Scars

di Yellow Submarine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Barely Breathing ***
Capitolo 2: *** I am creep ***



Capitolo 1
*** Barely Breathing ***


Scars

cicatrici

 

di Yellow Submarine

 

 

 

Il mondo del nuovo millennio sopravvive grazie a quattro cose: acqua, petrolio, crisi monetaria e violenza. L'ultima, in particolare.

Non importa di quale tipo si tratti – il brutale stupro di una ragazza in metrò o lo schiaffo di un marito rabbioso – perché ogni tipo di istituzione la produce, seppure inconsciamente, lasciando che la popolazione se ne cibi, la brami, goda del suo operato.

La violenza non è altro che un complicato sistema che va a porre le sue radici dentro la mente di qualsiasi cittadino con un minimo di contatto con i media, facendo anche del carattere più mite e tranquillo una macchina sua succube.

Non esistono sopravvissuti – o prigionieri di guerra – in quanto l'uomo è vittima della violenza anche solo non intervenendo per fermarla o rimanendo impassibile davanti ai terribili spettacoli proposti dai telegiornali.

La violenza è paura, è terrore e l'essere umano è per principio un animale piuttosto timoroso. La soluzione per tenersi lontano dai guai – se non si è coloro che li provocano – è l'omertà, perché è comoda, è pratica e non porta verso alcun risvolto spaventoso.

Sta di fatto, infine, che la violenza sboccia e cresce durante gli anni della scuola, quando le menti che va a colpire non sono ancora abbastanza temprate dal tempo per reagire all'intrusione, e si manifesta in più episodi che vengono classificati tutti con nome diverso: risatine, insulti, bullismo.

La si può riconoscere in qualsiasi cosa, dallo sbattere di una porta all'eco di passi in un corridoi, da uno spintone a dei singhiozzi attenuati dalla porta chiusa di un bagno, da un comportamento brusco o insensato ad una cicatrice sulla schiena.

 

 

Non c'era niente che Kurt Hummel preferisse al silenzio che calava nei corridoi dopo la fine delle lezioni e dei club pomeridiani: era piacevole, rinfrescante e allontanava i cattivi pensieri. Somigliava molto ad un getto d'acqua che rischiarava una superficie sudicia.

Con un insolito sorriso ben tirato sulle labbra, Kurt si strinse nelle spalle e si diresse verso il suo armadietto con passo accorto e veloce, impaziente di prendere i libri di cui aveva bisogno e tornare a casa per prepararsi al caffè che doveva prendere con le amiche poco più tardi.

Non era facile, essere sé stessi – soprattutto se voleva dire possedere una quantità decisamente esagerata di foulard da sfoggiare per ogni giorno del mese – ma dopo un anno di continue minacce e violenza verbale ingiustificata nei suoi confronti, Kurt si sentiva stranamente fortificato e fiero: non aveva ceduto a nessun tentativo di abbatterlo e aveva stretto i denti quanto era necessario per non crollare. Il pensiero lo rasserenò tanto da fargli guizzare sulla bocca un sorriso tutto nuovo.

Terminato di scrutare nervoso che il perfetto ordine dei magneti attaccati all'interno del suo armadietto fosse lo stesso di quella mattina, Kurt sospirò rilassato, diede una rapida occhiata alla sua immagine nello specchio che aveva appeso di fianco ad una vecchia fotografia di sua madre e chiuse velocemente l'armadietto, dirigendosi finalmente verso l'uscita.

 

Dove credi di andare, bambolina?” era una voce che Kurt sfortunatamente conosceva fin troppo bene e che interruppe bruscamente la spensieratezza di cui si era sentito tanto inebriato pochi attimi prima.

Non sapendo bene come reagire a quella richiesta minacciosa e non trovando alcun coraggio di voltarsi per fronteggiare il suo avversario, Kurt continuò a camminare verso l'uscita, aumentando drasticamente il passo e ritrovandosi a condurre una marcia poco coordinata e decisamente sgraziata, nella viva speranza che l'altro si trovasse abbastanza lontano da non riuscire a raggiungerlo.

Prima che potesse accorgersene, due ragazzi della squadra di basket gli furono davanti, sbucando dal nulla; avanzavano minacciosi e lo costrinsero a indietreggiare.

Paralizzato dal terrore, Kurt sentiva il cervello schiacciato sotto un sasso: non riusciva a pensare, a escogitare un piano che lo avrebbe salvato e, seppure il suo istinto di sopravvivenza strillasse ossessivamente dentro di lui, dalle sue labbra non uscì altro che un respiro affaticato e parole confuse.

