Time and Destiny - Quando l'amore brucia l'anima di RubyChubb (/viewuser.php?uid=11150)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nothing lasts forever ***
Capitolo 2: *** Things will never be the same again ***
Capitolo 3: *** Distances between us ***
Capitolo 4: *** Come and save me tonight ***
Capitolo 5: *** SX & triangles ***
Capitolo 6: *** Guilty Innocence ***
Capitolo 7: *** Let the show begin ***
Capitolo 8: *** Magnets ***
Capitolo 9: *** Heart's Left Side ***
Capitolo 10: *** Forgotten... not forgiven ***
Capitolo 11: *** Soak up the sun ***
Capitolo 12: *** Total Eclipse ***
Capitolo 13: *** No Regrets ***
Capitolo 14: *** Fake Japanese Love ***
Capitolo 15: *** Nur Reden ***
Capitolo 16: *** Till We Ain't Strangers Anymore ***
Capitolo 17: *** Long Time Coming ***
Capitolo 1 *** Nothing lasts forever ***
Ebbene sì…
Ebbene sì… Ebbene sì…
Avevo detto che
non lo avrei fatto…
Ed invece l’ho fatto… Questo è il seguito di 'Last
night a rocker saved my life (but not my broken heart)' e di 'Rock my life'... La coppia Mac e
Tom...
Non dirò altro,
solo che spero che vi piaccia anche più degli altri due capitoli!!! E che mi
recensirete il doppio, ovviamente, ma questo lo dico sempre!
Per la
vostra felicità.... cioè, anzi, diciamola così, ho dovuto mettere ROSSO come
rating, purtroppo... e capirete perchè...
Quindi, che lo
spettacolo inizi!
With love -
RubyChubb
DISCLAIMER: i personaggi
qua sotto citati, esclusi quelli di mia invenzione, non sono stati utilizzati
per scopo di lucro. Né intendo dare con questa storia rappresentazione veritiera
delle loro vite. Se, in fondo ad ogni capitolo, non ci saranno disclaimer su
personaggi, canzoni, o quant’altro inventato da altri citati nel chap, si
considerano comunque ‘no scopo di lucro’.
1. NOTHING LASTS FOREVER
Andò con
noncuranza verso la porta, grattandosi la gamba. Sbadigliò, senza mettersi la
mano davanti alla bocca. Starnutì, come faceva sempre appena sveglia. Beh, era
pomeriggio inoltrato… una dormita un po’ troppo lunga, ma necessaria, se andava
a letto alle cinque del mattino.
Passò davanti a tre porte: un’altra camera, un bagno, camera degli ospiti….
Qualcosa la bloccò…
La fece tornare indietro, sui suoi passi.
Uno, due, tre quattro passi indietro, davanti alla porta del bagno.
Una cosa fastidiosa, talmente insopportabile, così indescrivibilmente odiosa le
entrò come una trave dentro l’occhio.
La tavoletta
del gabinetto alzata.
Decise che era da troppo poco tempo in piedi per potersi arrabbiare.
Uno, due, tre, quattro passi avanti.
Poi un altro oggetto la spinse a indietreggiare.
Un paio di mutande penzoloni sul bordo della vasca.
Si era appena svegliata, non poteva farsi montare l’incazzatura per quel cazzo
di paio di cazzose mutande su quel cazzo di bordo della vasca.
Uno, due,tre… nemmeno il quarto passo in avanti.
Tornò di nuovo indietro, in cerca di qualche altro pugno nell’occhio.
Scarpe da ginnastica puzzolenti vicino al lavandino.
Quello era troppo. Non era semplicemente la classica gocciolina che faceva
traboccare il vaso. Era il macigno che si staccava dal fianco della montagna e
cadeva direttamente dentro al bacino artificiale e squarciava completamente la
diga, portando via tutto nel raggio di circa trenta chilometri.
Prese le mutande. Prese le scarpe.
Uscì dal bagno.
Si ricordò della tavoletta.
Tornò nel bagno e la abbassò.
Visto che c’era, tirò anche lo sciacquone.
Tornò fuori dal bagno, con in braccio il risultato del suo pessimismo
quotidiano, e andò nella camera da letto. Con la mano rimasta libera scostò la
tenda nera, facendo entrare il sole di settembre dentro la stanza.
Un gorgoglio sotto le coperte. Una richiesta di pietà. Voleva dormire ancora…
solo cinque minuti.
“Cinque minuti…”, ripetè lei, mentre si stropicciava il naso. Quando il
naso pizzicava, era segno che una bella litigata era in arrivo…
“Dai… ti prego… abbiamo fatto tardi ieri sera.”
“No… tu hai fatto tardi. Io volevo tornarmene a casa presto. Stamattina avevo
un colloquio, meno male che ho potuto spostarlo a domani.”, disse lei. Si stava
quasi dimenticando delle scarpe e delle mutande che aveva in mano, “E comunque…
questa roba qua! Lo sai qual è il suo posto!”
"E che palle… erano le cinque di notte! Chiudi un occhio almeno per questa
volta!”, disse lui, scostandosi definitivamente le coperte dalla faccia.
“Te lo chiudo io uno occhio… Kaulitz!”, esclamò lei, prendendo una scarpa e
iniziando picchiarlo sulle gambe, ma non troppo forte. Anche se a volte avrebbe
voluto strozzarlo con le sue mani… poi non riusciva mai a farlo!
“No… smettila! Basta! Mi fai male!”, disse Tom, cercando di fermarle le mani,
“Sei una serpe Rosenbaum!”
***
Non ci poteva
credere.
Quello che si era promessa di non fare mai e poi mai, all’inizio della loro
storia tormentata, che sapeva tanto di telenovelas, era concedersi alla stampa.
Cioè, era lui quello famoso, lei era la ragazza di provincia. E come si diceva
popolarmente, lei era la grande donna (dietro) del grande uomo. Grande… era Tom
Kaulitz, non John Fitzgerald Kenney o Orson Welles.
Ma cosa ci poteva fare? Già dopo due mesi che si frequentavano, iniziavano ad
essere pubblicate fotografie di una strana e infida ragazza che si intrufolava
in casa Kaulitz… e non era la signora che faceva loro le pulizie. Poi uno
scatto di un bacio rubato in macchina, davanti alla casa di questa ragazza. E da
li si seppe tutto: nome, cognome, data di nascita, professione… insomma, la
carta di identità di Mackenzie Rosenbaum pubblicata su tutti i giornaletti
stupidi delle ragazzine.
Domande idiote all posto di lavoro, sguardi strani dei suoi amici… poi qualche
fotografo che si piazzava sotto casa sua. Occhiatacce delle ragazzine che
incontrava nei centri commerciali. Paroline poco amorevoli alle sue spalle.
Insomma, non era da tutti i giorni vedere la propria faccia pubblicata sul
giornale! E non era da tutti i giorni essere odiata da delle perfette
sconosciute. E non era nemmeno da tutti i giorni trovarsi una lettera di
minacce, scritta con le lettere tagliate dai giornali, infilata nella cassetta
della posta.
Ma quando iniziò a diventare paranoica, non per le minacce verbali, ma per gli
scatti dei giornalisti, decise che era meglio dare retta a Tom. Cambiare casa.
Lasciare la casa che aveva acquistato, lasciare il mutuo che le pendeva come la
spada di Damocle sul collo, lasciare la terribile vicina di casa e tutti i suoi
gatti che le facevano venire l’allergia…
Per andare dove?
Ma
che bella idea! Fare bagagli, valige, scatoline e scatoloni, prendere tutta la
propria vita e impacchettarla con i vecchi giornali.
Lo odiava.
Le era bastato farlo quando si era trasferita dalla vecchia casa di sua zia a
quel suo appartamento. E aveva sperato di non farlo mai più. Ma cosa aveva
potuto dire quando un paio di occhioni castani le avevano chiesto, prendendole
teneramente la mano, di andare a vivere con lui? Cosa aveva potuto dire, se non
sì…
“Cosa?!? Non ci penso nemmeno a venire a vivere con te! Già litighiamo
ottantasei ore su ventiquattro!”, disse Mac a Tom, “Non voglio finirmi la bile!”
“Ma senti cosa devo sentire… sei proprio… sei proprio…”, disse lui,
infiammandosi.
“Sono ragionevole Kaulitz.”, disse lei. Ancora lo chiamava in quel modo. Non
era capace di chiamarlo Tom… E lui non poteva chiamarla in altri modi se non
Rosenbaum, oppure Rose, se proprio voleva essere romantico.
Lui aveva scosso la testa, calcandosi il capellino sulla fronte. Era segno che
la discussione era finita per lui, che non sarebbe più stato a sentirla. Poi
lei lo aveva preso per la mano, tirandoselo verso di sé.
“Sei proprio sicuro di quello che mi stai chiedendo?”, gli disse dolcemente,
guardandolo negli occhi.
“Certo che sono sicuro… nessuno sa che abitiamo qui. Così staremo tutti più
tranquilli e tu non sarai assediata da ragazzine idiote e dai fotografi.”
Mac, che per un attimo aveva sperato di sentire quelle determinate parole,
rabbuiò il suo viso.
“Ah! E’ così? Allora tu non me lo stai chiedendo perchè vuoi vivere con me,
perchè mi ami… ma solo perchè vuoi togliermi da un impiccio!”, fece, esplodendo
di nuovo.
Era così.
Finita una litigata, ne iniziava un’altra.
Ma tutti sapevano che la catena non si sarebbe spezzata molto facilmente. Lo
sapeva anche Bill, che viveva insieme a loro. Da quel famoso natale, aveva
assistito a tutte le loro discussioni casalinghe ed aveva alzato il volume del
televisore, passivamente, come fanno i figli durante i bisticci dei genitori.
Oramai ci era abituato! E non gli dispiaceva che Mac fosse venuta a vivere
stabilmente in casa sua. Da quando c’era lei aveva notato il profondo
cambiamento di Tom e ne era rimasto molto contento. Almeno lei riusciva a
metterlo in riga!
Accanto ai Tokio Hotel, aveva affiancato una prosperosa carriera televisiva,
accoppiato con quel gran pezzo di gay quale era Thiago, il migliore amico di
Mac. Avevano creato insieme una serie televisiva di successo, chiamata
‘Primadonna ed Io’, in cui entrambi recitavano. Il protagonista non era Bill,
che interpretava un modello esasperato di se stesso, cioè il cantante famoso e
le sue crisi da star, ma Thiago, il suo manager ad alto potenziale omosessuale
e le strane vicende che ogni volta si creavano tra i due ed il mondo dello
spettacolo. Era un telefilm molto seguito e la seconda serie, che era stata
trasmessa fino all’inizio dell’estate, aveva visto la partecipazione di
numerose star del jet set tedesco, ma anche internazionale, che interpretavano
se stesse o personaggi ‘anonimi’, creando gag abbastanza esilaranti, di solito
basate sul non sense e sui fraintendimenti.
Insomma, la casa dei Kaulitz era diventata una specie di porto franco. Grande
com’era, riusciva ad ospitare benissimo i due fratelli, Mac ed anche Thiago,
che vi risiedeva nei periodi in cui c’era da lavorare in terra germanica.
L’unico piano in comune era il piano terra: il secondo era riservato a Bill e,
eventualmente, c’era la camera di Thiago. Il terzo era di Tom e Mac. Anche i due
fratelli avevano deciso di spostarsi dalla vecchia casa, per trovarne una
spaziosa abbastanza per tutti loro.
Oramai, aveva visto qualsiasi scena davanti ai suoi occhi: Mac che minacciava
Tom con un mestolo di legno, Tom che si ribellava rincorrendola per tutto il
giardino con un tubo di plastica per annaffiarla… Thiago che si disperava
perchè aveva finito la ceretta per i suoi peli del petto…
Insomma, casa Kaulitz poteva diventare una sit-com.
Dal successo assicurato.
D’altronde, come era sempre stato.
Ma Mac ancora non poteva raccapezzarsi, non riusciva a ripercorrere quel
procedimento logico che l’aveva portata a dire sì a quell’intervista
fotografica. Due settimane prima Tom aveva ricevuto una chiamata da una rivista
di moda. In principio, aveva chiesto per ben tre volte se avessero chiamato il
Kaulitz giusto, dato che era sempre Bill ad essere contattato da giornali del
genere. Poi, accertatosi che era Tom che volevano, aveva domandato quale fosse
stata la questione da sottoporgli.
“Volevamo fare un’intervista a lei ed alla sua fidanzata Mackenzie, corredata
anche da un servizio fotografico… non so se legge la nostra rivista, ma
facciamo molti di questi servizi.”
“Beh… sì… la leggo.”, disse lui, mentendo profondamente.
“Ecco, ci chiedevamo se eravate disponibili… magari nelle prossime settimane.
Volevamo pubblicarla per il mese di novembre.”
“Dovrei sentire
lei… comunque non credo che sarà d’accordo.”
“Forse sapere che molte delle nostre lettrici ci hanno scritto dicendoci che
trovano lo stile di Mac come un modello da seguire l’aiuteranno a cambiare idea
a nostro favore.”, disse con voce suadente la ragazza con cui stava parlando.
Beh, un tempo avrebbe subito pensato ad una determinata cosa. E quel tempo era
tutt’ora attivo, tranne che lo nascondeva abilmente. Anche se era, diciamo,
fidanzato (oh, che brutta parola) sapeva qual era il bene e qual era il male.
Poi riflettè… Mac come modello? In che senso?
“In che senso scusi?”, chiese.
“Beh, mi dispiace, non volevo offenderla.”, disse subito la ragazza, notando un
certo fastidio nella voce di Tom.
“Assolutamente… volevo sapere che tipo di modello era Mac… mi suona così
strano…”
“Un modello nel senso del suo modo di essere, di vestirsi… così normale, così
semplice, così uguale a tutte le altre.”
Se Mac avesse sentito quelle parole, si sarebbe imbufalita, pensò.
“Ho capito.”
“Essere come lei e stare con una star come Tom Kaulitz… beh, da molta speranza
a tutte le donne di questo paese!”, disse lei, ridendo quasi maliziosamente.
“Ok… glielo proporrò.”
“La richiamerò domani.”, disse la ragazza, prima di agganciare.
La
risposta di Mac lo sorprese… o forse no.
Cioè, Mac che diceva di sì ad un servizio fotografico concentrato sulla loro
storia… questo era strano.
Mac che sorrideva al sapere di essere un modello per alcune delle lettrici di
quella rivista… questo non era strano. Era una donna e le lusinghe facevano
sempre effetto.
Eppure fu molto contento nel vederla a sua volta felice.
“Davvero vuoi farlo?”, le chiese.
“Certo… beh, non sarò abituata ad una cosa del genere, ma oramai è quasi un
anno che stiamo insieme.”
Già… un anno, pensò Tom. E che anno! Se c’era una cosa di cui non poteva fare a
meno era lei. Sì, questo era molto molto strano. Potevano litigare come pazzi,
tirarsi dietro gli oggetti… ma alla fine non poteva resistere al suo sorriso.
C’erano dei giorni in cui non voleva saperne di lei, perchè si erano offesi
così tanto che aveva bisogno di respirare aria pulita. Potevano passare giorni
senza vedersi: lei, di solito, infilava qualcosa dentro uno zaino e se ne
andava in un albergo. Ma poi tornava, o era lui a pregarla di tornare. Quante
volte Bill gli aveva dato del rammollito, si disse, ma poi aveva sempre
concluso la frase con: ‘Adesso mi piaci. Non come prima che sembravi una
trottola.’.
Una volta si era davvero preoccupato… dopo un concerto, ad un after show, aveva
ecceduto con l’alcol e una delle ragazze che gli giravano intorno si era
avvicinata un po’ troppo. O meglio, lui si era avvicinato un po’ troppo a lei.
Mac, che non aveva previsto di essere nei dintorni, li aveva beccati a baciarsi
in un angolo, in disparte ma sotto gli occhi di tutti. L’avevano chiamata
contemporaneamente, al telefono, Bill, Georg e Gustav.
Quella volta lei aveva impacchettato tutti i suoi vestiti, dal primo all’ultimo,
e se ne era tornata a vivere da sua madre. Non rispondeva al telefono e non
aveva dato a nessuno, nemmeno il suo recapito. Un mese intero chiusa in casa,
lontana da tutti e anche dal suo lavoro. Oramai era diventata una free lance ed
aveva solo un piccolo contratto di collaborazione con una rivista di musica,
che spesso la contattava per servizi, appunto, sui Tokio Hotel. Era una
fotografa indipendente, quindi nessun orario di lavoro se non quello che
decideva lei.
Un mese in solitario, a fare la casalinga da sua madre e da suo padre, che
puntualmente le ricordavano quanto fosse sbagliata quella sua relazione.
Formalmente, non aveva mai presentato Tom ai suoi: virtualmente non ce n’era
bisogno, sapevano chi era e a loro non piaceva affatto, ma più che altro era a
lei che non interessava farlo. Non c’era un motivo specifico, solo non le
andava.
Un mese in solitario, Tom e Bill. Fu Bill ad implorare Thiago di contattare
Mac, in un modo o in un altro, perchè non sopportava più quel campione olimpico
di lamenti di suo fratello.
“Allora dici di sì? Vuoi davvero fare questa intervista?”, le chiese di nuovo,
per conferma.
“Sì, va bene.”, ripetè Mac, e gli dette un bacio.
“Facciamo
prima l’intervista o il servizio fotografico?”, chiese loro una signora sulla
quarantina, ma molto giovanile nel suo abbigliamento elegant-casual.
“Beh… non saprei…”, disse Mac, stringendosi tra le braccia, “E’ lui quello
abituato ai giornalisti.”
“Ma non sei anche tu una fotografa? So che spesso viene ingaggiata anche come
intervistatrice…”, le domandò la donna.
“Sì… vabbè, facciamo prima l’intervista.”, disse Mac, che non era interessata a
sciogliere quel ginepraio di pensieri che le stava tempestando la mente. Al
sentire le sue parole, alle loro spalle il team del fotografo si dette automaticamente
una pausa, spegnendo le luci di scena e lasciando il set, composto
semplicemente da un telone bianco e da luci neutre.
“Va bene… sedetevi qua, nel frattempo vado a prendere da bere.”, disse la
donna, indicando loro un comodo divanetto, fronteggiato da una poltrona.
“Stai calma… vedrai, andrà tutto bene.”, le disse Tom in un orecchio, “Non
essere così nervosa.”
“Di solito sono io a fare le domande e le fotografie…”, fece Mac, mettendosi i
capelli biondi dietro alle orecchie e nascondendo le mani dentro alle maniche
del suo pullover color lilla. Non era il suo colore preferito, ma andava
dannatamente bene con la sua gonnellina a pieghe ed i suoi anfibi al ginocchio,
come l’avevano consigliata contemporaneamente Bill e Thiago.
“Quest’aria da punk perbenista… un’evoluzione nel tuo look!”, aveva affermato
Thiago, mentre le aggiustava il colletto della camicia bianca, che spuntava
fuori dal maglioncino, “Hai abbandonato quegli orripilanti pantaloni a
quadretti, vero? Facevano così misto barbona…”
“Misto barbona?!”, ripetè Mac, quasi offesa.
“Sì… insomma, ti ho portato un bel paio di shorts firmati
Dannatament&Gnocca! Te li sei mai messi?”, fece lui. Con quel
Dannatament&Gnocca indicava una celeberrima firma italiana, composta dalle
prime due lettere dei cognomi dei due stilisti, e che lui aveva abilmente
riadattato.
“Thi…. Sembrano dei boxer….”, fece Mac, incrociando le braccia. Erano talmente
corti che sembravano mutande, “Tom li ha scambiati per un paio di sue mutande e
se li è portati per un mese prima che me ne accorgessi.”
“Siete degli assassini! Avete ucciso la moda!”, esclamò l’altro, infuriato per
la disaccrazione che quei due avevano fatto al nome del buon gusto.
“Calze nere, calze a rete, calze decorate… o calze colorate?”, chiese Bill,
portando alcuni esemplari dei collant di Mac.
“Colorate… a righe!”, disse subito lei, prediligendo le sue calze preferite.
“Assolutamente sbagliato!”, esclamò Thiago, assumendo l’espressione del
celeberrimo urlo di Munch, “Calze a rete.”
“Ti sembro una prostituta?”, disse Mac, disgustata dalla scelta.
“Ok… calze decorate… la rosa laterale va bene.”, fece l’altro, spulciando tra i
collant e scegliendone un paio liscio sul davanti, con delle rose ricamate sui
lati.
“Molto
bene.”, disse la donna, premendo il pulsante record sul suo registratore e
appoggiandolo sulle sue gambe, “Iniziamo l’intervista con te, Mackenzie.”
“La prego, Mac. Mi chiami Mac.”, disse la ragazza.
“Va bene Mac… mi parli pure brevemente di sé stessa. Sa, ho letto qualcosa per
preparare l’intervista e non sono riuscita a distinguere realtà dalla
fantastia.”, disse la donna.
Era vero, sui giornali che avevano pubblicato articoli su loro due si poteva
leggere di tutto: da Mac spogliarellista in un night club, a dolce commessa di
negozio per bambini. Insomma, un mucchio di cazzate che le avevano fatto
perdere la pazienza più di una volta ma, su consiglio di Tom, che era abituato
a vedere pubblicate storie incredibilmente false sul suo conto, aveva imparato
a dargli l’importanza che si meritavano.
“Beh… cosa posso dire. Mi chiamo Mackenzie Rosenbaum, ho ventisette anni.”
“Ventisette?”, chiese la giornalista, interrompendola.
“Sì… ho un anno, quasi due, più di Tom…”, disse Mac, voltandosi per guardarlo.
Lui le sorrideva dolcemente e, con il braccio che le cingeva la vita, le faceva
un lieve solletico sul fianco. Anche lui si era sottoposto alle ‘cure
estetiche’ di Bill e Thiago, che gli avevano tassativamente proibito di
mettersi cappellini e fasce varie, che avrebbero coperto i suoi rasta, già
lunghi sotto al suo orecchio, tantomeno di indossare abiti di taglie più grosse
della sua. Contrattando aspramente per più di mezzora, aveva accettato di
indossare un maglioncino nero aderente a collo alto, a patto di farlo
contrastare con i pantaloni extra large vecchio modello.
“Devo ammettere che proprio non si nota questa differenza.”, disse la
giornalista.
“Beh… grazie.”, disse Mac, arrossendo, “Comunque, tornando al discorso, sono
una fotografa indipendente, ma continuo a collaborare saltuariamente con la rivista
‘Rock On’. Soprattutto vendo loro servizi sui Tokio Hotel.”
“E su chi sennò.”, disse Tom, facendola sorridere.
“Beh, mi hanno anche chiamato per fare uno speciale sui Muse e devo dire che mi
sono divertita più con loro che con voi!”, disse Mac.
“Che traditrice…”, fece Tom, giocando con la sua affermazione e facendo
sorridere anche la giornalista.
“Ha fatto anche altri lavori?”, domandò poi la donna.
“Sì, sono stata assistente sottopagata di redazione in una rivista che oramai
non pubblica più niente… o forse ha cambiato nome, non so. Comunque si chiamava
‘Pop my life’. Poi ho anche lavorato in un locale come guardarobiera, prima di
buttarmi nella fotografia.”
“Bene… penso che possa bastare come inizio… andiamo avanti, come vi siete
conosciuti? C’è chi dice che vi hanno presentato ad un party…”
“No, non è vero. Ci siamo conosciuti quando lei lavorava per ‘Pop my life’.
Venne con una giornalista della redazione, faceva la sua assistente… fu un
momento abbastanza esilarante!”, disse Tom, sorridendo al ricordo di quei
momenti, “La giornalista la lasciò improvvisamente da sola e lei non
sapeva più che pesci prendere!”
“Le era nato il suo primo nipote…”, disse Mac, “Quanti anni fa è successo?”
“Otto lunghissimi anni fa.”, fece Tom.
“E da quel momento state insieme?”, chiese la giornalista.
“No no, ne è passato di tempo prima di compiere questo passo …”, disse Mac.
“Sì, è vero. Dopo quell’intervista siamo diventati tutti suoi amici poi, per un
motivo o per un altro, non ci siamo più visti per sei anni. Ci siamo incontrati
per il matrimonio del nostro Georg.”
“Sì, e abbiamo ripreso la nostra amicizia.”, continuò Mac.
“Poi un altro anno separati.”
“E poi ci siamo…”
“Conosciuti approfonditamente,”, disse Tom, ridendo, “la notte di Natale.”
“Ci siamo ritrovati per Natale, è vero!”, fece Mac, ripensando a quella festa,
tenutasi nella vecchia casa di Tom.
“E come mai tutte queste separazioni?”, venne automaticamente da chiedere alla
giornalista.
“Beh… penso che sia stata un po’ per colpa di entrambi.”, disse Mac.
“Ma vi siete piaciuti subito?”
“A dire il vero no, almeno non per me.”, disse Mac, “Sinceramente non avevo mai
posato gli occhi su di lui. Il nostro rapporto era sempre venato di molto
sarcasmo e molta ironia, ci becchettavamo sempre.”
“Almeno non per te? Significa che non è stato lo stesso per Tom.”, sottolineò
la giornalista, deducendolo dalle sue parole.
“Infatti… sì, mi era piaciuta da subito, mi aveva molto colpito. Ma avevo solo
diciassette anni e non lo compresi subito. Poi quando ci siamo incontrati di
nuovo… insomma, ci siamo scoperti a vicenda.”
“Vivete insieme?”
“No.”, disse Tom. Mac, che avrebbe risposto di sì, si voltò a guardarlo,
nascondendo il suo stupore. Sicuramente lo aveva detto per un motivo ben
preciso, pensò.
“No, non abitiamo insieme.”, disse Mac.
“Mac, questa domanda è rivolta direttamente a te. Sai che molte fans di Tom non
ti vedono molto di buon occhio?”, le domandò la giornalista, “Mi azzarderei
quasi a dire che per loro sei come fu Yoko Ono per i fans dei Beatles… la
rovinatrice dei Tokio Hotel!”
“Sì, è una cosa che ho capito poco dopo che abbiamo iniziato a frequentarci. Ma
sinceramente non mi interessa più di tanto. Io non sto rovinando nessuno.
Possono pensare ciò che vogliono.”
“Non sei gelosa affatto?”, le domandò Tom, scherzosamente.
“Per me puoi avere tutto il mondo ai tuoi piedi. L’importante è rigare diritto,
Kaulitz.”, gli rispose Mac, a metà tra il serio e l’ironico, dandogli un
colpetto sulla mano.
“Me la sono meritata…”, fece Tom.
“Già…”, disse l’intervistatrice, “Non la spaventano le sue fans, che hanno
messo in piedi un sito contro di lei, Mac?”
“Davvero? Ho un sito internet tutto mio senza saperlo?”, fece lei, “Tu lo
sapevi?”
“No, proprio non lo sapevo.”, rispose Tom, cadendo dalle nuvole come lei.
“Sì ed è visitato quotidianamente da più di diecimila persone.”, precisò la
donna.
“Oh cavolo! Sono famosa!”, esclamò Mac, sarcasticamente.
“Stanno facendo una petizione per farvi lasciare.”, disse la donna.
“Se non sono sufficienti le nostre litigate a farci lasciare… figuriamoci una
petizione!”, disse Tom, ridendo.
“Litigate spesso?”
“Sì, abbastanza.”, disse Mac, che avrebbe preferito tenere nascosto quel
particolare, “Il più delle volte solo per stupidaggini.”
“Come si dice? L’amore non è bello se non è litigarello.”, disse la
giornalista, sorridendo, “E come sono le vostre discussioni?”
“Beh… come vuole che siano…”, disse Tom, infastidito da quell’ovvietà,
“Litighiamo, ci prendiamo a parole…”
“Ci tiriamo dietro le cose.”, aggiunse Mac, quasi sussurrandolo, mentre faceva
la gnorri guardandosi intorno.
“L’ultima volta mi voleva buttare dentro la piscina.”, disse Tom.
“E la volta precedente mi ci hai spinto tu dentro.”, precisò Mac.
“Amore violento?”, disse la giornalista.
“No!”, risposero entrambi, contemporaneamente.
Come no… altro che sì.
L’intervista si concluse di lì a poco, dato che né Tom né Mac volevano
rispondere a domande troppo… piccanti. Cioè che riguardavano la loro vita molto
privata. Tom fu contento di rispondere a domande che riguardavano il suo
lavoro: anche lui, come Bill, accanto ai Tokio Hotel aveva affiancato
un’attività che aveva a lungo sognato, negli ultimi tempi, ossia produrre altre
band. Mettersi in sala registrazione e maneggiare su quei pulsanti, decidere
quanta chitarra aggiungere, togliere un po’ di basso, mettere più rullante…
Poteva sembrare un lavoro facile, ma dividersi tra il proprio gruppo e un altro
di cui si era fatto ‘mentore’ non era per niente un gioco da ragazzi. Ma gli
‘Asian Fever’, musicisti divisi tra rock e melodie hip hop, gli rubavano quasi
più tempo dei Tokio Hotel.
La giornalista
li ringraziò per il tempo concessole e li lasciò nelle mani del fotografo.
“Come sono andata?”, gli domandò Mac, “Bene?”
“Certo che si.”, disse lui, schioccandole un bacio sul collo, “Sei andata
benissimo Rosenbaum.”
“Credi che la giornalista traviserà completamente le nostre parole? Scriverà
tutto quello che non le abbiamo detto?”
“Forse sì, ma se ci prova la strozzo.”, disse Tom.
“Bene bene bene!”, esclamò il fotografo, “Un po’ di trucco!”
I due ragazzi si trovarono assediati da spugnette di cipria e da spazzole nei
capelli, spuntate improvvisamente alle loro spalle per dare loro una sistemata.
Non che fossero proprio disastrati, ma per il fotografo una ritoccatina
all’aspetto era fondamentale prima dell’inizio del suo servizio.
“Perfetto, mettetevi sul set, sopra la croce rossa.”, disse loro, molto
sbrigativamente, “Tom, tu valle dietro, abbracciala e appoggia il viso contro
il suo.”
“Così va bene?”, chiese lui, dopo che ebbe cinto la sua ragazza sui fianchi.
“Tienile le mani.”, lo corresse lui, “Incrociate le vostre dita e sorridete.”
Tom, che non riusciva a stare fermo durante i servizi fotografici, iniziò a
giocare con Mac, facendole il solletico ovunque ed ignorando le direttive del
fotografo. Ad ogni posa diversa, trovava sempre il modo per fargli scappare la
pazienza. Mentre la teneva in braccio la faceva dondolare e gridare dalla paura
di cadere in terra.
Poi mentre se ne stavano stesi per terra, su un fianco, con Mac che teneva la
sua testa appoggiata sul braccio piegato, Tom, sdraiato dietro di lei, le dava
dei pizzicotti sul sedere.
Seduti a gambe incrociate, l’uno di fronte all’altro, lui le faceva le boccacce.
Ma riuscirono anche a recuperare un po’ di serietà, quando l’assistente del
fotografo dette loro un paio di chitarre elettriche.
“Ecco, adesso, se riuscite a non fare i bambini dell’asilo,”, disse l’uomo,
“Comportatevi come delle rock star.”
Tom imbracciò subito la sua chitarra, Mac gli si affiancò, appoggiando la sua
schiena contro la sua spalla e usando la chitarra come se fosse stato un
bastone. Con le mani una sopra l’altra sulla testa della chitarra, e la gamba
destra piegata con la punta del piede che toccava terra, guardava sorridente
l’obiettivo.
“Molto bene!”, disse il fotografo, finalmente contento, dopo cinque o sei
scatti, “Adesso mettetevi così.”
Andò verso di loro e, come fossero manichini, li mise nella posizione che
voleva. Fece sedere Tom, a gambe incrociate, con la testa appoggiata sulla
mano, in contrasto con il suo ginocchio.
“Fai un espressione alla Ollio quando Stanlio fa una cavolata.”, gli disse il
fotografo.
“E… come sarebbe?”, gli chiese.
“Fai la faccia che ti pare.”, rispose l’uomo scocciato, “Tu, Mac, mettiti alle
sue spalle, gambe divaricate, e fai finta di suonare la chitarra.”
Detto e fatto, gliela fece indossare ma Mac, che era mancina per natura,
dovette cambiare direzione dello strumento, altrimenti non avrebbe saputo come
suonarlo, se non goffamente.
“Ah… sei mancina?!?”, le fece Tom, con falso stupore.
“Stai zitto o te la rompo in testa.”, disse lei, ridendo.
Il fotografo, oramai rassegnato all’irriducibilità dei due, fece qualche scatto
annoiato e, quando finì, fu contento di andarsene a casa a riposarsi. Tom, che
era un giocherellone per natura e poco sopportava i servizi fotografici, aveva
approfittato di quel momento per divertirsi con Mac.
“Ma che ti era preso!”, gli disse lei, una volta dentro alla piccola stanza che
avevano affidato loro come ‘camerino’, “Il fotografo stava quasi per picchiarti
con la sua macchina!”
“Mi stava antipatico a morte, era troppo serio per me…”, si giustificò lui, “E
poi mi volevo divertire con te…”
Le si avvicinò e la abbracciò, appoggiando la fronte contro la sua. Iniziarono
a dondolarsi, come per seguire una melodia inesistente.
“Sì… ma sicuramente siamo venuti dei mostri in quelle fotografie. Tutto per
colpa tua.”, disse lei.
“Tranquilla, siamo noi a scegliere quali pubblicare e quali no.”, fece Tom,
“Quindi sceglieremo solo le foto che ci piacciono.”
“Speriamo bene.”
Tom la baciò, profondamente, lasciandola quasi senza fiato. Gesto che poteva
significare solo una cosa. Quella cosa.
“Dai… adesso non è proprio il momento…”, disse Mac, che cercava di riprendere
il controllo di sé, ignorando i piccoli ma potenti baci che le stava dando sul
collo.
“Sai a cosa stavo pensando durante il servizio?, disse lui, senza fermarsi, ed
iniziando a muovere le sue mani sotto al maglioncino di lei.
“A cosa?”
“Che sarebbe stato molto eccitante iniziare a farlo lì… davanti a tutti…”
“Oh sì, una cosa bellissima…”, disse Mac, sarcasticamente.
“Non prendermi in giro.”, sbottò lui, prendendole con forza i fianchi.
Altro segno, il cui significato era ben preciso. Non si stava arrabbiando,
stava semplicemente definendo la sua posizione di ‘maschio dominante’. Il che
aveva come conseguenza un tipo di sesso molto particolare… il preferito da
entrambi.
“Non c’è la chiave nella porta.”, gli ricordò Mac, guardandolo molto
maliziosamente.
Tom la lasciò, si affiancò al divano che stava vicino all’entrata e lo spinse
fino a che la porta non fu completamente bloccata.
“Contenta adesso?”, le disse.
Mac non gli rispose a parole, ma a gesti: si tolse il maglioncino, rimanendo
con la camicia bianca. Lui se la riprese e, baciandola avidamente, gliela
sbottonò in un secondo. Poi la afferrò per i fianchi e la avvicinò al muro…
“Diamine Tom!
Mi hai rotto le calze!”, esclamò Mac, mentre cercava di rivestirsi. Lui, steso
sul divano, in piena pace post-sessulale, non aveva la benché minima intenzione
di riassettarsi. O meglio, era già completamente vestito, aveva solo i
pantaloni abbassati… insomma, non era stato completamente necessario per lui
togliersi gli abiti. E poi gli piaceva farlo in quel modo, in determinate
situazioni… Con tutti i vestiti indosso, mentre si divertiva a togliere quelli
di Mac.
“Non te le metti… è anche meglio…”, rispose, apaticamente.
Qualcuno bussò alla porta, era l’assistente del fotografo che chiedeva loro se
entrambi fossero ancora lì dentro.
“Sì!”, esclamò Mac, imbarazzata, “Un momento e usciamo.”
“Tutto a posto?”, chiese di nuovo il ragazzo.
“Mai stato meglio.”, disse Tom, alzandosi e riappropriandosi dei suoi pantaloni
bracaloni. Aveva bisogno di una sigaretta, e subito. Mentre Mac si pettinava i
capelli allo specchio e si riassettava il trucco, se la fumò in santa pace, con
la schiena appoggiata contro il muro sui cui lo avevano appena fatto. Cosa
c’era di meglio di una bella scopata selvaggia?
La guardava pettinarsi i lunghi capelli biondi, sciolti, che rimanevano
impigliati nella lana del suo maglioncino. Poteva avere tutte le donne di quel
mondo; ad ogni after show, ad ogni festa, c’era sempre qualcuna che iniziava a
sussurrargli pensieri molto allettanti, in un orecchio. Ma le altre, benché
fossero veramente ‘belle da paura’ e lo mettessero terribilmente in tentazione,
non erano Rosenbaum. Non erano Mac.
Mac era semplicemente Mac, lo aveva sempre pensato e lo avrebbe pensato fino
all’ultimo giorno della sua vita. Non sapeva spiegarsi definitivamente il
motivo per cui era irresistibilmente innamorato di lei. Non era bellissima,
tutto sommato era decisamente carina quando decideva di mettersi in tiro per
lui. Eppure poteva esserlo anche quando, per casa, si aggirava in pantofole,
con una delle sue larghissime felpe dimesse, gli occhiali ed il naso gonfio per
il raffreddore, che la faceva parlare come una papera.
Però il suo lato selvaggio, da ‘pervertito’, come lo chiamava Bill, continuava
a vessarlo con pensieri su altre donne. Non poteva farci niente, era una parte
innegabile di se stesso. Ma a sue spese aveva imparato a metterlo a tacere,
anche quando la sconosciuta di turno gli diceva flebilmente che ‘glielo avrebbe
succhiato fino a farlo impazzire’.
A volte, tralasciando quella volta, fu quasi per cadere in tentazione,
doveva ammetterlo. Ed era quasi sicuro che sarebbe successo un’altra volta. Ma
non lo avrebbe fatto perchè i suoi sentimenti per Mac si sarebbero consumati
nel tempo… era tutta colpa di se stesso, del suo carattere, del suo modo di
essere… del Tom Kaulitz che c’era in lui. Quello con le cornina rosse e il
forcone in mano…
Mac riusciva a capirlo all’istante, come solo Bill sapeva farlo. Lo guardava in
faccia e subito lo comprendeva. E così era capace di farlo lui, anche se era un
po’ più complicato… beh, le donne erano tutte, a modo loro, complicate. Anche
se più di una volta si erano ringhiati in faccia e si erano minacciati di
reciproche separazioni… erano irrefrenabilmente attratti l’uno dall’altra.
Nemmeno Mac
riusciva a comprendere il motivo per il quale c’era sempre lui tra i suoi
pensieri. Era odioso, era infantile, era scostante, era disordinato… ma era
Kaulitz. Lei, che non perdonava nessun tradimento, aveva chiuso gli occhi ed
era tornata da lui. Erano bastate centoventicinque rose a convincerla!
Sapeva che quelle continue litigate non erano per niente salutari, né per la
loro storia, né per il suo pancreas, continuamente corroso dalla sua bile.
Sapeva che, prima o poi, sarebbe tutto finito, stanca delle discussioni.
Eppure, quando si svegliava la notte, e lo trovava lì, accanto a lei, anche se
dormiva a bocca aperta e a volte russava… non gli resisteva. Nonostante tutto,
nonostante le brutte parole, nonostante quel suo ‘piccolo’ errore, Tom riusciva
sempre a stupirla. Non si riferiva però a quelle piccole cose quotidiane che
ogni donna desiderava dal proprio uomo… si riferiva bensì a come lui poteva
cambiare, da un momento all’altro, da essere il Tom pubblico, quello che lei
poco sopportava, quello dei Tokio Hotel, quello che ammiccava alle fans durante
i concerti e si comportava da brutto maschilista, ad essere il suo Tom. Un
tutt’altro tipo di Tom, quello privato. Un adulto bambino, una persona
terribilmente consapevole della sua vita e del suo successo, che non aveva
bisogno di nient’altro che di una persona accanto che lo stabilizzasse. Detta
in questo modo, la loro storia sembrerebbe quasi un rapporto madre-figlio.
Tutt’altro.
Si completavano a vicenda: quando era Mac a fare le bizze, era lui a prendere
la parte dell’adulto responsabile e viceversa. Quando era lui ad aver bisogno
di coccole, era lei a fargliele, e viceversa. Al di là dell’alchimia fisica, ce
n’era anche una immateriale, legata ai loro modi di essere.
Ciononostante, entrambi erano mortalmente coscienti che l’amore non era per
sempre.
L’amore bruciava
l’anima, come il titolo di un bel film.
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Capitolo 2 *** Things will never be the same again ***
2. THINGS WILL NEVER BE THE
SAME AGAIN
Erano le dieci
inoltrate, di un’anonima sera di metà ottobre. Parcheggiò la sua macchina al
solito posto e, raccogliendo le sue cose con una bracciata, scese dall’auto
correndo, dato che il freddo le stava gelando le ossa.
Era stanca, terribilmente stanca. Aveva passato tutta la giornata chiusa nella
redazione di ‘Rock On’, cercando di far sviluppare le sue fotografie. Aveva
prenotato la camera oscura per le due del pomeriggio ma, evidentemente, qualche
furbacchione aveva sostituito i fogli delle prenotazioni e lei si era ritrovata
ad aspettare inutilmente il suo turno, che era arrivato alle otto. Vista
l’impossibilità di poter far sviluppare tutte le sue fotografie per un’ora
accettabile, aveva deciso che sarebbe tornata la mattina successiva, di buono
ora, e avrebbe terminato il suo lavoro.
Era a dir poco incazzata, non sapeva come mai il suo nome non compariva nella
lista della prenotazione e, dato che era stata lei stessa a scriverlo sul
foglio che stava settimanalmente appeso con dello scotch alla porta della
camera oscura, non poteva altro essere che qualcuno l’avesse cestinato
completamente, senza avvertirla.
Ed era ancora più incazzata, perchè doveva uscire a cena fuori con Tom e gli
altri ed aveva dovuto dare loro buca. Nel mentre che cercava le chiavi nella
sua borsa, prendendosi a male parole perchè non riusciva mai a trovarle, le
suonò il cellulare.
Fece cadere tutto a terra, borsa, custodia della macchina fotografica e i vari
raccoglitori. Si infilò il piumino e rispose al telefono, era Tom.
“Pronto?”
“Dove sei?”, le chiese lui.
“Sono arrivata ora a casa. Voi dove siete?”
“Ci siamo spostati in un locale, ma per adesso sono fuori.”
“Mm… ok.”, disse Mac, un pochino scocciata dal fatto che Tom avrebbe fatto le
ore piccole.
“Ti va di raggiungerci?”
“No… ho una tonnellata di lavoro arretrato da consegnare per domani, mi sa che
starò tutta la notte sveglia, così domattina sarò fresca per tornare in
redazione per le sette di mattina.”
“Va bene…”, disse lui.
“Quando tornerai?”
“Non saprei dirtelo. Siamo qui con Andreas, Georg e Gustav. Alla fine si è
rivelata essere una serata per soli uomini perchè Jasmine, sapendo che tu non
c’eri, non è venuta.”
“Capito, siete in uno strip club.”, fece Mac, che sapeva l’esatto significato
di ‘serata per soli uomini’.
“Ma no! Cosa dici!”
“Va bene Kaulitz. Ci vediamo quando torni.”, disse Mac, mandandogli un bacio e
chiudendo la chiamata quando anche lui glielo ebbe ricambiato.
Finalmente le chiavi furono agguantate e, dopo aver raccolto tutte le cose che
si erano sparse per terra, Mac entrò in casa. Rilasciò il suo carico di lavoro
nel grande salotto e fece subito un salto in camera per mettersi in abiti più
comodi.
La casa era suddivisa in tre livelli, partendo dal piano terra, ed era
circondata da una piccola porzione di giardino sul davanti, che si allargava
sul retro, ma non più di tanto. Si trovava in una zona residenziale della
periferia suburbana, quasi provinciale, di Berlino: quartieri molto anonimi,
ogni vicino era abituato a guardare solo dentro al suo recinto, quasi al limite
tra città e campagna. Per Mac era un vicinati per ricconi, per Tom era una zona
dove ognuno si faceva i fatti suoi.
Una volta che si fu infilata una vecchia maglietta di Tom, aver indossato una
lunga vestaglia di caldo pile e i suoi tanto odiati occhiali, le gambe coperte
fino al ginocchio da spesse calzette di lana, tornò in soggiorno, facendo prima
una breve sosta in cucina, dove era sicura che in frigo la stesse attendendo
una confezione gigante di gelato allo yogurt, il suo preferito. Piaceva molto
anche a Tom e, per evitare futili problemi, ognuno aveva scritto il suo nome
sul proprio barattolo. Solo che era una misura inutile, perchè Bill tuffava
ripetutamente il suo cucchiaio in entrambi i barattoli, facendo diminuire il
livello dei gelati a vista d’occhio.
Munita di maxi cucchiaio e della coperta, onnipresente sopra il grande divano
di pelle nera, posizionato strategicamente davanti alla tv, Mac si sedette per
terra, davanti al caminetto, dove il fuoco stava bruciando gli ultimi residui
di un grande tozzo di legno. Il grande salotto, a forma quasi trapezoidale, era
sempre perfettamente riscaldato e le fiamme illuminavano romanticamente tutta
la stanza, disegnando buffi guizzi sulla parete di fronte, dove il plasma speso
appeso al muro si colorava di rosso e arancio. Alla destra del
televisore, e quindi alla sinistra del caminetto, c’era una grande finestra ad
arco, per il momento oscurata da una grossa tenda rossa trasparente, che
contrastava con il bianco etero delle pareti. Al centro della stanza
campeggiava quel divano immenso, che terminava il suo lato sinistro con una
lunga penisola separabile dal resto del ‘divanosauro’, come lo chiamava Thiago.
Il caminetto, alle spalle del sofà, era incassato nel muro e ornato da due
colonne, poste ai lati, con tre profonde scanalature lungo il loro busto. I
capitelli, decorati con foglie di alloro, sorreggevano un architrave su cui
erano stati dipinti dei fiori neri, che si intrecciavano lungo tutta la sua
lunghezza. Li aveva fatti fare Bill, altrimenti sarebbe stato tutto bianco, in
tinta con le pareti.
Quella in cui era incassato il caminetto era una finta parete, nel senso che, a
pochi metri dall’architrave stavano le scale: infatti, la parete terminava con
esse, senza toccare il vertice del soffitto. Qualche quadro appeso qua e là,
fotografie, l’impianto stereo accanto al televisore… a dispetto da quello che
si poteva pensare, l’arredamento era piuttosto semplice e il salotto non aveva
una porta di entrata, perché vi si accedeva direttamente dall’entrata
principale, mentre la cucina ed il bagno erano separati. Un tavolo di fronte al
divano, un tappeto alla sua destra.
Stese la coperta davanti al caminetto, dopo avervi messo un altro pezzo di
legno, evitando di avvicinarsi troppo per paura di possibili schizzi. Mosse la
penisola del divano, per farsi una comoda spalliera e, con i negativi alla
mano, iniziò il suo lavoro di ‘spulciamento’.
Dentro a caselle plastificate, attaccate l’una all’altra in forma rettangolare,
come una pagina di quaderno, Mac le osservava a contrasto con la calda luce del
caminetto, che iniziava a scoppiettare ed a scaldarle i piedi infreddoliti.
Accese lo stereo, per farsi compagnia, selezionando una stazione radiofonica a
caso, tanto non avrebbe avuto la concentrazione giusta per ascoltare quello che
passavano.
Munita di pennarello, segnava tutte le fotografie che avrebbe sviluppato.
Accanto a lei, dieci raccoglitori per fogli di negativi… un lavoro
interminabile per Mac, che era talmente perfezionista da costringersi a
controllare le diapositive scelte almeno due o tre volte.
Si accorse di aver fatto tardi quando il chilo di gelato fu terminato. Guardò
il barattolo, pentita di esserselo mangiato tutto, ma poi si ricordò di non
aver cenato e accantonò ogni senso di colpa.
Guardò l’orologio… erano le tre di notte. La sua cervicale reclamava pietà,
straziata dal continuo permettere al collo di stare piegato in avanti. Si
stiracchiò, si massaggiò il collo, sperando che le mani sante di Tom tornassero
ad un’ora decente per farlo al posto suo.
Volle riposarsi, prendere una decina di minuti di pausa dal lavoro, così si
sedette sul divano ed accese un po’ di televisione. Il suo dito fermò
l’apparecchio su un canale dove trasmettevano la pubblicità dell’ennesimo
prodotto di bellezza, ma non fu una scelta voluta, piuttosto dettata dal sonno,
che aveva colto Mac alla sprovvista.
Il rumore della
porta la fece svegliare. Cazzo, si era addormentata. Doveva subito vedere che
ore erano.
“Tom! Tom sei tu?”, chiese, mentre cercava il suo cellulare. Anche se aveva gli
occhiali sul naso, aveva gli occhi così impastati dal sonno che non vedeva
praticamente niente.
“Tom!”, lo chiamò una seconda volta.
“Sì… sono io…”, rispose lui.
Anche se Mac era rimbecillita per la stanchezza… riconobbe subito che quella
non era la voce di Tom. Non riusciva a vederlo, era nella penombra e il
caminetto oramai si era spento, c’era solo la luce della televisione ad
illuminare la stanza.
“Se stai ferma non ti faccio niente…”, disse l’intruso.
In quel momento la porta si aprì di nuovo e Mac, che pregava con tutta l’anima
che fossero tornati Bill e Tom per metterlo in fuga, vide entrare dentro un
altro paio di uomini, tutti coperti da passamontagna. Impalata, davanti alla
televisione, si era fatta prendere dal panico.
“Doveva essere vuota la casa!”, disse uno dei tre, dopo una sonora
imprecazione.
“Infatti… ma tanto lei non farà niente di cui si potrà pentire, vero?”, disse
colui che era per primo entrato in casa, “Ora si siederà sul divano e tu la
controllerai.”
Quello che ancora non aveva parlato tirò fuori la sua arma, una pistola, e
puntandogliela contro a distanza ravvicinata la fece sedere. Nel frattempo gli
altri due andarono al piano superiore, preoccupandosi solo di poter arraffare
più oggetti preziosi nel minor tempo.
Mac, che guardava dritto negli occhi il suo nemico, in piedi davanti a lei,
illuminato spettralmente alle spalle dalla televisione, non sapeva se piangere
per la paura oppure per la rabbia di non poter reagire. Sapeva come stenderlo
in due mosse, frutto degli anni di arti marziali e dei premi vinti con quello
sport, ma quel pezzo di metallo mortale che le puntava contro era un ottimo
deterrente.
“Che cazzo hai da guardare, puttana!”, gli disse lui, avvicinandole la pistola
alla faccia, puntandogliela direttamente tra gli occhi.
“Niente.”, disse Mac, con voce bassa.
“Muovetevi ragazzi!”, disse ai suoi compari al piano superiore.
Mac, per la seconda volta, si trovò a sperare che Tom e Bill arrivassero… Anzi,
era meglio che non tornassero mai, non voleva che quei tre delinquenti,
vedendoli arrivare inaspettatamente… Dio, non ci poteva pensare! Ma che cazzo
era successo all’allarme? Già, non lo aveva inserito… non lo faceva mai, non si
era ancora abituata a farlo. Merda merda merda!, gridava dentro di sé.
Il suo nemico sembrava iniziare a spazientirsi sotto lo sguardo vigile di Mac,
che non toglieva gli occhi dai suoi.
“Smettila di guardarmi!”, gli gridò lui, spingendola contro la spalliera del
divano. Ma non era intenzione di Mac guardarlo in quel modo, era solo il panico
che la costringeva a farlo. Le dette un manrovescio così forte che Mac credette
quasi di perdere un dente dal dolore che stava provando.
“Stai zitto!”, gli urlò contro Mac, mentre si teneva la mano sulla guancia
dolorante. Quello schiaffo era servito a risvegliarla dal suo torpore.
“No! Chiudi tu quella cazzo di bocca, troia!”
Mac ansimava, stava cercando di reprimere ogni suo tentativo di ribellione.
Sapeva che sarebbe stato del tutto inutile, per di più pericolosissimo.
“Dove cazzo è il tuo uomo! Eh! Dov’è quel frocio?”, continuava ad insultarla,
“Perchè non è qui a difenderti?”
“Vaffanculo!”, esclamò Mac.
“Lo so io dov’è! Si sta fottendo una troia come te! Ecco cosa sta facendo!”,
disse lui, che per un attimo aveva allontanato la pistola dalla faccia della
ragazza per andarle ad urlare direttamente sul viso, “Se la sta sbattendo
proprio in questo momento! Perchè tu non lo sai, ma io lo so, io lo conosco
bene, lo so chi è! E so anche che quando è fuori si fotte tutte le donne che
incontra.”
“Ma che cazzo vuoi da me!”, strillò Mac, “Che cazzo c’entra lui! Vaffanculo!
Vaffanculo!”
“Lo so io cosa voglio da te!”, fece lui, mettendole una mano sulla gola ed
iniziando a stringere, non troppo forte da soffocarla, ma con abbastanza
energia da stenderla sul divano.
“No! Lasciami! Lasciami!”, prese a dire Mac, prima che lui le si gettasse
addosso. Con prepotenza, riuscì a far discostare le sue gambe.
“Stai zitta troia!”, disse lui, mettendogli la pesante mano, che prima le
stringeva il collo, sulla bocca, per chetarla. Liberatosi della pistola, potè
finalmente sganciarsi i pantaloni ed abbassarli. Mac, che continuava a strepitare
ed a piangere, iniziò a mordergli con forza la mano.
Lui cadde a terra, liberandola del suo peso, ma prima che lei potesse anche
alzarsi, si avventò di nuovo, iniziandola a prendere a schiaffi.
“Bjorn! Bjorn basta!”, lo fermarono i suoi due complici, “Dobbiamo andare!”
L’uomo lasciò Mac, facendola cadere a peso morto sul divano,
“Tornerò a finire il lavoro, puttana…”, le sibilò in un orecchio.
“Tom… Tom
riprenditi…”, gli diceva Bill, dandogli delle leggere pacche sul viso per farlo
svegliare. Sì, aveva preso una bella botta alcolica e si era addormentato sul
sedile posteriore della macchina del fratello, che era sceso per svegliarlo. Ma
lui niente, zero, era proprio nel mondo dei sogni.
Con qualche sforzo, riuscì a tirarlo fuori dall’abitacolo e se lo caricò,
passando il suo braccio sulla propria spalla e trascinandolo dentro la casa.
Davanti alla porta, frugò nella tasca sinistra dei suoi pantaloni, dove teneva
sempre le chiavi di casa. Appena avvicinò la giusta chiave alla serratura,
questa non vi entrò, perchè la porta si aprì alla sola leggera pressione che
aveva dato. Sì impensierì, forse Mac aveva lasciato la porta aperta.
Si risistemò Tom sulle spalle ed entrò, ma la sua preoccupazione saliva. Appena
vide Mac distesa sul divano, scomposta, illuminata solo dalla televisione, gli
venne da avvicinarsi, ma il corpo addormentato di suo fratello glielo impedì.
Lo posò sulla penisola del divano, davanti al caminetto spento, e andò da Mac.
Quando le scostò i capelli e riconobbe che del sangue le si era seccato sulla
faccia, sentì il suo cuore iniziare a battere all’impazzata. Si guardò intorno
e si fiondò sull’interruttore della luce.
“Mac! Mac!”, le diceva, mentre la ricomponeva sul divano, togliendole i capelli
dalla faccia e sistemando la sua vestaglia stropicciata. Era svenuta, non gli
rispondeva…
Prese con mani tremanti il telefono che aveva in tasca e compose il numero del
pronto intervento.
“Non lo so,
gliel’ho già detto.”, continuava a ripetere Bill all’ufficiale di polizia che
lo stava interrogando, nella sala d’aspetto dell’ospedale. Seduto accanto a lui
suo fratello Tom, stretto in una coperta di lana, con un triplo caffè sotto al
naso, per farlo riprendere dalla sbornia.
“Quindi lei è entrato in casa, ha posato suo fratello sul divano davanti al
caminetto ed è andato a soccorrere la ragazza.”, riassunse l’uomo.
“Sì.”, disse Bill, stancamente. Erano le sette del mattino. Era rincasato alle
sei con Tom dormiente e aveva trovato Mac svenuta sul divano, picchiata. Dei
delinquenti si erano introdotti in casa e avevano rubato diversi oggetti, non
sapeva ancora dire quali, non aveva potuto accertarsene. Aveva chiamato
un’ambulanza per Mac ed aveva aspettato l’arrivo della polizia. Scortati dalle
forze dell’ordine, furono portati nell’ospedale. Era mezz’ora che ripeteva le
solite cose a quell’incompetente, che continuava a fargli le solite domande,
come se fosse stato lui il colpevole e stesse cercando di metterlo in
confusione per smascherarlo.
“Appena la signorina si riprenderà andrò a farle alcune domande.”, disse
l’ufficiale, scostando lievemente il cappello per salutare i due ragazzi.
Bill appoggiò stancamente la schiena alla sedia ed incrociò le braccia.
“Se prendo quelli che le hanno fatto del male li ammazzo.”, sibilò Tom, posando
con rabbia il suo caffè sul tavolo.
“Li prenderanno Tomi… li prenderanno…”, disse Bill, massaggiandosi gli occhi.
“Se l’hanno… se l’hanno…”
“No, Tomi… non le hanno fatto niente… l’hanno solo picchiata. Non l’hanno
violentata.”
“E tu come fai a saperlo?”, ringhiò Tom, “Eri lì per caso?”
“Lo so perchè lo hanno detto i dottori… l’hanno visitata.”
“Voglio sentirlo dire da lei.”, disse Tom, alzandosi di scatto e barcollando
per lo sbalzo che la sua pressione sanguigna aveva avuto.
“Siediti e non fare stupidaggini.”, lo rimproverò Bill.
Un dottore si avvicinò a loro, abbracciando la sua cartellina metallica.
“La signorina Rosenbaum si è ripresa… vuole parlare con lei, signor Kaulitz.”,
disse a Tom, accennando un sorriso di cortesia.
Nel mentre che lo accompagnava alla sua stanza, lo aggiornò sulle condizioni di
salute di Mac.
“Le abbiamo fatto tutti gli esami radiologici e non abbiamo riscontrato nessuna
emorragia grave dovuta alle percosse. Ha solo diversi lividi superficiali. Le
darei una prognosi di tre giorni.”
Tom non lo ascoltava, camminava dritto verso la destinazione. Entrò quasi con
irruenza nella camera di Mac, trovandola distesa sul letto.
“Hey… Kaulitz…”, disse lei, tendendogli le braccia.
“Hey, Rose…”, fece lui, avvicinandosi a lei. Solo che non sapeva come
abbracciarla, aveva paura di farle male. Le prese entrambe le mani, ignorando
quel fastidioso ago che le bucava il palmo della mano destra.
“Adesso è tutto a posto…”, le disse, “E’ tutto finito…”
“No… non è finito, ha detto che tornerà…”, fece lei, iniziando a singhiozzare.
“Non piangere, ti prego… se ci sono io vedrai che non ti succederà niente.”,
disse Tom, che non si perdonava di non essere rimasto a casa, con lei. Invece,
se ne era andato in un dannato locale, a bere con i suoi amici… se fosse stato
con lei, sicuramente questo non sarebbe successo. Era colpa sua… La vedeva lì,
piangere e disperarsi, con la faccia tra le mani, tremando come una foglia. La
abbracciò, accarezzandole la testa.
“Vedrai che passerà tutto… passerà anche questo…”, le disse.
I danni erano
sommabili in circa alcune decina di migliaia di euro: erano spariti tutti i
soldi, tutti gli oggetti preziosi, compresi i vari premi che abbellivano la
camera dei due ragazzi. Era tutto in subbuglio: tutti i cassetti erano stati
svuotati e il contenuto gettato a terra. Anche i vari soprammobili erano stati
scaraventati via, con rabbia, e giacevano in frantumi sul pavimento.
Mac rimase in ospedale per due giorni, e nel frattempo i due ragazzi si
rimboccarono le maniche per riassettare la casa, aiutati dalle due donne delle
pulizie che lavoravano per loro, per non farla trovare in disordine quando lei
sarebbe tornata.
Mandarono a monte tutti i loro impegni, cancellando quel paio di interviste che
avevano fissato per il gruppo ed i vari appuntamenti che Bill aveva con i
produttori del telefilm. Davanti alla sede della loro casa discografica, dove
andavano giornalmente per le due ore di prove, e quella volta più volentieri
delle altre per distrarsi dal brutto avvenimento si era radunata una piccola
folla di giornalisti, con telecamere a seguito, che volevano sapere gli
svolgimenti della situazione.
“Abbiamo saputo del furto che c’è stato nella vostra abitazione.”, disse un
giornalista, puntando il microfono prepotentemente sulla faccia di Bill, “Come
avete reagito alla cosa?”
“Non eravamo in casa.”, rispose lui, cercando di proseguire oltre.
“Sappiamo però che dentro c’era la tua ragazza, Tom, cosa le è successo?”,
continuò un altro giornalista.
“Niente, non si è accorta di niente, stava dormendo.”, disse lui, infastidito.
“Eppure sappiamo che è ricoverata all’ospedale e che stasera la dimetteranno.”
“Non è vero, sta benissimo.”, ribattè Tom.
“Dicono che è stata picchiata e violentata…”
“Non è vero! Cazzo! Ti ho detto che non è vero,
è chiaro?”, si ribellò Tom all’insistenza
del giornalista, che si sentì piccolino come un topo al
ringhiare del ragazzo,
alto quasi il doppio di lui.
“Non avete nient’altro da dirci?Avete saputo delle vostre nomination agli
Europe Music Awards?”
“E ho sentito dire che Tom era ubriaco quella notte, è vero?
I due, che erano riusciti a farsi spazio tra i giornalisti, fecero decadere
tutte le domande e sbatterono loro la porta in faccia, entrando dentro
l’edificio che ospitava la loro casa discografica. Appena gli altri li videro,
corsero subito da loro per avere notizie di Mac.
“Come sta? E’ ancora scossa?”, chiese Georg a Tom.
“Beh, si sta riprendendo più che bene.”, disse lui, dando una pacca sulla
spalla dell’amico, “E’ ancora sotto shock, ma le sta passando. Ha dei lividi
sulle braccia e sul viso, scompariranno nel giro di qualche giorno.”
“Dio mio… se fossi stato lì avrei…”, disse Gustav, preso da un brivido di
rabbia.
“Eh… a chi lo dici.”, fece Tom, amaramente.
“Lo sai che non è colpa tua.”, gli ripetè per l’ennesima volta Bill. Non sapeva
come farglielo capire, era troppo più forte di Tom incolparsi a morte di quel
fatto e non riuscire a comprendere che sarebbe successo comunque, anche se lui
fosse stato lì… e forse anche di peggio, si fosse ribellato ai ladri.
“Già, ha ragione Bill… non potevi sapere che sarebbe capitato.”, gli disse
Georg, “Ma cosa hanno fatto a Mac?”
“Quei bastardi figli di puttana l’hanno picchiata… e ha detto che uno di loro
ha cercato di abusare di lei…”, disse Tom, digrignando i denti per la rabbia e
affondando le dita dentro ai suoi palmi, così tanto da farsi male.
“L’importante è che non le sia successo.”, disse Georg, dopo che ebbe
scaraventato via con rabbia la palletta di carta con cui si era intrattenuto,
nell’attesa del loro arrivo.
“Iniziamo le prove. Non voglio fare tardi, devo passare a prenderla. E poi devo
andare a ritirare i samples della nostra intervista.”
“Ok… forse è meglio.”, disse Gustav.
David, che non li aveva sentiti arrivare perchè era in sala registrazione a
sentire alcuni loro pezzi nuovi appena incisi nei giorni precedenti, quando li
vide entrare non potè fare a meno di chiedere ancora una volta a Tom ed a Bill
che cosa era successo.
“Volete che per questo mese vi mandi qualcuno a controllare casa vostra?”,
chiese loro.
“No David, meglio di no, altrimenti sarebbe peggio per Mac.”, disse Bill, “Non
vorrei farla sentire come in un bunker.”
“Ma potremmo mettere delle telecamere nascoste nei punti critici della casa.”,
ribattè David, “Avete solo l’allarme… secondo me dovreste installarle almeno cinque
o sei intorno alla casa e qualcuna sul perimetro della recinzione.”
“Ok ci penseremo.”, disse Tom, “Ma adesso proviamo.”
Nemmeno la musica riuscì a distrarlo, non funzionò nemmeno con gli altri e i
risultati furono pessimi: Georg fuori tempo, Bill che stonava, Tom che non si
ricordava gli accordi e Gustav che si scordava quando doveva cambiare ritmo.
“Basta così, basta, basta!”, esclamò David, notando il pessimo clima che
aleggiava dentro la sala, “Per favore, tornate domani. Oggi non è proprio il caso
di continuare, non siete dell’umore giusto.”
“Fanculo!”,
esclamò Tom, vedendo una decina di giornalisti ed un paio di telecamere davanti
all’entrata dell’ospedale. Attirati alla vista di quel monovolume con i vetri
oscurati, si erano messi in allerta ed erano già pronti ad avvicinarsi a lui.
Meno male che non potevano entrare dentro all’ospedale, si disse, scese dalla
sua macchina e corse fino all’entrata, lasciandoseli alle spalle.
Una volta al suo interno, chiamò un infermiere che passava per caso nelle sue
vicinanze e gli chiese se, per favore, li poteva far allontanare. Andò
velocemente al terzo piano, dove sapeva che Mac aveva la sua camera.
La trovò seduta in sala d’attesa, davanti alla finestra, con lo zaino già
pronto al suo fianco. Appena sentì i passi alle sue spalle si voltò e sul suo
viso apparve un’espressione del tutto contenta, anche se macchiata da due
grossi lividi che le ricoprivano le guance.
“Finalmente sei arrivato…”, gli disse, alzandosi ed andandogli incontro.
“Anche in anticipo.”, fece lui, con ironia.
“Già… momento più unico che raro, sarà meglio annotarselo sull’agendina.”,
rispose lei, mentre lo abbracciava. Lui, che aveva paura di farle del male,
ebbe quasi paura a farlo ma, rincuorato dalla stretta decisa della sua ragazza,
contraccambiò subito l’abbraccio.
“Andiamo via da questo posto… voglio andare a casa.”, gli disse in un orecchio.
“Certo Rose… prendo il tuo zaino.”
Mano nella mano, come liceali, uscirono fuori dall’ospedale. L’infermiere non
aveva ascoltato la sua richiesta e i giornalisti erano ancora lì. Mac,
intimorita dalla loro presenza, si avvicinò più che poteva al corpo di Tom,
abbassando lo sguardo per la paura.
“Andiamo, per piacere, lasciateci in pace!”, disse Tom, veramente infastidito
dalla loro presenza.
“Solo una domanda! Solo una domanda a Mackenzie!”, disse uno di loro,
avvicinandole il microfono.
Tom, che la sentiva tremare dalla paura, non potè permettere ancora questo
assalto. La prese in braccio e, ignorando completamente i reporter, che
continuavano a seguirlo e a porgli domande come se fossero stati la sua ombra,
la mise nella macchina.
Una volta lontani dall’ospedale, si rilassò, scacciando via tutta la rabbia che
gli stava attanagliando le viscere, facendogli venire un nodo alla gola che non
sopportava.
“Hey…”, le disse, porgendole la mano per stringere la sua, “Adesso andiamo
dritti a casa. Ma ti va bene se ti lascio con Bill per una mezz’oretta? Devo
andare a vedere le copie prova della nostra intervista.”
“Non puoi mandarci lui?”, gli chiese, con voce piccola e infantile.
“E’ meglio che ci vada io… così magari posso convincerli a darci le copie per
portarle a casa a fartele vedere.”
“Mandaci Bill.”, disse lei, secca, imbronciandosi.
“Rose… cerca di capire, non può andarci lui… altrimenti ci passiamo ora. Te la
senti di rimanere sola in macchina?”, le domandò.
“No.”
“Allora come posso fare?”
“Fatteli mandare per posta.”, replicò Mac.
“Non li mandano per posta…”, disse Tom. Sospirò, forse era meglio lasciar
perdere. Era ancora troppo fragile…
“Se rimani in macchina e la chiudi dall’interno… vedrai che non ti succederà
niente, non entrerà nessuno.”, le disse, provando ad insistere per farla
ragionare.
“Va bene…”, disse Mac, quasi impercettibilmente.
“C’è sempre una guardia di sicurezza all’entrata della redazione, me lo ha
detto Bill. Se posso la faccio venire alla macchina, così starà lui a
controllare la situazione.”, disse Tom.
Dovette pregare in mille lingue al reparto della sicurezza del palazzo in cui
si trovava la redazione della rivista e solo dopo dieci minuti riuscì a
convincerli che aveva bisogno che una delle loro guardie stesse alla sua
macchina. Gli spiegò la situazione più di una volta e alla fine acconsentirono,
ma solo perchè non sopportavano più la sua insistenza. Poi andò dritto all’undicesimo
piano e, anche lì, dovette farsi in quattro per farsi dare le copie prova
dell’intervista. Quello che ottenne furono solo delle fotocopie, ma era meglio
di niente.
Scocciato per l’impossibilità di ottenere un semplice favore da questo cazzo di
mondo, montò in macchina e, senza proferire parola, tornò a casa, stanco come
non mai.
Mac, seduta a
gambe incrociate sul letto, scaldata da una morbida felpa di Tom, leggeva con
attenzione l’intervista trascritta, gustandosi un lecca lecca che Bill le aveva
dato, appena aveva messo piede in casa, come facevano i dentisti un po’
negligenti con i loro pazienti bambini. Tom, nel frattempo, si stava facendo
una doccia calda nel suo bagno, per lavarsi via tutta la stanchezza e tutto lo
stress che aveva accumulato in quei due giorni.
Si aggiustò gli occhiali sul naso e lesse il pensiero personale della
giornalista, che era stato posto come chiusura dell’articolo:
“Eh sì, i due fidanzatini qua davanti a me sembrano essere appena usciti da
una favola, da un sogno, dove tutto è dorato e pieno di batuffoli di felicità.
E’ quasi impossibile credere che lo sciupafemmine più irriverente made in
Deuschtland abbia trovato qualcuno che possa sopportare il suo ‘stravagante’
lifestyle. Mackenzie, o meglio, Mac dà l’impressione di essere una ragazza del
tutto normale, quasi stereotipata…”
“Stereotipata?!?! Io?!?!”, esclamò Mac.
“Hai detto qualcosa Rose?”, le chiese Tom, da dentro il bagno, avendola sentita
parlare.
“Niente… te lo spiego dopo.”, fece lei, alzando la voce per farsi capire.
“Ma stereotipata nel senso buono del termine, ovviamente… E’ la classica
ragazza della porta accanto, magari un po’ sbarazzina, un po’ alla Avril…”
“Che vorrà dire ‘stereotipata ma nel senso buono del termine’…”, fece lei,
ragionando su quell’insulso giro di parole.
“Ed è quasi impossibile credere che abbia fatto centro nel cuore di Tom…
eravamo abituate a vederlo accompagnato da tutt’altro tipo di femmina! Ma si
vede che la semplicità premia in questo modo.”
“Una cosa sensata.”, disse Mac, riprendendo a gustarsi la sua fragola sferica
su bastoncino di plastica.
“Tuttavia sembra troppo bello per essere vero… Penso che le fans di Tom
potrebbero festeggiare da un momento all’altro. FG.”
Il lecca lecca le cadde dalla bocca, finendo per appiccicarsi contro la
fotocopia. Tom, entrando nella camera in accappatoio, la vide con
quell’espressione: occhi fuori dalle orbite e bocca spalancata. Finì con il
preoccuparsi.
“Cosa c’è?”, le chiese, accorrendo da lei.
“Guarda… guarda cos’ha scritto quella stronza!”, esclamò Mac, porgendogli la
fotocopia. Tom, al di là dei lividi che rovinavano la faccia di Mac, e del
taglio che aveva sul suo labbro inferiore, rivide la scintilla che illuminava
da sempre i suoi occhi, e per un attimo sorrise. L’aveva vista scomparire dopo
l’aggressione e, anche se sapeva che non sarebbe tornata tanto facilmente, e
che quello era solo un momento passeggero in cui lei non pensava a cosa le era
successo, ne era rimasto contento, si era tranquillizzato.
“Che c’è da ridere!”, fece lei, “C’è da piangere!”
Tom si sedette accanto a lei e, prendendole gli occhiali dal naso, li indossò
come fosse diventato improvvisamente carente di vista, sulla punta del naso.
“Vediamo un po’… dice che bla bla bla…. E poi bla bla bla… e ancora bla bla
bla… morale della favola, un mucchio di cazzate.”, disse, appallottolando il
foglio e restituendole gli occhiali.
“Hai letto cosa dice di me?”, fece Mac, allungandosi per raccogliere la pallina
di carta, caduta a terra, “Dice che sono una persona stereotipata, ma nel senso
buono del termine, che sembro Avril Lavigne…”
“Ma senti che affronto!”, fece lui, sarcasticamente, mentre si rivestiva.
“E poi ha detto che… che la nostra storia è troppo bella per essere vera.”
“Lo penso anche io.”, disse Tom.
“E che le tue fans potrebbero festeggiare… perchè secondo lei ci lasceremo
presto!”
“Oh certamente, prepara le valige e vattene da casa mia.”, disse Tom,
continuando nella sua ironia ma accorgendosi che Mac, nella sua situazione,
avrebbe anche potuto prenderla male.
“Avevi ragione… quella donna era antipatica.”, disse Mac, facendogli tirare un
sospiro di sollievo, “Adesso guardiamo le fotografie.”
Anche le fotografie furono scelte. Tom prediligeva quelle in cui giocavano con
le chitarre, mentre Mac quelle senza. Alla fine, dopo un’aspra contrattazione,
ne furono scelte sei, di cui una sarebbe andata in copertina. La spuntò Tom,
con la fotografia in cui Mac gli stava a fianco, che teneva la chitarra in
piedi appoggiandovi una mano sopra, mentre lui la imbracciava, tenendola bassa
sul ventre come era il suo stile. Entrambi guardavano dritti il lettore negli
occhi: Mac sorrideva, mentre lui aveva sempre la sua solita faccia seria, a
mezzo riso, con sguardo penetrante.
Il titolo che la redazione aveva deciso era ‘Rockgirl + Rockstar = Love?’
“A te piace il titolo della nostra intervista? Comparirà anche in copertina…”,
disse Mac, storcendo il naso.
“Beh… è carino…”, disse Tom.
“Ho capito la tattica di questa rivista, vogliono far credere a tutti che ci
stiamo per lasciare!”, esclamò Mac, picchiando con forza sui fogli fotocopiati.
“E’ la stampa, Rose… chi se ne frega!”, esclamò Tom, facendo spallucce e
buttandosi sul letto, accanto a lei. Con un calcio fece volare a terra tutte
quelle fotocopie inutili, prese Mac e la fece stendere, accoccolandosi accanto
a lei. Inaspettatamente, le cercò di divincolarsi.
“Mi… mi soffochi…”, fece, scansandosi da lui, con grande imbarazzo, “Non mi
stare… così vicino…”
“Perchè?”, fece Tom, che non capiva.
“Perchè… perchè non voglio, ancora è presto.”, disse Mac, mentre rintanava le
sue mani nella felpa e si voltava, dandogli le spalle.
“Io… non volevo fare niente, Rose, volevo solo abbracciarti.”, disse Tom.
“Sì… ma… ancora no.”, continuò a ripetere Mac.
Ogni contatto fisico le sembrava un aggressione…
TITOLO:
canzone di Mel C di tanti anni fa, ‘Things will never be the same again’. No
scopo di lucro.
Passiamo alla
mia parte preferita... cioè i ringraziamenti!!!
CowgirlSara: beh, alla
fine l'ho scritta... poche parole: bollenti??? No... vanno a fuoco quei due, in
tutti i sensi!!
Alanadepp: altro che
bella parte per thiago... sarà presente per tutta la storia, anche se in veste
meno eclatante delle altre volte. l'ho razionalizzato, mantenendolo sempre ad
elevato tasso gayolico
Quoqquoriquo: beata te che
hai un tatuaggio sigh... e poi, tornando alla storia, questo primo capitolo era
solo un'introduzione, una specie di sorvolata sulla loro vita insieme... volevo
approfondire di più certi litigi, determinate cose... ma alla fine mi sarei
persa nei ricordi!
Ruka88: no sul finale
niente discussioni, niente di niente, non dirò niente. In fondo tutti lo
sappiamo che l'amore non è per sempre, anche loro lo sanno! MAtrimonio? Ti
sembrano due che si sposano? Neeeeee!!!!!
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Capitolo 3 *** Distances between us ***
3. DISTANCES BETWEEN US
Nei giorni
successivi la situazione si fece molto tesa in tutta la casa. Furono installate
diverse telecamere per tutto il perimetro recintato della casa e alcune anche
ai quattro angoli dell’edificio.
Mac perdeva molto frequentemente la pazienza, aveva sbalzi di umore eccessivi
ed era intrattabile. Non voleva rimanere a casa da sola, non voleva uscire… era
impossibile fare una cosa che le andasse per il verso giusto.
Si incolpava. Si incolpava perchè quella sera era rimasta a casa invece di
mandare in aria il lavoro e andare con Tom. Si incolpava per non aver reagito
al mostro che le puntava la pistola tra gli occhi. Si incolpava per avergli
permesso di offendere lei e Tom. Si incolpava perchè lui aveva cercato di
violentarla, innervosito dal suo sguardo paralizzato. Si incolpava per non
essersi messa un paio di pantaloni, che forse avrebbe scoraggiato quell’uomo a
saltarle addosso. Si incolpava per non aver messo l’allarme, quando avrebbe
dovuto farlo ogni santa volta che usciva di casa ed ogni notte, lasciandolo
invece accendere a Tom o a Bill. Fanculo Mackenzie.
Tutti questi sensi di colpa la stavano frustrando, le stavano schiacciando la
mente ed i pensieri. Le poche volte che riuscivano a farla uscire di casa, in
ogni sguardo che incrociava, in ogni persona che le si avvicinava rivedeva
quell’uomo, quel Bjorn. La polizia non era riuscita a rintracciarli, erano
spariti insieme alla loro refurtiva. Non erano nemmeno stati capaci di
rintracciare gli oggetti rubati: non era poi facile piazzare un disco d’oro sul
mercato della ricettazione, si diceva Mac. Fanculo la polizia.
Il lavoro, dato che lei era terrorizzata di uscire fuori di casa, andava male.
Se non fotografava e non vendeva i suoi scatti, non guadagnava niente. Alla
rivista ‘Rock On’ l’avevano minacciata di rompere il contratto se non portava
avanti gli impegni che le avevano assegnato: aveva rinunciato ad intervistare
diversi gruppi, sia tra gli emergenti che tra gli evergreen. Fanculo il lavoro.
Ogni volta che qualcuno le si avvicinava, non importava chi fosse, iniziava a
sentirsi soffocare, si faceva prendere dal panico, anche se cercava di non
darlo a vedere. Con calma, era riuscita a sconfiggere quella paura che la
teneva lontana persino da Tom ma non resisteva molto in un tenero abbraccio.
Tom la capiva, non le chiedeva niente, tranne di stargli accanto, come avevano
sempre fatto, durante la notte. Ma appena lei sentiva che lui si era
addormentato, si scostava Intimità completamente azzerata, Mac dormiva sul
bordo del letto, per non essere troppo ‘disturbata’. E Tom se ne accorgeva, era
difficile che si addormentasse senza sentirla allontanarsi. Di nuovo: fanculo
Mackenzie.
Eppure c’era una piccola parte di lei che continuava a ripeterle: perchè si
faceva sopraffare di nuovo dalle sue tragedie? Che ne era rimasto della Mac che
andava avanti, sopra ad ogni cosa, a testa alta senza guardare il passato?
Che cosa era successo alla Mac che voleva vivere, che aveva preso coscienza del
suo passato e ne aveva tratto l’insegnamento più grande di tutta la sua vita,
cioè non farsi mangiare dalla vita, ma mangiarla lei stessa?
Se n’era andata.
Era bastata un’aggressione per cancellare completamente anni di vita e farla
tornare indietro, a quei giorni di depressione. Fanculo Mackenzie un’altra
volta.
Nessuno vicino a lei sapeva trovare un rimedio, una soluzione, una cura per il
suo malessere. Nessuno, compreso Tom. Compreso Thiago. Compreso Bill. Compresa
Jasmine, la moglie di Georg, con la quale aveva instaurato un buon rapporto di
amicizia, abitava a qualche isolato da loro.
Nessuno sembrava comprenderla.
Non facevano altro che ricordarle che tutte le colpe che si dava non erano
giuste, che lei non aveva niente a che fare con quello che le era successo. Non
si doveva accusarsi di essere stata negligente, quella sera. Non poteva sapere
che cosa le sarebbe capitato.
Ma tutte quelle parole per lei non avevano peso, significato.
Forse quelle che le avevano fatto più bene erano quelle di Bill. Lui, a
differenza di suo fratello, aveva un bel paio di orecchie grandi. Ma non nel
senso che erano proprio grandi di forma; erano grandi abbastanza per starla a
sentire. Mentre con Tom ogni discorso finiva in una discussione e, comunque,
non c’era perchè impegnato soprattutto dal lavoro di produzione, Bill se ne
stava lì a sentirla. Poteva essere logorroico, incapace di capire quando era il
caso di smettere di parlare: ma come diceva lui ‘per un amico questo ed altro,
o meglio, per un’amica’ In quel periodo il suo telefilm era in fase di stallo,
uno dei suoi colleghi aveva dato forfait, erano alla ricerca di un altro
produttore, e quindi aveva molto tempo libero, escludendo le prove quotidiane
con il gruppo. Di solito, nel pomeriggio, si mettevano a prendere il sole
invernale accanto alla piscina, semivuota e coperta da un telone verde, bevendo
e sparlando di ogni cosa. Lui la incitava continuamente, le diceva di provare a
riprendere le redini della sua vita… insomma, come aiuto psicologico ci sapeva
fare.
E poi c’erano le telefonate di Thiago, dalla Spagna o da dovunque si trovasse:
con il suo sarcasmo e le sue sfrecciatine, gli avevano fatto tornare il sorriso
in bocca. La più bella chiamata fu quando lui la contattò da Parigi, dal
negozio di Yve Saint Laurent, dove gli avevano gentilmente concesso il telefono
per quella chiamata molto ‘extraurbana’.
Le aveva detto: “Senti bellezza, o ti decidi a togliere quel culo flaccido da
quella casa, oppure vengo con uno schiacciasassi e mi diverto a passarti sopra
un centinaio di volte, così vedo se ti succede come nel film di Roger Rabbit,
dove il cattivo, dopo essere stato piallato per bene a terra, si rialza e
rinsavisce. Ma non ti fare venire gli occhi a palla, ti prego, non lo
sopporterei. Mi fanno senso.”
Anche Jasmine era entrata, per così dire, nel suo gruppo di supporto
psicologico: veniva a trovarla, accompagnata dalle sue figlie, Lily e Zoe,
ancora in fasce. Le loro chiacchierate erano tipicamente femminili: Georg
faceva questo, Tom faceva quest’altro, non sopportavano quando dicono questo,
non sopportavano quando facevano quest’altro… Jasmine notava sempre di più
l’allontanamento tra i due, nei discorsi di Mac. Eppure la capiva: aveva avuto
una lontana parente che, purtroppo, era stata violentata una sera, mentre se ne
tornava tranquillamente a casa e, anche se a Mac, fortunatamente, questo
infernale destino non era capitato, comprendeva ciò che stava passando. Era
difficile per una donna riaprirsi, dopo fatti del genere, anche nel rapporto
con il proprio fidanzato, marito, o con gli uomini in generale. L’inconscio era
una brutta bestia e, in questi casi, prendeva il sopravvento sulla parte
coscienziosa, lasciando che tutti gli uomini venissero assimilati con la figura
dell’aggressore, benché ciò non fosse palesemente vero. Sapeva che solo con il
tempo, e con qualche valido aiuto, tutto questo poteva passare. Le aveva
consigliato l’aiuto di un valido psicologo, suo amico, ma Mac aveva sempre
rifiutato, preferendo cercare la soluzione del suo problema dentro se stessa, e
non all’esterno.
Un giorno prese una
decisione: sapeva quanto poteva essere efficace un calcio ben assestato. Non
poteva dimenticarsi di quella volta che fu messa al tappeto perchè presa alla
sprovvista da un calcio, oramai tanti anni fa, quando ancora gareggiava di tae
kwon do. Sapere di essere capaci di difendersi, aveva letto su un manuale di
psicologia, poteva aiutare le persone affette da traumi come i suoi a tornare a
vivere una vita normale. Però c’era anche scritto che una buona tecnica di
autodifesa non esorcizzava completamente da problema dell’aumento dei crimini
in Germania… Quindi , se da una parte poteva scongiurare un’altra aggressione
del genere, dall’altra parte comprese che non ne sarebbe stata completamente
immune. Anche se la cosa la teneva terribilmente a terra, dovette ammettere che
era la verità: eventi del genere erano ineluttabili… ma forse imparare a
difendersi li rendeva molto meno terrificanti.
