Time and Destiny - Quando l'amore brucia l'anima

di RubyChubb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nothing lasts forever ***
Capitolo 2: *** Things will never be the same again ***
Capitolo 3: *** Distances between us ***
Capitolo 4: *** Come and save me tonight ***
Capitolo 5: *** SX & triangles ***
Capitolo 6: *** Guilty Innocence ***
Capitolo 7: *** Let the show begin ***
Capitolo 8: *** Magnets ***
Capitolo 9: *** Heart's Left Side ***
Capitolo 10: *** Forgotten... not forgiven ***
Capitolo 11: *** Soak up the sun ***
Capitolo 12: *** Total Eclipse ***
Capitolo 13: *** No Regrets ***
Capitolo 14: *** Fake Japanese Love ***
Capitolo 15: *** Nur Reden ***
Capitolo 16: *** Till We Ain't Strangers Anymore ***
Capitolo 17: *** Long Time Coming ***



Capitolo 1
*** Nothing lasts forever ***


Ebbene sì… Ebbene sì… Ebbene sì…

Avevo detto che non lo avrei fatto…

Ed invece l’ho fatto… Questo è il seguito di 'Last night a rocker saved my life (but not my broken heart)' e di 'Rock my life'... La coppia Mac e Tom...

Non dirò altro, solo che spero che vi piaccia anche più degli altri due capitoli!!! E che mi recensirete il doppio, ovviamente, ma questo lo dico sempre!

Per la vostra felicità.... cioè, anzi, diciamola così, ho dovuto mettere ROSSO come rating, purtroppo... e capirete perchè...

Quindi, che lo spettacolo inizi!

With love - RubyChubb

 

DISCLAIMER: i personaggi qua sotto citati, esclusi quelli di mia invenzione, non sono stati utilizzati per scopo di lucro. Né intendo dare con questa storia rappresentazione veritiera delle loro vite. Se, in fondo ad ogni capitolo, non ci saranno disclaimer su personaggi, canzoni, o quant’altro inventato da altri citati nel chap, si considerano comunque ‘no scopo di lucro’.

 

 

 

1. NOTHING LASTS FOREVER

 

Andò con noncuranza verso la porta, grattandosi la gamba. Sbadigliò, senza mettersi la mano davanti alla bocca. Starnutì, come faceva sempre appena sveglia. Beh, era pomeriggio inoltrato… una dormita un po’ troppo lunga, ma necessaria, se andava a letto alle cinque del mattino.
Passò davanti a tre porte: un’altra camera, un bagno, camera degli ospiti….
Qualcosa la bloccò…
La fece tornare indietro, sui suoi passi.
Uno, due, tre quattro passi indietro, davanti alla porta del bagno.
Una cosa fastidiosa, talmente insopportabile, così indescrivibilmente odiosa le entrò come una trave dentro l’occhio.
 

La tavoletta del gabinetto alzata.
Decise che era da troppo poco tempo in piedi per potersi arrabbiare.

 
Uno, due, tre, quattro passi avanti.
Poi un altro oggetto la spinse a indietreggiare.

 
Un paio di mutande penzoloni sul bordo della vasca.
Si era appena svegliata, non poteva farsi montare l’incazzatura per quel cazzo di paio di cazzose mutande su quel cazzo di bordo della vasca.

 
Uno, due,tre… nemmeno il quarto passo in avanti.
Tornò di nuovo indietro, in cerca di qualche altro pugno nell’occhio.

 
Scarpe da ginnastica puzzolenti vicino al lavandino.

 
Quello era troppo. Non era semplicemente la classica gocciolina che faceva traboccare il vaso. Era il macigno che si staccava dal fianco della montagna e cadeva direttamente dentro al bacino artificiale e squarciava completamente la diga, portando via tutto nel raggio di circa trenta chilometri.

 
Prese le mutande. Prese le scarpe.
Uscì dal bagno.
Si ricordò della tavoletta.
Tornò nel bagno e la abbassò.
Visto che c’era, tirò anche lo sciacquone.

 
Tornò fuori dal bagno, con in braccio il risultato del suo pessimismo quotidiano, e andò nella camera da letto. Con la mano rimasta libera scostò la tenda nera, facendo entrare il sole di settembre dentro la stanza.
 
Un gorgoglio sotto le coperte. Una richiesta di pietà. Voleva dormire ancora… solo cinque minuti.
“Cinque minuti…”, ripetè lei, mentre si stropicciava il naso. Quando il naso pizzicava, era segno che una bella litigata era in arrivo…
“Dai… ti prego… abbiamo fatto tardi ieri sera.”
“No… tu hai fatto tardi. Io volevo tornarmene a casa presto. Stamattina avevo un colloquio, meno male che ho potuto spostarlo a domani.”, disse lei. Si stava quasi dimenticando delle scarpe e delle mutande che aveva in mano, “E comunque… questa roba qua! Lo sai qual è il suo posto!”
"E che palle… erano le cinque di notte! Chiudi un occhio almeno per questa volta!”, disse lui, scostandosi definitivamente le coperte dalla faccia.
“Te lo chiudo io uno occhio… Kaulitz!”, esclamò lei, prendendo una scarpa e iniziando picchiarlo sulle gambe, ma non troppo forte. Anche se a volte avrebbe voluto strozzarlo con le sue mani… poi non riusciva mai a farlo!
“No… smettila! Basta! Mi fai male!”, disse Tom, cercando di fermarle le mani, “Sei una serpe Rosenbaum!”

 

 

***

 

Non ci poteva credere.
Quello che si era promessa di non fare mai e poi mai, all’inizio della loro storia tormentata, che sapeva tanto di telenovelas, era concedersi alla stampa. Cioè, era lui quello famoso, lei era la ragazza di provincia. E come si diceva popolarmente, lei era la grande donna (dietro) del grande uomo. Grande… era Tom Kaulitz, non John Fitzgerald Kenney o Orson Welles.
Ma cosa ci poteva fare? Già dopo due mesi che si frequentavano, iniziavano ad essere pubblicate fotografie di una strana e infida ragazza che si intrufolava in casa Kaulitz… e non era la signora che faceva loro le pulizie. Poi uno scatto di un bacio rubato in macchina, davanti alla casa di questa ragazza. E da li si seppe tutto: nome, cognome, data di nascita, professione… insomma, la carta di identità di Mackenzie Rosenbaum pubblicata su tutti i giornaletti stupidi delle ragazzine.
Domande idiote all posto di lavoro, sguardi strani dei suoi amici… poi qualche fotografo che si piazzava sotto casa sua. Occhiatacce delle ragazzine che incontrava nei centri commerciali. Paroline poco amorevoli alle sue spalle.
Insomma, non era da tutti i giorni vedere la propria faccia pubblicata sul giornale! E non era da tutti i giorni essere odiata da delle perfette sconosciute. E non era nemmeno da tutti i giorni trovarsi una lettera di minacce, scritta con le lettere tagliate dai giornali, infilata nella cassetta della posta.
Ma quando iniziò a diventare paranoica, non per le minacce verbali, ma per gli scatti dei giornalisti, decise che era meglio dare retta a Tom. Cambiare casa. Lasciare la casa che aveva acquistato, lasciare il mutuo che le pendeva come la spada di Damocle sul collo, lasciare la terribile vicina di casa e tutti i suoi gatti che le facevano venire l’allergia…
Per andare dove?

Ma che bella idea! Fare bagagli, valige, scatoline e scatoloni, prendere tutta la propria vita e impacchettarla con i vecchi giornali.
Lo odiava.
Le era bastato farlo quando si era trasferita dalla vecchia casa di sua zia a quel suo appartamento. E aveva sperato di non farlo mai più. Ma cosa aveva potuto dire quando un paio di occhioni castani le avevano chiesto, prendendole teneramente la mano, di andare a vivere con lui? Cosa aveva potuto dire, se non sì…
“Cosa?!? Non ci penso nemmeno a venire a vivere con te! Già litighiamo ottantasei ore su ventiquattro!”, disse Mac a Tom, “Non voglio finirmi la bile!”
“Ma senti cosa devo sentire… sei proprio… sei proprio…”, disse lui, infiammandosi.
“Sono ragionevole Kaulitz.”, disse lei. Ancora lo chiamava in quel modo. Non era capace di chiamarlo Tom… E lui non poteva chiamarla in altri modi se non Rosenbaum, oppure Rose, se proprio voleva essere romantico.
Lui aveva scosso la testa, calcandosi il capellino sulla fronte. Era segno che la discussione era finita per lui, che non sarebbe più stato a sentirla. Poi lei lo aveva preso per la mano, tirandoselo verso di sé.
“Sei proprio sicuro di quello che mi stai chiedendo?”, gli disse dolcemente, guardandolo negli occhi.
“Certo che sono sicuro… nessuno sa che abitiamo qui. Così staremo tutti più tranquilli e tu non sarai assediata da ragazzine idiote e dai fotografi.”
Mac, che per un attimo aveva sperato di sentire quelle determinate parole, rabbuiò il suo viso.
“Ah! E’ così? Allora tu non me lo stai chiedendo perchè vuoi vivere con me, perchè mi ami… ma solo perchè vuoi togliermi da un impiccio!”, fece, esplodendo di nuovo.
Era così.
Finita una litigata, ne iniziava un’altra.

 
Ma tutti sapevano che la catena non si sarebbe spezzata molto facilmente. Lo sapeva anche Bill, che viveva insieme a loro. Da quel famoso natale, aveva assistito a tutte le loro discussioni casalinghe ed aveva alzato il volume del televisore, passivamente, come fanno i figli durante i bisticci dei genitori. Oramai ci era abituato! E non gli dispiaceva che Mac fosse venuta a vivere stabilmente in casa sua. Da quando c’era lei aveva notato il profondo cambiamento di Tom e ne era rimasto molto contento. Almeno lei riusciva a metterlo in riga!
Accanto ai Tokio Hotel, aveva affiancato una prosperosa carriera televisiva, accoppiato con quel gran pezzo di gay quale era Thiago, il migliore amico di Mac. Avevano creato insieme una serie televisiva di successo, chiamata ‘Primadonna ed Io’, in cui entrambi recitavano. Il protagonista non era Bill, che interpretava un modello esasperato di se stesso, cioè il cantante famoso e le sue crisi da star, ma Thiago, il suo manager ad alto potenziale omosessuale e le strane vicende che ogni volta si creavano tra i due ed il mondo dello spettacolo. Era un telefilm molto seguito e la seconda serie, che era stata trasmessa fino all’inizio dell’estate, aveva visto la partecipazione di numerose star del jet set tedesco, ma anche internazionale, che interpretavano se stesse o personaggi ‘anonimi’, creando gag abbastanza esilaranti, di solito basate sul non sense e sui fraintendimenti.
Insomma, la casa dei Kaulitz era diventata una specie di porto franco. Grande com’era, riusciva ad ospitare benissimo i due fratelli, Mac ed anche Thiago, che vi risiedeva nei periodi in cui c’era da lavorare in terra germanica. L’unico piano in comune era il piano terra: il secondo era riservato a Bill e, eventualmente, c’era la camera di Thiago. Il terzo era di Tom e Mac. Anche i due fratelli avevano deciso di spostarsi dalla vecchia casa, per trovarne una spaziosa abbastanza per tutti  loro.
Oramai, aveva visto qualsiasi scena davanti ai suoi occhi: Mac che minacciava Tom con un mestolo di legno, Tom che si ribellava rincorrendola per tutto il giardino con un tubo di plastica per annaffiarla… Thiago che si disperava perchè aveva finito la ceretta per i suoi peli del petto…
Insomma, casa Kaulitz poteva diventare una sit-com.
Dal successo assicurato.
D’altronde, come era sempre stato.


Ma Mac ancora non poteva raccapezzarsi, non riusciva a ripercorrere quel procedimento logico che l’aveva portata a dire sì a quell’intervista fotografica. Due settimane prima Tom aveva ricevuto una chiamata da una rivista di moda. In principio, aveva chiesto per ben tre volte se avessero chiamato il Kaulitz giusto, dato che era sempre Bill ad essere contattato da giornali del genere. Poi, accertatosi che era Tom che volevano, aveva domandato quale fosse stata la questione da sottoporgli.
“Volevamo fare un’intervista a lei ed alla sua fidanzata Mackenzie, corredata anche da un servizio fotografico… non so se legge la nostra rivista, ma facciamo molti di questi servizi.”
“Beh… sì… la leggo.”, disse lui, mentendo profondamente.
“Ecco, ci chiedevamo se eravate disponibili… magari nelle prossime settimane. Volevamo pubblicarla per il mese di novembre.”

“Dovrei sentire lei… comunque non credo che sarà d’accordo.”
“Forse sapere che molte delle nostre lettrici ci hanno scritto dicendoci che trovano lo stile di Mac come un modello da seguire l’aiuteranno a cambiare idea a nostro favore.”, disse con voce suadente la ragazza con cui stava parlando. Beh, un tempo avrebbe subito pensato ad una determinata cosa. E quel tempo era tutt’ora attivo, tranne che lo nascondeva abilmente. Anche se era, diciamo, fidanzato (oh, che brutta parola) sapeva qual era il bene e qual era il male.
Poi riflettè… Mac come modello? In che senso?
“In che senso scusi?”, chiese.
“Beh, mi dispiace, non volevo offenderla.”, disse subito la ragazza, notando un certo fastidio nella voce di Tom.
“Assolutamente… volevo sapere che tipo di  modello era Mac… mi suona così strano…”
“Un modello nel senso del suo modo di essere, di vestirsi… così normale, così semplice, così uguale a tutte le altre.”
Se Mac avesse sentito quelle parole, si sarebbe imbufalita, pensò.
“Ho capito.”
“Essere come lei e stare con una star come Tom Kaulitz… beh, da molta speranza a tutte le donne di questo paese!”, disse lei, ridendo quasi maliziosamente.
“Ok… glielo proporrò.”
“La richiamerò domani.”, disse la ragazza, prima di agganciare.

La risposta di Mac lo sorprese… o forse no.
Cioè, Mac che diceva di sì ad un servizio fotografico concentrato sulla loro storia… questo era strano.
Mac che sorrideva al sapere di essere un modello per alcune delle lettrici di quella rivista… questo non era strano. Era una donna e le lusinghe facevano sempre effetto.
Eppure fu molto contento nel vederla a sua volta felice.
“Davvero vuoi farlo?”, le chiese.
“Certo… beh, non sarò abituata ad una cosa del genere, ma oramai è quasi un anno che stiamo insieme.”
Già… un anno, pensò Tom. E che anno! Se c’era una cosa di cui non poteva fare a meno era lei. Sì, questo era molto molto strano. Potevano litigare come pazzi, tirarsi dietro gli oggetti… ma alla fine non poteva resistere al suo sorriso.
C’erano dei giorni in cui non voleva saperne di lei, perchè si erano offesi così tanto che aveva bisogno di respirare aria pulita. Potevano passare giorni senza vedersi: lei, di solito, infilava qualcosa dentro uno zaino e se ne andava in un albergo. Ma poi tornava, o era lui a pregarla di tornare. Quante volte Bill gli aveva dato del rammollito, si disse, ma poi aveva sempre concluso la frase con: ‘Adesso mi piaci. Non come prima che sembravi una trottola.’.
Una volta si era davvero preoccupato… dopo un concerto, ad un after show, aveva ecceduto con l’alcol e una delle ragazze che gli giravano intorno si era avvicinata un po’ troppo. O meglio, lui si era avvicinato un po’ troppo a lei. Mac, che non aveva previsto di essere nei dintorni, li aveva beccati a baciarsi in un angolo, in disparte ma sotto gli occhi di tutti. L’avevano chiamata contemporaneamente, al telefono, Bill, Georg e Gustav.
Quella volta lei aveva impacchettato tutti i suoi vestiti, dal primo all’ultimo, e se ne era tornata a vivere da sua madre. Non rispondeva al telefono e non aveva dato a nessuno, nemmeno il suo recapito. Un mese intero chiusa in casa, lontana da tutti e anche dal suo lavoro. Oramai era diventata una free lance ed aveva solo un piccolo contratto di collaborazione con una rivista di musica, che spesso la contattava per servizi, appunto, sui Tokio Hotel. Era una fotografa indipendente, quindi nessun orario di lavoro se non quello che decideva lei.
Un mese in solitario, a fare la casalinga da sua madre e da suo padre, che puntualmente le ricordavano quanto fosse sbagliata quella sua relazione. Formalmente, non aveva mai presentato Tom ai suoi: virtualmente non ce n’era bisogno, sapevano chi era e a loro non piaceva affatto, ma più che altro era a lei che non interessava farlo. Non c’era un motivo specifico, solo non le andava.
Un mese in solitario, Tom e Bill. Fu Bill ad implorare Thiago di contattare Mac, in un modo o in un altro, perchè non sopportava più quel campione olimpico di lamenti di suo fratello.
“Allora dici di sì? Vuoi davvero fare questa intervista?”, le chiese di nuovo, per conferma.
“Sì, va bene.”, ripetè Mac, e gli dette un bacio.

 

“Facciamo prima l’intervista o il servizio fotografico?”, chiese loro una signora sulla quarantina, ma molto giovanile nel suo abbigliamento elegant-casual.
“Beh… non saprei…”, disse Mac, stringendosi tra le braccia, “E’ lui quello abituato ai giornalisti.”
“Ma non sei anche tu una fotografa? So che spesso viene ingaggiata anche come intervistatrice…”, le domandò la donna.
“Sì… vabbè, facciamo prima l’intervista.”, disse Mac, che non era interessata a sciogliere quel ginepraio di pensieri che le stava tempestando la mente. Al sentire le sue parole, alle loro spalle il team del fotografo si dette automaticamente una pausa, spegnendo le luci di scena e lasciando il set, composto semplicemente da un telone bianco e da luci neutre.
“Va bene… sedetevi qua, nel frattempo vado a prendere da bere.”, disse la donna, indicando loro un comodo divanetto, fronteggiato da una poltrona.
“Stai calma… vedrai, andrà tutto bene.”, le disse Tom in un orecchio, “Non essere così nervosa.”
“Di solito sono io a fare le domande e le fotografie…”, fece Mac, mettendosi i capelli biondi dietro alle orecchie e nascondendo le mani dentro alle maniche del suo pullover color lilla. Non era il suo colore preferito, ma andava dannatamente bene con la sua gonnellina a pieghe ed i suoi anfibi al ginocchio, come l’avevano consigliata contemporaneamente Bill e Thiago.
“Quest’aria da punk perbenista… un’evoluzione nel tuo look!”, aveva affermato Thiago, mentre le aggiustava il colletto della camicia bianca, che spuntava fuori dal maglioncino, “Hai abbandonato quegli orripilanti pantaloni a quadretti, vero? Facevano così misto barbona…”
“Misto barbona?!”, ripetè Mac, quasi offesa.
“Sì… insomma, ti ho portato un bel paio di shorts firmati Dannatament&Gnocca! Te li sei mai messi?”, fece lui. Con quel Dannatament&Gnocca indicava una celeberrima firma italiana, composta dalle prime due lettere dei cognomi dei due stilisti, e che lui aveva  abilmente riadattato.
“Thi…. Sembrano dei boxer….”, fece Mac, incrociando le braccia. Erano talmente corti che sembravano mutande, “Tom li ha scambiati per un paio di sue mutande e se li è portati per un mese prima che me ne accorgessi.”
“Siete degli assassini! Avete ucciso la moda!”, esclamò l’altro, infuriato per la disaccrazione che quei due avevano fatto al nome del buon gusto.
“Calze nere, calze a rete, calze decorate… o calze colorate?”, chiese Bill, portando alcuni esemplari dei collant di Mac.
“Colorate… a righe!”, disse subito lei, prediligendo le sue calze preferite.
“Assolutamente sbagliato!”, esclamò Thiago, assumendo l’espressione del celeberrimo urlo di Munch, “Calze a rete.”
“Ti sembro una prostituta?”, disse Mac, disgustata dalla scelta.
“Ok… calze decorate… la rosa laterale va bene.”, fece l’altro, spulciando tra i collant e scegliendone un paio liscio sul davanti, con delle rose ricamate sui lati.

 

“Molto bene.”, disse la donna, premendo il pulsante record sul suo registratore e appoggiandolo sulle sue gambe, “Iniziamo l’intervista con te, Mackenzie.”
“La prego, Mac. Mi chiami Mac.”, disse la ragazza.
“Va bene Mac… mi parli pure brevemente di sé stessa. Sa, ho letto qualcosa per preparare l’intervista e non sono riuscita a distinguere realtà dalla fantastia.”, disse la donna.
Era vero, sui giornali che avevano pubblicato articoli su loro due si poteva leggere di tutto: da Mac spogliarellista in un night club, a dolce commessa di negozio per bambini. Insomma, un mucchio di cazzate che le avevano fatto perdere la pazienza più di una volta ma, su consiglio di Tom, che era abituato a vedere pubblicate storie incredibilmente false sul suo conto, aveva imparato a dargli l’importanza che si meritavano.
“Beh… cosa posso dire. Mi chiamo Mackenzie Rosenbaum, ho ventisette anni.”
“Ventisette?”, chiese la giornalista, interrompendola.
“Sì… ho un anno, quasi due, più di Tom…”, disse Mac, voltandosi per guardarlo. Lui le sorrideva dolcemente e, con il braccio che le cingeva la vita, le faceva un lieve solletico sul fianco. Anche lui si era sottoposto alle ‘cure estetiche’ di Bill e Thiago, che gli avevano tassativamente proibito di mettersi cappellini e fasce varie, che avrebbero coperto i suoi rasta, già lunghi sotto al suo orecchio, tantomeno di indossare abiti di taglie più grosse della sua. Contrattando aspramente per più di mezzora, aveva accettato di indossare un maglioncino nero aderente a collo alto,  a patto di farlo contrastare con i pantaloni extra large vecchio modello.
“Devo ammettere che proprio non si nota questa differenza.”, disse la giornalista.
“Beh… grazie.”, disse Mac, arrossendo, “Comunque, tornando al discorso, sono una fotografa indipendente, ma continuo a collaborare saltuariamente con la rivista ‘Rock On’. Soprattutto vendo loro servizi sui Tokio Hotel.”
“E su chi sennò.”, disse Tom, facendola sorridere.
“Beh, mi hanno anche chiamato per fare uno speciale sui Muse e devo dire che mi sono divertita più con loro che con voi!”, disse Mac.
“Che traditrice…”, fece Tom, giocando con la sua affermazione e facendo sorridere anche la giornalista.
“Ha fatto anche altri lavori?”, domandò poi la donna.
“Sì, sono stata assistente sottopagata di redazione in una rivista che oramai non pubblica più niente… o forse ha cambiato nome, non so. Comunque si chiamava ‘Pop my life’. Poi ho anche lavorato in un locale come guardarobiera, prima di buttarmi nella fotografia.”
“Bene… penso che possa bastare come inizio… andiamo avanti, come vi siete conosciuti? C’è chi dice che vi hanno presentato ad un party…”
“No, non è vero. Ci siamo conosciuti quando lei lavorava per ‘Pop my life’. Venne con una giornalista della redazione, faceva la sua assistente… fu un momento abbastanza esilarante!”, disse Tom, sorridendo al ricordo di quei momenti,  “La giornalista la lasciò improvvisamente da sola e lei non sapeva più che pesci prendere!”
“Le era nato il suo primo nipote…”, disse Mac, “Quanti anni fa è successo?”
“Otto lunghissimi anni fa.”, fece Tom.
“E da quel momento state insieme?”, chiese la giornalista.
“No no, ne è passato di tempo prima di compiere questo passo …”, disse Mac.
“Sì, è vero. Dopo quell’intervista siamo diventati tutti suoi amici poi, per un motivo o per un altro, non ci siamo più visti per sei anni. Ci siamo incontrati per il matrimonio del nostro Georg.”
“Sì, e abbiamo ripreso la nostra amicizia.”, continuò Mac.
“Poi un altro anno separati.”
“E poi ci siamo…”
“Conosciuti approfonditamente,”, disse Tom, ridendo, “la notte di Natale.”
“Ci siamo ritrovati per Natale, è vero!”, fece Mac, ripensando a quella festa, tenutasi nella vecchia casa di Tom.
“E come mai tutte queste separazioni?”, venne automaticamente da chiedere alla giornalista.
“Beh… penso che sia stata un po’ per colpa di entrambi.”, disse Mac.
“Ma vi siete piaciuti subito?”
“A dire il vero no, almeno non per me.”, disse Mac, “Sinceramente non avevo mai posato gli occhi su di lui. Il nostro rapporto era sempre venato di molto sarcasmo e molta ironia, ci becchettavamo sempre.”
“Almeno non per te? Significa che non è stato lo stesso per Tom.”, sottolineò la giornalista, deducendolo dalle sue parole.
“Infatti… sì, mi era piaciuta da subito, mi aveva molto colpito. Ma avevo solo diciassette anni e non lo compresi subito. Poi quando ci siamo incontrati di nuovo… insomma, ci siamo scoperti a vicenda.”
“Vivete insieme?”
“No.”, disse Tom. Mac, che avrebbe risposto di sì, si voltò a guardarlo, nascondendo il suo stupore. Sicuramente lo aveva detto per un motivo ben preciso, pensò.
“No, non abitiamo insieme.”, disse Mac.
“Mac, questa domanda è rivolta direttamente a te. Sai che molte fans di Tom non ti vedono molto di buon occhio?”, le domandò la giornalista, “Mi azzarderei quasi a dire che per loro sei come fu Yoko Ono per i fans dei Beatles… la rovinatrice dei Tokio Hotel!”
“Sì, è una cosa che ho capito poco dopo che abbiamo iniziato a frequentarci. Ma sinceramente non mi interessa più di tanto. Io non sto rovinando nessuno. Possono pensare ciò che vogliono.”
“Non sei gelosa affatto?”, le domandò Tom, scherzosamente.
“Per me puoi avere tutto il mondo ai tuoi piedi. L’importante è rigare diritto, Kaulitz.”, gli rispose Mac, a metà tra il serio e l’ironico, dandogli un colpetto sulla mano.
“Me la sono meritata…”, fece Tom.
“Già…”, disse l’intervistatrice, “Non la spaventano le sue fans, che hanno messo in piedi un sito contro di lei, Mac?”
“Davvero? Ho un sito internet tutto mio senza saperlo?”, fece lei, “Tu lo sapevi?”
“No, proprio non lo sapevo.”, rispose Tom, cadendo dalle nuvole come lei.
“Sì ed è visitato quotidianamente da più di diecimila persone.”, precisò la donna.
“Oh cavolo! Sono famosa!”, esclamò Mac, sarcasticamente.
“Stanno facendo una petizione per farvi lasciare.”, disse la donna.
“Se non sono sufficienti le nostre litigate a farci lasciare… figuriamoci una petizione!”, disse Tom, ridendo.
“Litigate spesso?”
“Sì, abbastanza.”, disse Mac, che avrebbe preferito tenere nascosto quel particolare, “Il più delle volte solo per stupidaggini.”
“Come si dice? L’amore non è bello se non è litigarello.”, disse la giornalista, sorridendo, “E come sono le vostre discussioni?”
“Beh… come vuole che siano…”, disse Tom, infastidito da quell’ovvietà, “Litighiamo, ci prendiamo a parole…”
“Ci tiriamo dietro le cose.”, aggiunse Mac, quasi sussurrandolo, mentre faceva la gnorri guardandosi intorno.
“L’ultima volta mi voleva buttare dentro la piscina.”, disse Tom.
“E la volta precedente mi ci hai spinto tu dentro.”, precisò Mac.
“Amore violento?”, disse la giornalista.
“No!”, risposero entrambi, contemporaneamente.
Come no… altro che sì.
L’intervista si concluse di lì a poco, dato che né Tom né Mac volevano rispondere a domande troppo… piccanti. Cioè che riguardavano la loro vita molto privata. Tom fu contento di rispondere a domande che riguardavano il suo lavoro: anche lui, come Bill, accanto ai Tokio Hotel aveva affiancato un’attività che aveva a lungo sognato, negli ultimi tempi, ossia produrre altre band. Mettersi in sala registrazione e maneggiare su quei pulsanti, decidere quanta chitarra aggiungere, togliere un po’ di basso, mettere più rullante… Poteva sembrare un lavoro facile, ma dividersi tra il proprio gruppo e un altro di cui si era fatto ‘mentore’ non era per niente un gioco da ragazzi. Ma gli ‘Asian Fever’, musicisti divisi tra rock e melodie hip hop, gli rubavano quasi più tempo dei Tokio Hotel.

 

La giornalista li ringraziò per il tempo concessole e li lasciò nelle mani del fotografo.
“Come sono andata?”, gli domandò Mac, “Bene?”
“Certo che si.”, disse lui, schioccandole un bacio sul collo, “Sei andata benissimo Rosenbaum.”
“Credi che la giornalista traviserà completamente le nostre parole? Scriverà tutto quello che non le abbiamo detto?”
“Forse sì, ma se ci prova la strozzo.”, disse Tom.
“Bene bene bene!”, esclamò il fotografo, “Un po’ di trucco!”
I due ragazzi si trovarono assediati da spugnette di cipria e da spazzole nei capelli, spuntate improvvisamente alle loro spalle per dare loro una sistemata. Non che fossero proprio disastrati, ma per il fotografo una ritoccatina all’aspetto era fondamentale prima dell’inizio del suo servizio.
“Perfetto, mettetevi sul set, sopra la croce rossa.”, disse loro, molto sbrigativamente, “Tom, tu valle dietro, abbracciala e appoggia il viso contro il suo.”
“Così va bene?”, chiese lui, dopo che ebbe cinto la sua ragazza sui fianchi.
“Tienile le mani.”, lo corresse lui, “Incrociate le vostre dita e sorridete.”
Tom, che non riusciva a stare fermo durante i servizi fotografici, iniziò a giocare con Mac, facendole il solletico ovunque ed ignorando le direttive del fotografo. Ad ogni posa diversa, trovava sempre il modo per fargli scappare la pazienza. Mentre la teneva in braccio la faceva dondolare e gridare dalla paura di cadere in terra.
Poi mentre se ne stavano stesi per terra, su un fianco, con Mac che teneva la sua testa appoggiata sul braccio piegato, Tom, sdraiato dietro di lei, le dava dei pizzicotti sul sedere.
Seduti a gambe incrociate, l’uno di fronte all’altro, lui le faceva le boccacce.
Ma riuscirono anche a recuperare un po’ di serietà, quando l’assistente del fotografo dette loro un paio di chitarre elettriche.
“Ecco, adesso, se riuscite a non fare i bambini dell’asilo,”, disse l’uomo, “Comportatevi come delle rock star.”
Tom imbracciò subito la sua chitarra, Mac gli si affiancò, appoggiando la sua schiena contro la sua spalla e usando la chitarra come se fosse stato un bastone. Con le mani una sopra l’altra sulla testa della chitarra, e la gamba destra piegata con la punta del piede che toccava terra, guardava sorridente l’obiettivo.
“Molto bene!”, disse il fotografo, finalmente contento, dopo cinque o sei scatti, “Adesso mettetevi così.”
Andò verso di loro e, come fossero manichini, li mise nella posizione che voleva. Fece sedere Tom, a gambe incrociate, con la testa appoggiata sulla mano, in contrasto con il suo ginocchio.
“Fai un espressione alla Ollio quando Stanlio fa una cavolata.”, gli disse il fotografo.
“E… come sarebbe?”, gli chiese.
“Fai la faccia che ti pare.”, rispose l’uomo scocciato, “Tu, Mac, mettiti alle sue spalle, gambe divaricate, e fai finta di suonare la chitarra.”
Detto e fatto, gliela fece indossare ma Mac, che era mancina per natura, dovette cambiare direzione dello strumento, altrimenti non avrebbe saputo come suonarlo, se non goffamente.
“Ah… sei mancina?!?”, le fece Tom, con falso stupore.
“Stai zitto o te la rompo in testa.”, disse lei, ridendo.
Il fotografo, oramai rassegnato all’irriducibilità dei due, fece qualche scatto annoiato e, quando finì, fu contento di andarsene a casa a riposarsi. Tom, che era un giocherellone per natura e poco sopportava i servizi fotografici, aveva approfittato di quel momento per divertirsi con Mac.
“Ma che ti era preso!”, gli disse lei, una volta dentro alla piccola stanza che avevano affidato loro come ‘camerino’, “Il fotografo stava quasi per picchiarti con la sua macchina!”
“Mi stava antipatico a morte, era troppo serio per me…”, si giustificò lui, “E poi mi volevo divertire con te…”
Le si avvicinò e la abbracciò, appoggiando la fronte contro la sua. Iniziarono a dondolarsi, come per seguire una melodia inesistente.
“Sì… ma sicuramente siamo venuti dei mostri in quelle fotografie. Tutto per colpa tua.”, disse lei.
“Tranquilla, siamo noi a scegliere quali pubblicare e quali no.”, fece Tom, “Quindi sceglieremo solo le foto che ci piacciono.”
“Speriamo bene.”
Tom la baciò, profondamente, lasciandola quasi senza fiato. Gesto che poteva significare solo una cosa. Quella cosa.
“Dai… adesso non è proprio il momento…”, disse Mac, che cercava di riprendere il controllo di sé, ignorando i piccoli ma potenti baci che le stava dando sul collo.
“Sai a cosa stavo pensando durante il servizio?, disse lui, senza fermarsi, ed iniziando a muovere le sue mani sotto al maglioncino di lei.
“A cosa?”
“Che sarebbe stato molto eccitante iniziare a farlo lì… davanti a tutti…”
“Oh sì, una cosa bellissima…”, disse Mac, sarcasticamente.
“Non prendermi in giro.”, sbottò lui, prendendole con forza i fianchi.
Altro segno, il cui significato era ben preciso. Non si stava arrabbiando, stava semplicemente definendo la sua posizione di ‘maschio dominante’. Il che aveva come conseguenza un tipo di sesso molto particolare… il preferito da entrambi.
“Non c’è la chiave nella porta.”, gli ricordò Mac, guardandolo molto maliziosamente.
Tom la lasciò, si affiancò al divano che stava vicino all’entrata e lo spinse fino a che la porta non fu completamente bloccata.
“Contenta adesso?”, le disse.
Mac non gli rispose a parole, ma a gesti: si tolse il maglioncino, rimanendo con la camicia bianca. Lui se la riprese e, baciandola avidamente, gliela sbottonò in un secondo. Poi la afferrò per i fianchi e la avvicinò al muro…

 

“Diamine Tom! Mi hai rotto le calze!”, esclamò Mac, mentre cercava di rivestirsi. Lui, steso sul divano, in piena pace post-sessulale, non aveva la benché minima intenzione di riassettarsi. O meglio, era già completamente vestito, aveva solo i pantaloni abbassati… insomma, non era stato completamente necessario per lui togliersi gli abiti. E poi gli piaceva farlo in quel modo, in determinate situazioni… Con tutti i vestiti indosso, mentre si divertiva a togliere quelli di Mac.
“Non te le metti… è anche meglio…”, rispose, apaticamente.
Qualcuno bussò alla porta, era l’assistente del fotografo che chiedeva loro se entrambi fossero ancora lì dentro.
“Sì!”, esclamò Mac, imbarazzata, “Un momento e usciamo.”
“Tutto a posto?”, chiese di nuovo il ragazzo.
“Mai stato meglio.”, disse Tom, alzandosi e riappropriandosi dei suoi pantaloni bracaloni. Aveva bisogno di una sigaretta, e subito. Mentre Mac si pettinava i capelli allo specchio e si riassettava il trucco, se la fumò in santa pace, con la schiena appoggiata contro il muro sui cui lo avevano appena fatto. Cosa c’era di meglio di una bella scopata selvaggia?
La guardava pettinarsi i lunghi capelli biondi, sciolti, che rimanevano impigliati nella lana del suo maglioncino. Poteva avere tutte le donne di quel mondo; ad ogni after show, ad ogni festa, c’era sempre qualcuna che iniziava a sussurrargli pensieri molto allettanti, in un orecchio. Ma le altre, benché fossero veramente ‘belle da paura’ e lo mettessero terribilmente in tentazione, non erano Rosenbaum. Non erano Mac.
Mac era semplicemente Mac, lo aveva sempre pensato e lo avrebbe pensato fino all’ultimo giorno della sua vita. Non sapeva spiegarsi definitivamente il motivo per cui era irresistibilmente innamorato di lei. Non era bellissima, tutto sommato era decisamente carina quando decideva di mettersi in tiro per lui. Eppure poteva esserlo anche quando, per casa, si aggirava in pantofole, con una delle sue larghissime felpe dimesse, gli occhiali ed il naso gonfio per il raffreddore, che la faceva parlare come una papera.
Però il suo lato selvaggio, da ‘pervertito’, come lo chiamava Bill, continuava a vessarlo con pensieri su altre donne. Non poteva farci niente, era una parte innegabile di se stesso. Ma a sue spese aveva imparato a metterlo a tacere, anche quando la sconosciuta di turno gli diceva flebilmente che ‘glielo avrebbe succhiato fino a farlo impazzire’.
A volte, tralasciando quella volta, fu quasi per cadere in tentazione, doveva ammetterlo. Ed era quasi sicuro che sarebbe successo un’altra volta. Ma non lo avrebbe fatto perchè i suoi sentimenti per Mac si sarebbero consumati nel tempo… era tutta colpa di se stesso, del suo carattere, del suo modo di essere… del Tom Kaulitz che c’era in lui. Quello con le cornina rosse e il forcone in mano…
Mac riusciva a capirlo all’istante, come solo Bill sapeva farlo. Lo guardava in faccia e subito lo comprendeva. E così era capace di farlo lui, anche se era un po’ più complicato… beh, le donne erano tutte, a modo loro, complicate. Anche se più di una volta si erano ringhiati in faccia e si erano minacciati di reciproche separazioni… erano irrefrenabilmente attratti l’uno dall’altra.

 

Nemmeno Mac riusciva a comprendere il motivo per il quale c’era sempre lui tra i suoi pensieri. Era odioso, era infantile, era scostante, era disordinato… ma era Kaulitz. Lei, che non perdonava nessun tradimento, aveva chiuso gli occhi ed era tornata da lui. Erano bastate centoventicinque rose a convincerla!
Sapeva che quelle continue litigate non erano per niente salutari, né per la loro storia, né per il suo pancreas, continuamente corroso dalla sua bile. Sapeva che, prima o poi, sarebbe tutto finito, stanca delle discussioni.
Eppure, quando si svegliava la notte, e lo trovava lì, accanto a lei, anche se dormiva a bocca aperta e a volte russava… non gli resisteva. Nonostante tutto, nonostante le brutte parole, nonostante quel suo ‘piccolo’ errore, Tom riusciva sempre a stupirla. Non si riferiva però a quelle piccole cose quotidiane che ogni donna desiderava dal proprio uomo… si riferiva bensì a come lui poteva cambiare, da un momento all’altro, da essere il Tom pubblico, quello che lei poco sopportava, quello dei Tokio Hotel, quello che ammiccava alle fans durante i concerti e si comportava da brutto maschilista, ad essere il suo Tom. Un tutt’altro tipo di Tom, quello privato. Un adulto bambino, una persona terribilmente consapevole della sua vita e del suo successo, che non aveva bisogno di nient’altro che di una persona accanto che lo stabilizzasse. Detta in questo modo, la loro storia sembrerebbe quasi un rapporto madre-figlio. Tutt’altro.
Si completavano a vicenda: quando era Mac a fare le bizze, era lui a prendere la parte dell’adulto responsabile e viceversa. Quando era lui ad aver bisogno di coccole, era lei a fargliele, e viceversa. Al di là dell’alchimia fisica, ce n’era anche una immateriale, legata ai loro modi di essere.

 
Ciononostante, entrambi erano mortalmente coscienti che l’amore non era per sempre.

L’amore bruciava l’anima, come il titolo di un bel film.

 

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Capitolo 2
*** Things will never be the same again ***


2. THINGS WILL NEVER BE THE SAME AGAIN

 

Erano le dieci inoltrate, di un’anonima sera di metà ottobre. Parcheggiò la sua macchina al solito posto e, raccogliendo le sue cose con una bracciata, scese dall’auto correndo, dato che il freddo le stava gelando le ossa.
Era stanca, terribilmente stanca. Aveva passato tutta la giornata chiusa nella redazione di ‘Rock On’, cercando di far sviluppare le sue fotografie. Aveva prenotato la camera oscura per le due del pomeriggio ma, evidentemente, qualche furbacchione aveva sostituito i fogli delle prenotazioni e lei si era ritrovata ad aspettare inutilmente il suo turno, che era arrivato alle otto. Vista l’impossibilità di poter far sviluppare tutte le sue fotografie per un’ora accettabile, aveva deciso che sarebbe tornata la mattina successiva, di buono ora, e avrebbe terminato il suo lavoro.
Era a dir poco incazzata, non sapeva come mai il suo nome non compariva nella lista della prenotazione e, dato che era stata lei stessa a scriverlo sul foglio che stava settimanalmente appeso con dello scotch alla porta della camera oscura, non poteva altro essere che qualcuno l’avesse cestinato completamente, senza avvertirla.
Ed era ancora più incazzata, perchè doveva uscire a cena fuori con Tom e gli altri ed aveva dovuto dare loro buca. Nel mentre che cercava le chiavi nella sua borsa, prendendosi a male parole perchè non riusciva mai a trovarle, le suonò il cellulare.
Fece cadere tutto a terra, borsa, custodia della macchina fotografica e i vari raccoglitori. Si infilò il piumino e rispose al telefono, era Tom.
“Pronto?”
“Dove sei?”, le chiese lui.
“Sono arrivata ora a casa. Voi dove siete?”
“Ci siamo spostati in un locale, ma per adesso sono fuori.”
“Mm… ok.”, disse Mac, un pochino scocciata dal fatto che Tom avrebbe fatto le ore piccole.
“Ti va di raggiungerci?”
“No… ho una tonnellata di lavoro arretrato da consegnare per domani, mi sa che starò tutta la notte sveglia, così domattina sarò fresca per tornare in redazione per le sette di mattina.”
“Va bene…”, disse lui.
“Quando tornerai?”
“Non saprei dirtelo. Siamo qui con Andreas, Georg e Gustav. Alla fine si è rivelata essere una serata per soli uomini perchè Jasmine, sapendo che tu non c’eri, non è venuta.”
“Capito, siete in uno strip club.”, fece Mac, che sapeva l’esatto significato di ‘serata per soli uomini’.
“Ma no! Cosa dici!”
“Va bene Kaulitz. Ci vediamo quando torni.”, disse Mac, mandandogli un bacio e chiudendo la chiamata quando anche lui glielo ebbe ricambiato.
Finalmente le chiavi furono agguantate e, dopo aver raccolto tutte le cose che si erano sparse per terra, Mac entrò in casa. Rilasciò il suo carico di lavoro nel grande salotto e fece subito un salto in camera per mettersi in abiti più comodi.
La casa era suddivisa in tre livelli, partendo dal piano terra, ed era circondata da una piccola porzione di giardino sul davanti, che si allargava sul retro, ma non più di tanto. Si trovava in una zona residenziale della periferia suburbana, quasi provinciale, di Berlino: quartieri molto anonimi, ogni vicino era abituato a guardare solo dentro al suo recinto, quasi al limite tra città e campagna. Per Mac era un vicinati per ricconi, per Tom era una zona dove ognuno si faceva i fatti suoi.
Una volta che si fu infilata una vecchia maglietta di Tom, aver indossato una lunga vestaglia di caldo pile e i suoi tanto odiati occhiali, le gambe coperte fino al ginocchio da spesse calzette di lana, tornò in soggiorno, facendo prima una breve sosta in cucina, dove era sicura che in frigo la stesse attendendo una confezione gigante di gelato allo yogurt, il suo preferito. Piaceva molto anche a Tom e, per evitare futili problemi, ognuno aveva scritto il suo nome sul proprio barattolo. Solo che era una misura inutile, perchè Bill tuffava ripetutamente il suo cucchiaio in entrambi i barattoli, facendo diminuire il livello dei gelati a vista d’occhio.
Munita di maxi cucchiaio e della coperta, onnipresente sopra il grande divano di pelle nera, posizionato strategicamente davanti alla tv, Mac si sedette per terra, davanti al caminetto, dove il fuoco stava bruciando gli ultimi residui di un grande tozzo di legno. Il grande salotto, a forma quasi trapezoidale, era sempre perfettamente riscaldato e le fiamme illuminavano romanticamente tutta la stanza, disegnando buffi guizzi sulla parete di fronte, dove il plasma speso appeso al muro si colorava di rosso e arancio.  Alla destra del televisore, e quindi alla sinistra del caminetto, c’era una grande finestra ad arco, per il momento oscurata da una grossa tenda rossa trasparente, che contrastava con il bianco etero delle pareti. Al centro della stanza campeggiava quel divano immenso, che terminava il suo lato sinistro con una lunga penisola separabile dal resto del ‘divanosauro’, come lo chiamava Thiago. Il caminetto, alle spalle del sofà, era incassato nel muro e ornato da due colonne, poste ai lati, con tre profonde scanalature lungo il loro busto. I capitelli, decorati con foglie di alloro, sorreggevano un architrave su cui erano stati dipinti dei fiori neri, che si intrecciavano lungo tutta la sua lunghezza. Li aveva fatti fare Bill, altrimenti sarebbe stato tutto bianco, in tinta con le pareti.
Quella in cui era incassato il caminetto era una finta parete, nel senso che, a pochi metri dall’architrave stavano le scale: infatti, la parete terminava con esse, senza toccare il vertice del soffitto. Qualche quadro appeso qua e là, fotografie, l’impianto stereo accanto al televisore… a dispetto da quello che si poteva pensare, l’arredamento era piuttosto semplice e il salotto non aveva una porta di entrata, perché vi si accedeva direttamente dall’entrata principale, mentre la cucina ed il bagno erano separati. Un tavolo di fronte al divano, un tappeto alla sua destra.
Stese la coperta davanti al caminetto, dopo avervi messo un altro pezzo di legno, evitando di avvicinarsi troppo per paura di possibili schizzi. Mosse la penisola del divano, per farsi una comoda spalliera e, con i negativi alla mano, iniziò il suo lavoro di ‘spulciamento’.
Dentro a caselle plastificate, attaccate l’una all’altra in forma rettangolare, come una pagina di quaderno, Mac le osservava a contrasto con la calda luce del caminetto, che iniziava a scoppiettare ed a scaldarle i piedi infreddoliti. Accese lo stereo, per farsi compagnia, selezionando una stazione radiofonica a caso, tanto non avrebbe avuto la concentrazione giusta per ascoltare quello che passavano.
Munita di pennarello, segnava tutte le fotografie che avrebbe sviluppato. Accanto a lei, dieci raccoglitori per fogli di negativi… un lavoro interminabile per Mac, che era talmente perfezionista da costringersi a controllare le diapositive scelte almeno due o tre volte.
Si accorse di aver fatto tardi quando il chilo di gelato fu terminato. Guardò il barattolo, pentita di esserselo mangiato tutto, ma poi si ricordò di non aver cenato e accantonò ogni senso di colpa.
Guardò l’orologio… erano le tre di notte. La sua cervicale reclamava pietà, straziata dal continuo permettere al collo di stare piegato in avanti. Si stiracchiò, si massaggiò il collo, sperando che le mani sante di Tom tornassero ad un’ora decente per farlo al posto suo.
Volle riposarsi, prendere una decina di minuti di pausa dal lavoro, così si sedette sul divano ed accese un po’ di televisione. Il suo dito fermò l’apparecchio su un canale dove trasmettevano la pubblicità dell’ennesimo prodotto di bellezza, ma non fu una scelta voluta, piuttosto dettata dal sonno, che aveva colto Mac alla sprovvista.

Il rumore della porta la fece svegliare. Cazzo, si era addormentata. Doveva subito vedere che ore erano.
“Tom! Tom sei tu?”, chiese, mentre cercava il suo cellulare. Anche se aveva gli occhiali sul naso, aveva gli occhi così impastati dal sonno che non vedeva praticamente niente.
“Tom!”, lo chiamò una seconda volta.
“Sì… sono io…”, rispose lui.
Anche se Mac era rimbecillita per la stanchezza… riconobbe subito che quella non era la voce di Tom. Non riusciva a vederlo, era nella penombra e il caminetto oramai si era spento, c’era solo la luce della televisione ad illuminare la stanza.
“Se stai ferma non ti faccio niente…”, disse l’intruso.
In quel momento la porta si aprì di nuovo e Mac, che pregava con tutta l’anima che fossero tornati Bill e Tom per metterlo in fuga, vide entrare dentro un altro paio di uomini, tutti coperti da passamontagna. Impalata, davanti alla televisione, si era fatta prendere dal panico.
“Doveva essere vuota la casa!”, disse uno dei tre, dopo una sonora imprecazione.
“Infatti… ma tanto lei non farà niente di cui si potrà pentire, vero?”, disse colui che era per primo entrato in casa, “Ora si siederà sul divano e tu la controllerai.”
Quello che ancora non aveva parlato tirò fuori la sua arma, una pistola, e puntandogliela contro a distanza ravvicinata la fece sedere. Nel frattempo gli altri due andarono al piano superiore, preoccupandosi solo di poter arraffare più oggetti preziosi nel minor tempo.
Mac, che guardava dritto negli occhi il suo nemico, in piedi davanti a lei, illuminato spettralmente alle spalle dalla televisione, non sapeva se piangere per la paura oppure per la rabbia di non poter reagire. Sapeva come stenderlo in due mosse, frutto degli anni di arti marziali e dei premi vinti con quello sport, ma quel pezzo di metallo mortale che le puntava contro era un ottimo deterrente.
“Che cazzo hai da guardare, puttana!”, gli disse lui, avvicinandole la pistola alla faccia, puntandogliela direttamente tra gli occhi.
“Niente.”, disse Mac, con voce bassa.
“Muovetevi ragazzi!”, disse ai suoi compari al piano superiore.
Mac, per la seconda volta, si trovò a sperare che Tom e Bill arrivassero… Anzi, era meglio che non tornassero mai, non voleva che quei tre delinquenti, vedendoli arrivare inaspettatamente… Dio, non ci poteva pensare! Ma che cazzo era successo all’allarme? Già, non lo aveva inserito… non lo faceva mai, non si era ancora abituata a farlo. Merda merda merda!, gridava dentro di sé.
Il suo nemico sembrava iniziare a spazientirsi sotto lo sguardo vigile di Mac, che non toglieva gli occhi dai suoi.
“Smettila di guardarmi!”, gli gridò lui, spingendola contro la spalliera del divano. Ma non era intenzione di Mac guardarlo in quel modo, era solo il panico che la costringeva a farlo. Le dette un manrovescio così forte che Mac credette quasi di perdere un dente dal dolore che stava provando.
“Stai zitto!”, gli urlò contro Mac, mentre si teneva la mano sulla guancia dolorante. Quello schiaffo era servito a risvegliarla dal suo torpore.
“No! Chiudi tu quella cazzo di bocca, troia!”
Mac ansimava, stava cercando di reprimere ogni suo tentativo di ribellione. Sapeva che sarebbe stato del tutto inutile, per di più pericolosissimo.
“Dove cazzo è il tuo uomo! Eh! Dov’è quel frocio?”, continuava ad insultarla, “Perchè non è qui a difenderti?”
“Vaffanculo!”, esclamò Mac.
“Lo so io dov’è! Si sta fottendo una troia come te! Ecco cosa sta facendo!”, disse lui, che per un attimo aveva allontanato la pistola dalla faccia della ragazza per andarle ad urlare direttamente sul viso, “Se la sta sbattendo proprio in questo momento! Perchè tu non lo sai, ma io lo so, io lo conosco bene, lo so chi è! E so anche che quando è fuori si fotte tutte le donne che incontra.”
“Ma che cazzo vuoi da me!”, strillò Mac, “Che cazzo c’entra lui! Vaffanculo! Vaffanculo!”
“Lo so io cosa voglio da te!”, fece lui, mettendole una mano sulla gola ed iniziando a stringere, non troppo forte da soffocarla, ma con abbastanza energia da stenderla sul divano.
“No! Lasciami! Lasciami!”, prese a dire Mac, prima che lui le si gettasse addosso. Con prepotenza, riuscì a far discostare le sue gambe.
“Stai zitta troia!”, disse lui, mettendogli la pesante mano, che prima le stringeva il collo, sulla bocca, per chetarla. Liberatosi della pistola, potè finalmente sganciarsi i pantaloni ed abbassarli. Mac, che continuava a strepitare ed a piangere, iniziò a mordergli con forza la mano.
Lui cadde a terra, liberandola del suo peso, ma prima che lei potesse anche alzarsi, si avventò di nuovo, iniziandola a prendere a schiaffi.
“Bjorn! Bjorn basta!”, lo fermarono i suoi due complici, “Dobbiamo andare!”
L’uomo lasciò Mac, facendola cadere a peso morto sul divano,
“Tornerò a finire il lavoro, puttana…”, le sibilò in un orecchio.

 

“Tom… Tom riprenditi…”, gli diceva Bill, dandogli delle leggere pacche sul viso per farlo svegliare. Sì, aveva preso una bella botta alcolica e si era addormentato sul sedile posteriore della macchina del fratello, che era sceso per svegliarlo. Ma lui niente, zero, era proprio nel mondo dei sogni.
Con qualche sforzo, riuscì a tirarlo fuori dall’abitacolo e se lo caricò, passando il suo braccio sulla propria spalla e trascinandolo dentro la casa. Davanti alla porta, frugò nella tasca sinistra dei suoi pantaloni, dove teneva sempre le chiavi di casa. Appena avvicinò la giusta chiave alla serratura, questa non vi entrò, perchè la porta si aprì alla sola leggera pressione che aveva dato. Sì impensierì, forse Mac aveva lasciato la porta aperta.
Si risistemò Tom sulle spalle ed entrò, ma la sua preoccupazione saliva. Appena vide Mac distesa sul divano, scomposta, illuminata solo dalla televisione, gli venne da avvicinarsi, ma il corpo addormentato di suo fratello glielo impedì. Lo posò sulla penisola del divano, davanti al caminetto spento, e andò da Mac.
Quando le scostò i capelli e riconobbe che del sangue le si era seccato sulla faccia, sentì il suo cuore iniziare a battere all’impazzata. Si guardò intorno e si fiondò sull’interruttore della luce.
“Mac! Mac!”, le diceva, mentre la ricomponeva sul divano, togliendole i capelli dalla faccia e sistemando la sua vestaglia stropicciata. Era svenuta, non gli rispondeva…
Prese con mani tremanti il telefono che aveva in tasca e compose il numero del pronto intervento.

 

“Non lo so, gliel’ho già detto.”, continuava a ripetere Bill all’ufficiale di polizia che lo stava interrogando, nella sala d’aspetto dell’ospedale. Seduto accanto a lui suo fratello Tom, stretto in una coperta di lana, con un triplo caffè sotto al naso, per farlo riprendere dalla sbornia.
“Quindi lei è entrato in casa, ha posato suo fratello sul divano davanti al caminetto ed è andato a soccorrere la ragazza.”, riassunse l’uomo.
“Sì.”, disse Bill, stancamente. Erano le sette del mattino. Era rincasato alle sei con Tom dormiente e aveva trovato Mac svenuta sul divano, picchiata. Dei delinquenti si erano introdotti in casa e avevano rubato diversi oggetti, non sapeva ancora dire quali, non aveva potuto accertarsene. Aveva chiamato un’ambulanza per Mac ed aveva aspettato l’arrivo della polizia. Scortati dalle forze dell’ordine, furono portati nell’ospedale. Era mezz’ora che ripeteva le solite cose a quell’incompetente, che continuava a fargli le solite domande, come se fosse stato lui il colpevole e stesse cercando di metterlo in confusione per smascherarlo.
“Appena la signorina si riprenderà andrò a farle alcune domande.”, disse l’ufficiale, scostando lievemente il cappello per salutare i due ragazzi.
Bill appoggiò stancamente la schiena alla sedia ed incrociò le braccia.
“Se prendo quelli che le hanno fatto del male li ammazzo.”, sibilò Tom, posando con rabbia il suo caffè sul tavolo.
“Li prenderanno Tomi… li prenderanno…”, disse Bill, massaggiandosi gli occhi.
“Se l’hanno… se l’hanno…”
“No, Tomi… non le hanno fatto niente… l’hanno solo picchiata. Non l’hanno violentata.”
“E tu come fai a saperlo?”, ringhiò Tom, “Eri lì per caso?”
“Lo so perchè lo hanno detto i dottori… l’hanno visitata.”
“Voglio sentirlo dire da lei.”, disse Tom, alzandosi di scatto e barcollando per lo sbalzo che la sua pressione sanguigna aveva avuto.
“Siediti e non fare stupidaggini.”, lo rimproverò Bill.
Un dottore si avvicinò a loro, abbracciando la sua cartellina metallica.
“La signorina Rosenbaum si è ripresa… vuole parlare con lei, signor Kaulitz.”, disse a Tom, accennando un sorriso di cortesia.
Nel mentre che lo accompagnava alla sua stanza, lo aggiornò sulle condizioni di salute di Mac.
“Le abbiamo fatto tutti gli esami radiologici e non abbiamo riscontrato nessuna emorragia grave dovuta alle percosse. Ha solo diversi lividi superficiali. Le darei una prognosi di tre giorni.”
Tom non lo ascoltava, camminava dritto verso la destinazione. Entrò quasi con irruenza nella camera di Mac, trovandola distesa sul letto.
“Hey… Kaulitz…”, disse lei, tendendogli le braccia.
“Hey, Rose…”, fece lui, avvicinandosi a lei. Solo che non sapeva come abbracciarla, aveva paura di farle male. Le prese entrambe le mani, ignorando quel fastidioso ago che le bucava il palmo della mano destra.
“Adesso è tutto a posto…”, le disse, “E’ tutto finito…”
“No… non è finito, ha detto che tornerà…”, fece lei, iniziando a singhiozzare.
“Non piangere, ti prego… se ci sono io vedrai che non ti succederà niente.”, disse Tom, che non si perdonava di non essere rimasto a casa, con lei. Invece, se ne era andato in un dannato locale, a bere con i suoi amici… se fosse stato con lei, sicuramente questo non sarebbe successo. Era colpa sua… La vedeva lì, piangere e disperarsi, con la faccia tra le mani, tremando come una foglia. La abbracciò, accarezzandole la testa.
“Vedrai che passerà tutto… passerà anche questo…”, le disse.

 

I danni erano sommabili in circa alcune decina di migliaia di euro: erano spariti tutti i soldi, tutti gli oggetti preziosi, compresi i vari premi che abbellivano la camera dei due ragazzi. Era tutto in subbuglio: tutti i cassetti erano stati svuotati e il contenuto gettato a terra. Anche i vari soprammobili erano stati scaraventati via, con rabbia, e giacevano in frantumi sul pavimento.
Mac rimase in ospedale per due giorni, e nel frattempo i due ragazzi si rimboccarono le maniche per riassettare la casa, aiutati dalle due donne delle pulizie che lavoravano per loro, per non farla trovare in disordine quando lei sarebbe tornata.
Mandarono a monte tutti i loro impegni, cancellando quel paio di interviste che avevano fissato per il gruppo ed i vari appuntamenti che Bill aveva con i produttori del telefilm. Davanti alla sede della loro casa discografica, dove andavano giornalmente per le due ore di prove, e quella volta più volentieri delle altre per distrarsi dal brutto avvenimento si era radunata una piccola folla di giornalisti, con telecamere a seguito, che volevano sapere gli svolgimenti della situazione.
“Abbiamo saputo del furto che c’è stato nella vostra abitazione.”, disse un giornalista, puntando il microfono prepotentemente sulla faccia di Bill, “Come avete reagito alla cosa?”
“Non eravamo in casa.”, rispose lui, cercando di proseguire oltre.
“Sappiamo però che dentro c’era la tua ragazza, Tom, cosa le è successo?”, continuò un altro giornalista.
“Niente, non si è accorta di niente, stava dormendo.”, disse lui, infastidito.
“Eppure sappiamo che è ricoverata all’ospedale e che stasera la dimetteranno.”
“Non è vero, sta benissimo.”, ribattè Tom.
“Dicono che è stata picchiata e violentata…”
“Non è vero! Cazzo! Ti ho detto che non è vero, è chiaro?”, si ribellò Tom all’insistenza del giornalista, che si sentì piccolino come un topo al ringhiare del ragazzo, alto quasi il doppio di lui.
“Non avete nient’altro da dirci?Avete saputo delle vostre nomination agli Europe Music Awards?”
“E ho sentito dire che Tom era ubriaco quella notte, è vero?
I due, che erano riusciti a farsi spazio tra i giornalisti, fecero decadere tutte le domande e sbatterono loro la porta in faccia, entrando dentro l’edificio che ospitava la loro casa discografica. Appena gli altri li videro, corsero subito da loro per avere notizie di Mac.
“Come sta? E’ ancora scossa?”, chiese Georg a Tom.
“Beh, si sta riprendendo più che bene.”, disse lui, dando una pacca sulla spalla dell’amico, “E’ ancora sotto shock, ma le sta passando. Ha dei lividi sulle braccia e sul viso, scompariranno nel giro di qualche giorno.”
“Dio mio… se fossi stato lì avrei…”, disse Gustav, preso da un brivido di rabbia.
“Eh… a chi lo dici.”, fece Tom, amaramente.
“Lo sai che non è colpa tua.”, gli ripetè per l’ennesima volta Bill. Non sapeva come farglielo capire, era troppo più forte di Tom incolparsi a morte di quel fatto e non riuscire a comprendere che sarebbe successo comunque, anche se lui fosse stato lì… e forse anche di peggio, si fosse ribellato ai ladri.
“Già, ha ragione Bill… non potevi sapere che sarebbe capitato.”, gli disse Georg, “Ma cosa hanno fatto a Mac?”
“Quei bastardi figli di puttana l’hanno picchiata… e ha detto che uno di loro ha cercato di abusare di lei…”, disse Tom, digrignando i denti per la rabbia e affondando le dita dentro ai suoi palmi, così tanto da farsi male.
“L’importante è che non le sia successo.”, disse Georg, dopo che ebbe scaraventato via con rabbia la palletta di carta con cui si era intrattenuto, nell’attesa del loro arrivo.
“Iniziamo le prove. Non voglio fare tardi, devo passare a prenderla. E poi devo andare a ritirare i samples della nostra intervista.”
“Ok… forse è meglio.”, disse Gustav.
David, che non li aveva sentiti arrivare perchè era in sala registrazione a sentire alcuni loro pezzi nuovi appena incisi nei giorni precedenti, quando li vide entrare non potè fare a meno di chiedere ancora una volta a Tom ed a Bill che cosa era successo.
“Volete che per questo mese vi mandi qualcuno a controllare casa vostra?”, chiese loro.
“No David, meglio di no, altrimenti sarebbe peggio per Mac.”, disse Bill, “Non vorrei farla sentire come in un bunker.”
“Ma potremmo mettere delle telecamere nascoste nei punti critici della casa.”, ribattè David, “Avete solo l’allarme… secondo me dovreste installarle almeno cinque o sei intorno alla casa e qualcuna sul perimetro della recinzione.”
“Ok ci penseremo.”, disse Tom, “Ma adesso proviamo.”
Nemmeno la musica riuscì a distrarlo, non funzionò nemmeno con gli altri e i risultati furono pessimi: Georg fuori tempo, Bill che stonava, Tom che non si ricordava gli accordi e Gustav che si scordava quando doveva cambiare ritmo.
“Basta così, basta, basta!”, esclamò David, notando il pessimo clima che aleggiava dentro la sala, “Per favore, tornate domani. Oggi non è proprio il caso di continuare, non siete dell’umore giusto.”

 

“Fanculo!”, esclamò Tom, vedendo una decina di giornalisti ed un paio di telecamere davanti all’entrata dell’ospedale. Attirati alla vista di quel monovolume con i vetri oscurati, si erano messi in allerta ed erano già pronti ad avvicinarsi a lui. Meno male che non potevano entrare dentro all’ospedale, si disse, scese dalla sua macchina e corse fino all’entrata, lasciandoseli alle spalle.
Una volta al suo interno, chiamò un infermiere che passava per caso nelle sue vicinanze e gli chiese se, per favore, li poteva far allontanare. Andò velocemente al terzo piano, dove sapeva che Mac aveva la sua camera.
La trovò seduta in sala d’attesa, davanti alla finestra, con lo zaino già pronto al suo fianco. Appena sentì i passi alle sue spalle si voltò e sul suo viso apparve un’espressione del tutto contenta, anche se macchiata da due grossi lividi che le ricoprivano le guance.
“Finalmente sei arrivato…”, gli disse, alzandosi ed andandogli incontro.
“Anche in anticipo.”, fece lui, con ironia.
“Già… momento più unico che raro, sarà meglio annotarselo sull’agendina.”, rispose lei, mentre lo abbracciava. Lui, che aveva paura di farle del male, ebbe quasi paura a farlo ma, rincuorato dalla stretta decisa della sua ragazza, contraccambiò subito l’abbraccio.
“Andiamo via da questo posto… voglio andare a casa.”, gli disse in un orecchio.
“Certo Rose… prendo il tuo zaino.”
Mano nella mano, come liceali, uscirono fuori dall’ospedale. L’infermiere non aveva ascoltato la sua richiesta e i giornalisti erano ancora lì. Mac, intimorita dalla loro presenza, si avvicinò più che poteva al corpo di Tom, abbassando lo sguardo per la paura.
“Andiamo, per piacere, lasciateci in pace!”, disse Tom, veramente infastidito dalla loro presenza.
“Solo una domanda! Solo una domanda a Mackenzie!”, disse uno di loro, avvicinandole il microfono.
Tom, che la sentiva tremare dalla paura, non potè permettere ancora questo assalto. La prese in braccio e, ignorando completamente i reporter, che continuavano a seguirlo e a porgli domande come se fossero stati la sua ombra, la mise nella macchina.
Una volta lontani dall’ospedale, si rilassò, scacciando via tutta la rabbia che gli stava attanagliando le viscere, facendogli venire un nodo alla gola che non sopportava.
“Hey…”, le disse, porgendole la mano per stringere la sua, “Adesso andiamo dritti a casa. Ma ti va bene se ti lascio con Bill per una mezz’oretta? Devo andare a vedere le copie prova della nostra intervista.”
“Non puoi mandarci lui?”, gli chiese, con voce piccola e infantile.
“E’ meglio che ci vada io… così magari posso convincerli a darci le copie per portarle a casa a fartele vedere.”
“Mandaci Bill.”, disse lei, secca, imbronciandosi.
“Rose… cerca di capire, non può andarci lui… altrimenti ci passiamo ora. Te la senti di rimanere sola in macchina?”, le domandò.
“No.”
“Allora come posso fare?”
“Fatteli mandare per posta.”, replicò Mac.
“Non li mandano per posta…”, disse Tom. Sospirò, forse era meglio lasciar perdere. Era ancora troppo fragile…
“Se rimani in macchina e la chiudi dall’interno… vedrai che non ti succederà niente, non entrerà nessuno.”, le disse, provando ad insistere per farla ragionare.
“Va bene…”, disse Mac, quasi impercettibilmente.
“C’è sempre una guardia di sicurezza all’entrata della redazione, me lo ha detto Bill. Se posso la faccio venire alla macchina, così starà lui a controllare la situazione.”, disse Tom.
Dovette pregare in mille lingue al reparto della sicurezza del palazzo in cui si trovava la redazione della rivista e solo dopo dieci minuti riuscì a convincerli che aveva bisogno che una delle loro guardie stesse alla sua macchina. Gli spiegò la situazione più di una volta e alla fine acconsentirono, ma solo perchè non sopportavano più la sua insistenza. Poi andò dritto all’undicesimo piano e, anche lì, dovette farsi in quattro per farsi dare le copie prova dell’intervista. Quello che ottenne furono solo delle fotocopie, ma era meglio di niente.
Scocciato per l’impossibilità di ottenere un semplice favore da questo cazzo di mondo, montò in macchina e, senza proferire parola, tornò a casa, stanco come non mai.

 

Mac, seduta a gambe incrociate sul letto, scaldata da una morbida felpa di Tom, leggeva con attenzione l’intervista trascritta, gustandosi un lecca lecca che Bill le aveva dato, appena aveva messo piede in casa, come facevano i dentisti un po’ negligenti con i loro pazienti bambini. Tom, nel frattempo, si stava facendo una doccia calda nel suo bagno, per lavarsi via tutta la stanchezza e tutto lo stress che aveva accumulato in quei due giorni.
Si aggiustò gli occhiali sul naso e lesse il pensiero personale della giornalista, che era stato posto come chiusura dell’articolo:
Eh sì, i due fidanzatini qua davanti a me sembrano essere appena usciti da una favola, da un sogno, dove tutto è dorato e pieno di batuffoli di felicità. E’ quasi impossibile credere che lo sciupafemmine più irriverente made in Deuschtland abbia trovato qualcuno che possa sopportare il suo ‘stravagante’ lifestyle. Mackenzie, o meglio, Mac dà l’impressione di essere una ragazza del tutto normale, quasi stereotipata…
“Stereotipata?!?! Io?!?!”, esclamò Mac.
“Hai detto qualcosa Rose?”, le chiese Tom, da dentro il bagno, avendola sentita parlare.
“Niente… te lo spiego dopo.”, fece lei, alzando la voce per farsi capire.
Ma stereotipata nel senso buono del termine, ovviamente… E’ la classica ragazza della porta accanto, magari un po’ sbarazzina, un po’ alla Avril…
“Che vorrà dire ‘stereotipata ma nel senso buono del termine’…”, fece lei, ragionando su quell’insulso giro di parole.
Ed è quasi impossibile credere che abbia fatto centro nel cuore di Tom… eravamo abituate a vederlo accompagnato da tutt’altro tipo di femmina! Ma si vede che la semplicità premia in questo modo.
“Una cosa sensata.”, disse Mac, riprendendo a gustarsi la sua fragola sferica su bastoncino di plastica.
Tuttavia sembra troppo bello per essere vero… Penso che le fans di Tom potrebbero festeggiare da un momento all’altro. FG.
Il lecca lecca le cadde dalla bocca, finendo per appiccicarsi contro la fotocopia. Tom, entrando nella camera in accappatoio, la vide con quell’espressione: occhi fuori dalle orbite e bocca spalancata. Finì con il preoccuparsi.
“Cosa c’è?”, le chiese, accorrendo da lei.
“Guarda… guarda cos’ha scritto quella stronza!”, esclamò Mac, porgendogli la fotocopia. Tom, al di là dei lividi che rovinavano la faccia di Mac, e del taglio che aveva sul suo labbro inferiore, rivide la scintilla che illuminava da sempre i suoi occhi, e per un attimo sorrise. L’aveva vista scomparire dopo l’aggressione e, anche se sapeva che non sarebbe tornata tanto facilmente, e che quello era solo un momento passeggero in cui lei non pensava a cosa le era successo, ne era rimasto contento, si era tranquillizzato.
“Che c’è da ridere!”, fece lei, “C’è da piangere!”
Tom si sedette accanto a lei e, prendendole gli occhiali dal naso, li indossò come fosse diventato improvvisamente carente di vista, sulla punta del naso.
“Vediamo un po’… dice che bla bla bla…. E poi bla bla bla… e ancora bla bla bla… morale della favola, un mucchio di cazzate.”, disse, appallottolando il foglio e restituendole gli occhiali.
“Hai letto cosa dice di me?”, fece Mac, allungandosi per raccogliere la pallina di carta, caduta a terra, “Dice che sono una persona stereotipata, ma nel senso buono del termine, che sembro Avril Lavigne…”
“Ma senti che affronto!”, fece lui, sarcasticamente, mentre si rivestiva.
“E poi ha detto che… che la nostra storia è troppo bella per essere vera.”
“Lo penso anche io.”, disse Tom.
“E che le tue fans potrebbero festeggiare… perchè secondo lei ci lasceremo presto!”
“Oh certamente, prepara le valige e vattene da casa mia.”, disse Tom, continuando nella sua ironia ma accorgendosi che Mac, nella sua situazione, avrebbe anche potuto prenderla male.
“Avevi ragione… quella donna era antipatica.”, disse Mac, facendogli tirare un sospiro di sollievo, “Adesso guardiamo le fotografie.”
Anche le fotografie furono scelte. Tom prediligeva quelle in cui giocavano con le chitarre, mentre Mac quelle senza. Alla fine, dopo un’aspra contrattazione, ne furono scelte sei, di cui una sarebbe andata in copertina. La spuntò Tom, con la fotografia in cui Mac gli stava a fianco, che teneva la chitarra in piedi appoggiandovi una mano sopra, mentre lui la imbracciava, tenendola bassa sul ventre come era il suo stile. Entrambi guardavano dritti il lettore negli occhi: Mac sorrideva, mentre lui aveva sempre la sua solita faccia seria, a mezzo riso, con sguardo penetrante.
Il titolo che la redazione aveva deciso era ‘Rockgirl + Rockstar = Love?’
“A te piace il titolo della nostra intervista? Comparirà anche in copertina…”, disse Mac, storcendo il naso.
“Beh… è carino…”, disse Tom.
“Ho capito la tattica di questa rivista, vogliono far credere a tutti che ci stiamo per lasciare!”, esclamò Mac, picchiando con forza sui fogli fotocopiati.
“E’ la stampa, Rose… chi se ne frega!”, esclamò Tom, facendo spallucce e buttandosi sul letto, accanto a lei. Con un calcio fece volare a terra tutte quelle fotocopie inutili, prese Mac e la fece stendere, accoccolandosi accanto a lei. Inaspettatamente, le cercò di divincolarsi.
“Mi… mi soffochi…”, fece, scansandosi da lui, con grande imbarazzo, “Non mi stare… così vicino…”
“Perchè?”, fece Tom, che non capiva.
“Perchè… perchè non voglio, ancora è presto.”, disse Mac, mentre rintanava le sue mani nella felpa e si voltava, dandogli le spalle.
“Io… non volevo fare niente, Rose, volevo solo abbracciarti.”, disse Tom.
“Sì… ma… ancora no.”, continuò a ripetere Mac.
Ogni contatto fisico le sembrava un aggressione…

 

 


TITOLO: canzone di Mel C di tanti anni fa, ‘Things will never be the same again’. No scopo di lucro.

Passiamo alla mia parte preferita...  cioè i ringraziamenti!!!

CowgirlSara: beh, alla fine l'ho scritta... poche parole: bollenti??? No... vanno a fuoco quei due, in tutti i sensi!!

Alanadepp: altro che bella parte per thiago... sarà presente per tutta la storia, anche se in veste meno eclatante delle altre volte. l'ho razionalizzato, mantenendolo sempre ad elevato tasso gayolico

Quoqquoriquo: beata te che hai un tatuaggio sigh... e poi, tornando alla storia, questo primo capitolo era solo un'introduzione, una specie di sorvolata sulla loro vita insieme... volevo approfondire di più certi litigi, determinate cose... ma alla fine mi sarei persa nei ricordi! 

Ruka88: no sul finale niente discussioni, niente di niente, non dirò niente. In fondo tutti lo sappiamo che l'amore non è per sempre, anche loro lo sanno! MAtrimonio? Ti sembrano due che si sposano? Neeeeee!!!!!

 

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Capitolo 3
*** Distances between us ***


3. DISTANCES BETWEEN US

 

Nei giorni successivi la situazione si fece molto tesa in tutta la casa. Furono installate diverse telecamere per tutto il perimetro recintato della casa e alcune anche ai quattro angoli dell’edificio.
Mac perdeva molto frequentemente la pazienza, aveva sbalzi di umore eccessivi ed era intrattabile. Non voleva rimanere a casa da sola, non voleva uscire… era impossibile fare una cosa che le andasse per il verso giusto.
Si incolpava. Si incolpava perchè quella sera era rimasta a casa invece di mandare in aria il lavoro e andare con Tom. Si incolpava per non aver reagito al mostro che le puntava la pistola tra gli occhi. Si incolpava per avergli permesso di offendere lei e Tom. Si incolpava perchè lui aveva cercato di violentarla, innervosito dal suo sguardo paralizzato. Si incolpava per non essersi messa un paio di pantaloni, che forse avrebbe scoraggiato quell’uomo a saltarle addosso. Si incolpava per non aver messo l’allarme, quando avrebbe dovuto farlo ogni santa volta che usciva di casa ed ogni notte, lasciandolo invece accendere a Tom o a Bill. Fanculo Mackenzie.
Tutti questi sensi di colpa la stavano frustrando, le stavano schiacciando la mente ed i pensieri. Le poche volte che riuscivano a farla uscire di casa, in ogni sguardo che incrociava, in ogni persona che le si avvicinava rivedeva quell’uomo, quel Bjorn. La polizia non era riuscita a rintracciarli, erano spariti insieme alla loro refurtiva. Non erano nemmeno stati capaci di rintracciare gli oggetti rubati: non era poi facile piazzare un disco d’oro sul mercato della ricettazione, si diceva Mac. Fanculo la polizia.
Il lavoro, dato che lei era terrorizzata di uscire fuori di casa, andava male. Se non fotografava e non vendeva i suoi scatti, non guadagnava niente. Alla rivista ‘Rock On’ l’avevano minacciata di rompere il contratto se non portava avanti gli impegni che le avevano assegnato: aveva rinunciato ad intervistare diversi gruppi, sia tra gli emergenti che tra gli evergreen. Fanculo il lavoro.
Ogni volta che qualcuno le si avvicinava, non importava chi fosse, iniziava a sentirsi soffocare, si faceva prendere dal panico, anche se cercava di non darlo a vedere. Con calma, era riuscita a sconfiggere quella paura che la teneva lontana persino da Tom ma non resisteva molto in un tenero abbraccio. Tom la capiva, non le chiedeva niente, tranne di stargli accanto, come avevano sempre fatto, durante la notte. Ma appena lei sentiva che lui si era addormentato, si scostava Intimità completamente azzerata, Mac dormiva sul bordo del letto, per non essere troppo ‘disturbata’. E Tom se ne accorgeva, era difficile che si addormentasse senza sentirla allontanarsi. Di nuovo: fanculo Mackenzie.
Eppure c’era una piccola parte di lei che continuava a ripeterle: perchè si faceva sopraffare di nuovo dalle sue tragedie? Che ne era rimasto della Mac che andava avanti, sopra ad ogni cosa, a testa alta senza guardare il passato?
Che cosa era successo alla Mac che voleva vivere, che aveva preso coscienza del suo passato e ne aveva tratto l’insegnamento più grande di tutta la sua vita, cioè non farsi mangiare dalla vita, ma mangiarla lei stessa?
Se n’era andata.
Era bastata un’aggressione per cancellare completamente anni di vita e farla tornare indietro, a quei giorni di depressione. Fanculo Mackenzie un’altra volta.
Nessuno vicino a lei sapeva trovare un rimedio, una soluzione, una cura per il suo malessere. Nessuno, compreso Tom. Compreso Thiago. Compreso Bill. Compresa Jasmine, la moglie di Georg, con la quale aveva instaurato un buon rapporto di amicizia, abitava a qualche isolato da loro.
Nessuno sembrava comprenderla.
Non facevano altro che ricordarle che tutte le colpe che si dava non erano giuste, che lei non aveva niente a che fare con quello che le era successo. Non si doveva accusarsi di essere stata negligente, quella sera. Non poteva sapere che cosa le sarebbe capitato.
Ma tutte quelle parole per lei non avevano peso, significato.
Forse quelle che le avevano fatto più bene erano quelle di Bill. Lui, a differenza di suo fratello, aveva un bel paio di orecchie grandi. Ma non nel senso che erano proprio grandi di forma; erano grandi abbastanza per starla a sentire. Mentre con Tom ogni discorso finiva in una discussione e, comunque, non c’era perchè impegnato soprattutto dal lavoro di produzione, Bill se ne stava lì a sentirla. Poteva essere logorroico, incapace di capire quando era il caso di smettere di parlare: ma come diceva lui ‘per un amico questo ed altro, o meglio, per un’amica’ In quel periodo il suo telefilm era in fase di stallo, uno dei suoi colleghi aveva dato forfait, erano alla ricerca di un altro produttore, e quindi aveva molto tempo libero, escludendo le prove quotidiane con il gruppo. Di solito, nel pomeriggio, si mettevano a prendere il sole invernale accanto alla piscina, semivuota e coperta da un telone verde, bevendo e sparlando di ogni cosa. Lui la incitava continuamente, le diceva di provare a riprendere le redini della sua vita… insomma, come aiuto psicologico ci sapeva fare.
E poi c’erano le telefonate di Thiago, dalla Spagna o da dovunque si trovasse: con il suo sarcasmo e le sue sfrecciatine, gli avevano fatto tornare il sorriso in bocca. La più bella chiamata fu quando lui la contattò da Parigi, dal negozio di Yve Saint Laurent, dove gli avevano gentilmente concesso il telefono per quella chiamata molto ‘extraurbana’.
Le aveva detto: “Senti bellezza, o ti decidi a togliere quel culo flaccido da quella casa, oppure vengo con uno schiacciasassi e mi diverto a passarti sopra un centinaio di volte, così vedo se ti succede come nel film di Roger Rabbit, dove il cattivo, dopo essere stato piallato per bene a terra, si rialza e rinsavisce. Ma non ti fare venire gli occhi a palla, ti prego, non lo sopporterei. Mi fanno senso.”
Anche Jasmine era entrata, per così dire, nel suo gruppo di supporto psicologico: veniva a trovarla, accompagnata dalle sue figlie, Lily e Zoe, ancora in fasce. Le loro chiacchierate erano tipicamente femminili: Georg faceva questo, Tom faceva quest’altro, non sopportavano quando dicono questo, non sopportavano quando facevano quest’altro… Jasmine notava sempre di più l’allontanamento tra i due, nei discorsi di Mac. Eppure la capiva: aveva avuto una lontana parente che, purtroppo, era stata violentata una sera, mentre se ne tornava tranquillamente a casa e, anche se a Mac, fortunatamente, questo infernale destino non era capitato, comprendeva ciò che stava passando. Era difficile per una donna riaprirsi, dopo fatti del genere, anche nel rapporto con il proprio fidanzato, marito, o con gli uomini in generale. L’inconscio era una brutta bestia e, in questi casi, prendeva il sopravvento sulla parte coscienziosa, lasciando che tutti gli uomini venissero assimilati con la figura dell’aggressore, benché ciò non fosse palesemente vero. Sapeva che solo con il tempo, e con qualche valido aiuto, tutto questo poteva passare. Le aveva consigliato l’aiuto di un valido psicologo, suo amico, ma Mac aveva sempre rifiutato, preferendo cercare la soluzione del suo problema dentro se stessa, e non all’esterno.

