A questo ha portato fare ciò che desideravo

di lady hawke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Note: Questa storia è nata sotto una furia creatrice che non mi spiego. L’ho amata e odiata insieme, perché mi odio quando porto me stessa ai confini del drammatico e oltre. Mi odio perché io scrivo di malinconie e di vaccate colossali, di norma, non di drammi shakespeariani. Eppure sono qui. Io e Elena, altrimenti conosciuta su EFP come Charme, abbiamo sempre pensato che Kili fosse DAVVERO troppo simile a suo zio Thorin per esserne il nipote. La minilong che vi propongo nasce da quella che è una fissazione di due persone con una potente malattia per lo Hobbit. Non me ne vogliate. Ringrazio Elena e Viola per essere state la mia morbidissima coperta di Linus.

"A questo ha portato fare ciò che desideravo."

C’era qualcosa di diverso nel raggiungere Brea senza la sorella. La presenza di Dìs, la chiacchierona, imperialista, dispettosa e regale Dìs, portava spesso alla disperazione il mancato Re sotto la Montagna, ma faceva passare velocemente il tempo. L’estate precedente aveva sposato Pirli, un nano originario di Gabilgathol, dove sostavano durante la bella stagione, e a quel punto pretendere che lei svernasse con il resto dei discendenti di Durin sarebbe stato sciocco.
Sapeva che era felice, pronta a riempire le orecchie del marito di chiacchiere e richieste assurde, e questo gli bastava. Aveva perso il morboso attaccamento che aveva per lui, e anche questo, considerò Thorin, era un fatto positivo. Sentì Dwalin grugnire, accanto a lui: il suo compagno d’arme non era un grande amante del quieto vivere di Brea, delle dolci colline. Difficile apprezzare spazi così morbidi se sei abituato alle montagne.
- Non capisco perché siamo sempre qui. Ci saranno ben posti migliori, nella Terra di Mezzo.
- Non secondo Gandalf.
- Gandalf potrebbe essere gentile e venirci incontro. – sbottò Dwalin, scocciato. – Qui non c’è molto da fare.
- Vista la sua capacità di scomparire e apparire a suo piacimento è meglio tallonarlo da vicino sui suoi itinerari soliti. – rispose Thorin, ponendo fine alla discussione, dato che, in ogni caso, Brea si stagliava davanti a loro.
Raggiunsero con calma il Puledro Impennato, dissellarono i pony e si prepararono a sistemare le loro cose nelle stanze. Con gli anni i nani di Durin erano diventati clienti così abituali che finivano per rimettere piede sempre nelle stesse stanze; era una cosa che non disturbava affatto Thorin, perché gli regalava un discreto senso di continuità. L’inverno lì sarebbe stato più mite, avrebbero rallentato i ritmi di lavoro, occupandosi per lo più del commercio di oggetti già forgiati, e avrebbero più facilmente ricevuto notizie dagli altri nani sparsi per la Terra di Mezzo.
- Voglio sperare che Gandalf si farà vivo alla svelta. – disse Dwalin, laconico.
- Hai fretta? Non vorrai infastidire Balin e i suoi studi. Sai che gli serve calma e tempo.
Dwalin grugnì qualcosa e scese di sotto, lasciando il mancato Re sotto la Montagna da solo. Il nano si guardò intorno, riprendendo famigliarità con quel piccolo ambiente, poi scese di sotto a sua volta e si avviò per le vie della città, dove sperava di riuscire ad anticipare Gandalf. Il sole era ancora alto, e di certo nessuno si sarebbe sorpreso nel vedere Thorin Scudodiquercia vagare in solitudine, poiché tutti sapevano che non era creatura avvezza alla compagnia.
- Silenzioso più del solito, il tuo cammino. – Gandalf gli si stagliò davanti a lui improvvisamente, e al nano scappò un mezzo sorriso.
- Potremmo parlare in pace, almeno. – rispose Thorin con un mezzo sorriso. Dìs era sempre stata una piantagrane, per nulla impressionata dall’autorità di Gandalf il Grigio. “Se si vestisse meglio almeno eviterebbe di sembrare un mendicante” era solita dire, incapace com’era di tenere a freno la lingua.
- Cosa di cui sono estremamente grato. – il mago fece un cenno ed entrambi iniziarono a passeggiare insieme per Brea. Erano uno strano duo, e l’enorme cappello di Gandalf non faceva che rendere più grande il dislivello tra le due figure che, nonostante ciò, parlavano da sempre come due pari.
Entrambi si aggiornarono sulle rispettive novità dei luoghi che avevano attraversato nei mesi trascorsi, dei nani che avrebbero raggiunto Thorin a Brea per svernare e di quello che combinavano gli uomini con i loro regni traballanti. Benché detronizzato, o meglio, benché Thorin non fosse mai salito sul trono o avesse indossato una corona, era da sempre molto stimato da suoi parenti e da tutti coloro che avevano vissuto ad Erebor, circondati dallo splendore. Thorin era divenuto una sorta di reliquia vivente, tutto ciò che rimaneva di un regno perduto.
Gandalf conosceva bene il cuore dei nani, e conosceva la pena che provava un cuore ferito e dilaniato nell’orgoglio; per questa ragione aveva la delicatezza di non entrare mai in argomento con il suo amico. Dentro di sé sapeva che prima o poi lui avrebbe tentato l’impresa di riottenere il suo regno. Ma i tempi dovevano maturare, e quello non era ancora il momento.
Il primo incontro con Gandalf si portò dietro una pioggia battente che mise inspiegabilmente di buon umore Balin, ma rese ancora più cupo Dwalin. Nori e Dori li avrebbero raggiunti a giorni, e il clima non li avrebbe fatti arrivare né presto, né di buonumore. Non c’era molto da fare se non sistemare i bagagli, fumare la pipa, controllare che tutto fosse in ordine e… Thorin imprecò, scoprendo che non era così. Uno dei cassoni che aveva portato con sé dalle montagne era irrimediabilmente danneggiato e non avrebbe sopportato un nuovo viaggio senza cadere a pezzi. Riusciva ad immaginare chi fosse il colpevole del misfatto: Dwalin perdeva del tutto la poca grazia che possedeva quando era contrariato, ed era probabile che se la fosse presa con oggetti inanimati. Meglio quello che prendersela con sconosciuti in una taverna, del resto.
- Dwalin, ricordami di non affidarti niente di diverso da armi, al prossimo viaggio. – fu la prima cosa che disse all’amico quella sera alla taverna, mentre cenavano.
- Perché mai?
- La tua grazia da troll lascia troppa desolazione dietro di sé.
- E’ successo anche con parte della mia roba. – rispose Balin, con un sorrisino.
- Allora è proprio un vizio…
Dwalin squadrò entrambi con aria scocciata, e porse tutte le sue attenzioni al suo piatto.