E poi scaricare pugni e calci su un sacco appeso al muro non poteva altro che
aiutarla a lavare via tutta la tensione accumulata. Dopo una discussione
abbastanza animata con Tom, che non riteneva necessario che lei dovesse
imparare ad autodifendersi perchè non le sarebbe più successo niente di male,
lo convinse ad utilizzare una stanza del tutto vuota del loro livello per farci
una specie di mini palestra, in cui lei si sarebbe potuta allenare, almeno per
un’ora al giorno.
“Se è questo quello che vuole.”, disse Bill al fratello, dopo che la
discussione fu terminata, “Se è sicura che può farla sentire meglio.”
“Ma non capisce che non le serve a niente! Che cosa sarebbe successo se le si
fosse ribellata al suo aggressore? Magari lui le avrebbe sparato… e sarebbe
morta. Non può fare la paladina della legge! Non esistono i supereroi.”, disse
Tom. Aveva smesso di incolparsi, capendo anch’egli di quanto fossero
imprevedibili fatti del genere. Si potevano prendere precauzioni all’infinito,
ma c’era sempre un modo per annientarle.
“Lo ha capito Tomi, lo ha capito… ma non credo ci sia niente di male
nell’accontentarla. E non c’è bisogno che ogni volta ti arrabbi con.”
“Ma si comporta come una bambina! Fa i capricci e questo non lo sopporto.”
“Tomi, non sono passati nemmeno venti giorni dall’aggressione. Per una donna
non è facile trovarsi in quella situazione. Ci sono ragazze che sono state
violentate e che dopo dieci anni ancora non se ne sono fatte una ragione.”
“A lei non è successo Bill!”
“Ma ci è andata vicina… è normale che si incolpi di una cosa del genere, per
non essersi vestita di più, per non aver messo l’allarme eccetera eccetera.”
“E dove lo hai letto? Su ‘Psicologia per tutti?’”, sbottò Tom, “Sul retro del
suo shampoo preferito?”
“Basta, stai diventando irragionevole!”, disse Bill, interrompendo la
discussione con il fratello.
Era vero, c’era tensione in quella casa. La si poteva tagliare a fette, si
sentiva nell’aria, si vedeva, si percepiva da un miglio di distanza. Tutti
erano preoccupati per Mac ma, allo stesso tempo, erano anche preoccupati per la
loro vita, per i loro impegni. Una continua e opprimente cappa di stress e
nervosismo si era posata su di loro, pronta ad esplodere da un momento
all’altro.
Tom aveva provato di tutto con lei, dall’essere comprensivo al diventare un
muro di pietra su cui sbatterci contro, ma non era servito a niente. Mac continuava
a viaggiare sul suo binario come un treno senza freni e lui non era altro che
il passeggero alla stazione, che se lo vedeva passare davanti, con cappello che
volava via per il vento.
Era diventato difficile anche parlarle: era talmente fragile che ogni parola le
pareva un’accusa, e si infervorava ad ogni discorso. Lo accusava di criticarla
e di farsi gioco di lei e delle sue paure, quando invece lui voleva soltanto
cercare di comunicare con lei per comprendere quello che le passava per la
testa.
E per questo stava male, era continuamente irascibile. La frustrazione, creata
dal senso di non poter aiutarla in alcun modo, se non starle accanto senza
nessuna reazione, lo stava trafiggendo quotidianamente da parte a parte. Si era
buttato a capofitto sul lavoro, cercava sempre un diversivo ai suoi pensieri
che lo impegnasse mentalmente su di esso. Per questo, in casa non c’era mai.
Mac era inavvicinabile, e lui non lo sopportava.
***
Seduta sul divano,
davanti alla tv, faceva zapping selvaggio, passando da un canale all’altro in
meno di due secondi.
“Che c’è in tv?”, le chiese Bill, sedendosi accanto a lei. Era tornato da poco
dalle prove con il gruppo. E come sempre, da una settimana a quella parta, era
tornato da solo, perchè Tom era rimasto in studio. Aveva preparato due
sandwich, uno per lui ed uno per Mac, e glielo porse.
“Boh.”, rispose lei, scambiando il suo panino con il telecomando, “Di solito a
quest’ora non c’è niente.”
“Ti sei preparata per andare al lavoro?”, le chiese Bill, non vedendole addosso
i soliti panni dismessi.
“Sì… E’ meglio che vada a recuperare parte della mia vita. Anche se non ne ho
voglia.”, disse lei, dopo aver affondato i denti nel pane.
“Più tardi affronti i tuoi problemi, peggio li risolverai.”, le disse lui, come
aveva fatto un altro milione di volte.
“Ho già risolto parte dei miei problemi. Ad esempio non ho più il terrore di
mettere la testa fuori dalla porta.”
“E fuori dal cancello?”, le fece lui, provocatoriamente.
“Quella è un’altra storia.”
“Non capisco perchè ti stai mettendo contro tutto il mondo. Fuori non ci sono
solo persone che vogliono farti del male.”
“Ma gran parte sì.”
“Andrà a finire che ti metterai contro anche le persone che ti vogliono bene.”
“Tu mi vuoi bene?”, gli domandò, come aveva fatto già un altro centinaio di
volte.
“Certo che sì. Per me sei come una sorella… solo che le sorelle non lo fanno
con gli altri fratelli.”, disse Bill, inceppandosi nel suo ragionamento.
“Secondo molte delle vostre fan, lo fanno eccome!”, disse Mac, iniziando a
ridere, ricordandosi di alcune patetiche storie che aveva letto su internet e
che riguardavano possibili storie d’amore tra Bill e Tom.
“Ma lascia perdere quelle sciroccate!”, disse Bill, “Piuttosto, non mi riferivo
a me stesso.”
“E a chi ti riferivi?” disse Mac, continuando a ridere.
“A Tom… ovviamente.”
“Non capisco dove tu voglia arrivare.”, disse Mac, abbuiandosi improvvisamente.
“Non pensi che il vostro rapporto si sia danneggiato molto, ultimamente?”, le
domandò.
“Certo! Lui è sempre al lavoro!”, fece lei.
“E perchè lo fa?”
“Perchè è troppo impegnato.”
“Sì, ok… ma perchè è troppo impegnato?”, insistette Bill.
“Perchè ha troppe cose da fare! Perchè gli ci vorrebbero le giornate di
settantadue ore per riuscire a dividersi tra i Tokio e quell’altro gruppo…non
mi ricordo nemmeno come si chiama!”
“Beh… buono a sapersi che non te lo ricordi.”
“Dovrei?”
“Certo che sì. Anche se non sembra, lui conosce molto più del tuo lavoro di
quanto tu pensi. Ma tu non sai altrettanto del suo. Forse perchè non ti
interessa?”
“Certo che mi interessa il suo lavoro!”, disse Mac, stizzita, “Non mi ricordo
un nome e subito tu mi accusi di non interessarmi a lui.”
“No, frena frena! Non ti scaldare… non ti volevo accusare, volevo solo farti
capire che, ultimamente, si è creato un abisso tra voi due.”
“Non è vero.”, fece Mac, anche se era totalmente insicura del suo pensiero, “E’
solo che lui è troppo impegnato per occuparsi di me ma non gliene faccio una
colpa, perchè è capitato anche a me di essere molto impegnata e lui non mi ha
mai fatto storie. Il lavoro è il lavoro.”
Bill voleva arrendersi, Mac proprio non voleva stare ad ascoltarlo. E
soprattutto aveva veramente gli occhi coperti, non si stava accorgendo di
niente.
“Mac…”, disse poi, sospirando, “Non è il lavoro che lo impegna così tanto…”
“E allora cos’è? Stai cercando di dirmi che mi sta tradendo?”, disse lei,
stufandosi di lui e prendendogli il telecomando di mano per tornare a fare
zapping.
“No… è lui che cerca di essere impegnato. Per non tornare a casa e doverti
affrontare.”
Dette quelle dure parole si alzò, lasciandola libera di riflettere su quelle
parole, oppure di sbattersene allegramente come pareva aver fatto fino a quel
momento. Salì le scale e si chiuse nella sua stanza, aveva un paio di cose da
fare.
Mac non ebbe il
tempo di pensare a lungo sulle parole di Bill: quello che le venne a mente fu
solo una replica, che consisteva nell’ordine imperativo destinato a lui di
farsi i cazzi suoi. Ma non continuò oltre perchè si era fatto tardi, doveva
andare. Prese la borsa, la custodia della sua macchina fotografica, i
raccoglitori dei negativi e uscì di casa, diretta alla redazione di ‘Rock On’.
Un brivido le prese tutta la schiena quando mise in moto e, con esasperata
lentezza, uscì fuori dal cancello di casa, premendo il bottoncino che chiudeva
automaticamente tutte le serrature delle portiere.
Ogni volta che si fermava al semaforo iniziava la paranoia: i suoi occhi
andavano velocemente a destra e a sinistra, per controllare i pedoni. Ci mise
meno del solito ad arrivare in redazione, anche se doveva affrontare sempre il
solito dannato traffico. Quando scese dalla macchina, si disse che era stata
brava, si sentiva un po’ fiera di sé stessa per essere riuscita a mantenere la
calma.
Approdata con l’ascensore al piano desiderato, si diresse verso la porta che
portava sopra l’insegna ‘Rock On’. Entrò e, come stabilito telefonicamente
qualche giorno prima, andò direttamente nell’ufficio del direttore, salutando
qua e là i colleghi che lavoravano come lei per la rivista, e che si complimentavano
con lei per la sua forma fisica.
“Vedi Mac… lasciamo perdere tutti i problemi che hai avuto.”, le disse il
direttore, Franz Schilling, “Facciamo conto che non siano mai avvenuti. Sei una
buona collaboratrice, sei molto stimata dai tuoi colleghi e anche dalle persone
che hai intervistato. Però rimane sempre il fatto che devi tornare ad assumerti
le tue responsabilità. Ad esempio, per la settimana prossima avrei bisogno di
un servizio sui My Chemical Romance, che si esibiranno a Vienna. E voglio che
sia tu ad andare da loro perchè già li hai intervistati una volta e si
ricordano di te. Il concerto ci sarà domenica sera, ti abbiamo fissato un
intervista con servizio fotografico per le dieci di mattina del sabato.”
“Non voglio allontanarmi troppo.”, disse Mac, le cui mani stavano sudando
freddo per l’agitazione.
“Allora mi costringi a dare l’incarico a qualcun altro…ed a prendere una brutta
decisione. Sei sicura? Sono disposto anche a pagarti il doppio, a concederti
totale libertà sulle domande da porre.”
Mac ci riflettè sopra: Monaco? Troppo lontano. Domenica? Ed era solo giovedì...
“Ok, va bene, lo faccio.”, disse poi, contrariamente a ciò che aveva appena
pensato.
“Oh… molto bene.”, disse Franz, sorridendole, “E… Ah! A proposito… vorrei anche
un servizio speciale, un reportage, sugli Mtv Europe Music Awards, visto che ci
andrai.”
“Beh… a dire il vero non ci vado… ci va il gruppo.”, precisò Mac, “L’invito non
è stato esteso anche a me.”
“E chi se ne frega!”, disse Franz, “Non c’è mica bisogno di invito per le
fidanzate dei gruppi in nomination… Piuttosto, in cosa ce l’hanno avute i Tokio
Hotel?”
Mac si mise a riflettere. Non se le ricordava, eppure erano stati nominati in
diverse categorie. Questo suo lapsus le fece tornare a mente ciò che le aveva
detto Bill, poco meno di un’ora prima. ‘Anche se non sembra, lui conosce
molto più del tuo lavoro di quanto tu pensi. Ma tu non sai altrettanto del suo.
Forse perchè non ti interessa’.
“Cosa c’è Mac?”, le chiese l’uomo, vedendola improvvisamente intristirsi.
“Oh no… niente, mi stavo solo brontolando perchè non me le ricordo!”, disse
Mac, ridendo falsamente.
“Fa’ niente. Comunque ci conto… tra quanto è? La prossima domenica?”
“Si… qua, a Berlino.”
“Bene, benissimo. Torna domani, così ti darò il biglietto aereo.”
“E’ possibile averne due?”, chiese Mac, mordendosi il labbro inferiore.
“Già ci avevo pensato…”, fece il direttore, sorridendole con comprensione.
Dopo la solita cordiale stretta di mano, Mac uscì dal suo ufficio. Incontrò un
paio di colleghi, Ferdinand e Julia, con i quali si mise a chiacchierare del
più e del meno, distraendola dal pensiero che la stava tormentando.
‘Forse perchè non ti interessa’
“Pronto?”, rispose
Bill distrattamente al suo cellulare, rimasto abbandonato sul suo letto, mentre
lui stava riassettando il suo armadio, decidendo quali vestiti doveva gettare
via e quali mantenere ancora.
“Dove sei?”, tuonò una voce dall’altra parte della chiamata.
“Oh Gesù santo! Me ne sono dimenticato!”
“Allora guarda se tra dieci minuti sei qua all’aereoporto, ti faccio tagliare
quei capelli aerospaziali!”, continuò l’altra voce, arrabbiatissima.
“Va bene Thiago… arrivo subito.”, disse Bill, rammaricato per quella sua
dimenticanza. Thiago aveva anticipato il suo arrivo a Berlino di qualche
giorno: lo aveva fatto per stare vicino a Mac e avrebbe voluto farlo molto
prima, ma era stato sommerso da impegni improrogabili, che riguardavano
soprattutto l’uscita del suo nuovo libro. Infatti, per contratto doveva
scriverne uno all’anno per farlo pubblicare dalla sua casa editrice entro il
primo novembre e, visto che era stato impegnato fino ad settembre con Bill con
la stesura delle nuove sceneggiature per ‘Primadonna e Io’, aveva dovuto
scriverlo un solo mese e mezzo. Quel lavoro scritto troppo frettolosamente non
avrebbe venduto molto, lo sapeva, ma non gli interessava più di tanto. In
fondo, tutti i grandi scrittori avevano pubblicato ameno un libro indecente!
Gli dette il titolo di ‘Essere etero in un mondo di gay’ e lo consegnò alla
casa editrice, fece le valige e prese il primo volo per la Germania.
Bill lo trovò, seduto sul suo enorme valigione, con aria
quasi affranta, nella sala degli arrivi.
“Oh mio dio, scusami tanto!”, gli disse, andandogli contro, “Me ne ero
dimenticato perchè ho avuto una giornata un po’ difficile.”
“Mah… fa’ niente…”, disse l’altro, alzandosi e iniziando a trainare la sua
valigia.
“Hey… cos’hai?”, gli chiese, “Successo qualcosa di brutto.”
“Sì… ho lasciato le mie mutande portafortuna a casa.”, disse l’altro, sull’orlo
del pianto.
Seduto sul divano,
dopo aver disfatto la sua valigia, sistemata nella camera a lui strettamente
riservata nel porto franco Kaulitz, attese l’arrivo di Mac. Appena sentì che
una chiave stava aprendo, si precipitò alla porta per sorprendere la sua
‘sorellina’.
“Sorpresa!”, esclamò, appena la porta si aprì.
“Hey… Thiago!”, fece Tom, sorridendogli.
“Ah… sei tu…”, disse l’altro, deluso.
“Beh! Non sei contento di vedermi?”, gli chiese l’altro, stupito ma non più di
tanto della teatralità di Thiago. Gli porse la mano e attese che lui gliela
stringesse.
“Insomma, mica tanto, pensavo fossi Mac.”, disse Thiago, contraccambiando il
gesto.
“Perchè? Non è a casa?”, domandò Tom, lievemente stupito.
“A quanto pare no, mi ha detto Bill che è andata alla rivista. Ma sta arrivando
anche lei…”
Infatti il cancello, appena chiusosi, iniziò a riaprirsi e il beetle nero di
Mac entrare dentro alla proprietà. Thiago, ignorando quasi maleducatamente Tom,
si precipitò fuori, correndo a braccia aperte, ma con un certo tono effeminato,
verso Mac, che fu costretta a frenare se non voleva investirlo. Uscita fuori,
lo abbracciò e, tra un misto di urletti e di baci, i due amici ritrovati si
salutarono.
“Oh mio Dio! A parte tutto ti trovo dannatamente bene!”, disse Thiago,
allontanandosi dal suo abbraccio per guardarla da capo a piedi, “Sei dimagrita?
Non ci credo!”
“Beh… ho ripreso ad allenarmi, faccio un po’ di sport. Quindi forse sì, ma non
mi peso tutti i giorni come te.”
“Bellezza, una pesatura costante del mio corpo mi permette di controllare ogni
sbalzo di peso e di capire quali sono le abitudini alimentari sbagliate…”,
rispose lui, con un certo tono di serietà.
“Certo! Bla bla bla bla!”, esclamò Mac, “Ma andiamo dentro, qua si gela!”
“E dai! Il freddo ringiovanisce, tonifica la ciccia!”, continuò l’altro.
Mano nella mano, entrarono in casa. Sulla soglia era rimasto Tom, che li stava
guardando divertito nel loro classico rituale di saluto.
“Ciao.”, gli disse Mac, dandogli un bacio, lasciando la mano di Thiago perchè
lui potesse entrare.
“Hey…”, fece lui, poi iniziò a farfugliare qualcosa, “Ehm… mi sono accorto che
ho lasciato il telefono in sala registrazione… torno subito.”
Detto fatto, chiuse la porta e se ne tornò via, lasciando Mac alquanto
allibita.
“Accendiamo questo caminetto!”, disse Thiago, con entusiasmo, perchè amava
stare ore ed ore a guardare le fiamme guizzare.
“Sì… vengo subito…”, disse Mac, dopo qualche istante.
“Dov’è andato Tom?”, le domandò.
“Ha detto di aver lasciato il telefono in studio. Tornerà tra un po’.”, disse
lei, rischiarandosi la voce.
“Speriamo passi anche a prendere qualche cosa di buono da mangiare… che so, un
vassoio di pasticcini…”
“E le cattive abitudini alimentari di prima?”, gli fece Mac, cogliendolo in
fallo.
“Oh, ma tu sei sempre così fiscale! Dio mio! Bill! Come fai a sopportarla!”,
disse, alzando la voce per farsi sentire da lui, che doveva essere al piano di
sopra.
“Basta dire sempre di sì e che ha ragione lei.”, rispose l’altro, affacciandosi
dopo qualche attimo sulle scale sopra al caminetto.
“Ma che belli i miei amici!”, esclamò Mac, mentre prendeva la penisola del
divano e la avvicinava al fuoco. Thiago vi si sedette subito e lei si mise a
preparare il caminetto.
“Dimmi… sei pronta per una delle serate mondane più fantastiche del mondo?”, le
chiese lui, eccitato solo all’idea.
“A dire il vero pensavo di non andare a quelle premiazioni.”, rispose subito
Mac, rivelando quale fosse stato il suo vero pensiero sugli ‘Emas’.
“Ma piantala!”, fece subito l’altro, dandole una pacca sulla testa, “Ti devo
dare una notizia fantasmagoricamente assurdamente vera!”
“E qual è? Giorgio Clonio ha rivelato di essere gay?”, fece Mac, indicando con
quel nome una parodia del divo di Hollywood.
“Magari…”, fece l’altro, sconsolato, “E’ anche molto meglio!”
“Hanno ritirato dal commercio tutti i tuoi libri, accusandoli di blasfemia?”,
ritentò la ragazza.
“Ma no!”
“E allora cosa ti è successo? Paris Hilton ti ha adottato?”
“Certo… mi hanno invitato per presentare un premio agli Emas!”, rivelò lui,
iniziando a pestare i piedi sul pavimento per la felicità.
“Davvero?!?”, fece Mac, alquanto stupita.
“Sì, presenterò il premio ‘Best Fashion’, che premierà la star che si veste
meglio! In lizza ci sono: Britney Spears, impossibile da credere ma c’è; poi
anche Rihanna; Carla Bruni, che dovrebbe vincere perchè è anche stata una
modella, non so se lo sapevi… e le altre due non mi ricordo…”
“Beh, sono davvero contenta per te!”, disse Mac, lasciando perdere il caminetto
per voltarsi ed abbracciarlo.
“Quindi, se vengo io, devi venire anche tu!”
“Tranquillo, non mi opporrò con facilità perchè la rivista mi ha chiesto di
fare una specie di reportage sulla serata…”
“Sì!”, esclamò Thiago, iniziando a saltellare come un canguro e a battere le
mani come una foca, “Sapessi con che toni si sono rivolti a me! A questa star!”
“Sentiamo…”, fece Mac, mentre accendeva una pallina chimica che avrebbe messo
sotto alla piccola catasta di legni, per farli iniziare a bruciare.
“Prima mi hanno chiesto se ero io lo scrittore Thiago Ramirez… poi, con una
formalità che mi ha alquanto stupito mi hanno detto: ‘Saremmo lieti di
invitarla per l’edizione degli Mtv Europe Music Awards che si terrà questo
novembre a Berlino per presentare il Best Fashion Awards’…. Io sono rimasto
così.”, disse lui, assumendo una smorfia facciale molto simile all’urlo del
film Scream, “E poi ho chiesto loro perchè volevano proprio me, dico io, uno
scrittore come tanti altri, un semplice attore e sceneggiatore, a presentare un
premio del genere… Mac, tu sai quanto sia falsa questa modestia che ho usato nei
loro confronti, ma non volevo passare per uno che si dà tante arie… Loro mi
fanno: ‘Perchè è considerato come una specie di fashion guru da molti gay come
lei…e pensavamo fosse molto adatto in questo ruolo’… e li ho fatto quest’altra
espressione.”
Si mise con le braccia aperte verso l’alto e si tramutò in una specie di Liza
Mannelli, bocca aperta in un sorriso da diva e occhi spalancati, dopo
l’esibizione di ‘Cabaret’, noto musical amato da tutti gli omosessuali del
pianeta.
“Ed hai accettato, ovviamente!”, disse Mac, a conclusione della storia.
“Ovvio che sì! Appena avremo tempo andremo per boutiques a trovarci un bel
vestito.”, disse lui, che forse era più elettrizzato dal fare shopping che da
presentare quel premio.
“Va bene! A patto però che vieni con me a Vienna!”, disse Mac, e gli spiegò
cosa avrebbero dovuto fare.
Imbecille,
imbecille, imbecille. Proprio un imbecille.
Che cazzo gli era preso? Prendere ed andarsene in quel modo, con una scusa
assurda. No, non era questo il modo, non era questo quello che voleva.
Voleva mettere in sesto la sua relazione? Sì.
Ciò poteva accadere se tornava a casa e, appena la vedeva, fuggiva di nuovo?
No.
Bisognava che prendesse seri provvedimenti contro se stesso. Soprattutto,
voleva parlare a quattro occhi con Mac, chiederle scusa per averla trascurata
quando lei aveva più bisogno del suo appoggio, chiederle perdono.
Passò davvero dallo studio, dove era sicuro avrebbe ancora trovato Jeremy,
l’agente degli Asian Fever, e gli disse che da venerdì in poi, fino quando non
lo avesse richiamato, non ci sarebbe stato, che sarebbe stato impegnato altrove
e che si era scordato di informarlo.
Poi andò all’aeroporto e, ad uno dei tanti info point, chiese di comprare i
primi biglietti disponibili per Londra, la città preferita di Mac. Prenotò
anche un albergo, in vista di passare un week end molto romantico stretto a
lei… Voleva stare veramente con lei, perchè da un certo periodo a quella parte…
insomma… non c’era verso di avvicinarsi.
Tutto questo gli portò via molto tempo e, quando rincasò, era oramai troppo
tardi per mangiare con tutti gli altri. Bill lo aveva chiamato più volte per
chiedergli dove era e lui gli aveva mentito, dicendogli che si era trovato
bloccato nel traffico per via di un incidente.
Appena mise piede in casa, andò subito da Mac, che se ne stava sul divano a
farsi fare le unghie da Thiago, mentre Bill si stava dedicando a una buona dose
di x-box.
“Ciao… scusate il ritardo, ma quell’incidente è stato terribile.”, disse,
mentre si toglieva il piumino e lo appoggiava sullo schienale del divano.
“Tranquillo, capita…”, disse Mac, voltando la testa per dargli un bacio.
“A proposito… verresti un attimo in cucina? Ti devo parlare di una cosa.”, le
disse.
“Beh… anche io ti devo parlare.”, fece Mac.
Sia Thiago che Bill si voltarono verso di lei, avendo notato nelle sue parole
un forte accenno melanconico. Si alzò e lo segui. Quando i due furono spariti
dietro la porta, Thiago si rivolse a Bill.
“Lo hai notato anche tu che tra i due non va tanto bene… vero?”, gli disse.
“Sì…”, rispose Bill, “Speriamo non alzino tanto la voce.”
Mac si sedette sul
ripiano della cucina, raccogliendo le gambe sul petto, con aria triste.
“C’è qualcosa che non va?”, le domandò Tom, sorridendole, appoggiando la sua
faccia sulle sue ginocchia ed abbracciandola per i fianchi.
“A dire il vero sì… Riuscirai mai a trovare un po’ di tempo per me? Invece di
lasciarmi sempre sola con Bill?”, fece lei.
“E’ proprio su questo che volevo parlarti, Rose…”, disse lui, sospirando, “Lo
so… è colpa mia… mi sono fatto caricare di lavoro e non ho avuto tempo per
starti accanto.”
“Lo facevi perchè non volevi stare con me… vero?”
Tom la guardò negli occhi, un modo per dirle implicitamente che era vero. Gli
venne da sciogliere quell’abbraccio, sentendosi in colpa.
“E perchè?”, gli chiese Mac.
“Perchè non so come aiutarti… ed ogni volta che ci provo litighiamo. Non so
come prenderti, ogni parola che dico diventa un’offesa, per te. Non ho voglia
di sentirmi sempre inutile… ”
“Ho capito…”, disse Mac, abbassando gli occhi perchè stavano iniziando a
riempirsi di lacrime, “Colpa mia.”
“E non riesco più nemmeno ad avvicinarmi a te, ogni volta ti chiudi a riccio e
ti allontani. Non ti chiedo niente... Solo di potere trovare un modo per
riprendere il nostro contatto.”
“Tom...”, fece lei, chiamandolo per nome, lo faceva pochissime volte, “Io ti
amo, lo sai… ma ancora non ci riesco!”
“Non ti sto domandando nient’altro che di poterti… poterti toccare,
abbracciare, baciare, accarezzare… come facevamo sempre prima.”
“Non ci riesco ancora! Dammi tempo!”, esclamò Mac, alzando improvvisamente la
voce ed iniziando a singhiozzare, “E non farmele ripetere queste cose!”
“Tempo…”, disse Tom, perdendo la pazienza, “E’ passato un mese! Un mese!
Rifiuti di farti curare da uno psicologo, non ci ascolti, fai come cazzo di
pare ogni santo giorno… adesso basta!”
Mac, intimorita, scese dal ripiano della cucina e, con la faccia nascosta tra
le mani, singhiozzando, corse fuori dalla cucina. Si chiuse in una delle due
camere libere del piano di Bill.
Tom appoggiò la schiena contro il frigorifero. Si massaggiò la faccia,
premendosi con forza sulle tempie, gli era esploso un terribile mal di testa.
Tirò fuori i due biglietti e li guardò.
“Fanculo.”, disse, e li strappò, gettandoli nel cestino dei rifiuti.
Tutti i personaggi famosi e la manifestazione ‘Emas’ non sono citati con scopi
di lucro.
Saltiamo
direttamente i ringraziamenti a MissZombie, CowgirlSara, Alanadepp
e Sososisu... ragazze, vi chi già ringraziato abbastanza per msn oppure
volete di più? Ve lo do senza che mi rispondiate:
graziegraziegraziegraziegraziegraziegraizegrazie!!!!! Poi passiamo alle altre:
Quoqquoriquo: beh, forse hai
ragione sull'ultima frase, ma è stata del tutto necessaria per dare un indizio
sull'evoluzione futura della storia... anche stavolta mi sono buttata in un
ambito psicologico che, per mia grandissima fortuna, non ho mai esplorato.
cercherò di rendere i sentimenti e gli stati di mac il più veritieri possibili,
grazie ad un manuale di psicologia virtuale. spero di non deluderti!
Starfi: fabri fibra, la
persona più inutile del mercato discografico italiano... vabbè, ti passo la
canzone con il mio nome però XDDD ecco, ti dico di sì, destabilizzazioni in
arrivo sul binario uno, perfettamente in orario!
Ruka88: che si lasceranno...
io ho l'ho mai detto... XDD no, tranquilla, mettiti l'anima in pace! non farsi
toccare da tom??? manco con la canna da pesca (pensiero di rubychubb) XDDD
SweetPissy: tranquillizzati,
quel tipo non tornerà, a meno che non faccia la comparsata alla beautiful,
magari dicendo che è il fratello nascosto dei kaulitz!!!! XD beh, thiago è
arrivato! sempre spettacolarmente, ma forse un po' meno delle altre volte!!!
Ho ringraziato
tutti? Beh, no, mancano quelli che hanno letto senza recensire e quelli che
hanno messo la storia tra i preferiti! Vielen Dank
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Capitolo 4 *** Come and save me tonight ***
4.
COME AND SAVE ME TONIGHT
L’aereo era in ritardo di due
ore e mezza. Fuori imperversava una tempesta di neve che si stava lentamente
calmando e le piste erano quasi del tutto bloccate. Mac prevedeva di passare
tutta la notte in aeroporto, a morire congelata, ma aveva trovato un’ottima
positazione, proprio sotto al getto dell’aria calda, quindi non si lamentava
più di tanto. Insieme a lei Thiago, che aveva accettato di farle compagnia e
che, invece, continuava a lamentarsi.
“Questo sedile è troppo scomodo.”
“Questo giornale è noioso.”
“I bagni erano sporchi.”
“Cos’ha quello da guardare?”
“Mi si è spezzata un’unghia!”
“Mi stanno sudando le ascelle.”
“Io non mangio quelle schifezze!”
Eccetera… Eccetera… Eccetera…
“Il volo AB85621, destinazione Vienna, è pronto per l’imbarco.”, disse
la voce falsamente suadente dell’hostess di terra, impiegata all’ultimo
controllo biglietti prima dell’imbarco.
“E’ il nostro Thi.”, disse Mac, dando una botta all’amico, che si era
appisolato, annullando ogni sua rimostranza.
“Ah… stavo dormendo così bene!”, disse lui.
La situazione neve di Vienna era
molto più accettabile rispetto a quella di Berlino. Aveva appena iniziato e
ancora non aveva attecchito sull’asfalto, quindi l’aereo atterrò senza
problemi. Erano le undici di venerdì sera ed entrambi, con delle occhiaie
paurose che segnavano i loro occhi, decisero di infilarsi subito in hotel. Dopo
aver fatto il check in all’albergo in cui la redazione aveva prenotato la
camera doppia per loro due, si fecero una doccia sbrigativa per togliersi via
lo sporco del viaggio.
Nel mentre che Thiago si stava lavando, Mac ne approfittò per chiamare Tom e
dirgli che era arrivata.
“Com’è la neve da te?”, gli chiese.
“Sembra Natale.”, rispose Tom, che stava guardando fuori dalla grande finestra
del salotto, con voce quasi atona. Per tutti i tre minuti della chiamata aveva
risposto quasi con soli monosillabi.
“Anche qua sta nevicando. Mi manchi davv…”, disse Mac, ma non terminò nemmeno
la parola, perchè improvvisamente la linea era caduta, lasciandola sola con
quel ‘tu-tu-tu’ asettico. Tom le aveva riattaccato in faccia. Prese il telefono
e lo scaraventò per terra.
Non si erano nemmeno salutati, lei se ne era andata all’aereoporto, come nei
suoi piani, alle quattro del pomeriggio per prendere il volo delle sei, e che
era stato più volte spostato in avanti. Lui, ancora terribilmente
incazzato, le aveva detto che non poteva proprio fare a meno di lasciare
lo studio, perchè aveva una riunione importante con la casa discografica per
gli Asian Fever. Lei si era arrabbiata, ma non gli aveva detto niente. Era
meglio non vedersi per un paio di giorni, calmarsi e poi riprendere il filo del
discorso.
Pareva calata una glaciazione tra i due…
Thiago conosceva abbastanza bene
Vienna, ci aveva vissuto per un mese quando aveva avuto una relazione con un
ragazzo del posto. Mentre Mac stava intervistando il gruppo, che a lui non
piaceva affatto, se ne andò in giro per negozi, in cerca di un abito adatto per
il red carpet sia per lui, che per lei. Se non c’era lui, che di gusto ne aveva
un vagone, Mac si sarebbe messa i soliti vestitacci, pensava.
Il messaggio di Mac lo interruppe nella sua ricerca del tesoro, per farlo
dirigere verso Starbucks, in pieno centro, era lì che si sarebbero ritrovati.
“Mio Dio Thi! Sono fantastici, non me li ricordavo così simpatici!”, disse Mac,
raccontandogli dell’intervista, davanti ad una tazza di cioccolata calda.
“Beh, non li conosco, ma a vederli non sembrano tanti amichevoli.”, fece
l’altro, che non era per niente attratto dalla musica rock.
“Ma dai… cavolo, fuori sta nevicando di brutto… forse è meglio tornare verso
l’albergo.”, fece Mac, guardando fuori dalla vetrata. Erano lì dentro da circa
una mezz’ora e, lentamente, la neve stava salendo.
“No! Assolutamente, ho visto un vestito bellissimo per gli Emas e voglio andare
a comprarlo!”
“Vuoi rimanere per caso impantanato nella neve con i tuoi stivali di
coccodrillo?”, gli disse Mac.
“No… meglio tornare in albergo.”, fece l’altro, atterrito dalla paura di una
possibile crepa nella pelle dei suoi stivali per via del freddo.
“Il Nord Europa è stretto da
venerdì notte in una morsa di freddo. Non nevicava così tanto da almeno dieci
anni e in alcune delle città più importanti, tra cui troviamo Monaco, Hannover,
Berlino, ma anche all’estero Vienna, Ginevra e Stoccolma, sono ricoperte da
quasi due metri di neve…”, diceva il meteorologo di turno, alla televisione
pubblica tedesca, “Gli aeroporti sono chiusi da sabato notte, gli spazzaneve
non riescono a smaltire il loro lavoro, che viene subito ricoperto da altra
neve. Ottimisticamente, le temperature dovrebbero risalire solo da martedì e
prevediamo che questa cappa di freddo e di neve non si allontanerà prima di
lunedì…”
Improvvisamente lo schermo si tinse di nero, la televisione fu spenta.
“Cosa hanno detto le previsioni?”, chiese Tom al fratello. Si sedette accanto a
lui, sgranocchiando una manciata di pop corn.
“Che non smetterà di nevicare fino a lunedì… e Mac cosa ha detto?”
“Che il suo volo è stato cancellato. Ha chiesto di cambiare il biglietto ma il
primo aereo disponibile è per martedì pomeriggio, alle sei.”, disse lui, quasi
atono.
“Mmh… mi dispiace che non siate potuti andare a Londra.”, gli disse Bill. Aveva
saputo dei biglietti che lui aveva comprato perchè li aveva trovati nel cestino
della cucina, strappati. Per evitare ulteriori complicazioni tra i due, li
aveva presi e li aveva gettati nel fuoco, cancellando ogni traccia
“E perchè? Tanto lassù c’e sempre un tempo di merda.”, fece l’altro, buttandosi
un bocca gli ultimi rimasugli di pop corn.
“Ok…”, fece Bill, buttando via il telecomando e voltandosi verso di lui,
“Vogliamo parlarne?”
“Parlare di cosa?”, fece l’altro, “Non ho niente da dire.”
“Tomi… sarò stupido, sarò deficiente… ma sono tuo fratello, ti conosco meglio
di me stesso. Lo so che c’è qualcosa che non va.”
“Niente, Bill, è tutto a posto.”, disse Tom, spazientandosi.
“Certo, e la terra è piatta… andiamo Tomi, non mi mentire.”
“Che cosa vuoi che ti dica? Che mi sono stufato di tutto?”
“Stufato?”, gli domandò.
“Sì… va tutto a rotoli, non c’è un momento per guardarsi negli occhi e dirsi
che forse stiamo continuando a prenderci in giro.”
“Tomi…”, fece Bill, “Ma cosa stai dicendo...”
“Bill…”, fece l’altro, guardandolo in tralice.
La testa di Tom cadde all’indietro, appoggiandosi stancamente sullo schienale.
“Non credo che questa storia andrà avanti ancora per molto.”
Bill guardò dentro gli occhi di Tom… non poteva crederci, stava dicendo sul
serio.
“Sei… sei sicuro? Tomi, lo sai quanto ci tieni a lei… lo sai che la ami…”
“Sì… credevo di saperlo. Ma non so se era vero. Si dice che l’amore si rinforza
dopo i momenti brutti… a me questo momento brutto è servito a farmi capire che
è tutto sbagliato.”, disse lui, chiudendo gli occhi. Si frugò nelle tasche dei
pantaloni e prese una sigaretta, accendendosela.
Bill si arrese. Tom non stava scherzando.
“Sai da quanto tempo non ci guardiamo negli occhi?”, gli disse Tom.
“Da quanto?”
“Non me lo ricordo nemmeno più.”
“Maledetta neve! Odio la neve! La detesto!”, continuava a sbraitare Thiago.
Erano bloccati dentro l’hotel: fuori, un muro di neve alto un metro e ottanta.
“Voglio uscire! Voglio uscire!”, protestava alla reception, mentre il portiere
cercava di nascondersi sotto al bancone, impaurito.
“Signore, stiamo spalando adesso… se aspetta altri cinque minuti…”
“Ho aspettato mezz’ora!”, gridò Thiago, “Sono claustrofobico! Non lo capisce!”
“Thi! Datti pace… hanno aperto la porta…”, fece Mac, sconsolata per
l’atteggiamento dell’amico.
Lui, appena vide l’esterno dell’hotel, a grandi passi uscì fuori ansimando. Il
suo alito si animava, per via del freddo, e diventava bianco, una nebbiolina
leggera che gli inumidiva i contorni della bocca.
“Oh Signore! Dio ti ringrazio!”, diceva, mentre si appoggiava le mani alle
ginocchia e riprendeva fiato.
“Santa Maria… sei proprio ridotto male!”, disse Mac, uscendo fuori. Alzò il
naso e guardò il cielo: un brivido di sole penetrò al di là delle spesse nubi
bianche, iniziando a colorare di luce la nevosa atmosfera bianca. Erano
intrappolati lì, in quella città, l’aeroporto era ancora chiuso sotto due metri
e mezzo di neve. Secondo le previsioni alla tv, sarebbe stato riaperto nel
pomeriggio, se non si fosse messo a nevicare di nuovo, dopo che gli spalaneve
avevano rimosso tutti gli ostacoli. Il loro aereo partiva alle sei e mezza, con
un po’ di buon ottimismo forse sarebbe arrivata a casa in orario.
Anche se aveva paura a tornarci…
C’era qualcosa che non andava. Qualcosa? Tutto.
Tutto andava male tra loro, da schifo. Non si parlavano più. Non si guardavano
più.
Forse era l’ora di prendere una decisione. Forse era l’ora di imparare a capire
quando era meglio tagliare via le cose che non andavano più bene.
“Mac! Che cavolo ci fai lì impalata?”, le fece Thiago, che l’aveva beccata,
pensierosa, sulla soglia dell’hotel.
“Ops, scusami, stavo solo vagando con la mente.”
“Tienila al guinzaglio!”, la brontolò lui, prendendola a braccetto.
La loro destinazione era la Ringstrasse, famosa via circolare di Vienna su cui
si potevano trovare i migliori negozi, le migliori boutique. Thiago, che aveva
già visualizzato interamente tutto il suo outfit, non doveva fare altro che
cercare quello che voleva, tirare fuori la carta di credito, farla passare
lungo il lettore alla cassa e andarsene via con i pacchetti. Mac, che non aveva
la benché minima idea di cosa indossare per la serata ‘mondana’ degli Emas,
doveva veramente cercarsi qualcosa di decente da mettersi.
Camminando a braccetto, con la testa infilata dentro lo loro sciarpe e le mani
coperte da spessi guanti, si godettero quel poco di sole che stava facendo
capolino tra le nuvole, mentre tutto intorno a loro era candidamente bianco
neve.
“Questi dopo sci sono da urlo!”, disse Thiago, guardandosi gli scarponi che
aveva ai piedi, ovviamente all’ultima moda, con folto pelo che adornava il
bordo superiore, “Voglio vedere in quanti me li invidieranno!”
Mac guardò i propri: rossi a con una striscia bianca. Paurosamente indecenti,
ma erano gli unici che aveva portato con sé. Ne aveva un paio simili a quelli
di Thiago, ma non le piacevano molto.
Come una coppia di fidanzatini del tutto bizzarri, camminavano per i
marciapiedi della città, oramai sgomberati in fretta dal servizio degli spazza
neve. La gente era tornata a popolare le strade, anche se tremendamente
infreddolita, ma le giornate innevate, con il cielo che piano piano si
sgomberava del suo carico di nuvole, erano veramente stupende, secondo Mac. Le
piaceva l’inverno, le piaceva il freddo, anche se adorava l’estate ed il sole.
Ma prediligeva di più la neve al caldo: le piaceva come sapeva rendere tutto
magico ed infantile. Ma soprattutto, le piaceva da morire fare la lotta con le
palle di neve! Avrebbe tanto voluto iniziarne una con Thiago ma, a parte il
regolamento cittadino contrario a quello ‘sport’ invernale, lui non avrebbe
affatto gradito.
“In quali negozi entriamo?”, gli chiese Mac.
“Negozi? Oh, cara mia, nessun negozio… noi andiamo nelle boutiques!”, precisò
l’altro.
“Ma nelle boutiques i vestiti costano un occhio della testa e, fino a prova
contraria, io sono sempre Mac, la squattrinata per eccellenza! Non si
guadagnano i milioni a fare i fotografi, soprattutto se il lavoro scarseggia, e
il servizio di ieri me lo pagano quando lo consegno!”
“E chi ti dice che sarai tu a pagare i vestiti che vorrai? Voglio farti dei
regali, sono mesi che non te ne faccio uno!”, disse Thiago.
“Beh… molto gentile da parte tua ma non credo che…”
“No no no no no!”, fece l’altro, mettendole il dito sulla bocca, “Non
continuare la frase.”
“Sì, ho capito ma…”
“Sssshhhh! Qualunque cosa tu dirai sarà usata contro di te in tribunale.”, fece
l’altro, mettendosi le mani sulle orecchie e fermandosi in mezzo al
marciapiede, costringendo inavvertitamente le persone dietro di lui a fargli lo
slalom intorno.
“Thi… non ha senso quello che hai appena detto…”, gli fece notare Mac.
Al che l’altro, pensando che la sua amica stesse insistendo sul rifiutarsi di
accettare il suo regalo, iniziò a saltellare e a canticchiare come uno scemo,
con gli occhi chiusi, per non sentire le sue parole. La gente che passava lo
guardava come se fosse lo scemo del villaggio e Mac, rossa per l’imbarazzo, se
ne stava lì a guardarlo, ridacchiando e cercando di coprirsi il viso con le
mani.
“La finisci!”, gli disse poi, quando un capannello di gente si era
radunata intorno a loro.
Thiago si fermò e, vedendo tutta quella gente che lo guardava divertito, si
tolse le mani dalle orecchie e fece un inchino, togliendosi il cappello in
segno di riverenza.
“Andiamo!”, fece Mac, porgendogli il braccio, “Non vorrai mica far pagare il
biglietto.”
Ogni grande marca che incontravano, Thiago vi si infilava dentro e iniziava con
minuziosa attenzione a spulciare tutti i vestiti femminili che, secondo il suo
modestissimo parere, potevano andare bene per Mac. Ovviamente lei glieli
bocciava costantemente e lui, rassegnato, doveva sempre scusarsi con le
altezzose commesse per il comportamento poco signorile della sua amica.
Davanti al negozio dei suoi stilisti preferiti, niente popò di meno che i
famigerati Dannatament&Gnocca, lui le impose assolutamente di trovare
qualcosa di adatto per lei.
“Qua dentro mi conoscono benissimo, sanno chi sono… non mi far fare
figuracce!”, le disse, appena prima di entrare.
“Va bene mamma.”, disse Mac, infilandosi un dito in bocca ed iniziando a
succhiarlo come un bebè. L’altro sbuffò e glielo tolse con un gesto fulmineo,
poi la portò dentro al negozio. A destra dell’ingresso, dietro la vetrina, solo
un bancone bianco, dall’aspetto minimalista, senza nessun registratore di cassa
sopra. Poi davanti a loro, tutti i vestiti stavano appesi con le loro stampelle
su sostegni che erano fissati direttamente al muro. Una grande colonna centrale
era ricoperta sui suoi quattro lati da specchi e un grosso divano a mezzaluna
la circondava, dando le spalle all’entrata. Una lieve musica jazzeggiante
riempiva l’atmosfera.
“Oh! Il caro Thiago!”, fece subito la nullafacente commessa, andandogli
incontro a braccia aperte. Fino a quel momento se ne stava seduta dietro al
bancone, leggendosi una rivista, sicuramente di moda.
“Oh! Cara Mathilde!”, esclamò l’altro, abbracciandola e baciandola, ma senza
sfiorare le guance di lei. Mac trovò quel gesto del tutto falso, dettato solo
dall’etichetta.
“Cosa ci fai qua a Vienna?”, le chiese lei, “Ti trovo così bene!”
“Oh, cara grazie, sono venuto ad accompagnare questa mia carissima amica ad un
impegno di lavoro. Te la presento, si chiama Mackenzie Rosenbaum.”
Lei, che era rimasta fino a quel momento sulla soglia del negozio, fece qualche
passo avanti e, educatamente, porse la mano alla ragazza. La ragazza la squadrò
da capo a piedi in un nano secondo, soffermandosi con un sorriso lievemente
disgustato sui suoi doposci.
“Ma sì! So chi sei! Sei la fidanzata di Tom Kaulitz! Stavo leggendo proprio
adesso l’articolo su di voi due! Guarda il caso! Lo sto trovando davvero
interessante!”, esclamò l’altra, senza contraccambiare il gesto e lasciandola
alquanto nell’imbarazzo.
“Beh… grazie…”, disse Mac, mentre abbassava la mano, credendo poco alle parole dell’altra.
“Oh! Ma che piacere!”, fece Mathilde, compiendo il rituale dei due baci ai lati
del viso, come aveva fatto con Thiago.
“Vedi, Mathilde, come sicuramente saprai questa domenica ci saranno gli Mtv
Europe Music Awards a Berlino e, modestamente, sono stato invitato a presentare
il Best Fashion Award!”
“Ma non mi dire! Sono contentissima per te!”, fece la ragazza, mettendosi
teatralmente la mano davanti alla bocca.
Per Mac, tutti quei gesti così estremizzati erano del tutto comici. Non era
proprio questo il suo ambiente, si disse. Thiago, invece, si trovava
perfettamente a suo agio ed un pochino lo invidiava. Ma lui era sempre stato,
fin da quando lo aveva conosciuto, così spettacolarmente mimico, sia nei gesti
che nelle espressioni facciali… D’altronde, era gay!
“Già, non ti dico quanto sono contento! E, ovviamente, Mac sarà accanto al suo
ragazzo e… quindi… dobbiamo trovarle qualcosa di veramente adatto per questa
magnifica occasione!”
“Sicuramente, già ho visualizzato che tipo di vestito ti può andare bene… ma
intanto accomodatevi, sarà meglio che tutto questo sia riservato solo a voi.”,
disse la ragazza, avvicinandosi all’entrata. Mac la vide chiudere l’entrata e
spostare una tenda semi trasparente, che copriva dagli occhi indiscreti
l’interno del negozio, ma lasciava alla vista di tutti gli abiti esposti in
vetrina.
“Che sta facendo?”, chiese a Thiago, incuriosita.
“Sta chiudendo il negozio per noi! Come delle star!”, esclamò lui,
contentissimo.
“Uh! Che bello!”, fece lei, simulando sarcasticamente la solita felicità.
“Accomodiamoci sul divanetto.”, disse Thiago, guardandola di sbieco.
“Hai qualche idea su cosa indossare, Mackenzie? O posso chiamarti Mac anche
io?”, le chiese la ragazza, con un sorriso a ventimila denti.
“Mac, per favore.”, fece lei.
“Molto bene… vuoi che ti faccia vedere gli ultimi modelli?”
“E… quelli vecchi dove sono?”, chiese Mac, che di negozi alla moda proprio non
sapeva niente. Era una ragazza normale, non le interessava sfoggiare abiti di
marca. Quello che vedeva e le piaceva lo comprava, indipendentemente dal nome
impresso sul cartellino.
La ragazza la guardò stranamente e Thiago si corresse al posto suo.
“Ah! Ma che bella battuta, Mac! Vai a vedere i vestiti!”, le disse,
sorridendole a denti stretti. Mac si alzò, senza capire dove aveva sbagliato e
seguì la commessa, che andava dietro la colonna. Anche Thiago le seguì.
Quello che non aveva notato dall’entrata era che la colonna di specchi
nascondeva un piccolo corridoio, davanti ad essa, che portava al reparto
vestiti sciccosi, come lo aveva definito Mac. Insomma, era il reparto dei
vestiti da sera. Per lei un mondo sconosciuto.
La ragazza aveva subito capito che Mac, a dispetto di avere la sua faccia
pubblicata su una delle riviste di moda più popolari, non sapeva niente in fatto
di moda quindi, confabulando con Thiago ed escludendola completamente dalla
scelta, le porse quattro vestiti.
“Dove sono i camerini?”, chiese Mac con titubanza, sperando di non commettere
un’altra gaffe.
“Hai presente la colonna con gli specchi? Quello è il camerino.”, disse
Mathilde, con un tono da maestrina delle elementari.
“Ah…”, fece Mac.
Davanti alla colonna, o meglio, dietro alla colonna rispetto come l’aveva vista
dall’entrata, Mac vide la classica tendina nera, ma ornata con una passamaneria
rossa del tutto chic. La scostò e vi entrò dentro.
“Sarà meglio che vada ad aiutarla…”, disse Thiago, “Non è tanto pratica.”
Il primo vestito era semplice,
ma allo stesso tempo, elaborato. Di colore nero, era allietato da puntini
bianchi, disposi con regolarità su tutta la stoffa liscia, un po’ luccicante.
Sul davanti, la stoffa legata dietro al collo scendeva lungo il seno e andava
ad attaccarsi all’orlo della parte inferiore, senza che i due lembi si
coniugassero, lasciando che la pelle fosse mostrata, senza soluzioni di
continuità, dal collo fino all’ombelico. La parte inferiore era una lunga gonna
che le arrivava al ginocchio, con una leggera svasatura che la rendeva più
larga all’orlo rispetto alla fasciatura sui fianchi.
“Mio Dio…. Sembri un’altra persona…”, disse Thiago, vedendola uscire.
“Sembro una pornostar…”, fece Mac, guardandosi allo specchio.
“Sciogliti quei capelli!”, esclamò l’altro, imponendole quindi di togliere il
bastoncino che glieli teneva appuntati sulla testa. Le si mise alle spalle e glieli
sistemò lungo la faccia.
“Come primo tentativo non è niente male…”, fece lui, “Se fossi etero ti
salterei addosso.”
“Non mi piace.”, disse Mac, con una smorfia.
“Ne hai altri tre da provare.”, disse Mathilde.
Il modello tubino aderente rosso alla Jessica Rabbit fu prontamente scartato da
tutti e tre. Le paillettes furono cestinate direttamente da Mac, e il collo
troppo alto dell’ultimo vestito fungeva da ottimo deterrente per gli scatti
fotografici, secondo Thiago.
Mac, seguita dalla commessa vigilante, spulciò tutti gli abiti da sera, senza
trovarne uno di suo gradimento. Non era colpa sua se non le piacevano gli abiti
galanti. Era un’anima sportiva, molto pratica.
“Gesu…”, disse Thiago, sconsolato, “Non riuscirò mai a vederti con un bel
vestito addosso.”
“In fondo, scusate il mio modesto parere,”, disse Mathilde, “Gli Emas non sono
i Golden Globes… potrebbe anche benissimo vestirsi casual.”
“No Mathilde, non la incitare.”, la pregò Thiago.
Ma Mac, a sentire quelle parole, era già andata nel reparto iniziale.
“Adesso scelgo io.”, disse, “Voi due non guardate… Rimanete in questo reparto.”
“Nei piccoli armadi sotto ai modelli appesi puoi trovare le scarpe che sono
esposte nei ripiani sopra la tua testa.”, le disse la commessa.
“Ah, grazie!”
“E gli accessori… ci sono anche quelli!”, continuò Mathilde.
“Dove stanno?”
“Qua.”, le fece, mostrandoglieli direttamente. Vicino all’apertura del
corridoio, la sfilata dei vestiti si interrompeva e due vetrinette esponevano
bracciali, collane e anelli vari.
“Scegli bene Mac…”, fece Thiago.
Ci volle un pochino prima che
Mac uscisse completamente vestita, comprensiva di scarpe e degli accessori che
aveva scelto.
“Ecco… lo sapevo…”, fece Thiago, mettendosi le mani nei capelli, appena la vide.
“Beh, non sta per niente male…”, disse la commessa.
Mac, guardandosi allo specchio, comprese in un lampo di aver scelto le cose
giuste. Camicetta bianca con maniche a tre quarti, aperta sul davanti finchè
non incontrava lo striminzito gilet nero, chiuso con una clip dietro al colletto
della camicia e che arrivava a fatica a metà della sua pancia, lasciando che si
vedesse di nuovo la camicetta strusciare contro il bordo dei pantaloni; una
lunga collana fatta di perline metalliche le passava stretta intorno al collo
e, in un secondo giro, le cadeva fino toccare la zip dei suoi tipici e classici
pantaloncini, corti a metà coscia, di jeans chiaro. Ai piedi, un bel paio di
stivali neri vellutati, leggermente larghi e con qualche piegatura, con un
discreto tacco fine. Peccato per la punta… che era proprio a punta e a lei non
piaceva molto, ma il risultato complessivo era molto di suo gusto
“Che ne dite?”, chiese alla giuria, dopo essersi guardata con soddisfazione
allo specchio.
“Che fai schifo…”, disse Thiago, “La pianti con quei dannati pantaloncini
corti!”
“Beh… per me può andare.”, fece Mathilde, non tanto convinta.
“Ah! Mi sono scordata la cintura!”, fece lei, tornando dentro al camerino ed
uscendo con quella che aveva scelto, vista in esposizione. Era semplice, ma
fibbia le piaceva molto: di forma ovale, al centro vi era stampata una grossa X
nera, in vernice laccata.
“Allora Thi…”, disse, rivolgendosi all’amico, mettendosi le mani sui fianchi
“Sei pronto a tirare fuori la carta di credito?”
“Wow! E’ bellissimo fare
shopping quando è qualcun altro a pagare!”, esclamò Mac, uscendo fuori dal
negozio con tutte le sue buste firmate in mano.
“Già… l’importante è comprare qualcosa di buon gusto.”, fece Thiago, “Meno male
che io mi sono rifatto gli occhi con quello che ho scelto per me.”
Strano ma vero, Mac non aveva notato che il negozio aveva un secondo piano e vi
si accedeva tramite un ascensore, che stava in fondo alla seconda saletta,
quella degli abiti da sera, e che lei non aveva visto perchè mimetizzato da uno
specchio, fissato sulla sua porta.
Thiago, che proprio voleva essere elegante, ma con un tocco un po’ casual,
aveva scelto un completo nero, semplice, con la giacca solo un pochino
avvitata, e sotto vi aveva abbinato un grazioso ma alquanto piatto maglioncino
bianco a collo alto. Sì, lui amava i colli alti, ma sugli uomini, non sulle
donne, che secondo lui dovevano obbligatoriamente mettere in mostra ‘la
mercanzia’, in serate del genere.
“Ma se non hai preso niente di stravagante!”, gli disse Mac.
“Taci! Figlia sacrilega!”, esclamò lui.
“Ok… sarà meglio tornare in albergo… altrimenti perderemo…”, fece Mac, ma fu
interrotta dal trillo del suo cellulare. Un guizzo al cuore, sperava fosse Tom,
ma era solo Bill.
“Hey! Tutto a posto, o voi, in terra straniera?”, esclamò, quando Mac
ebbe risposto.
“Sì, siamo appena usciti dal negozio di Dolce e Gabbana.”
“Dannatament&Gnocca”, la corresse Thiago.
“Ops, ho sbagliato, siamo appena usciti dal negozio di
Dannatament&Gnocca…”, si riprese Mac.
“Da lì? Tu, Mac, in un posto del genere? Incredibile.”, fece lui,
stupito.
“Eh già… eppure mi sono completamente rivestita per questa domenica! Adesso
stiamo andando verso l’albergo, sono già le una e mezza, altrimenti faremo
tardi come sempre!”
“Tutto a posto con la neve?”, le domandò.
“Oh sì, certo, per adesso c’è il sole. Non c’è nemmeno più una nuvola in cielo.
Da quasi fastidio il riverbero!”
“Per che ora sarai a casa?”
“Vediamo… se l’aereo parte in orario penso che sarò a casa per le sette e
mezza, anche le otto.”, disse Mac, facendo un rapido calcolo con la mente.
“Va bene, vi lascerò qualcosa da mangiare…”
“Grazie!”, disse Mac, poi si prese qualche attimo di pausa, “Come… come sta
Tom?”
“Beh… come sempre non lo vedo mai, se non la sera tardi o alle prove.”
“Ti ha detto niente?”, gli domandò.
“No, non parliamo molto… non ho voglia di litigarci. Ma al piano di sopra…
vuoi che te lo passi?”, le domandò.
“No, tanto mi chiuderebbe la chiamata in faccia come ha fatto sabato.”, fece
Mac, intristendosi. Thiago se ne accorse e la abbracciò, appoggiando la testa contro
la usa e dondolandola qua e là.
“Non vi siete più sentiti da sabato?”
“No.”
“Mi dispiace Mac…”
“No, non ti preoccupare. Non devi dispiacerti. Ci vediamo stasera!”
“Accendimi il caminetto Bill!”, esclamò Thiago, per farsi sentire.
“Cosa ha detto?”, fece l’altro.
“Ha detto di accendergli il caminetto.”
“Già fatto. A stasera, fate buon viaggio.”
***
Sdraiato sul letto, guardava il
soffitto, mentre le sue dita pizzicavano le corde di una delle sue tante
chitarre. Ma quella era speciale, era diversa dalle altre perchè l’aveva
comprata Mac, era la sua chitarra, perchè voleva che lui le insegnasse a
suonarla. Non voleva una delle trentacinque che aveva lui, ne voleva una tutta
per lei. Sfumata tra il blu ed il nero, era una semplice chitarra, di quelle classiche,
da suonare senza troppe pretese di perfezione armonica. I piedi penzolavano
fuori dal letto e si muovevano, scandendo il tempo che si immaginava nella
testa, ma che non corrispondeva a quello suonato con le mani.
Mac, che ne capiva molto di musica rock, ma che sapeva leggere a fatica uno
spartito, gli aveva chiesto di insegnarli a suonare non tutte le canzoni, ma
una determinata canzone. Lui non l’aveva mai sentita prima, non conosceva
nemmeno quel gruppo, gli Alice in Chains. Lei brevemente gli aveva spiegato che
erano del tempo dei Nirvana, primi anni novanta, genere giunge, ma per lui era
come se non gli avesse detto niente. Avevano scaricato lo spartito da internet
e dopo un mesetto di tentativi, Mac era riuscita ad impararla.
Come si intitolava…
Down in a hole, per caso?
Fatto il check in, lasciati i
bagagli alla simpatica hostess di terra, si accomodarono nella zona degli
imbarchi, seduti sulle poltroncine.
“Ho sete, vado prendermi qualcosa da bere.”, disse Thiago, “Vuoi niente Mac?”
“Oh no, grazie, poi mi viene da andare in bagno ogni trenta secondi.”, disse
lei, sorridendogli.
Frugò nella sua borsa, alla ricerca del suo lettore mp3. Tra quel groviglio di
oggetti che conteneva, lo trovò in fondo a tutto, schiacciato dal borsello. Lo
prese e, dopo aver districato le cuffie, le indossò. Scorse rapidamente la
playlist, in cerca di una canzone che la ispirasse in quel momento. La trovò
quasi subito e la selezionò.
‘Alice in Chains – Down in a hole’, campeggiava nel piccolo lcd del lettore.
Non gli piaceva quella canzone. Era troppo triste. Giù in un buco.
Ci credeva che poi il cantante era morto in overdose da cocaina, se scriveva
canzoni del genere, c’era solo da deprimersi, pensava Tom.
Non gli piacevano tanto le canzoni tristi, eppure quella era la canzone
perfetta, per quel particolare momento.
Le piaceva da morire quella
canzone. Era tristissima, era potente, era melanconica.
Un giorno di molti anni fa aveva visitato il sito del gruppo, per caso, e fu
così che seppe che il giorno prima, solo il giorno prima, il cantante era stato
trovato morto, per via di un overdose. Peccato, si era detta, scriveva proprio
delle belle canzoni.
E quale tra le loro c’era di meglio se non quella, per descrivere come si
sentiva, in quel momento?
Non se la ricordava bene, prese
lo spartito, nascosto nel cassetto del comodino di Mac. A gambe incrociate sul
letto, con i fogli sparsi davanti, prese a suonarla, leggendo anche le parole
scritte sotto ad ogni quintetto di righe.
Down in a hole and I don’t know if I can be
saved
See my heart I decorate it like a grave
You don’t understand who they
Thought I was supposed to be
Look at me now a man
Who wont let himself be
Triste, terribilmente triste. In inglese, si sentiva ‘blue’, come il
colore.
Sad.
Depressed.
Miserable.
Poi quali altri sinonimi?
Entrambi erano troppo infelici, troppo tristi, di nuovo. Troppo soli, e non ci erano abituati.
Down in a hole, feeling so small
Down in a hole, losing my soul
I’d like to fly but my
Wings have been so denied
Anche a loro sarebbe piaciuto
spiegare le ali e partire, volare via, lontano da tutti, dalle persone, dai
problemi, dalle aspettative degli altri.
Mac si aspettava di essere compresa da Tom, ma era stata illusa.
Tom si aspettava di essere compreso da Mac, ma era stato illuso.
Entrambi, nella loro disillusione, si sentivano come dentro ad un buco. Sopra
le loro teste la luce, ma era troppo lontana per poterla toccare.
Bury me softly in this womb
I give this part of me for you
Sand rains down and here I sit
Holding rare flowers
In a tomb in bloom
Oh I want to be inside you
“Oh… I want to be inside of
you…”, cantarono entrambi, con il loro accento tedesco.
Ma per il momento non c’era niente che potesse far realizzare quella frase. Al
massimo, loro due erano semplicemente ‘apart’, se si voleva rimanere
nell’inglese.
Era possibile ritrovarsi?
Si chiedevano entrambi.
Forse sì, se ognuno era capace di ammettere la propria colpa.
Forse no, se non erano capaci di comunicare senza litigare.
Come su una bilancia, i due forse posavano sui piatti opposti, pendendo una
volta da una parte, una volta dall’altra.
***
“Finalmente!”, esclamò Thiago,
una volta messo il piede fuori dall’aereoporto, a Berlino.
“Perchè finalmente?”, gli chiese Mac.
“Perchè non se n’è scordato!”, fece l’altro, indicandogli con la testa il suo
beetle, parcheggiato a qualche metro da loro, su un lato della strada. Dentro,
Bill che li salutava, per attirare la loro attenzione.
“Che ci fai con la mia macchina?”, gli chiese, appena lui scese per aiutarli a
caricare i bagagli.
“La mia si è guastata, non so cosa abbia e Tom non c’era… quindi…”, disse lui.
“Ah… niente, nessun problema!”, fece Mac, mascherando la sua tristezza con un
sorriso.
“Fatto un buon viaggio?”
“Sì… normale, non era la prima classe ma poteva andare.”, disse Thiago, mentre
infilava il suo bagaglio nel retro della macchina. Data la dimensione enorme di
entrambe le valige, Mac fu costretta a caricare la sua sul sedile posteriore.
Incastrata tra la portiera e il suo bagaglio, fu contenta di arrivare a casa,
almeno per quello. Ovviamente, era vuota, non c’era nessuno.
Disfece la valigia con calma, non aveva nessuno che le metteva fretta e non
aveva fame. Si chiedeva dove poteva essere Tom, alle nove di sera, se non fuori
in qualche locale. Beh, poco le importava, non aveva voglia di trovarselo
faccia a faccia. Accese lo stereo, inserendo uno dei tanti cd degli Aerosmith
che aveva.
Si svestì e si infilò tremante sotto la doccia, pronta per un bagno di acqua
calda e rilassante, mentre in sottofondo Steve cantava ‘You’re my angel…
come and save me tonight’
Le canzoni ‘Down in a hole’
degli Alice In Chains e ‘Angel’ degli Aerosmith non sono citate per scopo di
lucro. Idem per la firma D&G (Dannatament&Gnocca)
Allora,
come sempre siamo ai ringraziamenti! Scusate per la poca
originalità: infilosempre una canzone, anche due, nella
storia... ma che ci posso fare se ci sono delle canzoni che sono
perfette per i momenti che descrivo??? Spero non vi dispiaccia (Sara,
lo so che ti piace..... XD ).
Ah,
stavolta vi ringrazio velocemente.... cavolo come sono pigra...
scusatemi se vi scriverò solo due righe, ma dopo l'esame di ieri
avrò il cervello in ferie per almeno un paio di giorni o tre!!!
CowgirlSara:
posso aggiungere altro che non sia già stato detto? ah, aggiungo
solo grazie mille! ps: non fare congetture sennò mi indovini
come finisce la storia... lo so che ci riesci sempre...
Sososisu:
per come la vedo io, la ragione non sta mai da una sola parte,
c'è sempre un po' di torto in tutti noi. la vera sfida è
accorgersene, vediamo se i due lo faranno... oppure se cozzeranno
continuamente come macchinine dell'autoscontro? un anticipazione su
polly pocket... prima scena: polly pocket se ne sta dietro l'albero, ad
attendere la sua grande amica anna, con una grande ascia in mano...
continua tu!
Muny_4Ever: si riprenderà o non si riprenderà? chi lo sa? mah...
Alanadepp:
alighiera del 2000... il povero dante si sta suicidando da morto...
basta basta con tutte le tue adulazioni, sennò mi arrabbio!
thiago, il nostro caro thiago sta colpendo ancora!
Ruka88: babba? questo influsso siciliano! XD sì, un pochino babba lo è, ma bisogna anche capirla...
Gufo:
eccoti! e brava, hai capito la trilogia: dal comico, al romantico, al
triste... complimenti! a dire il vero non è stata una cosa
voluta, ma un'evoluzione naturale della storia. speriamo ti piaccia!
Starfi:
fabri fibra non ti metto nemmeno nello stereo sennò poverino si
suicida... ho fatto anche la rima... grazie, non pensavo che le mie
storie potessero illuminare le serate delle persone... come delle
lampadine nel buio XD prendiamola sul ridere! i polsi tremeranno, puoi
starne certa!
SweetPissy: sarà thiago la manna dal cielo? mmmmm.... non credo, ma aiuterà molto i due....
Anna9223: hai fatto bene a leggerle, sennò non ci capivi veramente un cazzo XD grazie per i complimenti!!!
Lucidatevi gli occhi, state pronte per il prossimo capitolo....
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Capitolo 5 *** SX & triangles ***
WARNING: questo capitolo è
essenzialmente vietato a chi si trova in astinenza…. E ai minori di 18 anni! XD
tanto poi la leggete lo stesso, lo so, ma è a danno vostro non mio XDDD
5. SX & TRIANGLES
Saliva le scale
trascinandosi i piedi dietro. Era stanco, terribilmente stanco, ed erano solo
le nove e mezza. Non dormiva molto bene durante la notte, si svegliava ogni
poco e faceva brutti sogni, che poi non ricordava mai.
Quando aprì la porta capì che Mac era tornata, c’era ancora la sua valigia
aperta, ai piedi del letto, ma svuotata. Alcuni vestiti erano stati messi alla
rinfusa sul letto e, dalla musica che sentiva provenire dal bagno, comprese che
lei stava facendo una doccia. Come sempre, non poteva prescindere la doccia
dalla musica.
Gli incredibili acuti del cantante degli Aerosmith mascheravano il rumore
dell’acqua che scorreva e, ogni tanto, sentiva Mac canticchiare.
Si sedette sul letto, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani che gli sorreggevano
la fronte. In un momento come quello, senza pensarci due volte, sarebbe entrato
in bagno e avrebbe fatto sesso con lei, sotto la doccia…
Lo voleva fare? Con tutto il cuore.
Poteva farlo? No.
Si tolse il cappello dalla testa e lo fece cadere a terra. Si soffermò sulla
musica che sentiva: gli Aerosmith, forse l’uno gruppo che lei ascoltava e che a
lui piaceva.
Erano diversi, totalmente diversi. La musica che lui ascoltava a lei non
piaceva, la odiava. Lui rimaneva indifferente al rock, ascoltava più cantanti
hip hop ed r’n’b. Lei amava Londra, aveva sempre sognato di viverci. Lui odiava
la pioggia e la nebbia. Lui amava il mare, la spiaggia, il sale sulla pelle.
Lei adorava camminare e non sopportava il caldo. A lui piaceva andare nei club,
a ballare, mentre a lei piacevano i gruppi dal vivo. A lei piaceva vestirsi un
po’ sullo stile di Bill. E a lui non sarebbe dispiaciuto vederla con indosso
qualcosa di provocante.
Che avesse preso il Kaulitz sbagliato? Beh, se ci ragionava bene, un pochino lo
aveva sempre pensato. Erano molto così simili lei e Bill.
E loro erano così diversi, quasi all’opposto. Non erano anime gemelle. Non ci
aveva mai creduto, come invece faceva Bill… lui e la sua ricerca dell’altra
metà della mela. Diceva sempre che due anime gemelle non erano
necessariamente due persone totalmente identiche nel carattere e nei gusti, ma
comunque ci si avvicinavano molto.
E se aveva ragione lui, Mackenzie Rosenbaum e Tom Kaulitz non erano
assolutamente anime gemelle. Assolutamente.
Ma non poteva cancellare così, con un colpo di spugna, il fatto che Mac era
stata la prima persona che gli era entrata dritta nel cuore e nella mente.
Prima di lei nessun’altra. E dopo di lei?
La porta del bagno si aprì, interrompendo quella catena costante di pensieri.
Mac si era bloccata sulla soglia alla sua vista.
“Ciao.”, disse lei, sistemandosi l’asciugamano che si era legata intorno al
petto. I capelli bagnati, perfettamente pettinati, le aderivano alla testa, li
aveva raccolti sul collo. In un attimo si fermò su ogni piccola goccia d’acqua
che aveva sul collo e che le scendeva giù sul petto, fino ad essere assorbita
dall’asciugamano.
“Ciao.”, le disse.
“Non… non ti ho sentito arrivare.”, disse lei, andando verso l’armadio a passo
svelto, quasi vergognandosi.
“Avevi la musica alta.”, fece lui, guardandola con la coda dell’occhio. Adorava
le sue spalle, la sua schiena…
“Già…”, fece lei, inginocchiandosi per prendere la biancheria nell’ultimo
cassetto, il suo.
“Hai… fatto un buon viaggio?”, le chiese.
“Sì… diciamo di sì, a parte Thiago che si lamentava costantemente.”, disse lei,
quasi sovra pensiero.
“Si lamenta sempre.”
“Di ogni cosa. Ma è Thi.”, disse lei, alzandosi, con in mano la sua biancheria,
e tornando verso il bagno.
“Dove vai?”, le chiese lui.
“Beh… mi rivesto.”, rispose lei, perplessa da quella domanda.
“Ah… in bagno.”
“Sì.”
Tom annuì con la testa, spostando lo sguardo altrove. Anche Mac abbassò lo
sguardo, entrando in bagno. Davanti allo specchio, annerito dal fumo del vapore
acqueo, si osservò dentro agli occhi. E prese una decisione.
Si tolse l’asciugamano, indossò le mutandine ed il reggiseno. Prese una
sigaretta dal pacchetto che Tom teneva sempre sul porta saponetta e se ne
accese una. Tornò nella camera, dove trovò Tom che stava chiudendo le ante
dell’armadio che lei aveva lasciato aperte. Si sedette dove, fino a qualche
momento prima, era stato seduto lui.
Accavallò la gamba destra su quella sinistra, mentre lui la guardava, senza
però ricambiare lo sguardo. Appoggiò indietro la mano sinistra, mentre con
quella destra continuava a fumare.
“Vieni qua. In piedi davanti a me.”, disse a Tom, quasi atona.
Lui, dopo qualche attimo di incertezza, lo fece.
“Togliti il maglione.”, gli disse.
“Rose… cosa stai…”
“Kaulitz, ti ho detto di toglierti il maglione.”, disse lei, posando per la
prima volta gli occhi sui suoi. Con sguardo serio, ma anche lievemente
malizioso, continuava a fumare la sua sigaretta, facendo uscire il fumo dalle
narici. Se ne stava lì, semi nuda, davanti a lui. Una cosa irresistibile…
Il pullover largo rivelò un’altra maglietta, a maniche lunghe.
“Togliti anche quella.”, gli disse, come un ordine. Anzi, lo era.
Rimase a petto nudo.
Lei se ne stava lì, con la sigaretta fumante in bocca, occhi semichiusi per via
del fumo. Mandò indietro la testa, muovendola lentamente da destra a sinistra
per sgranchirsi il collo.
Tom non voleva farsi domande, chiedersi perchè da un momento all’altro si era
trasformata in tutt’altra persona. O meglio, era tornata ad essere Rose. Quella
che lo aveva trascinato dietro al palco, durante un concerto, facendo incazzare
a mille Bill, che aveva dovuto intrattenere il pubblico con degli sketch comici
con Georg e Gustav. Quella che, con la scusa di fargli vedere come si
sviluppavano le fotografie… Quella che aveva convinto un fonico in una
trasmissione televisiva di dargli un auricolare diverso dagli altri e, mentre
loro si sentivano le traduzioni, lei gli diceva quelle cose, facendolo
letteralmente diventare viola davanti ai fans francesi. Insomma, era un pochino
che non la vedeva più, quella Rose.
Non si mosse oltre, voleva giocare al suo gioco.
“Pantaloni.”, gli disse, indicandoglieli con la sigaretta.
Con calma quasi esasperata, sganciò la cintura e fece cadere i pantaloni a
terra. Erano così larghi che bastò che alzasse i piedi per toglierseli. Lei
prese a guardarlo da capo a piedi, facendo scorrere lentamente i suoi occhi su
tutto il suo corpo. Non sorrideva, i suoi occhi sembravano terribilmente seri.
Mac si spostò sul letto, facendo forza con le mani andò verso il comodino, dove
spense la sigaretta su un posacenere lasciato lì. Non si fumava in camera, ma
c’erano sempre quelle eccezioni.
Si sdraiò, si mise un cuscino sotto alla testa, con le gambe piegate. Lui era
rimasto lì, in piedi. Ma non attese una sua parola, gattonò lentamente sulle
coperte. Le passò una mano sulle gambe, tra le gambe, e iniziò a baciarla sulla
pancia, mentre la sua schiena si iniziava ad inarcare per il piacere.
Rapidamente le tolse le mutandine e, con altrettanta velocità, le si posizionò
sopra.
Voleva guardarla dritta negli occhi. Non aspettava altro che quello.
Non fu bello, doveva dirlo, finì tutto in poco tempo. Ma la soddisfazione di
farlo senza distogliere i suoi occhi da quelli di Mac, fu quello a dargli il
massimo piacere. Come per dirle, senza parlare: ‘Visto? Ti ricordi quanto era
bello farlo così?’
Si buttò supino sul letto, ansimando. Lei si alzò, prese le sue mutandine e
andò in bagno, chiudendo la porta dietro di sé.
Allungò il braccio sul comodino, in cerca del pacchetto delle sigarette. Ne
accese una, aspirandola a fondo. Guardò la nuvoletta di fumo aleggiare
nell’aria e si toccò il naso, scacciando via un leggero fastidio momentaneo.
Sentì l’acqua scrosciare in bagno.
Mac, seduta sul coperchio del gabinetto, fece lo stesso, una volta rivestitasi.
Aveva impresso nella testa lo sguardo di Tom, sopra di lei. Era come cattivo,
pieno di rabbia nei suoi confronti, di rancore. E lei lo aveva ricambiato
pienamente.
Come tra due che si odiavano ma che si trovavano a fare sesso.
Buon sesso.
Forse un po’ veloce, ma decisamente fatto bene.
Rabbia e passione erano difficili da distinguere, a volte.
E quando si confondevano fruttavano dei buoni risultati.
Con menefreghismo, spense la sigaretta, fumata solo per metà, sul bordo del lavandino,
lasciando che il mozzicone cadesse a terra. Si sciacquò la bocca, afferrò una
spazzola e tornò nella camera. Andò davanti allo specchio, quello posto di
fronte al letto. Iniziò a guardarsi, quasi con noncuranza. I suoi capelli
avevano preso ad asciugarsi, iniziando ad ondularsi. Con aria da bambina, prese
a pettinarsi, affondando la spazzola con molta lentezza.
Tom si ricordò dell’ultima volta che l’aveva vista fare quella cosa. Mac era
cambiata, fisicamente. Adesso aveva un fisico molto più asciutto di prima. Si
fermò sulle due fossette che le si erano create sul fondoschiena, sopra il
sedere. Era più muscolosa, più forte…
L’aveva desiderata mai come quella volta?
Posò la sigaretta, oramai quasi finita, sul posacenere e andò da lei,
cingendole i fianchi con le braccia. Entrambi riflessi sullo specchio, si
guardarono a vicenda nell’immagine dell’altro. Le dette un bacio sul suo
tatuaggio, tra le scapole, i due serpenti che si incrociavano. Poi le mani
affondarono sui suoi fianchi…
Aprì gli occhi e,
d’istinto, si girò verso la sveglia sul comodino. Erano le sette e mezza, la
sveglia stava per suonare. La spense preventivamente e, togliendo con
delicatezza il braccio su cui Mac aveva appoggiato la sua testa, si alzò.
Rovistò nel suo comodino in cerca di un post it, prese una penna, scrisse
qualcosa e lo affisse alla porta della camera, all’esterno. Tornò a letto e,
dopo essersi nascosto sotto il piumone, si avvicinò a Mac, riaddormentandosi di
lì a poco.
Con un biscotto in
bocca, mentre si infilava il giaccone di pelle, salì le scale saltellando. Era
un pochino arrabbiato, Tom stava ritardando, non era nemmeno sceso a fare
colazione, ma di solito era lui a fare tardi quindi era meglio non scagliare
nessuna pietra. Vide il post it sulla porta e lesse, staccandolo.
‘Aria’
Nel dizionario Kaulitz-Tedesco, Tedesco-Kaulitz significava: non mi rompere i
coglioni nemmeno in caso di guerra nucleare. Prese il cellulare e, velocemente,
informò sia Georg che Gustav che non c’era ragione di andare alle prove, per
via dell’improvvisa indisponibilità di suo fratello.
Aprì gli occhi di
nuovo, infastidito dalla luce del sole d’inverno. Dopo un lungo sbadiglio ed
una proficua allungatura articolare, si accorse che era rimasto solo. Per un
attimo si era quasi allarmato, aveva pensato di trovarla rannicchiata sul bordo
del letto, ma non era nemmeno lì. Si era alzata prima di lui.
Si infilò subito sotto la doccia, ne aveva decisamente bisogno, anche se lavare
via una notte del genere era quasi un reato. Ma l’acqua non l’avrebbe
cancellata dalla sua memoria e, già ripensandoci, i ricordi facevano effetto.
Mutande, maglietta, pantaloni. Pronto per scendere a fare colazione. Aveva
proprio fame, entrò in cucina a passo svelto.
Mac se ne stava con espressione quasi annoiata, seduta miracolosamente su una
sedia e non sul ripiano della cucina. Con una mano sfogliava una rivista, con
l’altra, appoggiata sul tavolo, sorreggeva una barretta di cioccolato.
“Giorno.”, lo anticipò, senza lasciare la sua rivista.
“Giorno.”, rispose lui.
“Ti preparo qualcosa?”, gli chiese.
“No, faccio da solo, non ti preoccupare.”, fece lui, avvicinandosi a lei. La
distrasse con un bacio sul collo e, con mano svelta, le rubò la tavoletta di
cioccolato. Poteva essere un reato, di prima mattina, farle un gesto del
genere, ma lo fece lo stesso. Non gli interessava incorrere nella pena capitale.
“Puoi tenerla, non me ne andava più.”, disse lei, chiudendo la rivista. Si alzò
dalla sedia e, senza minimamente voltarsi, né guardarlo, lasciò la cucina. Era
strana, la mattina… ma non si sarebbe aspettato questo, dopo aver scopato tutta
la notte.
Posò la tavoletta di cioccolato e la seguì, ma sembrava sparita.
“Sono qui.”, disse lei, dal divano.
Distesa, lui non la vedeva dalla cucina, c’era lo schienale a coprirla. Teneva
un braccio sotto la testa, con l’altra mano giocherellava con una ciocca di
capelli. Si sedette ai suoi piedi e, dopo averli alzati, si accostò a lei,
appoggiando le sue gambe distese sulle proprie sedute.
“Allora?”, gli chiese lei.
“Allora… allora cosa?”
“Cosa fai ancora a casa? Non hai tutti i tuoi impegni? Il tuo gruppo?”
“Che si fottano.”, disse Tom, “E tu non hai il tuo lavoro?”
Lei scosse la testa.
“E cosa farai tutto il giorno?”, le disse.
Lei, mordicchiandosi il pollice, fece spallucce.
“Farò un pupazzo di neve.”, disse poi.
“Uhm…”, fece Tom, mettendosi le mani dietro alla testa.
“E tu cosa farai?”
Mentre sbadigliava, pronunciò un ‘non lo so’.
“Che giorno è oggi?”, fece Mac.
“Penso sia giovedì.”, le rispose Tom. Che strana conversazione… ma cosa si
poteva pretendere, si erano appena svegliati. Notò che indossava qualcosa di
non suo: era una vestaglia nera, con dei ricami floreali che ricordavano molto
le fantasie giapponesi. Aveva i bordi rossi, così come la fascetta che gliela
teneva legata in vita, ed era corta, le arrivava poco sopra le ginocchia.
“E’ di Bill questa qui?”, le chiese, prendendone un lembo.
Lei annuì.
“E perchè ce l’hai tu?”
“Gliel’ho chiesta stamattina.”
“Quando?”
“Quando mi sono alzata.”
“E quando ti sei alzata?”
“Qualche minuto prima di te.”, disse lei, con naturalezza, “Ha detto che ne
aveva un’altra per farla indossare alle sue… ragazze… E questa me l’ha
gentilmente concessa.”
“Perchè non ne indossi una delle tue?”
“Perchè non ce l’ho.”
“Ma te ne avevo regalata una io per il tuo compleanno!”
Mac lo guardò, come se avesse detto la più grossa cazzata del mondo.
“Per il mio compleanno non mi hai regalato niente.”, fece lei, “Eravate in
tournee ed io ero in hotel con una gamba ingessata. E te ne sei scordato.”
“Sì, ma ti ho fatto una bella sorpresa quando sono tornato!”
Mac lo guardò di nuovo.
“Certo… ti ho beccato con quell’altra…”
Tom riflettè. Non era possibile avere due versioni completamente diverse dei
soliti fatti.
“Non è vero… mi stai prendendo per il culo!”, le disse, ridendo.
“Cazzo…. Non ci caschi più in questo scherzo!”, esclamò Mac, sconfitta, ridendo
a sua volta. Sapeva quanto poteva essere labile la memoria di Tom, ma oramai
lui aveva imparato che, nel caso di conflitti tra i ricordi di entrambi, era
tutto uno scherzo architettato da Mac. Se non lo era, bastava notare il suo
tono della voce: stridulo e gracchiante, perchè si incazzava come una vipera.
“Dai… visto che siamo entrambi disoccupati… cosa facciamo?”, gli chiese Mac,
dopo essersi seduta a cavalcioni su di lui, mettendogli le braccia intorno al
collo
“Non saprei.”, disse Tom.
Ancorando le gambe di lei dietro alla sua schiena, si alzò dal divano,
leggermente barcollante.
“Non ho tanta voglia di uscire.”, disse poi, mentre salivano le scale.
Approdati al primo livello, le appoggiò la schiena contro il muro e, tenendola
sempre in braccio in quel modo, iniziò a baciarla, sciogliendole il fiocco che
teneva
Un rischiararsi di gola a qualche passo da loro li distrasse.
“Giorno…”, fece Bill, in piedi, mentre stava immergendo ripetutamente la
bustina del the nella sua tazza di acqua calda.