 

Un giorno prese una decisione: sapeva quanto poteva essere efficace un calcio ben assestato. Non poteva dimenticarsi di quella volta che fu messa al tappeto perchè presa alla sprovvista da un calcio, oramai tanti anni fa, quando ancora gareggiava di tae kwon do. Sapere di essere capaci di difendersi, aveva letto su un manuale di psicologia, poteva aiutare le persone affette da traumi come i suoi a tornare a vivere una vita normale. Però c’era anche scritto che una buona tecnica di autodifesa non esorcizzava completamente da problema dell’aumento dei crimini in Germania… Quindi , se da una parte poteva scongiurare un’altra aggressione del genere, dall’altra parte comprese che non ne sarebbe stata completamente immune. Anche se la cosa la teneva terribilmente a terra, dovette ammettere che era la verità: eventi del genere erano ineluttabili… ma forse imparare a difendersi li rendeva molto meno terrificanti.
E poi scaricare pugni e calci su un sacco appeso al muro non poteva altro che aiutarla a lavare via tutta la tensione accumulata. Dopo una discussione abbastanza animata con Tom, che non riteneva necessario che lei dovesse imparare ad autodifendersi perchè non le sarebbe più successo niente di male, lo convinse ad utilizzare una stanza del tutto vuota del loro livello per farci una specie di mini palestra, in cui lei si sarebbe potuta allenare, almeno per un’ora al giorno.
“Se è questo quello che vuole.”, disse Bill al fratello, dopo che la discussione fu terminata, “Se è sicura che può farla sentire meglio.”
“Ma non capisce che non le serve a niente! Che cosa sarebbe successo se le si fosse ribellata al suo aggressore? Magari lui le avrebbe sparato… e sarebbe morta. Non può fare la paladina della legge! Non esistono i supereroi.”, disse Tom. Aveva smesso di incolparsi, capendo anch’egli di quanto fossero imprevedibili fatti del genere. Si potevano prendere precauzioni all’infinito, ma c’era sempre un modo per annientarle. 
“Lo ha capito Tomi, lo ha capito… ma non credo ci sia niente di male nell’accontentarla.  E non c’è bisogno che ogni volta ti arrabbi con.”
“Ma si comporta come una bambina! Fa i capricci e questo non lo sopporto.”
“Tomi, non sono passati nemmeno venti giorni dall’aggressione. Per una donna non è facile trovarsi in quella situazione. Ci sono ragazze che sono state violentate e che dopo dieci anni ancora non se ne sono fatte una ragione.”
“A lei non è successo Bill!”
“Ma ci è andata vicina… è normale che si incolpi di una cosa del genere, per non essersi vestita di più, per non aver messo l’allarme eccetera eccetera.”
“E dove lo hai letto? Su ‘Psicologia per tutti?’”, sbottò Tom, “Sul retro del suo shampoo preferito?”
“Basta, stai diventando irragionevole!”, disse Bill, interrompendo la discussione con il fratello.
Era vero, c’era tensione in quella casa. La si poteva tagliare a fette, si sentiva nell’aria, si vedeva, si percepiva da un miglio di distanza. Tutti erano preoccupati per Mac ma, allo stesso tempo, erano anche preoccupati per la loro vita, per i loro impegni. Una continua e opprimente cappa di stress e nervosismo si era posata su di loro, pronta ad esplodere da un momento all’altro.
Tom aveva provato di tutto con lei, dall’essere comprensivo al diventare un muro di pietra su cui sbatterci contro, ma non era servito a niente. Mac continuava a viaggiare sul suo binario come un treno senza freni e lui non era altro che il passeggero alla stazione, che se lo vedeva passare davanti, con cappello che volava via per il vento.
Era diventato difficile anche parlarle: era talmente fragile che ogni parola le pareva un’accusa, e si infervorava ad ogni discorso. Lo accusava di criticarla e di farsi gioco di lei e delle sue paure, quando invece lui voleva soltanto cercare di comunicare con lei per comprendere quello che le passava per la testa.
E per questo stava male, era continuamente irascibile. La frustrazione, creata dal senso di non poter aiutarla in alcun modo, se non starle accanto senza nessuna reazione, lo stava trafiggendo quotidianamente da parte a parte. Si era buttato a capofitto sul lavoro, cercava sempre un diversivo ai suoi pensieri che lo impegnasse mentalmente su di esso. Per questo, in casa non c’era mai. Mac era inavvicinabile, e lui non lo sopportava.

 

***

 

Seduta sul divano, davanti alla tv, faceva zapping selvaggio, passando da un canale all’altro in meno di due secondi.
“Che c’è in tv?”, le chiese Bill, sedendosi accanto a lei. Era tornato da poco dalle prove con il gruppo. E come sempre, da una settimana a quella parta, era tornato da solo, perchè Tom era rimasto in studio. Aveva preparato due sandwich, uno per lui ed uno per Mac, e glielo porse.
“Boh.”, rispose lei, scambiando il suo panino con il telecomando, “Di solito a quest’ora non c’è niente.”
“Ti sei preparata per andare al lavoro?”, le chiese Bill, non vedendole addosso i soliti panni dismessi.
“Sì… E’ meglio che vada a recuperare parte della mia vita. Anche se non ne ho voglia.”, disse lei, dopo aver affondato i denti nel pane.
“Più tardi affronti i tuoi problemi, peggio li risolverai.”, le disse lui, come aveva fatto un altro milione di volte.
“Ho già risolto parte dei miei problemi. Ad esempio non ho più il terrore di mettere la testa fuori dalla porta.”
“E fuori dal cancello?”, le fece lui, provocatoriamente.
“Quella è un’altra storia.”
“Non capisco perchè ti stai mettendo contro tutto il mondo. Fuori non ci sono solo persone che vogliono farti del male.”
“Ma gran parte sì.”
“Andrà a finire che ti metterai contro anche le persone che ti vogliono bene.”
“Tu mi vuoi bene?”, gli domandò, come aveva fatto già un altro centinaio di volte.
“Certo che sì. Per me sei come una sorella… solo che le sorelle non lo fanno con gli altri fratelli.”, disse Bill, inceppandosi nel suo ragionamento.
“Secondo molte delle vostre fan, lo fanno eccome!”, disse Mac, iniziando a ridere, ricordandosi di alcune patetiche storie che aveva letto su internet e che riguardavano possibili storie d’amore tra Bill e Tom.
“Ma lascia perdere quelle sciroccate!”, disse Bill, “Piuttosto, non mi riferivo a me stesso.”
“E a chi ti riferivi?” disse Mac, continuando a ridere.
“A Tom… ovviamente.”
“Non capisco dove tu voglia arrivare.”, disse Mac, abbuiandosi improvvisamente.
“Non pensi che il vostro rapporto si sia danneggiato molto, ultimamente?”, le domandò.
“Certo! Lui è sempre al lavoro!”, fece lei.
“E perchè lo fa?”
“Perchè è troppo impegnato.”
“Sì, ok… ma perchè è troppo impegnato?”, insistette Bill.
“Perchè ha troppe cose da fare! Perchè gli ci vorrebbero le giornate di settantadue ore per riuscire a dividersi tra i Tokio e quell’altro gruppo…non mi ricordo nemmeno come si chiama!”
“Beh… buono a sapersi che non te lo ricordi.”
“Dovrei?”
“Certo che sì. Anche se non sembra, lui conosce molto più del tuo lavoro di quanto tu pensi. Ma tu non sai altrettanto del suo. Forse perchè non ti interessa?”
“Certo che mi interessa il suo lavoro!”, disse Mac, stizzita, “Non mi ricordo un nome e subito tu mi accusi di non interessarmi a lui.”
“No, frena frena! Non ti scaldare… non ti volevo accusare, volevo solo farti capire che, ultimamente, si è creato un abisso tra voi due.”
“Non è vero.”, fece Mac, anche se era totalmente insicura del suo pensiero, “E’ solo che lui è troppo impegnato per occuparsi di me ma non gliene faccio una colpa, perchè è capitato anche a me di essere molto impegnata e lui non mi ha mai fatto storie. Il lavoro è il lavoro.”
Bill voleva arrendersi, Mac proprio non voleva stare ad ascoltarlo. E soprattutto aveva veramente gli occhi coperti, non si stava accorgendo di niente.
“Mac…”, disse poi, sospirando, “Non è il lavoro che lo impegna così tanto…”
“E allora cos’è? Stai cercando di dirmi che mi sta tradendo?”, disse lei, stufandosi di lui e prendendogli il telecomando di mano per tornare a fare zapping.
“No… è lui che cerca di essere impegnato. Per non tornare a casa e doverti affrontare.”
Dette quelle dure parole si alzò, lasciandola libera di riflettere su quelle parole, oppure di sbattersene allegramente come pareva aver fatto fino a quel momento. Salì le scale e si chiuse nella sua stanza, aveva un paio di cose da fare.

 

Mac non ebbe il tempo di pensare a lungo sulle parole di Bill: quello che le venne a mente fu solo una replica, che consisteva nell’ordine imperativo destinato a lui di farsi i cazzi suoi. Ma non continuò oltre perchè si era fatto tardi, doveva andare. Prese la borsa, la custodia della sua macchina fotografica, i raccoglitori dei negativi e uscì di casa, diretta alla redazione di ‘Rock On’.
Un brivido le prese tutta la schiena quando mise in moto e, con esasperata lentezza, uscì fuori dal cancello di casa, premendo il bottoncino che chiudeva automaticamente tutte le serrature delle portiere.
Ogni volta che si fermava al semaforo iniziava la paranoia: i suoi occhi andavano velocemente a destra e a sinistra, per controllare i pedoni. Ci mise meno del solito ad arrivare in redazione, anche se doveva affrontare sempre il solito dannato traffico. Quando scese dalla macchina, si disse che era stata brava, si sentiva un po’ fiera di sé stessa per essere riuscita a mantenere la calma.
Approdata con l’ascensore al piano desiderato, si diresse verso la porta che portava sopra l’insegna ‘Rock On’. Entrò e, come stabilito telefonicamente qualche giorno prima, andò direttamente nell’ufficio del direttore, salutando qua e là i colleghi che lavoravano come lei per la rivista, e che si complimentavano con lei per la sua forma fisica.
“Vedi Mac… lasciamo perdere tutti i problemi che hai avuto.”, le disse il direttore, Franz Schilling, “Facciamo conto che non siano mai avvenuti. Sei una buona collaboratrice, sei molto stimata dai tuoi colleghi e anche dalle persone che hai intervistato. Però rimane sempre il fatto che devi tornare ad assumerti le tue responsabilità. Ad esempio, per la settimana prossima avrei bisogno di un servizio sui My Chemical Romance, che si esibiranno a Vienna. E voglio che sia tu ad andare da loro perchè già li hai intervistati una volta e si ricordano di te. Il concerto ci sarà domenica sera, ti abbiamo fissato un intervista con servizio fotografico per le dieci di mattina del sabato.”
“Non voglio allontanarmi troppo.”, disse Mac, le cui mani stavano sudando freddo per l’agitazione.
“Allora mi costringi a dare l’incarico a qualcun altro…ed a prendere una brutta decisione. Sei sicura? Sono disposto anche a pagarti il doppio, a concederti totale libertà sulle domande da porre.”
Mac ci riflettè sopra: Monaco? Troppo lontano. Domenica? Ed era solo giovedì...
“Ok, va bene, lo faccio.”, disse poi, contrariamente a ciò che aveva appena pensato.
“Oh… molto bene.”, disse Franz, sorridendole, “E… Ah! A proposito… vorrei anche un servizio speciale, un reportage, sugli Mtv Europe Music Awards, visto che ci andrai.”
“Beh… a dire il vero non ci vado… ci va il gruppo.”, precisò Mac, “L’invito non è stato esteso anche a me.”
“E chi se ne frega!”, disse Franz, “Non c’è mica bisogno di invito per le fidanzate dei gruppi in nomination… Piuttosto, in cosa ce l’hanno avute i Tokio Hotel?”
Mac si mise a riflettere. Non se le ricordava, eppure erano stati nominati in diverse categorie. Questo suo lapsus le fece tornare a mente ciò che le aveva detto Bill, poco meno di un’ora prima. ‘Anche se non sembra, lui conosce molto più del tuo lavoro di quanto tu pensi. Ma tu non sai altrettanto del suo. Forse perchè non ti interessa’.
“Cosa c’è Mac?”, le chiese l’uomo, vedendola improvvisamente intristirsi.
“Oh no… niente, mi stavo solo brontolando perchè non me le ricordo!”, disse Mac, ridendo falsamente.
“Fa’ niente. Comunque ci conto… tra quanto è? La prossima domenica?”
“Si… qua, a Berlino.”
“Bene, benissimo. Torna domani, così ti darò il biglietto aereo.”
“E’ possibile averne due?”, chiese Mac, mordendosi il labbro inferiore.
“Già ci avevo pensato…”, fece il direttore, sorridendole con comprensione.
Dopo la solita cordiale stretta di mano, Mac uscì dal suo ufficio. Incontrò un paio di colleghi, Ferdinand e Julia, con i quali si mise a chiacchierare del più e del meno, distraendola dal pensiero che la stava tormentando.
‘Forse perchè non ti interessa

 

“Pronto?”, rispose Bill distrattamente al suo cellulare, rimasto abbandonato sul suo letto, mentre lui stava riassettando il suo armadio, decidendo quali vestiti doveva gettare via e quali mantenere ancora.
“Dove sei?”, tuonò una voce dall’altra parte della chiamata.
“Oh Gesù santo! Me ne sono dimenticato!”
“Allora guarda se tra dieci minuti sei qua all’aereoporto, ti faccio tagliare quei capelli aerospaziali!”, continuò l’altra voce, arrabbiatissima.
“Va bene Thiago… arrivo subito.”, disse Bill, rammaricato per quella sua dimenticanza. Thiago aveva anticipato il suo arrivo a Berlino di qualche giorno: lo aveva fatto per stare vicino a Mac e avrebbe voluto farlo molto prima, ma era stato sommerso da impegni improrogabili, che riguardavano soprattutto l’uscita del suo nuovo libro. Infatti, per contratto doveva scriverne uno all’anno per farlo pubblicare dalla sua casa editrice entro il primo novembre e, visto che era stato impegnato fino ad settembre con Bill con la stesura delle nuove sceneggiature per ‘Primadonna e Io’, aveva dovuto scriverlo un solo mese e mezzo. Quel lavoro scritto troppo frettolosamente non avrebbe venduto molto, lo sapeva, ma non gli interessava più di tanto. In fondo, tutti i grandi scrittori avevano pubblicato ameno un libro indecente! Gli dette il titolo di ‘Essere etero in un mondo di gay’ e lo consegnò alla casa editrice, fece le valige e prese il primo volo per la Germania.
Bil
l lo trovò, seduto sul suo enorme valigione, con aria quasi affranta, nella sala degli arrivi.
“Oh mio dio, scusami tanto!”, gli disse, andandogli contro, “Me ne ero dimenticato perchè ho avuto una giornata un po’ difficile.”
“Mah… fa’ niente…”, disse l’altro, alzandosi e iniziando a trainare la sua valigia.
“Hey… cos’hai?”, gli chiese, “Successo qualcosa di brutto.”
“Sì… ho lasciato le mie mutande portafortuna a casa.”, disse l’altro, sull’orlo del pianto.

 

Seduto sul divano, dopo aver disfatto la sua valigia, sistemata nella camera a lui strettamente riservata nel porto franco Kaulitz, attese l’arrivo di Mac. Appena sentì che una chiave stava aprendo, si precipitò alla porta per sorprendere la sua ‘sorellina’.
“Sorpresa!”, esclamò, appena la porta si aprì.
“Hey… Thiago!”, fece Tom, sorridendogli.
“Ah… sei tu…”, disse l’altro, deluso.
“Beh! Non sei contento di vedermi?”, gli chiese l’altro, stupito ma non più di tanto della teatralità di Thiago. Gli porse la mano e attese che lui gliela stringesse.
“Insomma, mica tanto, pensavo fossi Mac.”, disse Thiago, contraccambiando il gesto.
“Perchè? Non è a casa?”, domandò Tom, lievemente stupito.
“A quanto pare no, mi ha detto Bill che è andata alla rivista. Ma sta arrivando anche lei…”
Infatti il cancello, appena chiusosi, iniziò a riaprirsi e il beetle nero di Mac entrare dentro alla proprietà. Thiago, ignorando quasi maleducatamente Tom, si precipitò fuori, correndo a braccia aperte, ma con un certo tono effeminato, verso Mac, che fu costretta a frenare se non voleva investirlo. Uscita fuori, lo abbracciò e, tra un misto di urletti e di baci, i due amici ritrovati si salutarono.
“Oh mio Dio! A parte tutto ti trovo dannatamente bene!”, disse Thiago, allontanandosi dal suo abbraccio per guardarla da capo a piedi, “Sei dimagrita? Non ci credo!”
“Beh… ho ripreso ad allenarmi, faccio un po’ di sport. Quindi forse sì, ma non mi peso tutti i giorni come te.”
“Bellezza, una pesatura costante del mio corpo mi permette di controllare ogni sbalzo di peso e di capire quali sono le abitudini alimentari sbagliate…”, rispose lui, con un certo tono di serietà.
“Certo! Bla bla bla bla!”, esclamò Mac, “Ma andiamo dentro, qua si gela!”
“E dai! Il freddo ringiovanisce, tonifica la ciccia!”, continuò l’altro.
Mano nella mano, entrarono in casa. Sulla soglia era rimasto Tom, che li stava guardando divertito nel loro classico rituale di saluto.
“Ciao.”, gli disse Mac, dandogli un bacio, lasciando la mano di Thiago perchè lui potesse entrare.
“Hey…”, fece lui, poi iniziò a farfugliare qualcosa, “Ehm… mi sono accorto che ho lasciato il telefono in sala registrazione… torno subito.”
Detto fatto, chiuse la porta e se ne tornò via, lasciando Mac alquanto allibita.
“Accendiamo questo caminetto!”, disse Thiago, con entusiasmo, perchè amava stare ore ed ore a guardare le fiamme guizzare.
“Sì… vengo subito…”, disse Mac, dopo qualche istante.
“Dov’è andato Tom?”, le domandò.
“Ha detto di aver lasciato il telefono in studio. Tornerà tra un po’.”, disse lei, rischiarandosi la voce.
“Speriamo passi anche a prendere qualche cosa di buono da mangiare… che so, un vassoio di pasticcini…”
“E le cattive abitudini alimentari di prima?”, gli fece Mac, cogliendolo in fallo.
“Oh, ma tu sei sempre così fiscale! Dio mio! Bill! Come fai a sopportarla!”, disse, alzando la voce per farsi sentire da lui, che doveva essere al piano di sopra.
“Basta dire sempre di sì e che ha ragione lei.”, rispose l’altro, affacciandosi dopo qualche attimo sulle scale sopra al caminetto.
“Ma che belli i miei amici!”, esclamò Mac, mentre prendeva la penisola del divano e la avvicinava al fuoco. Thiago vi si sedette subito e lei si mise a preparare il caminetto.
“Dimmi… sei pronta per una delle serate mondane più fantastiche del mondo?”, le chiese lui, eccitato solo all’idea.
“A dire il vero pensavo di non andare a quelle premiazioni.”, rispose subito Mac, rivelando quale fosse stato il suo vero pensiero sugli ‘Emas’.
“Ma piantala!”, fece subito l’altro, dandole una pacca sulla testa, “Ti devo dare una notizia fantasmagoricamente assurdamente vera!”
“E qual è? Giorgio Clonio ha rivelato di essere gay?”, fece Mac, indicando con quel nome una parodia del divo di Hollywood.
“Magari…”, fece l’altro, sconsolato, “E’ anche molto meglio!”
“Hanno ritirato dal commercio tutti i tuoi libri, accusandoli di blasfemia?”, ritentò la ragazza.
“Ma no!”
“E allora cosa ti è successo? Paris Hilton ti ha adottato?”
“Certo… mi hanno invitato per presentare un premio agli Emas!”, rivelò lui, iniziando a pestare i piedi sul pavimento per la felicità.
“Davvero?!?”, fece Mac, alquanto stupita.
“Sì, presenterò il premio ‘Best Fashion’, che premierà la star che si veste meglio! In lizza ci sono: Britney Spears, impossibile da credere ma c’è; poi anche Rihanna; Carla Bruni, che dovrebbe vincere perchè è anche stata una modella, non so se lo sapevi… e le altre due non mi ricordo…”
“Beh, sono davvero contenta per te!”, disse Mac, lasciando perdere il caminetto per voltarsi ed abbracciarlo.
“Quindi, se vengo io, devi venire anche tu!”
“Tranquillo, non mi opporrò con facilità perchè la rivista mi ha chiesto di fare una specie di reportage sulla serata…”
“Sì!”, esclamò Thiago, iniziando a saltellare come un canguro e a battere le mani come una foca, “Sapessi con che toni si sono rivolti a me! A questa star!”
“Sentiamo…”, fece Mac, mentre accendeva una pallina chimica che avrebbe messo sotto alla piccola catasta di legni, per farli iniziare a bruciare.
“Prima mi hanno chiesto se ero io lo scrittore Thiago Ramirez… poi, con una formalità che mi ha alquanto stupito mi hanno detto: ‘Saremmo lieti di invitarla per l’edizione degli Mtv Europe Music Awards che si terrà questo novembre a Berlino per presentare il Best Fashion Awards’…. Io sono rimasto così.”, disse lui, assumendo una smorfia facciale molto simile all’urlo del film Scream, “E poi ho chiesto loro perchè volevano proprio me, dico io, uno scrittore come tanti altri, un semplice attore e sceneggiatore, a presentare un premio del genere… Mac, tu sai quanto sia falsa questa modestia che ho usato nei loro confronti, ma non volevo passare per uno che si dà tante arie… Loro mi fanno: ‘Perchè è considerato come una specie di fashion guru da molti gay come lei…e pensavamo fosse molto adatto in questo ruolo’… e li ho fatto quest’altra espressione.”
Si mise con le braccia aperte verso l’alto e si tramutò in una specie di Liza Mannelli, bocca aperta in un sorriso da diva e occhi spalancati, dopo l’esibizione di ‘Cabaret’, noto musical amato da tutti gli omosessuali del pianeta.
“Ed hai accettato, ovviamente!”, disse Mac, a conclusione della storia.
“Ovvio che sì! Appena avremo tempo andremo per boutiques a trovarci un bel vestito.”, disse lui, che forse era più elettrizzato dal fare shopping che da presentare quel premio.
“Va bene! A patto però che vieni con me a Vienna!”, disse Mac, e gli spiegò cosa avrebbero dovuto fare.

 

Imbecille, imbecille, imbecille. Proprio un imbecille.
Che cazzo gli era preso? Prendere ed andarsene in quel modo, con una scusa assurda. No, non era questo il modo, non era questo quello che voleva.
Voleva mettere in sesto la sua relazione? Sì.
Ciò poteva accadere se tornava a casa e, appena la vedeva, fuggiva di nuovo? No.
Bisognava che prendesse seri provvedimenti contro se stesso. Soprattutto, voleva parlare a quattro occhi con Mac, chiederle scusa per averla trascurata quando lei aveva più bisogno del suo appoggio, chiederle perdono.
Passò davvero dallo studio, dove era sicuro avrebbe ancora trovato Jeremy, l’agente degli Asian Fever, e gli disse che da venerdì in poi, fino quando non lo avesse richiamato, non ci sarebbe stato, che sarebbe stato impegnato altrove e che si era scordato di informarlo.
Poi andò all’aeroporto e, ad uno dei tanti info point, chiese di comprare i primi biglietti disponibili per Londra, la città preferita di Mac. Prenotò anche un albergo, in vista di passare un week end molto romantico stretto a lei… Voleva stare veramente con lei, perchè da un certo periodo a quella parte… insomma… non c’era verso di avvicinarsi.
Tutto questo gli portò via molto tempo e, quando rincasò, era oramai troppo tardi per mangiare con tutti gli altri. Bill lo aveva chiamato più volte per chiedergli dove era e lui gli aveva mentito, dicendogli che si era trovato bloccato nel traffico per via di un incidente.
Appena mise piede in casa, andò subito da Mac, che se ne stava sul divano a farsi fare le unghie da Thiago, mentre Bill si stava dedicando a una buona dose di x-box.
“Ciao… scusate il ritardo, ma quell’incidente è stato terribile.”, disse, mentre si toglieva il piumino e lo appoggiava sullo schienale del divano.
“Tranquillo, capita…”, disse Mac, voltando la testa per dargli un bacio.
“A proposito… verresti un attimo in cucina? Ti devo parlare di una cosa.”, le disse.
“Beh… anche io ti devo parlare.”, fece Mac.
Sia Thiago che Bill si voltarono verso di lei, avendo notato nelle sue parole un forte accenno melanconico. Si alzò e lo segui. Quando i due furono spariti dietro la porta, Thiago si rivolse a Bill.
“Lo hai notato anche tu che tra i due non va tanto bene… vero?”, gli disse.
“Sì…”, rispose Bill, “Speriamo non alzino tanto la voce.”

 

 

Mac si sedette sul ripiano della cucina, raccogliendo le gambe sul petto, con aria triste.
“C’è qualcosa che non va?”, le domandò Tom, sorridendole, appoggiando la sua faccia sulle sue ginocchia ed abbracciandola per i fianchi.
“A dire il vero sì… Riuscirai mai a trovare un po’ di tempo per me? Invece di lasciarmi sempre sola con Bill?”, fece lei.
“E’ proprio su questo che volevo parlarti, Rose…”, disse lui, sospirando, “Lo so… è colpa mia… mi sono fatto caricare di lavoro e non ho avuto tempo per starti accanto.”
“Lo facevi perchè non volevi stare con me… vero?”
Tom la guardò negli occhi, un modo per dirle implicitamente che era vero. Gli venne da sciogliere quell’abbraccio, sentendosi in colpa.
“E perchè?”, gli chiese Mac.
“Perchè non so come aiutarti… ed ogni volta che ci provo litighiamo. Non so come prenderti, ogni parola che dico diventa un’offesa, per te. Non ho voglia di sentirmi sempre inutile… ”
“Ho capito…”, disse Mac, abbassando gli occhi perchè stavano iniziando a riempirsi di lacrime, “Colpa mia.”
“E non riesco più nemmeno ad avvicinarmi a te, ogni volta ti chiudi a riccio e ti allontani. Non ti chiedo niente... Solo di potere trovare un modo per riprendere il nostro contatto.”
“Tom...”, fece lei, chiamandolo per nome, lo faceva pochissime volte, “Io ti amo, lo sai… ma ancora non ci riesco!”
“Non ti sto domandando nient’altro che di poterti… poterti toccare, abbracciare, baciare, accarezzare… come facevamo sempre prima.”
“Non ci riesco ancora! Dammi tempo!”, esclamò Mac, alzando improvvisamente la voce ed iniziando a singhiozzare, “E non farmele ripetere queste cose!”
“Tempo…”, disse Tom, perdendo la pazienza, “E’ passato un mese! Un mese! Rifiuti di farti curare da uno psicologo, non ci ascolti, fai come cazzo di pare ogni santo giorno… adesso basta!”
Mac, intimorita, scese dal ripiano della cucina e, con la faccia nascosta tra le mani, singhiozzando, corse fuori dalla cucina. Si chiuse in una delle due camere libere del piano di Bill.
Tom appoggiò la schiena contro il frigorifero. Si massaggiò la faccia, premendosi con forza sulle tempie, gli era esploso un terribile mal di testa. Tirò fuori i due biglietti e li guardò.
“Fanculo.”, disse, e li strappò, gettandoli nel cestino dei rifiuti.

 



 
Tutti i personaggi famosi e la manifestazione ‘Emas’ non sono citati con scopi di lucro.

Saltiamo direttamente i ringraziamenti a MissZombie, CowgirlSara, Alanadepp e Sososisu... ragazze, vi chi già ringraziato abbastanza per msn oppure volete di più? Ve lo do senza che mi rispondiate: graziegraziegraziegraziegraziegraziegraizegrazie!!!!! Poi passiamo alle altre:

Quoqquoriquo: beh, forse hai ragione sull'ultima frase, ma è stata del tutto necessaria per dare un indizio sull'evoluzione futura della storia... anche stavolta mi sono buttata in un ambito psicologico che, per mia grandissima fortuna, non ho mai esplorato. cercherò di rendere i sentimenti e gli stati di mac il più veritieri possibili, grazie ad un manuale di psicologia virtuale. spero di non deluderti!

Starfi: fabri fibra, la persona più inutile del mercato discografico italiano... vabbè, ti passo la canzone con il mio nome però XDDD ecco, ti dico di sì, destabilizzazioni in arrivo sul binario uno, perfettamente in orario!

Ruka88: che si lasceranno... io ho l'ho mai detto... XDD no, tranquilla, mettiti l'anima in pace! non farsi toccare da tom??? manco con la canna da pesca (pensiero di rubychubb) XDDD

SweetPissy: tranquillizzati, quel tipo non tornerà, a meno che non faccia la comparsata alla beautiful, magari dicendo che è il fratello nascosto dei kaulitz!!!! XD beh, thiago è arrivato! sempre spettacolarmente, ma forse un po' meno delle altre volte!!!

Ho ringraziato tutti? Beh, no, mancano quelli che hanno letto senza recensire e quelli che hanno messo la storia tra i preferiti! Vielen Dank

 

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Capitolo 4
*** Come and save me tonight ***


4. COME AND SAVE ME TONIGHT

 

 

L’aereo era in ritardo di due ore e mezza. Fuori imperversava una tempesta di neve che si stava lentamente calmando e le piste erano quasi del tutto bloccate. Mac prevedeva di passare tutta la notte in aeroporto, a morire congelata, ma aveva trovato un’ottima positazione, proprio sotto al getto dell’aria calda, quindi non si lamentava più di tanto. Insieme a lei Thiago, che aveva accettato di farle compagnia e che, invece, continuava a lamentarsi.
“Questo sedile è troppo scomodo.”
“Questo giornale è noioso.”
“I bagni erano sporchi.”
“Cos’ha quello da guardare?”
“Mi si è spezzata un’unghia!”
“Mi stanno sudando le ascelle.”
“Io non mangio quelle schifezze!”
Eccetera… Eccetera… Eccetera…
Il volo AB85621, destinazione Vienna, è pronto per l’imbarco.”, disse la voce falsamente suadente dell’hostess di terra, impiegata all’ultimo controllo biglietti prima dell’imbarco.
“E’ il nostro Thi.”, disse Mac, dando una botta all’amico, che si era appisolato, annullando ogni sua rimostranza.
“Ah… stavo dormendo così bene!”, disse lui.

 

La situazione neve di Vienna era molto più accettabile rispetto a quella di Berlino. Aveva appena iniziato e ancora non aveva attecchito sull’asfalto, quindi l’aereo atterrò senza problemi. Erano le undici di venerdì sera ed entrambi, con delle occhiaie paurose che segnavano i loro occhi, decisero di infilarsi subito in hotel. Dopo aver fatto il check in all’albergo in cui la redazione aveva prenotato la camera doppia per loro due, si fecero una doccia sbrigativa per togliersi via lo sporco del viaggio.
Nel mentre che Thiago si stava lavando, Mac ne approfittò per chiamare Tom e dirgli che era arrivata.
“Com’è la neve da te?”, gli chiese.
“Sembra Natale.”, rispose Tom, che stava guardando fuori dalla grande finestra del salotto, con voce quasi atona. Per tutti i tre minuti della chiamata aveva risposto quasi con soli monosillabi.
“Anche qua sta nevicando. Mi manchi davv…”, disse Mac, ma non terminò nemmeno la parola, perchè improvvisamente la linea era caduta, lasciandola sola con quel ‘tu-tu-tu’ asettico. Tom le aveva riattaccato in faccia. Prese il telefono e lo scaraventò per terra.
Non si erano nemmeno salutati, lei se ne era andata all’aereoporto, come nei suoi piani, alle quattro del pomeriggio per prendere il volo delle sei, e che era stato più volte spostato in avanti. Lui, ancora terribilmente incazzato,  le aveva detto che non poteva proprio fare a meno di lasciare lo studio, perchè aveva una riunione importante con la casa discografica per gli Asian Fever. Lei si era arrabbiata, ma non gli aveva detto niente. Era meglio non vedersi per un paio di giorni, calmarsi e poi riprendere il filo del discorso.
Pareva calata una glaciazione tra i due…
 

Thiago conosceva abbastanza bene Vienna, ci aveva vissuto per un mese quando aveva avuto una relazione con un ragazzo del posto. Mentre Mac stava intervistando il gruppo, che a lui non piaceva affatto, se ne andò in giro per negozi, in cerca di un abito adatto per il red carpet sia per lui, che per lei. Se non c’era lui, che di gusto ne aveva un vagone, Mac si sarebbe messa i soliti vestitacci, pensava.
Il messaggio di Mac lo interruppe nella sua ricerca del tesoro, per farlo dirigere verso Starbucks, in pieno centro, era lì che si sarebbero ritrovati.
“Mio Dio Thi! Sono fantastici, non me li ricordavo così simpatici!”, disse Mac, raccontandogli dell’intervista, davanti ad una tazza di cioccolata calda.
“Beh, non li conosco, ma a vederli non sembrano tanti amichevoli.”, fece l’altro, che non era per niente attratto dalla musica rock.
“Ma dai… cavolo, fuori sta nevicando di brutto… forse è meglio tornare verso l’albergo.”, fece Mac, guardando fuori dalla vetrata. Erano lì dentro da circa una mezz’ora e, lentamente, la neve stava salendo.
“No! Assolutamente, ho visto un vestito bellissimo per gli Emas e voglio andare a comprarlo!”
“Vuoi rimanere per caso impantanato nella neve con i tuoi stivali di coccodrillo?”, gli disse Mac.
“No… meglio tornare in albergo.”, fece l’altro, atterrito dalla paura di una possibile crepa nella pelle dei suoi stivali per via del freddo.

 

Il Nord Europa è stretto da venerdì notte in una morsa di freddo. Non nevicava così tanto da almeno dieci anni e in alcune delle città più importanti, tra cui troviamo Monaco, Hannover, Berlino, ma anche all’estero Vienna, Ginevra e Stoccolma, sono ricoperte da quasi due metri di neve…”, diceva il meteorologo di turno, alla televisione pubblica tedesca, “Gli aeroporti sono chiusi da sabato notte, gli spazzaneve non riescono a smaltire il loro lavoro, che viene subito ricoperto da altra neve. Ottimisticamente, le temperature dovrebbero risalire solo da martedì e prevediamo che questa cappa di freddo e di neve non si allontanerà prima di lunedì…
Improvvisamente lo schermo si tinse di nero, la televisione fu spenta.
“Cosa hanno detto le previsioni?”, chiese Tom al fratello. Si sedette accanto a lui, sgranocchiando una manciata di pop corn.
“Che non smetterà di nevicare fino a lunedì… e Mac cosa ha detto?”
“Che il suo volo è stato cancellato. Ha chiesto di cambiare il biglietto ma il primo aereo disponibile è per martedì pomeriggio, alle sei.”, disse lui, quasi atono.
“Mmh… mi dispiace che non siate potuti andare a Londra.”, gli disse Bill. Aveva saputo dei biglietti che lui aveva comprato perchè li aveva trovati nel cestino della cucina, strappati. Per evitare ulteriori complicazioni tra i due, li aveva presi e li aveva gettati nel fuoco, cancellando ogni traccia
“E perchè? Tanto lassù c’e sempre un tempo di merda.”, fece l’altro, buttandosi un bocca gli ultimi rimasugli di pop corn.
“Ok…”, fece Bill, buttando via il telecomando e voltandosi verso di lui, “Vogliamo parlarne?”
“Parlare di cosa?”, fece l’altro, “Non ho niente da dire.”
“Tomi… sarò stupido, sarò deficiente… ma sono tuo fratello, ti conosco meglio di me stesso. Lo so che c’è qualcosa che non va.”
“Niente, Bill, è tutto a posto.”, disse Tom, spazientandosi.
“Certo, e la terra è piatta… andiamo Tomi, non mi mentire.”
“Che cosa vuoi che ti dica? Che mi sono stufato di tutto?”
“Stufato?”, gli domandò.
“Sì… va tutto a rotoli, non c’è un momento per guardarsi negli occhi e dirsi che forse stiamo continuando a prenderci in giro.”
“Tomi…”, fece Bill, “Ma cosa stai dicendo...”
“Bill…”, fece l’altro, guardandolo in tralice.
La testa di Tom cadde all’indietro, appoggiandosi stancamente sullo schienale.
“Non credo che questa storia andrà avanti ancora per molto.”
Bill guardò dentro gli occhi di Tom… non poteva crederci, stava dicendo sul serio.  
“Sei… sei sicuro? Tomi, lo sai quanto ci tieni a lei… lo sai che la ami…”
“Sì… credevo di saperlo. Ma non so se era vero. Si dice che l’amore si rinforza dopo i momenti brutti… a me questo momento brutto è servito a farmi capire che è tutto sbagliato.”, disse lui, chiudendo gli occhi. Si frugò nelle tasche dei pantaloni e prese una sigaretta, accendendosela.
Bill si arrese. Tom non stava scherzando.
“Sai da quanto tempo non ci guardiamo negli occhi?”, gli disse Tom.
“Da quanto?”
“Non me lo ricordo nemmeno più.”

 
“Maledetta neve! Odio la neve! La detesto!”, continuava a sbraitare Thiago.
Erano bloccati dentro l’hotel: fuori, un muro di neve alto un metro e ottanta.
“Voglio uscire! Voglio uscire!”, protestava alla reception, mentre il portiere cercava di nascondersi sotto al bancone, impaurito.
“Signore, stiamo spalando adesso… se aspetta altri cinque minuti…”
“Ho aspettato mezz’ora!”, gridò Thiago, “Sono claustrofobico! Non lo capisce!”
“Thi! Datti pace… hanno aperto la porta…”, fece Mac, sconsolata per l’atteggiamento dell’amico.
Lui, appena vide l’esterno dell’hotel, a grandi passi uscì fuori ansimando. Il suo alito si animava, per via del freddo, e diventava bianco, una nebbiolina leggera che gli inumidiva i contorni della bocca.
“Oh Signore! Dio ti ringrazio!”, diceva, mentre si appoggiava le mani alle ginocchia e riprendeva fiato.
“Santa Maria… sei proprio ridotto male!”, disse Mac, uscendo fuori. Alzò il naso e guardò il cielo: un brivido di sole penetrò al di là delle spesse nubi bianche, iniziando a colorare di luce la nevosa atmosfera bianca. Erano intrappolati lì, in quella città, l’aeroporto era ancora chiuso sotto due metri e mezzo di neve. Secondo le previsioni alla tv, sarebbe stato riaperto nel pomeriggio, se non si fosse messo a nevicare di nuovo, dopo che gli spalaneve avevano rimosso tutti gli ostacoli. Il loro aereo partiva alle sei e mezza, con un po’ di buon ottimismo forse sarebbe arrivata a casa in orario.
Anche se aveva paura a tornarci…
C’era qualcosa che non andava. Qualcosa? Tutto.
Tutto andava male tra loro, da schifo. Non si parlavano più. Non si guardavano più.
Forse era l’ora di prendere una decisione. Forse era l’ora di imparare a capire quando era meglio tagliare via le cose che non andavano più bene.
“Mac! Che cavolo ci fai lì impalata?”, le fece Thiago, che l’aveva beccata, pensierosa, sulla soglia dell’hotel.
“Ops, scusami, stavo solo vagando con la mente.”
“Tienila al guinzaglio!”, la brontolò lui, prendendola a braccetto.
La loro destinazione era la Ringstrasse, famosa via circolare di Vienna su cui si potevano trovare i migliori negozi, le migliori boutique. Thiago, che aveva già visualizzato interamente tutto il suo outfit, non doveva fare altro che cercare quello che voleva, tirare fuori la carta di credito, farla passare lungo il lettore alla cassa e andarsene via con i pacchetti. Mac, che non aveva la benché minima idea di cosa indossare per la serata ‘mondana’ degli Emas, doveva veramente cercarsi qualcosa di decente da mettersi.
Camminando a braccetto, con la testa infilata dentro lo loro sciarpe e le mani coperte da spessi guanti, si godettero quel poco di sole che stava facendo capolino tra le nuvole, mentre tutto intorno a loro era candidamente bianco neve.
“Questi dopo sci sono da urlo!”, disse Thiago, guardandosi gli scarponi che aveva ai piedi, ovviamente all’ultima moda, con folto pelo che adornava il bordo superiore, “Voglio vedere in quanti me li invidieranno!”
Mac guardò i propri: rossi a con una striscia bianca. Paurosamente indecenti, ma erano gli unici che aveva portato con sé. Ne aveva un paio simili a quelli di Thiago, ma non le piacevano molto.
Come una coppia di fidanzatini del tutto bizzarri, camminavano per i marciapiedi della città, oramai sgomberati in fretta dal servizio degli spazza neve. La gente era tornata a popolare le strade, anche se tremendamente infreddolita, ma le giornate innevate, con il cielo che piano piano si sgomberava del suo carico di nuvole, erano veramente stupende, secondo Mac. Le piaceva l’inverno, le piaceva il freddo, anche se adorava l’estate ed il sole. Ma prediligeva di più la neve al caldo: le piaceva come sapeva rendere tutto magico ed infantile. Ma soprattutto, le piaceva da morire fare la lotta con le palle di neve! Avrebbe tanto voluto iniziarne una con Thiago ma, a parte il regolamento cittadino contrario a quello ‘sport’ invernale, lui non avrebbe affatto gradito.
“In quali negozi entriamo?”, gli chiese Mac.
“Negozi? Oh, cara mia, nessun negozio… noi andiamo nelle boutiques!”, precisò l’altro.
“Ma nelle boutiques i vestiti costano un occhio della testa e, fino a prova contraria, io sono sempre Mac, la squattrinata per eccellenza! Non si guadagnano i milioni a fare i fotografi, soprattutto se il lavoro scarseggia, e il servizio di ieri me lo pagano quando lo consegno!”
“E chi ti dice che sarai tu a pagare i vestiti che vorrai? Voglio farti dei regali, sono mesi che non te ne faccio uno!”, disse Thiago.
“Beh… molto gentile da parte tua ma non credo che…”
“No no no no no!”, fece l’altro, mettendole il dito sulla bocca, “Non continuare la frase.”
“Sì, ho capito ma…”
“Sssshhhh! Qualunque cosa tu dirai sarà usata contro di te in tribunale.”, fece l’altro, mettendosi le mani sulle orecchie e fermandosi in mezzo al marciapiede, costringendo inavvertitamente le persone dietro di lui a fargli lo slalom intorno.
“Thi… non ha senso quello che hai appena detto…”, gli fece notare Mac.
Al che l’altro, pensando che la sua amica stesse insistendo sul rifiutarsi di accettare il suo regalo, iniziò a saltellare e a canticchiare come uno scemo, con gli occhi chiusi, per non sentire le sue parole. La gente che passava lo guardava come se fosse lo scemo del villaggio e Mac, rossa per l’imbarazzo, se ne stava lì a guardarlo, ridacchiando e cercando di coprirsi il viso con le mani.
“La finisci!”, gli disse poi, quando un capannello  di gente si era radunata intorno a loro.
Thiago si fermò e, vedendo tutta quella gente che lo guardava divertito, si tolse le mani dalle orecchie e fece un inchino, togliendosi il cappello in segno di riverenza.
“Andiamo!”, fece Mac, porgendogli il braccio, “Non vorrai mica far pagare il biglietto.”
Ogni grande marca che incontravano, Thiago vi si infilava dentro e iniziava con minuziosa attenzione a spulciare tutti i vestiti femminili che, secondo il suo modestissimo parere, potevano andare bene per Mac. Ovviamente lei glieli bocciava costantemente e lui, rassegnato, doveva sempre scusarsi con le altezzose commesse per il comportamento poco signorile della sua amica.
Davanti al negozio dei suoi stilisti preferiti, niente popò di meno che i famigerati Dannatament&Gnocca, lui le impose assolutamente di trovare qualcosa di adatto per lei.
“Qua dentro mi conoscono benissimo, sanno chi sono… non mi far fare figuracce!”, le disse, appena prima di entrare.
“Va bene mamma.”, disse Mac, infilandosi un dito in bocca ed iniziando a succhiarlo come un bebè. L’altro sbuffò e glielo tolse con un gesto fulmineo, poi la portò dentro al negozio. A destra dell’ingresso, dietro la vetrina, solo un bancone bianco, dall’aspetto minimalista, senza nessun registratore di cassa sopra. Poi davanti a loro, tutti i vestiti stavano appesi con le loro stampelle su sostegni che erano fissati direttamente al muro. Una grande colonna centrale era ricoperta sui suoi quattro lati da specchi e un grosso divano a mezzaluna la circondava, dando le spalle all’entrata. Una lieve musica jazzeggiante riempiva l’atmosfera.
“Oh! Il caro Thiago!”, fece subito la nullafacente commessa, andandogli incontro a braccia aperte. Fino a quel momento se ne stava seduta dietro al bancone, leggendosi una rivista, sicuramente di moda.
“Oh! Cara Mathilde!”, esclamò l’altro, abbracciandola e baciandola, ma senza sfiorare le guance di lei. Mac trovò quel gesto del tutto falso, dettato solo dall’etichetta.
“Cosa ci fai qua a Vienna?”, le chiese lei, “Ti trovo così bene!”
“Oh, cara grazie, sono venuto ad accompagnare questa mia carissima amica ad un impegno di lavoro. Te la presento, si chiama Mackenzie Rosenbaum.”
Lei, che era rimasta fino a quel momento sulla soglia del negozio, fece qualche passo avanti e, educatamente, porse la mano alla ragazza. La ragazza la squadrò da capo a piedi in un nano secondo, soffermandosi con un sorriso lievemente disgustato sui suoi doposci.
“Ma sì! So chi sei! Sei la fidanzata di Tom Kaulitz! Stavo leggendo proprio adesso l’articolo su di voi due! Guarda il caso! Lo sto trovando davvero interessante!”, esclamò l’altra, senza contraccambiare il gesto e lasciandola alquanto nell’imbarazzo.
“Beh… grazie…”, disse Mac, mentre abbassava la mano, credendo poco alle parole dell’altra.
“Oh! Ma che piacere!”, fece Mathilde, compiendo il rituale dei due baci ai lati del viso, come aveva fatto con Thiago.
“Vedi, Mathilde, come sicuramente saprai questa domenica ci saranno gli Mtv Europe Music Awards a Berlino e, modestamente, sono stato invitato a presentare il Best Fashion Award!”
“Ma non mi dire! Sono contentissima per te!”, fece la ragazza, mettendosi teatralmente la mano davanti alla bocca.
Per Mac, tutti quei gesti così estremizzati erano del tutto comici. Non era proprio questo il suo ambiente, si disse. Thiago, invece, si trovava perfettamente a suo agio ed un pochino lo invidiava. Ma lui era sempre stato, fin da quando lo aveva conosciuto, così spettacolarmente mimico, sia nei gesti che nelle espressioni facciali… D’altronde, era gay!
“Già, non ti dico quanto sono contento! E, ovviamente, Mac sarà accanto al suo ragazzo e… quindi… dobbiamo trovarle qualcosa di veramente adatto per questa magnifica occasione!”
“Sicuramente, già ho visualizzato che tipo di vestito ti può andare bene… ma intanto accomodatevi, sarà meglio che tutto questo sia riservato solo a voi.”, disse la ragazza, avvicinandosi all’entrata. Mac la vide chiudere l’entrata e spostare una tenda semi trasparente, che copriva dagli occhi indiscreti l’interno del negozio, ma lasciava alla vista di tutti gli abiti esposti in vetrina.
“Che sta facendo?”, chiese a Thiago, incuriosita.
“Sta chiudendo il negozio per noi! Come delle star!”, esclamò lui, contentissimo.
“Uh! Che bello!”, fece lei, simulando sarcasticamente la solita felicità.
“Accomodiamoci sul divanetto.”, disse Thiago, guardandola di sbieco.
“Hai qualche idea su cosa indossare, Mackenzie? O posso chiamarti Mac anche io?”, le chiese la ragazza, con un sorriso a ventimila denti.
“Mac, per favore.”, fece lei.
“Molto bene… vuoi che ti faccia vedere gli ultimi modelli?”
“E… quelli vecchi dove sono?”, chiese Mac, che di negozi alla moda proprio non sapeva niente. Era una ragazza normale, non le interessava sfoggiare abiti di marca. Quello che vedeva e le piaceva lo comprava, indipendentemente dal nome impresso sul cartellino.
La ragazza la guardò stranamente e Thiago si corresse al posto suo.
“Ah! Ma che bella battuta, Mac! Vai a vedere i vestiti!”, le disse, sorridendole a denti stretti. Mac si alzò, senza capire dove aveva sbagliato e seguì la commessa, che andava dietro la colonna. Anche Thiago le seguì.
Quello che non aveva notato dall’entrata era che la colonna di specchi nascondeva un piccolo corridoio, davanti ad essa, che portava al reparto vestiti sciccosi, come lo aveva definito Mac. Insomma, era il reparto dei vestiti da sera. Per lei un mondo sconosciuto.
La ragazza aveva subito capito che Mac, a dispetto di avere la sua faccia pubblicata su una delle riviste di moda più popolari, non sapeva niente in fatto di moda quindi, confabulando con Thiago ed escludendola completamente dalla scelta, le porse quattro vestiti.
“Dove sono i camerini?”, chiese Mac con titubanza, sperando di non commettere un’altra gaffe.
“Hai presente la colonna con gli specchi? Quello è il camerino.”, disse Mathilde, con un tono da maestrina delle elementari.
“Ah…”, fece Mac.
Davanti alla colonna, o meglio, dietro alla colonna rispetto come l’aveva vista dall’entrata, Mac vide la classica tendina nera, ma ornata con una passamaneria rossa del tutto chic. La scostò e vi entrò dentro.
“Sarà meglio che vada ad aiutarla…”, disse Thiago, “Non è tanto pratica.”

 

Il primo vestito era semplice, ma allo stesso tempo, elaborato. Di colore nero, era allietato da puntini bianchi, disposi con regolarità su tutta la stoffa liscia, un po’ luccicante. Sul davanti, la stoffa legata dietro al collo scendeva lungo il seno e andava ad attaccarsi all’orlo della parte inferiore, senza che i due lembi si coniugassero, lasciando che la pelle fosse mostrata, senza soluzioni di continuità, dal collo fino all’ombelico. La parte inferiore era una lunga gonna che le arrivava al ginocchio, con una leggera svasatura che la rendeva più larga all’orlo rispetto alla fasciatura sui fianchi.
“Mio Dio…. Sembri un’altra persona…”, disse Thiago, vedendola uscire.
“Sembro una pornostar…”, fece Mac, guardandosi allo specchio.
“Sciogliti quei capelli!”, esclamò l’altro, imponendole quindi di togliere il bastoncino che glieli teneva appuntati sulla testa. Le si mise alle spalle e glieli sistemò lungo la faccia.
“Come primo tentativo non è niente male…”, fece lui, “Se fossi etero ti salterei addosso.”
“Non mi piace.”, disse Mac, con una smorfia.
“Ne hai altri tre da provare.”, disse Mathilde.
Il modello tubino aderente rosso alla Jessica Rabbit fu prontamente scartato da tutti e tre. Le paillettes furono cestinate direttamente da Mac, e il collo troppo alto dell’ultimo vestito fungeva da ottimo deterrente per gli scatti fotografici, secondo Thiago.
Mac, seguita dalla commessa vigilante, spulciò tutti gli abiti da sera, senza trovarne uno di suo gradimento. Non era colpa sua se non le piacevano gli abiti galanti. Era un’anima sportiva, molto pratica.
“Gesu…”, disse Thiago, sconsolato, “Non riuscirò mai a vederti con un bel vestito addosso.”
“In fondo, scusate il mio modesto parere,”, disse Mathilde, “Gli Emas non sono i Golden Globes… potrebbe anche benissimo vestirsi casual.”
“No Mathilde, non la incitare.”, la pregò Thiago.
Ma Mac, a sentire quelle parole, era già andata nel reparto iniziale.
“Adesso scelgo io.”, disse, “Voi due non guardate… Rimanete in questo reparto.”
“Nei piccoli armadi sotto ai modelli appesi puoi trovare le scarpe che sono esposte nei ripiani sopra la tua testa.”, le disse la commessa.
“Ah, grazie!”
“E gli accessori… ci sono anche quelli!”, continuò Mathilde.
“Dove stanno?”
“Qua.”, le fece, mostrandoglieli direttamente. Vicino all’apertura del corridoio, la sfilata dei vestiti si interrompeva e due vetrinette esponevano bracciali, collane e anelli vari.
“Scegli bene Mac…”, fece Thiago.

 

Ci volle un pochino prima che Mac uscisse completamente vestita, comprensiva di scarpe e degli accessori che aveva scelto.
“Ecco… lo sapevo…”, fece Thiago, mettendosi le mani nei capelli, appena la vide.
“Beh, non sta per niente male…”, disse la commessa.
Mac, guardandosi allo specchio, comprese in un lampo di aver scelto le cose giuste. Camicetta bianca con maniche a tre quarti, aperta sul davanti finchè non incontrava lo striminzito gilet nero, chiuso con una clip dietro al colletto della camicia e che arrivava a fatica a metà della sua pancia, lasciando che si vedesse di nuovo la camicetta strusciare contro il bordo dei pantaloni; una lunga collana fatta di perline metalliche le passava stretta intorno al collo e, in un secondo giro, le cadeva fino toccare la zip dei suoi tipici e classici pantaloncini, corti a metà coscia, di jeans chiaro. Ai piedi, un bel paio di stivali neri vellutati, leggermente larghi e con qualche piegatura, con un discreto tacco fine. Peccato per la punta… che era proprio a punta e a lei non piaceva molto, ma il risultato complessivo era molto di suo gusto
“Che ne dite?”, chiese alla giuria, dopo essersi guardata con soddisfazione allo specchio.
“Che fai schifo…”, disse Thiago, “La pianti con quei dannati pantaloncini corti!”
“Beh… per me può andare.”, fece Mathilde, non tanto convinta.
“Ah! Mi sono scordata la cintura!”, fece lei, tornando dentro al camerino ed uscendo con quella che aveva scelto, vista in esposizione. Era semplice, ma fibbia le piaceva molto: di forma ovale, al centro vi era stampata una grossa X nera, in vernice laccata.
“Allora Thi…”, disse, rivolgendosi all’amico, mettendosi le mani sui fianchi “Sei pronto a tirare fuori la carta di credito?”

 

“Wow! E’ bellissimo fare shopping quando è qualcun altro a pagare!”, esclamò Mac, uscendo fuori dal negozio con tutte le sue buste firmate in mano.
“Già… l’importante è comprare qualcosa di buon gusto.”, fece Thiago, “Meno male che io mi sono rifatto gli occhi con quello che ho scelto per me.”
Strano ma vero, Mac non aveva notato che il negozio aveva un secondo piano e vi si accedeva tramite un ascensore, che stava in fondo alla seconda saletta, quella degli abiti da sera, e che lei non aveva visto perchè mimetizzato da uno specchio, fissato sulla sua porta.
Thiago, che proprio voleva essere elegante, ma con un tocco un po’ casual, aveva scelto un completo nero, semplice, con la giacca solo un pochino avvitata, e sotto vi aveva abbinato un grazioso ma alquanto piatto maglioncino bianco a collo alto. Sì, lui amava i colli alti, ma sugli uomini, non sulle donne, che secondo lui dovevano obbligatoriamente mettere in mostra ‘la mercanzia’, in serate del genere.
“Ma se non hai preso niente di stravagante!”, gli disse Mac.
“Taci! Figlia sacrilega!”, esclamò lui.
“Ok… sarà meglio tornare in albergo… altrimenti perderemo…”, fece Mac, ma fu interrotta dal trillo del suo cellulare. Un guizzo al cuore, sperava fosse Tom, ma era solo Bill.
Hey! Tutto a posto, o voi, in terra straniera?”, esclamò, quando Mac ebbe risposto.
“Sì, siamo appena usciti dal negozio di Dolce e Gabbana.”
“Dannatament&Gnocca”, la corresse Thiago.
“Ops, ho sbagliato, siamo appena usciti dal negozio di Dannatament&Gnocca…”, si riprese Mac.
Da lì? Tu, Mac, in un posto del genere? Incredibile.”, fece lui, stupito.
“Eh già… eppure mi sono completamente rivestita per questa domenica! Adesso stiamo andando verso l’albergo, sono già le una e mezza, altrimenti faremo tardi come sempre!”
Tutto a posto con la neve?”, le domandò.
“Oh sì, certo, per adesso c’è il sole. Non c’è nemmeno più una nuvola in cielo. Da quasi fastidio il riverbero!”
Per che ora sarai a casa?
“Vediamo… se l’aereo parte in orario penso che sarò a casa per le sette e mezza, anche le otto.”, disse Mac, facendo un rapido calcolo con la mente.
Va bene, vi lascerò qualcosa da mangiare…
“Grazie!”, disse Mac, poi si prese qualche attimo di pausa, “Come… come sta Tom?”
Beh… come sempre non lo vedo mai, se non la sera tardi o alle prove.”
“Ti ha detto niente?”, gli domandò.
No, non parliamo molto… non ho voglia di litigarci. Ma al piano di sopra… vuoi che te lo passi?”, le domandò.
“No, tanto mi chiuderebbe la chiamata in faccia come ha fatto sabato.”, fece Mac, intristendosi. Thiago se ne accorse e la abbracciò, appoggiando la testa contro la usa e dondolandola qua e là.
Non vi siete più sentiti da sabato?
“No.”
Mi dispiace Mac…
“No, non ti preoccupare. Non devi dispiacerti. Ci vediamo stasera!”
“Accendimi il caminetto Bill!”, esclamò Thiago, per farsi sentire.
Cosa ha detto?”, fece l’altro.
“Ha detto di accendergli il caminetto.”
Già fatto. A stasera, fate buon viaggio.”

 

***

 

Sdraiato sul letto, guardava il soffitto, mentre le sue dita pizzicavano le corde di una delle sue tante chitarre. Ma quella era speciale, era diversa dalle altre perchè l’aveva comprata Mac, era la sua chitarra, perchè voleva che lui le insegnasse a suonarla. Non voleva una delle trentacinque che aveva lui, ne voleva una tutta per lei. Sfumata tra il blu ed il nero, era una semplice chitarra, di quelle classiche, da suonare senza troppe pretese di perfezione armonica. I piedi penzolavano fuori dal letto e si muovevano, scandendo il tempo che si immaginava nella testa, ma che non corrispondeva a quello suonato con le mani.
Mac, che ne capiva molto di musica rock, ma che sapeva leggere a fatica uno spartito, gli aveva chiesto di insegnarli a suonare non tutte le canzoni, ma una determinata canzone. Lui non l’aveva mai sentita prima, non conosceva nemmeno quel gruppo, gli Alice in Chains. Lei brevemente gli aveva spiegato che erano del tempo dei Nirvana, primi anni novanta, genere giunge, ma per lui era come se non gli avesse detto niente. Avevano scaricato lo spartito da internet e dopo un mesetto di tentativi, Mac era riuscita ad impararla.
Come si intitolava…

Down in a hole, per caso?

 

Fatto il check in, lasciati i bagagli alla simpatica hostess di terra, si accomodarono nella zona degli imbarchi, seduti sulle poltroncine.
“Ho sete, vado prendermi qualcosa da bere.”, disse Thiago, “Vuoi niente Mac?”
“Oh no, grazie, poi mi viene da andare in bagno ogni trenta secondi.”, disse lei, sorridendogli.
Frugò nella sua borsa, alla ricerca del suo lettore mp3. Tra quel groviglio di oggetti che conteneva, lo trovò in fondo a tutto, schiacciato dal borsello. Lo prese e, dopo aver districato le cuffie, le indossò. Scorse rapidamente la playlist, in cerca di una canzone che la ispirasse in quel momento. La trovò quasi subito e la selezionò.
‘Alice in Chains – Down in a hole’, campeggiava nel piccolo lcd del lettore.

 
Non gli piaceva quella canzone. Era troppo triste. Giù in un buco.
Ci credeva che poi il cantante era morto in overdose da cocaina, se scriveva canzoni del genere, c’era solo da deprimersi, pensava Tom.
Non gli piacevano tanto le canzoni tristi, eppure quella era la canzone perfetta, per quel particolare momento.

 

Le piaceva da morire quella canzone. Era tristissima, era potente, era melanconica.
Un giorno di molti anni fa aveva visitato il sito del gruppo, per caso, e fu così che seppe che il giorno prima, solo il giorno prima, il cantante era stato trovato morto, per via di un overdose. Peccato, si era detta, scriveva proprio delle belle canzoni.
E quale tra le loro c’era di meglio se non quella, per descrivere come si sentiva, in quel momento?

 

Non se la ricordava bene, prese lo spartito, nascosto nel cassetto del comodino di Mac. A gambe incrociate sul letto, con i fogli sparsi davanti, prese a suonarla, leggendo anche le parole scritte sotto ad ogni quintetto di righe.

Down in a hole and I don’t know if I can be saved
See my heart I decorate it like a grave
You don’t understand who they
Thought I was supposed to be
Look at me now a man
Who wont let himself be

 
Triste, terribilmente triste. In inglese, si sentiva ‘blue’, come il colore.
Sad.
Depressed
.
Miserable.
Poi quali altri sinonimi?
Entrambi erano troppo infelici, troppo tristi, di nuovo.
Troppo soli, e non ci erano abituati.

 Down in a hole, feeling so small
Down in a hole, losing my soul
I’d like to fly but my
Wings have been so denied

 
Anche a loro sarebbe piaciuto spiegare le ali e partire, volare via, lontano da tutti, dalle persone, dai problemi, dalle aspettative degli altri.
Mac si aspettava di essere compresa da Tom, ma era stata illusa.
Tom si aspettava di essere compreso da Mac, ma era stato illuso.
Entrambi, nella loro disillusione, si sentivano come dentro ad un buco. Sopra le loro teste la luce, ma era troppo lontana per poterla toccare.

 
Bury me softly in this womb
I give this part of me for you
Sand rains down and here I sit
Holding rare flowers
In a tomb in bloom
Oh I want to be inside you

 
“Oh… I want to be inside of you…”, cantarono entrambi, con il loro accento tedesco.
Ma per il momento non c’era niente che potesse far realizzare quella frase. Al massimo, loro due erano semplicemente ‘apart’, se si voleva rimanere nell’inglese.
Era possibile ritrovarsi?
Si chiedevano entrambi.
Forse sì, se ognuno era capace di ammettere la propria colpa.
Forse no, se non erano capaci di comunicare senza litigare.
Come su una bilancia, i due forse posavano sui piatti opposti, pendendo una volta da una parte, una volta dall’altra.

 

***

 

“Finalmente!”, esclamò Thiago, una volta messo il piede fuori dall’aereoporto, a Berlino.
“Perchè finalmente?”, gli chiese Mac.
“Perchè non se n’è scordato!”, fece l’altro, indicandogli con la testa il suo beetle, parcheggiato a qualche metro da loro, su un lato della strada. Dentro, Bill che li salutava, per attirare la loro attenzione.
“Che ci fai con la mia macchina?”, gli chiese, appena lui scese per aiutarli a caricare i bagagli.
“La mia si è guastata, non so cosa abbia e Tom non c’era… quindi…”, disse lui.
“Ah… niente, nessun problema!”, fece Mac, mascherando la sua tristezza con un sorriso.
“Fatto un buon viaggio?”
“Sì… normale, non era la prima classe ma poteva andare.”, disse Thiago, mentre infilava il suo bagaglio nel retro della macchina. Data la dimensione enorme di entrambe le valige, Mac fu costretta a caricare la sua sul sedile posteriore. Incastrata tra la portiera e il suo bagaglio, fu contenta di arrivare a casa, almeno per quello. Ovviamente, era vuota, non c’era nessuno.
Disfece la valigia con calma, non aveva nessuno che le metteva fretta e non aveva fame. Si chiedeva dove poteva essere Tom, alle nove di sera, se non fuori in qualche locale. Beh, poco le importava, non aveva voglia di trovarselo faccia a faccia. Accese lo stereo, inserendo uno dei tanti cd degli Aerosmith che aveva.
Si svestì e si infilò tremante sotto la doccia, pronta per un bagno di acqua calda e rilassante, mentre in sottofondo Steve cantava ‘You’re my angel… come and save me tonight

 

 


Le canzoni ‘Down in a hole’ degli Alice In Chains e ‘Angel’ degli Aerosmith non sono citate per scopo di lucro. Idem per la firma D&G (Dannatament&Gnocca)

Allora, come sempre siamo ai ringraziamenti! Scusate per la poca originalità: infilosempre una canzone, anche due, nella storia... ma che ci posso fare se ci sono delle canzoni che sono perfette per i momenti che descrivo??? Spero non vi dispiaccia (Sara, lo so che ti piace..... XD ). 

Ah, stavolta vi ringrazio velocemente.... cavolo come sono pigra... scusatemi se vi scriverò solo due righe, ma dopo l'esame di ieri avrò il cervello in ferie per almeno un paio di giorni o tre!!!

CowgirlSara: posso aggiungere altro che non sia già stato detto? ah, aggiungo solo grazie mille! ps: non fare congetture sennò mi indovini come finisce la storia... lo so che ci riesci sempre...

Sososisu: per come la vedo io, la ragione non sta mai da una sola parte, c'è sempre un po' di torto in tutti noi. la vera sfida è accorgersene, vediamo se i due lo faranno... oppure se cozzeranno continuamente come macchinine dell'autoscontro? un anticipazione su polly pocket... prima scena: polly pocket se ne sta dietro l'albero, ad attendere la sua grande amica anna, con una grande ascia in mano... continua tu!

Muny_4Ever: si riprenderà o non si riprenderà? chi lo sa? mah...

Alanadepp: alighiera del 2000... il povero dante si sta suicidando da morto... basta basta con tutte le tue adulazioni, sennò mi arrabbio! thiago, il nostro caro thiago sta colpendo ancora!

Ruka88: babba? questo influsso siciliano! XD sì, un pochino babba lo è, ma bisogna anche capirla... 

Gufo: eccoti! e brava, hai capito la trilogia: dal comico, al romantico, al triste... complimenti! a dire il vero non è stata una cosa voluta, ma un'evoluzione naturale della storia. speriamo ti piaccia!

Starfi: fabri fibra non ti metto nemmeno nello stereo sennò poverino si suicida... ho fatto anche la rima... grazie, non pensavo che le mie storie potessero illuminare le serate delle persone... come delle lampadine nel buio XD prendiamola sul ridere! i polsi tremeranno, puoi starne certa!

SweetPissy: sarà thiago la manna dal cielo? mmmmm.... non credo, ma aiuterà molto i due....

Anna9223: hai fatto bene a leggerle, sennò non ci capivi veramente un cazzo XD grazie per i complimenti!!!

Lucidatevi gli occhi, state pronte per il prossimo capitolo....

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Capitolo 5
*** SX & triangles ***


WARNING: questo capitolo è essenzialmente vietato a chi si trova in astinenza…. E ai minori di 18 anni! XD tanto poi la leggete lo stesso, lo so, ma è a danno vostro non mio XDDD

 

 

5. SX & TRIANGLES

 

Saliva le scale trascinandosi i piedi dietro. Era stanco, terribilmente stanco, ed erano solo le nove e mezza. Non dormiva molto bene durante la notte, si svegliava ogni poco e faceva brutti sogni, che poi non ricordava mai.
Quando aprì la porta capì che Mac era tornata, c’era ancora la sua valigia aperta, ai piedi del letto, ma svuotata. Alcuni vestiti erano stati messi alla rinfusa sul letto e, dalla musica che sentiva provenire dal bagno, comprese che lei stava facendo una doccia. Come sempre, non poteva prescindere la doccia dalla musica.
Gli incredibili acuti del cantante degli Aerosmith mascheravano il rumore dell’acqua che scorreva e, ogni tanto, sentiva Mac canticchiare.
Si sedette sul letto, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani che gli sorreggevano la fronte. In un momento come quello, senza pensarci due volte, sarebbe entrato in bagno e avrebbe fatto sesso con lei, sotto la doccia…
Lo voleva fare? Con tutto il cuore.
Poteva farlo? No.
Si tolse il cappello dalla testa e lo fece cadere a terra. Si soffermò sulla musica che sentiva: gli Aerosmith, forse l’uno gruppo che lei ascoltava e che a lui piaceva.
Erano diversi, totalmente diversi. La musica che lui ascoltava a lei non piaceva, la odiava. Lui rimaneva indifferente al rock, ascoltava più cantanti hip hop ed r’n’b. Lei amava Londra, aveva sempre sognato di viverci. Lui odiava la pioggia e la nebbia. Lui amava il mare, la spiaggia, il sale sulla pelle. Lei adorava camminare e non sopportava il caldo. A lui piaceva andare nei club, a ballare, mentre a lei piacevano i gruppi dal vivo. A lei piaceva vestirsi un po’ sullo stile di Bill. E a lui non sarebbe dispiaciuto vederla con indosso qualcosa di provocante.
Che avesse preso il Kaulitz sbagliato? Beh, se ci ragionava bene, un pochino lo aveva sempre pensato. Erano molto così simili lei e Bill.
E loro erano così diversi, quasi all’opposto. Non erano anime gemelle. Non ci aveva mai creduto, come invece faceva Bill… lui e la sua ricerca dell’altra metà della mela.  Diceva sempre che due anime gemelle non erano necessariamente due persone totalmente identiche nel carattere e nei gusti, ma comunque ci si avvicinavano molto.
E se aveva ragione lui, Mackenzie Rosenbaum e Tom Kaulitz non erano assolutamente anime gemelle. Assolutamente.
Ma non poteva cancellare così, con un colpo di spugna, il fatto che Mac era stata la prima persona che gli era entrata dritta nel cuore e nella mente. Prima di lei nessun’altra. E dopo di lei?
La porta del bagno si aprì, interrompendo quella catena costante di pensieri. Mac si era bloccata sulla soglia alla sua vista.
“Ciao.”, disse lei, sistemandosi l’asciugamano che si era legata intorno al petto. I capelli bagnati, perfettamente pettinati, le aderivano alla testa, li aveva raccolti sul collo. In un attimo si fermò su ogni piccola goccia d’acqua che aveva sul collo e che le scendeva giù sul petto, fino ad essere assorbita dall’asciugamano.
“Ciao.”, le disse.
“Non… non ti ho sentito arrivare.”, disse lei, andando verso l’armadio a passo svelto, quasi vergognandosi.
“Avevi la musica alta.”, fece lui, guardandola con la coda dell’occhio. Adorava le sue spalle, la sua schiena…
“Già…”, fece lei, inginocchiandosi per prendere la biancheria nell’ultimo cassetto, il suo.
“Hai… fatto un buon viaggio?”, le chiese.
“Sì… diciamo di sì, a parte Thiago che si lamentava costantemente.”, disse lei, quasi sovra pensiero.
“Si lamenta sempre.”
“Di ogni cosa. Ma è Thi.”, disse lei, alzandosi, con in mano la sua biancheria, e tornando verso il bagno.
“Dove vai?”, le chiese lui.
“Beh… mi rivesto.”, rispose lei, perplessa da quella domanda.
“Ah… in bagno.”
“Sì.”
Tom annuì con la testa, spostando lo sguardo altrove. Anche Mac abbassò lo sguardo, entrando in bagno. Davanti allo specchio, annerito dal fumo del vapore acqueo, si osservò dentro agli occhi. E prese una decisione.
Si tolse l’asciugamano, indossò le mutandine ed il reggiseno. Prese una sigaretta dal pacchetto che Tom teneva sempre sul porta saponetta e se ne accese una. Tornò nella camera, dove trovò Tom che stava chiudendo le ante dell’armadio che lei aveva lasciato aperte. Si sedette dove, fino a qualche momento prima, era stato seduto lui.
Accavallò la gamba destra su quella sinistra, mentre lui la guardava, senza però ricambiare lo sguardo. Appoggiò indietro la mano sinistra, mentre con quella destra continuava a fumare.
“Vieni qua. In piedi davanti a me.”, disse a Tom, quasi atona.
Lui, dopo qualche attimo di incertezza, lo fece.
“Togliti il maglione.”, gli disse.
“Rose… cosa stai…”
“Kaulitz, ti ho detto di toglierti il maglione.”, disse lei, posando per la prima volta gli occhi sui suoi. Con sguardo serio, ma anche lievemente malizioso, continuava a fumare la sua sigaretta, facendo uscire il fumo dalle narici. Se ne stava lì, semi nuda, davanti a lui. Una cosa irresistibile…
Il pullover largo rivelò un’altra maglietta, a maniche lunghe.
“Togliti anche quella.”, gli disse, come un ordine. Anzi, lo era.
Rimase a petto nudo.
Lei se ne stava lì, con la sigaretta fumante in bocca, occhi semichiusi per via del fumo. Mandò indietro la testa, muovendola lentamente da destra a sinistra per sgranchirsi il collo.
Tom non voleva farsi domande, chiedersi perchè da un momento all’altro si era trasformata in tutt’altra persona. O meglio, era tornata ad essere Rose. Quella che lo aveva trascinato dietro al palco, durante un concerto, facendo incazzare a mille Bill, che aveva dovuto intrattenere il pubblico con degli sketch comici con Georg e Gustav. Quella che, con la scusa di fargli vedere come si sviluppavano le fotografie… Quella che aveva convinto un fonico in una trasmissione televisiva di dargli un auricolare diverso dagli altri e, mentre loro si sentivano le traduzioni, lei gli diceva quelle cose, facendolo letteralmente diventare viola davanti ai fans francesi. Insomma, era un pochino che non la vedeva più, quella Rose.
Non si mosse oltre, voleva giocare al suo gioco.
“Pantaloni.”, gli disse, indicandoglieli con la sigaretta.
Con calma quasi esasperata, sganciò la cintura e fece cadere i pantaloni a terra. Erano così larghi che bastò che alzasse i piedi per toglierseli. Lei prese a guardarlo da capo a piedi, facendo scorrere lentamente i suoi occhi su tutto il suo corpo. Non sorrideva, i suoi occhi sembravano terribilmente seri.
Mac si spostò sul letto, facendo forza con le mani andò verso il comodino, dove spense la sigaretta su un posacenere lasciato lì. Non si fumava in camera, ma c’erano sempre quelle eccezioni.
Si sdraiò, si mise un cuscino sotto alla testa, con le gambe piegate. Lui era rimasto lì, in piedi. Ma non attese una sua parola, gattonò lentamente sulle coperte. Le passò una mano sulle gambe, tra le gambe, e iniziò a baciarla sulla pancia, mentre la sua schiena si iniziava ad inarcare per il piacere.
Rapidamente le tolse le mutandine e, con altrettanta velocità, le si posizionò sopra.
Voleva guardarla dritta negli occhi. Non aspettava altro che quello.
Non fu bello, doveva dirlo, finì tutto in poco tempo. Ma la soddisfazione di farlo senza distogliere i suoi occhi da quelli di Mac, fu quello a dargli il massimo piacere. Come per dirle, senza parlare: ‘Visto? Ti ricordi quanto era bello farlo così?’
Si buttò supino sul letto, ansimando. Lei si alzò, prese le sue mutandine e andò in bagno, chiudendo la porta dietro di sé.
Allungò il braccio sul comodino, in cerca del pacchetto delle sigarette. Ne accese una, aspirandola a fondo. Guardò la nuvoletta di fumo aleggiare nell’aria e si toccò il naso, scacciando via un leggero fastidio momentaneo. Sentì l’acqua scrosciare in bagno.
Mac, seduta sul coperchio del gabinetto, fece lo stesso, una volta rivestitasi. Aveva impresso nella testa lo sguardo di Tom, sopra di lei. Era come cattivo, pieno di rabbia nei suoi confronti, di rancore. E lei lo aveva ricambiato pienamente.
Come tra due che si odiavano ma che si trovavano a fare sesso.
Buon sesso.
Forse un po’ veloce, ma decisamente fatto bene.
Rabbia e passione erano difficili da distinguere, a volte.
E quando si confondevano fruttavano dei buoni risultati.
Con menefreghismo, spense la sigaretta, fumata solo per metà, sul bordo del lavandino, lasciando che il mozzicone cadesse a terra. Si sciacquò la bocca, afferrò una spazzola e tornò nella camera. Andò davanti allo specchio, quello posto di fronte al letto. Iniziò a guardarsi, quasi con noncuranza. I suoi capelli avevano preso ad asciugarsi, iniziando ad ondularsi. Con aria da bambina, prese a pettinarsi, affondando la spazzola con molta lentezza.
Tom si ricordò dell’ultima volta che l’aveva vista fare quella cosa. Mac era cambiata, fisicamente. Adesso aveva un fisico molto più asciutto di prima. Si fermò sulle due fossette che le si erano create sul fondoschiena, sopra il sedere. Era più muscolosa, più forte…
L’aveva desiderata mai come quella volta?
Posò la sigaretta, oramai quasi finita, sul posacenere e andò da lei, cingendole i fianchi con le braccia. Entrambi riflessi sullo specchio, si guardarono a vicenda nell’immagine dell’altro.  Le dette un bacio sul suo tatuaggio, tra le scapole, i due serpenti che si incrociavano. Poi le mani affondarono sui suoi fianchi…

 

Aprì gli occhi e, d’istinto, si girò verso la sveglia sul comodino. Erano le sette e mezza, la sveglia stava per suonare. La spense preventivamente e, togliendo con delicatezza il braccio su cui Mac aveva appoggiato la sua testa, si alzò. Rovistò nel suo comodino in cerca di un post it, prese una penna, scrisse qualcosa e lo affisse alla porta della camera, all’esterno. Tornò a letto e, dopo essersi nascosto sotto il piumone, si avvicinò a Mac, riaddormentandosi di lì a poco.

 

Con un biscotto in bocca, mentre si infilava il giaccone di pelle, salì le scale saltellando. Era un pochino arrabbiato, Tom stava ritardando, non era nemmeno sceso a fare colazione, ma di solito era lui a fare tardi quindi era meglio non scagliare nessuna pietra. Vide il post it sulla porta e lesse, staccandolo.
Aria’
Nel dizionario Kaulitz-Tedesco, Tedesco-Kaulitz significava: non mi rompere i coglioni nemmeno in caso di guerra nucleare. Prese il cellulare e, velocemente, informò sia Georg che Gustav che non c’era ragione di andare alle prove, per via dell’improvvisa indisponibilità di suo fratello.

 

Aprì gli occhi di nuovo, infastidito dalla luce del sole d’inverno. Dopo un lungo sbadiglio ed una proficua allungatura articolare, si accorse che era rimasto solo. Per un attimo si era quasi allarmato, aveva pensato di trovarla rannicchiata sul bordo del letto, ma non era nemmeno lì. Si era alzata prima di lui.
Si infilò subito sotto la doccia, ne aveva decisamente bisogno, anche se lavare via una notte del genere era quasi un reato. Ma l’acqua non l’avrebbe cancellata dalla sua memoria e, già ripensandoci, i ricordi facevano effetto. Mutande, maglietta, pantaloni. Pronto per scendere a fare colazione. Aveva proprio fame, entrò in cucina a passo svelto.
Mac se ne stava con espressione quasi annoiata, seduta miracolosamente su una sedia e non sul ripiano della cucina. Con una mano sfogliava una rivista, con l’altra, appoggiata sul tavolo, sorreggeva una barretta di cioccolato.
“Giorno.”, lo anticipò, senza lasciare la sua rivista.
“Giorno.”, rispose lui.
“Ti preparo qualcosa?”, gli chiese.
“No, faccio da solo, non ti preoccupare.”, fece lui, avvicinandosi a lei. La distrasse con un bacio sul collo e, con mano svelta, le rubò la tavoletta di cioccolato. Poteva essere un reato, di prima mattina, farle un gesto del genere, ma lo fece lo stesso. Non gli interessava incorrere nella pena capitale.
“Puoi tenerla, non me ne andava più.”, disse lei, chiudendo la rivista. Si alzò dalla sedia e, senza minimamente voltarsi, né guardarlo, lasciò la cucina. Era strana, la mattina… ma non si sarebbe aspettato questo, dopo aver scopato tutta la notte.
Posò la tavoletta di cioccolato e la seguì, ma sembrava sparita.
“Sono qui.”, disse lei, dal divano.
Distesa, lui non la vedeva dalla cucina, c’era lo schienale a coprirla. Teneva un braccio sotto la testa, con l’altra mano giocherellava con una ciocca di capelli. Si sedette ai suoi piedi e, dopo averli alzati, si accostò a lei, appoggiando le sue gambe distese sulle proprie sedute.
“Allora?”, gli chiese lei.
“Allora… allora cosa?”
“Cosa fai ancora a casa? Non hai tutti i tuoi impegni? Il tuo gruppo?”
“Che si fottano.”, disse Tom, “E tu non hai il tuo lavoro?”
Lei scosse la testa.
“E cosa farai tutto il giorno?”, le disse.
Lei, mordicchiandosi il pollice, fece spallucce.
“Farò un pupazzo di neve.”, disse poi.
“Uhm…”, fece Tom, mettendosi le mani dietro alla testa.
“E tu cosa farai?”
Mentre sbadigliava, pronunciò un ‘non lo so’.
“Che giorno è oggi?”, fece Mac.
“Penso sia giovedì.”, le rispose Tom. Che strana conversazione… ma cosa si poteva pretendere, si erano appena svegliati. Notò che indossava qualcosa di non suo: era una vestaglia nera, con dei ricami floreali che ricordavano molto le fantasie giapponesi. Aveva i bordi rossi, così come la fascetta che gliela teneva legata in vita, ed era corta, le arrivava poco sopra le ginocchia.
“E’ di Bill questa qui?”, le chiese, prendendone un lembo.
Lei annuì.
“E perchè ce l’hai tu?”
“Gliel’ho chiesta stamattina.”
“Quando?”
“Quando mi sono alzata.”
“E quando ti sei alzata?”
“Qualche minuto prima di te.”, disse lei, con naturalezza, “Ha detto che ne aveva un’altra per farla indossare alle sue… ragazze… E questa me l’ha gentilmente concessa.”
“Perchè non ne indossi una delle tue?”
“Perchè non ce l’ho.”
“Ma te ne avevo regalata una io per il tuo compleanno!”
Mac lo guardò, come se avesse detto la più grossa cazzata del mondo.
“Per il mio compleanno non mi hai regalato niente.”, fece lei, “Eravate in tournee ed io ero in hotel con una gamba ingessata. E te ne sei scordato.”
“Sì, ma ti ho fatto una bella sorpresa quando sono tornato!”
Mac lo guardò di nuovo.
“Certo… ti ho beccato con quell’altra…”
Tom riflettè. Non era possibile avere due versioni completamente diverse dei soliti fatti.
“Non è vero… mi stai prendendo per il culo!”, le disse, ridendo.
“Cazzo…. Non ci caschi più in questo scherzo!”, esclamò Mac, sconfitta, ridendo a sua volta. Sapeva quanto poteva essere labile la memoria di Tom, ma oramai lui aveva imparato che, nel caso di conflitti tra i ricordi di entrambi, era tutto uno scherzo architettato da Mac. Se non lo era, bastava notare il suo tono della voce: stridulo e gracchiante, perchè si incazzava come una vipera.
“Dai… visto che siamo entrambi disoccupati… cosa facciamo?”, gli chiese Mac, dopo essersi seduta a cavalcioni su di lui, mettendogli le braccia intorno al collo
“Non saprei.”, disse Tom.
Ancorando le gambe di lei dietro alla sua schiena, si alzò dal divano, leggermente barcollante.
“Non ho tanta voglia di uscire.”, disse poi, mentre salivano le scale.
Approdati al primo livello, le appoggiò la schiena contro il muro e, tenendola sempre in braccio in quel modo, iniziò a baciarla, sciogliendole il fiocco che teneva
Un rischiararsi di gola a qualche passo da loro li distrasse.
“Giorno…”, fece Bill, in piedi, mentre stava immergendo ripetutamente la bustina del the nella sua tazza di acqua calda.
I due si ricomposero e Bill notò quanto fosse imbarazzato suo fratello.
“Ripresa dal jet lag?”, le fece Bill.
“Oh sì, certo.”, rispose lei, ripristinando la copertura della sua vestaglia.
“Mh… bene… bella vestaglia.”, le disse Bill, mentre passava oltre ai due per scendere al piano inferiore.
Sghignazzando come bambini piccoli, corsero la loro piano, ridendo della situazione imbarazzante che si era creata per colpa delle loro… pulsazioni.
“Ma non era di Bill questa vestaglia?”, fece poi a Mac.
“No… scemo…,”, gli rispose lei, “è quella che mi hai regalato per il mio compleanno. Pasticchina di fosforo?”