E in un attimo, non era più forte, non lo era mai stato, perché non aveva braccia con cui difendersi dagli schiaffi, non aveva gambe con cui tirare calci e correre più veloce, non aveva mai abbastanza voce per gridare – per pregare – di smetterla.

 

Se fossero passati dieci, venti minuti, un'ora oppure un anno, Kurt non l'avrebbe saputo dire, perché sentiva male dappertutto. La pelle, il viso, tutto gli bruciava talmente tanto da fargli perdere la cognizione del tempo.

Sentiva chiaramente la risata di uno dei giocatori di basket che, intanto, gli tirava indietro le braccia e faceva scattare le ossa, probabilmente testando quanta pressione servisse perché l'omero si staccasse definitivamente dalla spalla; nel frattempo, qualcun altro – gli occhi bruciavano, pure loro, Kurt non aveva alcuna forza di controllare chi stesse maneggiando col suo corpo – si divertiva con crudele sadismo a mantenere il suo volto rivolto verso l'alto con violenti schiaffi e pugni sugli zigomi, probabilmente con l'insano timore che Kurt potesse addormentarsi.

Probabilmente, sarebbe stata la cosa migliore, assopirsi, senza svegliarsi mai più: tutto quel dolore azzerava ogni pensiero e non c'era niente che Kurt riuscisse a fare oltre che a strillare più forte che potesse e incassare l'ennesimo ceffone.

Intanto, mentre uno continuava a farlo contorcere come una bambola e l'altro a utilizzare il suo volto come sacco da punching ball, un altro ancora rideva forte, come pervaso dalla più soddisfacente delle gioie; ripeteva qualche storia a proposito di sua nonna, la loro parrocchia ed il loro pastore, qualcosa riguardo a quanto Kurt fosse innaturale.

Difendeva con convinzione il loro operato, balbettando qualche frase sconnessa riguardo alle giuste punizioni che ogni essere umano meritava.

Kurt non aveva nemmeno la forza per infuriarsi o rispondere. Non aveva nemmeno un briciolo di fiato per respirare, perché il ragazzo aveva sfoderato dalla tasca dei jeans lo stesso coltellino svizzero con cui lo aveva minacciato più volte di ridurre in brandelli i suoi preziosi vestiti firmati da qualche “improponibile checca”; solo che, oltre a sminuzzare la sua nuova camicia color lavanda di Alexander McQueen, quella volta aveva deciso di lasciare un segno più indelebile.

Muori, frocio del cazzo.”

Poi aveva intagliato con minuziosa attenzione la porzione di pelle poco sopra il fianco destro di Kurt, facendolo strillare ancora più forte; Robert affondò il coltello piano fino a che, dalla pelle, non sgorgò un rivolo di sangue brillante.

Tutto ciò che accadde in seguito, Kurt se lo lasciò scivolare addosso, non rispondendo più alle forte scosse di dolore che arrivavano dalle sue braccia e dalla sua pelle, divisa a metà dalla lama e bollente di sangue e bruciore.

Ci fu un preciso momento in cui Kurt desiderò con tutto sé stesso che gli venisse strappata qualche arteria che conduceva tutto il sangue al cuore assieme al suo braccia o che gli venisse forata una vena facendolo dissanguare o che ancora l'altro ragazzo gli conficcasse il setto nasale nel cervello con un pugno, un preciso momento in cui l'umiliazione unita al dolore fisico gli gravarono talmente addosso da fargli pregare chiunque – era pronto a credere a qualunque dio gli sarebbe stato proposto – di mettere una fine a quella tortura.

Kurt non aveva mai pensato veramente al suicidio, alla morte. Ovviamente c'erano giorni nei quali tornava a casa e la vita semplicemente faceva schifo, ma mai niente era arrivato a convincerlo che poteva trovare nella morte una via di fuga sicura e veloce a quella persecuzione che aveva avuto inizio da quando aveva ammesso che, sì, era... diverso.

Era vero: Lima, Ohio non era New York o Los Angeles, ma a Kurt non era mai stato più chiaro che in quel momento quanto la sua natura fosse la sua stessa condanna.

Aveva sempre creduto che fosse colpa dell'ignoranza degli altri, dei pregiudizi, delle stupide battute nelle comedy show in tv, ma alla fine tutto riportava ad un'unica causa: lui.