I due si ricomposero e Bill notò quanto fosse imbarazzato suo fratello.
“Ripresa dal jet lag?”, le fece Bill.
“Oh sì, certo.”, rispose lei, ripristinando la copertura della sua vestaglia.
“Mh… bene… bella vestaglia.”, le disse Bill, mentre passava oltre ai due per
scendere al piano inferiore.
Sghignazzando come bambini piccoli, corsero la loro piano, ridendo della
situazione imbarazzante che si era creata per colpa delle loro… pulsazioni.
“Ma non era di Bill questa vestaglia?”, fece poi a Mac.
“No… scemo…,”, gli rispose lei, “è quella che mi hai regalato per il mio
compleanno. Pasticchina di fosforo?”
Sorseggiando
il suo the al limone, accese la televisione, in cerca di qualche notizia
interessante sui canali musicali. Era un po’ che non sentiva le cazzate che
circolavano sui Tokio Hotel, o comunque su uno dei loro componenti, quindi
pensò che quella giornata di inaspettata vacanza poteva tornagli utile come
corso di aggiornamento. Voleva anche dare un’occhiata ad internet, era lì che
si trovavano le migliori cavolate, le assurdità più assurde.
Si voltò verso le scale, sentendo dei passi molto pesanti. Era Thiago, con
espressione da zombie, capelli arruffati e vestaglia del nonno indosso.
“Giorno anche a te.”, gli fece. Era incredibile quanto potesse cambiare quel
ragazzo: la mattina era totalmente inguardabile ma, dopo un’ora davanti allo
specchio, scintillava come la carrozzeria di una macchina appena uscita fuori
dall’autosalone.
“Giorno un cazzo.”, fece l’altro, andando verso la cucina.
Nottataccia, pensò Bill. Fece spallucce e tornò con il telecomando alla
televisione. Dopo qualche minuto Thiago ricomparve, sempre con la solita
espressione da morto vivente, e si sedette sul divano. In mano, la tavoletta di
cioccolato che aveva trovato sul tavolo e da cui, presumibilmente, avevano
attinto a morsi tutti gli altri abitanti della casa.
“Dormito bene?”, gli domandò, quasi sarcasticamente, mentre l’altro affondava i
denti nella barretta, con le palpebre a mezz’asta.
“No.”
“Brutti sogni?”
“No.”
“Fantasmi?”
“No.”
“E allora di chi è la colpa?”, gli fece.
“Tua.”
“Mia?”
“Sì.”
“E cosa ho fatto?”
“Hai spostato la mia camera.”, disse Thiago. Prima dormiva nell’ultima stanza
in fondo al corridoio del piano di Bill, ma era stata spostata alla camera di
fronte alla sua, per fare spazio ad una specie di sala giochi, con biliardo,
calcio balilla, diversi giochi elettronici, altre varie consolle per
videogames, computer e altre tecnologie per l’intrattenimento.
“E questo fa di te un attentatore alla mia salute mentale, perchè se non dormo
le mie otto ore divento una bestia disumana!”
“Beh… che cosa è cambiato da una stanza ad un’altra? Forse c’è più luce?”
“No…”, fece l’altro, infastidito.
“E allora che c’è che non va?”
Il respiro di Thiago aveva iniziato a farsi sempre più pesante, sempre più
marcato. Segno di un’esplosione imminente. Bill mise una mano sulla sua tazza
per evitare spargimenti di the…
“Sono gli inquilini del piano di sopra che non vanno! Sono dei pervertiti! Non
hanno fatto altro che torturarmi con quello che facevano! Hanno scopato per
tutta la notte senza ritegno! Mi hanno fatto uscire di matto! Sono in
astinenza da tre mesi! Così mi fanno andare di matto! E pensavo di campare fino
a centoventicinque anni”
Ecco, momento di calma, riprendeva fiato e ripartiva, pensava Bill. Era
nell’occhio del ciclone…
“StoimpazzendoBilltipregofaiqualcosaperchènonresisto!!”, gridò l’altro,
spalancando i suoi occhi rossi e lucidi e infilandosi in bocca la cioccolata
rimasta.
Era passato l’uragano Thiago. Ora poteva scoperchiare di nuovo la tazza di the.
“E cosa… che dovrei fare io?”, gli chiese Bill.
“Allora…”, fece Thiago, recuperando apparentemente la calma, “Tu adesso vai su…
da loro…”
“Sì?”
“E LI CHIUDI A CHIAVE IN DUE STANZE SEPARATE!”, urlò ancora Thiago, facendolo
sobbalzare per lo spavento. Il the schizzò fuori dalla tazza, bagnandogli la
faccia, la maglia pulita e finendo per terra e sul divano…
Il pomeriggio si
risolse senza i provvedimenti disciplinari richiesti da Thiago, che si
posizionò su una delle sdraio, nel giardino innevato, a prendere un po’ di sole
sulla faccia. Lampada naturale, aveva detto, cosa c’era di meglio? Era gratis!
Bastava solo vestirsi un pochino pesante.
Nel mentre che lui recuperava le ore perdute di sonno, gli altri tre erano
intenti a ricoprirsi di neve a vicenda, a patto che nemmeno un grammo di neve
sfiorasse il suo corpo. Non fu nemmeno svegliato dalle loro urla e dalle
richieste di time out, era caduto in un sonno profondo modalità letargo.
Le palle di neve volarono anche ben oltre la recinzione, andando a finire nei
territori altrui. Mac, come era ovvio che fosse, era la più colpita dalla
coalizione della flotta gemella kaulitziana. Lei, che aveva deciso di combattere
da sola, senza alleati, fu per diverso tempo costretta a correre intorno alla
casa per sfuggire ai bombardamenti nemici, ma alla fine i due contro uno
avevano sempre la meglio.
Il giardino, che fino a quel momento era ricoperto da un alto strato di neve
vergine, era diventato tutto bucherellato dalle loro impronte di piedi e mani.
Il pericolo maggiore era cadere nella piscina svuotata, ma prima di iniziare la
loro battaglia si erano preoccupati di delimitarla, altrimenti si sarebbero
fatti molto male. Erano sostenitori del ‘play safe’… in tutti i sensi possibili.
Rinchiusi dentro le loro tute imbottite da sci, sentivano un caldo asfissiante,
dovuto all’immane sforzo fisico della guerra delle palle di neve. A conclusione
del gioco, che aveva segnato la totale sconfitta di Mac, il terzetto si buttò a
peso morto nell’unica porzione di giardino che era rimasta ancora intatta.
“Dio mio… che fatica…”, disse Mac, tra un respiro affannato ed un altro, che le
ghiacciava i polmoni. Distesa sulla neve, in mezzo ai due fratelli, era la più
stanca di tutti.
“Già… mi è venuta anche una fame terribile.”, disse Tom, “Torno dentro a
mangiare qualcosa.”
“E vuoi lasciare a me e a Mac il piacere di svegliare Thiago?”, disse Bill.
Preso a mezzo tra un panino ed uno scherzo…
Cercando di essere il più silenziosi possibile, prepararono le palle di neve
più grandi che potevano fare. Si avvicinarono a lui, che se ne stava beato ed
addormentato a bocca aperta sulla sdraio, sotto al sole.
“Uno…”, disse Bill sottovoce.
“Due…”, continuò Mac.
“Tre!”, fece Tom.
Appena le tre palle si scontrarono sulla faccia di Thiago, il povero ragazzo
ebbe un principio di infarto, uno di ictus, e una paralisi facciale, dovuta al
freddo improvviso della neve. Iniziò a sbraitare qualcosa in spagnolo, la sua
lingua madre, che ai tre risultava ancora più esilarante dello scherzo che gli
avevano combinato.
Sulla soglia del
salone si tolsero le loro tute, rimanendo con i vestiti in fine pile che erano
soliti indossare sotto l’imbottitura.
“Preparo una cioccolata calda per tutti.”, disse Bill. Non era uno slancio di
gentilezza, era che voleva leccarsi tutti gli strumenti con cui l’aveva
preparata. Gli altri tre accettarono e, nell’attesa, si spostarono nella sala
giochi.
Tom e Thiago ripresero la loro classica partita a biliardo, che durava da forse
sei mesi, dato che nessuno dei due era molto capace di infilare le palline
dentro la buca. Mac, indossati i suoi occhialini professionali, si mise al pc.
Doveva spedire l’intervista e le fotografie al direttore della rivista e
avrebbe approfittato di quel momento per farlo.
Dopo qualche minuto Bill salì con le loro tazze di cioccolata, trasportate
abilmente su un vassoio. Vedendo Mac al pc e, poco interessato al biliardo, si
sedette accanto a lei.
“Che stai facendo?”, le domandò.
“Sto caricando il mio lavoro per mandarlo alla rivista.”, rispose lei, “Ma
ovviamente questo aggeggio diabolico si sta alleando contro di me!”
Era proprio negata con i computer. Cioè, li sapeva usare, ma appena appariva il
minimo pop up di errore andava in tilt e si innervosiva.
“Aspetta… faccio io.”, disse lui, dopo essersi legato i capelli con un elastico
abbandonato vicino allo schermo piatto. Fu così veloce che Mac non vide nemmeno
dove cliccava la puntina del mouse.
“Fatto!”, fece lui, ridendo.
“Beh… questo computer deve essere gay.”, disse Mac, che proprio non riusciva a
capire come poteva stare antipatica ad una scatola di fili elettrici.
“Guardiamo cosa dicono in rete di noi!”, esclamò Bill.
“Eh no! Ogni volta ti fermi a leggere quelle cavolo di storie tra te e tuo
fratello! Sei un pervertito, stavolta guardiamo quello che voglio io!”,
protestò Mac, che non sopportava quelle strane storie… o fanfiction, come si
chiamavano.
“E se ti faccio leggere una storia che ti lascerà senza fiato?”, la stuzzicò
lui, facendo sobbalzare le sopracciglia.
“Ti ho detto di no! Lasciami quel mouse!”
Ma lui aveva già cliccato su un sito che aveva memorizzato nei preferiti, uno
dove venivano pubblicati racconti sui Tokio Hotel, selezionando quello che voleva
farle leggere.
“Ora devo trovare il capitolo giusto, quindi non guardare.”, le fece lui,
mettendole la mano davanti agli occhi.
“Ok….”, si rassegnò Mac.
Passò qualche secondo, poi lui le tolse la mano dagli occhi. Aveva selezionato
una parte di un testo.
“Leggi quella parte lì, è quella più interessante.”, le disse, iniziando a
sghignazzare.
Mac, disinteressata, prese la sua tazza di cioccolata calda e la sorseggiò. Già
alla seconda riga, ci mancò poco che non si strozzasse.
“Mio Dio!”, esclamò improvvisamente, appena fu riuscita ad inghiottire la
cioccolata, “Ma chi è il pervertito che scrive queste cose?”
“Perchè? Cosa hai trovato?”, fece Thiago, interessatosi improvvisamente.
“Sentite qua…”, fece Mac, ed iniziò a leggere le testuali parole, “I due si
stavano baciando intensamente, chiusi dentro al camerino del gruppo…. I due
siamo io e te, Kaulitz.”
“E che c’è di strano?”, fece l’altro, che si era seduto sul bordo del tavolo da
biliardo.
“Fammi andare avanti… le mani di lei…bla bla bla…. e lui iniziò a
toccarla …. va bene questo è normale… ecco: Bill entrò inaspettatamente
nel camerino, aveva dimenticato di prendere il suo cellulare…”
“Sempre a scordarmi le cose…”, disse lui, ridendo.
“Tom e Mackenzie, colti sul fatto, si fermarono, imbarazzati ed impauriti.”
“Dove l’ho già vista questa?”, fece Tom.
“Bill, anche lui imbarazzato, ma terribilmente eccitato, chiuse la porta a
chiave e si avvicinò a Mackenzie, iniziando a baciarla davanti agli occhi di
suo fratello…. Il mio sogno nel cassetto…”
“Ma davvero cara!”, esclamò Bill, imitando i modi di fare di Thiago, con la sua
manina pendente a sottolineare l’esclamazione.
“Oh, certo carissima. “, fece Mac, riprendendolo a sua volta, “Due è meglio che
uno, ma torniamo alla nostra storia… bla bla bla… Le due bocche sacrileghe…”
“E che devo stare a fare il cornuto io e basta?”, disse Tom.
“Zitto Kaulitz…. Le due bocche sacrileghe si fermarono, oramai sazie di quel
bacio…”
“Devo ammettere che questa frase è molto carina… ma l’ho scritta prima io,
questa mi ha copiato!”, fece Thiago, ricordandosi che una frase molto simile
l’aveva inserita in uno dei suoi primi libri.
“E Tom, che era rimasto allibito, decise di riprendersi ciò che era suo…
Una bambola… Come in una sfida, baciò la sua ragazza, stringendola prepotentemente
per i fianchi e Bill, che non resisteva, iniziò a baciarla lungo la schiena…
E il resto immaginatevelo ragazzi, insomma, non ci vuole il premio nobel per
capirlo.”, disse Mac, leggermente impicciata da quello che stava leggendo.
“Eh no! Visto che faccio il cornuto, dimmi anche che succede dopo!”, esclamò
Tom.
“Ma ti pare che debba leggere una storia dove io mi trovo a fare il prosciutto
in mezzo alle fette di pane?”, protestò Mac.
“E io? Che lo prendo sempre in culo da mio fratello?”, disse Bill, sconsolato
per via di quelle continue e poco gradite sverginazioni virtuali.
“Beh… ha vinto Bill.”, disse Thiago, come per farle capire che la sua storia,
in fin dei conti, era molto meno indecente delle altre sui due fratelli.
“Ok… Era una cosa che non aveva mai fatto. Dividere una ragazza con suo
fratello. Beh, era capitato altre volte, ma non aveva mai pensato di trovarsi,
un giorno, chiuso a chiave dentro ad un camerino… Bill la stava toccando, lui
la stava baciando… Dai ragazzi! Mi vergogno!”, esclamò Mac, iniziando a
piagnucolare.
“Togliti di lì, la leggo io che so farlo meglio di te!”, fece Thiago,
picchiettandole sulla spalla per farla alzare dalla sedia. Mac gli cedette il
posto e la lettura riprese, scandita dall’accento spagnoleggiante del tedesco
di Thiago. Mac si sedette accanto a Tom, imbronciata e penosamente in
imbarazzo. Lui e Bill ci erano abituati a vedere tutte quelle porcherie su
internet… ma lei no!
“Mac si voltò, voleva baciare Bill. Lo aveva sempre desiderato, fino dal
primo giorno che si era messa insieme a suo fratello. C’erano già andati vicini
una volta, e Tom non aveva saputo niente, non se lo sarebbe nemmeno mai
immaginato che ci fosse stata questa terribile attrazione tra la sua ragazza e
il suo caro fratellino. Ma allo stesso tempo…”
“Mio dio…”, diceva Mac, sottovoce, con le braccia conserte e il viso basso.
“Allo stesso tempo non poteva prescindere da Tom. Si sentiva divisa, in quel
momento, tra due fuochi. Ma voleva provare ciò che non aveva mai osato fare
prima. Tom sembrò capirla, si staccò da lei e si sedette, da una parte.
‘Che stai facendo?’, gli domandò Mackenzie.
‘Voglio guardarvi mentre lo fate’, rispose lui, quasi con
cattiveria.”
Bill e Mackenzie si guardarono intensamente negli occhi...”
Scorse di due righe la pagina web.
“Le mani di lui affondarono nei capelli della ragazza, tirandoli
delicatamente all’indietro. Sul collo incurvato di Mackenzie iniziarono a
comparire i segni dei piccoli morsi che le stava dando.”
“Vampiro…”, fece Bill, con una boccaccia che gli metteva in mostra i denti,
voltandosi verso suo fratello e Mac, che cercava di nascondersi sotto il tavolo
da biliardo, tanta era la sua vergogna. L’espressione di Tom era abbastanza
emblematica, non riusciva a capirla. Se ne stava quasi serio, con sorriso abbozzato.
“Momento di sospensione, è finito il capitolo.”, disse Thiago, scorrendo di
nuovo la visualizzazione per cercare il collegamento con il prossimo, “Apro il
secondo capitolo.”
“Beh… non c’è molto da immaginarsi, puoi anche concludere qui.”, fece Bill. Era
rimasto un pochino turbato nel vedere Tom, quindi forse era meglio interrompere
lì la questione. Forse gli aveva dato fastidio una cosa del genere, ma d’altra
parte era solo il frutto dell’immaginazione troppo vivida di qualche loro fan.
Lui non avrebbe mai e poi mai mosso un dito verso Mac, ne era certo come sapere
che lui e Tom erano gemelli identici.
Qualche mese prima, fecero una chiacchierata strana. Mac non c’era, stava
facendo la baby sitter alle gemelline Listing, ed i due fratelli si erano
trovati sul divano a scambiarsi opinioni su tutto… ed erano entrati in un
argomento un po’ spinoso. Tutto era partito da Tom, che gli aveva chiesto se la
presenza di Mac lo infastidiva.
“Certo che no.”, gli aveva risposto, “E’ un’ottima amica, sa ascoltare molto.”
“Sì… ma io intendevo infastidire in un altro senso.”, aveva insistito lui.
“E quale?”
“Cioè… non ti rendi conto quanto siete simili?”
“Simili?”
“Sì… vi somigliate, intendo caratterialmente e nei vostri gusti, tantissimo…”
“E quindi?”, disse Bill.
“Voi siete quasi praticamente uguali. Nel modo di vestire, nel modo di parlare,
nei vostri gusti musicali… vi piacciono quasi le stesse identiche cose. E
quindi se vuoi due siete uguali, io e Mac non siamo uguali, perchè io e te
siamo diversi.”
Bill riflettè un attimo sulla logica del discorso. Beh, non faceva una piega,
era vero. Lui e Mac erano molto simili...
“E quindi?”, gli aveva chiesto di nuovo.
Tom aveva sospirato, aveva tirando indietro la testa e aveva detto.
“Ho paura che un giorno vi accorgerete di tutte queste similitudini e… insomma…”
“Ho capito.”, disse Bill, “Vuoi un giuramento solenne con la mano sulla Bibbia?”
“No scemo…”, fece l’altro, sorridendo.
“Lo sai che non potrà mai accadere quello di cui stai parlando.”
“Non mi dire che mi vuoi dire che sei gay perchè oramai non ci credo più.”,
disse Tom. Si era sentito stupido a confidargli quel suo pensiero e non voleva
fare altro che scherzarci sopra per non sentirsi così deficiente.
“No… non succederà mai perchè tu e Mac state semplicemente insieme.”
“Vuoi dirmi che se ci lasciamo le salti addosso?”
“No!”, esclamò Bill, sconsolato, “Perchè vige ancora un patto famoso… non con
la stessa ragazza se uno dei due è coinvolto sentimentalmente. Non te lo
ricordi più?”
“Certo che me lo ricordo.”
“E chi è coinvolto sentimentalmente tra i due?”
Tom alzò la mano.
“Io credo nell’anima gemella, nella metà uguale della mela, lo sai.”, fece Bill.
“Ancora con questa storia…”, sbuffò Tom.
“Sì… due metà uguali della solita mela… due persone uguali…”
Come tu e Mac, pensò Tom.
“Vuoi… vuoi una piantina per trovarla?”, gli chiese Tom.
“No…. Perchè l’ho già trovata.”, disse Bill, guardandolo dritto negli occhi,
con una serietà sbalorditiva. A Tom si gelò il sangue nelle vene.
“E sei tu amore mio bellissimo!”, esclamò Bill, saltandogli addosso per fargli
il solletico e prenderlo a pizzicotti.
Che scemo che era Tom, ancora con tutte le sue incertezze. E di una cosa lui
era certo, Mac non era proprio il suo tipo, la sua anima gemella. Mac era come
la sorella che gli mancava, quella che poteva truccare a suo piacimento e farsi
a sua volta truccare, con la quale andava a fare shopping. Una specie di grande
‘barbie’ vivente! Ma una ‘barbie’ con una grande personalità ed un grande cuore.
Potevano essere uguali… ma la mela di Mac aveva la buccia rosso fuoco, come
quelle che piacevano a lei.
E la sua era invece nera, ovviamente. Magari con qualche striatura bianca…
Era una
stupidaggine, una fottuta stupidaggine. Eppure non gli piaceva, la odiava
quella cazzata. Non ne voleva più sentire parlare.
Era una storia, niente di più, ma non era per niente di suo gusto. Cioè, se ci
pensava bene, una fantasia del genere gli era già passata ben altre volte per
la testa, ma al posto di suo fratello c’era una bionda di un metro e ottanta,
con due… insomma…
Aveva sopportato le storie etero che lo riguardavano, traendone magari qualche
spunto dalla fantasia sessuale delle scrittrici. Aveva sopportato le storie
omo, quando lui se la faceva con un altro ragazzo. Aveva sopportato le storie
twincest, perchè di solito era suo fratello a ‘prenderlo’, non lui.
Ma quella era la prima storia che trattava di lui e Mac… e Bill. Perchè lui?
Perchè ci doveva entrare lui? Calma Tom, si diceva, era solo una fantasia di
una fan. Ma per lui non era semplicemente una fantasia, era una paura.
Una paura che spuntava fuori quando li trovava a chiacchierare insieme, a
ridere, a volte anche alle sue spalle, ma per il resto del più e del meno. Era
un tipo geloso, sì, ma non lo dava tanto a vedere. Magari, se proprio lo
infastidiva, trovava una scusa qualunque per litigare con Mac e così sfogarsi.
Negli ultimi giorni era anche aumentata, dato che Mac e Bill avevano passato
interi pomeriggi insieme, ma era stato troppo impegnato ad essere arrabbiato
per quell’aggressione e per tutto ciò che aveva causato. Ci aveva pensato poco
ma in quel momento di riflessione sentì la rabbia salirgli fino alla testa.
Interi pomeriggi insieme… mentre lui aveva cercato di evitarla….
Scese dal tavolo da biliardo e uscì dalla sala giochi.
“Ma che gli è preso…”, disse Thiago, che non ebbe nemmeno il tempo di iniziare
a leggere l’altro capitolo.
Mac, che si era veramente nascosta sotto il tavolo da biliardo, non aveva
potuto vedere il cambiamento di umore di Tom. Aveva visto solo le sue gambe
toccare terra e andare verso la porta, uscire.
“Perchè?”, chiese, “Ho fatto qualcosa di male?”
“No…”, fece Bill, “So io cos’ha…”
“Sarà meglio parlarci.”, disse Mac, perplessa. Uscì fuori dalla stanza e lo
raggiunse, correndo, sulle scale che portavano al loro piano.
“Hey… che c’è?”, gli domandò.
“No niente… tranquilla.”, fece lui.
“Beh… mi sembri un pochino arrabbiato.”, disse lei, prendendolo per mano e
fermandolo.
“Mi lasceresti un attimo solo, per piacere?”, fece lui, con calma.
“Prima potresti spiegarmi che cos’hai… poi ti lascio in pace.”
“No, lascia perdere, tornatene dagli altri.”
“Ho il diritto di sapere perchè all’improvviso ti metti la coda tra le gambe e
te ne vai.”, disse Mac, risoluta, stava per arrabbiarsi.
“Possibile che, quando sei tu a impormi di lasciarti in pace, io debba sempre
ubbidire senza repliche, mentre tu continui ad insistere quando lo faccio io?
Lasciami in pace!”, le disse contro, quasi urlandole. Si divincolò dalla sua mano
e se ne andò in camera, sbattendo la porta con forza.
Scese le scale e tornò nella sala giochi. Bill e Thiago si voltarono verso di
lei, stavano confabulando a bassa voce e si interruppero.
“Bill, spiegami che cos’ha.”, gli chiese, quasi come un ordine.
“Non credo che sia compito mio parlartene.”, rispose lui, “Lascia che gli
passi, poi te ne parlerà.”
“Problema suo.”, disse Mac, andandosene.
Vi ho fregato!
Vi ho fregato! Vi dicevo di lucidarvi gli occhi per la scena iniziale e voi ci
siete cascate in pieno!!! Lasciatemi ridere un pochino!!! Muahahahahahaha
Muahahahaahah!
Cosa significherà mai SX?.... concorso a premi
aperto! Si vince: niente!
Ok, finita la mia
risata diabolica, passiamo ai ringraziamenti vari:
CowgirlSara: visto come
chiacchierano bene questi due bischeri? altro che comunicazione orale....
vabbè, lasciamo perdere! God save the Queen! God save Thiago! Inchiniamoci alla
regina...
Alanadepp: visto che mi sto
convincendo di essere il boss, ti chiedo gentilmente di adularmi fino a che non
ti dico basta XDDDD scherzo! Deodorante per le ascelle, usalo, sento un vago
odorino... XDDD
Sososisu: anche io pagherei
oro per avere un amico come Thiago, ma mi accontento anche di compagnie etero e
meno sgargianti di lui! XDD basta con le cazzate, passiamo a polly pocket, che
se ne stava beatamente dormiente sul suo lettino d'oro e d'argento, e morì nel
sonno inghiottita dall'incubo di freddy kruger... sccusa, ma non sono molto
ispirata right now per le storie horror, anche se sono le mie preferite!!!
Anna9223: ecco ti qua, il
nuovo capitolo! spero che ti piaccia!!! XD e grazie!
Picchia: wow, ho trovato
un'altra aliceinchainsiana!!! ora non mi sento più sola!!! XD scherzo! cavolo,
sono veramente mitici! davvero hanno un nuovo cantante? ma è all'altezza dell'altro?
spero proprio di sì, sono dei miti, mi piacciono anche più dei nirvana! Grazie
per la recensione!
SweetPissy: oggi spero che
sarai felice, altrimenti se sarai triste questo capitolo non ti piacerà XD
vabbè, scherzo! eh bill bill bill... salvatore della coppia?
Starfi: non voglio essere
causa di depressioni e suicidi, quindi metto la frase 'avvertenza, può causare
danni anche gravi' XD mary sue? oh my god, le metterei al muro e le fucilerei
tutte...
Quoqquoriquo: eh, la neve per me
è bellissima, ci voleva proprio una parte della storia tutta innevata. aspetto
che arrivi almeno quest'anno, l'anno scorso non è nevicato neanche un po' da
me... che bella la neve...
Noirfabi: grazie per aver
letto anche le altre due storie! e grazie per il fatto che ti piaccia anche
questa! grazie tre volte! XD
Gufo: non credo che
arriverò fino a sette, anche perchè diventerebbe tipo beautiful... nel prossimo
seguito: tom che diventa gay e va con il fratello della cugina del marito della
suocera della moglie....
Ruka88: le storie tristi
sono quelle che mi piacciono di più... chissà se la prossima sarà commedia o da
tagliarsi le vene ancora??? XD si intitolerà: super thiago e mega bill, i due
supereroi, in aiuto dei due babbi!
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Capitolo 6 *** Guilty Innocence ***
6. GUILTY INNOCENCE
“Mi annoio!”,
esclamò Thiago per la terza volta in dieci minuti.
“Cosa vuoi fare?”, gli chiese Mac per la terza volta in dieci minuti.
“Non lo so!”, rispose lui per la terza volta in dieci minuti.
“E allora cosa mi rompi le scatole!”, fece Mac, eliminando la risposta che gli
aveva già dato altre due volte.
“Non ci voglio stare in casa! Sono le cinque, voglio uscire!”, protestò lui,
picchiando i pugni sul divano su cui era seduto.
“Ma tra nemmeno un’ora ceniamo! Dove vuoi andare!”, esclamò Bill, mentre si
stava occupando dell’accensione del camino.
“Voglio andare fuori…”
“Tra mezz’ora farà buio.”
“Voglio andare per locali stasera!”, disse Thiago, risoluto, “Voglio uscire e
cercarmi un uomo, visto che in questa casa tutti scopano come ricci, anche su
internet, mentre io rimango sempre a bocca asciutta!”
Aveva fatto la sua dichiarazione di indipendenza, ora l’importante era trovare
un modo per tenerlo a bada, pensarono contemporaneamente Bill e Mac. Sì, perchè
se Thiago diceva che voleva trovarsi un uomo era scientificamente provato da
tutte le università del globo terrestre che lo avrebbe fatto…
“Dove andiamo? Ma non facciamo troppo tardi, domattina ho da fare un’intervista
e non voglio avere le occhiaie.”, chiese lui, tutto pieno di entusiasmo.
“Boh, non saprei.”, fece Bill, “Tu dove vorresti andare, Mac?”
“Mah… il tuo territorio di caccia sono le discoteche, Thiago…. Andiamo al Blue
Sky?”, propose lei. Non ne sapeva molto di discoteche, non le piacevano, ma se
qualcuno le avesse chiesto un parere su un pub, poteva fare la lista dei
migliori di tutta Berlino, comprese le periferie.
“No, il Blue Sky è sempre pieno di ragazzini.”, disse Bill, storcendo la bocca,
“Ma l’In2Deep ha un privè eccezionale.”
“Certo, due facce note come le nostre non possono mica immischiarsi nella
folla, vero Bill? Rischieremo di essere riconosciuti!”, disse Thiago, con
sguardo ammiccante.
“Decidete voi, per me uno vale l’altro.”, fece Mac, indifferente.
“Ok, vada per In2Deep. Adesso li chiamo. Per quanti fissiamo?”, disse Bill,
“Tre? Non credo che Tom verrà…”
“Sì… lo penso anche io.”, disse Mac. E gli dispiaceva, perchè le faceva voglia
di passare una serata diversa dal solito, insieme a lui.
“Chiamiamo anche Georg e Gustav! E magari pure Andreas!”, propose Thiago.
“Georg è malato, l’ho sentito stamattina.”, disse Bill.
“Beh… rimangono gli altri due!”
“Perfetto, li chiamo io.”, disse Mac.
Pizza surgelata, cosa c’era di meglio per cena? Tutto il resto, perchè se la
preparava Bill c’era il rischio che la cucina andasse a fuoco. Ed infatti, a
riprova del fatto che non era capace altro che di combinare guai in cucina, le
fece scongelare, invece di infilarle direttamente in forno.
“Sono mollicce…”, diceva, mentre le metteva sul vassoio del forno.
“Certo! Non vanno scongelate scemo!”, gli disse Thiago, dandogli una pacca
sulla testa.
“Va beh, oramai il danno è fatto… sarà meglio che vada a chiamare mister muso
lungo.”, disse Mac.
Da quando era entrato in camera sua, non lo avevano più visto uscire fuori. Ci
si era chiuso dentro alle due e mezza, ancora doveva mettere la testa fuori.
Non era più arrabbiata con lui, sinceramente non lo era stata nemmeno prima
perchè non ne comprendeva il motivo. Era l’ora che uscisse da quella stanza, ma
visto che non lo faceva, andò lei a tirarlo fuori.
Bussò alla porta lievemente, ma non ricevette nessuna risposta, forse stava
dormendo. Abbassò delicatamente la maniglia.
Dentro era buio, le finestre erano state oscurate dalle tende. Tom era sul
letto, girato di fianco, le dava le spalle. Era proprio addormentato. Sperando
di non svegliarlo, si distese accanto a lui che, sentendo il letto muoversi, si
voltò.
“Buonasera.”, gli disse Mac, sorridendogli.
“Umh… che ore sono…”, fece lui.
“Un quarto alle sei… stiamo preparando la cena. Pizza.”
“Non ho fame…”, disse lui, riaccoccolandosi nella posizione di prima.
“Nemmeno un po’?”, perseverò Mac, facendo camminare due dita sul suo fianco.
“No… ancora no.”
“Stasera usciamo… andiamo all’In2Deep. Vuoi venire anche te? Siamo io, Bill…”
“No, non ho voglia di uscire.”, la interruppe lui.
Mac, che si trovava fornita di tantissima pazienza, non si scompose.
“Dai, facciamo quattro salti tutti insieme… hanno detto che verranno anche
Gustav ed Andreas. E Thiago, ovviamente.”
“No…. Dai, lasciami in pace.”
Mac sospirò. Per qualche sconosciuto motivo si era incazzato e non gli stava
passando. Non ne voleva nemmeno parlare, quindi era meglio lasciarlo in pace.
Gli dette un bacio sul collo e scese dal letto.
“Ha detto che viene?”, le domandò Bill, vedendola spuntare in cucina.
“No… ancora arrabbiato. E senza apparente motivo.”
“Avrà le sue cose.”, disse Thiago.
“Già…”, fece Mac, preoccupata.
Salì di nuovo nella camera, era ora di prepararsi. Gustav e Andreas erano già
arrivati, giù in salotto. Erano arrivati verso le sette: Andreas si trovava già
a casa di Gustav, che abitava dall’altra parte di Berlino, per una cena insieme
e, una volta che ebbero finito, erano partiti per andare da loro.
Erano le otto, prestissimo per uscire, quindi aveva tutto il tempo per
prepararsi con calma. Aprì la porta con molta cautela, Tom di sicuro si era
addormentato. Ed infatti lo aveva ritrovato nella solita posizione in cui lo
aveva lasciato. In punta di piedi andò verso l’armadio per prendere la biancheria.
Avrebbe utilizzato l’altro bagno, quello fuori dalla loro stanza, per non
disturbarlo troppo ed innervosirlo ancora.
Si fece una lunga doccia, si sentiva tutto il collo contratto. Non aveva quasi
mai chiuso occhio la notte precedente… se era lei ad appisolarsi era Tom a
svegliarla, e viceversa. Si sentiva un pochino stanca, ma voleva comunque
divertirsi. Il gruppetto era ottimo, avrebbe passato la serata appiccicata a
Thiago, ne era sicura, a ballare con lui. Con Andreas, il migliore amico dei due
fratelli, era sempre un continuo ridere, soprattutto si se si accoppiava con
Gustav. Mettevano in scena delle improvvisazioni fantastiche, quei due, e di
solito prendevano in giro i luoghi comuni sui Tokio Hotel.
Bene, era contenta di uscire un po’.
Se Tom fosse venuto sarebbe stato meglio… ma non poteva trascinarcelo.
Dall’ultima loro litigata aveva imparato ad essere meno esigente da lui. Doveva
lasciargli i suoi spazi, così come lui le lasciava i suoi… se si era arrabbiato
e non gliene voleva parlare andava bene. Avrebbe aspettato… Non era utile
stargli addosso.
Chiuse l’acqua ed uscì dalla doccia.
“Maledetti capelli…”, disse, una volta che li ebbe asciugati con
l’asciugacapelli. Di natura, non erano per niente lisci, ma mossi… e crespi. Se
li sarebbe fatti piastrare da Bill, come sempre.
Tornò nella camera per vestirsi. Il letto era vuoto, sentiva l’acqua scrosciare
in bagno. Quello che le avrebbe portato via più tempo di tutto era la scelta
dei vestiti. Indossò la sua vestaglietta e, seduta sul letto, con le ante
dell’armadio aperte, scrutava tutti i suoi vestiti, come se davanti a sé ci
fosse il più grande enigma del mondo e toccasse a lei risolverlo.
“Che fai?”, le domandò Tom, uscendo dal bagno, con una sigaretta in bocca.
“Uhm?... sto scegliendo cosa mettermi.”
“Ah…”, fece lui. Con il solo asciugamano legato alla vita, si avvicinò
all’armadio e, spostando qua e la le stampelle che sorreggevano gli abiti di
Mac, ne tirò fuori una minigonna di jeans ed una maglietta nera.
“Fatto.”, disse poi, con la sigaretta penzolante sulla bocca.
“Ah… grazie…”, fece Mac. Prese la maglietta, non le pareva nemmeno di avere un
capo del genere nel suo armadio. Era senza maniche, sul davanti era liscia, con
colletto alto che la sorreggeva, perchè dietro era completamente aperta. Anzi,
si poteva dire che era una mezza maglietta, aveva solo la stoffa davanti.
Dietro, solo una piccola fascetta trasparente teneva uniti i lembi laterale
della stoffa, all’altezza più o meno della chiusura di un normale reggiseno.
“Ma… l’ho comprata io questa maglietta?”, fece Mac.
“No, te l’ha regalata Thiago… insieme ai boxer.”, disse lui, riferendosi a quei
mini pantaloni che lui aveva scambiato per mutande.
“Ah, già…”, disse lei, dandosi una pacca sulla fronte, “Visto che sei così
ispirato per trovarmi cosa mettere, prova anche a scegliere un paio di scarpe.”
Quella era la sfida più grande, aveva solo sneakers. I suoi occhi caddero
quindi su un paio di stivali che non le aveva mai visto.
“Non quelli, sono per domenica.”, gli disse.
“Ah…”, e gliene indicò un altro paio.
“Uhm… possono andare bene.”
Le uniche scarpe, che non fossero sneakers, che portava erano gli stivali. Le
piacevano da impazzire quelli di velluto, anche se non andavano molto più di
moda, che calavano sul piede.
“Calze?”, gli chiese
“No.”
“Ma fa freddo…”
“No.”
“Già mi hai scelto quella maglietta…”
“Allora sì.”, fece lui, tirando una boccata di fumo.
“Ok…”, fece lei, prendendone un paio di nere, non troppo leggere né pesanti,
dal suo cassetto.
Tom si spostò dalla sua parte di letto, per rivestirsi. Si voltò verso di lei
solo quando la vide avvicinarsi allo specchio. Aveva scelto quella maglietta
perchè era innamorato della sua schiena. Era semplicemente perfetta.
“Come sto?”, fece lei voltandosi e mettendosi le mani sui fianchi, sorridendo.
“Bene.”, disse lui, quasi senza espressione.
“Che entusiasmo… e che freddo!”, disse, abbracciandosi e andando verso
l’armadio per prendersi qualcosa per coprirsi un po’. Decise subito per una
giacchetta di stoffa nera, che avrebbe sicuramente portato per tutta la serata.
Frugando sulla scrivania che stava affiancata al letto, dalla parte di Tom,
cercò una collana, qualche braccialetto ed un paio di orecchini.
“Adesso va meglio?”, domandò di nuovo.
“Sì… meglio… i capelli?”
“Me li fa Bill, lo sai, non sono capace di farli da sola.”
Bill, pensò Tom. Sempre Bill.
“E il trucco?”, le fece.
“C’è da chiederselo?”
“Bill.”
“Bravo amore.”, fece lei, schioccandogli un bacio sulla bocca con un sorriso.
“E il profumo?”
“Sì, ma lo metto da ultimo, prima di uscire.”, fece lei.
“Il mio?”
“Anche, tanto tu e Bill usate il solito… Visto che sarò giù da lui per farmi
abbellire…”
“Ah.”, fece l’altro.
“Ma cos’hai…”, disse Mac, sedendoglisi accanto, “Vuoi spiegarmelo adesso?”
Lui sbuffò, si alzò e se ne andò in bagno, senza proferire parola.
La pazienza aveva sempre un limite. Mac uscì dalla stanza arrabbiata e tornò
dai suoi amici in evidente stato alterato. Solo Gustav e Andreas erano in sala,
gli altri due erano a sistemarsi. Bussò alla porta di Thiago, ma lui non le
rispose, era sicuramente impegnato in bagno. Bussò a Bill.
“Litigata.”, fece lui, alla prima occhiata.
“Cert che no!”, disse lei, sarcasticamente, “Ma lasciamo perdere.”
“Va bene, entra.”, fece lui, scostandosi dall’entrata, “Carina la maglietta, è
quella che ti ha regalato Thiago?”
“Sì, non l’avevo nemmeno mai messa. Stasera è una buona occasione.”
“Fammi vedere!”, fece l’altro, incrociando le braccia nell’attesa.
Lei si tolse la giacchetta e la gettò via lontano, concludendo con un ruggito
da pantera ammaliante, prima di girarsi su se stessa.
“Wow… che leonessa…”, fece Bill, “E poi con quei capelli ti sei calata meglio
nella parte vero?”
Si dava
sempre un nome falso quando si fissavano i tavoli nei locali, tanto per evitare
di trovarsi i fotografi in assedio. Ma tanto funzionava alquanto poco. Erano
nel locale da un’ora e già la prima persona si era avvicinata a loro per fare
una foto.
Tutto sommato era un bel posto per Mac: entrarono dalla porta riservata ai
clienti vip, come loro. Era incredibile quante porte fossero aperte per una
faccia conosciuta. Le luci soffuse, tutto, tranne la mobilia nera, era color
arancione, in tutte le sue sfumature. Il privè si affacciava sulla pista detta
‘dei comuni mortali’, come se loro fossero stati sull’Olimpo, e si poteva
guardare gli altri clienti perchè era come se fosse un grande balcone, chiuso
però da un vetro molto spesso, isolante. Due tipi di musica diversi, pensò Mac.
Ad ogni prenotazione veniva destinato un tavolo circondato da divanetti a forma
di ferro di cavallo, disposti l’uno accanto all’altro: un fine muro, alto circa
un metro e ottanta, separava ogni postazione.
Il ‘balcone’ su cui si trovavano era arrotondato nella parte in cui si
affacciava nel resto del locale ed il loro tavolo si trovava proprio nel centro
di questa curvatura. Accanto ai due muretti che circondavano i lati del
divanetto, due cubi, che probabilmente sarebbero stati occupati da due
avvenenti ragazze seminude. Non c’erano ancora molti altri clienti, furono
quasi i primi. Quel privè non era molto grande, i tavoli erano solo una decina:
nella zona centrale, sul pavimento, una grande rosa dei venti. La punta nord
indicava la zona bar, situata opposta rispetto al loro tavolo, dove tre baristi
attendevano l’inizio del servizio.
Musica lounge nell’aria: che palle, pensò Mac.
Appena si sedettero una bottiglia di fine champagne fu servita loro, in omaggio
da parte della direzione.
“Vai! Iniziamo a bere!”, esclamò Gustav, afferrando la bottiglia e servendone
il contenuto ai suoi amici.
Nemmeno finirono la bottiglia che il privè si era riempito. Facce normali,
pensava Mac, nessuno di altrettanto famoso come i suoi amici, ma sicuramente
con diversi soldi in tasca. La musica era cambiata, da quella lounge erano
passati alla house più sfrenata. Mac, attaccata a Thiago come la sua ombra, lo
seguiva ovunque.
“Prendiamo da bere?”, gli chiese
“Cosa?”, fece lui, che non aveva capito.
“Prendiamo da bere?”, ripetè lei.
“Ti servono le candele?!?”
“No!”, esclamò Mac, facendogli l’eloquente gesto della bottiglia.
“Ah! Certo che sì!”
I baristi svogliati erano diventati dei giocolieri, erano dei barman
acrobatici, che con i loro spettacolari cocktail intrattenevano i clienti.
Thiago ordinò qualcosa per entrambi e, dopo qualche svolazzo, fu servito ad
entrambi. In disparte, alla ricerca di un bel maschio da puntare, si misero a
guardare la pista, dove alcuni gruppetti misti tra uomini e donne avevano
iniziato a ballare.
“Quello con i pantaloni di pelle?”, fece Mac a Thiago.
“No… quelli non sono più un must gay.”, disse l’altro, “Guarda quello con la…
no, ritiro, era meglio dietro che davanti.”
“Cacchio ma cosa ci hai fatto mettere dentro Thi!”, protestò lei, che sentiva
l’alcol bruciarle la gola ad ogni sorso.
“Eh! Cocktail segreto… ti meriti una bella sbornia stasera!”
“Sì ma non voglio prenderla subito! Non siamo arrivati nemmeno da un’ora!”
“Oh cavolo… c’è un fotografo…”, disse Thiago, indicandole con la testa un uomo
che era entrato, con a tracolla una borsa.
“E allora? Tu ci vai a nozze con i fotografi!”
“Mac… ho un brufolo!”, fece lui, in preda alla disperazione.
Mac osservò l’uomo, che aveva appoggiato la borsa in un angolo della saletta e
stava montando la sua macchina fotografica. Cercò con gli occhi gli altri
ragazzi: Bill stava chiacchierando con un uomo, entrambi con un drink in mano.
Andreas stava sussurrando qualcosa nell’orecchio di una ragazza, che sorrideva
maliziosamente. Gustav era al bar, seduto su uno sgabello, che osservava la
sala.
“Lei è lo scrittore Ramirez vero?”, chiese il fotografo, che era comparso
davanti a loro senza che lei se ne accorgesse.
“Sì!”, esclamò Thiago alzandosi, “Per quale rivista lavora?”
“Beh, a dire il vero per tante!”, fece lui, “Dipende da chi paga di più.”
“Beata sincerità!”, fece Thiago, con la sua solita manina pendente.
“Chi è la signorina con lei? La sua fidanzata?”, fece l’altro, quasi
sarcasticamente.
“Oh no! Certo che no!”, esclamò Thiago ridendo e facendo gesto a Mac di alzarsi.
“Ah sì! L’ho riconosciuta! E’ la ragazza di quello dei Tokio Hotel! Come si
chiama? Bill?”
“No! Tom, prego.”, fece Thiago, con sorriso stretto.
“Oh, bene. Posso farvi una foto?”, chiese l’uomo.
“Certamente.”, disse Thiago, abbracciando per i fianchi la sua amica, “Sorridi
Mac!”
Il primo flash.
“Ora offro da
bere!”, esclamò Andreas, chiamando con la mano il cameriere palestrato che
passava dai tavoli, “Rum e Coca per tutti e cinque!”
“No… il rum no…”, fece Mac, che non reggeva affatto gli alcolici così… alcolici.
“Sì, il rum sì!”, disse Bill, tutto entusiasta.
Ecco il solito fotografo di prima, con la sua macchina.
“Ecco i due fidanzati!”, esclamò, “Posso farvi una foto?”
“Fidanzati?!”, fece Bill.
“Ti scambia per tuo fratello!”, gli disse Mac, “Sto con suo fratello Tom,
gliel’ho detto anche prima!”
“Sì! Ha ragione!”, fece l’uomo.
“Posa strana?”, chiese Bill alla sua amica.
“Certo che si!”
Guancia a guancia, si presero le mani e, incrociando le dita e disponendole
come una pistola, le puntarono insieme ai loro occhi verso l’obiettivo,
sorridendo.
Il secondo flash.
“Thiago… andiamo in bagno!”, disse Mac, levando le braccia in aria e
spalancando la bocca.
“Mac… sei ubriaca… e sono solo le undici e mezza!”, fece l’altro, sconsolato.
“Beh… il tuo cocktail… poi il rum… ma non sono ancora ubriaca, sono solo…
allegra!”, precisò lei.
Erano tutti seduti intorno al tavolo, intorno a loro la festa si stava
animando, ma la musica non era di loro gradimento. Si stavano annoiando. Di
nuovo il fotografo.
“Che bel gruppetto!”, disse, “Posso farvi una foto?”
Il quintetto si guardò e annuirono. Si avvicinarono a Mac, che era seduta al
centro del divanetto, a forma di ferro di cavallo, abbracciando a destra Bill e
a sinistra Gustav.
“Solo un altro scatto!”, disse l’uomo, dopo il terzo flash, “Posso farlo solo a
voi due? Al signor Thiago e a Bill?”
Quarto scatto.
“Un altro cocktail per me, gringo!”, disse al barman, facendogli il gesto della
pistola.
Lui le annuì sorridendole e, dopo tre minuti, un bel misto le fu servito. Anche
se era dannatamente alcolico, aveva la gola cementata e non le bruciava più.
E poi aveva così caldo! Andò verso il tavolo e si tolse la giacchetta,
buttandola con disdegno sul divanetto.
“Wow! Ragazzi! Che serata!”, esclamò, mettendosi le mani sui fianchi, verso
Andreas e Gustav.
La musica, che dal solito bum bum bum era passata ad un ritmo più latino, le
fece venire una pazza voglia di ballare.
“Me lo concedete questo ballo?”, fece ai due, porgendo loro la mano.
“No… io ho due piedi sinistri.”, disse Gustav, negandole il piacere.
“E chi dice di no a questa bella ragazza!”, disse Andreas, prendendole la mano
e portandola in mezzo alla pista. Impazziti dal ritmo tribale, saltavano e
ridevano come pazzi, facendo a gara a chi aveva bevuto di più.
Altro flash.
“Thiago…
Thiago…”, diceva Mac, piombando alle spalle del suo amico e iniziando a fargli
il solletico sul collo. Lui era seduto al bancone e chiacchierava con molto
gusto con un altro ragazzo che, vedendo Mac, lo aveva frettolosamente salutato
e si era allontanato.
“Piattola! Sei una piattola!”, faceva l’altro, infastidito, “Hai fatto
allontanare il più bel figo di questo locale! Sei uno scarafaggio, sei una
formica indesiderata!”
“Sì…”, disse l’altra, con sorrido ebete, “Ma hanno cambiato musica… prima mi
piaceva di più, ora di nuovo la house… Che schifo…”
“Guarda!”, disse Thiago, indicandole verso il loro tavolo, “C’è Bill che se ne
sta solo soletto… vai a rompere i coglioni a lui!”
“Ok….”, fece Mac. Saltellando andò dall’altro suo migliore amico e si sedette
accanto a lui, ruggendogli come una leonessa e tirando fuori gli artigli.
“Wow… mamma mia che paura…”, fece l’altro. Si stava annoiando e giocherellava
con il tappo di una bottiglia di spumante.
“Non ti stai divertendo… vero?”, gli chiese lei.
“Beh… sì, diciamo di sì, solo un momento di…”
“Non c’è Tom.”, disse Mac, appoggiando la schiena sul divanetto.
“Già… ma tu ti stai divertendo molto anche senza di lui. Senza offesa, eh!”,
fece il ragazzo, alzando le mani in segno di innocenza.
“Beh, sì!”, disse lei, ridendo e appoggiando il mento sulla sua spalla.
“Mio Dio… ma quanto hai bevuto?”, esclamò disgustato Bill, sventolandosi la
mano davanti al naso.
“Ehm… i miei ricordi si fermano al rum.”, disse Mac, dopo un attimo di
riflessione, “Adesso vado in bagno… se tra dieci minuti non torno ti autorizzo
ad entrarci dentro e a tirarmi fuori.”
Poi velocemente gli sganciò un bacio sulla guancia e si alzò.
Un altro paio di scatti.
“Trovati qualcun altro… non voglio che ti prenda la sbornia triste quando sei
appiccicata a me!”, esclamò Thiago, infastidito di avere la sua migliore amica
attaccata al collo, in preda ad una crisi di piagnistei.
“Ho capito… andiamo dagli altri, è ora di andare… e poi domattina ho da fare
un’intervista, mi devo alzare presto…”, disse Thiago, riconoscendo che si era
fatto troppo tardi e lei troppo ubriaca. Beh, non era che Mac camminasse con le
gambe incrociate o rischiasse di vomitare da un momento all’altro, poteva bere
tanto e rimanere sempre allo stadio ‘fortemente allegra’… ma se improvvisamente
la sua allegria si tramutava in pianti isterici alcolici, era meglio tornare a
casa.
“Mac… piantala di lagnarti!”, le disse, prendendola per mano. Andarono verso
Bill, che stava chiacchierando con una ragazza al bar e, dispiaciuto, gli disse
che era meglio tornare verso casa.
“Un momento…”, fece lui. Doveva concludere la conversazione.
“Ci troviamo giù in macchina.”, gli disse Thiago.
Gli altri due si stavano annoiando in un angolo del privè e non ebbero da farli
aspettare. Scesero al piano inferiore ed uscirono, salirono nella macchina
parcheggiata a qualche metro da loro e aspettarono Bill. Era lui che doveva
guidare. Nei dieci minuti di attesa, Mac, approfittando della gentilezza di
Gustav che le aveva concesso la sua spalla, si era addormentata. Andreas,
seduto davanti, sghignazzava della sua condizione. Anche lui aveva bevuto
abbastanza ed ogni piccola cosa scoppiava a ridere.
Una volta che Bill fu arrivato lasciarono il locale.
“Ci vediamo
ragazzi!”, disse Gustav, chiudendo la portiera della sua macchina e mettendo in
moto.
“Ciao…”, sussurrò sbiaditamente Mac. Tra il sonno e lo svanire dell’effetto
dell’alcol, non si reggeva in piedi e, appoggiata al cofano, non trovava la
forza di spostare i piedi mantenendo gli occhi aperti. Non era una cosa facile.
“Tieni, vai ad aprire la porta.”, disse Bill a Thiago, passandogli le chiavi
della casa.
Prese Mac in braccio, era l’unico modo per farla andare da un posto ad un altro.
“Grazie Tom…”, disse lei, abbracciandogli il collo.
“Sono Bill, Mac… sono Bill.”, fece lui.
“Già… Bill, Tom… vi confondo sempre, siete così uguali.”
“Ce lo dicono da quando siamo nati, sai che novità.”, disse l’altro, mentre
entrava in casa.
“Sai, siete così uguali che potrei anche dire che… se amo Tom, io amo anche te
Bill.”
“Mac, chiudi quella bocca.”, disse lui, passando oltre Thiago che teneva ferma
la porta.
“No no, tu sei come Tom… quindi Bill … io ti amo.”, fece lei, prima di lanciare
uno sbadiglio e addormentarsi di nuovo.
Sperare che quelle tre dannate parole, dettate da uno stato incosciente, non
venissero sentite da altre orecchie a parte le sue, era praticamente chiedere
troppo. Ed era maledettamente improponibile sperare che in quel cazzo di
momento Tom, praticamente davanti a lui perchè aveva aspettato che tornassero a
casa prima di andare a letto, si trovasse da tutt’altra parte.
Come un fulmine, Tom salì velocemente le scale, pieno di rabbia. Bill sentì la
porta della sua camera sbattere con violenza.
“Gesù…”, fece Thiago, mettendosi le mani nei capelli, “Facciamola dormire in
camera mia.”
“No non ti preoccupare Thiago, domattina devi alzarti ed è già tardissimo. La
faccio dormire da me, io mi metto sul divano che ho in camera.”, disse Bill,
risistemandosela sulle braccia.
Disteso sul letto,
con le mani dietro la testa, si chiedeva quanto poteva essere stato stupido in
tutto quel tempo.
Quando lei se n’era andata fuori, a divertirsi, si era imposto di stare calmo e
di non pensare. O meglio, di razionalizzare. E, appunto, razionalizzando, era
arrivato al punto di darsi dello scemo. Si era immaginato tutto, per colpa di quella
stupida storia scritta da una loro stupida fan.
Si poteva farsi condizionare dalle fantasie altrui? No.
Mac aveva mai dato segno di poter… insomma… pensare a Bill? No.
Viceversa? No, se Bill glielo aveva giurato, poteva contarci.
Dopotutto, se Mac si faceva fare i capelli e truccare da Bill era perché lui lo
sapeva fare.
Se Mac, quando litigavano, si sfogava con Bill, era perchè erano buoni amici e
lui sapeva farla ragionare…
Poi un altro pensiero: perchè tutta questa gelosia?
Lui non era geloso.
Sì, lo era, ma non da farsi queste seghe mentali.
Si fidava di Mac? Sì.
Si fidava di Bill? Ovvio che sì.
E allora? Allora niente, ecco trovata la soluzione. Era lui il problema, non
loro due. Quindi, visto che i problemi andavano risolti, appena entrambi fossero
arrivati si sarebbe scusato con entrambi.
Poi erano entrati in casa ed aveva sentito perfettamente ogni singola parola
che era uscita dalla bocca di Mac.
Non le voleva ripetere.
Si addormentò, anche se non ne aveva assolutamente voglia.
Si risvegliò dopo qualche ora, non aveva chiuso la tenda e la stanza era
completamente illuminata dal sole mattutino. Schifato, scese dal letto. Dopo
una lavata veloce al viso, scese in salotto, dove sicuramente avrebbe
continuato a dormire disteso sul divano. Di mangiare non c’era nemmeno la
voglia, lo stomaco si era sigillato.
Prese il telecomando e, svogliatamente, cercò qualcosa di poco interessante per
conciliargli il sonno. Trovò il classico programma del sabato mattina, quello
in cui le due presentatrici si mettevano a discutere delle notizie pubblicate
sui giornaletti. Posò il telecomando in terra e, dopo essersi coperto con il
plaid che stava sempre appallottolato sul divano, si interesso alle
chiacchiere, se così si poteva dire.
‘Passiamo ad un altro argomento Anne? Magari uno un po’ meno triste?’,
disse la presentatrice bionda.
‘Sì, Gretel, direi proprio di sì… vediamo, sfogliando questo giornale mi
verrebbe da soffermarmi su questo articolo.’, disse la presentatrice rossa.
‘Quale?’
‘Quello sul nuovo film in uscita di Hugh Grant…’
Gli occhi di Tom si chiusero, cullati dalla dolce voce della rossa. Aveva una
bella voce, lievemente bassa e scandiva così bene tutte le parole che era
meglio di una ninna nanna.
‘… da quello che
sapevamo a lei non piaceva ballare, lo aveva detto nell’intervista pubblicata
la settimana passata sulla rivista ‘Vanity and Beauty.’
‘Sì, ma il ritmo delle discoteche entra nel sangue e fa scatenare anche il
più imbranato!’
‘Già, è vero! Leggiamo qua, sulla pagina internet di questo blog di gossip,
che era insieme ad un gruppo di amici speciali. C’erano Thiago Ramirez, lo
scrittore gay più conosciuto d’Europa…’
‘E presto forse del mondo, perchè si dice che pubblicheranno i suoi libri
anche in America ed in Asia!’
‘Sì, li ho letti tutti i suoi libri, sono veramente spassosi! E chi erano
gli altri del gruppo?’
Si stirò, allungando mani e braccia. Sbadigliò rumorosamente ed aprì gli occhi.
Finalmente era riuscito a dormire decentemente… Sentì le parole della tv
e, distrattamente, connettè il cervello su di esse.
‘Gli altri erano Bill Kaulitz e Gustav Schafer… non credo che ci sia bisogno
di altre spiegazioni, ed Andreas, amico di vecchia data dei due gemelli più
amati della Germania.’
Ecco, si stava facendo interessante, pensò Tom.
‘Insomma, una serata in famiglia, diciamo!’, fece la bionda, ridendo.
‘Sì, proprio una serata in famiglia… non è necessario farvi notare una
precisa assenza.’
‘Già, e dove era Tom Kaulitz?’
‘La ragazza più invidiata ed odiata dalle fans dei Tokio Hotel era sola, con
i suoi amici, senza di lui. Beh, mancava anche Georg, ma i padri di famiglia
non passano le notti brave in questo modo.’
‘Notte brava? Perchè dici così?’
‘Perchè si dice che l’alcol sia scorso a fiumi nel gruppetto. Molto
interessanti sono anche le fotografie che sono state scattate loro e pubblicate
sempre su questo sito. La regia le manderà in onda e, come sempre, faremo tutti
i nostri piccoli commenti!’, disse la rossa, con sorrisetto malizioso.
Fotografie? C’erano delle fotografie?
‘Ecco, questa è la prima fotografia. Sono ovviamente Thiago e Mackenzie.’,
disse la bionda.
‘Sì, in un’intervista di Thiago, lui ha affermato di essere diventato amico
di Mac, come è solita farsi chiamare da tutti, già molto tempo prima di
conoscere i Tokio Hotel. Mi sembra di ricordare che si siano conosciuti quando
lui era in erasmus, qua in Germania, e abitavano insieme.’
‘Sì, ricordi bene. Lui affermava che sono amici molto stretti e si conoscono
benissimo. E’grazie a questo che è iniziata la collaborazione con Bill per il
telefilm ‘Primadonna e io’.’
‘Sicuramente anche la relazione tra lei e Tom ha avuto il suo punto in
causa! Ma passiamo alla prossima fotografia…’
‘Mac ed Andreas… il proverbio dice: gli amici dei miei amici sono miei
amici. Ed i due amici sembrano proprio impazzire dal divertimento!’,
commentava la donna. Poi cambiò l’immagine.
‘Vediamo qui cosa abbiamo… ah, ecco, Mac che ride alle parole di Gustav. Si
dice che i due vadano molto d’accordo…’
‘Sì, Gustav è proprio un tenerone, va d’accordo con tutti’
‘E questa foto è abbastanza interessante.’, disse la bionda, una volta
che l’immagine fu sostituita da una di Mac e di Bill. Guancia a guancia
sorridenti, a mani unite puntate contro l’obiettivo della fotocamera.
‘Sì… sono molto simpatici! E soprattutto entrambi hanno un bel sorriso.’
‘E a vedere dalle fotografie Mac deve anche aver perso qualche chilo, l’ho
trovata molto più fine rispetto alle immagini pubblicate nell’intervista fatta
con Tom.’
‘Beh, sono sicura che il suo dimagrimento abbia avuto a che fare con quella
brutta aggressione di un mese fa.’
‘Secondo te quanto avrà perso?’
‘Non saprei, ho visto dei bei muscoli comparire nelle fotografie… con quella
maglietta così scollata!’
‘Stava molto bene a parere mio.’
Quella fotografia fissata sullo schermo era come un’ossessione. Avrebbe voluto
cambiare canale, ma non ce la faceva, era sicuro che ci sarebbe stato molto
altro da sapere…
‘Oh, sicuramente, è una bella ragazza! Ma cambiamo fotografia…’
Ecco, sentirsi fissato da una fotografia che gli bucava dentro al cuore lo
aveva ripagato. Mac che baciava Bill su una guancia, tenendogli il viso con
l’altra mano.
‘Oh! Oh! Oh! Ma cosa vediamo qua!’, fece sarcastica la conduttrice, ‘Sembra
proprio che qualcosa abbia messo lo zampino tra i due!’
‘Già! Che dire? Tom non c’è e ci prendiamo suo fratello? Beh, sembrerebbe
proprio di sì!’, fece l’altra ridendo.
‘E’ un bacio innocente, sulla guancia… tra amici… ma non è un po’ strana
l’assenza di Tom? Forse questo è un segno? Oppure è solo un caso predetto dalle
loro stesse fans? Navigando su internet, al giorno d’oggi, al primo posto tra
le storie scritte dalle loro sostenitrici più sfegatate non ci sono più le
cosiddette twincest…’
‘Che sarebbero i cosiddetti ‘incesti tra gemelli.’, precisò l’altra.
‘Ma ci sono le storie che riguardano appunto… lei e Bill…’
La televisione fu spenta. Era troppo. Troppo davvero. Le due persone più
importanti della sua vita, le uniche due persone di cui si poteva fidare, su
cui poteva contare… le uniche due persone a cui voleva veramente bene, che
amava…
Si toccò la testa, in cerca della morsa metallica che gliela stava
distruggendo. Che dolore atroce, disumano… e ci si metteva anche quella dannata
luce dalla finestra che le batteva direttamente negli occhi, come per dirle
‘hey bellezza, voglio farti morire dal mal ditesta’.
Ecco perchè odiava ubriacarsi, perchè la mattina dopo dovevano venire a
raccoglierla con la pala, di quelle che usano in campagna per spalare il letame.
Con la mano, svogliatamente, cercò il comodino alla sua sinistra, ma c’era solo
altro letto. Aprì gli occhi solo per una fessura millimetrica… e comprese di
non essere nella sua camera. Non riconosceva il piumone rosso scuro, sul suo
letto ce n’era uno blu. Guardò verso il soffitto: era sempre rosso, come la
coperta.
No, decisamente quella era la camera di Bill.
E che cazzo di faceva in camera sua?
Un pensiero spaventoso le passò fulmineo nella testa, facendola scattare a
sedere sul letto.
La conseguenza di quell’imprevista mossa fu un impellente bisogno di vomitare
e, a fatica, riuscì ad andare in bagno per non sporcare niente.
“Oh… merda…”, disse, seduta accanto al water, mentre si puliva la bocca con un
pezzo di carta igienica. Si alzò un po’ barcollante, per via delle fitte alla
testa, e si bagnò la faccia.
“Oddio…”, faceva, mentre si tamponava il collo con l’acqua fresca. Aveva ancora
indosso la maglietta, ma non la gonna. Al suo posto un paio di pantaloni di una
tuta.
Perchè aveva dormito lì?
Perchè non era nel suo letto?
Cazzo… non si ricordava nulla e questo non le piaceva affatto.
Il solo pensiero di aver fatto qualcosa con Bill… le faceva venire da vomitare
di nuovo. Con le mani appoggiate la bordo del lavandino, cercava di fare
chiarezza nella mente, ma il suo ultimo ricordo era aver ballato il trenino con
Gustav che faceva il capotreno… e tutti gli altri dietro…
“Tutto ok?”, gli domandò Bill, alle sue spalle, facendola trasalire.
“Scusami… non volevo farti paura…”, le disse poi.
“Oh no, tranquillo… tutto a posto.”, fece lei.
“Notte brava ieri sera eh? Cosa ti ricordi?”, le chiese, appoggiandosi allo
stipite della porta.
“Non dirmi che ho fatto qualcosa di cui potrei pentirmi a vita…”, disse Mac,
quasi implorandolo.
“Beh… per tutta la vita non lo so…”, disse Bill, facendo spallucce.
“Oh gesù…”, fece Mac, mettendosi il viso tra le mani e iniziando a singhiozzare.
“Hey hey…”, disse Bill, abbracciandola, “Non hai mica combinato un casino
bestiale…”
“Beh… siamo stati a letto insieme o no?”
Bill scoppiò in una risata fragorosa. Ecco, era sicuro che lei avrebbe
frainteso e le spiegò che l’aveva fatta dormire nel suo letto perchè Thiago
aveva da fare quell’intervista, mentre lui aveva dormito sul divanetto, di
fronte al letto.
“Dimmelo subito deficiente! Ma perchè non ho potuto dormire nel mio letto, senza
che mi dovessi prendere questo coccolone?”, fece lei, dopo averlo riempito di
pizzicotti sulla spalla.
“Perchè… ieri sera, quando siamo tornati a casa tu eri troppo in vena di
dichiarazioni d’amore.”, disse Bill.
“Ti prego,”, fece Mac, implorandolo davvero a mani giunte, “non parlare per
anagrammi e sciarade. Dimmi cosa ho fatto e facciamola finita.”
“Beh… siamo entrati, io ti tenevo in braccio perchè non eri capace di mettere
un piede davanti all’altro. Tu hai incominciato a dire che io e Tom siamo uguali
e, siccome tu ami Tom… allora amavi anche me.”
“Tutto qui?”, fece Mac, che ancora doveva rendersi conto di ciò che era
successo.
“Mac… tu hai detto queste precise parole: Bill io ti amo… davanti a Tom.”
A Mac si gelò il sangue.
“Davanti a Tom?!?”
“Sì… era rimasto in piedi ad aspettarci.”
Mac, quasi sonnambula, si liberò dall’abbraccio e si sedette sul letto,
incredula di ciò che le aveva detto Bill.
“Beh… spero che abbia capito che ero ubriaca e che non rispondevo delle mie
azioni… che ero incapace di intendere e di volere.”, disse poi.
“Sì, di sicuro lo avrebbe fatto.” fece Bill, andandosi a sedere accanto a lei.
“Perchè dici ‘avrebbe’? Non ha abbastanza cervello per distinguere la finzione
dalla realtà?”
“Sì ce l’ha ma… cristo, avrei dovuto parlartene prima…”,
“Parlarmi di cosa?”
“Beh… tempo fa, penso sei mesi fa o giù di lì, Tom mi ha confessato di essere,
come dire, geloso della nostra amicizia… ha incominciato a dire che secondo
lui, un giorno o l’altro… insomma, capiremo di non essere più tanto amici.”
Mac, bocca semi aperta, sembrava pendere dalle sue labbra. Voleva sapere tutta
la storia.
“E su quali basi si fonderebbe questa sua assurda teoria?”
“Sulla base che io e te siamo molto simili. E secondo lui basterebbe per…
tradirlo, ecco. Poi mi sono messo a convincerlo che non sarebbe mai successa
una cosa simile. E lui si mise l’anima in pace, non mi ha più fatto un discorso
del genere.”
“Eh no! Certo che no! Io mica ci posso stare insieme a uno che si tiene più di
me!”, esclamò Mac, facendolo ridere, “Ma fammi capire… quindi sarebbe bastato
un momento di mia falsa lucidità mentale per fargli piombare in testa di nuovo
questa… questa gelosia?”
“A dire il vero no, non c’è stato solo quello…”, disse Bill.
“E cosa?”, fece Mac, un pochino stufa di tutte queste verità nascoste.
“Hai presente quella storia che ti ho fatto leggere?”
“Sì…”
“E’ stata quella che gliel’ha risvegliata… diciamo che questa sorta di paura
covava in lui da diverso tempo ed è bastato un nonnulla per tirargliela fuori
di nuovo.”
Mac non ci poteva credere. Tom glielo aveva già detto altre volte,
scherzosamente, che lei aveva scelto il gemello sbagliato. Ma per lei era una
semplice battuta, uno scherzo che finiva lì. Non avrebbe mai immaginato che
dietro vi si potesse celare questo segreto. Insomma, se era sicura di una cosa,
in questo fottuto mondo, era che lei amava Tom. Non c’era cosa al mondo che
potesse farla confondere su questo punto, nemmeno l’incredibile somiglianza
fisica tra i due fratelli.
E ora doveva rimettere a posto i cocci, senza che lei si fosse mai accorta di
aver rotto il vaso. Sperò di trovarlo in camera. Di sicuro, ovunque fosse
stato, sarebbe stato impossibile fare un discorso con lui senza alzare la voce…
Sarebbe stato impossibile spiegarsi…
Lentamente salì le scale e, davanti alla porta della loro camera, ebbe un
momento di paura. Aveva paura che lui non la volesse stare a sentire, che non
volesse crederle. Non l’avrebbe nemmeno fatta parlare, era sicura. Appoggiò la
mano sulla maniglia e la spinse giù, aprendo la porta.
Visto che la mia religione mi impone di scrivere i ringraziamenti il
martedì.... no scherzo, butto alle spalle la mia religione XD e vi ringrazio
una ad una!
MissZombie: te pareva che non rammentassi bill... madonna XDDDD a
qualsiasi concerto andremo insieme, all'estero oppure in italia, ti metterò un
mega cerotto sulla bocca, assicurerò che stia fermo con del nastro biadesivo,
ti metterò un casco ed un cappuccio, così non te lo sentirò rammentare, va bene?
Per quanto riguarda cibo/acqua/aria è un problema tuo! XDDD e dai, scherzo
(mica tanto XDD). fonti mi informano che bill non mangi la cioccolata... tu che
sei saccentona, confermi o smentisci? e per lo shopping con thiago... ti va
bene se prendo io il suo posto? sai, è così impegnato con i suoi libri ed il
suo telefilm con bill...
CowgirlSara: altro che imboccati... e lo vedrai nei prossimi capitoli!
Tom insicuro? nooooooo daaaaaaaiiiiii mica dirai sul seriooooooo (manina della
fotografia) lui è sicurissimo! e lo vedrai nei prossimi capitoli quanto è
sicuro... mannaggiallui!!!! e quell'altra? tsk! sicura al cento per cento!
Alanadepp: la donna del monte ha detto perversione a tutto spiano! e tua
nonna? meglio che ti chiudi quando leggi le mie storie, lo sai! XDD se sei la
milza e se sei anche stronza, ecco perchè mi fa sempre male quando corro... non
è che magari smetteresti di essere bastarda dentro? XDD danke!
Sososisu: wow, anche la statua in oro massiccio tempestata di pietre
preziose... mamma mia, mi sento veramente lusingata! vorrà dire che dovrò fare
spazio in casa, perchè non c'entra... sarà meglio togliere quella pianta morta
che ho in soggiorno... visto che sei maniaca, la prossima storia sarà del tutto
basata sul sesso, così mi bannano e festa fatta! XDDD
Ruka88: la storia tra thiago e bill sarà una specie di utopia! XD e la
fetta di salame? siamo tutti vegetariani! XD
Picchia: wow, stile hendrix, mi sarebbe piaciuto vederli! mi dispiace,
il premio per il quesito non è ancora arrivato, l'ho ordinato su ebay e mi
hanno rifilato un pacco vuoto... per la prossima volta ok?? XDD
Starfi: si brava, sono io che rido di voi SX... solo che gli occhi li ho
al posto della bocca... alla faccia di elephant man! XD uelà, rubydesade... no
no, sono solo rubymanara! XD vedrai che nei prossimi capitoli rischi di
strozzarti, stai attenta, infilati in un polomne d'acciaio...
Gufo: beh, i dubbi di tom sono tutt'altro che leciti... si chiamano
seghe mentali a casa mia.... e lui diventerà cieco prima o poi, credimi!
Anna9223: mah non direi proprio che le cose si stanno risolvendo... no
no no... proprio no, mi dispiace! sorry! XD
SweetPissy: oramai i due sono come ridge e brooke... appena si mettono
insieme succede qualcosa!!!! e se non fosse così... che palle!!! XDD no,
tranquilla, non succederà che bill gli ruberà mac... e thiago! povero il nostro
thiago, sofffre di solitudine...
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Capitolo 7 *** Let the show begin ***
7. LET THE SHOW BEGIN
Lui non c’era.
Tirò
quasi un sospiro di sollievo.
Si tolse la maglietta e infilò la prima che trovò sul letto. Era di Tom, inciso
sopra lo stemma di una squadra di basket che lei non conosceva… odiava il
basket… Si legò i capelli, si dette una lavata veloce ai denti per togliere lo
sgradevolissimo sapore di vomito e scese in sala. Era lì, seduto sul divano,
con un braccio lungo la spalliera, che guardava la televisione.
Lei, scalza, quasi del tutto silenziosa, lo raggiunse, sedendosi sul bracciolo
del divano. Lui l’aveva vista di sicuro, ma non si era nemmeno voltato per
guardarla. Teneva gli occhi fissi sul televisore, con aria molto arrabbiata e
risentita. Bocca serrata.
“Tom…”, disse lei, con un filo di voce.
Già gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime.
“Bill mi ha raccontato cosa ho detto ieri sera… quando siamo tornati a casa.
Beh, sono innocente. Te lo ripeto, sono innocente.”, disse, guardandosi le mani
che giocherellavano nervosamente con l’orlo della t-shirt.
Lui niente.
“Ieri sera ho bevuto un po’ troppo… e l’ho detto stupidamente. Bill mi ha detto
che io… insomma, Tom, non puoi credere che io possa pensare una cosa del
genere! Ero incosciente!”
Lui di nuovo in silenzio. Solo un battere di palpebre.
“Mi ha anche detto di quella storia che abbiamo letto… e della conversazione
che avete fatto qualche tempo fa.”
Nulla. Nessun effetto. Mac si spazientì.
“E guardami quando ti parlo!”, gli urlò contro piangendo, mollandogli uno
schiaffo sul viso.
Lui, con la testa voltata verso di lei per via del ceffone che aveva appena
ricevuto, tenne lo sguardo basso.
“Come posso fare per farti capire che io amo te?”, gli disse, con la voce
rotta.
Fu solo in quel momento che lui alzò gli occhi. Al posto della comprensione,
c’era solo disprezzo.
“Di certo non è un buono metodo farsi fotografare mentre lo stai baciando…”,
rispose lui. Fu quasi un sibilo, come fossero uscite dalla bocca di un serpente.
“Cosa?!?... io non… io non l’ho fatto Tom! Ne sono sicura, non l’ho fatto!”, si
discolpò lei.
“Ci sono le vostre foto… fotografie di ieri sera. Tu lo hai baciato.”
“No… no…”, iniziò a dire Mac, presa da un attacco di panico. Cadde dal
bracciolo, finì seduta per terra, “Non l’ho fatto, io non l’ho fatto, Bill me
lo avrebbe detto.”
“Sì che lo hai fatto.”, disse Bill. Aveva ascoltato la loro conversazione
seduto sulle scale, senza farsi vedere, “Ma è stato un innocente bacio sulla
guancia. Niente di più.”
Entrambi si voltarono verso di lui. La sua voce era ferma, risoluta. Mac non
poteva sostenersi da sola, si ricordava poco o nulla della serata. Ma lui, che
era rimasto perfettamente lucido, non l’aveva mai persa di vista e l’avrebbe
difesa a costo di litigare a morte con il fratello.
“Tomi.”, gli disse, “Non vorrai mica credere ad una foto… lo sai cosa sono
capaci di tirare fuori da uno scatto!”
“Beh… io credo alla realtà dei fatti.”, rispose Tom, alzandosi ed incrociando
le braccia.
“Quale realtà dei fatti? Quella che ti sei costruito nella tua mente?”
“No, quella che mi sono rifiutato di vedere per tutto questo tempo.”, disse
Tom. Spazientitosi e con poca voglia di litigare, fece per andare verso la
porta di casa, già aveva le chiavi della sua macchina in mano.
“Non ti azzardare a fuggire via.”, gli disse Mac, alzandosi di scatto da sedere
e prendendolo con forza per una mano, “Adesso rimani qua e, per l’amor di Dio…
risolviamo questo tuo problema.”
Non piangeva più, non tremava più. La presenza di Bill le aveva dato la forza
di reagire, per non piegarsi sotto le false accuse di Tom.
“Vado dove voglio.”, fece lui, “Tanto oramai non mi rimane nient’altro che
togliermi dai piedi.”
“Tomi, sei solo accecato dalla rabbia… ma cazzo! Come te lo dobbiamo dire? In
quale lingua?”, disse Bill, scendendo le scale per andargli incontro, e
prendendolo a sua volta per l’altra mano.
“Kaulitz… non c’è niente tra me e tuo fratello… perchè sei così geloso?”
Eccole, davanti a lui.
Gli unici due punti fermi della sua vita.
Suo fratello e Mac.
Il resto era una variabile perenne. Non c’erano soldi, né fama, né successo che
durassero così tanto, senza evaporare da un momento all’altro.
Era nato insieme a Bill, e questo era sufficiente per spiegare il ruolo che
aveva nella sua vita.
Mac era stata la prima ragazza di cui si era innamorato. Era stata anche la
prima ragazza che gli aveva fatto capire cosa voleva dire soffrire per amore.
Roba da matti per lui. E lei gli aveva detto, una volta, che se un giorno
avesse mai avuto bisogno di lei, anche se non stavano più insieme, sarebbe
sempre stata pronta a dargli una mano. Le credeva. Quando Mac diceva una cosa,
era quella.
Entrambi gli tenevano le mani, uno a destra, l’altro a sinistra.
“Kaulitz…”, gli fece Mac, con sguardo implorante.
“Tomi…”, fece Bill, “Perchè dovremmo farti una cosa del genere?”
“Spiegacelo.”, disse Mac.
Non lo sapeva.
Non sapeva dare una risposta logica a quella semplice domanda.
“Se fosse vero quello che tu stai pensando adesso, perchè allora stare qui a
pregarti di riflettere e di non fuggire via?”, continuò Bill.
“Lo sai quanto non sopporto la petulanza di Bill… non potrei mai stare insieme
ad un maniaco depressivo perfezionista…”, fece Mac, cercando di passare dal
serio al sarcasmo.
“E lo sai che Mac corre più veloce di me. Se mi raggiungesse con il suo
cucchiaione da combattimento mi ucciderebbe…”, provò a dire Bill, sulla stessa
scia di Mac.
“Rimane il fatto che la vostra amicizia è troppo ambigua.”, disse Tom,
stemperando la sua arrabbiatura.
“Beh… forse sì…”, disse Mac, “Ma lui è il mio… cognato…”
“Non dire quella parola! Ti strozzo!”, si rivoltò Bill, puntandole contro il
dito dell’accusa, “Lo sai che non lo sopporto!”
“Cognato! Cognato! Cognato!”, lo canzonava Mac, chiamandolo secondo il loro
possibile grado di parentela.
A Tom venne da ridere, sbuffando. I due se ne accorsero e bloccarono la loro
scenetta. Uno per parte, lo abbracciarono.
“Vuoi ripensare a quello che hai detto?”, gli domandò Mac.
“Beh… forse dopo un po’ di buon sesso…”, disse Tom
“Ma che schifo!”, esclamò Bill, staccandosi dall’abbraccio, “Tenetevele per voi
queste cose! Ora sarò traumatizzato per il resto della mia vita…”
Sì… si
era sbagliato… profondamente sbagliato. Pensava Tom.
Ma rimaneva il fatto che era geloso.
Geloso di Mac.
La loro amicizia, così forte, avrebbe continuato a dargli un po’ fastidio.
Glielo sussurrava continuamente il diavoletto Tom con il forcone rosso che
abitava dentro alla sua testa… anche se per il momento era l’unico ad essere cornuto…
***
“Fatto…”, disse
Thiago, dopo l’ennesimo ritocco agli occhi di Mac. Non stava mai ferma, ogni
volta le si sbaffava qualcosa quando la truccava.
“Vedere vedere vedere vedere!”, diceva lei, reclamando uno specchio.
“Momento!”, protestò l’altro, passandogliene uno con il manico.
“Mh… può andare.”, disse lei.
“Può andare?!? Può andare?!? Ho fatto un capolavoro e tu mi dici solo che può
andare?!?”, si risentì l’altro.
“Non riesci a capire la sottigliezza della mia ironia…”, fece Mac,
restituendogli lo specchio, “Sei diventato un uomo con il ciclo.”
“Cara mia bellissima…”, fece lui, mettendosi teatralmente una mano sul fianco e
sventolandogli un dito davanti al naso, “Se un giorno mi vedrai comprare
degli assorbenti, sarò l’uomo più felice del mondo!”
“Oh gesù… senti cosa mi tocca ascoltare.”, esclamò Mac, toccandosi la fronte,
“Mi è bastato vederti vestito da donna… a parte le gambe tagliate con
l’accetta, potevi passare benissimo per una ragazza.”
“Cara, grazie per il complimento, ti sei ripresa all’ultimo momento.”, fece
lui, dandole un abbraccino.
“Thiago! Rose!”, disse Tom, bussando alla porta della stanza di Thiago, dove
c’era il convegno dei ristutturatori facciali, “Stiamo facendo tardi! E’
arrivata la limousine!”
“Tuo fratello si è chiuso in bagno, se non esce non partiamo!”, disse Thiago,
infilando il cappuccio sulla sua matita per gli occhi, “Bill! Datti una mossa!”
“Un momento! Questo maledetto ciuffo…”, diceva l’altro.
“Sai qual è il migliore gel fissante del mondo?”, gli domandò Mac.
“No!”, esclamò Bill, aprendo la porta ed affacciandosi nella stanza, “Dimmelo
subito e me lo farò mandare per corriere espresso!”
“Hai presente il film ‘Tutti pazzi per Mary’?”, gli fece Mac.
“Ah ah ah… simpatica… non userò i miei fluidi corporei per ingellarmi i
capelli…”, disse Bill, facendole la linguaccia, “E comunque sono pronto,
andiamo!”
Ecco la banda Kaulitz & company al completo.
Thiago era elegantissimo nel suo completo nero e nel suo dolcevita; aggiunse
solo un tocco di classe gay con i suoi orecchini di brillanti: solo una piccola
pietra, ma diceva tutto sul suo life style.
Capelli lisci e morbidi per Bill, che per l’occasione era tornato al suo nero,
senza varie sfumature contrastanti, se non un velo di marrone scuro per dare
qualche riflesso.
In aggiunta solo una lunga giacca di pelle nera, per Mac. L’aveva tanto
invidiata a Bill, quando gliel’aveva vista indosso, così ne aveva comprata una
del tutto identica alla sua, ma in versione un po’ più femminile. Si era fatta
fare un po’ di boccoli per i suoi, tanto per rimediare al solito biondo liscio.
Su invito di Thiago, mise un po’ in mostra la sua ‘mercanzia’, con grande
soddisfazione di Tom.
Lui non poteva abbandonare il suo cappellino e, vista l’occasione, ne scelse
uno nero, tanto per essere un pochino elegante, con le classiche NY sopra la
visiera. Supplicato in contemporanea dalla sua ragazza, dal suo fratello e dal
suo coinquilino stagionale gay, aveva indossato un maglione nero, simile a
quello dell’intervista, che fosse tutt’altro che largo. Per rimediare alla
‘soffocatura’ di quel sopra un pochino troppo aderente, volle optare per i suoi
pantaloni bracaloni. Ma non ci fu parola che teneva, preghiera che sciogliesse
i loro cuori. Mac aveva frugato nell’armadio di suo fratello ed aveva trovato
un bel paio di pantaloni neri, di jeans, strappati qua e là… e se li era dovuti
mettere, volente o nolente. Come un manichino triste, Tom si guardava allo
specchio. Beh, il risultato non era niente male, pensava, ma non gliela avrebbe
data vinta!
“Vi abbiamo fatto aspettare molto?”, chiese Bill agli altri, una volta entrati
nella limousine.
“Ma come siamo eleganti, signor Listing!”, esclamò Mac, vedendolo in completo
giacca, camicia e pantaloni.
“Mi ci è voluto un po’ per convincerlo, l’ho ricattato ed ha funzionato!”,
disse Jasmine, bellissima come sempre nella sua semplicità. Anche per lei un
abbigliamento molto casual: pantaloni stretti che finivano dentro ad un paio di
stivali, entrambi chiari, e piumino corto argenteo, che la riparava dal freddo.
“Mi hanno detto che ti sei presa una bella sbornia l’altra sera, vero?”, disse
Gustav a Mac, con sguardo ammiccante.
“Zitto tu! Ssshh!”, fece lei, mettendosi il dito sulla bocca mentre si
sistemava a sedere sul sedile.