Il nuovo giorno non portò sole, ma vento gelido e altra pioggia; era il clima ideale per rimanersene chiusi al caldo, ma era difficile per Thorin rimanere fermo a crogiolarsi in totale inattività, perciò approfittò della lunga giornata per cercare qualcuno in grado di sistemare di danni di Dwalin, perché se i nani se la cavavano alla grande con il metallo lo stesso non si poteva dire per il legno. Coprendosi la testa con il cappuccio del mantello si mise per strada alla ricerca di un falegname che potesse trovare una soluzione per la loro malagrazia. Non si stupì di trovare in poco tempo un’insegna che pareva fare al caso suo, si mise al riparo sotto la tettoia ed entrò.
Si stupì però nel vedere una ragazza, all’interno della bottega.
- Buongiorno. – salutò. – Posso aiutarvi?
- Solo se vi intendete di falegnameria. – rispose Thorin, scettico.
- Non dovrei perché sono una donna?
La giovane era bassina, e dietro all’alto bancone di legno sembrava ancora più piccola; ciò non le impediva però di sembrare irrimediabilmente offesa.
- Le vostre non sono le mani di chi è abituato al lavoro pesante.
Sorpresa, la giovane nascose le sue mani nelle tasche, come se il piano su cui le aveva tenute appoggiate fosse divenuto rovente. – Un ebanista non fa lavori pesanti, fa lavori di precisione e con grazia. – rispose con fare compito, come se recitasse una poesia mandata a memoria.
- Chi è, Yule? – una voce maschile si fece sentire dal retrobottega, facendo sussultare la giovane.
- Un nano che credo ci abbia scambiati per falegnami. – urlò la ragazza, voltandosi. – Un errore comune. – disse poi rivolgendosi a Thorin con un sorrisino.
L’uomo che aveva parlato uscì dal retrobottega, e si rivelò un ragazzo giovane con i capelli spettinati. – Di cosa aveva bisogno?
- Ho delle casse da trasporto molto danneggiate da riparare. – spiegò il nano.
- Oh, be’, non credo sia lavoro per noi, noi… - iniziò il ragazzo.
- … fate lavori di precisione e con grazia. – ripetè Thorin, sotto lo sguardo attonito della ragazza. – In tal caso vi chiedo la cortesia di suggerirmi un vostro collega da cui recarmi.
Fu una frase che creò imbarazzo. I due giovani si lanciarono occhiate, sperando che fosse l’altro ad aprire bocca. Thorin, che era un artigiano a sua volta, capì il perché.
- Naturalmente se voi non siete in grado di fare il lavoro sono costretto a rivolgermi ad altri, ma immagino che a Brea l’ebano non sia merce molto apprezzata.
- L’ebano no, ma noi lavoriamo anche altro legno. Tutti lo sanno, vero Galdor? – fu la pronta risposta della ragazza, felice di mettere in imbarazzo lo straniero.
Thorin, dal canto suo, fece di tutto per reggere il colpo al suo amor proprio e al suo orgoglio, e cercò di non sembrare scalfito. – A voi la scelta, dunque.
- Portate la vostra roba domani, dovrei riuscire a fare il lavoro in ogni caso. – rispose il ragazzo.
- Dovremmo. – corresse Yule.
Thorin accennò un inchino ed uscì. Non si sorprese affatto quando fu di nuovo Yule ad accoglierlo il giorno dopo. – Dunque avevo capito bene, ve ne occuperete voi.
- Sono brava quanto mio fratello. – sbottò. – Anche se poi il merito è sempre suo.
- Lasciate che sia io a giudicare, poiché sarò quello che vi pagherà.
- Ieri non sapevate nemmeno di che si occupa un ebanista. – insistette lei, con alterigia.
- Sono un artigiano anche io, e riconosco un lavoro ben fatto da uno che non lo è. Così come apprezzo che venga fatto in tempo.
Yule colse la frecciata. Una cattiveria che le veniva rivolta per l’atteggiamento che lei aveva avuto il giorno prima e quel giorno stesso.
- Sono brava e veloce come mio fratello. Voi non avete mai tardato una consegna?
- Mai in vita mia. – furono le solenni parole di Thorin, prima che uscisse.
Passò almeno una settimana senza che Thorin Scudodiquercia si facesse vivo, impegnato ad accogliere Dori e Nori, a tenere buono Dwalin e a gestire con l’aiuto di Balin i loro affari. Un inverno a Brea poteva essere ben fruttuoso per gli affari se ben gestito. Durante quel periodo Yule lavorò con il fratello per il loro sconosciuto cliente, e fu solo chiacchierando con dei conoscenti che capirono di avere avuto a che fare non esattamente con l’ultimo dei nani.
- Oh, hai fatto la supponente con un re mancato. – rise il ragazzo, una sera mentre cenavano. – Complimenti a te.
- Che ne potevo sapere. Mica ha una corona in testa. E anche quando è proprio questo il suo problema: non è re.
- Non ti pare indelicato? – non era sorpreso dai giudizi affilati della ragazza, ma quella sera sembrava proprio in vena di commenti velenosi.
- Di sicuro so che gli manca per essere re, Galbor: cortesia e affabilità. – insistette Yule, svuotando il suo bicchiere.
- Pretendi troppo per un nano.
- No, temo di pretendere il giusto.
Ciononostante il lavoro era lavoro, e Yule si occupò con cura del suo; sistemate le scheggiature, rimpiazzati i pezzi di legno troppo danneggiati e inchiodato tutto a dovere, non rimaneva che carteggiare e dare una mano di vernice. Un’attività che avrebbe richiesto precisione e che lei trovava rilassante.
Thorin ebbe sfortuna, il giorno in cui si ripresentò dai due ebanisti per sapere a che punto erano i suoi bagagli: Yule si era appena piantata una scheggia di legno di castagno nel polpastrello dell’indice, e non era mai molto di buon umore quando questo accadeva.
- Ah, siete voi. – lo accolse, succhiandosi il dito. – La vostra roba non è ancora pronta, mi dispiace.
- Siete una ritardataria, dunque. – fu l’unico commento del nano.
Yule fece per rispondere, ma siccome il suo problema principale era il fastidio che aveva per quel maledetto castagno, preferì ignorare Thorin e recuperare un ago con cui liberarsi del problema.
Thorin rimase in silenzio, osservandola mentre armeggiava con il piccolo ago e l’espressione concentrata: notò anche il lampo di soddisfazione che attraversò i suoi occhi scuri mentre riusciva nella sua piccola impresa.
- Perdonerete l’attesa, ma ho avuto qualcosa di più importante di cui occuparmi.
- Avete una giustificazione per il ritardo? – chiese Thorin, mentre faceva cadere lo sguardo sulla mano di Yule. Incuriosita, anche la ragazza lo abbassò, scoprendo con sorpresa che doveva essere stata poco delicata, e che ora il suo polpastrello sanguinava; se lo mise in bocca, lievemente imbarazzata.
- Si può sapere perché vi disturba così tanto che io abbia messo mano alle vostre cose? – sbottò la ragazza, sfilando l’indice dalla bocca.