Lui e la sua passione per i cardigan, lui e la sua passione per i musical, lui e la sua voce femminile e acuta, lui e la sua camminata tutta fianchi e espressioni ammiccanti, lui e la sua fissazione per... i ragazzi.

Prima che potesse arrendersi, Kurt fu scosso da un'onda di dolore ancora più forte di quelle prima, perché adesso lo teneva per un fianco e incideva nella sua pelle come fosse creta.

Con la stessa delicatezza con cui scoppia una bolla di sapone, Kurt aprì appena le labbra e lasciò che il suo ultimo respiro articolasse un debole “aiuto.”

 

Che diamine state facendo?”

Tutto d'un tratto, dinanzi allo sguardo annebbiato di Kurt, si parò una luce che somigliava vagamente alla speranza: qualcuno l'aveva sentito, qualcuno lo stava aiutando, qualcuno stava per fermare quel maledetto coltello, ancora con la lama affondata nella carne.

Prima che potesse realmente rendersene conto, Kurt venne lasciato cadere a terra in un tonfo, mentre i tre ragazzi tentavano di giustificare le risate, il suo volto viola di lividi e i rivoli di sangue che scendevano dalla punta del coltellino per terra.

Sue Sylvester – la stessa terribile coach della squadra di cheerleader della scuola che quella mattina aveva trovato almeno tre fantasiosi e offensivi soprannomi per chiamarlo agli attenti – esibiva un'espressione feroce e implacabile tutta rivolta verso i tre sportivi.

Se qualcuno avesse mai inviato qualche stimolo ai vostri cervelli sottosviluppati, se qualcuno avesse mai fatto battervi qualche sana testata contro il muro, probabilmente sapreste che, se nessuno vi avesse fermato, Porcellana sarebbe morto!” il fatto che strillasse così forte e che lo stesse in qualche modo difendendo, fece sentire Kurt decisamente meglio, nonostante alzarsi in quel momento gli sembrava talmente faticoso da fargli venire voglia di svenire.

Non azzardatevi a dire una parola!” ruggì la donna non appena uno dei tre tentò di alzare una mano e spiegare quanto accaduto.

So chi siete, conosco il nome e i dati di ognuno di voi e state ben sicuri che ci saranno conseguenze, conseguenze molto pesanti sulle vostre teste da scimmie sottoevolute”, terminò.

Un'altra volta nella stessa giornata, Kurt perse il senso dello scorrere del tempo per ritornare a respirare normalmente e lasciare che il suo cuore si calmasse. Sporse un braccio dolorante verso il retro del fianco e sentì un forte urto di vomito non appena le dita gli scivolarono sopra i lembi di pelle aperta ancora bagnata di sangue fresco e i polpastrelli scorsero sulle sagome delle croste di quello più vecchio. Sebbene la ferita bruciasse ancora senza sintomi di miglioramento, il vomito che gli premeva alla gola divenne improvvisamente più urgente.

 

I ragazzi ci misero qualche istante di troppo a convincersi che la Sylvester non sarebbe passata sopra l'accaduto e ci volle un urlo degno di film dell'orrore e minacce strambe ma decisamente funzionanti perché decidessero di andarsene, affranti e preoccupati.

Una volta rimasti soli nel corridoio, la donna si chinò verso il ragazzo per offrirgli una mano ad alzarsi, per il quale si rivelò essere necessario tutto un braccio: Kurt si sentiva incredibilmente debole ed era come se le sue gambe fossero troppo leggere per reggerlo, mentre si metteva in ginocchio.

Tutto bene, Porcellana?” chiese con un insolito tono apprensivo la donna, sorridendogli appena e posando una mano sulla spalla.

In tutta risposta, Kurt si voltò dall'altra parte e vomitò uno schizzo violento di rabbia e bile.

Sebbene tutto sembrasse ancora una visione del proprio subconscio, Sue non lasciò andare la sua spalla e prese a studiare le ferite sul suo volto, senza azzardarsi a toccarle, parlottando su quali fossero i migliori medicamenti.

Lo sapevo” se ne uscì improvvisamente. “Sei debole, Porcellana, proprio come tutti i ragazzini impauriti di questa scuola. Eppure mi eri sembrato così... diverso.”

Tutto crollò nuovamente: perché era necessario che tutto ciò che componeva Kurt ricominciasse a ricostituirsi dopo essere raso al suolo, se qualcuno si occupava di distruggerlo nuovamente?