“Wow! Sono troppo emozionato! Sono troppo emozionato!”, iniziò a sbraitare
Thiago, che non si teneva più nella pelle per quella serata.
Eh sì, gli Emas erano arrivati.
Tre nomination: Best Rock, Best album, Best live performances… E il Best fashion
di Thiago, ovviamente, come si poteva scordarlo? Sarebbe stato un delitto.
E la limousine partì.
“Dove le hai lasciate le piccine?”, chiese Mac a Jasmine, riferendosi alle sue
due figliolette.
“A casa, con la baby sitter, che altro non è che mia madre.”, disse lei.
“Secondo te staranno bene?”, gli fece Georg, un pochino apprensivo.
“Certo che stanno bene, sono con mia madre!”
“La chiamiamo? Tanto per sentire se va tutto bene.”
“Georg… siamo partiti da mezz’ora…”, disse Jasmine, scocciata.
“Ma è sempre così fobico tuo marito?”, disse Tom, ridendo del suo amico. Già,
da quando era diventato papà, il loro Georg era cambiato da un giorno
all’altro. Stava sempre al telefono per sentire se era tutto a posto, era
diventato una palla al piede. A meno che non avesse la famiglia tra i paraggi,
era una ciminiera di preoccupazioni.
“Secondo me diventeranno delle paranoiche, quelle povere bambine.”, disse
Gustav, “Stai sempre col fiato sul collo, hai paura di tutto!”
“Sì ma lo sai quanti sono all’anno i bambini che purtroppo muoiono per
banalissimi incidenti?”, fece Georg, tirando fuori la sua solita teoria della
disgrazia perpetua e meritandosi un ceffone sulla bocca da Jasmine, che oramai
ne aveva fin sopra i capelli.
“Gesù, mi stanno sudando le ascelle.”, disse Thiago, iniziando a sventolarsi
con le mani.
“Calmati Thi… calmati… siamo tutti eccitati per questa serata!”, fece Mac,
“Pensa che io non avrei mai pensato di fare una cosa del genere!”
“Certo, perchè sei una provinciale! Tu non hai stile e non hai classe, non ti
meriteresti un’opportunità del genere!”
“Ma è possibile che tu stia sempre a criticarmi!”, sbottò Mac, “Ogni cosa che
dico sei sempre pronto a rimbeccarmi!”
“E’ su questo che si basa la nostra amicizia amore.”, fece lui, schioccandogli
un bacio sulla guancia, “Tu fai la sfigata… io faccio la figata.”
“Com’è ovvio che sia.”, disse Tom.
“Non ti ci mettere anche tu!”, fece Mac, “Non vi coalizzate contro di me!”
La limousine si mise in coda… prima di scendere sul tappeto rosso c’era da
aspettare.
“Oh mio dio! Oh mio dio! OH MIO DIO!”, iniziò strillare Thiago.
“Cavolo… sta andando in iperventilazione…”, sottolineò Gustav.
“Chiamate un ambulanza.”, disse Mac, svogliata.
“Sto per avere un attacco di cuore! Senti! Senti qua!”, ripeteva Thiago,
prendendole la mano e mettendola sul suo petto.
“Gesù… senti che pettorali…”
“Davvero?!?”, esclamò l’altro, contento per il complimento.
“Ecco come calmare un Thiago in crisi respiratoria.”, fece lei, rivolgendosi a
tutti i presenti come se fosse stata una professoressa di medicina, “Basta
fargli notare quanto è bello. Non è vero Thiago?”
Lui si mise una mano sulla bocca civettuola e sorrise.
“Ecco, ci siamo. Vai tu per primo Thiago.”, disse Bill, dandogli una pacca di
incoraggiamento sulla spalla.
Il ragazzo perse il suo solito colorito olivastro per diventare bianco come uno
straccio per pavimenti.
“Hey… cos’hai?”, gli chiese Mac, preoccupandosi.
“Ho paura…”, rispose lui.
“Dai… scendi di lì e prenditi tutti gli applausi… te li meriti!”, gli disse
lei, dandogli un pizzicotto sulla guancia. Poi gli prese entrambe le mani e,
guardandolo dritto negli occhi gli disse:
“Ora fai un bel respiro e ripeti con me: sono la checca più checca che c’è.”
“Sono la checca più checca che c’è. Sono la
checca più checca che c’è…”, prese
a ripetere Thiago, respirando profondamente per ritrovare il suo karma.
“Ecco… ora scendi e spacca il culo a tutti!”, esclamò Mac.
La portiera della limousine si aprì e Thiago, uscendo fuori come una diva,
iniziò a salutare tutti quelli al di là delle due transenne laterali, mandando
baci ovunque come solo lui sapeva fare.
“Allora è fatto di carne… io pensavo fosse un alieno, sempre sicuro di sé,
sempre perfetto…”, fece Gustav, stupito dal momento di debolezza di Thiago. Un
gay tutto d’un pezzo.
“E’ donna dentro.”, disse Tom, e tutti annuirono per la sua affermazione.
“Avanti, tocca a noi!”, esclamò Bill, “Tutti fuori da qui!”
Uno per volta scesero Bill, seguito da Gustav, poi da Tom e Mac ed infine i due
signori Listing. Superarono la prima ondata di fotografi e di ragazzi urlanti,
accompagnati da vari addetti, furono introdotti nel vero red carpet, quello in
cui tradizionalmente i vari vj internazionali di Mtv li avrebbero intervistati,
prima di entrare al chiuso, dove lo show sarebbe iniziato. Meno male che non
soffrivano di epilessia, pensò Mac, con tutti quei flash c’era da dare
spettacolo tra convulsioni e bava alla bocca…
Rigorosamente in inglese da quel momento in poi, un coordinatore della
passerella disse loro che il conduttore del pre show li avrebbe intervistati
esattamente dopo trenta secondi.
“Voglio cronometrare.”, disse Tom.
“Ma smettila!”, fece Mac.
“Guarda che questi spaccano il secondo!”
Ed infatti, dopo ventinove secondi, il coordinatore li spinse davanti alla
telecamera.
“Ed eccoli qua! Abbiamo alcuni tra i favoriti della serata! I Tokio Hotel!
Giocate in casa vero?”, disse tutto d’un fiato il presentatore, un
ragazzo impomatato, in giacca e cravatta. Come normalità, era Bill ad avere il
microfono in mano.
“Beh, sì, ovviamente giochiamo in casa, ma non credo che siamo comunque in
posizione favorevole. Siamo in gara con dei grandi quindi… che vinca il
migliore!”
“Sì certamente.”, disse il ragazzo, con poco interesse perchè già gli era
scaduto il tempo per fare la prossima domanda, “Poco fa ho intervistato anche
Thiago Ramirez, come va la vostra collaborazione televisiva?”
“Oh sì, molto bene, per adesso siamo in fase di stallo, ma penso che per
gennaio torneremo a preparare gli episodi della terza serie.”, rispose Bill.
“Vedo che vi siete allargati quest’anno!”, sottolineò il ragazzo, riferendosi a
Mac e Jasmine.
Tom prese il microfono e rispose.
“Sì, abbiamo deciso di avere con noi i nostri portafortuna. Speriamo di
portarne a casa almeno uno tra i tre premi, visto che l’anno scorso siamo
rimasti a bocca asciutta!”
“Molto bene, molto bene!”, disse il presentatore, prima di passare la linea al
suo collega più avanti, che in contemporanea stava intervistando Thiago.
“Thiago Ramirez… spagnolo importato in Germania. Come ci si sente ad essere
divisi tra due terre così diverse?”, gli domandò l’affascinante sorriso del
ragazzo di colore che gli stava ponendo la domanda.
“Beh, la Spagna
è la mia terra di nascita, devo tutto a Barcellona e alle sue Ramblas.”,
rispose lui, con il suo solito accento spagnoleggiante, in inglese, “Ma qua in
Germania ho trovato molte più cose da amare: gli amici, qualche fidanzato… e
anche il cibo, sembrerà strano, ma abbandonerei le tortillas per i vostri
wurstel!”
Il ragazzo sorrise, poi gli porse una seconda domanda, che riguardava il suo nuovo
libro, in uscita nelle prossime settimane.
“Sì, si intitolerà ‘Essere etero in un mondo di gay’, perchè voglio sfatare il
mito del mondo virile. Al giorno d’oggi non ci vuole Einstein né Garcia Lorca
per capire che siamo tutti delle donne dentro! Anche tu, caro mio, che sei più
truccato di me!”
L’intervistatore tornò a ridere, un pochino a denti stretti, imbarazzato, e
ripassò la linea ad un altro suo collega.
“Ma è tutto così
frenetico qua?”, chiese Mac.
“Devi vedere dentro… in trenta secondi riescono a smontare un palco.”, disse
Bill, che con il gruppo era al suo quinto Emas.
“Alla faccia… peggio delle termiti.”, disse Mac.
Lei, che era una fotografa professionista, non si era mai trovata ad affrontare
un abbagliante squadra di suoi colleghi che, in simultanea con i loro flash,
riuscivano ad illuminare le facce dei divi che camminavano davanti a loro.
“Per adesso non vedo nessuna faccia famosa…”, fece Tom, guardandosi intorno
mentre davanti a loro i flash impazzavano.
“E dai… guarda e sorridi.”, gli disse Mac.
Tom l’abbracciò per i fianchi e le dette un bacio sulla guancia, facendola
sorridere. I fotografi non facevano altro che gridare i nomi di tutti loro, per
accaparrarsi uno scatto in cui guardassero dentro il loro obiettivo. Beh, era
bello essere famosi, pensava Mac, farsi fotografare… anche se per lei queste
cose avevano il tempo che trovavano. Domani sarebbe finito tutto.
Uno dei tanti coordinatori li invitò a spostarsi oltre, verso l’entrata del
grande palazzo dove si sarebbe tenuto lo spettacolo. Senza che Mac se ne
accorgesse veramente si trovò con un microfono in mano: furono dirottati verso
un’altra telecamera, dove una ragazza con un delizioso vestito rosso li avrebbe
intervistati brevemente di nuovo.
“La famiglia dei Tokio Hotel si è allargata!”, esclamò, guardando dentro
l’obiettivo, “Sentiamo cosa hanno da dire a proposito! Mackenzie è la prima
volta che sali su un red carpet di qualunque genere vero?”
“Beh… sì…”, fece lei, al microfono, un pochino imbarazzata. Poi sentì
l’abbraccio di Tom farsi più stretto e gli sorrise.
“E come ci si stente a dividerlo con così tanta gente famosa?”, le chiese di
nuovo lei, a raffica.
“A dire il vero mi sento come sempre… magari un pochino accecata da tutte
queste luci!”, fece lei ridendo.
“Come festeggerete il dopo show? Siete stati invitati a qualche festa?”
“Non saprei.”, rispose Mac, guardando verso gli altri. Tom, accanto a lei, le
prese il microfono e continuò.
“Ci hanno invitato ad una festa, sì, ma non mi ricordo chi l’ha organizzata.”
“Molto bene! Allora ci vediamo lì ragazzi!”, disse lei, salutandoli. Un altro
addetto del red carpet si riprese il microfono e via, tutto si svolgeva così
freneticamente che non c’era nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa stava
accadendo. Mentre camminavano verso l’entrata, che sembrava essere la metà più
ambita da tutti loro, furono fermati un’altra volta. Di nuovo il microfono in
mano a Mac che, nonostante fosse in mezzo ai suoi amici, tra Tom e Bill, e di
laterale ci fossero Gustav accanto a Bill e Georg dall’altra parte con Jasmine,
doveva ispirare molta simpatia ai microfonisti.
“La prossima volta glielo tiro in testa!”, esclamò, prima che sulla telecamera
comparisse il cosiddetto pallino rosso della registrazione. Anche stavolta un
ragazzo ingellato fino all’osso porgeva loro frettolose domande.
“Leggo che siete stati nominati per Best rock, Best album e Best live
performances. Ben tre nomination, volete fare una scorta di premi?”
“Gesù… ce l’abbiamo fatta…”, fece Mac, una volta che ebbe messo piede dentro al
grandissimo salone in cui, nel giro di mezz’ora, sarebbe iniziato lo
spettacolo. Non poteva vedere molto, tutto era quasi nella penombra, per
lasciare che il palco si rivelasse solo all’inizio dello show. Quasi
strattonati, furono portati alle loro postazioni. L’area ‘vip da premiare’ si
trovava vicino ad una pedana molto rialzata, dove appunto sarebbero stati
annunciati i vincitori.
Già molti altri volti noti erano seduti intorno a loro, ma Mac non si soffermò
molto sulle loro facce. Erano tutti un pochino snob, molto sulle sue… Si tolse
il lungo giaccone di pelle e si meravigliò del caldo che sentiva: in un salone
immenso come quello, dovevano esserci centinaia di condizionatori accesi per
fare tutto quel riscaldamento! Alla faccia del buco nell’ozono.
“Dov’è Thiago?”, chiese a Tom, che si stava sedendo accanto a lei. Erano stati
sistemati molto vicino alle scalette della pedana delle premiazioni: il posto
di Tom era il primo, vicino alla piccola passerella che divideva qua e là le
poltroncine, messe sfalzate come le gradinate di uno stadio. Accanto a lui Mac,
poi Bill, Gustav, Georg e Jasmine… poi di nuovo un’altra piccola passerella.
Non c’era un posto per lui, lo voleva accanto, più di qualsiasi altra persona.
“Non lo vedo.”, fece lui, alzandosi e mettendosi a guardare qua e là.
“Cazzo… io volevo sedermi accanto a lui!”, disse Mac, imbronciandosi come una
bambina insoddisfatta.
“Credo sia in ottima compagnia…”, le disse poi, individuandolo tra gli altri
vip seduti, ed indicandoglielo.
Se ne stava seduto accanto ad una ragazza, non la conoscevano, ma i due stavano
chiacchierando con molta animosità, ridendo e gesticolando.
“Beh… si è fatto una nuova amica, a quanto pare.”, disse Bill, voltandosi
incuriosito dallo sguardo di entrambi, puntato in alto, alle loro spalle.
“Già...”, disse Mac, solo un pochino delusa.
Sperando che lui la vedesse, lo salutò con un gesto rapido della mano, e fu
accontentata, perchè Thiago le mandò un bacio. Si sedette ed attese, insieme a
tutti gli altri, con trepidazione, l’inizio dello show.
“Chissà chi si siederà davanti a noi.”, disse Bill.
“O anche dietro…”, fece Mac, “Mi piacerebbe trovarmi con qualcuno che faccia
musica che mi piace.”
Altro suo desiderio esaudito. Tom vide la faccia della sua ragazza sbiancarsi
all’improvviso e si preoccupò. Il suo sorriso scomparve, diventando una specie
di smorfia antropomorfa di stupore, misto quasi a paura.
“Hey! Che c’è? Visto un morto?”, le domandò.
“Oh mio dio…”, disse lei, guardando fissa a qualche metro alla sua destra.
C’era un signore, con un completo grigio ed i capelli evidentemente un po’
troppo tinti di nero. Si teneva le mani nelle tasche dei pantaloni e sembrava
attendere che qualcuno gli dicesse dove sistemarsi.
“Ma che hai? Chi è quello che stai fissando?”, le fece.
Lei lo guardò straniata, come se avesse detto la stupidaggine più stupida del
mondo.
“Non sai che è quello? Non sai chi è quello?”, gli domandò.
“No, dovrei?”, fece lui.
“Dio mio Tom… è il chitarrista dei chitarristi, è colui che suona una chitarra
a dodici corde senza sbagliare un colpo… colui che ha scritto alcune delle
canzoni più belle di questo mondo… ma tu ti fotti il cervello con Sabry
Deflux…”, disse lei.
“Sammy Delux, Rose… Sammy Delux…”, disse lui, come altre migliaia di volte,
quando lei storpiava il nome di uno dei suoi cantanti preferiti.
“Sì, vabbè, lui… Non sai proprio chi è?”
“No…”, disse lui, quasi scocciato.
“Deficiente… è Jimmy Page.”, disse Bill, sconsolato dall’ignoranza del fratello.
“Fatti tuoi, eh?”, gli rispose Tom, infastidito dalla sua intromissione, “E poi
chi è questo Jimmy Page.”
Mac, a bocca aperta, era indecisa se strozzarlo oppure se perdonarlo perchè gli
ignoranti erano causati dalle falle nel sistema educativo.
“E’ il chitarrista dei Led Zeppelin… uno dei miei gruppi preferiti…”, rivelò
alla fine Mac.
“Ah… quelli di ‘Smoke on the water’?”, domandò lui, avendo capito più o meno di
chi si trattava.
Bill, prontamente, allungò la mano e gli dette una pacca sulla testa.
“Eresia!”, esclamò “Confondi i Deep Purple e i Led Zeppelin!”, gli disse,
“E’ come dire che i Beatles e i Rolling Stones sono gli stessi!”
“Già. E’ come dire che Sabry Deflux è uguale
a… a…”, provò a dire Mac, cercando
una similitudine che potesse fargli capire al gravità della sua
affermazione.
“Che è uguale a Britney Spears.”, concluse Bill, che conosceva meglio le
preferenze musicali di suo fratello.
“Ah… ho detto una cazzata allora, scusatemi.”, fece Tom, riconoscendo il suo
madornale errore, “Ma davvero questo tipo suona chitarre a dodici corde?”
“Certo che sì. Sei un chitarrista e non lo conosci… mah, questi giovani di
oggi.”, disse Mac, dandogli un bacio sulle labbra, quasi sfiorato, per dirgli
che, anche se aveva commesso sacrilegio, lo aveva perdonato.
“Stai bene stasera.”, gli disse poi, passandogli un dito sul profilo del suo
naso.
“Dici sul serio? Mi sembro un acciuga con questi vestiti.”, fece lui,
aggiustandosi il collo alto del maglione.
“Davvero… meglio dei tuoi soliti extra abiti, te l’ho sempre detto.”
“Beh… anche tu stai bene. Molto bene. Benone. Da favola.”, le disse,
sussurrandoglielo in un orecchio, e facendola sorridere maliziosa, “Mi
verrebbero in mente un paio di cose divertenti da fare.”
“Ah sì?”
“Sì… potrei anche spiegartele adesso…”
“Meglio di no… mi faresti diventare viola…”, disse Mac.
“Ma se ci allontanassimo un attimo?”, le propose lui, che oramai aveva la ferma
convinzione che non voleva fare altro che del cosiddetto ‘buon sesso selvaggio’.
“Beh… ne parliamo quando finisce tutto, va bene?”, disse lei, baciandolo.
“Mh… non sono molto d’accordo. Meglio adesso.”
“No, Kaulitz… ora no.”, fece lei, sicura. Non che le dispiacesse seguirlo da
qualche parte e fare sesso… ma proprio era meglio rimandare ad ora da
destinarsi.
Capitolo di stallo… mi dispiace che non sia successo molto, ma con tutto quello
che è capitato nell’altro capitolo!!! Eh, accontentatevi! XDD La
manifestazione Emas non è stata utilizzata per scopi di lucro.
CowgirlSara: come ti ho già
detto su msn... cavolo, ti ho già detto tutto su msn! Manca il solito ma
indispensabilissimo grazie forse???
Alanadepp: innanzitutto,
salutami riccy, non lo conosco, mai l'ho visto ma mi sta simpatico... e poi gli
devo chiedere se questi pantaloni mi stanno bene XDDD e poi ti rigrazio di
cuore come sempre!!! ci sentiamo su msn!!!
Sososisu: (cartello: polly
ti adoro!) la gelosia, più la scacci e più l'avrai... così cantava celentano...
e ora che ci penso ti ho anche dato un piccolissimo indizio per il prossimo
capitolo! beh, questo è di stallo, è la chiave di volta della storia... basta,
ho già detto troppo! eh, nemmeno io so da che parte stare, ognuno ha le sue
ragioni per un verso o per un altro, ed ognuno ha anche le sue colpe. di certo
mac non è una santa, anzi, è una tontarellona. meno male che ci sono bill e
thiago ad imboccare quei due scemi!
Gufo: chi è sta trina???
ora lo voglio sapere! XDD eh, ma la mia specialità è lasciare i capitoli nel
punto migliore... sennò la vostra fantasia si ammoscia!!! scusa se in questo
capitolo non succede molto... ma prometto che dal prossimo saranno fuochi
d'artificio!
Picchia: beh, io non fumo,
ma ho un tasso di sopportazione dell'alcol molto basso, come mac... non penso
che mi aiuterà con lo studio!!! XDDD scrivo tanto, lo so, che ci posso fare, è
la mia passione!!!
Anna9223: tieniti le lacrime
per il prossimo capitolo... e ho detto tutto! zip! mi sono chiusa la bocca!
Starfi: non mi toccare
jean claude!!!! è il mio amante segreto!!! eh, povera mac, di certo non lo
pensava veramente di amare bill, tutt'altro, ma sai l'alcol fa fare dei
ragionamenti moooooooolto strani...
SweetPissy: davvero hai
visto una mac in carne ed ossa? wow, mi piacerebbe vederla anche a me! (ps: di
solito per vederla mi guardo allo specchio! mmmmhhhh! che vanitosa che sono XD)
l'elmetto mettitelo nel prossimo capitolo...
Sarakey: nono, ho sempre
detto che non voglio avere persone sulla coscienza XDD eh, tom pensieroso...
vedrai nei prossimi capitoli, sono sicura che lo definirai... un masturbatore
mentale! per non dire di peggio...
Ruka88: brava, proprio
brava, il te pareva iniziale della tua recensione ha riassunto in due semplici
parole tutta questa storia, che è un te pareva in continua evoluzione! brava, è
stata la recensione più azzeccata di tutte! XDD
Come ho già detto l'altra volta... lucidatevi gli occhi per
il prossimo capitolo... gneck gneck gnek, quanto sono diabolica...
E buon fine settimana a tutte voi!
RubyChubb
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Capitolo 8 *** Magnets ***
In questo capitolo
riprendo una metafora che ho già utilizzato in ‘between hate and pain’… spero
che me la passerete…
8. MAGNETS
Presentatore della
serata, o meglio, presentatrice della serata, era un’attrice molto conosciuta
in Germania, sua terra natia, ma anche negli States, dove lavorava. Era Franka
Potente, un’esile ragazza che pareva cadere in terra ad ogni passo.
“Secondo me è troppo secca.”, disse Mac a Bill, “Guarda! Le passa un treno tra
le gambe!”
“Devo aver letto da qualche parte che sta soffrendo di qualche disturbo
alimentare…”, disse Bill, con fare da sapientone.
Tom, che aveva tentato di interessarsi a tutti i piccoli commenti cattivi che
uscivano dalle bocche di Bill e di Mac, si stava annoiando sulla sua
poltroncina. Beh, lo spettacolo era interessante, ma tutti gli anni era uguale.
Era già passato il primo premio, il Best rock, ma non lo avevano vinto loro.
Era andato invece ai Christine, un gruppo inglese di punk rock che era sorto
sulle scene musicali tre anni prima, con una hit che aveva fracassato il
cervello a tutti quelli che ascoltavano la radio, e di cui non si ricordava il
nome. Ne rimanevano due, ma era propenso a pensare che, anche questo anno, non
ne avrebbero portato a casa nemmeno uno. Era un presentimento, niente di che…
Mordicchiandosi il pollice destro, si mise a dare un’occhiata in giro, alle
poltroncine più basse della sua. Nessuno di interessante, pensava, nessuno. Non
che lui fosse interessante agli occhi degli altri, lo sapeva.
Un occhio qua e un occhio là, scrutava le teste famose, mentre Franka
annunciava il Best Fashion award e chiamava sul palco Thiago. Un coro di fischi
e di incitazioni vari partirono dai suoi amici, soprattutto da Mac, mentre tutto
il resto del pubblico si limitava ad applausi generici.
“Ehm… buonasera a tutti!”, disse Thiago, ovviamente in inglese. Si vedeva che
era lievemente in confusione, era la prima volta per lui su un palco,
soprattutto davanti a diversi occhi famosi che lo scrutavano. Iniziò a leggere
il gobbo, come da copione per tutti coloro che presentavano i premi.
“Il Best Fashion award è stato istituito quest’anno per premiare le migliori
tendenze, i migliori vestiti delle nostre star…”, lesse, poi si bloccò, stropicciando
gli occhi.
Il pubblicò iniziò a mormorare, chiedendosi cosa stesse facendo.
“Dai, ragazzi, non potete farmi leggere quelle cose… così mi costringete a
mettermi gli occhiali e a sfigurarmi!”, esclamò, mettendosi le mani sui
fianchi, “Non voglio sembrare vecchio prima del previsto…”
Il pubblico rise alla sua battuta ed anche Tom lo fece, pensando che quel
ragazzo doveva sempre distinguersi, anche se non era il primo che si discostava
completamente dal copione. I suoi occhi si distrassero di nuovo, lasciando che
il suo amico presentasse i nominati.
Qualcosa lo attrasse, alla sua destra. Un paio di sandali, cinque piccole dita
smaltate di rosso, i lacci che cingevano i polpacci lievemente muscolosi.
L’orlo di uno vestito bordeaux… uno scollo profondo, un bel paio di tette… una
bella bocca rossa. Occhi castani e capelli biondi arricciati. Insomma, un bel
pezzo di…
“Kaulitz… hai intenzione di perdere un paio di denti oppure di perdere l’uno di
un braccio?”, lo minacciò Mac, accortasi del suo troppo vagare con lo sguardo.
“Guardare e non toccare.”, rispose lui.
“No, sbagliato, non guardare, non toccare, non parlare, non pensare.”, disse
lei, elencando i sacri comandamenti sulla punta delle dita.
“Quanto sei severa!”, esclamò lui, “Cosa ho fatto di male?”
Lo sguardo di Mac non aveva bisogno di spiegazioni, ma lei comunque gliele
fornì senza peli sulla lingua.
“Cioè, fammi capire bene, tu te ne stai quasi due giorni a mettermi il muso per
una stupida gelosia e poi io, che ti becco a fare la radiografia alla prima
modella che te le fa annusare, devo chiudere un occhio e via?”
“Non ho fatto niente di male… io…”, disse Tom, sottolineando quell’io.
“E perchè? Io ho fatto qualcosa di cui possa pentirmi?”
“A dire il vero no…”, provò a dire l’altro, ma fu prontamente interrotto da Mac.
Gli occhi di Mac si spalancarono per dirgli: “E allora?”
“E allora un cazzo.”, disse Tom, chiudendo la conversazione.
Che palle.
Non si poteva nemmeno guardare.
Guardare e basta.
Un breve sguardo di comprensione tra lei e Bill.
Che palle, sempre loro due.
Bill si alzò e fece a cambio di posto con Gustav, che non comprese il perchè di
quella sua richiesta ma si mise volentieri accanto a Mac perchè Georg e le sue
preoccupazioni paterne gli avevano fatto venire il latte ai… ciglioni, per non essere
volgare.
“Così va bene?”, gli chiese Bill, stufatosi.
“Fanculo.”, disse Tom, alzandosi ed andando via. Basta, basta, basta… fanculo.
“E il Best Fashion award va a… Carla Bruni!”, disse Thiago.
Mac osservò Tom allontanarsi… Sospirò, appoggiando la testa sulla mano, ferma
col gomito sul bracciolo della sua poltroncina. Si chiese cosa stesse facendo
di sbagliato, nella sua dannata vita.
La ex modella, adesso cantante, salì con eleganza le scalette e ritirò il suo
premio, dopo alcuni brevi ringraziamenti.
“Dove cazzo è andato
Tom…”, disse Gustav a denti e pugni stretti.
“Provo a chiamarlo da dieci minuti ma non risponde.”, disse Bill, chiudendo di
nuovo il suo telefono per interrompere il tentativo di chiamata.
“Tra poco danno il Best live performances… non ti dico che sicuramente
vinciamo, ma se succedesse, mi piacerebbe andarci insieme a lui sul palco!”,
disse Georg, che per un momento aveva abbandonato le figlie per preoccuparsi
per lui.
“Io non vado a cercarlo.”, disse Mac, “Mi sono rotta le palle. Se li risolva da
solo i suoi problemi, io non ne ho.”
“No, non devi. Se non si fa vedere tra trenta secondi ti giuro che lo prendo a
calci in culo.”, fece Bill, che proprio ne aveva fin sopra ai capelli
dell’atteggiamento arrogante del fratello. Lo aveva sempre fatto: se aveva un
problema, prendeva e se ne andava. E quando si ripresentava, non aveva mai una
buona scusa per il suo comportamento.
“Calmati Bill, calmati.”, disse Tom, sedendosi al suo posto.
“Ma dove sei stato!”, fece Mac, arrabbiata, “Ti sembra giusto che ogni volta te
ne vai per fatti tuoi lasciandoci sempre a preoccuparci per te.”
“Guarda che come sono tornato posso anche andarmene di nuovo.”, fece lui, con
sguardo di sfida.
“Tranquillo, sono io che me ne vado. Così non rischio più di farti scappare via
come un bambino viziato.”, disse Mac, alzandosi e prendendo il suo cappotto.
Sotto gli occhi dei suoi amici, ma anche delle altre persone sedute vicino a
loro, lo indossò e, frettolosamente, uscì dalla sua fila di poltroncine.
Anche i suoi occhi caddero su quel paio di sandali e scorsero lungo la gamba,
il vestito bordeaux e le labbra carnose. La ragazza la squadrò alla sua volta e
le lanciò un sorrissetto sprezzante. Mac la ignorò e, velocemente, salì le
scalette.
Gli occhi di Tom, invece, si scontrarono con quelli di Bill, che lo guardavano
con rabbia. Era come una duello: Tom lo guardava per vedere se si sarebbe
alzato per andare a fermarla. Bill ricambiava, chiedendosi come mai suo
fratello fosse diventato così maledettamente ottuso. Rimase al suo posto,
cercando di spegnere la collera che fomentava in lui. Appena ne avesse avuto
l’occasione, lo avrebbe preso in disparte. Una bella strigliata di capelli non
gliel’avrebbe levata nessuno.
Il premio Best live performances era presentato da uno dei chitarristi più
famoso del mondo, e prima da loro verbalmente conteso, Jimmy Page. Fu di poche
parole, lesse cosa c’era scritto sul gobbo e, quasi svogliatamente, presentò i
cantanti ed i gruppi in lizza. Insieme a loro, c’erano i My Chemical Romances,
i Foo Fighters, Mika ed i White Stripes… insomma, c’erano poche chances di
vincere, erano tutti dei grandi. Ma ritirarlo da un grande come lui, si dissero
contemporaneamente Bill, Georg e Gustav, sarebbe stata una soddisfazione
bellissima.
Bill incrociò le dita.
Georg incrociò le dita.
Gustav incrociò le dita.
Jasmine incrociò le dita.
Thiago incrociò le dita.
Mac spense la sigaretta che si era appena fumata, calpestandola con la punta
del suo stivale destro. Aveva trovato un’uscita secondaria che portava su una
scala antincendio.
Tom fece cadere la coda del suo occhi destro su quel paio di sandali,
ricambiando l’occhiolino appena accennato fattogli dalla bionda con un leggero
sorriso, espresso solo dall’angolo della sua bocca.
“E il premio va a…”, disse Jimmy, aprendo la busta.
Bill chiuse gli occhi.
Gustav iniziò a mormorare: ‘a noi, a noi, a noi…’
Georg strinse la mano di Jasmine, che stava ormai perdendo sensibilità alle
dita.
Mac si affacciò dentro il salone, manifestando scarsa curiosità all’esterno, ma
una grande voglia di sentire il nome Tokio Hotel uscire dalle labbra del suo
mito.
Tom ricevette con soddisfazione un ammiccamento dalla bionda.
“Ai White Stripes.”, disse Jimmy. I due fratelli delle strisce bianche
balzarono sulle loro poltroncine ma, con molta storicità, andarono sul podio,
quasi indifferenti.
Lo show andò avanti,
con o senza premi. Ci furono un paio di esibizioni, ma il morale era basso.
Insomma, perdere non era certo una soddisfazione per nessuno, ma
ottimisticamente c’era il prossimo anno, con il prossimo album avrebbero vinto
sicuramente qualcosa. Non era il caso di fare scenate da divi sul viale del
tramonto, anche perchè loro non lo stavano percorrendo affatto. Era meglio
recuperare la situazione, si disse Bill. Era mezz’ora che Mac non si faceva
vedere e Tom non sembrava essere molto interessato a cosa stesse facendo.
Pareva più interessato a qualcun altro, o meglio, a qualcun’altra. Avrebbe
voluto prenderlo per i capelli e trascinarlo fuori per dargli un pugno sul
naso… era sicuro che lo stava facendo solamente per ripicca.
Bill prese il suo cellulare, selezionò il numero di Mac e le spedì un sms.
‘Dove sei?’
‘Tranquillo, sto bene.’, rispose lei, dopo qualche minuto.
‘Bene… ma dove sei?’
‘Fuori.’
‘Sola?’
‘No c’è un tuo amico a farmi compagnia.’
‘Chi?’
‘Bill Kaulitz, lo conosci?’
‘Sì, gran bel figo.’
‘Modesto soprattutto.’
‘Dai, dimmi dove sei’
‘Sono nella limo. Mi sto perdendo niente?’
Bill riflettè un attimo sulla risposta. Poteva dirle che Tom stava facendo
l’idiota, ma non era il caso che lei lo sapesse per sms.
‘No… non abbiamo vinto’
‘Lo so e ne sono contenta.
‘Bitch!
‘Thank you’
Chiuse il telefono. L’importante era sapere che non aveva preso decisioni
troppo impulsive. Si sarebbero ritrovati tutti nella limousine… poi ne
sarebbero successe delle belle.
Mac si era distesa
sul sedile parallelo alla fiancata della limousine e si era evidentemente
addormentata. Lì, da sola, chiusa dentro, cosa poteva fare se non appisolarsi?
Era da più di un’ora che se ne stava lì e, presa da un po’ di sonnolenza, si
era assopita. Quando gli altri vi salirono sopra, uno per volta, fecero
dondolare il veicolo e lei fu svegliata.
“Cavolo… ma riesci proprio ad addormentarti ovunque!”, esclamò Gustav, che si ricordava
di essersela tenuta un tragitto intero dormiente sulla sua spalla.
“Beh… se nessuno mi disturba sì…”, fece lei, stropicciandosi gli occhi, quando
si fu rimessa a sedere.
“No! Fermati all’istante sciagurata!”, fece Thiago, vedendola compiere quel gesto,
“Ti stai distruggendo il trucco!”
“Già…”, fece Mac, guardandosi le mani completamente sporche di mascara e di
matita.
“Un panda! Sembri un panda!”, iniziò a prenderla in giro Bill, indicandola e
ridendo come un pazzo.
“Dai… ti sembra giusto prendere in giro una povera indifesa?”, disse Tom,
entrando dentro la limousine.
Il silenzio cadde tra di loro, come se avesse detto qualcosa di inappropriato.
In effetti, niente di male era uscito dalla sua bocca, solo che erano raggelati
dallo sguardo che Mac gli aveva lanciato. In contemporanea, anche gli altri lo
avevano guardato male, facendogli pesare il suo comportamento cretino.
“Ok...”, disse, mettendosi a sedere di fronte a Mac, “Ho sbagliato, scusami, mi
sono fatto prendere da…”
“Dai… lascia perdere.”, rispose lei, rassegnatasi all’evidenza del fatto che
Tom non si era fatto passare la sua stupida gelosia. Incrociò le braccia e
guardò altrove.
Era stufa, tremendamente stufa.
Non ne poteva più, tutto stava iniziando ad andare a rotoli.
Non era più possibile riprendere in mano una situazione che era sfuggita ad
entrambi.
O manteneva la sua relazione con Tom, lasciando la sua amicizia con Bill…
O viceversa.
Ma era come chiederle di rompere i legami che aveva con Thiago.
La stessa identica cosa.
Non si poteva mandare a quel paese un’amicizia.
Come non si poteva mandare a quel paese la loro storia.
Eppure una delle due doveva prendere quel brutto destino, contro la sua
volontà. Messa di fronte all’ottusità di Tom, Mac doveva prendere una scelta.
Era inutile dire che avrebbe scelto lui… ma non ne era più così tanto sicura.
Si chiedeva come poteva evolversi una relazione come la loro.
Analizzandola dall’esterno, era una relazione destinata ad auto distruggersi,
bisognava dirlo. Era sempre stata segnata da un certo livello di animosità tra
i due: bastava ricordarsi che non erano riusciti a dirsi che si piacevano a
vicenda, lasciando passare un anno interno da un incontro ad un altro. E come
si erano salutati? Con una litigata.
Che cosa era successo dopo il loro primo bacio? Una litigata.
Baciandosi erano saliti al piano superiore, nella sua camera. Avevano iniziato
a togliersi i vestiti, presi da un impeto passionale, prima represso dal loro
stupido orgoglio. Poi Mac aveva bloccato tutto, dicendo che era troppo presto,
che rischiavano di partire con il passo sbagliato. Allorché Tom aveva
insistito, causando la sua reazione negativa, cioè uno schiaffo mollato in
pieno viso. Lui si era arrabbiato, dicendole che ‘cavolo, abbiamo aspettato
quanto, un anno, per baciarci, adesso vuoi dirmi che non possiamo nemmeno fare
sesso?’ e lei gli aveva dato del
‘pervertitostupidomaialedeficienteidiotacretino’, ed un altro schiaffo.
Se ad un analista fosse stata sottoposta a giudizio la loro relazione, non
poteva altro che dire che solo due malati mentali potevano portarla avanti,
senza conseguenze sul piano emotivo.
Per poi non parlare di quella volta che lo aveva beccato a baciarsi con
un’altra. Non era gelosa Mac, affatto, era una che credeva nella fiducia come
una delle basi fondamentali di una relazione. Anche se Tom aveva un passato da
‘donnaiolo’, si fidava di lui e le ci era voluto un grande sforzo per riuscire
a perdonarlo… e le centoventicinque rose che lui le aveva mandato… e le
suppliche di Bill, ecco, quelle erano state importanti, perchè lei non credeva
più nelle parole di Tom. Eppure gli aveva dato una seconda possibilità.
Continuare?
Oppure interrompere?
Al solo pensiero a Mac veniva da piangere. Infatti, una lacrima cadde dai suoi
occhi. Ma era a testa bassa, non la vide nessuno tranne Thiago, che però non
proferì parola. Non sapeva cosa era successo, era stato lontano da loro per
tutte le premiazioni, ma non gli ci voleva molto per capire cosa stesse
passando per la testa di Mac. La conosceva meglio delle sue tasche. Quando,
qualche giorno prima, Bill gli aveva detto, davanti al computer, di quella
conversazione fatta con Tom, comprese. Non ne aveva fatto parola con Mac, aveva
capito che lei non voleva parlarne, altrimenti sarebbe stata lei ad entrare nel
discorso. Eppure sapeva cosa stava provando, glielo leggeva in faccia e gli si
spezzava il cuore.
Gli pareva di leggerle nella mente: era sicuro che stesse pensando qualcosa di
brutto, che stesse rivalutando la sua relazione con Tom… avrebbe voluto
sedersi accanto a lei, ma Mac non sembrava voler far notare a nessuno il suo
malessere interiore.
Georg e Gustav chiacchieravano, discutendo di come si erano fatti soffiare
sotto il naso tre premiazioni. Jasmine si stava annoiando, guardando fuori dal
finestrino. Tom sembrava interessato al suo cellulare. Bill si stava
mordicchiando le unghie, i suoi occhi erano distratti dalle luci esterne.
La limousine si
fermò sul retro del locale in cui si sarebbe tenuta la festa, alla quale erano
stati invitati. Georg e Jasmine vollero essere riaccompagnati a casa, era
troppo tardi per loro e non volevano comunque concludere la serata in un locale
con musica a tutto volume ed alcol. Gli altri, invece, entrarono
silenziosamente.
“Scusatemi, devo montare l’impalcatura per ristrutturare questo palazzo
crollato.”, disse Thiago, prendendo Mac per mano, “Arriviamo subito, non voglio
che la scambino per un esemplare di panda pandorum in estinzione.”
Gli altri annuirono e, ingannati dal sorriso di Mac che era nato dopo le parole
‘panda pandorum’ di Thiago, si lasciarono i due alle spalle.
“Vieni qua, stupidina.”, le disse, prendendola per la faccia, “Meno male che ho
pensato a portarmi dietro tutto l’occorrente per restaurarti.”
Tornò velocemente verso la limousine, per prendere una borsetta dove aveva
messo alcuni trucchi, per rimediare a quelle eventualità. Lei lo aspettò,
mettendosi le mani dietro alla schiena ed iniziando a dondolarsi qua e là come
una bambina.
“Non potrò fare un buon lavoro se non stai ferma!”, la rimproverò lui, mentre
versava un pochino di lozione struccante su un batuffolo di cotone.
“Certo mamma…”, rispose lei, con voce piccola.
“Sei sempre la solita, lo sapevo che ti dimenticavi di essere truccata e finivi
per distruggere tutto!”
“Vuoi che mi ciucci il dito?”, disse Mac, infilandosi il pollice in bocca.
“Se serve per farti stare zitta!”, sbottò l’altro, “A proposito… che ti è
passato per la mente prima? Non vorrai mica lasciarlo?”
Mac, presa in contropiede dall’amico, sentì il suo sorriso trasformarsi in una
smorfia triste ed i suoi occhi inumidirsi di nuovo. Al che si discostò dal
tocco struccante dell’amico e si appoggiò al cofano di una macchina, una
fuoriserie che apparteneva sicuramente a qualcuno che si stava divertendo
dentro al locale.
“Thi… che palle questa vita…”, disse lei, “Ogni giorno è una lotta continua…
ogni giorno devo far fronte a cose che non ho valutato, a problemi che non
volevo… a situazioni che non posso controllare…”
Lui le andò accanto, abbracciandola con tenerezza.
“Mackenzie…”, le disse, chiamandola col suo nome per intero, come faceva solo
quelle volte in cui abbandonava il suo essere teatralmente scenico, per
diventare la persona normale, fragile e sola quale si sentiva, a dispetto di
quello che tutti pensavano.
“Thiago…”
“Lo stai facendo perchè non lo ami più? Oppure lo ami ancora… ma non vuoi più
soffrire?”
Lui lo guardò. La risposta era evidente.
“Te l’ho detto sin dal primo momento che questa vostra storia non sarebbe stata
facile da gestire.”, disse lui. Era serio, faceva paura. Lo era stato poche
altre volte nella sua vita.
“Siete due persone che non sarebbero destinate su questa terra a stare
insieme.”, disse.
“Lo so.”
“Lo sapete.”, la corresse lui. Anche Tom ne era consapevole.
“E allora?”
Lui sciolse il suo abbraccio, la prese per le spalle e la guardò profondamente
negli occhi.
“Passami questo esempio.”
“Dimmi.”
“Hai presente una calamita?”, disse lui.
“Sì…”, fece Mac, perplessa.
“Una calamita è composta da un polo positivo ed uno negativo. Un polo rosso ed
uno blu, come in quella che comprai quando avevo sette anni.”
“Non ti seguo.”, disse Mac.
“Fammi finire. Come tu sai, perchè non ci vuole una laurea, basta una licenza
di scuola elementare, solo due poli opposti possono attrarsi. Solo positivo con
negativo.”
“No, per piacere.”, si oppose Mac, “Non rifilarmi la storia degli opposti che
si attraggono.”
“Tranquilla, non voglio arrivare a quel luogo comune.”, la tranquillizzò lui,
“Devi solo farmi finire.”
“Ok…”, disse lei, sbuffando.
“Se provi ad accostare due poli negativi, o due poli positivi, questi si
respingeranno.”
“Buono a sapersi!”, esclamò Mac, beccandosi una pacca sulla bocca.
“Ti avevo avvertita…”, disse l’altro, sgridandola con il dito accusatorio
puntato sul naso, “Dicevo: due poli uguali si respingono. Allora tu penserai:
ma perchè Thiago non dividiamo romanticamente una calamita in due, per separare
così i due poli e farne due, cosicché non ci saranno più poli che si
respingono?”
Lui fece una pausa, come per attendere una risposta sarcastica da parte
dell’amica, che però non sopraggiunse.
“E io ti risponderò: no, cara Mac, non si possono separare i due poli di una
calamita. Comunque tu la dividerai, le sue parti più piccole avranno sempre i
due poli… positivo e negativo… Puoi dividerla all’infinito, ma sarà sempre
così.”
“Quindi?”, fece Mac, che ancora non capiva.
“Vuoi due siete i due poli della stessa calamita. Comunque il destino deciderà
di dividervi, voi farete sempre parte della stessa calamita. Polo positivo,
polo negativo. Imprescindibili, indivisibili. Anche se vi lascerete, in un modo
o nell’altro, per un motivo per un altro, vi sfido entrambi a non trovarvi a
pensarvi ancora, anche dopo dieci anni.”
Mac sorrise, poi si fermò a riflettere.
“Thi…”, disse, “Hai cercato di rifilarmi la solita storia dei poli che si
attraggono o sbaglio?”
“Mannaggia Mac!”, esclamò l’altro, indignato, “Trovo una prosa fantastica per
descrivere la tua storia con Tom e tu me la riduci ad una banalità da romanzi
d’appendice? Io ti odio!”
“Sarà meglio andare dentro… .”, fece Mac.
“Fermati, così sembri Freddy Kruger al suo primo ballo studentesco! Fatti
rifare il trucco…”, ribattè lui.
“Ok… ripensandoci la tua teoria della calamita fa acqua da tutte le parti…”
“Signore Dio ti prego… falle venire un crampo alla lingua.”, disse Thiago,
volgendo lo sguardo al cielo in supplica.
Appena la sexy
cameriera in provocante mini maglietta indicò loro quale fosse stato il loro
tavolo, Bill chiese a Tom se poteva parlargli, in disparte.
“Bill, ti prego, lo so. Ho sbagliato, non menarmela ancora.”, disse, scocciato
dalle continue intromissioni del fratello nella sua vita privata.
“No, te la voglio menare perchè ti stai comportando irrazionalmente.”, disse
lui, prendendolo per un braccio e portandolo verso quelli che sembravano i
bagni del locale. Fu molto discreto, ad uno occhio sconosciuto sembrava quasi
che lo stesse accompagnando da qualche parte, ma la presa di Bill era forte
abbastanza da contrastare ogni tentativo di resistenza di suo fratello.
“Perchè le stai facendo questo?”, gli chiese, davanti alle porte dei bagni
degli uomini.
“Io non sto facendo niente di niente.”, rispose Tom, liberandosi con uno
strattone dalla mano del fratello.
“Perchè continui ad essere geloso di noi? Non è bastato guardarti negli occhi e
dirti che ti stavi sbagliando? Dobbiamo metterlo per iscritto davanti ad un
notaio?”
“Basta, finiscila, questa conversazione è tendenziosa.”, rispose l’altro.
“Tendenziosa?!? Sai almeno cosa vuol dire?”, sbottò Bill.
“Vuol dire che non è obiettiva. Stai basando la tua posizione sul fatto che,
per caso, in un momento di distrazione, ho posato gli occhi su un’altra
ragazza. Ho posato, non ho detto che mi sono messo a fissarla e a mandarle
segni d’amore come tu stai pensando.”
“Ah no?”
“Sì, Bill.”
“A volte mi meravigli, Tom. Lo sai?”, disse Bill, dopo aver cercato
disperatamente di non prenderlo a schiaffi.
Tom, non Tomi.
Era incazzato nero con lui.
“Cosa?”
“Sai essere ipocrita e perfido. Ma un conto è se lo sei con me, io ti
perdonerei comunque. Diverso è se lo sei con Mac. Perchè oltre ad essere
ipocrita e perfido, diventi stronzo. E se lei se ne accorgesse, non te lo
perdonerebbe mai. Se dovesse succedere, non chiedermi di andare a supplicarla
di ritornare da te.”, gli disse Bill. Lo fissava dritto negli occhi, non aveva
mai sbattuto le palpebre. Gli aveva raggelato il sangue. Avevano litigato
tantissime volte e si erano insultati a morte. Ma poteva contare sulle dita di
una mano quei momenti in cui lo sguardo di suo fratello aveva la capacità di
paralizzarlo per la paura.
“Non ti ho chiesto io di andarci, quella volta.”, riuscì a dirgli.
“Certo che non me lo hai chiesto.”, disse Bill, “Ma sarebbe stato meglio se tu
lo avessi fatto. Prenditi le tue responsabilità, non voglio più rimediare ai
tuoi stupidi errori. O lo fai, oppure tronchi con Mac. Lei non si merita di
essere trattata così.”
“E allora? Tu sai che cosa si merita?”, gli chiese Tom, in tono di sfida.
“Di sicuro non di uno come te.”
“Allora di uno come te, forse.”, disse Tom, volendolo farlo cadere in trappola.
“Nemmeno. Io sono solo un suo amico. E lei ha bisogno di qualcuno che la ami e
la rispetti. Io le voglio bene, e basta. Tu la ami, invece?”, rispose Bill,
abilmente, e girando il tranello a Tom, che sembrò caderci pienamente.
Già… la amava veramente?
Bella domanda, si disse Tom, quello con il forcone e le piccole corna sulla
testa, che viveva sulla sua spalla sinistra… sul lato sinistro del suo cuore.
Bill lo lasciò nella sua riflessione, tornandosene da Gustav.
Lui rimase lì. Dette un pugno rabbioso alla porta di uno dei tre bagni, poi
lasciò quell’angusto spazio per andarsene fuori, a fumare una sigaretta.
“Wow… bello! Non ci
sono mai venuta qua!”, esclamò Mac, entrando dentro al locale.
“Stupida…”, le fece Thiago, dandole una pacca sulla testa, “Non lo riconosci?
E’ l’In2Deep…”
Mac guardò bene il locale. Era vero, era la sala grande della discoteca dove
era stata appena due giorni prima! Del tutto diversa dal privè, il colore
prevalente era il blu, ma a suo modo lo richiamava, perchè invece di essere di
tutte le sfumature dell’arancione, era il blu ad essere il colore preminente.
Tutto era blu: scuro, cobalto, elettrico, notte, di prussica, di Parigi,
oltremare, azzurro, d’oriente, pavone…. Delle colonne, che limitavano con
regolarità la pista da ballo, erano ricoperte di frammenti di specchio che
riflettevano le luci colorate, creando un’atmosfera buia e, allo stesso tempo,
illuminata.
“Dai, cerchiamo gli altri.”, disse Mac.
C’erano tante persone, facce conosciute zero, sicuramente avrebbero fatto a
gara a chi arrivava ultimo per farsi notare. Individuò Gustav al bancone,
intendo ad ordinare qualcosa.
“Hey, pensavo foste spariti nel nulla!”, esclamò lui, vedendoli arrivare.
“No, tranquillo, non ti libererai di noi così facilmente!”, disse Thiago,
sedendosi accanto a lui e richiamando l’attenzione del barista.
“Dov’è Tom?”, gli domandò Mac.
“Mah… non saprei.”, disse Gustav, “Era con Bill, li ho lasciati per prendermi
da bere.”
“Ok, andrò a cercarlo.”, esclamò Mac.
Voleva solo mettere fine a quella cazzo di situazione. Voleva prenderlo da una
parte e dirgli di ascoltarla, perchè aveva qualcosa di importante da dirgli.
Si tolse il giaccone, aveva chiesto ad una cameriera di passaggio dove fosse il
tavolo dei Tokio Hotel e lei glielo aveva indicato. Lo posò lì, dove c’era
anche quello di Bill. Ma non quello di Tom, sicuramente era fuori a fumarsi una
sigaretta e, con il freddo che era, non se lo sarebbe di certo tolto. Indossò
quindi di nuovo il suo giaccone, per evitare di prendersi una raffreddata.
Chiese in giro a qualche faccia sconosciuta se lo avessero visto ed un ragazzo
dal pizzetto strano le disse che gli pareva fosse uscito dalla porta di
sicurezza che le stava indicando. Lo ringraziò e andò verso quella direzione.
Aprì l’uscita, spingendo il maniglione verde anti panico, e trovò Tom, con i
gomiti appoggiati sulla balaustra metallica di fronte a sé, che si fumava
una sigaretta.
“Hey…”, gli fece lei, mettendoglisi accanto.
“Hey…”
“Tutto a posto?”
“Non tanto.”, rispose lui, prendendosi l’ultimo tiro e gettando via la
sigaretta.
“Beh… anche a me non va tanto bene.”, disse Mac. Si voltò, appoggiando la
schiena alla barra fredda di ferro ed incrociò le braccia.
“Mi dispiace.”, gli disse, “Ho commesso troppi errori negli ultimi tempi, e non
ti ho chiesto mai scusa. Quindi…”
“No no no…”, disse Tom interrompendola.
“Beh… mi sembra dovuto darti delle scuse.”
“No.”, ripetè lui.
“Ma Tom… io ti volevo solo…”
“Ascoltami Mac… cerchiamo di metterci una pietra sopra e di non parlarne più.
Va bene?”, disse lui.
“Dobbiamo parlare dei nostri problemi… è troppo tempo che rimandiamo e facciamo
finta che vada tutto bene tra noi, ma non possiamo continuare così.”, disse
lei, “Lo ammetto, ci sono dei problemi tra di noi. Ma se vogliamo risolverli
non possiamo semplicemente pretendere che non esistano. Così non può andare
avanti.”
Tom si discostò dalla balaustra, si mise le mani dentro le tasche del piumino.
“Non credo che sia il momento adesso per parlarne.”, disse.
“E quando pensi che verrà questo momento? Mai?”
“Non dico mai… solamente non ora, lasciami godere la serata.”
“Va bene…”, disse Mac, abbastanza riluttante, “Rimanderemo a domani.”
“Rimanderemo al momento giusto, Mac.”, fece lui, tornando dentro.
Mac.
Appunto, Mac.
Come lei lo aveva chiamato Tom.
Non esistevano più Kaulitz e Rosenbaum.
Adesso c’erano Mac e Tom.
Ecco il primo di due capitoli da clinica di riabilitazione, altro che Amy
Winehouse, Kate Moss e Pete Doherty...
MissZombie: e te pareva, billbillbillbillbillbillbillbillbillbill XDDDD
scherzo, ovviamente! Tokio Eretici un nuovo gruppo sulla scena (o dovrei dire
scema) musicale italo-teutonica, coloro che si vantano di non sapere chi è
jimmy page... azz, secondo me non lo sanno davvero, forse Georg o Gustav, di
loro mi fido di più, sono più acculturati si vede. Cooooooomunque... ti sembra
che tra i due sia tutto a posto??? a me nooooo *e qui parte la mia
risata malefica*
CowgirlSara: God save the Emperor Thiago the First.... e ho detto tutto.
Sososisu: God save Polly... e qua ho ridetto tutto di nuovo! XD la
macchina dell'invidia sta sfornando brutti pensieri su di te che hai
abbracciato morbidamente Georg!!!! XDDD scherzo ovviamente!
Alanadepp: non mi ritengo responsabile per cambiamenti di sponda e roba
varia!!!! XDD no, non voglio avere nessuna storia finita sulla coscienza!
salutami riccy!!!
Quoqquoriquo: pazienza, io te lo avevo detto, era un capitolo di stallo,
ma non mi sembra di aver fatto capire che tra i due la cosa si sia risolta...
Una risata e passa tutto? Sì, lì per lì può andare, ma so benissimo che una
stretta di mano e via non conclude un contratto, se capisci l'allusione.
Dividere il capitolo in due e farne uno di tre righi ed il successivo di
settecento? mmmhhh... non torna tanto bene. Accetto con un sorriso la critica
sul semplicismo e rispondo: pazienza, figliola, pazienza... (ps: grazie per il
deluxe e non delux... perdona la mia gnuranz...)
Ruka88: te pareva! non andare in iperventilazione, per piacere, stai attenta,
respira profondamente e non farti friggere il cervello!!! XDD succederà
qualcosa di brutto o di bello? mah, vedi tu, interpreta le mie parole come
vuoi!
Anna9223: secondo me non lo conosce veramente... jimmy page, hendrix e
santana, i migliori chitarristi di tutti i tempi, vedremo se tom salirà nel
loro olimpo... non ci punto mezzo centesimo...
Starfi: arrestatemi per provocato terrorismo psicologico, ne sono
colpevole e me ne pento... ma siccome sono fiera di essere una peccatrice, con
questo capitolo sono recidiva! il doppio della pena!!!
Gufo: mi sono documentata ma non ho trovato niente su questa trina...
posso dire solo beata lei, ma non la accuserei di essere una t.... è solo una
che sfrutta cinque minuti di notorietà! c'è una trina per georg o gustav? XD
così posso sfogare le mie frustrazioni su di lei... risolto tutto? mah, vedi
tu...
Picchia: io un mini thiago ce l'ho... vive dentro di me e quando salta
fuori fa sbellicare tutti dalle risate... pensa un po' quanto sono fortunata!
di solito si fa vedere quando sono davanti allo specchio... sapessi com'è
sarcastico.... critica moltissimo la mia ciccetta dicendo: 'hey, una flebo di
liposuzione?'... che cattivo!
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Capitolo 9 *** Heart's Left Side ***
9. HEART’S LEFT
SIDE
Tornò dentro al locale, reprimendo le lacrime che le
erano tornate a superficie. Non voleva piangere davanti a tutti. Ma soprattutto,
non voleva più piangere. E basta.
Stop alle
lacrime.
Stop alla tristezza.
Stop alle
sofferenze.
Poteva riuscire a bloccare tutto questo? Sì, se lui
glielo permetteva. Ma per adesso non era il momento, lui voleva divertirsi. Tom
voleva divertirsi. Non più Kaulitz voleva divertirsi. Ora era
Tom.
Tornò verso Thiago che, con un rapido sguardo, comprese che
qualcosa era andato storto. Le mise un braccio intorno alla vita e le disse in
un orecchio:
“Se lui non ti accontenta, lo faccio io. Andiamo a
ballare, tiriamo questi vecchiacci dentro la pista. Apriamo le
danze!”
Prendendosi per le mani, i due si misero a centro pista,
completamente vuota, ed iniziarono a ballare, scatenandosi al ritmo della
musica… e dimenticando le loro preoccupazioni momentanee.
Il
volume non era troppo alto, giusto l’essenziale per fluire nelle loro vene e,
come una droga, stregarli.
Tom si sedette al suo divanetto con in mano una birra.
Cazzo, gli avevano dato quei bicchieroni lunghi e stretti, li odiava. Ma la
birra era buona… insomma, era la classica birra d’importazione, ma non era pio
tanto male. Sorseggiò velocemente fino a farla scendere a metà
bicchiere, poi la appoggiò sul tavolino. Aveva visto Mac e Thiago ballare
animatamente sulla pista, ma dopo qualche secondo altre persone si erano uniti a
loro, oscurandogli la visuale.
Gustav era al bancone, aveva
attaccato bottone con una ragazza. Bill non si vedeva. Se si stava fottendo
qualcuno, era contento. Se si stava facendo fottere, meglio ancora. Si guardò
intorno, annoiato. Non se la sarebbe goduta, quella serata, ne era sicuro. Ma
era bloccato lì dentro, a meno che non avesse lasciato tutti in asso. Non era
una buona idea farlo di nuovo, quindi si rassegnò, seduto sul suo divanetto.
Prese il suo telefono, avrebbe mandato qualche sms ad Andreas per dirgli che non
avevano vinto niente. Sicuramente era ancora in piedi, a divertirsi da qualche
parte, e non gli avrebbe risposto, ma intanto si sarebbe intrattenuto per cinque
minuti nello scrivergli un messaggio divertente.
Mentre stava
scrivendo la parola premio, l’orlo di un abito rosso bordeaux gli svolazzò sotto
il naso, distogliendolo per un attimo dal suo telefono.
“Ciao
Tom…”, disse una voce, vicinissima a lui. Dietro di lui. Seduta alle sue spalle.
Un tedesco quasi perfetto, solo lievemente intaccato da un accento di tipo
francese.
Lui fece per voltarsi, ma lei lo bloccò
subito.
“Non farlo.”, fece lei, “Non vorrai mica che la tua
fidanzata si ingelosisca di nuovo.”
“Beh… ma se tu sei voltata
verso di me e mi parli in un orecchio…”
“Chi ti dice che sia
voltata verso di te…”, disse lei, scandendo la sua frase con una lieve
risata.
“Ah… se la metti così, diamoci le spalle e chiacchieriamo
da soli come due deficienti.”, fece Tom.
“Io sto tenendo il
bicchiere davanti alla mia bocca… tu potresti guardare il tuo telefonino… oppure
mettertelo all’orecchio. Non sei molto acuto, Kaulitz.”, fece
lei.
“Non chiamarmi in quel modo.”, sbottò lui, seriamente. Era
stato scosso da un fremito quando si era sentito chiamare Kaulitz da lei.
“Come vuoi, non mi interessa come ti chiami. O come ti fai
chiamare.”
“E cosa ti interessa?”, le chiese lui, mettendosi il
cellulare all’orecchio per mascherarsi. Era parzialmente eccitato da quella
strana conversazione. Il lato sinistro del suo cuore stava prendendo il
sopravvento.
“Mi interessa conoscerti meglio.”
“Non
so nemmeno come ti chiami.”
“Mi chiamo Benedicte Camusse.”,
rispose lei.
“E che cosa fai? Sei un’attrice?”
“No,
sono una modella. Mi stupisce che tu non lo sappia.”, fece lei,
maliziosamente.
“Perchè?”
“Perchè si sa che le tue
modelle preferite siano quelle che sfilano per la firma Victoria’s Secrets… e
guarda caso io sono una di loro.”, rispose lei.
Tom si schiarì la
voce.
“Ultimamente sono stato un pochino…
impegnato.”
“Lo credo bene. Bel tipino, la tua ragazza.”, disse
lei, “Determinata, sicura di sé…”
“Lasciala stare.”, fece Tom,
“Non parlare di lei. Parlami piuttosto di te.”
Oramai il suo lato
destro del cuore era totalmente caduto in preda dell’altro. Non c’era più niente
da fare.
“Beh… non ho molto da dire. Tu
piuttosto?”
“Nemmeno io.”
“Perfetto. Mi ha fatto
molto piacere conoscerti, Tom Kaulitz.”, disse lei, scandendo con sensualità il
suo nome.
“Anche a me, Benedicte Camusse.”
“Spero di
ritrovarti in giro, un giorno o l’altro. Per adesso, devo andare alla toilette.
Con permesso.”
“Ma prego.”, rispose lui, togliendosi il telefonino
dall’orecchio.
Vide di nuovo l’orlo del suo vestito leggero
svolazzare, con la coda dell’occhio. Lei si allontanò, senza passargli
davanti.
Andava alla toilette. Era un chiaro e preciso
invito.
Lancò un’occhiata alla pista.
Mac non era
più nel mezzo della pista.
Si era verso le poltroncine, opposte a
dove stava lui.
Non era sola.
Ovviamente era con
Bill, che le stava parlando.
Attese un minuto
spaccato.
Si alzò.
Andò alla
toilette.
Bill cercò con gli occhi Mac,
trovandola a ballare abbracciata a Thiago, che sembrava volerla lanciare in aria
in un twist acrobatico. Scansando tutti i ballerini andò da lei e le picchiettò
sulla spalla.
“Potresti seguirmi un attimo? Ti devo parlare.”, le
disse.
“Ok… “, fece lei, un po’ riluttante.
Avendo
individuato Tom al loro divanetto, si sedettero nella zona praticamente opposta,
un po’ in disparte dalla gente e dalla musica, che fortunatamente non era troppo
alta.
“Ho visto che stavi piangendo quando eravamo in limousine.”,
le disse.
“Se ne sono accorti anche gli altri?”, fece
lei.
“No… penso solo io e Thiago, nemmeno Tom.”
“Va
bene… scusami se sono scappata via prima, durante lo spettacolo.”, disse
lei.
“Ma dai… eri l’unica che aveva il diritto di
farlo.”
“Meno male che sei dalla mia parte.”, fece lei, “Sto
impazzendo Bill… mi sembra di parlare con un muro.”
“A chi lo
dici. L’ho preso in disparte prima, ma non ho ottenuto nulla, solo riposte
idiote e il silenzio.”
“Beh… meglio di niente. A me ha detto che è
meglio rimandare tutto ad un altro momento.”, fece lei,
imbronciandosi.
“Dai Mac… non piangere.”, le disse lui,
accongendosene
“No, tranquillo. Mi sto trattenendo da almeno
mezzora…”
“Vuoi andare a casa?”, le propose.
“No,
assolutamente. Voglio godermi questi ultimi momenti di divertimento, perchè poi
credo che ci sarà molto da piangere.”
Bill la guardò.
Sì, almeno lei aveva preso una decisione, una dolorosa ma dovuta
decisione. Non si meritava di stare con uno come suo fratello. Era una persona
troppo speciale per sprecare i suoi sentimenti per Tom.
“Ve lo
siete già detti?”, le domandò.
“No… ma lo farò io appena torniamo
a casa…”
“Mi dispiacerà non averti più intorno.”, le disse, “Sai,
mi ero abituato a trovare le tue cose in giro… e a sentirvi mentre facevate
sesso!”
“Oh mio dio…”, disse Mac, “Non è vero che ci
sentivi…”
“Infatti, non è vero… ma Thiago vi sentiva eccome!”,
fece lui, ridendo.
“Gesù… no, lui va bene, può sentirci, ma non
tu.”
“Perchè io no?”
“Perchè… dai che schifo! Io non
ti vorrei mai sentire!”, sbottò Mac, ridendo e cancellando le lacrime che le
erano scese sulle guance.
“A dire il vero nemmeno
io…”
“Davvero ti dispiacerà non avermi più intorno? In fondo, io
sono una stronza bisbetica.”
“Sì.”, disse lui, “Sei stata la
migliore amica che abbia mai avuto.”
“Oh caro!”, fece lei,
imitando gli atteggiamenti di Thiago e abbracciandolo, “Mi prometti che mi
verrai a trovare?”
“Ma dove andrai a vivere?”, le domandò
lui.
“A casa dei miei, per il momento… poi troverò un appartamento
per conto mio, come ho sempre fatto.”
“Va bene.”, disse lui,
dissolvendo l’abbraccio, “Ti è colato il trucco.”
“Ok, vado a
sistemarmi al bagno.”
“Tieni.”, fece lui, frugandosi in tasca e
tirando fuori uno specchietto ed una matita.
“Grazie, dopo te li
riporto.”
“Ma no… te li regalo. Così porterai sempre un pezzo di
Bill Kaulitz con te.”
“Wow… posso venderlo su ebay e farci i
soldi?”, disse lei.
“No… sempre la solita… vai o ti si sfalda la
faccia. Sembri Freddy Kruger.”, disse lui, indicandole di
andarsene.
“Sai, Thiago ha utilizzato il solito paragone prima…
secondo me siete una bella coppia.”
“Certo… peccato che io non sia
gay!”, sottolineò lui, abituato oramai a sentirsi dire una osa del
genere.
Mac rise, giocherellando con la
matita.
“Forse mi sono davvero innamorata del Kaulitz sbagliato.”,
disse lei, “Magari se avessi davvero provato qualcosa per te sarebbe stato del
tutto diverso.”
“Beh…”, fece l’altro, “Può essere. Magari in un
universo parallelo stiamo insieme.”
“Già… ma viviamo in questo e
non siamo innamorati l’uno dell’altra.”
“Se un giorno mi troverò a
disegnare cuoricini accanto al tuo nome, ti faccio uno squillo.”, le fece Bill,
con il segno della cornetta all’orecchio.
“Quel giorno sicuramente
sarò irraggiungibile!”, disse lei, allontanandosi sorridendo.
Una
bella amicizia sprecata, si disse Bill.
Tutto per colpa di
quell’immaturo di suo fratello.
La trovò appoggiata al muro, con la sua borsetta rossa
in mano, in attesa di un bagno libero. Non ci fu bisogno di parole, bastò uno
sguardo. Lei si avvicinò ad una delle tre porte e entrò dentro, lasciando la
porta semi aperta. E lui la seguì.
Dentro, lei si stava togliendo
il rossetto dalla bocca con un fazzoletto.
“Cosa stai facendo?”,
le chiese.
“Non voglio lasciare tracce. Non sei molto acuto,
Kaulitz.”, fece lei, di nuovo, gettando nel piccolo lavandino il fazzoletto
macchiato del suo rossetto.
“Ti ho detto…”, fece lui, prendendola
per i fianchi ed avvicinandola a sé, “Di non chiamarmi
Kaulitz.”
“Non mi interessa chiamarti.”, fece lei, iniziando a
baciarlo.
Il lato sinistro del suo cuore iniziò ad
esultare.
Le mani di lei iniziarono ad infilarsi ovunque, sotto al
suo maglione, sotto ai suoi pantaloni. Si era liberata presto della sua presa e
lo aveva appiattito al muro. Se fosse stata Mac, avrebbe capito cosa voleva dire
farsi prendere per i fianchi. Ma lei non era Mac, era un’altra. Un’altra con cui
voleva godersela. Oramai non stavano più insieme, lui e Mac, poteva fare ciò che
voleva. Glielo diceva la parte sinistra del suo cuore.
Lei abbassò
le spalline sel suo vestito, rivelando nient’altro che il suo seno. Lui si tolse
il maglione, mantenendo la t-shirt che aveva sotto. Non gli piaceva spogliarsi
del tutto in quelle situazioni. Lei, invece, gliela
tolse.
“Fammela rimettere.”, disse lui, riprendendola da
terra.
“No, lasciala fare lì e stai zitto. Non vorrai farti
sentire.”
Sì, era vero, non voleva farsi sentire. Ma si rinfilò la
sua maglietta presto. Lei, nel frattempo, gli stava slacciando la fibbia della
cintura. I suoi pantaloni caddero a terra.
“Quello che ho sentito
dire in giro su di te è vero… allora…”, disse lei, mentre gli abbassava anche i
boxer.
Ecco, stava facendo una cosa che Mac faceva molto spesso,
mentre a lui piaceva da morire. Respirava sempre più affannosamente, sempre di
più, sempre di più, prendendole la testa con entrambe le
mani.
Cazzo, lo faceva tremendamente bene.
Così bene
che non ce la faceva più a trattenersi.
Lei si tolse le mani dalla
testa e lo lasciò, per iniziare a baciarli la pancia.
“No no..
finisci.”, le disse.
“Assolutamente no, voglio scopare.”, disse
lei.
“No… finisci!”, le impose lui, riprendendole la
testa.
“Ti ho detto di no. O mi scopi o me ne
vado.”
“Finisci o me ne vado io.”, disse
lui.
Allorché lei concluse, liberandolo.
“Contento
adesso?”, fece lei, quasi incazzata.
Si rimise il suo vestito e,
davanti allo specchio del lavandino, si rifece il trucco. Tom si voltò,
appoggiando la testa al muro. Srotolò con una strattonata il rotolo della carta
igienica, prendendone quanto gliene bastava, mentre il resto si ammonticò per
terra.
“Esci quando ti busso alla porta.”, disse lei, una volta
che si fu ricomposta, “Non voglio farmi vedere.”
Lui rispose con
un mmhh. Non gliene importava un cazzo che lei venisse vista con lui… era semmai
l’esatto contrario.
Lei uscì dal bagno, stando attenta a non
aprire troppo la porta. La richiuse con uno scatto e Tom si preoccupò solo di
bloccare la serratura. Si sedette sul gabinetto ed attese,
riflettendo.
Gli era piaciuto?
Cazzo, non si
ricordava di aver resistito così poco dalla prima volta che se lo era fatto
fare.
Ma la domanda era: gli era piaciuto?
Risposta:
no.
Davanti allo specchio, con un pezzo di quella carta
ruvidissima che mettevano nei distributori per asciugarsi le mani, Mac cercava
di togliere il rivolo di mascara che aveva sotto gli occhi. Riflesso sullo
specchio, vide la biondona uscire da uno dei tre bagni, quello centrale, ed
affiancarsi a lei.
“Ciao.”, le disse, frugando nella sua borsetta
e tirando fuori un rossetto.
“Ciao.”, rispose Mac, quasi in
automatico e senza interesse.
“Non vorrai mica irritarti la faccia
con quella cartaccia!”, disse poi la bionda con le labbra rosse come il culo di
un babbuino.
“Beh… vedi un distributore di cotone idrofilo?”, fece
Mac, guardandola attraverso il riflesso dello specchio.
“Dai…”,
fece lei, frugando di nuovo nella borsetta e tirando fuori una piccolissima
confezione di cerchietti di cotone, “Usa questo.”
Glielo porse e
Mac, a metà tra il chiedersi cosa voleva quella stronza e il bisogno di
accettare la sua offerta, si costrinse a prenderlo.
“Grazie.”,
disse poi, sorridendole per gentilezza.
“Tieni anche questa, è una
crema struccante.”, fece lei, prendendo microscopico tubetto di nuovo dalla sua
borsetta. Evidentemente era un modello ‘May Poppins’, per contenere tutte quelle
cose ed essere grande quasi quanto una mano.
“Grazie ancora.”,
fece Mac, versandosene un po’ sul cotone e tornando alla sua opera di
struccamento.
“Ti ho visto sulla rivista ‘Vanity and Beuty’… tu
sei la ragazza di quello dei Tokio Hotel.”, disse la ragazza, continuando a
fissarla attraverso lo specchio, mentre si aggiustava il
rossetto.
“Sì, hai indovinato.”, rispose Mac, quasi
atona.
“Volevo chiedertelo appena ti ho visto, allo show. Ti
guardavo da un pezzetto, cercando di capire se eri tu.”
“Ora lo
sai.”, rispose di nuovo Mac senza interesse.
“Ma c’era sempre…
insomma, non prenderla come un’offesa, ma il tuo ragazzo mi stava fissando un
po’ tanto e mi ha dato fastidio.”
“Ah si?”, fece Mac, che per la
prima volta fu stimolata dalle sue parole.
“Sì… io cercavo solo di
vedere se eri proprio tu… e lui mi fissava. Insomma, io gli tirerei un pochino
le orecchie.”, fece la ragazza, “Comunque mi chiamo
Benedicte.”
“Piacere, Mac.”, disse lei, porgendole la
mano.
“Non ti offendere ancora… ma io lo striglierei per
bene.”
“Sì…”, disse Mac, ridendo, “Lo farò, non ti
preoccupare.”
“Cioè, non era molto fastidioso, solo che alla fine
mi ha fatto passare per quella che ammiccava… quando invece io volevo solo
parlare con te per dirti che ho trovato quell’intervista molto
simpatica.”
“Dici sul serio?”, fece Mac, mentre iniziava a
rimettersi la matita sugli occhi.
“Sì, davvero. Beh, se sei così
anche nella vita reale, allora sei simpatica davvero.”, disse lei,
ridendo.
“Beh… che devo dirti…”, fece Mac, che proprio non sapeva
più che pesci prendere.
“Oh, niente. Era così tanto per dirti
quello che pensavo. Comunque adesso devo andare.”, disse lei, “Piacere di averti
conosciuta, Mac.”
Passò davanti ai bagni e bussò alla porta
centrale.
Che strana tipa, pensò Mac, sicuramente molto ipocrita.
Era molto probabile che volesse ‘salvarsi la reputazione’ e che avesse scaricato
la colpa su Tom perchè non voleva che lei mettesse in giro la voce che ci aveva
provato con lui, facendola passare per una poco di buono… Anche perchè se si
vestiva in quel modo era automatico che la gente pensasse che lo fosse. Sì,
sicuramente era così.
Beh… chi se ne fregava, non l’avrebbe più
rivista, e di sicuro non avrebbe voluto approfondire la sua conoscenza per
niente al mondo.
E poi perchè aveva bussato alla
porta?
Già, che stupida era Mac, bussava perchè dentro non era
sola, era stata sicuramente a farsi qualcuno.
“Che puttana.”,
disse Mac, dandosi un’ultima controllata allo specchio.
Seduto sul gabinetto, Tom attese che le gli bussasse.
Sperava facesse in fretta, non voleva trovare a scusarsi con nessuno per la sua
assenza. Ma forse ancora non stava bussando perchè c’era
qualcuno…
La sentì parlare, la sentì dire
ciao.
“Ciao.”, rispose un’altra voce.
“Non vorrai
mica irritarti la faccia con quella cartaccia!”, disse poi
lei.
“Beh… vedi un distributore di cotone idrofilo?”, rispose
l’altra.
Cazzo! Era Mac! Merda! Si accostò alla porta,
appoggiando l’orecchio al legno per sentire cosa si sarebbero dette. Se quella
puttana le avesse fatto capire qualcosa…
“Dai…Usa
questo.”
“Grazie.”, fece Mac..
“Tieni anche questa,
è una crema struccante.”
“Grazie ancora.”
Perchè
stava facendo la gentile con lei? Che cazzo, che situazione di merda… E lui non
poteva fare nulla, se non rimanersene lì in silenzio, altrimenti Mac lo avrebbe
scoperto. Che imbecille Tom, complimenti!
Era stata veramente una
buona idea chiudersi in un bagno con una puttana, mentre fuori c’era la sua
ragazza… ex ragazza…
Sì, oramai era finita.
Non ci
sarebbero stati problemi da risolvere, situazioni da affrontare. Era meglio
così.
Non si poteva continuare ad andare avanti.
Non
erano più Kaulitz e Rosenbaum.
Erano Tom e Mac.
“Ti
ho visto sulla rivista ‘Vanity and Beuty’… tu sei la ragazza di quello dei Tokio
Hotel.”, “Sì, hai indovinato.”, rispose Mac, quasi atona.
“Volevo
chiedertelo appena ti ho visto, allo show. Ti guardavo da un pezzetto, cercando
di capire se eri tu.”
“Ora lo sai.”
Era proprio una
stronza, pensava Tom.
“Ma c’era sempre… insomma, non prenderla
come un’offesa, ma il tuo ragazzo mi stava fissando un po’ tanto e mi ha dato
molto fastidio.”
“Ah si?”
Ecco, ora lo faceva
passare per il cascamorto, quando lei aveva continuato ad ammiccargli per tutta
la serata. Era stata lei a farlo venire dentro al bagno.
“Sì… io
cercavo solo di vedere se eri proprio tu… e lui mi fissava. Insomma, io gli
tirerei un pochino le orecchie. Comunque mi chiamo
Benedicte.”
“Piacere, Mac.”
“Non ti offendere
ancora… ma io lo striglierei per bene.”
“Sì…”, disse Mac e la
sentì ridere, “Lo farò, non ti preoccupare.”
Mac non si immaginava
che lui la voleva… insomma, che lui voleva troncare. Gli si spezzava già il
cuore. Per un momento si disse che non ne valeva la pena, che non la poteva
lasciare…
Ma ora, che il suo lato destro del cuore si era
riappropriato dei suoi spazi e gli stava parlando, lui era ancora più convinto
di doverla lasciare. Era un deficiente, un cretino, un idiota, uno stronzo, un
bastardo, un infame… poteva continuare all’infinito ad offendersi, non cambiava
il fatto che lui si era fatto fare un pompino in un bagno dalla prima puttana di
passaggio. Mentre ancora stava insieme a lei. E pretendeva addirittura di
giustificarsi dicendo che ormai, viste le circostanze precedenti, non stavano
più insieme!
Aveva ragione Bill.
Mac non si
meritava uno come lui.
Adesso non erano più i problemi irrisolti
la causa della loro rottura.
Era bensì lui.
“Cioè,
non era molto fastidioso, solo che alla fine mi ha fatto passare per quella che
ammiccava… quando invece io volevo solo parlare con te per dirti che ho trovato
quell’intervista molto simpatica.”
“Dici sul
serio?”
“Sì, davvero. Beh, se sei così anche nella vita reale,
allora mi sei simpatica davvero.”, disse lei, ridendo.
“Beh… che
devo dirti…”, fece Mac.
Ecco, brava, non doveva dirle
niente.
“Oh, niente. Era così tanto per dirti quello che pensavo.
Comunque adesso devo andare. Piacere di averti conosciuta,
Mac.”
Sentì i passi dei suoi tacchi avvicinarsi verso la porta,
poi lei gli bussò.
Si aspettava che uscisse, smascherandosi
clamorosamente? Assolutamente no.
Sarebbe rimasto ad aspettare che
anche Mac se ne fosse andata.
“Che puttana…”, sentì poi dire da
Mac.
Brava, pensò Tom, che puttana.
E magari poteva
anche aggiungere che lui era un figlio di puttana. Glielo avrebbe permesso con
tutto il cuore.
Poi la sentì uscire.
Ecco era quello
il momento.
Rapidamente, si infilò la t-shirt dentro i pantaloni e
aprì la porta.
Un’ultima nuova controllatina allo specchio. Sì, anche
se non era tanto brava a truccarsi non le pareva di aver peggiorato il suo
aspetto. Si sistemò i capelli e uscì dai bagni, tornandosene verso la
pista.
Poi le venne da toccarsi la tasca posteriore, dove le
pareva di aver messo la matita e lo specchietto datole da Bill, ma c’era solo
quest’ultimo.
“Cacchio!”, disse, aveva lasciato la matita sul
lavandino.
Velocemente, tornò verso il bagno. Afferrò la matita ed
alzò gli occhi.
Tom.
“Ma… che ci fai qua? E’ il
bagno delle donne.”, disse Mac, sorpresa nel vederlo lì.
Lui che
la guardava quasi spaventato.
Una serie di rapidi pensieri le
investirono la mente.
La porta centrale del bagno
aperta.
La stronza che aveva bussato proprio a quella
porta.
“Tom…”, fece Mac, realizzando, “Tu… tu…”
“No,
Rose, fammi spiegare, io non ho…”, disse lui, avvicinandosi a lei e prendendole
le mani.
“Toglimi le mani di dosso.”, fece poi, furiosamente,
liberandosi dalla sua presa.
“Rose… fammi
spiegare…”
“Farti spiegare cosa?”, gli gridò lei, “Che sei il più
grande figlio di puttana che abbia mai conosciuto in questa merda di
vita?”
“Rose…”
“Non chiamarmi Rose!”, disse lei,
“Tornatene da quella troia.”
Si voltò e, correndo, uscì dal
locale, scontrandosi con tutti quelli che erano sfortunati a trovarsi sulla sua
strada. Tom cercava di raggiungerla, ma lei continuava dritta verso
l’uscita.
Senza cappotto, spinse la porta ed uscì fuori dal
locale, al freddo, cercando con gli occhi l’autista della loro limousine. Perchè
cazzo avevano preso un altro e non Saki? Almeno lui era sempre nei paraggi e di
sicuro questo stronzo si era allontanato.
Voleva solo andarsene a
casa a fare le valige, prendere la macchina ed andarsene.
“Rose!
Fermati! Dove stai andando!”, le disse Tom, alle sue spalle, l’aveva
raggiunta.
“Fottiti! Lasciami in pace!”, gli gridò lei,
riprendendo a correre.
Nonostante i tacchi dei suoi stivali,
riusciva ad essere veloce abbastanza per non farsi prendere. Si ritrovò in una
strada scarsamente illuminata e, un po’ per Tom che stava recuperando terreno e
continuava a chiamarla supplicandola di fermarsi, un po’ per la paura del buio,
prese a correre più forte che poteva.
Il vicolo sbucò su una
strada principale. Destra o sinistra? Destra.
In lontananza gli
parve di vedere un poliziotto salire in una macchina. Voleva liberarsi di Tom.
Voleva andare a casa. Ma non poteva fare nessuna delle due cose: era senza
cappotto, senza borsa, senza cellulare. Non poteva chiamare un taxi. E Tom era
maledettamente sempre più vicino.
“Hey! Hey!”, iniziò a gridare
Mac, cercando di attirare l’attenzione del poliziotto,
“Hey!”
L’uomo sembrò accorgersi di lei e, con una leggera andatura
veloce, le andò incontro.
“Signorina! Cosa sta succedendo?”, le
fece, fermandola dalla sua corsa.
Respirando affannosamente e
tremando per il freddo, Mac riuscì a parlargli.
“C’è il mio…
insomma… c’è uno che mi sta seguendo…”, disse.
“Ha cercato di
rapinarla, di prendere le sue cose, vero?”, fece lui, vedendola senza né un
cappotto né una giacca.
“No… a dire il vero… è il mio ex… e’ un
pochino…”
“Ho capito… insomma, vuole che lo allontaniamo.”, fece
l’uomo, vedendolo arrivare anche lui a corsa.
“Sì…. E magari darmi
un passaggio a casa… sono a piedi e ho lasciato le mie cose nel locale in cui
eravamo.”
“Hey! Rose! Rose! Ma cosa stai facendo?”, iniziò a
chiamarla Tom, vedendola ferma a parlare con un agente della polizia. Al che il
collega dell’uomo, prima seduto al posto del guidatore, notando il suo arrivo,
uscì dalla macchina, rimanendo però fermo accanto al mezzo, per controllare la
situazione e magari intimorire il ragazzo.
“Ragazzo, la prego,
stia lontano dalla signorina.”, disse l’agente della polizia, mentre Mac si
nascondeva dietro di lui.
“Cosa?!? Ma lei è la mia ragazza! Non
può farmi questo! Lei non ha il diritto di fermarmi!”, protestò
lui.