- Non è il caso che ce le mettiate, se dovete ridurvi così.
Yule alzò gli occhi al cielo. – Sono sciocchezze, capita. Voi non vi siete mai ferito forse con il metallo che lavorate?
- Solo quando me lo puntavano addosso altri. – rispose Thorin, regale.
- Ah, voi sapete tutto, immagino. Già. – Yule girò attorno al bancone e si avvicinò a Thorin. – Se proprio ci tenete a saperlo il lavoro è in ritardo perché il legno era così rovinato che lo si è dovuto sostituire. Nemmeno fossero passate per le mani dei troll, quelle casse. Che diavolo ci avete combinato?
Thorin ragionò sulla possibilità di lasciare che Dwalin si occupasse della faccenda, visto che ne era il responsabile. Gli avrebbe risparmiato la scocciatura, anche se in fondo sapeva che questa era una sua incombenza.
- Saperlo vi renderebbe il lavoro più veloce?
- Cielo no, ero solo curiosa. – sbottò la giovane, tornando dietro al suo bancone, irritata. – Ad ogni modo ormai è solo questione di vernice, deve asciugare bene, se volete che resista alla pioggia. Due giorni se ci sarà sole, tre se nel mentre pioverà. – spiegò distrattamente. Non aveva voglia di sentire su di sé lo sguardo indagatore del nano, perciò aveva preso un punteruolo e si era messa ad incidere un piccolo pezzo di legno, futura parte di un qualche intarsio.
- Sanguinate ancora, sapete? – furono le parole di Thorin, prima di uscire. Yule si guardò la mano e scoprì che il nano aveva ragione. Per l’ennesima volta era sparito senza salutare, come se la bottega dei Chorster fosse proprietà sua. Sperò con tutto il cuore in due giornate di pieno sole, in modo da risolvere quella commissione il prima possibile. E siccome sperò con tutte le sue forze, piovve per tre giorni.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Note: eccomi con il secondo capitolo, come vedete, quando una storia è conclusa si fa presto a continuare a postarla in tempi brevi. Per chi mi chiede quanto sarà lunga... non l'ho divisa ancora tutta a capitoli, ma credo non più di quattro o cinque. Non è una superlong. A presto :3

Capitolo secondo

Thorin osservò la pioggia dalle grandi finestre del Puledro Impennato con aria più divertita del dovuto, dettaglio che Balin registrò con cura e tenne per sé. Se un nano ama vedere la pioggia scivolare su vetri anneriti da candele e fumo di pipa, di norma è perché nasconde qualcosa.
Fu con soddisfazione dunque che Thorin Scudodiquercia si ripresentò dagli ebanisti di Brea, la mattina del quarto giorno. Galbor era nel retrobottega, intento a trafficare, mentre Yule era al suo solito posto al bancone, con aria scontrosa. Thorin le si parò davanti serio e composto, ma lei scorse trionfo nei suoi modi e lo odiò per questo.
- Credo che la pioggia mi abbia fatto aspettare a sufficienza. – disse.
- E’ difficile per voi dare il buongiorno, la mattina?
- Yule! – la voce di Galbor, con chiaro tono di rimprovero, giunse forte e chiara. La ragazza sospirò, guardando di sottecchi il nano, e sperando che non infierisse.
- Troppe nuvole per definire la giornata buona. – rispose il nano, alzando lo sguardo per vedere a cosa stava lavorando la giovane. Aveva ancora il punteruolo ben stretto in mano quando il giovane Galbor, spettinato e di fretta, si fece vedere.
- Mi perdonerete, Thorin Scudodiquercia, ma ho promesso di sistemare la credenza dei Goldworthy… ehm ieri, e sua moglie sarà già una furia così, è meglio che non tardi oltre. Mia sorella sa quello che deve dirvi. A presto! – e detto questo uscì quasi di corsa.
- Avrei saputo cosa dirvi anche senza il suo aiuto. – borbottò la ragazza, non appena rimasero soli, tenendo la testa bassa sul suo pezzo di legno.
- Vedo che la mancanza di puntualità è un vizio di famiglia.
- Non osate dire niente su mio fratello! – Yule alzò la voce. Galbor era gentile, anche se aveva il vizio di considerarla incapace di cavarsela da sola; non amava sentir parlar male di lui.
- Avete appena borbottato voi su di lui, mi pare di ricordare. – il nano alzò un sopracciglio, come a rimarcare l’ovvietà della sua affermazione.
- Voi siete uno sconosciuto che non sa nulla di lui, io sua sorella. – Yule tenne lo sguardo basso, tentando invano di calmarsi: un colpo sbagliato e avrebbe rovinato l’incisione a cui si stava dedicando.
- E le sorelle hanno il brutto vizio di prendersi libertà che non dovrebbero avere. – commentò Thorin, avvicinandosi. – Ho una sorella anche io. – aggiunse, notando lo sguardo smarrito della giovane. Calò il silenzio per un attimo, prima che Thorin riaprisse bocca. – Allora, queste casse finite?
Thorin Scudodiquercia pagò, ringraziò, mentre osservava il lavoro eseguito con una cura che Yule trovò fastidiosamente pedante, e se ne partì per la sua strada.
Yule Chorster si sentì sollevata quando si liberò definitivamente di lui, e trovò benaugurante il fatto che nel pomeriggio il cielo si aprì mostrando un bel sole luminoso. Si era aspettata però di rivedere in giro il mancato re dei nani, perché è quello che di solito accade con le persone che si trovano sgradevoli, ma Thorin Scudodiquercia pareva scomparso nel nulla.
- Yule, dovresti andare a togliere il legno dal bagno di erbe, o la sfumatura sarà abbastanza disgustosa da essere inutilizzabile. – a stento la ragazza sentì la voce del fratello che la richiamava al lavoro, un mattino di molte settimane dopo.
- Scusa, arrivo. – rispose, risvegliandosi e saltando giù dal suo sgabello. Galbor non ne fu sorpreso; Yule alternava da sempre momenti di presenza costante e ossessiva a momenti in cui si perdeva in pensieri tutti suoi, generalmente lontani miglia da quello di cui doveva occuparsi. E, in genere, era sempre divertente sapere dove la sua mente si spingeva.
- A che pensi? – le chiese, mentre l’aiutava a tirare fuori dal barile pieno di acqua verdognola alcune assi di legno, e a svuotare l’acqua avanzata. L’operazione era spesso spiacevole: il legno diventava viscido e non sempre era profumato, ma i bagni prolungati in vari intrugli erano necessari per creare le sfumature che avrebbero usato nella composizione degli loro intarsi.
- Al re dei nani senza corona. Pare essersi volatilizzato. – ammise.
- E perché ci pensi?
- Non so che fanno i re senza corona per passare il tempo.
- A quanto pare danno fastidio a te. – rispose Galdor, ridacchiando.
- Abbiamo avuto clienti più affabili, non lo negherai.