Rivolse un debole sguardo prima alla donna, che stava facendo vagare il suo in un punto indefinito oltre il corridoio, poi al vomito di fianco a lui, sentendosi scosso nuovamente dalla nausea. L'illusione di aver finalmente trovato qualcuno in grado di difenderlo si infranse quando Sue Sylvester si voltò e prese a camminare verso la palestra.

Tu non vieni, Porcellana? Mi sembrava di aver detto che sei diverso” disse improvvisamente la donna, voltandosi e rivolgendo a Kurt, stordito e sbalordito, un sorrisetto compiaciuto.

Si da il caso che i casi particolari incuriosiscano sempre una certa Sue Sylvester.”

 

Kurt si era trascinato a fatica fino alla palestra, perché le braccia gli facevano male e pesavano immensamente, il fianco gli bruciava assieme ad ogni passo e aveva ancora la vista appannata a causa dei lividi. “Io... non credo sia una buona idea.”

Sue, dall'altra parte di un tavolo, l'espressione severa di sempre ed un megafono a portata mano, alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente. “Andiamo, Porcellana. Sono convinta che da qualche parte, nelle tue profondità più oscure, sotto tutte quel glitter e tutte quelle pallettes di cui sicuramente ogni parte del tuo corpo è composta, ci sia qualcosa che sai fare!” lo ammonì, fissandolo come se non fosse un ragazzino appena reduce da un attentato alla sua sanità fisica.

Kurt, solo al centro di quella palestra, sentiva il proprio stomaco contorcersi e tutte le ferite dolergli più che mai, come se fosse lì per essere lapidato.

Sapeva esattamente in che situazione si era appena cacciato: all'inizio di ogni anno, Sue Sylvester appendeva volantini su ogni bacheca per chi volesse tentare di unirsi ai suoi Cheerios. In pochissimi riuscivano effettivamente a farcela, perché la donna esigeva la perfezione, sia fisica che comportamentale.

Coach, siamo a inizio maggio: è un po' tardi ormai per unirsi ai Cheerios, non trova?” tentò timidamente Kurt, nella speranza di avere il permesso di andare via.

Non hai voglia di reagire, Kurt Hummel?” rispose Sue senza esitazioni, sbirciando il suo nome dalla sua cartella prima di pronunciarlo, “buffo nome, te l'hanno mai detto?”

Kurt ridacchiò, un po' perché trovava quella donna un personaggio decisamente strano e folkloristico, un po' per l'assurdità della situazione. E anche per il terrore perché – andiamo – lui che provava a unirsi ai Cheerios? Per cosa poi?

Quando il mondo prendeva in giro mia sorella perché era diversa e me perché continuavo a sostenerla, Kurt Hummel, non c'era giorno in cui non impazzivo per tutta la rabbia che provavo. Poi, ho scoperto che nessuno poteva toccarla, se almeno io ero in grado di reagire, se io rifiutavo di essere la vittima. La rabbia o la rassegnazione non sono una risposta: serve un giusto equilibrio tra autodifesa e contro attacco. Ho scoperto di avere un incredibile talento nello sport in generale e ho preso parte a ogni club sportivo esistente nella scuola, pur di scaricare tutta la furia. E... funzionò, perché avevo ogni mezzo per star bene con me stessa e ogni forma di coraggio per rispondere per le rime.”

Coach, sua sorella è... lesbica?”

No, ha la sindrome di down. Cos'hai nel cervello, segatura?”

Io... mi dispiace.”

Non farlo.”

 

Ora, non mi sembri esattamente un tipo da football o basket, dico bene?” Kurt fece cenno di no, gli occhi spalancati.

Tutto quello che ti rimane, sono i miei Cheerios.”

Kurt, sebbene ancora un po' insicuro, decise che la donna aveva ragione, che probabilmente era l'unica maniera per guadagnarsi il diritto di vivere nel benessere, senza bulli, violenza o insulti.

La lucentezza delle immagini che gli si proiettarono in testa gli fecero dimenticare per qualche frammento di tempo di tutto quel dolore che sentiva.

Era una bella sensazione e Kurt voleva assolutamente che durasse il più possibile.

Coach Sylvester?”

Sue alzò gli occhi dalla sua cartella, tolse gli occhiali e fece cenno a Kurt di continuare.

Mi stavo chiedendo se... fosse possibile fare il provino seduta stante.”

Sue sorrise vittoriosa, inforcò nuovamente gli occhiali e posò un gomito sul tavolo per tenere il viso con una mano. Quindi, maneggiò improvvisamente con un telecomando, fece partire la musica e afferrò subito dopo il megafono.

