però “la vescica la stava chiamando” – non era così che si diceva da quelle parti? Sì, di sicuro era quello il motivo per cui lo aveva canzonato dandogli del ragazzino che si preoccupava di mangiare prima di bere o lamentandosi di andare in giro con uno come lui. Marta doveva essere una buona compagnia per le bevute, invece, a giudicare da quanto alcol stava mandando giù quella sera.

«E tu, Leonardo, cosa studi?» gli chiese Miriam, attirando la sua attenzione.

«Lettere a Roma Tre» rispose lui. Si chiese se in quel momento dovesse bere un sorso di birra per darsi un contegno.

«Oh, che bravo! E che cosa vuoi fare da grande?»

Gli dava fastidio il modo in cui Miriam si stava rivolgendo a lui, come se fosse un bambino. Avevano dodici anni di differenza, ma Leonardo non andava più al liceo! Cate non l’avrebbe trattato così.

Fu solo dopo essersi indignato per il tono usato da Miriam che si rese conto della domanda che gli aveva posto. Che cosa voleva fare in futuro? Bella domanda, di sicuro si aspettava una risposta, ma stava passando troppo tempo in silenzio.

«Già, Leo» si intromise Roberto. «Che vuoi fare da grande

Lo guardò con un sorriso che non prometteva niente di buono, ma Stefania non era là a dargli corda, per fortuna, e Leonardo doveva approfittarne per cercare di tirare fuori le parole che gli si erano incastrate in gola.

«Beh…» Tossì. «Il mio sogno è lavorare in una casa editrice. So che è difficile, però… Mi piace, ecco.»

«Ami leggere?»

Che domande erano? Forse Miriam lo vedeva davvero come un bambino, forse pensava addirittura che Giovanni l’avesse portata all’asilo.

«Sì, certo» si ritrovò a rispondere con più glacialità di quando avrebbe voluto.

«Ecco qua.» Stefania comparve dal nulla con in mano due piatti che poggiò sul tavolo. «Questo è per te, elfo. Spero ti piaccia il formaggio.»

Leonardo sgranò gli occhi. «Perché?»

«Beh, hai detto di avere lo stomaco vuoto. Non potevo farti sprecare una birra.»

Stava sognando. Sì, stava decisamente sognando, non c’era altra spiegazione. Eppure il panino ripieno di hamburger, insalata e formaggio sembrava davvero reale; per assicurarsene ne addentò un pezzo e dovette ammettere che non si trattava di un sogno.

«Ti restituisco i soldi.»

«Non serve.»

«Lascia che ti paghi la birra, allora.»

Stefania si pulì le labbra sporche di ketchup con il tovagliolino in cui era avvolto il suo hot dog. «Studi fuori casa, non lavori e non puoi fare sempre affidamento sui soldi dei tuoi» disse, schietta. «Perciò ora mangia quel panino e non rompere le palle se ti offro qualcosa.»

Era ancora incerto se sognare o no: l’atteggiamento di Stefania restava lo stesso che lui conosceva, ma i fatti… Gli stava davvero offrendo un panino? No, non si trattava di quello, ma dall’esserlo andata a comprare quando lui aveva detto di avere fame. Quella non era la Stefania che conosceva – in parte sì, ma era la Stefania del Romics. E in quel momento nessuno dei due era in cosplay. Gettò un’occhiata al bicchiere di lei, ma mancava pochissima birra ed era certo di non avergliene visto portare altra con sé quando era tornata al tavolo. Nel distogliere lo sguardo, notò che Stefania stava fissando con astio Marta.

“Possibile che…?”

Non fu in grado di formulare l’intero pensiero, perché Stefania si voltò verso di lui. «È la prima volta che bevi?»

«No, però… non ne vado pazzo, te l’ho detto.»

Sorseggiò della birra, fissando l’orlo del bicchiere. «Te ne ho fatta prendere un po’ troppa, mi sa… Se non ti va lasciala, eh, quella puoi pagarla tu senza sentirti in colpa.»

«No, la bevo con calma. Chiara non mi dispiace. Senti, posso chiederti una cosa?»

Annuì.

Leonardo si fece coraggio. «Perché non mi stai insultando?»

«Eh?» chiese lei, senza staccare gli occhi dal bicchiere.

«Non mi hai preso in giro perché avevo paura di bere a stomaco vuoto.»

«Significa che non volevi ubriacarti.»