- E non ti sei mai preoccupata di che fine potessero aver fatto loro. Ben dura sei, Yule: se sono gentili ti dimentichi di loro in un istante, se non lo sono vengono sì ricordati, ma con molto biasimo. – insistette il fratello.
- Tu non hai una commissione da fare da qualche parte?
- No.
Yule a quel punto si ammutolì, cercando di chiudere la discussione. Fu attenta a non entrare più in argomento con il fratello, che però ormai aveva mangiato la foglia e lanciava frecciate più o meno sottili ogni volta che la sorprendeva con la testa fra le nuvole. Ad ogni modo, i suoi dubbi non trovarono risposta e continuò a non sapere che faceva un re non re per campare fino a che non lo rivide un giorno a Brea, qualche mese più tardi. Passeggiava per la via, accompagnato da un anziano alto e dall’enorme cappello, completamente vestito di grigio: uno stregone, a quanto pareva. Yule rimase imbambolata per un po’, ma ripartì di corsa, come se fosse stata punta da qualcosa, quando vide lo sguardo di entrambi posarsi per un momento su di lei.
Yule non era stata dimenticata da Thorin, che aveva buona memoria. Le era tornata in mente per caso, una volta rientrato a Gabilgathol, per colpa della sorella Dìs.
- Uh, finalmente le hai fatte sistemare. Magari stavolta reggeranno più di un paio di anni senza cadere a pezzi. Il legno non è proprio il tuo campo, Thorin. – commento curioso, per uno che veniva chiamato Scudodiquercia, ma fece impercettibilmente sorridere il nano, facendogli tornare alla mente la precisione e la cura del lavoro della giovane ebanista che aveva pagato a Brea. Da allora gli era ritornata saltuariamente alla memoria, e per questo trovò quasi divertente il fatto di vederla passeggiare per la città il giorno dopo il suo rientro a Brea. Trovò curioso che lei accelerasse il passo, una volta scorta, ma finse di non averlo notato e prestò attenzione alle parole di Gandalf.
- Mi chiedevo che fine aveste fatto. – la voce di Yule raggiunse Thorin giorni dopo, mentre camminava per la via, quasi di sorpresa. Di norma la ragazza non avrebbe apostrofato qualcuno per strada a quel modo, quantomeno non qualcuno che non conosceva, ma si era ritrovata a incappare nel nano per così tante volte nell’arco dell’ultima settimana che aveva pensato fosse giunto il momento di battere il destino sul tempo.
- Siete rimasta curiosa, in questi mesi. E non mi avete dato nessun buongiorno. – rispose Thorin, calmo, voltandosi verso di lei.
- Non c’è il sole, oggi. Non lo si può definire un buongiorno. – fece notare lei con una nota indulgente nella voce. – Parole vostre, mi pare di ricordare.
- Avete ragione. Trovo certe cortesie sopravvalutate, del resto.
- Che intendete dire?
- Può un saluto cortese influire sulla vostra giornata?
Yule trovò la domanda sciocca. Benché non trovasse Thorin un nano particolarmente alla mano o simpatico non aveva mai avuto niente da obiettare sul suo intelletto: la domanda, però, rimescolava le carte in tavola.
- Certo che sì! – rispose con veemenza. – Tutte le persone civili si salutano con cortesia. Le parole gentili fanno bene a tutti e aiutano a lavorare meglio. Voi avreste potuto esserlo di più con me, ad esempio.  
- A tal proposito, mia sorella giudicò ottimo il vostro lavoro. Sorprendente, visto che sembro essere stato scortese. – c’era sempre qualcosa di insolente, nello sguardo del nano, quando le parlava in quel modo, benché fosse assolutamente serio. Yule rimase interdetta; non riusciva a capire se scherzasse o meno, con lei, e questo rendeva difficile rispondere adeguatamente.
- Non ho detto che… - Yule arrossì leggermente. Certo, aveva considerato l’atteggiamento del nano non dei migliori, ma sapeva che la razza dei nani era orgogliosa e spesso drammaticamente permalosa: non aveva alcuna voglia di cacciarsi nei guai. Proprio no.
- So quello che avete detto, e non importa. Ora sono di fretta, e dovremo rimandare la conversazione ad un altro momento. – Thorin accennò un inchino e la piantò lì, in mezzo alla strada come una stupida.
Accidenti a te, pensò Yule, dirigendosi a passo svelto verso la sua bottega. Fu scorbutica per tutto il resto della giornata, e le battute del fratello non aiutarono certamente il suo umore.
- Sai, Yule, sei scontrosa proprio come un nano. Ti prego, fermati prima che ti cresca la barba.
- Non sei divertente.
- Se fossi me lo troveresti molto divertente.
Stordita da quel buonumore, Yule si trincerò in un silenzio difensivo che, a conti fatti, la protesse ben poco.
Rivide il nano un pomeriggio, mentre passava davanti alla sua bottega; lei era sulla soglia, occupata a spazzare via trucioli di legno. Thorin la salutò cortesemente, e lei si sentì decisamente presa in giro.
- Perché il vostro nome è Scudodiquercia? – chiese, diretta come un fendente. – Non è il nome della vostra famiglia, vero?
- Perché desiderate saperlo?
Yule appoggiò la scopa alla parete e si avvicinò al nano. – Mi sono fatta la fama di curiosa, presso di voi. Non volevo deludervi.
- E’ una storia piuttosto lunga.
- Ho tempo. In realtà avrei già potuto andarmene, ma Galbor lascia sempre un gran caos. – rispose, chiudendo la porta dietro di sé.
- Non dovreste avvisarlo? – c’era un tono quasi di rimprovero, nella voce del nano, e Yule non comprese del tutto il perché.
- Non è il genere di fratello che se ne preoccupa. A stento capirà che me ne sono andata. Voi siete quel genere di fratello, invece?
- Non ho dubbi che mia sorella mi definirebbe un dittatore, se potesse.
- Ne siete geloso a tal punto?
- Ne sono il custode.
Una risposta inaspettata, convenne Yule. Si avvicinò al nano, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse poco più alta di lui. Era una sensazione strana: di solito solo i bambini dovevano guardarla dal basso in alto e nessuno di loro aveva lo sguardo serio e scrutatore di Thorin. Yule, abituata a sentirsi piccola in mezzo ai giganti, perché era sempre stata minuta, si sentì a disagio.
- Allora, questo soprannome? – chiese, per trarsi d’impaccio.
Thorin non la invitò a seguirla, non le chiese se voleva andare da qualche parte. Non disse nulla in effetti, e cominciò a camminare, lasciando a lei la scelta di seguirlo o meno. Cosa che fece subito, senza nemmeno pensarci. Iniziò a raccontare della battaglia di Azanubilzar, man mano che si avvicinava ai confini della città. Spiegò perché la Montagna Solitaria era divenuta ormai la tana di un drago, di come per suo nonno e suo padre fosse impossibile sopportare l’onta di essere diventati dei raminghi per la Terra di Mezzo, e di come lui stesso avesse continuato a sognare casa per anni. Thorin parlava a voce bassa, e a tratti il suo tono poteva sembrare monocorde, ma Yule apprezzava il suo continuare a parlarne senza cedere mai. Non incrinò la voce nemmeno per un momento, nemmeno quando parlò del destino di suo padre e di suo nonno, o di come difese se stesso armato di un tronco di quercia.