ONE, TWO, THREE, FOUR!”

 

 

 

Ohio, settembre 2012

 

L'ultimo anno di scuola superiore, oltre a infondere ai ben capitati scariche di adrenalina da far accapponare la pelle, lasciava dentro forti brividi di paura.

Ultimo significava essere prossimi ad un termine, ad una linea di confine che indirizzava ognuno verso un inizio diverso e l'ignoto era un timore piuttosto comune, se si aveva diciassette anni e l'esperienza in campo pratico di un uccellino senza nido.

Perché il liceo era in grado di insegnare ogni nozione utile abbastanza per ottenere un buon diploma, ma non era di alcun aiuto se si voleva essere ben preparati a cosa attendeva oltre il confine del campus della scuola.

Al contrario, ciò a cui ci si abituava immediatamente era il concetto di gerarchia sociale, molto simile a quella che esisteva fuori dalle aule e i laboratori: gli sportivi, le cheerleader e chiunque avesse dimestichezza con affari apposto, se ne stavano a fare i propri comodi in cima alla piramide. Sotto di loro, vi era soltanto una lunga lista di nomi inutili e dimenticabili.

Kurt Hummel non era certo di essere d'accordo su quanto appena detto, ma fingere di concordare rendeva la questione meno preoccupante o difficile. O irrisolta.

Per come la vedeva lui – e qualche altro centinaio di studenti della scuola – la sua vita andava alla grande e certamente molto meglio di come procedeva quella di molti altri suoi coetanei: vantava un'ottima reputazione, un'ottima campagna anti-bullismo a difendergli le spalle, un'ottima valutazione da parte delle ragazze.

Non gli mancava niente, qualcosa come una folla di studenti era d'accordo.

Sentiva giusto cedergli le gambe quando ogni mattina si alzava dal letto e doveva ripetere al suo riflesso nello specchio “sono felice” abbastanza da sembrarne veramente convinto.

 

Il liceo McKinley era una struttura non troppo estesa in un bel quartiere di Lima, Ohio; accoglieva da sempre studenti dei sobborghi circostanti, quelli delle piccole cittadine a cui si giungeva col treno o quelli a cui bastavano cinque minuti in auto, bici, a piedi.

I giocatori di football indossavano una giacca rossa e bianca, spesso sudicia o consumata; le cheerleader gonne corte e svolazzanti e divise attillate con stampato il logo della scuola.

Kurt non poteva affermare di entrare e sentirsi a casa, là dentro, ma certamente non disprezzava il saluto cortese di qualche ragazza, un bacio di una compagna di squadra, lo sguardo intimorito di qualche studente più piccolo.

Era come una sorta di abitudine, entrare dalla porta principale e semplicemente esserci, sentirsi parte del tessuto sociale della scuola e poter esercitare il proprio potere su altre persone.

Kurt aveva perso molte cose, molte persone e molti pezzi di sé stesso nel corso degli anni per riuscire a non provare più alcuna paura nel tenere lo sguardo di fronte a sé e fissare qualcuno dei ragazzi della squadra di football o di hockey.

Appena giunto a scuola, aveva parcheggiato la sua auto nuova nel posto esclusivo che era riuscito a conquistare grazie all'influente che aveva – che andava tradotto, con il terrore infuso sui compagni da Sue Sylvester per conto suo – era sceso e aveva percorso la strada dalla macchina all'entrata guardando il nulla tra le teste degli studenti. Quindi, aveva sorriso a qualche conoscente e fatto un cenno con la mano a qualche compagna di corso.

Gli sembrava di vivere staccato dalla sua vita, come se stesse guardando un film noioso e lento e non avesse la possibilità di premere stop o il pulsante per velocizzare: era come vivere in un castello dorato senza poter chiudere gli occhi, stanchi del bagliore accecante.

Fare finta di sorridere, quando invece si annegava.

 


























































Note

Bene.

Questa storia nasce ovviamente dal prompt cheerio/badboy (che personalmente amo).

Sarà una storia particolare e lo so che esistono mille varianti di questo tipo di accoppiata, ma io ho voluto creare uno scenario intrecciato e un po' complicato perché sì, mi piace dare ai miei personaggi filo da torcere. Oh.

Detto questo, ammetto che questo capitolo possa confondere perché il tempo non è gestito troppo bene, ma... si capirà. In seguito, I promise.

Quindi, al prossimo aggiornamento che spero non tarderà.