 

Sorseggiando il suo the al limone, accese la televisione, in cerca di qualche notizia interessante sui canali musicali. Era un po’ che non sentiva le cazzate che circolavano sui Tokio Hotel, o comunque su uno dei loro componenti, quindi pensò che quella giornata di inaspettata vacanza poteva tornagli utile come corso di aggiornamento. Voleva anche dare un’occhiata ad internet, era lì che si trovavano le migliori cavolate, le assurdità più assurde.
Si voltò verso le scale, sentendo dei passi molto pesanti. Era Thiago, con espressione da zombie, capelli arruffati e vestaglia del nonno indosso.
“Giorno anche a te.”, gli fece. Era incredibile quanto potesse cambiare quel ragazzo: la mattina era totalmente inguardabile ma, dopo un’ora davanti allo specchio, scintillava come la carrozzeria di una macchina appena uscita fuori dall’autosalone.
“Giorno un cazzo.”, fece l’altro, andando verso la cucina.
Nottataccia, pensò Bill. Fece spallucce e tornò con il telecomando alla televisione. Dopo qualche minuto Thiago ricomparve, sempre con la solita espressione da morto vivente, e si sedette sul divano. In mano, la tavoletta di cioccolato che aveva trovato sul tavolo e da cui, presumibilmente, avevano attinto a morsi tutti gli altri abitanti della casa.
“Dormito bene?”, gli domandò, quasi sarcasticamente, mentre l’altro affondava i denti nella barretta, con le palpebre a mezz’asta.
“No.”
“Brutti sogni?”
“No.”
“Fantasmi?”
“No.”
“E allora di chi è la colpa?”, gli fece.
“Tua.”
“Mia?”
“Sì.”
“E cosa ho fatto?”
“Hai spostato la mia camera.”, disse Thiago. Prima dormiva nell’ultima stanza in fondo al corridoio del piano di Bill, ma era stata spostata alla camera di fronte alla sua, per fare spazio ad una specie di sala giochi, con biliardo, calcio balilla, diversi giochi elettronici, altre varie consolle per videogames, computer e altre tecnologie per l’intrattenimento.
“E questo fa di te un attentatore alla mia salute mentale, perchè se non dormo le mie otto ore divento una bestia disumana!”
“Beh… che cosa è cambiato da una stanza ad un’altra? Forse c’è più luce?”
“No…”, fece l’altro, infastidito.
“E allora che c’è che non va?”
Il respiro di Thiago aveva iniziato a farsi sempre più pesante, sempre più marcato. Segno di un’esplosione imminente. Bill mise una mano sulla sua tazza per evitare spargimenti di the…
“Sono gli inquilini del piano di sopra che non vanno! Sono dei pervertiti! Non hanno fatto altro che torturarmi con quello che facevano! Hanno scopato per tutta la notte senza ritegno! Mi hanno fatto uscire di matto!  Sono in astinenza da tre mesi! Così mi fanno andare di matto! E pensavo di campare fino a centoventicinque anni”
Ecco, momento di calma, riprendeva fiato e ripartiva, pensava Bill. Era nell’occhio del ciclone…
“StoimpazzendoBilltipregofaiqualcosaperchènonresisto!!”, gridò l’altro, spalancando i suoi occhi rossi e lucidi e infilandosi in bocca la cioccolata rimasta.
Era passato l’uragano Thiago. Ora poteva scoperchiare di nuovo la tazza di the.
“E cosa… che dovrei fare io?”, gli chiese Bill.
“Allora…”, fece Thiago, recuperando apparentemente la calma, “Tu adesso vai su… da loro…”
“Sì?”
“E LI CHIUDI A CHIAVE IN DUE STANZE SEPARATE!”, urlò ancora Thiago, facendolo sobbalzare per lo spavento. Il the schizzò fuori dalla tazza, bagnandogli la faccia, la maglia pulita e finendo per terra e sul divano…

 

Il pomeriggio si risolse senza i provvedimenti disciplinari richiesti da Thiago, che si posizionò su una delle sdraio, nel giardino innevato, a prendere un po’ di sole sulla faccia. Lampada naturale, aveva detto, cosa c’era di meglio? Era gratis! Bastava solo vestirsi un pochino pesante.
Nel mentre che lui recuperava le ore perdute di sonno, gli altri tre erano intenti a ricoprirsi di neve a vicenda, a patto che nemmeno un grammo di neve sfiorasse il suo corpo. Non fu nemmeno svegliato dalle loro urla e dalle richieste di time out, era caduto in un sonno profondo modalità letargo.
Le palle di neve volarono anche ben oltre la recinzione, andando a finire nei territori altrui. Mac, come era ovvio che fosse, era la più colpita dalla coalizione della flotta gemella kaulitziana. Lei, che aveva deciso di combattere da sola, senza alleati, fu per diverso tempo costretta a correre intorno alla casa per sfuggire ai bombardamenti nemici, ma alla fine i due contro uno avevano sempre la meglio.
Il giardino, che fino a quel momento era ricoperto da un alto strato di neve vergine, era diventato tutto bucherellato dalle loro impronte di piedi e mani. Il pericolo maggiore era cadere nella piscina svuotata, ma prima di iniziare la loro battaglia si erano preoccupati di delimitarla, altrimenti si sarebbero fatti molto male. Erano sostenitori del ‘play safe’… in tutti i sensi possibili.
Rinchiusi dentro le loro tute imbottite da sci, sentivano un caldo asfissiante, dovuto all’immane sforzo fisico della guerra delle palle di neve. A conclusione del gioco, che aveva segnato la totale sconfitta di Mac, il terzetto si buttò a peso morto nell’unica porzione di giardino che era rimasta ancora intatta.
“Dio mio… che fatica…”, disse Mac, tra un respiro affannato ed un altro, che le ghiacciava i polmoni. Distesa sulla neve, in mezzo ai due fratelli, era la più stanca di tutti.
“Già… mi è venuta anche una fame terribile.”, disse Tom, “Torno dentro a mangiare qualcosa.”
“E vuoi lasciare a me e a Mac il piacere di svegliare Thiago?”, disse Bill.
Preso a mezzo tra un panino ed uno scherzo…
Cercando di essere il più silenziosi possibile, prepararono le palle di neve più grandi che potevano fare. Si avvicinarono a lui, che se ne stava beato ed addormentato a bocca aperta sulla sdraio, sotto al sole.
“Uno…”, disse Bill sottovoce.
“Due…”, continuò Mac.
“Tre!”, fece Tom.
Appena le tre palle si scontrarono sulla faccia di Thiago, il povero ragazzo ebbe un principio di infarto, uno di ictus, e una paralisi facciale, dovuta al freddo improvviso della neve. Iniziò a sbraitare qualcosa in spagnolo, la sua lingua madre, che ai tre risultava ancora più esilarante dello scherzo che gli avevano combinato.

 

Sulla soglia del salone si tolsero le loro tute, rimanendo con i vestiti in fine pile che erano soliti indossare sotto l’imbottitura.
“Preparo una cioccolata calda per tutti.”, disse Bill. Non era uno slancio di gentilezza, era che voleva leccarsi tutti gli strumenti con cui l’aveva preparata. Gli altri tre accettarono e, nell’attesa, si spostarono nella sala giochi.
Tom e Thiago ripresero la loro classica partita a biliardo, che durava da forse sei mesi, dato che nessuno dei due era molto capace di infilare le palline dentro la buca. Mac, indossati i suoi occhialini professionali, si mise al pc. Doveva spedire l’intervista e le fotografie al direttore della rivista e avrebbe approfittato di quel momento per farlo.
Dopo qualche minuto Bill salì con le loro tazze di cioccolata, trasportate abilmente su un vassoio. Vedendo Mac al pc e, poco interessato al biliardo, si sedette accanto a lei.
“Che stai facendo?”, le domandò.
“Sto caricando il mio lavoro per mandarlo alla rivista.”, rispose lei, “Ma ovviamente questo aggeggio diabolico si sta alleando contro di me!”
Era proprio negata con i computer. Cioè, li sapeva usare, ma appena appariva il minimo pop up di errore andava in tilt e si innervosiva.
“Aspetta… faccio io.”, disse lui, dopo essersi legato i capelli con un elastico abbandonato vicino allo schermo piatto. Fu così veloce che Mac non vide nemmeno dove cliccava la puntina del mouse.
“Fatto!”, fece lui, ridendo.
“Beh… questo computer deve essere gay.”, disse Mac, che proprio non riusciva a capire come poteva stare antipatica ad una scatola di fili elettrici.
“Guardiamo cosa dicono in rete di noi!”, esclamò Bill.
“Eh no! Ogni volta ti fermi a leggere quelle cavolo di storie tra te e tuo fratello! Sei un pervertito, stavolta guardiamo quello che voglio io!”, protestò Mac, che non sopportava quelle strane storie… o fanfiction, come si chiamavano.
“E se ti faccio leggere una storia che ti lascerà senza fiato?”, la stuzzicò lui, facendo sobbalzare le sopracciglia.
“Ti ho detto di no! Lasciami quel mouse!”
Ma lui aveva già cliccato su un sito che aveva memorizzato nei preferiti, uno dove venivano pubblicati racconti sui Tokio Hotel, selezionando quello che voleva farle leggere.
“Ora devo trovare il capitolo giusto, quindi non guardare.”, le fece lui, mettendole la mano davanti agli occhi.
“Ok….”, si rassegnò Mac.
Passò qualche secondo, poi lui le tolse la mano dagli occhi. Aveva selezionato una parte di un testo.
“Leggi quella parte lì, è quella più interessante.”, le disse, iniziando a sghignazzare.
Mac, disinteressata, prese la sua tazza di cioccolata calda e la sorseggiò. Già alla seconda riga, ci mancò poco che non si strozzasse.
“Mio Dio!”, esclamò improvvisamente, appena fu riuscita ad inghiottire la cioccolata, “Ma chi è il pervertito che scrive queste cose?”
“Perchè? Cosa hai trovato?”, fece Thiago, interessatosi improvvisamente.
“Sentite qua…”, fece Mac, ed iniziò a leggere le testuali parole, “I due si stavano baciando intensamente, chiusi dentro al camerino del gruppo…. I due siamo io e te, Kaulitz.”
“E che c’è di strano?”, fece l’altro, che si era seduto sul bordo del tavolo da biliardo.
“Fammi andare avanti… le mani di lei…bla bla bla…. e lui iniziò a toccarla …. va bene questo è normale… ecco: Bill entrò inaspettatamente nel camerino, aveva dimenticato di prendere il suo cellulare…”
“Sempre a scordarmi le cose…”, disse lui, ridendo.
Tom e Mackenzie, colti sul fatto, si fermarono, imbarazzati ed impauriti.”
“Dove l’ho già vista questa?”, fece Tom.
Bill, anche lui imbarazzato, ma terribilmente eccitato, chiuse la porta a chiave e si avvicinò a Mackenzie, iniziando a baciarla davanti agli occhi di suo fratello…. Il mio sogno nel cassetto…”
“Ma davvero cara!”, esclamò Bill, imitando i modi di fare di Thiago, con la sua manina pendente a sottolineare l’esclamazione.
“Oh, certo carissima. “, fece Mac, riprendendolo a sua volta, “Due è meglio che uno, ma torniamo alla nostra storia… bla bla bla… Le due bocche sacrileghe…”
“E che devo stare a fare il cornuto io e basta?”, disse Tom.
“Zitto Kaulitz…. Le due bocche sacrileghe si fermarono, oramai sazie di quel bacio…
“Devo ammettere che questa frase è molto carina… ma l’ho scritta prima io, questa mi ha copiato!”, fece Thiago, ricordandosi che una frase molto simile l’aveva inserita in uno dei suoi primi libri.
E Tom, che era rimasto allibito, decise di riprendersi ciò che era suo… Una bambola… Come in una sfida, baciò la sua ragazza, stringendola prepotentemente per i fianchi e Bill, che non resisteva, iniziò a baciarla lungo la schiena… E il resto immaginatevelo ragazzi, insomma, non ci vuole il premio nobel per capirlo.”, disse Mac, leggermente impicciata da quello che stava leggendo.
“Eh no! Visto che faccio il cornuto, dimmi anche che succede dopo!”, esclamò Tom.
“Ma ti pare che debba leggere una storia dove io mi trovo a fare il prosciutto in mezzo alle fette di pane?”, protestò Mac.
“E io? Che lo prendo sempre in culo da mio fratello?”, disse Bill, sconsolato per via di quelle continue e poco gradite sverginazioni virtuali.
“Beh… ha vinto Bill.”, disse Thiago, come per farle capire che la sua storia, in fin dei conti, era molto meno indecente delle altre sui due fratelli.
“Ok… Era una cosa che non aveva mai fatto. Dividere una ragazza con suo fratello. Beh, era capitato altre volte, ma non aveva mai pensato di trovarsi, un giorno, chiuso a chiave dentro ad un camerino… Bill la stava toccando, lui la stava baciando… Dai ragazzi! Mi vergogno!”, esclamò Mac, iniziando a piagnucolare.
“Togliti di lì, la leggo io che so farlo meglio di te!”, fece Thiago, picchiettandole sulla spalla per farla alzare dalla sedia. Mac gli cedette il posto e la lettura riprese, scandita dall’accento spagnoleggiante del tedesco di Thiago. Mac si sedette accanto a Tom, imbronciata e penosamente in imbarazzo. Lui e Bill ci erano abituati a vedere tutte quelle porcherie su internet… ma lei no!
Mac si voltò, voleva baciare Bill. Lo aveva sempre desiderato, fino dal primo giorno che si era messa insieme a suo fratello. C’erano già andati vicini una volta, e Tom non aveva saputo niente, non se lo sarebbe nemmeno mai immaginato che ci fosse stata questa terribile attrazione tra la sua ragazza e il suo caro fratellino. Ma allo stesso tempo…
“Mio dio…”, diceva Mac, sottovoce, con le braccia conserte e il viso basso.
Allo stesso tempo non poteva prescindere da Tom. Si sentiva divisa, in quel momento, tra due fuochi. Ma voleva provare ciò che non aveva mai osato fare prima. Tom sembrò capirla, si staccò da lei e si sedette, da una parte.
‘Che stai facendo?’, gli domandò Mackenzie.
‘Voglio guardarvi mentre lo fate’, rispose lui, quasi con cattiveria.

Bill e Mackenzie si guardarono intensamente negli occhi...
Scorse di due righe la pagina web.
Le mani di lui affondarono nei capelli della ragazza, tirandoli delicatamente all’indietro. Sul collo incurvato di Mackenzie iniziarono a comparire i segni dei piccoli morsi che le stava dando.
“Vampiro…”, fece Bill, con una boccaccia che gli metteva in mostra i denti, voltandosi verso suo fratello e Mac, che cercava di nascondersi sotto il tavolo da biliardo, tanta era la sua vergogna. L’espressione di Tom era abbastanza emblematica, non riusciva a capirla. Se ne stava quasi serio, con sorriso abbozzato.
“Momento di sospensione, è finito il capitolo.”, disse Thiago, scorrendo di nuovo la visualizzazione per cercare il collegamento con il prossimo, “Apro il secondo capitolo.”
“Beh… non c’è molto da immaginarsi, puoi anche concludere qui.”, fece Bill. Era rimasto un pochino turbato nel vedere Tom, quindi forse era meglio interrompere lì la questione. Forse gli aveva dato fastidio una cosa del genere, ma d’altra parte era solo il frutto dell’immaginazione troppo vivida di qualche loro fan. Lui non avrebbe mai e poi mai mosso un dito verso Mac, ne era certo come sapere che lui e Tom erano gemelli identici.

 
Qualche mese prima, fecero una chiacchierata strana. Mac non c’era, stava facendo la baby sitter alle gemelline Listing, ed i due fratelli si erano trovati sul divano a scambiarsi opinioni su tutto… ed erano entrati in un argomento un po’ spinoso. Tutto era partito da Tom, che gli aveva chiesto se la presenza di Mac lo infastidiva.
“Certo che no.”, gli aveva risposto, “E’ un’ottima amica, sa ascoltare molto.”
“Sì… ma io intendevo infastidire in un altro senso.”, aveva insistito lui.
“E quale?”
“Cioè… non ti rendi conto quanto siete simili?”
“Simili?”
“Sì… vi somigliate, intendo caratterialmente e nei vostri gusti, tantissimo…”
“E quindi?”, disse Bill.
“Voi siete quasi praticamente uguali. Nel modo di vestire, nel modo di parlare, nei vostri gusti musicali… vi piacciono quasi le stesse identiche cose. E quindi se vuoi due siete uguali, io e Mac non siamo uguali, perchè io e te siamo diversi.”
Bill riflettè un attimo sulla logica del discorso. Beh, non faceva una piega, era vero. Lui e Mac erano molto simili...
“E quindi?”, gli aveva chiesto di nuovo.
Tom aveva sospirato, aveva tirando indietro la testa e aveva detto.
“Ho paura che un giorno vi accorgerete di tutte queste similitudini e… insomma…”
“Ho capito.”, disse Bill, “Vuoi un giuramento solenne con la mano sulla Bibbia?”
“No scemo…”, fece l’altro, sorridendo.
“Lo sai che non potrà mai accadere quello di cui stai parlando.”
“Non mi dire che mi vuoi dire che sei gay perchè oramai non ci credo più.”, disse Tom. Si era sentito stupido a confidargli quel suo pensiero e non voleva fare altro che scherzarci sopra per non sentirsi così deficiente.
“No… non succederà mai perchè tu e Mac state semplicemente insieme.”
“Vuoi dirmi che se ci lasciamo le salti addosso?”
“No!”, esclamò Bill, sconsolato, “Perchè vige ancora un patto famoso… non con la stessa ragazza se uno dei due è coinvolto sentimentalmente. Non te lo ricordi più?”
“Certo che me lo ricordo.”
“E chi è coinvolto sentimentalmente tra i due?”
Tom alzò la mano.
“Io credo nell’anima gemella, nella metà uguale della mela, lo sai.”, fece Bill.
“Ancora con questa storia…”, sbuffò Tom.
“Sì… due metà uguali della solita mela… due persone uguali…”
Come tu e Mac, pensò Tom.
“Vuoi… vuoi una piantina per trovarla?”, gli chiese Tom.
“No…. Perchè l’ho già trovata.”, disse Bill, guardandolo dritto negli occhi, con una serietà sbalorditiva. A Tom si gelò il sangue nelle vene.
“E sei tu amore mio bellissimo!”, esclamò Bill, saltandogli addosso per fargli il solletico e prenderlo a pizzicotti.
Che scemo che era Tom, ancora con tutte le sue incertezze. E di una cosa lui era certo, Mac non era proprio il suo tipo, la sua anima gemella. Mac era come la sorella che gli mancava, quella che poteva truccare a suo piacimento e farsi a sua volta truccare, con la quale andava a fare shopping. Una specie di grande ‘barbie’ vivente! Ma una ‘barbie’ con una grande personalità ed un grande cuore.
Potevano essere uguali… ma la mela di Mac aveva la buccia rosso fuoco, come quelle che piacevano a lei.
E la sua era invece nera, ovviamente. Magari con qualche striatura bianca…

 

Era una stupidaggine, una fottuta stupidaggine. Eppure non gli piaceva, la odiava quella cazzata. Non ne voleva più sentire parlare.
Era una storia, niente di più, ma non era per niente di suo gusto. Cioè, se ci pensava bene, una fantasia del genere gli era già passata ben altre volte per la testa, ma al posto di suo fratello c’era una bionda di un metro e ottanta, con due… insomma…
Aveva sopportato le storie etero che lo riguardavano, traendone magari qualche spunto dalla fantasia sessuale delle scrittrici. Aveva sopportato le storie omo, quando lui se la faceva con un altro ragazzo. Aveva sopportato le storie twincest, perchè di solito era suo fratello a ‘prenderlo’, non lui.
Ma quella era la prima storia che trattava di lui e Mac… e Bill. Perchè lui? Perchè ci doveva entrare lui? Calma Tom, si diceva, era solo una fantasia di una fan. Ma per lui non era semplicemente una fantasia, era una paura.
Una paura che spuntava fuori quando li trovava a chiacchierare insieme, a ridere, a volte anche alle sue spalle, ma per il resto del più e del meno. Era un tipo geloso, sì, ma non lo dava tanto a vedere. Magari, se proprio lo infastidiva, trovava una scusa qualunque per litigare con Mac e così sfogarsi.
Negli ultimi giorni era anche aumentata, dato che Mac e Bill avevano passato interi pomeriggi insieme, ma era stato troppo impegnato ad essere arrabbiato per quell’aggressione e per tutto ciò che aveva causato. Ci aveva pensato poco ma in quel momento di riflessione sentì la rabbia salirgli fino alla testa.
Interi pomeriggi insieme… mentre lui aveva cercato di evitarla….
Scese dal tavolo da biliardo e uscì dalla sala giochi.
“Ma che gli è preso…”, disse Thiago, che non ebbe nemmeno il tempo di iniziare a leggere l’altro capitolo.
Mac, che si era veramente nascosta sotto il tavolo da biliardo, non aveva potuto vedere il cambiamento di umore di Tom. Aveva visto solo le sue gambe toccare terra e andare verso la porta, uscire.
“Perchè?”, chiese, “Ho fatto qualcosa di male?”
“No…”, fece Bill, “So io cos’ha…”
“Sarà meglio parlarci.”, disse Mac, perplessa. Uscì fuori dalla stanza e lo raggiunse, correndo, sulle scale che portavano al loro piano.
“Hey… che c’è?”, gli domandò.
“No niente… tranquilla.”, fece lui.
“Beh… mi sembri un pochino arrabbiato.”, disse lei, prendendolo per mano e fermandolo.
“Mi lasceresti un attimo solo, per piacere?”, fece lui, con calma.
“Prima potresti spiegarmi che cos’hai… poi ti lascio in pace.”
“No, lascia perdere, tornatene dagli altri.”
“Ho il diritto di sapere perchè all’improvviso ti metti la coda tra le gambe e te ne vai.”, disse Mac, risoluta, stava per arrabbiarsi.
“Possibile che, quando sei tu a impormi di lasciarti in pace, io debba sempre ubbidire senza repliche, mentre tu continui ad insistere quando lo faccio io? Lasciami in pace!”, le disse contro, quasi urlandole. Si divincolò dalla sua mano e se ne andò in camera, sbattendo la porta con forza.
Scese le scale e tornò nella sala giochi. Bill e Thiago si voltarono verso di lei, stavano confabulando a bassa voce e si interruppero.
“Bill, spiegami che cos’ha.”, gli chiese, quasi come un ordine.
“Non credo che sia compito mio parlartene.”, rispose lui, “Lascia che gli passi, poi te ne parlerà.”
“Problema suo.”, disse Mac, andandosene.


 Vi ho fregato! Vi ho fregato! Vi dicevo di lucidarvi gli occhi per la scena iniziale e voi ci siete cascate in pieno!!! Lasciatemi ridere un pochino!!! Muahahahahahaha Muahahahaahah!

Cosa significherà mai SX?.... concorso a premi aperto! Si vince: niente!

Ok, finita la mia risata diabolica, passiamo ai ringraziamenti vari:

CowgirlSara: visto come chiacchierano bene questi due bischeri? altro che comunicazione orale.... vabbè, lasciamo perdere! God save the Queen! God save Thiago! Inchiniamoci alla regina...

Alanadepp: visto che mi sto convincendo di essere il boss, ti chiedo gentilmente di adularmi fino a che non ti dico basta XDDDD scherzo! Deodorante per le ascelle, usalo, sento un vago odorino... XDDD

Sososisu: anche io pagherei oro per avere un amico come Thiago, ma mi accontento anche di compagnie etero e meno sgargianti di lui! XDD basta con le cazzate, passiamo a polly pocket, che se ne stava beatamente dormiente sul suo lettino d'oro e d'argento, e morì nel sonno inghiottita dall'incubo di freddy kruger... sccusa, ma non sono molto ispirata right now per le storie horror, anche se sono le mie preferite!!! 

Anna9223: ecco ti qua, il nuovo capitolo! spero che ti piaccia!!! XD  e grazie!

Picchia: wow, ho trovato un'altra aliceinchainsiana!!! ora non mi sento più sola!!! XD scherzo! cavolo, sono veramente mitici! davvero hanno un nuovo cantante? ma è all'altezza dell'altro? spero proprio di sì, sono dei miti, mi piacciono anche più dei nirvana! Grazie per la recensione!

SweetPissy: oggi spero che sarai felice, altrimenti se sarai triste questo capitolo non ti piacerà XD vabbè, scherzo! eh bill bill bill... salvatore della coppia?

Starfi: non voglio essere causa di depressioni e suicidi, quindi metto la frase 'avvertenza, può causare danni anche gravi' XD mary sue? oh my god, le metterei al muro e le fucilerei tutte... 

Quoqquoriquo: eh, la neve per me è bellissima, ci voleva proprio una parte della storia tutta innevata. aspetto che arrivi almeno quest'anno, l'anno scorso non è nevicato neanche un po' da me... che bella la neve... 

Noirfabi: grazie per aver letto anche le altre due storie! e grazie per il fatto che ti piaccia anche questa! grazie tre volte! XD

Gufo: non credo che arriverò fino a sette, anche perchè diventerebbe tipo beautiful... nel prossimo seguito: tom che diventa gay e va con il fratello della cugina del marito della suocera della moglie.... 

Ruka88: le storie tristi sono quelle che mi piacciono di più... chissà se la prossima sarà commedia o da tagliarsi le vene ancora??? XD si intitolerà: super thiago e mega bill, i due supereroi, in aiuto dei due babbi!

 

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Capitolo 6
*** Guilty Innocence ***


6. GUILTY INNOCENCE

 

“Mi annoio!”, esclamò Thiago per la terza volta in dieci minuti.
“Cosa vuoi fare?”, gli chiese Mac per la terza volta in dieci minuti.
“Non lo so!”, rispose lui per la terza volta in dieci minuti.
“E allora cosa mi rompi le scatole!”, fece Mac, eliminando la risposta che gli aveva già dato  altre due volte.
“Non ci voglio stare in casa! Sono le cinque, voglio uscire!”, protestò lui, picchiando i pugni sul divano su cui era seduto.
“Ma tra nemmeno un’ora ceniamo! Dove vuoi andare!”, esclamò Bill, mentre si stava occupando dell’accensione del camino.
“Voglio andare fuori…”
“Tra mezz’ora farà buio.”
“Voglio andare per locali stasera!”, disse Thiago, risoluto, “Voglio uscire e cercarmi un uomo, visto che in questa casa tutti scopano come ricci, anche su internet, mentre io rimango sempre a bocca asciutta!”
Aveva fatto la sua dichiarazione di indipendenza, ora l’importante era trovare un modo per tenerlo a bada, pensarono contemporaneamente Bill e Mac. Sì, perchè se Thiago diceva che voleva trovarsi un uomo era scientificamente provato da tutte le università del globo terrestre che lo avrebbe fatto…
“Dove andiamo? Ma non facciamo troppo tardi, domattina ho da fare un’intervista e non voglio avere le occhiaie.”, chiese lui, tutto pieno di entusiasmo.
“Boh, non saprei.”, fece Bill, “Tu dove vorresti andare, Mac?”
“Mah… il tuo territorio di caccia sono le discoteche, Thiago…. Andiamo al Blue Sky?”, propose lei. Non ne sapeva molto di discoteche, non le piacevano, ma se qualcuno le avesse chiesto un parere su un pub, poteva fare la lista dei migliori di tutta Berlino, comprese le periferie.
“No, il Blue Sky è sempre pieno di ragazzini.”, disse Bill, storcendo la bocca, “Ma l’In2Deep ha un privè eccezionale.”
“Certo, due facce note come le nostre non possono mica immischiarsi nella folla, vero Bill? Rischieremo di essere riconosciuti!”, disse Thiago, con sguardo ammiccante.
“Decidete voi, per me uno vale l’altro.”, fece Mac, indifferente.
“Ok, vada per In2Deep. Adesso li chiamo. Per quanti fissiamo?”, disse Bill, “Tre? Non credo che Tom verrà…”
“Sì… lo penso anche io.”, disse Mac. E gli dispiaceva, perchè le faceva voglia di passare una serata diversa dal solito, insieme a lui.
“Chiamiamo anche Georg e Gustav! E magari pure Andreas!”, propose Thiago.
“Georg è malato, l’ho sentito stamattina.”, disse Bill.
“Beh… rimangono gli altri due!”
“Perfetto, li chiamo io.”, disse Mac.

 
Pizza surgelata, cosa c’era di meglio per cena? Tutto il resto, perchè se la preparava Bill c’era il rischio che la cucina andasse a fuoco. Ed infatti, a riprova del fatto che non era capace altro che di combinare guai in cucina, le fece scongelare, invece di infilarle direttamente in forno.
“Sono mollicce…”, diceva, mentre le metteva sul vassoio del forno.
“Certo! Non vanno scongelate scemo!”, gli disse Thiago, dandogli una pacca sulla testa.
“Va beh, oramai il danno è fatto… sarà meglio che vada a chiamare mister muso lungo.”, disse Mac.
Da quando era entrato in camera sua, non lo avevano più visto uscire fuori. Ci si era chiuso dentro alle due e mezza, ancora doveva mettere la testa fuori. Non era più arrabbiata con lui, sinceramente non lo era stata nemmeno prima perchè non ne comprendeva il motivo. Era l’ora che uscisse da quella stanza, ma visto che non lo faceva, andò lei a tirarlo fuori.
Bussò alla porta lievemente, ma non ricevette nessuna risposta, forse stava dormendo. Abbassò delicatamente la maniglia.
Dentro era buio, le finestre erano state oscurate dalle tende. Tom era sul letto, girato di fianco, le dava le spalle. Era proprio addormentato. Sperando di non svegliarlo, si distese accanto a lui che, sentendo il letto muoversi, si voltò.
“Buonasera.”, gli disse Mac, sorridendogli.
“Umh… che ore sono…”, fece lui.
“Un quarto alle sei… stiamo preparando la cena. Pizza.”
“Non ho fame…”, disse lui, riaccoccolandosi nella posizione di prima.
“Nemmeno un po’?”, perseverò Mac, facendo camminare due dita sul suo fianco.
“No… ancora no.”
“Stasera usciamo… andiamo all’In2Deep. Vuoi venire anche te? Siamo io, Bill…”
“No, non ho voglia di uscire.”, la interruppe lui.
Mac, che si trovava fornita di tantissima pazienza, non si scompose.
“Dai, facciamo quattro salti tutti insieme… hanno detto che verranno anche Gustav ed Andreas. E Thiago, ovviamente.”
“No…. Dai, lasciami in pace.”
Mac sospirò. Per qualche sconosciuto motivo si era incazzato e non gli stava passando. Non ne voleva nemmeno parlare, quindi era meglio lasciarlo in pace. Gli dette un bacio sul collo e scese dal letto.
“Ha detto che viene?”, le domandò Bill, vedendola spuntare in cucina.
“No… ancora arrabbiato. E senza apparente motivo.”
“Avrà le sue cose.”, disse Thiago.
“Già…”, fece Mac, preoccupata.

 
Salì di nuovo nella camera, era ora di prepararsi. Gustav e Andreas erano già arrivati, giù in salotto. Erano arrivati verso le sette: Andreas si trovava già a casa di Gustav, che abitava dall’altra parte di Berlino, per una cena insieme e, una volta che ebbero finito, erano partiti per andare da loro.
Erano le otto, prestissimo per uscire, quindi aveva tutto il tempo per prepararsi con calma. Aprì la porta con molta cautela, Tom di sicuro si era addormentato. Ed infatti lo aveva ritrovato nella solita posizione in cui lo aveva lasciato. In punta di piedi andò verso l’armadio per prendere la biancheria. Avrebbe utilizzato l’altro bagno, quello fuori dalla loro stanza, per non disturbarlo troppo ed innervosirlo ancora.
Si fece una lunga doccia, si sentiva tutto il collo contratto. Non aveva quasi mai chiuso occhio la notte precedente… se era lei ad appisolarsi era Tom a svegliarla, e viceversa. Si sentiva un pochino stanca, ma voleva comunque divertirsi. Il gruppetto era ottimo, avrebbe passato la serata appiccicata a Thiago, ne era sicura, a ballare con lui. Con Andreas, il migliore amico dei due fratelli, era sempre un continuo ridere, soprattutto si se si accoppiava con Gustav. Mettevano in scena delle improvvisazioni fantastiche, quei due, e di solito prendevano in giro i luoghi comuni sui Tokio Hotel.
Bene, era contenta di uscire un po’.
Se Tom fosse venuto sarebbe stato meglio… ma non poteva trascinarcelo.
Dall’ultima loro litigata aveva imparato ad essere meno esigente da lui. Doveva lasciargli i suoi spazi, così come lui le lasciava i suoi… se si era arrabbiato e non gliene voleva parlare andava bene. Avrebbe aspettato… Non era utile stargli addosso.
Chiuse l’acqua ed uscì dalla doccia.
“Maledetti capelli…”, disse, una volta che li ebbe asciugati con l’asciugacapelli. Di natura, non erano per niente lisci, ma mossi… e crespi. Se li sarebbe fatti piastrare da Bill, come sempre.
Tornò nella camera per vestirsi. Il letto era vuoto, sentiva l’acqua scrosciare in bagno. Quello che le avrebbe portato via più tempo di tutto era la scelta dei vestiti. Indossò la sua vestaglietta e, seduta sul letto, con le ante dell’armadio aperte, scrutava tutti i suoi vestiti, come se davanti a sé ci fosse il più grande enigma del mondo e toccasse a lei risolverlo.
“Che fai?”, le domandò Tom, uscendo dal bagno, con una sigaretta in bocca.
“Uhm?... sto scegliendo cosa mettermi.”
“Ah…”, fece lui. Con il solo asciugamano legato alla vita, si avvicinò all’armadio e, spostando qua e la le stampelle che sorreggevano gli abiti di Mac, ne tirò fuori una minigonna di jeans ed una maglietta nera.
“Fatto.”, disse poi, con la sigaretta penzolante sulla  bocca.
“Ah… grazie…”, fece Mac. Prese la maglietta, non le pareva nemmeno di avere un capo del genere nel suo armadio. Era senza maniche, sul davanti era liscia, con colletto alto che la sorreggeva, perchè dietro era completamente aperta. Anzi, si poteva dire che era una mezza maglietta, aveva solo la stoffa davanti. Dietro, solo una piccola fascetta trasparente teneva uniti i lembi laterale della stoffa, all’altezza più o meno della chiusura di un normale reggiseno.
“Ma… l’ho comprata io questa maglietta?”, fece Mac.
“No, te l’ha regalata Thiago… insieme ai boxer.”, disse lui, riferendosi a quei mini pantaloni che lui aveva scambiato per mutande.
“Ah, già…”, disse lei, dandosi una pacca sulla fronte, “Visto che sei così ispirato per trovarmi cosa mettere, prova anche a scegliere un paio di scarpe.”
Quella era la sfida più grande, aveva solo sneakers. I suoi occhi caddero quindi su un paio di stivali che non le aveva mai visto.
“Non quelli, sono per domenica.”, gli disse.
“Ah…”, e gliene indicò un altro paio.
“Uhm… possono andare bene.”
Le uniche scarpe, che non fossero sneakers, che portava erano gli stivali. Le piacevano da impazzire quelli di velluto, anche se non andavano molto più di moda, che calavano sul piede.
“Calze?”, gli chiese
“No.”
“Ma fa freddo…”
“No.”
“Già mi hai scelto quella maglietta…”
“Allora sì.”, fece lui, tirando una boccata di fumo.
“Ok…”, fece lei, prendendone un paio di nere, non troppo leggere né pesanti, dal suo cassetto.
Tom si spostò dalla sua parte di letto, per rivestirsi. Si voltò verso di lei solo quando la vide avvicinarsi allo specchio. Aveva scelto quella maglietta perchè era innamorato della sua schiena. Era semplicemente perfetta.
“Come sto?”, fece lei voltandosi e mettendosi le mani sui fianchi, sorridendo.
“Bene.”, disse lui, quasi senza espressione.
“Che entusiasmo… e che freddo!”, disse, abbracciandosi e andando verso l’armadio per prendersi qualcosa per coprirsi un po’. Decise subito per una giacchetta di stoffa nera, che avrebbe sicuramente portato per tutta la serata. Frugando sulla scrivania che stava affiancata al letto, dalla parte di Tom, cercò una collana, qualche braccialetto ed un paio di orecchini.
“Adesso va meglio?”, domandò di nuovo.
“Sì… meglio… i capelli?”
“Me li fa Bill, lo sai, non sono capace di farli da sola.”
Bill, pensò Tom. Sempre Bill.
“E il trucco?”, le fece.
“C’è da chiederselo?”
“Bill.”
“Bravo amore.”, fece lei, schioccandogli un bacio sulla bocca con un sorriso.
“E il profumo?”
“Sì, ma lo metto da ultimo, prima di uscire.”, fece lei.
“Il mio?”
“Anche, tanto tu e Bill usate il solito… Visto che sarò giù da lui per farmi abbellire…”
“Ah.”, fece l’altro.
“Ma cos’hai…”, disse Mac, sedendoglisi accanto, “Vuoi spiegarmelo adesso?”
Lui sbuffò, si alzò e se ne andò in bagno, senza proferire parola.
La pazienza aveva sempre un limite. Mac uscì dalla stanza arrabbiata e tornò dai suoi amici in evidente stato alterato. Solo Gustav e Andreas erano in sala, gli altri due erano a sistemarsi. Bussò alla porta di Thiago, ma lui non le rispose, era sicuramente impegnato in bagno. Bussò a Bill.
“Litigata.”, fece lui, alla prima occhiata.
“Cert che no!”, disse lei, sarcasticamente, “Ma lasciamo perdere.”
“Va bene, entra.”, fece lui, scostandosi dall’entrata, “Carina la maglietta, è quella che ti ha regalato Thiago?”
“Sì, non l’avevo nemmeno mai messa. Stasera è una buona occasione.”
“Fammi vedere!”, fece l’altro, incrociando le braccia nell’attesa.
Lei si tolse la giacchetta e la gettò via lontano, concludendo con un ruggito da pantera ammaliante, prima di girarsi su se stessa.
“Wow… che leonessa…”, fece Bill, “E poi con quei capelli ti sei calata meglio nella parte vero?”

 

Si dava sempre un nome falso quando si fissavano i tavoli nei locali, tanto per evitare di trovarsi i fotografi in assedio. Ma tanto funzionava alquanto poco. Erano nel locale da un’ora e già la prima persona si era avvicinata a loro per fare una foto.
Tutto sommato era un bel posto per Mac: entrarono dalla porta riservata ai clienti vip, come loro. Era incredibile quante porte fossero aperte per una faccia conosciuta. Le luci soffuse, tutto, tranne la mobilia nera, era color arancione, in tutte le sue sfumature. Il privè si affacciava sulla pista detta ‘dei comuni mortali’, come se loro fossero stati sull’Olimpo, e si poteva guardare gli altri clienti perchè era come se fosse un grande balcone, chiuso però da un vetro molto spesso, isolante. Due tipi di musica diversi, pensò Mac. Ad ogni prenotazione veniva destinato un tavolo circondato da divanetti a forma di ferro di cavallo, disposti l’uno accanto all’altro: un fine muro, alto circa un metro e ottanta, separava ogni postazione.
Il ‘balcone’ su cui si trovavano era arrotondato nella parte in cui si affacciava nel resto del locale ed il loro tavolo si trovava proprio nel centro di questa curvatura. Accanto ai due muretti che circondavano i lati del divanetto, due cubi, che probabilmente sarebbero stati occupati da due avvenenti ragazze seminude. Non c’erano ancora molti altri clienti, furono quasi i primi. Quel privè non era molto grande, i tavoli erano solo una decina: nella zona centrale, sul pavimento, una grande rosa dei venti. La punta nord indicava la zona bar, situata opposta rispetto al loro tavolo, dove tre baristi attendevano l’inizio del servizio.
Musica lounge nell’aria: che palle, pensò Mac.
Appena si sedettero una bottiglia di fine champagne fu servita loro, in omaggio da parte della direzione.
“Vai! Iniziamo a bere!”, esclamò Gustav, afferrando la bottiglia e servendone il contenuto ai suoi amici.
Nemmeno finirono la bottiglia che il privè si era riempito. Facce normali, pensava Mac, nessuno di altrettanto famoso come i suoi amici, ma sicuramente con diversi soldi in tasca. La musica era cambiata, da quella lounge erano passati alla house più sfrenata. Mac, attaccata a Thiago come la sua ombra, lo seguiva ovunque.
“Prendiamo da bere?”, gli chiese
“Cosa?”, fece lui, che non aveva capito.
“Prendiamo da bere?”, ripetè lei.
“Ti servono le candele?!?”
“No!”, esclamò Mac, facendogli l’eloquente gesto della bottiglia.
“Ah! Certo che sì!”
I baristi svogliati erano diventati dei giocolieri, erano dei barman acrobatici, che con i loro spettacolari cocktail intrattenevano i clienti. Thiago ordinò qualcosa per entrambi e, dopo qualche svolazzo, fu servito ad entrambi. In disparte, alla ricerca di un bel maschio da puntare, si misero a guardare la pista, dove alcuni gruppetti misti tra uomini e donne avevano iniziato a ballare.
“Quello con i pantaloni di pelle?”, fece Mac a Thiago.
“No… quelli non sono più un must gay.”, disse l’altro, “Guarda quello con la… no, ritiro, era meglio dietro che davanti.”
“Cacchio ma cosa ci hai fatto mettere dentro Thi!”, protestò lei, che sentiva l’alcol bruciarle la gola ad ogni sorso.
“Eh! Cocktail segreto… ti meriti una bella sbornia stasera!”
“Sì ma non voglio prenderla subito! Non siamo arrivati nemmeno da un’ora!”
“Oh cavolo… c’è un fotografo…”, disse Thiago, indicandole con la testa un uomo che era entrato, con a tracolla una borsa.
“E allora? Tu ci vai a nozze con i fotografi!”
“Mac… ho un brufolo!”, fece lui, in preda alla disperazione.
Mac osservò l’uomo, che aveva appoggiato la borsa in un angolo della saletta e stava montando la sua macchina fotografica. Cercò con gli occhi gli altri ragazzi: Bill stava chiacchierando con un uomo, entrambi con un drink in mano. Andreas stava sussurrando qualcosa nell’orecchio di una ragazza, che sorrideva maliziosamente. Gustav era al bar, seduto su uno sgabello, che osservava la sala.
“Lei è lo scrittore Ramirez vero?”, chiese il fotografo, che era comparso davanti a loro senza che lei se ne accorgesse.
“Sì!”, esclamò Thiago alzandosi, “Per quale rivista lavora?”
“Beh, a dire il vero per tante!”, fece lui, “Dipende da chi paga di più.”
“Beata sincerità!”, fece Thiago, con la sua solita manina pendente.
“Chi è la signorina con lei? La sua fidanzata?”, fece l’altro, quasi sarcasticamente.
“Oh no! Certo che no!”, esclamò Thiago ridendo e facendo gesto a Mac di alzarsi.
“Ah sì! L’ho riconosciuta! E’ la ragazza di quello dei Tokio Hotel! Come si chiama? Bill?”
“No! Tom, prego.”, fece Thiago, con sorriso stretto.
“Oh, bene. Posso farvi una foto?”, chiese l’uomo.
“Certamente.”, disse Thiago, abbracciando per i fianchi la sua amica, “Sorridi Mac!”
Il primo flash.

 

“Ora offro da bere!”, esclamò Andreas, chiamando con la mano il cameriere palestrato che passava dai tavoli, “Rum e Coca per tutti e cinque!”
“No… il rum no…”, fece Mac, che non reggeva affatto gli alcolici così… alcolici.
“Sì, il rum sì!”, disse Bill, tutto entusiasta.
Ecco il solito fotografo di prima, con la sua macchina.
“Ecco i due fidanzati!”, esclamò, “Posso farvi una foto?”
“Fidanzati?!”, fece Bill.
“Ti scambia per tuo fratello!”, gli disse Mac, “Sto con suo fratello Tom, gliel’ho detto anche prima!”
“Sì! Ha ragione!”, fece l’uomo.
“Posa strana?”, chiese Bill alla sua amica.
“Certo che si!”
Guancia a guancia, si presero le mani e, incrociando le dita e disponendole come una pistola, le puntarono insieme ai loro occhi verso l’obiettivo, sorridendo.
Il secondo flash.

 
“Thiago… andiamo in bagno!”, disse Mac, levando le braccia in aria e spalancando la bocca.
“Mac… sei ubriaca… e sono solo le undici e mezza!”, fece l’altro, sconsolato.
“Beh… il tuo cocktail… poi il rum… ma non sono ancora ubriaca, sono solo… allegra!”, precisò lei.
Erano tutti seduti intorno al tavolo, intorno a loro la festa si stava animando, ma la musica non era di loro gradimento. Si stavano annoiando. Di nuovo il fotografo.
“Che bel gruppetto!”, disse, “Posso farvi una foto?”
Il quintetto si guardò e annuirono. Si avvicinarono a Mac, che era seduta al centro del divanetto, a forma di ferro di cavallo, abbracciando a destra Bill e a sinistra Gustav.
“Solo un altro scatto!”, disse l’uomo, dopo il terzo flash, “Posso farlo solo a voi due? Al signor Thiago e a Bill?”
Quarto scatto.

 
“Un altro cocktail per me, gringo!”, disse al barman, facendogli il gesto della pistola.
Lui le annuì sorridendole e, dopo tre minuti, un bel misto le fu servito. Anche se era dannatamente alcolico, aveva la gola cementata e non le bruciava più.
E poi aveva così caldo! Andò verso il tavolo e si tolse la giacchetta, buttandola con disdegno sul divanetto.
“Wow! Ragazzi! Che serata!”, esclamò, mettendosi le mani sui fianchi, verso Andreas e Gustav.
La musica, che dal solito bum bum bum era passata ad un ritmo più latino, le fece venire una pazza voglia di ballare.
“Me lo concedete questo ballo?”, fece ai due, porgendo loro la mano.
“No… io ho due piedi sinistri.”, disse Gustav, negandole il piacere.
“E chi dice di no a questa bella ragazza!”, disse Andreas, prendendole la mano e portandola in mezzo alla pista. Impazziti dal ritmo tribale, saltavano e ridevano come pazzi, facendo a gara a chi aveva bevuto di più.
Altro flash.

 

“Thiago… Thiago…”, diceva Mac, piombando alle spalle del suo amico e iniziando a fargli il solletico sul collo. Lui era seduto al bancone e chiacchierava con molto gusto con un altro ragazzo che, vedendo Mac, lo aveva frettolosamente salutato e si era allontanato.
“Piattola! Sei una piattola!”, faceva l’altro, infastidito, “Hai fatto allontanare il più bel figo di questo locale! Sei uno scarafaggio, sei una formica indesiderata!”
“Sì…”, disse l’altra, con sorrido ebete, “Ma hanno cambiato musica… prima mi piaceva di più, ora di nuovo la house… Che schifo…”
“Guarda!”, disse Thiago, indicandole verso il loro tavolo, “C’è Bill che se ne sta solo soletto… vai a rompere i coglioni a lui!”
“Ok….”, fece Mac. Saltellando andò dall’altro suo migliore amico e si sedette accanto a lui, ruggendogli come una leonessa e tirando fuori gli artigli.
“Wow… mamma mia che paura…”, fece l’altro. Si stava annoiando e giocherellava con il tappo di una bottiglia di spumante.
“Non ti stai divertendo… vero?”, gli chiese lei.
“Beh… sì, diciamo di sì, solo un momento di…”
“Non c’è Tom.”, disse Mac, appoggiando la schiena sul divanetto.
“Già… ma tu ti stai divertendo molto anche senza di lui. Senza offesa, eh!”, fece il ragazzo, alzando le mani in segno di innocenza.
“Beh, sì!”, disse lei, ridendo e appoggiando il mento sulla sua spalla.
“Mio Dio… ma quanto hai bevuto?”, esclamò disgustato Bill, sventolandosi la mano davanti al naso.
“Ehm… i miei ricordi si fermano al rum.”, disse Mac, dopo un attimo di riflessione, “Adesso vado in bagno… se tra dieci minuti non torno ti autorizzo ad entrarci dentro e a tirarmi fuori.”
Poi velocemente gli sganciò un bacio sulla guancia e si alzò.
Un altro paio di scatti.

 
“Trovati qualcun altro… non voglio che ti prenda la sbornia triste quando sei appiccicata a me!”, esclamò Thiago, infastidito di avere la sua migliore amica attaccata al collo, in preda ad una crisi di piagnistei.
“Ho capito… andiamo dagli altri, è ora di andare… e poi domattina ho da fare un’intervista, mi devo alzare presto…”, disse Thiago, riconoscendo che si era fatto troppo tardi e lei troppo ubriaca. Beh, non era che Mac camminasse con le gambe incrociate o rischiasse di vomitare da un momento all’altro, poteva bere tanto e rimanere sempre allo stadio ‘fortemente allegra’… ma se improvvisamente la sua allegria si tramutava in pianti isterici alcolici, era meglio tornare a casa.
“Mac… piantala di lagnarti!”, le disse, prendendola per mano. Andarono verso Bill, che stava chiacchierando con una ragazza al bar e, dispiaciuto, gli disse che era meglio tornare verso casa.
“Un momento…”, fece lui. Doveva concludere la conversazione.
“Ci troviamo giù in macchina.”, gli disse Thiago.
Gli altri due si stavano annoiando in un angolo del privè e non ebbero da farli aspettare. Scesero al piano inferiore ed uscirono, salirono nella macchina parcheggiata a qualche metro da loro e aspettarono Bill. Era lui che doveva guidare. Nei dieci minuti di attesa, Mac, approfittando della gentilezza di Gustav che le aveva concesso la sua spalla, si era addormentata. Andreas, seduto davanti, sghignazzava della sua condizione. Anche lui aveva bevuto abbastanza ed ogni piccola cosa scoppiava a ridere.
Una volta che Bill fu arrivato lasciarono il locale.

 

“Ci vediamo ragazzi!”, disse Gustav, chiudendo la portiera della sua macchina e mettendo in moto.
“Ciao…”, sussurrò sbiaditamente Mac. Tra il sonno e lo svanire dell’effetto dell’alcol, non si reggeva in piedi e, appoggiata al cofano, non trovava la forza di spostare i piedi mantenendo gli occhi aperti. Non era una cosa facile.
“Tieni, vai ad aprire la porta.”, disse Bill a Thiago, passandogli le chiavi della casa.
Prese Mac in braccio, era l’unico modo per farla andare da un posto ad un altro.
“Grazie Tom…”, disse lei, abbracciandogli il collo.
“Sono Bill, Mac… sono Bill.”, fece lui.
“Già… Bill, Tom… vi confondo sempre, siete così uguali.”
“Ce lo dicono da quando siamo nati, sai che novità.”, disse l’altro, mentre entrava in casa.
“Sai, siete così uguali che potrei anche dire che… se amo Tom, io amo anche te Bill.”
“Mac, chiudi quella bocca.”, disse lui, passando oltre Thiago che teneva ferma la porta.
“No no, tu sei come Tom… quindi Bill … io ti amo.”, fece lei, prima di lanciare uno sbadiglio e addormentarsi di nuovo.
Sperare che quelle tre dannate parole, dettate da uno stato incosciente, non venissero sentite da altre orecchie a parte le sue, era praticamente chiedere troppo. Ed  era maledettamente improponibile sperare che in quel cazzo di momento Tom, praticamente davanti a lui perchè aveva aspettato che tornassero a casa prima di andare a letto, si trovasse da tutt’altra parte.
Come un fulmine, Tom salì velocemente le scale, pieno di rabbia. Bill sentì la porta della sua camera sbattere con violenza.
“Gesù…”, fece Thiago, mettendosi le mani nei capelli, “Facciamola dormire in camera mia.”
“No non ti preoccupare Thiago, domattina devi alzarti ed è già tardissimo. La faccio dormire da me, io mi metto sul divano che ho in camera.”, disse Bill, risistemandosela sulle braccia.

 

Disteso sul letto, con le mani dietro la testa, si chiedeva quanto poteva essere stato stupido in tutto quel tempo.
Quando lei se n’era andata fuori, a divertirsi, si era imposto di stare calmo e di non pensare. O meglio, di razionalizzare. E, appunto, razionalizzando, era arrivato al punto di darsi dello scemo. Si era immaginato tutto, per colpa di quella stupida storia scritta da una loro stupida fan.
Si poteva farsi condizionare dalle fantasie altrui? No.
Mac aveva mai dato segno di poter… insomma… pensare a Bill? No.
Viceversa? No, se Bill glielo aveva giurato, poteva contarci.
Dopotutto, se Mac si faceva fare i capelli e truccare da Bill era perché lui lo sapeva fare.
Se Mac, quando litigavano, si sfogava con Bill, era perchè erano buoni amici e lui sapeva farla ragionare…
Poi un altro pensiero: perchè tutta questa gelosia?
Lui non era geloso.
Sì, lo era, ma non da farsi queste seghe mentali.
Si fidava di Mac? Sì.
Si fidava di Bill? Ovvio che sì.
E allora? Allora niente, ecco trovata la soluzione. Era lui il problema, non loro due. Quindi, visto che i problemi andavano risolti, appena entrambi fossero arrivati si sarebbe scusato con entrambi.
Poi erano entrati in casa ed aveva sentito perfettamente ogni singola parola che era uscita dalla bocca di Mac.
Non le voleva ripetere.
Si addormentò, anche se non ne aveva assolutamente voglia.
Si risvegliò dopo qualche ora, non aveva chiuso la tenda e la stanza era completamente illuminata dal sole mattutino. Schifato, scese dal letto. Dopo una lavata veloce al viso, scese in salotto, dove sicuramente avrebbe continuato a dormire disteso sul divano. Di mangiare non c’era nemmeno la voglia, lo stomaco si era sigillato.
Prese il telecomando e, svogliatamente, cercò qualcosa di poco interessante per conciliargli il sonno. Trovò il classico programma del sabato mattina, quello in cui le due presentatrici si mettevano a discutere delle notizie pubblicate sui giornaletti. Posò il telecomando in terra e, dopo essersi coperto con il plaid che stava sempre appallottolato sul divano, si interesso alle chiacchiere, se così si poteva dire.
Passiamo ad un altro argomento Anne? Magari uno un po’ meno triste?’, disse la presentatrice bionda.
Sì, Gretel, direi proprio di sì… vediamo, sfogliando questo giornale mi verrebbe da soffermarmi su questo articolo.’, disse la presentatrice rossa.
Quale?’
Quello sul nuovo film in uscita di Hugh Grant…
Gli occhi di Tom si chiusero, cullati dalla dolce voce della rossa. Aveva una bella voce, lievemente bassa e scandiva così bene tutte le parole che era meglio di una ninna nanna.

 

‘… da quello che sapevamo a lei non piaceva ballare, lo aveva detto nell’intervista pubblicata la settimana passata sulla rivista ‘Vanity and Beauty.’
Sì, ma il ritmo delle discoteche entra nel sangue e fa scatenare anche il più imbranato!
Già, è vero! Leggiamo qua, sulla pagina internet di questo blog di gossip, che era insieme ad un gruppo di amici speciali. C’erano Thiago Ramirez, lo scrittore gay più conosciuto d’Europa…
E presto forse del mondo, perchè si dice che pubblicheranno i suoi libri anche in America ed in Asia!
Sì, li ho letti tutti i suoi libri, sono veramente spassosi! E chi erano gli altri del gruppo?
Si stirò, allungando mani e braccia. Sbadigliò rumorosamente ed aprì gli occhi. Finalmente era riuscito a dormire decentemente… Sentì le  parole della tv e, distrattamente, connettè il cervello su di esse.
Gli altri erano Bill Kaulitz e Gustav Schafer… non credo che ci sia bisogno di altre spiegazioni, ed Andreas, amico di vecchia data dei due gemelli più amati della Germania.’
Ecco, si stava facendo interessante, pensò Tom.
Insomma, una serata in famiglia, diciamo!’, fece la bionda, ridendo.
Sì, proprio una serata in famiglia… non è necessario farvi notare una precisa assenza.’
Già, e dove era Tom Kaulitz?
La ragazza più invidiata ed odiata dalle fans dei Tokio Hotel era sola, con i suoi amici, senza di lui. Beh, mancava anche Georg, ma i padri di famiglia non passano le notti brave in questo modo.
Notte brava? Perchè dici così?
Perchè si dice che l’alcol sia scorso a fiumi nel gruppetto. Molto interessanti sono anche le fotografie che sono state scattate loro e pubblicate sempre su questo sito. La regia le manderà in onda e, come sempre, faremo tutti i nostri piccoli commenti!’, disse la rossa, con sorrisetto malizioso.
Fotografie? C’erano delle fotografie?
Ecco, questa è la prima fotografia. Sono ovviamente Thiago e Mackenzie.’, disse la bionda.
Sì, in un’intervista di Thiago, lui ha affermato di essere diventato amico di Mac, come è solita farsi chiamare da tutti, già molto tempo prima di conoscere i Tokio Hotel. Mi sembra di ricordare che si siano conosciuti quando lui era in erasmus, qua in Germania, e abitavano insieme.
Sì, ricordi bene. Lui affermava che sono amici molto stretti e si conoscono benissimo. E’grazie a questo che è iniziata la collaborazione con Bill per il telefilm ‘Primadonna e io’.
Sicuramente anche la relazione tra lei e Tom ha avuto il suo punto in causa! Ma passiamo alla prossima fotografia…
Mac ed Andreas… il proverbio dice: gli amici dei miei amici sono miei amici. Ed i due amici sembrano proprio impazzire dal divertimento!’, commentava la donna. Poi cambiò l’immagine.
Vediamo qui cosa abbiamo… ah, ecco, Mac che ride alle parole di Gustav. Si dice che i due vadano molto d’accordo…
Sì, Gustav è proprio un tenerone, va d’accordo con tutti’
E questa foto è abbastanza interessante.’, disse la bionda, una volta che l’immagine fu sostituita da una di Mac e di Bill. Guancia a guancia sorridenti, a mani unite puntate contro l’obiettivo della fotocamera.
Sì… sono molto simpatici! E soprattutto entrambi hanno un bel sorriso.’
E a vedere dalle fotografie Mac deve anche aver perso qualche chilo, l’ho trovata molto più fine rispetto alle immagini pubblicate nell’intervista fatta con Tom.’
Beh, sono sicura che il suo dimagrimento abbia avuto a che fare con quella brutta aggressione di un mese fa.
Secondo te quanto avrà perso?
Non saprei, ho visto dei bei muscoli comparire nelle fotografie… con quella maglietta così scollata!
Stava molto  bene a parere mio.’
Quella fotografia fissata sullo schermo era come un’ossessione. Avrebbe voluto cambiare canale, ma non ce la faceva, era sicuro che ci sarebbe stato molto altro da sapere…
Oh, sicuramente, è una bella ragazza! Ma cambiamo fotografia…
Ecco, sentirsi fissato da una fotografia che gli bucava dentro al cuore lo aveva ripagato. Mac che baciava Bill su una guancia, tenendogli il viso con l’altra mano.
Oh! Oh! Oh! Ma cosa vediamo qua!’, fece sarcastica la conduttrice, ‘Sembra proprio che qualcosa abbia messo lo zampino tra i due!
Già! Che dire? Tom non c’è e ci prendiamo suo fratello? Beh, sembrerebbe proprio di sì!’, fece l’altra ridendo.
E’ un bacio innocente, sulla guancia… tra amici… ma non è un po’ strana l’assenza di Tom? Forse questo è un segno? Oppure è solo un caso predetto dalle loro stesse fans? Navigando su internet, al giorno d’oggi, al primo posto tra le storie scritte dalle loro sostenitrici più sfegatate non ci sono più le cosiddette twincest…
Che sarebbero i cosiddetti ‘incesti tra gemelli.’, precisò l’altra.
Ma ci sono le storie che riguardano appunto… lei e Bill…
La televisione fu spenta. Era troppo. Troppo davvero. Le due persone più importanti della sua vita, le uniche due persone di cui si poteva fidare, su cui poteva contare… le uniche due persone a cui voleva veramente bene, che amava…

 
Si toccò la testa, in cerca della morsa metallica che gliela stava distruggendo. Che dolore atroce, disumano… e ci si metteva anche quella dannata luce dalla finestra che le batteva direttamente negli occhi, come per dirle ‘hey bellezza, voglio farti morire dal mal ditesta’.
Ecco perchè odiava ubriacarsi, perchè la mattina dopo dovevano venire a raccoglierla con la pala, di quelle che usano in campagna per spalare il letame.
Con la mano, svogliatamente, cercò il comodino alla sua sinistra, ma c’era solo altro letto. Aprì gli occhi solo per una fessura millimetrica… e comprese di non essere nella sua camera. Non riconosceva il piumone rosso scuro, sul suo letto ce n’era uno blu. Guardò verso il soffitto: era sempre rosso, come la coperta.
No, decisamente quella era la camera di Bill.
E che cazzo di faceva  in camera sua?
Un pensiero spaventoso le passò fulmineo nella testa, facendola scattare a sedere sul letto.
La conseguenza di quell’imprevista mossa fu un impellente bisogno di vomitare e, a fatica, riuscì ad andare in bagno per non sporcare niente.
“Oh… merda…”, disse, seduta accanto al water, mentre si puliva la bocca con un pezzo di carta igienica. Si alzò un po’ barcollante, per via delle fitte alla testa, e si bagnò la faccia.
“Oddio…”, faceva, mentre si tamponava il collo con l’acqua fresca. Aveva ancora indosso la maglietta, ma non la gonna. Al suo posto un paio di pantaloni di una tuta.
Perchè aveva dormito lì?
Perchè non era nel suo letto?
Cazzo… non si ricordava nulla e questo non le piaceva affatto.
Il solo pensiero di aver fatto qualcosa con Bill… le faceva venire da vomitare di nuovo. Con le mani appoggiate la bordo del lavandino, cercava di fare chiarezza nella mente, ma il suo ultimo ricordo era aver ballato il trenino con Gustav che faceva il capotreno… e tutti gli altri dietro…
“Tutto ok?”, gli domandò Bill, alle sue spalle, facendola trasalire.
“Scusami… non volevo farti paura…”, le disse poi.
“Oh no, tranquillo… tutto a posto.”, fece lei.
“Notte brava ieri sera eh? Cosa ti ricordi?”, le chiese, appoggiandosi allo stipite della porta.
“Non dirmi che ho fatto qualcosa di cui potrei pentirmi a vita…”, disse Mac, quasi implorandolo.
“Beh… per tutta la vita non lo so…”, disse Bill, facendo spallucce.
“Oh gesù…”, fece Mac, mettendosi il viso tra le mani e iniziando a singhiozzare.
“Hey hey…”, disse Bill, abbracciandola, “Non hai mica combinato un casino bestiale…”
“Beh… siamo stati a letto insieme o no?”
Bill scoppiò in una risata fragorosa. Ecco, era sicuro che lei avrebbe frainteso e le spiegò che l’aveva fatta dormire nel suo letto perchè Thiago aveva da fare quell’intervista, mentre lui aveva dormito sul divanetto, di fronte al letto.
“Dimmelo subito deficiente! Ma perchè non ho potuto dormire nel mio letto, senza che mi dovessi prendere questo coccolone?”, fece lei, dopo averlo riempito di pizzicotti sulla spalla.
“Perchè… ieri sera, quando siamo tornati a casa tu eri troppo in vena di dichiarazioni d’amore.”, disse Bill.
“Ti prego,”, fece Mac, implorandolo davvero a mani giunte, “non parlare per anagrammi e sciarade. Dimmi cosa ho fatto e facciamola finita.”
“Beh… siamo entrati, io ti tenevo in braccio perchè non eri capace di mettere un piede davanti all’altro. Tu hai incominciato a dire che io e Tom siamo uguali e, siccome tu ami Tom… allora amavi anche me.”
“Tutto qui?”, fece Mac, che ancora doveva rendersi conto di ciò che era successo.
“Mac… tu hai detto queste precise parole: Bill io ti amo… davanti a Tom.”
A Mac si gelò il sangue.
“Davanti a Tom?!?”
“Sì… era rimasto in piedi ad aspettarci.”
Mac, quasi sonnambula, si liberò dall’abbraccio e si sedette sul letto, incredula di ciò che le aveva detto Bill.
“Beh… spero che abbia capito che ero ubriaca e che non rispondevo delle mie azioni… che ero incapace di intendere e di volere.”, disse poi.
“Sì, di sicuro lo avrebbe fatto.” fece Bill, andandosi a sedere accanto a lei.
“Perchè dici ‘avrebbe’? Non ha abbastanza cervello per distinguere la finzione dalla realtà?”
“Sì ce l’ha ma… cristo, avrei dovuto parlartene prima…”,
“Parlarmi di cosa?”
“Beh… tempo fa, penso sei mesi fa o giù di lì, Tom mi ha confessato di essere, come dire, geloso della nostra amicizia… ha incominciato a dire che secondo lui, un giorno o l’altro… insomma, capiremo di non essere più tanto amici.”
Mac, bocca semi aperta, sembrava pendere dalle sue labbra. Voleva sapere tutta la storia.
“E su quali basi si fonderebbe questa sua assurda teoria?”
“Sulla base che io e te siamo molto simili. E secondo lui basterebbe per… tradirlo, ecco. Poi mi sono messo a convincerlo che non sarebbe mai successa una cosa simile. E lui si mise l’anima in pace, non mi ha più fatto un discorso del genere.”
“Eh no! Certo che no! Io mica ci posso stare insieme a uno che si tiene più di me!”, esclamò Mac, facendolo ridere, “Ma fammi capire… quindi sarebbe bastato un momento di mia falsa lucidità mentale per fargli piombare in testa di nuovo questa… questa gelosia?”
“A dire il vero no, non c’è stato solo quello…”, disse Bill.
“E cosa?”, fece Mac, un pochino stufa di tutte queste verità  nascoste.
“Hai presente quella storia che ti ho fatto leggere?”
“Sì…”
“E’ stata quella che gliel’ha risvegliata… diciamo che questa sorta di paura covava in lui da diverso tempo ed è bastato un nonnulla per tirargliela fuori di nuovo.”
Mac non ci poteva credere. Tom glielo aveva già detto altre volte, scherzosamente, che lei aveva scelto il gemello sbagliato. Ma per lei era una semplice battuta, uno scherzo che finiva lì. Non avrebbe mai immaginato che dietro vi si potesse celare questo segreto. Insomma, se era sicura di una cosa, in questo fottuto mondo, era che lei amava Tom. Non c’era cosa al mondo che potesse farla confondere su questo punto, nemmeno l’incredibile somiglianza fisica tra i due fratelli.
E ora doveva rimettere a posto i cocci, senza che lei si fosse mai accorta di aver rotto il vaso. Sperò di trovarlo in camera. Di sicuro, ovunque fosse stato, sarebbe stato impossibile fare un discorso con lui senza alzare la voce… Sarebbe stato impossibile spiegarsi…
Lentamente salì le scale e, davanti alla porta della loro camera, ebbe un momento di paura. Aveva paura che lui non la volesse stare a sentire, che non volesse crederle. Non l’avrebbe nemmeno fatta parlare, era sicura. Appoggiò la mano sulla maniglia e la spinse giù, aprendo la porta.

 




Visto che la mia religione mi impone di scrivere i ringraziamenti il martedì.... no scherzo, butto alle spalle la mia religione XD e vi ringrazio una ad una!

MissZombie: te pareva che non rammentassi bill... madonna XDDDD a qualsiasi concerto andremo insieme, all'estero oppure in italia, ti metterò un mega cerotto sulla bocca, assicurerò che stia fermo con del nastro biadesivo, ti metterò un casco ed un cappuccio, così non te lo sentirò rammentare, va bene? Per quanto riguarda cibo/acqua/aria è un problema tuo! XDDD e dai, scherzo (mica tanto XDD). fonti mi informano che bill non mangi la cioccolata... tu che sei saccentona, confermi o smentisci? e per lo shopping con thiago... ti va bene se prendo io il suo posto? sai, è così impegnato con i suoi libri ed il suo telefilm con bill...

CowgirlSara: altro che imboccati... e lo vedrai nei prossimi capitoli! Tom insicuro? nooooooo daaaaaaaiiiiii mica dirai sul seriooooooo (manina della fotografia) lui è sicurissimo! e lo vedrai nei prossimi capitoli quanto è sicuro... mannaggiallui!!!! e quell'altra? tsk! sicura al cento per cento!

Alanadepp: la donna del monte ha detto perversione a tutto spiano! e tua nonna? meglio che ti chiudi quando leggi le mie storie, lo sai! XDD se sei la milza e se sei anche stronza, ecco perchè mi fa sempre male quando corro... non è che magari smetteresti di essere bastarda dentro? XDD danke!

Sososisu: wow, anche la statua in oro massiccio tempestata di pietre preziose... mamma mia, mi sento veramente lusingata! vorrà dire che dovrò fare spazio in casa, perchè non c'entra... sarà meglio togliere quella pianta morta che ho in soggiorno... visto che sei maniaca, la prossima storia sarà del tutto basata sul sesso, così mi bannano e festa fatta! XDDD

Ruka88: la storia tra thiago e bill sarà una specie di utopia! XD e la fetta di salame? siamo tutti vegetariani! XD

Picchia: wow, stile hendrix, mi sarebbe piaciuto vederli! mi dispiace, il premio per il quesito non è ancora arrivato, l'ho ordinato su ebay e mi hanno rifilato un pacco vuoto... per la prossima volta ok?? XDD

Starfi: si brava, sono io che rido di voi SX... solo che gli occhi li ho al posto della bocca... alla faccia di elephant man! XD uelà, rubydesade... no no, sono solo rubymanara! XD vedrai che nei prossimi capitoli rischi di strozzarti, stai attenta, infilati in un polomne d'acciaio...

Gufo: beh, i dubbi di tom sono tutt'altro che leciti... si chiamano seghe mentali a casa mia.... e lui diventerà cieco prima o poi, credimi!

Anna9223: mah non direi proprio che le cose si stanno risolvendo... no no no... proprio no, mi dispiace! sorry! XD

SweetPissy: oramai i due sono come ridge e brooke... appena si mettono insieme succede qualcosa!!!! e se non fosse così... che palle!!! XDD no, tranquilla, non succederà che bill gli ruberà mac... e thiago! povero il nostro thiago, sofffre di solitudine...

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Capitolo 7
*** Let the show begin ***


7. LET THE SHOW BEGIN

 

Lui non c’era.
Tirò quasi un sospiro di sollievo.
Si tolse la maglietta e infilò la prima che trovò sul letto. Era di Tom, inciso sopra lo stemma di una squadra di basket che lei non conosceva… odiava il basket… Si legò i capelli, si dette una lavata veloce ai denti per togliere lo sgradevolissimo sapore di vomito e scese in sala. Era lì, seduto sul divano, con un braccio lungo la spalliera, che guardava la televisione.
Lei, scalza, quasi del tutto silenziosa, lo raggiunse, sedendosi sul bracciolo del divano. Lui l’aveva vista di sicuro, ma non si era nemmeno voltato per guardarla. Teneva gli occhi fissi sul televisore, con aria molto arrabbiata e risentita. Bocca serrata.
“Tom…”, disse lei, con un filo di voce.
Già gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime.
“Bill mi ha raccontato cosa ho detto ieri sera… quando siamo tornati a casa. Beh, sono innocente. Te lo ripeto, sono innocente.”, disse, guardandosi le mani che giocherellavano nervosamente con l’orlo della t-shirt.
Lui niente.
“Ieri sera ho bevuto un po’ troppo… e l’ho detto stupidamente. Bill mi ha detto che io… insomma, Tom, non puoi credere che io possa pensare una cosa del genere! Ero incosciente!”
Lui di nuovo in silenzio. Solo un battere di palpebre.
“Mi ha anche detto di quella storia che abbiamo letto… e della conversazione che avete fatto qualche tempo fa.”
Nulla. Nessun effetto. Mac si spazientì.
“E guardami quando ti parlo!”, gli urlò contro piangendo, mollandogli uno schiaffo sul viso.
Lui, con la testa voltata verso di lei per via del ceffone che aveva appena ricevuto, tenne lo sguardo basso.
“Come posso fare per farti capire che io amo te?”, gli disse, con la voce rotta.
Fu solo in quel momento che lui alzò gli occhi. Al posto della comprensione, c’era solo disprezzo.
“Di certo non è un buono metodo farsi fotografare mentre lo stai baciando…”, rispose lui. Fu quasi un sibilo, come fossero uscite dalla bocca di un serpente.
“Cosa?!?... io non… io non l’ho fatto Tom! Ne sono sicura, non l’ho fatto!”, si discolpò lei.
“Ci sono le vostre foto… fotografie di ieri sera. Tu lo hai baciato.”
“No… no…”, iniziò a dire Mac, presa da un attacco di panico. Cadde dal bracciolo, finì seduta per terra, “Non l’ho fatto, io non l’ho fatto, Bill me lo avrebbe detto.”
“Sì che lo hai fatto.”, disse Bill. Aveva ascoltato la loro conversazione seduto sulle scale, senza farsi vedere, “Ma è stato un innocente bacio sulla guancia. Niente di più.”
Entrambi si voltarono verso di lui. La sua voce era ferma, risoluta. Mac non poteva sostenersi da sola, si ricordava poco o nulla della serata. Ma lui, che era rimasto perfettamente lucido, non l’aveva mai persa di vista e l’avrebbe difesa a costo di litigare a morte con il fratello.
“Tomi.”, gli disse, “Non vorrai mica credere ad una foto… lo sai cosa sono capaci di tirare fuori da uno scatto!”
“Beh… io credo alla realtà dei fatti.”, rispose Tom, alzandosi ed incrociando le braccia.
“Quale realtà dei fatti? Quella che ti sei costruito nella tua mente?”
“No, quella che mi sono rifiutato di vedere per tutto questo tempo.”, disse Tom. Spazientitosi e con poca voglia di litigare, fece per andare verso la porta di casa, già aveva le chiavi della sua macchina in mano.
“Non ti azzardare a fuggire via.”, gli disse Mac, alzandosi di scatto da sedere e prendendolo con forza per una mano, “Adesso rimani qua e, per l’amor di Dio… risolviamo questo tuo problema.”
Non piangeva più, non tremava più. La presenza di Bill le aveva dato la forza di reagire, per non piegarsi sotto le false accuse di Tom.
“Vado dove voglio.”, fece lui, “Tanto oramai non mi rimane nient’altro che togliermi dai piedi.”
“Tomi, sei solo accecato dalla rabbia… ma cazzo! Come te lo dobbiamo dire? In quale lingua?”, disse Bill, scendendo le scale per andargli incontro, e prendendolo a sua volta per l’altra mano.
“Kaulitz… non c’è niente tra me e tuo fratello… perchè sei così geloso?”
Eccole, davanti a lui.
Gli unici due punti fermi della sua vita.
Suo fratello e Mac.
Il resto era una variabile perenne. Non c’erano soldi, né fama, né successo che durassero così tanto, senza evaporare da un momento all’altro.
Era nato insieme a Bill, e questo era sufficiente per spiegare il ruolo che aveva nella sua vita.
Mac era stata la prima ragazza di cui si era innamorato. Era stata anche la prima ragazza che gli aveva fatto capire cosa voleva dire soffrire per amore. Roba da matti per lui. E lei gli aveva detto, una volta, che se un giorno avesse mai avuto bisogno di lei, anche se non stavano più insieme, sarebbe sempre stata pronta a dargli una mano. Le credeva. Quando Mac diceva una cosa, era quella.
Entrambi gli tenevano le mani, uno a destra, l’altro a sinistra.
“Kaulitz…”, gli fece Mac, con sguardo implorante.
“Tomi…”, fece Bill, “Perchè dovremmo farti una cosa del genere?”
“Spiegacelo.”, disse Mac.
Non lo sapeva.
Non sapeva dare una risposta logica a quella semplice domanda.
“Se fosse vero quello che tu stai pensando adesso, perchè allora stare qui a pregarti di riflettere e di non fuggire via?”, continuò Bill.
“Lo sai quanto non sopporto la petulanza di Bill… non potrei mai stare insieme ad un maniaco depressivo perfezionista…”, fece Mac, cercando di passare dal serio al sarcasmo.
“E lo sai che Mac corre più veloce di me. Se mi raggiungesse con il suo cucchiaione da combattimento mi ucciderebbe…”, provò a dire Bill, sulla stessa scia di Mac.
“Rimane il fatto che la vostra amicizia è troppo ambigua.”, disse Tom, stemperando la sua arrabbiatura.
“Beh… forse sì…”, disse Mac, “Ma lui è il mio… cognato…”
“Non dire quella parola! Ti strozzo!”, si rivoltò Bill, puntandole contro il dito dell’accusa, “Lo sai che non lo sopporto!”
“Cognato! Cognato! Cognato!”, lo canzonava Mac, chiamandolo secondo il loro possibile grado di parentela.
A Tom venne da ridere, sbuffando. I due se ne accorsero e bloccarono la loro scenetta. Uno per parte, lo abbracciarono.
“Vuoi ripensare a quello che hai detto?”, gli domandò Mac.
“Beh… forse dopo un po’ di buon sesso…”, disse Tom
“Ma che schifo!”, esclamò Bill, staccandosi dall’abbraccio, “Tenetevele per voi queste cose! Ora sarò traumatizzato per il resto della mia vita…”

Sì… si era sbagliato… profondamente sbagliato. Pensava Tom.
Ma rimaneva il fatto che era geloso.
Geloso di Mac.
La loro amicizia, così forte, avrebbe continuato a dargli un po’ fastidio. Glielo sussurrava continuamente il diavoletto Tom con il forcone rosso che abitava dentro alla sua testa… anche se per il momento era l’unico ad essere cornuto…

 

***

 

“Fatto…”, disse Thiago, dopo l’ennesimo ritocco agli occhi di Mac. Non stava mai ferma, ogni volta le si sbaffava qualcosa quando la truccava.
“Vedere vedere vedere vedere!”, diceva lei, reclamando uno specchio.
“Momento!”, protestò l’altro, passandogliene uno con il manico.
“Mh… può andare.”, disse lei.
“Può andare?!? Può andare?!? Ho fatto un capolavoro e tu mi dici solo che può andare?!?”, si risentì l’altro.
“Non riesci a capire la sottigliezza della mia ironia…”, fece Mac, restituendogli lo specchio, “Sei diventato un uomo con il ciclo.”
“Cara mia bellissima…”, fece lui, mettendosi teatralmente una mano sul fianco e sventolandogli un dito davanti al naso, “Se  un giorno mi vedrai comprare degli assorbenti, sarò l’uomo più felice del mondo!”
“Oh gesù… senti cosa mi tocca ascoltare.”, esclamò Mac, toccandosi la fronte, “Mi è bastato vederti vestito da donna… a parte le gambe tagliate con l’accetta, potevi passare benissimo per una ragazza.”
“Cara, grazie per il complimento, ti sei ripresa all’ultimo momento.”, fece lui, dandole un abbraccino.
“Thiago! Rose!”, disse Tom, bussando alla porta della stanza di Thiago, dove c’era il convegno dei ristutturatori facciali, “Stiamo facendo tardi! E’ arrivata la limousine!”
“Tuo fratello si è chiuso in bagno, se non esce non partiamo!”, disse Thiago, infilando il cappuccio sulla sua matita per gli occhi, “Bill! Datti una mossa!”
“Un momento! Questo maledetto ciuffo…”, diceva l’altro.
“Sai qual è il migliore gel fissante del mondo?”, gli domandò Mac.
“No!”, esclamò Bill, aprendo la porta ed affacciandosi nella stanza, “Dimmelo subito e me lo farò mandare per corriere espresso!”
“Hai presente il film ‘Tutti pazzi per Mary’?”, gli fece Mac.
“Ah ah ah… simpatica… non userò i miei fluidi corporei per ingellarmi i capelli…”, disse Bill, facendole la linguaccia, “E comunque sono pronto, andiamo!”

 
Ecco la banda Kaulitz & company al completo.
Thiago era elegantissimo nel suo completo nero e nel suo dolcevita; aggiunse solo un tocco di classe gay con i suoi orecchini di brillanti: solo una piccola pietra, ma diceva tutto sul suo life style.
Capelli lisci e morbidi per Bill, che per l’occasione era tornato al suo nero, senza varie sfumature contrastanti, se non un velo di marrone scuro per dare qualche riflesso.
In aggiunta solo una lunga giacca di pelle nera, per Mac. L’aveva tanto invidiata a Bill, quando gliel’aveva vista indosso, così ne aveva comprata una del tutto identica alla sua, ma in versione un po’ più femminile. Si era fatta fare un po’ di boccoli per i suoi, tanto per rimediare al solito biondo liscio. Su invito di Thiago, mise un po’ in mostra la sua ‘mercanzia’, con grande soddisfazione di Tom.
Lui non poteva abbandonare il suo cappellino e, vista l’occasione, ne scelse uno nero, tanto per essere un pochino elegante, con le classiche NY sopra la visiera. Supplicato in contemporanea dalla sua ragazza, dal suo fratello e dal suo coinquilino stagionale gay, aveva indossato un maglione nero, simile a quello dell’intervista, che fosse tutt’altro che largo. Per rimediare alla ‘soffocatura’ di quel sopra un pochino troppo aderente, volle optare per i suoi pantaloni bracaloni. Ma non ci fu parola che teneva, preghiera che sciogliesse i loro cuori. Mac aveva frugato nell’armadio di suo fratello ed aveva trovato un bel paio di pantaloni neri, di jeans, strappati qua e là… e se li era dovuti mettere, volente o nolente. Come un manichino triste, Tom si guardava allo specchio. Beh, il risultato non era niente male, pensava, ma non gliela avrebbe data vinta!
“Vi abbiamo fatto aspettare molto?”, chiese Bill agli altri, una volta entrati nella limousine.
“Ma come siamo eleganti, signor Listing!”, esclamò Mac, vedendolo in completo giacca, camicia e pantaloni.
“Mi ci è voluto un po’ per convincerlo, l’ho ricattato ed ha funzionato!”, disse Jasmine, bellissima come sempre nella sua semplicità. Anche per lei un abbigliamento molto casual: pantaloni stretti che finivano dentro ad un paio di stivali, entrambi chiari, e piumino corto argenteo, che la riparava dal freddo.
“Mi hanno detto che ti sei presa una bella sbornia l’altra sera, vero?”, disse Gustav a Mac, con sguardo ammiccante.
“Zitto tu! Ssshh!”, fece lei, mettendosi il dito sulla bocca mentre si sistemava a sedere sul sedile.
“Wow! Sono troppo emozionato! Sono troppo emozionato!”, iniziò a sbraitare Thiago, che non si teneva più nella pelle per quella serata.
Eh sì, gli Emas erano arrivati.
Tre nomination: Best Rock, Best album, Best live performances…
E il Best fashion di  Thiago, ovviamente, come si poteva scordarlo? Sarebbe stato un delitto.
E la limousine partì.
“Dove le hai lasciate le piccine?”, chiese Mac a Jasmine, riferendosi alle sue due figliolette.
“A casa, con la baby sitter, che altro non è che mia madre.”, disse lei.
“Secondo te staranno bene?”, gli fece Georg, un pochino apprensivo.
“Certo che stanno bene, sono con mia madre!”
“La chiamiamo? Tanto per sentire se va tutto bene.”
“Georg… siamo partiti da mezz’ora…”, disse Jasmine, scocciata.
“Ma è sempre così fobico tuo marito?”, disse Tom, ridendo del suo amico. Già, da quando era diventato papà, il loro Georg era cambiato da un giorno all’altro. Stava sempre al telefono per sentire se era tutto a posto, era diventato una palla al piede. A meno che non avesse la famiglia tra i paraggi, era una ciminiera di preoccupazioni.
“Secondo me diventeranno delle paranoiche, quelle povere bambine.”, disse Gustav, “Stai sempre col fiato sul collo, hai paura di tutto!”
“Sì ma lo sai quanti sono all’anno i bambini che purtroppo muoiono per banalissimi incidenti?”, fece Georg, tirando fuori la sua solita teoria della disgrazia perpetua e meritandosi un ceffone sulla bocca da Jasmine, che oramai ne aveva fin sopra i capelli.
“Gesù, mi stanno sudando le ascelle.”, disse Thiago, iniziando a sventolarsi con le mani.
“Calmati Thi… calmati… siamo tutti eccitati per questa serata!”, fece Mac, “Pensa che io non avrei mai pensato di fare una cosa del genere!”
“Certo, perchè sei una provinciale! Tu non hai stile e non hai classe, non ti meriteresti un’opportunità del genere!”
“Ma è possibile che tu stia sempre a criticarmi!”, sbottò Mac, “Ogni cosa che dico sei sempre pronto a rimbeccarmi!”
“E’ su questo che si basa la nostra amicizia amore.”, fece lui, schioccandogli un bacio sulla guancia, “Tu fai la sfigata… io faccio la figata.”
“Com’è ovvio che sia.”, disse Tom.
“Non ti ci mettere anche tu!”, fece Mac, “Non vi coalizzate contro di me!”