- Da allora è come se fosse il mio nome.
Yule rimase in silenzio, pensando a cosa dire. Temeva di risultare sciocca e superficiale usando parole di conforto per il destino della stirpe dei Durin, e supponeva che portare l’argomento sui suoi famigliari non fosse una buona idea. Thorin era estremamente dignitoso nonostante quello che aveva passato, e compatirlo non gli avrebbe reso in alcun modo onore.
- La quercia è un ottimo legno. E’ una pianta che vive molto a lungo, è solido e molto robusto. Una buona scelta, per uno scudo. – disse infine. Avevano attraversato Brea salendo verso la sommità della collina, superando le case degli uomini e degli Hobbit. Davanti a loro si apriva la vallata rossastra, a causa del tramonto.
- Non è stata una scelta, è stato un caso.
- Il caso allora è stato gentile, con voi. – Yule notò lo sguardo colmo di scetticismo del nano, e lo ignorò deliberatamente. - È uno dei tipi di legno che preferisco, sapete?
Thorin alzò lo sguardo su di lei, indeciso sul come considerare quella dichiarazione: - Buono a sapersi. Dovremmo tornare indietro, ora. Al tramonto i cancelli della città verranno chiusi. – voltandosi, Thorin cominciò a ripercorrere la strada in direzione opposta, scendendo e introfulandosi nuovamente nelle vie e nelle piccole stradine. Riaccompagnò Yule davanti alla sua bottega, e lei seguì docilmente il nano, senza dire nulla, ormai era buio e le lanterne sparse per il villaggio erano piccoli punti di luce in mezzo al crepuscolo.
- Sapete, io non vivo qui. – commentò la giovane abbastanza divertita.
- Cionondimeno non vi accompagnerò altrove.
- E questo sarebbe il terribile dittatoriale custode di sorelle? Dovrei andarmene a casa tutta sola? – scherzò Yule, arrossendo e non perdendo comunque nulla della sua espressione maliziosa.
- Ho sempre perso mia sorella. L’unico che riesce a starle dietro è suo marito. – si giustificò Thorin, quasi in imbarazzo.
- Galbor mi perde in continuazione, ma lui è un distratto. Per stasera andrò a casa da sola. Grazie Thorin Scudodiquercia.
- Per cosa?
- Per aver chiacchierato con una curiosa come me. – sorrise gentile, e si incamminò per la strada, divenendo presto un puntino nero nell’oscurità.
Thorin rientrò al Puledro Impennato, severo e silenzioso al suo solito, ponderando su quell’ultimo scambio di battute.
- Soliti pensieri, amico mio? – gli chiese Balin, cortese.
- Nuovi pensieri. – rispose Thorin, accendendo la sua pipa con aria distratta.
- C’entra la ragazza con cui ti ho visto parlare qualche volta?
Balin vide Thorin irrigidirsi come un vecchio pezzo di metallo e… era forse rossore di imbarazzo, quello sulle guance del nano?
- Non c’è bisogno di imbarazzarsi tanto, Thorin. Non puoi stare tutto il giorno a pensare a preoccuparti per la tua gente. E ora che non devi occuparti più di Dìs, che è in ottime mani, hai tutto il diritto di pensare un po’ a te.
Aveva questo diritto? Si chiese Thorin. Sognava ancora le fiamme di Smaug, ricordava la voglia di suo nonno e di suo padre di riprendersi un regno, per la loro gente e per loro stessi. Una voglia così devastante da logorarli. Thorin sentiva che era suo dovere seguire le orme dei suoi avi, magari senza i loro eccessi. Passato e futuro erano così legati a quello che era accaduto ad Erebor che non si sentiva certo di potersi permettere altri pensieri.
- Non è una nana. – disse solo, a mo’ di giustificazione.
- Me n’ero accorto, nonostante la statura. – Balin ridacchiò. – Questo dovrebbe sconvolgermi?
L’erede di Durin sospirò e non disse niente.
- Sappiamo entrambi che avresti il dovere di avere degli eredi, perché se non li avrai tu saranno i figli di Dìs ad ereditare Erebor.
- Non c’è niente da ereditare, Balin. – ringhiò Thorin, frustrato.
- Non c’è ora, non è detto che non si sarà mai più. E regno o meno c’è una comunità da guidare, e tu non sei eterno. A chi vuoi che importi se non è una nana? Sono così poche su questa terra che nessuno ti farà una colpa perché ti sei innamorato di un’umana.
- Io non mi… - replicò subito il nano, prima di essere interrotto.
- Thorin, ti conosco da che eri un bambino. – rispose Balin alzando una mano per zittirlo. – Non sei mai stato famoso per le tue bugie, l’esperto in quel campo è Nori. Non giustificarti con me. – il nano si zittì. E accese la sua, di pipa. – Per una volta fai quello che vuoi e basta.
E forse, considerò Thorin, il problema è che non sapeva nemmeno lui quello che voleva.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Note che non interessano nessuno: ho finalmente diviso in capitoli tutta la storia e posso dirvi che in totale saranno sei, quindi siamo all'incirca a metà del nostro viaggio. Sono tutti tra le 1900 e le 2400 parole, a seconda di dove mi veniva bene interrompere il simpatico corso degli eventi. Oggi mi sono rivista spezzoni di North and South con Armitage e sto esplodendo di amore per lui, come se Robin Hood non fosse sufficiente, come se tutto non fosse già sufficiente. Maledetta primavera, per rimanere in tema. Niente, che il fluff sia con voi, buona lettura!

Capitolo terzo


- Non resterò a Brea ancora a lungo. – furono le prime parole che disse a Yule, quando la incontrò di nuovo.
- Sentite il richiamo delle montagne, vero? – Era seduta sul bordo della piccola fontana della piazzetta del villaggio, espediente che la faceva sembrare ben più alta del nano, in piedi di fronte a lei. – Le colline non devono essere il massimo, per voi.
- Paesaggi completamente diversi. I nani tendono ad essere aspri come le montagne, pensavo l’aveste imparato. – le rispose gentilmente Thorin.
- Io non le ho mai viste. – ammise Yule. - Non da vicino, almeno. Non sono mai uscita da Brea o quasi in ventidue anni di vita. Conosco hobbit più avventurosi di me. Un po’ triste, vero? – fece dondolare le gambe, come una bambina, con le mani in grembo.
- E’ strano, per una curiosa come voi.