«In effetti, no…»

«E cosa c’è di male in questo?» La testa di Stefania scattò di nuovo verso di lui e Leonardo fu certo di vedere balenare nei suoi occhi verdi un velo di tristezza. «Neanche a me piace molto la birra» confessò. «La bevo solo rossa, le poche volte che vengo al pub. Questo è il ritrovo preferito degli associati, vero?»

«Già, lo chiamiamo “Testa di Porco”: non è pulitissimo, Max lascia fumare all’interno quando c’è poca clientela e c’è un fortissimo odore di formaggio, ma si sta bene, dà un’atmosfera di “casa”. Che cosa ti piace, allora?» Leonardo cambiò bruscamente discorso, sentendosi ridicolo per quello che aveva appena detto.

«Lo zucchero filato. Mangerei montagne di zucchero filato.»

Sorrise di fronte al suo sguardo improvvisamente felice. «Mi piace lo zucchero filato. E poi?»

«Sempre cibo?»

«No, tutto quello che ti viene in mente.»

«Beh, sai già di Game of ThronesNeon Genesis Evangelion. Amo Asuka.» Stefania si indicò la maglietta. «Ho una vera fissazione per quel manga, ho anche i primi volumi e a ogni fiera compro una action figure di Asuka.»

«Già, mi ricordo di avertela vista prendere anche al Romics!»

«Sì, quella con la gonna sollevata… Mi mancava. E tu? Cosa ti piace?»

Leonardo stava per chiedere se fosse davvero interessata a saperlo, quando notò che i suoi occhi stavano per diventare lucidi: aveva gettato un’altra occhiata in direzione di Marta e Roberto ed era ormai evidente che stesse facendo il possibile per pensare ad altro. Accorgersene gli chiuse inspiegabilmente lo stomaco.

«I fantasy di ogni tipo. Ho letto Harry Potter, Martin, Pratchett, Brooks, Dragonlance… perfino Cronache del Mondo Emerso

«Che schifo, dici sul serio?»

«Anche Twilight.»

«Cosa?! Ma sei un uomo!»

Si strinse nelle spalle. «Era in casa…»

«Ti piace Benni?»

«È una domanda a trabocchetto?»

«Rispondi.»

«Beh… Non ho letto niente di suo.»

«Hai fatto bene, fa schifo.»

Se anche avesse insultato il suo scrittore preferito – cosa alquanto improbabile, dal momento che si trattava di Martin – Leonardo sarebbe scoppiato a ridere comunque, solo per alzarle il morale. Era piacevole parlare con lei quando non lo trattava male, e non solo delle Cronache di Martin. Evitò però di chiederle il suo personaggio preferito, intuendo che si sarebbe impelagato in un bel guaio.

“È una Lannister, di sicuro amerà Cersei. Non posso mica dirle che voglio Sansa sul Trono.”

Dietro le spalle di Stefania, Roberto e Marta si stavano scambiando un bacio e Leonardo fu lieto di averla distratta. Avrebbe volentieri continuato a farlo per tutta la serata, pur di risparmiarle quel dolore.








Il titolo è una citazione da Una mamma per amica.

 

MATTEO:

- Tarrasque

 

LEONARDO:

- Testa di Porco: pub situato a Hogsmeade nella saga di Harry Potter

- Cersei e Sansa: personaggi rispettivamente Lannister e Stark

 

 

 

 

SPAZIO AUTRICE

 

Poche note per questo capitolo e un gigantesco SCUSATE IL RITARDO!

Tra storie da betare e storie da correggere per un contest (ben trenta e ancora non ho finito) sono riuscita a scrivere il capitolo solo in questi ultimi giorni. Spero che soddisfi le vostre aspettative, perlomeno!

Matteo (come Marta) sta risultando il più difficile su cui scrivere, mentre Giovanni fila abbastanza liscio come l’olio e i dialoghi tra Stefania e Leonardo si scrivono da soli; Roberto poi è il mio personaggio preferito, ma non dovrei avere preferenze. Non dovrei proprio, visto la fine che fanno i miei personaggi preferiti XD Ma non ho ancora in serbo niente per lui, don’t worry!

Che pensate di Miriam? Giovanni potrà abituarsi a una ragazza che non è Cate? Cate che finora è apparsa ben poco, ma tornerà nei prossimi capitoli.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e anche di aggiornare presto. Se tra voi dovesse esserci qualche amante di Game of Thrones, ne approfitto per spammare una minilong AU che sto scrivendo e che aggiornerò presto: Rabbit heart and Lion heart.

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