 
La limousine si mise in coda… prima di scendere sul tappeto rosso c’era da aspettare.
“Oh mio dio! Oh mio dio! OH MIO DIO!”, iniziò strillare Thiago.
“Cavolo… sta andando in iperventilazione…”, sottolineò Gustav.
“Chiamate un ambulanza.”, disse Mac, svogliata.
“Sto per avere un attacco di cuore! Senti! Senti qua!”, ripeteva Thiago, prendendole la mano e mettendola sul suo petto.
“Gesù… senti che pettorali…”
“Davvero?!?”, esclamò l’altro, contento per il complimento.
“Ecco come calmare un Thiago in crisi respiratoria.”, fece lei, rivolgendosi a tutti i presenti come se fosse stata una professoressa di medicina, “Basta fargli notare quanto è bello. Non è vero Thiago?”
Lui si mise una mano sulla bocca civettuola e sorrise.
“Ecco, ci siamo. Vai tu per primo Thiago.”, disse Bill, dandogli una pacca di incoraggiamento sulla spalla.
Il ragazzo perse il suo solito colorito olivastro per diventare bianco come uno straccio per pavimenti.
“Hey… cos’hai?”, gli chiese Mac, preoccupandosi.
“Ho paura…”, rispose lui.
“Dai… scendi di lì e prenditi tutti gli applausi… te li meriti!”, gli disse lei, dandogli un pizzicotto sulla guancia. Poi gli prese entrambe le mani e, guardandolo dritto negli occhi gli disse:
“Ora fai un bel respiro e ripeti con me: sono la checca più checca che c’è.”
“Sono la checca più checca che c’è. Sono la checca più checca che c’è…”, prese a ripetere Thiago, respirando profondamente per ritrovare il suo karma.
“Ecco… ora scendi e spacca il culo a tutti!”, esclamò Mac.
La portiera della limousine si aprì e Thiago, uscendo fuori come una diva, iniziò a salutare tutti quelli al di là delle due transenne laterali, mandando baci ovunque come solo lui sapeva fare.
“Allora è fatto di carne… io pensavo fosse un alieno, sempre sicuro di sé, sempre perfetto…”, fece Gustav, stupito dal momento di debolezza di Thiago. Un gay tutto d’un pezzo.
“E’ donna dentro.”, disse Tom, e tutti annuirono per la sua affermazione.
“Avanti, tocca a noi!”, esclamò Bill, “Tutti fuori da qui!”
Uno per volta scesero Bill, seguito da Gustav, poi da Tom e Mac ed infine i due signori Listing. Superarono la prima ondata di fotografi e di ragazzi urlanti, accompagnati da vari addetti, furono introdotti nel vero red carpet, quello in cui tradizionalmente i vari vj internazionali di Mtv li avrebbero intervistati, prima di entrare al chiuso, dove lo show sarebbe iniziato. Meno male che non soffrivano di epilessia, pensò Mac, con tutti quei flash c’era da dare spettacolo tra convulsioni e bava alla bocca…
Rigorosamente in inglese da quel momento in poi, un coordinatore della passerella disse loro che il conduttore del pre show li avrebbe intervistati esattamente dopo trenta secondi.
“Voglio cronometrare.”, disse Tom.
“Ma smettila!”, fece Mac.
“Guarda che questi spaccano il secondo!”
Ed infatti, dopo ventinove secondi, il coordinatore li spinse davanti alla telecamera.
“Ed eccoli qua! Abbiamo alcuni tra i favoriti della serata! I Tokio Hotel! Giocate in casa vero?”, disse tutto d’un fiato il presentatore,  un ragazzo impomatato, in giacca e cravatta. Come normalità, era Bill ad avere il microfono in mano.
“Beh, sì, ovviamente giochiamo in casa, ma non credo che siamo comunque in posizione favorevole. Siamo in gara con dei grandi quindi… che vinca il migliore!”
“Sì certamente.”, disse il ragazzo, con poco interesse perchè già gli era scaduto il tempo per fare la prossima domanda, “Poco fa ho intervistato anche Thiago Ramirez, come va la vostra collaborazione televisiva?”
“Oh sì, molto bene, per adesso siamo in fase di stallo, ma penso che per gennaio torneremo a preparare gli episodi della terza serie.”, rispose Bill.
“Vedo che vi siete allargati quest’anno!”, sottolineò il ragazzo, riferendosi a Mac e Jasmine.
Tom prese il microfono e rispose.
“Sì, abbiamo deciso di avere con noi i nostri portafortuna. Speriamo di portarne a casa almeno uno tra i tre premi, visto che l’anno scorso siamo rimasti a bocca asciutta!”
“Molto bene, molto bene!”, disse il presentatore, prima di passare la linea al suo collega più avanti, che in contemporanea stava intervistando Thiago.
“Thiago Ramirez… spagnolo importato in Germania. Come ci si sente ad essere divisi tra due terre così diverse?”, gli domandò l’affascinante sorriso del ragazzo di colore che gli stava ponendo la domanda.
“Beh, la Spagna è la mia terra di nascita, devo tutto a Barcellona e alle sue Ramblas.”, rispose lui, con il suo solito accento spagnoleggiante, in inglese, “Ma qua in Germania ho trovato molte più cose da amare: gli amici, qualche fidanzato… e anche il cibo, sembrerà strano, ma abbandonerei le tortillas per i vostri wurstel!”
Il ragazzo sorrise, poi gli porse una seconda domanda, che riguardava il suo nuovo libro, in uscita nelle prossime settimane.
“Sì, si intitolerà ‘Essere etero in un mondo di gay’, perchè voglio sfatare il mito del mondo virile. Al giorno d’oggi non ci vuole Einstein né Garcia Lorca per capire che siamo tutti delle donne dentro! Anche tu, caro mio, che sei più truccato di me!”
L’intervistatore tornò a ridere, un pochino a denti stretti, imbarazzato, e ripassò la linea ad un altro suo collega. 
 

“Ma è tutto così frenetico qua?”, chiese Mac.
“Devi vedere dentro… in trenta secondi riescono a smontare un palco.”, disse Bill, che con il gruppo era al suo quinto Emas.
“Alla faccia… peggio delle termiti.”, disse Mac.
Lei, che era una fotografa professionista, non si era mai trovata ad affrontare un abbagliante squadra di suoi colleghi che, in simultanea con i loro flash, riuscivano ad illuminare le facce dei divi che camminavano davanti a loro.
“Per adesso non vedo nessuna faccia famosa…”, fece Tom, guardandosi intorno mentre davanti a loro i flash impazzavano.
“E dai… guarda e sorridi.”, gli disse Mac.
Tom l’abbracciò per i fianchi e le dette un bacio sulla guancia, facendola sorridere. I fotografi non facevano altro che gridare i nomi di tutti loro, per accaparrarsi uno scatto in cui guardassero dentro il loro obiettivo. Beh, era bello essere famosi, pensava Mac, farsi fotografare… anche se per lei queste cose avevano il tempo che trovavano. Domani sarebbe finito tutto.
Uno dei tanti coordinatori li invitò a spostarsi oltre, verso l’entrata del grande palazzo dove si sarebbe tenuto lo spettacolo. Senza che Mac se ne accorgesse veramente si trovò con un microfono in mano: furono dirottati verso un’altra telecamera, dove una ragazza con un delizioso vestito rosso li avrebbe intervistati brevemente di nuovo.
“La famiglia dei Tokio Hotel si è allargata!”, esclamò, guardando dentro l’obiettivo, “Sentiamo cosa hanno da dire a proposito! Mackenzie è la prima volta che sali su un red carpet di qualunque genere vero?”
“Beh… sì…”, fece lei, al microfono, un pochino imbarazzata. Poi sentì l’abbraccio di Tom farsi più stretto e gli sorrise.
“E come ci si stente a dividerlo con così tanta gente famosa?”, le chiese di nuovo lei, a raffica.
“A dire il vero mi sento come sempre… magari un pochino accecata da tutte queste luci!”, fece lei ridendo.
“Come festeggerete il dopo show? Siete stati invitati a qualche festa?”
“Non saprei.”, rispose Mac, guardando verso gli altri. Tom, accanto a lei, le prese il microfono e continuò.
“Ci hanno invitato ad una festa, sì, ma non mi ricordo chi l’ha organizzata.”
“Molto bene! Allora ci vediamo lì ragazzi!”, disse lei, salutandoli. Un altro addetto del red carpet si riprese il microfono e via, tutto si svolgeva così freneticamente che non c’era nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo. Mentre camminavano verso l’entrata, che sembrava essere la metà più ambita da tutti loro, furono fermati un’altra volta. Di nuovo il microfono in mano a Mac che, nonostante fosse in mezzo ai suoi amici, tra Tom e Bill, e di laterale ci fossero Gustav accanto a Bill e Georg dall’altra parte con Jasmine, doveva ispirare molta simpatia ai microfonisti.
“La prossima volta glielo tiro in testa!”, esclamò, prima che sulla telecamera comparisse il cosiddetto pallino rosso della registrazione. Anche stavolta un ragazzo ingellato fino all’osso porgeva loro frettolose domande.
“Leggo che siete stati nominati per Best rock, Best album e Best live performances. Ben tre nomination, volete fare una scorta di premi?”

 
“Gesù… ce l’abbiamo fatta…”, fece Mac, una volta che ebbe messo piede dentro al grandissimo salone in cui, nel giro di mezz’ora, sarebbe iniziato lo spettacolo. Non poteva vedere molto, tutto era quasi nella penombra, per lasciare che il palco si rivelasse solo all’inizio dello show. Quasi strattonati, furono portati alle loro postazioni. L’area ‘vip da premiare’ si trovava vicino ad una pedana molto rialzata, dove appunto sarebbero stati annunciati i vincitori.
Già molti altri volti noti erano seduti intorno a loro, ma Mac non si soffermò molto sulle loro facce. Erano tutti un pochino snob, molto sulle sue… Si tolse il lungo giaccone di pelle e si meravigliò del caldo che sentiva: in un salone immenso come quello, dovevano esserci centinaia di condizionatori accesi per fare tutto quel riscaldamento! Alla faccia del buco nell’ozono.
“Dov’è Thiago?”, chiese a Tom, che si stava sedendo accanto a lei. Erano stati sistemati molto vicino alle scalette della pedana delle premiazioni: il posto di Tom era il primo, vicino alla piccola passerella che divideva qua e là le poltroncine, messe sfalzate come le gradinate di uno stadio. Accanto a lui Mac, poi Bill, Gustav, Georg e Jasmine… poi di nuovo un’altra piccola passerella. Non c’era un posto per lui, lo voleva accanto, più di qualsiasi altra persona.
“Non lo vedo.”, fece lui, alzandosi e mettendosi a guardare qua e là.
“Cazzo… io volevo sedermi accanto a lui!”, disse Mac, imbronciandosi come una bambina insoddisfatta.
“Credo sia in ottima compagnia…”, le disse poi, individuandolo tra gli altri vip seduti, ed indicandoglielo.
Se ne stava seduto accanto ad una ragazza, non la conoscevano, ma i due stavano chiacchierando con molta animosità, ridendo e gesticolando.
“Beh… si è fatto una nuova amica, a quanto pare.”, disse Bill, voltandosi incuriosito dallo sguardo di entrambi, puntato in alto, alle loro spalle.
“Già...”, disse Mac, solo un pochino delusa.
Sperando che lui la vedesse, lo salutò con un gesto rapido della mano, e fu accontentata, perchè Thiago le mandò un bacio. Si sedette ed attese, insieme a tutti gli altri, con trepidazione, l’inizio dello show.
“Chissà chi si siederà davanti a noi.”, disse Bill.
“O anche dietro…”, fece Mac, “Mi piacerebbe trovarmi con qualcuno che faccia musica che mi piace.”
Altro suo desiderio esaudito. Tom vide la faccia della sua ragazza sbiancarsi all’improvviso e si preoccupò. Il suo sorriso scomparve, diventando una specie di smorfia antropomorfa di stupore, misto quasi a paura.
“Hey! Che c’è? Visto un morto?”, le domandò.
“Oh mio dio…”, disse lei, guardando fissa a qualche metro alla sua destra. C’era un signore, con un completo grigio ed i capelli evidentemente un po’ troppo tinti di nero. Si teneva le mani nelle tasche dei pantaloni e sembrava attendere che qualcuno gli dicesse dove sistemarsi.
“Ma che hai? Chi è quello che stai fissando?”, le fece.
Lei lo guardò straniata, come se avesse detto la stupidaggine più stupida del mondo.
“Non sai che è quello? Non sai chi è quello?”, gli domandò.
“No, dovrei?”, fece lui.
“Dio mio Tom… è il chitarrista dei chitarristi, è colui che suona una chitarra a dodici corde senza sbagliare un colpo… colui che ha scritto alcune delle canzoni più belle di questo mondo… ma tu ti fotti il cervello con Sabry Deflux…”, disse lei.
“Sammy Delux, Rose… Sammy Delux…”, disse lui, come altre migliaia di volte, quando lei storpiava il nome di uno dei suoi cantanti preferiti.
“Sì, vabbè, lui… Non sai proprio chi è?”
“No…”, disse lui, quasi scocciato.
“Deficiente… è Jimmy Page.”, disse Bill, sconsolato dall’ignoranza del fratello.
“Fatti tuoi, eh?”, gli rispose Tom, infastidito dalla sua intromissione, “E poi chi è questo Jimmy Page.”
Mac, a bocca aperta, era indecisa se strozzarlo oppure se perdonarlo perchè gli ignoranti erano causati dalle falle nel sistema educativo.
“E’ il chitarrista dei Led Zeppelin… uno dei miei gruppi preferiti…”, rivelò alla fine Mac.
“Ah… quelli di ‘Smoke on the water’?”, domandò lui, avendo capito più o meno di chi si trattava.
Bill, prontamente, allungò la mano e gli dette una pacca sulla testa.
“Eresia!”, esclamò “Confondi i Deep  Purple e i Led Zeppelin!”, gli disse, “E’ come dire che i Beatles e i Rolling Stones sono gli stessi!”
“Già. E’ come dire che Sabry Deflux è uguale a… a…”, provò a dire Mac, cercando una similitudine che potesse fargli capire al gravità della sua affermazione.
“Che è uguale a Britney Spears.”, concluse Bill, che conosceva meglio le preferenze musicali di suo fratello.
“Ah… ho detto una cazzata allora, scusatemi.”, fece Tom, riconoscendo il suo madornale errore, “Ma davvero questo tipo suona chitarre a dodici corde?”
“Certo che sì. Sei un chitarrista e non lo conosci… mah, questi giovani di oggi.”, disse Mac, dandogli un bacio sulle labbra, quasi sfiorato, per dirgli che, anche se aveva commesso sacrilegio, lo aveva perdonato.
“Stai bene stasera.”, gli disse poi, passandogli un dito sul profilo del suo naso.
“Dici sul serio? Mi sembro un acciuga con questi vestiti.”, fece lui, aggiustandosi il collo alto del maglione.
“Davvero… meglio dei tuoi soliti extra abiti, te l’ho sempre detto.”
“Beh… anche tu stai bene. Molto bene. Benone. Da favola.”, le disse, sussurrandoglielo in un orecchio, e facendola sorridere maliziosa, “Mi verrebbero in mente un paio di cose divertenti da fare.”
“Ah sì?”
“Sì… potrei anche spiegartele adesso…”
“Meglio di no… mi faresti diventare viola…”, disse Mac.
“Ma se ci allontanassimo un attimo?”, le propose lui, che oramai aveva la ferma convinzione che non voleva fare altro che del cosiddetto ‘buon sesso selvaggio’.
“Beh… ne parliamo quando finisce tutto, va bene?”, disse lei, baciandolo.
“Mh… non sono molto d’accordo. Meglio adesso.”
“No, Kaulitz… ora no.”, fece lei, sicura. Non che le dispiacesse seguirlo da qualche parte e fare sesso… ma proprio era meglio rimandare ad ora da destinarsi. 
 



Capitolo di stallo… mi dispiace che non sia successo molto, ma con tutto quello che è capitato nell’altro capitolo!!! Eh, accontentatevi! XDD  La manifestazione Emas non è stata utilizzata per scopi di lucro.

CowgirlSara: come ti ho già detto su msn... cavolo, ti ho già detto tutto su msn! Manca il solito ma indispensabilissimo grazie forse???

Alanadepp: innanzitutto, salutami riccy, non lo conosco, mai l'ho visto ma mi sta simpatico... e poi gli devo chiedere se questi pantaloni mi stanno bene XDDD e poi ti rigrazio di cuore come sempre!!! ci sentiamo su msn!!!

Sososisu: (cartello: polly ti adoro!) la gelosia, più la scacci e più l'avrai... così cantava celentano... e ora che ci penso ti ho anche dato un piccolissimo indizio per il prossimo capitolo! beh, questo è di stallo, è la chiave di volta della storia... basta, ho già detto troppo! eh, nemmeno io so da che parte stare, ognuno ha le sue ragioni per un verso o per un altro, ed ognuno ha anche le sue colpe. di certo mac non è una santa, anzi, è una tontarellona. meno male che ci sono bill e thiago ad imboccare quei due scemi!

Gufo: chi è sta trina??? ora lo voglio sapere! XDD eh, ma la mia specialità è lasciare i capitoli nel punto migliore... sennò la vostra fantasia si ammoscia!!! scusa se in questo capitolo non succede molto... ma prometto che dal prossimo saranno fuochi d'artificio!

Picchia: beh, io non fumo, ma ho un tasso di sopportazione dell'alcol molto basso, come mac... non penso che mi aiuterà con lo studio!!! XDDD scrivo tanto, lo so, che ci posso fare, è la mia passione!!!

Anna9223: tieniti le lacrime per il prossimo capitolo... e ho detto tutto! zip! mi sono chiusa la bocca!

Starfi: non mi toccare jean claude!!!! è il mio amante segreto!!! eh, povera mac, di certo non lo pensava veramente di amare bill, tutt'altro, ma sai l'alcol fa fare dei ragionamenti moooooooolto strani...

SweetPissy:  davvero hai visto una mac in carne ed ossa? wow, mi piacerebbe vederla anche a me! (ps: di solito per vederla mi guardo allo specchio! mmmmhhhh! che vanitosa che sono XD) l'elmetto mettitelo nel prossimo capitolo...

Sarakey: nono, ho sempre detto che non voglio avere persone sulla coscienza XDD eh, tom pensieroso... vedrai nei prossimi capitoli, sono sicura che lo definirai... un masturbatore mentale! per non dire di peggio...

Ruka88: brava, proprio brava, il te pareva iniziale della tua recensione ha riassunto in due semplici parole tutta questa storia, che è un te pareva in continua evoluzione! brava, è stata la recensione più azzeccata di tutte! XDD

Come ho già detto l'altra volta... lucidatevi gli occhi per il prossimo capitolo... gneck gneck gnek, quanto sono diabolica...

E buon fine settimana a tutte voi!

RubyChubb

 

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Capitolo 8
*** Magnets ***


In questo capitolo riprendo una metafora che ho già utilizzato in ‘between hate and pain’… spero che me la passerete…

 

8. MAGNETS

 

Presentatore della serata, o meglio, presentatrice della serata, era un’attrice molto conosciuta in Germania, sua terra natia, ma anche negli States, dove lavorava. Era Franka Potente, un’esile ragazza che pareva cadere in terra ad ogni passo.
“Secondo me è troppo secca.”, disse Mac a Bill, “Guarda! Le passa un treno tra le gambe!”
“Devo aver letto da qualche parte che sta soffrendo di qualche disturbo alimentare…”, disse Bill, con fare da sapientone.
Tom, che aveva tentato di interessarsi a tutti i piccoli commenti cattivi che uscivano dalle bocche di Bill e di Mac, si stava annoiando sulla sua poltroncina. Beh, lo spettacolo era interessante, ma tutti gli anni era uguale. Era già passato il primo premio, il Best rock, ma non lo avevano vinto loro. Era andato invece ai Christine, un gruppo inglese di punk rock che era sorto sulle scene musicali tre anni prima, con una hit che aveva fracassato il cervello a tutti quelli che ascoltavano la radio, e di cui non si ricordava il nome. Ne rimanevano due, ma era propenso a pensare che, anche questo anno, non ne avrebbero portato a casa nemmeno uno. Era un presentimento, niente di che…
Mordicchiandosi il pollice destro, si mise a dare un’occhiata in giro, alle poltroncine più basse della sua. Nessuno di interessante, pensava, nessuno. Non che lui fosse interessante agli occhi degli altri, lo sapeva.
Un occhio qua e un occhio là, scrutava le teste famose, mentre Franka annunciava il Best Fashion award e chiamava sul palco Thiago. Un coro di fischi e di incitazioni vari partirono dai suoi amici, soprattutto da Mac, mentre tutto il resto del pubblico si limitava ad applausi generici.
“Ehm… buonasera a tutti!”, disse Thiago, ovviamente in inglese. Si vedeva che era lievemente in confusione, era la prima volta per lui su un palco, soprattutto davanti a diversi occhi famosi che lo scrutavano. Iniziò a leggere il gobbo, come da copione per tutti coloro che presentavano i premi.
“Il Best Fashion award è stato istituito quest’anno per premiare le migliori tendenze, i migliori vestiti delle nostre star…”, lesse, poi si bloccò, stropicciando gli occhi.
Il pubblicò iniziò a mormorare, chiedendosi cosa stesse facendo.
“Dai, ragazzi, non potete farmi leggere quelle cose… così mi costringete a mettermi gli occhiali e a sfigurarmi!”, esclamò, mettendosi le mani sui fianchi, “Non voglio sembrare vecchio prima del previsto…”
 Il pubblico rise alla sua battuta ed anche Tom lo fece, pensando che quel ragazzo doveva sempre distinguersi, anche se non era il primo che si discostava completamente dal copione. I suoi occhi si distrassero di nuovo, lasciando che il suo amico presentasse i nominati.
Qualcosa lo attrasse, alla sua destra. Un paio di sandali, cinque piccole dita smaltate di rosso, i lacci che cingevano i polpacci lievemente muscolosi. L’orlo di uno vestito bordeaux… uno scollo profondo, un bel paio di tette… una bella bocca rossa. Occhi castani e capelli biondi arricciati. Insomma, un bel pezzo di…
“Kaulitz… hai intenzione di perdere un paio di denti oppure di perdere l’uno di un braccio?”, lo minacciò Mac, accortasi del suo troppo vagare con lo sguardo.
“Guardare e non toccare.”, rispose lui.
“No, sbagliato, non guardare, non toccare, non parlare, non pensare.”, disse lei, elencando i sacri comandamenti sulla punta delle dita.
“Quanto sei severa!”, esclamò lui, “Cosa ho fatto di male?”
Lo sguardo di Mac non aveva bisogno di spiegazioni, ma lei comunque gliele fornì senza peli sulla lingua.
“Cioè, fammi capire bene, tu te ne stai quasi due giorni a mettermi il muso per una stupida gelosia e poi io, che ti becco a fare la radiografia alla prima modella che te le fa annusare, devo chiudere un occhio e via?”
“Non ho fatto niente di male… io…”, disse Tom, sottolineando quell’io.
“E perchè? Io ho fatto qualcosa di cui possa pentirmi?”
“A dire il vero no…”, provò a dire l’altro, ma fu prontamente interrotto da Mac.
Gli occhi di Mac si spalancarono per dirgli: “E allora?”
“E allora un cazzo.”, disse Tom, chiudendo la conversazione.
Che palle.
Non si poteva nemmeno guardare.
Guardare e basta.
Un breve sguardo di comprensione tra lei e Bill.
Che palle, sempre loro due.
Bill si alzò e fece a cambio di posto con Gustav, che non comprese il perchè di quella sua richiesta ma si mise volentieri accanto a Mac perchè Georg e le sue preoccupazioni paterne gli avevano fatto venire il latte ai… ciglioni, per non essere volgare.
“Così va bene?”, gli chiese Bill, stufatosi.
“Fanculo.”, disse Tom, alzandosi ed andando via. Basta, basta, basta… fanculo.
“E il Best Fashion award va a… Carla Bruni!”, disse Thiago.
Mac osservò Tom allontanarsi… Sospirò, appoggiando la testa sulla mano, ferma col gomito sul bracciolo della sua poltroncina. Si chiese cosa stesse facendo di sbagliato, nella sua dannata vita.
La ex modella, adesso cantante, salì con eleganza le scalette e ritirò il suo premio, dopo alcuni brevi ringraziamenti.  

“Dove cazzo è andato Tom…”, disse Gustav a denti e pugni stretti.
“Provo a chiamarlo da dieci minuti ma non risponde.”, disse Bill, chiudendo di nuovo il suo telefono per interrompere il tentativo di chiamata.
“Tra poco danno il Best live performances… non ti dico che sicuramente vinciamo, ma se succedesse, mi piacerebbe andarci insieme a lui sul palco!”, disse Georg, che per un momento aveva abbandonato le figlie per preoccuparsi per lui.
“Io non vado a cercarlo.”, disse Mac, “Mi sono rotta le palle. Se li risolva da solo i suoi problemi, io non ne ho.”
“No, non devi. Se non si fa vedere tra trenta secondi ti giuro che lo prendo a calci in culo.”, fece Bill, che proprio ne aveva fin sopra ai capelli dell’atteggiamento arrogante del fratello. Lo aveva sempre fatto: se aveva un problema, prendeva e se ne andava. E quando si ripresentava, non aveva mai una buona scusa per il suo comportamento.
“Calmati Bill, calmati.”, disse Tom, sedendosi al suo posto.
“Ma dove sei stato!”, fece Mac, arrabbiata, “Ti sembra giusto che ogni volta te ne vai per fatti tuoi lasciandoci sempre a preoccuparci per te.”
“Guarda che come sono tornato posso anche andarmene di nuovo.”, fece lui, con sguardo di sfida.
“Tranquillo, sono io che me ne vado. Così non rischio più di farti scappare via come un bambino viziato.”, disse Mac, alzandosi e prendendo il suo cappotto. Sotto gli occhi dei suoi amici, ma anche delle altre persone sedute vicino a loro, lo indossò e, frettolosamente, uscì dalla sua fila di poltroncine.
Anche i suoi occhi caddero su quel paio di sandali e scorsero lungo la gamba, il vestito bordeaux e le labbra carnose. La ragazza la squadrò alla sua volta e le lanciò un sorrissetto sprezzante. Mac la ignorò e, velocemente, salì le scalette.
Gli occhi di Tom, invece, si scontrarono con quelli di Bill, che lo guardavano con rabbia. Era come una duello: Tom lo guardava per vedere se si sarebbe alzato per andare a fermarla. Bill ricambiava, chiedendosi come mai suo fratello fosse diventato così maledettamente ottuso. Rimase al suo posto, cercando di spegnere la collera che fomentava in lui. Appena ne avesse avuto l’occasione, lo avrebbe preso in disparte. Una bella strigliata di capelli non gliel’avrebbe levata nessuno.
Il premio Best live performances era presentato da uno dei chitarristi più famoso del mondo, e prima da loro verbalmente conteso, Jimmy Page. Fu di poche parole, lesse cosa c’era scritto sul gobbo e, quasi svogliatamente, presentò i cantanti ed i gruppi in lizza. Insieme a loro, c’erano i My Chemical Romances, i Foo Fighters, Mika ed i White Stripes… insomma, c’erano poche chances di vincere, erano tutti dei grandi. Ma ritirarlo da un grande come lui, si dissero contemporaneamente Bill, Georg e Gustav, sarebbe stata una soddisfazione bellissima.
Bill incrociò le dita.
Georg incrociò le dita.
Gustav incrociò le dita.
Jasmine incrociò le dita.
Thiago incrociò le dita.
Mac spense la sigaretta che si era appena fumata, calpestandola con la punta del suo stivale destro. Aveva trovato un’uscita secondaria che portava su una scala antincendio.
Tom fece cadere la coda del suo occhi destro su quel paio di sandali, ricambiando l’occhiolino appena accennato fattogli dalla bionda con un leggero sorriso, espresso solo dall’angolo della sua bocca.
“E il premio va a…”, disse Jimmy, aprendo la busta.
Bill chiuse gli occhi.
Gustav iniziò a mormorare: ‘a noi, a noi, a noi…’
Georg strinse la mano di Jasmine, che stava ormai perdendo sensibilità alle dita.
Mac si affacciò dentro il salone, manifestando scarsa curiosità all’esterno, ma una grande voglia di sentire il nome Tokio Hotel uscire dalle labbra del suo mito.
Tom ricevette con soddisfazione un ammiccamento dalla bionda.
“Ai White Stripes.”, disse Jimmy. I due fratelli delle strisce bianche balzarono sulle loro poltroncine ma, con molta storicità, andarono sul podio, quasi indifferenti.
 

Lo show andò avanti, con o senza premi. Ci furono un paio di esibizioni, ma il morale era basso. Insomma, perdere non era certo una soddisfazione per nessuno, ma ottimisticamente c’era il prossimo anno, con il prossimo album avrebbero vinto sicuramente qualcosa. Non era il caso di fare scenate da divi sul viale del tramonto, anche perchè loro non lo stavano percorrendo affatto. Era meglio recuperare la situazione, si disse Bill. Era mezz’ora che Mac non si faceva vedere e Tom non sembrava essere molto interessato a cosa stesse facendo. Pareva più interessato a qualcun altro, o meglio, a qualcun’altra. Avrebbe voluto prenderlo per i capelli e trascinarlo fuori per dargli un pugno sul naso… era sicuro che lo stava facendo solamente per ripicca.
Bill prese il suo cellulare, selezionò il numero di Mac e le spedì un sms.
Dove sei?
Tranquillo, sto bene.’, rispose lei, dopo qualche minuto.
Bene… ma dove sei?
Fuori.
Sola?
No c’è un tuo amico a farmi compagnia.’
Chi?’
‘Bill Kaulitz, lo conosci?’
Sì, gran bel figo.’
‘Modesto soprattutto.’
‘Dai, dimmi dove sei’
‘Sono nella limo. Mi sto perdendo niente?’

Bill riflettè un attimo sulla risposta. Poteva dirle che Tom stava facendo l’idiota, ma non era il caso che lei lo sapesse per sms.
No… non abbiamo vinto
Lo so e ne sono contenta.
Bitch!
Thank you’
Chiuse il telefono. L’importante era sapere che non aveva preso decisioni troppo impulsive. Si sarebbero ritrovati tutti nella limousine… poi ne sarebbero successe delle belle.

 

Mac si era distesa sul sedile parallelo alla fiancata della limousine e si era evidentemente addormentata. Lì, da sola, chiusa dentro, cosa poteva fare se non appisolarsi? Era da più di un’ora che se ne stava lì e, presa da un po’ di sonnolenza, si era assopita. Quando gli altri vi salirono sopra, uno per volta, fecero dondolare il veicolo e lei fu svegliata.
“Cavolo… ma riesci proprio ad addormentarti ovunque!”, esclamò Gustav, che si ricordava di essersela tenuta un tragitto intero dormiente sulla sua spalla.
“Beh… se nessuno mi disturba sì…”, fece lei, stropicciandosi gli occhi, quando si fu rimessa a sedere.
“No! Fermati all’istante sciagurata!”, fece Thiago, vedendola compiere quel gesto, “Ti stai distruggendo il trucco!”
“Già…”, fece Mac, guardandosi le mani completamente sporche di mascara e di matita.
“Un panda! Sembri un panda!”, iniziò a prenderla in giro Bill, indicandola e ridendo come un pazzo.
“Dai… ti sembra giusto prendere in giro una povera indifesa?”, disse Tom, entrando dentro la limousine.
Il silenzio cadde tra di loro, come se avesse detto qualcosa di inappropriato. In effetti, niente di male era uscito dalla sua bocca, solo che erano raggelati dallo sguardo che Mac gli aveva lanciato. In contemporanea, anche gli altri lo avevano guardato male, facendogli pesare il suo comportamento cretino.
“Ok...”, disse, mettendosi a sedere di fronte a Mac, “Ho sbagliato, scusami, mi sono fatto prendere da…”
“Dai… lascia perdere.”, rispose lei, rassegnatasi all’evidenza del fatto che Tom non si era fatto passare la sua stupida gelosia. Incrociò le braccia e guardò altrove.
Era stufa, tremendamente stufa.
Non ne poteva più, tutto stava iniziando ad andare a rotoli.
Non era più possibile riprendere in mano una situazione che era sfuggita ad entrambi.
O manteneva la sua relazione con Tom, lasciando la sua amicizia con Bill…
O viceversa.
Ma era come chiederle di rompere i legami che aveva con Thiago.
La stessa identica cosa.
Non si poteva mandare a quel paese un’amicizia.
Come non si poteva mandare a quel paese la loro storia.
Eppure una delle due doveva prendere quel brutto destino, contro la sua volontà. Messa di fronte all’ottusità di Tom, Mac doveva prendere una scelta.
Era inutile dire che avrebbe scelto lui… ma non ne era più così tanto sicura. Si chiedeva come poteva evolversi una relazione come la loro.
Analizzandola dall’esterno, era una relazione destinata ad auto distruggersi, bisognava dirlo. Era sempre stata segnata da un certo livello di animosità tra i due: bastava ricordarsi che non erano riusciti a dirsi che si piacevano a vicenda, lasciando passare un anno interno da un incontro ad un altro. E come si erano salutati? Con una litigata.
Che cosa era successo dopo il loro primo bacio? Una litigata.
Baciandosi erano saliti al piano superiore, nella sua camera. Avevano iniziato a togliersi i vestiti, presi da un impeto passionale, prima represso dal loro stupido orgoglio. Poi Mac aveva bloccato tutto, dicendo che era troppo presto, che rischiavano di partire con il passo sbagliato. Allorché Tom aveva insistito, causando la sua reazione negativa, cioè uno schiaffo mollato in pieno viso. Lui si era arrabbiato, dicendole che ‘cavolo, abbiamo aspettato quanto, un anno, per baciarci, adesso vuoi dirmi che non possiamo nemmeno fare sesso?’ e lei gli aveva dato del ‘pervertitostupidomaialedeficienteidiotacretino’, ed un altro schiaffo.
Se ad un analista fosse stata sottoposta a giudizio la loro relazione, non poteva altro che dire che solo due malati mentali potevano portarla avanti, senza conseguenze sul piano emotivo.
Per poi non parlare di quella volta che lo aveva beccato a baciarsi con un’altra. Non era gelosa Mac, affatto, era una che credeva nella fiducia come una delle basi fondamentali di una relazione. Anche se Tom aveva un passato da ‘donnaiolo’, si fidava di lui e le ci era voluto un grande sforzo per riuscire a perdonarlo… e le centoventicinque rose che lui le aveva mandato… e le suppliche di Bill, ecco, quelle erano state importanti, perchè lei non credeva più nelle parole di Tom. Eppure gli aveva dato una seconda possibilità.
Continuare?
Oppure interrompere?
Al solo pensiero a Mac veniva da piangere. Infatti, una lacrima cadde dai suoi occhi. Ma era a testa bassa, non la vide nessuno tranne Thiago, che però non proferì parola. Non sapeva cosa era successo, era stato lontano da loro per tutte le premiazioni, ma non gli ci voleva molto per capire cosa stesse passando per la testa di Mac. La conosceva meglio delle sue tasche. Quando, qualche giorno prima, Bill gli aveva detto, davanti al computer, di quella conversazione fatta con Tom, comprese. Non ne aveva fatto parola con Mac, aveva capito che lei non voleva parlarne, altrimenti sarebbe stata lei ad entrare nel discorso. Eppure sapeva cosa stava provando, glielo leggeva in faccia e gli si spezzava il cuore.
Gli pareva di leggerle nella mente: era sicuro che stesse pensando qualcosa di brutto, che stesse rivalutando la sua relazione con Tom…  avrebbe voluto sedersi accanto a lei, ma Mac non sembrava voler far notare a nessuno il suo malessere interiore.
Georg e Gustav chiacchieravano, discutendo di come si erano fatti soffiare sotto il naso tre premiazioni. Jasmine si stava annoiando, guardando fuori dal finestrino. Tom sembrava interessato al suo cellulare. Bill si stava mordicchiando le unghie, i suoi occhi erano distratti dalle luci esterne.

 

La limousine si fermò sul retro del locale in cui si sarebbe tenuta la festa, alla quale erano stati invitati. Georg e Jasmine vollero essere riaccompagnati a casa, era troppo tardi per loro e non volevano comunque concludere la serata in un locale con musica a tutto volume ed alcol. Gli altri, invece, entrarono silenziosamente.
“Scusatemi, devo montare l’impalcatura per ristrutturare questo palazzo crollato.”, disse Thiago, prendendo Mac per mano, “Arriviamo subito, non voglio che la scambino per un esemplare di panda pandorum in estinzione.”
Gli altri annuirono e, ingannati dal sorriso di Mac che era nato dopo le parole ‘panda pandorum’ di Thiago, si lasciarono i due alle spalle.
“Vieni qua, stupidina.”, le disse, prendendola per la faccia, “Meno male che ho pensato a portarmi dietro tutto l’occorrente per restaurarti.”
Tornò velocemente verso la limousine, per prendere una borsetta dove aveva messo alcuni trucchi, per rimediare a quelle eventualità. Lei lo aspettò, mettendosi le mani dietro alla schiena ed iniziando a dondolarsi qua e là come una bambina.
“Non potrò fare un buon lavoro se non stai ferma!”, la rimproverò lui, mentre versava un pochino di lozione struccante su un batuffolo di cotone.
“Certo mamma…”, rispose lei, con voce piccola.
“Sei sempre la solita, lo sapevo che ti dimenticavi di essere truccata e finivi per distruggere tutto!”
“Vuoi che mi ciucci il dito?”, disse Mac, infilandosi il pollice in bocca.
“Se serve per farti stare zitta!”, sbottò l’altro, “A proposito… che ti è passato per la mente prima? Non vorrai mica lasciarlo?”
Mac, presa in contropiede dall’amico, sentì il suo sorriso trasformarsi in una smorfia triste ed i suoi occhi inumidirsi di nuovo. Al che si discostò dal tocco struccante dell’amico e si appoggiò al cofano di una macchina, una fuoriserie che apparteneva sicuramente a qualcuno che si stava divertendo dentro al locale.
“Thi… che palle questa vita…”, disse lei, “Ogni giorno è una lotta continua… ogni giorno devo far fronte a cose che non ho valutato, a problemi che non volevo… a situazioni che non posso controllare…”
Lui le andò accanto, abbracciandola con tenerezza.
“Mackenzie…”, le disse, chiamandola col suo nome per intero, come faceva solo quelle volte in cui abbandonava il suo essere teatralmente scenico, per diventare la persona normale, fragile e sola quale si sentiva, a dispetto di quello che tutti pensavano.
“Thiago…”
“Lo stai facendo perchè non lo ami più? Oppure lo ami ancora… ma non vuoi più soffrire?”
Lui lo guardò. La risposta era evidente.
“Te l’ho detto sin dal primo momento che questa vostra storia non sarebbe stata facile da gestire.”, disse lui. Era serio, faceva paura. Lo era stato poche altre volte nella sua vita.
“Siete due persone che non sarebbero destinate su questa terra a stare insieme.”, disse.
“Lo so.”
“Lo sapete.”, la corresse lui. Anche Tom ne era consapevole.
“E allora?”
Lui sciolse il suo abbraccio, la prese per le spalle e la guardò profondamente negli occhi.
“Passami questo esempio.”
“Dimmi.”
“Hai presente una calamita?”, disse lui.
“Sì…”, fece Mac, perplessa.
“Una calamita è composta da un polo positivo ed uno negativo. Un polo rosso ed uno blu, come in quella che comprai quando avevo sette anni.”
“Non ti seguo.”, disse Mac.
“Fammi finire. Come tu sai, perchè non ci vuole una laurea, basta una licenza di scuola elementare, solo due poli opposti possono attrarsi. Solo positivo con negativo.”
“No, per piacere.”, si oppose Mac, “Non rifilarmi la storia degli opposti che si attraggono.”
“Tranquilla, non voglio arrivare a quel luogo comune.”, la tranquillizzò lui, “Devi solo farmi finire.”
“Ok…”, disse lei, sbuffando.
“Se provi ad accostare due poli negativi, o due poli positivi, questi si respingeranno.”
“Buono a sapersi!”, esclamò Mac, beccandosi una pacca sulla bocca.
“Ti avevo avvertita…”, disse l’altro, sgridandola con il dito accusatorio puntato sul naso, “Dicevo: due poli uguali si respingono. Allora tu penserai: ma perchè Thiago non dividiamo romanticamente una calamita in due, per separare così i due poli e farne due, cosicché non ci saranno più poli che si respingono?”
Lui fece una pausa, come per attendere una risposta sarcastica da parte dell’amica, che però non sopraggiunse.
“E io ti risponderò: no, cara Mac, non si possono separare i due poli di una calamita. Comunque tu la dividerai, le sue parti più piccole avranno sempre i due poli… positivo e negativo… Puoi dividerla all’infinito, ma sarà sempre così.”
“Quindi?”, fece Mac, che ancora non capiva.
“Vuoi due siete i due poli della stessa calamita. Comunque il destino deciderà di dividervi, voi farete sempre parte della stessa calamita. Polo positivo, polo negativo. Imprescindibili, indivisibili. Anche se vi lascerete, in un modo o nell’altro, per un motivo per un altro, vi sfido entrambi a non trovarvi a pensarvi ancora, anche dopo dieci anni.”
Mac sorrise, poi si fermò a riflettere.
“Thi…”, disse, “Hai cercato di rifilarmi la solita storia dei poli che si attraggono o sbaglio?”
“Mannaggia Mac!”, esclamò l’altro, indignato, “Trovo una prosa fantastica per descrivere la tua storia con Tom e tu me la riduci ad una banalità da romanzi d’appendice? Io ti odio!”
“Sarà meglio andare dentro… .”, fece Mac.
“Fermati, così sembri Freddy Kruger al suo primo ballo studentesco! Fatti rifare il trucco…”, ribattè lui.
“Ok… ripensandoci la tua teoria della calamita fa acqua da tutte le parti…”
“Signore Dio ti prego… falle venire un crampo alla lingua.”, disse Thiago, volgendo lo sguardo al cielo in supplica.

 

Appena la sexy cameriera in provocante mini maglietta indicò loro quale fosse stato il loro tavolo, Bill chiese a Tom se poteva parlargli, in disparte.
“Bill, ti prego, lo so. Ho sbagliato, non menarmela ancora.”, disse, scocciato dalle continue intromissioni del fratello nella sua vita privata.
“No, te la voglio menare perchè ti stai comportando irrazionalmente.”, disse lui, prendendolo per un braccio e portandolo verso quelli che sembravano i bagni del locale. Fu molto discreto, ad uno occhio sconosciuto sembrava quasi che lo stesse accompagnando da qualche parte, ma la presa di Bill era forte abbastanza da contrastare ogni tentativo di resistenza di suo fratello.
“Perchè le stai facendo questo?”, gli chiese, davanti alle porte dei bagni degli uomini.
“Io non sto facendo niente di niente.”, rispose Tom, liberandosi con uno strattone dalla mano del fratello.
“Perchè continui ad essere geloso di noi? Non è bastato guardarti negli occhi e dirti che ti stavi sbagliando? Dobbiamo metterlo per iscritto davanti ad un notaio?”
“Basta, finiscila, questa conversazione è tendenziosa.”, rispose l’altro.
“Tendenziosa?!? Sai almeno cosa vuol dire?”, sbottò Bill.
“Vuol dire che non è obiettiva. Stai basando la tua posizione sul fatto che, per caso, in un momento di distrazione, ho posato gli occhi su un’altra ragazza. Ho posato, non ho detto che mi sono messo a fissarla e a mandarle segni d’amore come tu stai pensando.”
“Ah no?”
“Sì, Bill.”
“A volte mi meravigli, Tom. Lo sai?”, disse Bill, dopo aver cercato disperatamente di non prenderlo a schiaffi.
Tom, non Tomi.
Era incazzato nero con lui.
“Cosa?”
“Sai essere ipocrita e perfido. Ma un conto è se lo sei con me, io ti perdonerei comunque. Diverso è se lo sei con Mac. Perchè oltre ad essere ipocrita e perfido, diventi stronzo. E se lei se ne accorgesse, non te lo perdonerebbe mai. Se dovesse succedere, non chiedermi di andare a supplicarla di ritornare da te.”, gli disse Bill. Lo fissava dritto negli occhi, non aveva mai sbattuto le palpebre. Gli aveva raggelato il sangue. Avevano litigato tantissime volte e si erano insultati a morte. Ma poteva contare sulle dita di una mano quei momenti in cui lo sguardo di suo fratello aveva la capacità di paralizzarlo per la paura.
“Non ti ho chiesto io di andarci, quella volta.”, riuscì a dirgli.
“Certo che non me lo hai chiesto.”, disse Bill, “Ma sarebbe stato meglio se tu lo avessi fatto. Prenditi le tue responsabilità, non voglio più rimediare ai tuoi stupidi errori. O lo fai, oppure tronchi con Mac. Lei non si merita di essere trattata così.”
“E allora? Tu sai che cosa si merita?”, gli chiese Tom, in tono di sfida.
“Di sicuro non di uno come te.”
“Allora di uno come te, forse.”, disse Tom, volendolo farlo cadere in trappola.
“Nemmeno. Io sono solo un suo amico. E lei ha bisogno di qualcuno che la ami e la rispetti. Io le voglio bene, e basta. Tu la ami, invece?”, rispose Bill, abilmente, e girando il tranello a Tom, che sembrò caderci pienamente.
Già… la amava veramente?
Bella domanda, si disse Tom, quello con il forcone e le piccole corna sulla testa, che viveva sulla sua spalla sinistra… sul lato sinistro del suo cuore. Bill lo lasciò nella sua riflessione, tornandosene da Gustav.
Lui rimase lì. Dette un pugno rabbioso alla porta di uno dei tre bagni, poi lasciò quell’angusto spazio per andarsene fuori, a fumare una sigaretta.

 

“Wow… bello! Non ci sono mai venuta qua!”, esclamò Mac, entrando dentro al locale.
“Stupida…”, le fece Thiago, dandole una pacca sulla testa, “Non lo riconosci? E’ l’In2Deep…”
Mac guardò bene il locale. Era vero, era la sala grande della discoteca dove era stata appena due giorni prima! Del tutto diversa dal privè, il colore prevalente era il blu, ma a suo modo lo richiamava, perchè invece di essere di tutte le sfumature dell’arancione, era il blu ad essere il colore preminente. Tutto era blu: scuro, cobalto, elettrico, notte, di prussica, di Parigi, oltremare, azzurro, d’oriente, pavone…. Delle colonne, che limitavano con regolarità la pista da ballo, erano ricoperte di frammenti di specchio che riflettevano le luci colorate, creando un’atmosfera buia e, allo stesso tempo, illuminata.
“Dai, cerchiamo gli altri.”, disse Mac.
C’erano tante persone, facce conosciute zero, sicuramente avrebbero fatto a gara a chi arrivava ultimo per farsi notare. Individuò Gustav al bancone, intendo ad ordinare qualcosa.
“Hey, pensavo foste spariti nel nulla!”, esclamò lui, vedendoli arrivare.
“No, tranquillo, non ti libererai di noi così facilmente!”, disse Thiago, sedendosi accanto a lui e richiamando l’attenzione del barista.
“Dov’è Tom?”, gli domandò Mac.
“Mah… non saprei.”, disse Gustav, “Era con Bill, li ho lasciati per prendermi da bere.”
“Ok, andrò a cercarlo.”, esclamò Mac.
Voleva solo mettere fine a quella cazzo di situazione. Voleva prenderlo da una parte e dirgli di ascoltarla, perchè aveva qualcosa di importante da dirgli.
Si tolse il giaccone, aveva chiesto ad una cameriera di passaggio dove fosse il tavolo dei Tokio Hotel e lei glielo aveva indicato. Lo posò lì, dove c’era anche quello di Bill. Ma non quello di Tom, sicuramente era fuori a fumarsi una sigaretta e, con il freddo che era, non se lo sarebbe di certo tolto. Indossò quindi di nuovo il suo giaccone, per evitare di prendersi una raffreddata.
Chiese in giro a qualche faccia sconosciuta se lo avessero visto ed un ragazzo dal pizzetto strano le disse che gli pareva fosse uscito dalla porta di sicurezza che le stava indicando. Lo ringraziò e andò verso quella direzione.
Aprì l’uscita, spingendo il maniglione verde anti panico, e trovò Tom, con i gomiti appoggiati sulla  balaustra metallica di fronte a sé, che si fumava una sigaretta.
“Hey…”, gli fece lei, mettendoglisi accanto.
“Hey…”
“Tutto a posto?”
“Non tanto.”, rispose lui, prendendosi l’ultimo tiro e gettando via la sigaretta.
“Beh… anche a me non va tanto bene.”, disse Mac. Si voltò, appoggiando la schiena alla barra fredda di ferro ed incrociò le braccia.
“Mi dispiace.”, gli disse, “Ho commesso troppi errori negli ultimi tempi, e non ti ho chiesto mai scusa. Quindi…”
“No no no…”, disse Tom interrompendola.
“Beh… mi sembra dovuto darti delle scuse.”
“No.”, ripetè lui.
“Ma Tom… io ti volevo solo…”
“Ascoltami Mac… cerchiamo di metterci una pietra sopra e di non parlarne più. Va bene?”, disse lui.
“Dobbiamo parlare dei nostri problemi… è troppo tempo che rimandiamo e facciamo finta che vada tutto bene tra noi, ma non possiamo continuare così.”, disse lei, “Lo ammetto, ci sono dei problemi tra di noi. Ma se vogliamo risolverli non possiamo semplicemente pretendere che non esistano. Così non può andare avanti.”
Tom si discostò dalla balaustra, si mise le mani dentro le tasche del piumino.
“Non credo che sia il momento adesso per parlarne.”, disse.
“E quando pensi che verrà questo momento? Mai?”
“Non dico mai… solamente non ora, lasciami godere la serata.”
“Va bene…”, disse Mac, abbastanza riluttante, “Rimanderemo a domani.”
“Rimanderemo al momento giusto, Mac.”, fece lui, tornando dentro.
Mac.
Appunto, Mac.
Come lei lo aveva chiamato Tom.
Non esistevano più Kaulitz e Rosenbaum.
Adesso c’erano Mac e Tom.

 



Ecco il primo di due capitoli da clinica di riabilitazione, altro che Amy Winehouse, Kate Moss e Pete Doherty...

MissZombie: e te pareva, billbillbillbillbillbillbillbillbillbill XDDDD scherzo, ovviamente! Tokio Eretici un nuovo gruppo sulla scena (o dovrei dire scema) musicale italo-teutonica, coloro che si vantano di non sapere chi è jimmy page... azz, secondo me non lo sanno davvero, forse Georg o Gustav, di loro mi fido di più, sono più acculturati si vede. Cooooooomunque... ti sembra che tra i due sia tutto a posto??? a me nooooo *e qui parte la mia risata malefica*

CowgirlSara: God save the Emperor Thiago the First.... e ho detto tutto.

Sososisu: God save Polly... e qua ho ridetto tutto di nuovo! XD la macchina dell'invidia sta sfornando brutti pensieri su di te che hai abbracciato morbidamente Georg!!!! XDDD scherzo ovviamente!

Alanadepp: non mi ritengo responsabile per cambiamenti di sponda e roba varia!!!! XDD no, non voglio avere nessuna storia finita sulla coscienza! salutami riccy!!!

Quoqquoriquo: pazienza, io te lo avevo detto, era un capitolo di stallo, ma non mi sembra di aver fatto capire che tra i due la cosa si sia risolta... Una risata e passa tutto? Sì, lì per lì può andare, ma so benissimo che una stretta di mano e via non conclude un contratto, se capisci l'allusione. Dividere il capitolo in due e farne uno di tre righi ed il successivo di settecento? mmmhhh... non torna tanto bene. Accetto con un sorriso la critica sul semplicismo e rispondo: pazienza, figliola, pazienza... (ps: grazie per il deluxe e non delux... perdona la mia gnuranz...)

Ruka88: te pareva! non andare in iperventilazione, per piacere, stai attenta, respira profondamente e non farti friggere il cervello!!! XDD succederà qualcosa di brutto o di bello? mah, vedi tu, interpreta le mie parole come vuoi!

Anna9223: secondo me non lo conosce veramente... jimmy page, hendrix e santana, i migliori chitarristi di tutti i tempi, vedremo se tom salirà nel loro olimpo... non ci punto mezzo centesimo...

Starfi: arrestatemi per provocato terrorismo psicologico, ne sono colpevole e me ne pento... ma siccome sono fiera di essere una peccatrice, con questo capitolo sono recidiva! il doppio della pena!!!

Gufo: mi sono documentata ma non ho trovato niente su questa trina... posso dire solo beata lei, ma non la accuserei di essere una t.... è solo una che sfrutta cinque minuti di notorietà! c'è una trina per georg o gustav? XD così posso sfogare le mie frustrazioni su di lei... risolto tutto? mah, vedi tu...

Picchia: io un mini thiago ce l'ho... vive dentro di me e quando salta fuori fa sbellicare tutti dalle risate... pensa un po' quanto sono fortunata! di solito si fa vedere quando sono davanti allo specchio... sapessi com'è sarcastico.... critica moltissimo la mia ciccetta dicendo: 'hey, una flebo di liposuzione?'... che cattivo!

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Capitolo 9
*** Heart's Left Side ***


9. HEART’S LEFT SIDE

 
 

Tornò dentro al locale, reprimendo le lacrime che le erano tornate a superficie. Non voleva piangere davanti a tutti. Ma soprattutto, non voleva più piangere. E basta.
Stop alle lacrime.
Stop alla tristezza.
Stop alle sofferenze.
Poteva riuscire a bloccare tutto questo? Sì, se lui glielo permetteva. Ma per adesso non era il momento, lui voleva divertirsi. Tom voleva divertirsi. Non più Kaulitz voleva divertirsi. Ora era Tom.
Tornò verso Thiago che, con un rapido sguardo, comprese che qualcosa era andato storto. Le mise un braccio intorno alla vita e le disse in un orecchio:
“Se lui non ti accontenta, lo faccio io. Andiamo a ballare, tiriamo questi vecchiacci dentro la pista. Apriamo le danze!”
Prendendosi per le mani, i due si misero a centro pista, completamente vuota, ed iniziarono a ballare, scatenandosi al ritmo della musica… e dimenticando le loro preoccupazioni momentanee.
Il volume non era troppo alto, giusto l’essenziale per fluire nelle loro vene e, come una droga, stregarli. 

Tom si sedette al suo divanetto con in mano una birra. Cazzo, gli avevano dato quei bicchieroni lunghi e stretti, li odiava. Ma la birra era buona… insomma, era la classica birra d’importazione, ma non era pio tanto  male. Sorseggiò velocemente fino a farla scendere a metà bicchiere, poi la appoggiò sul tavolino. Aveva visto Mac e Thiago ballare animatamente sulla pista, ma dopo qualche secondo altre persone si erano uniti a loro, oscurandogli la visuale.
Gustav era al bancone, aveva attaccato bottone con una ragazza. Bill non si vedeva. Se si stava fottendo qualcuno, era contento. Se si stava facendo fottere, meglio ancora. Si guardò intorno, annoiato. Non se la sarebbe goduta, quella serata, ne era sicuro. Ma era bloccato lì dentro, a meno che non avesse lasciato tutti in asso. Non era una buona idea farlo di nuovo, quindi si rassegnò, seduto sul suo divanetto. Prese il suo telefono, avrebbe mandato qualche sms ad Andreas per dirgli che non avevano vinto niente. Sicuramente era ancora in piedi, a divertirsi da qualche parte, e non gli avrebbe risposto, ma intanto si sarebbe intrattenuto per cinque minuti nello scrivergli un messaggio divertente.
Mentre stava scrivendo la parola premio, l’orlo di un abito rosso bordeaux gli svolazzò sotto il naso, distogliendolo per un attimo dal suo telefono.
“Ciao Tom…”, disse una voce, vicinissima a lui. Dietro di lui. Seduta alle sue spalle. Un tedesco quasi perfetto, solo lievemente intaccato da un accento di tipo francese.
Lui fece per voltarsi, ma lei lo bloccò subito.
“Non farlo.”, fece lei, “Non vorrai mica che la tua fidanzata si ingelosisca di nuovo.”
“Beh… ma se tu sei voltata verso di me e mi parli in un orecchio…”
“Chi ti dice che sia voltata verso di te…”, disse lei, scandendo la sua frase con una lieve risata.
“Ah… se la metti così, diamoci le spalle e chiacchieriamo da soli come due deficienti.”, fece Tom.
“Io sto tenendo il bicchiere davanti alla mia bocca… tu potresti guardare il tuo telefonino… oppure mettertelo all’orecchio. Non sei molto acuto, Kaulitz.”, fece lei.
“Non chiamarmi in quel modo.”, sbottò lui, seriamente. Era stato scosso da un fremito quando si era sentito chiamare Kaulitz da lei.
“Come vuoi, non mi interessa come ti chiami. O come ti fai chiamare.”
“E cosa ti interessa?”, le chiese lui, mettendosi il cellulare all’orecchio per mascherarsi. Era parzialmente eccitato da quella strana conversazione. Il lato sinistro del suo cuore stava prendendo il sopravvento.
“Mi interessa conoscerti meglio.”
“Non so nemmeno come ti chiami.”
“Mi chiamo Benedicte Camusse.”, rispose lei.
“E che cosa fai? Sei un’attrice?”
“No, sono una modella. Mi stupisce che tu non lo sappia.”, fece lei, maliziosamente.
“Perchè?”
“Perchè si sa che le tue modelle preferite siano quelle che sfilano per la firma Victoria’s Secrets… e guarda caso io sono una di loro.”, rispose lei.
Tom si schiarì la voce.
“Ultimamente sono stato un pochino… impegnato.”
“Lo credo bene. Bel tipino, la tua ragazza.”, disse lei, “Determinata, sicura di sé…”
“Lasciala stare.”, fece Tom, “Non parlare di lei. Parlami piuttosto di te.”
Oramai il suo lato destro del cuore era totalmente caduto in preda dell’altro. Non c’era più niente da fare.
“Beh… non ho molto da dire. Tu piuttosto?”
“Nemmeno io.”
“Perfetto. Mi ha fatto molto piacere conoscerti, Tom Kaulitz.”, disse lei, scandendo con sensualità il suo nome.
“Anche a me, Benedicte Camusse.”
“Spero di ritrovarti in giro, un giorno o l’altro. Per adesso, devo andare alla toilette. Con permesso.”
“Ma prego.”, rispose lui, togliendosi il telefonino dall’orecchio.
Vide di nuovo l’orlo del suo vestito leggero svolazzare, con la coda dell’occhio. Lei si allontanò, senza passargli davanti.
Andava alla toilette. Era un chiaro e preciso invito.
Lancò un’occhiata alla pista.
Mac non era più nel mezzo della pista.
Si era verso le poltroncine, opposte a dove stava lui.
Non era sola.
Ovviamente era con Bill, che le stava parlando.
Attese un minuto spaccato.
Si alzò.
Andò alla toilette.

 
Bill cercò con gli occhi Mac, trovandola a ballare abbracciata a Thiago, che sembrava volerla lanciare in aria in un twist acrobatico. Scansando tutti i ballerini andò da lei e le picchiettò sulla spalla.
“Potresti seguirmi un attimo? Ti devo parlare.”, le disse.
“Ok… “, fece lei, un po’ riluttante.
Avendo individuato Tom al loro divanetto, si sedettero nella zona praticamente opposta, un po’ in disparte dalla gente e dalla musica, che fortunatamente non era troppo alta.
“Ho visto che stavi piangendo quando eravamo in limousine.”, le disse.
“Se ne sono accorti anche gli altri?”, fece lei.
“No… penso solo io e Thiago, nemmeno Tom.”
“Va bene… scusami se sono scappata via prima, durante lo spettacolo.”, disse lei.
“Ma dai… eri l’unica che aveva il diritto di farlo.”
“Meno male che sei dalla mia parte.”, fece lei, “Sto impazzendo Bill… mi sembra di parlare con un muro.”
“A chi lo dici. L’ho preso in disparte prima, ma non ho ottenuto nulla, solo riposte idiote e il silenzio.”
“Beh… meglio di niente. A me ha detto che è meglio rimandare tutto ad un altro momento.”, fece lei, imbronciandosi.
“Dai Mac… non piangere.”, le disse lui, accongendosene
“No, tranquillo. Mi sto trattenendo da almeno mezzora…”
“Vuoi andare a casa?”, le propose.
“No, assolutamente. Voglio godermi questi ultimi momenti di divertimento, perchè poi credo che ci sarà molto da piangere.”
Bill la guardò.
Sì, almeno lei aveva preso una decisione, una dolorosa ma dovuta decisione. Non si meritava di stare con uno come suo fratello. Era una persona troppo speciale per sprecare i suoi sentimenti per Tom.
“Ve lo siete già detti?”, le domandò.
“No… ma lo farò io appena torniamo a casa…”
“Mi dispiacerà non averti più intorno.”, le disse, “Sai, mi ero abituato a trovare le tue cose in giro… e a sentirvi mentre facevate sesso!”
“Oh mio dio…”, disse Mac, “Non è vero che ci sentivi…”
“Infatti, non è vero… ma Thiago vi sentiva eccome!”, fece lui, ridendo.
“Gesù… no, lui va bene, può sentirci, ma non tu.”
“Perchè io no?”
“Perchè… dai che schifo! Io non ti vorrei mai sentire!”, sbottò Mac, ridendo e cancellando le lacrime che le erano scese sulle guance.
“A dire il vero nemmeno io…”
“Davvero ti dispiacerà non avermi più intorno? In fondo, io sono una stronza bisbetica.”
“Sì.”, disse lui, “Sei stata la migliore amica che abbia mai avuto.”
“Oh caro!”, fece lei, imitando gli atteggiamenti di Thiago e abbracciandolo, “Mi prometti che mi verrai a trovare?”
“Ma dove andrai a vivere?”, le domandò lui.
“A casa dei miei, per il momento… poi troverò un appartamento per conto mio, come ho sempre fatto.”
“Va bene.”, disse lui, dissolvendo l’abbraccio, “Ti è colato il trucco.”
“Ok, vado a sistemarmi al bagno.”
“Tieni.”, fece lui, frugandosi in tasca e tirando fuori uno specchietto ed una matita.
“Grazie, dopo te li riporto.”
“Ma no… te li regalo. Così porterai sempre un pezzo di Bill Kaulitz con te.”
“Wow… posso venderlo su ebay e farci i soldi?”, disse lei.
“No… sempre la solita… vai o ti si sfalda la faccia. Sembri Freddy Kruger.”, disse lui, indicandole di andarsene.
“Sai, Thiago ha utilizzato il solito paragone prima… secondo me siete una bella coppia.”
“Certo… peccato che io non sia gay!”, sottolineò lui, abituato oramai a sentirsi dire una osa del genere.
Mac rise, giocherellando con la matita.
“Forse mi sono davvero innamorata del Kaulitz sbagliato.”, disse lei, “Magari se avessi davvero provato qualcosa per te sarebbe stato del tutto diverso.”
“Beh…”, fece l’altro, “Può essere. Magari in un universo parallelo stiamo insieme.”
“Già… ma viviamo in questo e non siamo innamorati l’uno dell’altra.”
“Se un giorno mi troverò a disegnare cuoricini accanto al tuo nome, ti faccio uno squillo.”, le fece Bill, con il segno della cornetta all’orecchio.
“Quel giorno sicuramente sarò irraggiungibile!”, disse lei, allontanandosi sorridendo.
Una bella amicizia sprecata, si disse Bill.
Tutto per colpa di quell’immaturo di suo fratello.

 

La trovò appoggiata al muro, con la sua borsetta rossa in mano, in attesa di un bagno libero. Non ci fu bisogno di parole, bastò uno sguardo. Lei si avvicinò ad una delle tre porte e entrò dentro, lasciando la porta semi aperta. E lui la seguì.
Dentro, lei si stava togliendo il rossetto dalla bocca con un fazzoletto.
“Cosa stai facendo?”, le chiese.
“Non voglio lasciare tracce. Non sei molto acuto, Kaulitz.”, fece lei, di nuovo, gettando nel piccolo lavandino il fazzoletto macchiato del suo rossetto.
“Ti ho detto…”, fece lui, prendendola per i fianchi ed avvicinandola a sé, “Di non chiamarmi Kaulitz.”
“Non mi interessa chiamarti.”, fece lei, iniziando a baciarlo.
Il lato sinistro del suo cuore iniziò ad esultare.
Le mani di lei iniziarono ad infilarsi ovunque, sotto al suo maglione, sotto ai suoi pantaloni. Si era liberata presto della sua presa e lo aveva appiattito al muro. Se fosse stata Mac, avrebbe capito cosa voleva dire farsi prendere per i fianchi. Ma lei non era Mac, era un’altra. Un’altra con cui voleva godersela. Oramai non stavano più insieme, lui e Mac, poteva fare ciò che voleva. Glielo diceva la parte sinistra del suo cuore.
Lei abbassò le spalline sel suo vestito, rivelando nient’altro che il suo seno. Lui si tolse il maglione, mantenendo la t-shirt che aveva sotto. Non gli piaceva spogliarsi del tutto in quelle situazioni. Lei, invece, gliela tolse.
“Fammela rimettere.”, disse lui, riprendendola da terra.
“No, lasciala fare lì e stai zitto. Non vorrai farti sentire.”
Sì, era vero, non voleva farsi sentire. Ma si rinfilò la sua maglietta presto. Lei, nel frattempo, gli stava slacciando la fibbia della cintura. I suoi pantaloni caddero a terra.
“Quello che ho sentito dire in giro su di te è vero… allora…”, disse lei, mentre gli abbassava anche i boxer.
Ecco, stava facendo una cosa che Mac faceva molto spesso, mentre a lui piaceva da morire. Respirava sempre più affannosamente, sempre di più, sempre di più, prendendole la testa con entrambe le mani.
Cazzo, lo faceva tremendamente bene.
Così bene che non ce la faceva più a trattenersi.
Lei si tolse le mani dalla testa e lo lasciò, per iniziare a baciarli la pancia.
“No no.. finisci.”, le disse.
“Assolutamente no, voglio scopare.”, disse lei.
“No… finisci!”, le impose lui, riprendendole la testa.
“Ti ho detto di no. O mi scopi o me ne vado.”
“Finisci o me ne vado io.”, disse lui.
Allorché lei concluse, liberandolo.
“Contento adesso?”, fece lei, quasi incazzata.
Si rimise il suo vestito e, davanti allo specchio del lavandino, si rifece il trucco. Tom si voltò, appoggiando la testa al muro. Srotolò con una strattonata il rotolo della carta igienica, prendendone quanto gliene bastava, mentre il resto si ammonticò per terra.
“Esci quando ti busso alla porta.”, disse lei, una volta che si fu ricomposta, “Non voglio farmi vedere.”
Lui rispose con un mmhh. Non gliene importava un cazzo che lei venisse vista con lui… era semmai l’esatto contrario.
Lei uscì dal bagno, stando attenta a non aprire troppo la porta. La richiuse con uno scatto e Tom si preoccupò solo di bloccare la serratura. Si sedette sul gabinetto ed attese, riflettendo.
Gli era piaciuto?
Cazzo, non si ricordava di aver resistito così poco dalla prima volta che se lo era fatto fare.
Ma la domanda era: gli era piaciuto?
Risposta: no.

 

Davanti allo specchio, con un pezzo di quella carta ruvidissima che mettevano nei distributori per asciugarsi le mani, Mac cercava di togliere il rivolo di mascara che aveva sotto gli occhi. Riflesso sullo specchio, vide la biondona uscire da uno dei tre bagni, quello centrale, ed affiancarsi a lei.
“Ciao.”, le disse, frugando nella sua borsetta e tirando fuori un rossetto.
“Ciao.”, rispose Mac, quasi in automatico e senza interesse.
“Non vorrai mica irritarti la faccia con quella cartaccia!”, disse poi la bionda con le labbra rosse come il culo di un babbuino.
“Beh… vedi un distributore di cotone idrofilo?”, fece Mac, guardandola attraverso il riflesso dello specchio.
“Dai…”, fece lei, frugando di nuovo nella borsetta e tirando fuori una piccolissima confezione di cerchietti di cotone, “Usa questo.”
Glielo porse e Mac, a metà tra il chiedersi cosa voleva quella stronza e il bisogno di accettare la sua offerta, si costrinse a prenderlo.
“Grazie.”, disse poi, sorridendole per gentilezza.
“Tieni anche questa, è una crema struccante.”, fece lei, prendendo microscopico tubetto di nuovo dalla sua borsetta. Evidentemente era un modello ‘May Poppins’, per contenere tutte quelle cose ed essere grande quasi quanto una mano.
“Grazie ancora.”, fece Mac, versandosene un po’ sul cotone e tornando alla sua opera di struccamento.
“Ti ho visto sulla rivista ‘Vanity and Beuty’… tu sei la ragazza di quello dei Tokio Hotel.”, disse la ragazza, continuando a fissarla attraverso lo specchio, mentre si aggiustava il rossetto.
“Sì, hai indovinato.”, rispose Mac, quasi atona.
“Volevo chiedertelo appena ti ho visto, allo show. Ti guardavo da un pezzetto, cercando di capire se eri tu.”
“Ora lo sai.”, rispose di nuovo Mac senza interesse.
“Ma c’era sempre… insomma, non prenderla come un’offesa, ma il tuo ragazzo mi stava fissando un po’ tanto e mi ha dato fastidio.”
“Ah si?”, fece Mac, che per la prima volta fu stimolata dalle sue parole.
“Sì… io cercavo solo di vedere se eri proprio tu… e lui mi fissava. Insomma, io gli tirerei un pochino le orecchie.”, fece la ragazza, “Comunque mi chiamo Benedicte.”
“Piacere, Mac.”, disse lei, porgendole la mano.
“Non ti offendere ancora… ma io lo striglierei per bene.”
“Sì…”, disse Mac, ridendo, “Lo farò, non ti preoccupare.”
“Cioè, non era molto fastidioso, solo che alla fine mi ha fatto passare per quella che ammiccava… quando invece io volevo solo parlare con te per dirti che ho trovato quell’intervista molto simpatica.”
“Dici sul serio?”, fece Mac, mentre iniziava a rimettersi la matita sugli occhi.
“Sì, davvero. Beh, se sei così anche nella vita reale, allora sei simpatica davvero.”, disse lei, ridendo.
“Beh… che devo dirti…”, fece Mac, che proprio non sapeva più che pesci prendere.
“Oh, niente. Era così tanto per dirti quello che pensavo. Comunque adesso devo andare.”, disse lei, “Piacere di averti conosciuta, Mac.”
Passò davanti ai bagni e bussò alla porta centrale.
Che strana tipa, pensò Mac, sicuramente molto ipocrita. Era molto probabile che volesse ‘salvarsi la reputazione’ e che avesse scaricato la colpa su Tom perchè non voleva che lei mettesse in giro la voce che ci aveva provato con lui, facendola passare per una poco di buono… Anche perchè se si vestiva in quel modo era automatico che la gente pensasse che lo fosse. Sì, sicuramente era così.
Beh… chi se ne fregava, non l’avrebbe più rivista, e di sicuro non avrebbe voluto approfondire la sua conoscenza per niente al mondo.
E poi perchè aveva bussato alla porta?
Già, che stupida era Mac, bussava perchè dentro non era sola, era stata sicuramente a farsi qualcuno.
“Che puttana.”, disse Mac, dandosi un’ultima controllata allo specchio.

 

Seduto sul gabinetto, Tom attese che le gli bussasse. Sperava facesse in fretta, non voleva trovare a scusarsi con nessuno per la sua assenza. Ma forse ancora non stava bussando perchè c’era qualcuno…
La sentì parlare, la sentì dire ciao.
“Ciao.”, rispose un’altra voce.
“Non vorrai mica irritarti la faccia con quella cartaccia!”, disse poi lei.
“Beh… vedi un distributore di cotone idrofilo?”, rispose l’altra.
Cazzo! Era Mac! Merda! Si accostò alla porta, appoggiando l’orecchio al legno per sentire cosa si sarebbero dette. Se quella puttana le avesse fatto capire qualcosa…
“Dai…Usa questo.”
“Grazie.”, fece Mac..
“Tieni anche questa, è una crema struccante.”
“Grazie ancora.”
Perchè stava facendo la gentile con lei? Che cazzo, che situazione di merda… E lui non poteva fare nulla, se non rimanersene lì in silenzio, altrimenti Mac lo avrebbe scoperto. Che imbecille Tom, complimenti!
Era stata veramente una buona idea chiudersi in un bagno con una puttana, mentre fuori c’era la sua ragazza… ex ragazza…
Sì, oramai era finita.
Non ci sarebbero stati problemi da risolvere, situazioni da affrontare. Era meglio così.
Non si poteva continuare ad andare avanti.
Non erano più Kaulitz e Rosenbaum.
Erano Tom e Mac.
“Ti ho visto sulla rivista ‘Vanity and Beuty’… tu sei la ragazza di quello dei Tokio Hotel.”, “Sì, hai indovinato.”, rispose Mac, quasi atona.
“Volevo chiedertelo appena ti ho visto, allo show. Ti guardavo da un pezzetto, cercando di capire se eri tu.”
“Ora lo sai.”
Era proprio una stronza, pensava Tom.
“Ma c’era sempre… insomma, non prenderla come un’offesa, ma il tuo ragazzo mi stava fissando un po’ tanto e mi ha dato molto fastidio.”
“Ah si?”
Ecco, ora lo faceva passare per il cascamorto, quando lei aveva continuato ad ammiccargli per tutta la serata. Era stata lei a farlo venire dentro al bagno.
“Sì… io cercavo solo di vedere se eri proprio tu… e lui mi fissava. Insomma, io gli tirerei un pochino le orecchie. Comunque mi chiamo Benedicte.”
“Piacere, Mac.”
“Non ti offendere ancora… ma io lo striglierei per bene.”
“Sì…”, disse Mac e la sentì ridere, “Lo farò, non ti preoccupare.”
Mac non si immaginava che lui la voleva… insomma, che lui voleva troncare. Gli si spezzava già il cuore. Per un momento si disse che non ne valeva la pena, che non la poteva lasciare…
Ma ora, che il suo lato destro del cuore si era riappropriato dei suoi spazi e gli stava parlando, lui era ancora più convinto di doverla lasciare. Era un deficiente, un cretino, un idiota, uno stronzo, un bastardo, un infame… poteva continuare all’infinito ad offendersi, non cambiava il fatto che lui si era fatto fare un pompino in un bagno dalla prima puttana di passaggio. Mentre ancora stava insieme a lei. E pretendeva addirittura di giustificarsi dicendo che ormai, viste le circostanze precedenti, non stavano più insieme!
Aveva ragione Bill.
Mac non si meritava uno come lui.
Adesso non erano più i problemi irrisolti la causa della loro rottura.
Era bensì lui.
“Cioè, non era molto fastidioso, solo che alla fine mi ha fatto passare per quella che ammiccava… quando invece io volevo solo parlare con te per dirti che ho trovato quell’intervista molto simpatica.”
“Dici sul serio?”
“Sì, davvero. Beh, se sei così anche nella vita reale, allora mi sei simpatica davvero.”, disse lei, ridendo.
“Beh… che devo dirti…”, fece Mac.
Ecco, brava, non doveva dirle niente.
“Oh, niente. Era così tanto per dirti quello che pensavo. Comunque adesso devo andare. Piacere di averti conosciuta, Mac.”
Sentì i passi dei suoi tacchi avvicinarsi verso la porta, poi lei gli bussò.
Si aspettava che uscisse, smascherandosi clamorosamente? Assolutamente no.
Sarebbe rimasto ad aspettare che anche Mac se ne fosse andata.
“Che puttana…”, sentì poi dire da Mac.
Brava, pensò Tom, che puttana.
E magari poteva anche aggiungere che lui era un figlio di puttana. Glielo avrebbe permesso con tutto il cuore.
Poi la sentì uscire.
Ecco era quello il momento.
Rapidamente, si infilò la t-shirt dentro i pantaloni e aprì la porta.
 

Un’ultima nuova controllatina allo specchio. Sì, anche se non era tanto brava a truccarsi non le pareva di aver peggiorato il suo aspetto. Si sistemò i capelli e uscì dai bagni, tornandosene verso la pista.
Poi le venne da toccarsi la tasca posteriore, dove le pareva di aver messo la matita e lo specchietto datole da Bill, ma c’era solo quest’ultimo.
“Cacchio!”, disse, aveva lasciato la matita sul lavandino.
Velocemente, tornò verso il bagno. Afferrò la matita ed alzò gli occhi.
Tom.
“Ma… che ci fai qua? E’ il bagno delle donne.”, disse Mac, sorpresa nel vederlo lì.
Lui che la guardava quasi spaventato.
Una serie di rapidi pensieri le investirono la mente.
La porta centrale del bagno aperta.
La stronza che aveva bussato proprio a quella porta.
“Tom…”, fece Mac, realizzando, “Tu… tu…”
“No, Rose, fammi spiegare, io non ho…”, disse lui, avvicinandosi a lei e prendendole le mani.
“Toglimi le mani di dosso.”, fece poi, furiosamente, liberandosi dalla sua presa.
“Rose… fammi spiegare…”
“Farti spiegare cosa?”, gli gridò lei, “Che sei il più grande figlio di puttana che abbia mai conosciuto in questa merda di vita?”
“Rose…”
“Non chiamarmi Rose!”, disse lei, “Tornatene da quella troia.”
Si voltò e, correndo, uscì dal locale, scontrandosi con tutti quelli che erano sfortunati a trovarsi sulla sua strada. Tom cercava di raggiungerla, ma lei continuava dritta verso l’uscita.
Senza cappotto, spinse la porta ed uscì fuori dal locale, al freddo, cercando con gli occhi l’autista della loro limousine. Perchè cazzo avevano preso un altro e non Saki? Almeno lui era sempre nei paraggi e di sicuro questo stronzo si era allontanato.
Voleva solo andarsene a casa a fare le valige, prendere la macchina ed andarsene.
“Rose! Fermati! Dove stai andando!”, le disse Tom, alle sue spalle, l’aveva raggiunta.
“Fottiti! Lasciami in pace!”, gli gridò lei, riprendendo a correre.
Nonostante i tacchi dei suoi stivali, riusciva ad essere veloce abbastanza per non farsi prendere. Si ritrovò in una strada scarsamente illuminata e, un po’ per Tom che stava recuperando terreno e continuava a chiamarla supplicandola di fermarsi, un po’ per la paura del buio, prese a correre più forte che poteva.
Il vicolo sbucò su una strada principale. Destra o sinistra? Destra.
In lontananza gli parve di vedere un poliziotto salire in una macchina. Voleva liberarsi di Tom. Voleva andare a casa. Ma non poteva fare nessuna delle due cose: era senza cappotto, senza borsa, senza cellulare. Non poteva chiamare un taxi. E Tom era maledettamente sempre più vicino.
“Hey! Hey!”, iniziò a gridare Mac, cercando di attirare l’attenzione del poliziotto, “Hey!”
L’uomo sembrò accorgersi di lei e, con una leggera andatura veloce, le andò incontro.
“Signorina! Cosa sta succedendo?”, le fece, fermandola dalla sua corsa.
Respirando affannosamente e tremando per il freddo, Mac riuscì a parlargli.
“C’è il mio… insomma… c’è uno che mi sta seguendo…”, disse.
“Ha cercato di rapinarla, di prendere le sue cose, vero?”, fece lui, vedendola senza né un cappotto né una giacca.
“No… a dire il vero… è il mio ex… e’ un pochino…”
“Ho capito… insomma, vuole che lo allontaniamo.”, fece l’uomo, vedendolo arrivare anche lui a corsa.
“Sì…. E magari darmi un passaggio a casa… sono a piedi e ho lasciato le mie cose nel locale in cui eravamo.”
“Hey! Rose! Rose! Ma cosa stai facendo?”, iniziò a chiamarla Tom, vedendola ferma a parlare con un agente della polizia. Al che il collega dell’uomo, prima seduto al posto del guidatore, notando il suo arrivo, uscì dalla macchina, rimanendo però fermo accanto al mezzo, per controllare la situazione e magari intimorire il ragazzo.
“Ragazzo, la prego, stia lontano dalla signorina.”, disse l’agente della polizia, mentre Mac si nascondeva dietro di lui.
“Cosa?!? Ma lei è la mia ragazza! Non può farmi questo! Lei non ha il diritto di fermarmi!”, protestò lui.
“La prego, non si avvicini oltre o mi vedo costretto a portarla in centrale.”, lo ammonì l’uomo.
“Mac… Rose…”, fece Tom, “Dove vuoi andare… cosa vuoi fare…”
“Non sono cose che la riguardano più, ormai.”, disse l’agente, “Si allontani, altrimenti devo prendere seri provvedimenti nei suoi confronti.”
Tom dovette rassegnarsi. Ancora più arrabbiato di prima, ma impossibilitato nel fare qualsiasi cosa, dovette tornare sui suoi passi.
Una volta che fu abbastanza lontano, Mac venne fuori dal suo nascondiglio. L’agente, vedendola tremare, si tolse il suo cappotto e glielo passò.
“Venga, la accompagnamo a casa.”, le disse, facendola salire sul retro della vettura.
Silenziosa al suo posto, dopo aver spiegato loro dove portarla, Mac si scaldava con la divisa dell’agente. L’altro, alla guida, ogni tanto le lanciava qualche occhiata.
“Senta…”, le fece, “Quello era quel tipo di quel gruppo… come si chiama…”
“I Tokio Hotel.”, disse il suo collega.
“Sì, loro. E’ vero?”
“Sì, sfortunatamente è proprio lui.”, disse Mac, con tono molto amaro.
“Beh… mia figlia sarà contenta di sapere che vi siete lasciati.”, disse il poliziotto alla guida.
“Franz!”, lo rimproverò l’altro, “Ma ti sembrano cose da dire in questi momenti!... e poi non hai una figlia.”
“E’ vero… è mia moglie che sarebbe contenta.”, precisò l’altro, sorridendo.
“Piantala!”, lo rimbeccò l’altro, “E lasciala in pace!”
“Sarebbe meglio… senza offesa.”, disse Mac, “Non è che… avreste un fazzoletto di carta o qualcosa di simile?”
“Tenga. Io sono l’agente Aldo e lui l’agente Franz.”, disse il poliziotto che l’aveva, in un certo senso, salvata.
“Grazie… Io mi chiamo Mackenzie…. ma così glielo macchierò.”, disse Mac, accorgendosi che le aveva passato il suo fazzoletto di stoffa.
“Può tenerlo tranquillamente… anche perchè se lo porto a casa macchiato di trucco mia moglie mi fa dormire sul terrazzo.”, disse l’agente Aldo, sorridendo.
Anche Mac sorrise, mentre si asciugava le lacrime che le stava uscendo dagli occhi.
“Vuole sentire un po’ di musica signorina? Tanto per calmare le acque.”, le chiese l’agente Franz.
“Oh sì… se si può.”, disse lei.
“Certamente… anche se non si potrebbe farlo… questa radio qua non funziona solo da trasmittente.”, fece l’altro, accendendola.
Achtung, fertig, los und lauf…”, cantò per prima la voce di Bill.
“Ehm… sarà meglio cambiare stazione Franz, che dici?”
“Oh sì, certamente.”, fece l’altro, premendo il bottone di scorrimento della frequenza.
Dopo qualche scarica elettrostatica e qualche stazione non ricevibile, la voce di Avril Lavigne cantò: ‘
You were everything, everything that I wanted.  We were meant to be, supposed to be, but we lost it. All of the memories, so close to me, just fade away.  All this time you were pretending... So much for my happy ending…'
“Potrebbe cambiare, per favore… non mi piace.”, disse Mac, sperando di non aver travalicato. Insomma, già loro stavano violando il regolamento utilizzando la radio al di fuori delle sue funzioni…
“Sì, come vuole.”
Altre scariche, poi James Blunt: ‘Goodbye my lover, goodbye my friend. You have been the one.
You have been the one for me.’
“Non conosco bene l’inglese, ma non credo che questa sia appropriata, Franz.”, disse l’altro agente, lievemente imbarazzato.
“Se lo dici tu…”, e cambiò stazione per la terza volta.
A Mac venne da sorridere, quella situazione era troppo irreale: pareva che in quel momento, alla radio, passassero solo canzoni di persone che si stavano lasciando…
When I look into your eyes I can see a love restrained… But darlin' when I hold you, don't you know I feel the same….’
“Oh! Senti cosa stanno passando!”, esclamò l’agente Franz, “Solo di notte… mannaggia, ma è possibile?”
“Perchè? Chi sono?”, gli chiese il suo collega.
“Sono i Guns’n’Roses.”, disse Mac. Le ci era voluto un po’ per riconoscere ‘November Rain’.