- Quando sono venuti a mancare i nostri genitori ho dovuto fare da balia a Galbor e dargli una mano. Un bravo ragazzo, ma l’avete visto, un po’ svampito. – spiegò. – Non vorrei essere un’esule, ma vi invidio la vostra libertà di movimento.
- Le vostre sono scuse. Per me avete solo paura. – Thorin si rese conto di essere stato provocatorio, ma non si sentì in colpa. La diplomazia non era mai rientrata nelle sue virtù.
- Se fossi un nano brontolone come voi mi dovrei offendere molto.
- Voi non siete un nano brontolone. E uscire di qui non vi farebbe male, ogni tanto. – Thorin evitò di aggiungere “come me”, anche se sapeva che la ragazza non era del tutto in torto.
- Mi portereste con voi? – domandò Yule, molto più diretta di quanto non fosse il nano, che tendeva a girare sempre intorno alla questione.
- Sareste costretta a cavalcare un pony.
Yule scoppiò a ridere. – Credo che potrei tollerare l’onta. Se ho sopportato per anni battute sulla mia altezza potrei sopportare anche questo senza problemi. – saltò giù dalla fontana, e si lisciò il vestito. – Dunque è ora dei saluti. – disse, e fissò Thorin con aria un po’ triste. – Tornerete a presto?
- Conosco nani pronti a giurare che io scendo troppo spesso tra queste dannate colline. – rispose, citando Dwalin. – Tornerò presto, e tornerò a trovarvi.
Yule ne sembrò felice. Si abbassò appena per baciargli la guancia. – Vi aspetterò. – disse piano e, prima di rimettersi dritta lasciò, che le sue labbra si posassero su quelle del nano. Poi, paonazza, corse verso casa, lasciando a Thorin il compito di diventare rosso come un tramonto.
Fu un’attesa lunga, per Yule, e lo sarebbe stata anche per Thorin, se non fosse stato sommerso dalle cose da fare. L’inverno lo anticipò sulla strada coprendo velocemente le vie di neve e di ghiaccio e rendendo le comunicazioni molto difficili in diverse zone della Terra di Mezzo. Il mancato Re sotto alla Montagna raggiunse a fatica la sua casa, e si ritrovò ad attendere la primavera con discreta impazienza. Balin se ne accorse, e si preoccupò di riferire al principe dei nani i più impercettibili cambiamenti climatici che potevano annunciare il ritorno della bella stagione.
- Nascono i primi bucaneve.
- E perché dovrebbe importarci? – il burbero Dwalin, poco propenso ad apprezzare le gioie della botanica, accolse la notizia con scocciata noncuranza.
- Immagino che a qualcuno possa interessare. – insistette Balin, con un sorriso enigmatico che rese nervoso l’altro nano. Thorin, invece, raccolse l’informazione in silenzio, e si preparò mentalmente a ripartire.
Giunse a Brea solo, quella primavera, e non sentì affatto bisogno di altra compagnia. Incontrò Gandalf per caso a metà strada, e fu con lui che attraversò i cancelli del villaggio.
- Cosa vi porta qui, mio buon amico?
- Affari, Gandalf, come sempre.
- C’entra la ragazza che lavora in quella bottega di ebanisti?
Thorin Scudodiquercia sospirò affranto, notando il sorriso divertito dell’amico, e si chiese perché tutti, nella Terra di Mezzo, sapevano cose che non avrebbero dovuto sapere.
- Non prendertela, Thorin. Sono uno stregone, è mio dovere sapere le cose prima e meglio degli altri.
- Questo dovrebbe consolarmi?
- No, non dovrebbe. Ma permettimi di essere felice per te. Ora non hai scuse per essere costantemente di cattivo umore. – rispose Gandalf il Grigio con aria molto divertita. Il nano si trincerò dietro un silenzio offeso, covando odio per quello che in altre occasioni avrebbe senz’altro definito un amico, e non disse nulla. Yule, al contrario, fu estremamente felice di rivedere il mancato re di Erebor, e non lo nascose.
- Spero non siate in collera con me per come vi ho congedato. – disse, arrossendo.
- Non ne avrai mica fatta una delle tue, eh? – Thorin l’aveva raggiunta alla bottega, là dove era certo di poterla trovare. Là dove, però, era spesso anche Galbor;  la sua voce, proveniente dal retrobottega, sorprese entrambi, facendoli sussultare. Yule, già con le guance rosse, sembrò andare letteralmente a fuoco.
- Devi proprio origliare?
- Devi proprio tubare qui? Con rispetto parlando per voi, Thorin. – disse Galbor, affacciandosi dal laboratorio, arruffato come sempre.
- Scusatemi. – pigolò Yule rivolta al nano. – Io non gli ho detto nulla, e non ho fatto nulla.
- Non sono scemo, sorellina. So che ci speri, ma non lo sono. – insistette il ragazzo. – Puoi uscire se ti va, ma non fare tardi, eh? – fece l’occhiolino alla sorella, e sparì di nuovo. Dal retrobottega si sentirono presto fastidiosi rumori di martello, un chiaro invito ad alzare le tende, a meno di non voler parlare a voce molto alta.
- Credo sia il suo modo di fare il fratello protettivo. – si scusò Yule, mentre scendeva dal suo sgabello, cercando di non guardare in faccia Thorin il quale, non potendo fare altrimenti, se la rise sotto i baffi.
- Perdonate la scena imbarazzante di poc’anzi. – disse di nuovo, più tranquilla, non appena uscirono in strada.
- Non c’è nulla da perdonare, è stata abbastanza divertente.
- Ridete anche voi, allora. – era la prima volta che lo sentiva definire qualcosa divertente. E faceva un effetto davvero strano. Ora che ci pensava, non l’aveva mai visto nemmeno sorridere.
Thorin, da parte sua, considerò la battuta molto vicina a quello che avrebbe potuto dire Dìs. Anche lei lo trovava sempre troppo serio in maniera assolutamente fastidiosa. – Assai di rado.
- Vi farebbe bene, sapete?
- Dubito che possa interessare a qualcuno.
- A me interessa, Thorin. – disse la ragazza. Quel nano sembrava sempre così drammaticamente infelice e preso a reggere da solo il mondo. Conosceva il suo passato, ma non lo considerava una ragione sufficiente per essere così di malumore; non sempre, almeno.
- E’ gentile da parte tua. – il nano le diede del tu per la prima volta da quando si erano conosciuti, e alzò una mano per accarezzarle la guancia. Era colpito dal suo sincero interessamento, e gliene era grato.
Yule inclinò la testa verso la mano del nano e sorrise, arrossendo di nuovo. – Non sembravi timida, lo scorso inverno. – Thorin sorrise, tenendo la mano sul viso di Yule. Non aveva barba, chiaramente, e la guancia era liscia e morbida come un frutto; un contatto piacevole, per chi era abituato al metallo.
- Lo scorso inverno in realtà sono fuggita. – ammise. – Però ho ripensato alle tue parole. Mi piacerebbe vedere qualcosa di diverso da Brea, almeno una volta nella vita.