“La prego, non si avvicini oltre o mi vedo costretto a
portarla in centrale.”, lo ammonì l’uomo.
“Mac… Rose…”, fece Tom,
“Dove vuoi andare… cosa vuoi fare…”
“Non sono cose che la
riguardano più, ormai.”, disse l’agente, “Si allontani, altrimenti devo prendere
seri provvedimenti nei suoi confronti.”
Tom dovette rassegnarsi.
Ancora più arrabbiato di prima, ma impossibilitato nel fare qualsiasi cosa,
dovette tornare sui suoi passi.
Una volta che fu abbastanza
lontano, Mac venne fuori dal suo nascondiglio. L’agente, vedendola tremare, si
tolse il suo cappotto e glielo passò.
“Venga, la accompagnamo a
casa.”, le disse, facendola salire sul retro della
vettura.
Silenziosa al suo posto, dopo aver spiegato loro dove
portarla, Mac si scaldava con la divisa dell’agente. L’altro, alla guida, ogni
tanto le lanciava qualche occhiata.
“Senta…”, le fece, “Quello era
quel tipo di quel gruppo… come si chiama…”
“I Tokio Hotel.”, disse
il suo collega.
“Sì, loro. E’ vero?”
“Sì,
sfortunatamente è proprio lui.”, disse Mac, con tono molto
amaro.
“Beh… mia figlia sarà contenta di sapere che vi siete
lasciati.”, disse il poliziotto alla guida.
“Franz!”, lo
rimproverò l’altro, “Ma ti sembrano cose da dire in questi momenti!... e poi non
hai una figlia.”
“E’ vero… è mia moglie che sarebbe contenta.”,
precisò l’altro, sorridendo.
“Piantala!”, lo rimbeccò l’altro, “E
lasciala in pace!”
“Sarebbe meglio… senza offesa.”, disse Mac,
“Non è che… avreste un fazzoletto di carta o qualcosa di
simile?”
“Tenga. Io sono l’agente Aldo e lui l’agente Franz.”,
disse il poliziotto che l’aveva, in un certo senso,
salvata.
“Grazie… Io mi chiamo Mackenzie…. ma così glielo
macchierò.”, disse Mac, accorgendosi che le aveva passato il suo fazzoletto di
stoffa.
“Può tenerlo tranquillamente… anche perchè se lo porto a
casa macchiato di trucco mia moglie mi fa dormire sul terrazzo.”, disse l’agente
Aldo, sorridendo.
Anche Mac sorrise, mentre si asciugava le
lacrime che le stava uscendo dagli occhi.
“Vuole sentire un po’ di
musica signorina? Tanto per calmare le acque.”, le chiese l’agente
Franz.
“Oh sì… se si può.”, disse lei.
“Certamente…
anche se non si potrebbe farlo… questa radio qua non funziona solo da
trasmittente.”, fece l’altro, accendendola.
‘Achtung, fertig,
los und lauf…”, cantò per prima la voce di Bill.
“Ehm… sarà
meglio cambiare stazione Franz, che dici?”
“Oh sì, certamente.”,
fece l’altro, premendo il bottone di scorrimento della
frequenza.
Dopo qualche scarica elettrostatica e qualche stazione
non ricevibile, la voce di Avril Lavigne cantò: ‘You were everything, everything that I wanted.
We were meant to be,
supposed to be, but we lost it. All of the memories, so close to me, just fade
away. All this time you were pretending... So much for my happy
ending…'
“Potrebbe
cambiare, per favore… non mi piace.”, disse Mac, sperando di non aver
travalicato. Insomma, già loro stavano violando il regolamento utilizzando la
radio al di fuori delle sue funzioni…
“Sì, come vuole.”
Altre scariche,
poi James Blunt: ‘Goodbye my lover, goodbye my friend. You have been the one.
You have been the one for
me.’
“Non conosco bene l’inglese,
ma non credo che questa sia appropriata, Franz.”, disse l’altro agente,
lievemente imbarazzato.
“Se lo dici tu…”, e cambiò stazione per la terza
volta.
A Mac venne da sorridere, quella situazione era troppo
irreale: pareva che in quel momento, alla radio, passassero solo canzoni di
persone che si stavano lasciando…
‘When I look into your eyes I can see a love
restrained… But darlin' when I hold you, don't you know I feel the
same….’
“Oh! Senti cosa
stanno passando!”, esclamò l’agente Franz, “Solo di notte… mannaggia, ma è
possibile?”
“Perchè? Chi sono?”, gli chiese il suo
collega.
“Sono i Guns’n’Roses.”, disse Mac. Le ci era voluto un
po’ per riconoscere ‘November Rain’.
‘Cause nothin' lasts
forever and we both know hearts can change.
And it's hard to hold a candle in
the cold November rain
“November Rain… che bella canzone.”, disse Franz,
alzando il volume. Proprio in quel preciso istante, quasi profeticamente, una
goccia d’acqua macchiò il finestrino. Mac, con la testa appoggiata su di esso,
la guardò scendere fino in fondo. Dopo qualche secondo, fu accompagnata da molte
altro gocce. Era la pioggia di novembre.
We've been through
this such a long long time
Just tryin' to kill the pain
But lovers
always come and lovers always go
And no one's really sure who's lettin' go
today
Walking away
Già, gli amori venivano e gli amori andavano, cantava
Axel Rose.
Per scherzo del destino, anche lei si chiamava
Rose.
O meglio, era lui a chiamarla in quel modo.
Rose.
So if you want to love me
then darlin' don't
refrain
Or I'll just end up walkin'
In the cold November
rain
Se lui voleva amarla, allora non doveva
rinunciare a farlo.
Ma visto che lui si era dimostrato essere un
grandissimo stronzo, era meglio trovarsi a camminare nella fredda pioggia di
novembre
Do you need some time... on your own
Do you need
some time... all alone
Everybody needs some time... on their own
Don't
you know you need some time... all alone
Era proprio quello di cui aveva bisogno. Starsene da
sola, con se stessa.
Cacchio Axel, era diventato un
profeta?
Ce l’aveva quella canzone, ma non aveva mai pensato che i
Guns fossero come dei messia.
Dopo l’assolo di chitarra di Slash,
l’agente Aldo fu costretto a spegnere la radio, per ricevere una trasmissione
dalla centrale.
“Dai…. Hai rovinato un momento magico.”, lo
rimproverò lagnandosi il suo collega.
“Il dovere è il dovere,
Franz.”
L’ultimo tratto del loro tragitto fu scandito solo dal
rumore del motore della macchina. L’agente Aldo accompagnò Mac direttamente alla
porta, coprendo entrambi con un grosso ombrello.
“Ma se non ha le
sue cose con se come fa ad aprire?”, le domandò.
“Teniamo un mazzo
di chiavi dentro a questo vaso.”, disse lei, accucciandosi ed iniziando a
scavare nel terriccio, a qualche centimetro da una bella piantina grassa, piena
di spine.
“Ah… interessante.”, fece
l’agente.
“Ecco, trovata.”, disse Mac, tirando fuori il mazzetto
di chiavi tutto sporco di terra, “Grazie mille agente per avermi tolto da questo
impiccio.”
“Qui vive anche il suo fidanzato?”, le
domandò.
“Sì, ma prima che arrivi me ne sarò già
andata.”
“Ah, bene. Cioè, mi dispiace…”, si corresse
l’altro.
“Ma si figuri. Mi saluti il suo collega.”, disse Mac,
infilando le chiavi nella serratura.
Infreddolita e mezza bagnata, corse nella camera.
Ancora non aveva riposto la sua valigia, era sempre appoggiata all’armadio. La
prese e la aprì sul letto: a grandi bracciate, prese i suoi vestiti, la sua
biancheria e tutto quello che poteva starci, infilandoli dentro alla rinfusa. In
cinque minuti chiuse la sua vita in una valigia.
Il resto non lo
avrebbe di certo lasciato lì dentro. L’indomani avrebbe chiamato suo zio, il
fratello di sua madre, che aveva una ditta di traslochi, e sarebbe stato lui a
prendere ciò che era suo. Bill gli avrebbe detto cosa doveva portare
via.
Nel mentre che si stava togliendo i suoi vestiti per
indossarne di altri molto più comodi e pesanti, sentì la porta principale
aprirsi e sbattere.
Correndo, tornò dentro al locale. Doveva trovare
l’autista e farsi accompagnare a casa. Doveva fermare Mac, doveva trovarla prima
che se ne andasse definitivamente e non tornasse
più.
Nervosamente, andò verso il tavolino su cui aveva lasciato il
telefono. Ma cazzo, lui non ce lo aveva il numero delll’autista! Ce lo aveva
Bill… Merda, perchè Saki si era preso le ferie proprio in quei
giorni.
Lo cercò in giro, trovandolo a chiacchierare con Thiago ed
un altro gruppetto di persone a lui sconosciute. Lo prese per un braccio,
sottraendolo alla conversazione.
“Ma che cazzo fai!”, esclamò
Bill, arrabbiato.
“Ce l’hai il numero dell’autista?”, gli chiese
suo fratello, frettolosamente.
“A che ti serve?”
“Ce
l’hai o non ce l’hai?”, si innervosì Tom.
“Certo che ce l’ho… ma
dimmi a cosa ti serve. Hai combinato qualche casino con Mac,
vero?”
“Dammelo.”, gli impose Tom.
“No, non te lo
do, mi dispiace.”
“Dammelo!”, gli gridò contro suo fratello, in
preda alla rabbia.
Bill lo prese di nuovo per un braccio, ma
stavolta non si trattenne davanti agli altri. Lo stava proprio trascinando con
forza e collera, fregandosene degli sguardi altrui. Velocemente prese entrambi i
loro cappotti e uscirono fuori dal locale.
Pioveva a dirotto e,
sotto la pioggia, iniziarono a litigare furiosamente.
“Faccio da
solo, tornatene dentro.”, gli disse Tom.
“No, cazzo, vengo con
te.”
“Fatti i cazzi tuoi Bill! Non devi sempre intrometterti nella
mia vita!”
“Lo faccio solo perchè non sei capace di valutare le
conseguenze delle tue azioni!”
“Vaffanculo Bill!”, gli urlò contro
Tom.
“Dopo, adesso andiamo a recuperare Mac.”, gli disse l’altro,
prendendo il suo cellulare e chiamando l’autista. Dopo cinque minuti erano
dentro la loro macchina. Bill avvertì con un messaggio Thiago che stava
tornandosene a casa con Tom e che, una volta arrivati, avrebbe mandato indetro
la macchina per lui e per Gustav. Potevano continuare la serata, per loro era il
momento din tornarsene a casa.
“Che cosa hai fatto…”, disse Bill
al fratello, verso metà del tragitto.
“Niente che ti
riguardi.”
“Tom, dimmi cosa hai
fatto.”
“Niente.”
Bill sospirò. Doveva
rassegnarsi.
“Posso anche immaginarmelo. La bionda con vestito
rosso.”, disse poi, mentre si massaggiava le tempie. Gli era preso un mal di
testa assurdo, che sarebbe aumentato esponenzialmente nelle prossime
ore.
La limousine si fermò davanti al cancello e entrambi scesero,
correndo verso la porta della loro casa. La macchina di Mac era sempre lì, ma
non erano certi che lei fosse dentro casa. Tom non sapeva dove se n’era andata
dopo che l’aveva lasciata ai poliziotti.
Infilando con mano
tremante la chiave dentro la serratura, Tom aprì la porta, pregando con tutto il
cuore che Mac fosse lì dentro. La luce della sala era accesa… o l’avevano
dimenticata, oppure lei c’era. Rapidamente salì le scale, seguito da suo
fratello come da un ombra. Sentì la porta della sua camera sbattere. Era lì, si
era sicuramente chiusa dentro.
“Rose! Rose!”, la chiamava, mentre
si avvicinava.
Davanti alla porta, iniziò a bussare, continuando a
chiamarla. Sentiva dei rumori provenire da dentro. Entrò dentro camera
sua.
“Sei ti avvicini la rompo in due.”, disse Mac.
Teneva in mano una chitarra.
La chitarra preferita
di Tom.
Quella che stava appesa sopra il loro
letto.
“Rose… per piacere.”, fece lui, movendo qualche passo verso
di lei.
Con tutta la forza che avva in corpo, Mac la afferrò e la
sbattè contro il muro, facendola cadere a terra a pezzi.
“Ma… che
cazzo fai! Lo sapevi quanto valeva quella chitarra?”, disse lui, vedendola
frantumata a terra.
“Non me ne frega niente.”, sibilò
Mac.
Prese la sua valigia per il manico e fece per uscire dalla
stanza, ma lui la bloccò, togliendogliela di mano.
“Tom, ridammi
la mia valigia.”, gli disse.
“No.”
“Tom…”, si
spazientì lei, “Non costringermi a distruggerti la
camera.”
“Avanti! Fallo!”, fece lui.
Mac non ci
pensò due volte. Prese un pezzo della sua ormai ex chitarra preferita e fracassò
lo specchio appeso al muro, davanti al letto. Tutti i taglienti ed aguzzi pezzi
di specchio si sparsero per terra.
Bill, che se ne stava in
trepidazione seduto sulla rampa delle scale, allarmatosi per aver sentito quel
rumore agghiacciante, irruppe, sperando che non fosse successo niente di
particolarmente grave.
A terra, cocci di specchio ed una chitarra
rotta.
“Bill, rimani fuori da questa storia. Tu non c’entri
niente.”, gli disse Mac, seria e risoluta.
Al che lui se ne tornò
dov’era fino a quel momento.
“Non riesci a parlarmi senza rompere
niente?”, le disse Tom.
“No. Dammi la mia valigia.”, ripetè Mac,
allungando la mano per farsela passare.
“Ti ho già detto che non
te la do.”
“Va bene.”, disse Mac.
Uscì rapidamente
dalla camera e corse giù per le scale. Prese il mazzo delle chiavi della sua
macchina
“Dove vai! Dove credi di andare!”, fece Tom, mentre
scendeva giù per le scale.
Lei non gli rispose, uscì fuori nella
pioggia ed entrò nella sua macchina, mettendola in moto. Prima che lei potesse
mettere la retromarcia e andarsene, Tom si mise dietro la sua auto. O lo
investiva, o rimaneva lì.
La luce bianca si accese. Per un attimo
ebbe la paura di trovarsi in ospedale.
Ma la macchina non si mosse
di un millimetro. Intanto, la pioggia incessante gli era entrata dentro le ossa,
passando al di là dei vestiti e facendolo tremare. Le bussò più volte sul vetro
posteriore, ma lei non accennava a scendere dalla sua
auto.
“Scendi!”, le diceva, “Scendi!”
Bill, sulla
soglia della porta, si chiedeva se suo fratello si sarebbe mai spostato di lì.
Doveva farlo.
Premette il pulsante dell’apertura
del cancello.
Andò verso Tom, lo prese per un braccio e lo
strattonò via.
In una frazione di secondo, la macchina di Mac si
spostò e, mentre Tom cercava di divincolarsi dalla presa di suo fratello, uscì
dal cancello.
“Idiota! Pezzo di imbecille!”, gli gridò contro,
quando lui lo ebbe lasciato, “Ma che cazzo hai fatto!”
“Quello che
dovevo fare. E che dovevi fare tu.”
“Cretino!”, urlò ancora Tom.
La sua voce si era rotta.
Stava
piangendo.
L’uno di fronte all’altro, si guardavano dritti dentro
i loro occhi. Quelli di Tom erano pieni di lacrime, si confondevano con le gocce
di pioggia che gli scendevano lungo la faccia.
Quelli di Bill
sembravano piangere, ma invece erano solo pieni di
astio.
“Reputati fortunato Tom.”, gli disse, “Dopodomani ti avrò
già perdonato.”
Lui non gli rispose subio, non aveva la forza per
farlo. Le sue labbra stavano tremando.
“E quindi? Che cazzo me ne
faccio del tuo perdono?”, gli fece.
“E’ l’unico che avrai.”, gli
disse Bill, prima di voltarsi e tornarsene in casa.
Non avrebbe
capito subito quanto fossero vere quelle parole.
TITOLO: mi sono
ispirata al libro del mio mito, Carlo Lucarelli, che si intitola ‘Il lato
sinistro del cuore’. Se non lo avete mai letto, vi consiglio di farlo…. Paura
eh???? No scopo di lucro.
Le canzoni: 'Ubers ende der Welt', perdonate
l'assenza dei due punti sopra la u, degli sconosciutissimi Tokio Hotel; 'My
happy ending' di Avril Lavigne; 'Goodbye my lover' di James Blunt e 'November
rain' dei Guns'n'Roses (Lode a Slash nell'alto
dei cieli) non sono state utilizzate per scopi di lucro.
Beh... cosa dire? Non ci sono molte cose da
spiegare... Ps: non vi scagliate contro
Tom, vi prego, è solo martire della mia mente malata! XDD stare
tranquille, ve lo farò ripiacere poi... e a chi non è mai piaciuto, beh, che ci
posso fare?
MissZombie
- CowgirlSara - Sososisu: non vi ringrazierò mai abbastanza ma,
visto che lo faccio appena vi trovo su msns... adesso vi risparmio!! XDD
Brevemente: Grazie Marti per la recensione in diretta di ieri sera *lacrimuccia*
- Grazie Sara per le risatone che ci facciamo... prossimamente sfruttero alcuni
dei nostri scleri, e complimenti ancora per Cappuccetto-Bill! Ancora sto
ridendo, aspetto con ansia che entri in scena anche il cacciatore e la nonna!
Grazie Polly (gneck gneck!), farai come Bart e non ti laverai più la mano che ha
toccato Georg?????
Alanadepp:
che recensione aggrovigliata.... non ci ho capito niente!!! XDD ma grazie lo
stesso!... come fa Bill a non battere le palpebre? Semplice, c'ha i cosi negli
occhi come ad Arancia Meccanica, hai visto? XDD... questa era patetica... ci
sentiamo appena posso su msn, questa settimana torno sempre tardi
dall'università! Ciauz!
Quoqquoriquo: ora tutto il quartetto ha perso
le speranze e nessuno è più in grado di affrontare la situazione.... beh, grazie
per i complimenti, davvero, sai essere molto obiettiva, efficace e diretta nelle
tue recensioni! Sia nelle critiche, sempre ben accette, che nei complimenti.
Grazie davvero! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
Starfi:
dove devo venire a trovarti? Nel reparto di cardiologia dell'ospedale di quale
città? Oppure nel manicomio criminale? Non vorrai mica uccidere Tom? XDD vedrai
che nei prossimi capitoli tornerò a fartelo apprezzare... parola di Silvia! E
l'idea del carmina burana? Mettila di sottofondo se ti rileggi il capitolo...
soprattutto nella scena del bagno... XDDDDD se ci penso rido da
sola!
Ruka88:
tagliare i capelli? Già l'ho fatto (Last night... e Between...) Buttare via i
cappelli? Gia fatto (Last night...).... cosa mi rimane da fare se non aprirgli
direttamente il cervello e vedere se dentro c'è solo acqua? No, non sono così
crudele....
SweetPissy: happy end??? tranquilla,
innanzitutto per arrivare all'end ci corrono ancora diversi capitoli! XDD
riprendi fiato e attendi con pazienza!
Sarakey:
no non piangere, suvvia! Nemmeno adesso che si sono lasciati... per sempre? Who
knows?
Anna9223:
dai, facciamoci coraggio e rendiamoci conto della situazione... si sono
lasciati! Beh, doveva capitare, non credi?? XDDD
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Capitolo 10 *** Forgotten... not forgiven ***
Avete notato il
cambiamento del titolo alla storia? Beh, scusate, ma questo è molto più
appropriato... capirete...
10. FORGOTTEN… NOT FORGIVEN
L’unico modo per poter guardare il sole senza rimanere abbagliati, o senza
farsi distruggere la retina, era avere un pezzo di vetro affumicato. O meglio,
comprarne uno in una ferramenta o in una mesticheria, di quelli che venivano
utilizzati per le saldature.
Era quello che la radio continuava a dire da una settimana a quella parte, in
vista di un’imminente eclissi totale di sole. La predevano tra quattro giorni,
nel pomeriggio.
Cacchio, l’aveva già vista, quando c’era stata molti anni prima in Germania. Ed
era stata un’emozione indescrivibile.
Era stato il momento più bello di tutta la sua vita.
Era uno di quegli avvenimenti che facevano capire quanto l’uomo era
insignificante sulla terra, perchè là fuori, nell’universo, succedevano cose
impensabili, improgrammabili, che avevano il potere di sconvolgere la vita,
anche se nessuno pareva accorgersene. Ma basta, era meglio non scrivere
trattati teologici e astronomici quando si stava risalendo in superficie.
Ecco, un altro modo per guardare il sole senza troppi danni permanenti, era
farlo attraverso venti metri di acqua marina. Vederlo scomposto, vederlo
fluttuare, vederlo rompersi ad ogni più piccola increspatura della superficie…
era proprio bello il sole.
Mentre fluttuava nell’acqua in attesa di far passare il tempo necessario per la
decompressione, vide la barca passare davanti al sole. Un’altra eclissi, meno
naturale, pensò, e solo parziale, perchè la barca lo oscurò solo in parte.
Si sentì toccare il braccio e si voltò, mentre aspirava ossigeno dal boccaglio.
Un gesto semplice, il pollice volto in alto che indicava la superficie. Scosse
la testa in senso affermativo e riprese a muovere ritmicamente i suoi piedi,
dandosi così con le lunghe pinne la spinta per la risalita. Si sarebbero
fermati altre volte, prima di riaffiorare, per evitare di farsi uccidere da
un’embolia.
Appena la loro testa affiorò sul pelo dell’acqua, si tolsero la maschera ed il
grosso boccaglio. Un paio di uomini si affacciarono, tendendo loro le mani per
aiutarli a montare sulla barca.
Ma come prima cosa, Mac dette loro la sua attrezzatura, che altro non era che
una telecamera subacquea che pesava un quintale. Una volta ebbe messo piede
sulla barca e questa fu ripartita per la spiaggia, si liberò delle bombole,
delle pinne e della tuta da sommozzatore. Stessa cosa fece il ricercatore, che
era stato con lei per quasi un’ora ad una cinquantina di metri di profondità,
ad esplorare il fondo marino e la barriera corallina.
“Gesù… laggiù si gelava…”, disse Mac, avvolgendosi in una coperta che le aveva
passato uno dei membri del piccolo equipaggio. Sotto la tuta da sommozzatore
aveva una maglietta ed un paio di pantaloni, anch’essi impermeabili, ma il
freddo che c’era a quelle profondità era abbastanza intenso. Non importava che
fossero due paralleli sotto l’equatore.
“Abbastanza.”, le rispose il ricercatore, mentre rabbrividiva.
“Quando ci torniamo in questa zona Herwig?”, domandò al ragazzo, suo
connazionale, l’unico con cui continuava a parlare tedesco.
“Non appena avrò esaminato tutti i filmati.”, le disse lui.
“Hai capito come funziona tutta l’attrezzatura? Compresi i programmi per la
scomposizione delle immagini e tutta quella roba là?”
“Penso di sì, ma se non ne caverò un ragno dal buco ti chiamo.”
“Va bene.”
La barca, lunga circa sui quattro metri, solcava le onde a tre quarti e tornava
verso il porticciolo. Ancora dovevano navigare per almeno un quarto d’ora, si
erano allontanati abbastanza dalla costa. L’equipaggio era composto da un
timoniere e da un paio di aiutati, abitanti del posto.
Il caldo del sole oramai l’aveva ritemprata e, togliendosi la coperta di dosso,
si appoggiò al fianco sinistro della barca, lasciandosi riscaldare dall’aria
tiepida.
“Fai niente stasera?”, le chiese Herwig.
“Boh, non so. Penso che andrò al villaggio e scroccherò qualche bevuta qua e
là.”, disse lei, con poco interesse. Ogni tanto lui faceva qualche domanda del
genere, ma lei non gli dava mai troppo spago. Era un tipo carino, un bel moro
dalla particolare carnagione chiara, perennemente arrossata dal sole tropicale.
Aveva qualche anno in più e sembrava interessarsi a lei, ma riceveva sempre
picche.
“Vado a mettermi comoda.”, disse poi Mac, scendendo sotto coperta.
Al riparo da occhi indiscreti, si tolse i vestiti impermeabili e indossò il due
pezzi. Si infilò i pantaloncini a fantasia floreale, del tutto in tono con
l’ambiente circostante, si legò il reggiseno nero dietro al collo e concluse il
tutto con una canottiera nera.
Tornò in superficie e si stese sulla panca su cui era stata seduta, attendendo
di arrivare sull’isola.
“Ti va di se ci andiamo insieme a prendere qualcosa da bere?”, ritentò Herwig.
“Ci becchiamo là, ok?”, disse lei, guardandolo ad occhi socchiusi per via del
sole.
“Ok.”, rispose lui, comprendendo che non era aria.
“Siamo arrivati.”, disse il timoniere, in francese.
“Va bene.”, rispose Mac.
Se lo era studiato per bene prima di partire ma, una volta arrivata lì, lo
aveva dovuto imparare completamente di nuovo. La lingua che parlava la gente
del posto era un miscuglio tra il dialetto locale e il francese, la lingua
della colonizzazione, ed era quasi del tutto incomprensibile. Ma dopo un mese
ci aveva fatto l’orecchio e se lo era assimilato.
Alzandosi in piedi, con la mano sopra gli occhi per ripararsi dal sole, guardò
il profilo della costa: palme, acqua cristallina e pulita, bambini europei che
giocavano sulla riva del mare, mentre i loro genitori prendevano il sole sulle
loro sdraio.
Era un paradiso quel posto.
Erano le Seychelless.
Aiutarono l’equipaggio ad attraccare la piccola barca al porticciolo e, con
calma, scaricarono tutto il loro equipaggiamento, per caricarlo nuovamente sul
fuoristrada che era parcheggiato a qualche metro da lì, lungo la strada
asfaltata.
“Ti accompagno a casa?”, le chiese Herwig, appoggiato alla fiancata della
macchina.
“Herwig… stiamo a tre passi da qui, al villaggio. Ancora mi chiedo cosa prendi
a fare questo fuoristrada quando partiamo da questo porticciolo… E comunque
vado al bar a prendermi da bere. Chiamami se hai bisogno.”, rispose lei,
chiudendo il portellone posteriore.
“Perfetto.”, fece lui, montando nell’auto e partendo.
Mac si sistemò i pantaloncini e, inforcando le sue infradito, tornò verso la
spiaggia. Dopo tre mesi di sole tropicale la sua pelle si era fatta di un
colorito lievemente scuro, quasi nocciola. Le piaceva la sua pelle abbronzata,
le piaceva quando i piedi affondavano nella sabbia, le piaceva l’odore della
salsedine… tutte cose che non le erano mai andate molto a genio. Ma si sapeva,
le persone cambiavano nel tempo.
Tolse la pinza che sorreggeva i suoi capelli, lasciandoli cadere sulle spalle,
per farli asciugare alla luce del sole. Legò solo le ciocche più esterne con un
nodo dietro alla testa. Ogni singolo capello era imprigionato in una lunga
treccia: se le era fatte fare qualche settimana prima soprattutto per comodità,
perchè in quel modo non doveva stare a combattere con i capelli che le si
appiccivano ovunque.
E se li era anche tinti di nero. Nero, proprio nero.
Camminando tra i bambini che giocavano, ne salutò qualcuno. Li conosceva quasi
tutti, anche se non ricordava bene i loro nomi, perchè a tempo perso si
divertiva a fare animazione per bambini, nel villaggio turistico dove
alloggiava… era una storia un po’ lunga da raccontare… Rinviò una palla,
un freesby e una pallina da tennis, prima di raggiungere il bar sulla spiaggia,
dove lavorava Nagomi, un simpatico ragazzo giapponese di Osaka.
“Ciao Nagomi…”, gli disse lei, “Mi fai il solito?”
“Certamente Mac!”, rispose lui, con il suo solito ottimismo stampato in faccia
e la ‘r’ inesistente.
Mac mise entrambe le braccia sul tavolo e, stancamente, vi appoggiò la testa
sopra.
Aprì l’ombrellone,
il cui cappello era fatto di foglie di palma essiccate. Poi distese anche le
due sdraio, appoggiate al palo dell’ombrellone, sperando che nelle prossime ore
venisse occupata... Sistemò con cura la sua e vi si sedette sopra. Frugò nel
suo zaino e prese tutto l’occorrente: occhiali da sole, crema solare,
cruciverba, un libro, lettore mp3, penna, giornaletto scandalistico. Insomma,
mancavano solo le formine e la paletta nel suo equipaggiamento da mare, ma
aveva quasi trent’anni e non sarebbe stato molto appropriato.
Si spalmò con attenzione e cura la giusta quantità di protezione solare fattore
cinquanta, resistente all’acqua, non oleosa e repellente alla sabbia. La sua
pelle era troppo chiara e si sarebbe scottata nel giro di quaranta secondi
sotto quel sole quasi verticale. Voleva tornare abbronzato, in due settimane
era sicuro che avrebbe acquistato un bel colorito, ma era bene proteggersi se
non si voleva arrostire a puntino.
Con la testa all’ombra e il resto del corpo al sole, alzò lo schienale della
sdraio al livello giusto e, con il cruciverba in mano, dette il via al suo
primo giorno di vacanza tropicale.
Cacchio, ci voleva. Appena tornava a casa, subito iniziava il tour promozionale
del loro nuovo album, quindi era bene assorbire più relax possibile, prima di
buttarsi ad occhi chiusi nell’inferno… beh, detta in quel modo sembrava una
cosa che odiava fare e non era vero. Ma i tour promozionali, tra concerti,
interviste e fotografie, erano veramente, infernalmente, stressanti.
“Vediamo un po’….”, disse. Non ce la faceva a non parlottare tra sé mentre
faceva il cruciverba. Gli venivano meglio le soluzioni se le leggeva a voce
alta, parlando al plurale.
“Capitale dello Zaire… che palle, subito difficile. Due verticale, questa è
corta, la sappiamo…”
Scorse velocemente le definizioni.
“Contrario di no. Sì, ovviamente.”, e lo scrisse, dopo aver stappato la sua
penna, tenendo il tappino con i denti.
“Tre verticale, più lunga, vediamo se la sappiamo… Scrittore maledetto… eh! Chi
sarà, Baudelaire?”
Il problema era scriverlo nella maniera corretta.
“Vabbè, passiamo al prossimo. Sei orizzontale… Mezzo di soccorso. Ambulanza.”,
fece, scandendo ogni lettera che stava scrivendo.
“Scrittore italiano e grande aviatore… e che ne so! Che palle questo
cruciverba, è troppo difficile.”, disse, riponendolo dentro allo zaino.
Mettendosi le mani dietro alla testa, iniziò a squadrare le persone intorno a
lui. Erano le dieci di mattina e la spiaggia sembrava totalmente invasa da
bambini vocianti e strillanti, che non facevano altro che piangere e lamentarsi
con i suoi genitori.
Meno male che aveva specificato di voler andare in un posto giovane, pieno di
ragazzi e ragazze. Beh, le ragazze erano state specificate anche da
quell’altro, quello che era venuto insieme a lui e che per il momento stava
ancora dormendo, stroncato dal jet lag. Gli altri due avevano preferito altre
mete: c’era chi se n’era andato in gita educativa a Mosca, a prendersi i
cinquanta gradi sotto lo zero che c’erano sempre a marzo. C’era chi se n’era
andato con i familiari in montagna. Loro due, uniti insieme nella lotta contro
la ‘vacanza pallosa’, avevano deciso che le Seychelless potevano essere una
meta accettabile per entrambi.
Avevano spulciato tutti i villaggi turistici, scegliendo quello in cui avevano
trovato più divertimenti. Due discoteche, sei bar a tema, tre piscine, di cui
una con idromassaggio… poteva andare più che bene!
Eppure davanti al suo naso, solo bambini.
Ecco, l’avevano preso in quel posto, oppure i giovani erano da un’altra parte?
Inoltre, la maggior parte di coloro che aveva incontrato erano francesi, ce
n’erano pochi di tedeschi come lui.
Fece quasi per chiudere gli occhi, poi un paio di pantaloncini blu con grossi
fiori bianchi attirarono la sua attenzione. Si tolse gli occhiali da sole e
cercò di mettere a fuoco ma, cazzo, non aveva quelli da vista. Frugò
velocemente nel suo zaino e li trovò.
La ragazza camminava sul bagnasciuga e si intratteneva ogni tanto con qualche bambino,
passandogli la palla oppure scambiando qualche scherzo con lui. Ah! Meno male,
si disse, c’era una presenza femminile senza figli a carico in quel villaggio
turistico!
Poi i suoi occhi misero ancora meglio a fuoco, abituandosi al filtro della lente
degli occhiali da vista. Non sapeva spiegarselo, quella ragazza gli era
familiare. Ma non conosceva nessuna che aveva lunghi capelli neri, che
sembravano raccolti in numerose treccine… Forse gli ricordava qualcuno.
Beh, se l’avesse vista di nuovo in giro sicuramente le avrebbe chiesto se si
erano conosciuti da qualche parte. Tornò a sdraiarsi, togliendosi gli occhiali
da vista e mettendosi beatamente a prendere il sole.
Si alzò di scatto a sedere.
Cercò di nuovo quella ragazza sul bagnasciuga.
Non poteva essere.
No, non poteva essere lei.
Si alzò, lasciando la sua roba vicino alla sdraio e si incamminò verso il
bagnasciuga.
“Cazzo! Scotta!”, esclamò, sentendo la sabbia rovente sotto i piedi.
Tornò indietro e si infilò i sandali, non voleva ustionarsi le piante dei piedi.
Sul bagnasciuga, fu quasi costretto a tornare indietro a rimettersi gli
occhiali da vista, ma fortunatamente notò quel paio di pantaloncini avvicinarsi
al bar, una baracchina circolare fatta di legno e fronde di palma sul tetto.
Aveva notato subito, appena ci era passato davanti, il barista: che ci faceva
un giapponese, o cinese che fosse, a fare i cocktail?
La ragazza si sedette e sembrò ordinare qualcosa. Poi mise le braccia sul
bancone e vi appoggiò la testa.
No, non era lei.
Sì, era lei.
No, non era lei.
Sì, era lei.
Ma come faceva a saperlo, vedendola solo da dietro?
Stupido, bastava andare ad ordinare qualcosa.
Idiota, non aveva preso i soldi.
Scemo, aveva comprato una formula all inclusive, non doveva pagare niente.
Cretino, aveva lasciato il braccialetto che lo identificava come un cliente in
all inclusive nello zaino.
Deficiente, doveva semplicemente togliersi un dubbio, bastava avvicinarsi e
chiamarla. Se si voltava, era lei. Se non si voltava, non era lei. Semplice.
Un passo dietro l’altro, andò verso il bar.
“Ehm… Mac?”, disse, quando fu alle sue spalle.
“Grazie Nagomi, sei
un mito.”, gli disse, dopo aver bevuto un po’ del suo cocktail, “Cosa ci hai
messo questa volta?”
“E’ un esperimento. Ti piace o no?”, le chiese lui, sedendosi sul ripiano in
acciaio del suo bancone, dove preparava ogni tipo di bevanda per i turisti. Era
stato assunto nel villaggio turistico durante l’estate precedente, quindi
quando Mac era arrivata, ad inizio gennaio, già lui vi lavorava da un pezzo.
Era il tipico stereotipo di ragazzo giapponese, non tradiva quell’immagine:
appassionato di manga, sempre ottimista e sorridente. Per Mac era uno spasso
stare insieme a lui, che ne combinava sempre di cotte e di crude. Una volta era
rimasto incastrato dentro ad uno dei frigoriferi che erano installati sotto al
bancone, avevano dovuto far venire un fabbro per farlo uscire.
Era davvero un bravo ragazzo, di quelli che si facevano in quattro per gli
amici, ed era questo che Mac apprezzava molto di lui. Al di là di quel suo
sorriso stampato in faccia, c’era però una persona del tutto diversa, timida ed
insicura, che contava molto sull’appoggio degli altri. Insomma, per Mac era una
persona vera, non come molti degli altri che lavoravano nel villaggio ed erano
semplicemente dei deficienti con le gambe. Ragazzi e ragazze, era da intendersi.
“Un po’ troppo dolce, forse stucchevole quando arriverò a metà. Dovresti
metterci meno zucchero di canna.”, lo consigliò lei.
“Dici?”, fece lui, aggrottando la fronte.
“Mh… sì, direi di sì. Come lo chiamerai?”
“Maccoktail! Tutto attaccato, un’unica parola!”, fece lui, sorridendo a
cinquanta denti.
“Che bello! Adesso ho un coktail che porta il mio nome! Wow, già credete tutti
che sia la spugna ubriacona del gruppo…”
“Grazie, grazie.”, fece lui, dandole una pacca di comprensione sulle spalle,
“Com’è andata l’immersione?”
“Abbastanza bene… vedessi che fondali, Nagomi, un giorno ti porterò con me!”
“Mi piacerebbe molto!”
“Spero solo che quell’idiota di Hergiw abbia davvero imparato ad usare tutti
quei programmi per analizzare le riprese… altrimenti mi tocca sorbirmelo per
tutto il giorno e ho voglia di andare un po’ al villaggio a rilassarmi tra i
marmocchi.”
“Solo tu puoi sopportarli. Io appena ne vedo uno di quei bambini scappo.”
“Ho sopportato cose molto peggiori nella mia vita.”, disse Mac, lasciando che
l’effetto della frase si disperdesse.
“Momento, ho un cliente in arrivo.”, disse lui, scendendo dal bancone per
riprendere la sua professionalità.
“Ah, ok.”, disse Mac, sorseggiando ancora la sua bevanda.
“Che tipo strano… ti sta fissando.”, le disse, osservandolo.
“Se è qualcuno di quegli olandesi dalle mani lunghe, ti prego, tira fuori il
tuo spadone da samurai e tagliagli via la testa, magari diventi come
Highlander..”, fece lei.
Effettivamente, sentiva passi attutiti dalla sabbia alle sue spalle.
“Ehm… Mac?”, disse lo sconosciuto, dietro di lei.
Dato che Nagomi sembrava non essere intenzionato a commettere nessuno omicidio
per conto suo, con riluttanza, Mac scese dal suo sgabello e si voltò.
“Oh mio Dio… Gustav!”, esclamò, portandosi le mani alla bocca.
“Allora sei proprio tu!”, disse lui.
Non poteva crederci, era Gustav. Cavolo, da quanto tempo non lo vedeva se non
in televisione? Un anno? Sì, più o meno era un anno. Cavolo, lo trovava
veramente bene, anche se era sempre il solito. Era uno di quei tipi che non
cambiava mai.
“Cavolo! Ti ho vista camminare sul bagnasciuga e mi sono detto: ma è lei o non
è lei? Non ti avevo riconosciuto con i capelli neri…”, le disse. La trovava
veramente bene, abbronzata, atletica come era sempre stata, forse anche più
carina di come se la ricordava. Pareva quasi un’altra persona, era incredibile.
“Beh… sorpresa!”, disse Mac.
Non era molto contenta di vederlo lì, doveva ammetterlo. Ma non perchè era Gustav.
Soprattutto perchè aveva paura che potesse portarsi dietro un carico pericoloso…
“Nagomi, prepara qualcosa anche al mio vecchio compatriota e mettilo sul mio
conto!”, disse al barista nella loro lingua comune, il francese, e poi
tradusse, “Ti offro da bere, siediti e chiacchieriamo un po’. Se sei qua, vuol
dire che hai tempo da perdere no?”
“Beh sì, siamo arrivati proprio ieri.”, disse lui, pentendosi subito di aver
utilizzato il verbo al plurale. Mac però non parve scomporsi.
“Sei qua con la tua fidanzata? Non è che si ingelosisce vedendoti qui con me?”,
disse lei, ridendo. Ecco, pensò Mac… iniziò a pregare il cielo che rispondesse
di essere qui con una qualsiasi femmina in grado di respirare senza macchinari
medici e di camminare senza l’ausilio di stampelle.
“Oh no… è un tipo tranquillo lei…”, disse lui.
“Mi piacerebbe conoscerla!”, fece Mac, sentendo rinnovare la sua speranza di
vita a ottant’anni.
“Beh… se ci troviamo in giro te la presento. Ma piuttosto, cosa ci fai qui? Sei
in vacanza anche tu?”, le chiese, cercando di cambiare tema del discorso. Non
era assolutamente il caso di raccontarle la verità.
“Magari fossi in vacanza! Sono qui per lavoro.”, disse lei.
Il barista offrì un cocktail bianco a Gustav, che lo guardò chiedendosi cosa ci
poteva essere dentro. Mac guardò il suo amico barista ed iniziò a parlottare
con lui, in francese. Lui, che lo aveva studiato ma oramai se ne era
completamente dimenticato, non comprese un’acca, ma di sicuro lei lo stava
rimproverando.
“Nagomi… che cosa hai fatto…”, fece al ragazzo.
“Doppio cocco, un quarto di lime.”, disse lui, orgoglioso.
“Ma che schifo…”, esclamò Mac, facendo una smorfia di disgusto.
“Dai, scherzavo, digli di assaggiarlo, vedrai che cambierà idea.”
“Nagomi… ti strozzo…”, gli disse Mac, cercando di prenderlo mentre lui si
rintanava sotto il bancone, poi gli fece: “Non ti preoccupare, Gustav, non è
velenoso.”
Lui, anche se era abbastanza riluttante, ne prese un sorso e, a vedere dalla
sua faccia, sembrava abbastanza buono. Aveva un sapore un po’ troppo dolce, ma
era delizioso. Sicuramente dentro c’era tanto latte di cocco, pensò, ma non
seppe dire quali erano gli altri ingredienti.
“E che lavoro fai? Sei impiegata qui al villaggio?”, le domandò Gustav.
Incrociando mentalmente le dita, sperò che lei non le dicesse di sì.
Molto probabilmente, si disse, se ne era venuta in un posto del genere per
fuggire, per lasciarsi tante cose alle spalle…
“No, proprio no…. Mi sono trovata qua quasi per caso. Una serie di fortunati
eventi, li chiamerei. E dire che io ho sempre odiato il sole ed il mare.”
“Sì?”, fece Gustav. Cavolo, pericolo scampato, lei non lavorava lì… Ma allora
cosa ci faceva all’interno della proprietà del villaggio turistico?
“Sì, proprio così. Non avrai mica pensato che mi sono trasferita qua perchè la
vita tedesca mi stava stretta?”, disse Mac, guardandolo scherzosamente di
sbieco.
“No, assolutamente no…”, fece Gustav, negando completamente la verità.
“Oh bene… facendoti una breve sintesi… Avevo iniziato a prendere, quasi senza
interesse, lezioni di sub. Poi dopo aver fatto l’esame per il brevetto, ho
trovato per caso su internet un bando di concorso dove un’azienda di ricerche
sulla biologia marina cercava un subacqueo, esperto in attrezzature
fotografiche e videocamere…. Ed eccomi qui, sono stata affiancata ad un
ricercatore. Andiamo ad esplorare la barriera corallina alla ricerca dei segni
dell’impatto ambientale di queste strutture turistiche. Sono qua da tre mesi e
ci rimarrò per altri tre.”
“Wow… che lavoro interessante! E poi in un posto del genere! Quanto ti
invidio!”, esclamò Gustav.
“Già… Non cambierei questo lavoro per niente al mondo! E’ incredibile, ogni
giorno ci immergiamo, vediamo dei paesaggi nascosti incredibili…”, disse lei,
smascherando la sua falsa tristezza e facendolo ridere, “Ma basta parlare di
me. Piuttosto, tu sei qua in vacanza, vero?”
“Sì, e ci starò per le prossime due settimane. Poi torno al lavoro. Tour
promozionale per il nuovo album, sarà uno stress…”, disse lui, stiracchiandosi.
Era contento di trovarla a sua volta contenta, ed era ancora più contento di
sapere che lei non c’entrava niente con quel villaggio. Non lo pensava di certo
perchè non voleva più vederla, non era lui il problema… Anche se ancora doveva
risolvere il seguente quesito: cosa di faceva dentro a quel villaggio, che era
chiuso a tutti i visitatori?
“Ah sì? Avete pronto un nuovo album?”, chiese lei.
“Yes!”, disse lui, in uno slancio di internazionalismo.
“Bene, allora appena esce lo scaricherò illegalmente sul mio pc.”, disse Mac.
“Ah, grazie per il supporto!”
“Dai, stavo scherzando! E come vanno le cose per il resto?”, gli chiese lei,
mentre giocherellava con il suo bicchiere.
“Tutto ok… sì, nell’emisfero boreale va a tutti bene.”
“Come stanno Georg e Jasmine?”
“Beh… Tutti stanno bene a parte loro… credo stiano per separarsi.”, le confidò
lui.
“Cavolo, mi dispiace… e le bambine?”, fece lei.
“Beh, di certo non la prenderanno bene, ma sono ancora molto piccole per
capire. Non ti saprei dire perchè non stiano più andando d’accordo.”, disse
lui, dispiaciuto per le sorti di uno dei suoi migliori amici.
“E Bill?”
“In questo preciso momento è sotterrato dalla neve russa.”
Mac scoppiò a ridere, per poco non le andò di traverso quello che stava
bevendo. Non ci poteva credere che Bill se ne fosse andato al freddo, si
sarebbe aspettata di trovarlo in un posto al caldo, come quello dove erano loro
due in quel momento.
“Davvero? E che ci fa in Russia?”
“Mah, non lo so. Si è chiuso dentro ad uno stabilimento termale… ma non vi
sentite più?”
“Beh… no. Da diverso tempo oramai. Ho dovuto rompere i contatti.”, disse lei,
deviando lo sguardo verso il bancone di legno.
“E Thiago?”, le chiese lui, stupito.
“Lo hai preso per un pelo, se n’è andato la settimana passata, era venuto a
trovarmi. Se la passa bene.”
“Quello che so di lui è ciò che mi racconta Bill. Sai, dopo quello che è
successo…”
“Sì, ok, andiamo oltre.”, disse Mac.
“Sì, hai ragione, scusami.”
“No, tranquillo, colpa mia.”, fece lei, sorridendogli. Un rumorino simile ad un
tintinnio attirò l’attenzione di entrambi.
“E’ il mio telefono, scusami.”, disse Mac, scendendo dal suo sgabello ed
allontanandosi di qualche passo. Gustav sentì distintamente la sua
imprecazione, sicuramente non era una chiamata ben voluta. Finì di bere il suo
drink, chiedendosi cosa ci poteva aver messo dentro quello strano ragazzo
giapponese, e si rammentò di doverle chiederle cosa ci faceva dentro al
villaggio.
“Nagomi.”, disse il giapponese, sorridendogli.
“Ehm… come scusa?”, fece Gustav, non comprendendo cosa gli volesse dire.
“Nagomi.”, fece lui, indicandosi.
“Ah Gustav, piacere.”, gli disse, porgendogli la mano. Che tipo strano, sempre
con quel sorriso spiaccicato sulla faccia…
“Mi dispiace lasciarti in asso Gustav, ma devo proprio andarmene. Il mio
collega si è impantanato con le riprese, devo soccorrerlo prima che cancelli
tutto il lavoro di oggi.”, disse Mac, dispiaciuta.
“Oh no, figurati.”
“Tanto io sono sempre qui nei paraggi, ogni tanto faccio animazione, è
probabile che mi vedrai con un migliaio di marmocchi attaccati al collo. E poi
vivo in un appartamento dentro al villaggio, l’azienda ci ha trovato una bella
sistemazione!”
“Ah… mi fa piacere saperlo.”, disse l’altro.
“Ok, devo proprio andare! Ci vediamo in giro!”, disse lei. Si tolse le
infradito e, correndo, tornò nella direzione in cui era venuta, verso il
porticciolo.
Ci mancava altro che facesse animazione al villaggio, pensò Gustav. E per
giunta ci abitava…
Come faceva ad evitare di farli incontrare?
“Vuoi qualcos’altro?”, gli domandò Nagomi.
“Ehm… non parlo francese.”, gli disse Gustav, facendo spallucce.
Il ragazzo, capendo che era impossibile comunicare, gli indicò il suo bicchiere.
“Oh no, grazie lo stesso.”, gli disse, sorridendo.
Cazzo.
Cazzo cazzo.
Cazzo cazzo cazzo.
Merda!, esclamò dentro di sé.
Non li poteva far incontrare.
Si immaginava quale sarebbe stata la reazione di Mac e non voleva farle avere
problemi.
Poteva anche immaginarsi quale sarebbe stata quella di Tom. Lui aveva giurato
su tutte le cose che aveva al mondo che aveva dimenticato tutto… E lui poteva
fare altrettanto, giurando però il contrario.
E dire che pensava che sarebbe stata una vacanza rilassante!
Entrò
nell’appartamento che era stato assegnato loro… dire che era extra lux era
un’offesa, un eufemismo: piscina privata con idromassaggio; due mega camere
dotate di ogni comfort, tra cui bagno privato con vasca di nuovo idromassaggio,
televisori di ultima generazione ed impianto stereo; ampio soggiorno, un altro
bagno… A parte il fatto che l’arredamento in legno dipinto stonava
completamente con la tecnologia che vi era stata installata, potevano dire che
non mancava niente. La casetta era circondata da un giardino, delimitato da una
siepe alta più di due metri, che li nascondeva dalla vista degli appartamenti
vicini.
Perlustrando il villaggio, Gustav aveva capito che era stato praticamente
diviso in due parti: da un lato, gli appartamentini per le famigliole felici,
con annesse tutte le comodità per far divertire i figli, nonché i genitori.
Dall’altro lato, per spiegarsi in poche parole, c’erano tutti quelli come lui,
cioè sotto i trentacinque anni e senza bambini a cui pensare. L’edificio che
metteva in comune le due parti era il grande ristorante, dove venivano serviti
pasti a buffet per tutti.
Lui, dato che il loro appartamento era situato nella zona delle famiglie, si
era imbucato nella spiaggia delle famigliole felici mentre, se avesse fatto
solo venti metri in più, avrebbe trovato quella dei ragazzi folli. Di ogni
nazione, dall’Europa all’Australia, c’era gente di tutti i tipi. Meno male,
pensò, se lei stava con i bambini, di sicuro non si sarebbero incontrati di
nuovo… ma c’erano tantissime altre variabili a cui pensare e non le poteva
valutare tutte in quell’istante, quindi entrò nell’appartamento imponendosi di
non pensarci.
Trovò tutto in silenzio: o Tom stava ancora dormendo, oppure era andato a fare
un giro. Provò a bussare alla porta della sua camera, quella a sinistra
rispetto all’entrata.
“Tom… Tom ci sei?”, fece, mentre apriva la porta.
“Non entrare!”, sbraitò l’altro.
“E che cazzo! Che è successo!”, protestò Gustav, richiudendola.
“Non entrare o lo farai venire da me!”, ripetè l’altro.
“Venire da te? E cosa?”, fece Gustav. Chissà cosa stava combinando, si disse,
mentre entrava.
Tom se ne stava appollaiato sul cassettone, con il suo cuscino piegato sulla
testa, retto da entrambe le mani.
“Ma che ci fai lì sopra? Fai l’allocco?”, gli disse, iniziando a sbellicarsi
dalle risate.
“Fermati! Non ridere o si stacca dal muro!”, continuò a gridare l’altro, mentre
si copriva la testa con il cuscino.
“Che ci sarà mai sul… e che cazzo!”, esclamò Gustav, alzando gli occhi e
vedendo una lucertola lunga almeno un metro appiccicata al soffitto. Ci mancò
poco che non cadesse per terra per lo spavento.
“Vado a chiamare qualcuno per farla togliere…”, disse lui, poco intimorito da
quell’animale tropicale.
“No! Deficiente! Non vorrai mica lasciarmi qua da solo!”, sbraitò di nuovo
l’altro, rinchiudendosi nel suo cuscino.
“Non avrai mica paura di un mega lucertolone africano?”
“Vorrei vedere te a svegliarti con quel coso del mesozoico che ti guarda dritto
negli occhi!”
“Magari se lo baci diventerà una bella principessa!”, disse Gustav, uscendo
dalla porta.
“Magari se lo baci diventerà una bella principessa…”, ripetè Tom, storpiando
tutte le parole e facendo delle boccacce.
“Comunque non è che ti sta puntando per mangiarti…”
“Mi fa schifo… è viscido… ripugnante…”
“Allora è la tua anima gemella.”, disse Gustav, “Andiamo in spiaggia.”
“Non ho fame… e poi io non ci passo sotto a godzilla!”
“Tom…”, disse Gustav sconsolato, “Che cosa siamo venuti a fare in questa cazzo
di isola?”
“Divertirci e scopare.”, disse lui.
“Ecco, assolviamo al primo compito, poi pensiamo al resto.”
“Ma se passo sotto al tirannosauro rex e mi casca in testa?”
“Speriamo te la sfondi, così stramazzi e non ti devo più sopportare!”, sbottò
Gustav.
“Ma Gusti… è il nostro primo giorno di vacanza, se ti impregni d’acido ancora
prima di tornare a casa… ”
Se avesse potuto spiegargli perchè, in quel momento, gli giravano altamente le
scatole, lo avrebbe fatto. Avrebbe subito svuotato il sacco, ma non poteva.
“Mettiti il costume, bado io a Fido.”, gli disse Gustav, mentre prendeva
l’ombrello, che pareva inutilizzato da anni, appoggiato accanto alla porta, e
lo apriva, per riparare Tom dall’eventuale caduta del biscione a quattro zampe
appeso al muro.
Sdraiato, sopra
l’asciugamano, ad ogni sua più piccola mossa la sabbia si muoveva. Era così
fine e così morbida, sembrava di stare sopra ad un materasso. Rilassandosi
completamente, supino, sotto l’effetto benefico del sole, affondava le mani
dentro la sabbia, creando dei mulinelli, dei monticini instabili, che
ricadevano subito sulle sue mani. Una sorta di automassaggio, che lo liberava
totalmente dallo stress e dalla fatica accumulata in tutto quel tempo.
“Tom! Vieni a fare il bagno!”, gli gridò Gustav, già per metà sommerso.
“No! Vai da solo.”, gli disse lui, alzando solamente per un poco la testa nella
sua direzione.
“Dai!”
“Farai la figura del gay se facciamo il bagno insieme!”
“Riposati Tom!”, disse Gustav, prima di tuffarsi nell’acqua calda colore del
cristallo.
Ecco, parcheggiato il bambino in acqua, poteva non pensare più a niente.
Appoggiandosi sui gomiti, si mise ad osservare la fauna turistica. Intorno a
lui sentiva parlare moltissime lingue che non conosceva, solo qua e là una
parola in tedesco. Tanti gruppi misti in vacanza, c’era ogni tipo di gente: dai
tatuaggi viventi ai rastoni come lui, dai tipi normali a quelli già ubriachi di
prima mattina. E soprattutto, tantissimi ragazze, pieno di ragazze, il
serbatotio delle ragazze segnava più che full. Tante di queste avevano il
mastino accanto, cioè il fidanzato… ma le altre? Wow, era proprio il paradiso
lì.
Se avesse subito meno l’influsso negativo del jet lag, avrebbe subito iniziato
ad individuare il target. Per il momento, nessuno li aveva riconosciuti, ma
gliene importava meno di nulla, e se poi lo avessero riconosciuto sarebbe stato
anche meglio, più ragazze in vista.
Ragazze che venivano, ragazze che andavano, sotto ai suoi occhi. Due soli
comandamenti si erano imposti, lui e Gustav: divertirsi e scopare, prima di
buttarsi a capofitto nel lavoro. Beh, quei due principi fondamentali erano in
vigore anche prima ma, insomma, era meglio farlo in vacanza, tutto avrebbe
avuto un sapore diverso.
Bill se n’era andato in Russia… ma che cazzo ci avrebbe fatto lassù da solo?
Gli aveva detto che andava a ritemprarsi la mente. Sotto tre metri di neve,
aveva aggiunto lui. Meno male che poi gli aveva fatto vedere l’albergo in cui
se ne andava a stare per due settimane: a parte le palme, la sabbia, il caldo
tropicale e il mare, non aveva niente da togliere al posto dove andava lui. Si
sarebbe fatto massaggiare finchè non sarebbe diventato l’uomo di gomma, gli
aveva detto.
Georg si era preso una pausa dalla famiglia. O meglio, da sua moglie. Erano in
crisi, brutta cosa, e avevano deciso di allontanarsi per un po’ l’uno
dall’altra per valutare meglio la situazione. Jasmine si era presa le bambine e
se n’era tornata nel sud, dalla sua famiglia. Georg era rimasto a casa, avrebbe
fatto l’uomo sposato in crisi.
Lui e Gustav, invece, si volevano far distruggere dal divertimento. Mentre il
sole veniva respinto dalla crema solare che si era spalmato qua e là, fece un
rapido riconteggio dei giorni che gli rimanevano: ancora quindici, compreso
quello. Cosa si poteva fare in quindici giorni? Tutto!
Un pallone si fermò sul suo piede destro, arrivato da un gruppo di ragazzi che
si stavano divertendo a qualche metro da lui. Lo prese ed attese che la
biondina in costume giallo che si stava avvicinando a lui lo riprendesse.
“Thank you.”, gli disse, mentre lo prendeva dalle sue mani.
“You’re welcome.”, le rispose, sorridendole.
Ci fu una frazione di secondo, un preciso attimo, in cui il sole, quasi
perpendicolare sulla sua testa lo abbagliò. Si riparò subito con la mano e, in
un’occhiata fugace che lanciò alla ragazza mentre le rispondeva, ebbe come un
flash.
Era estate, al mare. Erano andati tutti in Portogallo. Tutti voleva dire lui,
Bill, Gustav… e Mac. Stessa identica scena, loro che giocavano a pallone, lui
che se ne stava sull’asciugamano a dormire, poi il pallone che gli toccava il
piede. Mac che veniva a prenderselo.
Già, Mac.
Non sapeva più niente di lei da tanto tempo, poteva valutarlo in circa nove
mesi. L’unico mezzo che aveva avuto per conoscere cosa faceva e dove si
trovasse erano il cellulare di Bill, il suo computer portatile e l’origliare le
loro conversazioni che avevano al telefono. Curiosava tra i suoi sms quando lui
dimenticava il telefono in giro e, nei momenti in cui non era in casa,
accendeva il suo pc per leggere le mail che si mandavano. In una aveva letto
l’esatto indirizzo in cui lei abitava al momento, perchè aveva invitato suo
fratello a passare un fine settimana a casa sua. A lui Bill aveva detto che si
prendeva un fine settimana di relax alle terme, non che se ne andava da lei,
ovviamente.
Così era salito in macchina, aveva fatto il giro della città e aveva suonato al
suo campanello, sperando di trovarla in casa. Dopo qualche minuto la sua voce,
all’interno, gli chiedeva di aspettare solo un attimo.
Poi aveva aperto la porta.
Si erano guardati intensamente per cinque secondi, prima che gli venisse
sbattuta in faccia. Gli intimò di andarsene. Nessuna parola valse a farle
cambiare idea. Avrebbe anche potuto rimanere davanti alla sua porta per tutta
la notte, lo aveva già fatto… ma nemmeno quella volta gli era servito per
riappacificarsi con lei, perchè dopo non si erano più visti per un anno. Così
rimontò in macchina e se ne tornò a casa.
Al suo ritorno trovò Bill incazzato: Mac gli aveva telefonato e gli aveva detto
che lui si era presentato a casa sua. E per colpa di quella sua comparsata lei
non voleva più avere nessun contatto, con nessuno dei due. Nemmeno con lui.
Così come lui aveva tenuto il muso a Bill per due settimane, perchè lo aveva
tolto via dalla macchina di Mac, permettendole di partire e non tornare più,
anche Bill non gli parlò per diverso tempo, dato che per colpa sua una tra i
suoi migliori amici lo aveva trattato come un cane, accusandolo di parlargli di
lei contro la sua volontà, quando invece era stato lui a violare la sua privacy.
Si era pentito di quello che aveva fatto nello stesso momento in cui Mac si era
affacciata nel bagno del locale, quella sera, per riprendere la sua matita per
gli occhi. Anzi, si era già pentito appena si era rivestito. Ma oramai non
poteva più cancellare quello che aveva fatto.
Si sarebbero lasciati comunque, si diceva... Ma magari ci sarebbe stata la
possibilità di vedersi, di stare un po’ lontani… e magari tornare insieme. In
quel modo, per colpa sua, le possibilità di veder accadere un fatto del genere
equivalevano a quelle di trovare una forma di vita sul sole. Zero.
Oltre suo tradimento, poteva individuare altre due cause che avevano portato
alla fine della loro storia, e che ce l’avrebbero comunque portata anche se, in
quel locale, non fosse successo niente. Ed entrambe erano ricollegabili a lui:
era diventato geloso di suo fratello e, per questo, si era chiuso a riccio,
impedendo ogni forma di comunicazione con Mac che, sicuramente, voleva provare
a risolvere i loro problemi. L’unico colpevole era lui, Tom Kaulitz, e si
meritava l’aver sofferto come un cane.
Si era trovato a dare ragione a Bill, anche contro la sua volontà. Lui gli
aveva detto due grandi verità: Tom Kaulitz non era capace di prendersi le sue
responsabilità e, per questo, Mac non si meritava uno come lui. Aveva saputo da
Bill che quella stessa sera, dopo gli Emas, Mac gli aveva confessato di volerlo
lasciare perchè si era rifiutato di voler parlare dei loro problemi, quando
contemporaneamente era anche lui a pensarlo,.
Quindi era stato lui, non affrontando le sue responsabilità, ad aver decretato
la fine della loro storia. Un’altra volta si riconfermava l’unico colpevole.
Se un giorno mai l’avesse incontrata di nuovo, l’unica cosa che poteva dirle
ancora era chiedere di essere perdonato. Niente di più
E sicuramente lei glielo avrebbe negato.
Perchè Bill glielo aveva detto.
Il suo era l’unico perdono che avrebbe avuto.
Afferrò lo zaino e prese il suo portafoglio. Ripiegata e nascosta, teneva
ancora una fotografia che si erano fatti durante una festa. Un primo piano di
entrambi, abbracciati, guancia contro guancia. Mac che mostrava la sua
linguaccia, come le piaceva fare sempre quando la fotografavano.
Non pensava più a lei tanto spesso, aveva smesso di amarla. Ma non riusciva a
gettare via quella fotografia, era l’unica che era rimasta di lei. Le altre le
aveva bruciate tutte.
TITOLO: mi sono
ispirata alla canzone dei The Corrs ‘Forgiven not Forgotten’. No scopo di lucro
Ehhh... lo sapevo,
quasi tutte vi siete scagliate contro Tom... ma povero! Andiamo... sì, ok, l'ho
fatto passare per uno che lancia il sasso e poi ritrae la mano... no, ho
sbagliato allegoria, l'ho fatto passare per quello che commette il danno e che
poi si pente, voliamo basso con i paragoni! Dio come siete tutte moraliste!!!
XDD non avete mai tradito, o voi santarelline??? XDDD dai dai, scherzo, vi
capisco perfettamente! Tutte le donne a favore delle donne, girl power!
Ma poverello... io
lo capisco un pochino Tom. Sapete, secondo me lui è un agnello vestito da lupo.
Uno che si gonfia un po', che vuol farsi credere qualcuno che non è
poi veramente. Boh, ho questa cavolo di impressione e non sono l'unica (vero
Marti? XD). Secondo me è un ragazzo che si fa passare per spaccone ma che alla
fine, nel suo vero essere, è del tutto diverso. Di solito, uno che ostenta
sicurezza e self control, per esperienza personale, è il più insicuro e fragile
del mondo. Ho cercato quindi di sfruttare questa mia impressione, forse del
tutto sbagliata, ma forse no, per il Tom di questa storia: uno che è sicuro di
sè, sa cosa vuole... ma che alla fine è fragile, commette errori e se ne pente.
Quindi non
martirizzatelo, poveretto... Si è comportato male, lo so... ha fatto una grossa
cazzata, lo so... Ha perso la persona più importante della sua vita, lo so...
(mi sembra di essere la suora della pubblicità della rocchetta...)
Anche Mac ha le sue
colpe! E perchè non ve la prendete anche con lei, che è tonta come una campana
stonata? Non è mica tutta colpa di Tom!
Non siete molto
obiettive ragazze XDDDDD scherzo, ovviamente, come potrei scagliarmi contro le
mie lettrici? Vi prendo solo un po' per il naso, come ho sempre fatto! Ora
passo ai ringraziamenti, ma stavolta li faccio anonimi e generali...
Ringrazio tutte quelle che
hanno frignato oppure che hanno sentito gli occhi diventare lucidi...
piangevate per la situazione, o perchè il capitolo faceva schifo??? XDD lo so,
lo so perchè piangevate.
Ringrazio chi mi dice che le
sto sempre più simpatica perchè nomino i suoi gruppi preferiti nelle storie! XD
Ringrazio quella di voi che,
intentando omicidi contro la biondina francese, avrà intenzione di riporre le
armi...fai la brava!
Ringrazio quelle di voi che
hanno tifato per Mac spaccona, nel senso che rompeva le cose di Tom!
Ringrazio quella che mi ha
fatto notare un piccolo errore, una papera da film, dicendomi che la porta di
Mac prima era chiusa a chiave e che poi, magicamente, si apre... va beh,
piccolo particolare futile, correggerò quando ne avrò voglia XD
Ringrazio quella che voleva
prendere a calci il gatto dalla rabbia ma che non lo ha fatto.... ti denuncio
al vuvueffe!
Ringrazio quella che ha recensito
due volte questa storia, per msn e anche qua!!!! Ti voglio bene!!!!
Ringrazio quella a cui il suo
ex è andato sotto casa a cantare One Vision dei Queen, perchè lo ha lasciato,
magari dicendogli: 'Deficiente, di tutte le canzoni d'amore dei Queen proprio
quella?'
Ringrazio poi tutte quelle
che mi hanno riempito di complimenti per questo capitolo e per gli altri...
cioè tutte voi! Un bacio, RubyChubb
Vi lascio una chicca:
http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Tokio_Hotel
1. Per coloro che si offenderanno: avete poco senso
dell'umorismo...
2. Per quelle che si romperanno la bocca dalle risate... dio, chi
ha scritto quella pagina è un genio del male!
3. Per quelle che si incazzeranno :.... e dai!
4. Per chi penserà 'I TH non si toccano': siete delle Bimbominkia
(andare a vedere cosa signica, digitare sul sito quella parola... sappiatelo,
anche io sono una bimbominkia....)
5. Concludo dicendo: ora mi odierete, lo so!
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Capitolo 11 *** Soak up the sun ***
Rileggendo questo capitolo, ho capito che non
succede tanto... Ma è stata una scelta mia, tirare il più possibile gli eventi
per creare una situazione un po', come dire.... ah! Non riesco ad esprimermi!
Comunque il concetto è questo, farvi venir due palle così! Ma così
OO...
capito nè?
11. SOAK UP THE SUN
Distesa sul letto, si guardò intorno: davanti ai suoi
occhi, appeso alla parete, l’ingrandimento di una foto che aveva fatto con
Thiago, sott’acqua. Di nascosto da Herwig, aveva preso la sua tuta da
sommozzatore e l’aveva data a Thiago. Aveva poi preso una piccola barca a remi e
se ne erano andati al largo, si erano buttati in acqua e, utilizzando una
macchina fotografica subacquea, avevano iniziato a farsi le fotografie. Quella
li vedeva insieme, abbracciati, se l’erano fatta afferrando la pesante macchina
e puntandosela contro. Avevano delle facce assurde, si vedevano le bolle d’acqua
uscire dalla bocca e dal naso, ma era troppo spassosa.
Non c’era
altro nella sua stanza, se non quella decorazione ed un piccolo vaso di vetro
sul suo comodino, che le appartenesse. Tutto era fornito dal villaggio turistico
in cui abitava, oppure dall’azienda per cui lavorava. Le era parso strano,
quando era stata assunta, sapere che avrebbe abitato all’interno di una
struttura turistica come quella, ma le era stato detto che c’era una sorta di
scambi di favore tra quell’azienda e quella struttura… scambi di favore, poteva
immaginarsi di cosa si trattava. La ricerca trattava dell’impatto ambientale del
turismo sulla flora e la fauna marina… la struttura ospitava gratis le ricerche,
se il risultato di queste non la incolpasse di essere ‘ecologicamente non
sostenibile’.
A Mac importavano poco questi giochetti di potere:
bastava che la pagassero. Il suo appartamento era nel quartiere dove viveano
tutti i dipendenti; il villaggio le offriva tutto e non aveva limitazioni di
accesso. In poco tempo, aveva conosciuto tutti quelli che vi lavoravano: molti
erano abitanti del posto ma gli animatori ed i baristi erano tutti ragazzi che
avevano più o meno la sua età. Quasi tutte le sere si trovavano nella spiaggia,
detta dei ‘derelitti’, cioè quella dove si trovavano tutti i clienti giovani del
villaggio, e concludevano la giornata lavorativa divertendosi, cantando e
ballando alla luce della luna. Oppure andavano nelle discoteche della struttura,
o si prendevano un drink in uno dei bar. Insomma, anche se si trovavano sempre
nel solito posto, si divertivano comunque. All’esterno del villaggio non c’era
niente che li interessasse, quindi non avevano nemmeno motivi per uscire fuori,
se non per comprare qualcosa che nessuno dei negozi del villaggio
vendeva.
Sotto alla fotografia di lei e Thiago c’era una
scrivania, con un computer portatile, una stampante ed uno scanner, accompagnati
da un groviglio di fili elettrici indistricabili. Non aveva televisione, o
meglio, c’era ma non la accendeva mai. Aveva anche una piccola cucina, nella
stanza adiacente alla camera da letto, ma mangiava sempre nelle strutture del
villaggio, quindi nel frigorifero c’era solo acqua fresca.
Distesa sul suo letto, guardava le pale del ventilatore appeso al
soffitto muoversi lentamente, creando un leggero spostamento d’aria che
scacciava via il soffocante caldo pomeridiano. Pensò a quante possibilità ci
fossero di ritrovarsi con un vecchio amico come Gustav, dopo che le loro strade
avevano preso direzioni totalmente diverse. Beh, era stata veramente una fortuna
ritrovarsi, dopo un anno e qualche mese in cui nessuno sapeva più niente
dell’altro.
Era inutile dire chi era la colpa…
Non
pensava a lui molto spesso, lo aveva archiviato nel reparto ‘ricordi
sgradevoli in attesa di cancellazione irreversibile’. Aveva ridotto tutte le
loro fotografie in cenere.
Tranne una.
Aprì il
cassetto del comodino e, dopo aver scansato tutto quello che conteneva, la
afferrò. Era un pochino stropicciata, le mancava un angolo, ma era sempre
integra. Abbracciati, un primo piano di loro insieme, con lei che faceva la
linguaccia. E Tom che guardava dentro l’obiettivo con il suo solito occhio
malizioso, e l’angolo della bocca all’insù.
La richiuse nel
cassetto.
Non pensava molto al suo passato, era una che aveva
imparato a non guardare indietro, a non rimpiangere le scelte prese in passato.
Queste, infatti, erano state dettate da precisi stati d’animo, da precise
convizioni, che al tempo parevano giuste e sacrosante. Se poi in futuro si
trovava, anche solo per un momento, a tornare indietro con la mente e a
rivalutare le sue posizioni, queste erano comunque
insindacabili.
Col senno di poi tutti diventavano più saggi e
intelligenti. Era come sparare sulla croce rossa. Ma soprattutto, era inutile
darsi della stupida per qualsiasi cosa che aveva fatto e che ora le sembrava
dettata dall’irrazionalita, perchè se lo aveva fatto o pensato, aveva avuto i
suoi buoni motivi.
In questo modo, Mac aveva risparmiato migliaia
di euro, non andando in analisi.
Se n’era andata via. Per un po’
aveva vissuto dai suoi e poi, quando aveva iniziato a sentirsi soffocare, aveva
preso un appartamento in periferia. Un monolocale che aveva spazio sufficiente
solo per lei e le sue cose. Aveva iniziato a prendere lezioni di subacquea
perchè una scuola di sub le offriva a metà prezzo, non perchè le piacesse
veramente. Continuava a fare il suo solito lavoro di fotografa indipendente
insieme alla collaborazione con ‘Rock on’, che ovviamente non le chiedeva più
servizi speciali sui Tokio Hotel.
La rottura con Tom era apparsa
sui giornali dopo una settimana dalla sua partenza ma lei, che non comprava le
riviste né guardava la televisione, non aveva saputo niente di ciò che era stato
scritto o detto.
Quando le si era presentato alla porta, per un
momento, avrebbe voluto prenderlo a calci e chiedergli perchè la stava facendo
soffrire in quel modo. Invece si era limitata a sbattergli la porta in faccia ed
a gridargli contro che non lo voleva mai più vedere.
Cazzo se era
stata male…
Cazzo quanto aveva pianto…
Ma alla fine
aveva risolto la questione, dimenticando. Non poteva fare altro se non quello.
Aveva capito che la loro storia non poteva durare oltre, sarebbe finita lo
stesso anche se Tom non l’avesse tradita… Non aveva trovato utilità
nell’incolparlo di tutto, perchè comunque continuava a starci male.
Aveva provato ad analizzare le sue colpe, ma ne aveva? Forse sì.
Forse aveva dovuto capire che per Tom era un problema la sua amicizia con Bill.
Forse sarebbe stato meglio allentare un po’ il rapporto con Bill quando Tom
aveva confessato ad entrambi la sua gelosia…
Ma non credeva fosse
quello il vero motivo della loro rottura. Sicuramente aveva contribuito, però
non era la causa principale.
Sia lei che Tom si erano comportati
per troppo tempo come degli adolescenti, passando sopra i loro problemi.
Litigavano spesso, era vero, ma sarebbe stato meglio, invece di chiudersi in
camera a fare la pace, fermarsi e capire il perchè di quelle continue
discussioni. Non che fossero diverbi con un certo grado di razionalità, il più
delle volte si prendevano per delle idiozie.
Ma il problema era
il fatto stesso di litigare. Si sarebbero dovuti sedere e dirsi: perchè
litigavano? Non per cosa lo facevano, ma perchè.
Forse davvero
non erano mai stati fatti l’uno per l’altra.
Forse non erano mai
stati parte di una stessa calamita.
Ma allora perchè si erano
amati così tanto?
Guardò l’ora segnata dalla sveglia, appoggiata
sul suo comodino. Erano le quattro del pomeriggio, doveva andare a dare una mano
alle animatrici…
Si alzò dal letto, non era più il caso di porsi
quella domanda.
Aveva smesso di amarlo, ma non era riuscita a
gettare via quella fotografia.
Appena la videro avvicinarsi al
bordo della piscina, con il suo cappellino rosso sulla testa, una ventina di
bambini presero a chiamarla, tutti insieme, in coro.
I
primi tre giorni erano passati senza problemi o intoppi, valutò Gustav. Non
c’era stato bisogno di andare a fare la ronda come si era immaginato. Era
bastato solo evitare con molta cura di camminare dove pensava di poterla
trovare, cioè nel villaggio dei bambini.
Grazie alle loro facce
conosciute, in poco tempo avevano fatto la conoscenza di gran parte dei ragazzi
che soggiornavano nel villaggio, mentre la restante parte li snobbava perchè non
piaceva la loro musica.
Era questione di tempo, si diceva Gustav,
prima o poi Mac avrebbe saputo che era lì con Tom, e non con la sua fantomatica
fidanzata. Quindi poteva farci ben poco, ma intanto poteva evitare di farsi
vedere dove pensava che lei potesse essere.
“Dopo che facciamo?
Non voglio andare a letto presto come abbiamo fatto finora. Oramai mi sono
ambientato al fuso orario”, gli disse Tom, dopo aver inghiottito l’ultimo morso
della sua pizza.
Erano nel ristorante, quello più grande e
centrale, ed avevano ordinato della pizza per cena.
“Ok, va bene.
Che vogliamo fare?”, gli domandò Gustav.
“Non lo so… ci penso
mentre vado in bagno. Sai dov’è?”
“Laggiù.”, fece lui, indicando
alle sue spalle mentre mordeva la sua pizza.
“Sai che domani alle
quattro ci sarà un’eclissi di sole?”, gli fece Tom, prima di alzarsi, “Me l’ha
detto qualcuna… non mi ricordo come si chiama.”
“Sì me l’ha
detto…”, disse Gustav, fermandosi prima di tradirsi, “Sì, proprio la stessa che
lo ha detto a te..”
“Andiamo a vederla sulla spiaggia
vero?”
“Certo che sì, non me la voglio certo perdere!”, disse
Gustav.
“Vai, non te ne dimenticare. Ci vediamo tra un po’, ho
diverse cose da fare in bagno.”, disse l’altro, alzandosi ed andandosene in
bagno.
Finì il suo spicchio di pizza e si mise ad aspettare Tom.
Poi, un paio di mani gli coprirono da dietro gli occhi.
“Chi sei?
Sei tu Angie?”, fece. Uno scherzo del genere glielo aveva già fatto una ragazza
che si chiamava Angie, sicuramente era di nuovo lei.
“No, sono io
Mac.”, fece lei, togliendo le mani e sedendosi al posto di
Tom.
Ecco, il momento che temeva era arrivato.
“Ciao
Mac… che ci fai qua?”, le chiese.
“Sono venuta a prendermi una
pizza. Sei qua con la tua fidanzata?”, gli domandò a sua
volta.
“Sì, proprio qua…”, disse lui.
“Bene, così la
conosco, voglio proprio vedere che tipo è.”
“E’ in bagno.”, fece
Gustav.
“Aspetterò.”
“Ci metterà molto, è talmente
lenta…”
“Sto attendendo la mia pizza, è adesso in
forno.”
“A volte ci mette delle ore.”
“Gustav, quasi
inizio a pensare che tu non me la voglia fare conoscere.”, disse lei,
ridendo.
“Beh… è un pochino gelosa.”, disse lui, cercando di
salvarsi.
“Mi avevi detto che non lo era.”
“Sì, è
vero… ma ti ho mentito. E’ gelosissima, pensa che mi ha fatto una lavata di
testa, oggi, per aver chiesto ad una ragazza che passava… se mi dava il suo
accendino.”
“Ma tu non fumi.”, disse Mac, iniziando a notare il
comportamento strano del suo amico.
“Sì infatti… mi serviva per…
accendere la sua sigaretta. Cioè… della mia ragazza.”
“Ah… brutta
bestia la gelosia, permettimi di dirtelo.”, disse Mac, alzandosi. Lo diceva per
esperienza e lui lo sapeva perfettamente.
“Già…”, fece
lui.
“Va beh, ad ogni modo mi piacerebbe conoscerla. Se stasera
vieni in spiaggia mi troverai lì.”, fece lei, salutandolo e
allontanandosi.
“Mac! La tua pizza è pronta!”, le disse il grosso
pizzaiolo, chiamandola a gran voce.
“Ciao Gustav!”, fece lei,
sventolando la mano, mentre si allontanava.
Che strano, pensò,
rifedendosi all’atteggiamento di Gustav. Ma se davvero la sua ragazza era
gelosa, era meglio andarsene e lasciarlo solo. Avrebbe voluto sbirciare, vedere
che tipo era, ma tanto prima o poi li avrebbe incontrati insieme. Si appoggiò,
dando le spalle al suo amico, con entrambe le mani sul bacone della pizzeria, in
attesa che le venisse servita la sua.
I
suoi occhi si spostavano da lei alla porta del bagno. Ecco, si stava aprendo e
Tom ne stava uscendo. Mac era sempre ad aspettare la sua pizza, appoggiata al
bancone. Gli dava le spalle.
Tom si sedette accanto a lui,
facendolo quasi sussultare.
“Hey, che c’è? Ti ho fatto paura?”,
gli fece lui, ridendo.
“Sì… mi hai fatto paura.”, fece Gustav,
costringendosi a non far fuggire i suoi occhi verso Mac, per controllare se si
sarebbe voltata verso di loro.
“Sembri seduto sulle spine, ti
tremano le mani…”, notò Tom.
“Oh… tranquillo, solo perchè mi hai
spaventato.”
“Ok…”
Solo una fugace occhiata verso
Mac.
“Chi hai guardato?”, gli disse lui, che si era insospettito
per via del suo atteggiamento che pareva paranoico.
“Io?!?
Nessuno!”
Tom si voltò nella direzione in cui il suo amico aveva
guardato. Ma Mac oramai si stava allontanando verso l’uscita del ristorante, con
la sua pizza, e lui non l’avrebbe vista.
“Pareva avessi visto un
fantasma.”, fece l’altro, facendo spallucce.
“Sì, una visione.
Piuttosto, hai pensato a cosa vuoi fare, stasera?”, gli
domandò.
“Che ne dici se andiamo in spiaggia? Ho sentito che la
sera fanno…”
“No!”, esclamò Gustav,
interrompendolo.
“Perchè no?”
“Perchè… ci sono le
zanzare, in spiaggia.”, si giustificò Gustav.
“Spruzzati un po’ di
repellente.”
“Ma poi puzzerò di insetticida.”, ribattè
l’altro.
“E allora non dartelo e sopporta le punture. Tanto
qualsiasi zanzara morirebbe se ti pungesse. Mi hanno detto che fanno sempre dei
falò, mettono la musica e…”
“Perchè non andiamo nella discoteca?”,
propose Gustav.
“Perchè non vuoi andare in spiaggia Gustav?”,
chiese Tom, stufatosi dei suoi emendamenti.
“Ci andiamo domani, ti
va bene?”
“Ok…”, fece Tom, sbuffando.
Appoggiò il cartone della pizza, ormai tutta dentro alla
sua pancia, in un mucchio, composto da tantissime altre scatole. Di coloro che
lavoravano al villaggio c’erano solo Nagomi e Caroline, una delle tre ragazze
che facevano animazione per bambini insieme a lei, ed era australiana, di
Sidney. Loro erano quelli con cui aveva legato di più. Poi c’erano tantissimi
dei ragazzi vacanzieri: quelli più pazzi erano un gruppo di ragazzi spagnoli,
delle vere e proprie spugne viventi. Potevano bere praticamente senza fermarsi.
Non c’erano problemi linguistici tra loro, erano tutti conoscitori del
dizionario dei gesti.
Per quella sera, avevano organizzato la più
classica delle sfide alcoliche: la dama, fatta con i bicchierini di vodka.
Nagomi doveva portare l’alcolico, gli spagnoli avevano i bicchieri bianchi e
neri e la tavoletta di legno quadrettata. Erano professionisti del gioco.
La prima sfida fu tra. Nagomi e Carlos, uno dei cinque ragazzi,
che era quello con più capacità assorbenti di tutti. Al settimo bicchiere
ingerito, Nagomi cadde a terra, a bocca aperta e si mangiò la
sabbia.
“Caroline… sta a te.”, disse Mac alla sua
amica.
“Lo so che quello ha scelto me perchè spera di scoparmi,
quando sarò ubriaca…”, sbottò lei, riluttante. Si sarebbe dovuta scontrare con
Sebastian, uno di loro.
“Ma non avevi detto che ti
piaceva?”
“Sì… ma mi piacerebbe anche ricordarmi di averlo fatto
con lui…”, precisò l’altra.
Nagomi si stava rotolando sulla
sabbia, cantando qualcosa in giapponese. A Caroline non toccava altro che
sedersi a gambe incrociate sulla sabbia, alla luce del falò acceso a qualche
metro da loro, e giocare.
“Caroline…”, fece il ragazzo, mentre si
strusciava le mani.
“E sia!”, fece lei,
sedendosi.
Resistette fino all’ottavo bicchiere, poi si sdraiò
sulla sabbia.
“Non ti preoccupare Caroline, manterrò alto l’onore
del villaggio…”, disse Mac, mentre la trascinava afferrandola per le
braccia.
“Villaggio… hai detto villaggio!”, fece l’altra,
iniziando a ridere come una scema.
“Stai qui e non alzarti.”, le
disse Mac.
Ora toccava a lei.
Si sfidava con un tipo
un pochino losco, si chiamava Pablo. Per certi versi, gli ricordava quasi Tom, e
per questo non lo sopportava. Carlos, senza che le sue mani tremassero nemmeno
un po’ dopo tutto la vodka che aveva bevuto, riempì i bicchierini di
entrambi.
Un ultimo sguardo di sfida, Pablo fece la prima mossa.
Non una parola fu detta da entrambi, intorno a loro si era creato un certo
silenzio.
Nagomi, intanto, si credeva superman e cercava la rissa
con una palma.
Dopo dieci minuti, erano rimaste solo cinque
pedine: due di Mac, tre di Pablo.
“Vai Mac… battilo…”, disse
Caroline, sbiascicando le parole.
Ma non poteva vincere, perchè
lui l’aveva chiusa in un angolo. Comunque si muoveva, lui le mangiava la pedina
e a lei toccava bere. O rimanevano così tutta la notte, o si faceva battere. Ad
aggravare la sua posizione, il fatto che non riusciva più ad essere
lucida.
Mosse il primo bicchiere e lui contrattaccò. E lo
bevve.
Poi ci furono altre tre o quattro mosse e la sconfitta
finale di Mac.