Stay tuned,

YS

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Capitolo 2
*** I am creep ***


Scars

cicatrici

 

di Yellow Submarine

 

 

 

Kurt portava con un'abbondante dose di fierezza e orgoglio la sua divisa dei Cheerios: ne amava i pantaloni comodi, le linee morbide della stampa sulla maglia e l'accostamento dei colori semplice e d'effetto. Seppure non fosse un completo McQueen e fosse costretto a indossare un unico outfit per la maggior parte della settimana, Kurt aveva deciso sin dall'inizio che avrebbe potuto farci benissimo l'abitudine.

Era una specie di talismano contro tutti i mali e Kurt riusciva a guardare negli occhi chiunque e permettersi di dar loro un giudizio, grazie a quell'uniforme. Probabilmente era schiavo delle etichette e degli status symbol, ma in fondo era meglio che esserlo del capitalismo.

O almeno credeva.

Prima di diventarlo, si era sempre chiesto cosa i pochi membri maschi della squadra di cheerleader facessero e perché non si notassero mai durante le esibizioni: quando lo aveva chiesto alla coach Sylvester, sebbene con imbarazzo - “nessuno ha mai avuto un culetto tanto bello come il tuo da dimenare, Porcellana”, aveva detto – e si era sentito subito meno intimorito.

Oltre a far ruote e tutte acrobazie che Kurt non avrebbe mai sperimentato di sua spontanea volontà, era una buona base per qualsiasi tipo di piramide, due spalle un po' strette ma abbastanza solide da tenere due ragazze nello stesso momento.

La vita era bella: bastava accatastare i pensieri negativi in un angolo e godersi la giornata.

 

**

 

Chimica era come infilare una gamba in una pozza di fango: fastidiosa e pressoché disgustosa.

Seriamente, se Kurt non si fosse prefisso il compito di arrivare al diploma col massimo dei voti in ogni singola materia che sarebbe stato in grado di seguire, non avrebbe mai accettato di prendere parte a quel corso.

Era difficile, un gioco infinito di lettere, numeri e memoria e il professor Lewis puzzava decisamente di solitudine: ogni volta che Kurt provava a avvicinarsi per chiarire un punto della lezione – a suo discapito, capitava piuttosto spesso – gli sentiva addosso tutto quello che odorava da sé stesso fino a pochi mesi prima. Non sapeva se fosse quella giacca decisamente anni Novanta, la pelle o i capelli radi sulla testa lucida, ma Kurt sentiva un forte impulso di allontanarsi ogni volta che c'era bisogno di andargli vicino.

Il risultato? Scarso rendimento in seguito a estenuanti ore di lavoro e concentrazione.

Ciò che non migliorava affatto il suo rapporto con la materia era l'orario a cui gli era proposta: dalle nove alle dieci di martedì, dalle undici alle dodici di giovedì.

Non era un caso infatti imbattersi in lui, in piena crisi da martedì mattina, intento a sbattere con violenza l'anta del proprio armadietto, fissare con disappunto prima l'ora sul cellulare e poi la sua immagine riflessa nello schermo, sbuffare e recarsi infastidito verso l'aula di Chimica.

Si sedette con irruenza, non prima di aver gettato la borsa per terra e aver inviato al professore un'occhiataccia; stese le braccia sopra il banco e cominciò a borbottare frasi dal dubbio significato.

Una ragazza bionda, abbigliata in un modo simile al suo, si affacciò alla porta della classe, guardando i volti degli studenti con fare smarrito. Una volta individuato quello di Kurt, si illuminò in un bel sorriso e trotterellò tra i banchi fino al suo, sedendosi al suo fianco.

Ciao, Kurtie.”

Odio la Chimica.” La ragazza sorrise.

Era buffa, Brittany: ingenua e innocente, parlava sempre di cose strane e faceva ridere Kurt ogni volta che era arrabbiato, triste o frustrato.

Non aveva paura di ferirla, mai, perché lei era in qualche modo in grado di capirlo quando faceva lo sgarbato e non se ne preoccupava.

Non è male, infondo” tentò Brittany, continuando a sorridere al ragazzo seppure lui continuasse a fissare torvo il professore, intento a girarsi tra le mani una pila di fogli.

E' un po' come leggere una storia, qui” riprese, poggiando un dito sulla tavola periodica sul banco di Kurt e attirando la sua attenzione, “solo che le parole non hanno molto senso: fidati, te lo garantisco io.”

Kurt si lasciò sfuggire una risatina e lasciò sulla guancia di Brittany un lieve bacio, perché ogni volta, con affermazioni del genere, gli ricordava perché non avesse tutta quella voglia di tornare a essere quello che era prima.