‘Cause nothin' lasts forever and we both know hearts can change.
And it's hard to hold a candle in the cold November rain

 “November Rain… che bella canzone.”, disse Franz, alzando il volume. Proprio in quel preciso istante, quasi profeticamente, una goccia d’acqua macchiò il finestrino. Mac, con la testa appoggiata su di esso, la guardò scendere fino in fondo. Dopo qualche secondo, fu accompagnata da molte altro gocce. Era la pioggia di novembre.

 We've been through this such a long long time
Just tryin' to kill the pain
But lovers always come and lovers always go
And no one's really sure who's lettin' go today
Walking away

 Già, gli amori venivano e gli amori andavano, cantava Axel Rose.
Per scherzo del destino, anche lei si chiamava Rose.
O meglio, era lui a chiamarla in quel modo. Rose.

 So if you want to love me
then darlin' don't refrain
Or I'll just end up walkin'
In the cold November rain

 Se lui voleva amarla, allora non doveva rinunciare a farlo.
Ma visto che lui si era dimostrato essere un grandissimo stronzo, era meglio trovarsi a camminare nella fredda pioggia di novembre

 Do you need some time... on your own
Do you need some time... all alone
Everybody needs some time... on their own
Don't you know you need some time... all alone

Era proprio quello di cui aveva bisogno. Starsene da sola, con se stessa.
Cacchio Axel, era diventato un profeta?
Ce l’aveva quella canzone, ma non aveva mai pensato che i Guns fossero come dei messia.
Dopo l’assolo di chitarra di Slash, l’agente Aldo fu costretto a spegnere la radio, per ricevere una trasmissione dalla centrale.
“Dai…. Hai rovinato un momento magico.”, lo rimproverò lagnandosi il suo collega.
“Il dovere è il dovere, Franz.”
L’ultimo tratto del loro tragitto fu scandito solo dal rumore del motore della macchina. L’agente Aldo accompagnò Mac direttamente alla porta, coprendo entrambi con un grosso ombrello.
“Ma se non ha le sue cose con se come fa ad aprire?”, le domandò.
“Teniamo un mazzo di chiavi dentro a questo vaso.”, disse lei, accucciandosi ed iniziando a scavare nel terriccio, a qualche centimetro da una bella piantina grassa, piena di spine.
“Ah… interessante.”, fece l’agente.
“Ecco, trovata.”, disse Mac, tirando fuori il mazzetto di chiavi tutto sporco di terra, “Grazie mille agente per avermi tolto da questo impiccio.”
“Qui vive anche il suo fidanzato?”, le domandò.
“Sì, ma prima che arrivi me ne sarò già andata.”
“Ah, bene. Cioè, mi dispiace…”, si corresse l’altro.
“Ma si figuri. Mi saluti il suo collega.”, disse Mac, infilando le chiavi nella serratura. 

Infreddolita e mezza bagnata, corse nella camera. Ancora non aveva riposto la sua valigia, era sempre appoggiata all’armadio. La prese e la aprì sul letto: a grandi bracciate, prese i suoi vestiti, la sua biancheria e tutto quello che poteva starci, infilandoli dentro alla rinfusa. In cinque minuti chiuse la sua vita in una valigia.
Il resto non lo avrebbe di certo lasciato lì dentro. L’indomani avrebbe chiamato suo zio, il fratello di sua madre, che aveva una ditta di traslochi, e sarebbe stato lui a prendere ciò che era suo. Bill gli avrebbe detto cosa doveva portare via.
Nel mentre che si stava togliendo i suoi vestiti per indossarne di altri molto più comodi e pesanti, sentì la porta principale aprirsi e sbattere. 

 

Correndo, tornò dentro al locale. Doveva trovare l’autista e farsi accompagnare a casa. Doveva fermare Mac, doveva trovarla prima che se ne andasse definitivamente e non tornasse più.
Nervosamente, andò verso il tavolino su cui aveva lasciato il telefono. Ma cazzo, lui non ce lo aveva il numero delll’autista! Ce lo aveva Bill… Merda, perchè Saki si era preso le ferie proprio in quei giorni.
Lo cercò in giro, trovandolo a chiacchierare con Thiago ed un altro gruppetto di persone a lui sconosciute. Lo prese per un braccio, sottraendolo alla conversazione.
“Ma che cazzo fai!”, esclamò Bill, arrabbiato.
“Ce l’hai il numero dell’autista?”, gli chiese suo fratello, frettolosamente.
“A che ti serve?”
“Ce l’hai o non ce l’hai?”, si innervosì Tom.
“Certo che ce l’ho… ma dimmi a cosa ti serve. Hai combinato qualche casino con Mac, vero?”
“Dammelo.”, gli impose Tom.
“No, non te lo do, mi dispiace.”
“Dammelo!”, gli gridò contro suo fratello, in preda alla rabbia.
Bill lo prese di nuovo per un braccio, ma stavolta non si trattenne davanti agli altri. Lo stava proprio trascinando con forza e collera, fregandosene degli sguardi altrui. Velocemente prese entrambi i loro cappotti e uscirono fuori dal locale.
Pioveva a dirotto e, sotto la pioggia, iniziarono a litigare furiosamente.
“Faccio da solo, tornatene dentro.”, gli disse Tom.
“No, cazzo, vengo con te.”
“Fatti i cazzi tuoi Bill! Non devi sempre intrometterti nella mia vita!”
“Lo faccio solo perchè non sei capace di valutare le conseguenze delle tue azioni!”
“Vaffanculo Bill!”, gli urlò contro Tom.
“Dopo, adesso andiamo a recuperare Mac.”, gli disse l’altro, prendendo il suo cellulare e chiamando l’autista. Dopo cinque minuti erano dentro la loro macchina. Bill avvertì con un messaggio Thiago che stava tornandosene a casa con Tom e che, una volta arrivati, avrebbe mandato indetro la macchina per lui e per Gustav. Potevano continuare la serata, per loro era il momento din tornarsene a casa.
“Che cosa hai fatto…”, disse Bill al fratello, verso metà del tragitto.
“Niente che ti riguardi.”
“Tom, dimmi cosa hai fatto.”
“Niente.”
Bill sospirò. Doveva rassegnarsi.
“Posso anche immaginarmelo. La bionda con vestito rosso.”, disse poi, mentre si massaggiava le tempie. Gli era preso un mal di testa assurdo, che sarebbe aumentato esponenzialmente nelle prossime ore.
La limousine si fermò davanti al cancello e entrambi scesero, correndo verso la porta della loro casa. La macchina di Mac era sempre lì, ma non erano certi che lei fosse dentro casa. Tom non sapeva dove se n’era andata dopo che l’aveva lasciata ai poliziotti.
Infilando con mano tremante la chiave dentro la serratura, Tom aprì la porta, pregando con tutto il cuore che Mac fosse lì dentro. La luce della sala era accesa… o l’avevano dimenticata, oppure lei c’era. Rapidamente salì le scale, seguito da suo fratello come da un ombra. Sentì la porta della sua camera sbattere. Era lì, si era sicuramente chiusa dentro.
“Rose! Rose!”, la chiamava, mentre si avvicinava.
Davanti alla porta, iniziò a bussare, continuando a chiamarla. Sentiva dei rumori provenire da dentro. Entrò dentro camera sua.
“Sei ti avvicini la rompo in due.”, disse Mac.
Teneva in mano una chitarra.
La chitarra preferita di Tom.
Quella che stava appesa sopra il loro letto.
“Rose… per piacere.”, fece lui, movendo qualche passo verso di lei.
Con tutta la forza che avva in corpo, Mac la afferrò e la sbattè contro il muro, facendola cadere a terra a pezzi.
“Ma… che cazzo fai! Lo sapevi quanto valeva quella chitarra?”, disse lui, vedendola frantumata a terra.
“Non me ne frega niente.”, sibilò Mac.
Prese la sua valigia per il manico e fece per uscire dalla stanza, ma lui la bloccò, togliendogliela di mano.
“Tom, ridammi la mia valigia.”, gli disse.
“No.”
“Tom…”, si spazientì lei, “Non costringermi a distruggerti la camera.”
“Avanti! Fallo!”, fece lui.
Mac non ci pensò due volte. Prese un pezzo della sua ormai ex chitarra preferita e fracassò lo specchio appeso al muro, davanti al letto. Tutti i taglienti ed aguzzi pezzi di specchio si sparsero per terra.
Bill, che se ne stava in trepidazione seduto sulla rampa delle scale, allarmatosi per aver sentito quel rumore agghiacciante, irruppe, sperando che non fosse successo niente di particolarmente grave.
A terra, cocci di specchio ed una chitarra rotta.
“Bill, rimani fuori da questa storia. Tu non c’entri niente.”, gli disse Mac, seria e risoluta.
Al che lui se ne tornò dov’era fino a quel momento.
“Non riesci a parlarmi senza rompere niente?”, le disse Tom.
“No. Dammi la mia valigia.”, ripetè Mac, allungando la mano per farsela passare.
“Ti ho già detto che non te la do.”
“Va bene.”, disse Mac.
Uscì rapidamente dalla camera e corse giù per le scale. Prese il mazzo delle chiavi della sua macchina
“Dove vai! Dove credi di andare!”, fece Tom, mentre scendeva giù per le scale.
Lei non gli rispose, uscì fuori nella pioggia ed entrò nella sua macchina, mettendola in moto. Prima che lei potesse mettere la retromarcia e andarsene, Tom si mise dietro la sua auto. O lo investiva, o rimaneva lì.
La luce bianca si accese. Per un attimo ebbe la paura di trovarsi in ospedale.
Ma la macchina non si mosse di un millimetro. Intanto, la pioggia incessante gli era entrata dentro le ossa, passando al di là dei vestiti e facendolo tremare. Le bussò più volte sul vetro posteriore, ma lei non accennava a scendere dalla sua auto.
“Scendi!”, le diceva, “Scendi!”
Bill, sulla soglia della porta, si chiedeva se suo fratello si sarebbe mai spostato di lì.
Doveva farlo.
Premette il pulsante dell’apertura del cancello.
Andò verso Tom, lo prese per un braccio e lo strattonò via.
In una frazione di secondo, la macchina di Mac si spostò e, mentre Tom cercava di divincolarsi dalla presa di suo fratello, uscì dal cancello.
“Idiota! Pezzo di imbecille!”, gli gridò contro, quando lui lo ebbe lasciato, “Ma che cazzo hai fatto!”
“Quello che dovevo fare. E che dovevi fare tu.”
“Cretino!”, urlò ancora Tom.
La sua voce si era rotta.
Stava piangendo.
L’uno di fronte all’altro, si guardavano dritti dentro i loro occhi. Quelli di Tom erano pieni di lacrime, si confondevano con le gocce di pioggia che gli scendevano lungo la faccia.
Quelli di Bill sembravano piangere, ma invece erano solo pieni di astio.
“Reputati fortunato Tom.”, gli disse, “Dopodomani ti avrò già perdonato.”
Lui non gli rispose subio, non aveva la forza per farlo. Le sue labbra stavano tremando.
“E quindi? Che cazzo me ne faccio del tuo perdono?”, gli fece.
“E’ l’unico che avrai.”, gli disse Bill, prima di voltarsi e tornarsene in casa.
Non avrebbe capito subito quanto fossero vere quelle parole.


TITOLO: mi sono ispirata al libro del mio mito, Carlo Lucarelli, che si intitola ‘Il lato sinistro del cuore’. Se non lo avete mai letto, vi consiglio di farlo…. Paura eh???? No scopo di lucro. 

Le canzoni: 'Ubers ende der Welt', perdonate l'assenza dei due punti sopra la u, degli sconosciutissimi Tokio Hotel; 'My happy ending' di Avril Lavigne; 'Goodbye my lover' di James Blunt e 'November rain' dei Guns'n'Roses (Lode a Slash nell'alto dei cieli) non sono state utilizzate per scopi di lucro.

Beh... cosa dire? Non ci sono molte cose da spiegare... Ps: non vi scagliate contro Tom, vi prego, è solo martire della mia mente malata! XDD stare tranquille, ve lo farò ripiacere poi... e a chi non è mai piaciuto, beh, che ci posso fare?

MissZombie - CowgirlSara - Sososisu: non vi ringrazierò mai abbastanza ma, visto che lo faccio appena vi trovo su msns... adesso vi risparmio!! XDD Brevemente: Grazie Marti per la recensione in diretta di ieri sera *lacrimuccia* - Grazie Sara per le risatone che ci facciamo... prossimamente sfruttero alcuni dei nostri scleri, e complimenti ancora per Cappuccetto-Bill! Ancora sto ridendo, aspetto con ansia che entri in scena anche il cacciatore e la nonna! Grazie Polly (gneck gneck!), farai come Bart e non ti laverai più la mano che ha toccato Georg?????

Alanadepp: che recensione aggrovigliata.... non ci ho capito niente!!! XDD ma grazie lo stesso!... come fa Bill a non battere le palpebre? Semplice, c'ha i cosi negli occhi come ad Arancia Meccanica, hai visto? XDD... questa era patetica... ci sentiamo appena posso su msn, questa settimana torno sempre tardi dall'università! Ciauz!

Quoqquoriquo: ora tutto il quartetto ha perso le speranze e nessuno è più in grado di affrontare la situazione.... beh, grazie per i complimenti, davvero, sai essere molto obiettiva, efficace e diretta nelle tue recensioni! Sia nelle critiche, sempre ben accette, che nei complimenti. Grazie davvero! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

Starfi: dove devo venire a trovarti? Nel reparto di cardiologia dell'ospedale di quale città? Oppure nel manicomio criminale? Non vorrai mica uccidere Tom? XDD vedrai che nei prossimi capitoli tornerò a fartelo apprezzare... parola di Silvia! E l'idea del carmina burana? Mettila di sottofondo se ti rileggi il capitolo... soprattutto nella scena del bagno... XDDDDD se ci penso rido da sola!

Ruka88: tagliare i capelli? Già l'ho fatto (Last night... e Between...) Buttare via i cappelli? Gia fatto (Last night...).... cosa mi rimane da fare se non aprirgli direttamente il cervello e vedere se dentro c'è solo acqua? No, non sono così crudele....

SweetPissy: happy end??? tranquilla, innanzitutto per arrivare all'end ci corrono ancora diversi capitoli! XDD riprendi fiato e attendi con pazienza!

Sarakey: no non piangere, suvvia! Nemmeno adesso che si sono lasciati... per sempre? Who knows?

Anna9223:  dai, facciamoci coraggio e rendiamoci conto della situazione... si sono lasciati! Beh, doveva capitare, non credi?? XDDD

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Capitolo 10
*** Forgotten... not forgiven ***


Avete notato il cambiamento del titolo alla storia? Beh, scusate, ma questo è molto più appropriato... capirete...

10. FORGOTTEN… NOT FORGIVEN

 

 
L’unico modo per poter guardare il sole senza rimanere abbagliati, o senza farsi distruggere la retina, era avere un pezzo di vetro affumicato. O meglio, comprarne uno in una ferramenta o in una mesticheria, di quelli che venivano utilizzati per le saldature.
Era quello che la radio continuava a dire da una settimana a quella parte, in vista di un’imminente eclissi totale di sole. La predevano tra quattro giorni, nel pomeriggio.
Cacchio, l’aveva già vista, quando c’era stata molti anni prima in Germania. Ed era stata un’emozione indescrivibile.
Era stato il momento più bello di tutta la sua vita.
Era uno di quegli avvenimenti che facevano capire quanto l’uomo era insignificante sulla terra, perchè là fuori, nell’universo, succedevano cose impensabili, improgrammabili, che avevano il potere di sconvolgere la vita, anche se nessuno pareva accorgersene. Ma basta, era meglio non scrivere trattati teologici e astronomici quando si stava risalendo in superficie.
Ecco, un altro modo per guardare il sole senza troppi danni permanenti, era farlo attraverso venti metri di acqua marina. Vederlo scomposto, vederlo fluttuare, vederlo rompersi ad ogni più piccola increspatura della superficie… era proprio bello il sole.
Mentre fluttuava nell’acqua in attesa di far passare il tempo necessario per la decompressione, vide la barca passare davanti al sole. Un’altra eclissi, meno naturale, pensò, e solo parziale, perchè la barca lo oscurò solo in parte.
Si sentì toccare il braccio e si voltò, mentre aspirava ossigeno dal boccaglio. Un gesto semplice, il pollice volto in alto che indicava la superficie. Scosse la testa in senso affermativo e riprese a muovere ritmicamente i suoi piedi, dandosi così con le lunghe pinne la spinta per la risalita. Si sarebbero fermati altre volte, prima di riaffiorare, per evitare di farsi uccidere da un’embolia.
Appena la loro testa affiorò sul pelo dell’acqua, si tolsero la maschera ed il grosso boccaglio. Un paio di uomini si affacciarono, tendendo loro le mani per aiutarli a montare sulla barca.
Ma come prima cosa, Mac dette loro la sua attrezzatura, che altro non era che una telecamera subacquea che pesava un quintale. Una volta ebbe messo piede sulla barca e questa fu ripartita per la spiaggia, si liberò delle bombole, delle pinne e della tuta da sommozzatore. Stessa cosa fece il ricercatore, che era stato con lei per quasi un’ora ad una cinquantina di metri di profondità, ad esplorare il fondo marino e la barriera corallina.
“Gesù… laggiù si gelava…”, disse Mac, avvolgendosi in una coperta che le aveva passato uno dei membri del piccolo equipaggio. Sotto la tuta da sommozzatore aveva una maglietta ed un paio di pantaloni, anch’essi impermeabili, ma il freddo che c’era a quelle profondità era abbastanza intenso. Non importava che fossero due paralleli sotto l’equatore.
“Abbastanza.”, le rispose il ricercatore, mentre rabbrividiva.
“Quando ci torniamo in questa zona Herwig?”, domandò al ragazzo, suo connazionale, l’unico con cui continuava a parlare tedesco.
“Non appena avrò esaminato tutti i filmati.”, le disse lui.
“Hai capito come funziona tutta l’attrezzatura? Compresi i programmi per la scomposizione delle immagini e tutta quella roba là?”
“Penso di sì, ma se non ne caverò un ragno dal buco ti chiamo.”
“Va bene.”
La barca, lunga circa sui quattro metri, solcava le onde a tre quarti e tornava verso il porticciolo. Ancora dovevano navigare per almeno un quarto d’ora, si erano allontanati abbastanza dalla costa. L’equipaggio era composto da un timoniere e da un paio di aiutati, abitanti del posto.
Il caldo del sole oramai l’aveva ritemprata e, togliendosi la coperta di dosso, si appoggiò al fianco sinistro della barca, lasciandosi riscaldare dall’aria tiepida.
“Fai niente stasera?”, le chiese Herwig.
“Boh, non so. Penso che andrò al villaggio e scroccherò qualche bevuta qua e là.”, disse lei, con poco interesse. Ogni tanto lui faceva qualche domanda del genere, ma lei non gli dava mai troppo spago. Era un tipo carino, un bel moro dalla particolare carnagione chiara, perennemente arrossata dal sole tropicale. Aveva qualche anno in più e sembrava interessarsi a lei, ma riceveva sempre picche.
“Vado a mettermi comoda.”, disse poi Mac, scendendo sotto coperta.
Al riparo da occhi indiscreti, si tolse i vestiti impermeabili e indossò il due pezzi. Si infilò i pantaloncini a fantasia floreale, del tutto in tono con l’ambiente circostante, si legò il reggiseno nero dietro al collo e concluse il tutto con una canottiera nera.
Tornò in superficie e si stese sulla panca su cui era stata seduta, attendendo di arrivare sull’isola.
“Ti va di se ci andiamo insieme a prendere qualcosa da bere?”, ritentò Herwig.
“Ci becchiamo là, ok?”, disse lei, guardandolo ad occhi socchiusi per via del sole.
“Ok.”, rispose lui, comprendendo che non era aria.
“Siamo arrivati.”, disse il timoniere, in francese.
“Va bene.”, rispose Mac.
Se lo era studiato per bene prima di partire ma, una volta arrivata lì, lo aveva dovuto imparare completamente di nuovo. La lingua che parlava la gente del posto era un miscuglio tra il dialetto locale e il francese, la lingua della colonizzazione, ed era quasi del tutto incomprensibile. Ma dopo un mese ci aveva fatto l’orecchio e se lo era assimilato.
Alzandosi in piedi, con la mano sopra gli occhi per ripararsi dal sole, guardò il profilo della costa: palme, acqua cristallina e pulita, bambini europei che giocavano sulla riva del mare, mentre i loro genitori prendevano il sole sulle loro sdraio.
Era un paradiso quel posto.
Erano le Seychelless.
Aiutarono l’equipaggio ad attraccare la piccola barca al porticciolo e, con calma, scaricarono tutto il loro equipaggiamento, per caricarlo nuovamente sul fuoristrada che era parcheggiato a qualche metro da lì, lungo la strada asfaltata.
“Ti accompagno a casa?”, le chiese Herwig, appoggiato alla fiancata della macchina.
“Herwig… stiamo a tre passi da qui, al villaggio. Ancora mi chiedo cosa prendi a fare questo fuoristrada quando partiamo da questo porticciolo… E comunque vado al bar a prendermi da bere. Chiamami se hai bisogno.”, rispose lei, chiudendo il portellone posteriore.
“Perfetto.”, fece lui, montando nell’auto e partendo.
Mac si sistemò i pantaloncini e, inforcando le sue infradito, tornò verso la spiaggia. Dopo tre mesi di sole tropicale la sua pelle si era fatta di un colorito lievemente scuro, quasi nocciola. Le piaceva la sua pelle abbronzata, le piaceva quando i piedi affondavano nella sabbia, le piaceva l’odore della salsedine… tutte cose che non le erano mai andate molto a genio. Ma si sapeva, le persone cambiavano nel tempo.
Tolse la pinza che sorreggeva i suoi capelli, lasciandoli cadere sulle spalle, per farli asciugare alla luce del sole. Legò solo le ciocche più esterne con un nodo dietro alla testa. Ogni singolo capello era imprigionato in una lunga treccia: se le era fatte fare qualche settimana prima soprattutto per comodità, perchè in quel modo non doveva stare a combattere con i capelli che le si appiccivano ovunque.
E se li era anche tinti di nero. Nero, proprio nero.
Camminando tra i bambini che giocavano, ne salutò qualcuno. Li conosceva quasi tutti, anche se non ricordava bene i loro nomi, perchè a tempo perso si divertiva a fare animazione per bambini, nel villaggio turistico dove alloggiava… era una storia un po’ lunga da raccontare…  Rinviò una palla, un freesby e una pallina da tennis, prima di raggiungere il bar sulla spiaggia, dove lavorava Nagomi, un simpatico ragazzo giapponese di Osaka.
“Ciao Nagomi…”, gli disse lei, “Mi fai il solito?”
“Certamente Mac!”, rispose lui, con il suo solito ottimismo stampato in faccia e la ‘r’ inesistente.
Mac mise entrambe le braccia sul tavolo e, stancamente, vi appoggiò la testa sopra. 

 

Aprì l’ombrellone, il cui cappello era fatto di foglie di palma essiccate. Poi distese anche le due sdraio, appoggiate al palo dell’ombrellone, sperando che nelle prossime ore venisse occupata... Sistemò con cura la sua e vi si sedette sopra. Frugò nel suo zaino e prese tutto l’occorrente: occhiali da sole, crema solare, cruciverba, un libro, lettore mp3, penna, giornaletto scandalistico. Insomma, mancavano solo le formine e la paletta nel suo equipaggiamento da mare, ma aveva quasi trent’anni e non sarebbe stato molto appropriato.
Si spalmò con attenzione e cura la giusta quantità di protezione solare fattore cinquanta, resistente all’acqua, non oleosa e repellente alla sabbia. La sua pelle era troppo chiara e si sarebbe scottata nel giro di quaranta secondi sotto quel sole quasi verticale. Voleva tornare abbronzato, in due settimane era sicuro che avrebbe acquistato un bel colorito, ma era bene proteggersi se non si voleva arrostire a puntino.
Con la testa all’ombra e il resto del corpo al sole, alzò lo schienale della sdraio al livello giusto e, con il cruciverba in mano, dette il via al suo primo giorno di vacanza tropicale.
Cacchio, ci voleva. Appena tornava a casa, subito iniziava il tour promozionale del loro nuovo album, quindi era bene assorbire più relax possibile, prima di buttarsi ad occhi chiusi nell’inferno… beh, detta in quel modo sembrava una cosa che odiava fare e non era vero. Ma i tour promozionali, tra concerti, interviste e fotografie, erano veramente, infernalmente, stressanti.
“Vediamo un po’….”, disse. Non ce la faceva a non parlottare tra sé mentre faceva il cruciverba. Gli venivano meglio le soluzioni se le leggeva a voce alta, parlando al plurale.
“Capitale dello Zaire… che palle, subito difficile. Due verticale, questa è corta, la sappiamo…”
Scorse velocemente le definizioni.
“Contrario di no. Sì, ovviamente.”, e lo scrisse, dopo aver stappato la sua penna, tenendo il tappino con i denti.
“Tre verticale, più lunga, vediamo se la sappiamo… Scrittore maledetto… eh! Chi sarà, Baudelaire?”
Il problema era scriverlo nella maniera corretta.
“Vabbè, passiamo al prossimo. Sei orizzontale… Mezzo di soccorso. Ambulanza.”, fece, scandendo ogni lettera che stava scrivendo.
“Scrittore italiano e grande aviatore… e che ne so! Che palle questo cruciverba, è troppo difficile.”, disse, riponendolo dentro allo zaino.
Mettendosi le mani dietro alla testa, iniziò a squadrare le persone intorno a lui. Erano le dieci di mattina e la spiaggia sembrava totalmente invasa da bambini vocianti e strillanti, che non facevano altro che piangere e lamentarsi con i suoi genitori.
Meno male che aveva specificato di voler andare in un posto giovane, pieno di ragazzi e ragazze. Beh, le ragazze erano state specificate anche da quell’altro, quello che era venuto insieme a lui e che per il momento stava ancora dormendo, stroncato dal jet lag. Gli altri due avevano preferito altre mete: c’era chi se n’era andato in gita educativa a Mosca, a prendersi i cinquanta gradi sotto lo zero che c’erano sempre a marzo. C’era chi se n’era andato con i familiari in montagna. Loro due, uniti insieme nella lotta contro la ‘vacanza pallosa’, avevano deciso che le Seychelless potevano essere una meta accettabile per entrambi.
Avevano spulciato tutti i villaggi turistici, scegliendo quello in cui avevano trovato più divertimenti. Due discoteche, sei bar a tema, tre piscine, di cui una con idromassaggio… poteva andare più che bene!
Eppure davanti al suo naso, solo bambini.
Ecco, l’avevano preso in quel posto, oppure i giovani erano da un’altra parte?
Inoltre, la maggior parte di coloro che aveva incontrato erano francesi, ce n’erano pochi di tedeschi come lui.
Fece quasi per chiudere gli occhi, poi un paio di pantaloncini blu con grossi fiori bianchi attirarono la sua attenzione. Si tolse gli occhiali da sole e cercò di mettere a fuoco ma, cazzo, non aveva quelli da vista. Frugò velocemente nel suo zaino e li trovò.
La ragazza camminava sul bagnasciuga e si intratteneva ogni tanto con qualche bambino, passandogli la palla oppure scambiando qualche scherzo con lui. Ah! Meno male, si disse, c’era una presenza femminile senza figli a carico in quel villaggio turistico!
Poi i suoi occhi misero ancora meglio a fuoco, abituandosi al filtro della lente degli occhiali da vista. Non sapeva spiegarselo, quella ragazza gli era familiare. Ma non conosceva nessuna che aveva lunghi capelli neri, che sembravano raccolti in numerose treccine… Forse gli ricordava qualcuno.
Beh, se l’avesse vista di nuovo in giro sicuramente le avrebbe chiesto se si erano conosciuti da qualche parte. Tornò a sdraiarsi, togliendosi gli occhiali da vista e mettendosi beatamente a prendere il sole.
Si alzò di scatto a sedere.
Cercò di nuovo quella ragazza sul bagnasciuga.
Non poteva essere.
No, non poteva essere lei.
Si alzò, lasciando la sua roba vicino alla sdraio e si incamminò verso il bagnasciuga.
“Cazzo! Scotta!”, esclamò, sentendo la sabbia rovente sotto i piedi.
Tornò indietro e si infilò i sandali, non voleva ustionarsi le piante dei piedi.
Sul bagnasciuga, fu quasi costretto a tornare indietro a rimettersi gli occhiali da vista, ma fortunatamente notò quel paio di pantaloncini avvicinarsi al bar, una baracchina circolare fatta di legno e fronde di palma sul tetto. Aveva notato subito, appena ci era passato davanti, il barista: che ci faceva un giapponese, o cinese che fosse, a fare i cocktail?
La ragazza si sedette e sembrò ordinare qualcosa. Poi mise le braccia sul bancone e vi appoggiò la testa.
No, non era lei.
Sì, era lei.
No, non era lei.
Sì, era lei.
Ma come faceva a saperlo, vedendola solo da dietro?
Stupido, bastava andare ad ordinare qualcosa.
Idiota, non aveva preso i soldi.
Scemo, aveva comprato una formula all inclusive, non doveva pagare niente.
Cretino, aveva lasciato il braccialetto che lo identificava come un cliente in all inclusive nello zaino.
Deficiente, doveva semplicemente togliersi un dubbio, bastava avvicinarsi e chiamarla. Se si voltava, era lei. Se non si voltava, non era lei. Semplice.
Un passo dietro l’altro, andò verso il bar.
“Ehm… Mac?”, disse, quando fu alle sue spalle. 

“Grazie Nagomi, sei un mito.”, gli disse, dopo aver bevuto un po’ del suo cocktail, “Cosa ci hai messo questa volta?”
“E’ un esperimento. Ti piace o no?”, le chiese lui, sedendosi sul ripiano in acciaio del suo bancone, dove preparava ogni tipo di bevanda per i turisti. Era stato assunto nel villaggio turistico durante l’estate precedente, quindi quando Mac era arrivata, ad inizio gennaio, già lui vi lavorava da un pezzo. Era il tipico stereotipo di ragazzo giapponese, non tradiva quell’immagine: appassionato di manga, sempre ottimista e sorridente. Per Mac era uno spasso stare insieme a lui, che ne combinava sempre di cotte e di crude. Una volta era rimasto incastrato dentro ad uno dei frigoriferi che erano installati sotto al bancone, avevano dovuto far venire un fabbro per farlo uscire.
Era davvero un bravo ragazzo, di quelli che si facevano in quattro per gli amici, ed era questo che Mac apprezzava molto di lui. Al di là di quel suo sorriso stampato in faccia, c’era però una persona del tutto diversa, timida ed insicura, che contava molto sull’appoggio degli altri. Insomma, per Mac era una persona vera, non come molti degli altri che lavoravano nel villaggio ed erano semplicemente dei deficienti con le gambe. Ragazzi e ragazze, era da intendersi.
“Un po’ troppo dolce, forse stucchevole quando arriverò a metà. Dovresti metterci meno zucchero di canna.”, lo consigliò lei.
“Dici?”, fece lui, aggrottando la fronte.
“Mh… sì, direi di sì. Come lo chiamerai?”
“Maccoktail! Tutto attaccato, un’unica parola!”, fece lui, sorridendo a cinquanta denti.
“Che bello! Adesso ho un coktail che porta il mio nome! Wow, già credete tutti che sia la spugna ubriacona del gruppo…”
“Grazie, grazie.”, fece lui, dandole una pacca di comprensione sulle spalle, “Com’è andata l’immersione?”
“Abbastanza bene… vedessi che fondali, Nagomi, un giorno ti porterò con me!”
“Mi piacerebbe molto!”
“Spero solo che quell’idiota di Hergiw abbia davvero imparato ad usare tutti quei programmi per analizzare le riprese… altrimenti mi tocca sorbirmelo per tutto il giorno e ho voglia di andare un po’ al villaggio a rilassarmi tra i marmocchi.”
“Solo tu puoi sopportarli. Io appena ne vedo uno di quei bambini scappo.”
“Ho sopportato cose molto peggiori nella mia vita.”, disse Mac, lasciando che l’effetto della frase si disperdesse.
“Momento, ho un cliente in arrivo.”, disse lui, scendendo dal bancone per riprendere la sua professionalità.
“Ah, ok.”, disse Mac, sorseggiando ancora la sua bevanda.
“Che tipo strano… ti sta fissando.”, le disse, osservandolo.
“Se è qualcuno di quegli olandesi dalle mani lunghe, ti prego, tira fuori il tuo spadone da samurai e tagliagli via la testa, magari diventi come Highlander..”, fece lei.
Effettivamente, sentiva passi attutiti dalla sabbia alle sue spalle.
“Ehm… Mac?”, disse lo sconosciuto, dietro di lei.
Dato che Nagomi sembrava non essere intenzionato a commettere nessuno omicidio per conto suo, con riluttanza, Mac scese dal suo sgabello e si voltò.
“Oh mio Dio… Gustav!”, esclamò, portandosi le mani alla bocca.
“Allora sei proprio tu!”, disse lui.
 

 
Non poteva crederci, era Gustav. Cavolo, da quanto tempo non lo vedeva se non in televisione? Un anno? Sì, più o meno era un anno. Cavolo, lo trovava veramente bene, anche se era sempre il solito. Era uno di quei tipi che non cambiava mai.
“Cavolo! Ti ho vista camminare sul bagnasciuga e mi sono detto: ma è lei o non è lei? Non ti avevo riconosciuto con i capelli neri…”, le disse. La trovava veramente bene, abbronzata, atletica come era sempre stata, forse anche più carina di come se la ricordava. Pareva quasi un’altra persona, era incredibile.
“Beh… sorpresa!”, disse Mac.
Non era molto contenta di vederlo lì, doveva ammetterlo. Ma non perchè era Gustav. Soprattutto perchè aveva paura che potesse portarsi dietro un carico pericoloso…
“Nagomi, prepara qualcosa anche al mio vecchio compatriota e mettilo sul mio conto!”, disse al barista nella loro lingua comune, il francese, e poi tradusse, “Ti offro da bere, siediti e chiacchieriamo un po’. Se sei qua, vuol dire che hai tempo da perdere no?”
“Beh sì, siamo arrivati proprio ieri.”, disse lui, pentendosi subito di aver utilizzato il verbo al plurale. Mac però non parve scomporsi.
“Sei qua con la tua fidanzata? Non è che si ingelosisce vedendoti qui con me?”, disse lei, ridendo. Ecco, pensò Mac… iniziò a pregare il cielo che rispondesse di essere qui con una qualsiasi femmina in grado di respirare senza macchinari medici e di camminare senza l’ausilio di stampelle.
“Oh no… è un tipo tranquillo lei…”, disse lui.
“Mi piacerebbe conoscerla!”, fece Mac, sentendo rinnovare la sua speranza di vita a ottant’anni.
“Beh… se ci troviamo in giro te la presento. Ma piuttosto, cosa ci fai qui? Sei in vacanza anche tu?”, le chiese, cercando di cambiare tema del discorso. Non era assolutamente il caso di raccontarle la verità.
“Magari fossi in vacanza! Sono qui per lavoro.”, disse lei.
Il barista offrì un cocktail bianco a Gustav, che lo guardò chiedendosi cosa ci poteva essere dentro. Mac guardò il suo amico barista ed iniziò a parlottare con lui, in francese. Lui, che lo aveva studiato ma oramai se ne era completamente dimenticato, non comprese un’acca, ma di sicuro lei lo stava rimproverando.
“Nagomi… che cosa hai fatto…”, fece al ragazzo.
“Doppio cocco, un quarto di lime.”, disse lui, orgoglioso.
“Ma che schifo…”, esclamò Mac, facendo una smorfia di disgusto.
“Dai, scherzavo, digli di assaggiarlo, vedrai che cambierà idea.”
“Nagomi… ti strozzo…”, gli disse Mac, cercando di prenderlo mentre lui si rintanava sotto il bancone, poi gli fece: “Non ti preoccupare, Gustav, non è velenoso.”
Lui, anche se era abbastanza riluttante, ne prese un sorso e, a vedere dalla sua faccia, sembrava abbastanza buono. Aveva un sapore un po’ troppo dolce, ma era delizioso. Sicuramente dentro c’era tanto latte di cocco, pensò, ma non seppe dire quali erano gli altri ingredienti.
“E che lavoro fai? Sei impiegata qui al villaggio?”, le domandò Gustav. Incrociando mentalmente le dita, sperò che lei non le dicesse di sì.  Molto probabilmente, si disse, se ne era venuta in un posto del genere per fuggire, per lasciarsi tante cose alle spalle…
“No, proprio no…. Mi sono trovata qua quasi per caso. Una serie di fortunati eventi, li chiamerei. E dire che io ho sempre odiato il sole ed il mare.”
“Sì?”, fece Gustav. Cavolo, pericolo scampato, lei non lavorava lì… Ma allora cosa ci faceva all’interno della proprietà del villaggio turistico?
“Sì, proprio così. Non avrai mica pensato che mi sono trasferita qua perchè la vita tedesca mi stava stretta?”, disse Mac, guardandolo scherzosamente di sbieco.
“No, assolutamente no…”, fece Gustav, negando completamente la verità.
“Oh bene… facendoti una breve sintesi… Avevo iniziato a prendere, quasi senza interesse, lezioni di sub. Poi dopo aver fatto l’esame per il brevetto, ho trovato per caso su internet un bando di concorso dove un’azienda di ricerche sulla biologia marina cercava un subacqueo, esperto in attrezzature fotografiche e videocamere…. Ed eccomi qui, sono stata affiancata ad un ricercatore. Andiamo ad esplorare la barriera corallina alla ricerca dei segni dell’impatto ambientale di queste strutture turistiche. Sono qua da tre mesi e ci rimarrò per altri tre.”
“Wow… che lavoro interessante! E poi in un posto del genere! Quanto ti invidio!”, esclamò Gustav.
“Già… Non cambierei questo lavoro per niente al mondo! E’ incredibile, ogni giorno ci immergiamo, vediamo dei paesaggi nascosti incredibili…”, disse lei, smascherando la sua falsa tristezza e facendolo ridere, “Ma basta parlare di me. Piuttosto, tu sei qua in vacanza, vero?”
“Sì, e ci starò per le prossime due settimane. Poi torno al lavoro. Tour promozionale per il nuovo album, sarà uno stress…”, disse lui, stiracchiandosi. Era contento di trovarla a sua volta contenta, ed era ancora più contento di sapere che lei non c’entrava niente con quel villaggio. Non lo pensava di certo perchè non voleva più vederla, non era lui il problema… Anche se ancora doveva risolvere il seguente quesito: cosa di faceva dentro a quel villaggio, che era chiuso a tutti i visitatori?
“Ah sì? Avete pronto un nuovo album?”, chiese lei.
“Yes!”, disse lui, in uno slancio di internazionalismo.
“Bene, allora appena esce lo scaricherò illegalmente sul mio pc.”, disse Mac.
“Ah, grazie per il supporto!”
“Dai, stavo scherzando! E come vanno le cose per il resto?”, gli chiese lei, mentre giocherellava con il suo bicchiere.
“Tutto ok… sì, nell’emisfero boreale va a tutti bene.”
“Come stanno Georg e Jasmine?”
“Beh… Tutti stanno bene a parte loro… credo stiano per separarsi.”, le confidò lui.
“Cavolo, mi dispiace… e le bambine?”, fece lei.
“Beh, di certo non la prenderanno bene, ma sono ancora molto piccole per capire. Non ti saprei dire perchè non stiano più andando d’accordo.”, disse lui, dispiaciuto per le sorti di uno dei suoi migliori amici.
“E Bill?”
“In questo preciso momento è sotterrato dalla neve russa.”
Mac scoppiò a ridere, per poco non le andò di traverso quello che stava bevendo. Non ci poteva credere che Bill se ne fosse andato al freddo, si sarebbe aspettata di trovarlo in un posto al caldo, come quello dove erano loro due in quel momento.
“Davvero? E che ci fa in Russia?”
“Mah, non lo so. Si è chiuso dentro ad uno stabilimento termale… ma non vi sentite più?”
“Beh… no. Da diverso tempo oramai. Ho dovuto rompere i contatti.”, disse lei, deviando lo sguardo verso il bancone di legno.
“E Thiago?”, le chiese lui, stupito.
“Lo hai preso per un pelo, se n’è andato la settimana passata, era venuto a trovarmi. Se la passa bene.”
“Quello che so di lui è ciò che mi racconta Bill. Sai, dopo quello che è successo…”
“Sì, ok, andiamo oltre.”, disse Mac.
“Sì, hai ragione, scusami.”
“No, tranquillo, colpa mia.”, fece lei, sorridendogli. Un rumorino simile ad un tintinnio attirò l’attenzione di entrambi.
“E’ il mio telefono, scusami.”, disse Mac, scendendo dal suo sgabello ed allontanandosi di qualche passo. Gustav sentì distintamente la sua imprecazione, sicuramente non era una chiamata ben voluta. Finì di bere il suo drink, chiedendosi cosa ci poteva aver messo dentro quello strano ragazzo giapponese, e si rammentò di doverle chiederle cosa ci faceva dentro al villaggio.
“Nagomi.”, disse il giapponese, sorridendogli.
“Ehm… come scusa?”, fece Gustav, non comprendendo cosa gli volesse dire.
“Nagomi.”, fece lui, indicandosi.
“Ah Gustav, piacere.”, gli disse, porgendogli la mano. Che tipo strano, sempre con quel sorriso spiaccicato sulla faccia…
“Mi dispiace lasciarti in asso Gustav, ma devo proprio andarmene. Il mio collega si è impantanato con le riprese, devo soccorrerlo prima che cancelli tutto il lavoro di oggi.”, disse Mac, dispiaciuta.
“Oh no, figurati.”
“Tanto io sono sempre qui nei paraggi, ogni tanto faccio animazione, è probabile che mi vedrai con un migliaio di marmocchi attaccati al collo. E poi vivo in un appartamento dentro al villaggio, l’azienda ci ha trovato una bella sistemazione!”
“Ah… mi fa piacere saperlo.”, disse l’altro.
“Ok, devo proprio andare! Ci vediamo in giro!”, disse lei. Si tolse le infradito e, correndo, tornò nella direzione in cui era venuta, verso il porticciolo.
Ci mancava altro che facesse animazione al villaggio, pensò Gustav. E per giunta ci abitava…
Come faceva ad evitare di farli incontrare?
“Vuoi qualcos’altro?”, gli domandò Nagomi.
“Ehm… non parlo francese.”, gli disse Gustav, facendo spallucce.
Il ragazzo, capendo che era impossibile comunicare, gli indicò il suo bicchiere.
“Oh no, grazie lo stesso.”, gli disse, sorridendo.
Cazzo.
Cazzo cazzo.
Cazzo cazzo cazzo.
Merda!, esclamò dentro di sé.
Non li poteva far incontrare.
Si immaginava quale sarebbe stata la reazione di Mac e non voleva farle avere problemi.
Poteva anche immaginarsi quale sarebbe stata quella di Tom. Lui aveva giurato su tutte le cose che aveva al mondo che aveva dimenticato tutto… E lui poteva fare altrettanto, giurando però il contrario.
E dire che pensava che sarebbe stata una vacanza rilassante!

 

Entrò nell’appartamento che era stato assegnato loro… dire che era extra lux era un’offesa, un eufemismo: piscina privata con idromassaggio; due mega camere dotate di ogni comfort, tra cui bagno privato con vasca di nuovo idromassaggio, televisori di ultima generazione ed impianto stereo; ampio soggiorno, un altro bagno… A parte il fatto che l’arredamento in legno dipinto stonava completamente con la tecnologia che vi era stata installata, potevano dire che non mancava niente. La casetta era circondata da un giardino, delimitato da una siepe alta più di due metri, che li nascondeva dalla vista degli appartamenti vicini.
Perlustrando il villaggio, Gustav aveva capito che era stato praticamente diviso in due parti: da un lato, gli appartamentini per le famigliole felici, con annesse tutte le comodità per far divertire i figli, nonché i genitori. Dall’altro lato, per spiegarsi in poche parole, c’erano tutti quelli come lui, cioè sotto i trentacinque anni e senza bambini a cui pensare. L’edificio che metteva in comune le due parti era il grande ristorante, dove venivano serviti pasti a buffet per tutti.
Lui, dato che il loro appartamento era situato nella zona delle famiglie, si era imbucato nella spiaggia delle famigliole felici mentre, se avesse fatto solo venti metri in più, avrebbe trovato quella dei ragazzi folli. Di ogni nazione, dall’Europa all’Australia, c’era gente di tutti i tipi. Meno male, pensò, se lei stava con i bambini, di sicuro non si sarebbero incontrati di nuovo… ma c’erano tantissime altre variabili a cui pensare e non le poteva valutare tutte in quell’istante, quindi entrò nell’appartamento imponendosi di non pensarci.
Trovò tutto in silenzio: o Tom stava ancora dormendo, oppure era andato a fare un giro. Provò a bussare alla porta della sua camera, quella a sinistra rispetto all’entrata.
“Tom… Tom ci sei?”, fece, mentre apriva la porta.
“Non entrare!”, sbraitò l’altro.
“E che cazzo! Che è successo!”, protestò Gustav, richiudendola.
“Non entrare o lo farai venire da me!”, ripetè l’altro.
“Venire da te? E cosa?”, fece Gustav. Chissà cosa stava combinando, si disse, mentre entrava.
Tom se ne stava appollaiato sul cassettone, con il suo cuscino piegato sulla testa, retto da entrambe le mani.
“Ma che ci fai lì sopra? Fai l’allocco?”, gli disse, iniziando a sbellicarsi dalle risate.
“Fermati! Non ridere o si stacca dal muro!”, continuò a gridare l’altro, mentre si copriva la testa con il cuscino.
“Che ci sarà mai sul… e che cazzo!”, esclamò Gustav, alzando gli occhi e vedendo una lucertola lunga almeno un metro appiccicata al soffitto. Ci mancò poco che non cadesse per terra per lo spavento.
“Vado a chiamare qualcuno per farla togliere…”, disse lui, poco intimorito da quell’animale tropicale.
“No! Deficiente! Non vorrai mica lasciarmi qua da solo!”, sbraitò di nuovo l’altro, rinchiudendosi nel suo cuscino.
“Non avrai mica paura di un mega lucertolone africano?”
“Vorrei vedere te a svegliarti con quel coso del mesozoico che ti guarda dritto negli occhi!”
“Magari se lo baci diventerà una bella principessa!”, disse Gustav, uscendo dalla porta.
“Magari se lo baci diventerà una bella principessa…”, ripetè Tom, storpiando tutte le parole e facendo delle boccacce.
“Comunque non è che ti sta puntando per mangiarti…”
“Mi fa schifo… è viscido… ripugnante…”
“Allora è la tua anima gemella.”, disse Gustav, “Andiamo in spiaggia.”
“Non ho fame… e poi io non ci passo sotto a godzilla!”
“Tom…”, disse Gustav sconsolato, “Che cosa siamo venuti a fare in questa cazzo di isola?”
“Divertirci e scopare.”, disse lui.
“Ecco, assolviamo al primo compito, poi pensiamo al resto.”
“Ma se passo sotto al tirannosauro rex e mi casca in testa?”
“Speriamo te la sfondi, così stramazzi e non ti devo più sopportare!”, sbottò Gustav.
“Ma Gusti… è il nostro primo giorno di vacanza, se ti impregni d’acido ancora prima di tornare a casa… ”
Se avesse potuto spiegargli perchè, in quel momento, gli giravano altamente le scatole, lo avrebbe fatto. Avrebbe subito svuotato il sacco, ma non poteva.
“Mettiti il costume, bado io a Fido.”, gli disse Gustav, mentre prendeva l’ombrello, che pareva inutilizzato da anni, appoggiato accanto alla porta, e lo apriva, per riparare Tom dall’eventuale caduta del biscione a quattro zampe appeso al muro.

 

Sdraiato, sopra l’asciugamano, ad ogni sua più piccola mossa la sabbia si muoveva. Era così fine e così morbida, sembrava di stare sopra ad un materasso. Rilassandosi completamente, supino, sotto l’effetto benefico del sole, affondava le mani dentro la sabbia, creando dei mulinelli, dei monticini instabili, che ricadevano subito sulle sue mani. Una sorta di automassaggio, che lo liberava totalmente dallo stress e dalla fatica accumulata in tutto quel tempo.
“Tom! Vieni a fare il bagno!”, gli gridò Gustav, già per metà sommerso.
“No! Vai da solo.”, gli disse lui, alzando solamente per un poco la testa nella sua direzione.
“Dai!”
“Farai la figura del gay se facciamo il bagno insieme!”
“Riposati Tom!”, disse Gustav, prima di tuffarsi nell’acqua calda colore del cristallo.
Ecco, parcheggiato il bambino in acqua, poteva non pensare più a niente. Appoggiandosi sui gomiti, si mise ad osservare la fauna turistica. Intorno a lui sentiva parlare moltissime lingue che non conosceva, solo qua e là una parola in tedesco. Tanti gruppi misti in vacanza, c’era ogni tipo di gente: dai tatuaggi viventi ai rastoni come lui, dai tipi normali a quelli già ubriachi di prima mattina. E soprattutto, tantissimi ragazze, pieno di ragazze, il serbatotio delle ragazze segnava più che full. Tante di queste avevano il mastino accanto, cioè il fidanzato… ma le altre? Wow, era proprio il paradiso lì.
Se avesse subito meno l’influsso negativo del jet lag, avrebbe subito iniziato ad individuare il target. Per il momento, nessuno li aveva riconosciuti, ma gliene importava meno di nulla, e se poi lo avessero riconosciuto sarebbe stato anche meglio, più ragazze in vista.
Ragazze che venivano, ragazze che andavano, sotto ai suoi occhi. Due soli comandamenti si erano imposti, lui e Gustav: divertirsi e scopare, prima di buttarsi a capofitto nel lavoro. Beh, quei due principi fondamentali erano in vigore anche prima ma, insomma, era meglio farlo in vacanza, tutto avrebbe avuto un sapore diverso.
Bill se n’era andato in Russia… ma che cazzo ci avrebbe fatto lassù da solo? Gli aveva detto che andava a ritemprarsi la mente. Sotto tre metri di neve, aveva aggiunto lui. Meno male che poi gli aveva fatto vedere l’albergo in cui se ne andava a stare per due settimane: a parte le palme, la sabbia, il caldo tropicale e il mare, non aveva niente da togliere al posto dove andava lui. Si sarebbe fatto massaggiare finchè non sarebbe diventato l’uomo di gomma, gli aveva detto.
Georg si era preso una pausa dalla famiglia. O meglio, da sua moglie. Erano in crisi, brutta cosa, e avevano deciso di allontanarsi per un po’ l’uno dall’altra per valutare meglio la situazione. Jasmine si era presa le bambine e se n’era tornata nel sud, dalla sua famiglia. Georg era rimasto a casa, avrebbe fatto l’uomo sposato in crisi.
Lui e Gustav, invece, si volevano far distruggere dal divertimento. Mentre il sole veniva respinto dalla crema solare che si era spalmato qua e là, fece un rapido riconteggio dei giorni che gli rimanevano: ancora quindici, compreso quello. Cosa si poteva fare in quindici giorni? Tutto!
Un pallone si fermò sul suo piede destro, arrivato da un gruppo di ragazzi che si stavano divertendo a qualche metro da lui. Lo prese ed attese che la biondina in costume giallo che si stava avvicinando a lui lo riprendesse.
“Thank you.”, gli disse, mentre lo prendeva dalle sue mani.
“You’re welcome.”, le rispose, sorridendole.
Ci fu una frazione di secondo, un preciso attimo, in cui il sole, quasi perpendicolare sulla sua testa lo abbagliò. Si riparò subito con la mano e, in un’occhiata fugace che lanciò alla ragazza mentre le rispondeva, ebbe come un flash.
Era estate, al mare. Erano andati tutti in Portogallo. Tutti voleva dire lui, Bill, Gustav… e Mac. Stessa identica scena, loro che giocavano a pallone, lui che se ne stava sull’asciugamano a dormire, poi il pallone che gli toccava il piede. Mac che veniva a prenderselo.
Già, Mac.
Non sapeva più niente di lei da tanto tempo, poteva valutarlo in circa nove mesi. L’unico mezzo che aveva avuto per conoscere cosa faceva e dove si trovasse erano il cellulare di Bill, il suo computer portatile e l’origliare le loro conversazioni che avevano al telefono. Curiosava tra i suoi sms quando lui dimenticava il telefono in giro e, nei momenti in cui non era in casa, accendeva il suo pc per leggere le mail che si mandavano. In una aveva letto l’esatto indirizzo in cui lei abitava al momento, perchè aveva invitato suo fratello a passare un fine settimana a casa sua. A lui Bill aveva detto che si prendeva un fine settimana di relax alle terme, non che se ne andava da lei, ovviamente.
Così era salito in macchina, aveva fatto il giro della città e aveva suonato al suo campanello, sperando di trovarla in casa. Dopo qualche minuto la sua voce, all’interno, gli chiedeva di aspettare solo un attimo.
Poi aveva aperto la porta.
Si erano guardati intensamente per cinque secondi, prima che gli venisse sbattuta in faccia. Gli intimò di andarsene. Nessuna parola valse a farle cambiare idea. Avrebbe anche potuto rimanere davanti alla sua porta per tutta la notte, lo aveva già fatto… ma nemmeno quella volta gli era servito per riappacificarsi con lei, perchè dopo non si erano più visti per un anno. Così rimontò in macchina e se ne tornò a casa.
Al suo ritorno trovò Bill incazzato: Mac gli aveva telefonato e gli aveva detto che lui si era presentato a casa sua. E per colpa di quella sua comparsata lei non voleva più avere nessun contatto, con nessuno dei due. Nemmeno con lui.
Così come lui aveva tenuto il muso a Bill per due settimane, perchè lo aveva tolto via dalla macchina di Mac, permettendole di partire e non tornare più, anche Bill non gli parlò per diverso tempo, dato che per colpa sua una tra i suoi migliori amici lo aveva trattato come un cane, accusandolo di parlargli di lei contro la sua volontà, quando invece era stato lui a violare la sua privacy.
Si era pentito di quello che aveva fatto nello stesso momento in cui Mac si era affacciata nel bagno del locale, quella sera, per riprendere la sua matita per gli occhi. Anzi, si era già pentito appena si era rivestito. Ma oramai non poteva più cancellare quello che aveva fatto.
Si sarebbero lasciati comunque, si diceva... Ma magari ci sarebbe stata la possibilità di vedersi, di stare un po’ lontani… e magari tornare insieme. In quel modo, per colpa sua, le possibilità di veder accadere un fatto del genere equivalevano a quelle di trovare una forma di vita sul sole. Zero.
Oltre suo tradimento, poteva individuare altre due cause che avevano portato alla fine della loro storia, e che ce l’avrebbero comunque portata anche se, in quel locale, non fosse successo niente. Ed entrambe erano ricollegabili a lui: era diventato geloso di suo fratello e, per questo, si era chiuso a riccio, impedendo ogni forma di comunicazione con Mac che, sicuramente, voleva provare a risolvere i loro problemi. L’unico colpevole era lui, Tom Kaulitz, e si meritava l’aver sofferto come un cane.
Si era trovato a dare ragione a Bill, anche contro la sua volontà. Lui gli aveva detto due grandi verità: Tom Kaulitz non era capace di prendersi le sue responsabilità e, per questo, Mac non si meritava uno come lui. Aveva saputo da Bill che quella stessa sera, dopo gli Emas, Mac gli aveva confessato di volerlo lasciare perchè si era rifiutato di voler parlare dei loro problemi, quando contemporaneamente era anche lui a pensarlo,.
Quindi era stato lui, non affrontando le sue responsabilità, ad aver decretato la fine della loro storia. Un’altra volta si riconfermava l’unico colpevole.
Se un giorno mai l’avesse incontrata di nuovo, l’unica cosa che poteva dirle ancora era chiedere di essere perdonato. Niente di più
E sicuramente lei glielo avrebbe negato.
Perchè Bill glielo aveva detto.
Il suo era l’unico perdono che avrebbe avuto.
Afferrò lo zaino e prese il suo portafoglio. Ripiegata e nascosta, teneva ancora una fotografia che si erano fatti durante una festa. Un primo piano di entrambi, abbracciati, guancia contro guancia. Mac che mostrava la sua linguaccia, come le piaceva fare sempre quando la fotografavano.
Non pensava più a lei tanto spesso, aveva smesso di amarla. Ma non riusciva a gettare via quella fotografia, era l’unica che era rimasta di lei. Le altre le aveva bruciate tutte.

 


TITOLO: mi sono ispirata alla canzone dei The Corrs ‘Forgiven not Forgotten’. No scopo di lucro

Ehhh... lo sapevo, quasi tutte vi siete scagliate contro Tom... ma povero! Andiamo... sì, ok, l'ho fatto passare per uno che lancia il sasso e poi ritrae la mano... no, ho sbagliato allegoria, l'ho fatto passare per quello che commette il danno e che poi si pente, voliamo basso con i paragoni! Dio come siete tutte moraliste!!! XDD non avete mai tradito, o voi santarelline??? XDDD dai dai, scherzo, vi capisco perfettamente! Tutte le donne a favore delle donne, girl power! 

Ma poverello... io lo capisco un pochino Tom. Sapete, secondo me lui è un agnello vestito da lupo. Uno che si gonfia un po', che  vuol farsi credere  qualcuno che non è poi veramente. Boh, ho questa cavolo di impressione e non sono l'unica (vero Marti? XD). Secondo me è un ragazzo che si fa passare per spaccone ma che alla fine, nel suo vero essere, è del tutto diverso. Di solito, uno che ostenta sicurezza e self control, per esperienza personale, è il più insicuro e fragile del mondo. Ho cercato quindi di sfruttare questa mia impressione, forse del tutto sbagliata, ma forse no, per il Tom di questa storia: uno che è sicuro di sè, sa cosa vuole... ma che alla fine è fragile, commette errori e se ne pente.

Quindi non martirizzatelo, poveretto... Si è comportato male, lo so... ha fatto una grossa cazzata, lo so... Ha perso la persona più importante della sua vita, lo so...  (mi sembra di essere la suora della pubblicità della rocchetta...)

Anche Mac ha le sue colpe! E perchè non ve la prendete anche con lei, che è tonta come una campana stonata? Non è mica tutta colpa di Tom!

Non siete molto obiettive ragazze XDDDDD scherzo, ovviamente, come potrei scagliarmi contro le mie lettrici? Vi prendo solo un po' per il naso, come ho sempre fatto! Ora passo ai ringraziamenti, ma stavolta li faccio anonimi e generali...

Ringrazio tutte quelle che hanno frignato oppure che hanno sentito gli occhi diventare lucidi... piangevate per la situazione, o perchè il capitolo faceva schifo??? XDD lo so, lo so perchè piangevate.

Ringrazio chi mi dice che le sto sempre più simpatica perchè nomino i suoi gruppi preferiti nelle storie! XD

Ringrazio quella di voi che, intentando omicidi contro la biondina francese, avrà intenzione di riporre le armi...fai la brava!

Ringrazio quelle di voi che hanno tifato per Mac spaccona, nel senso che rompeva le cose di Tom! 

Ringrazio quella che mi ha fatto notare un piccolo errore, una papera da film, dicendomi che la porta di Mac prima era chiusa a chiave e che poi, magicamente, si apre... va beh, piccolo particolare futile, correggerò quando ne avrò voglia XD

Ringrazio quella che voleva prendere a calci il gatto dalla rabbia ma che non lo ha fatto.... ti denuncio al vuvueffe!

Ringrazio quella che ha recensito due volte questa storia, per msn e anche qua!!!! Ti voglio bene!!!!

Ringrazio quella a cui il suo ex è andato sotto casa a cantare One Vision dei Queen, perchè lo ha lasciato, magari dicendogli: 'Deficiente, di tutte le canzoni d'amore dei Queen proprio quella?'

Ringrazio poi tutte quelle che mi hanno riempito di complimenti per questo capitolo e per gli altri... cioè tutte voi! Un bacio, RubyChubb

Vi lascio una chicca: 

http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Tokio_Hotel

1. Per coloro che si offenderanno: avete poco senso dell'umorismo...

2. Per quelle che si romperanno la bocca dalle risate... dio, chi ha scritto quella pagina è un genio del male!

3. Per quelle che si incazzeranno :.... e dai! 

4. Per chi penserà 'I TH non si toccano': siete delle Bimbominkia (andare a vedere cosa signica, digitare sul sito quella parola... sappiatelo, anche io sono una bimbominkia....)

5. Concludo dicendo: ora mi odierete, lo so!

 

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Capitolo 11
*** Soak up the sun ***


Rileggendo questo capitolo, ho capito che non succede tanto... Ma è stata una scelta mia, tirare il più possibile gli eventi per creare una situazione un po', come dire.... ah! Non riesco ad esprimermi! Comunque il concetto  è questo, farvi venir due palle così! Ma così OO... capito nè?


11. SOAK UP THE SUN

 

Distesa sul letto, si guardò intorno: davanti ai suoi occhi, appeso alla parete, l’ingrandimento di una foto che aveva fatto con Thiago, sott’acqua. Di nascosto da Herwig, aveva preso la sua tuta da sommozzatore e l’aveva data a Thiago. Aveva poi preso una piccola barca a remi e se ne erano andati al largo, si erano buttati in acqua e, utilizzando una macchina fotografica subacquea, avevano iniziato a farsi le fotografie. Quella li vedeva insieme, abbracciati, se l’erano fatta afferrando la pesante macchina e puntandosela contro. Avevano delle facce assurde, si vedevano le bolle d’acqua uscire dalla bocca e dal naso, ma era troppo spassosa.
Non c’era altro nella sua stanza, se non quella decorazione ed un piccolo vaso di vetro sul suo comodino, che le appartenesse. Tutto era fornito dal villaggio turistico in cui abitava, oppure dall’azienda per cui lavorava. Le era parso strano, quando era stata assunta, sapere che avrebbe abitato all’interno di una struttura turistica come quella, ma le era stato detto che c’era una sorta di scambi di favore tra quell’azienda e quella struttura… scambi di favore, poteva immaginarsi di cosa si trattava. La ricerca trattava dell’impatto ambientale del turismo sulla flora e la fauna marina… la struttura ospitava gratis le ricerche, se il risultato di queste non la incolpasse di essere ‘ecologicamente non sostenibile’.
A Mac importavano poco questi giochetti di potere: bastava che la pagassero. Il suo appartamento era nel quartiere dove viveano tutti i dipendenti; il villaggio le offriva tutto e non aveva limitazioni di accesso. In poco tempo, aveva conosciuto tutti quelli che vi lavoravano: molti erano abitanti del posto ma gli animatori ed i baristi erano tutti ragazzi che avevano più o meno la sua età. Quasi tutte le sere si trovavano nella spiaggia, detta dei ‘derelitti’, cioè quella dove si trovavano tutti i clienti giovani del villaggio, e concludevano la giornata lavorativa divertendosi, cantando e ballando alla luce della luna. Oppure andavano nelle discoteche della struttura, o si prendevano un drink in uno dei bar. Insomma, anche se si trovavano sempre nel solito posto, si divertivano comunque. All’esterno del villaggio non c’era niente che li interessasse, quindi non avevano nemmeno motivi per uscire fuori, se non per comprare qualcosa che nessuno dei negozi del villaggio vendeva.
Sotto alla fotografia di lei e Thiago c’era una scrivania, con un computer portatile, una stampante ed uno scanner, accompagnati da un groviglio di fili elettrici indistricabili. Non aveva televisione, o meglio, c’era ma non la accendeva mai. Aveva anche una piccola cucina, nella stanza adiacente alla camera da letto, ma mangiava sempre nelle strutture del villaggio, quindi nel frigorifero c’era solo acqua fresca.
Distesa sul suo letto, guardava le pale del ventilatore appeso al soffitto muoversi lentamente, creando un leggero spostamento d’aria che scacciava via il soffocante caldo pomeridiano. Pensò a quante possibilità ci fossero di ritrovarsi con un vecchio amico come Gustav, dopo che le loro strade avevano preso direzioni totalmente diverse. Beh, era stata veramente una fortuna ritrovarsi, dopo un anno e qualche mese in cui nessuno sapeva più niente dell’altro.
Era inutile dire chi era la colpa…
Non pensava a lui molto spesso, lo aveva archiviato nel reparto ‘ricordi sgradevoli in attesa di cancellazione irreversibile’. Aveva ridotto tutte le loro fotografie in cenere.
Tranne una.
Aprì il cassetto del comodino e, dopo aver scansato tutto quello che conteneva, la afferrò. Era un pochino stropicciata, le mancava un angolo, ma era sempre integra. Abbracciati, un primo piano di loro insieme, con lei che faceva la linguaccia. E Tom che guardava dentro l’obiettivo con il suo solito occhio malizioso, e l’angolo della bocca all’insù.
La richiuse nel cassetto.
Non pensava molto al suo passato, era una che aveva imparato a non guardare indietro, a non rimpiangere le scelte prese in passato. Queste, infatti, erano state dettate da precisi stati d’animo, da precise convizioni, che al tempo parevano giuste e sacrosante. Se poi in futuro si trovava, anche solo per un momento, a tornare indietro con la mente e a rivalutare le sue posizioni, queste erano comunque insindacabili.
Col senno di poi tutti diventavano più saggi e intelligenti. Era come sparare sulla croce rossa. Ma soprattutto, era inutile darsi della stupida per qualsiasi cosa che aveva fatto e che ora le sembrava dettata dall’irrazionalita, perchè se lo aveva fatto o pensato, aveva avuto i suoi buoni motivi.
In questo modo, Mac aveva risparmiato migliaia di euro, non andando in analisi.
Se n’era andata via. Per un po’ aveva vissuto dai suoi e poi, quando aveva iniziato a sentirsi soffocare, aveva preso un appartamento in periferia. Un monolocale che aveva spazio sufficiente solo per lei e le sue cose. Aveva iniziato a prendere lezioni di subacquea perchè una scuola di sub le offriva a metà prezzo, non perchè le piacesse veramente. Continuava a fare il suo solito lavoro di fotografa indipendente insieme alla collaborazione con ‘Rock on’, che ovviamente non le chiedeva più servizi speciali sui Tokio Hotel.
La rottura con Tom era apparsa sui giornali dopo una settimana dalla sua partenza ma lei, che non comprava le riviste né guardava la televisione, non aveva saputo niente di ciò che era stato scritto o detto.
Quando le si era presentato alla porta, per un momento, avrebbe voluto prenderlo a calci e chiedergli perchè la stava facendo soffrire in quel modo. Invece si era limitata a sbattergli la porta in faccia ed a gridargli contro che non lo voleva mai più vedere.
Cazzo se era stata male…
Cazzo quanto aveva pianto…
Ma alla fine aveva risolto la questione, dimenticando. Non poteva fare altro se non quello. Aveva capito che la loro storia non poteva durare oltre, sarebbe finita lo stesso anche se Tom non l’avesse tradita… Non aveva trovato utilità nell’incolparlo di tutto, perchè comunque continuava a starci male.
Aveva provato ad analizzare le sue colpe, ma ne aveva? Forse sì. Forse aveva dovuto capire che per Tom era un problema la sua amicizia con Bill. Forse sarebbe stato meglio allentare un po’ il rapporto con Bill quando Tom aveva confessato ad entrambi la sua gelosia…
Ma non credeva fosse quello il vero motivo della loro rottura. Sicuramente aveva contribuito, però non era la causa principale.
Sia lei che Tom si erano comportati per troppo tempo come degli adolescenti, passando sopra i loro problemi. Litigavano spesso, era vero, ma sarebbe stato meglio, invece di chiudersi in camera a fare la pace, fermarsi e capire il perchè di quelle continue discussioni. Non che fossero diverbi con un certo grado di razionalità, il più delle volte si prendevano per delle idiozie.
Ma il problema era il fatto stesso di litigare. Si sarebbero dovuti sedere e dirsi: perchè litigavano? Non per cosa lo facevano, ma perchè.
Forse davvero non erano mai stati fatti l’uno per l’altra.
Forse non erano mai stati parte di una stessa calamita.
Ma allora perchè si erano amati così tanto?
Guardò l’ora segnata dalla sveglia, appoggiata sul suo comodino. Erano le quattro del pomeriggio, doveva andare a dare una mano alle animatrici…
Si alzò dal letto, non era più il caso di porsi quella domanda.
Aveva smesso di amarlo, ma non era riuscita a gettare via quella fotografia.
Appena la videro avvicinarsi al bordo della piscina, con il suo cappellino rosso sulla testa, una ventina di bambini presero a chiamarla, tutti insieme, in coro.

 

I primi tre giorni erano passati senza problemi o intoppi, valutò Gustav. Non c’era stato bisogno di andare a fare la ronda come si era immaginato. Era bastato solo evitare con molta cura di camminare dove pensava di poterla trovare, cioè nel villaggio dei bambini.
Grazie alle loro facce conosciute, in poco tempo avevano fatto la conoscenza di gran parte dei ragazzi che soggiornavano nel villaggio, mentre la restante parte li snobbava perchè non piaceva la loro musica.
Era questione di tempo, si diceva Gustav, prima o poi Mac avrebbe saputo che era lì con Tom, e non con la sua fantomatica fidanzata. Quindi poteva farci ben poco, ma intanto poteva evitare di farsi vedere dove pensava che lei potesse essere.
“Dopo che facciamo? Non voglio andare a letto presto come abbiamo fatto finora. Oramai mi sono ambientato al fuso orario”, gli disse Tom, dopo aver inghiottito l’ultimo morso della sua pizza.
Erano nel ristorante, quello più grande e centrale, ed avevano ordinato della pizza per cena.
“Ok, va bene. Che vogliamo fare?”, gli domandò Gustav.
“Non lo so… ci penso mentre vado in bagno. Sai dov’è?”
“Laggiù.”, fece lui, indicando alle sue spalle mentre mordeva la sua pizza.
“Sai che domani alle quattro ci sarà un’eclissi di sole?”, gli fece Tom, prima di alzarsi, “Me l’ha detto qualcuna… non mi ricordo come si chiama.”
“Sì me l’ha detto…”, disse Gustav, fermandosi prima di tradirsi, “Sì, proprio la stessa che lo ha detto a te..”
“Andiamo a vederla sulla spiaggia vero?”
“Certo che sì, non me la voglio certo perdere!”, disse Gustav.
“Vai, non te ne dimenticare. Ci vediamo tra un po’, ho diverse cose da fare in bagno.”, disse l’altro, alzandosi ed andandosene in bagno.
Finì il suo spicchio di pizza e si mise ad aspettare Tom. Poi, un paio di mani gli coprirono da dietro gli occhi.
“Chi sei? Sei tu Angie?”, fece. Uno scherzo del genere glielo aveva già fatto una ragazza che si chiamava Angie, sicuramente era di nuovo lei.
“No, sono io Mac.”, fece lei, togliendo le mani e sedendosi al posto di Tom.
Ecco, il momento che temeva era arrivato.
“Ciao Mac… che ci fai qua?”, le chiese.
“Sono venuta a prendermi una pizza. Sei qua con la tua fidanzata?”, gli domandò a sua volta.
“Sì, proprio qua…”, disse lui.
“Bene, così la conosco, voglio proprio vedere che tipo è.”
“E’ in bagno.”, fece Gustav.
“Aspetterò.”
“Ci metterà molto, è talmente lenta…”
“Sto attendendo la mia pizza, è adesso in forno.”
“A volte ci mette delle ore.”
“Gustav, quasi inizio a pensare che tu non me la voglia fare conoscere.”, disse lei, ridendo.
“Beh… è un pochino gelosa.”, disse lui, cercando di salvarsi.
“Mi avevi detto che non lo era.”
“Sì, è vero… ma ti ho mentito. E’ gelosissima, pensa che mi ha fatto una lavata di testa, oggi, per aver chiesto ad una ragazza che passava… se mi dava il suo accendino.”
“Ma tu non fumi.”, disse Mac, iniziando a notare il comportamento strano del suo amico.
“Sì infatti… mi serviva per… accendere la sua sigaretta. Cioè… della mia ragazza.”
“Ah… brutta bestia la gelosia, permettimi di dirtelo.”, disse Mac, alzandosi. Lo diceva per esperienza e lui lo sapeva perfettamente.
“Già…”, fece lui.
“Va beh, ad ogni modo mi piacerebbe conoscerla. Se stasera vieni in spiaggia mi troverai lì.”, fece lei, salutandolo e allontanandosi.
“Mac! La tua pizza è pronta!”, le disse il grosso pizzaiolo, chiamandola a gran voce.
“Ciao Gustav!”, fece lei, sventolando la mano, mentre si allontanava.
Che strano, pensò, rifedendosi all’atteggiamento di Gustav. Ma se davvero la sua ragazza era gelosa, era meglio andarsene e lasciarlo solo. Avrebbe voluto sbirciare, vedere che tipo era, ma tanto prima o poi li avrebbe incontrati insieme. Si appoggiò, dando le spalle al suo amico, con entrambe le mani sul bacone della pizzeria, in attesa che le venisse servita la sua.

 

I suoi occhi si spostavano da lei alla porta del bagno. Ecco, si stava aprendo e Tom ne stava uscendo. Mac era sempre ad aspettare la sua pizza, appoggiata al bancone. Gli dava le spalle.
Tom si sedette accanto a lui, facendolo quasi sussultare.
“Hey, che c’è? Ti ho fatto paura?”, gli fece lui, ridendo.
“Sì… mi hai fatto paura.”, fece Gustav, costringendosi a non far fuggire i suoi occhi verso Mac, per controllare se si sarebbe voltata verso di loro.
“Sembri seduto sulle spine, ti tremano le mani…”, notò Tom.
“Oh… tranquillo, solo perchè mi hai spaventato.”
“Ok…”
Solo una fugace occhiata verso Mac.
“Chi hai guardato?”, gli disse lui, che si era insospettito per via del suo atteggiamento che pareva paranoico.
“Io?!? Nessuno!”
Tom si voltò nella direzione in cui il suo amico aveva guardato. Ma Mac oramai si stava allontanando verso l’uscita del ristorante, con la sua pizza, e lui non l’avrebbe vista.
“Pareva avessi visto un fantasma.”, fece l’altro, facendo spallucce.
“Sì, una visione. Piuttosto, hai pensato a cosa vuoi fare, stasera?”, gli domandò.
“Che ne dici se andiamo in spiaggia? Ho sentito che la sera fanno…”
“No!”, esclamò Gustav, interrompendolo.
“Perchè no?”
“Perchè… ci sono le zanzare, in spiaggia.”, si giustificò Gustav.
“Spruzzati un po’ di repellente.”
“Ma poi puzzerò di insetticida.”, ribattè l’altro.
“E allora non dartelo e sopporta le punture. Tanto qualsiasi zanzara morirebbe se ti pungesse. Mi hanno detto che fanno sempre dei falò, mettono la musica e…”
“Perchè non andiamo nella discoteca?”, propose Gustav.
“Perchè non vuoi andare in spiaggia Gustav?”, chiese Tom, stufatosi dei suoi emendamenti.
“Ci andiamo domani, ti va bene?”
“Ok…”, fece Tom, sbuffando.
 

Appoggiò il cartone della pizza, ormai tutta dentro alla sua pancia, in un mucchio, composto da tantissime altre scatole. Di coloro che lavoravano al villaggio c’erano solo Nagomi e Caroline, una delle tre ragazze che facevano animazione per bambini insieme a lei, ed era australiana, di Sidney. Loro erano quelli con cui aveva legato di più. Poi c’erano tantissimi dei ragazzi vacanzieri: quelli più pazzi erano un gruppo di ragazzi spagnoli, delle vere e proprie spugne viventi. Potevano bere praticamente senza fermarsi. Non c’erano problemi linguistici tra loro, erano tutti conoscitori del dizionario dei gesti.
Per quella sera, avevano organizzato la più classica delle sfide alcoliche: la dama, fatta con i bicchierini di vodka. Nagomi doveva portare l’alcolico, gli spagnoli avevano i bicchieri bianchi e neri e la tavoletta di legno quadrettata. Erano professionisti del gioco.
La prima sfida fu tra. Nagomi e Carlos, uno dei cinque ragazzi, che era quello con più capacità assorbenti di tutti. Al settimo bicchiere ingerito, Nagomi cadde a terra, a bocca aperta e si mangiò la sabbia.
“Caroline… sta a te.”, disse Mac alla sua amica.
“Lo so che quello ha scelto me perchè spera di scoparmi, quando sarò ubriaca…”, sbottò lei, riluttante. Si sarebbe dovuta scontrare con Sebastian, uno di loro.
“Ma non avevi detto che ti piaceva?”
“Sì… ma mi piacerebbe anche ricordarmi di averlo fatto con lui…”, precisò l’altra.
Nagomi si stava rotolando sulla sabbia, cantando qualcosa in giapponese. A Caroline non toccava altro che sedersi a gambe incrociate sulla sabbia, alla luce del falò acceso a qualche metro da loro, e giocare.
“Caroline…”, fece il ragazzo, mentre si strusciava le mani.
“E sia!”, fece lei, sedendosi.
Resistette fino all’ottavo bicchiere, poi si sdraiò sulla sabbia.
“Non ti preoccupare Caroline, manterrò alto l’onore del villaggio…”, disse Mac, mentre la trascinava afferrandola per le braccia.
“Villaggio… hai detto villaggio!”, fece l’altra, iniziando a ridere come una scema.
“Stai qui e non alzarti.”, le disse Mac.
Ora toccava a lei.
Si sfidava con un tipo un pochino losco, si chiamava Pablo. Per certi versi, gli ricordava quasi Tom, e per questo non lo sopportava. Carlos, senza che le sue mani tremassero nemmeno un po’ dopo tutto la vodka che aveva bevuto, riempì i bicchierini di entrambi.
Un ultimo sguardo di sfida, Pablo fece la prima mossa. Non una parola fu detta da entrambi, intorno a loro si era creato un certo silenzio.
Nagomi, intanto, si credeva superman e cercava la rissa con una palma.
Dopo dieci minuti, erano rimaste solo cinque pedine: due di Mac, tre di Pablo.
“Vai Mac… battilo…”, disse Caroline, sbiascicando le parole.
Ma non poteva vincere, perchè lui l’aveva chiusa in un angolo. Comunque si muoveva, lui le mangiava la pedina e a lei toccava bere. O rimanevano così tutta la notte, o si faceva battere. Ad aggravare la sua posizione, il fatto che non riusciva più ad essere lucida.
Mosse il primo bicchiere e lui contrattaccò. E lo bevve.
Poi ci furono altre tre o quattro mosse e la sconfitta finale di Mac.
Gli spagnoli iniziarono ad esultare, contenti della schiacciante vittoria che avevano inflitto loro. Mac si lasciò cadere all’indietro, esausta. La vodka la stroncava in due, non c’era gusto ad ubriacarsi con quella perchè poi le veniva la sbornia triste.
Vide Nagomi abbracciato alla palma, forse si era arreso, non era facile abbattere un albero a pugni. Sbuffò, rise, poi cercò di alzarsi in piedi, ma non era affatto facile. Ancora non era sotto il completo effetto della vodka, avrebbe fatto bene a vomitare se non voleva farsi davvero stendere. Si avvicinò ad uno dei contenitoro della spazzatura e lo fece.
“Cazzo…”, disse poi.