Gli spagnoli iniziarono ad esultare, contenti della
schiacciante vittoria che avevano inflitto loro. Mac si lasciò cadere
all’indietro, esausta. La vodka la stroncava in due, non c’era gusto ad
ubriacarsi con quella perchè poi le veniva la sbornia triste.
Vide
Nagomi abbracciato alla palma, forse si era arreso, non era facile abbattere un
albero a pugni. Sbuffò, rise, poi cercò di alzarsi in piedi, ma non era affatto
facile. Ancora non era sotto il completo effetto della vodka, avrebbe fatto bene
a vomitare se non voleva farsi davvero stendere. Si avvicinò ad uno dei
contenitoro della spazzatura e lo fece.
“Cazzo…”, disse
poi.
La
discoteca era quasi totalmente vuota. Non c’era nessuno. Solo loro ed un’altra
ventina di ragazzi.
“Dai… andiamo alla spiaggia, sono tutti là!”,
disse Tom.
“Vedrai che tra un po’ si spostano qui.”, gli ripetè
Gustav, come aveva già fatto altre tre volte.
“Gustav, è l’una di
notte… non vengono più, sono tutti à stesi a terra e ubriachi… e dovevo esserci
anche io con loro.”, fece l’altro, alzandosi ed uscendo dal
locale.
Non poteva fermarlo, o gli avrebbe chiesto spiegazioni.
Non poteva fare altro che seguirlo e sperare che non si incontrassero.
Le fiamme di due grandi falò illuminavano la lunga striscia di
sabbia e la luna piena, alta nel cielo, rendeva l’atmosfera molto metallica.
L’aria era calda, con o senza il calore del fuoco, e si stava veramente da dio.
Non stette nemmeno a controllarsi intorno, la serata era così splendida che non
voleva pensare a cosa stava per succedere.
Al primo falò veniva
suonata musica reggae e i ragazzi, sicuramente sotto l’effetto di qualche
spinello, cantavano e ballavano, dondolandosi al ritmo saliente della musica.
“Io vado all’altro falò, qua non mi piace.”, disse
Tom.
“Sì, anche a me.”, rispose Gustav.
Vide una
tavoletta quadrettata bianca e nera per terra e qualche bicchierino degli stessi
due colori, qualcuno aveva giocato sicuramente ad una dama
alcolica.
“Quella è ridotta male!”, esclamò Tom, indicando una
ragazza che stava vomitando nel cestino dei rifiuti.
“Eh sì…”,
fece Gustav. Se avesse potuto dirgli chi era quella ragazza…
Continuarono a camminare verso l’altro falò. Là incontrarono
alcune ragazze che avevano conosciuto quella mattina e si unirono a loro. Un
ragazzo con una chitarra stava suonando pezzi celeberrimi della musica
internazionale e tutti stavano cantando.
“Gustav!”, si sentì
chiamare alle spalle.
Si voltò, era il ragazzo giapponese che lo
chiamava, sbracciandosi, a qualche metro da lui. Ma non stava camminando, era
stato invece caricato sulle spalle di un ragazzo, doveva sicuramente essere
troppo ubriaco per camminare, ma non abbastanza per ricordarsi di
lui.
“Chi è quel tipo?”, fece Tom, ridendo.
“E’ un
barista, lavora nella zona delle famiglie. Si chiama
Nagomi.”
“Nagomi?”
“Sì, è giapponese, o cinese, non
lo so.”
“Quando lo hai conosciuto?”, gli domandò
l’altro.
“Sarai mica geloso?”, sbottò Gustav,
ridendo.
“Figurati!”
Guardò di nuovo verso il
giapponese. C’era Mac con lui, che non se ne stava più sulla spalla di nessuno;
erano lontani abbastanza da non vedersi. Comunque si sentivano le loro risate
sguaiate, sicuramente erano ubriachi persi! Tom, che sembrava concentrare tutta
la sua attenzione sulla mora con cui stava flirtando, non sembrava interessarsi
a nient’altro che al suo divertimento.
Bene, pensò Gustav, allora
anche lui poteva pensare al suo. Si mise a parlottare con una ragazza inglese,
magari la serata si sarebbe conclusa bene per
entrambi.
Sdraiati sulla sabbia, vicini all’appisolamento, Mac,
Nagomi e Caroline aspettavano che la sbornia passasse completamente, prima di
tornarsene a letto.
“Sapete quante stelle ci sono nella nostra
galassia?”, disse Nagomi, guardando il cielo stellato, perfettamente terso,
senza l’ombra di una nuvola.
Mac aveva notato subito quanto
fossero vicine le stelle, il giorno stessa in cui era arrivata. Sembrava di
poterle toccare semplicemente avvicinando la mano alla volta celeste.
“Ce ne sono quarantamila miliardi solo nella via lattea.”,
rispose Mac.
“Così tante…”, disse Caroline, accompagnandosi con
uno sbadiglio.
“Qual è la vostra costellazione preferita?”, chiese
poi di nuovo Nagomi.
“La mia è quella del mio segno zodiacale, il
cancro.”, disse Caroline, “E la tua, Nagomi?”
“La croce del Sud.”,
rispose lui, “Mac?”
“Beh…”, fece lei, riflettendo sulla
risposta.
“Per caso… è quella dei gemelli?”, sbottò Nagomi,
iniziando a ridere… lui, solo lui, sapeva.
“Oh sì, certo,
prendimi pure in giro.”, disse lei, ridendo.
“Non l’ho capita.”,
disse Caroline, mentre si grattava la testa.
“Non ti preoccupare,
te la spieghiamo domani.”, disse Mac.
“Voglio andare a fare il
bagno di mezzanotte.”, fece Nagomi, alzandosi.
“No, non puoi,”,
gli disse Mac, “Sei ubriaco, ti verrebbe un malanno.”
“Andiamo
tutti insieme!”, propose lui, con il suo solito entusiasmo
asiatico.
“Sì! Bellissimo!... andate voi.”, disse Caroline,
accoccolandosi sulla spiaggia.
“Nagomi… poi farà un freddo cane
quando usciamo.”, disse Mac.
Ma lui, senza ascoltarla, si tolse le
scarpe, si sfilò la maglietta e si tuffò in acqua.
“Nagomi!”,
esclamò Mac.
Sapeva quanto era pericoloso fare il bagno quando si
era mezzi assonnati e si cercava di fare passare l’ubriacatura. Era meglio che
si tuffasse anche lei, tanto per tenerlo sott’occhio. Già un ragazzo si era
sentito male, qualche tempo prima, e non se l’era passata molto bene, era finito
all’ospedale e ci era rimasto per tre giorni.Si tolse i sandali, i pantaloncini
e la maglietta, sotto aveva sempre indosso un costume. E si tuffò.
L’acqua era calda, talmente calda che pareva di starsene in una
vasca. Una sensazione che entrava dentro l’anima e la faceva distendere,
completamente, la faceva calmare. Dopo aver dato qualche bracciata sotto il pelo
dell’acqua riemerse, cercando il suo amico con gli occhi. Era a qualche metro
più in là di lei così, tra una bracciata e l’altra, lo raggiunse.
Quei due tuffi notturni scatenarono una reazione a catena che
portò quasi tutti i presenti sulla spiaggia a tuffarsi, vestiti e non, per
concludere la serata in bellezza, prima di rientrare nelle loro camere. Dopo
qualche secondo Mac si trovò circondata da tante altre persone che si tuffavano,
nuotavano, gridavano, si schizzavano e si gettavano a vicenda dentro
l’acqua.
Senza che se lo aspettasse, fu presa anche lei, di peso,
dai ragazzi spagnoli, che la sollevarono, la trascinarono dove l’acqua era più
profonda e la fecero cadere in acqua, con uno slancio in
aria.
Seduto sulla sabbia, abbracciava Angie, la ragazza con
ui aveva flirtato per tutta la sera. Anche lei, seduta davanti a lui e chiusa
nel suo abbraccio, si godeva con lui il calore del fuoco, che oramai era sulla
via dello spegnimento. Ancora bruciava, ma erano rimasti pochi i pezzi di legno
ancora interi e non ridotti in mozziconi di brace ardente. A qualche passo da
lui, Tom, disteso con un’altra ragazza di cui non si ricordava il nome, sulla
sabbia, l’uno di fronte all’altro, stavano chiacchierando. Anche lei era inglese
come Angie, erano amiche, le avevano conosciute il giorno
prima.
Sentì distintamente qualcuno che si tuffava, e gli venne da
voltarsi.
“Facciamo il bagno anche noi!”, propose Angie, con il
suo distinto accento londinese.
“No, non ne ho molta voglia per
adesso.”, disse Gustav.
“C’mon!”, disse lei, alzandosi e cercando
di farlo alzare, trascinandolo per una mano.
Anche Tom aveva
sentito la proposta di Angie.
“Disturbiamo se ci uniamo?”, chiese
al suo amico Gustav.
“Come ti pare!”, rispose
l’altro.
Detto e fatto, tutti e quattro erano in acqua a
schizzarsi, insieme a tutti coloro che erano sulla
spiaggia.
“Cavolo, com’è calda l’acqua…”, disse Tom, dopo essersi
tuffato.
“Dai! Fate come stanno facendo quei ragazzi laggiù!”,
esclamò Angie, indicando il gruppetto che aveva sollevato una ragazza per
gettarla in acqua.
“Che stanno facendo?”, le chiese Tom, guardando
dove stava indicando la ragazza.
“Vedi? Prendeteci e fateci fare
i tuffi!”, disse Angie, saltando in braccio a Gustav.
“Andiamo
verso tutti gli altri e divertiamoci insieme a loro…”, propose
Tom.
Candice, la ragazza con cui ci aveva provato magistralmente
per tutta la sera, non gli avrebbe dato altro che il due di picche, e non aveva
di certo voglia di concludere la serata chiudendosi in bagno. Avrebbe trovato di
sicuro qualcun’altra.
Nello stesso istante, a Gustav passarono
tutte le voglie. Era inutile dire cosa poteva accadere, il momento era stato
rimandato troppo a lungo. E se, per disgrazia divina, non si fossero ritrovati
faccia a faccia, ci avrebbe pensato lui.
D’altronde, era la sua
vacanza e voleva divertirsi, senza pensieri. Se la sarebbero sbrigata loro.
Insieme agli altri tre, con passo riluttante, si avvicinò al grande gruppo di
bagnanti notturni.
Era un po’ che aveva la sensazione di essere fissata.
Non sapeva spiegarselo, ma era come se avesse sempre qualcosa che le premeva
contro la nuca. Mentre era impegnata in una battaglia all’ultimo schizzo con
Nagomi, si sentì afferrare non troppo delicatamente per i
fianchi.
Per un momento, il suo cuore iniziò a battere
all’impazzata. Se lo sentiva battere nella gola, faticava quasi a respirare. Si
voltò, quasi chiudendo gli occhi.
“Ah… Pablo!”, disse, vedendo a
chi appartenevano quelle mani.
Lui le disse qualcosa ma lei,
nonostante tutti gli anni di amicizia con Thiago, anch’egli spagnolo, non sapeva
un’acca di quella lingua. Comprese subito che non c’erano tanto bisogno di
parole per spiegarsi.
Con una dolcezza che non sembrava tipica dei
ragazzi come lui, le mise le mani dietro la testa ed iniziò a baciarla. Le loro
labbra si muovevano così lentamente che sembravano quasi al rallentatore. Non
poteva assolutamente negare che lui era un bel ragazzo: era moro, di carnagione
scura, aveva occhi che parevano quasi neri. E i modi, i suoi sguardi, i gesti…
erano sufficienti perchè lei non lo sopportasse.
Non lo poteva
proprio vedere, antipatia a pelle… eppure non si opponeva al suo bacio. Lui
iniziò ad accarezzarle la schiena, i fianchi… no, erano troppo simili, troppo
uguali…
Mac si allontanò da lui, lo spinse via, quasi con rabbia.
Lui parve arrabbiarsi a sua volta, le disse qualcosa che era sicuramente
un’offesa non troppo femminista, ed uscì dall’acqua.
“Che è
successo?”, le domandò Nagomi, che era stato distratto dal suo combattimento con
Caroline dalla voce alta dello spagnolo.
“Boh, vallo a sapere.”,
disse lei, uscendo a sua volta.
Sentendosi improvvisamente come
nuda, ed infreddolita, se ne andò, lasciando che la festa acquatica continuasse
senza di lei.
TITOLO: Soak up the sun è una canzone di Sheril Crow...
no scopo di lucro!
.... sì, lo so... non è successo molto
in questo capitolo... me ne pento... ma è una necessità... vi prometto che nel
prossimo succedera molto di più. Mooooolto di più, if you know what I mean....
Mi scuso se non sono molto
particolareggiata nel descrivere le immersioni. Spiego: non ho il brevetto di
sub, mi piacerebbe prenderlo prima di tirare le cuoia, quello che so è quello
che capisco dai documentari. Al massimo, quando vado in piscina, mi faccio le
vasche sott'acqua, quello è l'unico momento subacqueo nella mia vita!
Eh povero Gusti... piccino,
in mezzo a due fuochi... ora vado a consolarlo, me lo stringo un pochino tra le
braccia...
Scusate se non ci sono
ringraziamenti ad personam... ma non ne avevo voglia! Faccio una
cosa
Ringrazio le mie lettrici abituali --> MissZombie, CowgirlSara, Sososisu, Alanadepp, Ruka88, Quoqquoriquo, Picchia, Starfi ,Anna9223, Gufo e SweetPissy
Ma
ringrazio ancora di più le new entries: Zigo_Puff e Piscula
Altro
sito che mi è stato consigliato:
http://www.malvestite.net/2007/09/13/malvageddon-19-tokyo-hotel-twincest/
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Capitolo 12 *** Total Eclipse ***
12. TOTAL ECLIPSE
Non era
successo nemmeno quella volta.
No, non ancora.
Che il destino stesse cercando di evitare l’incontro?
No.
Anche perchè non credeva nel destino.
Doveva lasciare che succedesse e basta, si diceva, lasciando tutto in mano loro.
Ma non ci riusciva.
Forse perchè era troppo buono.
Allora doveva essere più cattivo, più stronzo.
Non era da lui essere egoista.
Lo aveva visto quanto era stato male.
Lui.
Lui che aveva sempre detto che non si sarebbe innamorato mai, perchè era troppo
impegnato a dare amore a tutte le ragazze del mondo. Tutte… quelle carine.
Lui che era portatore dello slogan ‘Tutte per Tom. Tom per Tutte’.
E che si era ritrovato a predere la ragione per una sola di queste Tutte.
Mackenzie.
Se gli avesse detto quanto erano vicini, in quel momento… che cosa avrebbe
fatto lui?
E Mac sarebbe stata contenta di vederselo piombare, per la seconda volta,
inaspettatamente davanti agli occhi? Ovvio: no.
Quello era il punto focale della questione: perchè farli stare male, facendoli
incontrare?
Chepallechepallechepallechepallechepallechepalle!
Era un continuo dividersi tra la voglia di metterli l’uno davanti al muso
dell’altro e la necessità di non farli incontrare mai.
Il suo alter ego, Gustronzo, era propenso per la prima opportunità. Lui
voleva concludere la vacanza per i cazzi suoi, lasciando tutte le eventualità
esterne a chi di competenza, cioè ai due Mac e Tom. O Rosenbaum e Kaulitz.
Il suo altro alter ego, che invece di avere un nome aveva tutto un
programma, Gustoso, era tutt’altro che egoista. Entrambi,
Gustronzo e Gustoso, combattevano un’aspra lotta freudiana e lui, finchè non ci
fosse stata una vincita tra uno dei due, non poteva far altro che rimanere
neutro, sia sul fronte Mac, che sul fronte Tom.
Era meglio fare la canna al vento, piuttosto che schierarsi da una parte o
dall’altra. Anche se Tom era un suo grande amico, capiva perfettamente la
posizione di Mac. Si alzò dal suo letto con quella convinzione: la sintesi tra
Gustronzo e Gustoso era Guscannalvento.
Si fece una rapida doccia, per togliersi il caldo che sentiva. Si infilò il
primo costume che trovò e, con l’asciugamano sulle spalle, uscì dalla sua
stanza. Appoggiò l’orecchio destro alla porta della camera di Tom: era sempre lì
dentro, lo sentiva russare. Bene, sarebbe uscito in spiaggia da solo. Anzi, si
sarebbe tolto l’incriccatura che sentiva al collo facendosi un
bell’idromassaggio.
Era mezzogiorno andante e tutte le signore che incrociava lungo il vialetto che
stava percorrendo stavano radunando figli e mariti per andarsene a mangiare. Un
po’ di languorino ce lo aveva anche lui, ma voleva prima finire di rilassarsi a
mollo dentro l’idromassaggio.
Si sentiva il collo dolorante, quasi bloccato e, visto che alle quattro ci sarebbe
stata quella famosa eclissi di sole, voleva guardarsela senza problemi, senza
fare il vecchietto di ventisette anni per via del suo collo reumatico.
Per oltrepassare la ‘zona bambini a carico’ ed andare in quella ‘giovani e
felici come farfalle’, senza prendere strade traverse come faceva con Tom,
doveva passare per forza in mezzo ad uno stuolo di bambini vocianti, immersi a
bagnomaria nella piscina alta un metro e mezzo scarso.
Riconobbe subito, sotto ad un cappellino rosso, Mac, con un paio di bambini
attaccati al collo.
“Hey, ti ci vedo bene a fare la mamma.”, le disse Gustav, acucciandosi sul
bordo della piscina.
“Potrei essere arrestata per traffico di bambini, ma te ne venderei volentieri
qualcuno.”, disse lei, mentre cercava di liberarsi del bambino che le
abbracciava la gamba, “Soprattutto questo qua.”
Impossibilitata nel togliersi quella patella umana dalla gamba, si avvicinò a
Gustav trascinandoselo addosso.
“Eri sulla spiaggia, ieri sera?”, le domandò.
“Oh sì, ero con un paio di amici che lavorano qua… con Nagomi, ti ricordi?”
“Sì, certo, mi ha anche salutato… se ne stava caricato sulla spalla di
qualcuno.”, disse Gustav, ridendo.
“Era fuori come una palma controvento.”
“Come cosa?”, fece l’altro.
“Una palma controvento, è un detto di qua. Piuttosto, allora se lo hai visto
c’eri anche tu!”, disse lei, riuscendo a liberarsi del marmocchio e sedendosi
sul bordo.
“Sì, c’ero anche io.”
“Eri con la tua ragazza?”, fece lei.
“Sì, con lei.”
“E perchè non sei venuto a farmela conoscere! Sei proprio strano Gustav! O è
talmente brutta che te ne vergogni…”
“No no!”, fece l’altro, ridendo, “Non è che è brutta!”
“Allora sei da solo e mi stai mentendo perchè non vuoi sembrare patetico!”
Gustav rise di nuovo alla sua battuta. Mac era sempre la solita, ironica e
sarcastica, aveva sempre la battuta pronta per tutti.
“Dov’è adesso?”
“A letto, a dormire.”, rispose lui.
“Vedrete l’eclisse, vero?”
“Certo che sì, sulla spiaggia.”
“Assolutamente no! Visto che la donna del mistero mi ha stufato, dovrete venire
entrambi con me.”
“Mac… non credo che sia una buona idea…”, disse lui.
“Certo che lo è! Altrimenti non farti più vedere, perchè ti ripudio come amico!
Io andrò a vedermela a qualche chilometro da qui, in direzione nord. Usciti dal
villaggio dovrete prendere a sinistra ed andare sempre dritto, la strada
termina proprio vicino alla scogliera, l’unica di tutta questa isola, è un
posto bellissimo… e anche molto romantico!”, gli disse, provando ad invogliarlo.
“Non possiamo muoverci di qua, non sappiamo come farlo se non a piedi!”
“Andate alla reception e noleggiate una macchina, problema risolto. Io sarò là
con la mia macchina fotografica. Se mancherete, ti giuro che trovo il modo di
farti pentire di essere venuto qua in vacanza!”, disse lei, ridendo.
“Beh… vedrò cosa posso fare.”
“Allora mettiti gli occhiali, così sicuramente vedrai bene qual è la scelta
giusta da prendere. L’eclissi è alle quattro e tre minuti precisi, presentatevi
almeno dieci minuti prima!”
“Provvederò.”, fece lui.
“Vai in spiaggia?”, gli chiese lei, quasi retoricamente.
“Sì, ma prima vado a distendere i muscoli in idromassaggio.”
“Fai bene, io ho finito ora il mio turno, tra poco mi aspetta un’immersione di
più di quarantacinque minuti.”, fece lei, alzandosi e sfregandosi lemani,
contenta, “Ci vediamo oggi pomeriggio allora.”
"A dopo!”, le disse Gustav, mentre si allontanava.
Ore zeroquattro:zerotre.
Iniziava il conto alla rovescia.
Attese che Herwig
arrivasse, seduta con le gambe penzoloni sulle ultime tavole del piccolo molo.
Insomma, non era tanto piccolo, la loro barca di tre metri e qualcosa poteva
attraccarci senza problemi.
“Hey, Mac!”, la chiamò lui, a gran voce, dalla fine del molo. Aveva bisogno di
una mano per scaricare l’attrezzatura.
Lei si alzò e, correndo stancamente, lo raggiunse.
“Come va?”, le chiese, sorridendole.
“Mh… bene.”, rispose lei, caricandosi sulle spalle le sue bombole.
“Sai, ancora mi stupisco di quanta forza tu abbia nelle braccia.”, fece lui,
prendendo invece le proprie bombole e una valigia che conteneva le loro tute da
sommozzatore.
“Spera che un giorno non la sfoghi su di te, questa forza.”, rispose lei,
ridendogli per fargli comprendere che non era un’intimidazione, ma quasi.
“Ah… lo spero davvero!”, fece lui, dopo un attimo di incertezza, “Ieri sera mi
è sembrato di averti visto in spiaggia.”
“Sì, ero lì con degli amici.”, disse lei, mentre camminavano sul molo.
La barca aveva attraccato proprio in quel momento, puntuale come sempre, e li
stava aspettando.
“Sembravi divertirti molto!”, disse lui.
“Sì, avevamo bevuti tutti un pochino troppo.”
“Così si giustifica il tuo viso un po’ stanco.”
“Eh, purtroppo.”, fece lei, facendo spallucce.
Passarono la loro attrezzatura ai soliti tre membri dell’equipaggio e tornarono
indietro per prendere la telecamera subacquea ed altri oggetti necessari per
l’immersione.
“Avrei voluto unirmi alla vostra festicciola, ma mi sentivo un pochino troppo
vecchio per voi!”, disse lui.
“Herwig, hai trentacinque anni, mica ottocento!”, disse Mac, sorridendo.
“Sì, è vero!”, rise l’altro, “C’era il tuo amico, quello giapponese…”
“Nagomi.”, lo informò lei.
“Sì, lui, che se ne stava attaccato ad una palma e sembrava cercasse di
baciarla in qualche modo!”
“Oddio! Aveva bevuto quanto una spugna!”, disse Mac, mentre si prendeva la
telecamera. Sott’acqua era molto più leggera, pensò.
“Oh no, lasciala prendere a me.”, disse lui, togliendogliela di mano, “Tu
prendi le altre cose.”
“Grazie!”, disse Mac, liberandosi del peso.
“Dove vedrai oggi l’eclissi? Sulla spiaggia?”
“Sì, sarò sulla spiaggia con gli altri. Ci troviamo lì ok?”, disse lei,
dicendogli come faceva ogni volta e, oltretutto, mentendogli.
“Perfetto!”, fece lui, contento.
Sdraiato, in
spiaggia, ancora in solitario, sentì il suo cellulare squillare, interrompendo
il suo sonnellino post pranzo. Tom ancora non si era fatto vedere, sicuramente
era ancora nel pieno della sua fase rem.
Con gli occhi ancora troppo sensibili per sopportare la luce del sole, prese il
telefono e rispose, senza nemmeno guardare da chi provenisse la chiamata.
“Che succede all’equatore?”, esclamò la voce di Bill.
“Hey… senti chi si sente! Il gatto delle nevi!”, fece Gustav.
“E il caimano della sabbia! Che fine ha fatto mio fratello, ho provato a
chiamarlo due volte ma non risponde.”
“Sicuramente è ancora a letto, io sono in spiaggia. Ieri sera abbiamo fatto
bisboccia.”, disse Gustav, stropicciandosi gli occhi.
“Come sempre… in che paradiso vi trovate?”
“In un paradiso paradisiaco. Bill, qua è bellissimo, saresti dovuto venire
anche tu.”
“No, io sto benissimo anche qua. Oramai sono diventato amico di un gruppo di
signore attempate ma non credo che sia saggio per me mantenere questo rapporto.
Una di queste mi ha chiesto di sposarla…”
“Eh Bill, anche tu incominci ad avere una certa età… ti conviene accettare.”
“Di sicuro!”, esclamò Bill, iniziando a ridere, “Piuttosto, tu cosa
mi racconti?”
Gustav riflettè. A lui lo avrebbe detto, chiedendogli però di mantenere il
segreto.
“Ho incontrato qualcuno qua, Bill, che mai e poi mai avrei pensato di rivedere
ancora.”, gli disse, come preambolo.
“E chi sarebbe? Qualcuno che credevi morto?”, fece l’altro, scherzando.
“No… di tutti i nomi di questa terra, qual è l’unico da non pronunciare in
presenza di tuo fratello?”
Bill rimase un attimo in silenzio.
“Oh mio dio no…”, disse poi, “Non Mac.”
“Esatto amico.”
“E… e che cosa ci fa lì?”, chiese l’altro, “Tom l’ha vista? Lo sa?”
“No, tranquillo. Ancora non si sono visti, né incontrati. Nessuno sa
dell’altro.”, lo tranquillizzò Gustav, “Anche io, quando l’ho vista, ho
stentato a riconoscerla. Non potevo crederci che fosse lei.”
“Come mai anche lei laggiù?”
“Mi ha detto di essere qua per lavoro. La sfiga è qualcosa in incalcolabile,
Bill. Lavora anche nel villaggio dove alloggiamo noi. Ma d’altra parte siamo
anche stati fortunati… in tutti questi giorni l’ho incontrata solo due volte e
Tom non si immagina nemmeno che lei sia nei paraggi. E così anche lei.”
“E’ pazzesco… Cazzo…”, fece lui, “Spero che, insomma, quando si
incontreranno non succederanno casini.”
“Credo che succederà oggi pomeriggio.”
“Perchè ne sei sicuro? Non puoi rimandare? Vuoi rovinargli la vacanza?”,
sbottò Bill.
“No che non voglio.”
“E allora trova un modo per tenerli lontani! Non ci posso credere… ma con
tutti i villaggi turistici di questo mondo dovevate andare proprio lì!”
“Con chi stai parlando?”, fece Tom, spuntandogli alle spalle inaspettatamente.
Era stato talmente impegnato con Bill che non lo aveva nemmeno sentito né visto
arrivare.
“Tom… sto parlando con tuo fratello.”, gli rispose.
“Passamelo un attimo.”, fece, tendendogli la mano per prendere il suo
cellulare, “Bill, ci sei ancora?”
“Hey… Tom! Come stai?”, fece lui, mascherando completamente ciò che
aveva appena saputo da Gustav.
“Tutto ok, tutto ok… a te va tutto bene?”
“Beh, certo che sì.”
“Benissimo! Allora ci sentiamo eh? Ciao!”
“Hey ma…”, riuscì a dire Bill, prima che la chiamata venisse bruscamente
chiusa da suo fratello. Di tutte le persone, di tutti i nomi, di tutte le
ragazze che poteva incontrare in quel posto… c’era Mac. Beh, almeno lui era
contento di sapere che lei stava bene. Non aveva saputo più niente da quando
lei aveva troncato il loro rapporto, per colpa di Tom. E Thiago non gli diceva
niente, sempre per il solito motivo. Non si sarebbe mai aspettato che lei,
notoriamente poco amante del mare, si trovasse in quel momento in un villaggio
turistico tropicale, a lavorare. Gli mancava, lo ammetteva, era stata un’amica
molto speciale…
Il destino.
Era proprio buffo.
Conosceva abbastanza bene suo fratello da poter dire che non sarebbe rimasto di
certo indifferente al sapere che lei era lì. Tom glielo aveva giurato, gli era
passata, se n’era fatto una ragione e sarebbe andato avanti per la sua strada.
Ma notava sempre una dose di incertezza, piccolissima, quasi invisibile, nelle
sue intenzioni….
Chissà cosa sarebbe successo.
Avrebbe voluto davvero essere lì per vederlo.
Erano le tre ed un
quarto quando la barca attraccò al molo. Scese, di corsa e si scusò per non
potere stare ad aiutarli nello scarico delle attrezzature. Doveva prepararsi
per l’eclissi ed aveva da fare diverse cose. Solo quarantacinque minuti di
tempo.
Correva, con i sandali in mano, sul bagnasciuga della spiaggia, e schizzava
tutti i bambini che giocavano a riva, provocando qualche piccola sommossa che
si concludeva con palle di fango sabbioso che le atterravano sulla schiena.
Passò davani al gazebo di Nagomi, che si era addormentato sul bancone. Fece
qualche passo indietro, sbattè con violenza il pugno sul legno e lo fece
svegliare di soprassalto.
“Mac! Ma sei deficiente!”, esclamò lui, che per poco non era caduto a terra.
“Sveglia!”, gli fece lei, riprendendo a correre. Sentì lui continuare ad
imprecare nella sua lingua madre e si voltò giusto per fargli la linguaccia.
Scansò abilmente tutti quelli che incontrò e, ansimando per la fatica, entrò
nel suo appartamento. Aveva tutta l’attrezzatura pronta sul letto, non le
rimase altro che prenderla ed uscire di nuovo.
Appesantita ma sempre di corsa, andò alla reception, dove avrebbe ritirato le
chiavi dell’automobile che aveva prenotato.
“Ciao Esther.”, disse alla ragazza che lavorava quel giorno alla reception.
“Hey Mac… ti vedo un po’ affaticata!”, disse, ironizzando sul suo ansimare.
“No, sono fresca come una rosa… le chiavi.”
“Come no!”, fece lei, aprendo un cassetto e lanciandogliene un paio, “Oggi vai
con il fuoristrada.”
“No… è un catorcio! Mi lascia sempre a piedi!”, protestò. Ogni volta quel
ferraglio mobile si rifiutava di ripartire, quando doveva tornarsene al
villaggio.
“Mi dispiace.”, fece lei, facendo spallucce.
“Ok… ma aspettati la mia chiamata di soccorso.”, disse Mac.
Infilò le chiavi tra i denti, era l’unico modo per portarsele dietro; riprese
le valigette ed uscì dal villaggio, individuando la vecchia carretta,
parcheggiata vicino all’entrata, tra altre macchine. Una volta
acceso il motore stanco, partì alla volta della scogliera. Non era molto
difficile arrivarci, bastava prendere a sinistra e poi continuare finchè la
strada non si interrompeva, cioè diventava sterrata. Non erano molto buone le
strade di quell’isola, giusto sufficientemente carreggiabili. Distava circa
quattro chilometri dal villaggio e ci si arrivava in pochi minuti. Era il punto
più alto di tutta l’isola ed, infatti, dopo il primo chilometro la strada
iniziò a salire.
Alle tre e trentacinque parcheggiò la macchina e, una volta scaricata
l’attrezzatura, si avviò sulla scogliera. Fino allo strapiombo, alto circa una
ventina di metri, la terra era ricoperta da un’erbetta bassa e verdognola,
qualche fiorellino viola e blu e solo un piccolo cespuglio abbarbicato sulla
roccia. Ecco, era arivata.
“Dai, che palle!
Tutti stanno qui a guardarsela, sulla spiaggia, e tu mi vuoi portare dove non
c’è anima viva! Sto iniziando a sospettare che tu voglia cercare di
approfittarti di me!”, fece Tom, indignato. Gustav gli aveva proposto
quell’assurda idea di andare a vedere l’eclissi in cima ad una scogliera,
mentre lui voleva approfittare di quel momento di notte diurna per cercare di
infilare le mani da qualche parte…
“Ce la godremo meglio lassù, fidati di me.”, gli ripetè Gustav.
“No, vacci da solo.”
“Ho pagato per prenderci una macchina a noleggio, adesso ci andiamo!”
“Potevamo discuterne prima. Ci andrai da solo!”, fece Tom, irremovibile.
“Come ti pare… vorrà dire che la sorpresa che volevo farti andrà a quel
paese!”, gli disse Gustav, mettendogli la pulce nell’orecchio.
Oramai si era deciso, o si incontravano, o lui perdeva la sanità mentale.
Meglio la prima ipotesi.
“Sorpresa? Quale sorpresa?”, gli fece lui.
“Visto che non vuoi venire posso anche dirtelo… avevo preso apputamento con due
belle svedesi.”
“Quando partiamo?”, esclamò Tom, strofinandosi le mani.
“Adesso… sono le tre e mezza, siamo già in ritardo, coglione.”, gli disse,
tirando fuori dalla tasca del suo costume le chiavi della macchina che aveva
affittato per l’occasione.
Wow, pensò Tom, due svedesi. Cavolo, quelle erano proprio disinibite…
“E quando le hai conosciute?”, gli chiese, intanto che si stavano avviando
verso l’uscita del villaggio.
“Prima.”, rispose Gustav.
“Prima quando?”
“Prima prima.”
“Sì, va bene… ma prima prima quando?”
“Quando tu eri a letto.”, gli fece l’altro, scocciato.
“Ah… e perchè loro la vanno a vederla lassù?”
“Che ne so! Così mi hanno detto!”
“Non vorrei che ci dessero buca.”, fece Tom, “Altrimenti mi girerebbero molto
le scatole.”
“Tranquillo… me lo hanno assicurato.”
“Ti hanno lasciato qualcosa, che so, una caparra…”
“Chiudi quella cazzo di bocca, Tom!”, disse Gustav.
“Ok… qual è la nostra macchina?”, chiese di nuovo, dopo qualche attimo di
silenzio.
“E’ questa.”, fece lui, indicandogli quella rossa, davanti ai loro occhi.
“Beh… questo villaggio prevede un rimborso figure di merda causate da vecchi
catorci di macchina?”, fece Tom, osservando la piccola utilitaria rossa che
Gustav gli aveva indicato.
“No, ma hanno il rimborso denti rotti se non ti cheti all’istante.”, gli sibilò
l’altro, mentre entravano in macchina.
“Ok… sto zitto. Sai che strada dobbiamo fare?”
“Tom!”, gli gridò, perdendo la pazienza, “Ti ho detto di stare zitto! Lo so io
cosa dobbiamo fare!”
Tom, guardando dentro gli occhi spalancati di Gustav comprese che era meglio
stare zitto e si mimetizzò con la tappezzeria,. Anche se aveva un altro
paio di domande in testa, si fece il segno delle labbra cucite e si mise buono.
La macchina si mise in moto e preso furono sulla strada.
“Quando arriviamo lassù promettimi che rimarrai in macchina finchè non te lo
dico io.”, gli disse Gustav, interrompendo il silenzio di ferro, dopo circa un
minuto.
“Ok, mica voglio farmi squartare da uno psicopatico come te!”, fece Tom.
“Perfetto.”
“E perchè devo rimanere in macchina?”, gli chiese.
Lo sguardo di Gustav fu più che eloquente. Di nuovo, Tom si passò le dita sulla
bocca, facendo finta di chiuderla con una zip, e si zittì.
La strada si fece in salita, non eccessivamente, solo un po’.
“Tra un po’ dovremmo essere arrivati.”, fece Gustav, “Promettimi di nuovo che
rimarrai in macchina finchè non ti farò segno di scendere.”
“D’accordo.”, rispose l’altro.
Se c’era un motivo per quella sorta di precauzione, o come diavolo la si voleva
chiamare, Tom non l’aveva capito. Si era spaventato un po’ nel vedere gli occhi
rossi di rabbia di Gustav, sapeva che era meglio stargli lontano quando si
incazzava. Si mise a guardare fuori dal finestrino, ovviamente aperto, con il
braccio che penzolava di fuori.
La macchina si fermò dietro ad un’altra, un fuoristrada dall’aspetto un pochino
malandato. Entrambe avevano il cofano puntato verso la scogliera, che saliva
ancora di poco, per poi appiattirsi.
“Siamo arrivati.”, disse Gustav, dopo aver preso un sospiro. Fece salire il suo
finestrino e scese dall’auto.
“Cavolo… con questo sole non vedo un cavolo.”, fece Tom, rimasto all’interno
della macchina. Si parò dalla luce intensa con una mano e guardò sulla
scogliera. Per prima cosa vide una macchina fotografica su un cavalletto e poi
nessuna delle due bionde stangone che si era immaginato. C’era solamente una
ragazza, mora, che se ne stava seduta sul bordo dello strapiombo.
“Hey… dove sono le bionde che mi avevi promesso?”, gli fece.
“Ci sono, molto probabilmente si sono allontanate.”
“Certo… io me ne vado, non sto qui a farti il terzo incomodo con la mora!”,
protestò Tom, incollerito.
Ma Gustav, prima che lui potesse muoversi per scendere dall’auto per prendere
il posto del guidatore, sfilò le chiavi dal cruscotto.
“Aspettami qui e non muoverti per niente al mondo finchè non ti farò cenno.”,
fece Gustav, mentre chiudeva la portiera e si allontanava.
Bene, pensò Tom, se lo era fatto mettere in quel posto. E senza vasellina! Se
avesse dato retta al suo cevello, che gli diceva di rimanere fermo sulla
spiaggia, a quest’ora aveva sicuramente rimediato una ragazza con cui... ed
invece aveva dato retta al suo coso, quell’essere pestifero che viveva
attaccato in mezzo alle gambe e che era dotato di pensiero autonomo. Stancatosi
del comportamento irrazionale dell’amico, scese il cappello sugli occhi, si
sistemò sul seggiolino e si dedicò ad un pisolino.
Gustav, leggermente nervoso, si avvicinò a Mac, seduta sul bordo della
scogliera.
“Siamo arrivati.”, disse Gustav, sedendosi accanto a lei, che se ne stava a
naso per aria, con una lastra di vetro nero davanti agli occhi.
“Se siete passati davanti all’obiettivo della macchina vi butto di sotto.”,
disse lei, senza muovere lo sguardo dal sole.
“No, tranquilla, non ci sono passato davanti.”
“Non ci sei o non ci siete?”, fece lei.
“Non ci sono, al singolare. E’ in macchina.”
“Falla scendere!”, esclamò l’altra, distogliendosi dalla sua visione.
“Si sta sistemando, adesso viene. Piuttosto, vuoi fotografare l’eclissi?”
“Sì, voglio fare una specie di filmato. Mi sono fatta mandare un obiettivo
particolare, con un filtro ottico per le fotografie da fare al sole. Sto
facendo fare una fotografia ogni cinque secondi, così poi da fare una specie
di… come spiegarti.”
“Le manderai velocemente in sequenza e verrà un filmato. Solo che non lo è…
come un cartone animato, fai muovere tutti i disegni.”
“Sì, esatto proprio così.”, fece lei, alzandosi e, senza oscurare l’obiettivo,
si spostò dietro la macchina fotografica. Lanciò una veloce occhiata alla
macchina con cui era arrivato Gustav, ma non vide molto perchè il sole
rifletteva sul parabrezza, facendole brillare gli occhi.
“Non ti preoccupare… ora viene.”, disse Gustav, notando che la rifrazione le
impediva la vista.
Beh, pensò il ragazzo, sembrava di essere in un film...
“Sono le tre e cinquantanove, se non si sbriga perderà il momento migliore.”,
disse Mac, porgendogli il vetro nero
Gustav lo prese anche se non ne aveva bisogno. Oramai si vedeva già che il sole
stava per essere oscurato completamente.
Cacchio, pensò Tom,
quel seggiolino era così scomodo che non c’era nemmeno verso di addormentarsi.
L’eclissi? Chi se ne fregava, Gustav lo aveva fregato per spassarsela con la
sua amichetta. Lanciò una rapida occhiata ai due piccioncini seduti sulla
scogliera. Sperò che almeno la ragazza fosse decentemente bella da fargli
perdere l’occasione di potersi divertire con qualcun’altra della sua specie!
Si stava alzando, così l’avrebbe vista anche in faccia e poteva darle un
giudizio.
La vide voltarsi nella sua direzione e mettersi una mano sugli occhi per
pararsi il sole, mentre guardava verso la macchina.
Come morto, il suo cuore si fermò.
Poi prese a battere forte, così forte, che sentiva solo il suo rumore.
Mac.
Rose…
Nonostante i capelli lunghi neri… era lei. Lei.
Rose era lì, sulla sua stessa isola.
Una folla di pensieri gli investì la mente.
Pensieri, troppi pensieri.
Troppa poca lucidità mentale per riuscire ad organizzarli razionalmente.
Prima di tutto, doveva far calmare il suo cuore.
No, le lacrime no…
Cazzo…
“Vieni a vedere
Gustav.”, gli disse lei, facendogli gesto di raggiungerla, dietro alla macchina
fotografica.
Lui si alzò e la seguì.
“Vedi, uno scatto ogni cinque secondi.”, gli diceva lei, facendogli vedere che
l’immagine sul piccolo schermo della sua macchina fotografica cambiava
esattamente ogni cinque secondi.
“Interessante… guarda, oramai sono quasi sovrapposti.”, fece lui, andando verso
il bordo della scogliera.
“Beh… allora fai cenno alla tua ragazza di venire.”, disse lei.
Con gli occhi coperti dal vetro luminoso, Mac sentiva il suo cuore emozionarsi
per lo spettacolo che stava per spiegarsi davanti a lei. Era totalmente rapita
e sperò che la ragazza di Gustav non se ne avesse a male se lei la ignorava per
tutta la durata di quel fenomeno così bello…
Con la coda dell’occhio, vide Gustav fare cenno verso la macchina.
Ecco. Le quattro e tre.
Sole e luna che si incontravano, dandole un brivido unico,
impareggiabile. Tolse il vetro dagli occhi e, con la la bocca socchiusa per lo
stupore, vide compirsi l’eclisse. Sentì mancarle il fiato, tanti erano i
sentimenti che la affolavano dentro, apparsi tutti insieme
Sole e Luna.
Una cornice di luce su un quadro nero. Intorno il buio. I raggi solari, quasi
bianchi, illuminavano i contorno della luna. Un’atmosfera aliena.
Come due amanti, in una storia romantica, che erano divisi per sempre tranne in
quell’unico momento.
Come due amanti.
Sole e Luna.
Si era fatto buio. Una notte innaturale. Oscurità.
Tutto era diventato scuro, invisibile, nero.
Si sentì scuotere da un brivido.
Comparvero anche le stelle, in quel giorno notturno così surreale.
Un sogno.
Un quadro astratto.
E lei lo stava fotografando, in ogni suo momento.
Ma nessuno di quegli scatti le avrebbero ridato l’emozione che stava provando
in quel momento.
Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla sinistra.
“Solo… solo un momento…”, riuscì a dire. Sentì la sua voce rompresi.
Erano così intense tutte le sensazioni che la stavano travolgendo, che non
tratteneva più le lacrime. Mentre cercava di dare una parola a quello che
provava, una lacrima le scese lungo la guancia, rapida.
Ed il corso naturale degli eventi separò di nuovo i due amanti. Lentamente, il
sole tornò ad affacciarsi sulla terra.
Separati, poi uniti in un momento intensissimo. Poi di nuovo soli.
Guardò l’orologio che aveva al polso, lo aveva messo solo per scrupolosità.
Aveva sempre odiato gli orologi.
Le quattro e dieci. Era durata sette lunghissimi minuti.
Sette minuti eterni.
Si passò una mano sulla guancia bagnata, per eliminare la traccia di quella
lacrima.
Poi si voltò.
Una nuova eclisse.
Tom, in piedi, davanti a lei.
Inutile dire che era lui ‘la ragazza’ di Gustav.
Aveva saputo prima di quel momento che c’era anche lei, su quell’isola?
Forse no.
Forse l’aveva vista anche lui solo adesso.
Rimasero a guardarsi, senza dire una parola.
Troppa sorpresa per entrambi.
Non si erano più visti da quel giorno.
Si erano detti addio definitivamente.
E ora erano lì.
L’uno di fronte all’altra.
Fu un’altra eclissi, per Mac, che non trovava il bandolo della matassa
aggrovigliata dei suoi sentimenti.
Fu un pugno in pieno stomaco, per Tom, che si sentiva mancare il fiato,
strozzato dall’emozione.
E stava tornando a fare giorno.
Allora... inizio a dire che non sono mai stata alle Seychelles, le ho solo
studiate sui libri di geografia... REALMENTE NON ESISTE l'isola di
questa storia e, sicuramente, nella realtà non c'è manco l'ombra di un'isola
con una scogliera da quelle parti... se non ricordo male, dovrebbero essere tutti
atolli ed isole sabbiose, quindi passatemi questa necessità
'letteraria'....
Ah! So anche poco di obiettivi per le macchine fotografiche. Quel poco che
conosco lo ricavo da qualche conoscenza acquisita con l'astronomia: per
guardare il sole con un telescopio ci vuole ovviamente un obiettivo apposito,
con un filtro ottico speciale eccetera eccetera...
Ed infine... quello che so dell'eclissi l'ho letto su un libro, specialmente su
'Dolores Claibourne' di Stephen King... e sempre su un libro di
astronomia.
Tutto questo per dire che, se ci sono degli errori... scusatemi, non sono
un'enciclopedia!
Speciale inserto per Gustav... poverino, sempre a combattere tra
quei due, Gustronzo e Gustoso (dio quanto sono patetici questi soprannomi...)
Piccino, già viene voglia di strappazzarlo di coccole come Topo Gigio... ora
dobbiamo direttamente prenderlo e fargli la statua.
Lascio come sempre il mio contatto hotmail: sil.stellina@hotmail.it
così se volete scambiare quattro cacchiate direttamente con me potete farlo!
Adesso.... via con i ringraziamenti. Stavolta li faccio a tutte!
Breve , senza senso e concisa!...
come sempre!
CowgirlSara - Sososisu : vi lovvo, vi liebo, vi quiero,
vi jaimo... cosa rimane???? ah sì... BIMBOMINKIA nel cuore e
nell'anima!!!
Alanadepp: spero che ti impegnerai di più nelle prossime recensioni,
sono sempre fuori tema XDDD ma vanno bene lo stesso! alla prossima!
Starfi: e nel prossimo capitolo, vedrai la scena del crimine, ma chiama
quello di colore con gli occhi di ghiaccio (come cavolo si chiama... forse
Warrick?) che è meglio... va bene?
Quoqquoriquo: oh meno male! l'altra volta il capitolo di
transizione non ti era piaciuto... sono molto contenta XD
Sarakey: amici? quei due? neeeeeeeee XDDD
Picchia: XD va bene come risposta al tuo ;) ? XD
Ruka88: io dire più che gioco dell'oca... monopoli! spero di non
diventare noiosa come quel gioco, che peraltro amo ma che ritengo sfiancante,
nei prossimi capitoli!
Piscula: eh la pizza, la pizza! fautrice di tanti amori e di tante disgrazie...
ma che sto dicendo? boh... sarà che è mezzanotte...
Anna9223: per i dipendenti da mie fic da questa parte! prego, andate in
ordine ed in fila! e non gridate troppo!
Gufo: calme calme! dei gugu ce n'è per tutte!
SweetPissy: un'altra estimatrice di nagomi! piccino, è all'ombra di
thiago, ma anche lui è un personaggione! avrà un capitolo in parte dedicato
solo a lui! piccino, ha la faccia di Ando di Heroes, non so se hai presente...
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Capitolo 13 *** No Regrets ***
Consiglio:
mettetevi, se ce l'avete, come colonna sonora la canzone 'Apologize', di
Timbaland featuring One Republic. I prossimi capitoli li ho scritti con quella
canzone in testa. E' troppo bella...
Ed è anche in tema.
It's too late to
apologize...
It's too late...
But I need you like a heart needs a beat...
13. NO REGRETS
Non
sapeva quanto tempo era passato da quando lei si era voltata a quando lui le
aveva parlato. Ma poteva definirlo con una parola: eternità.
“Rose…”, le disse, con un filo di voce.
La bocca di lei, prima stupita, si chiuse. Si serrò. I suoi occhi, prima
stupefatti, adesso non lo erano più. Ma non si staccavano dai suoi.
“Io… io… volevo dirti una cosa.”, disse Tom, inghiottendo il magone che gli era
salito in gola. No, non doveva piangere. Non davanti a lei, che non pareva
intenzionata a parlare.
“Scusa.”, le disse, “Scusami.”
Lei si passò velocemente la lingua sulle labbra.
“No.”, disse, abbassando gli occhi.
“Lo sapevo.”, disse Tom, dopo qualche attimo di silenzio. Se l’era sempre
aspettata quella risposta.
“E’ troppo tardi per scusarsi.”
“Lo so.”, ripetè Tom, “Ma volevo dirtelo lo stesso.”
“Ok.”, fece Mac, “Adesso… adesso devo smontare la mia attrezzatura.”
Si voltò e si mise ad aggeggiare con la sua macchina fotografica.
Era tornato il sole.
Non c’erano più Sole e Luna. La loro storia era stata come un’eclissi. Due
corpi opposti, diversi, che si erano incontrati per un breve e lungo momento…
ed adesso entrambi erano separati. Per sempre
Sentì i passi di lui allontanarsi, tornarsene indietro.
Le sue mani tremavano, le era impossibile riuscire a svitare tutti i fermi che
tenevano bloccata la macchina sul suo cavalletto.
La macchina si mise in moto e ripartì.
Solo in quel momento si voltò, con gli occhi che piangevano.
No, non era possibile…
Non poteva essere lì.
Di tutte le isole di tutto il mondo, non la sua.
Ma c’era.
E lei non se ne poteva fuggire di nuovo.
No, non lo avrebbe fatto, anche se la tentazione era tanta.
A ventotto anni doveva riuscire a prendere per i capelli la sua vita. Stringere
i denti.
Ed affrontare i suoi sentimenti.
Le ci volle una vita per smontare la macchina dal cavalletto, separarla
dall’obiettivo, rimetterla dentro la sua custodia, ripiegare il cavalletto e
infilare tutto dentro all’auto. Non era facile farlo mentre si piangeva.
Tornò al villaggio. Si sentiva triste, distrutta. In un attimo le era parso di
buttare via tutto, di rinunciare a tutte le sue convinzioni. Credeva di avere
dimenticato. Credeva di aver lasciato tutto alle spalle.
Poi, mentre guidava, si era data dell’idiota, della scema. Mai tornare
indietro, mai ripercorrere i propri passi. Non importava se era stata contenta,
anche solo per un secondo, di vederlo di nuovo. Non importava l’aver sentito un
guizzo dentro. Perchè era stata tutto questione di un momento, l’aveva trovata
debole. No, no no no, si diceva, mentre entrava nel suo appartamento.
Ognuno per la sua strada, ognuno in direzioni opposte.
Prese il telefono, si sdraiò sul letto e compose il numero di Thiago. Almeno
lui poteva dirle qual’era la cosa giusta da fare…
La macchina
traballava, tremava. L’asfalto era bucherellato in ogni suo centimetro. Il
rumore del motore era l’unico che si sentiva.
Lanciò un paio di occhiate a Tom.
Fisso, fuori dal finestrino. Il gomito destro appoggiato sul bordo della
portiera, si mordicchiava il pollice.
“Lo so che avrei dovuto dirtelo prima.”, gli disse.
“No, lascia stare.”, disse Tom.
“L’ho vista il giorno dopo che siamo arrivati. Non avevo la più pallida idea
che lei fosse qui. Ho pensato a lungo a quello che sarebbe stato giusto fare… e
sono arrivato alla semplice conclusione che prima o poi vi sareste incontrati
lo stesso.”
“Lo so.”, disse Tom, sospirando, “Non potevi di certo stare a fare il cerbero.”
“E’ solo che… insomma, mi sento in colpa. Con entrambi.”, disse Gustav, dando
una pacca sul volante per la rabbia.
“Dai, Gusti… tu non c’entri niente.”, gli disse Tom, sorridendogli.
“Mi dispiace.”
“Perdonato. Come si fa a tenerti il muso, con questo bel visino pacioccoso?”,
gli fece Tom sorridendogli, prendendolo per una guancia.
E adesso? Cosa doveva fare?
Come si doveva comportare?
Fare quello che se ne fregava? Ovvio che sì.
Ma come…
Per tutto il resto del tragitto rimase in silenzio. Non aveva niente da dire.
Non aveva niente da pensare. Disse a Gustav che avrebbe concluso la giornata a
letto. Lui comprese e, dopo aver preso il suo telo da mare, lo lasciò solo, nel
loro appartamento.
Sdraiato sul divano, con la televisione che parlava in francese in un canale
assurdamente incomprensibile, prese il cellulare, e tenne premuto il tasto
numero uno. Dopo qualche decina di squilli, all’altro capo tuonò la voce di suo
fratello.
“Se non hai niente di buono da dirmi per piacere parla dopo il bip. ”,
disse l’altro, con voce scocciata.
“Dai Bill…”
“Prima mi hai attaccato il telefono in faccia!”, fece l’altro, “Sei
un deficiente!”
“Bill… stammi a sentire una volta ogni tanto, non fare sempre la checca
incazzata.”, gli disse Tom, con voce bassa e seria.
“Cosa è successo?… anche se posso immaginarmelo.”, disse Bill,
sospirando.
“Stavo
dormendo Mac…”, disse Thiago, con voce roca, dopo che ebbe accettato la
chiamata dell’amica.
“Mi dispiace, Thi… fatto tardi ieri sera?”, gli chiese lei, anche se poco
interessata.
“Sì, abbastanza… volevo dormire fino all’ora di pranzo ma ormai…”, fece
l’altro, rischiarandosi la voce.
“Sempre a farmi pesare le cose…”, disse Mac, scocciata.
“Dai, come va? L’hai vista l’eclissi? Andata bene?””, disse Thiago,
notando subito un certo tono triste nella sua voce..
“Almeno quella è andata bene.”, gli disse Mac, che aveva iniziato a
giocherellare con una ciocca di capelli.
“Perchè dici così?”, chiese l’altro.
“Perchè… dai, non userò giochi di parole. Qua c’è Tom.”
“Tu lo
sapevi che era qua?”, domandò al fratello.
“No, Tomi, non lo sapevo, posso giurartelo.”
“Tranquillo, non importa. Non lo sapeva nemmeno Gustav, l’ha incontrata il
primo giorno di vacanza.”
“So che è una domanda stupida ma… come ti senti?”
Tom ci riflettè per un attimo. Non sapeva dare una parola a quello che sentiva…
“Non lo so… una domanda più facile? Ce l’hai?”, gli disse lui. Si dette una
pacca sulla testa, il cappellino gli scese sugli occhi, “Cazzo com’è piccolo il
mondo… pensi di non incontrarti mai più e poi, per caso… sempre per caso.”
Thiago
rimase in silenzio per qualche secondo. Fece per parlare almeno due volte ma
trattenne tutte le imprecazioni che avrebbe voluto dire.
“Tom? Come ha saputo che eri lì?”, esplose l’altro.
Dopo la loro rottura, fu inevitabile che anche loro due litigassero. Thiago, da
migliore amico di Mac, rinfacciò continuamente a Tom ciò che aveva fatto,
finchè lui non gli si rivoltò, e scoppiò una lite furibonda tra i due.
Era incredibile quanto la loro storia avesse coinvolto anche le vite di coloro
che erano estranei alla loro relazione, ma che comunque erano molto legati ad
entrambi da vincoli di affetto. Era squallido, ma era successo.
“Non lo ha saputo da nessuno… è venuto qua in vacanza con Gustav… casualmente.
Ci siamo incontrati durante l’eclissi.”
“Sì…
possiamo dire che tra voi ha sempre funzionato la teoria del caso. Se ti
ricordi, anche io la incontrai, per caso, quella sera prima di Natale, dopo che
eravate rimasti separati per un anno…”, gli fece Bill.
"Già… secondo te è possibile una cosa del genere? Voglio dire, sempre
questo fottuto destino…”
“Apparentemente sì.”
“Gesù…
c’è una chiesa da quelle parti?”, le domandò Thiago.
"Beh… sì… perchè?”, fece Mac, non comprendendo quale fosse lo scopo di
quella domanda.
“Ecco, vai ad accendere una candela, prega e farti esorcizzare. Mac, sei
sfigata.”, le disse.
Mac sbuffò in una risata. Come riusciva farla ridere lui, anche quando aveva
solo la forza per piangere, non ci era mai riuscito nessuno.
“Che cosa vi siete detti?”, le fece poi, tornando serio.
“Niente… lui mi ha chiesto scusa. Ovviamente gli ho risposto che era troppo
tardi.”
“Cazzo…
passi dei mesi a fartene una ragione, ad analizzare ogni singola causa. Provi a
dimenticare, in ogni modo. Ci riesci. E poi…”, disse Tom.
"Mi dispiace…”, gli disse suo fratello, con voce affranta, “Non
so nemmeno come consigliarti. E… cosa vi siete detti?”
“Le ho chiesto scusa.”
“E lei?.”
“Mi ha detto che era troppo tardi.”, disse Tom. Di nuovo il magone da inghiottire,
ma quella volta fu più difficile, “Come avevi detto tu Bill.”
“Detto cosa?”
“Che il tuo perdono era l’unico che avrei avuto.”
“Dai, te l’ho detto perchè ero arrabbiato.”, fece l’altro.
“Ed invece avevi ragione. Bill… cosa devo fare?”, gli chiese, quasi
implorandolo.
“Non lo so… vedi un po’ come si comporta lei.”
“Thi…
che palle!”, esclamò Mac, quasi gridandolo, “Non ne posso più, odio gli
scheletri nell’armadio ed il mio pensavo di averlo pulito bene. ”
“Ma che prodotto hai usato?”, le fece Thiago, continuando sulla sua
allegoria.
“Sicuramente qualcosa di andato a male… Thi, che devo fare? Impacchetto la mia
roba e scappo di nuovo?”
“La mia casa è troppo piccola per tutti i nostri problemi. E poi hai un
lavoro, anzi, due lavori. E anche ventotto anni, alla tua età non si fugg più.”
“Ma che consiglio è? Devo mettermi a fare lo spione per
vedere come si comporta? Se sarò fortunato si metterà a fare la caccia
alle streghe… oppure fuggirà via di nuovo.”
“Fammi capire Tomi… anche se c’è poco da capire… ma tu cosa provi…”
“Non lo so Bill!”, disse lui, interrompendolo. Non lo sapeva cosa
stava provando in quel momento. Era troppo difficile.
E non ce la faceva più a trattenersi. Stava piangendo.
Non lo faceva più da diverso tempo.
Cazzo quanto faceva male piangere di nuovo.
“Calmati… Non so davvero cosa dirti. Dipende tutto da te, Tomi. Da quello
che senti.”
“Da me… sempre da me! Dipende sempre tutto da me!”, disse lui. Provava a non
singhiozzare e ogni volta sentiva sempre più male dentro. Sempre di più.
Si era promesso che non avrebbe mai più provato tutto quel dolore, che non ne
valeva la pena amare per poi sentire spaccarsi il cuore dentro. Non si
ricordava chi aveva detto che era meglio amare ed aver sofferto che non aver
amato mai, ma sicuramente era un coglione. Era uno che non aveva amato mai.
“Non piangere, fai stare male anche me.”, gli disse Bill.
“Odio questa vacanza! Odio questo posto! Voglio tornare a casa!”, iniziò a dire
Tom.
“Che cosa ti passa per la testa, Tom? Sei impazzito?”, lo rimproverò
Bill, “Avevi imparato ad affrontare i tuoi problemi… e ora ti carichi le
gambe in spalla e te ne vai via, come un bambino? Devi essere responsabile!”
“Non
voglio incontrarlo nel villaggio, non voglio vederlo in spiaggia. Non voglio
vederlo e basta.”
“E qual è il tuo problema Mac? Se non sbaglio tu mi avevi giurato sulla
nostra amicizia che avevi dimenticato tutto, che era tutto parte del passato.”,
le disse Thiago, “Allora non dovresti avere problemi ad incontrarlo di
nuovo.”
“Thi…”, fece Mac, sperando di essere compresa.
“No, Thi un bel niente! Uno come lui non si merita nessuna delle tue
lacrime. Quindi smetti di frignare e prendi la situazione di petto. Fagli
vedere che sei un’altra persona, che sei Mac e non più Rose. E che non te ne
frega un bel niente di lui.”
“Mettiti nei miei panni, Thi! Non è facile!”, protestò Mac.
“Basta, mi hai stufato, rivoglio la Mac che non si piange addosso come una
bambina dell’asilo. Ti ho detto cosa devi fare: vai fuori e se lo incontri
salutalo, mandalo a fanculo da parte mia, e ti volti dall’altra parte. Se è
vero che hai ripulito per bene il tuo armadio, non ci dovrebbero essere
problemi… o sbaglio?”, fece Thiago.
“Ok… grazie per il consiglio, Thi.”, disse Mac, asciugandosi le lacrime.
“Ma di cosa… Ti voglio bene.”, gli fece lui, mandandole un bacio.
“Anche io. Ci sentiamo.”
Chiuse la chiamata frettolosamente… non aveva più voglia di parlare.
“Mettiti
nei miei panni!”, protestò Tom con il fratello, che non lo stava comprendendo.
“Mettiti nei miei panni un bel corno, Tom!”, continuò Bill, partendo per
la tangente, “Adesso ti soffi il naso, fai un bel respiro e affronti la
vita. Se fuggirai per sempre, non imparerai mai dai tuoi errori.”
“Aspetta un attimo… prima mi dici che non sai cosa consigliarmi, poi di guardare
cosa fa lei... e di affrontarla?”, sbottò Tom.
“Non lo so qual è la cosa giusta da fare.”, gli ripetè Bill, “Ma
quello che so per certo è che siete fuggiti per troppo tempo l’uno dall’altra e
che non risolverete mai le vostre questioni sospese continuando a farlo. Se
proseguirete a farlo e, un giorno, vi ritroverete, sarà la stessa identica cosa.”
“Non ci sono questioni in sospeso tra noi.”, disse Tom.
“Cazzo… sei proprio cretino, permettimi di dirtelo… e ora scusami ma avrei
qualcosa di importante da fare.”
“Va bene, ho capito, signorina bei consigli.”, esclamò Tom, chiudendo la
chiamata.
Nemmeno lui sapeva dirgli cosa fare. Nemmeno suo fratello. Odiava questa
situazione del cazzo. Odiava contraddirsi, odiava pensare una cosa e provarne
un’altra, odiava dire una cosa e farne un’altra… coerenza, nella vita ci voleva
coerenza.
E allora doveva essere coerente. Basta, Mac aveva la sua vita, lui aveva la
sua. Sfortunatamente si erano incontrati di nuovo, soprattutto casualmente.
Cosa potevano fare? Niente, continuare ognuno per la sua strada. Lui era un
tipo che si piangeva addosso? Assolutamente no, era uno che se cadeva, si
rialzava e, a testa alta, riprendeva a camminare.
Andò in camera, si tolse il costume per mettersene un altro. Afferrò il suo
asciugamano e, anche se gli occhi arrossati e stanchi gli dolevano, se ne andò
in spiaggia.
Posò il
telefono sul letto. Tirò un lungo sospiro. Si stropicciò gli occhi e si alzò.
Non poteva far condizionare la sua vita da un semplice incontro con il passato.
No, doveva rinchiudere a chiave la Mac piagnona nell’armadio, quello che
credeva pulito, lustrato come uno specchio. Andò in bagno, si fece
una doccia veloce e infilò il primo costume che trovò a penzoloni sul
lavandino. Poi tornò nella camera e, dopo una maglietta ed un paio di
pantaloncini, indossò il suo cappello d’ordinanza sulla testa. Era pronta per
il suo turno di animazione.
La piscina per i bambini era gremita di ragazzini urlanti, dai
quattro ai dieci anni. Appena la videro, iniziarono ad esultare ed a chiamarla.
Mac si tolse la maglietta e si tuffò in mezzo a loro, che presero ad affollarsi
intorno a lei.
“Su, avanti, a cosa giochiamo oggi pomeriggio?”, chiese a tutti loro.
Non una proposta fu comprensibile: trenta o più bambini iniziarono a
chiedere a gran voce di giocare a tutti i loro giochi preferiti, assordando non
solo Mac ma anche tutti i loro vigili genitori nelle vicinanze.
Costretta dalla necessità, Mac si infilò due dita in bocca e
fischiò, riportando il silenzio.
“Visto che nessuno sa mettersi d’accordo con l’altro, mettiamo su un
po’ di musica e balliamo tutti insieme!”
a sua proposta fu accolta da tutti. Mac uscì fuori dall’acqua e si avvicinò ad
una specie di colonnina di legno.
La aprì con la chiave che stava appesa ad un chiodo nel legno e schiacciò
alcuni pulsanti, avviando l’impianto, che iniziò a trasmettere, da alcune casse
poste su dei pali, le classiche musiche per bambini.
Oramai conosceva tutte le coreografie e, entrando in acqua, tutti i bambini
iniziarono a copiarla ed a cantare insieme a lei. Tra la canzone del granchio
ballerino, della cozza innamorata, dell’elefante assonnato e del pesce
bastoncino, Mac si dimenticò di quello che era successo.
“Ma che bravi che siete! Avete imparato tutti i passi, vi siete impegnati!”,
disse Mac, dopo la canzone dell’erba cipollina e del gatto cipollone. Poi,
sentì le note iniziali della musica successiva, quella della nuvola impazzita…
potevano essere stupide le canzoni per i bambini, ma loro si divertivano a
cantare e a ballare, quindi era più che sufficiente.
“Vado a prendere da
bere.”, disse Gustav, alla fine dello spareggio per i mondiali di calcio, che
li aveva visti sconfitti dalla squadra degli olandesi.
“No, vado io, ho anche bisogno del bagno.”, fece Tom.
“Sei… insomma, sei sicuro?”, gli fece Gustav, con sguardo di comprensione
“E dai, ti ho detto che vado io! Vado io!”, gli ripetè Tom, “Cosa vuoi?”
“Acqua.”
“Perfetto.”, disse, mentre prendeva le sue ciabatte.
Camminando sulla passerella, per evitare di scottarsi i piedi sulla sabbia rovente,
tornò all’interno del villaggio. Si fermò al primo bagno che trovò e poi
riprese nella direzione del grande bar centrale, quello vicino alla grande
piscina. Mentre camminava, si chiese come potessero trasmettere quelle
musichine idiote. Sicuramente era per il divertimento dei bambini.
Si avvicinò al bancone ed ordinò una bottiglia di acqua. Nell’attesa, si voltò
a guardare che tipo di gente avesse intorno. Sembrava di essere in un parco per
bambini: solo marmocchi, con i loro genitori. Ma che bello…
Il barista gli picchiettò sulla spalla per attirare la sua attenzione, gli
dette la sua bottiglia.
“Bella musica.”, gli disse.
L’altro non capì, evidentemente non parlava tedesco, allora tradusse la sua
affermazione in inglese, sperando che lui comprendesse.
“E’ per l’animazione dei bambini.”, gli rivelò l’altro, nella medesima lingua,
facendo spallucce.
Poi gli indicò verso la piscina dei bambini.
Si ricordava di quanto tempo potesse passare Mac in compagnia dei bambini senza
stancarsi. Molte volte aveva fatto la baby sitter alle gemelline Listing,
stando ore ed ore a fare boccacce, a coccolarle e a giocherellare con loro. In
quel momento sembrava passarsela molto bene, in mezzo a bambini che cantavano
insieme a lei le parole della canzone, che lui non conosceva perchè in francese.
Era cambiata, tantissimo. I capelli neri le davano un’aria molto particolare,
non sapeva come definirla… la preferiva nettamente con il suo colore naturale,
il biondo. Lunghe trecce, pelle scura. Non sembrava nemmeno lei.
“Carina, non trovi?”, gli disse il barista, appoggiando le braccia sul bancone,
vicino a lui.
“Cosa?”
“Carina, l’animatrice nella piscina…. Si chiama Mackenzie.”, si spiegò l’altro.
“Beh… abbastanza.”, disse Tom, facendo finta di non conoscerla, “Lavora qua dentro?”
“No, non lavora solo qui. Lo fa solo per divertimento.”, gli spiegò lui,
sorridendogli con complicità, “E’ qui da tre mesi, o quattro, non so. Fa delle
ricerche subacquee con un tipo. E’ quello il suo lavoro.”
“Un tipo?”, fece Tom, rimanendo sempre sul vago.
“Sì, uno tedesco come lei. Lavorano per un’azienda, fanno ricerche, roba così…”
“Ah… interessante.”
“Abita qua nel villaggio, dove ci sono gli appartamenti di noi dipendenti”,
continuò l’altro. Si guardavano negli occhi, cercando di capire quali fossero
le intenzioni dell’altro.
“Sì?”
“Sì… ma rassegnati amico.”, gli fece il barista, dandogli una pacca sulle
spalle, “Quella ragazza è una che te la fa attendere degli anni. Se la tira
troppo per i miei gusti...”
“E sarebbe?”, disse Tom, con tono accusatorio.
“Hey amico… calmati! Fosse la tua ragazza!”, esclamò il barista, allontanandosi
indignato.
“Ah… scusami.”, fece Tom, imbarazzato.
Lanciò un ultimo sguardo verso Mac, poi tornò da Gustav. Con la bottiglia in
mano, scese velocemente le scalette che portavano direttamente alla spiaggia e,
mentre era immerso nei suoi pensieri, la sua spalla destra si scontrò con
quella di un’altra persona.
Alzò gli occhi velocemente e chiese scusa al ragazzo asiatico che aveva di
lato. Lui non ricambiò, rimanendo a fissarlo ad occhi spalancati. Tom si chiese
che cazzo aveva per guardarlo in quel modo e se ne fregò della sua risposta.
Concluse la scalinata e si perse tra i lettini.
“Ok ragazzi, adesso
vado a bere qualcosa. Ci vediamo tra dieci minuti!”, disse Mac, uscendo
dall’acqua.
“No!”, fu il coro generale dei bambini
“Dai, ce la fate anche senza di me!”, fece Mac, mentre si allontanava e si
avvicinava al bar.
Tony, il ragazzo che faceva il turno quel pomeriggio, dietro al bancone, appena
la vide arrivare tirò fuori una bottiglietta di acqua tonica, se la passo
acrobaticamente tra le mani, la stappò, imbrattandosi per via dello
shackeramento che aveva eccitato le particelle di anidride carbonica e fu
costretto a servirgliene un’altra, a meno che non volesse raccogliere quella
sparsa sul pavimento e sul bancone.
“Lo fai ogni volta… e schizzi sempre in giro.”, gli disse Mac.
“Fetta di limone?”, le chiese lui, prendendone una appena affettata con le
pinzette.
“Ovvio che sì.”, rispose Mac.
Gliela mise dentro l’acqua tonica e gliela servì.
“Con gli omaggi della casa!”
“Ma che gentile che sei.”, rispose lei, sorridendogli.
“Hai un ammiratore tra i clienti, lo sai?”, le disse, ridendo sotto i baffi,
mentre con uno straccio ripuliva il bancone dallo spargimento di acqua tonica.
“Spero che non sia il classico pervertito panzone con le ascelle pelose e il
sudore a fiotti.”, disse lei, dopo che l’effetto frizzante delle bollicine
sulla lingua le fu passato.
“Mmhh… non direi.”
“Ah, meno male.”, fece lei.
“Non sei interessata?”
“Ti sembro?”, disse Mac, indicandosi, “No, perchè se lo sembro, allora guarda
questa faccia.”
Posò il bicchiere, si spalancò gli occhi con le dita e fece una boccaccia con
la lingua di fuori.
“Ah, ok… Ma stavolta ti sarebbe andata bene.”, fece lui, tornando a pulire
il bancone.
"Per caso è un tipo misterioso, con capelli neri, sguardo penetrante...
soldi a palate, maggiordomo sempre fisso al culo... e di secondo lavoro si
diverte a fare Batman?" gli chiese Mac, sarcasticamente.
“Sei troppo acida, Mac, così non ti si filerà nessuno.”,
la rimproverò l’altro.
“Ti ripeto: sembro interessata ad essere filata da qualcuno?”
“Secondo me sei lesbica.”
“Oh certo amore, ma non dirlo ad alta voce sennò i genitori di quelle pesti
bubboniche ci credono e mi fanno buttare fuori.”, gli disse lei, sorseggiando
la sua acqua tonica.
L’altro sospirò di rassegnazione e gettò lo straccio dentro il cesto delle
pezze da lavare.
“Su, avanti, dimmi chi era stavolta.”, fece Mac, piegandosi alla volontà
dell’amico.
“No, attaccati al tram, hai perso la tua occasione.”, disse lui.
“Ok aspetta, provo a descrivertelo.”, disse Mac. Era il momento di fare un po’
di autoironia per sfottersi da sola, “Per caso era alto più o meno quanto me,
della mia stessa età, occhi marroni, capelli rasta e biondo scuro?”
“Cazzo…”, fece l’altro, “Ci hai proprio indovinato! Come hai fatto? Lo
conoscevi già? Lo hai visto?”
La faccia di Mac si tramutò dal sorriso auto sfottente alla faccia di una che
aveva ricevuto una mattonata sonora.
“Comunque ha detto che sei carina. Sembrava interessato… ad un certo punto ha
dato di matto… secondo me devi stare attenta, quello è un pochino psicotico.”,
fece lui, concludendo la frase con un dito che girava intono alla tempia.
“Ah… grazie per avermi rovinato la giornata. Già faceva schifo... ora è
diventata di merda.”, disse Mac, restituendogli il bicchiere.
L’altro rimase stupefatto dalla reazione di lei.
“Secondo me siete fatti l’uno per l’altra… lui nevrotico, tu schizofrenica. Una
camicia di forza matrimoniale e via.”, disse l’altro, incavolandosi.
Mac gli alzò il suo dito medio in faccia e se ne tornò dai bambini. Il suo
turno si concluse di lì a poco, erano le sette inoltrate. Meglio così, le era
passata la voglia di lavorare.
Tom era un ostacolo alla sua vita.
Era come il cartello ‘deviazione’ nei cartoni animati di Willy il coyote.
Era come il bruscolo nell’occhio.
Era il problema che le rovinava la giornata.
Il solo fatto di aver saputo che lui aveva passato parte del suo tempo al
bancone, a commentarla insieme a quel deficiente di Tony, le aveva fatto venire
il sangue al cervello.
Mentre se ne tornava in camera, dove avrebbe speso tutta la serata per far
evaporare l’incazzatura e per trovare un modo per riprendere il controllo della
situazione, incrociò Caroline.
“Hey… che faccia strana…”, le fece notare.
“Sì, non è stata una bella giornata oggi.”, disse Mac.
“L’hai vista l’eclissi?”, le chiese lei, non accorgendosi del tono sfavato di
Mac.
“Altro che no… e non ho visto solo quella!”, fece l’altra, sorridendo con
sarcasmo.
“Hai visto qualcosa di interessante?”
“Uh interessantissimo!”, rispose. Sospirò, toccandosi la fronte. Era meglio
prenderla a ridere, ironizzando ancora una volta, altrimenti c’era da spararsi.
Per le prossime due settimane avrebbe avuto a che fare con situazioni
spiacevoli, se non rideva ora che era appena all’inizio dell’avventura…
“Beh, me lo racconterai stasera. Birrata in spiaggia!”
“Vai!”, disse Mac, facendole l’occhiolino.
“Perfetto. Ah, a proposito, Nagomi ti sta cercando.”, le disse Caroline, “Credo
ancora sia nel suo appartamento.”
“Allora farò un salto da lui a sentire cosa vuole.”
Per andare al suo appartamento avrebbe dovuto svoltare per la prossima stradina
a destra; per andare da Nagomi, invece, doveva andarsene a sinistra. Quel
dedalo di viuzze tra gli appartamenti dei dipendenti, tutte parallele e
perpendicolari tra loro, erano davvero un labirinto per chi non le conosceva!
Ma lei oramai c’era abituata, andava quasi ad occhi chiusi.
Bussò alla porta dell’appartamento del suo amico che, dopo qualche attimo,
venne ad aprirle, mentre si stava strofinando i capelli corvini con un
asciugamano.
“Mi ha detto Caroline che mi stavi cercando…”, gli fece, rimanendo sulla soglia.
“Sì.”, disse lui, uscendo dall’appartamento e chiudendo la porta alle sue spalle,
“Devo dirti due cose: una cattiva… e l’altra un po’ meno.”
“Inizia con quella cattiva.”, fece Mac.
“Non sai con chi mi sono incontrato mentre facevo le scalette che vanno in
spiaggia. A dire il vero mi sono scontrato… più che incontrato…”, disse lui, iniziando
a mordersi il labbro inferiore, segno di nervosismo.
“Aspetta aspetta!”, esclamò Mac, mettendosi le mani sulle tempie e chiudendo
gli occhi, “Ora indovino, ti leggo nel pensiero… per caso hai visto un certo
Tom Kaulitz?”
“Lo sapevi…”, disse lui, rincuorandosi.
Mac gli aveva raccontato quello che era successo durante una serata di
sincerità alcolica. Sotto l’effetto di una sbornia triste, sia sua che di
Nagomi, si erano ritrovati a piangersi addosso per le sfighe passate. Era
successo non molto tempo fa, forse un mese prima.
“Sì… l’ho incontrato anche io oggi… ma non voglio parlarne adesso. Tu cosa
volevi dirmi?
“Ah sì… vieni a cena con me stasera?”, le chiese lui, deviando il discorso.
“Oh, un invito!”, fece lei, falsamente entusiasta. Aveva solo voglia di stare a
deprimersi sul letto, non di uscire e di divertirsi. Ma comunque aveva
accettato l’invito di Caroline per la ‘birrata’, per non passare la notte a
battere la testa contro il muro.
“Ecco, adesso parto con la notizia un po’ meno cattiva… E’ il classico favore
che si vede chiedere nei film…”, disse lui.
“Avanti spara, se posso esaudirò ogni tuo desiderio.”, disse Mac.
“Vedi… insomma… non so come spiegartelo.”
Mac sentì qualcuno parlare all’interno del suo appartamento. Data
l’incomprensibilità della lingua, dedusse che erano giapponesi come lui. Nagomi
si voltò, aprì leggermente la porta e rispose a chi evidentemente desiderava la
sua attenzione. A sentire dal tono della voce dell’altro giapponese, doveva
essere una discussione molto animata.
Poi la porta si aprì di scatto e comparve una signora, in distinto completo sul
rosa, molto seria, tutta d’un pezzo. Nagomi parve allarmato dal vederla
apparire e si voltò verso l’amica, prendendo a farle ammiccamenti che lei non
comprendeva.
Mac, che non aveva la più pallida idea di cosa fare, se ne rimase lì a
guardarla, con un sorriso stampato in faccia a cinquanta denti, come per dire ‘non
so cosa cazzo ci sto a fare qua ma rido’. La signora la guardò a sua volta
con fare indagatore e poi le disse qualcosa, ovviamente nella sua lingua.
“Nagomi… penso che questa donna mi stia squartando con lo sguardo.”,
disse Mac, mantenendo sempre il suo sorriso sulla faccia.
“Ehm… sì, Mac, lei è mia madre. Dentro c’è anche mio padre.”
“Beh, credo che sia l’ora di andare. Vi lascio ai vostri affari di famiglia”,
fece Mac, indietreggiando, senza staccare gli occhi da quella donna.
“Mac… posso parlarti un attimo?”, fece Nagomi.
“Beh… devi ancora chiedermi di quel favore…”, rispose lei, mentre si
allontanavano dalla porta per avere un po’ di privacy.
“Appunto… Parliamo a bassa voce perchè anche loro parlano francese…”, le fece
lui, abbassando il tono della sua voce.
“Cazzo! Potevi dirmelo prima!”, sbottò Mac.
“Lascia perdere… ti volevo chiedere se stasera, solo per stasera… e poi puoi
anche denunciarmi e dire che prendo le bottiglie di alcolici di nascosto.”
Ancora la donna se ne stava sulla soglia, a fare il gufo.
“Tua madre mi terrorizza.”, fece Mac, sentendosi un brivido freddo lungo la
schiena.
“Pensa che tu sia la mia fidanzata.”, disse lui.
“Beh, dille che sono la tua amica ubriacona.”, disse Mac, voltandosi verso di
lei e salutandola, come per farle capire che poteva anche smetterla di
trapassarla da parte a parte.
“No no… lo pensa perchè gliel’ho detto io.”, rivelò Nagomi.
Lei se ne rimase a guardarlo, a bocca aperta, stupida.
“Cosa hai fatto?”
“E’ con mio padre, sono venuti per conoscerti… ho detto loro che stavo qua
perchè mi ero innamorato di una che lavorava in questo posto… cioè te…”
“Ma sei deficiente!”, esclamò Mac.
“Sennò mi toccava tornare a casa!”, si giustificò lui.
“E chi se ne frega!”, si arrabbiò Mac. Ancora quella donna la penetrava con gli
occhi, facendola sentire terribilmente a disagio. Sembrava particolarmente
schifata dal tatuaggio che aveva sul braccio sinistro, quel ‘Rock my life’ che
si era fatta tantissimo tempo fa… Il ricordo, un po’ doloroso, di alcune
amicizie finite. Ma anche il simbolo della sua essenza, uno dei suoi tanti
proverbi di vita.
“Devi farmi questo favore, solo per stasera… fai finta di essere la mia
fidanzata, tanto poi se ne torneranno ad Osaka, dirò loro che ci siamo lasciati
e fine della storia!”
“E perchè non hai preso Caroline per questa storia?”, sbottò Mac.
“Perchè lei non sarebbe stata al gioco ed invece tu sì, perchè sei mia amica!”,
fece Nagomi.
“Ma perchè proprio io…”, disse Mac, mettendosi la faccia tra le mani,
sconsolata per la stupidità del suo amico.
“Dai, lo prendo come un sì. Ci vediamo tra mezz’ora al ristorante, quello di
classe… mettiti elegante e... insomma, comportati per bene, ma soprattutto, sii
puntuale!”, fece lui, sorridente e speranzoso. Poi si voltò verso sua madre e,
con espressione stupida, le fece segno che andava tutto ok.
“Va bene… poi appena se ne vanno inizierò a torturarti.”, disse Mac,
rassegnata, “Ma guarda in che situazione mi sono cacciata…”
“Ci vediamo dopo allora…”, le disse lui, “Ora voltati verso di lei e fai un
inchino secco.”
“Un cosa?”
“Un inchino. Ti pieghi in avanti.”
“Ah…”, fece Mac. Si voltò e zac, fece l’inchino. Mai fatto prima di quel
momento. Cioè, sapeva che era un simbolo della cultura giapponese, ma non aveva
mai pensato di farlo davvero… come non si sarebbe mai immaginata di fingere di
fare la fidanzata di qualcuno. No, doveva autocorreggersi, non era vero, aveva
già fatto una cosa del genere e si era sentita la persona più stupida del mondo.
La donna la guardò ancora più severamente ed entrò nella casa, senza ricambiare.
“Ma non doveva farlo anche lei l’inchino?”, chiese al suo amico.
“In teoria sì… vabbè, ti spiego dopo ok? Ciao!”, fece, entrando in casa e
lasciandola sul marciapiede.
Che situazione del cavolo…
TITOLO: canzone di Robbie Williams. ‘No regrets’, no scopo di lucro...
Stasera posto senza commenti... ragassuole, sono stanca, sono
stata tutto il giorno in facoltà, poi al lavoro... non mi mangiate, pliz!
Ad ogni modo, mi fanno molto piacere tutti i vostri complimenti e vi ringrazio
davvero di cuore... davvero! Un bacione a tutte voi!!!! RubyChubb
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Capitolo 14 *** Fake Japanese Love ***
14. FAKE JAPANESE LOVE
Davanti
allo specchio, appeso dall’interno dell’anta del suo armadio, si guardò per
un’ultima volta. Nagomi le aveva chiesto di essere elegante e lei aveva
indossato un vestitino nero, di seta, che le aveva portato Thiago quando era
venuta a trovarla, la settimana precedente. Sembrava più una sottoveste che un
vestito, ma era veramente delizioso. Non era né troppo aderente, né
troppo largo: le cadeva giusto indosso, qualche centimetro sopra le ginocchia.
Le spalline, non troppo fini, sorreggevano uno scollo, chiuso a punta sul seno,
forse un pochino troppo audace per la tipica rigorosità nipponica.
Prese la matita, si dette solo un filo di trucco sugli occhi, poi un po’ si
lucidalabbra e via, era pronta. Ah, i capelli: prese un grosso fermaglio
metallico nero, raccolse tutte le sue trecce sulla testa e le bloccò lì con
quello.
Ultimissimo sguardo allo specchio.
Thiago avrebbe detto che era una strafiga alla Dannatament&Gnocca e che
avrebbe fatto risvegliare i morti. Era quello che le aveva detto quando lo
aveva provato, per fargli vedere come le stava indosso. Ed aggiunse anche:
“Se quell’ameba avesse l’occasione di vederti… non mi ci far pensare!”, aveva
esclamato.