- Ti dovrai accontentare dei viaggi di un re in esilio.
- Sono un’ebanista che si pianta schegge di legno nelle mani.
- Come desideri, allora. – le sorrise Thorin, divertito.
Fu con una leggerezza che non pensava di possedere che spinse Thorin a fare quello che gli andava di fare, così come aveva suggerito Balin. Riaccompagnò Yule a casa, e lasciò che lei lo baciasse, evitando di arrossire e salvando, almeno in parte, il leggendario orgoglio della sua stirpe.
Le settimane successive servirono solo per decidere il modo migliore per procedere. Galbor mantenne un sorriso sciocco stampato in faccia per tutto il tempo, benché fosse quello destinato a rimanere a Brea, da solo. Il fatto che Yule si fosse innamorata di un nano lo divertiva moltissimo, e gli piaceva vederla contenta e felice.
- Per la Terra di Mezzo a cavallo di un pony, quale avventura. – continuava a prenderla in giro, ridacchiando.
- Sei molto noioso, sai?
- Io almeno rido. Riuscirai a non sentire troppo la mia mancanza?
- Penso di potercela fare, Galbor. – soleva ripetere lei, un po’ scontrosa, un po’ no.
- Non prendere il caratteraccio dei nani. – l’ammonì lui, mentre l’aiutava a preparare le sue cose.
- Farò il possibile. Spero verrai a Gabilgathol anche tu, presto. Cerca di non dimenticartelo. Saresti l’unico non nano, la tua assenza sarebbe notata.
- Farò il possibile, sorellina.
Yule e Thorin partirono in una bella giornata di sole, e Gandalf il Grigio acconsentì ad accompagnarli per un tratto. Yule non aveva mai avuto incontri troppo ravvicinati con un pony, ma si adattò bene. L’entusiasmo di lasciarsi i cancelli di Brea alle spalle sopperiva alle scomodità che stava incontrando; era ciò che aveva desiderato per tutto un inverno, in fondo. Gandalf fu un compagno di viaggio socievole, alla mano, chiacchierone e di compagnia; riempiva facilmente i silenzi di Thorin, che seguiva Yule e Gandalf che procedevano appaiati. La giovane era semplicemente serafica e non faceva che sorridere come una bambina. Thorin fu presto contagiato dalla sua stessa gioia.
Quando Gandalf li lasciò congedandosi con calore, Thorin affiancò la ragazza e procedettero appaiati, in silenzio.
- Ci vorrà molto, per vedere le Montagne Azzurre? – chiese Yule ad un certo punto, mentre attraversavano il bosco.
- Mezza giornata di cammino. –  l’orizzonte era completamente occupato dalla rigogliosa vegetazione di Arda, nonostante il sentiero fosse largo e ben battuto.
- Spero facciano onore al loro nome.
- Questo lo giudicherai tu. – le rispose Thorin.
Ci vollero una manciata di ore, perché si lasciassero alle spalle il bosco e tornassero a vedere il cielo e la vallata. Davanti a loro le Montagne Azzurre erano lo scudo del sole che stava tramontando, maestose e silenziose.
- Allora? – le chiese Thorin.
- Sono davvero azzurre. – concesse Yule. – Sembrano magnifiche.
- Lo sono.
Passarono la notte in un piccolo villaggio, tappa irrinunciabile per chi da Brea si spingeva così ad ovest. Lasciarono i cavalli nella stalla e presero due stanze nella locanda del Gallo in padella, un nome difficile da dimenticare. Yule, non abituata a viaggi lunghi, era stanca e coi muscoli irrigiditi dalle lunghe ore passate a cavallo, ma non aveva perso il suo buonumore.
- Sarò un disastro domani. – ammise, stiracchiandosi. – C’è il rischio che mi lamenti tutto il giorno come Galbor mi aveva annunciato.
- Niente che non ho già dovuto sopportare. – rispose Thorin divertito, senza scomporsi. – E’ un viaggio impegnativo, per chi non ne ha mai compiuto uno.
Un giudizio indulgente, considerò Yule. L’anno precedente probabilmente il nano le si sarebbe rivolto in ben altro modo.
- Questo non mi consola, mi fa sentire una vecchia.
- Ventidue anni non ti rendono vecchia per nessuna specie che abita Arda o qualunque altro luogo della Terra di Mezzo. – le sorrise il nano.
- Quanti anni hai, Thorin? – Yule se l’era sempre chiesto. Sapeva che i nani avevano una vita lunga, molto più lunga di quella degli uomini, ma non avrebbe saputo dire quanti anni aveva il nano di fronte a lei. Fosse stato un uomo, l’avrebbe giudicato sulla trentina. Galbor però ne aveva venticinque, e a paragone sembrava un ragazzino. Il contegno dell’erede dei Durin, di certo, non aiutava a fare una stima affidabile.
- Centododici. In proporzione più o meno quanto un uomo adulto. Né vecchio, né giovane. Ho visto un bel pezzo di mondo, prima che tu nascessi. – di colpo, a Thorin sembrò di parlare con una bambina. Del resto, tutto in Yule la faceva sembrare tale: la corporatura minuta, le mani piccole, i lineamenti gentili e per niente spigolosi, le guance lisce e morbide. Era chiaro che anche lei doveva sentirsi così dopo quella risposta, perché sembrò rimpicciolirsi e iniziò a mordicchiarsi il labbro superiore.
- E io, del mondo, non so quasi niente. – disse la ragazza. La differenza di età tra loro era enorme, a conti fatti; Thorin aveva vissuto la vita intera di un uomo, prima che lei nascesse. Si sentiva piccola e impacciata.
- Questo, Yule, non è necessariamente un male.
Rimasero insieme ancora per poco, e quando Yule iniziò a ciondolare, Thorin la convinse ad andare a dormire.
- Domani sarà una lunga giornata, è meglio che tu sia riposata.
La ragazza gli strinse la mano e con un sorriso si congedò. Fece un sonno senza sogni e profondo, e la mattina si svegliò tutta dolorante.
- Ventidue anni o meno, sono ridotta male. – si lagnò tra sé e sé prima di rimettersi in viaggio. Se la sera precedente si era sentita piccola, quella mattina si sentiva decisamente vecchia, mentre malediceva sé stessa ad ogni movimento. Non disse nulla a Thorin, perché sapeva di essere quella in difetto e perché sapeva che rallentare l’andatura non avrebbe reso più vicina la destinazione. Toccò al nano ordinarle di fermarsi a metà giornata.
- Fermati Yule, ti sei guadagnata un po’ di riposo.
- Non voglio rallentarti. – si lamentò.
Thorin scosse la testa e tagliò la strada al pony di Yule con il suo, che frenò precipitosamente. – Nessuno ci corre dietro.
- Ma…
- Niente ma.  – era l’aspetto peggiore del carattere di Thorin. Quando assumeva quel tono tipicamente da monarca che non accettava repliche non c’era molto da fare, se non dargli retta. La giovane lo fece, anche se di controvoglia.