Bene, ragazzi. A posto, per corte-” prima che il professore riportasse la classe all'ordine – e prima che Kurt gli rivolgesse un'ennesima occhiata torva – una coppia di ragazze dai capelli raccolti e l'aria affannata raggiunse la porta e tentò di mormorare qualche scusa col fiato corto.

Scusi, professore. La mia macchina ha forato e-”

Sì, signorina Lopez, continua pure a parlarmi di come la tua macchina abbia forato mentre prendevi un caffè in caffetteria con le amiche, stamani.”

La ragazza dai capelli scuri parve impallidire – un po' per la sorpresa, un po' per la risposta pronta con cui era stata smascherata – per qualche secondo. Poi però mise su l'espressione strafottente per cui era meglio conosciuta, incrociò le braccia al petto e si diresse senza dire nient'altro verso il posto accanto a Brittany, seguita immediatamente dall'altra.

Il professore rimase un attimo in silenzio, lasciando vagare gli occhi sulle gonne svolazzanti delle due ragazze. Poi scosse il capo, sbuffando, e Kurt sentì l'impulso di alzarsi e andare a tirargli un pugno sopra il naso.

Ho qui con me i test della scorsa settimana” proruppe, alzando in aria e sventolando una pila di fogli. Il suo sguardo volò velocemente dalla classe ai banchi poco davanti a quello di Kurt: il professore strinse le labbra e prese un grosso respiro.

Puckerman!” il ragazzo con la cresta seduto – o meglio, adagiato come se fosse stato su di una sdraio – davanti a Brittany alzò la testa, irrigidendosi. “Via gli accendini: sarebbe gradito evitare un altro accidentale incendio, per questa settimana,” concluse, in faccia un'espressione scocciata. Quindi, si voltò verso la lavagna, stappò un pennarello e prese a scrivere qualche formula, qualche stupida formula che aveva certamente sbagliato a identificare nel test, pensò Kurt.

Anderson” disse il professore, ancora voltato verso la lavagna, “lo stesso vale per te.”

 

In un breve arco di tempo – tutto il quarto d'ora necessario a rovinare la mattinata a Kurt con una D-, un implicito rimprovero per il suo scarso interesse e applicazione e un ennesimo ed inutile ciclo di rabbia in procinto di riavviarsi – il professor Lewis era riuscito a liberarsi dall'impiccio di una banda di studenti annoiata con l'unico mezzo con cui un insegnante era in grado di passare quaranta minuti di mascherato dolce far niente: ricerca di gruppo. Da consegnare.

Aveva disposto gli studenti casualmente, aveva trascritto velocemente i nomi e le suddivisioni e aveva lasciato che la classe si sistemasse e cominciasse a organizzarsi.

Per Kurt, sebbene non adorasse l'idea di approfondire argomenti che non gli interessavano, non era un problema lavorare assieme alle sue amiche: Brittany non era un granché come partecipazione, ma Quinn era molto intelligente e il padre di Santana era un dottore, aveva studiato chimica all'università. Potevano sempre supplicarlo di dargli una mano e lasciar fare a lui.

I problemi sorgevano dall'entrata in squadra di tre nuovi membri: Noah Puckerman, Blaine Anderson e la sua faccia da scemo.

Il fatto che fossero seduti davanti a loro, non giustificava Lewis da averglieli appioppati: Kurt sentì che l'odio che provava verso quell'uomo aveva superato ogni limite.

Bene, immagino che dovremo iniziare da...” aveva cominciato Quinn, sebbene un po' intimorita: nonostante Brittany la ascoltasse con un enorme sorriso in faccia, Kurt continuava a lanciare la sua sequenza di occhiate terribilmente fulminanti verso la cattedra e Santana si arrotolava la coda di cavallo tra le dita con uno sguardo decisamente malizioso rivolto tutto a Puckerman.

Non era esattamente un ambiente confortevole o che incoraggiasse a unire le forze per lo studio – non lo era affatto – ma se c'era una cosa che Quinn Fabray non reggeva era essere messa in disparte o essere ignorata.

Tu!” aveva indicato improvvisamente Puckerman, facendo deformare sul suo viso l'espressione seducente che stava rivolgendo a Santana. “Prendi una penna, ricordati più o meno l'alfabeto che ti hanno insegnato fino ad adesso e inizia a scrivere l'introduzione sulle reazioni dei diversi composti a contatto con il fuoco. Pare che tu ne sappia abbastanza, almeno delle fiamme.” lo provocò, mettendo su quella che Kurt definiva l'espressione sono una stronza talmente grande che non puoi farci assolutamente niente.