“Ameba?”, aveva chiesto lei, perplessa.
“Quello che, prima di nascere, quando si è messo in coda per prendersi tutti
gli organi, era in prima fila per i piselli ed ultimo per i cervelli.”
“Ah, ho capito.”, aveva fatto lei, comprendendo perfettamente a chi si riferiva.
“Ma tanto siamo sicuri al mille per mille che non succederà, vero Mac?”, le
aveva detto, con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
“Ah! Puoi starne sicuro!”
Le ultime dannatissime parole famose. Quei classici spergiuri che poi si
avveravano sempre; era matematicamente stabilito e certo.
Si sedette sul letto, accanto al comodino. No, non doveva aprire quel cassetto.
No, non doveva prendere la fotografia.
Aprì il cassetto e prese la fotografia. La riguardò solo per un attimo che durò
ben un paio di minuti o tre. Era invidiosa di quella fotografia, perchè
rappresentava un momento della sua vita felice, senza pensieri né problemi.
Beh, anche adesso era felice, senza pensieri né problemi. Ma era una felicità
diversa, consapevole del fatto che era destinata a durare il tempo di uno schiocco
di dita.
Perchè là fuori c’era anche lui.
E con lui tutti i suoi problemi, quelli che pensava di aver spazzato via dal
suo armadio, ma che invece erano rimasti rintanati in un angolino, in un
cantuccio, nascosti all’ombra.
Affrontarli o non affrontarli? Era quello il grande problema di Mackenzie
Rosenbaum, altro che essere o non essere.
Buttò la fotografia sul letto e, istintivamente, le venne da nascondere la
faccia tra le mani, per cercare un po’ di conforto, ma si era truccata e non
poteva farlo.
Che ora si era fatta… Quanto era passato?
“Oh cazzo!”, esclamò, vedendo che erano passati quarantacinque minuti… e che
era in ritardo di un quarto d’ora. Frugò in fondo all’armadio, dove teneva le
scarpe, in cerca di un paio di sandali adatto.
“Dove cavolo li ho messi… ah eccoli!”, fece, tirando fuori il sandalo destro,
poi quello sinistro. Non erano suoi, ma di Caroline, glieli aveva prestati
qualche giorno prima ed ancora non glieli aveva restituiti, fortunatamente,
altrimenti doveva andarci con le infradito di gomma, o con le sneakers. Afferrò
la borsetta, anche quella di Caroline, nera, piccola da portare a mano, ci
infilò dentro il necessario per sistemarsi il trucco e, con i sandali in mano,
uscì fuori correndo.
Non doveva essere bello vederla correre in quel modo, soprattutto con quel
vestito addosso, ma a lei poco importava delle occhiate strane che le mandavano
gli altri clienti. Bastava reggersi le tette, sennò uscivano fuori dai
sostegni… Arrivata davanti alla porta del ristorante si fermò. Se fosse vissuta
in un cartone animato avrebbe lasciato la fossa per via della frenata… Si mise
i sandali, anch’essi neri, con un tacco sufficiente a farla traballare, in due
fili incrociati sul davanti.
La cena si sarebbe tenuta nel ristorante, come aveva detto Nagomi, di classe:
era piccolo ed i camerieri, in giacca bianca e pantaloni neri, con il
tovagliolo sul braccio, servivano piatti freschi di cucina internazionale. Era
molto carino, tutto arredato con classe, con colori tendenti al rosa pallido.
Vi entrò cercando di essere il più disinvolta possibile. Nagomi, appena
la vide, si alzò le fece cenno di avvicinarsi al loro tavolo. Nonostante la
gravità della situazione, della sua menzogna, continuava a sorridere come
faceva sempre. A volte pareva scemo.
I suoi genitori sembravano delle lastre di marmo: freddi, impassibili, tutti
d’un pezzo, la tipica coppia stereotipata di genitori severamente giapponesi.
Una volta che fu davanti al loro, Nagomi presentò la sua falsa fidanzata ai
genitori.
“Papà, mamma, questa è Mackenzie, la mia fidanzata.”, disse, mettendole
compostamente un braccio intorno alla vita.
I due signori si alzarono e, a loro volta, ma sempre senza tradire la loro
espressione seria, si presentarono. Mac non potè non notare le loro occhiate,
che cadevano alternativamente sul suo scollo e sul tatuaggio. Era una prosituta
forse? No, non aveva messo in mostra niente, solo qualcosina… e che palle, da
quale epoca venivano, quella vittoriana? Doveva venire con la tuta da
sommozzatrice e dimostrarsi completamente sottomessa come una geisha?
“Io mi chiamo Akito e lei è mia moglie Naori.”, disse l’uomo, indicando con
rispetto la moglie, che abbozzò un sorriso.
“Molto piacere.”, disse Mac, porgendo loro la mano per stringergliela con
gentilezza, “Parla molto bene il francese, signore.”
“Sono stato per molti anni console della mia nazione a Marsiglia. Tutta la mia
famiglia parla francese molto bene.”, rispose lui, sedendosi.
“Ah… beh, complimenti allora.”, disse Mac, che non sapeva se interpretare la
risposta dell’uomo con risentimento oppure come affermazione della sua
‘superiorità nipponica’. Si sedettero tutti e la farsa iniziò
“Nagomi ci ha molto parlato di te.”, disse la signora Naori, “Ci ha detto che
sei tedesca, che vieni da Berlino e che vi siete conosciuti poco tempo fa,
quando tu sei arrivata sull’isola.”
“Sì, è vero.”, disse Mac, sorridendole. Almeno aveva avuto la decenza di
mentire solo sul fatto che stavano insieme, così non doveva stare attenta a ciò
che diceva altrimenti lo avrebbe fatto smascherare.
“Scusami se ti interrompo mamma.”, fece Nagomi, pieno di rispetto, “Ma vorrei
dire che avevo già stabilito quale sarebbe stato il menù di stasera. Tu e papà
lo sapevate già, ma dovevo ancora dirlo a Mackenzie.”
“Va bene.”, rispose sua madre.
“Hai fatto bene.”, gli fece Mac, sorridendogli un po’ falsamente,
“Conosci i miei gusti, vero Nagormi?”.
“Certo, come non potrei.”, rispose lui, un pochino atterrito.
“Cosa facevi a Berlino prima di trasferirti qua?”, le domandò il signor Akito.
“Ero una fotografa indipendente.”, rispose lei, “E collaboravo anche per
qualche rivista.”
“E come mai adesso sei qua?”
“Mi ha assunto un’azienda, tecnicamente sono un’operatrice di riprese
subacquee.”, rispose lei, mentre le veniva servito del pesce, ordinatamente
disposto sul piatto, insieme al riso e ad alcune salse.
Odiava il pesce… le faceva schifo il pesce… il pesce puzzava di pesce… già si
sentiva lo stomaco in subbuglio.
“Per l’occasione vi ho fatto preparare un menù di tipica cucina giapponese.”,
disse Nagomi ai suoi genitori, sempre con quel sorriso idiota sulla faccia. I
due signori sembrarono apprezzare molto l’iniziativa del loro amato figlio e
ringraziarono vivamente il cameriere quando furono serviti a loro volta.
Mac osservava il pesce tagliuzzato in forme romboidali, disposto su formelle di
riso. C’erano anche cubetti di riso, qualcosa di fritto, involtini sicuramente
di alga… insomma, se la sfiga la voleva colpire, doveva farlo fino in fondo. E
se il pesce le faceva sempre venire il voltastomaco… figuriamoci la cucina
giapponese, che nemmeno lo cucinava…
“Ah… grazie per il pensiero Nagomi…”, fece Mac, lievemente sarcastica prendendo
la sua forchetta.
“No no, devi usare le bacchette.”, le disse lui.
Solo allora Mac si accorse che il cameriere stava porgendo a tutti loro un paio
di bacchette di legno, igienicamente involte in bustine di carta colorata. Le
prese, ruppe il sigillo e le afferrò, provando a disporle tra le dita come
aveva visto fare a volte nei film.
“Ecco, mettile così.”, fece lui, posizionandogliele nel modo giusto, “E poi
prendi il sashimi…”
La punta delle bacchette, guidata dalle loro mani, afferrò il filettino di
pesce e il sottostante grumetto di riso. Mac cercò di nascondere tutte le
smorfie di disgusto che le venivano sulla faccia. Quel pesce, non cotto…
sembrava quasi muoversi, poteva essere ancora vivo…
“E inzuppalo dentro alla salsa di soia.”, fece lui.
No… la soia no… la soia sapeva di… sapeva di soia!
“Ora mangialo.”, le disse, lasciandole la mano.
Mac, sotto lo sguardo pungente dei suoi genitori, che la stavano osservando
quasi fosse un’aliena, non potè fare altro che mettersi il pesce in bocca.
“Buono eh?”, fece Nagomi, con entusiasmo.
Mac, mentre masticava cercando di non sentire il sapore del pesce e della soia,
gli sorrise ed il ragazzo si rilassò.
Forse avrebbe vomitato… Inghiottì il primo boccone, provando a sorridere, e
disse che era molto buono. Solo allora Nagomi ed i suoi smisero di fissarla si
concentrarono sui loro piatti. Il silenzio cadde sul loro tavolo: mangiare
senza parlare. Mac non sapeva da che parte rifarsi per finire tutto quel, che
le apriva un ventaglio di odori molto piacevoli sotto il naso. Poteva mangiare
i cubetti di riso, ma sapevano di pesce. Poteva mangiare quei pezzetti di pesce
fritto. Appunto, pesce.
E lei odiava il pesce. Non era sufficentemente chiaro?
Guardava gli altri al suo tavolo, cercando di nascondere il suo imbarazzo. Era
tutto un gioco di sguardi tra i due genitori, che già l’avevano classificata
come la peggiore persona al mondo che potesse aver ammaliato le grazie di suo
figlio.
Quando i piatti altrui furono completamente svuotati, il suo era stato solo
leggermente intaccato. I due signori lo notarono e confabularono tra loro,
facendola sentire piccola piccola. Velocemente, i camerieri presero i loro
piatti.
“Volevamo sapere, Mackenzie, quali erano i tuoi titoli di studio.”, le chiese
il signor Akito.
“Ve l’ho detto, è laureata in storia dell’arte.”, disse Nagomi, anticipando la
risposta di Mac che sarebbe stata molto più deludente della sua bugia:
diplomata con una pedata.
“E con quanto?”, chiese la signora.
“Col massimo dei voti.”, continuò lui, “Queste cose le sapete già, perchè
gliele chiedete ancora?”
“Nagomi!”, esclamò suo padre, indignato dalla mancanza di rispetto del figlio.
“Scusami.”, fece lui, abbassando la testa pentito.
“Hai avuto altri fidanzati, Mackenzie?”, le chiese seria sua madre.
“Beh…”, fece Mac.
La porta del ristorante si aprì in quel momento, accompagnata dal tintinnio
delle due piccole campanelline poste a contrasto con essa. Mac sgranò gli
occhi.
Si stupì di quanto poteva essere cinematografica la sua vita… Sembrava quasi
che ogni momento fosse scandito da una sceneggiatura degna di uno scrittore di
Hollywood. Tra i più scadenti, per giunta. Quale momento poteva essere migliore
di quello per vedere Tom entrare nel ristorante?
“Cosa c’è, Mac?”, le chiese Nagomi, vedendola bloccarsi.
“Oh niente…”, fece lei, e poi, senza riflettere, “No, signora, non ho avuto
altri fidanzati prima di suo figlio.”
Avrebbe voluto nascondersi sotto il tavolo. Era con Gustav, stavano chiedendo
se c’era un tavolo libero nel ristorante. Ma che palle, di tutti i ristoranti
che c’erano nel villaggio, proprio quello, proprio quella sera… Non bastava che
avessero scelto la medesima isola? Ora anche lo stesso ristorante?
“Ma Nagomi ci aveva detto che eri stata fidanzata con un altro ragazzo…”, le
fece la signora.
“Sì… ma niente di importante.”, disse Mac, che si sentiva, letteralmente, il
culo sulle spine.
Cercava di tenere lo sguardo basso, sul suo bicchiere, ma non potè evitare di
alzarlo quando sentì i suoi occhi posarsi su di lei. Vi lesse il suo
solito stupore, che poi diventò tristezza.
Rimasero incollati nei rispettivi sguardi finchè il cameriere, dopo aver
consultato il libro delle prenotazioni, si riavvicinò e fece loro gesto di
seguirlo.
Mac sentì il suo piede venire colpito e si voltò verso Nagomi. Aveva capito, lo
aveva visto anche lui.
“E cosa significa il tuo tatuaggio? Lo toglierai un giorno, vero?”, le disse la
madre di Nagomi.
Ma Mac non la stava sentendo. Loro si stavano avvicinando. Li vide passare con
la coda dell’occhio accanto a lei. E sedersi al tavolo alle loro spalle. Anche
Nagomi si stava sentendo a disagio e cercava di non darlo troppo a vedere, per
non far insospettire i suoi genitori.
“Mackenzie?”, la richiamò la signora.
Seduta, ad un tavolo.
Non era sola, era insieme ad un ragazzo asiatico.
Quello del bar, suppose, gliene aveva parlato Gustav.
… Quello con cui si era scontrato quello stesso pomeriggio!
Due signori, di una certa età, seduti davanti a loro due.
Serata in famiglia, presentazione ai genitori della fidanzata.
Interessante, si disse.
Prima di vederlo, stava sorridendo alla signora seduta davanti a lei.
Poi loro occhi si erano incrociati, rimanendo fissati l'uno contro l'altro.
“Sì, c’è un tavolo libero. Vi accompagno.”, disse loro il cameriere,
distogliendolo.
Nel raggiungere il tavolo, passarono accanto al loro. Lo sguardo di Mac era
basso, fisso sul suo bicchiere. Anche Gustav la vide e lanciò una rapida occhiata
al suo amico.
“Ecco, a voi.”, disse il cameriere.
Dietro a loro, che fortuna.
Si sedette, davanti a lui Gustav, che dava le spalle al gruppo.
I capelli raccolti sulla testa.
Vide il suo tatuaggio, tra le scapole.
Il suo collo, la sua schiena.
Sentiva i suoi occhi puntati, fissi, sul collo. La sensazione più sgradevole
che potesse sentire, soprattutto per il fatto che non riusciva a nascondere il
suo disagio ai due signori davanti a lei.
“Mackenzie? Ti senti bene?”, le chiese la signora, guardandola strana.
“Sì, sì, sto bene. Scusatemi. Cosa mi aveva chiesto?”, fece lei, cercando di
riprendersi.
“Ti avevo chiesto se avevi intenzione di cancellare quei tatuaggi.”
“Beh… no, non voglio cancellarli.”, rispose lei, con naturalezza.
“La fidanzata di mio figlio non deve avere tatuaggi.”, rispose Akito, secco e
serio.
Mac si morse la lingua, stava per contrattaccare, ma ancora non era il momento.
Di nuovo, fu servito loro del pesce, stavolta cotto al forno: ogni porzione fu
accompagnata con delle verdure, cotte alla medesima maniera. Almeno quelle,
pensò Mac, che si sentiva lo stomaco gorgogliare per la fame. Abbandonò le
bacchette, vedendolo fare anche agli altri, prese la forchetta e infilzò la
prima patata.
“Avete stabilito già una data per il matrimonio?”, sbottò la signora.
La forchetta le cadde dalla mano, rimbalzando sul piatto e finendo in terra,
facendo tanto baccano da attirare l’attenzione di tutti, anche quelli della
cucina. Nagomi, che stava bevendo, per poco non si strozzò. Per sopravvivere,
fu costretto a spruzzare tutta l’acqua in faccia al padre che, indignato, prese
ad insultarlo nella loro lingua.
Tutti gli altri clienti li stavano guardando, Mac sentì crescere in lei la
voglia di diventare piccola piccola, invisibile… di sprofondare nelle viscere
della terra, giù, fino al centro del pianeta, ed incontrare il diavolo, parlare
del più e del meno con lui e gli altri compagni d’inferno, e poi tornarsene in
superficie quando l’intera umanità era già ormai stata spazzata via da una
guerra nucleare.
Per di più, Tom era alle sue spalle e stava sicuramente osservando tutta la
scena.
Nagomi, pregando forse in tutti i modi giapponesi che conosceva, riuscì a
calmare il padre, che riprese la sua maschera di ferro e si ricompose, esortato
anche dalla moglie. Uno dei camerieri, appena fu notata la chiazza d’acqua in
cui galleggiava il pesce del signore Akito, si preoccupò di portare via il
piatto e servirgliene un’altra porzione.
“Se sarà necessario, li toglierò, signor Akito.”, disse Mac, appena ebbe
recuperato il suo self control.
“Bene, molto bene. E lascerai il tuo lavoro?”, le domandò l’altro, ancora più
severo.
“Se servirà a rendere felice il mio futuro marito… e voi….”, fece Mac,
camuffando il suo disprezzo per l’uomo con un sorriso rispettoso.
“Molto bene.”, fece l’altro. Poi parlò con la moglie nella loro lingua e, alla
fine del discorso, i due signori si alzarono.
“Dobbiamo parlare di alcune cose e domani mattina il nostro volo ci costringerà
ad alzarci molto presto. Quindi ci ritireremo, se a voi non dispiace.”, disse
il signor Akito.
“Oh no, fate pure.”, risposero contemporaneamente i due falsi fidanzatini.
Dopo un frettoloso saluto, i due signori si alzarono e lasciarono il
ristorante. Appena la porta si chiuse alle loro spalle, Mac sospirò di sollievo.
“Gesù…”, disse a Nagomi, “Meno male che i tuoi genitori erano all’antica.”
“Non pensavo fossero così… preistorici.”, fece il ragazzo, desolato, “Adesso
capisci quando ti dicevo che sto meglio se non li vedo?”
“Beh… ti capisco, anche se continuo a pensare che sia patetico.”
“Patetico?”, fece l’altro.
“Sì, lo è, credimi. Perdere il rapporto con i propri figli per via di stupide
convinzioni.”, fece Mac, ridendo.
“Già… siamo una delle nazioni più tecnologicamente avanzate del mondo. Ma la
tradizione è la tradizione. Fortunatamente, non tutti i giapponesi sono come
loro due. Sfortunatamente, sono i miei genitori.”
“Tua moglie sarà fatta santa se riuscirà a sopportarli senza farsi venire un
esaurimento nervoso!”, fece Mac, che oramai aveva preso la situazione dal suo
lato comico, per non vedere il suo amico rattristarsi.
“E chi ha intenzione di sposarsi?”, rispose l’altro, ridendo a sua volta.
“Bravo, hai detto bene.”
“E poi mi dispiace per…. Insomma.”, disse Nagomi, dopo qualche secondo di
silenzio, ammiccando con molta discrezione.
“Tranquillo.”, disse Mac.
“Scusami. Spero di non aver rovinato niente.”, disse l’altro.
“No, puoi ritirare le tue scuse… ed io spero di non aver causato danni
familiari.”
“Oh no!”, fece l’altro, sorridendo come sempre, “Tanto domani mattina se ne
tornano a casa, chi li rivede? Meglio così, mi ripudiano, mi diseredano e non
si faranno più vedere.”
Nagomi le aveva raccontato di quanto fossero stati impossibili i suoi genitori.
La sua infanzia non era stata certo la più felice del mondo, aveva molti
rancori verso di loro.
“Dai, non dire così, sono sempre i tuoi genitori.”, fece lei.
“In un modo o nell’altro.”
“Ordiniamo due bottiglie di vino e andiamo a proseguire la serata in
spiaggia?”, propose Mac.
“Sai, a volte mi stupisco di come sai leggermi nella mente!”
“Lo so.”, disse Mac ridendo, “Ho questo particolare potere.”
Parlavano francese, la lingua che più si usava all’interno del villaggio. Lui
non lo capiva, non ne sapeva una parola, e non riusciva a comprenderli. Era
probabile che i due signori asiatici, di sicuro genitori del ragazzo, fossero
venuti per conoscerla, per fare la classica cena in famiglia. Cavolo, pensò,
dovevano fare sul serio…
Quando stava insieme a Mac, non aveva mai messo piede a casa dei suoi.. Il
motivo? Una loro fotografia: suo padre era alto come una sequoia gigante, aveva
due spalle che sembravano i fianchi di una montagna, e una barba bianca che gli
toccava il petto. Gli ricordava quel tale Karl Marx che aveva sul vecchio libro
di storia, e sulla cui testa aveva disegnato un bel paio di corna, con
l’aggiunta di baffetti arricciati e linguetta sporgente dalla bocca. Sua madre,
invece, era una signora minuta, che aveva gli stessi occhi e lo stesso sorriso
di Mac.
“Questo è mio padre.”, gli aveva detto lei, mettendogliela sotto il naso, “Si
chiama Otto. E l’altra è mia madre, Lavinia.”
“Tuo padre? Sembra l’Everest… mi fa paura.”, le aveva detto, prendendola per
osservarla meglio. Era vero: aveva un’espressione così seria e fiera che
incuteva timore.
“Sì, è da lui che ho preso il mio brutto carattere… fortunatamente il resto è
di mia madre.”, aveva detto lei, ridendo. “Ma è il classico gigante buono.”
“Di quelli che si mangiano i Tom Kaulitz a colazione….”, fece,
restituendogliela.
“No, ha la digestione delicata, gli rimarresti sullo stomaco.”, rispose lei,
ironizzando.
“Fammi capire, questa fotografia sta a significare che è l’unico modo in cui li
vedrò?”, chiese lui, tirando un sospiro di sollievo.
“Sì, più o meno. Già dopo la tua cazzata,”, disse lei, facendo le virgolette
con le dita, “hanno detto che faccio meglio a lasciarti prima di presentarmi
alla loro porta insieme a te.”
La sua cazzata era l’eufemismo che stava ad indicare la serata dell’aftershow,
dopo uno dei loro concerti.
“Meglio così…”
“Sai che purtroppo non gli stai simpatico.”
“Già. Non sembro il classico ragazzo della porta accanto.”, aveva detto lui.
“Chi se ne frega.”, aveva risposto lei, iniziando a baciarlo sul collo e…
insomma, il resto era venuto da solo.
Al contrario, quando sua madre gli aveva chiesto se poteva conoscerla, poco
dopo che si era trasferita da lui, aveva pensato subito di sì, perchè era
certo che Mac le sarebbe piaciuta. Infatti fu proprio così: andarono a casa sua
durante un pomeriggio e, davanti ad un caffè ed a qualche biscotto, gliela
presentò. Quando se ne andarono, gli era parso che sua madre avesse i lucciconi
agli occhi. Per la serie: c’era da festeggiare, Tom aveva smesso di fare l’ape
impollinatrice.
Adesso Mac era lì, di fronte ai genitori di lui, e parlava con loro.
Chiacchierava, sembrava sentirsi a suo agio.
“Tom… se vogliamo andarcene…”, gli sussurrò Gustav, appena si sedettero.
“E perchè?”, fece, “Io ho fame.”
Gustav lo scrutò per qualche secondo, poi si accontentò della risposta ed aprì
il suo menù.
“Che cosa prendi?”, gli fece Gustav, sempre sottovoce.
“Guarda che puoi parlare normalmente…”, disse Tom, scocciato, “Non è che stiamo
commettendo un reato…”
“Già.”, fece Gustav, rischiarandosi la voce, “Cosa prendi?”
“Boh… ce l’hanno la pizza?”
“Siamo in un ristorante! La pizza non ce l’hanno! Se volevi la pizza andavamo
da un’altra parte!”, gli fece notare Gustav, che per l’occasione si era messo
in ghingheri, abbandonando le t-shirt al sapore di metal per mettersi in
camicia e pantaloni di stoffa. Mancavano solo la giacca, la cravatta e pareva
un pinguino. Anche lui aveva cercato di essere, come dire, un pochino meno Tom
Kaulitz, lasciando perdere la tenuta vacanziera per indossare un paio di
pantaloni della sua taglia ed una maglia nera, con qualche scritta qua e là,
che era solo leggermente più grande di lui. Ovviamente, per sottolineare che
c’era sempre lui sotto quei vestiti ‘normali’, la t shirt se ne stava infilata
sotto la fibbia della cintura, che dava un tocco tamarro, come lo avrebbe
definito suo fratello. Si poteva liberare del cappellino? Certo che no.
“Io penso che prenderò qualcosa di italiano.”, disse Tom, scrutando il menù.
Ogni pagina era dedicata ad una nazione: c’era il menù francese, quello
spagnolo, quello greco… e così, via, dodici pagine dedicate a dodici nazioni,
con una selezione dei migliori piatti delle cucine nazionali. E siccome era un
ristorante di classe, a fondo pagina c’era sempre indicato il vino o la bevanda
giusta con quelle portate. Bastava dire al cameriere quale menù si preferiva.
“Sei come un’automobilina dell’autoscontro che si è inceppata nell’angolo.”,
gli disse Gustav, “Ci sono menù di ogni tipo… e tu cadi sempre su quello
italiano!”
“E che ci posso fare?”
"Puoi fare che scegli qualcos’altro!”
Il cameriere sbucò silenzioso al loro tavolo e chiese loro cosa volevano
prendere, in un inglese con forte inflessione francese.
“Scelgo il menù spagnolo.”, disse Gustav, dopo un’attenta selezione.
“Ottima scelta.”, gli rispose di routine il cameriere ingessato, “E lei?”
“Quello italiano.”, disse Tom.
“Come sempre!”, concluse Gustav.
“Se mi piace, mi piace!”, protestò Tom.
Poi, mentre si battibeccavano come vecchie signore aristocratiche, sentirono un
rumore sordo: Tom vide la forchetta di Mac cadere per terra e, quasi nello
stesso istante, il ragazzo accanto a lei sputare l’acqua che aveva in bocca in
faccia a suo padre. Anche Gustav, che si era voltato per il rumore, vide quella
scena. Entrambi si portarono la mano alla bocca, per coprire la risata che era
spuntata velocemente sulle loro facce.
La ‘fontana asiatica’ fu seguita da una specie di litigata in lingua nipponica:
il signore, prima inflessibile e duro come la pietra, si scaldò ed iniziò a
blaterare ad alta voce, attirando su di sé l’attenzione di tutti i clienti. I
presenti al suo tavolo riuscirono a calmarlo ma, dopo poche parole, se ne andò,
accompagnato dalla signora seduta al suo fianco, sua moglie.
“Beh…”, fece Gustav, tornando a parlare sottovoce per non farsi sentire, “Che
caratterino.”
“Già.”, disse Tom, ridendo sotto i baffi. Bene, pensò quasi con cattiveria, era
contento che si fosse messa male, per i due fidanzatini.
Gelosia? No, non ne aveva motivo.
Invidia? No, per lo stesso motivo.
Giramento di palle? A mille.
A fanculo tutti i discorsi di Bill sul prendersi le proprie responsabilità,
sull’affrontare la vita eccetera eccetera. A fanculo quello che si era imposto
di fare, cioè rimanere distaccato dai fatti, e proseguire la vacanza. A fanculo
il pensare di aver preso due strade diverse, sull’essere ormai due persone estranee
ed indipendenti.
A fanculo tutto.
A parte i suoi sentimenti.
Non poteva negarlo ancora, né a se stesso, né a qualsiasi altra persona.
No Tom, si disse, era solo perchè la vedeva con un altro, solo perchè stava
comprendendo veramente che oramai non c’era più niente da fare per Kaulitz e
Rosenbaum. Oramai non lo erano più, per sempre.
Era per quello. Solo per quello. Se non l’avesse più incontrata per tutta la
sua vita, non sarebbe successo. Non avrebbe capito che… insomma… l’amava ancora?
No!
No e no!
Lui non amava più quella ragazza che si metteva a fargli le boccacce quando si
sentiva triste e stanco. Lui non amava più quella ragazza che lo faceva morire
dal ridere ogni volta che si cimentava in qualche ricetta, impastando tutta la
cucina, compreso il pavimento ed il tavolo. Lui non amava più quella ragazza
che si addormentava davanti alla televisione, accoccolata accanto a lui, sotto
il calduccio della coperta di pile.
No, lui non la amava più.
Basta, quella era la verità.
Vide che un cameriere si avvicinò al tavolo dei due ragazzi, si allontanò di
nuovo e tornò con due bottiglie di vino per i due fidanzatini. Dopo qualche
secondo, entrambi si alzarono e si allontanarono.
Se il suo cervello non fece cortocircuito in quel momento, fu perchè Gustav gli
dette un calcio sotto il tavolo.
“Smetti di fissarla o si volterà e ti farà un cazziatone da fine secolo!”, gli
disse.
Cavolo…
Non si era mai vestita così per lui. Non si era mai messo un abito del genere
per lui. Ma per l’altro sì.
Bellissima. Non c’era nient’altro da aggiungere.
Né il rimprovero di Gustav, né l’odore accattivante del piatto di spaghetti,
appena servitogli dal cameriere, furono sufficienti per fargli distogliere lo
sguardo. Solo una nuova pedata, atterrata direttamente sul suo ginocchio, fu
adeguata per quello scopo.
Chiamò il primo cameriere che passò vicino al suo tavolo e gli disse di portare
loro due bottiglie di vino, uno rosso ed uno bianco, dei più economici che
avevano. Era Nagomi a pagare di tasca sua e sicuramente quella cena a metà gli
stava costando un capitale.
Dopo qualche minuto, con le bottiglie sotto braccio, uscirono fuori dal locale.
Sulla soglia, non potè fare a meno di voltarsi, e di guardare verso la sua
direzione.
Chino sul suo piatto di pasta.
Doveva essere molto buona.
Chiuse la porta, sentendo la tristezza che saliva.
No, non doveva continuare a farsi condizionare. Non poteva continuare ad essere
ipocrita con se stessa. O pensava a tirare dritto sul suo binario, fregandosene
di tutto il resto come aveva fatto fino a quella dannata eclissi, oppure
frenava di colpo e faceva marcia indietro.
Ma quella marcia non esisteva sul pomello del suo cambio, quindi non poteva
fare altro che rimanere nella direzione presa.
Mac, si diceva, il passato era il passato, anche se si ripresentava alla sua
porta, bussando prepotentemente.
E quindi…
Quindi niente, era ora di farla finita.
Farla finita di pensare una cosa e provarne un’altra.
No, non lo amava più. Non poteva amare una persona che l’aveva presa in giro
due volte. Non poteva amare una persona cieca, che non riusciva a distinguere
la realtà dalla fantasia. Non poteva amare una persona che fosse Tom Kaulitz.
Quella era la verità.
Il resto non importava.
“Mac? Ti senti bene?”, le fece Nagomi, seduti sulla spiaggia. Erano
arrivati da qualche minuto e lei sembrava del tutto immersa nei suoi pensieri.
“Oh, certo. Stavo solo pensando a quanto fossero scomodi questi sandali.”,
rispose lei, togliendoseli.
“Permettimi di dire che stasera sei bellissima. Secondo me hai fatto il giusto
effetto…”
“Giusto effetto?!? Sui tuoi? Non credo proprio, secondo me tua madre pensava
che fossi una prostituta…”
“Non sui miei…”, gli fece lui, con sguardo malizioso.
“Stai zitto.”, disse Mac, dandogli una pacca sulla spalla.
“Fai come ti pare… ma non credo che sia rimasto indifferente.”
“Non mi sono vestita così per lanciare particolari messaggi. E' stata la sfiga
a farci capitare entrambi nel solito ristorante, mica potevo saperlo. E anche
se lo avessi saputo avrebbe avuto poca importanza. Tu mi hai chiesto di essere
elegante e io l’ho fatto.”, disse Mac, “E basta con questo discorso.”
“Sta diventando scomodo.”, concluse l’altro.
“Bravo. Stappiamo queste bottiglie o no?”, fece Mac, togliendo il tappo su
quella di vino bianco, “Voglio bere finchè tutto questo sembrerà un paradiso.”
“Non lo è?”, fece l’altro, guardando le stelle.
“A volte sì, a volte no.”, fece Mac, prendendosi il primo sorso.
“Se continuiamo così diventeremo alcolizzati.”
“E sarebbe un problema?”
“Nient’affatto.”, sbottò Nagomi ridendo, e prendendole la bottiglia dalle mani.
Ci fu qualche attimo di silenzio, di riflessione. Ognuno se ne rimase zitto,
guardandosi intorno. Altri ragazzi stavano popolando la spiaggia, ma quella
sera non ci sarebbero state molte persone: in una delle discoteche avevano
organizzato la serata del 'bicchiere gratis’, quindi in molti avevano iniziato
a divertirsi lì a scrocco. Era stato acceso un solo falò e, per il momento,
nessuna musica riempiva l’atmosfera.
“Sta arrivando Herwig.”, disse Nagomi, interrompendo il silenzio.
“Oh no…”, esclamò Nagomi.
“Stasera ti tocca amica.”, fece lui, allontanandosi con una delle due bottiglie
di vino.
“Ti prego, Nagomi…”
“Ciao Mac!”, esclamò Herwig, a qualche passo da lei. Una mano sorreggeva una
bottiglia di birra per il collo, l’altra se ne stava nella tasca dei suoi jeans.
“Hey!”, rispose Mac, con finta contentezza.
“Pensavo di trovarti in spiaggia, oggi, durante l’eclissi.”, le disse, “Ma non
c’eri, non te la sarai mica persa?”
“Oh no… alla fine l’ho vista dalla scogliera…”
“Ah beh…”, fece lui, “Posso… sedermi?”
“Certo… mica è occupato!”, esclamò Mac, che avrebbe tanto voluto che tutta la
spiaggia venisse affisso: 'Ingresso libero, tranne ad Herwig'.
“Ah! Vedo che non sei sola.”, le fece lui, indicando la bottiglia di vino che
teneva tra le ginocchia.
“Oh no, ho sempre il mio amico Al Colico che mi fa compagnia.”, disse lei,
facendolo ridere.
“Sai Mac,”, disse poi, “nonostante ogni volta tu mi dica sempre che sei in
spiaggia, quando ti chiedo cosa fai la sera… non ti trovo mai. Può essere che
mi eviti?”
Mac si trovò un po’ spiazzata da quella domanda. Era vero, in un modo o
nell’altro, lei lo liquidava sempre con una frase buttata lì. Ma in fondo,
anche se era sicura che ci volesse provare con lei, Herwig non aveva mai mosso
un dito né una parola nei suoi confronti, quindi non si era mai meritato questo
suo atteggiamento un po’ troppo scontroso. Era sempre stato gentile nei suoi
confronti.
“Dai! Stavo scherzando!”, esclamò poi lui, vedendola in difficoltà, “Mica ti
sei messa a pensare che io vengo ogni sera in spiaggia a controllare dove sei e
cosa fai?”
“Ah…”, fece Mac, abbozzando un sorriso che stava a significare ‘allora che
cavolo vuoi da me’.
“Non sono mica uno psicopatico!”, disse lui, sorseggiando la sua birra, “Sei
qua sola?”
“A dire il vero sarei con Nagomi… chissà dove cavolo si è cacciato.”, disse
lei, sperando di vederlo intorno a loro ma, evidentemente, si teneva lontano
dalla portata del suo sguardo.
“Fammi capire una cosa... voi due state insieme?”, le chiese.
“Oh no, assolutamente no.”, disse Mac, scuotendo la testa con vigore, “Come ti
salta in mente?”
“Beh, niente, era tanto per sapere.”, disse lui, abbandonando completamente il
suo interesse per la questione.
“Ah…”, fece Mac, bevendo altro vino. Aveva bisogno di un po’ di stordimento.
Non tanto per la compagnia di Herwig… ma per la serata in generale, che le
pesava sulle spalle come un macigno.
“C’è qualcosa che non va, Mac?”, le chiese.
“Oh no… tranquillo, sono solo un po’ stanca.”, fece lei, abbozzando uno sbadiglio.
“Beh, devo dirtelo, mi sembri un po’ strana.”, le fece.
“Mh… sai, non tutte le giornate vanno come vorrei.”, disse Mac, giocherellando
con la bottiglia.
“Eh, a chi lo dici. Spero di non essere troppo indiscreto a chiederti cosa ti
sia successo.”, fece lui.
“No, tranquillo… E’ che non ho voglia di parlarne.”, rispose Mac,
intristendosi. Nè con lui, che per di più era quasi un perfetto sconosciuto, nè
con chiunque altro. Voleva solo starsene ad ingrigirsi.
“Beh, ti capisco. Non è che poi i nostri rapporti vadano molto oltre la
questione lavoro...”, disse lui.
Mac sospirò... in fin dei conti, poteva anche dargliela vinta.
“Sai quando la vita ti riserva sorprese del tutto inaspettate che, da una
parte, ti rendono felici, ma dall’altra, stravolgono completamente tutti i tuoi
piani e ti incasinano talmente tanto che non puoi…”, prese a dire, stando sul
vago.
“Fare a meno di starci male.”, concluse lui, interrompendola, “Sì, so
perfettamente di cosa stai parlando.”
“Esattamente.”, disse Mac, “Pensi di essere al riparo da tutto e da tutti. Ma
alla fine ti stai solo nascondendo da te stesso.”
“Puoi dirlo forte!”, esclamò l’altro, finendo di bere la sua birra, “Non è che
mi presteresti il tuo vino? Mi hai fatto tornare in mente un paio di cose che
voglio reprimere a colpi di alcol.”
“Certo, fai pure. Non funziona molto, ma per un po’ ti stordisce.”, fece lei,
passandoglielo.
“I problemi galleggiano, non annegano.”, disse Herwig, dopo averne bevuto un
po’, “Anche se non è saggio mescolare vino e birra, per adesso voglio stare
bene.”
“Beh, scusa se ti ho fatto tornare in mentre brutte cose.”, disse Mac,
sentendosi in colpa. Non tanto, solo un pochino. Gliene importava pochissimo di
lui.
“Ci mancherebbe altro…”, rispose Herwig, “Non è colpa tua se il mio migliore amico
si è sposato la mia fidanzata.”
Mac, istintivamente, si portò una mano davanti alla bocca, reprimendo in quel
modo la sonora risata che gli era affiorata sul viso.
“Cosa? Io ti racconto la mia più grossa disgrazia e tu ridi?”, fece Herwig,
senza però essere arrabbiato, bensì a sua volta divertito.
“Cazzo quanto è piccolo il mondo… anche a me è successa la stessa cosa, circa
cinque anni fa. O quattro, non ricordo bene.”, disse Mac, “Solo che ero io
quella che si stava per sposare… e che è stata tradita.”
Avrebbe tanto voluto tenersi per sé quel particolare, ma era stato l'alcol a
farglielo dire.
“No, non ci credo… tu stavi per sposarti?”, fece l’altro, sorpreso.
Mac annuì con la testa, mentre prendeva l’ultimo sorso di vino.
“Wow, che rivelazione… beh, è per questo che sono venuto qua, in culo al mondo,
per scappare un po’ da tutto e tutti. Anche tu sei qua per lo stesso motivo?”
“No, solo perchè mi pagavano bene. La mia questione l’ho risolta senza dover
fuggire.”, rispose Mac. Se quello fosse stato un gioco a premi, avrebbe perso
il montepremi finale sbagliando l’ultima risposta. Però avrebbe vinto al
concorso sulla più bella menzogna del mondo.
“Hai fatto bene… sai, non serve fuggire. Qua, nonostante il sole e la barriera
corallina, siamo infestati dai soliti fantasmi.”, fece Herwig, esprimendosi con
una perla da vecchio saggio della montagna.
“Già…”, disse Mac, con un tono che sapeva di estrema consapevolezza.
“Ma oramai siamo su questa isola. Siamo in ballo e balliamo. Quando torneremo a
casa sistemeremo tutto, vero Mac?”
“Sì… penso che sarà proprio così.”, rispose lei, quasi di controvoglia.
Qualche secondo di silenzio: entrambi avevano bisogno di riflettere sulle
parole dette.
“Mac… Mac… ma che nome è Mac?”, disse lui ridendo, interrompendo il momento.
“Mac è il diminuitivo di Mackenzie. Era il nome di una cara amica di mia
madre.”, gli spiegò lei.
“Sai Mackenzie,”, fece poi lui, “Mi piacerebbe conoscere tua madre.”
“E perchè?”, domandò Mac, ridendo sorpresa, anche se poteva immaginare
benissimo la risposta. Gli uomini erano tutti diabolicamente uguali.
“Perchè ha messo al mondo davvero una bella ragazza. E oltretutto simpatica.
Sei la ragazza che tutte le madri vorrebbero a fiancho dei loro figli”, disse
lui, guardandola.
“Beh… grazie per il complimento.”, fece Mac, arrossendo. Forse era il vino, ma
quel complimento le stava facendo piacere. Era tanto tempo che non ne riceveva.
Però doveva ammettere che il suo sesto senso segnava semaforo rosso:
Herwig pareva un bravo ragazzo, parlava e agita da tale, ma aveva quell’alone
di viscidume che non le piaceva. Non sapeva definirlo con altre parole, ma le
pareva uno di quei classici tipi che, dopo una conquista, andavano a vantarsi
ai quattro venti. Doveva essere sicuramente uno che pensava di sapere cosa alle
ragazze piaceva sentirsi dire... ed aveva la netta sensazione che lo avesse
fatto anche con lei, in quel momento.
Uno schiamazzio generale alle loro spalle richiamò le loro attenzioni: erano
arrivati dei ragazzi, accompagnati da un grande stereo, di quelli che andavano
di moda moltissimi anni addietro. Lo accesero e dalle casse uscirono delle note
di musica poco gradevole, trasformando la spiaggia silenziosa in una discoteca
all’aperto.
In molti si spostarono altrove, disgustati, come fecero anche Mac e Herwig e,
dopo pochi minuti, un altro falò venne acceso.
E rieccoci qua! Il nuovo capitolo!!! Buona domenica a tutte! Prima del Natale
vi lascio con questo capitolo... tornerò a postare dopo le feste, cioè dopo il
27 e spero di ritrovarvi tutte! XD
BUON NATALE A TUTTE
QUANTE!!!!!
Un bacio ed un abbraccio
RubyChubb
|
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Capitolo 15 *** Nur Reden ***
15. NUR REDEN
Per tutta la cena fu tremendamente silenzioso. Rispose solo a monosillabi o con
frasi lunghe poco più di dieci parole. Non aveva voglia di parlare, di pensare,
di mangiare, di sentire… niente, voleva solo incazzarsi con questa fottuta
impossibile vita. Sicuramente in tour non avrebbe avuto nemmeno il tempo per
respirare, quindi era proprio contento di poter affogare nel lavoro, una volta
tornato a casa.
“Ehm… cosa… cosa facciamo dopo?”, gli chiese Gustav, mentre intaccava con il
cucchiaino la sua pallina di gelato al limone. Tom aveva rifiutato il suo, non
aveva più fame, ed aspettava solo che l’altro lo finisse.
“Non lo so. Io me ne vado in spiaggia a rilassarmi un po’.”, disse Tom, con la
solita voce piatta, quasi scocciata di dover uscire dalla bocca.
“Non credo che sia una buona idea.”, gli fece il suo amico.
“Lo è...”, disse Tom, risoluto.
“Se lo dici tu. Ho sentito dire che in una delle discoteche fanno…”
“Non me ne frega nulla se ci sarà anche Mac, in spiaggia.”, lo interruppe Tom,
“Avevo promesso a Candice che ci saremmo incontrati lì, è per questo che ci
vado.”
“Sei tu il padrone della tua vita.”, gli disse Gustav, lasciando che fosse lui
a risolvere i suoi problemi, senza dar fuoco alla miccia dell’imminente
litigata, “Rilassati anche per me. Mi sa che andrò a letto, non mi sento tanto
in forma.”
“Ok…”, fece Tom, sistemandosi il suo cappellino, “Allora ci vediamo
direttamente domani.”
“Te ne vai di già?”, gli chiese Gustav, vedendo che si stava alzando.
“Sì… sono già in ritardo, dovevamo vederci un dieci minuti fa.”, fece lui.
In un attimo fu fuori dal ristorante, alle scalette che portavano alla
spiaggia, dove aveva fissato con Candice. Lei era lì, un po’ scocciata, che
passeggiava nervosamente a destra ed a sinistra. Appena lo vide sbuffò ed andò
verso di lui.
“Stavo quasi per andarmene!”, gli disse, arrabbiata.
Gli inglesi, pensò Tom, così dannatamente puntuali…
“Scusami.”, le disse, “Ma ero a cena con il mio amico e non potevo alzarmi…”
“Potevi avvertirmi!”, protestò lei.
Dato che, se non aveva voglia di parlare, non aveva nemmeno la minima
intenzione di litigare, la zittì con un bacio.
“Beh… così va meglio.”, disse lei, sorridendogli.
Lo prese per mano e scesero per le scalette. Voleva anche zittire tutti i
pensieri che gli vorticavano in testa e non trovava migliore medicina che non
fosse una bella scopata. Lei gli aveva fatto capire che… insomma, quella poteva
essere la sera buona per realizzare il secondo scopo di quella vacanza,
scopare, dato che il primo, divertirsi, se n’era andato a puttane. Candice non
era il suo tipo ideale, ma aveva un bel corpo, una bella
attrezzatura.
Una che poteva bastare per poco.
Al primo falò, davanti a loro, c’era musica house e i vacanzieri sembravano
cimentarsi in un sabba, ballando intorno al fuoco.
“Vogliamo rimanere qui per un po’?”, gli disse Candice, abbracciandolo lungo i
fianchi.
“No, non mi piace questa musica. Andiamo all’altro.”, disse Tom.
Gli occhi roteavano a destra ed a sinistra, cadevano poche volte su di lei, che
invece se lo stava divorando.
Avevano preso due strade diverse?
Lei stava con un altro?
Allora anche lui stava con un’altra!
Anche lui aveva il sacrosanto diritto di vivere la sua vita, di fronte a tutti,
senza nascondersi davanti a nessuno… era il lato sinistro del suo cuore a
dirgli queste cose; era quello cattivo, quello egoista, quello prepotente,
quello malizioso, quello arrogante.
Poi una vocina dentro di lui contestò l’altra: gli ripeteva che tutto questo
era già successo, tutto questo non era una novità, che quella situazione
patetica l’aveva già vissuta… era il lato destro del suo cuore, quello che non
aveva mai fatto pace con il lato sinistro, e che adesso si stava ribellando
come non lo faceva più da diverso tempo e gli stava imponendo di fermarsi, di
pensare e di riflettere bene su quello che stava per fare.
Tutto quello era già successo il Natale in cui si erano baciati per la prima
volta, due anni prima. Lei era con un altro, o almeno, fingeva di stare con un
altro. Lui era con un’altra, con la quale non stava insieme, ma che si scopava
volentieri.
Tutto stava per ricapitare. Lui con un'altra, lei con un altro.
Loro due, insieme nel solito luogo.
Divisi dalle loro scelte di vita.
Messi l’uno di fronte all’altro, a confrontarsi ed a studiarsi.
La situazione era la stessa.
Ma non lo erano più Tom e Mac.
E allora a chi dare retta?
Al suo lato sinistro, che gli imponeva di continuare verso il secondo falò
perchè era sicuro che Mac poteva essere lì?
O al suo lato destro, che voleva che lui riflettesse, prima di fare qualsiasi
cosa, ma soprattutto voleva che si fermasse?
Si ricordò dell’ultima volta che aveva ascoltato il lato sinistro, in quel locale,
dopo gli Emas. I risultati erano ben visibili davanti ai suoi occhi pure in
quel momento.
“Beh… a me non disgarba.”, disse lei, “E poi sembra esserci più divertimento
qua. Rimaniamo?”
“Sì, hai ragione. Rimaniamo qua.”, disse Tom, andando a sedersi il più vicino
possibile al bagnasciuga.
“Fa quasi freddo.”, disse Mac, che si scaldava le mani al fuoco appena nato ma
già alto. Quel vestito che aveva indosso era talmente fine che il calore
naturale dell’aria non le bastava per stare bene. Le venivano continuamente i
brividi.
“Mi dispiace, non ho niente da poterti dare.”, disse Herwig.
“Oh no, non dispiacerti, di solito si sta benissimo, sono io che stasera ho più
freddo del solito. Vado in casa a prendermi qualcosa.”, gli disse Mac.
“Se vuoi posso andare nel mio appartamento, così ti risparmi tutto il tragitto.”
“No no, faccio io, così magari mi metto anche più comoda e non sporco questo
vestito.”, fece lei, inviandosi nella direzione delle scalette.
A metà strada, trovo Nagomi.
Se ne stava disteso sulla sabbia, gambe e braccia aperte, con lo sguardo ebete
verso il cielo.
“Brutto deficiente!”, gli fece, accucciandosi e dandogli uno schiaffo leggero
sul viso, “Ma che ti è saltato in mente? Cosa fai qui?”
“Eh?”, fece lui. Pareva in estasi mistica.
“Ma ti sembra questo il modo?”, esclamò Mac, prendendogli la bottiglia di vino,
ormai secca e vuota, che se ne stava in piedi accanto alla sua testa. Poi si
accorse dei risolini che sentiva nelle vicinanze. Alzò lo sguardo e vide che
quel gruppetto di deficienti spagnoli si stavano sganasciando dalle risate,
guardandoli.
“Non ti sembra… che le stelle… abbiano un colore diverso… stanotte?”, disse
Nagomi, “Sembrano… verdi, anzi rosse…”
“Oh mio Dio!”, fece Mac, realizzando, “Quegli stronzi ti hanno dato un acido!”
Poi si mise la mano davanti alla bocca. Mai dire a qualcuno che era stato
inconsapevolmente drogato che cosa gli avevano rifilato, o gli sarebbe preso il
panico. Lo aveva sentito dire in un film ma non sapeva se era vero. Lei, al
massimo, poteva accettare una canna, niente di più e, soprattutto, niente di
sintetico.
“Cosa? Cos’è un acido?”, fece Nagomi, oscurandosi improvvisamente.
“Io non l’ho detta quella parola.”, disse Mac.
“Sì… l’hai detta come se avessi avuto un megafono davanti alla bocca… Acido?
Sono sotto l’effetto di un acido?”, diceva Nagomi, mentre si metteva seduto.
“No, non lo sei. Adesso ti calmi, ti rilassi, cerco dell’acqua e ci facciamo
passare questa brutta sbornia.”, gli fece lei, provando a farlo distendere.
“Mi hanno drogato?!?”, esclamò Nagomi, liberandosi della sua presa e balzando
in piedi.
Ecco, aveva la riprova che in quel film avevano avuto ragione.
“Oddio Mac! Le mie mani sono viola!”, gridò Nagomi, nel panico, “Ed il mare è
rosa! E sta cercando di mangiarmi! Vuole mangiarmi!”
“Cazzo!”, disse Mac, mettendosi le mani nei capelli.
E adesso cosa c’era da fare?
Nagomi, in preda al terrore, si mise a correre e a gridare, attirando
l’attenzione di tutta la spiaggia. Mac non potè fare altro che stargli dietro,
cercando di afferrarlo quando gli si avvicinava. Mentre gli spagnoli se la
ridevano come matti, gli altri ragazzi presenti sulla spiaggia le andarono in
soccorso, per cercare di capire cosa avesse avuto quell’indemoniato.
“Ma cosa gli è preso!”, le fece una ragazza, in prefetto francese.
“Degli idioti lo hanno drogato di nascosto. Bisognerebbe immobilizzarlo e
portarlo in infermeria…”
Appena disse quelle parole, la ragazza chiamò un paio di suoi amici che, nel
giro di qualche secondo, furono addosso a Nagomi e lo bloccarono. Lo presero di
peso e lo portarono via.
Distesi, tra il
fuoco e l’acqua, si baciavano e si accarezzavano la pelle. Era inutile dire che
non c’erano state molte parole prima che le loro labbra, letteralmente, si
saldassero insieme. Candice, anche se era una bella ragazza, era un po’ troppo
petulante per i gusti di Tom, era una che chiacchierava troppo. Piuttosto che
stare a sentire tutti i suoi discorsi, come aveva fatto nelle sere precedenti,
avrebbe preferito buttarsi nel fuoco del falò.
Baciava molto bene, doveva dirlo, ed aveva un tocco fine, leggero. Lui, invece,
era un po’ più prepotente. Insomma, per lui era l’ora di farla finita con i
bacini dei ragazzini.
“Ci spostiamo più in là? Un po’ più nascosti?”, le disse.
“Tra un po’.”, fece lei, riavvicinando a se la sua bocca.
Che palle… esclamò dentro di sé Tom. Aveva sbagliato sul suo conto, pensava
fosse una più…
Qualcuno prese a gridare, nelle loro vicinanze. Gli venne naturale di separarsi
da lei per vedere cosa stava succedendo, non gli era parso un grido tanto
divertito.
“Dai… cosa fai…”, fece lei, riprendendolo.
“Sembrava qualcuno che stava male.”, disse lui, difendendosi.
Poi di nuovo le grida ripresero. Erano urli di terrore, non era uno che voleva
spaventare gli altri per divertirsi. Si liberò della ragazza e si mise ad
osservare il ragazzo che scorrazzava, a metà strada tra il loro falò e l’altro.
Strizzò gli occhi.
Era quell’asiatico che stava con Mac, era proprio lui.
Ma che gli era preso? Era impazzito?
Non potè nascondere una certa soddisfazione, che però sparì in un colpo quando
vide Mac che cercava di fermarlo e di bloccarlo. Non ci riusciva, le vennero in
soccorso alcuni ragazzi che si erano accorti della gravità della situazione.
Seguì la scena da lontano, come uno spettatore esterno: i ragazzi presero
Nagomi e lo sollevarono di peso, portandolo via dalla spiaggia. Passarono al di
là del falò, comunque troppo lontani perchè si accorgessero di lui, e presero
le scalette.
“Che cosa succede Tom?”, gli chiese Candice, che se n’era rimasta distesa sulla
sabbia, senza muoversi di un capello.
“Non saprei dirtelo.”, rispose lui, tornando su di lei.
“Andiamo da un’altra parte.”, fece poi lei, sorridendogli con complicità.
Era ora… pensò Tom.
Si alzarono e se ne andarono nella bassa macchia che nascondeva il cemento
delle fondamenta rialzate del villaggio… e molte altre cose.
Nagomi fu addormentato da una buona dose di sedativo naturale. Per
evitare di essere presi a pedate, uno dei tre ragazzi che lo immobilizzavano
gli dette una botta secca sul collo, facendolo svenire. Lo portarono in
infermeria, dove subito gli infermieri del turno notturno si occuparono di lui.
“Che cos’ha?”, chiesero.
“Lo hanno drogato di nascosto.”, rispose Mac, avvicinandosi all’amico disteso
sul letto.
“Chi è stato? Loro?”, chiese uno dei due uomini, indicando i tre ragazzi che lo
aveva trasportato dentro, mentre l’altro si occupava di prendere il necessario
da degli scaffali chiusi.
“No, loro mi hanno aiutato a portarlo qui.”
“Va bene… è svenuto da solo?”
“No ci ho pensato io.”, disse uno dei tre gentili ragazzi francesi.
“Ah bene… da quanto è così?”
“Beh, non glielo so dire di preciso perchè l’ho lasciato solo circa venti
minuti fa.”, rispose Mac, calcolando il tempo in cui era rimasta da sola con
Herwig.
“Quindi più o meno da un quarto d’ora.”, concluse da solo l’infermiere, “E cosa
gli hanno dato?”
“Non lo so, penso qualcosa sciolto nell’acqua…”
“Va bene.”, rispose l’infermiere, asettico.
“E tra quanto si riprenderà?”, domandò Mac, molto preoccupata.
“Beh, penso tra un paio di ore o tre, non lo sappiamo, dipende da cosa ha
ingerito e dalla quantità.”, rispose l’altro infermiere, “Potete anche andare,
non importa che rimaniate qua.”
“Ma io posso restare?”, chiese Mac.
“Meglio che torni tra un paio di ore per vedere come vanno le cose.”
“Ok…”, fece lei, un po’ delusa.
Fuori dall’infermeria, salutò e ringraziò di cuore di tre ragazzi che l’avevano
aiutata, promettendo loro che avrebbe offerto qualcosa da bere appena ce ne
sarebbe stata l’occasione. Se ne andò nel suo appartamento, aveva proprio
bisogno di togliersi quell’abito da dosso.
Stava quasi per buttarsi sul letto, ma si sentiva talmente tesa e nervosa che
sapeva di non essere capace di addormentarsi. Per di più non aveva neanche un
po’ di sonno. Era meglio tornarsene in spiaggia, a rilassars con l’acqua
del mare. Prese la prima t-shirt che trovò nell’armadio, pantaloncini e, con le
sigarette in tasca, se ne tornò mogia sulla spiaggia.
Doveva trovare anche un modo per nascondere ai genitori di Nagomi quello che
era successo al loro figlio. Poteva dire che non era tornato nel suo
appartamento perchè aveva dormito da lei, ma sicuramente sarebbe stato troppo
sconveniente… Quindi doveva trovare uno dei loro colleghi che fingesse di
averlo accolto per la notte, ma lo avrebbe fatto con calma, aveva tutta la
notte davanti.
Con un sigaretta accesa tra le dita, se ne stava seduta sulla
sabbia, con i piedi che affondavano nel breve tratto di spiaggia bagnata dalle
lievi onde del mare. Sì, era veramente rilassante la combinazione tra acqua calda
salata e nicotina.
Si rivestì, senza
curarsi minimamente di lei. Era stato il sesso più insoddisfacente che aveva
fatto negli ultimi sei mesi, cioè da quando la sua attività sessuale era
ripresa. Beh, non era che il resto delle volte erano state proprio esaltanti,
ma almeno si era divertito!
“Che fai?”, gli fece lei, “Non rimani nemmeno un po’ con me?”
“No… sono stanco, voglio andare a letto.”, le disse Tom.
“Possiamo anche continuare nella mia camera…”, gli fece lei, giocherellando con
una ciocca di capelli.
“La proposta è allettante… ma meglio di no, grazie.”
Meglio chiudersi in bagno e fare da soli, che continuare a farlo con un pezzo
di legno. Ma erano tutte così le inglesi? Sperava di no, altrimenti poveri gli
inglesi! Per tutto il tempo gli sembrava di essere stato da solo, a scoparsi la
sabbia. Le uniche cose che uscivano dalla sua bocca erano ‘fai piano sennò ci
sentono’…
Era meglio scaricare la questione ed andarsene via.
“Beh… allora ci vediamo domani, magari riprendiamo il discorso.”, fece lei.
Ok.”, disse Tom, alzandosi e tornandosene in spiaggia.
Dopo un sesso così scadente, nemmeno una sigaretta poteva accontentarlo, ma se
l’accese comunque. Si chiese che cosa potesse essere successo al fidanzatino di
Mac: si guardò intorno, non sembrava ci fosse traccia di nessuno dei due. Se
n’erano andati.
Si avvicinò al secondo falò, l’altro si stava spegnendo e non c’era più
nessuno, tutta la gente si era radunata intorno a questo. Sentiva parlare
francese, ancora inglese, spagnolo e, dall’altra parte del fuoco, tedesco.
C’erano un paio di ragazzi, che chiacchieravano tra loro, con un paio di
bottiglie in mano. Magari poteva scambiare qualche parola con loro, visto che
Gustav era beato nel suo letto e di tedeschi come loro ce n’erano veramente
pochi. Si avvicinò con discrezione a loro e, facendo l’indifferente, allungò
l’orecchio per ascoltare cosa si dicevano. Insomma, prese a farsi i cazzi loro.
Si mise tra i due ed il fuoco, dando loro le spalle.
“No, non ci potrei venire, soffro di mal di mare.”, disse uno dei due, quello
più basso e moro.
“Ti prendi qualcosa contro la nausea e vieni. Non ti immagini cosa c’è là
sotto.”, disse l’altro, quello più alto e biondiccio.
“Posso vedermi un documentario.”, rispose l’altro.
“Ma la televisione non ti dà l’emozione che provi quando se laggiù, sott’acqua.
La barriera corallina non è la stessa!”
“Sì, ma rimane sempre il fatto che appena salgo su una barca inizio a vomitare
l’anima. No, grazie Herwig, sto bene sulla terra ferma.”
“E come hai fatto a venire su quest’isola? Ci sono venti minuti di traghetto
dall’aeroporto a qui!”, disse l’altro, il tipo che evidentemente si chiamava
Herwig.
“Infatti, non ti dico quanto sono stato male!”, fece l’altro, ridendo, “Però
ancora non ho capito che ricerche fai.”
“Controllo lo stato di salute della barriera corallina. Prendo campioni da
analizzare, faccio rilevazioni varie… insomma, cose così.”, rispose il ragazzo.
Tom aggrottò la fronte. Non gli aveva detto quello del bar che Mac faceva
quello stesso lavoro?
“Vai sott’acqua da solo?”
“No, sono insieme ad una ragazza. Lei fa l’operatrice, con la telecamera
riprende ciò che le dico io.”, disse il ricercatore.
Ecco, la prova del nove. Mac lavorava con quel tipo.
Di nuovo, il lato destro del suo cuore gli diceva di allontanarsi, di
andarsene, di non ascoltare. Ma il lato sinistro si era incuriosito.
“E com’è? Carina?”, gli fece l’altro, dandogli dei colpetti maliziosi con il
gomito.
“Molto carina, ma è abbastanza scontrosa. Ogni volta che cerco di apporciarmi a
lei quella diventa un riccio, tira fuori gli artigli!”
Tom rise sotto i baffi. Mac era sempre la solita.
“Ormai non so più da che parte prenderla.”, continuò il ragazzo, “Ho provato
anche ad inventarmi la storiella patetica della mia fidanzata che si sposa con
il mio migliore amico… Ma niente, non funziona nemmeno quella.”
E questo Herwig era il solito stronzo.
“Ci stai provando? Ma siete colleghi! E l’etica professionale va a puttane!”,
fece l’altro, ridendo.
“Sì, è vero, ma più lei mi volta le spalle, più che me lo fa rizzare.”
Calmo, Tom, calmo… lui non aveva diritto di replica in quella conversazione.
Doveva solo origliare, e basta.
“Quanto ti capisco.”, disse l’altro suo amico, “Più fanno le difficili, più ti
fa voglia di scopartele. Mi piacerebbe conoscerla, se va male a te, potrei
provarci io!”
“Beh, non so se è ancora da queste parti, al suo amico hanno rifilato qualcosa
nel vino e l’hanno dovuto portare in infermeria.”, disse Herwig.
“Ah sì? Che sfigato!”, esclamò l’altro.
“Già… è proprio uno sfigato il suo amico.”
Amico? Ma non era il suo fidanzato?
Forse con la parola amico voleva intendere fidanzato. Ma allora se lui sapeva
che Mac era fidanzata, perchè ci provava con lei? Beh, questo Herwig era uno
stronzo, quindi poteva farlo senza rimorsi… anche lui lo aveva fatto a suo
tempo.
Non ci stava capendo più niente.
“Ah! Eccola! Sta seduta la sul bagnasciuga!”, fece Herwig, “Vieni, te la
presento, poi mi dici com’è!”
Tom allungò gli occhi oltre il fuoco. La riconobbe, seduta sulla sabbia, con i
piedi bagnati dall’acqua del mare. Era un po’ distante da loro. Prima non
l’aveva vista, forse era arrivata mentre lui si era messo ad ascoltare le
conversazioni altrui. Si scostò dal fuoco, rimanendo comunque tra la gente. Non
si poteva avvicinare oltre, lei lo avrebbe visto.
“Hey Mac!”, sentì
dire dalla voce di Herwig, in avvicinamento.
Che palle… pensò, mentre si alzava. Voleva starsene per cazzi suoi e c’era
sempre qualcuno a romperle le scatole. Lo vide accompagnato da un altro
ragazzo, chissà cosa voleva.
“Hey… scusa per prima, ma Nagomi si è sentito male e ho dovuto portarlo in
infermieria.”, gli disse. Non si sentiva tanto in colpa, ma lo fece per
educazione.
“Non ti preoccupare, ho visto che stava abbastanza male… conosci questo
ragazzo?”, le disse.
“No non lo conosco… sei qua in vacanza, vero?”, disse al suo amico.
“Sì, mi chiamo Frederick, sono venuto a trovare Herwig, siamo amici da diversi
anni.”, le fece lui, porgendole la mano.
“Molto piacere, Mac… già Herwig ti ha detto che lavoriamo insieme, suppongo.”,
gli disse lei, stringendogliela a sua volta.
“Sì, me lo ha detto prima.”, disse il ragazzo.
“Gia…”, feec Herwig.
Una conversazione destinata a morire sul nascere, pensò Mac, che era poco
interessata sia ad Herwig che al suo amico.
“Senti ti va di venire a prendere una birra con noi?”, le propose Herwig.
“No, grazie, sto bene così. Tra poco vado a letto.”, disse Mac, negando il poco
allettante invito.
“Ma la notte è ancora giovane!”, disse il suo amico.
“Non ho voglia, grazie lo stesso.”, ripetè Mac, cercando di essere più
convincente.
“Ok, va bene, ci vediamo domani allora?”, disse Herwig, che sembrava aver
capito come stavano le cose.
“Sì, ci vediamo domani.”
“Al porticciolo alle dieci in punto.”, disse lui, iniziando ad allontanarsi con
il suo amico.
“Perfetto.”, disse Mac.
Cavolo, quanto erano insistenti quei due. Sospirò di rassegnazione, con Herwig
doveva lavorarci per i prossimi tre mesi quindi faceva meglio a sopportarlo,
altrimenti sarebbe stato un inferno. Gettò via la sigaretta ormai finita e se
ne andò verso il secondo falò. L’altro ormai si stava spegnendo e tutta la
gente si era radunata intorno all’altro.
Non poteva sentire bene cosa si dicevano, le loro voci erano oscurate dalle
parole e dalle risa della gente intorno a lui. Non poteva avvicinarsi o sarebbe
stato visto, era meglio rimanersene lì. I due ragazzi, dopo una breve
chiacchierata con Mac, si allontanarono, andando verso le scalette, e lei, dopo
aver fatto la sua classica faccia annoiata, con il naso arricciato, prese a
venire verso la sua direzione.
I suoi piedi diventarono di marmo e si piantarono per terra, contro la sua
volontà
Con le braccia conserte, si avvicinò al falò, in cerca di un po’ di calore.
Quella notte sembrava essere davvero più fredda delle altre per lei, mentre per
tutti gli altri era sicuramente calda e divertente. Nell’accostarsi, vide un
ragazzo con la custodia di una chitarra appesa alle spalle. Era Fabian, il
parigino fricchettone che lavorava nelle cucine del ristorante centrale. Stava
chiacchierando con un paio di ragazze, sicuramente le stava intrattenendo con
qualche storiella divertente. Appena la vide avvicinarsi le congedò e si
dedicò a lei.
“Hey, ho visto che Nagomi stava male. Cosa gli è successo?”, le chiese.
“Dei deficienti lo hanno drogato senza che lui se ne accorgesse… e quando lo ha
capito ha dato di matto.”, disse Mac, scocciata per ciò che era successo.
“Cavolo… che stronzi. E sai chi sono questi idioti?”, fece lui.
“Sì, sono quei cinque spagnoli che hanno sfidato a dama alcolica mezza
spiaggia. L’altra sera è toccato a noi.”
“Ah, ho capito.”, fece l’altro, “Dopodomani dovrebbero andarsene, meglio così.”
“Già… senti, mi faresti un grossissimo favore?”, gli domandò.
“Certo, se posso.”
“Visto che ci sono sfortunatamente i suoi genitori nel suo appartamento, non
possiamo farlo tornare lì prima che abbia completamente smaltito la cosa. Se
qualcuno te lo chiedesse, potresti dire che ha dormito tutta la notte da te?”,
gli disse.
“Qualcuno tipo due signori asiatici?”, fece lui, sorridendo.
“Hai fatto centro!”, esclamò Mac.
“Aggiudicato, io e Nagomi stanotte ci siamo stretti in un caldo abbraccio
omosessuale.”, disse lui, abbracciandosi e mandando bacini in aria.
“Sì… puoi anche abbassare il tono se parlerai con loro.”, disse Mac, che già si
immaginava la reazione dei due signori nel sapere una cosa del genere, “Hai in
programma di strimpellare per un po’?”
“Sì, stasera propongo il mio repertorio di canzoni struggenti e sentimentali...
ed anche un po' esistenzialiste.”, fece lui, togliendosi la custodia dalle
spalle ed iniziando ad aprirla.
“Vuoi farmi suicidare?”, fece Mac, ridendo.
“No, lo faccio per lavoro. Ho fatto un contratto con una casa di cura per
tossicodipendenti. Hanno scoperto che il numero dei drogati aumenta
esponenzialmente dopo una sessione musicale di due ore fatta solo canzoni per
innamorati.”, fece l’altro, nel suo solito umorismo.
“Vai, allora ti lascio adempiere le tue questioni contrattuali. Io non ho
voglia di farmi una pera per la depressione, quindi mi allontano un po’, che
dici?”
“Perfetto! Ottima scelta.”, esclamò lui, estraendo la sua chitarra.
Il ragazzo si sedette a gambe incrociate e si riscaldò le dita con i primi
accordi, che attirarono l’attenzione di tutta la gente circostante. Dopo
qualche minuto, tutti erano seduti, di fronte a lui, che finì la sua breve jam
session raccogliendo i primi applausi.
Lei si allontanò dalla musica: se iniziava a cantare canzoni strappalacrime,
Fabian riusciva davvero a far piangere. Aveva una voce molto bassa, melodica e
dolce che riempiva veramente l’anima. Suonava benissimo la sua chitarra, quasi
pareva un incantatore davanti al suo serpente. Aveva del talento quel ragazzo,
pensava Mac, un giorno o l’altro avrebbe sicuramente fatto un disco e sarebbe
stato riconosciuto in poco tempo in tutto il mondo come uno dei migliori
cantanti melorock del pianeta. Era veramente bravo.
Tornò a sedersi con i piedi sul bagnasciuga. Voleva fumarsi un’ultima sigaretta
prima di andarsene a letto e concludere la serata nella più totale tristezza.
Brutta giornata. Pessima giornata.
Giornata da dimenticare.
La voce di Fabian, accompagnata dalle note che stava suonando, circondato dal
più totale silenzio, arrivava fino a lei e le accarezzava dolcemente il
cuore. Fissava quasi ipnotizzata il riflusso dell’acqua marina, che le bagnava
i piedi, e la sabbia, che le solleticava sulla pelle, nel continuo andirivieni.
In condizioni normali si sarebbe messa a piangere, silenziosamente, per
scaricare via la tensione che si era accumulata in lei.
Ma quando mandò stancamente la testa all’indietro, comprese che non era per
l’ennesima volta una condizione normale, la sua.
Tom se ne stava seduto dietro a lei, con discrezione.
“Hey…”, le fece, quasi con un sussurro.
“Hey… da quanto tempo stai lì?”, gli chiese, quasi sgarbatamente, come se le avesse
rubato un momento di privacy su una spiaggia, totalmente libera e all’aperto, e
non a lei riservata.
“Da un po’.”, rispose lui, “Posso parlarti? Solo cinque minuti.”
Mac ponderò sulla riposta da dare. Di getto, avrebbe detto no, che voleva
essere lasciata in pace. Ma la
Rose che latitava in lei, e che si era nascosta per troppo
tempo nella polvere invisibile del suo armadio, le gridava dentro.
“Fa' lo stesso.”, fece Tom, alzandosi.
“Cinque minuti.”, disse Mac, appena lui mosse il primo piede.
Lui le si sedette accanto, non troppo vicino, né troppo lontano.
“Come va?”, le venne da chiedergli. Era l’unica cosa sensata che in quel
momento aveva in mente.
“Tutto ok, me la cavo. Tu?”, chiese lui a sua volta.
“Abbastanza bene.”
“E’… proprio il paradiso qui.”, fece Tom.
“Sì.”, disse Mac.
“E pensare che tu hai sempre odiato la sabbia, il sale… il caldo.”, disse Tom.
“Già, è quasi impossibile da credere.”, disse Mac, ridendo solo un po’, “Ma qua
sembra che non ci sia nient’altro che questo. E l’ho amato subito. Tu cosa
racconti? Gustav mi ha detto che sta per uscire il vostro nuovo album.”
Ogni parola che
usciva dalla bocca di lei pareva una lama tagliente, affilatissima. Non parlava
con disprezzo, assolutamente, ma sentiva ancora la sua rabbia, mista a tantissima
tristezza. La conosceva ancora bene, sapeva riconoscere gli stati d’animo
celati nel tono della sua voce. Parlava schiettamente, secca, fissando il mare
davanti a sé. Anche lui non le rivolgeva uno sguardo, non sarebbe stato capace
di sostenerlo troppo a lungo contro il suo.
Situazione surreale. Parlare del più e del meno, dopo un anno e quattro mesi
lontani, li aveva contati precisi, in una sera di marzo tropicale, in piena
estate mentre su, al nord, ancora imperversavano gli ultimi sgoccioli dell’inverno.
“Beh, Gustav ti ha detto bene. Appena torniamo partiamo per un tour
promozionale. Abbiamo deciso di andarcene tutti in vacanza prima del lavoro,
così torneremo rilassati.”, fece, sorridendo sull’ultima parola, ‘rilassati’.
Quando mai poteva ancora rilassarsi, sapendo di lei nelle vicinanze.
Oramai aveva mandato a fanculo tutti i bei discorsi convincenti a cui si era
aggrappato. Non gliene fregava più niente. Adesso lei era lì e voleva provare,
ad ogni costo, a farle capire che lui non l’aveva mai dimenticata. Che in un
modo o nell’altro era sempre rimasta dentro al suo cuore. Ma poteva farlo
solo se lei glielo avrebbe permesso. Non aveva niente da perdere: se niente
fosse andato nel modo giusto, lui avrebbe fatto le valige e se ne sarebbe
andato. Lei avrebbe continuato la sua vita, lui avrebbe ripreso quella che
aveva lasciato, e solo da quel momento in poi si sarebbe dovuto impegnare per
dimenticarla davvero. Per sempre.
Dando retta al lato destro del suo cuore, si impose di calibrare ogni parola,
ogni atteggiamento, ogni sguardo, ogni pensiero.
“Mi ha anche detto che Bill se n’è andato a Mosca… ma a fare cosa?”, gli
chiese, ridendo.
“E’ in un centro termale. Quando torna sarà l’uomo di gomma, a parer suo,
perchè ha detto che si vorrà far massaggiare fino a quello stadio
dell’evoluzione umana.”, le rispose lui, con un po’ di senso dell’humor.
“Già….”, disse lei.
Qualche attimo di silenzio.
Silenzio pesante, viscoso, di quello che si appiccicava addosso e faceva
sentire inadeguati e stupidi.
“Nagomi non è il mio fidanzato.”, disse Mac, secca.
“Come scusa?”, le fece. Nagomi non era il suo fidanzato. Aveva capito bene ma
lo voleva sentir dire un'altra volta
“Il ragazzo del ristorante. Fingevamo di stare insieme davanti ai suoi,
altrimenti lo avrebbero costretto a tornare a casa.”, disse Mac, lanciandogli
un’occhiata in tralice, mentre gettava via la sigaretta, ancora a metà.
“Ah… capisco.”, disse Tom. Beh, quella sì che era una bella notizia.
Di nuovo silenzio. Nessuna parola. Niente.
“Sono passati i cinque minuti.”, disse Tom. Aveva percepito da subito il
distacco ed il freddo del muro che Mac aveva eretto. Non aveva senso continuare
oltre. Era illogico sperare di riuscire a stabilire un contatto subito. “Spero
di incontrarti di nuovo, magari ti offrirò da bere.”
“Va bene.”, disse lei.
“Ci vediamo Mac.”, le disse, alzandosi.
“Ci vediamo Tom.”, rispose Mac.
Mosse qualche passo, poi una fitta allo stomaco gli impose di fermarsi. Si
voltò di nuovo verso di lei.
“Hai sete per caso?”, le chiese. Solo un tentativo, avrebbe accettato qualsiasi
risposta.
“Beh…”, fece Mac, “Solo un po’.”
“Ti porto… una birra?”, propose lui.
“Ok.”
Mentre camminava velocemente verso le scalette, per andare verso il bar, non
riusciva a comprendere se sotto la maglietta aveva una sveglia, un detonatore,
una rana che saltava…
Basta Tom, si diceva, è solo una birra.
Mai dare niente per scontato con Mac, era il più grosso errore che poteva
commettere.
Quasi strappò le due bottiglie di birra dalla mano del barista.
Calma Mac, calma. Dovevano solo parlare, nient’altro. I Tokio Hotel ci avevano
fatto anche una canzone su questo, anche se poi il parlare si trasformava in
tutt'altra cosa…
Rose non voleva fare nient’altro che parlare, solo quello, niente di più. Ma
Mac si intrometteva sempre e con il suo gelo, con la sua freddezza, rendeva la
situazione del tutto surreale. Scontro epocale tra Mac e Rose. Avrebbe vinto la
prima, ne era sicura, ormai ci conviveva da più di un anno, mentre l’altra se
ne sarebbe ribasta stata zitta e muta, senza mai fiatare se non per pochissimi
istanti di debolezza.
Quindi non c’era scampo per Rose.
Sì, ora si stavano per bere una birra insieme. Ma era solo una birra. Solo
parlare. Nur reden. Era inutile che Rose si mettesse a pensare troppo
sul dopo. Non c’era nessun dopo, o meglio, c’era quello che c’era in quel
momento: solo due persone separate, con le loro vite separate.
“Tieni.”, le disse Tom, porgendole la sua bottiglia e sedendosi di nuovo vicino
a lei. Non troppo, la solita vicinanza che ci poteva essere tra due amici non
troppo amici.
“Aspetta un attimo.”, le fece poi, togliendo via il tappo che era rimasto sul
collo della bottiglia.
Poi avvicinò anche la sua e le fecero schioccare insieme, prima di bere il
primo sorso. Doveva andarci piano con quella birra: aveva cenato pochissimo e
aveva già bevuto il vino, e ci doveva aggiungere anche il sonno che le stava
venendo.
“Allora… mi spieghi cosa ti ha portato qua? Ai tropici?”, le chiese Tom.
“Beh, una serie di coincidenze. Una scuola che dava lezioni di sub a metà
prezzo. Prendere il brevetto e due giorni dopo presentare domanda per un lavoro
letto su internet. Un’azienda di ricerche cercava un subacqueo esperto in
attrezzature elettroniche come camere e fotocamere. Mi hanno preso ed ora sono
qui da tre mesi. E per i prossimi tre.”, disse Mac, riassumendo tutto
brevemente.
“Interessante. Quindi hai abbandonato il lavoro che avevi su, in Germania.”,
disse lui.
“No, non l’ho proprio abbandonato. L’ho solo accantonato. Continuo a fare
fotografie come sempre, solo che non le vendo più ai giornali.”
“E le rivenderai quando tornerai in Germania?”, le chiese lui.
Eh, pensò Mac, bella domanda. Il punto focale non era il rivendere le
fotografie. Era il tornare in Germania. Per il momento, non ne aveva la più
pallida idea. Rimanere lì, al caldo per nove mesi l’anno, alla pioggia per i
restanti tre, con il mare che sembrava dipinto e la sabbia così fine che pareva
velluto… oppure tornarsene su, in Germania, la freddo invernale, al cielo
grigio, al traffico delle città…
“Non lo so.”, rispose Mac.
“Beh, sicuramente saranno delle bellissime fotografie. Troverai…”
“Non so se tornerò.”, specificò Mac, interrompendolo.
“Ah…”, fece Tom, “Non avevo capito che ti riferivi a quello.”
“Mi sono abituata ad una vita poco complicata. Potrei vivere qua tutta la vita
senza chiedere nient’altro in cambio. Il tempo scorre lentamente, non ci sono
frenesie, non ci sono problemi. Tutto qua è semplice.”
“Superficiale.”, disse Tom.
Già, riflettè Mac, superficiale. Ma semplice. Senza complicazioni. Bevve un
altro sorso di birra.
“Ognuno la vede come vuole.”, disse lei.
“Sì, certamente.”, rispose lui.
Mentre la birra le scorreva lentamente ed arrivava nello stomaco, Mac sentì la
testa farsi prendere da un giramento. Le venne da toccarsi le tempie, come per
cercare di fermare il vortice che la stava scombussolando. Poi sentì
improvvisamente il sonno prendere il sopravvento su di lei.
“Ti senti bene?”, le chiese Tom, vedendola con la testa tra le mani.
“Sì… solo ho un po’ di mal di testa. Sarà meglio che vada a letto.”, disse Mac,
riuscendo a stabilizzarsi.
Tom le prese la bottiglia di birra e la piantò nella sabbia, per evitare che le
cadesse di mano e se la versasse addosso. Non stava affatto bene, la sua faccia
era come di colpo sbiancata. Poi si voltò di nuovo verso di lei e la trovò
stesa sulla sabbia. Pareva svenuta.
“Mac…”, le fece, provando a scuoterla, “Mac…”
Ma niente, solo un flebile parlottio. Doveva essersi addormentata di colpo, gli
svenuti di solito non parlavano…
Cavolo, adesso cosa faceva? Non sapeva dove portarla, non gli aveva detto dove
abitava. Poi riflettè sul da farsi: se lavorava anche all’interno del
villaggio, sicuramente i suoi colleghi dovevano sapere dov’era il suo
appartamento. La prese in braccio.
L’avrebbe portata anche per chilometri in quel modo, tanto era leggera… Lei gli
mise la braccia intorno al collo. Se fosse stata capace di sapere in quale
situazione si stava trovando, sarebbe saltata via come un grillo spaventato.
Andò verso il bar dove aveva preso le birre, solo qualche minuto prima, e
chiese al barista dove abitava, fuori dal villaggio, e se c’erano macchine
disponibili per portarcela.
“Oh no, lei abita qua dentro, nella zona dei dipendenti. L’appartamento è il
numero ventidue.”, gli disse il barista e gli spiegò poi quali stradine doveva
prendere.
Durante tutto il tragitto, Mac continuò a parlottare, incomprensibile. Pareva
si mangiasse le parole.
Un anno e quattro mesi.
Lontanissimi l’uno dall’altra.
E adesso era tra le sue braccia.
Avrebbe voluto svegliarla, avrebbe voluto baciarla, accarezzarla. Ma lei era
totalmente addormentata, incosciente.
Così vicina, così reale. Non sapeva dire quanto gli era mancata, non era capace
di dimostrarlo in parole, non poteva farlo. Tutto sarebbe stato troppo
riduttivo.
La loro storia non era stata come quella dei film, dove due perfetti
sconosciuti si incontravano sotto la pioggia, si innamoravano davanti ad una
cioccolata calda e si sposavano prima dei titoli di coda.
Tutt’altro.
Mac non era la solita ragazza.
Lui non era il solito ragazzo.
Lei era complicata, a modo suo.
Lui non aveva mai amato, non sapeva cosa voleva dire avere qualcuno accanto che
lo ricambiava con la stessa preziosa moneta.
Due grandi e fondamentali variabili avevano scandito la loro storia: il tempo
ed il caso.
Il tempo li separava, il caso li riuniva.
Anche quella volta?
Il tempo aveva fatto il suo corso.
Il caso sarebbe entrato di nuovo nel mezzo a riordinare le cose?
TITOLO: c’è bisogno
che specifichi di chi sia la canzone? Ovvio che no. No scopo di lucro.
Beh, spero di farvi un "regalino" con questo capitolo,
che è tutto dire!
Eccoci qua... E il Tommino nostrano si scopre. Totalmente cotto, scotto,
arrosto, in umido, lesso, marinato e all'olio. Che ci può fare...
E Mac? Cosa penserà Mac???
Vedremo nel prossimo capitolo!
Com'è andato il vostro natale? Vi sentite in colpa per tutto quello che avete
mangiato?.... io sì... sniff... XD spero in un buon ultimo dell'anno!
Il capitolo seguente arriverà verso il due, con l'anno nuovo, spero di non
farvi un dispiacere! Quindi vi auguro subito:
FELICE ANNO NUOVO
CHE POSSA ESSERE SEMPRE MEGLIO DI QUELLO PASSATO
RubyChubb
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Capitolo 16 *** Till We Ain't Strangers Anymore ***
16. TILL WE AIN’T STRANGERS ANYMORE
Lo aveva trovato,
davanti a lui c’era la porta dell’appartamento ventidue. Ma la chiave? Con cosa
poteva aprirla? Si avvicinò alla maniglia quel tanto che gli permetteva di
poterla girare. E la porta si aprì, senza bisogno di nessuna chiave.
“Thi...”, disse Mac, smettendo di essere incomprensibile.
“No… non sono Thiago… sono Tom.”, le disse lui, sottovoce. Ancora i suoi occhi
erano chiusi, che fosse diventata sonnambula? Poi si ricordò: aveva il brutto
vizio di parlare quando era l’alcol ad addormentarla.
“Ah… Tom.”, fece lei. Pareva essere delusa.
“Sì… proprio io.”, le rispose, mandando lentamente la porta ad aprirsi con un
piede. Cercò con gli occhi l’interruttore elettrico e lo trovò, accanto allo
stipite. La luce illuminò un appartamento molto piccolo, fatto appositamente
per una persona sola. Si apriva direttamente sulla camera da letto; solo altre
due porte, quella del bagno e della cucina, l’una di fronte all’altra, ai lati
dell’entrata.