 

La discoteca era quasi totalmente vuota. Non c’era nessuno. Solo loro ed un’altra ventina di ragazzi.
“Dai… andiamo alla spiaggia, sono tutti là!”, disse Tom.
“Vedrai che tra un po’ si spostano qui.”, gli ripetè Gustav, come aveva già fatto altre tre volte.
“Gustav, è l’una di notte… non vengono più, sono tutti à stesi a terra e ubriachi… e dovevo esserci anche io con loro.”, fece l’altro, alzandosi ed uscendo dal locale.
Non poteva fermarlo, o gli avrebbe chiesto spiegazioni. Non poteva fare altro che seguirlo e sperare che non si incontrassero.
Le fiamme di due grandi falò illuminavano la lunga striscia di sabbia e la luna piena, alta nel cielo, rendeva l’atmosfera molto metallica. L’aria era calda, con o senza il calore del fuoco, e si stava veramente da dio. Non stette nemmeno a controllarsi intorno, la serata era così splendida che non voleva pensare a cosa stava per succedere.
Al primo falò veniva suonata musica reggae e i ragazzi, sicuramente sotto l’effetto di qualche spinello, cantavano e ballavano, dondolandosi al ritmo saliente della musica.
“Io vado all’altro falò, qua non mi piace.”, disse Tom.
“Sì, anche a me.”, rispose Gustav.
Vide una tavoletta quadrettata bianca e nera per terra e qualche bicchierino degli stessi due colori, qualcuno aveva giocato sicuramente ad una dama alcolica.
“Quella è ridotta male!”, esclamò Tom, indicando una ragazza che stava vomitando nel cestino dei rifiuti.
“Eh sì…”, fece Gustav. Se avesse potuto dirgli chi era quella ragazza…
Continuarono a camminare verso l’altro falò. Là incontrarono alcune ragazze che avevano conosciuto quella mattina e si unirono a loro. Un ragazzo con una chitarra stava suonando pezzi celeberrimi della musica internazionale e tutti stavano cantando.
“Gustav!”, si sentì chiamare alle spalle.
Si voltò, era il ragazzo giapponese che lo chiamava, sbracciandosi, a qualche metro da lui. Ma non stava camminando, era stato invece caricato sulle spalle di un ragazzo, doveva sicuramente essere troppo ubriaco per camminare, ma non abbastanza per ricordarsi di lui.
“Chi è quel tipo?”, fece Tom, ridendo.
“E’ un barista, lavora nella zona delle famiglie. Si chiama Nagomi.”
“Nagomi?”
“Sì, è giapponese, o cinese, non lo so.”
“Quando lo hai conosciuto?”, gli domandò l’altro.
“Sarai mica geloso?”, sbottò Gustav, ridendo.
“Figurati!”
Guardò di nuovo verso il giapponese. C’era Mac con lui, che non se ne stava più sulla spalla di nessuno; erano lontani abbastanza da non vedersi. Comunque si sentivano le loro risate sguaiate, sicuramente erano ubriachi persi! Tom, che sembrava concentrare tutta la sua attenzione sulla mora con cui stava flirtando, non sembrava interessarsi a nient’altro che al suo divertimento.
Bene, pensò Gustav, allora anche lui poteva pensare al suo. Si mise a parlottare con una ragazza inglese, magari la serata si sarebbe conclusa bene per entrambi. 
 

Sdraiati sulla sabbia, vicini all’appisolamento, Mac, Nagomi e Caroline aspettavano che la sbornia passasse completamente, prima di tornarsene a letto.
“Sapete quante stelle ci sono nella nostra galassia?”, disse Nagomi, guardando il cielo stellato, perfettamente terso, senza l’ombra di una nuvola.
Mac aveva notato subito quanto fossero vicine le stelle, il giorno stessa in cui era arrivata. Sembrava di poterle toccare semplicemente avvicinando la mano alla volta celeste.
“Ce ne sono quarantamila miliardi solo nella via lattea.”, rispose Mac.
“Così tante…”, disse Caroline, accompagnandosi con uno sbadiglio.
“Qual è la vostra costellazione preferita?”, chiese poi di nuovo Nagomi.
“La mia è quella del mio segno zodiacale, il cancro.”, disse Caroline, “E la tua, Nagomi?”
“La croce del Sud.”, rispose lui, “Mac?”
“Beh…”, fece lei, riflettendo sulla risposta.
“Per caso… è quella dei gemelli?”, sbottò Nagomi, iniziando a ridere… lui, solo lui, sapeva.
“Oh sì, certo, prendimi pure in giro.”, disse lei, ridendo.
“Non l’ho capita.”, disse Caroline, mentre si grattava la testa.
“Non ti preoccupare, te la spieghiamo domani.”, disse Mac.
“Voglio andare a fare il bagno di mezzanotte.”, fece Nagomi, alzandosi.
“No, non puoi,”, gli disse Mac, “Sei ubriaco, ti verrebbe un malanno.”
“Andiamo tutti insieme!”, propose lui, con il suo solito entusiasmo asiatico.
“Sì! Bellissimo!... andate voi.”, disse Caroline, accoccolandosi sulla spiaggia.
“Nagomi… poi farà un freddo cane quando usciamo.”, disse Mac.
Ma lui, senza ascoltarla, si tolse le scarpe, si sfilò la maglietta e si tuffò in acqua.
“Nagomi!”, esclamò Mac.
Sapeva quanto era pericoloso fare il bagno quando si era mezzi assonnati e si cercava di fare passare l’ubriacatura. Era meglio che si tuffasse anche lei, tanto per tenerlo sott’occhio. Già un ragazzo si era sentito male, qualche tempo prima, e non se l’era passata molto bene, era finito all’ospedale e ci era rimasto per tre giorni.Si tolse i sandali, i pantaloncini e la maglietta, sotto aveva sempre indosso un costume. E si tuffò.
L’acqua era calda, talmente calda che pareva di starsene in una vasca. Una sensazione che entrava dentro l’anima e la faceva distendere, completamente, la faceva calmare. Dopo aver dato qualche bracciata sotto il pelo dell’acqua riemerse, cercando il suo amico con gli occhi. Era a qualche metro più in là di lei così, tra una bracciata e l’altra, lo raggiunse.
Quei due tuffi notturni scatenarono una reazione a catena che portò quasi tutti i presenti sulla spiaggia a tuffarsi, vestiti e non, per concludere la serata in bellezza, prima di rientrare nelle loro camere. Dopo qualche secondo Mac si trovò circondata da tante altre persone che si tuffavano, nuotavano, gridavano, si schizzavano e si gettavano a vicenda dentro l’acqua.
Senza che se lo aspettasse, fu presa anche lei, di peso, dai ragazzi spagnoli, che la sollevarono, la trascinarono dove l’acqua era più profonda e la fecero cadere in acqua, con uno slancio in aria.

 

Seduto sulla sabbia, abbracciava Angie, la ragazza con ui aveva flirtato per tutta la sera. Anche lei, seduta davanti a lui e chiusa nel suo abbraccio, si godeva con lui il calore del fuoco, che oramai era sulla via dello spegnimento. Ancora bruciava, ma erano rimasti pochi i pezzi di legno ancora interi e non ridotti in mozziconi di brace ardente. A qualche passo da lui, Tom, disteso con un’altra ragazza di cui non si ricordava il nome, sulla sabbia, l’uno di fronte all’altro, stavano chiacchierando. Anche lei era inglese come Angie, erano amiche, le avevano conosciute il giorno prima.
Sentì distintamente qualcuno che si tuffava, e gli venne da voltarsi.
“Facciamo il bagno anche noi!”, propose Angie, con il suo distinto accento londinese.
“No, non ne ho molta voglia per adesso.”, disse Gustav.
“C’mon!”, disse lei, alzandosi e cercando di farlo alzare, trascinandolo per una mano.
Anche Tom aveva sentito la proposta di Angie.
“Disturbiamo se ci uniamo?”, chiese al suo amico Gustav.
“Come ti pare!”, rispose l’altro.
Detto e fatto, tutti e quattro erano in acqua a schizzarsi, insieme a tutti coloro che erano sulla spiaggia.
“Cavolo, com’è calda l’acqua…”, disse Tom, dopo essersi tuffato.
“Dai! Fate come stanno facendo quei ragazzi laggiù!”, esclamò Angie, indicando il gruppetto che aveva sollevato una ragazza per gettarla in acqua.
“Che stanno facendo?”, le chiese Tom, guardando dove stava indicando la ragazza.
“Vedi? Prendeteci e fateci fare i tuffi!”, disse Angie, saltando in braccio a Gustav.
“Andiamo verso tutti gli altri e divertiamoci insieme a loro…”, propose Tom.
Candice, la ragazza con cui ci aveva provato magistralmente per tutta la sera, non gli avrebbe dato altro che il due di picche, e non aveva di certo voglia di concludere la serata chiudendosi in bagno. Avrebbe trovato di sicuro qualcun’altra.
Nello stesso istante, a Gustav passarono tutte le voglie. Era inutile dire cosa poteva accadere, il momento era stato rimandato troppo a lungo. E se, per disgrazia divina, non si fossero ritrovati faccia a faccia, ci avrebbe pensato lui.
D’altronde, era la sua vacanza e voleva divertirsi, senza pensieri. Se la sarebbero sbrigata loro. Insieme agli altri tre, con passo riluttante, si avvicinò al grande gruppo di bagnanti notturni.

 

Era un po’ che aveva la sensazione di essere fissata. Non sapeva spiegarselo, ma era come se avesse sempre qualcosa che le premeva contro la nuca. Mentre era impegnata in una battaglia all’ultimo schizzo con Nagomi, si sentì afferrare non troppo delicatamente per i fianchi.
Per un momento, il suo cuore iniziò a battere all’impazzata. Se lo sentiva battere nella gola, faticava quasi a respirare. Si voltò, quasi chiudendo gli occhi.
“Ah… Pablo!”, disse, vedendo a chi appartenevano quelle mani.
Lui le disse qualcosa ma lei, nonostante tutti gli anni di amicizia con Thiago, anch’egli spagnolo, non sapeva un’acca di quella lingua. Comprese subito che non c’erano tanto bisogno di parole per spiegarsi.
Con una dolcezza che non sembrava tipica dei ragazzi come lui, le mise le mani dietro la testa ed iniziò a baciarla. Le loro labbra si muovevano così lentamente che sembravano quasi al rallentatore. Non poteva assolutamente negare che lui era un bel ragazzo: era moro, di carnagione scura, aveva occhi che parevano quasi neri. E i modi, i suoi sguardi, i gesti… erano sufficienti perchè lei non lo sopportasse.
Non lo poteva proprio vedere, antipatia a pelle… eppure non si opponeva al suo bacio. Lui iniziò ad accarezzarle la schiena, i fianchi… no, erano troppo simili, troppo uguali…
Mac si allontanò da lui, lo spinse via, quasi con rabbia. Lui parve arrabbiarsi a sua volta, le disse qualcosa che era sicuramente un’offesa non troppo femminista, ed uscì dall’acqua.
“Che è successo?”, le domandò Nagomi, che era stato distratto dal suo combattimento con Caroline dalla voce alta dello spagnolo.
“Boh, vallo a sapere.”, disse lei, uscendo a sua volta.
Sentendosi improvvisamente come nuda, ed infreddolita, se ne andò, lasciando che la festa acquatica continuasse senza di lei.



TITOLO: Soak up the sun è una canzone di Sheril Crow... no scopo di lucro!

.... sì, lo so... non è successo molto in questo capitolo... me ne pento... ma è una necessità... vi prometto che nel prossimo succedera molto di più. Mooooolto di più, if you know what I mean....

Mi scuso se non sono molto particolareggiata nel descrivere le immersioni. Spiego: non ho il brevetto di sub, mi piacerebbe prenderlo prima di tirare le cuoia, quello che so è quello che capisco dai documentari. Al massimo, quando vado in piscina, mi faccio le vasche sott'acqua, quello è l'unico momento subacqueo nella mia vita!

Eh povero Gusti... piccino, in mezzo a due fuochi... ora vado a consolarlo, me lo stringo un pochino tra le braccia...

Scusate se non ci sono ringraziamenti ad personam... ma non ne avevo voglia! Faccio una cosa 
Ringrazio le mie lettrici abituali --> MissZombie, CowgirlSara, Sososisu, Alanadepp, Ruka88, Quoqquoriquo, Picchia, Starfi ,Anna9223, Gufo e SweetPissy
Ma ringrazio ancora di più le new entries: Zigo_Puff e Piscula

Altro sito che mi è stato consigliato:

http://www.malvestite.net/2007/09/13/malvageddon-19-tokyo-hotel-twincest/

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Capitolo 12
*** Total Eclipse ***


12. TOTAL ECLIPSE

 

Non era successo nemmeno quella volta.
No, non ancora.
Che il destino stesse cercando di evitare l’incontro?
No.
Anche perchè non credeva nel destino.
Doveva lasciare che succedesse e basta, si diceva, lasciando tutto in mano loro.
Ma non ci riusciva.
Forse perchè era troppo buono.
Allora doveva essere più cattivo, più stronzo.
Non era da lui essere egoista.
Lo aveva visto quanto era stato male.
Lui.
Lui che aveva sempre detto che non si sarebbe innamorato mai, perchè era troppo impegnato a dare amore a tutte le ragazze del mondo. Tutte… quelle carine.
Lui che era portatore dello slogan ‘Tutte per Tom. Tom per Tutte’.
E che si era ritrovato a predere la ragione per una sola di queste Tutte.
Mackenzie.
Se gli avesse detto quanto erano vicini, in quel momento… che cosa avrebbe fatto lui?
E Mac sarebbe stata contenta di vederselo piombare, per la seconda volta, inaspettatamente davanti agli occhi? Ovvio: no.
Quello era il punto focale della questione: perchè farli stare male, facendoli incontrare?
Chepallechepallechepallechepallechepallechepalle!
Era un continuo dividersi tra la voglia di metterli l’uno davanti al muso dell’altro e la necessità di non farli incontrare mai.
Il suo alter ego, Gustronzo, era propenso per la prima opportunità. Lui voleva concludere la vacanza per i cazzi suoi, lasciando tutte le eventualità esterne a chi di competenza, cioè ai due Mac e Tom. O Rosenbaum e Kaulitz.
Il suo altro alter ego,  che invece di avere un nome aveva tutto un programma, Gustoso,  era tutt’altro che egoista. Entrambi, Gustronzo e Gustoso, combattevano un’aspra lotta freudiana e lui, finchè non ci fosse stata una vincita tra uno dei due, non poteva far altro che rimanere neutro, sia sul fronte Mac, che sul fronte Tom.
Era meglio fare la canna al vento, piuttosto che schierarsi da una parte o dall’altra. Anche se Tom era un suo grande amico, capiva perfettamente la posizione di Mac. Si alzò dal suo letto con quella convinzione: la sintesi tra Gustronzo e Gustoso era Guscannalvento.
Si fece una rapida doccia, per togliersi il caldo che sentiva. Si infilò il primo costume che trovò e, con l’asciugamano sulle spalle, uscì dalla sua stanza. Appoggiò l’orecchio destro alla porta della camera di Tom: era sempre lì dentro, lo sentiva russare. Bene, sarebbe uscito in spiaggia da solo. Anzi, si sarebbe tolto l’incriccatura che sentiva al collo facendosi un bell’idromassaggio.
Era mezzogiorno andante e tutte le signore che incrociava lungo il vialetto che stava percorrendo stavano radunando figli e mariti per andarsene a mangiare. Un po’ di languorino ce lo aveva anche lui, ma voleva prima finire di rilassarsi a mollo dentro l’idromassaggio.
Si sentiva il collo dolorante, quasi bloccato e, visto che alle quattro ci sarebbe stata quella famosa eclissi di sole, voleva guardarsela senza problemi, senza fare il vecchietto di ventisette anni per via del suo collo reumatico.
Per oltrepassare la ‘zona bambini a carico’ ed andare in quella ‘giovani e felici come farfalle’, senza prendere strade traverse come faceva con Tom, doveva passare per forza in mezzo ad uno stuolo di bambini vocianti, immersi a bagnomaria nella piscina alta un metro e mezzo scarso.
Riconobbe subito, sotto ad un cappellino rosso, Mac, con un paio di bambini attaccati al collo.
“Hey, ti ci vedo bene a fare la mamma.”, le disse Gustav, acucciandosi sul bordo della piscina.
“Potrei essere arrestata per traffico di bambini, ma te ne venderei volentieri qualcuno.”, disse lei, mentre cercava di liberarsi del bambino che le abbracciava la gamba, “Soprattutto questo qua.”
Impossibilitata nel togliersi quella patella umana dalla gamba, si avvicinò a Gustav trascinandoselo addosso.
“Eri sulla spiaggia, ieri sera?”, le domandò.
“Oh sì, ero con un paio di amici che lavorano qua… con Nagomi, ti ricordi?”
“Sì, certo, mi ha anche salutato… se ne stava caricato sulla spalla di qualcuno.”, disse Gustav, ridendo.
“Era fuori come una palma controvento.”
“Come cosa?”, fece l’altro.
“Una palma controvento, è un detto di qua. Piuttosto, allora se lo hai visto c’eri anche tu!”, disse lei, riuscendo a liberarsi del marmocchio e sedendosi sul bordo.
“Sì, c’ero anche io.”
“Eri con la tua ragazza?”, fece lei.
“Sì, con lei.”
“E perchè non sei venuto a farmela conoscere! Sei proprio strano Gustav! O è talmente brutta che te ne vergogni…”
“No no!”, fece l’altro, ridendo, “Non è che è brutta!”
“Allora sei da solo e mi stai mentendo perchè non vuoi sembrare patetico!”
Gustav rise di nuovo alla sua battuta. Mac era sempre la solita, ironica e sarcastica, aveva sempre la battuta pronta per tutti.
“Dov’è adesso?”
“A letto, a dormire.”, rispose lui.
“Vedrete l’eclisse, vero?”
“Certo che sì, sulla spiaggia.”
“Assolutamente no! Visto che la donna del mistero mi ha stufato, dovrete venire entrambi con me.”
“Mac… non credo che sia una buona idea…”, disse lui.
“Certo che lo è! Altrimenti non farti più vedere, perchè ti ripudio come amico! Io andrò a vedermela a qualche chilometro da qui, in direzione nord. Usciti dal villaggio dovrete prendere a sinistra ed andare sempre dritto, la strada termina proprio vicino alla scogliera, l’unica di tutta questa isola, è un posto bellissimo… e anche molto romantico!”, gli disse, provando ad invogliarlo.
“Non possiamo muoverci di qua, non sappiamo come farlo se non a piedi!”
“Andate alla reception e noleggiate una macchina, problema risolto. Io sarò là con la mia macchina fotografica. Se mancherete, ti giuro che trovo il modo di farti pentire di essere venuto qua in vacanza!”, disse lei, ridendo.
“Beh… vedrò cosa posso fare.”
“Allora mettiti gli occhiali, così sicuramente vedrai bene qual è la scelta giusta da prendere. L’eclissi è alle quattro e tre minuti precisi, presentatevi almeno dieci minuti prima!”
“Provvederò.”, fece lui.
“Vai in spiaggia?”, gli chiese lei, quasi retoricamente.
“Sì, ma prima vado a distendere i muscoli in idromassaggio.”
“Fai bene, io ho finito ora il mio turno, tra poco mi aspetta un’immersione di più di quarantacinque minuti.”, fece lei, alzandosi e sfregandosi lemani, contenta, “Ci vediamo oggi pomeriggio allora.”
"A dopo!”, le disse Gustav, mentre si allontanava.
Ore zeroquattro:zerotre.
Iniziava il conto alla rovescia.

 

 

Attese che Herwig arrivasse, seduta con le gambe penzoloni sulle ultime tavole del piccolo molo. Insomma, non era tanto piccolo, la loro barca di tre metri e qualcosa poteva attraccarci senza problemi.
“Hey, Mac!”, la chiamò lui, a gran voce, dalla fine del molo. Aveva bisogno di una mano per scaricare l’attrezzatura.
Lei si alzò e, correndo stancamente, lo raggiunse.
“Come va?”, le chiese, sorridendole.
“Mh… bene.”, rispose lei, caricandosi sulle spalle le sue bombole.
“Sai, ancora mi stupisco di quanta forza tu abbia nelle braccia.”, fece lui, prendendo invece le proprie bombole e una valigia che conteneva le loro tute da sommozzatore.
“Spera che un giorno non la sfoghi su di te, questa forza.”, rispose lei, ridendogli per fargli comprendere che non era un’intimidazione, ma quasi.
“Ah… lo spero davvero!”, fece lui, dopo un attimo di incertezza, “Ieri sera mi è sembrato di averti visto in spiaggia.”
“Sì, ero lì con degli amici.”, disse lei, mentre camminavano sul molo.
La barca aveva attraccato proprio in quel momento, puntuale come sempre, e li stava aspettando.
“Sembravi divertirti molto!”, disse lui.
“Sì, avevamo bevuti tutti un pochino troppo.”
“Così si giustifica il tuo viso un po’ stanco.”
“Eh, purtroppo.”, fece lei, facendo spallucce.
Passarono la loro attrezzatura ai soliti tre membri dell’equipaggio e tornarono indietro per prendere la telecamera subacquea ed altri oggetti necessari per l’immersione.
“Avrei voluto unirmi alla vostra festicciola, ma mi sentivo un pochino troppo vecchio per voi!”, disse lui.
“Herwig, hai trentacinque anni, mica ottocento!”, disse Mac, sorridendo.
“Sì, è vero!”, rise l’altro, “C’era il tuo amico, quello giapponese…”
“Nagomi.”, lo informò lei.
“Sì, lui, che se ne stava attaccato ad una palma e sembrava cercasse di baciarla in qualche modo!”
“Oddio! Aveva bevuto quanto una spugna!”, disse Mac, mentre si prendeva la telecamera. Sott’acqua era molto più leggera, pensò.
“Oh no, lasciala prendere a me.”, disse lui, togliendogliela di mano, “Tu prendi le altre cose.”
“Grazie!”, disse Mac, liberandosi del peso.
“Dove vedrai oggi l’eclissi? Sulla spiaggia?”
“Sì, sarò sulla spiaggia con gli altri. Ci troviamo lì ok?”, disse lei, dicendogli come faceva ogni volta e, oltretutto, mentendogli.
“Perfetto!”, fece lui, contento.

 

 

Sdraiato, in spiaggia, ancora in solitario, sentì il suo cellulare squillare, interrompendo il suo sonnellino post pranzo. Tom ancora non si era fatto vedere, sicuramente era ancora nel pieno della sua fase rem.
Con gli occhi ancora troppo sensibili per sopportare la luce del sole, prese il telefono e rispose, senza nemmeno guardare da chi provenisse la chiamata.
Che succede all’equatore?”, esclamò la voce di Bill.
“Hey… senti chi si sente! Il gatto delle nevi!”, fece Gustav.
E il caimano della sabbia! Che fine ha fatto mio fratello, ho provato a chiamarlo due volte ma non risponde.
“Sicuramente è ancora a letto, io sono in spiaggia. Ieri sera abbiamo fatto bisboccia.”, disse Gustav, stropicciandosi gli occhi.
Come sempre… in che paradiso vi trovate?
“In un paradiso paradisiaco. Bill, qua è bellissimo, saresti dovuto venire anche tu.”
No, io sto benissimo anche qua. Oramai sono diventato amico di un gruppo di signore attempate ma non credo che sia saggio per me mantenere questo rapporto. Una di queste mi ha chiesto di sposarla…
“Eh Bill, anche tu incominci ad avere una certa età… ti conviene accettare.”
Di sicuro!”, esclamò Bill, iniziando a ridere, “Piuttosto, tu cosa mi racconti?
Gustav riflettè. A lui lo avrebbe detto, chiedendogli però di mantenere il segreto.
“Ho incontrato qualcuno qua, Bill, che mai e poi mai avrei pensato di rivedere ancora.”, gli disse, come preambolo.
E chi sarebbe? Qualcuno che credevi morto?”, fece l’altro, scherzando.
“No… di tutti i nomi di questa terra, qual è l’unico da non pronunciare in presenza di tuo fratello?”
Bill rimase un attimo in silenzio.
Oh mio dio no…”, disse poi, “Non Mac.”
“Esatto amico.”
E… e che cosa ci fa lì?”, chiese l’altro, “Tom l’ha vista? Lo sa?”
“No, tranquillo. Ancora non si sono visti, né incontrati. Nessuno sa dell’altro.”, lo tranquillizzò Gustav, “Anche io, quando l’ho vista, ho stentato a riconoscerla. Non potevo crederci che fosse lei.”
Come mai anche lei laggiù?
“Mi ha detto di essere qua per lavoro. La sfiga è qualcosa in incalcolabile, Bill. Lavora anche nel villaggio dove alloggiamo noi. Ma d’altra parte siamo anche stati fortunati… in tutti questi giorni l’ho incontrata solo due volte e Tom non si immagina nemmeno che lei sia nei paraggi. E così anche lei.”
E’ pazzesco… Cazzo…”, fece lui, “Spero che, insomma, quando si incontreranno non succederanno casini.
“Credo che succederà oggi pomeriggio.”
Perchè ne sei sicuro? Non puoi rimandare? Vuoi rovinargli la vacanza?”, sbottò Bill.
“No che non voglio.”
E allora trova un modo per tenerli lontani! Non ci posso credere… ma con tutti i villaggi turistici di questo mondo dovevate andare proprio lì!
“Con chi stai parlando?”, fece Tom, spuntandogli alle spalle inaspettatamente. Era stato talmente impegnato con Bill che non lo aveva nemmeno sentito né visto arrivare.
“Tom… sto parlando con tuo fratello.”, gli rispose.
“Passamelo un attimo.”, fece, tendendogli la mano per prendere il suo cellulare, “Bill, ci sei ancora?”
Hey… Tom! Come stai?”, fece lui, mascherando completamente ciò che aveva appena saputo da Gustav.
“Tutto ok, tutto ok… a te va tutto bene?”
Beh, certo che sì.”
“Benissimo! Allora ci sentiamo eh? Ciao!”
Hey ma…”, riuscì a dire Bill, prima che la chiamata venisse bruscamente chiusa da suo fratello. Di tutte le persone, di tutti i nomi, di tutte le ragazze che poteva incontrare in quel posto… c’era Mac. Beh, almeno lui era contento di sapere che lei stava bene. Non aveva saputo più niente da quando lei aveva troncato il loro rapporto, per colpa di Tom. E Thiago non gli diceva niente, sempre per il solito motivo. Non si sarebbe mai aspettato che lei, notoriamente poco amante del mare, si trovasse in quel momento in un villaggio turistico tropicale, a lavorare. Gli mancava, lo ammetteva, era stata un’amica molto speciale…
Il destino.
Era proprio buffo.
Conosceva abbastanza bene suo fratello da poter dire che non sarebbe rimasto di certo indifferente al sapere che lei era lì. Tom glielo aveva giurato, gli era passata, se n’era fatto una ragione e sarebbe andato avanti per la sua strada. Ma notava sempre una dose di incertezza, piccolissima, quasi invisibile, nelle sue intenzioni….
Chissà cosa sarebbe successo.
Avrebbe voluto davvero essere lì per vederlo.

 

Erano le tre ed un quarto quando la barca attraccò al molo. Scese, di corsa e si scusò per non potere stare ad aiutarli nello scarico delle attrezzature. Doveva prepararsi per l’eclissi ed aveva da fare diverse cose. Solo quarantacinque minuti di tempo.
Correva, con i sandali in mano, sul bagnasciuga della spiaggia, e schizzava tutti i bambini che giocavano a riva, provocando qualche piccola sommossa che si concludeva con palle di fango sabbioso che le atterravano sulla schiena. Passò davani al gazebo di Nagomi, che si era addormentato sul bancone. Fece qualche passo indietro, sbattè con violenza il pugno sul legno e lo fece svegliare di soprassalto.
“Mac! Ma sei deficiente!”, esclamò lui, che per poco non era caduto a terra.
“Sveglia!”, gli fece lei, riprendendo a correre. Sentì lui continuare ad imprecare nella sua lingua madre e si voltò giusto per fargli la linguaccia. Scansò abilmente tutti quelli che incontrò e, ansimando per la fatica, entrò nel suo appartamento. Aveva tutta l’attrezzatura pronta sul letto, non le rimase altro che prenderla ed uscire di nuovo.
Appesantita ma sempre di corsa, andò alla reception, dove avrebbe ritirato le chiavi dell’automobile che aveva prenotato.
“Ciao Esther.”, disse alla ragazza che lavorava quel giorno alla reception.
“Hey Mac… ti vedo un po’ affaticata!”, disse, ironizzando sul suo ansimare.
“No, sono fresca come una rosa… le chiavi.”
“Come no!”, fece lei, aprendo un cassetto e lanciandogliene un paio, “Oggi vai con il fuoristrada.”
“No… è un catorcio! Mi lascia sempre a piedi!”, protestò. Ogni volta quel ferraglio mobile si rifiutava di ripartire, quando doveva tornarsene al villaggio.
“Mi dispiace.”, fece lei, facendo spallucce.
“Ok… ma aspettati la mia chiamata di soccorso.”, disse Mac.
Infilò le chiavi tra i denti, era l’unico modo per portarsele dietro; riprese le valigette ed uscì dal villaggio, individuando la vecchia carretta, parcheggiata vicino all’entrata, tra altre macchine.  Una volta acceso il motore stanco, partì alla volta della scogliera. Non era molto difficile arrivarci, bastava prendere a sinistra e poi continuare finchè la strada non si interrompeva, cioè diventava sterrata. Non erano molto buone le strade di quell’isola, giusto sufficientemente carreggiabili. Distava circa quattro chilometri dal villaggio e ci si arrivava in pochi minuti. Era il punto più alto di tutta l’isola ed, infatti, dopo il primo chilometro la strada iniziò a salire.
Alle tre e trentacinque parcheggiò la macchina e, una volta scaricata l’attrezzatura, si avviò sulla scogliera. Fino allo strapiombo, alto circa una ventina di metri, la terra era ricoperta da un’erbetta bassa e verdognola, qualche fiorellino viola e blu e solo un piccolo cespuglio abbarbicato sulla roccia. Ecco, era arivata.

 

“Dai, che palle! Tutti stanno qui a guardarsela, sulla spiaggia, e tu mi vuoi portare dove non c’è anima viva! Sto iniziando a sospettare che tu voglia cercare di approfittarti di me!”, fece Tom, indignato. Gustav gli aveva proposto quell’assurda idea di andare a vedere l’eclissi in cima ad una scogliera, mentre lui voleva approfittare di quel momento di notte diurna per cercare di infilare le mani da qualche parte…
“Ce la godremo meglio lassù, fidati di me.”, gli ripetè Gustav.
“No, vacci da solo.”
“Ho pagato per prenderci una macchina a noleggio, adesso ci andiamo!”
“Potevamo discuterne prima. Ci andrai da solo!”, fece Tom, irremovibile.
“Come ti pare… vorrà dire che la sorpresa che volevo farti andrà a quel paese!”, gli disse Gustav, mettendogli la pulce nell’orecchio.
Oramai si era deciso, o si incontravano, o lui perdeva la sanità mentale. Meglio la prima ipotesi.
“Sorpresa? Quale sorpresa?”, gli fece lui.
“Visto che non vuoi venire posso anche dirtelo… avevo preso apputamento con due belle svedesi.”
“Quando partiamo?”, esclamò Tom, strofinandosi le mani.
“Adesso… sono le tre e mezza, siamo già in ritardo, coglione.”, gli disse, tirando fuori dalla tasca del suo costume le chiavi della macchina che aveva affittato per l’occasione.
Wow, pensò Tom, due svedesi. Cavolo, quelle erano proprio disinibite…
“E quando le hai conosciute?”, gli chiese, intanto che si stavano avviando verso l’uscita del  villaggio.
“Prima.”, rispose Gustav.
“Prima quando?”
“Prima prima.”
“Sì, va bene… ma prima prima quando?”
“Quando tu eri a letto.”, gli fece l’altro, scocciato.
“Ah… e perchè loro la vanno a vederla lassù?”
“Che ne so! Così mi hanno detto!”
“Non vorrei che ci dessero buca.”, fece Tom, “Altrimenti mi girerebbero molto le scatole.”
“Tranquillo… me lo hanno assicurato.”
“Ti hanno lasciato qualcosa, che so, una caparra…”
“Chiudi quella cazzo di bocca, Tom!”, disse Gustav.
“Ok… qual è la nostra macchina?”, chiese di nuovo, dopo qualche attimo di silenzio.
“E’ questa.”, fece lui, indicandogli quella rossa, davanti ai loro occhi.
“Beh… questo villaggio prevede un rimborso figure di merda causate da vecchi catorci di macchina?”, fece Tom, osservando la piccola utilitaria rossa che Gustav gli aveva indicato.
“No, ma hanno il rimborso denti rotti se non ti cheti all’istante.”, gli sibilò l’altro, mentre entravano in macchina.
“Ok… sto zitto. Sai che strada dobbiamo fare?”
“Tom!”, gli gridò, perdendo la pazienza, “Ti ho detto di stare zitto! Lo so io cosa dobbiamo fare!”
Tom, guardando dentro gli occhi spalancati di Gustav comprese che era meglio stare zitto e si mimetizzò  con la tappezzeria,. Anche se aveva un altro paio di domande in testa, si fece il segno delle labbra cucite e si mise buono.
La macchina si mise in moto e preso furono sulla strada.
“Quando arriviamo lassù promettimi che rimarrai in macchina finchè non te lo dico io.”, gli disse Gustav, interrompendo il silenzio di ferro, dopo circa un minuto.
“Ok, mica voglio farmi squartare da uno psicopatico come te!”, fece Tom.
“Perfetto.”
“E perchè devo rimanere in macchina?”, gli chiese.
Lo sguardo di Gustav fu più che eloquente. Di nuovo, Tom si passò le dita sulla bocca, facendo finta di chiuderla con una zip, e si zittì.
La strada si fece in salita, non eccessivamente, solo un po’.
“Tra un po’ dovremmo essere arrivati.”, fece Gustav, “Promettimi di nuovo che rimarrai in macchina finchè non ti farò segno di scendere.”
“D’accordo.”, rispose l’altro.
Se c’era un motivo per quella sorta di precauzione, o come diavolo la si voleva chiamare, Tom non l’aveva capito. Si era spaventato un po’ nel vedere gli occhi rossi di rabbia di Gustav, sapeva che era meglio stargli lontano quando si incazzava. Si mise a guardare fuori dal finestrino, ovviamente aperto, con il braccio che penzolava di fuori.
La macchina si fermò dietro ad un’altra, un fuoristrada dall’aspetto un pochino malandato. Entrambe avevano il cofano puntato verso la scogliera, che saliva ancora di poco, per poi appiattirsi.
“Siamo arrivati.”, disse Gustav, dopo aver preso un sospiro. Fece salire il suo finestrino e scese dall’auto.
“Cavolo… con questo sole non vedo un cavolo.”, fece Tom, rimasto all’interno della macchina. Si parò dalla luce intensa con una mano e guardò sulla scogliera. Per prima cosa vide una macchina fotografica su un cavalletto e poi nessuna delle due bionde stangone che si era immaginato. C’era solamente una ragazza, mora, che se ne stava seduta sul bordo dello strapiombo.
“Hey… dove sono le bionde che mi avevi promesso?”, gli fece.
“Ci sono, molto probabilmente si sono allontanate.”
“Certo… io me ne vado, non sto qui a farti il terzo incomodo con la mora!”, protestò Tom, incollerito.
Ma Gustav, prima che lui potesse muoversi per scendere dall’auto per prendere il posto del guidatore, sfilò le chiavi dal cruscotto.
“Aspettami qui e non muoverti per niente al mondo finchè non ti farò cenno.”, fece Gustav, mentre chiudeva la portiera e si allontanava.
Bene, pensò Tom, se lo era fatto mettere in quel posto. E senza vasellina! Se avesse dato retta al suo cevello, che gli diceva di rimanere fermo sulla spiaggia, a quest’ora aveva sicuramente rimediato una ragazza con cui... ed invece aveva dato retta al suo coso, quell’essere pestifero che viveva attaccato in mezzo alle gambe e che era dotato di pensiero autonomo. Stancatosi del comportamento irrazionale dell’amico, scese il cappello sugli occhi, si sistemò sul seggiolino e si dedicò ad un pisolino.
Gustav, leggermente nervoso, si avvicinò a Mac, seduta sul bordo della scogliera.
“Siamo arrivati.”, disse Gustav, sedendosi accanto a lei, che se ne stava a naso per aria, con una lastra di vetro nero davanti agli occhi.
“Se siete passati davanti all’obiettivo della macchina vi butto di sotto.”, disse lei, senza muovere lo sguardo dal sole.
“No, tranquilla, non ci sono passato davanti.”
“Non ci sei o non ci siete?”, fece lei.
“Non ci sono, al singolare. E’ in macchina.”
“Falla scendere!”, esclamò l’altra, distogliendosi dalla sua visione.
“Si sta sistemando, adesso viene. Piuttosto, vuoi fotografare l’eclissi?”
“Sì, voglio fare una specie di filmato. Mi sono fatta mandare un obiettivo particolare, con un filtro ottico per le fotografie da fare al sole. Sto facendo fare una fotografia ogni cinque secondi, così poi da fare una specie di… come spiegarti.”
“Le manderai velocemente in sequenza e verrà un filmato. Solo che non lo è… come un cartone animato, fai muovere tutti i disegni.”
“Sì, esatto proprio così.”, fece lei, alzandosi e, senza oscurare l’obiettivo, si spostò dietro la macchina fotografica. Lanciò una veloce occhiata alla macchina con cui era arrivato Gustav, ma non vide molto perchè il sole rifletteva sul parabrezza, facendole brillare gli occhi.
“Non ti preoccupare… ora viene.”, disse Gustav, notando che la rifrazione le impediva la vista.
Beh, pensò il ragazzo, sembrava di essere in un film...
“Sono le tre e cinquantanove, se non si sbriga perderà il momento migliore.”, disse Mac, porgendogli il vetro nero
Gustav lo prese anche se non ne aveva bisogno. Oramai si vedeva già che il sole stava per essere oscurato completamente.

 

Cacchio, pensò Tom, quel seggiolino era così scomodo che non c’era nemmeno verso di addormentarsi. L’eclissi? Chi se ne fregava, Gustav lo aveva fregato per spassarsela con la sua amichetta. Lanciò una rapida occhiata ai due piccioncini seduti sulla scogliera. Sperò che almeno la ragazza fosse decentemente bella da fargli perdere l’occasione di potersi divertire con qualcun’altra della sua specie!
Si stava alzando, così l’avrebbe vista anche in faccia e poteva darle un giudizio.
La vide voltarsi nella sua direzione e mettersi una mano sugli occhi per pararsi il sole, mentre guardava verso la macchina.
Come morto, il suo cuore si fermò.
Poi prese a battere forte, così forte, che sentiva solo il suo rumore.
Mac.
Rose…
Nonostante i capelli lunghi neri… era lei. Lei.
Rose era lì, sulla sua stessa isola.
Una folla di pensieri gli investì la mente.
Pensieri, troppi pensieri.
Troppa poca lucidità mentale per riuscire ad organizzarli razionalmente.
Prima di tutto, doveva far calmare il suo cuore.
No, le lacrime no…
Cazzo…
 

“Vieni a vedere Gustav.”, gli disse lei, facendogli gesto di raggiungerla, dietro alla macchina fotografica.
Lui si alzò e la seguì.
“Vedi, uno scatto ogni cinque secondi.”, gli diceva lei, facendogli vedere che l’immagine sul piccolo schermo della sua macchina fotografica cambiava esattamente ogni cinque secondi.
“Interessante… guarda, oramai sono quasi sovrapposti.”, fece lui, andando verso il bordo della scogliera.
“Beh… allora fai cenno alla tua ragazza di venire.”, disse lei.
Con gli occhi coperti dal vetro luminoso, Mac sentiva il suo cuore emozionarsi per lo spettacolo che stava per spiegarsi davanti a lei. Era totalmente rapita e sperò che la ragazza di Gustav non se ne avesse a male se lei la ignorava per tutta la durata di quel fenomeno così bello…
Con la coda dell’occhio, vide Gustav fare cenno verso la macchina.
Ecco. Le quattro e tre.
Sole e luna che si incontravano, dandole un brivido unico,  impareggiabile. Tolse il vetro dagli occhi e, con la la bocca socchiusa per lo stupore, vide compirsi l’eclisse. Sentì mancarle il fiato, tanti erano i sentimenti che la affolavano dentro, apparsi tutti insieme
Sole e Luna.
Una cornice di luce su un quadro nero. Intorno il buio. I raggi solari, quasi bianchi, illuminavano i contorno della luna. Un’atmosfera aliena.
Come due amanti, in una storia romantica, che erano divisi per sempre tranne in quell’unico momento.
Come due amanti.
Sole e Luna.
Si era fatto buio. Una notte innaturale. Oscurità.
Tutto era diventato scuro, invisibile, nero.
Si sentì scuotere da un brivido. 
Comparvero anche le stelle, in quel giorno notturno così surreale.
Un sogno.
Un quadro astratto.
E lei lo stava fotografando, in ogni suo momento.
Ma nessuno di quegli scatti le avrebbero ridato l’emozione che stava provando in quel momento.
Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla sinistra.
“Solo… solo un momento…”, riuscì a dire. Sentì la sua voce rompresi.
Erano così intense tutte le sensazioni che la stavano travolgendo, che non tratteneva più le lacrime. Mentre cercava di dare una parola a quello che provava, una lacrima le scese lungo la guancia, rapida.
Ed il corso naturale degli eventi separò di nuovo i due amanti. Lentamente, il sole tornò ad affacciarsi sulla terra.
Separati, poi uniti in un momento intensissimo. Poi di nuovo soli.
Guardò l’orologio che aveva al polso, lo aveva messo solo per scrupolosità. Aveva sempre odiato gli orologi.
Le quattro e dieci. Era durata sette lunghissimi minuti.
Sette minuti eterni.
Si passò una mano sulla guancia bagnata, per eliminare la traccia di quella lacrima.
Poi si voltò.
Una nuova eclisse.
Tom, in piedi, davanti a lei.
Inutile dire che era lui ‘la ragazza’ di Gustav.
Aveva saputo prima di quel momento che c’era anche lei, su quell’isola?
Forse no.
Forse l’aveva vista anche lui solo adesso.

 
Rimasero a guardarsi, senza dire una parola.
Troppa sorpresa per entrambi.
Non si erano più visti da quel giorno.
Si erano detti addio definitivamente.
E ora erano lì.
L’uno di fronte all’altra.
Fu un’altra eclissi, per Mac, che non trovava il bandolo della matassa aggrovigliata dei suoi sentimenti.
Fu un pugno in pieno stomaco, per Tom, che si sentiva mancare il fiato, strozzato dall’emozione.
E stava tornando a fare giorno.




Allora... inizio a dire che non sono mai stata alle Seychelles, le ho solo studiate sui libri di geografia...  REALMENTE NON ESISTE l'isola di questa storia e, sicuramente, nella realtà non c'è manco l'ombra di un'isola con una scogliera da quelle parti... se non ricordo male, dovrebbero essere tutti atolli ed isole sabbiose, quindi  passatemi questa necessità 'letteraria'....
Ah! So anche poco di obiettivi per le macchine fotografiche. Quel poco che conosco lo ricavo da qualche conoscenza acquisita con l'astronomia: per guardare il sole con un telescopio ci vuole ovviamente un obiettivo apposito, con un filtro ottico speciale eccetera eccetera...
Ed infine... quello che so dell'eclissi l'ho letto su un libro, specialmente su 'Dolores Claibourne' di Stephen King... e sempre su un libro di astronomia.
Tutto questo per dire che, se ci sono degli errori... scusatemi, non sono un'enciclopedia!

Speciale inserto per Gustav... poverino, sempre a combattere tra quei due, Gustronzo e Gustoso (dio quanto sono patetici questi soprannomi...)
Piccino, già viene voglia di strappazzarlo di coccole come Topo Gigio... ora dobbiamo direttamente prenderlo e fargli la statua.

Lascio come sempre il mio contatto hotmail: sil.stellina@hotmail.it  così se volete scambiare quattro cacchiate direttamente con me potete farlo!

Adesso.... via con i ringraziamenti. Stavolta li faccio a tutte!
Breve , senza senso e concisa!... come sempre!

CowgirlSara - Sososisu : vi lovvo, vi liebo, vi quiero, vi jaimo... cosa rimane???? ah sì... BIMBOMINKIA nel cuore e nell'anima!!!

Alanadepp: spero che ti impegnerai di più nelle prossime recensioni, sono sempre fuori tema XDDD ma vanno bene lo stesso! alla prossima!

Starfi: e nel prossimo capitolo, vedrai la scena del crimine, ma chiama quello di colore con gli occhi di ghiaccio (come cavolo si chiama... forse Warrick?) che è meglio... va bene?

Quoqquoriquo: oh meno male! l'altra volta il capitolo di transizione non ti era piaciuto... sono molto contenta XD

Sarakey: amici? quei due? neeeeeeeee XDDD

Picchia: XD va bene come risposta al tuo ;) ? XD

Ruka88: io dire più che gioco dell'oca... monopoli! spero di non diventare noiosa come quel gioco, che peraltro amo ma che ritengo sfiancante, nei prossimi capitoli!

Piscula: eh la pizza, la pizza! fautrice di tanti amori e di tante disgrazie... ma che sto dicendo? boh... sarà che è  mezzanotte...

Anna9223: per i dipendenti da mie fic da questa parte! prego, andate in ordine ed in fila! e non gridate troppo!

Gufo: calme calme! dei gugu ce n'è per tutte!

SweetPissy: un'altra estimatrice di nagomi! piccino, è all'ombra di thiago, ma anche lui è un personaggione! avrà un capitolo in parte dedicato solo a lui! piccino, ha la faccia di Ando di Heroes, non so se hai presente...

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Capitolo 13
*** No Regrets ***


Consiglio: mettetevi, se ce l'avete, come colonna sonora la canzone 'Apologize', di Timbaland featuring One Republic. I prossimi capitoli li ho scritti con quella canzone in testa. E' troppo bella...
Ed è anche in tema. 

It's too late to apologize...
It's too late...
But I need you like a heart needs a beat...

13. NO REGRETS

 

Non sapeva quanto tempo era passato da quando lei si era voltata a quando lui le aveva parlato. Ma poteva definirlo con una parola: eternità.
“Rose…”, le disse, con un filo di voce.
La bocca di lei, prima stupita, si chiuse. Si serrò. I suoi occhi, prima stupefatti, adesso non lo erano più. Ma non si staccavano dai suoi.
“Io… io… volevo dirti una cosa.”, disse Tom, inghiottendo il magone che gli era salito in gola. No, non doveva piangere. Non davanti a lei, che non pareva intenzionata a parlare.
“Scusa.”, le disse, “Scusami.”
Lei si passò velocemente la lingua sulle labbra.
“No.”, disse, abbassando gli occhi.
“Lo sapevo.”, disse Tom, dopo qualche attimo di silenzio. Se l’era sempre aspettata quella risposta.
“E’ troppo tardi per scusarsi.”
“Lo so.”, ripetè Tom, “Ma volevo dirtelo lo stesso.”
“Ok.”, fece Mac, “Adesso… adesso devo smontare la mia attrezzatura.”
Si voltò e si mise ad aggeggiare con la sua macchina fotografica.
Era tornato il sole.
Non c’erano più Sole e Luna. La loro storia era stata come un’eclissi. Due corpi opposti, diversi, che si erano incontrati per un breve e lungo momento… ed adesso entrambi  erano separati. Per sempre
Sentì i passi di lui allontanarsi, tornarsene indietro.
Le sue mani tremavano, le era impossibile riuscire a svitare tutti i fermi che tenevano bloccata la macchina sul suo cavalletto.
La macchina si mise in moto e ripartì.
Solo in quel momento si voltò, con gli occhi che piangevano.
No, non era possibile…
Non poteva essere lì.
Di tutte le isole di tutto il mondo, non la sua.
Ma c’era.
E lei non se ne poteva fuggire di nuovo.
No, non lo avrebbe fatto, anche se la tentazione era tanta.
A ventotto anni doveva riuscire a prendere per i capelli la sua vita. Stringere i denti.
Ed affrontare i suoi sentimenti.
Le ci volle una vita per smontare la macchina dal cavalletto, separarla dall’obiettivo, rimetterla dentro la sua custodia, ripiegare il cavalletto e infilare tutto dentro all’auto. Non era facile farlo mentre si piangeva.
Tornò al villaggio. Si sentiva triste, distrutta. In un attimo le era parso di buttare via tutto, di rinunciare a tutte le sue convinzioni. Credeva di avere dimenticato. Credeva di aver lasciato tutto alle spalle.
Poi, mentre guidava, si era data dell’idiota, della scema. Mai tornare indietro, mai ripercorrere i propri passi. Non importava se era stata contenta, anche solo per un secondo, di vederlo di nuovo. Non importava l’aver sentito un guizzo dentro. Perchè era stata tutto questione di un momento, l’aveva trovata debole.  No, no no no, si diceva, mentre entrava nel suo appartamento. Ognuno per la sua strada, ognuno in direzioni opposte.
Prese il telefono, si sdraiò sul letto e compose il numero di Thiago. Almeno lui poteva dirle qual’era la cosa giusta da fare…

 

La macchina traballava, tremava. L’asfalto era bucherellato in ogni suo centimetro. Il rumore del motore era l’unico che si sentiva.
Lanciò un paio di occhiate a Tom.
Fisso, fuori dal finestrino. Il gomito destro appoggiato sul bordo della portiera, si mordicchiava il pollice.
“Lo so che avrei dovuto dirtelo prima.”, gli disse.
“No, lascia stare.”, disse Tom.
“L’ho vista il giorno dopo che siamo arrivati. Non avevo la più pallida idea che lei fosse qui. Ho pensato a lungo a quello che sarebbe stato giusto fare… e sono arrivato alla semplice conclusione che prima o poi vi sareste incontrati lo stesso.”
“Lo so.”, disse Tom, sospirando, “Non potevi di certo stare a fare il cerbero.”
“E’ solo che… insomma, mi sento in colpa. Con entrambi.”, disse Gustav, dando una pacca sul volante per la rabbia.
“Dai, Gusti… tu non c’entri niente.”, gli disse Tom, sorridendogli.
“Mi dispiace.”
“Perdonato. Come si fa a tenerti il muso, con questo bel visino pacioccoso?”, gli fece Tom sorridendogli, prendendolo per una guancia.
E adesso? Cosa doveva fare?
Come si doveva comportare?
Fare quello che se ne fregava? Ovvio che sì.
Ma come…
Per tutto il resto del tragitto rimase in silenzio. Non aveva niente da dire. Non aveva niente da pensare. Disse a Gustav che avrebbe concluso la giornata a letto. Lui comprese e, dopo aver preso il suo telo da mare, lo lasciò solo, nel loro appartamento.
Sdraiato sul divano, con la televisione che parlava in francese in un canale assurdamente incomprensibile, prese il cellulare, e tenne premuto il tasto numero uno. Dopo qualche decina di squilli, all’altro capo tuonò la voce di suo fratello.
Se non hai niente di buono da dirmi per piacere parla dopo il bip. ”, disse l’altro, con voce scocciata.
“Dai Bill…”
Prima mi hai attaccato il telefono in faccia!”, fece l’altro, “Sei un deficiente!
“Bill… stammi a sentire una volta ogni tanto, non fare sempre la checca incazzata.”, gli disse Tom, con voce bassa e seria.
Cosa è successo?… anche se posso immaginarmelo.”, disse Bill, sospirando.

 Stavo dormendo Mac…”, disse Thiago, con voce roca, dopo che ebbe accettato la chiamata dell’amica.
“Mi dispiace, Thi… fatto tardi ieri sera?”, gli chiese lei, anche se poco interessata.
Sì, abbastanza… volevo dormire fino all’ora di pranzo ma ormai…”, fece l’altro, rischiarandosi la voce.
“Sempre a farmi pesare le cose…”, disse Mac, scocciata.
Dai, come va? L’hai vista l’eclissi? Andata bene?””, disse Thiago, notando subito un certo tono triste nella sua voce..
“Almeno quella è andata bene.”, gli disse Mac, che aveva iniziato a giocherellare con una ciocca di capelli.
Perchè dici così?”, chiese l’altro.
“Perchè… dai, non userò giochi di parole. Qua c’è Tom.”

“Tu lo sapevi che era qua?”, domandò al fratello.
No, Tomi, non lo sapevo, posso giurartelo.”
“Tranquillo, non importa. Non lo sapeva nemmeno Gustav, l’ha incontrata il primo giorno di vacanza.”
So che è una domanda stupida ma… come ti senti?
Tom ci riflettè per un attimo. Non sapeva dare una parola a quello che sentiva…
“Non lo so… una domanda più facile? Ce l’hai?”, gli disse lui. Si dette una pacca sulla testa, il cappellino gli scese sugli occhi, “Cazzo com’è piccolo il mondo… pensi di non incontrarti mai più e poi, per caso… sempre per caso.”

Thiago rimase in silenzio per qualche secondo. Fece per parlare almeno due volte ma trattenne tutte le imprecazioni che avrebbe voluto dire.
Tom? Come ha saputo che eri lì?”, esplose l’altro. 
Dopo la loro rottura, fu inevitabile che anche loro due litigassero. Thiago, da migliore amico di Mac, rinfacciò continuamente a Tom ciò che aveva fatto, finchè lui non gli si rivoltò, e scoppiò una lite furibonda tra i due.
Era incredibile quanto la loro storia avesse coinvolto anche le vite di coloro che erano estranei alla loro relazione, ma che comunque erano molto legati ad entrambi da vincoli di affetto. Era squallido, ma era successo.
“Non lo ha saputo da nessuno… è venuto qua in vacanza con Gustav… casualmente. Ci siamo incontrati durante l’eclissi.”

 Sì… possiamo dire che tra voi ha sempre funzionato la teoria del caso. Se ti ricordi, anche io la incontrai, per caso, quella sera prima di Natale, dopo che  eravate rimasti separati per un anno…”, gli fece Bill.
"Già… secondo te è possibile una cosa del genere? Voglio dire, sempre questo fottuto destino…”
Apparentemente sì.

 Gesù… c’è una chiesa da quelle parti?”, le domandò Thiago.
"Beh… sì… perchè?”, fece Mac, non comprendendo quale fosse lo scopo di quella domanda.
Ecco, vai ad accendere una candela, prega e farti esorcizzare. Mac, sei sfigata.”, le disse.
Mac sbuffò in una risata. Come riusciva farla ridere lui, anche quando aveva solo la forza per piangere, non ci era mai riuscito nessuno.
Che cosa vi siete detti?”, le fece poi, tornando serio.
“Niente… lui mi ha chiesto scusa. Ovviamente gli ho risposto che era troppo tardi.”

 “Cazzo… passi dei mesi a fartene una ragione, ad analizzare ogni singola causa. Provi a dimenticare, in ogni modo. Ci riesci. E poi…”, disse Tom.
"Mi dispiace…”, gli disse suo fratello, con voce affranta, “Non so nemmeno come consigliarti. E… cosa vi siete detti?”
“Le ho chiesto scusa.”
E lei?.”
“Mi ha detto che era troppo tardi.”, disse Tom. Di nuovo il magone da inghiottire, ma quella volta fu più difficile, “Come avevi detto tu Bill.”
Detto cosa?
“Che il tuo perdono era l’unico che avrei avuto.”
Dai, te l’ho detto perchè ero arrabbiato.”, fece l’altro.
“Ed invece avevi ragione. Bill… cosa devo fare?”, gli chiese, quasi implorandolo.
Non lo so… vedi un po’ come si comporta lei.”

 “Thi… che palle!”, esclamò Mac, quasi gridandolo, “Non ne posso più, odio gli scheletri nell’armadio ed il mio pensavo di averlo pulito bene. ”
Ma che prodotto hai usato?”, le fece Thiago, continuando sulla sua allegoria.
“Sicuramente qualcosa di andato a male… Thi, che devo fare? Impacchetto la mia roba e scappo di nuovo?”
La mia casa è troppo piccola per tutti i nostri problemi. E poi hai un lavoro, anzi, due lavori. E anche ventotto anni, alla tua età non si fugg più.”

“Ma che consiglio è? Devo mettermi a fare lo spione per vedere come si comporta? Se sarò fortunato si metterà a fare la caccia alle streghe… oppure  fuggirà via di nuovo.”
Fammi capire Tomi… anche se c’è poco da capire… ma tu cosa provi…
“Non lo so Bill!”, disse lui, interrompendolo. Non lo sapeva cosa stava provando in quel momento. Era troppo difficile.
E non ce la faceva più a trattenersi. Stava piangendo.
Non lo faceva più da diverso tempo.
Cazzo quanto faceva male piangere di nuovo.
Calmati… Non so davvero cosa dirti. Dipende tutto da te, Tomi. Da quello che senti.
“Da me… sempre da me! Dipende sempre tutto da me!”, disse lui. Provava a non singhiozzare e ogni volta sentiva sempre più male dentro. Sempre di più.
Si era promesso che non avrebbe mai più provato tutto quel dolore, che non ne valeva la pena amare per poi sentire spaccarsi il cuore dentro. Non si ricordava chi aveva detto che era meglio amare ed aver sofferto che non aver amato mai, ma sicuramente era un coglione. Era uno che non aveva amato mai.
Non piangere, fai stare male anche me.”, gli disse Bill.
“Odio questa vacanza! Odio questo posto! Voglio tornare a casa!”, iniziò a dire Tom.
Che cosa ti passa per la testa, Tom? Sei impazzito?”, lo rimproverò Bill, “Avevi imparato ad affrontare i tuoi problemi… e ora ti carichi le gambe in spalla e te ne vai via, come un bambino? Devi essere responsabile!”

“Non voglio incontrarlo nel villaggio, non voglio vederlo in spiaggia. Non voglio vederlo e basta.”
E qual è il tuo problema Mac? Se non sbaglio tu mi avevi giurato sulla nostra amicizia che avevi dimenticato tutto, che era tutto parte del passato.”, le disse Thiago, “Allora non dovresti avere problemi ad incontrarlo di nuovo.
“Thi…”, fece Mac, sperando di essere compresa.
No, Thi un bel niente! Uno come lui non si merita nessuna delle tue lacrime. Quindi smetti di frignare e prendi la situazione di petto. Fagli vedere che sei un’altra persona, che sei Mac e non più Rose. E che non te ne frega un bel niente di lui.
“Mettiti nei miei panni, Thi! Non è facile!”, protestò Mac.
Basta, mi hai stufato, rivoglio la Mac che non si piange addosso come una bambina dell’asilo. Ti ho detto cosa devi fare: vai fuori e se lo incontri salutalo, mandalo a fanculo da parte mia, e ti volti dall’altra parte. Se è vero che hai ripulito per bene il tuo armadio, non ci dovrebbero essere problemi… o sbaglio?”, fece Thiago.
“Ok… grazie per il consiglio, Thi.”, disse Mac, asciugandosi le lacrime.
Ma di cosa… Ti voglio bene.”, gli fece lui, mandandole un bacio.
“Anche io. Ci sentiamo.”
Chiuse la chiamata frettolosamente… non aveva più voglia di parlare.

“Mettiti nei miei panni!”, protestò Tom con il fratello, che non lo stava comprendendo.
Mettiti nei miei panni un bel corno, Tom!”, continuò Bill, partendo per la tangente, “Adesso ti soffi il naso, fai un bel respiro e affronti la vita. Se fuggirai per sempre, non imparerai mai dai tuoi errori.
“Aspetta un attimo… prima mi dici che non sai cosa consigliarmi, poi di guardare cosa fa lei... e di affrontarla?”, sbottò Tom.
Non lo so qual è la cosa giusta da fare.”, gli ripetè Bill, “Ma quello che so per certo è che siete fuggiti per troppo tempo l’uno dall’altra e che non risolverete mai le vostre questioni sospese continuando a farlo. Se proseguirete a farlo e, un giorno, vi ritroverete, sarà la stessa identica cosa.”
“Non ci sono questioni in sospeso tra noi.”, disse Tom.
Cazzo… sei proprio cretino, permettimi di dirtelo… e ora scusami ma avrei qualcosa di importante da fare.”
“Va bene, ho capito, signorina bei consigli.”, esclamò Tom, chiudendo la chiamata.
Nemmeno lui sapeva dirgli cosa fare. Nemmeno suo fratello. Odiava questa situazione del cazzo. Odiava contraddirsi, odiava pensare una cosa e provarne un’altra, odiava dire una cosa e farne un’altra… coerenza, nella vita ci voleva coerenza.
E allora doveva essere coerente. Basta, Mac aveva la sua vita, lui aveva la sua. Sfortunatamente si erano incontrati di nuovo, soprattutto casualmente. Cosa potevano fare? Niente, continuare ognuno per la sua strada. Lui era un tipo che si piangeva addosso? Assolutamente no, era uno che se cadeva, si rialzava e, a testa alta, riprendeva a camminare.
Andò in camera, si tolse il costume per mettersene un altro. Afferrò il suo asciugamano e, anche se gli occhi arrossati e stanchi gli dolevano, se ne andò in spiaggia.

Posò il telefono sul letto. Tirò un lungo sospiro. Si stropicciò gli occhi e si alzò. Non poteva far condizionare la sua vita da un semplice incontro con il passato. No, doveva rinchiudere a chiave la Mac piagnona nell’armadio, quello che credeva pulito, lustrato come uno specchio. Andò in bagno, si fece una doccia veloce e infilò il primo costume che trovò a penzoloni sul lavandino. Poi tornò nella camera e, dopo una maglietta ed un paio di pantaloncini, indossò il suo cappello d’ordinanza sulla testa. Era pronta per il suo turno di animazione.
La piscina per i bambini era gremita di ragazzini urlanti, dai quattro ai dieci anni. Appena la videro, iniziarono ad esultare ed a chiamarla. Mac si tolse la maglietta e si tuffò in mezzo a loro, che presero ad affollarsi intorno a lei.
“Su, avanti, a cosa giochiamo oggi pomeriggio?”, chiese a tutti loro.
Non una proposta fu comprensibile: trenta o più bambini iniziarono a chiedere a gran voce di giocare a tutti i loro giochi preferiti, assordando non solo Mac ma anche tutti i loro vigili genitori nelle vicinanze.
Costretta dalla necessità, Mac si infilò due dita in bocca e fischiò, riportando il silenzio.
“Visto che nessuno sa mettersi d’accordo con l’altro, mettiamo su un po’ di musica  e balliamo tutti insieme!”
a sua proposta fu accolta da tutti. Mac uscì fuori dall’acqua e si avvicinò ad una specie di colonnina di legno. 
La aprì con la chiave che stava appesa ad un chiodo nel legno e schiacciò alcuni pulsanti, avviando l’impianto, che iniziò a trasmettere, da alcune casse poste su dei pali, le classiche musiche per bambini.
Oramai conosceva tutte le coreografie e, entrando in acqua, tutti i bambini iniziarono a copiarla ed a cantare insieme a lei. Tra la canzone del granchio ballerino, della cozza innamorata, dell’elefante assonnato e del pesce bastoncino, Mac si dimenticò di quello che era successo.
“Ma che bravi che siete! Avete imparato tutti i passi, vi siete impegnati!”, disse Mac, dopo la canzone dell’erba cipollina e del gatto cipollone. Poi, sentì le note iniziali della musica successiva, quella della nuvola impazzita… potevano essere stupide le canzoni per i bambini, ma loro si divertivano a cantare e a ballare, quindi era più che sufficiente.

 

“Vado a prendere da bere.”, disse Gustav, alla fine dello spareggio per i mondiali di calcio, che li aveva visti sconfitti dalla squadra degli olandesi.
“No, vado io, ho anche bisogno del bagno.”, fece Tom.
“Sei… insomma, sei sicuro?”, gli fece Gustav, con sguardo di comprensione
“E dai, ti ho detto che vado io! Vado io!”, gli ripetè Tom, “Cosa vuoi?”
“Acqua.”
“Perfetto.”, disse, mentre prendeva le sue ciabatte.
Camminando sulla passerella, per evitare di scottarsi i piedi sulla sabbia rovente, tornò all’interno del villaggio. Si fermò al primo bagno che trovò e poi riprese nella direzione del grande bar centrale, quello vicino alla grande piscina. Mentre camminava, si chiese come potessero trasmettere quelle musichine idiote. Sicuramente era per il divertimento dei bambini.
Si avvicinò al bancone ed ordinò una bottiglia di acqua. Nell’attesa, si voltò a guardare che tipo di gente avesse intorno. Sembrava di essere in un parco per bambini: solo marmocchi, con i loro genitori. Ma che bello…
Il barista gli picchiettò sulla spalla per attirare la sua attenzione, gli dette la sua bottiglia.
“Bella musica.”, gli disse.
L’altro non capì, evidentemente non parlava tedesco, allora tradusse la sua affermazione in inglese, sperando che lui comprendesse.
“E’ per l’animazione dei bambini.”, gli rivelò l’altro, nella medesima lingua, facendo spallucce.
Poi gli indicò verso la piscina dei bambini.
Si ricordava di quanto tempo potesse passare Mac in compagnia dei bambini senza stancarsi. Molte volte aveva fatto la baby sitter alle gemelline Listing, stando ore ed ore a fare boccacce, a coccolarle e a giocherellare con loro. In quel momento sembrava passarsela molto bene, in mezzo a bambini che cantavano insieme a lei le parole della canzone, che lui non conosceva perchè in francese.
Era cambiata, tantissimo. I capelli neri le davano un’aria molto particolare, non sapeva come definirla… la preferiva nettamente con il suo colore naturale, il biondo. Lunghe trecce, pelle scura. Non sembrava nemmeno lei.
“Carina, non trovi?”, gli disse il barista, appoggiando le braccia sul bancone, vicino a lui.
“Cosa?”
“Carina, l’animatrice nella piscina…. Si chiama Mackenzie.”, si spiegò l’altro.
“Beh… abbastanza.”, disse Tom, facendo finta di non conoscerla, “Lavora qua dentro?”
“No, non lavora solo qui. Lo fa solo per divertimento.”, gli spiegò lui, sorridendogli con complicità, “E’ qui da tre mesi, o quattro, non so. Fa delle ricerche subacquee con un tipo. E’ quello il suo lavoro.”
“Un tipo?”, fece Tom, rimanendo sempre sul vago.
“Sì, uno tedesco come lei. Lavorano per un’azienda, fanno ricerche, roba così…”
“Ah… interessante.”
“Abita qua nel villaggio, dove ci sono gli appartamenti di noi dipendenti”, continuò l’altro. Si guardavano negli occhi, cercando di capire quali fossero le intenzioni dell’altro.
“Sì?”
“Sì… ma rassegnati amico.”, gli fece il barista, dandogli una pacca sulle spalle, “Quella ragazza è una che te la fa attendere degli anni. Se la tira troppo per i miei gusti...”
“E sarebbe?”, disse Tom, con tono accusatorio.
“Hey amico… calmati! Fosse la tua ragazza!”, esclamò il barista, allontanandosi indignato.
“Ah… scusami.”, fece Tom, imbarazzato.
Lanciò un ultimo sguardo verso Mac, poi tornò da Gustav. Con la bottiglia in mano, scese velocemente le scalette che portavano direttamente alla spiaggia e, mentre era immerso nei suoi pensieri, la sua spalla destra si scontrò con quella di un’altra persona.
Alzò gli occhi velocemente e chiese scusa al ragazzo asiatico che aveva di lato. Lui non ricambiò, rimanendo a fissarlo ad occhi spalancati. Tom si chiese che cazzo aveva per guardarlo in quel modo e se ne fregò della sua risposta. Concluse la scalinata e si perse tra i lettini.

 

“Ok ragazzi, adesso vado a bere qualcosa. Ci vediamo tra dieci minuti!”, disse Mac, uscendo dall’acqua.
“No!”, fu il coro generale dei bambini
“Dai, ce la fate anche senza di me!”, fece Mac, mentre si allontanava e si avvicinava al bar.
Tony, il ragazzo che faceva il turno quel pomeriggio, dietro al bancone, appena la vide arrivare tirò fuori una bottiglietta di acqua tonica, se la passo acrobaticamente tra le mani, la stappò, imbrattandosi per via dello shackeramento che aveva eccitato le particelle di anidride carbonica e fu costretto a servirgliene un’altra, a meno che non volesse raccogliere quella sparsa sul pavimento e sul bancone.
“Lo fai ogni volta… e schizzi sempre in giro.”, gli disse Mac.
“Fetta di limone?”, le chiese lui, prendendone una appena affettata con le pinzette.
“Ovvio che sì.”, rispose Mac.
Gliela mise dentro l’acqua tonica e gliela servì.
“Con gli omaggi della casa!”
“Ma che gentile che sei.”, rispose lei, sorridendogli.
“Hai un ammiratore tra i clienti, lo sai?”, le disse, ridendo sotto i baffi, mentre con uno straccio ripuliva il bancone dallo spargimento di acqua tonica.
“Spero che non sia il classico pervertito panzone con le ascelle pelose e il sudore a fiotti.”, disse lei, dopo che l’effetto frizzante delle bollicine sulla lingua le fu passato.
“Mmhh… non direi.”
“Ah, meno male.”, fece lei.
“Non sei interessata?”
“Ti sembro?”, disse Mac, indicandosi, “No, perchè se lo sembro, allora guarda questa faccia.”
Posò il bicchiere, si spalancò gli occhi con le dita e fece una boccaccia con la lingua di fuori.
“Ah, ok… Ma stavolta ti sarebbe andata bene.”, fece lui, tornando a pulire il  bancone.
"Per caso è un tipo misterioso, con capelli neri, sguardo penetrante... soldi a palate, maggiordomo sempre fisso al culo... e di secondo lavoro si diverte a fare Batman?"
gli chiese Mac, sarcasticamente.
“Sei troppo acida, Mac, così non ti si filerà nessuno.”, la rimproverò l’altro.
“Ti ripeto: sembro interessata ad essere filata da qualcuno?”
“Secondo me sei lesbica.”
“Oh certo amore, ma non dirlo ad alta voce sennò i genitori di quelle pesti bubboniche ci credono e mi fanno buttare fuori.”, gli disse lei, sorseggiando la sua acqua tonica.
L’altro sospirò di rassegnazione e gettò lo straccio dentro il cesto delle pezze da lavare.
“Su, avanti, dimmi chi era stavolta.”, fece Mac, piegandosi alla volontà dell’amico.
“No, attaccati al tram, hai perso la tua occasione.”, disse lui.
“Ok aspetta, provo a descrivertelo.”, disse Mac. Era il momento di fare un po’ di autoironia per sfottersi da sola, “Per caso era alto più o meno quanto me, della mia stessa età, occhi marroni, capelli rasta e biondo scuro?”
“Cazzo…”, fece l’altro, “Ci hai proprio indovinato! Come hai fatto? Lo conoscevi già? Lo hai visto?”
La faccia di Mac si tramutò dal sorriso auto sfottente alla faccia di una che aveva ricevuto una mattonata sonora.
“Comunque ha detto che sei carina. Sembrava interessato… ad un certo punto ha dato di matto… secondo me devi stare attenta, quello è un pochino psicotico.”, fece lui, concludendo la frase con un dito che girava intono alla tempia.
“Ah… grazie per avermi rovinato la giornata. Già faceva schifo... ora è diventata di merda.”, disse Mac, restituendogli il bicchiere.
L’altro rimase stupefatto dalla reazione di lei.
“Secondo me siete fatti l’uno per l’altra… lui nevrotico, tu schizofrenica. Una camicia di forza matrimoniale e via.”, disse l’altro, incavolandosi.
Mac gli alzò il suo dito medio in faccia e se ne tornò dai bambini. Il suo turno si concluse di lì a poco, erano le sette inoltrate. Meglio così, le era passata la voglia di lavorare.
Tom era un ostacolo alla sua vita.
Era come il cartello ‘deviazione’ nei cartoni animati di Willy il coyote.
Era come il bruscolo nell’occhio.
Era il problema che le rovinava la giornata.
Il solo fatto di aver saputo che lui aveva passato parte del suo tempo al  bancone, a commentarla insieme a quel deficiente di Tony, le aveva fatto venire il sangue al cervello.
Mentre se ne tornava in camera, dove avrebbe speso tutta la serata per far evaporare l’incazzatura e per trovare un modo per riprendere il controllo della situazione, incrociò Caroline.
“Hey… che faccia strana…”, le fece notare.
“Sì, non è stata una bella giornata oggi.”, disse Mac.
“L’hai vista l’eclissi?”, le chiese lei, non accorgendosi del tono sfavato di Mac.
“Altro che no… e non ho visto solo quella!”, fece l’altra, sorridendo con sarcasmo.
“Hai visto qualcosa di interessante?”
“Uh interessantissimo!”, rispose. Sospirò, toccandosi la fronte. Era meglio prenderla a ridere, ironizzando ancora una volta, altrimenti c’era da spararsi. Per le prossime due settimane avrebbe avuto a che fare con situazioni spiacevoli, se non rideva ora che era appena all’inizio dell’avventura…
“Beh, me lo racconterai stasera. Birrata in spiaggia!”
“Vai!”, disse Mac, facendole l’occhiolino.
“Perfetto. Ah, a proposito, Nagomi ti sta cercando.”, le disse Caroline, “Credo ancora sia nel suo appartamento.”
“Allora farò un salto da lui a sentire cosa vuole.”
Per andare al suo appartamento avrebbe dovuto svoltare per la prossima stradina a destra; per andare da Nagomi, invece, doveva andarsene a sinistra. Quel dedalo di viuzze tra gli appartamenti dei dipendenti, tutte parallele e perpendicolari tra loro, erano davvero un labirinto per chi non le conosceva! Ma lei oramai c’era abituata, andava quasi ad occhi chiusi.
Bussò alla porta dell’appartamento del suo amico che, dopo qualche attimo, venne ad aprirle, mentre si stava strofinando i capelli corvini con un asciugamano.
“Mi ha detto Caroline che mi stavi cercando…”, gli fece, rimanendo sulla soglia.
“Sì.”, disse lui, uscendo dall’appartamento e chiudendo la porta alle sue spalle, “Devo dirti due cose: una cattiva… e l’altra un po’ meno.”
“Inizia con quella cattiva.”, fece Mac.
“Non sai con chi mi sono incontrato mentre facevo le scalette che vanno in spiaggia. A dire il vero mi sono scontrato… più che incontrato…”, disse lui, iniziando a mordersi il labbro inferiore, segno di nervosismo.
“Aspetta aspetta!”, esclamò Mac, mettendosi le mani sulle tempie e chiudendo gli occhi, “Ora indovino, ti leggo nel pensiero… per caso hai visto un certo Tom Kaulitz?”
“Lo sapevi…”, disse lui, rincuorandosi.
Mac gli aveva raccontato quello che era successo durante una serata di sincerità alcolica. Sotto l’effetto di una sbornia triste, sia sua che di Nagomi, si erano ritrovati a piangersi addosso per le sfighe passate. Era successo non molto tempo fa, forse un mese prima.
“Sì… l’ho incontrato anche io oggi… ma non voglio parlarne adesso. Tu cosa volevi dirmi?
“Ah sì… vieni a cena con me stasera?”, le chiese lui, deviando il discorso.
“Oh, un invito!”, fece lei, falsamente entusiasta. Aveva solo voglia di stare a deprimersi sul letto, non di uscire e di divertirsi. Ma comunque aveva accettato l’invito di Caroline per la ‘birrata’, per non passare la notte a battere la testa contro il muro.
“Ecco, adesso parto con la notizia un po’ meno cattiva… E’ il classico favore che si vede chiedere nei film…”, disse lui.
“Avanti spara, se posso esaudirò ogni tuo desiderio.”, disse Mac.
“Vedi… insomma… non so come spiegartelo.”
Mac sentì qualcuno parlare all’interno del suo appartamento. Data l’incomprensibilità della lingua, dedusse che erano giapponesi come lui. Nagomi si voltò, aprì leggermente la porta e rispose a chi evidentemente desiderava la sua attenzione. A sentire dal tono della voce dell’altro giapponese, doveva essere una discussione molto animata.
Poi la porta si aprì di scatto e comparve una signora, in distinto completo sul rosa, molto seria, tutta d’un pezzo. Nagomi parve allarmato dal vederla apparire e si voltò verso l’amica, prendendo a farle ammiccamenti che lei non comprendeva.
 Mac, che non aveva la più pallida idea di cosa fare, se ne rimase lì a guardarla, con un sorriso stampato in faccia a cinquanta denti, come per dire ‘non so cosa cazzo ci sto a fare qua ma rido’. La signora la guardò a sua volta con fare indagatore e poi le disse qualcosa, ovviamente nella sua lingua.
“Nagomi… penso che  questa donna mi stia squartando con lo sguardo.”, disse Mac, mantenendo sempre il suo sorriso sulla faccia.
“Ehm… sì, Mac, lei è mia madre. Dentro c’è anche mio padre.”
“Beh, credo che sia l’ora di andare. Vi lascio ai vostri affari di famiglia”, fece Mac, indietreggiando, senza staccare gli occhi da quella donna.
“Mac… posso parlarti un attimo?”, fece Nagomi.
“Beh… devi ancora chiedermi di quel favore…”, rispose lei, mentre si allontanavano dalla porta per avere un po’ di privacy.
“Appunto… Parliamo a bassa voce perchè anche loro parlano francese…”, le fece lui, abbassando il tono della sua voce.
“Cazzo! Potevi dirmelo prima!”, sbottò Mac.
“Lascia perdere… ti volevo chiedere se stasera, solo per stasera… e poi puoi anche denunciarmi e dire che prendo le bottiglie di alcolici di nascosto.”
Ancora la donna se ne stava sulla soglia, a fare il gufo.
“Tua madre mi terrorizza.”, fece Mac, sentendosi un brivido freddo lungo la schiena.
“Pensa che tu sia la mia fidanzata.”, disse lui.
“Beh, dille che sono la tua amica ubriacona.”, disse Mac, voltandosi verso di lei e salutandola, come per farle capire che poteva anche smetterla di trapassarla da parte a parte.
“No no… lo pensa perchè gliel’ho detto io.”, rivelò Nagomi.
Lei se ne rimase a guardarlo, a bocca aperta, stupida.
“Cosa hai fatto?”
“E’ con mio padre, sono venuti per conoscerti… ho detto loro che stavo qua perchè mi ero innamorato di una che lavorava in questo posto… cioè te…”
“Ma sei deficiente!”, esclamò Mac.
“Sennò mi toccava tornare a casa!”, si giustificò lui.
“E chi se ne frega!”, si arrabbiò Mac. Ancora quella donna la penetrava con gli occhi, facendola sentire terribilmente a disagio. Sembrava particolarmente schifata dal tatuaggio che aveva sul braccio sinistro, quel ‘Rock my life’ che si era fatta tantissimo tempo fa… Il ricordo, un po’ doloroso, di alcune amicizie finite. Ma anche il simbolo della sua essenza, uno dei suoi tanti proverbi di vita.
“Devi farmi questo favore, solo per stasera… fai finta di essere la mia fidanzata, tanto poi se ne torneranno ad Osaka, dirò loro che ci siamo lasciati e fine della storia!”
“E perchè non hai preso Caroline per questa storia?”, sbottò Mac.
“Perchè lei non sarebbe stata al gioco ed invece tu sì, perchè sei mia amica!”, fece Nagomi.
“Ma perchè proprio io…”, disse Mac, mettendosi la faccia tra le mani, sconsolata per la stupidità del suo amico.
“Dai, lo prendo come un sì. Ci vediamo tra mezz’ora al ristorante, quello di classe… mettiti elegante e... insomma, comportati per bene, ma soprattutto, sii puntuale!”, fece lui, sorridente e speranzoso. Poi si voltò verso sua madre e, con espressione stupida, le fece segno che andava tutto ok.
“Va bene… poi appena se ne vanno inizierò a torturarti.”,  disse Mac, rassegnata, “Ma guarda in che situazione mi sono cacciata…”
“Ci vediamo dopo allora…”, le disse lui, “Ora voltati verso di lei e fai un inchino secco.”
“Un cosa?”
“Un inchino. Ti pieghi in avanti.”
“Ah…”, fece Mac. Si voltò e zac, fece l’inchino. Mai fatto prima di quel momento. Cioè, sapeva che era un simbolo della cultura giapponese, ma non aveva mai pensato di farlo davvero… come non si sarebbe mai immaginata di fingere di fare la fidanzata di qualcuno. No, doveva autocorreggersi, non era vero, aveva già fatto una cosa del genere e si era sentita la persona più stupida del mondo.
La donna la guardò ancora più severamente ed entrò nella casa, senza ricambiare.
“Ma non doveva farlo anche lei l’inchino?”, chiese al suo amico.
“In teoria sì… vabbè, ti spiego dopo ok? Ciao!”, fece, entrando in casa e lasciandola sul marciapiede.
Che situazione del cavolo…



TITOLO: canzone di Robbie Williams. ‘No regrets’, no scopo di lucro...