Non ficcare il naso nei miei affari, Fabray. Non ti conviene.”

Perché?” rispose Quinn, notando con piacere la sorpresa per la sua intraprendenza, “il sangue e la cenere potrebbero macchiarmi l'uniforme?”

Non osare, Fabray!”

Lasciala in pace, d'accordo?” intervenne Kurt, dividendo i due con una mano e guardando Puckerman con ferocia: seppure Quinn alle volte amasse la provocazione al limite dell'inverosimile, nessuno aveva il permesso di risponderle male. Non se gli era possibile evitarlo.

Il ragazzo lo guardò, lasciandosi scoppiare le brutte parole in bocca come una bolla di sapone. Quindi, prese un blocco di fogli dal suo banco e iniziò a scrivere. Dal posto accanto al suo, sorse una risatina mal trattenuta.

Cos'è che ti fa ridere precisamente, nano da giardino?” intervenne Santana, con uno sguardo cattivo tutto rivolto al compagno di Puckerman, “l'incredulità di fronte al fatto che il tuo amico si lascia schiacciare le palle da una biondina dei quartieri alti?”

Santana adorava Quinn, davvero, e non c'era occasione in cui non lo sbandierava al mondo intero. Questo non toglieva ovviamente che fosse una stronza patentata, decisamente peggio di lei.

A causa proprio di questo aspetto del suo carattere, vedere come risposta alla sua provocazione un'ulteriore risatina e un sospiro divertito, non aiutò lo stato di noia di Santana trasformarsi in rabbia scalpitante e incontrollabile.

Kurt, abituato dalla politica di terrore instaurata dall'amica, era infastidito e oltremodo sorpreso che qualcuno avesse osato provocarla in quella maniera: ma dove viveva, quello lì, in un'altra città? Possibile che non conoscesse la reazione di Santana alla derisione e/o ribellione alla sua supremazia?

Sentite” intervenne prontamente Quinn, fermando appena in tempo l'amica dall'alzare un pugno e picchiarlo in faccia al malcapitato, “invece di giocare a chi è il più cattivone tra di noi, che ne dite di iniziare a lavorare?”

Lavorare?” la interruppe Blaine, un'espressione quasi stupefatta e decisamente incredula, “non credo di aver mai detto di aver intenzione di alzare un dito per questa stupida ricerca.”

Sta zitto e ascolta Quinn, Anderson, perché a nessuno di noi – specialmente a te, immagino – serve un'insufficienza,” rispose aspramente Kurt, freddando ogni sua intenzione di farla franca in quel progetto.

Kurt non aveva mai rivolto la parola a Blaine Anderson prima di allora, un po' perché lo spaventava a morte e un po' perché era almeno a due o tre scalini sotto di lui nella piramide sociale del liceo McKinley: lui era una celebrità, bramato da tutti, benvoluto da tutti. Blaine Anderson non era altro che un ennesimo teppista uguale a quello precedente, inutile e fastidioso, probabilmente in grado solamente di creare pasticci e arrecare disturbo a insegnanti e studenti.

Ogni volta che lo incrociava nei corridoi o intravedeva la sua faccia durante le lezioni, sentiva di non avere la minima voglia di interagire con lui o di sapere cosa aveva combinato quella volta.

Ci volle parecchio tempo per organizzare il lavoro – la maggior parte per spiegare a Brittany il perché non potesse scrivere la sua parte con i pastelli – ma quando calò una calma accompagnata dal lieve brusio delle chiacchiere degli altri gruppi, Kurt tirò un sospiro di sollievo sentì di poter giungere alla fine anche di quell'ennesima ora di Chimica del martedì mattina.






































Notes
Ok... ammetto che questo capitolo non ha molto senso.
cioé, sì, però è diciamo solo un passaggio, un ponte...ok, basta. 
Che dire, here they aaaare: Britt, Santana e Quinn. Unholy Trinity. Avranno un ruolo moolto importante nella storia quindi non perdetele d'occhio (sì, scrivere di una Straight!Santana fa male anche a me, ma datele tempo).
Detto questo...ecco a voi anche mr. Anderson! Non volevo fosse qui adesso, ma eccolo invece. Lo caratterizzerò molto meglio in seguito, in quanto è uno dei protagonisti quindi stay tuned.
Spero v'aggradi, 
YS

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