“Mac.”, le fece, per provare a svegliarla.
Lei borbottò qualcosa e si mosse, stringendosi ancora di più al suo collo.
“Mac, devo metterti a letto, ma se non mi lasci…”, le disse.
Ma lei niente, solo altri parlottii confusi. Fu costretto a posarla sul
materasso con ancora le sue braccia intorno al collo e, delicatamente, si
liberò della sua decisa presa. La sua mano sinistra cadde sul letto,
facendo un rumore strano, come di carta stropicciata, che attirò la sua attenzione.
Le alzò delicatamente la mano, stava schiacciando un rettangolino bianco, il
retro di una fotografia.
La voltò.
Rimase interdetto.
La solita fotografia che teneva nel suo portafoglio.
Era sul letto di Mac.
Entrambi... la solita fotografia.
Forse lei lo stava pensando ancora?
“Kaulitz.”, disse Mac. La sua faccia era coperta dalle sue treccine nere.
Totalmente addormentata, ancora però parlava. Gli venne da sorridere. L'aveva
chiamato Kaulitz.
Si sedette sul letto, accanto a lei, e le tolse con dolcezza i capelli dal viso.
“Dimmi Rose.”, le fece.
“Vaffanculo.”, disse.
Rimase interdetto un’altra volta.
“Vaffanculo? E perché?”, le chiese.
“Da Thiago.”, disse Mac. Si voltò sul fianco destro ed infilò una mano sotto il
cuscino, mentre l’altra si avvicinò alla sua faccia, aperta contro la coperta.
Era quello il suo modo di dormire.
Vaffanculo da parte di Thiago. Eh, c’era da aspettarselo, era quella l’unica
parola che Thiago poteva dirgli. L’ultima volta che lo aveva visto, gli aveva
scaricato addosso una serie infinita di parolacce, a difesa della sua carissima
amica. Non c'erano dubbi che Mac lo avesse informato della sua presenza nel
villaggio. Gli venne da sorridere di nuovo.
Non voleva andarsene da lì, per niente al mondo.
C’era qualcosa di male nello stendersi accanto a lei, solo per cinque minuti?
Lei non se ne sarebbe accorta, dormiva così profondamente.
Per stare sicuro che non si sarebbe addormentato, creando sicuramente qualche
problema al risveglio di entrambi, poteva tenere un po’ di tv accesa, a volume
basso. Prese il telecomando che giaceva sul comodino e premette uno dei
pulsanti numerati, puntandolo contro la tv. Questa rimase nera, spenta.
Premette un altro pulsante ma niente.
Poi comprese: musica. Era il telecomando dello stereo, stava accanto alla
televisione. Aveva preso a riprodurre il cd che c’era al suo interno e le
ultime parole della canzone in programmazione avevano riempito flebilmente la
stanza. Alzò il volume solo un po’, nell’attesa della canzone successiva, e si
distese accanto a lei, spegnendo la luce e lasciando solo che il banco lunare
delineasse in contorni del suo corpo disteso.
It Might Be Hard To Be Lovers
But It's Harder To Be Friends
Baby Pull Down The Covers
It's Time You Let Me In
Maybe Light A Couple Candles
I'll Just Go Ahead And Lock The Doors
If You'll Just Talk To Me Baby
Till We Ain't Strangers Anymore.
Il suo respiro era lento e regolare, quasi impercettibile. Seguiva
con attenzione ogni singolo tratto del suo viso. Niente era cambiato, era tutto
uguale, a parte il colore dei suoi capelli. Neri. Il biondo la faceva apparire
frizzante e vivace. Il nero la spegneva, la incupiva. Ma era sempre bellissima.
Lay Your
Head On My Pillow
I'll Sit Beside You On The Bed
Don't You Think It's Time To Say
Some things We Haven't Said
It Ain't To Late To Get Back To That Place
Back To The Way We Though It Was Before
Why Don't You Look At Me
Till We Ain't Strangers Anymore
Le parole
della canzone, in inglese. Chi stava cantando? Dalla voce sembrava Bon Jovi. Da
quando in qua a Mac piaceva Bon Jovi? Lei, la rockettara nata?
Ma sembravano descrivere perfettamente quell’istante, quel momento che sarebbe
durato solo cinque minuti.
Quelle parole sembravano leggergli nella mente: sì, era tempo di dirsi alcune
cose che ancora non si erano mai detti, per lui non era tardi per ritornare
indietro, per tornare a quello che erano una volta. Questo era quello che
avrebbe voluto tanto dirle, in quel momento, se lei non fosse stata
incosciente, dormiente.
Sometimes It's Hard
To Love Me
Sometimes It's Hard To Love You Too
I Know It's Hard Believing
That Love Can Pull Us Through
It Will Be So Easy to Live Your Life
With One Foot Out The Door
Just Hold Me Baby Till We Ain't Strangers Anymore
Sì, era vero.
Non era stato facile amarlo. Atteggiamenti spesso troppo infantili e
capricciosi.
Ma a volte non era stato facile nemmeno amare lei, che perdeva la pazienza
troppo facilmente.
Restava comunque il fatto che si erano amati e niente poteva cancellarlo,
niente. Nessuna parola, nessun litigio, nessuna incomprensione, nessun
tradimento.
Quello sarebbe stata l’unica cosa che gli avrebbe permesso di andare avanti. La
convinzione che si erano amati, anche se era finita per sempre.
It's Hard To Find
Forgiveness
When We Just Turn Out The Lights
It's hard to say you're sorry
When we can't tell wrong from right
It would be so easy to spend your
whole damn life just keeping score
Cazzo
quanto era difficile il perdono. Era impossibile dirsi scusa, chiedersi
perdono. Troppe cose si erano interposte tra loro, troppe. Poteva anche
implorarla in ginocchio, mandarle fiori, riempirla di regali… ma lei lo avrebbe
perdonato?
Già gli aveva detto di no, che era troppo tardi. E che non era sicura di voler
tornare in Germania.
Avrebbe avuto senso ritentare? Avrebbe detto di sì?
Non ne era certo e questo lo faceva stare malissimo.
So let's get down to
it baby
There ain't no need to lie
Tell me who you think you see
When you look into my eyes
Let's put our two hearts back together
And we'll leave the broken pieces on the floor
L’aveva guardata per
tutta la durata della canzone. I suoi occhi erano scorsi su ogni singolo tratto
della sua pelle, del suo viso.
Adesso che la canzone era finita, non poteva fare altro che andarsene,
lasciarla dormire da sola, in pace. Ma voleva comunque lasciarle un segno, che
le potesse far ricordare di quel breve momento insieme.
Non aveva più senso rimanere lì, sulla stessa isola, guardarsi e parlarsi
trattenendo il fiato, trattenendo le parole, trattenendo i sentimenti.
I suoi sentimenti.
Sicuramente Mac non aveva nient’altro da dirgli che non fosse il definitivo
addio.
Quella era la decisione giusta da prendere.
Aveva avuto troppi ripensamenti nel giro di pochissime ore, dal momento in cui
l’aveva vista ad adesso. Fare finta di niente, fregarsene, negare tutto. Poi
ricercare il contatto, capire qual’era la verità sui suoi sentimenti…
E comprendere che non c’erano possibilità per un nuovo futuro insieme. Lui
avrebbe voluto, ma lei no. Mac lo avrebbe rifiutato di nuovo, come quel giorno
davanti alla sua porta.
Quella era l’unica certezza, oltre al fatto che l’amava ancora con tutto se
stesso.
Frugò dentro al cassetto del comodino, in cerca di una penna.
Prese la fotografia e vi scrisse qualcosa, sul retro.
Poi la ripose sul comodino, in piedi, a contrasto con un piccolo vaso vuoto,
senza fiori.
Andò fuori, colse il primo che trovò per terra e ve lo mise dentro.
Mentre tornava verso il suo appartamento, prese il telefono e compose il numero
della compagnia aerea che lo aveva fatto arrivare lì. Era l’ora di tornare a
casa.
Il primo a svegliarla fu il mal di testa. Poi venne la luce del sole.
Con gli occhi chiusi e le mani in avanti, arrivò in bagno. Tastò l’armadietto
che stava sopra il lavandino, ne individuò la maniglia e lo aprì. Attraverso la
minuscola fessura delle palpebre, vide il tubetto delle aspirine. Afferrò il
bicchiere che giaceva sul lavandino, lo riempì d’acqua e ve ne fece sciogliere
due.
Dopo aver ingerito l’unico rimedio che conosceva per quel genere di mal di
testa, tornò sul letto, dopo aver chiuso la tenda per eliminare ogni singolo
raggio di sole che la stava disturbando.
Doveva essere molto tardi. Il sole era già altissimo in cielo. Guardò l’ora:
erano le due passate. Ed era anche il momento di attivare il cervello. Scese di
nuovo dal letto e andò verso la scrivania di fronte ad esso, per prendere il
cellulare.
Cinque chiamate di Herwig.
Premette il tasto ‘richiama’ ed attese la sua risposta.
“Mac? Mac stai bene?”, le fece lui, appena la linea fu stabilita.
“Sì, certo… scusami ma sono stata male tutta la notte e…”
“No, non ti preoccupare. Anche io stamattina non sono riuscito ad alzarmi,
quindi meglio così.”, disse lui. La sua voce gli entrava dentro le orecchie
come un ago rovente ed appuntito, “Partiamo alle quattro, ti va bene?
“Ok, perfetto, a dopo.”, fece Mac, chiudendo istantaneamente la chiamata e
riponendo il telefono sulla scrivania.
Si stropicciò gli occhi stanchi per dare loro un po’ di vita, ma fu del tutto
inutile. Il sonno non l’aveva ristorata per niente, anzi, si era svegliata
ancora più stanca della sera prima.
La sera prima.
Era il momento di rivedere cosa era successo.
Tom.
Tom che le parlava, parlava con lei e le sorrideva. Poi aveva sentito la sua
testa girare. E nient’altro. Doveva essere stato lui a portarla lì dentro, ma
non gli aveva mai detto che viveva in quell’appartamento… forse lo aveva
chiesto in giro, oppure aveva detto a qualcun altro di portarla a letto.
Sì, era sicuramente andata in quel modo. Si tolse gli abiti che aveva indosso,
tornò in bagno, era il momento di farsi una bella doccia, per lavare via tutto
lo sporco e tutta la tristezza. Mentre l’acqua la scaldava, con il getto
puntato dritto sul suo collo, si mise a riflettere.
Nonostante il muro che aveva eretto come protezione da lui… era felice di
averci scambiato quattro parole. Era felice che fossero stati l’uno di fronte
all’altra, a confrontarsi.
Ed avrebbe voluto farlo di nuovo, tanto per sapere cosa gli era capitato in
tutti questi mesi. Se viveva sempre nella stessa casa in cui avevano vissuto
insieme o se si era trasferito. Se andava bene il suo lavoro di produttore. Se
gli ‘Asian Fever’ avevano sfondato.
Se aveva avuto qualcun’altra.
Certo che sì, certo che aveva avuto qualche altra ragazza, dopo lei.
Era normale.
Mica come lei che, al minimo approccio di un uomo, fuggiva via perchè non ne
voleva proprio sentir parlare di iniziare una nuova storia.
Sicuramente Tom l’aveva dimenticata presto, soprattutto dopo che gli aveva
sbattuto la porta in faccia. Lo conosceva bene, era uno che si alzava presto
dopo una brutta caduta.
.......
Si scoprì essere un pochino gelosa.
Pochino? Molto.
Molto? Tantissimo.
E ne aveva motivo? No.
Realmente non aveva nessun motivo per essere gelosa della sua vita. Ma lo era e
basta.
Uscì dalla doccia, circondandosi con un asciugamano intorno al corpo.
Tom era nella sua testa e doveva toglierlo. Non era facile però, per niente.
Aveva passato la serata con lui e, indipendentemente da come era finita, era
stata bene.
No, meglio, benissimo. Anche se si era comportata freddamente, anche se non si
erano detti nient’altro che parole vane.
Lui la pensava ancora? No, sicuramente no, quindi lei non doveva pensarlo. Ma
come mai pensarlo le faceva sentire il cuore più leggero? Perché il pensare di
aver passato anche solo dieci minuti insieme a lui le faceva venire quel grosso
sorriso sulla faccia?
Pulì lo specchio annebbiato con la mano, facendo comparire la sua immagine
sbiadita, contornata da tante minuscole gocce di acqua e di umidità.
“Cosa ti sta succedendo Mac?”, disse allo specchio, “Sei una rammollita per
caso?”
No, parve rispondere il suo riflesso, sono solo ancora innamorata di
Tom.
“No non lo sei!”, fece, uscendo dal bagno e sedendosi sul letto.
Dannazione… certo che lo era.
Ma aveva senso amarlo ancora sapendo che lui non la amava più? No, non aveva un
senso. Tanto lui se ne sarebbe andato tra una settimana, più o meno, quindi il
problema si sarebbe automaticamente risolto.
Alzò lo sguardo verso l’armadio, ma prima i suoi occhi caddero sul suo
comodino.
La fotografia.
Cosa ci faceva lì?
Un fiore dentro al piccolo vaso che stava da tanto tempo vuoto sul
comodino.
.....
L’aveva lasciata sul letto!
Tom aveva visto quella fotografia e… merda, cosa aveva pensato?
Che cazzo aveva da pensare se non ‘guardate quella stupida di Mac, ancora
pensa a me’!
“Dio…”, fece, prendendola.
Stava quasi per strapparla, quando notò qualcosa sul retro.
‘Sembri ancora una bambina quando dormi, Rose. Se mi penserai anche solo un
po’, mi farai felice. Kaulitz.’
Aveva scritto Rose.
E anche Kaulitz.
“Cazzo!”, esclamò, mettendosi la faccia tra le mani.
Cercò di vestirti ma fu ostacolata dal suo stesso disordine. Cavolo, chissà
cosa aveva pensato Tom quando era entrato. Se si era affacciato in bagno, si
era sicuramente spaventato. Non era mai stato ordinata, anzi, viveva bene anche
nella confusione e lui lo sapeva, era un tratto comune ad entrambi. Anzi, era
quasi più probabile che non ci avesse nemmeno fatto caso
Non c’era fretta, tanto ancora lui non se ne sarebbe andato prima di un’altra
decina di giorni. Lasciò perdere la collina di abiti che giaceva sulla sedia,
accanto alla scrivania, quelli erano tutti da portare nelle lavanderie. Non
pensò nemmeno di andare a ripescare qualcosa dal vero contenitore dei panni
sporchi, in bagno, perchè erano come minimo due settimane che non toglieva i
vestiti da lì dentro e c’era da disturbare gli alieni che ci vivevano in mezzo.
Doveva veramente fare pulizia in quella casa, eh sì. Ma lo avrebbe fatto
domani, con calma, non certamente in quel momento. Aprì stancamente l’armadio
e, tra una ventina di stampelle vuote, prese l’unica che aveva indosso una
maglietta. Orribile, ma necessaria. Anche se Topolino stampato sorridente su
stoffa rossa era a dir poco osceno, dovette mettersi quella t-shirt, non aveva
nient’altro, che non fosse il vestito nero di Thiago, e non le pareva proprio
il caso. Se ne stava appoggiato sullo schermo del suo pc, ancora sembrava
intatto, mai indossato.
Rotolò dall’altra parte del letto e, per terra, trovò i pantaloni che aveva
messo la sera prima, per tornare in spiaggia, e che si era tolta per andare a
farsi la doccia. Si lavò i denti, si dette un po’ di profumo ed uscì dal suo
appartamento.
Dove avrebbe potuto trovarlo? In spiaggia, a quell’ora. Poteva essere lì come
in tutt’altra parte del villaggio, ma fu quello il primo posto che le venne in
mente.
Voleva ringraziarlo per la sera prima....
Per il fiore....
E per la fotografia....
Già… ma secondo lei cosa aveva voluto dirle?
La sua mente, fino a quel momento iperattiva, si spense di colpo, senza darle
una risposta alla sua domanda. Era meglio chiederlo in qualche modo a lui… ma
come, senza passare per stupida? Boh, non sapeva dirlo in quel momento, avrebbe
improvvisato. E sicuramente lui avrebbe risposto: ‘Non vuol dire niente Mac,
è solo che ho trovato carino lasciarti un pensiero’
Che idea cretina!
Scese le scalette e si ritrovò in spiaggia. Si guardò qua e là, in cerca di un
mucchio di rasta che si muovevano, ma non le sembrò di vederli.
Le valige erano già
state preparate. Il primo volo che aveva un posto disponibile, anche in
economica, partiva a notte fonda, alle due e quarantacinque. La gentile
operatrice gli aveva detto che marzo alle Seychelles era piena alta stagione,
quindi era quasi impossibile trovare un posto libero ad un’ora decente. Aveva
accettato e aveva dato il numero della sua carta di credito.
Appena arrivò nell’appartamento, si preoccupò di svegliare Gustav e di dirgli
che sarebbe partito la notte successiva, che non gli sembrava più il caso di
rimanere su quell’isola a fare l’idiota. Lui, forse per il sonno, forse perchè
era un tipo abbastanza intelligente anche se non sembrava, gli disse che andava
bene, che anche lui avrebbe preso il primo volo disponibile nei prossimi giorni
perchè quella vacanza, ormai, non era più divertente nemmeno per lui.
Tom si era scusato, ma il suo amico lo rassicurò che aveva già capito, fin dal
primo momento che aveva visto Mac, che la vacanza sarebbe terminata in
anticipo.
“Me la spasserò da qualche altra parte, Tom. Abbiamo fatto un mucchio di soldi
per questo, no?”, gli fece, con voce bassa ed impastata.
“Già…”, rispose Tom, sorridendo.
“Ecco, ora lasciami dormire che ho sonno.”, fece Gustav, tornando ad
accoccolarsi sul suo cuscino.
“Se sentirai un po’ di casino sono io che impacchetto la mia roba.”, gli disse
Tom, uscendo dalla stanza.
“Va bene tesoro.”
“Ti amo!”, gli rispose, mandandogli un bacio che fu presto scansato abilmente
dal destinatario.
Non gli ci volle molto a rifare la valigia, quasi tutti gli abiti che si era
portato se ne stavano ancora lì dentro, non li aveva ancora messi nell’armadio.
Radunò tutto ciò che non gli serviva, lasciò fuori solo l’occorrente e si mise
a letto, addormentandosi di lì a poco.
Anche se si svegliò che era mezzogiorno, sentendo Gustav che imprecava nella
sua stanza, non aveva passato una buona notte. Sonno agitato, leggero e caldo,
tanto caldo. Uscì dalla stanza in mutande, tanto ormai Gustav l’aveva visto in
tutte le salse, non si vergognava di certo, e bussò alla sua stanza.
“Ma che stai combinando?”, gli chiese, rimanendo dietro la porta, ancora chiusa.
“Niente… tranquillo, tutto sotto controllo.”, fece Gustav.
Certo, quando diceva che era tutto sotto controllo voleva dire che aveva
combinato qualcosa di brutto. Aprì la porta ed entrò
“Cosa è…. Oh cazzo!”, esclamò, vedendo sul letto di Gustav Fido,
l’animale preistorico che si era trovato appeso al soffito della sua camera il
primo giorno di vacanza.
“Tom… ti presento la mia fidanzata.”
Ma Gustav lo disse troppo tardi, Tom aveva già sbattuto la porta.
“Togli quel coso schifoso dal tuo letto!”, gli gridava.
“E’ quello che sto cercando di fare da mezz’ora…”
“Toglilo immediatamente! Uccidilo! Pestalo!”
“E’ sul tuo letto per caso?”, gli fece Gustav, sentendolo sbraitare come una
donnetta.
“No… ma mi fa schifo lo stesso! Ammazzalo!”
“Prestami una tua scarpa, lo schiaccio.”, disse Gustav, sconsolato. Si era
risvegliato con quella sorpresa sul cuscino, “Vattene in spiaggia Tom, ci penso
io a mettere a bada Bambi.”
“Se ti azzardi a farlo andare in camera mia, giuro che…”
“Calmati, ti sta partendo l’embolo!”
Con i peli tutti dritti per l’orrore, lasciò che Gustav si occupasse di quel
verme preistorico. Scosso da una serie di brividi, si mise sotto la doccia per
togliere via tutto l’appiccicaticcio che si sentiva addosso.
Tornò solo per un attimo con il pensiero alla serata precedente. Sì, aveva
preso la decisione giusta. Non era il caso di farsi tanti flip mentali su Mac,
non era destino tornare di nuovo insieme. Interruppe il flusso di acqua calda
ed uscì fuori dalla doccia.
Chissà che reazione aveva avuto quando si era trovata quella scritta, dietro
alla loro fotografia. Ne teneva ancora una con sé, come faceva lui. Beh, poteva
essere un buon segno, un punto a suo favore… ma non era molto ottimista, anzi,
quella fotografia sicuramente non contava niente per Mac. Era probabile che se
la fosse trovata inaspettatamente tra le mani, magari perchè l’aveva
dimenticata dentro ad un libro che si era portata dietro dalla Germania, e che
adesso stava per ricordarsi di gettarla via. Sì, era sicuramente così.
Tanto valeva allora tornarsene a casa, che continuare a starsene sulla stessa
isola e a fare finta di niente.
Si mise il costume che aveva lasciato fuori dalla valigia, prese il cappellino,
gli occhiali da sole, il suo telo da spiaggia ed uscì fuori. Con passo
annoiato, si ritrovò nel mezzo a tanta gente in pieno divertimento, che giocava
a pallone, chiacchierava, gridava e si rincorreva dentro l’acqua. Dopo aver
steso il suo asciugamano sul primo lettino che trovò libero, vi si sdraiò sopra
ed attese di addormentarsi di nuovo.
Niente, troppa confusione intorno a lui, troppe persone che schiamazzavano.
Sbuffò, quel giorno sarebbe stato segnato dal pessimo umore. Il sole gli dava
fastidio, la sabbia gli dava fastidio, gli altri gli davano fastidio…
“Hey.”, sentì dire, alla sua destra.
E adesso chi era… si tolse gli occhiali da sole e si voltò.
“Hey… ciao Mac.”, le disse. Se ne stava seduta sulla sabbia, con le gambe
raccolte sul petto.
“Disturbo?”, chiese lei.
“Oh no… affatto.”, disse Tom.
Totalmente sorpreso, non se l’aspettava proprio di rivederla.
E l’aveva anche colto alla sprovvista, sicchè proprio non sapeva cosa fare, né
cosa dire. Non era come la sera prima, quando era stato lui a sorprenderla sul
bagnasciuga... adesso era psicologicamente impreparato.
“C’è… qualcosa che non va Tom?”, fece Mac, divertita.
“No… perchè?”
“Hai una faccia...”, disse lei, mettendosi la mano davanti alla bocca per
nascondere la sua risata sotto i baffi.
Ecco, stava facendo la figura dello stupido. Doveva riprendersi, darsi uno
schiaffo e riafferrare il controllo di se stesso.
“Sì, scusami…”, fece, mettendosi seduto sullo sdraio ed incrociando le gambe,
“Ma stanotte non mi sono sentito tanto bene.”
“Nemmeno io… E comunque grazie per avermi riportato a casa. Scusami, non so
cosa mi sia successo, ma avevo mangiato pochissimo e molto probabilmente…”
“Sì, non ti preoccupare.”, le disse Tom, “Puoi sederti pure.”
Le indicò la parte restante del suo lettino, se voleva poteva anche sedersi di
fronte a lui, invece di rimanere bassa, sulla sabbia. Lei accettò e prese posto
sul fondo della sdraio.
“Quando mi sono voltato e ti ho vista distesa sulla sabbia mi sono anche
preoccupato, pensavo ti fossi sentita male. Poi mi sono accorto che ti eri semplicemente
addormentata.”, le spiegò, avendo capito che lei non si ricordava assolutamente
niente, “Ho domandato in giro se qualcuno sapeva dove abitavi e ti ho portata a
casa.”
Fece spallucce e rinviò la palla a Mac.
“Beh… allora grazie di nuovo per non avermi abbandonata qua!”, fece lei,
ridendo.
“Ci avevo anche pensato, ma poi dovevo trovarmi un alibi e non avevo testimoni
a mio favore.”, rispose lui.
Quando le loro risate si spensero, venne di nuovo quel silenzio pesante e
appiccicoso. Voleva entrare nel discorso, voleva chiederle cosa aveva pensato…
non ne aveva il coraggio. Lei sembrava attendere qualcosa da lui, ma la sua
voce era come volata via.
“Brutto stronzo!”, lo apostrofò una voce stridula ed inglese, prima di
tirargli contro una palla di sabbia bagnata che lo colpì in pieno viso. Mac lo
guardò con occhi sorpresi, chiedendosi cosa stava succedendo.
“Non dici niente eh?”, continuò a gridargli Candice, attirando l’attenzione di
tutti i ragazzi che stavano intorno a loro.
Lo sguardo di Mac andava da lui a lei, da lei a lui.
Ecco, ora poteva anche prendere la pala, scavarsi una fossa e ricoprirsi,
sotterrarsi vivo da solo.
“Candice…”, riuscì a dire, “Pretendevi che fossi il tuo fidanzato?”
Oddio, che frase idiota, si disse.
La testa di Mac cadde in avanti, con espressione sconsolata. Ecco, sicuramente
stava pensando che era sempre il solito, quello che non era capace di tenersi a
bada. Sì, glielo leggeva in faccia… Cazzo!
“Proprio fidanzati? No, certo che no! Ma non pensavo di vernire scaricata
immediatamente per un’altra!”, sbottò lei, incrociando le braccia.
“Senti Candice… non mi sembra il caso di continuare oltre a parlare. Per
favore, lasciami in pace, è stato bello per quello che è durato.”, le disse,
risoluto.
“Certo, perchè poi c’è sempre qualcun’altra più carina o più tettona!”, fece
lei.
“Smettila per piacere!”, gli disse, alzando il tono della voce, scocciato.
“Va bene!”, fece lei, “Ti lascio alla puttana di turno!”
Prima ancora che dal suo cervello partisse l’impulso di alzarsi e mandare a
fanculo quella deficiente, Mac si era già alzata, aveva scavalcato la sdraio e
si era piazzata davanti a Candice, con tono di sfida.
“Cosa sarei io?”, le chiese, con calma.
“Una puttana!”, ripetè Candice.
Tom si guardò rapidamente intorno: tutti gli occhi sembravano puntati su loro
due. Che situazione del cazzo…
“Ripetilo ancora.”, le disse.
“Puttana.”
La mano rapida di Mac cadde dritta sulla faccia di Candice, che prontamente si
toccò la guancia dolorante.
“Dimmelo ancora e porgi l’altra guancia.”, sibilò Mac.
Candice, stupita e allo stesso tempo incazzata, provò a contraccambiare lo
schiaffo, ma il suo braccio fu bloccato dalla presa forte di Mac.
“Ah ah… mossa sbagliata.”, le disse.
“Tu non sai chi sono io!”, sbottò Candice, “Io sono Candice Wratchford! Mio
padre ha costruito tutto questo villaggio!”
Mac la osservò perplessa per un attimo.
“E io sono Mackenzie Rosenbaum, molto piacere.”, rispose. Poi si voltò verso
tutti gli altri ragazzi della spiaggia e, a gran voce, prese a dire: “Avete
sentito? Questa qua si chiama Candice Wratchford, ha detto che è ricca
sfondata! Quindi offre da bere per tutti voi! Fatelo segnare sul suo conto!”
Il silenzio quasi totale, caduto tra i presenti per sentire quali feroci parole
sarebbero volate tra le due ragazze, fu sostituito da grida di gioia e la
spiagga, in poco tempo, fu quasi semi vuota: una mandria di bufali impazziti si
riversò sulle scalette, verso il bar, a prendere tutto ciò che la gentile
Candice Wratchford stava offrendo loro.
La ragazza, dopo essersi liberata della stretta presa di Mac, se ne corse
via, con la coda tra le gambe
“Mac… io…”, le fece. Ma di nuovo qualsiasi parola che gli veniva in mente era
troppo stupida da dire in quel momento.
“Lasciamo perdere.”, disse Mac, dopo un lungo sospriro, cercava di imporsi di
rimanere calma.
“Mi dispiace Mac… io non volevo che lei ti mettesse in ridicolo davanti a
tutti.”, le disse, alzandosi.
“Tranquillo… non è questo quello che mi da fastidio.”, fece Mac, incrociando le
braccia, a testa bassa.
“Senti, voglio rimediare a questa brutta situazione.”, le disse, cercando di
non farsi tremare la voce, “Posso invitarti a cena stasera?”
Ecco, l’aveva detto.
La risposta doveva essere rapida ed indolore, ma invece attardava a venire. Mac
si stava mordicchiando il labbro inferiore, indecisa.
“Stanotte me ne vado, torno a casa.”, le disse.
Alzò lo sguardo, perplessa.
“E perchè? Non dovevi rimanere qui due settimane?”, fece lei.
“Sì ma… David ci ha richiamato alla base per dei problemi… la… la copertina del
disco non va bene… dobbiamo sceglierne una nuova.”, le disse, inventandosi lì
per lì la scusa più banale del mondo.
“Ah, mi dispiace…”, fece lei, incupendosi, “Beh, voglio dire… rinunciare tutto
ad un tratto alle vacanza per via del lavoro.”
“Sì, è un pochino… scocciante. Allora, accetti il mio invito?”, le chiese di
nuovo.
“Beh… può andare.”, rispose lei, sorridendogli.
Le contraccambiò il suo sorriso, cercando di nasconderle quanto avessero potuto
fargli piacere le sue parole.
“Allora… facciamo per stasera alle sette?”
“Ok… Mi passi a prendere tu?” disse Mac, ridendo.
“Beh, perchè no?”, sbottò Tom, “Ti busso alla porta o vuoi che ti suoni il
clacson?”
TITOLO E CANZONE: mi inchino davanti all’arguzia mentale di Sara, alias
CowgirlSara, per avermi mandato, una sera di qualche tempo fa, il testo di
questa canzone dicendomi che, ascoltando le parole, le erano venuti a mente
questi due dementi… Graziegraziegraziegraziegrazie non finirò mai di
ringraziarti! (E buon compleanno! Anche se in ritardo di un giorno... smack!)
Si intitola ‘Till we
ain’t strangers anymore’ ed è del suo amatissimo Jon Bon Jovi. No scopo di
lucro.
Spero che abbiate
passato tutte un buon capodanno! Io ero malaticcia, ho fatto festa all'una e
mezza, nel senso che a quell'ora purtroppo sono dovuta tornare alla base
altrimenti avrei peggiorato la mia salute già ballerina! Mi rifarò il prossimo
anno! Tra un colpo di tosse ed una soffiata di naso, auguro a tutte voi:
FELICE ANNO NUOVO!!!!
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Capitolo 17 *** Long Time Coming ***
Non ve lo avevo detto l'altra
volta ma... questo è l'ultimo capitolo! Sorry...
17. LONG TIME
COMING
Davanti allo specchio
dell’armadio.
Sola.
Non sapeva cosa
mettersi.
Era tornata, si era fatta una doccia ed adesso, davanti
allo specchio, si chiedeva cosa poteva mettersi: tra pantaloni corti e
canottiere, niente sembrava adatto. Il vestito nero sullo schermo del pc
sembrava dirle: ‘Mac, sono qui, indossami… Cadrà ai tuoi
piedi…’
“E si romperà un dente…”, concluse, borbottando tra sé
e sé.
Sgomberò la mente, sedendosi per l’ennesima volta sul
letto. Aveva mandato a quel paese il lavoro con Herwig perchè non aveva nemmeno
un paio di mutande pulite e si era presa tutto il pomeriggio per fare lavatrici
di suoi abiti sporchi. Se n’era stata per due ore seduta nella saletta che
ospitava tutto l’occorrente per lavare ed asciugare gli abiti, riservata ai
dipendenti. Aveva caricato contemporaneamente tre lavatrici: bianchi, colorati e
nero e, nell’attesa, si era fatta pure le unghie. In altre parole, tanto erano
corte che si era solo tolta le pellicine fastidiose.
Una volta
che le asciugatrici iniziarono a spegnersi per la fine del ciclo di essiccatura,
si mise giu a stirare per un’altra ora e mezza.
Se ne tornò in
camera, sommersa dai suoi stessi vestiti lindi e profumati, e si prese tutto il
tempo restante per decidere cosa avrebbe indossato. Alle sei e mezza era sempre
nella più totale insicurezza che dovette imporsi di sbrigarsi.
“Andiamo Mac…”, si disse, “Ci dovrà essere qualcosa in questo
armadio che ti possa andar bene per stasera!”
No, non c’era
niente…
Doveva riuscire a fare il punto della situazione: quale
messaggio subliminale voleva trasmettere?
Saltami addosso
oppure ceniamo tranquillamente insieme?
Decisamente il
secondo.
La sua mano esperta andò su un paio di pantaloncini neri,
di stoffa quasi lucida, con un piccolo risvolto sul'orlo. Poi cadde su una
camicetta viola, molto scura, con maniche a tre quarti. Per sicurezza, l’avrebbe
abbottonata quasi fino in cima, già era aderente, meglio non dare troppo ‘a
vedere’. Per le scarpe non c’erano problemi, si sarebbe messa un paio di sandali
neri bassi, incrociati sul davanti e con i lacci che li avrebbero fermati
intorno alla caviglia, su fino al polpaccio.
Prese un elastico, si
legò le trecce alte sulla nuca. Un paio di orecchini, una collana lunga di
pietruzze nere e bianche, un braccialetto abbinato, un velo di nero sugli
occhi…
Ed era pronta.
Davanti allo specchio del
bagno, con le mani appoggiate sul lavandino, si domandava che cosa si poteva
aspettare da una cena del genere.
Innanzitutto, doveva starsene
rilassata, tranquilla, fare la disinvolta, chiacchierare senza balbettare e non
farsi sudare le mani. Avrebbe dovuto controllare, ogni volta che mangiava, che
niente le rimanesse tra i denti. Avrebbe anche dovuto eliminare certi argomenti
dalle conversazioni. Tipo: aveva avuto qualcun’altra dopo di lei? La risposta
già se la immaginava.
Ma la domanda che si era posta all'origine e
che ancora non aveva ricevuto risposta era: quali erano le sue aspettative da
una cena come quella? Nessuna aspettativa, nessuna. Solo una serata tranquilla,
senza alcuna pretesa. Poi lui se ne sarebbe andato, lei sarebbe rimasta lì per
altri tre mesi e poi… e poi niente, ci avrebbe pensato al momento appropriato.
Per adesso, hakuna matata.
Toc toc toc.
“Oh cazzo…”, fece Mac.
Prese un profondo
respiro, si dette una rapida occhiata allo specchio e poi andò alla
porta.
Con la mano sulla maniglia, prese un altro profondo
respiro, si dette un’altra rapida occhiata allo specchio, girò il pomello e
aprì.
“Ciao Mac!”, le fece Nagomi, con il suo solito sorriso
idiota sulla faccia.
“Nagomi! Che ci fai qua?”, gli fece, molto
scocciata.
“Hey ma… stai aspettando qualcuno?”, le disse,
guardandola malizioso.
“Di certo non te!”, sbottò Mac, “Ma come
stai, com’è andata la notte?”
“Oh, tutto a posto, stamattina ho
vomitato tutta la cena di ieri sera e anche forse il pranzo e la colazione… mi
sono riaddormentato e mi sono risvegliato! I miei se ne sono andati senza
nemmeno salutarmi… cosa può esserci di meglio in tutta la mia vita?”, disse lui,
con un sorriso smagliante sulla faccia.
“Se ne sono andati via?
Così, senza nemmeno vederti?”, gli chiese Mac, uscendo dal suo
appartamento.
“Sì, sicuramente sono rimasti indignati nel non
avermi visto tornare per la notte… quando sono uscito dall’infermeria non li ho
più trovati in camera, avevano fatto le valige e se ne sono andati. Avevano il
volo stamattina, sul presto.”, le disse lui.
“Mi
dispiace.”
“Oh no, tranquilla, meglio così.”, fece, cercando di
tranquillizzarla, “Piuttosto… vuoi dirmi chi stavi
aspettando?”
“Fatti tuoi?”, disse Mac, ridendo e mettendosi le
mani sui fianchi.
“Credi che già non lo sappia?”, esclamò lui,
alzando le sopracciglia ritmicamente.
“Ecco, allora vedi di
sparire!”
“Subito madame!”, fece l’altro, mettendosi la mano sulla
fronte come un militare e scattando via come un soldatino.
Mac
rise, rientrando nel suo appartamento.
Nonostante quel ragazzo
fosse del tutto solo nella sua vita, che i suoi genitori fossero degli stronzi
colossali, che non avesse molti amici in quel villaggio, a parte lei… era sempre
dannatamente ottimista, con quella bocca sempre in una smorfia sorridente. Lo
ammirava, riusciva sempre a fare buon viso a cattivo gioco, mentre lei si
sforzava e non vi riusciva. Non lo invidiava, sapeva quanto si sentisse solo,
forse era per questo che erano diventati molto amici.
Anche lei,
non era che si sentisse molto in compagnia, né su quell’isola, né in qualsiasi
altro posto del mondo. La sua anima gemella, Thiago, non era sempre accanto a
lei quando le serviva. I suoi genitori? Sì, da quando se n’era andata via di
casa, appena si era trovata un lavoro dopo la scuola, erano piano piano usciti
dalla sua vita. Altri amici? Non ne aveva.
Toc toc toc.
Ecco, era arrivato.
Prese il solito
profondo respiro.
Si dette la solita occhiata veloce allo
specchio.
Afferrò la maniglia.
Pregò che non fosse
un’altra volta Nagomi altrimenti lo avrebbe incenerito.
Girò il
pomello.
Aprì la porta.
Finalmente era lui, era
Tom.
“Oh… mio… dio…”, disse Mac, scandendo conì lentamente quelle
tre semplici parole che le ci volle un’eternità per dire quella piccola
frase.
Cosa aveva spinto Tom a chiudersi in una camicia bianca a
mezze maniche, con tanto di cravatta nera al collo e pantaloni di stoffa neri?
Ma soprattutto, perchè non aveva le sue solite sneakers ai piedi, sostituite da
un paio di scarpe di pelle? Ma di nuovo soprattutto… dov’era finito il suo
cappello?
“Che c’è?”, fece lui, solo lievemente disturbato dal
continuo scorrimento degli occhi sorpresi di Mac su di lui.
“Dove…
dove li hai presi questi vestiti?”, gli domandò.
“Dalla mia
valigia.”, rispose l’altro, naturale.
Incrociò e braccia e lo
guardò di sbieco.
“A parte la camicia e la cravatta.”, aggiunse
Tom, colto in fallo.
Lo sguardo storto si
approfondì.
“I pantaloni sono miei… Gustav è troppo basso, mi
sarebbero stati a mezza gamba!... Ecco, lo sapevo!”, esclamò, “Mi sono vestito
come un pinguino per non fare la figura del solito pelandrone… e a te non
piace!”
Mac scoppiò in una risata quasi isterica.
“Oh no, puoi stare tranquillo, stai benissimo così!”, gli disse,
quando si fu calmata.
Non poteva crederci. Lui, Tom Kaulitz, in
camicia e cravatta! E senza il cappellino!
“E allora perchè stai
continuando a ridere?”, gli chiese lui.
“Perchè sei la cosa più
divertente che mi è capitata da un bel pezzo di tempo a questa
parte!”
“Sono… sono divertente?”, fece lui, incredulo ma comunque
rallegrato.
“Beh… decisamente sì! Ma non volevo offenderti…”,
disse Mac, interrompendo la sua risata.
“Nessuna offesa.”, disse
lui, mostrandole le sue mani, prima nascoste dietro alla sua schiena, e che
sorreggevano un piccolo fiore azzurro.
“Wow!”, esclamò Mac, “Da
quale pratino lo hai staccato?”
“Sei sarcastica esattamente come
quando ci siamo conosciuti.”, le disse Tom.
“Non dovrei esserlo?”,
fece Mac, facendogli la linguaccia ed uscendo dal suo appartamento, evitanto
accuratamente di non avvicinarsi troppo a Tom che le si parava davanti, “Allora,
andiamo a cena o no?”
Gli prese il fiorellino che le porgeva e,
dopo esserselo messo sopra l’orecchio, tra i capelli, si incamminò verso il
ristorante.
“Oh no, non mi dire, dai!”, esclamò Mac,
mentre giocherellava con il suo bicchiere.
“Posso giurartelo su
quello che vuoi.”, le disse Tom, alzando le mani.
Il tavolo era
stato sgomberato da tutto, c’erano solo l’acqua e la bottiglia di vino rosso
quasi vuota ed i loro due bicchieri, insieme a qualche briciolina di pane. La
cena era finita, ma stavano chiacchierando così bene da tre ore che tutto il
resto, intorno a loro, era come inesistente. Il ristorante stava iniziando a
svuotarsi e, lentamente, i camerieri stavano riapparecchiando i tavoli per la
giornata successiva.
Non c’era mai stato un momento di pausa, tra
una risata e l’altra, si erano raccontati tutte le scene più esilaranti che
avevano vissuto: del momento in cui Mac era sull’aereo per arrivare lì e, dopo
tre ore di volo, si era fatta prendere un attacco di panico per via di uno
sbalzo d’aria; di quella volta in cui Tom si era visto atterrare sulla faccia
una scarpa di una sua fan troppo calorosa… insomma, fu una serata leggera,
scandita dalle loro risate e da nessun discorso che facesse scemare l’ilarità
del momento. Nessuno dei due aveva voglia di rinvangare vecchie cose o di far
tornare in mente spiacevoli situazioni. Ma non potevano rimandare il momento a
lungo, continuando a perseverare nella finzione che quella serata fosse di puro
divertimento.
“Non ci credo.”, gli disse Mac un’altra volta,
puntando il suo indice contro il tavolo, “Tu non puoi, ripeto, non puoi
assolutamente aver comprato ‘Made in Japan’ dei Deep Purple.
Proprio non esiste. Non è nel tuo stile!”
“Ti dico che l’ho
fatto!”, le disse lui ancora una volta.
“E dimmi allora come si
intitola la terza canzone del secondo cd!”, gli fece Mac, che voleva testare se
la sua fosse una bugia o una verità.
“Non c'è nessun secondo cd.",
rispose lui, con naturalezza.
"Sbagliato! Sono due cd live!", sbottò Mac,
cogliendolo in fallo.
"Ma io ho la versione del 1972, in lp, e non c'era
nessun secondo cd... e c’è un bellissimo autografo sulla copertina… ma non mi
chiedere di chi sia perchè è illeggibile.”, disse lui, decantando le qualità del
suo acquisto fuori dalla norma. Mac, che lo guardava con gli occhi luccicanti,
se ne stava a bocca aperta.
“Allora lo hai comprato davvero… e
pure in lp… cristo, ti sei convertito al rock!”, esclamò portandosi le mani alla
bocca, “Non pensavo fosse possibile.”
“Diciamo che ho pensato di
aprire la mia mente a quei gruppi che hanno fatto la storia della musica
e…”
“Ok basta.”, lo interruppe Mac, ridendo, “Così mi stai
sconvolgendo!”
"L’avevo capito subito!”, fece l’altro, ridendo a
sua volta e bevendo l’ultimo sorso del suo bicchiere, “Tu, piuttosto, non dici
niente che mi possa lasciare a bocca aperta?”
Mac rimase un attimo
a riflettere, con la punta del suo indici indagatore che le picchiettava sul
mento.
“No, Tom, non mi viene a mente niente.”, fece, al termine
del suo ponderare, “Sono sempre la solita Mac.”
“Non ci credo!”,
sbottò Tom, imitando la sua incredulità, “E te lo posso dimostrare.
Innanzitutto, i tuoi capelli: mai avrei immaginato che te li saresti tinti di
nero. Poi questo è un posto di mare, c’è il sole, la sabbia, il sale, il vento…
e tu hai sempre odiato tutto questo! Quando siamo stati in Portogallo pensavo
che ti avrei affogata per tutte le lamentele che facevi! Ed ho anche notato un
cambiamento molto più grande ed importante di tutte queste
sciocchezze.”
“E che cambiamento sarebbe?”, gli chiese
Mac.
“I tuoi occhi non brillano più. Sono spenti.”, disse lui,
guardandola profondamente.
Il viso di Mac, dall’essere disteso e
rilassato, si rabbuiò tutto d’un colpo. La sua bocca, prima così
tanto sorridente che i muscoli delle sue guance le dolevano, si richiuse. I due
angoli si piegarono quasi impercettibilmente verso il basso e il suo sguardo
sviò altrove.
“Scusami.”, disse prontamente
Tom.
“No, fa niente.”, rispose Mac, abbozzando una smorfia che
pareva solo vagamente un sorriso. La mascherò con il suo bicchiere, bevendo un
sorso di vino.
Tom sospirò e si grattò la fronte. Quello poteva
essere il momento per chiederle di nuovo perdono… Si sporse sul tavolo,
appoggiando i gomiti sulla tovaglia rosa.
“Senti Mac… lo so che in
questo momento potrei rovinare questa serata. Per ora per me è stata a dir poco
stupenda, non mi sono divertito così tanto da… da non mi ricordo quando. Ma devo
dirtelo perchè voglio farlo. E basta.”, disse, risoluto.
“Avanti,
dimmi ciò che vuoi.”, fece Mac.
Un altro sospiro, poi la valanga
delle scuse iniziò a franare.
“Mi dispiace di tutto. Mi dispiace
di aver mandato all’aria la nostra storia. Mi dispiace di averti voltato le
spalle e di non averti voluto parlare. Mi dispiace di aver dubitato di te. Mi
dispiace di aver pensato che tu e Bill potevate essere più che amici. Mi
dispiace che, per colpa mia, tu abbia dovuto rompere i rapporti con lui. Mi
dispiace essermi presentato a casa tua, quel giorno… e soprattutto, anche prima
di tutte gli altri ‘mi dispiace’ che ti ho già detto, mi dispiace aver fatto
spegnere la luce dei tuoi occhi.”
Mac continuava a guardare in
basso, verso le sue mani, che sembravano intrecciarsi sotto il
tavolo.
“So di non meritarmi niente dopo tutto quello che ti ho
fatto. So che non mi merito nemmeno di averti qui, adesso, davanti a me a ridere
e a scherzare. Ma ti chiedo solo una cosa.”, le disse, guardandola dritto nei
suoi occhi bassi, che si alzarono solo in quel momento.
“E cosa…”,
fece lei.
“Di dirmi che mi perdoni. Nient’altro. Mi basta solo
quello. E me ne andrò via tranquillo. Ognuno tornerà alla propria vita… ma devi
dirlo solo se lo pensi veramente, altrimenti niente. Lo so che non sai mentire,
me ne accorgerei.”
Mac se ne rimase in silenzio, mordendosi il
labbro inferiore. Poi si alzò e se ne andò verso la porta, attendendo che lui la
seguisse. Uscirono fuori e presero a camminare. Lei, con le braccia incorciate e
la testa china, non sembrava intenzionata a parlare.
L’uno
camminava a fianco dell’altro, lungo i vialetti del villaggio, in silenzio. Tom,
con le mani in tasca, contò ogni singolo secondo che passava, chiedendosi se
sarebbe venuto quello in cui lei avrebbe detto una parola. Dopo l’ultima svolta,
comprese qual era la loro direzione: l’appartamento di
Mac.
Davanti alla porta, lei prese fiato e
parlò.
“Anche io devo dirti un paio di cose.”, disse Mac, “Ho
passato sei mesi della mia vita a chiedermi se ci poteva essere un modo per
odiarti più di quanto già non ti odiassi. Ho passato altri sei mesi a chiedermi
se c’era la possibilità di cancellarti completamente dalla mia
vita. E il fatto che tu sia qui in questo momento, a parlare con me, vuol dire
che ho fallito in entrambi i campi.”
Si arrestò per un attimo, il
tempo sufficiente per raccogliere di nuovo le forze e continuare a
parlare.
“Ma cosa ti fa pensare che io riesca a perdonarti? Tu sei
stato capace di sconvolgermi la vita… in quanto? Cinque secondi netti?”, fece
lei, iniziando a scaldarsi, ma soprattutto, a sfogarsi con lui come non aveva
mai fatto, “Tu lo sapevi che, in ogni modo, la nostra storia sarebbe finita
perchè eravamo troppo stupidi per capire quali erano i nostri problemi e… cosa
hai fatto? Ti sei scopato un’altra in un fottuto bagno! Tanto eravamo destinati
a lasciarci, no?”
“Non abbiamo fatto sesso…”, disse lui, a sua
discolpa.
“Tom, ti prego, non continuare oltre... Non mi importa
quanto siete andati a fondo là dentro, non me ne frega un cazzo.”, disse Mac,
risoluta ed arrabbiata, “Tu lo hai fatto e basta, è questo quello che conta per
me. Già era successo un’altra volta di beccarti a baciarti con
un’altra…”
“Solo perchè ero ubriaco fradicio!”
“Lo
hai fatto!... Tu sei stato la più grande felicità che io abbia mai provato in
vita mia e allo stesso tempo sei anche responsabile di tutto il dolore che ho
vissuto… e che sto vivendo tutt’ora. Io non so quali siano le tue intenzioni nei
miei confronti, in questo momento… Lo stai facendo perchè speravi che tornassimo
insieme? Oppure volevi solo toglierti un peso dalla
coscienza?”
Tom dovette arrendersi del tutto alle parole di Mac.
Lei non ne voleva proprio sapere di niente, né di lui, né dei suoi sentimenti.
Era irremovibile.
“Io volevo solo chiederti scusa… solo questo. Il
resto non contava.”, le disse, quasi con un sussurro della voce. Tornò verso il
vialetto e, un passo dopo l’altro, si allontanò a testa bassa. Mac, davanti alla
sua porta, lo osservò finchè non scomparve dalla sua vista, oscurato dalle
piante ornamentali dei piccoli spazi verdi di fronteo agli altri
appartamenti.
Voleva piangere, ma il suo fottutissimo orgoglio
stava avendo la meglio. Non si piangeva più per Tom. Ma appena la sua superbia
le voltò le spalle giusto un attimo per guardarsi intorno, tornò sul vialetto e,
correndo, andò verso di lui.
“Tom!”, lo chiamò, facendolo
voltare.
Si portò le mani alla bocca.
Stava
piangendo.
Lo aveva visto piangere solo un altro paio di volte e
le si era spezzato il cuore. Aveva sempre pianto per lei… Anche questa volta lo
sentì infrangersi, completamente, ed andare in mille pezzi. Gli passò le braccia
intorno al collo e lo abbracciò. Adesso anche lei stava piangendo insieme a
lui.
Le venne quasi da singhiozzare appena le sue braccia le
cinsero la vita, stringendola più che poteva.
“Mi
dispiace anche a me, Tom, tantissimo. Per tutte le volte che non abbiamo
parlato. Per tutte le volte che mi sono ingiustamente arrabbiata con te. Per
tutte le volte che ti ho messo il muso. Per tutte le volte che ti ho trattato
male. Ma soprattutto, mi dispiace per non averti saputo ascoltare quando ne
avevi più bisogno.”
“Non riesco a non perdonarti… Rose.”, le
disse, “E’ più forte di me.”
“Ti perdono anche io… Kaulitz.”,
rispose lei, quasi sorridendo nel chiamarlo in quel
modo.
“Promettimi che tornerai in Germania.”, le fece, quasi
bisbigliandolo nel suo orecchio.
“Non so se posso mantenere questa
promessa.”, disse Mac.
“Allora giura che tornerai per almeno un
paio di giorni. E farò in modo di poter cenare di nuovo insieme a te come questa
sera.”
“Adesso sei tu che non puoi mantenenerla. C’è il tour. Il
vostro nuovo album…”
“Facciamo che, non appena riusciremo a
mandare a quel paese le nostre vite, ci troveremo per una cena. Così può
andare?”
“Così va meglio!”, disse Mac, sbottando insieme a lui in
una piccola risata.
“Perfetto.”, disse Tom, sciogliendo
l’abbraccio.
Entrambi imbarazzati per quelle lacrime, le
asciugarono via con un veloce colpo.
“Devo dirti un’altra cosa
Mac.”, disse lui.
“Non vorrai mica svelarmi il terzo segreto di
Fatima!”, esclamò lei, ridendo.
“No… anche perchè non so chi sia
questa Fatima!”, fece lui, ridendo a sua volta.
“Dai, avanti…
sentiamo.”, disse Mac.
“Anzi… più che altro devo fartela vedere.”,
faceva lui, mentre prendeva qualcosa da dietro la schiena. Tirò fuori il suo
portafogli, un po’ consunto ai bordi. Lo aprì, estrasse fuori un pezzo di carta
piegato in due e lo porse a lei.
“Cos’è?”, chiese
Mac.
“Aprila.”, disse lui.
Non appena il piccolo
pezzo di carta rivelò essere una fotografia… quella fotografia… Mac rimase quasi
immobilizzata, pietrificata.
“E’… la stessa che ho io!”, disse
poi, stupita.
“L’unica che mi è rimasta.”, specificò poi
Tom.
“Anche… anche per me. E’ l’unica che ho.”, disse Mac, “Com’è
possibile... questa per entrambi…”
“Non lo so… forse è il
destino.”, disse Tom, facendo spallucce.
“Già… mentre il tempo ci
è sempre stato un po’ avverso. Non credi?”, disse Mac, mentre guardava quella
fotografia.
“Proprio così… si è fatto un po’ tardi. Tra un’ora
partirà il traghetto che mi porterà verso l’aereoporto.”
“Allora
vai, altrimenti sarete in ritardo.”, disse Mac, restituendogli la
fotografia.
“Eh sì… parto solo io. Gustav rimarrà forse ancora
qualche giorno, non è riuscito a trovare un posto sul mio
aereo…”
“Mentre nell’emisfero boreale l’inverno non si è
ancora concluso, qua siamo in piena alta stagione.”, gli disse Mac, come già gli
aveva riferito la signorina al centralino della compagnia
aerea.
“Già. Allora… manterrai la promessa?”, le
chiese.
“Solo se la manterrai anche tu.”
“Allora la
domanda corretta è: manterremo la nostra promessa?”, riformulò
Tom.
“Vedremo se tempo e destino saranno a nostro favore.”,
rispose Mac.
“Tieni. Aiutiamo il destino.”, le fece, tirando fuori
dal suo portafoglio un cartoncino.
“Wow! Adesso hai anche i
biglietti con il tuo numero… ma questo è scritto con la penna, fa troppo poco
elegante…”, esclamò Mac, fintamente stupita.
“A dire il vero quel
biglietto è utile a ricordami il mio numero quando lo do in giro, ancora non
sono stato capace di memorizzarlo…”, rivelò lui.
“Ah… beh, grazie.
Ne farò buon uso.”, disse Mac, “Ciao Kaulitz.”
“Ciao
Rose.”
***
"Sto per soffocare!”
“Tranquillo, tra poco sarà tutto
finito!”
“Mio dio! Ma tutte queste deficienti non avevano un cazzo
da fare stasera?”
“Secondo te?”
“Ma cosa penseranno
mai? Che quelli sul palco guarderanno loro?”
Almeno quaranta paia
di occhi si voltarono verso di lui, guardandolo
minacciosamente.
“Sì, hanno occhi solo per voi!”, disse Thiago,
cercando di non continuare oltre nelle sue accuse per non essere linciato vivo
dalla folla.
“Thi, sarà meglio che tieni quella boccaccia chiusa,
sennò ci spolpano vivi!”, esclamò Mac.
“Io non ci volevo venire
qua! Sei stata tu che mi hai forzato a venire a questo stupidissimo concerto!”,
protestò lui, incrociando le braccia e facendo il broncio.
In
piedi, sugli spalti del grande stadio olimpico di Barcellona, aspettavano che il
concerto finisse.
“Tu devi appoggiare ogni mia pazzia! Altrimenti
che cavolo di migliore amico sei?”, esclamò Mac, cercando di sovrastare il
rumore assordante della musica.
“Io sono il migliore amico che
cerca di darsi un contegno… ho una reputazione da mantenere, io sono Thiago
Ramirez!”, disse, soffermandosi soprattutto sullo spelling corretto del suo nome
e del suo cognome.
“L’ultima che si è rivolta a me in questi modi
ha dovuto pagare circa mille euro di conto nel bar del villaggio…”, gli rivelò
Mac.
“Perchè sei sempre la solita stronza… e comunque secondo me
stai facendo la più grande cazzata del mondo.”, le disse, cercando di non farsi
saltare in aria il cervello.
“Dici sul serio
Thi?”
“Sì… per la millesima volta, sì. E’ solo una stupida
promessa. Sapete entrambi che non ci deve essere alcun
seguito.”
“Chi se ne frega del seguito.”, esclamò Mac, incrociando
le braccia, “Io voglio mantenerla perchè sono una persona di
parola!”
“Ma fammi il piacere, sei così falsa che mi stai facendo
venire una crisi epilettica.”
“E tu sei così rompicoglioni che mi
stai facendo venire l’orticaria!”
“E tu sei così stupida da non
renderti conto che stai sprecando tempo… E poi da qua non si vede niente!
Sembrano delle formiche!”
“Volevi andare in prima
fila?”
“Sì, perchè così potevo direttamente sputargli in faccia e
dirgli che era il più grande pezzo dei merda che fosse stato cagato dai culi
dell’interno universo messo insieme.”
“Questo glielo hai già
detto, Thi… stai perdendo un po’ il tuo smalto.”, gli fece lei, passandogli un
dito sulla guancia, come per controllare lo stato della sua
pelle.
“Lo so… e mi stanno anche venendo le
rughe!”
“Ti prego, per favore, risparmiami i tuoi piagnistei sulla
decadenza dell’elasticità della pelle del tuo viso.”
“Ma è un
processo inesorabile! La vecchiaia mi sta mangiando! Mi sta consumando! Mi sta
deprimendo! Mi sta affievolendo! Mi sta…”
“Babbo Natale, ti
prego,”, fece Mac, unendo le mani in preghiera e alzando gli occhi al cielo, “se
quest’anno sarò buona, esaudisci questo mio desiderio. Fa’ che venga una piena
che inondi e spazzi via la casa di Thiago. Solo la
sua, le altre case lasciale in piedi, grazie.”
“Ma bella amica che
sei! Io sto andando in depressione perchè stamattina ho contato tre rughe e due
capelli bianchi… e tu preghi perchè un’alluvione investa la mia casa! Tanto sto
in collina ed il fiume è a valle!”
“Babbo, ti prego, uno
smottamento, una frana, una valanga di fango. Grazie di nuovo e scusa per il
disturbo.”
“Sei una puttana!”, esclamò l’altro,
indignato.
“E questa è la nostra ultimissima canzone…”, disse
Bill, scatenando un urlio generale che costrinse Thiago a mettersi le mani sulle
orecchie.
“Che pappamolle che sei…”, gli fece Mac, ridendo di lui,
“Dai, avviciniamoci alle transenne.”
Non riuscirono a scalfire
molto la folla e rimasero imbottigliati dopo pochi metri. C’erano quante?
Dodicimila? Quindicimila? Ventimila persone? E loro due non avevano altro da
fare che andarsene verso prima fila… vicino alle transenne! Un gioco da
ragazzi!
Thiago, che continuava a lamentarsi, fu lasciato indietro
da Mac, che riuscì ad aprirsi un varco. Il piano concordato era di aspettare che
la gente sgomberasse lo stadio… tutto il resto sarebbe stata una
sorpresa.
“Mio dio…”, esclamò Georg, buttandosi nel divano del
camerino, “Pensavo di buttarmi in terra per la fatica.”
“Bill, ti
prego, me l’apriresti questa bottiglia di acqua… non mi sento più le mani.”, gli
disse Gustav, porgendogliela. Avevano suonato per due ore e mezza di fila, solo
cinque minuti di stacco, erano totalmente sfatti ed
esausti.
“Bill…”, fece Tom, entrando nel camerino, trascinandosi i
piedi dietro a sé come un zombie.
“Che vuoi?”, gli chiese suo
fratello, lievemente scocciato perchè dal tono che aveva usato sicuramente stava
per implorargli qualcosa.
“Quanto manca alla fine del
tour?”
“Me lo hai chiesto anche prima che iniziasse il concerto!”,
sbottò Bill, perdendo istantaneamente la pazienza. “E anche ieri, e l’altro
ieri… e pure l’altro altro ieri!”
“Sì… ma quante date mancano
ancora?”, ripropose Tom.
“Ne mancano quattro! Capito?
Q-U-A-T-T-R-O! Mi hai inteso bene? Quattro!”, gli gridò a due centimetri dalla
faccia.
“Hey… non ti scaldare!”, sbottò Tom, uscendo dalla stanza
con la solita semplicità con cui era entrato.
“Che cane
bastonato…”, disse Gustav.
“Ha scoperto qualcosa secondo voi?”,
chiese Bill ai suoi tre complici.
“No, secondo me non ha capito
niente nemmeno quando ha visto che infilavi i pass ed i biglietti dentro una
busta e gli hai detto che li inviavi ad una tua amica in Finlandia.”, disse
Gustav, sghignazzando, “E’ talmente rincoglionito che potevamo anche
chiacchierarne davanti a lui senza che si accorgesse di
niente.”
“Già… ma ancora ho dei dubbi… secondo me non verrà.”,
disse Georg, mentre toglieva la pellicola da un sandwich al
tonno.
“A me è sembrata molto… fredda… quando parlavamo al
telefono sembrava fossimo dei perfetti sconosciuti.”, disse Bill, dopo aver
sorseggiato un po’ dell’acqua della bottiglia aperta per
Gustav.
“Se non verrà, né ora né dopo… Saremo costretti a sorbirci
Pianta-Grassa-Tom. Sono tre mesi che se ne sta sempre a con la testa tra le
nuvole… è insopportabile!”, esclamò Gustav.
“Lo spero anche io…”,
disse Bill.
“Dove cavolo saranno… li avevo messi qui!”, esclamò Mac,
mentre frugava nella sua borsa in cerca dei pass. Li aveva tenuti dentro la
busta con cui Bill glieli aveva spediti. Qualche giorno dopo la partenza di Tom,
dopo averlo pregato in tutte le lingue che
conosceva, si era fatta dare il numero di
Bill da Thiago. Poi lo aveva chiamato e, dopo qualche altra telefonata, avevano
architettato quel piccolo piano. Aveva il numero di Tom, era stato lui stesso a
darglielo… ma non voleva chiamarlo per fargli sapere direttamente che era
tornata. Voleva fargli una sorpresa.
“Perchè non ti compri una
mini borsa, di quelle che vanno tanto di moda adesso, invece di tenerti sempre
quei contenitori di cadaveri alla Mary Poppins?”, le fece Thiago,
spazientito.
“Eccoli! Meno male…”, disse, dopo aver tirato un
sospiro di sollievo. Ce n’erano due, uno per lei ed uno per Thiago. La gente
ancora era presente a flotte dentro lo stadio, ma non era difficile farsi
strada, anche se controcorrente. Tutti uscivano, loro dovevano arrivare alle
prime file.
Dopo essersi fatta spazio tra le ultime irriducibili
che speravano in un ritorno sul palco del gruppo, Mac iniziò a sbracciarsi per
attirare l’attenzione di qualcuno della sicurezza che le permettesse di
scavalcare l’alta transenna. Dei dieci uomini che continuavano a sorvegliare il
palco, solo uno fu attirato dalle sue mani svolazzanti, gli altri si limitarono
ad ignorarla.
“Cosa c’è signorina?”, le domandò l’armadio a due
ante davanti a lei, in inglese altamente tedeschizzato.
“Ehm… sono
tedesca anche io.”, gli disse nella loro lingua comune, un po’ intimorita,
mentre gli mostrava il pass.
“E cosa ci fa in mezzo alla folla?”,
le chiese l’uomo, dopo averlo esaminato con cura per controllare che non fosse
un falso fatto al computer.
“Beh… è una storia un po’ lunga…”,
disse Mac, che non sapeva da che parte rifarsi. Soprattutto le ragazze vicino a
lei la stavano guardando con occhi famelici. Per la serie ‘guarda quella
stronza, ha un pass… se lo avessi visto prima glielo avrei rubato di
mano… ’
“C’è anche un mio amico. Anche lui ha il pass.”, gli
fece poi, “Da dove entriamo?”
“Ma chi ve li ha dati questi?”,
domandò lui ancora.
Mac gli fece gesto di avvicinarsi, di
sporgersi verso di lei.
“Me li ha spediti direttamente Bill.”, gli
disse, in un orecchio.
L’uomo scoppiò in una risata
fragorosa.
“Ma non mi dire! Direttamente Bill!”, sbottò,
continuando a ridere.
Thiago, rimasto qualche passo dietro a Mac,
spazientito e scocciato per essersi intrufolato tra ragazzine sudate e
puzzolenti, perse completamente il lume della ragione.
“Ascoltami
montagna di muscoli senza cervello né pisello perchè ti sei talmente tanto
imbottito di steroidi che sicuramente ti è caduto dentro al bagno quando te lo
sei tirato fuori l’altro giorno per pisciare… se non ci fai passare, ti giuro
che ti faccio licenziare seduta stante.”
L’uomo, lì per lì
divertito dalla sua esplosione di rabbia, riconsegnò i pass e si
scusò.
“Certo... Thiago.”, disse poi, “Andate in fondo a sinistra,
si può entrare solo da lì.”
Mac si voltò verso Thiago, guardandolo
stupita. Una volta che furono usciti dalla piccola folla, si tolse il
dubbio
“Ti ha chiamato per nome?”, gli fece, fermandolo. Ancora
non gli era passata l’arrabbiatura.
“Ci…. conoscevamo.”, disse poi
lui.
“No, fermo… ho capito tutto, non andare
oltre.”
“Meno male che non c’è bisogno di parole per farsi capire
da te..”, fece lui, mettendole il braccio intorno alla spalla.
Si
avvicinarono verso il bordo sinistro del palco, dove un altro di quegli omoni
ripetè loro le solite domande fatte prima a Mac. Esaminò con cura i pass, poi
spostò lievemente la transenna e li fece entrare entrambi.
Ognuno aveva il suo camerino personale, ma tutti si
trovavano sempre in quello di Gustav. Infatti, quando era entrato lì dientro
c’erano tutti e tre. Lui, da un po’ di tempo a quella parte, preferiva
rilassarsi nel suo, tranquillo e senza fastidi. Non lo aveva sempre fatto, ma
erano due o tre settimane che sentiva sempre più il bisogno dei suoi spazi,
della sua aria.
Crisi nei Tokio Hotel? Assolutamente
no.
Crisi in Tom Kaulitz? Yes, of course.
Tre
mesi.
Erano passati tre mesi da quando se n’era tornato dalle
Seychelles.
In tre mesi, non l’aveva mai sentita, mai una
chiamata.
Avevano lasciato che il tempo ed il destino facesse
tutto al posto loro…
Ma soprattutto, non le aveva chiesto il suo
numero. In questo modo, aveva passato tre mesi ad attendere una chiamata. O un
messaggio. O anche un semplice trillo del telefono.
Non le aveva
chiesto neanche un qualsiasi altro tipo di recapito. Idiota, idiota,
idiota!
Eppure se aveva fatto i giusti calcoli, lei doveva essere
tornata a casa in questi giorni. Forse avrebbe atteso che il tour del gruppo
finisse per chiamarlo. Forse aveva perso il suo numero. Forse non lo voleva più
chiamare né vedere.
Sì, sicuramente era per
quello.
Steso sul suo divano, nel suo camerino, si mise a
giocherellare con una palla da tennis, passandosela tra le mani e facendola
volare sopra la sua testa.
Tre mesi in attesa.
Tre
mesi passati un po’ così.
All’inizio era eccitato, quasi
schizofrenico.
Poi la sua felicità per quella serata insieme si
era lentamente affievolita.
Sempre di
più.
Ora?
Rassegnato all’evidenza dei
fatti.
Lei non avrebbe mai chiamato.
Toc toc toc.
“Chi è?”, chiese, stancamente.
“Sono io.”,
gli fece Bill.
“Da quando in qua bussi alla mia porta? Entra
andiamo…”, fece, alzandosi e mettendosi seduto. Suo fratello, completamente
privo di ogni trucco e con i capelli malamente legati dietro la testa, prese una
sedia e si sedette davanti a lui.
“Datti una svegliata.”, gli
disse.
Tom, capendo subito di cosa si sarebbe trattata la
conversazione, si ridiscese, sbuffando vistosamente.
“Lo dico per
il tuo bene. Fatti una doccia, lavati per bene, e preparati. C’è l’after
concert.”, gli disse.
“Non mi va.”
“Tom… ci saranno
i giornalisti. Se vedono un’altra volta che non ci sei inizieranno ad inventarsi
tutte le frottole sul gruppo in crisi bla bla bla!”
“Chi se ne
frega! Noi lo sappiamo che non siamo in crisi.”, sbottò Tom, tornando alla sua
pallina.
“Tom, te lo dico come se fossi nostra madre. Adesso ti
alzi, vai a lavarti e a profumarti. . E mettiti dei vestiti asciutti!”, gli
disse, sorridendogli.
“Che c’è da ridere?”, gli fece
subito.
“Niente. Te l’ho detto, c’è l’after show. Sarà totalmente
diverso da tutti gli altri."
“Andate voi… io sono stanco.”, disse,
voltandosi verso lo schienale del divano e accoccolandosi per dormire
tranquillo.
“Come ti pare, non insisto oltre.”, fece Bill,
alzandosi, “Ma una cosa che ti raccomando è di lavarti. Tom, sei un insetticida
vivente.”
“Così scaccio le mosche come te.”, borbottò, ad occhi
chiusi. Sentì suo fratello lasciare il camerino e chiudere la porta
lievemente.
Si tolse il cappellino, la fascia e si sistemò sul
divano. Casualmente, il suo naso cadde sulla sua ascella.
“Gesù…”,
esclamò, alzandosi dal divano.
Altro che insetticida… se fosse
stato ad Hollywood lo avrebbero scritturato per ‘La vendetta dell’ascella
pezzata’.
Si spogliò rapidamente e si infilò sotto la
doccia, nel piccolo bagno del camerino. Cavolo, era impressionante quanto sudava
durante un concerto. Se strizzava i suoi abiti, poteva risolvere il problema
delle falde acquifere. Mentre l’acqua gli scorreva addosso, si chiese se era il
caso di seguire gli altri all’after show… forse sì. Cosa ci avrebbe fatto lì
dentro?
Tornò nel camerino e si vestì. Che caro manager che era
David, che faceva trovare sempre dei vestiti puliti per loro, dopo ogni
concerto, pensò sarcasticamente.
Davanti allo specchio, prese la
fascia linda e profumata di detersivo alla lavanda e iniziò a legarla intorno
alla testa.
Toc toc
toc.
“Bill, lo sai che
puoi entrare!”, disse seccato. La porta era alle sue spalle, il suo riflesso
tappava completamente la sua visuale. Che caro era il loro manager David, che
metteva nei loro camerini gli specchi così piccoli! La vide comunque di sfuggita
aprirsi e richiudersi.
“Che c’è? Lo vedi che mi sto preparando per
venire all’after concert? Cosa rompi ancora?”, gli fece.
Prese il
cappellino che teneva fermo tra le ginocchia e lo indossò, cercando di infilare
i rasta dentro alla piccola apertura sul retro.
“Non dici niente?
Non è che verresti ad aiutarmi?”
Sentì i passi
dietro di sé.
Gli venne da voltarsi, era scocciante per lui non
sentire la voce petulante di suo fratello rispondere alle sue
domande.
Ecco come si era sentita Mac quando si
era girata e lo aveva visto, durante l’eclissi.
“Ciao Kaulitz.”,
disse lei.
Teneva le mani dentro al giubbino di pelle e gli
sorrideva. Nei momenti in cui rimase totalmente interdetto, senza fiato né
parole, la guardò fissa dentro i suoi grandi occhi scuri. Erano tornati luminosi
e accesi, come lo erano prima. I suoi capelli non era più neri, né aveva più
quelle lunghe treccine. I suoi capelli erano spettinati, non troppo corti.
Biondi. Un ciuffo sbarazzino le tagliava lo sguardo a metà.
“Ho
mantenuto la nostra promessa.”, gli disse.
***
Non sapeva se scegliere tra la rivista o la televisione.
La rivista se ne stava sul tavolino nero, incastrato tra i due
divani, ed attendeva di essere sfogliata.
La televisione era
statica su un telegiornale. Il telecomando era sul divano di
sinistra.
La scelta era ardua: leggere l’articolo di giornale che
parlava di loro? Oppure l’intervista che avevano rilasciato su
Viva?
In un attimo, la decisione fu presa: spense la tv, afferrò
una videocassetta anonima, la infilò nel videoregistratore, selezionò il canale
corretto e premette rec.
Si sedette pesantemente sul divano e
prese la rivista.
Non poteva mica leggere e guardare la tv
contemporaneamente.
“Bill! Sono le tre e mezza, mettilo su Viva!”,
gli disse Tom, dal piano di sopra.
“Sto registrando, lo sto
registrando!”, gli fece.
Rimirò per qualche minuto la
copertina.
Lui e suo fratello, in prima pagina, l’uno di fronte
all’altro. Un primo piano, di profilo, con sguardo lievemente minaccioso, l’uno
negli occhi dell’altro. Le loro facce erano compresse tra il nome della rivista
in alto, i titoli degli altri articoli ai lati, e quello della loro intervista
in basso… ‘I Kaulitz svelano: le donne ci fanno
impazzire!’
“Che titolo deficiente…”,
sbottò.
“Bill! Ti ho detto di metterlo su Viva!”, gli gridò di
nuovo Tom.
“E io ti ho detto che lo sto registrando! E poi, cazzo,
ce l’hai o non ce l’hai la tv nella tua stupida camera?”, gli rispose
arrabbiato.
“Ah… scusa, non avevo capito.”, rispose l’altro,
abbassando il tono.
“Fratello idiota…”,
borbottò.
“Ti ho sentito!”, gli fece Tom, scendendo le
scale.
“Chi se ne frega… sto cercando l’articolo.”, gli
disse.
Con un balzo, Tom si sedette accanto a
lui.
“Cosa dice?”, esclamò, prendendoglielo dalle
mani.
“Ridammelo!”, fece Bill, “Non si strappano le cose dalle
mani degli altri.”
“Sssshh! Zitto…. Le donne ci fanno impazzire?
Ma che cazzo di titolo è?”, esclamò, vedendo la copertina.
“Sì, lo
so… fa pena.”
“Vediamo… pagina settantasei.”, lesse sull’indice e,
velocemente, andò fino alla pagina.
“Lo ha scoperto?”, chiese Bill
al fratello, dicendoglielo quasi in un orecchio.
“Ancora no… ma
abbiamo i secondi contati.”
“Ok… vie di fuga?”, chiese
Bill.
“La porta finestra che va in giardino.”
“E’
aperta?”
“Sì, l’ho aperta prima ma…”
La frase fu
interrotta da qualcosa di animalesco.
Un grido che pareva
provenire dalla giungla, dai reconditi meandri dei fiumi
amazzonici.
Un rumore di passi frettolosi, lungo le
scale.
“BILL! Ma soprattutto… KAULITZ!”, gridò Mac, con tutto il
fiato che aveva in corpo.
I due, appena sentirono la sua voce
straziata, ma soprattutto, incazzata, fecero volare in aria la rivista e, come
previsto, fuggirono fuori dalla porta finestra.
“Dove… fermatevi
all’istante!”, continuò a gridare Mac, in preda alla rabbia più nera. Chiusa nel
suo accappatoio, scalza e mezza fradicia, lasciando impronte ovunque, prese a
rincorrere i due fratelli, che stavano cercando di seminarla, correndo intorno
alla casa.
Era stata un'idea di Tom: mettere quella polverina
colorata nella loro doccia… ed attendere che Mac ne uscisse fuori
tutta completamente blu pastello.
“Se vi prendo… ma soprattutto se
prendo te, Kaulitz…”, disse Mac, esausta per tutti i giri che aveva fatto
intorno alla casa. Li aveva persi di vista, non poteva farci niente, anche se la
casa aveva solo quattro lati, quei due erano sempre più veloci di
lei.
Si sentì prendere alle spalle e, dopo un lieve gridolio, si
trovò tra le braccia di Tom.
“Come sei bella tutta blu!”, le
disse, beccandosi un sonoro ceffone sulla faccia.
“Sembro un
puffo… spero che questo colore vada via.”
“Tranquilla… è per
alimenti. Se ti fai una doccia normale va via subito.”
“Spero che
non mi rimanga sui capelli… o ti strozzo con queste mie manine
delicate.”
“Ricordati di chiamarmi brutto bagarospo mentre lo
fai.”, fece lui, dandole un piccolo bacio sulle sue labbra
bluastre.
“Andiamo dentro perchè ho freddo.”, disse Mac,
chiudendosi dentro al suo accappatoio, “Sarà anche estate, ma non è che sia
tutto questo caldo alle otto di sera.”
“Va bene.”, disse Tom,
entrando dentro casa. Mac appoggiò la testa sulla sua spalla,
sospirando.
Era la fine di luglio.
I concerti erano
finiti.
Le interviste si erano concluse.
Erano di
nuovo a casa. Sempre la stessa.
E quello era il primo giorno nel
letto in cui, prima di separarsi, avevano dormito per un anno intero, in cui si
erano abbracciati, in cui avevano fatto l’amore fino ad addormentarsi…
“Sai… questa casa non mi è mancata nemmeno un po’.”, disse Mac,
mentre salivano le scale.
“E perchè?”, le domandò Tom,
incuriosito.
“Perchè è troppo piccola, mi sento mancare l’aria….”,
fece lei, ridacchiando.
Tom si fermò al quarto gradino, la guardò
decisamente negli occhi e poi comprese.
“BILL!”, esclamò,
incavolato.
“Tomi! Mi ha torturato!”, piagnucolò lui, che se n’era
tornato sul divano, “Io non volevo dirglielo! Stava minacciando di storpiare la
mia piastra…”
“Che palle! Una volta che riusciamo a tenerle
nascosto qualcosa, ti metti a spifferare tutto!”, brontolò Tom, riprendendo la
salita del piano.
“E dai, guarda che l’avevo già capito da un
pezzo che avevate intenzione di cambiare casa, anche se non mettevo a penzolare
fuori dalla finestra la piastra di tuo fratello… Non sono mica scema, se ti
chiudi in bagno con il cellulare è logico che mi metta ad origliare!”, disse
Mac, ridendo.
“Non c’è nemmeno un attimo di privacy in questo
posto!”, protestò Tom, “C’è sempre qualcuno che si impiccia dei miei affari!
Appena chiamo l’agente immobiliare gli chiedo se ha da vendere una casa da tre
chilometri quadrati, così dovremo prenderci un appuntamento per
incontrarci!”
"E' troppo facile svelare i vostri
altarini, vi si leggono in faccia!” fece Mac.
“Già… purtroppo…”,
sibilò Tom, che ci aveva tenuto tanto a farle quella sorpresa. Ma lei era sempre
stata più sveglia di lui e l’aveva scoperto… cavolo! Davanti alla porta della
loro camera, lei scese dalle sue braccia. Fece qualche passo, oltrepassò la
soglia, ma la cintura di spugna del suo accappatoio rimase impigliata
stranamente tra le mani di Tom…
“Lasciami.”, disse Mac,
“Non vorrai mica farlo con un puffo?”
“Con un puffo no… ma con
Puffetta sì!”, rispose lui, ridendo ed avvicinandola a sé.
Le
dette un lungo bacio sulle labbra, chiedendosi come aveva fatto tutto quel tempo
senza di lei. Non lo sapeva, aveva vagato nella nebbia, senza destinazione. Non
si era mai dimenticato della sua voce, del suo respiro, del profumo dolce e
quasi impercettibile delle sue labbra.
Fu lei a terminare quel
piccolo quanto grande bacio.
“Come va la spalla?”, gli domandò,
passandoci delicatamente una mano sopra.
“Tutto ok.”, rispose
lui, sorridendole. Si era tagliato sulla scapola destra ed erano diversi giorni
che la teneva fasciata. Era successo in un pomeriggio… “Adesso tolgo la benda.
Mi dai una mano?”
“Kaulitz, lo sai che mi fa schifo il sangue!”,
protestò Mac, rabbrividendo.
“Tranquilla, non ci sarà rimasto
niente. Si sarà sicuramente rimarginata.”, disse lui, andando nel bagno della
loro camera.
“Mh… vedremo.”, disse Mac,
seguendolo.
Si tolse la larga e lunga maglietta che indossava,
rivelando un rettangolo bianco, un cerotto, fissato sulla sua scapola
destra.
“Vuoi che lo tolga? Ne sei sicuro? Lo sai che potrei
svenire…”, gli chiese, guardando il suo riflesso nello
specchio.
“Per caso sono un contorsionista del Cirque du Soleil?”,
le fece lui, che non poteva arrivare a staccare via il
cerotto.
“Ok…”, fece Mac, chiudendo gli occhi. Afferrò un lembo
del rettangolo e, cercando di non rabbrividire, iniziò a tirarlo
lentamente.
“Magari se ti dai una mossa mi eviti questa tortura…”,
disse Tom, che si sentiva tirare la pelle.
“Va bene.”, esclamò
Mac, strappandogli via del tutto il cerotto con un colpo, come se dovesse
depilarlo. Tom represse un gridolino di dolore mordendosi le labbra.
“Sei delicata come un ippopotamo obeso.”, le disse. Poi,
vedendola ancora con occhi e denti stretti, e il cerotto penzolante in mano,
“Puoi anche guardare se è tutto a posto…”
---------------------- ~ ♥ ~
--------------------
Out beneath the arms of
Cassiopeia
Where the sword of
Orion sweeps
It's me and you, Rose,
cracklin' like crossed wires
And you breathin' in
your sleep
---------------------- ~ ♥ ~
--------------------
Mac lo lesse sulla sua scapola destra.
Non
si era mai tagliato.
Non era mai stato all’ospedale a farsi
medicare.
Si era fatto tatuare quella bellissima frase sul suo
corpo.
Rimase a bocca aperta.
“Almeno questo sono
riuscito a non fartelo sapere prima del tempo.”, disse Tom, guardando la sua
faccia smarrita quanto infinitamente sopresa sullo specchio. Si voltò verso di
lei e le prese il viso tra le mani.
“Ich liebe dich, Rose.”
Quello fu il 'Ti amo' più vero che ebbe detto in
tutta la sua vita.
Dopo ne vennero molti altri, tantissimi nuovi 'Ti amo'
ancora più grandi e importanti di quello.
Ma questa è un'altra storia.
E dovrà essere
raccontata un'altra volta.
FINE
Long time coming – Bruce Springsteen
Di nuovo milioni
di grazie a Sara che mi ha consigliato, ancora una volta, per la colonna sonora
di questa storia.
Beh, cosa mi rimane da dire se non che sono giunta alla
fine per la terza volta... E ULTIMA!!!! Essì, dopo tre capitoli su Mac e Tom,
posso dire che i due vivranno insieme per sempre felici e contenti... a modo
loro, ovviamente! XD mica si ameranno tutti i giorni! Si odieranno, si
baceranno, si lasceranno, torneranno insieme... sono Kaulitz&Rose, chi li
capisce? XD
Come posso non ringraziare ognuna di voi che avete
recensito questa storia, l'avete messa tra i preferiti oppure che l'avete letta
semplicemente? Mi ha fatto veramente piacere trovare, in ogni capitolo, un nome
nuovo tra voi recensitrici (o recensitori, se ce ne sono! XD).
Con questo nuovo anno che buoni propositi avete? Io ne
ho almeno un paio: la dieta e... tornare presto con una nuova storia! XD Ne ho
almeno due che corrono su binari paralleli, un giorno scrivo di questa, un
giorno dell'altra... chissà quale delle due comparirà nelle prossime settimane?
XD
Quindi, dopo questa piccola anticipazione, non mi resta
altro che augurarvi un buon post-befana! XD Spero che questa storia vi sia
piaciuta almeno tanto quanto le altre, credo di aver fatto un buon lavoro, poi
non so, ditemi voi! XD
Vi confido un piccolo segreto... siccome me la tiro da morire, allora non riesco a ringraziarvi tutte personalmente!
XD questa grandissima scrittrice di fanfiction quale sono io non ha il tempo per
abbracciarvi tutte e darvi una pacca amichevole sulla spalla... XD ok, basta
basta, ripongo il mio superego nell'armadio polveroso di Mac...
Ad ogni modo, se potessi vi prenderei davvero a sonori
baci sulle guance per ringraziarvi del vostro sostegno! WOW 160 recensioni con
il penultimo capitolo! Che bel traguardo! Me lusingata... sniff sniff... Insieme
ai ringraziamenti alle mie recensitrici di fiducia, ringrazio anche tutte quelle
che hanno messo questa storia tra i preferiti! Faccio un grazie generale, dato
che sono pigra nell'anima! Spero di non aver diimenticato
nessuno...
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