Stasera posto senza commenti... ragassuole, sono stanca, sono stata tutto il giorno in facoltà, poi al lavoro... non mi mangiate, pliz!
Ad ogni modo, mi fanno molto piacere tutti i vostri complimenti e vi ringrazio davvero di cuore... davvero! Un bacione a tutte voi!!!! RubyChubb

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Capitolo 14
*** Fake Japanese Love ***


14. FAKE JAPANESE LOVE

 

Davanti allo specchio, appeso dall’interno dell’anta del suo armadio, si guardò per un’ultima volta. Nagomi le aveva chiesto di essere elegante e lei aveva indossato un vestitino nero, di seta, che le aveva portato Thiago quando era venuta a trovarla, la settimana precedente. Sembrava più una sottoveste che un vestito, ma era veramente delizioso.  Non era né troppo aderente, né troppo largo: le cadeva giusto indosso, qualche centimetro sopra le ginocchia. Le spalline, non troppo fini, sorreggevano uno scollo, chiuso a punta sul seno, forse un pochino troppo audace per la tipica rigorosità nipponica.
Prese la matita, si dette solo un filo di trucco sugli occhi, poi un po’ si lucidalabbra e via, era pronta. Ah, i capelli: prese un grosso fermaglio metallico nero, raccolse tutte le sue trecce sulla testa e le bloccò lì con quello.
Ultimissimo sguardo allo specchio.
Thiago avrebbe detto che era una strafiga alla Dannatament&Gnocca e che avrebbe fatto risvegliare i morti. Era quello che le aveva detto quando lo aveva provato, per fargli vedere come le stava indosso. Ed aggiunse anche:
“Se quell’ameba avesse l’occasione di vederti… non mi ci far pensare!”, aveva esclamato.
“Ameba?”, aveva chiesto lei, perplessa.
“Quello che, prima di nascere, quando si è messo in coda per prendersi tutti gli organi, era in prima fila per i piselli ed ultimo per i cervelli.”
“Ah, ho capito.”, aveva fatto lei, comprendendo perfettamente a chi si riferiva.
“Ma tanto siamo sicuri al mille per mille che non succederà, vero Mac?”, le aveva detto, con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
“Ah! Puoi starne sicuro!”
Le ultime dannatissime parole famose. Quei classici spergiuri che poi si avveravano sempre; era matematicamente stabilito e certo.
Si sedette sul letto, accanto al comodino. No, non doveva aprire quel cassetto. No, non doveva prendere la fotografia.
Aprì il cassetto e prese la fotografia. La riguardò solo per un attimo che durò ben un paio di minuti o tre. Era invidiosa di quella fotografia, perchè rappresentava un momento della sua vita felice, senza pensieri né problemi. Beh, anche adesso era felice, senza pensieri né problemi. Ma era una felicità diversa, consapevole del fatto che era destinata a durare il tempo di uno schiocco di dita.
Perchè là fuori c’era anche lui.
E con lui tutti i suoi problemi, quelli che pensava di aver spazzato via dal suo armadio, ma che invece erano rimasti rintanati in un angolino, in un cantuccio, nascosti all’ombra.
Affrontarli o non affrontarli? Era quello il grande problema di Mackenzie Rosenbaum, altro che essere o non essere.
Buttò la fotografia sul letto e, istintivamente, le venne da nascondere la faccia tra le mani, per cercare un po’ di conforto, ma si era truccata e non poteva farlo.
Che ora si era fatta… Quanto era passato?
“Oh cazzo!”, esclamò, vedendo che erano passati quarantacinque minuti… e che era in ritardo di un quarto d’ora. Frugò in fondo all’armadio, dove teneva le scarpe, in cerca di un paio di sandali adatto.
“Dove cavolo li ho messi… ah eccoli!”, fece, tirando fuori il sandalo destro, poi quello sinistro. Non erano suoi, ma di Caroline, glieli aveva prestati qualche giorno prima ed ancora non glieli aveva restituiti, fortunatamente, altrimenti doveva andarci con le infradito di gomma, o con le sneakers. Afferrò la borsetta, anche quella di Caroline, nera, piccola da portare a mano, ci infilò dentro il necessario per sistemarsi il trucco e, con i sandali in mano, uscì fuori correndo.
Non doveva essere bello vederla correre in quel modo, soprattutto con quel vestito addosso, ma a lei poco importava delle occhiate strane che le mandavano gli altri clienti. Bastava reggersi le tette, sennò uscivano fuori dai sostegni… Arrivata davanti alla porta del ristorante si fermò. Se fosse vissuta in un cartone animato avrebbe lasciato la fossa per via della frenata… Si mise i sandali, anch’essi neri, con un tacco sufficiente a farla traballare, in due fili incrociati sul davanti.
La cena si sarebbe tenuta nel ristorante, come aveva detto Nagomi, di classe: era piccolo ed i camerieri, in giacca bianca e pantaloni neri, con il tovagliolo sul braccio, servivano piatti freschi di cucina internazionale. Era molto carino, tutto arredato con classe, con colori tendenti al rosa pallido. Vi entrò  cercando di essere il più disinvolta possibile. Nagomi, appena la vide, si alzò le fece cenno di avvicinarsi al loro tavolo. Nonostante la gravità della situazione, della sua menzogna, continuava a sorridere come faceva sempre. A volte pareva scemo.
I suoi genitori sembravano delle lastre di marmo: freddi, impassibili, tutti d’un pezzo, la tipica coppia stereotipata di genitori severamente giapponesi. Una volta che fu davanti al loro, Nagomi presentò la sua falsa fidanzata ai genitori.
“Papà, mamma, questa è Mackenzie, la mia fidanzata.”, disse, mettendole compostamente  un braccio intorno alla vita.
I due signori si alzarono e, a loro volta, ma sempre senza tradire la loro espressione seria, si presentarono. Mac non potè non notare le loro occhiate, che cadevano alternativamente sul suo scollo e sul tatuaggio. Era una prosituta forse? No, non aveva messo in mostra niente, solo qualcosina… e che palle, da quale epoca venivano, quella vittoriana? Doveva venire con la tuta da sommozzatrice e dimostrarsi completamente sottomessa come una geisha?
“Io mi chiamo Akito e lei è mia moglie Naori.”, disse l’uomo, indicando con rispetto la moglie, che abbozzò un sorriso.
“Molto piacere.”, disse Mac, porgendo loro la mano per stringergliela con gentilezza, “Parla molto bene il francese, signore.”
“Sono stato per molti anni console della mia nazione a Marsiglia. Tutta la mia famiglia parla francese molto bene.”, rispose lui, sedendosi.
“Ah… beh, complimenti allora.”, disse Mac, che non sapeva se interpretare la risposta dell’uomo con risentimento oppure come affermazione della sua ‘superiorità nipponica’. Si sedettero tutti e la farsa iniziò
“Nagomi ci ha molto parlato di te.”, disse la signora Naori, “Ci ha detto che sei tedesca, che vieni da Berlino e che vi siete conosciuti poco tempo fa, quando tu sei arrivata sull’isola.”
“Sì, è vero.”, disse Mac, sorridendole. Almeno aveva avuto la decenza di mentire solo sul fatto che stavano insieme, così non doveva stare attenta a ciò che diceva altrimenti lo avrebbe fatto smascherare.
“Scusami se ti interrompo mamma.”, fece Nagomi, pieno di rispetto, “Ma vorrei dire che avevo già stabilito quale sarebbe stato il menù di stasera. Tu e papà lo sapevate già, ma dovevo ancora dirlo a  Mackenzie.”
“Va bene.”, rispose sua madre.
“Hai fatto bene.”,  gli fece Mac, sorridendogli un po’ falsamente, “Conosci i miei gusti, vero Nagormi?”.
“Certo, come non potrei.”, rispose lui, un pochino atterrito.
“Cosa facevi a Berlino prima di trasferirti qua?”, le domandò il signor Akito.
“Ero una fotografa indipendente.”, rispose lei, “E collaboravo anche per qualche rivista.”
“E come mai adesso sei qua?”
“Mi ha assunto un’azienda, tecnicamente sono un’operatrice di riprese subacquee.”, rispose lei, mentre le veniva servito del pesce, ordinatamente disposto sul piatto, insieme al riso e ad alcune salse.
Odiava il pesce… le faceva schifo il pesce… il pesce puzzava di pesce… già si sentiva lo stomaco in subbuglio.
“Per l’occasione vi ho fatto preparare un menù di tipica cucina giapponese.”, disse Nagomi ai suoi genitori, sempre con quel sorriso idiota sulla faccia. I due signori sembrarono apprezzare molto l’iniziativa del loro amato figlio e ringraziarono vivamente il cameriere quando furono serviti a loro volta.
Mac osservava il pesce tagliuzzato in forme romboidali, disposto su formelle di riso. C’erano anche cubetti di riso, qualcosa di fritto, involtini sicuramente di alga… insomma, se la sfiga la voleva colpire, doveva farlo fino in fondo. E se il pesce le faceva sempre venire il voltastomaco… figuriamoci la cucina giapponese, che nemmeno lo cucinava…
“Ah… grazie per il pensiero Nagomi…”, fece Mac, lievemente sarcastica prendendo la sua forchetta.
“No no, devi usare le bacchette.”, le disse lui.
Solo allora Mac si accorse che il cameriere stava porgendo a tutti loro un paio di bacchette di legno, igienicamente involte in bustine di carta colorata. Le prese, ruppe il sigillo e le afferrò, provando a disporle tra le dita come aveva visto fare a volte nei film.
“Ecco, mettile così.”, fece lui, posizionandogliele nel modo giusto, “E poi prendi il sashimi…”
La punta delle bacchette, guidata dalle loro mani, afferrò il filettino di pesce e il sottostante grumetto di riso. Mac cercò di nascondere tutte le smorfie di disgusto che le venivano sulla faccia. Quel pesce, non cotto… sembrava quasi muoversi, poteva essere ancora vivo…
“E inzuppalo dentro alla salsa di soia.”, fece lui.
No… la soia no… la soia sapeva di… sapeva di soia!
“Ora mangialo.”, le disse, lasciandole la mano.
Mac, sotto lo sguardo pungente dei suoi genitori, che la stavano osservando quasi fosse un’aliena, non potè fare altro che mettersi il pesce in bocca.
“Buono eh?”, fece Nagomi, con entusiasmo.
Mac, mentre masticava cercando di non sentire il sapore del pesce e della soia, gli sorrise ed il ragazzo si rilassò.
Forse avrebbe vomitato… Inghiottì il primo boccone, provando a sorridere, e disse che era molto buono. Solo allora Nagomi ed i suoi smisero di fissarla si concentrarono sui loro piatti. Il silenzio cadde sul loro tavolo: mangiare senza parlare. Mac non sapeva da che parte rifarsi per finire tutto quel, che le apriva un ventaglio di odori molto piacevoli sotto il naso. Poteva mangiare i cubetti di riso, ma sapevano di pesce. Poteva mangiare quei pezzetti di pesce fritto. Appunto, pesce.
E lei odiava il pesce. Non era sufficentemente chiaro?
Guardava gli altri al suo tavolo, cercando di nascondere il suo imbarazzo. Era tutto un gioco di sguardi tra i due genitori, che già l’avevano classificata come la peggiore persona al mondo che potesse aver ammaliato le grazie di suo figlio.
Quando i piatti altrui furono completamente svuotati, il suo era stato solo leggermente intaccato. I due signori lo notarono e confabularono tra loro, facendola sentire piccola piccola. Velocemente, i camerieri presero i loro piatti.
“Volevamo sapere, Mackenzie, quali erano i tuoi titoli di studio.”, le chiese il signor Akito.
“Ve l’ho detto, è laureata in storia dell’arte.”, disse Nagomi, anticipando la risposta di Mac che sarebbe stata molto più deludente della sua bugia: diplomata con una pedata.
“E con quanto?”, chiese la signora.
“Col massimo dei voti.”, continuò lui, “Queste cose le sapete già, perchè gliele chiedete ancora?”
“Nagomi!”, esclamò suo padre, indignato dalla mancanza di rispetto del figlio.
“Scusami.”, fece lui, abbassando la testa pentito.
“Hai avuto altri fidanzati, Mackenzie?”, le chiese seria sua madre.
“Beh…”, fece Mac.
La porta del ristorante si aprì in quel momento, accompagnata dal tintinnio delle due piccole campanelline poste a contrasto con essa. Mac sgranò gli occhi. 
Si stupì di quanto poteva essere cinematografica la sua vita… Sembrava quasi che ogni momento fosse scandito da una sceneggiatura degna di uno scrittore di Hollywood. Tra i più scadenti, per giunta. Quale momento poteva essere migliore di quello per vedere Tom entrare nel ristorante? 
“Cosa c’è, Mac?”, le chiese Nagomi, vedendola bloccarsi.
“Oh niente…”, fece lei, e poi, senza riflettere, “No, signora, non ho avuto altri fidanzati prima di suo figlio.”
Avrebbe voluto nascondersi sotto il tavolo. Era con Gustav, stavano chiedendo se c’era un tavolo libero nel ristorante. Ma che palle, di tutti i ristoranti che c’erano nel villaggio, proprio quello, proprio quella sera… Non bastava che avessero scelto la medesima isola? Ora anche lo stesso ristorante?
“Ma Nagomi ci aveva detto che eri stata fidanzata con un altro ragazzo…”, le fece la signora.
“Sì… ma niente di importante.”, disse Mac, che si sentiva, letteralmente, il culo sulle spine.
Cercava di tenere lo sguardo basso, sul suo bicchiere, ma non potè evitare di alzarlo quando sentì i suoi occhi posarsi su di lei. Vi lesse il suo solito stupore, che poi diventò tristezza.
Rimasero incollati nei rispettivi sguardi  finchè il cameriere, dopo aver consultato il libro delle prenotazioni, si riavvicinò e fece loro gesto di seguirlo.
Mac sentì il suo piede venire colpito e si voltò verso Nagomi. Aveva capito, lo aveva visto anche lui.
“E cosa significa il tuo tatuaggio? Lo toglierai un giorno, vero?”, le disse la madre di Nagomi.
Ma Mac non la stava sentendo. Loro si stavano avvicinando. Li vide passare con la coda dell’occhio accanto a lei. E sedersi al tavolo alle loro spalle. Anche Nagomi si stava sentendo a disagio e cercava di non darlo troppo a vedere, per non far insospettire i suoi genitori.
“Mackenzie?”, la richiamò la signora.

 

Seduta, ad un tavolo.
Non era sola, era insieme ad un ragazzo asiatico.
Quello del bar, suppose, gliene aveva parlato Gustav.
… Quello con cui si era scontrato quello stesso pomeriggio!
Due signori, di una certa età, seduti davanti a loro due.
Serata in famiglia, presentazione ai genitori della fidanzata.
Interessante, si disse.
Prima di vederlo, stava sorridendo alla signora seduta davanti a lei.
Poi loro occhi si erano incrociati, rimanendo fissati l'uno contro l'altro.
“Sì, c’è un tavolo libero. Vi accompagno.”, disse loro il cameriere, distogliendolo.
Nel raggiungere il tavolo, passarono accanto al loro. Lo sguardo di Mac era basso, fisso sul suo bicchiere. Anche Gustav la vide e lanciò una rapida occhiata al suo amico.
“Ecco, a voi.”, disse il cameriere.
Dietro a loro, che fortuna.
Si sedette, davanti a lui Gustav, che dava le spalle al gruppo.
I capelli raccolti sulla testa.
Vide il suo tatuaggio, tra le scapole.
Il suo collo, la sua schiena.

 
Sentiva i suoi occhi puntati, fissi, sul collo. La sensazione più sgradevole che potesse sentire, soprattutto per il fatto che non riusciva a nascondere il suo disagio ai due signori davanti a lei.
“Mackenzie? Ti senti bene?”, le chiese la signora, guardandola strana.
“Sì, sì, sto bene. Scusatemi. Cosa mi aveva chiesto?”, fece lei, cercando di riprendersi.
“Ti avevo chiesto se avevi intenzione di cancellare quei tatuaggi.”
“Beh… no, non voglio cancellarli.”, rispose lei, con naturalezza.
“La fidanzata di mio figlio non deve avere tatuaggi.”, rispose Akito, secco e serio.
Mac si morse la lingua, stava per contrattaccare, ma ancora non era il momento. Di nuovo, fu servito loro del pesce, stavolta cotto al forno: ogni porzione fu accompagnata con delle verdure, cotte alla medesima maniera. Almeno quelle, pensò Mac, che si sentiva lo stomaco gorgogliare per la fame. Abbandonò le bacchette, vedendolo fare anche agli altri, prese la forchetta e infilzò la prima patata.
“Avete stabilito già una data per il matrimonio?”, sbottò la signora.
La forchetta le cadde dalla mano, rimbalzando sul piatto e finendo in terra, facendo tanto baccano da attirare l’attenzione di tutti, anche quelli della cucina. Nagomi, che stava bevendo, per poco non si strozzò. Per sopravvivere, fu costretto a spruzzare tutta l’acqua in faccia al padre che, indignato, prese ad insultarlo nella loro lingua.
Tutti gli altri clienti li stavano guardando, Mac sentì crescere in lei la voglia di diventare piccola piccola, invisibile… di sprofondare nelle viscere della terra, giù, fino al centro del pianeta, ed incontrare il diavolo, parlare del più e del meno con lui e gli altri compagni d’inferno, e poi tornarsene in superficie quando l’intera umanità era già ormai stata spazzata via da una guerra nucleare.
Per di più, Tom era alle sue spalle e stava sicuramente osservando tutta la scena.
Nagomi, pregando forse in tutti i modi giapponesi che conosceva, riuscì a calmare il padre, che riprese la sua maschera di ferro e si ricompose, esortato anche dalla moglie. Uno dei camerieri, appena fu notata la chiazza d’acqua in cui galleggiava il pesce del signore Akito, si preoccupò di portare via il piatto e servirgliene un’altra porzione.
“Se sarà necessario, li toglierò, signor Akito.”, disse Mac, appena ebbe recuperato il suo self control.
“Bene, molto bene. E lascerai il tuo lavoro?”, le domandò l’altro, ancora più severo.
“Se servirà a rendere felice il mio futuro marito… e voi….”, fece Mac, camuffando il suo disprezzo per l’uomo con un sorriso rispettoso.
“Molto bene.”, fece l’altro. Poi parlò con la moglie nella loro lingua e, alla fine del discorso, i due signori si alzarono.
“Dobbiamo parlare di alcune cose e domani mattina il nostro volo ci costringerà ad alzarci molto presto. Quindi ci ritireremo, se a voi non dispiace.”, disse il signor Akito.
“Oh no, fate pure.”, risposero contemporaneamente i due falsi fidanzatini.
Dopo un frettoloso saluto, i due signori si alzarono e lasciarono il ristorante. Appena la porta si chiuse alle loro spalle, Mac sospirò di sollievo.
“Gesù…”, disse a Nagomi, “Meno male che i tuoi genitori erano all’antica.”
“Non pensavo fossero così… preistorici.”, fece il ragazzo, desolato, “Adesso capisci quando ti dicevo che sto meglio se non li vedo?”
“Beh… ti capisco, anche se continuo a pensare che sia patetico.”
“Patetico?”, fece l’altro.
“Sì, lo è, credimi. Perdere il rapporto con i propri figli per via di stupide convinzioni.”, fece Mac, ridendo.
“Già… siamo una delle nazioni più tecnologicamente avanzate del mondo. Ma la tradizione è la tradizione. Fortunatamente, non tutti i giapponesi sono come loro due. Sfortunatamente, sono i miei genitori.”
“Tua moglie sarà fatta santa se riuscirà a sopportarli senza farsi venire un esaurimento nervoso!”, fece Mac, che oramai aveva preso la situazione dal suo lato comico, per non vedere il suo amico rattristarsi.
“E chi ha intenzione di sposarsi?”, rispose l’altro, ridendo a sua volta.
“Bravo, hai detto bene.”
“E poi mi dispiace per…. Insomma.”, disse Nagomi, dopo qualche secondo di silenzio, ammiccando con molta discrezione.
“Tranquillo.”, disse Mac.
“Scusami. Spero di non aver rovinato niente.”, disse l’altro.
“No, puoi ritirare le tue scuse… ed io spero di non aver causato danni familiari.”
“Oh no!”, fece l’altro, sorridendo come sempre, “Tanto domani mattina se ne tornano a casa, chi li rivede? Meglio così, mi ripudiano, mi diseredano e non si faranno più vedere.”
Nagomi le aveva raccontato di quanto fossero stati impossibili i suoi genitori. La sua infanzia non era stata certo la più felice del mondo, aveva molti rancori verso di loro.
“Dai, non dire così, sono sempre i tuoi genitori.”, fece lei.
“In un modo o nell’altro.”
“Ordiniamo due bottiglie di vino e andiamo a proseguire la serata in spiaggia?”, propose Mac.
“Sai, a volte mi stupisco di come sai leggermi nella mente!”
“Lo so.”, disse Mac ridendo, “Ho questo particolare potere.” 

 
Parlavano francese, la lingua che più si usava all’interno del villaggio. Lui non lo capiva, non ne sapeva una parola, e non riusciva a comprenderli. Era probabile che i due signori asiatici, di sicuro genitori del ragazzo, fossero venuti per conoscerla, per fare la classica cena in famiglia. Cavolo, pensò, dovevano fare sul serio…
Quando stava insieme a Mac, non aveva mai messo piede a casa dei suoi.. Il motivo? Una loro fotografia: suo padre era alto come una sequoia gigante, aveva due spalle che sembravano i fianchi di una montagna, e una barba bianca che gli toccava il petto. Gli ricordava quel tale Karl Marx che aveva sul vecchio libro di storia, e sulla cui testa aveva disegnato un bel paio di corna, con l’aggiunta di baffetti arricciati e linguetta sporgente dalla bocca. Sua madre, invece, era una signora minuta, che aveva gli stessi occhi e lo stesso sorriso di Mac.
“Questo è mio padre.”, gli aveva detto lei, mettendogliela sotto il naso, “Si chiama Otto. E l’altra è mia madre, Lavinia.”
“Tuo padre? Sembra l’Everest… mi fa paura.”, le aveva detto, prendendola per osservarla meglio. Era vero: aveva un’espressione così seria e fiera che incuteva timore.
“Sì, è da lui che ho preso il mio brutto carattere… fortunatamente il resto è di mia madre.”, aveva detto lei, ridendo. “Ma è il classico gigante buono.”
“Di quelli che si mangiano i Tom Kaulitz a colazione….”, fece, restituendogliela.
“No, ha la digestione delicata, gli rimarresti sullo stomaco.”, rispose lei, ironizzando.
“Fammi capire, questa fotografia sta a significare che è l’unico modo in cui li vedrò?”, chiese lui, tirando un sospiro di sollievo.
“Sì, più o meno. Già dopo la tua cazzata,”, disse lei, facendo le virgolette con le dita, “hanno detto che faccio meglio a lasciarti prima di presentarmi alla loro porta insieme a te.”
La sua cazzata era l’eufemismo che stava ad indicare la serata dell’aftershow, dopo uno dei loro concerti.
“Meglio così…”
“Sai che purtroppo non gli stai simpatico.”
“Già. Non sembro il classico ragazzo della porta accanto.”, aveva detto lui.
“Chi se ne frega.”, aveva risposto lei, iniziando a baciarlo sul collo e… insomma, il resto era venuto da solo.
Al contrario, quando sua madre gli aveva chiesto se poteva conoscerla, poco dopo che si era trasferita da lui, aveva pensato subito di sì, perchè era certo che Mac le sarebbe piaciuta. Infatti fu proprio così: andarono a casa sua durante un pomeriggio e, davanti ad un caffè ed a qualche biscotto, gliela presentò. Quando se ne andarono, gli era parso che sua madre avesse i lucciconi agli occhi. Per la serie: c’era da festeggiare, Tom aveva smesso di fare l’ape impollinatrice.
Adesso Mac era lì, di fronte ai genitori di lui, e parlava con loro. Chiacchierava, sembrava sentirsi a suo agio.
“Tom… se vogliamo andarcene…”, gli sussurrò Gustav, appena si sedettero.
“E perchè?”, fece, “Io ho fame.”
Gustav lo scrutò per qualche secondo, poi si accontentò della risposta ed aprì il suo menù.
“Che cosa prendi?”, gli fece Gustav, sempre sottovoce.
“Guarda che puoi parlare normalmente…”, disse Tom, scocciato, “Non è che stiamo commettendo un reato…”
“Già.”, fece Gustav, rischiarandosi la voce, “Cosa prendi?”
“Boh…  ce l’hanno la pizza?”
“Siamo in un ristorante! La pizza non ce l’hanno! Se volevi la pizza andavamo da un’altra parte!”, gli fece notare Gustav, che per l’occasione si era messo in ghingheri, abbandonando le t-shirt al sapore di metal per mettersi in camicia e pantaloni di stoffa. Mancavano solo la giacca, la cravatta e pareva un pinguino. Anche lui aveva cercato di essere, come dire, un pochino meno Tom Kaulitz, lasciando perdere la tenuta vacanziera per indossare un paio di pantaloni della sua taglia ed una maglia nera, con qualche scritta qua e là, che era solo leggermente più grande di lui. Ovviamente, per sottolineare che c’era sempre lui sotto quei vestiti ‘normali’, la t shirt se ne stava infilata sotto la fibbia della cintura, che dava un tocco tamarro, come lo avrebbe definito suo fratello. Si poteva liberare del cappellino? Certo che no.
“Io penso che prenderò qualcosa di italiano.”, disse Tom, scrutando il menù. Ogni pagina era dedicata ad una nazione: c’era il menù francese, quello spagnolo, quello greco… e così, via, dodici pagine dedicate a dodici nazioni, con una selezione dei migliori piatti delle cucine nazionali. E siccome era un ristorante di classe, a fondo pagina c’era sempre indicato il vino o la bevanda giusta con quelle portate. Bastava dire al cameriere quale menù si preferiva.
“Sei come un’automobilina dell’autoscontro che si è inceppata nell’angolo.”, gli disse Gustav, “Ci sono menù di ogni tipo… e tu cadi sempre su quello italiano!”
“E che ci posso fare?”
"Puoi fare che scegli qualcos’altro!”
Il cameriere sbucò silenzioso al loro tavolo e chiese loro cosa volevano prendere, in un inglese con forte inflessione francese.
“Scelgo il menù spagnolo.”, disse Gustav, dopo un’attenta selezione.
“Ottima scelta.”, gli rispose di routine il cameriere ingessato, “E lei?”
“Quello italiano.”, disse Tom.
“Come sempre!”, concluse Gustav.
“Se mi piace, mi piace!”, protestò Tom.
Poi, mentre si battibeccavano come vecchie signore aristocratiche, sentirono un rumore sordo: Tom vide la forchetta di Mac cadere per terra e, quasi nello stesso istante, il ragazzo accanto a lei sputare l’acqua che aveva in bocca in faccia a suo padre. Anche Gustav, che si era voltato per il rumore, vide quella scena. Entrambi si portarono la mano alla bocca, per coprire la risata che era spuntata velocemente sulle loro facce.
La ‘fontana asiatica’ fu seguita da una specie di litigata in lingua nipponica: il signore, prima inflessibile e duro come la pietra, si scaldò ed iniziò a blaterare ad alta voce, attirando su di sé l’attenzione di tutti i clienti. I presenti al suo tavolo riuscirono a calmarlo ma, dopo poche parole, se ne andò, accompagnato dalla signora seduta al suo fianco, sua  moglie.
“Beh…”, fece Gustav, tornando a parlare sottovoce per non farsi sentire, “Che caratterino.”
“Già.”, disse Tom, ridendo sotto i baffi. Bene, pensò quasi con cattiveria, era contento che si fosse messa male, per i due fidanzatini.
Gelosia? No, non ne aveva motivo.
Invidia? No, per lo stesso motivo.
Giramento di palle? A mille.
A fanculo tutti i discorsi di Bill sul prendersi le proprie responsabilità, sull’affrontare la vita eccetera eccetera. A fanculo quello che si era imposto di fare, cioè rimanere distaccato dai fatti, e proseguire la vacanza. A fanculo il pensare di aver preso due strade diverse, sull’essere ormai due persone estranee ed indipendenti.
A fanculo tutto.
A parte i suoi sentimenti.
Non poteva negarlo ancora, né a se stesso, né a qualsiasi altra persona.
No Tom, si disse, era solo perchè la vedeva con un altro, solo perchè stava comprendendo veramente che oramai non c’era più niente da fare per Kaulitz e Rosenbaum. Oramai non lo erano più, per sempre.
Era per quello. Solo per quello. Se non l’avesse più incontrata per tutta la sua vita, non sarebbe successo. Non avrebbe capito che… insomma… l’amava ancora?
No!
No e no!
Lui non amava più quella ragazza che si metteva a fargli le boccacce quando si sentiva triste e stanco. Lui non amava più quella ragazza che lo faceva morire dal ridere ogni volta che si cimentava in qualche ricetta, impastando tutta la cucina, compreso il pavimento ed il tavolo. Lui non amava più quella ragazza che si addormentava davanti alla televisione, accoccolata accanto a lui, sotto il calduccio della coperta di pile.
No, lui non la amava più.
Basta, quella era la verità.
Vide che un cameriere si avvicinò al tavolo dei due ragazzi, si allontanò di nuovo e tornò con due bottiglie di vino per i due fidanzatini. Dopo qualche secondo, entrambi si alzarono e si allontanarono.
Se il suo cervello non fece cortocircuito in quel momento, fu perchè Gustav gli dette un calcio sotto il tavolo.
“Smetti di fissarla o si volterà e ti farà un cazziatone da fine secolo!”, gli disse.
Cavolo…
Non si era mai vestita così per lui. Non si era mai messo un abito del genere per lui. Ma per l’altro sì.
Bellissima. Non c’era nient’altro da aggiungere.
Né il rimprovero di Gustav, né l’odore accattivante del piatto di spaghetti, appena servitogli dal cameriere, furono sufficienti per fargli distogliere lo sguardo. Solo una nuova pedata, atterrata direttamente sul suo ginocchio, fu adeguata per quello scopo.

 
Chiamò il primo cameriere che passò vicino al suo tavolo e gli disse di portare loro due bottiglie di vino, uno rosso ed uno bianco, dei più economici che avevano. Era Nagomi a pagare di tasca sua e sicuramente quella cena a metà gli stava costando un capitale.
Dopo qualche minuto, con le bottiglie sotto braccio, uscirono fuori dal locale. Sulla soglia, non potè fare a meno di voltarsi, e di guardare verso la sua direzione.
Chino sul suo piatto di pasta.
Doveva essere molto buona.
Chiuse la porta, sentendo la tristezza che saliva.
No, non doveva continuare a farsi condizionare. Non poteva continuare ad essere ipocrita con se stessa. O pensava a tirare dritto sul suo binario, fregandosene di tutto il resto come aveva fatto fino a quella dannata eclissi, oppure frenava di colpo e faceva marcia indietro.
Ma quella marcia non esisteva sul pomello del suo cambio, quindi non poteva fare altro che rimanere nella direzione presa.
Mac, si diceva, il passato era il passato, anche se si ripresentava alla sua porta, bussando prepotentemente.
E quindi…
Quindi niente, era ora di farla finita.
Farla finita di pensare una cosa e provarne un’altra.
No, non lo amava più. Non poteva amare una persona che l’aveva presa in giro due volte. Non poteva amare una persona cieca, che non riusciva a distinguere la realtà dalla fantasia. Non poteva amare una persona che fosse Tom Kaulitz.
Quella era la verità.
Il resto non importava.
“Mac? Ti senti bene?”, le fece Nagomi, seduti sulla spiaggia. Erano arrivati da qualche minuto e lei sembrava del tutto immersa nei suoi pensieri.
“Oh, certo. Stavo solo pensando a quanto fossero scomodi questi sandali.”, rispose lei, togliendoseli.
“Permettimi di dire che stasera sei bellissima. Secondo me hai fatto il giusto effetto…”
“Giusto effetto?!? Sui tuoi? Non credo proprio, secondo me tua madre pensava che fossi una prostituta…”
“Non sui miei…”, gli fece lui, con sguardo malizioso.
“Stai zitto.”, disse Mac, dandogli una pacca sulla spalla.
“Fai come ti pare… ma non credo che sia rimasto indifferente.”
“Non mi sono vestita così per lanciare particolari messaggi. E' stata la sfiga a farci capitare entrambi nel solito ristorante, mica potevo saperlo. E anche se lo avessi saputo avrebbe avuto poca importanza. Tu mi hai chiesto di essere elegante e io l’ho fatto.”, disse Mac, “E basta con questo discorso.”
“Sta diventando scomodo.”, concluse l’altro.
“Bravo. Stappiamo queste bottiglie o no?”, fece Mac, togliendo il tappo su quella di vino bianco, “Voglio bere finchè tutto questo sembrerà un paradiso.”
“Non lo è?”, fece l’altro, guardando le stelle.
“A volte sì, a volte  no.”, fece Mac, prendendosi il primo sorso.
“Se continuiamo così diventeremo alcolizzati.”
“E sarebbe un problema?”
“Nient’affatto.”, sbottò Nagomi ridendo, e prendendole la bottiglia dalle mani.
Ci fu qualche attimo di silenzio, di riflessione. Ognuno se ne rimase zitto, guardandosi intorno. Altri ragazzi stavano popolando la spiaggia, ma quella sera non ci sarebbero state molte persone: in una delle discoteche avevano organizzato la serata del 'bicchiere gratis’, quindi in molti avevano iniziato a divertirsi lì a scrocco. Era stato acceso un solo falò e, per il momento, nessuna musica riempiva l’atmosfera.
“Sta arrivando Herwig.”, disse Nagomi, interrompendo il silenzio.
“Oh no…”, esclamò Nagomi.
“Stasera ti tocca amica.”, fece lui, allontanandosi con una delle due bottiglie di vino.
“Ti prego, Nagomi…”
“Ciao Mac!”, esclamò Herwig, a qualche passo da lei. Una mano sorreggeva una bottiglia di birra per il collo, l’altra se ne stava nella tasca dei suoi jeans.
“Hey!”, rispose Mac, con finta contentezza.
“Pensavo di trovarti in spiaggia, oggi, durante l’eclissi.”, le disse, “Ma non c’eri, non te la sarai mica persa?”
“Oh no… alla fine l’ho vista dalla scogliera…”
“Ah beh…”, fece lui, “Posso… sedermi?”
“Certo… mica è occupato!”, esclamò Mac, che avrebbe tanto voluto che tutta la spiaggia venisse affisso: 'Ingresso libero, tranne ad Herwig'.
“Ah! Vedo che non sei sola.”, le fece lui, indicando la bottiglia di vino che teneva tra le ginocchia.
“Oh no, ho sempre il mio amico Al Colico che mi fa compagnia.”, disse lei, facendolo ridere.
“Sai Mac,”, disse poi, “nonostante ogni volta tu mi dica sempre che sei in spiaggia, quando ti chiedo cosa fai la sera… non ti trovo mai. Può essere che mi eviti?”
Mac si trovò un po’ spiazzata da quella domanda. Era vero, in un modo o nell’altro, lei lo liquidava sempre con una frase buttata lì. Ma in fondo, anche se era sicura che ci volesse provare con lei, Herwig non aveva mai mosso un dito né una parola nei suoi confronti, quindi non si era mai meritato questo suo atteggiamento un po’ troppo scontroso. Era sempre stato gentile nei suoi confronti.
“Dai! Stavo scherzando!”, esclamò poi lui, vedendola in difficoltà, “Mica ti sei messa a pensare che io vengo ogni sera in spiaggia a controllare dove sei e cosa fai?”
“Ah…”, fece Mac, abbozzando un sorriso che stava a significare ‘allora che cavolo vuoi da me’.
“Non sono mica uno psicopatico!”, disse lui, sorseggiando la sua birra, “Sei qua sola?”
“A dire il vero sarei con Nagomi… chissà dove cavolo si è cacciato.”, disse lei, sperando di vederlo intorno a loro ma, evidentemente, si teneva lontano dalla portata del suo sguardo.
“Fammi capire una cosa... voi due state insieme?”, le chiese.
“Oh no, assolutamente no.”, disse Mac, scuotendo la testa con vigore, “Come ti salta in mente?”
“Beh, niente, era tanto per sapere.”, disse lui, abbandonando completamente il suo interesse per la questione.
“Ah…”, fece Mac, bevendo altro vino. Aveva bisogno di un po’ di stordimento. Non tanto per la compagnia di Herwig… ma per la serata in generale, che le pesava sulle spalle come un macigno.
“C’è qualcosa che non va, Mac?”, le chiese.
“Oh no… tranquillo, sono solo un po’ stanca.”, fece lei, abbozzando uno sbadiglio.
“Beh, devo dirtelo, mi sembri un po’ strana.”, le fece. 
“Mh… sai, non tutte le giornate vanno come vorrei.”, disse Mac, giocherellando con la bottiglia. 
“Eh, a chi lo dici. Spero di non essere troppo indiscreto a chiederti cosa ti sia successo.”, fece lui.
“No, tranquillo… E’ che non ho voglia di parlarne.”, rispose Mac, intristendosi. Nè con lui, che per di più era quasi un perfetto sconosciuto, nè con chiunque altro. Voleva solo starsene ad ingrigirsi.
“Beh, ti capisco. Non è che poi i nostri rapporti vadano molto oltre la questione lavoro...”, disse lui.
Mac sospirò... in fin dei conti, poteva anche dargliela vinta.

“Sai quando la vita ti riserva sorprese del tutto inaspettate che, da una parte, ti rendono felici, ma dall’altra, stravolgono completamente tutti i tuoi piani e ti incasinano talmente tanto che non puoi…”, prese a dire, stando sul vago.
“Fare a meno di starci male.”, concluse lui, interrompendola, “Sì, so perfettamente di cosa stai parlando.”
“Esattamente.”, disse Mac, “Pensi di essere al riparo da tutto e da tutti. Ma alla fine ti stai solo nascondendo da te stesso.”
“Puoi dirlo forte!”, esclamò l’altro, finendo di bere la sua birra, “Non è che mi presteresti il tuo vino? Mi hai fatto tornare in mente un paio di cose che voglio reprimere a colpi di alcol.”
“Certo, fai pure. Non funziona molto, ma per un po’ ti stordisce.”, fece lei, passandoglielo.
“I problemi galleggiano, non annegano.”, disse Herwig, dopo averne bevuto un po’, “Anche se non è saggio mescolare vino e birra, per adesso voglio stare bene.”
“Beh, scusa se ti ho fatto tornare in mentre brutte cose.”, disse Mac, sentendosi in colpa. Non tanto, solo un pochino. Gliene importava pochissimo di lui.
“Ci mancherebbe altro…”, rispose Herwig, “Non è colpa tua se il mio migliore amico si è sposato la mia fidanzata.”
Mac, istintivamente, si portò una mano davanti alla bocca, reprimendo in quel modo la sonora risata che gli era affiorata sul viso.
“Cosa? Io ti racconto la mia più grossa disgrazia e tu ridi?”, fece Herwig, senza però essere arrabbiato, bensì a sua volta divertito.
“Cazzo quanto è piccolo il mondo… anche a me è successa la stessa cosa, circa cinque anni fa. O quattro, non ricordo bene.”, disse Mac, “Solo che ero io quella che si stava per sposare… e che è stata tradita.”
Avrebbe tanto voluto tenersi per sé quel particolare, ma era stato l'alcol a farglielo dire.
“No, non ci credo… tu stavi per sposarti?”, fece l’altro, sorpreso. Mac annuì con la testa, mentre prendeva l’ultimo sorso di vino. 
“Wow, che rivelazione… beh, è per questo che sono venuto qua, in culo al mondo, per scappare un po’ da tutto e tutti. Anche tu sei qua per lo stesso motivo?”
“No, solo perchè mi pagavano bene. La mia questione l’ho risolta senza dover fuggire.”, rispose Mac. Se quello fosse stato un gioco a premi, avrebbe perso il montepremi finale sbagliando l’ultima risposta. Però avrebbe vinto al concorso sulla più bella menzogna del mondo.
“Hai fatto bene… sai, non serve fuggire. Qua, nonostante il sole e la barriera corallina, siamo infestati dai soliti fantasmi.”, fece Herwig, esprimendosi con una perla da vecchio saggio della montagna.
“Già…”, disse Mac, con un tono che sapeva di estrema consapevolezza.
“Ma oramai siamo su questa isola. Siamo in ballo e balliamo. Quando torneremo a casa sistemeremo tutto, vero Mac?”
“Sì… penso che sarà proprio così.”, rispose lei, quasi di controvoglia.
Qualche secondo di silenzio: entrambi avevano bisogno di riflettere sulle parole dette.
“Mac… Mac… ma che nome è Mac?”, disse lui ridendo, interrompendo il momento.
“Mac è il diminuitivo di Mackenzie. Era il nome di una cara amica di mia madre.”, gli spiegò lei.
“Sai Mackenzie,”, fece poi lui, “Mi piacerebbe conoscere tua madre.”
“E perchè?”, domandò Mac, ridendo sorpresa, anche se poteva immaginare benissimo la risposta. Gli uomini erano tutti diabolicamente uguali.
“Perchè ha messo al mondo davvero una bella ragazza. E oltretutto simpatica. Sei la ragazza che tutte le madri vorrebbero a fiancho dei loro figli”, disse lui, guardandola.
“Beh… grazie per il complimento.”, fece Mac, arrossendo. Forse era il vino, ma quel complimento le stava facendo piacere. Era tanto tempo che non ne riceveva. Però doveva ammettere che il suo sesto senso segnava semaforo rosso: Herwig pareva un bravo ragazzo, parlava e agita da tale, ma aveva quell’alone di viscidume che non le piaceva. Non sapeva definirlo con altre parole, ma le pareva uno di quei classici tipi che, dopo una conquista, andavano a vantarsi ai quattro venti. Doveva essere sicuramente uno che pensava di sapere cosa alle ragazze piaceva sentirsi dire... ed aveva la netta sensazione che lo avesse fatto anche con lei, in quel momento.
Uno schiamazzio generale alle loro spalle richiamò le loro attenzioni: erano arrivati dei ragazzi, accompagnati da un grande stereo, di quelli che andavano di moda moltissimi anni addietro. Lo accesero e dalle casse uscirono delle note di musica poco gradevole, trasformando la spiaggia silenziosa in una discoteca all’aperto.
In molti si spostarono altrove, disgustati, come fecero anche Mac e Herwig e, dopo pochi minuti, un altro falò venne acceso.

 



E rieccoci qua! Il nuovo capitolo!!! Buona domenica a tutte! Prima del Natale vi lascio con questo capitolo... tornerò a postare dopo le feste, cioè dopo il 27 e spero di ritrovarvi tutte! XD 

BUON NATALE A TUTTE QUANTE!!!!!
Un bacio ed un abbraccio

RubyChubb

 

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Capitolo 15
*** Nur Reden ***


15. NUR REDEN

 
Per tutta la cena fu tremendamente silenzioso. Rispose solo a monosillabi o con frasi lunghe poco più di dieci parole. Non aveva voglia di parlare, di pensare, di mangiare, di sentire… niente, voleva solo incazzarsi con questa fottuta impossibile vita. Sicuramente in tour non avrebbe avuto nemmeno il tempo per respirare, quindi era proprio contento di poter affogare nel lavoro, una volta tornato a casa.
“Ehm… cosa… cosa facciamo dopo?”, gli chiese Gustav, mentre intaccava con il cucchiaino la sua pallina di gelato al limone. Tom aveva rifiutato il suo, non aveva più fame, ed aspettava solo che l’altro lo finisse.
“Non lo so. Io me ne vado in spiaggia a rilassarmi un po’.”, disse Tom, con la solita voce piatta, quasi scocciata di dover uscire dalla bocca.
“Non credo che sia una buona idea.”, gli fece il suo amico.
“Lo è...”, disse Tom, risoluto.
“Se lo dici tu. Ho sentito dire che in una delle discoteche fanno…”
“Non me ne frega nulla se ci sarà anche Mac, in spiaggia.”, lo interruppe Tom, “Avevo promesso a Candice che ci saremmo incontrati lì, è per questo che ci vado.”
“Sei tu il padrone della tua vita.”, gli disse Gustav, lasciando che fosse lui a risolvere i suoi problemi, senza dar fuoco alla miccia dell’imminente litigata, “Rilassati anche per me. Mi sa che andrò a letto, non mi sento tanto in forma.”
“Ok…”, fece Tom, sistemandosi il suo cappellino, “Allora ci vediamo direttamente domani.”
“Te ne vai di già?”, gli chiese Gustav, vedendo che si stava alzando.
“Sì… sono già in ritardo, dovevamo vederci un dieci minuti fa.”, fece lui.
In un attimo fu fuori dal ristorante, alle scalette che portavano alla spiaggia, dove aveva fissato con Candice. Lei era lì, un po’ scocciata, che passeggiava nervosamente a destra ed a sinistra. Appena lo vide sbuffò ed andò verso di lui.
“Stavo quasi per andarmene!”, gli disse, arrabbiata.
Gli inglesi, pensò Tom, così dannatamente puntuali…
“Scusami.”, le disse, “Ma ero a cena con il mio amico e non potevo alzarmi…”
“Potevi avvertirmi!”, protestò lei.
Dato che, se non aveva voglia di parlare, non aveva nemmeno la minima intenzione di litigare, la zittì con un bacio.
“Beh… così va meglio.”, disse lei, sorridendogli.
Lo prese per mano e scesero per le scalette. Voleva anche zittire tutti i pensieri che gli vorticavano in testa e non trovava migliore medicina che non fosse una bella scopata. Lei gli aveva fatto capire che… insomma, quella poteva essere la sera buona per realizzare il secondo scopo di quella vacanza, scopare, dato che il primo, divertirsi, se n’era andato a puttane. Candice non era il suo tipo ideale, ma aveva un bel corpo, una bella attrezzatura. 
Una che poteva bastare per poco.
Al primo falò, davanti a loro, c’era musica house e i vacanzieri sembravano cimentarsi in un sabba, ballando intorno al fuoco.
“Vogliamo rimanere qui per un po’?”, gli disse Candice, abbracciandolo lungo i fianchi.
“No, non mi piace questa musica. Andiamo all’altro.”, disse Tom. 
Gli occhi roteavano a destra ed a sinistra, cadevano poche volte su di lei, che invece se lo stava divorando.
Avevano preso due strade diverse?
Lei stava con un altro?
Allora anche lui stava con un’altra!
Anche lui aveva il sacrosanto diritto di vivere la sua vita, di fronte a tutti, senza nascondersi davanti a nessuno… era il lato sinistro del suo cuore a dirgli queste cose; era quello cattivo, quello egoista, quello prepotente, quello malizioso, quello arrogante.
Poi una vocina dentro di lui contestò l’altra: gli ripeteva che tutto questo era già successo, tutto questo non era una novità, che quella situazione patetica l’aveva già vissuta… era il lato destro del suo cuore, quello che non aveva mai fatto pace con il lato sinistro, e che adesso si stava ribellando come non lo faceva più da diverso tempo e gli stava imponendo di fermarsi, di pensare e di riflettere bene su quello che stava per fare.
Tutto quello era già successo il Natale in cui si erano baciati per la prima volta, due anni prima. Lei era con un altro, o almeno, fingeva di stare con un altro. Lui era con un’altra, con la quale non stava insieme, ma che si scopava volentieri.
Tutto stava per ricapitare. Lui con un'altra, lei con un altro.
Loro due, insieme nel solito luogo.
Divisi dalle loro scelte di vita.
Messi l’uno di fronte all’altro, a confrontarsi ed a studiarsi.
La situazione era la stessa.
Ma non lo erano più Tom e Mac.
E allora a chi dare retta?
Al suo lato sinistro, che gli imponeva di continuare verso il secondo falò perchè era sicuro che Mac poteva essere lì?
O al suo lato destro, che voleva che lui riflettesse, prima di fare qualsiasi cosa, ma soprattutto voleva che si fermasse?
Si ricordò dell’ultima volta che aveva ascoltato il lato sinistro, in quel locale, dopo gli Emas. I risultati erano ben visibili davanti ai suoi occhi pure in quel momento.
“Beh… a me non disgarba.”, disse lei, “E poi sembra esserci più divertimento qua. Rimaniamo?”
“Sì, hai ragione. Rimaniamo qua.”, disse Tom, andando a sedersi il più vicino possibile al bagnasciuga.

  
“Fa quasi freddo.”, disse Mac, che si scaldava le mani al fuoco appena nato ma già alto. Quel vestito che aveva indosso era talmente fine che il calore naturale dell’aria non le bastava per stare bene. Le venivano continuamente i brividi.
“Mi dispiace, non ho niente da poterti dare.”, disse Herwig.
“Oh no, non dispiacerti, di solito si sta benissimo, sono io che stasera ho più freddo del solito. Vado in casa a prendermi qualcosa.”, gli disse Mac.
“Se vuoi posso andare nel mio appartamento, così ti risparmi tutto il tragitto.”
“No no, faccio io, così magari mi metto anche più comoda e non sporco questo vestito.”, fece lei, inviandosi nella direzione delle scalette.
 A metà strada, trovo Nagomi.
Se ne stava disteso sulla sabbia, gambe e braccia aperte, con lo sguardo ebete verso il cielo.
“Brutto deficiente!”, gli fece, accucciandosi e dandogli uno schiaffo leggero sul viso, “Ma che ti è saltato in mente? Cosa fai qui?”
“Eh?”, fece lui. Pareva in estasi mistica.
“Ma ti sembra questo il modo?”, esclamò Mac, prendendogli la bottiglia di vino, ormai secca e vuota, che se ne stava in piedi accanto alla sua testa. Poi si accorse dei risolini che sentiva nelle vicinanze. Alzò lo sguardo e vide che quel gruppetto di deficienti spagnoli si stavano sganasciando dalle risate, guardandoli.
“Non ti sembra… che le stelle… abbiano un colore diverso… stanotte?”, disse Nagomi, “Sembrano… verdi, anzi rosse…”
“Oh mio Dio!”, fece Mac, realizzando, “Quegli stronzi ti hanno dato un acido!”
Poi si mise la mano davanti alla bocca. Mai dire a qualcuno che era stato inconsapevolmente drogato che cosa gli avevano rifilato, o gli sarebbe preso il panico. Lo aveva sentito dire in un film ma non sapeva se era vero. Lei, al massimo, poteva accettare una canna, niente di più e, soprattutto, niente di sintetico.
“Cosa? Cos’è un acido?”, fece Nagomi, oscurandosi improvvisamente.
“Io non l’ho detta quella parola.”, disse Mac.
“Sì… l’hai detta come se avessi avuto un megafono davanti alla bocca… Acido? Sono sotto l’effetto di un acido?”, diceva Nagomi, mentre si metteva seduto.
“No, non lo sei. Adesso ti calmi, ti rilassi, cerco dell’acqua e ci facciamo passare questa brutta sbornia.”, gli fece lei, provando a farlo distendere.
“Mi hanno drogato?!?”, esclamò Nagomi, liberandosi della sua presa e balzando in piedi.
Ecco, aveva la riprova che in quel film avevano avuto ragione.
“Oddio Mac! Le mie mani sono viola!”, gridò Nagomi, nel panico, “Ed il mare è rosa! E sta cercando di mangiarmi! Vuole mangiarmi!”
“Cazzo!”, disse Mac, mettendosi le mani nei capelli.
E adesso cosa c’era da fare?
Nagomi, in preda al terrore, si mise a correre e a gridare, attirando l’attenzione di tutta la spiaggia. Mac non potè fare altro che stargli dietro, cercando di afferrarlo quando gli si avvicinava. Mentre gli spagnoli se la ridevano come matti, gli altri ragazzi presenti sulla spiaggia le andarono in soccorso, per cercare di capire cosa avesse avuto quell’indemoniato.
“Ma cosa gli è preso!”, le fece una ragazza, in prefetto francese.
“Degli idioti lo hanno drogato di nascosto. Bisognerebbe immobilizzarlo e portarlo in infermeria…”
Appena disse quelle parole, la ragazza chiamò un paio di suoi amici che, nel giro di qualche secondo, furono addosso a Nagomi e lo bloccarono. Lo presero di peso e lo portarono via. 
 

Distesi, tra il fuoco e l’acqua, si baciavano e si accarezzavano la pelle. Era inutile dire che non c’erano state molte parole prima che le loro labbra, letteralmente, si saldassero insieme. Candice, anche se era una bella ragazza, era un po’ troppo petulante per i gusti di Tom, era una che chiacchierava troppo. Piuttosto che stare a sentire tutti i suoi discorsi, come aveva fatto nelle sere precedenti, avrebbe preferito buttarsi nel fuoco del falò.
Baciava molto bene, doveva dirlo, ed aveva un tocco fine, leggero. Lui, invece, era un po’ più prepotente. Insomma, per lui era l’ora di farla finita con i bacini dei ragazzini.
“Ci spostiamo più in là? Un po’ più nascosti?”, le disse.
“Tra un po’.”, fece lei, riavvicinando a se la sua bocca.
Che palle… esclamò dentro di sé Tom. Aveva sbagliato sul suo conto, pensava fosse una più…
Qualcuno prese a gridare, nelle loro vicinanze. Gli venne naturale di separarsi da lei per vedere cosa stava succedendo, non gli era parso un grido tanto divertito.
“Dai… cosa fai…”, fece lei, riprendendolo.
“Sembrava qualcuno che stava male.”, disse lui, difendendosi.
Poi di nuovo le grida ripresero. Erano urli di terrore, non era uno che voleva spaventare gli altri per divertirsi. Si liberò della ragazza e si mise ad osservare il ragazzo che scorrazzava, a metà strada tra il loro falò e l’altro.
Strizzò gli occhi.
Era quell’asiatico che stava con Mac, era proprio lui.
Ma che gli era preso? Era impazzito?
Non potè nascondere una certa soddisfazione, che però sparì in un colpo quando vide Mac che cercava di fermarlo e di bloccarlo. Non ci riusciva, le vennero in soccorso alcuni ragazzi che si erano accorti della gravità della situazione. Seguì la scena da lontano, come uno spettatore esterno: i ragazzi presero Nagomi e lo sollevarono di peso, portandolo via dalla spiaggia. Passarono al di là del falò, comunque troppo lontani perchè si accorgessero di lui, e presero le scalette.
“Che cosa succede Tom?”, gli chiese Candice, che se n’era rimasta distesa sulla sabbia, senza muoversi di un capello.
“Non saprei dirtelo.”, rispose lui, tornando su di lei.
“Andiamo da un’altra parte.”, fece poi lei, sorridendogli con complicità.
Era ora… pensò Tom.
Si alzarono e se ne andarono nella bassa macchia che nascondeva il cemento delle fondamenta rialzate del villaggio… e molte altre cose.

 

Nagomi fu addormentato da una buona dose di sedativo naturale. Per evitare di essere presi a pedate, uno dei tre ragazzi che lo immobilizzavano gli dette una botta secca sul collo, facendolo svenire. Lo portarono in infermeria, dove subito gli infermieri del turno notturno si occuparono di lui.
“Che cos’ha?”, chiesero.
“Lo hanno drogato di nascosto.”, rispose Mac, avvicinandosi all’amico disteso sul letto.
“Chi è stato? Loro?”, chiese uno dei due uomini, indicando i tre ragazzi che lo aveva trasportato dentro, mentre l’altro si occupava di prendere il necessario da degli scaffali chiusi.
“No, loro mi hanno aiutato a portarlo qui.”
“Va bene… è svenuto da solo?”
“No ci ho pensato io.”, disse uno dei tre gentili ragazzi francesi.
“Ah bene… da quanto è così?”
“Beh, non glielo so dire di preciso perchè l’ho lasciato solo circa venti minuti fa.”, rispose Mac, calcolando il tempo in cui era rimasta da sola con Herwig.
“Quindi più o meno da un quarto d’ora.”, concluse da solo l’infermiere, “E cosa gli hanno dato?”
“Non lo so, penso qualcosa sciolto nell’acqua…”
“Va bene.”, rispose l’infermiere, asettico.
“E tra quanto si riprenderà?”, domandò Mac, molto preoccupata.
“Beh, penso tra un paio di ore o tre, non lo sappiamo, dipende da cosa ha ingerito e dalla quantità.”, rispose l’altro infermiere, “Potete anche andare, non importa che rimaniate qua.”
“Ma io posso restare?”, chiese Mac.
“Meglio che torni tra un paio di ore per vedere come vanno le cose.”
“Ok…”, fece lei, un po’ delusa.
Fuori dall’infermeria, salutò e ringraziò di cuore di tre ragazzi che l’avevano aiutata, promettendo loro che avrebbe offerto qualcosa da bere appena ce ne sarebbe stata l’occasione. Se ne andò nel suo appartamento, aveva proprio bisogno di togliersi quell’abito da dosso.
Stava quasi per buttarsi sul letto, ma si sentiva talmente tesa e nervosa che sapeva di non essere capace di addormentarsi. Per di più non aveva neanche un po’ di sonno. Era meglio tornarsene in spiaggia, a rilassars con l’acqua del mare. Prese la prima t-shirt che trovò nell’armadio, pantaloncini e, con le sigarette in tasca, se ne tornò mogia sulla spiaggia.
Doveva trovare anche un modo per nascondere ai genitori di Nagomi quello che era successo al loro figlio. Poteva dire che non era tornato nel suo appartamento perchè aveva dormito da lei, ma sicuramente sarebbe stato troppo sconveniente… Quindi doveva trovare uno dei loro colleghi che fingesse di averlo accolto per la notte, ma lo avrebbe fatto con calma, aveva tutta la notte davanti.
Con un  sigaretta  accesa tra le dita, se ne stava seduta sulla sabbia, con i piedi che affondavano nel breve tratto di spiaggia bagnata dalle lievi onde del mare. Sì, era veramente rilassante la combinazione tra acqua calda salata e nicotina.

 

Si rivestì, senza curarsi minimamente di lei. Era stato il sesso più insoddisfacente che aveva fatto negli ultimi sei mesi, cioè da quando la sua attività sessuale era ripresa. Beh, non era che il resto delle volte erano state proprio esaltanti, ma almeno si era divertito!
“Che fai?”, gli fece lei, “Non rimani nemmeno un po’ con me?”
“No… sono stanco, voglio andare a letto.”, le disse Tom.
“Possiamo anche continuare nella mia camera…”, gli fece lei, giocherellando con una ciocca di capelli.
“La proposta è allettante… ma meglio di no, grazie.”
Meglio chiudersi in bagno e fare da soli, che continuare a farlo con un pezzo di legno. Ma erano tutte così le inglesi? Sperava di no, altrimenti poveri gli inglesi! Per tutto il tempo gli sembrava di essere stato da solo, a scoparsi la sabbia. Le uniche cose che uscivano dalla sua bocca erano ‘fai piano sennò ci sentono’…
Era meglio scaricare la questione ed andarsene via.
“Beh… allora ci vediamo domani, magari riprendiamo il discorso.”, fece lei.
Ok.”, disse Tom, alzandosi e tornandosene in spiaggia.
Dopo un sesso così scadente, nemmeno una sigaretta poteva accontentarlo, ma se l’accese comunque. Si chiese che cosa potesse essere successo al fidanzatino di Mac: si guardò intorno, non sembrava ci fosse traccia di nessuno dei due. Se n’erano andati.
Si avvicinò al secondo falò, l’altro si stava spegnendo e non c’era più nessuno, tutta la gente si era radunata intorno a questo. Sentiva parlare francese, ancora inglese, spagnolo e, dall’altra parte del fuoco, tedesco.
C’erano un paio di ragazzi, che chiacchieravano tra loro, con un paio di bottiglie in mano. Magari poteva scambiare qualche parola con loro, visto che Gustav era beato nel suo letto e di tedeschi come loro ce n’erano veramente pochi. Si avvicinò con discrezione a loro e, facendo l’indifferente, allungò l’orecchio per ascoltare cosa si dicevano. Insomma, prese a farsi i cazzi loro. Si mise tra i due ed il fuoco, dando loro le spalle.
“No, non ci potrei venire, soffro di mal di mare.”, disse uno dei due, quello più basso e moro.
“Ti prendi qualcosa contro la nausea e vieni. Non ti immagini cosa c’è là sotto.”, disse l’altro, quello più alto e biondiccio.
“Posso vedermi un documentario.”, rispose l’altro.
“Ma la televisione non ti dà l’emozione che provi quando se laggiù, sott’acqua. La barriera corallina non è la stessa!”
“Sì, ma rimane sempre il fatto che appena salgo su una barca inizio a vomitare l’anima. No, grazie Herwig, sto bene sulla terra ferma.”
“E come hai fatto a venire su quest’isola? Ci sono venti minuti di traghetto dall’aeroporto a qui!”, disse l’altro, il tipo che evidentemente si chiamava Herwig.
“Infatti, non ti dico quanto sono stato male!”, fece l’altro, ridendo, “Però ancora non ho capito che ricerche fai.”
“Controllo lo stato di salute della barriera corallina. Prendo campioni da analizzare, faccio rilevazioni varie… insomma, cose così.”, rispose il ragazzo.
Tom aggrottò la fronte. Non gli aveva detto quello del  bar che Mac faceva quello stesso lavoro?
“Vai sott’acqua da solo?”
“No, sono insieme ad una ragazza. Lei fa l’operatrice, con la telecamera riprende ciò che le dico io.”, disse il ricercatore.
Ecco, la prova del nove. Mac lavorava con quel tipo.
Di nuovo, il lato destro del suo cuore gli diceva di allontanarsi, di andarsene, di non ascoltare. Ma il lato sinistro si era incuriosito.
“E com’è? Carina?”, gli fece l’altro, dandogli dei colpetti maliziosi con il gomito.
“Molto carina, ma è abbastanza scontrosa. Ogni volta che cerco di apporciarmi a lei quella diventa un riccio, tira fuori gli artigli!”
Tom rise sotto i baffi. Mac era sempre la solita.
“Ormai non so più da che parte prenderla.”, continuò il ragazzo, “Ho provato anche ad inventarmi la storiella patetica della mia fidanzata che si sposa con il mio migliore amico… Ma niente, non funziona nemmeno quella.”
E questo Herwig era il solito stronzo.
“Ci stai provando? Ma siete colleghi! E l’etica professionale va a puttane!”, fece l’altro, ridendo.
“Sì, è vero, ma più lei mi volta le spalle, più che me lo fa rizzare.”
Calmo, Tom, calmo… lui non aveva diritto di replica in quella conversazione. Doveva solo origliare, e basta.
“Quanto ti capisco.”, disse l’altro suo amico, “Più fanno le difficili, più ti fa voglia di scopartele. Mi piacerebbe conoscerla, se va male a te, potrei provarci io!”
“Beh, non so se è ancora da queste parti, al suo amico hanno rifilato qualcosa nel vino e l’hanno dovuto portare in infermeria.”, disse Herwig.
“Ah sì? Che sfigato!”, esclamò l’altro.
“Già… è proprio uno sfigato il suo amico.”
Amico? Ma non era il suo fidanzato?
Forse con la parola amico voleva intendere fidanzato. Ma allora se lui sapeva che Mac era fidanzata, perchè ci provava con lei? Beh, questo Herwig era uno stronzo, quindi poteva farlo senza rimorsi… anche lui lo aveva fatto a suo tempo.
Non ci stava capendo più niente.
“Ah! Eccola! Sta seduta la sul bagnasciuga!”, fece Herwig, “Vieni, te la presento, poi mi dici com’è!”
Tom allungò gli occhi oltre il fuoco. La riconobbe, seduta sulla sabbia, con i piedi bagnati dall’acqua del mare. Era un po’ distante da loro. Prima non l’aveva vista, forse era arrivata mentre lui si era messo ad ascoltare le conversazioni altrui. Si scostò dal fuoco, rimanendo comunque tra la gente. Non si poteva avvicinare oltre, lei lo avrebbe visto.

 

“Hey Mac!”, sentì dire dalla voce di Herwig, in avvicinamento.
Che palle… pensò, mentre si alzava. Voleva starsene per cazzi suoi e c’era sempre qualcuno a romperle le scatole. Lo vide accompagnato da un altro ragazzo, chissà cosa voleva.
“Hey… scusa per prima, ma Nagomi si è sentito male e ho dovuto portarlo in infermieria.”, gli disse. Non si sentiva tanto in colpa, ma lo fece per educazione.
“Non ti preoccupare, ho visto che stava abbastanza male… conosci questo ragazzo?”, le disse.
“No non lo conosco… sei qua in vacanza, vero?”, disse al suo amico.
“Sì, mi chiamo Frederick, sono venuto a trovare Herwig, siamo amici da diversi anni.”, le fece lui, porgendole la mano.
“Molto piacere, Mac… già Herwig ti ha detto che lavoriamo insieme, suppongo.”, gli disse lei, stringendogliela a sua volta.
“Sì, me lo ha detto prima.”, disse il ragazzo.
“Gia…”, feec Herwig.
Una conversazione destinata a morire sul nascere, pensò Mac, che era poco interessata sia ad Herwig che al suo amico.
“Senti ti va di venire a prendere una birra con noi?”, le propose Herwig.
“No, grazie, sto bene così. Tra poco vado a letto.”, disse Mac, negando il poco allettante invito.
“Ma la notte è ancora giovane!”, disse il suo amico.
“Non ho voglia, grazie lo stesso.”, ripetè Mac, cercando di essere più convincente.
“Ok, va bene, ci vediamo domani allora?”, disse Herwig, che sembrava aver capito come stavano le cose.
“Sì, ci vediamo domani.”
“Al porticciolo alle dieci in punto.”, disse lui, iniziando ad allontanarsi con il suo amico.
“Perfetto.”, disse Mac.
Cavolo, quanto erano insistenti quei due. Sospirò di rassegnazione, con Herwig doveva lavorarci per i prossimi tre mesi quindi faceva meglio a sopportarlo, altrimenti sarebbe stato un inferno. Gettò via la sigaretta ormai finita e se ne andò verso il secondo falò. L’altro ormai si stava spegnendo e tutta la gente si era radunata intorno all’altro.

 
Non poteva sentire bene cosa si dicevano, le loro voci erano oscurate dalle parole e dalle risa della gente intorno a lui. Non poteva avvicinarsi o sarebbe stato visto, era meglio rimanersene lì. I due ragazzi, dopo una breve chiacchierata con Mac, si allontanarono, andando verso le scalette, e lei, dopo aver fatto la sua classica faccia annoiata, con il naso arricciato, prese a venire verso la sua direzione.
I suoi piedi diventarono di marmo e si piantarono per terra, contro la sua volontà

 
Con le braccia conserte, si avvicinò al falò, in cerca di un po’ di calore. Quella notte sembrava essere davvero più fredda delle altre per lei, mentre per tutti gli altri era sicuramente calda e divertente. Nell’accostarsi, vide un ragazzo con la custodia di una chitarra appesa alle spalle. Era Fabian, il parigino fricchettone che lavorava nelle cucine del ristorante centrale. Stava chiacchierando con un paio di ragazze, sicuramente le stava intrattenendo con qualche storiella divertente. Appena la vide avvicinarsi le congedò  e si dedicò a lei.
“Hey, ho visto che Nagomi stava male. Cosa gli è successo?”, le chiese.
“Dei deficienti lo hanno drogato senza che lui se ne accorgesse… e quando lo ha capito ha dato di matto.”, disse Mac, scocciata per ciò che era successo.
“Cavolo… che stronzi. E sai chi sono questi idioti?”, fece lui.
“Sì, sono quei cinque spagnoli che hanno sfidato a dama alcolica mezza spiaggia. L’altra sera è toccato a noi.”
“Ah, ho capito.”, fece l’altro, “Dopodomani dovrebbero andarsene, meglio così.”
“Già… senti, mi faresti un grossissimo favore?”, gli domandò.
“Certo, se posso.”
“Visto che ci sono sfortunatamente i suoi genitori nel suo appartamento, non possiamo farlo tornare lì prima che abbia completamente smaltito la cosa. Se qualcuno te lo chiedesse, potresti dire che ha dormito tutta la notte da te?”, gli disse.
“Qualcuno tipo due signori asiatici?”, fece lui, sorridendo.
“Hai fatto centro!”, esclamò Mac.
“Aggiudicato, io e Nagomi stanotte ci siamo stretti in un caldo abbraccio omosessuale.”, disse lui, abbracciandosi e mandando bacini in aria.
“Sì… puoi anche abbassare il tono se parlerai con loro.”, disse Mac, che già si immaginava la reazione dei due signori nel sapere una cosa del genere, “Hai in programma di strimpellare per un po’?”
“Sì, stasera propongo il mio repertorio di canzoni struggenti e sentimentali... ed anche un po' esistenzialiste.”, fece lui, togliendosi la custodia dalle spalle ed iniziando ad aprirla.
“Vuoi farmi suicidare?”, fece Mac, ridendo.
“No, lo faccio per lavoro. Ho fatto un contratto con una casa di cura per tossicodipendenti. Hanno scoperto che il numero dei drogati aumenta esponenzialmente dopo una sessione musicale di due ore fatta solo canzoni per innamorati.”, fece l’altro, nel suo solito umorismo.
“Vai, allora ti lascio adempiere le tue questioni contrattuali. Io non ho voglia di farmi una pera per la depressione, quindi mi allontano un po’, che dici?”
“Perfetto! Ottima scelta.”, esclamò lui, estraendo la sua chitarra.
Il ragazzo si sedette a gambe incrociate e si riscaldò le dita con i primi accordi, che attirarono l’attenzione di tutta la gente circostante. Dopo qualche minuto, tutti erano seduti, di fronte a lui, che finì la sua breve jam session raccogliendo i primi applausi.
Lei si allontanò dalla musica: se iniziava a cantare canzoni strappalacrime, Fabian riusciva davvero a far piangere. Aveva una voce molto bassa, melodica e dolce che riempiva veramente l’anima. Suonava benissimo la sua chitarra, quasi pareva un incantatore davanti al suo serpente. Aveva del talento quel ragazzo, pensava Mac, un giorno o l’altro avrebbe sicuramente fatto un disco e sarebbe stato riconosciuto in poco tempo in tutto il mondo come uno dei migliori cantanti melorock del pianeta. Era veramente bravo.
Tornò a sedersi con i piedi sul bagnasciuga. Voleva fumarsi un’ultima sigaretta prima di andarsene a letto e concludere la serata nella più totale tristezza.
Brutta giornata. Pessima giornata.
Giornata da dimenticare.
La voce di Fabian, accompagnata dalle note che stava suonando, circondato dal più totale silenzio, arrivava fino a lei e le accarezzava dolcemente il cuore. Fissava quasi ipnotizzata il riflusso dell’acqua marina, che le bagnava i piedi, e la sabbia, che le solleticava sulla pelle, nel continuo andirivieni. In condizioni normali si sarebbe messa a piangere, silenziosamente, per scaricare via la tensione che si era accumulata in lei.
Ma quando mandò stancamente la testa all’indietro, comprese che non era per l’ennesima volta una condizione normale, la sua.
Tom se ne stava seduto dietro a lei, con discrezione.
“Hey…”, le fece, quasi con un sussurro.
“Hey… da quanto tempo stai lì?”, gli chiese, quasi sgarbatamente, come se le avesse rubato un momento di privacy su una spiaggia, totalmente libera e all’aperto, e non a lei riservata.
“Da un po’.”, rispose lui, “Posso parlarti? Solo cinque minuti.”
Mac ponderò sulla riposta da dare. Di getto, avrebbe detto no, che voleva essere lasciata in pace. Ma la Rose che latitava in lei, e che si era nascosta per troppo tempo nella polvere invisibile del suo armadio, le gridava dentro.
“Fa' lo stesso.”, fece Tom, alzandosi.
“Cinque minuti.”, disse Mac, appena lui mosse il primo piede.
Lui le si sedette accanto, non troppo vicino, né troppo lontano.
“Come va?”, le venne da chiedergli. Era l’unica cosa sensata che in quel momento aveva in mente.
“Tutto ok, me la cavo. Tu?”, chiese lui a sua volta.
“Abbastanza bene.”
“E’… proprio il paradiso qui.”, fece Tom.
“Sì.”, disse Mac.
“E pensare che tu hai sempre odiato la sabbia, il sale… il caldo.”, disse Tom.
“Già, è quasi impossibile da credere.”, disse Mac, ridendo solo un po’, “Ma qua sembra che non ci sia nient’altro che questo. E l’ho amato subito. Tu cosa racconti? Gustav mi ha detto che sta per uscire il vostro nuovo album.”

Ogni parola che usciva dalla bocca di lei pareva una lama tagliente, affilatissima. Non parlava con disprezzo, assolutamente, ma sentiva ancora la sua rabbia, mista a tantissima tristezza. La conosceva ancora bene, sapeva riconoscere gli stati d’animo celati nel tono della sua voce. Parlava schiettamente, secca, fissando il mare davanti a sé. Anche lui non le rivolgeva uno sguardo, non sarebbe stato capace di sostenerlo troppo a lungo contro il suo.
Situazione surreale. Parlare del più e del meno, dopo un anno e quattro mesi lontani, li aveva contati precisi, in una sera di marzo tropicale, in piena estate mentre su, al nord, ancora imperversavano gli ultimi sgoccioli dell’inverno.
“Beh, Gustav ti ha detto bene. Appena torniamo partiamo per  un tour promozionale. Abbiamo deciso di andarcene tutti in vacanza prima del lavoro, così torneremo rilassati.”, fece, sorridendo sull’ultima parola, ‘rilassati’. Quando mai poteva ancora rilassarsi, sapendo di lei nelle vicinanze.
Oramai aveva mandato a fanculo tutti i bei discorsi convincenti a cui si era aggrappato. Non gliene fregava più niente. Adesso lei era lì e voleva provare, ad ogni costo, a farle capire che lui non l’aveva mai dimenticata. Che in un modo o nell’altro era sempre rimasta dentro al suo cuore. Ma poteva farlo solo se lei glielo avrebbe permesso. Non aveva niente da perdere: se niente fosse andato nel modo giusto, lui avrebbe fatto le valige e se ne sarebbe andato. Lei avrebbe continuato la sua vita, lui avrebbe ripreso quella che aveva lasciato, e solo da quel momento in poi si sarebbe dovuto impegnare per dimenticarla davvero. Per sempre.
Dando retta al lato destro del suo cuore, si impose di calibrare ogni parola, ogni atteggiamento, ogni sguardo, ogni pensiero.
“Mi ha anche detto che Bill se n’è andato a Mosca… ma a fare cosa?”, gli chiese, ridendo.
“E’ in un centro termale. Quando torna sarà l’uomo di gomma, a parer suo, perchè ha detto che si vorrà far massaggiare fino a quello stadio dell’evoluzione umana.”, le rispose lui, con un po’ di senso dell’humor.
“Già….”, disse lei.
Qualche attimo di silenzio.
Silenzio pesante, viscoso, di quello che si appiccicava addosso e faceva sentire inadeguati e stupidi.
“Nagomi non è il mio fidanzato.”, disse Mac, secca.
“Come scusa?”, le fece. Nagomi non era il suo fidanzato. Aveva capito bene ma lo voleva sentir dire un'altra volta
“Il ragazzo del ristorante. Fingevamo di stare insieme davanti ai suoi, altrimenti lo avrebbero costretto a tornare a casa.”, disse Mac, lanciandogli un’occhiata in tralice, mentre gettava via la sigaretta, ancora a metà.
“Ah… capisco.”, disse Tom. Beh, quella sì che era una bella notizia.
Di nuovo silenzio. Nessuna parola. Niente.
“Sono passati i cinque minuti.”, disse Tom. Aveva percepito da subito il distacco ed il freddo del muro che Mac aveva eretto. Non aveva senso continuare oltre. Era illogico sperare di riuscire a stabilire un contatto subito. “Spero di incontrarti di nuovo, magari ti offrirò da bere.”
“Va bene.”, disse lei.
“Ci vediamo Mac.”, le disse, alzandosi.
“Ci vediamo Tom.”, rispose Mac.
Mosse qualche passo, poi una fitta allo stomaco gli impose di fermarsi. Si voltò di nuovo verso di lei.
“Hai sete per caso?”, le chiese. Solo un tentativo, avrebbe accettato qualsiasi risposta.
“Beh…”, fece Mac, “Solo un po’.”
“Ti porto… una birra?”, propose lui.
“Ok.”
Mentre camminava velocemente verso le scalette, per andare verso il bar, non riusciva a comprendere se sotto la maglietta aveva una sveglia, un detonatore, una rana che saltava… 
Basta Tom, si diceva, è solo una birra.
Mai dare niente per scontato con Mac, era il più grosso errore che poteva commettere.
Quasi strappò le due bottiglie di birra dalla mano del barista.

 
Calma Mac, calma. Dovevano solo parlare, nient’altro. I Tokio Hotel ci avevano fatto anche una canzone su questo, anche se poi il parlare si trasformava in tutt'altra cosa…
Rose non voleva fare nient’altro che parlare, solo quello, niente di più. Ma Mac si intrometteva sempre e con il suo gelo, con la sua freddezza, rendeva la situazione del tutto surreale. Scontro epocale tra Mac e Rose. Avrebbe vinto la prima, ne era sicura, ormai ci conviveva da più di un anno, mentre l’altra se ne sarebbe ribasta stata zitta e muta, senza mai fiatare se non per pochissimi istanti di debolezza.
Quindi non c’era scampo per Rose. 
Sì, ora si stavano per bere una birra insieme. Ma era solo una birra. Solo parlare. Nur reden. Era inutile che Rose si mettesse a pensare troppo sul dopo. Non c’era nessun dopo, o meglio, c’era quello che c’era in quel momento: solo due persone separate, con le loro vite separate.
“Tieni.”, le disse Tom, porgendole la sua bottiglia e sedendosi di nuovo vicino a lei. Non troppo, la solita vicinanza che ci poteva essere tra due amici non troppo amici.
“Aspetta un attimo.”, le fece poi, togliendo via il tappo che era rimasto sul collo della bottiglia.
Poi avvicinò anche la sua e le fecero schioccare insieme, prima di bere il primo sorso. Doveva andarci piano con quella birra: aveva cenato pochissimo e aveva già bevuto il vino, e ci doveva aggiungere anche il sonno che le stava venendo.
“Allora… mi spieghi cosa ti ha portato qua? Ai tropici?”, le chiese Tom.
“Beh, una serie di coincidenze. Una scuola che dava lezioni di sub a metà prezzo. Prendere il brevetto e due giorni dopo presentare domanda per un lavoro letto su internet. Un’azienda di ricerche cercava un subacqueo esperto in attrezzature elettroniche come camere e fotocamere. Mi hanno preso ed ora sono qui da tre mesi. E per i prossimi tre.”, disse Mac, riassumendo tutto brevemente.
“Interessante. Quindi hai abbandonato il lavoro che avevi su, in Germania.”, disse lui.
“No, non l’ho proprio abbandonato. L’ho solo accantonato. Continuo a fare fotografie come sempre, solo che non le vendo più ai giornali.”
“E le rivenderai quando tornerai in Germania?”, le chiese lui.
Eh, pensò Mac, bella domanda. Il punto focale non era il rivendere le fotografie. Era il tornare in Germania. Per il momento, non ne aveva la più pallida idea. Rimanere lì, al caldo per nove mesi l’anno, alla pioggia per i restanti tre, con il mare che sembrava dipinto e la sabbia così fine che pareva velluto… oppure tornarsene su, in Germania, la freddo invernale, al cielo grigio, al traffico delle città…
“Non lo so.”, rispose Mac.
“Beh, sicuramente saranno delle bellissime fotografie. Troverai…”
“Non so se tornerò.”, specificò Mac, interrompendolo.
“Ah…”, fece Tom, “Non avevo capito che ti riferivi a quello.”
“Mi sono abituata ad una vita poco complicata. Potrei vivere qua tutta la vita senza chiedere nient’altro in cambio. Il tempo scorre lentamente, non ci sono frenesie, non ci sono problemi. Tutto qua è semplice.”
“Superficiale.”, disse Tom.
Già, riflettè Mac, superficiale. Ma semplice. Senza complicazioni. Bevve un altro sorso di birra.
“Ognuno la vede come vuole.”, disse lei.
“Sì, certamente.”, rispose lui.
Mentre la birra le scorreva lentamente ed arrivava nello stomaco, Mac sentì la testa farsi prendere da un giramento. Le venne da toccarsi le tempie, come per cercare di fermare il vortice che la stava scombussolando. Poi sentì improvvisamente il sonno prendere il sopravvento su di lei.
“Ti senti bene?”, le chiese Tom, vedendola con la testa tra le mani.
“Sì… solo ho un po’ di mal di testa. Sarà meglio che vada a letto.”, disse Mac, riuscendo a stabilizzarsi.
Tom le prese la bottiglia di birra e la piantò nella sabbia, per evitare che le cadesse di mano e se la versasse addosso. Non stava affatto bene, la sua faccia era come di colpo sbiancata. Poi si voltò di nuovo verso di lei e la trovò stesa sulla sabbia. Pareva svenuta.
“Mac…”, le fece, provando a scuoterla, “Mac…”
Ma niente, solo un flebile parlottio. Doveva essersi addormentata di colpo, gli svenuti di solito non parlavano…
Cavolo, adesso cosa faceva? Non sapeva dove portarla, non gli aveva detto dove abitava. Poi riflettè sul da farsi: se lavorava anche all’interno del villaggio, sicuramente i suoi colleghi dovevano sapere dov’era il suo appartamento. La prese in braccio.
L’avrebbe portata anche per chilometri in quel modo, tanto era leggera… Lei gli mise la braccia intorno al collo. Se fosse stata capace di sapere in quale situazione si stava trovando, sarebbe saltata via come un grillo spaventato.
Andò verso il bar dove aveva preso le birre, solo qualche minuto prima, e chiese al barista dove abitava, fuori dal villaggio, e se c’erano macchine disponibili per portarcela.
“Oh no, lei abita qua dentro, nella zona dei dipendenti. L’appartamento è il numero ventidue.”, gli disse il barista e gli spiegò poi quali stradine doveva prendere.
Durante tutto il tragitto, Mac continuò a parlottare, incomprensibile. Pareva si mangiasse le parole.
Un anno e quattro mesi.
Lontanissimi l’uno dall’altra.
E adesso era tra le sue braccia.
Avrebbe voluto svegliarla, avrebbe voluto baciarla, accarezzarla. Ma lei era totalmente addormentata, incosciente.
Così vicina, così reale. Non sapeva dire quanto gli era mancata, non era capace di dimostrarlo in parole, non poteva farlo. Tutto sarebbe stato troppo riduttivo.
La loro storia non era stata come quella dei film, dove due perfetti sconosciuti si incontravano sotto la pioggia, si innamoravano davanti ad una cioccolata calda e si sposavano prima dei titoli di coda.
Tutt’altro.
Mac non era la solita ragazza.
Lui non era il solito ragazzo.
Lei era complicata, a modo suo.
Lui non aveva mai amato, non sapeva cosa voleva dire avere qualcuno accanto che lo ricambiava con la stessa preziosa moneta.
Due grandi e fondamentali variabili avevano scandito la loro storia: il tempo ed il caso.
Il tempo li separava, il caso li riuniva.
Anche quella volta?
Il tempo aveva fatto il suo corso.
Il caso sarebbe entrato di nuovo nel mezzo a riordinare le cose?

 


TITOLO: c’è bisogno che specifichi di chi sia la canzone? Ovvio che no. No scopo di lucro.

Beh, spero di farvi un "regalino" con questo capitolo, che è tutto dire!
Eccoci qua... E il Tommino nostrano si scopre. Totalmente cotto, scotto, arrosto, in umido, lesso, marinato e all'olio. Che ci può fare...
E Mac? Cosa penserà Mac???
Vedremo nel prossimo capitolo!

Com'è andato il vostro natale? Vi sentite in colpa per tutto quello che avete mangiato?.... io sì... sniff... XD spero in un buon ultimo dell'anno!
Il capitolo seguente arriverà verso il due, con l'anno nuovo, spero di non farvi un dispiacere! Quindi vi auguro subito:

FELICE ANNO NUOVO
CHE POSSA ESSERE SEMPRE MEGLIO DI QUELLO PASSATO
RubyChubb

 

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Capitolo 16
*** Till We Ain't Strangers Anymore ***


16.  TILL WE AIN’T STRANGERS ANYMORE

 

Lo aveva trovato, davanti a lui c’era la porta dell’appartamento ventidue. Ma la chiave? Con cosa poteva aprirla? Si avvicinò alla maniglia quel tanto che gli permetteva di poterla girare. E la porta si aprì, senza bisogno di nessuna chiave.
“Thi...”, disse Mac, smettendo di essere incomprensibile.
“No… non sono Thiago… sono Tom.”, le disse lui, sottovoce. Ancora i suoi occhi erano chiusi, che fosse diventata sonnambula? Poi si ricordò: aveva il brutto vizio di parlare quando era l’alcol ad addormentarla.
“Ah… Tom.”, fece lei. Pareva essere delusa.
“Sì… proprio io.”, le rispose, mandando lentamente la porta ad aprirsi con un piede. Cercò con gli occhi l’interruttore elettrico e lo trovò, accanto allo stipite. La luce illuminò un appartamento molto piccolo, fatto appositamente per una persona sola. Si apriva direttamente sulla camera da letto; solo altre due porte, quella del bagno e della cucina, l’una di fronte all’altra, ai lati dell’entrata.
“Mac.”, le fece, per provare a svegliarla.
Lei borbottò qualcosa e si mosse, stringendosi ancora di più al suo collo.
“Mac, devo metterti a letto, ma se non mi lasci…”, le disse.
Ma lei niente, solo altri parlottii confusi. Fu costretto a posarla sul materasso con ancora le sue braccia intorno al collo e, delicatamente, si liberò della sua decisa presa. La sua mano sinistra cadde sul letto, facendo un rumore strano, come di carta stropicciata, che attirò la sua attenzione. Le alzò delicatamente la mano, stava schiacciando un rettangolino bianco, il retro di una fotografia.
La voltò.
Rimase interdetto.
La solita fotografia che teneva nel suo portafoglio.
Era sul letto di Mac.
Entrambi... la solita fotografia.
Forse lei lo stava pensando ancora?
“Kaulitz.”, disse Mac. La sua faccia era coperta dalle sue treccine nere. Totalmente addormentata, ancora però parlava. Gli venne da sorridere. L'aveva chiamato Kaulitz.
Si sedette sul letto, accanto a lei, e le tolse con dolcezza i capelli dal viso.
“Dimmi Rose.”, le fece.
“Vaffanculo.”, disse.
Rimase interdetto un’altra volta.
“Vaffanculo? E perché?”, le chiese.
“Da Thiago.”, disse Mac. Si voltò sul fianco destro ed infilò una mano sotto il cuscino, mentre l’altra si avvicinò alla sua faccia, aperta contro la coperta. Era quello il suo modo di dormire.
Vaffanculo da parte di Thiago. Eh, c’era da aspettarselo, era quella l’unica parola che Thiago poteva dirgli. L’ultima volta che lo aveva visto, gli aveva scaricato addosso una serie infinita di parolacce, a difesa della sua carissima amica. Non c'erano dubbi che Mac lo avesse informato della sua presenza nel villaggio. Gli venne da sorridere di nuovo.
Non voleva andarsene da lì, per niente al mondo.
C’era qualcosa di male nello stendersi accanto a lei, solo per cinque minuti? Lei non se ne sarebbe accorta, dormiva così profondamente.
Per stare sicuro che non si sarebbe addormentato, creando sicuramente qualche problema al risveglio di entrambi, poteva tenere un po’ di tv accesa, a volume basso. Prese il telecomando che giaceva sul comodino e premette uno dei pulsanti numerati, puntandolo contro la tv. Questa rimase nera, spenta. Premette un altro pulsante ma niente.
Poi comprese: musica. Era il telecomando dello stereo, stava accanto alla televisione. Aveva preso a riprodurre il cd che c’era al suo interno e le ultime parole della canzone in programmazione avevano riempito flebilmente la stanza. Alzò il volume solo un po’, nell’attesa della canzone successiva, e si distese accanto a lei, spegnendo la luce e lasciando solo che il banco lunare delineasse in contorni del suo corpo disteso.

 It Might Be Hard To Be Lovers
But It's Harder To Be Friends
Baby Pull Down The Covers
It's Time You Let Me In
Maybe Light A Couple Candles
I'll Just Go Ahead And Lock The Doors
If You'll Just Talk To Me Baby
Till We Ain't Strangers Anymore.


Il suo respiro era lento e regolare, quasi impercettibile. Seguiva con attenzione ogni singolo tratto del suo viso. Niente era cambiato, era tutto uguale, a parte il colore dei suoi capelli. Neri. Il biondo la faceva apparire frizzante e vivace. Il nero la spegneva, la incupiva. Ma era sempre bellissima.

 Lay Your Head On My Pillow
I'll Sit Beside You On The Bed
Don't You Think It's Time To Say
Some things We Haven't Said
It Ain't To Late To Get Back To That Place
Back To The Way We Though It Was Before
Why Don't You Look At Me
Till We Ain't Strangers Anymore

Le parole della canzone, in inglese. Chi stava cantando? Dalla voce sembrava Bon Jovi. Da quando in qua a Mac piaceva Bon Jovi? Lei, la rockettara nata?
Ma sembravano descrivere perfettamente quell’istante, quel momento che sarebbe durato solo cinque minuti.
Quelle parole sembravano leggergli nella mente: sì, era tempo di dirsi alcune cose che ancora non si erano mai detti, per lui non era tardi per ritornare indietro, per tornare a quello che erano una volta. Questo era quello che avrebbe voluto tanto dirle, in quel momento, se lei non fosse stata incosciente, dormiente.

 Sometimes It's Hard To Love Me
Sometimes It's Hard To Love You Too
I Know It's Hard Believing
That Love Can Pull Us Through
It Will Be So Easy to Live Your Life
With One Foot Out The Door
Just Hold Me Baby Till We Ain't Strangers Anymore

Sì, era vero.
Non era stato facile amarlo. Atteggiamenti spesso troppo infantili e capricciosi.
Ma a volte non era stato facile nemmeno amare lei, che perdeva la pazienza troppo facilmente.
Restava comunque il fatto che si erano amati e niente poteva cancellarlo, niente. Nessuna parola, nessun litigio, nessuna incomprensione, nessun tradimento.
Quello sarebbe stata l’unica cosa che gli avrebbe permesso di andare avanti. La convinzione che si erano amati, anche se era finita per sempre.

 It's Hard To Find Forgiveness
When We Just Turn Out The Lights
It's hard to say you're sorry
When we can't tell wrong from right
It would be so easy to spend your
whole damn life just keeping score 

Cazzo quanto era difficile il perdono. Era impossibile dirsi scusa, chiedersi perdono. Troppe cose si erano interposte tra loro, troppe. Poteva anche implorarla in ginocchio, mandarle fiori, riempirla di regali… ma lei lo avrebbe perdonato?
Già gli aveva detto di no, che era troppo tardi. E che non era sicura di voler tornare in Germania.
Avrebbe avuto senso ritentare? Avrebbe detto di sì?
Non ne era certo e questo lo faceva stare malissimo.

 So let's get down to it baby
There ain't no need to lie
Tell me who you think you see
When you look into my eyes
Let's put our two hearts back together
And we'll leave the broken pieces on the floor
 

L’aveva guardata per tutta la durata della canzone. I suoi occhi erano scorsi su ogni singolo tratto della sua pelle, del suo viso.
Adesso che la canzone era finita, non poteva fare altro che andarsene, lasciarla dormire da sola, in pace. Ma voleva comunque lasciarle un segno, che le potesse far ricordare di quel breve momento insieme.
Non aveva più senso rimanere lì, sulla stessa isola, guardarsi e parlarsi trattenendo il fiato, trattenendo le parole, trattenendo i sentimenti.
I suoi sentimenti.
Sicuramente Mac non aveva nient’altro da dirgli che non fosse il definitivo addio.
Quella era la decisione giusta da prendere.
Aveva avuto troppi ripensamenti nel giro di pochissime ore, dal momento in cui l’aveva vista ad adesso. Fare finta di niente, fregarsene, negare tutto. Poi ricercare il contatto, capire qual’era la verità sui suoi sentimenti…
E comprendere che non c’erano possibilità per un nuovo futuro insieme. Lui avrebbe voluto, ma lei no. Mac lo avrebbe rifiutato di nuovo, come quel giorno davanti alla sua porta.
Quella era l’unica certezza, oltre al fatto che l’amava ancora con tutto se stesso.
Frugò dentro al cassetto del comodino, in cerca di una penna.
Prese la fotografia e vi scrisse qualcosa, sul retro.
Poi la ripose sul comodino, in piedi, a contrasto con un piccolo vaso vuoto, senza fiori.
Andò fuori, colse il primo che trovò per terra e ve lo mise dentro.
Mentre tornava verso il suo appartamento, prese il telefono e compose il numero della compagnia aerea che lo aveva fatto arrivare lì. Era l’ora di tornare a casa.

 
Il primo a svegliarla fu il mal di testa. Poi venne la luce del sole.
Con gli occhi chiusi e le mani in avanti, arrivò in bagno. Tastò l’armadietto che stava sopra il lavandino, ne individuò la maniglia e lo aprì. Attraverso la minuscola fessura delle palpebre, vide il tubetto delle aspirine. Afferrò il bicchiere che giaceva sul lavandino, lo riempì d’acqua e ve ne fece sciogliere due.
Dopo aver ingerito l’unico rimedio che conosceva per quel genere di mal di testa, tornò sul letto, dopo aver chiuso la tenda per eliminare ogni singolo raggio di sole che la stava disturbando.
Doveva essere molto tardi. Il sole era già altissimo in cielo. Guardò l’ora: erano le due passate. Ed era anche il momento di attivare il cervello. Scese di nuovo dal letto e andò verso la scrivania di fronte ad esso, per prendere il cellulare.
Cinque chiamate di Herwig.
Premette il tasto ‘richiama’ ed attese la sua risposta.
“Mac? Mac stai bene?”, le fece lui, appena la linea fu stabilita.
“Sì, certo… scusami ma sono stata male tutta la notte e…”
“No, non ti preoccupare. Anche io stamattina non sono riuscito ad alzarmi, quindi meglio così.”, disse lui. La sua voce gli entrava dentro le orecchie come un ago rovente ed appuntito, “Partiamo alle quattro, ti va bene?
“Ok, perfetto, a dopo.”, fece Mac, chiudendo istantaneamente la chiamata e riponendo il telefono sulla scrivania.
Si stropicciò gli occhi stanchi per dare loro un po’ di vita, ma fu del tutto inutile. Il sonno non l’aveva ristorata per niente, anzi, si era svegliata ancora più stanca della sera prima.
La sera prima.
Era il momento di rivedere cosa era successo.
Tom.
Tom che le parlava, parlava con lei e le sorrideva. Poi aveva sentito la sua testa girare. E nient’altro. Doveva essere stato lui a portarla lì dentro, ma non gli aveva mai detto che viveva in quell’appartamento… forse lo aveva chiesto in giro, oppure aveva detto a qualcun altro di portarla a letto.
Sì, era sicuramente andata in quel modo. Si tolse gli abiti che aveva indosso, tornò in bagno, era il momento di farsi una bella doccia, per lavare via tutto lo sporco e tutta la tristezza. Mentre l’acqua la scaldava, con il getto puntato dritto sul suo collo, si mise a riflettere.
Nonostante il muro che aveva eretto come protezione da lui… era felice di averci scambiato quattro parole. Era felice che fossero stati l’uno di fronte all’altra, a confrontarsi.
Ed avrebbe voluto farlo di nuovo, tanto per sapere cosa gli era capitato in tutti questi mesi. Se viveva sempre nella stessa casa in cui avevano vissuto insieme o se si era trasferito. Se andava bene il suo lavoro di produttore. Se gli ‘Asian Fever’ avevano sfondato.
Se aveva avuto qualcun’altra.
Certo che sì, certo che aveva avuto qualche altra ragazza, dopo lei.
Era normale.
Mica come lei che, al minimo approccio di un uomo, fuggiva via perchè non ne voleva proprio sentir parlare di iniziare una nuova storia.
Sicuramente Tom l’aveva dimenticata presto, soprattutto dopo che gli aveva sbattuto la porta in faccia. Lo conosceva bene, era uno che si alzava presto dopo una brutta caduta.
.......
Si scoprì essere un pochino gelosa.
Pochino? Molto.
Molto? Tantissimo.
E ne aveva motivo? No.
Realmente non aveva nessun motivo per essere gelosa della sua vita. Ma lo era e basta.
Uscì dalla doccia, circondandosi con un asciugamano intorno al corpo.
Tom era nella sua testa e doveva toglierlo. Non era facile però, per niente. Aveva passato la serata con lui e, indipendentemente da come era finita, era stata bene.
No, meglio, benissimo. Anche se si era comportata freddamente, anche se non si erano detti nient’altro che parole vane. 
Lui la pensava ancora? No, sicuramente no, quindi lei non doveva pensarlo. Ma come mai pensarlo le faceva sentire il cuore più leggero? Perché il pensare di aver passato anche solo dieci minuti insieme a lui le faceva venire quel grosso sorriso sulla faccia?
Pulì lo specchio annebbiato con la mano, facendo comparire la sua immagine sbiadita, contornata da tante minuscole gocce di acqua e di umidità.
“Cosa ti sta succedendo Mac?”, disse allo specchio, “Sei una rammollita per caso?”
No, parve rispondere il suo riflesso, sono solo ancora innamorata di Tom.
“No non lo sei!”, fece, uscendo dal bagno e sedendosi sul letto.
Dannazione… certo che lo era.
Ma aveva senso amarlo ancora sapendo che lui non la amava più? No, non aveva un senso. Tanto lui se ne sarebbe andato tra una settimana, più o meno, quindi il problema si sarebbe automaticamente risolto.
Alzò lo sguardo verso l’armadio, ma prima i suoi occhi caddero sul suo comodino.
La fotografia.
Cosa ci faceva lì?
Un fiore dentro al piccolo vaso che stava da tanto tempo vuoto sul comodino.
.....
L’aveva lasciata sul letto!
Tom aveva visto quella fotografia e… merda, cosa aveva pensato?
Che cazzo aveva da pensare se non ‘guardate quella stupida di Mac, ancora pensa a me’!
“Dio…”, fece, prendendola.
Stava quasi per strapparla, quando notò qualcosa sul retro.
‘Sembri ancora una bambina quando dormi, Rose. Se mi penserai anche solo un po’, mi farai felice. Kaulitz.

Aveva scritto Rose.
E anche Kaulitz.
“Cazzo!”, esclamò, mettendosi la faccia tra le mani.
Cercò di vestirti ma fu ostacolata dal suo stesso disordine. Cavolo, chissà cosa aveva pensato Tom quando era entrato. Se si era affacciato in bagno, si era sicuramente spaventato. Non era mai stato ordinata, anzi, viveva bene anche nella confusione e lui lo sapeva, era un tratto comune ad entrambi. Anzi, era quasi più probabile che non ci avesse nemmeno fatto caso
Non c’era fretta, tanto ancora lui non se ne sarebbe andato prima di un’altra decina di giorni. Lasciò perdere la collina di abiti che giaceva sulla sedia, accanto alla scrivania, quelli erano tutti da portare nelle lavanderie. Non pensò nemmeno di andare a ripescare qualcosa dal vero contenitore dei panni sporchi, in bagno, perchè erano come minimo due settimane che non toglieva i vestiti da lì dentro e c’era da disturbare gli alieni che ci vivevano in mezzo.
Doveva veramente fare pulizia in quella casa, eh sì. Ma lo avrebbe fatto domani, con calma, non certamente in quel momento. Aprì stancamente l’armadio e, tra una ventina di stampelle vuote, prese l’unica che aveva indosso una maglietta. Orribile, ma necessaria. Anche se Topolino stampato sorridente su stoffa rossa era a dir poco osceno, dovette mettersi quella t-shirt, non aveva nient’altro, che non fosse il vestito nero di Thiago, e non le pareva proprio il caso. Se ne stava appoggiato sullo schermo del suo pc, ancora sembrava intatto, mai indossato.
Rotolò dall’altra parte del letto e, per terra, trovò i pantaloni che aveva messo la sera prima, per tornare in spiaggia, e che si era tolta per andare a farsi la doccia. Si lavò i denti, si dette un po’ di profumo ed uscì dal suo appartamento.
Dove avrebbe potuto trovarlo? In spiaggia, a quell’ora. Poteva essere lì come in tutt’altra parte del villaggio, ma fu quello il primo posto che le venne in mente.
Voleva ringraziarlo per la sera prima....
Per il fiore....
E per la fotografia....
Già… ma secondo lei cosa aveva voluto dirle?
La sua mente, fino a quel momento iperattiva, si spense di colpo, senza darle una risposta alla sua domanda. Era meglio chiederlo in qualche modo a lui… ma come, senza passare per stupida? Boh, non sapeva dirlo in quel momento, avrebbe improvvisato. E sicuramente lui avrebbe risposto: ‘Non vuol dire niente Mac, è solo che ho trovato carino lasciarti un pensiero
Che idea cretina!
Scese le scalette e si ritrovò in spiaggia. Si guardò qua e là, in cerca di un mucchio di rasta che si muovevano, ma non le sembrò di vederli.

 

Le valige erano già state preparate. Il primo volo che aveva un posto disponibile, anche in economica, partiva a notte fonda, alle due e quarantacinque. La gentile operatrice gli aveva detto che marzo alle Seychelles era piena alta stagione, quindi era quasi impossibile trovare un posto libero ad un’ora decente. Aveva accettato e aveva dato il numero della sua carta di credito.
Appena arrivò nell’appartamento, si preoccupò di svegliare Gustav e di dirgli che sarebbe partito la notte successiva, che non gli sembrava più il caso di rimanere su quell’isola a fare l’idiota. Lui, forse per il sonno, forse perchè era un tipo abbastanza intelligente anche se non sembrava, gli disse che andava bene, che anche lui avrebbe preso il primo volo disponibile nei prossimi giorni perchè quella vacanza, ormai, non era più divertente nemmeno per lui.
Tom si era scusato, ma il suo amico lo rassicurò che aveva già capito, fin dal primo momento che aveva visto Mac, che la vacanza sarebbe terminata in anticipo.
“Me la spasserò da qualche altra parte, Tom. Abbiamo fatto un mucchio di soldi per questo, no?”, gli fece, con voce bassa ed impastata.
“Già…”, rispose Tom, sorridendo.
“Ecco, ora lasciami dormire che ho sonno.”, fece Gustav, tornando ad accoccolarsi sul suo cuscino.
“Se sentirai un po’ di casino sono io che impacchetto la mia roba.”, gli disse Tom, uscendo dalla stanza.
“Va bene tesoro.”
“Ti amo!”, gli rispose, mandandogli un bacio che fu presto scansato abilmente dal destinatario.
Non gli ci volle molto a rifare la valigia, quasi tutti gli abiti che si era portato se ne stavano ancora lì dentro, non li aveva ancora messi nell’armadio. Radunò tutto ciò che non gli serviva, lasciò fuori solo l’occorrente e si mise a letto, addormentandosi di lì a poco.
Anche se si svegliò che era mezzogiorno, sentendo Gustav che imprecava nella sua stanza, non aveva passato una buona notte. Sonno agitato, leggero e caldo, tanto caldo. Uscì dalla stanza in mutande, tanto ormai Gustav l’aveva visto in tutte le salse, non si vergognava di certo, e bussò alla sua stanza.
“Ma che stai combinando?”, gli chiese, rimanendo dietro la porta, ancora chiusa.
“Niente… tranquillo, tutto sotto controllo.”, fece Gustav.
Certo, quando diceva che era tutto sotto controllo voleva dire che aveva combinato qualcosa di brutto. Aprì la porta ed entrò
 “Cosa è…. Oh cazzo!”, esclamò, vedendo sul letto di Gustav Fido, l’animale preistorico che si era trovato appeso al soffito della sua camera il primo giorno di vacanza.
“Tom… ti presento la mia fidanzata.”
Ma Gustav lo disse troppo tardi, Tom aveva già sbattuto la porta.
“Togli quel coso schifoso dal tuo letto!”, gli gridava.
“E’ quello che sto cercando di fare da mezz’ora…”
“Toglilo immediatamente! Uccidilo! Pestalo!”
“E’ sul tuo letto per caso?”, gli fece Gustav, sentendolo sbraitare come una donnetta.
“No… ma mi fa schifo lo stesso! Ammazzalo!”
“Prestami una tua scarpa, lo schiaccio.”, disse Gustav, sconsolato. Si era risvegliato con quella sorpresa sul cuscino, “Vattene in spiaggia Tom, ci penso io a mettere a bada Bambi.”
“Se ti azzardi a farlo andare in camera mia, giuro che…”
“Calmati, ti sta partendo l’embolo!”
Con i peli tutti dritti per l’orrore, lasciò che Gustav si occupasse di quel verme preistorico. Scosso da una serie di brividi, si mise sotto la doccia per togliere via tutto l’appiccicaticcio che si sentiva addosso.
Tornò solo per un attimo con il pensiero alla serata precedente. Sì, aveva preso la decisione giusta. Non era il caso di farsi tanti flip mentali su Mac, non era destino tornare di nuovo insieme. Interruppe il flusso di acqua calda ed uscì fuori dalla doccia.
Chissà che reazione aveva avuto quando si era trovata quella scritta, dietro alla loro fotografia. Ne teneva ancora una con sé, come faceva lui. Beh, poteva essere un buon segno, un punto a suo favore… ma non era molto ottimista, anzi, quella fotografia sicuramente non contava niente per Mac. Era probabile che se la fosse trovata inaspettatamente tra le mani, magari perchè l’aveva dimenticata dentro ad un libro che si era portata dietro dalla Germania, e che adesso stava per ricordarsi di gettarla via. Sì, era sicuramente così. Tanto valeva allora tornarsene a casa, che continuare a starsene sulla stessa isola e a fare finta di niente.
Si mise il costume che aveva lasciato fuori dalla valigia, prese il cappellino, gli occhiali da sole, il suo telo da spiaggia ed uscì fuori. Con passo annoiato, si ritrovò nel mezzo a tanta gente in pieno divertimento, che giocava a pallone, chiacchierava, gridava e si rincorreva dentro l’acqua. Dopo aver steso il suo asciugamano sul primo lettino che trovò libero, vi si sdraiò sopra ed attese di addormentarsi di nuovo.
Niente, troppa confusione intorno a lui, troppe persone che schiamazzavano. Sbuffò, quel giorno sarebbe stato segnato dal pessimo umore. Il sole gli dava fastidio, la sabbia gli dava fastidio, gli altri gli davano fastidio…
“Hey.”, sentì dire, alla sua destra.
E adesso chi era… si tolse gli occhiali da sole e si voltò.
“Hey… ciao Mac.”, le disse. Se ne stava seduta sulla sabbia, con le gambe raccolte sul petto.
“Disturbo?”, chiese lei.
“Oh no… affatto.”, disse Tom.
Totalmente sorpreso, non se l’aspettava proprio di rivederla.
E l’aveva anche colto alla sprovvista, sicchè proprio non sapeva cosa fare, né cosa dire. Non era come la sera prima, quando era stato lui a sorprenderla sul bagnasciuga... adesso era psicologicamente impreparato.
“C’è… qualcosa che non va Tom?”, fece Mac, divertita.
“No… perchè?”
“Hai una faccia...”, disse lei, mettendosi la mano davanti alla bocca per nascondere la sua risata sotto i baffi.
Ecco, stava facendo la figura dello stupido. Doveva riprendersi, darsi uno schiaffo e riafferrare il controllo di se stesso.
“Sì, scusami…”, fece, mettendosi seduto sullo sdraio ed incrociando le gambe, “Ma stanotte non mi sono sentito tanto bene.”
“Nemmeno io… E comunque grazie per avermi riportato a casa. Scusami, non so cosa mi sia successo, ma avevo mangiato pochissimo e molto probabilmente…”
“Sì, non ti preoccupare.”, le disse Tom, “Puoi sederti pure.”
Le indicò la parte restante del suo lettino, se voleva poteva anche sedersi di fronte a lui, invece di rimanere bassa, sulla sabbia. Lei accettò e prese posto sul fondo della sdraio.
“Quando mi sono voltato e ti ho vista distesa sulla sabbia mi sono anche preoccupato, pensavo ti fossi sentita male. Poi mi sono accorto che ti eri semplicemente addormentata.”, le spiegò, avendo capito che lei non si ricordava assolutamente niente, “Ho domandato in giro se qualcuno sapeva dove abitavi e ti ho portata a casa.”
Fece spallucce e rinviò la palla a Mac.
“Beh… allora grazie di nuovo per non avermi abbandonata qua!”, fece lei, ridendo.
“Ci avevo anche pensato, ma poi dovevo trovarmi un alibi e non avevo testimoni a mio favore.”, rispose lui.
Quando le loro risate si spensero, venne di nuovo quel silenzio pesante e appiccicoso. Voleva entrare nel discorso, voleva chiederle cosa aveva pensato… non ne aveva il coraggio. Lei sembrava attendere qualcosa da lui, ma la sua voce era come volata via.
“Brutto stronzo!”, lo apostrofò  una voce stridula ed inglese, prima di tirargli contro una palla di sabbia bagnata che lo colpì in pieno viso. Mac lo guardò con occhi sorpresi, chiedendosi cosa stava succedendo.
“Non dici niente eh?”, continuò a gridargli Candice, attirando l’attenzione di tutti i ragazzi che stavano intorno a loro.
Lo sguardo di Mac andava da lui a lei, da lei a lui. 
Ecco, ora poteva anche prendere la pala, scavarsi una fossa e ricoprirsi, sotterrarsi vivo da solo.
“Candice…”, riuscì a dire, “Pretendevi che fossi il tuo fidanzato?”
Oddio, che frase idiota, si disse.
La testa di Mac cadde in avanti, con espressione sconsolata. Ecco, sicuramente stava pensando che era sempre il solito, quello che non era capace di tenersi a bada. Sì, glielo leggeva in faccia… Cazzo!
“Proprio fidanzati? No, certo che no! Ma non pensavo di vernire scaricata immediatamente per un’altra!”, sbottò lei, incrociando le braccia.
“Senti Candice… non mi sembra il caso di continuare oltre a parlare. Per favore, lasciami in pace, è stato bello per quello che è durato.”, le disse, risoluto.
“Certo, perchè poi c’è sempre qualcun’altra più carina o più tettona!”, fece lei.
“Smettila per piacere!”, gli disse, alzando il tono della voce, scocciato.
“Va bene!”, fece lei, “Ti lascio alla puttana di turno!”
Prima ancora che dal suo cervello partisse l’impulso di alzarsi e mandare a fanculo quella deficiente, Mac si era già alzata, aveva scavalcato la sdraio e si era piazzata davanti a Candice, con tono di sfida.
“Cosa sarei io?”, le chiese, con calma.
“Una puttana!”, ripetè Candice.
Tom si guardò rapidamente intorno: tutti gli occhi sembravano puntati su loro due. Che situazione del cazzo…
“Ripetilo ancora.”, le disse.
“Puttana.”
La mano rapida di Mac cadde dritta sulla faccia di Candice, che prontamente si toccò la guancia dolorante.
“Dimmelo ancora e porgi l’altra guancia.”, sibilò Mac.
Candice, stupita e allo stesso tempo incazzata, provò a contraccambiare lo schiaffo, ma il suo braccio fu bloccato dalla presa forte di Mac.
“Ah ah… mossa sbagliata.”, le disse.
“Tu non sai chi sono io!”, sbottò Candice, “Io sono Candice Wratchford! Mio padre ha costruito tutto questo villaggio!”
Mac la osservò perplessa per un attimo.
“E io sono Mackenzie Rosenbaum, molto piacere.”, rispose. Poi si voltò verso tutti gli altri ragazzi della spiaggia e, a gran voce, prese a dire: “Avete sentito? Questa qua si chiama Candice Wratchford, ha detto che è ricca sfondata! Quindi offre da bere per tutti voi! Fatelo segnare sul suo conto!”
Il silenzio quasi totale, caduto tra i presenti per sentire quali feroci parole sarebbero volate tra le due ragazze, fu sostituito da grida di gioia e la spiagga, in poco tempo, fu quasi semi vuota: una mandria di bufali impazziti si riversò sulle scalette, verso il bar, a prendere tutto ciò che la gentile Candice Wratchford stava offrendo loro.
La ragazza, dopo essersi liberata della stretta presa di Mac, se ne corse via, con la coda tra le gambe
“Mac… io…”, le fece. Ma di nuovo qualsiasi parola che gli veniva in mente era troppo stupida da dire in quel momento.
“Lasciamo perdere.”, disse Mac, dopo un lungo sospriro, cercava di imporsi di rimanere calma.
“Mi dispiace Mac… io non volevo che lei ti mettesse in ridicolo davanti a tutti.”, le disse, alzandosi.
“Tranquillo… non è questo quello che mi da fastidio.”, fece Mac, incrociando le braccia, a testa bassa.
“Senti, voglio rimediare a questa brutta situazione.”, le disse, cercando di non farsi tremare la voce, “Posso invitarti a cena stasera?”
Ecco, l’aveva detto.
La risposta doveva essere rapida ed indolore, ma invece attardava a venire. Mac si stava mordicchiando il labbro inferiore, indecisa.
“Stanotte me ne vado, torno a casa.”, le disse.
Alzò lo sguardo, perplessa.
“E perchè? Non dovevi rimanere qui due settimane?”, fece lei.
“Sì ma… David ci ha richiamato alla base per dei problemi… la… la copertina del disco non va bene… dobbiamo sceglierne una nuova.”, le disse, inventandosi lì per lì la scusa più banale del mondo.
“Ah, mi dispiace…”, fece lei, incupendosi, “Beh, voglio dire… rinunciare tutto ad un tratto alle vacanza per via del lavoro.”
“Sì, è un pochino… scocciante. Allora, accetti il mio invito?”, le chiese di nuovo.
“Beh… può andare.”, rispose lei, sorridendogli.
Le contraccambiò il suo sorriso, cercando di nasconderle quanto avessero potuto fargli piacere le sue parole.
“Allora…  facciamo per stasera alle sette?”
“Ok… Mi passi a prendere tu?” disse Mac, ridendo.
“Beh, perchè no?”, sbottò Tom, “Ti busso alla porta o vuoi che ti suoni il clacson?”


 
TITOLO E CANZONE: mi inchino davanti all’arguzia mentale di Sara, alias CowgirlSara, per avermi mandato, una sera di qualche tempo fa, il testo di questa canzone dicendomi che, ascoltando le parole, le erano venuti a mente questi due dementi… Graziegraziegraziegraziegrazie non finirò mai di ringraziarti! (E buon compleanno! Anche se in ritardo di un giorno... smack!)

Si intitola ‘Till we ain’t strangers anymore’ ed è del suo amatissimo Jon Bon Jovi. No scopo di lucro.

Spero che abbiate passato tutte un buon capodanno! Io ero malaticcia, ho fatto festa all'una e mezza, nel senso che a quell'ora purtroppo sono dovuta tornare alla base altrimenti avrei peggiorato la mia salute già ballerina! Mi rifarò il prossimo anno! Tra un colpo di tosse ed una soffiata di naso, auguro a tutte voi:

FELICE ANNO NUOVO!!!!

 

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Capitolo 17
*** Long Time Coming ***


Non ve lo avevo detto l'altra volta ma... questo è l'ultimo capitolo! Sorry...

17. LONG TIME COMING

 
Davanti allo specchio dell’armadio.
Sola.
Non sapeva cosa mettersi.
Era tornata, si era fatta una doccia ed adesso, davanti allo specchio, si chiedeva cosa poteva mettersi: tra pantaloni corti e canottiere, niente sembrava adatto. Il vestito nero sullo schermo del pc sembrava dirle: ‘Mac, sono qui, indossami… Cadrà ai tuoi piedi…
“E si romperà un dente…”, concluse, borbottando tra sé e sé.
Sgomberò la mente, sedendosi per l’ennesima volta sul letto. Aveva  mandato a quel paese il lavoro con Herwig perchè non aveva nemmeno un paio di mutande pulite e si era presa tutto il pomeriggio per fare lavatrici di suoi abiti sporchi. Se n’era stata per due ore seduta nella saletta che ospitava tutto l’occorrente per lavare ed asciugare gli abiti, riservata ai dipendenti. Aveva caricato contemporaneamente tre lavatrici: bianchi, colorati e nero e, nell’attesa, si era fatta pure le unghie. In altre parole, tanto erano corte che si era solo tolta le pellicine fastidiose.
Una volta che le asciugatrici iniziarono a spegnersi per la fine del ciclo di essiccatura, si mise giu a stirare per un’altra ora e mezza.
Se ne tornò in camera, sommersa dai suoi stessi vestiti lindi e profumati, e si prese tutto il tempo restante per decidere cosa avrebbe indossato. Alle sei e mezza era sempre nella più totale insicurezza che dovette imporsi di sbrigarsi.
“Andiamo Mac…”, si disse, “Ci dovrà essere qualcosa in questo armadio che ti possa andar bene per stasera!”
No, non c’era niente…
Doveva riuscire a fare il punto della situazione: quale messaggio subliminale voleva trasmettere?

Saltami addosso oppure ceniamo tranquillamente insieme?
Decisamente il secondo.
La sua mano esperta andò su un paio di pantaloncini neri, di stoffa quasi lucida, con un piccolo risvolto sul'orlo. Poi cadde su una camicetta viola, molto scura, con maniche a tre quarti. Per sicurezza, l’avrebbe abbottonata quasi fino in cima, già era aderente, meglio non dare troppo ‘a vedere’. Per le scarpe non c’erano problemi, si sarebbe messa un paio di sandali neri bassi, incrociati sul davanti e con i lacci che li avrebbero fermati intorno alla caviglia, su fino al polpaccio.
Prese un elastico, si legò le trecce alte sulla nuca. Un paio di orecchini, una collana lunga di pietruzze nere e bianche, un braccialetto abbinato, un velo di nero sugli occhi…
Ed era pronta.
Davanti allo specchio del bagno, con le mani appoggiate sul lavandino, si domandava che cosa si poteva aspettare da una cena del genere.
Innanzitutto, doveva starsene rilassata, tranquilla, fare la disinvolta, chiacchierare senza balbettare e non farsi sudare le mani. Avrebbe dovuto controllare, ogni volta che mangiava, che niente le rimanesse tra i denti. Avrebbe anche dovuto eliminare certi argomenti dalle conversazioni. Tipo: aveva avuto qualcun’altra dopo di lei? La risposta già se la immaginava.
Ma la domanda che si era posta all'origine e che ancora non aveva ricevuto risposta era: quali erano le sue aspettative da una cena come quella? Nessuna aspettativa, nessuna. Solo una serata tranquilla, senza alcuna pretesa. Poi lui se ne sarebbe andato, lei sarebbe rimasta lì per altri tre mesi e poi… e poi niente, ci avrebbe pensato al momento appropriato. Per adesso, hakuna matata.

Toc toc toc.
“Oh cazzo…”, fece Mac.
Prese un profondo respiro, si dette una rapida occhiata allo specchio e poi andò alla porta.
Con la mano sulla maniglia, prese un altro profondo respiro, si dette un’altra rapida occhiata allo specchio, girò il pomello e aprì.
“Ciao Mac!”, le fece Nagomi, con il suo solito sorriso idiota sulla faccia.
“Nagomi! Che ci fai qua?”, gli fece, molto scocciata.
“Hey ma… stai aspettando qualcuno?”, le disse, guardandola malizioso.
“Di certo non te!”, sbottò Mac, “Ma come stai, com’è andata la notte?”
“Oh, tutto a posto, stamattina ho vomitato tutta la cena di ieri sera e anche forse il pranzo e la colazione… mi sono riaddormentato e mi sono risvegliato! I miei se ne sono andati senza nemmeno salutarmi… cosa può esserci di meglio in tutta la mia vita?”, disse lui, con un sorriso smagliante sulla faccia.
“Se ne sono andati via? Così, senza nemmeno vederti?”, gli chiese Mac, uscendo dal suo appartamento.
“Sì, sicuramente sono rimasti indignati nel non avermi visto tornare per la notte… quando sono uscito dall’infermeria non li ho più trovati in camera, avevano fatto le valige e se ne sono andati. Avevano il volo stamattina, sul presto.”, le disse lui.
“Mi dispiace.”
“Oh no, tranquilla, meglio così.”, fece, cercando di tranquillizzarla, “Piuttosto… vuoi dirmi chi stavi aspettando?”
“Fatti tuoi?”, disse Mac, ridendo e mettendosi le mani sui fianchi.
“Credi che già non lo sappia?”, esclamò lui, alzando le sopracciglia ritmicamente.
“Ecco, allora vedi di sparire!”
“Subito madame!”, fece l’altro, mettendosi la mano sulla fronte come un militare e scattando via come un soldatino.
Mac rise, rientrando nel suo appartamento.
Nonostante quel ragazzo fosse del tutto solo nella sua vita, che i suoi genitori fossero degli stronzi colossali, che non avesse molti amici in quel villaggio, a parte lei… era sempre dannatamente ottimista, con quella bocca sempre in una smorfia sorridente. Lo ammirava, riusciva sempre a fare buon viso a cattivo gioco, mentre lei si sforzava e non vi riusciva. Non lo invidiava, sapeva quanto si sentisse solo, forse era per questo che erano diventati molto amici.
Anche lei, non era che si sentisse molto in compagnia, né su quell’isola, né in qualsiasi altro posto del mondo. La sua anima gemella, Thiago, non era sempre accanto a lei quando le serviva. I suoi genitori? Sì, da quando se n’era andata via di casa, appena si era trovata un lavoro dopo la scuola, erano piano piano usciti dalla sua vita. Altri amici? Non ne aveva.

Toc toc toc.
Ecco, era arrivato.
Prese il solito profondo respiro.
Si dette la solita occhiata veloce allo specchio.
Afferrò la maniglia.
Pregò che non fosse un’altra volta Nagomi altrimenti lo avrebbe incenerito.
Girò il pomello.
Aprì la porta.
Finalmente era lui, era Tom.
“Oh… mio… dio…”, disse Mac, scandendo conì lentamente quelle tre semplici parole che le ci volle un’eternità per dire quella piccola frase.
Cosa aveva spinto Tom a chiudersi in una camicia bianca a mezze maniche, con tanto di cravatta nera al collo e pantaloni di stoffa neri? Ma soprattutto, perchè non aveva le sue solite sneakers ai piedi, sostituite da un paio di scarpe di pelle? Ma di nuovo soprattutto… dov’era finito il suo cappello?
“Che c’è?”, fece lui, solo lievemente disturbato dal continuo scorrimento degli occhi sorpresi di Mac su di lui.
“Dove… dove li hai presi questi vestiti?”, gli domandò.
“Dalla mia valigia.”, rispose l’altro, naturale.
Incrociò e braccia e lo guardò di sbieco.
“A parte la camicia e la cravatta.”, aggiunse Tom, colto in fallo.
Lo sguardo storto si approfondì.
“I pantaloni sono miei… Gustav è troppo basso, mi sarebbero stati a mezza gamba!... Ecco, lo sapevo!”, esclamò, “Mi sono vestito come un pinguino per non fare la figura del solito pelandrone… e a te non piace!”
Mac scoppiò in una risata quasi isterica.
“Oh no, puoi stare tranquillo, stai benissimo così!”, gli disse, quando si fu calmata.
Non poteva crederci. Lui, Tom Kaulitz, in camicia e cravatta! E senza il cappellino!
“E allora perchè stai continuando a ridere?”, gli chiese lui.
“Perchè sei la cosa più divertente che mi è capitata da un bel pezzo di tempo a questa parte!”
“Sono… sono divertente?”, fece lui, incredulo ma comunque rallegrato.
“Beh… decisamente sì! Ma non volevo offenderti…”, disse Mac, interrompendo la sua risata.
“Nessuna offesa.”, disse lui, mostrandole le sue mani, prima nascoste dietro alla sua schiena, e che sorreggevano un piccolo fiore azzurro.
“Wow!”, esclamò Mac, “Da quale pratino lo hai staccato?”
“Sei sarcastica esattamente come quando ci siamo conosciuti.”, le disse Tom.
“Non dovrei esserlo?”, fece Mac, facendogli la linguaccia ed uscendo dal suo appartamento, evitanto accuratamente di non avvicinarsi troppo a Tom che le si parava davanti, “Allora, andiamo a cena o no?”
Gli prese il fiorellino che le porgeva e, dopo esserselo messo sopra l’orecchio, tra i capelli, si incamminò verso il ristorante.

 

“Oh no, non mi dire, dai!”, esclamò Mac, mentre giocherellava con il suo bicchiere.
“Posso giurartelo su quello che vuoi.”, le disse Tom, alzando le mani.
Il tavolo era stato sgomberato da tutto, c’erano solo l’acqua e la bottiglia di vino rosso quasi vuota ed i loro due bicchieri, insieme a qualche briciolina di pane. La cena era finita, ma stavano chiacchierando così bene da tre ore che tutto il resto, intorno a loro, era come inesistente. Il ristorante stava iniziando a svuotarsi e, lentamente, i camerieri stavano riapparecchiando i tavoli per la giornata successiva.
Non c’era mai stato un momento di pausa, tra una risata e l’altra, si erano raccontati tutte le scene più esilaranti che avevano vissuto: del momento in cui Mac era sull’aereo per arrivare lì e, dopo tre ore di volo, si era fatta prendere un attacco di panico per via di uno sbalzo d’aria; di quella volta in cui Tom si era visto atterrare sulla faccia una scarpa di una sua fan troppo calorosa… insomma, fu una serata leggera, scandita dalle loro risate e da nessun discorso che facesse scemare l’ilarità del momento. Nessuno dei due aveva voglia di rinvangare vecchie cose o di far tornare in mente spiacevoli situazioni. Ma non potevano rimandare il momento a lungo, continuando a perseverare nella finzione che quella serata fosse di puro divertimento.
“Non ci credo.”, gli disse Mac un’altra volta, puntando il suo indice contro il tavolo, “Tu non puoi, ripeto, non puoi assolutamente aver comprato  ‘Made in Japan’ dei Deep Purple. Proprio non esiste. Non è nel tuo stile!”
“Ti dico che l’ho fatto!”, le disse lui ancora una volta.
“E dimmi allora come si intitola la terza canzone del secondo cd!”, gli fece Mac, che voleva testare se la sua fosse una bugia o una verità.
“Non c'è nessun secondo cd.", rispose lui, con naturalezza.
"Sbagliato! Sono due cd live!", sbottò Mac, cogliendolo in fallo.
"Ma io ho la versione del 1972, in lp, e non c'era nessun secondo cd... e c’è un bellissimo autografo sulla copertina… ma non mi chiedere di chi sia perchè è illeggibile.”, disse lui, decantando le qualità del suo acquisto fuori dalla norma. Mac, che lo guardava con gli occhi luccicanti, se ne stava a bocca aperta.
“Allora lo hai comprato davvero… e pure in lp… cristo, ti sei convertito al rock!”, esclamò portandosi le mani alla bocca, “Non pensavo fosse possibile.”
“Diciamo che ho pensato di aprire la mia mente a quei gruppi che hanno fatto la storia della musica e…”
“Ok basta.”, lo interruppe Mac, ridendo, “Così mi stai sconvolgendo!”
"L’avevo capito subito!”, fece l’altro, ridendo a sua volta e bevendo l’ultimo sorso del suo bicchiere, “Tu, piuttosto, non dici niente che mi possa lasciare a bocca aperta?”
Mac rimase un attimo a riflettere, con la punta del suo indici indagatore che le picchiettava sul mento.
“No, Tom, non mi viene a mente niente.”, fece, al termine del suo ponderare, “Sono sempre la solita Mac.”
“Non ci credo!”, sbottò Tom, imitando la sua incredulità, “E te lo posso dimostrare. Innanzitutto, i tuoi capelli: mai avrei immaginato che te li saresti tinti di nero. Poi questo è un posto di mare, c’è il sole, la sabbia, il sale, il vento… e tu hai sempre odiato tutto questo! Quando siamo stati in Portogallo pensavo che ti avrei affogata per tutte le lamentele che facevi! Ed ho anche notato un cambiamento molto più grande ed importante di tutte queste sciocchezze.”
“E che cambiamento sarebbe?”, gli chiese Mac.
“I tuoi occhi non brillano più. Sono spenti.”, disse lui, guardandola profondamente.
Il viso di Mac, dall’essere disteso e rilassato, si rabbuiò tutto d’un colpo. La sua  bocca, prima così tanto sorridente che i muscoli delle sue guance le dolevano, si richiuse. I due angoli si piegarono quasi impercettibilmente verso il basso e il suo sguardo sviò altrove.
“Scusami.”, disse prontamente Tom.
“No, fa niente.”, rispose Mac, abbozzando una smorfia che pareva solo vagamente un sorriso. La mascherò con il suo bicchiere, bevendo un sorso di vino.
Tom sospirò e si grattò la fronte. Quello poteva essere il momento per chiederle di nuovo perdono… Si sporse sul tavolo, appoggiando i gomiti sulla tovaglia rosa.
“Senti Mac… lo so che in questo momento potrei rovinare questa serata. Per ora per me è stata a dir poco stupenda, non mi sono divertito così tanto da… da non mi ricordo quando. Ma devo dirtelo perchè voglio farlo. E basta.”, disse, risoluto.
“Avanti, dimmi ciò che vuoi.”, fece Mac.
Un altro sospiro, poi la valanga delle scuse iniziò a franare.
“Mi dispiace di tutto. Mi dispiace di aver mandato all’aria la nostra storia. Mi dispiace di averti voltato le spalle e di non averti voluto parlare. Mi dispiace di aver dubitato di te. Mi dispiace di aver pensato che tu e Bill potevate essere più che amici. Mi dispiace che, per colpa mia, tu abbia dovuto rompere i rapporti con lui. Mi dispiace essermi presentato a casa tua, quel giorno… e soprattutto, anche prima di tutte gli altri ‘mi dispiace’ che ti ho già detto, mi dispiace aver fatto spegnere la luce dei tuoi occhi.”
Mac continuava a guardare in basso, verso le sue mani, che sembravano intrecciarsi sotto il tavolo.
“So di non meritarmi niente dopo tutto quello che ti ho fatto. So che non mi merito nemmeno di averti qui, adesso, davanti a me a ridere e a scherzare. Ma ti chiedo solo una cosa.”, le disse, guardandola dritto nei suoi occhi bassi, che si alzarono solo in quel momento.
“E cosa…”, fece lei.
“Di dirmi che mi perdoni. Nient’altro. Mi basta solo quello. E me ne andrò via tranquillo. Ognuno tornerà alla propria vita… ma devi dirlo solo se lo pensi veramente, altrimenti niente. Lo so che non sai mentire, me ne accorgerei.”
Mac se ne rimase in silenzio, mordendosi il labbro inferiore. Poi si alzò e se ne andò verso la porta, attendendo che lui la seguisse. Uscirono fuori e presero a camminare. Lei, con le braccia incorciate e la testa china, non sembrava intenzionata a parlare.
L’uno camminava a fianco dell’altro, lungo i vialetti del villaggio, in silenzio. Tom, con le mani in tasca, contò ogni singolo secondo che passava, chiedendosi se sarebbe venuto quello in cui lei avrebbe detto una parola. Dopo l’ultima svolta, comprese qual era la loro direzione: l’appartamento di Mac.
Davanti alla porta, lei prese fiato e parlò.
“Anche io devo dirti un paio di cose.”, disse Mac, “Ho passato sei mesi della mia vita a chiedermi se ci poteva essere un modo per odiarti più di quanto già non ti odiassi. Ho passato altri sei mesi a chiedermi se c’era  la possibilità di cancellarti completamente dalla mia vita. E il fatto che tu sia qui in questo momento, a parlare con me, vuol dire che ho fallito in entrambi i campi.”
Si arrestò per un attimo, il tempo sufficiente per raccogliere di nuovo le forze e continuare a parlare.
“Ma cosa ti fa pensare che io riesca a perdonarti? Tu sei stato capace di sconvolgermi la vita… in quanto? Cinque secondi netti?”, fece lei, iniziando a scaldarsi, ma soprattutto, a sfogarsi con lui come non aveva mai fatto, “Tu lo sapevi che, in ogni modo, la nostra storia sarebbe finita perchè eravamo troppo stupidi per capire quali erano i nostri problemi e… cosa hai fatto? Ti sei scopato un’altra in un fottuto bagno! Tanto eravamo destinati a lasciarci, no?”
“Non abbiamo fatto sesso…”, disse lui, a sua discolpa.
“Tom, ti prego, non continuare oltre... Non mi importa quanto siete andati a fondo là dentro, non me ne frega un cazzo.”, disse Mac, risoluta ed arrabbiata, “Tu lo hai fatto e basta, è questo quello che conta per me. Già era successo un’altra volta di beccarti a baciarti con un’altra…”
“Solo perchè ero ubriaco fradicio!”
“Lo hai fatto!... Tu sei stato la più grande felicità che io abbia mai provato in vita mia e allo stesso tempo sei anche responsabile di tutto il dolore che ho vissuto… e che sto vivendo tutt’ora. Io non so quali siano le tue intenzioni nei miei confronti, in questo momento… Lo stai facendo perchè speravi che tornassimo insieme? Oppure volevi solo toglierti un peso dalla coscienza?”
Tom dovette arrendersi del tutto alle parole di Mac. Lei non ne voleva proprio sapere di niente, né di lui, né dei suoi sentimenti. Era irremovibile.
“Io volevo solo chiederti scusa… solo questo. Il resto non contava.”, le disse, quasi con un sussurro della voce. Tornò verso il vialetto e, un passo dopo l’altro, si allontanò a testa bassa. Mac, davanti alla sua porta, lo osservò finchè non scomparve dalla sua vista, oscurato dalle piante ornamentali dei piccoli spazi verdi di fronteo agli altri appartamenti.
Voleva piangere, ma il suo fottutissimo orgoglio stava avendo la meglio. Non si piangeva più per Tom. Ma appena la sua superbia le voltò le spalle giusto un attimo per guardarsi intorno, tornò sul vialetto e, correndo, andò verso di lui.
“Tom!”, lo chiamò, facendolo voltare.
Si portò le mani alla bocca.
Stava piangendo.
Lo aveva visto piangere solo un altro paio di volte e le si era spezzato il cuore. Aveva sempre pianto per lei… Anche questa volta lo sentì infrangersi, completamente, ed andare in mille pezzi. Gli passò le braccia intorno al collo e lo abbracciò. Adesso anche lei stava piangendo insieme a lui.
Le venne quasi da singhiozzare appena le sue braccia le cinsero la  vita, stringendola più che poteva.
“Mi dispiace anche a me, Tom, tantissimo. Per tutte le volte che non abbiamo parlato. Per tutte le volte che mi sono ingiustamente arrabbiata con te. Per tutte le volte che ti ho messo il muso. Per tutte le volte che ti ho trattato male. Ma soprattutto, mi dispiace per non averti saputo ascoltare quando ne avevi più bisogno.”
“Non riesco a non perdonarti… Rose.”, le disse, “E’ più forte di me.”
“Ti perdono anche io… Kaulitz.”, rispose lei, quasi sorridendo nel chiamarlo in quel modo.
“Promettimi che tornerai in Germania.”, le fece, quasi bisbigliandolo nel suo orecchio.
“Non so se posso mantenere questa promessa.”, disse Mac.
“Allora giura che tornerai per almeno un paio di giorni. E farò in modo di poter cenare di nuovo insieme a te come questa sera.”
“Adesso sei tu che non puoi mantenenerla. C’è il tour. Il vostro nuovo album…”
“Facciamo che, non appena riusciremo a mandare a quel paese le nostre vite, ci troveremo per una cena. Così può andare?”
“Così va meglio!”, disse Mac, sbottando insieme a lui in una piccola risata.
“Perfetto.”, disse Tom, sciogliendo l’abbraccio.
Entrambi imbarazzati per quelle lacrime, le asciugarono via con un veloce colpo.
“Devo dirti un’altra cosa Mac.”, disse lui.
“Non vorrai mica svelarmi il terzo segreto di Fatima!”, esclamò lei, ridendo.
“No… anche perchè non so chi sia questa Fatima!”, fece lui, ridendo a sua volta.
“Dai, avanti… sentiamo.”, disse Mac.
“Anzi… più che altro devo fartela vedere.”, faceva lui, mentre prendeva qualcosa da dietro la schiena. Tirò fuori il suo portafogli, un po’ consunto ai bordi. Lo aprì, estrasse fuori un pezzo di carta piegato in due e lo porse a lei.
“Cos’è?”, chiese Mac.
“Aprila.”, disse lui.
Non appena il piccolo pezzo di carta rivelò essere una fotografia… quella fotografia… Mac rimase quasi immobilizzata, pietrificata.
“E’… la stessa che ho io!”, disse poi, stupita.
“L’unica che mi è rimasta.”, specificò poi Tom.
“Anche… anche per me. E’ l’unica che ho.”, disse Mac, “Com’è possibile... questa per entrambi…”
“Non lo so… forse è il destino.”, disse Tom, facendo spallucce.
“Già… mentre il tempo ci è sempre stato un po’ avverso. Non credi?”, disse Mac, mentre guardava quella fotografia.
“Proprio così… si è fatto un po’ tardi. Tra un’ora partirà il traghetto che mi porterà verso l’aereoporto.”
“Allora vai, altrimenti sarete in ritardo.”, disse Mac, restituendogli la fotografia.
“Eh sì… parto solo io. Gustav rimarrà forse ancora qualche giorno, non è riuscito a trovare un posto sul mio aereo…”
“Mentre nell’emisfero boreale l’inverno non si è ancora concluso, qua siamo in piena alta stagione.”, gli disse Mac, come già gli aveva riferito la signorina al centralino della compagnia aerea.
“Già. Allora… manterrai la promessa?”, le chiese.
“Solo se la manterrai anche tu.”
“Allora la domanda corretta è: manterremo la nostra promessa?”, riformulò Tom.
“Vedremo se tempo e destino saranno a nostro favore.”, rispose Mac.
“Tieni. Aiutiamo il destino.”, le fece, tirando fuori dal suo portafoglio un cartoncino.
“Wow! Adesso hai anche i biglietti con il tuo numero… ma questo è scritto con la penna, fa troppo poco elegante…”, esclamò Mac, fintamente stupita.
“A dire il vero quel biglietto è utile a ricordami il mio numero quando lo do in giro, ancora non sono stato capace di memorizzarlo…”, rivelò lui.
“Ah… beh, grazie. Ne farò buon uso.”, disse Mac, “Ciao Kaulitz.”
“Ciao Rose.”

***

"Sto per soffocare!”
“Tranquillo, tra poco sarà tutto finito!”
“Mio dio! Ma tutte queste deficienti non avevano un cazzo da fare stasera?”
“Secondo te?”
“Ma cosa penseranno mai? Che quelli sul palco guarderanno loro?”
Almeno quaranta paia di occhi si voltarono verso di lui, guardandolo minacciosamente.
“Sì, hanno occhi solo per voi!”, disse Thiago, cercando di non continuare oltre nelle sue accuse per non essere linciato vivo dalla folla.
“Thi, sarà meglio che tieni quella boccaccia chiusa, sennò ci spolpano vivi!”, esclamò Mac.
“Io non ci volevo venire qua! Sei stata tu che mi hai forzato a venire a questo stupidissimo concerto!”, protestò lui, incrociando le braccia e facendo il broncio.
In piedi, sugli spalti del grande stadio olimpico di Barcellona, aspettavano che il concerto finisse.
“Tu devi appoggiare ogni mia pazzia! Altrimenti che cavolo di migliore amico sei?”, esclamò Mac, cercando di sovrastare il rumore assordante della musica.
“Io sono il migliore amico che cerca di darsi un contegno… ho una reputazione da mantenere, io sono Thiago Ramirez!”, disse, soffermandosi soprattutto sullo spelling corretto del suo nome e del suo cognome.
“L’ultima che si è rivolta a me in questi modi ha dovuto pagare circa mille euro di conto nel bar del villaggio…”, gli rivelò Mac.
“Perchè sei sempre la solita stronza… e comunque secondo me stai facendo la più grande cazzata del mondo.”, le disse, cercando di non farsi saltare in aria il cervello.
“Dici sul serio Thi?”
“Sì… per la millesima volta, sì. E’ solo una stupida promessa. Sapete entrambi che non ci deve essere alcun seguito.”
“Chi se ne frega del seguito.”, esclamò Mac, incrociando le braccia, “Io voglio mantenerla perchè sono una persona di parola!”
“Ma fammi il piacere, sei così falsa che mi stai facendo venire una crisi epilettica.”
“E tu sei così rompicoglioni che mi stai facendo venire l’orticaria!”
“E tu sei così stupida da non renderti conto che stai sprecando tempo… E poi da qua non si vede niente! Sembrano delle formiche!”
“Volevi andare in prima fila?”
“Sì, perchè così potevo direttamente sputargli in faccia e dirgli che era il più grande pezzo dei merda che fosse stato cagato dai culi dell’interno universo messo insieme.”
“Questo glielo hai già detto, Thi… stai perdendo un po’ il tuo smalto.”, gli fece lei, passandogli un dito sulla guancia, come per controllare lo stato della sua pelle.
“Lo so… e mi stanno anche venendo le rughe!”
“Ti prego, per favore, risparmiami i tuoi piagnistei sulla decadenza dell’elasticità della pelle del tuo viso.”
“Ma è un processo inesorabile! La vecchiaia mi sta mangiando! Mi sta consumando! Mi sta deprimendo! Mi sta affievolendo! Mi sta…”
“Babbo Natale, ti prego,”, fece Mac, unendo le mani in preghiera e alzando gli occhi al cielo, “se quest’anno sarò buona, esaudisci questo mio desiderio. Fa’ che venga una piena che inondi e spazzi via la casa di  Thiago. Solo  la sua, le altre case lasciale in piedi, grazie.”
“Ma bella amica che sei! Io sto andando in depressione perchè stamattina ho contato tre rughe e due capelli bianchi… e tu preghi perchè un’alluvione investa la mia casa! Tanto sto in collina ed il fiume è a valle!”
“Babbo, ti prego, uno smottamento, una frana, una valanga di fango. Grazie di nuovo e scusa per il disturbo.”
“Sei una puttana!”, esclamò l’altro, indignato.
“E questa è la nostra ultimissima canzone…”, disse Bill, scatenando un urlio generale che costrinse Thiago a mettersi le mani sulle orecchie.
“Che pappamolle che sei…”, gli fece Mac, ridendo di lui, “Dai, avviciniamoci alle transenne.”
Non riuscirono a scalfire molto la folla e rimasero imbottigliati dopo pochi metri. C’erano quante? Dodicimila? Quindicimila? Ventimila persone? E loro due non avevano altro da fare che andarsene verso prima fila… vicino alle transenne! Un gioco da ragazzi!
Thiago, che continuava a lamentarsi, fu lasciato indietro da Mac, che riuscì ad aprirsi un varco. Il piano concordato era di aspettare che la gente sgomberasse lo stadio… tutto il resto sarebbe stata una sorpresa. 

 

“Mio dio…”, esclamò Georg, buttandosi nel divano del camerino, “Pensavo di buttarmi in terra per la fatica.”
“Bill, ti prego, me l’apriresti questa bottiglia di acqua… non mi sento più le mani.”, gli disse Gustav, porgendogliela. Avevano suonato per due ore e mezza di fila, solo cinque minuti di stacco, erano totalmente sfatti ed esausti.
“Bill…”, fece Tom, entrando nel camerino, trascinandosi i piedi dietro a sé come un zombie.
“Che vuoi?”, gli chiese suo fratello, lievemente scocciato perchè dal tono che aveva usato sicuramente stava per implorargli qualcosa.
“Quanto manca alla fine del tour?”
“Me lo hai chiesto anche prima che iniziasse il concerto!”, sbottò Bill, perdendo istantaneamente la pazienza. “E anche ieri, e l’altro ieri… e pure l’altro altro ieri!”
“Sì… ma quante date mancano ancora?”, ripropose Tom.
“Ne mancano quattro! Capito? Q-U-A-T-T-R-O! Mi hai inteso bene? Quattro!”, gli gridò a due centimetri dalla faccia.
“Hey… non ti scaldare!”, sbottò Tom, uscendo dalla stanza con la solita semplicità con cui era entrato.
“Che cane bastonato…”, disse Gustav.
“Ha scoperto qualcosa secondo voi?”, chiese Bill ai suoi tre complici.
“No, secondo me non ha capito niente nemmeno quando ha visto che infilavi i pass ed i biglietti dentro una busta e gli hai detto che li inviavi ad una tua amica in Finlandia.”, disse Gustav, sghignazzando, “E’ talmente rincoglionito che potevamo anche chiacchierarne davanti a lui senza che si accorgesse di niente.”
“Già… ma ancora ho dei dubbi… secondo me non verrà.”, disse Georg, mentre toglieva la pellicola da un sandwich al tonno.
“A me è sembrata molto… fredda… quando parlavamo al telefono sembrava fossimo dei perfetti sconosciuti.”, disse Bill, dopo aver sorseggiato un po’ dell’acqua della bottiglia aperta per Gustav.
“Se non verrà, né ora né dopo… Saremo costretti a sorbirci Pianta-Grassa-Tom. Sono tre mesi che se ne sta sempre a con la testa tra le nuvole… è insopportabile!”, esclamò Gustav.
“Lo spero anche io…”, disse Bill.
 

“Dove cavolo saranno… li avevo messi qui!”, esclamò Mac, mentre frugava nella sua borsa in cerca dei pass. Li aveva tenuti dentro la busta con cui Bill glieli aveva spediti. Qualche giorno dopo la partenza di Tom, dopo averlo pregato in tutte le lingue che conosceva, si era fatta dare il numero di Bill da Thiago. Poi lo aveva chiamato e, dopo qualche altra telefonata, avevano architettato quel piccolo piano. Aveva il numero di Tom, era stato lui stesso a darglielo… ma non voleva chiamarlo per fargli sapere direttamente che era tornata. Voleva fargli una sorpresa.
“Perchè non ti compri una mini borsa, di quelle che vanno tanto di moda adesso, invece di tenerti sempre quei contenitori di cadaveri alla Mary Poppins?”, le fece Thiago, spazientito.
“Eccoli! Meno male…”, disse, dopo aver tirato un sospiro di sollievo. Ce n’erano due, uno per lei ed uno per Thiago. La gente ancora era presente a flotte dentro lo stadio, ma non era difficile farsi strada, anche se controcorrente. Tutti uscivano, loro dovevano arrivare alle prime file.
Dopo essersi fatta spazio tra le ultime irriducibili che speravano in un ritorno sul palco del gruppo, Mac iniziò a sbracciarsi per attirare l’attenzione di qualcuno della sicurezza che le permettesse di scavalcare l’alta transenna. Dei dieci uomini che continuavano a sorvegliare il palco, solo uno fu attirato dalle sue mani svolazzanti, gli altri si limitarono ad ignorarla.
“Cosa c’è signorina?”, le domandò l’armadio a due ante davanti a lei, in inglese altamente tedeschizzato.
“Ehm… sono tedesca anche io.”, gli disse nella loro lingua comune, un po’ intimorita, mentre gli mostrava il pass.
“E cosa ci fa in mezzo alla folla?”, le chiese l’uomo, dopo averlo esaminato con cura per controllare che non fosse un falso fatto al computer.
“Beh… è una storia un po’ lunga…”, disse Mac, che non sapeva da che parte rifarsi. Soprattutto le ragazze vicino a lei la stavano guardando con occhi famelici. Per la serie ‘guarda quella stronza, ha un pass… se lo avessi visto prima glielo avrei rubato di mano… 
“C’è anche un mio amico. Anche lui ha il pass.”, gli fece poi, “Da dove entriamo?”
“Ma chi ve li ha dati questi?”, domandò lui ancora.
Mac gli fece gesto di avvicinarsi, di sporgersi verso di lei.
“Me li ha spediti direttamente Bill.”, gli disse, in un orecchio.
L’uomo scoppiò in una risata fragorosa.
“Ma non mi dire! Direttamente Bill!”, sbottò, continuando a ridere.
Thiago, rimasto qualche passo dietro a Mac, spazientito e scocciato per essersi intrufolato tra ragazzine sudate e puzzolenti, perse completamente il lume della ragione.
“Ascoltami montagna di muscoli senza cervello né pisello perchè ti sei talmente tanto imbottito di steroidi che sicuramente ti è caduto dentro al bagno quando te lo sei tirato fuori l’altro giorno per pisciare… se non ci fai passare, ti giuro che ti faccio licenziare seduta stante.”
L’uomo, lì per lì divertito dalla sua esplosione di rabbia, riconsegnò i pass e si scusò.
“Certo... Thiago.”, disse poi, “Andate in fondo a sinistra, si può entrare solo da lì.”
Mac si voltò verso Thiago, guardandolo stupita. Una volta che furono usciti dalla piccola folla, si tolse il dubbio
“Ti ha chiamato per nome?”, gli fece, fermandolo. Ancora non gli era passata l’arrabbiatura.
“Ci…. conoscevamo.”, disse poi lui.
“No, fermo…  ho capito tutto, non andare oltre.”
“Meno male che non c’è bisogno di parole per farsi capire da te..”, fece lui, mettendole il braccio intorno alla spalla.
Si avvicinarono verso il bordo sinistro del palco, dove un altro di quegli omoni ripetè loro le solite domande fatte prima a Mac. Esaminò con cura i pass, poi spostò lievemente la transenna e li fece entrare entrambi.

 

Ognuno aveva il suo camerino personale, ma tutti si trovavano sempre in quello di Gustav. Infatti, quando era entrato lì dientro c’erano tutti e tre. Lui, da un po’ di tempo a quella parte, preferiva rilassarsi nel suo, tranquillo e senza fastidi. Non lo aveva sempre fatto, ma erano due o tre settimane che sentiva sempre più il bisogno dei suoi spazi, della sua aria.
Crisi nei Tokio Hotel? Assolutamente no.
Crisi in Tom Kaulitz? Yes, of course.
Tre mesi.
Erano passati tre mesi da quando se n’era tornato dalle Seychelles.
In tre mesi, non l’aveva mai sentita, mai una chiamata.
Avevano lasciato che il tempo ed il destino facesse tutto al posto loro…
Ma soprattutto, non le aveva chiesto il suo numero. In questo modo, aveva passato tre mesi ad attendere una chiamata. O un messaggio. O anche un semplice trillo del telefono.
Non le aveva chiesto neanche un qualsiasi altro tipo di recapito. Idiota, idiota, idiota!
Eppure se aveva fatto i giusti calcoli, lei doveva essere tornata a casa in questi giorni. Forse avrebbe atteso che il tour del gruppo finisse per chiamarlo. Forse aveva perso il suo numero. Forse non lo voleva più chiamare né vedere.
Sì, sicuramente era per quello.
Steso sul suo divano, nel suo camerino, si mise a giocherellare con una palla da tennis, passandosela tra le mani e facendola volare sopra la sua testa.
Tre mesi in attesa.
Tre mesi passati un po’ così.
All’inizio era eccitato, quasi schizofrenico.
Poi la sua felicità per quella serata insieme si era lentamente affievolita.
Sempre di più.
Ora?
Rassegnato all’evidenza dei fatti.
Lei non avrebbe mai chiamato.

Toc toc toc.
“Chi è?”, chiese, stancamente.
“Sono io.”, gli fece Bill.
“Da quando in qua bussi alla mia porta? Entra andiamo…”, fece, alzandosi e mettendosi seduto. Suo fratello, completamente privo di ogni trucco e con i capelli malamente legati dietro la testa, prese una sedia e si sedette davanti a lui.
“Datti una svegliata.”, gli disse.
Tom, capendo subito di cosa si sarebbe trattata la conversazione, si ridiscese, sbuffando vistosamente.
“Lo dico per il tuo bene. Fatti una doccia, lavati per bene, e preparati. C’è l’after concert.”, gli disse.
“Non mi va.”
“Tom… ci saranno i giornalisti. Se vedono un’altra volta che non ci sei inizieranno ad inventarsi tutte le frottole sul gruppo in crisi bla bla bla!”
“Chi se ne frega! Noi lo sappiamo che non siamo in crisi.”, sbottò Tom, tornando alla sua pallina.
“Tom, te lo dico come se fossi nostra madre. Adesso ti alzi, vai a lavarti e a profumarti. . E mettiti dei vestiti asciutti!”, gli disse, sorridendogli.
“Che c’è da ridere?”, gli fece subito.
“Niente. Te l’ho detto, c’è l’after show. Sarà totalmente diverso da tutti gli altri."
“Andate voi… io sono stanco.”, disse, voltandosi verso lo schienale del divano e accoccolandosi per dormire tranquillo.
“Come ti pare, non insisto oltre.”, fece Bill, alzandosi, “Ma una cosa che ti raccomando è di lavarti. Tom, sei un insetticida vivente.”
“Così scaccio le mosche come te.”, borbottò, ad occhi chiusi. Sentì suo fratello lasciare il camerino e chiudere la porta lievemente.
Si tolse il cappellino, la fascia e si sistemò sul divano. Casualmente, il suo naso cadde sulla sua ascella.
“Gesù…”, esclamò, alzandosi dal divano.
Altro che insetticida… se fosse stato ad Hollywood lo avrebbero scritturato per ‘La vendetta dell’ascella pezzata’.
Si spogliò rapidamente e si infilò sotto la doccia, nel piccolo bagno del camerino. Cavolo, era impressionante quanto sudava durante un concerto. Se strizzava i suoi abiti, poteva risolvere il problema delle falde acquifere. Mentre l’acqua gli scorreva addosso, si chiese se era il caso di seguire gli altri all’after show… forse sì. Cosa ci avrebbe fatto lì dentro?
Tornò nel camerino e si vestì. Che caro manager che era David, che faceva trovare sempre dei vestiti puliti per loro, dopo ogni concerto, pensò sarcasticamente.
Davanti allo specchio, prese la fascia linda e profumata di detersivo alla lavanda e iniziò a legarla intorno alla testa.

Toc toc toc.
“Bill, lo sai che puoi entrare!”, disse seccato. La porta era alle sue spalle, il suo riflesso tappava completamente la sua visuale. Che caro era il loro manager David, che metteva nei loro camerini gli specchi così piccoli! La vide comunque di sfuggita aprirsi e richiudersi.
“Che c’è? Lo vedi che mi sto preparando per venire all’after concert? Cosa rompi ancora?”, gli fece.
Prese il cappellino che teneva fermo tra le ginocchia e lo indossò, cercando di infilare i rasta dentro alla piccola apertura sul retro.
“Non dici niente? Non è che  verresti ad aiutarmi?”
Sentì i passi dietro di sé.
Gli venne da voltarsi, era scocciante per lui non sentire la voce petulante di suo fratello rispondere alle sue domande.


Ecco come si era sentita Mac quando si era girata e lo aveva visto, durante l’eclissi.
“Ciao Kaulitz.”, disse lei.
Teneva le mani dentro al giubbino di pelle e gli sorrideva. Nei momenti in cui rimase totalmente interdetto, senza fiato né parole, la guardò fissa dentro i suoi grandi occhi scuri. Erano tornati luminosi e accesi, come lo erano prima. I suoi capelli non era più neri, né aveva più quelle lunghe treccine. I suoi capelli erano spettinati, non troppo corti. Biondi. Un ciuffo sbarazzino le tagliava lo sguardo a metà.
“Ho mantenuto la nostra promessa.”, gli disse.

 

 ***

 

Non sapeva se scegliere tra la rivista o la televisione.
La rivista se ne stava sul tavolino nero, incastrato tra i due divani, ed attendeva di essere sfogliata.
La televisione era statica su un telegiornale. Il telecomando era sul divano di sinistra.
La scelta era ardua: leggere l’articolo di giornale che parlava di loro? Oppure l’intervista che avevano rilasciato su Viva?
In un attimo, la decisione fu presa: spense la tv, afferrò una videocassetta anonima, la infilò nel videoregistratore, selezionò il canale corretto e premette rec. 
Si sedette pesantemente sul divano e prese la rivista.
Non poteva mica leggere e guardare la tv contemporaneamente.
“Bill! Sono le tre e mezza, mettilo su Viva!”, gli disse Tom, dal piano di sopra.
“Sto registrando, lo sto registrando!”, gli fece.
Rimirò per qualche minuto la copertina.
Lui e suo fratello, in prima pagina, l’uno di fronte all’altro. Un primo piano, di profilo, con sguardo lievemente minaccioso, l’uno negli occhi dell’altro. Le loro facce erano compresse tra il nome della rivista in alto, i titoli degli altri articoli ai lati, e quello della loro intervista in basso… ‘I Kaulitz svelano: le donne ci fanno impazzire!’
“Che titolo deficiente…”, sbottò.
“Bill! Ti ho detto di metterlo su Viva!”, gli gridò di nuovo Tom.
“E io ti ho detto che lo sto registrando! E poi, cazzo, ce l’hai o non ce l’hai la tv nella tua stupida camera?”, gli rispose arrabbiato.
“Ah… scusa, non avevo capito.”, rispose l’altro, abbassando il tono.
“Fratello idiota…”, borbottò.
“Ti ho sentito!”, gli fece Tom, scendendo le scale.
“Chi se ne frega… sto cercando l’articolo.”, gli disse.
Con un balzo, Tom si sedette accanto a lui.
“Cosa dice?”, esclamò, prendendoglielo dalle mani.
“Ridammelo!”, fece Bill, “Non si strappano le cose dalle mani degli altri.”
“Sssshh! Zitto…. Le donne ci fanno impazzire? Ma che cazzo di titolo è?”, esclamò, vedendo la copertina.
“Sì, lo so… fa pena.”
“Vediamo… pagina settantasei.”, lesse sull’indice e, velocemente, andò fino alla pagina.
“Lo ha scoperto?”, chiese Bill al fratello, dicendoglielo quasi in un orecchio.
“Ancora no… ma abbiamo i secondi contati.”
“Ok… vie di fuga?”, chiese Bill.
“La porta finestra che va in giardino.”
“E’ aperta?”
“Sì, l’ho aperta prima ma…”
La frase fu interrotta da qualcosa di animalesco.
Un grido che pareva provenire dalla giungla, dai reconditi meandri dei fiumi amazzonici.
Un rumore di passi frettolosi, lungo le scale.
“BILL! Ma soprattutto… KAULITZ!”, gridò Mac, con tutto il fiato che aveva in corpo.
I due, appena sentirono la sua voce straziata, ma soprattutto, incazzata, fecero volare in aria la rivista e, come previsto, fuggirono fuori dalla porta finestra.
“Dove… fermatevi all’istante!”, continuò a gridare Mac, in preda alla rabbia più nera. Chiusa nel suo accappatoio, scalza e mezza fradicia, lasciando impronte ovunque, prese a rincorrere i due fratelli, che stavano cercando di seminarla, correndo intorno alla casa.
Era stata un'idea di Tom: mettere quella polverina colorata nella loro doccia… ed attendere che Mac  ne uscisse fuori tutta completamente blu pastello.
“Se vi prendo… ma soprattutto se prendo te, Kaulitz…”, disse Mac, esausta per tutti i giri che aveva fatto intorno alla casa. Li aveva persi di vista, non poteva farci niente, anche se la casa aveva solo quattro lati, quei due erano sempre più veloci di lei.
Si sentì prendere alle spalle e, dopo un lieve gridolio, si trovò tra le braccia di Tom.
“Come sei bella tutta blu!”, le disse, beccandosi un sonoro ceffone sulla faccia.
“Sembro un puffo… spero che questo colore vada via.”
“Tranquilla… è per alimenti. Se ti fai una doccia normale va via subito.”
“Spero che non mi rimanga sui capelli… o ti strozzo con queste mie manine delicate.”
“Ricordati di chiamarmi brutto bagarospo mentre lo fai.”, fece lui, dandole un piccolo bacio sulle sue labbra bluastre.
“Andiamo dentro perchè ho freddo.”, disse Mac, chiudendosi dentro al suo accappatoio, “Sarà anche estate, ma non è che sia tutto questo caldo alle otto di sera.”
“Va bene.”, disse Tom, entrando dentro casa. Mac appoggiò la testa sulla sua spalla, sospirando.
Era la fine di luglio.
I concerti erano finiti.
Le interviste si erano concluse.
Erano di nuovo a casa. Sempre la stessa.
E quello era il primo giorno nel letto in cui, prima di separarsi, avevano dormito per un anno intero, in cui si erano abbracciati, in cui avevano fatto l’amore fino ad addormentarsi…
“Sai… questa casa non mi è mancata nemmeno un po’.”, disse Mac, mentre salivano le scale.
“E perchè?”, le domandò Tom, incuriosito.
“Perchè è troppo piccola, mi sento mancare l’aria….”, fece lei, ridacchiando.
Tom si fermò al quarto gradino, la guardò decisamente negli occhi e poi comprese.
“BILL!”, esclamò, incavolato.
“Tomi! Mi ha torturato!”, piagnucolò lui, che se n’era tornato sul divano, “Io non volevo dirglielo! Stava minacciando di storpiare la mia piastra…”
“Che palle! Una volta che riusciamo a tenerle nascosto qualcosa, ti metti a spifferare tutto!”, brontolò Tom, riprendendo la salita del piano.
“E dai, guarda che l’avevo già capito da un pezzo che avevate intenzione di cambiare casa, anche se non mettevo a penzolare fuori dalla finestra la piastra di tuo fratello… Non sono mica scema, se ti chiudi in bagno con il cellulare è logico che mi metta ad origliare!”, disse Mac, ridendo.
“Non c’è nemmeno un attimo di privacy in questo posto!”, protestò Tom, “C’è sempre qualcuno che si impiccia dei miei affari! Appena chiamo l’agente immobiliare gli chiedo se ha da vendere una casa da tre chilometri quadrati, così dovremo prenderci un appuntamento per incontrarci!”
"E' troppo facile svelare i vostri altarini, vi si leggono in faccia!” fece Mac.
“Già… purtroppo…”, sibilò Tom, che ci aveva tenuto tanto a farle quella sorpresa. Ma lei era sempre stata più sveglia di lui e l’aveva scoperto… cavolo! Davanti alla porta della loro camera, lei scese dalle sue braccia. Fece qualche passo, oltrepassò la soglia, ma la cintura di spugna del suo accappatoio rimase impigliata stranamente tra le mani di Tom…
“Lasciami.”, disse Mac, “Non vorrai mica farlo con un puffo?”
“Con un puffo no… ma con Puffetta sì!”, rispose lui, ridendo ed avvicinandola a sé.
Le dette un lungo bacio sulle labbra, chiedendosi come aveva fatto tutto quel tempo senza di lei. Non lo sapeva, aveva vagato nella nebbia, senza destinazione. Non si era mai dimenticato della sua voce, del suo respiro, del profumo dolce e quasi impercettibile delle sue labbra.
Fu lei a terminare quel piccolo quanto grande bacio.
“Come va la spalla?”, gli domandò, passandoci delicatamente una mano sopra.
“Tutto ok.”, rispose lui, sorridendole. Si era tagliato sulla scapola destra ed erano diversi giorni che la teneva fasciata. Era successo in un pomeriggio… “Adesso tolgo la benda. Mi dai una mano?”
“Kaulitz, lo sai che mi fa schifo il sangue!”, protestò Mac, rabbrividendo.
“Tranquilla, non ci sarà rimasto niente. Si sarà sicuramente rimarginata.”, disse lui, andando nel bagno della loro camera.
“Mh… vedremo.”, disse Mac, seguendolo.
Si tolse la larga e lunga maglietta che indossava, rivelando un rettangolo bianco, un cerotto, fissato sulla sua scapola destra.
“Vuoi che lo tolga? Ne sei sicuro? Lo sai che potrei svenire…”, gli chiese, guardando il suo riflesso nello specchio.
“Per caso sono un contorsionista del Cirque du Soleil?”, le fece lui, che non poteva arrivare a staccare via il cerotto.
“Ok…”, fece Mac, chiudendo gli occhi. Afferrò un lembo del rettangolo e, cercando di non rabbrividire, iniziò a tirarlo lentamente.
“Magari se ti dai una mossa mi eviti questa tortura…”, disse Tom, che si sentiva tirare la pelle.
“Va bene.”, esclamò Mac, strappandogli via del tutto il cerotto con un colpo, come se dovesse depilarlo. Tom represse un gridolino di dolore mordendosi le labbra.
“Sei delicata come un ippopotamo obeso.”, le disse. Poi, vedendola ancora con occhi e denti stretti, e il cerotto penzolante in mano, “Puoi anche guardare se è tutto a posto…”

 

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Out beneath the arms of Cassiopeia

Where the sword of Orion sweeps

It's me and you, Rose, cracklin' like crossed wires

And you breathin' in your sleep

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Mac lo lesse sulla sua scapola destra.
Non si era mai tagliato.
Non era mai stato all’ospedale a farsi medicare.
Si era fatto tatuare quella bellissima frase sul suo corpo.
Rimase a bocca aperta.
“Almeno questo sono riuscito a non fartelo sapere prima del tempo.”, disse Tom, guardando la sua faccia smarrita quanto infinitamente sopresa sullo specchio. Si voltò verso di lei e le prese il viso tra le mani.
Ich liebe dich, Rose.

 Quello fu il 'Ti amo' più vero che ebbe detto in tutta la sua vita.
Dopo ne vennero molti altri, tantissimi nuovi 'Ti amo' ancora più grandi e importanti di quello.

Ma questa è un'altra storia.
E dovrà essere raccontata un'altra volta.

FINE

 

 


Long time coming – Bruce Springsteen
Di nuovo milioni di grazie a Sara che mi ha consigliato, ancora una volta, per la colonna sonora di questa storia.

Beh, cosa mi rimane da dire se non che sono giunta alla fine per la terza volta... E ULTIMA!!!! Essì, dopo tre capitoli su Mac e Tom, posso dire che i due vivranno insieme per sempre felici e contenti... a modo loro, ovviamente! XD mica si ameranno tutti i giorni! Si odieranno, si baceranno, si lasceranno, torneranno insieme... sono Kaulitz&Rose, chi li capisce? XD 

Come posso non ringraziare ognuna di voi che avete recensito questa storia, l'avete messa tra i preferiti oppure che l'avete letta semplicemente? Mi ha fatto veramente piacere trovare, in ogni capitolo, un nome nuovo tra voi recensitrici (o recensitori, se ce ne sono! XD). 

Con questo nuovo anno che buoni propositi avete? Io ne ho almeno un paio: la dieta e... tornare presto con una nuova storia! XD Ne ho almeno due che corrono su binari paralleli, un giorno scrivo di questa, un giorno dell'altra... chissà quale delle due comparirà nelle prossime settimane? XD

Quindi, dopo questa piccola anticipazione, non mi resta altro che augurarvi un buon post-befana! XD Spero che questa storia vi sia piaciuta almeno tanto quanto le altre, credo di aver fatto un buon lavoro, poi non so, ditemi voi! XD

Vi confido un piccolo segreto... siccome me la tiro da morire, allora non riesco a ringraziarvi tutte personalmente! XD questa grandissima scrittrice di fanfiction quale sono io non ha il tempo per abbracciarvi tutte e darvi una pacca amichevole sulla spalla... XD ok, basta basta, ripongo il mio superego nell'armadio polveroso di Mac...

Ad ogni modo, se potessi vi prenderei davvero a sonori baci sulle guance per ringraziarvi del vostro sostegno! WOW 160 recensioni con il penultimo capitolo! Che bel traguardo! Me lusingata... sniff sniff... Insieme ai ringraziamenti alle mie recensitrici di fiducia, ringrazio anche tutte quelle che hanno messo questa storia tra i preferiti! Faccio un grazie generale, dato che sono pigra nell'anima! Spero di non aver diimenticato nessuno...

alanadepp -  hey, dove sei finita! XD
anna9223 - grazie mille anche a te! un bacione!
Bell_Lua
CowgirlSara - sabato mi hai fatto morire dalle risate! siete dei miti!!!!
dark_irina
Fly
Freiheit
Goddes of Water
Gufo - graziegraziegrazie!
KellyKay
kit2007 - hey, ciao! grazie anche a te!
Kltz
Ladynotorius
MissZombie - sista yo! e non ho altro da aggiungere!
Muny_4Ever
Nahema
Nana Punk
PallinaTH
picchia - ciaociao! e mille grazie!
Quoqquoriquo - mancano le tue recensioni sempre obiettive e precise XD
revege
Saphira87
sara88
Sarakey - ciao londinesina!
sososisu - giuls, anche io voglio una storia come la loro! XD
starfi - heylà! ciao pure e a te! e grazie ancora!
stella_tokiohotel
SweetPissy - e chi li separa più questi due!
Tokiettine Hotel
tommina
Vanellerine
Yaoi4ever
zigo_puff

Ci sentiamo ragazze, alla prossima! Un bacio, RubyChubb

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