- Non ti conviene avere la stessa testardaggine dei nani, non è esattamente il nostro pregio migliore. – le disse lui, quando furono entrambi scesi da cavallo. – In questo, ti pregherei di non prendere mai esempio da Dìs.
- Sa di me? – Yule si sgranchì, ringraziando di essere di nuovo con i piedi a terra. Non l’avrebbe mai ringraziato a voce, per quella sosta, ma ne aveva davvero un gran bisogno.
-  Sa di te. – rispose il nano, cauto.
- E… ? Se le hai scritto ti avrà risposto.
- Ha risposto che aveva una novità per pareggiare la mia, non so quanto possa considerarlo una buona notizia. Immagino sia curiosa. – ad essere sinceri, Thorin sapeva che Dìs non aspettata altro che lui trovasse moglie per avere una cognata da tormentare e tiranneggiare per tutto il tempo. Era certo che Yule fosse in grado di sopravvivere, ma non era certo che si meritasse quel tormento.
- Sono curiosa di scoprire se è terribile almeno la metà di quanto affermi.
- Oh, non venire a lamentarti da me, quando scoprirai quanto ho ragione. – le disse. – Ripartiremo quando te la sentirai.
Ripresero presto il cammino, e Yule fece del suo meglio per mascherare la stanchezza, mentre si inerpicavano su percorsi sempre più accidentati, attraverso le strette valli delle Montagne Azzurre. Voleva arrivare a Gabilgathol e conoscere la città in cui avrebbe vissuto.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Note: Eccoci con il nuovo capitolo che giunge nottetempo! Spero che nessuna si sia realmente preoccupata di Dìs, perchè con tutto l'amore, Thorin non è un testimone affidabile, credete a me! Il nome Pirli, quale consorte di Dìs è un Copyright mio e della mia collega Charme, e chiunque lo userà senza permesso verrà dato semplicemente in pasto a Smaug! Sperando che vi piaccia, a voi!
Piccolo momento di Spam. Se vi può interessare, ma può benissimo non interessarvi, sarò onesta, ho aggiornato questa raccolta di drabble e flashfic, ho pubblicato una flashfic dal titolo Incontri e poco tempo fa mi sono data ad un crossover con Thor in Finding Erebor. Ciò detto... fuggo!

Capitolo quarto

Giunsero in città due giorni dopo, in un pomeriggio dal cielo terso e l’aria limpida. Yule si accorse di essere osservata, mentre attraversava la città, e questo la rese leggermente nervosa; Thorin era imperscrutabile esattamente come ci si sarebbe aspettato da lui, perciò decise di imitarlo. A casa di Thorin, quando vi giunsero, trovarono due nani ad aspettarli: Dìs e suo marito Pirli.
- Sei tornato! – Dìs, sguardo fiero, capelli e barba scurissima, a malapena attese che il fratello scendesse di sella, per abbracciarlo con tutta la sua forza. Yule, sorridendo, si accontentò del cordiale inchino di Pirli, mentre smontava a sua volta.
- Benvenuta. – le disse.
- Tu sei Yule! – esclamò Dìs, concentrandosi immediatamente sulla straniera. Era più alta di lei, così piccina ed esile: Dìs la esaminò con cura. – Ero curiosa di conoscerti.
- Io ho sentito molto parlare di te.
- Male, immagino. Thorin lo fa sempre.
Yule rise, e per questo Dìs la trovò simpatica. La cosa riempì Pirli e Thorin di sollievo: si guardarono per un attimo, soddisfatti. Entrambi conoscevano il pessimo carattere della nana, che tendeva ad amare e odiare con identica ferocia.
- Di quale novità volevi parlarmi, Dìs. È cosa urgente? – chiese Thorin alla sorella, per dare un attimo respiro alla povera Yule. Quel messaggio l’aveva messo in apprensione: Dìs aveva un talento innato per cacciarsi nei guai, un talento che a stento Pirli riusciva a mitigare. Temeva di doversi mettere subito a rimediare ai suoi danni, senza avere il tempo di fare nient’altro. La nana notò subito il tono preoccupato e sconsolato del fratello, e non fece nulla per rassicurarlo.
- Niente di urgente, no. Niente di grave. Volevo solo dirti che diventerai zio molto presto. – rispose la nana, con un sorriso sornione. – Scommetto che questo non te lo saresti aspettato.
Thorin alzò lo sguardo su Pirli, molto divertito e soddisfatto. Avrebbe potuto rimanere in silenzio e mantenere una dignità, ma aprì bocca, dicendo qualcosa drammaticamente da lui. – E’ stato un inverno lungo. – si giustificò.
Yule ridacchiò sorniona e a Thorin non restò molto da fare se non sospirare, scuotendo la testa. Almeno era una buona notizia.
- Non farai mica dormire lei qui con te, vero? – s’interessò subito Dìs, curiosa e affaccendata. Comunicata la sua notizia ora aveva tutto il tempo per dedicarsi al fratello e alla giovane straniera.
Thorin la trovò particolarmente molesta, considerando che erano ancora tutti in cortile, con ancora le redini del suo pony in mano, ma si sforzò di rispondere senza imprecare in nanico. – C’è la tua vecchia stanza, è vuota.
- Sareste nella stessa casa non sposati, non sta bene!
- Sparivi per giornate intere con Pirli, Dìs, non sei affidabile nel raccontarmi quello che sta bene o meno.
Non ci fu niente da fare in ogni caso: la piccola tiranna di casa Durin protestò finché non l’ebbe vinta, e Yule divenne gradita ospite di Pirli e consorte. Thorin supponeva che fosse dovuto all’eccitazione della sorella nell’avere a che fare con compagnia femminile, più che con l’onore della ragazza di Brea. Ma restò sconfitto in ogni caso, e non poté mettere parola sulla decisione.
Yule, che aveva temuto che Dìs potesse essere gelosa o diffidente nei suoi riguardi, comprese presto la portata del suo errore. Se Pirli era cortese in maniera quasi imbarazzante, Dìs era un vulcano. Yule si sentì coccolata, viziata e per certi versi ostaggio della vivace sorella di Thorin, che non perse tempo a portarsela in giro per la città, come sua ospite d’onore.
- Non ti stancherai nel tuo stato?
- Niente affatto, non ho mai nulla da fare di interessante, qui.
Era accaduto esattamente ciò che il nano aveva temuto: sua sorella aveva completamente monopolizzato la povera Yule.
- Magari un giorno di questi te la restituirà. – gli disse Pirli con fare tranquillo. – Io la considero una vacanza, per ora. Puoi vederla anche tu così.
Per quanto riguardava Dìs non poteva che dare ragione al cognato, ma per Yule…
Nonostante Dìs, comunque, i due riuscivano a passare del tempo insieme, ritagliandoselo un po’ a forza. Era facile vederli assieme, l’uno a fianco all’altra, spesso in silenzio. Non si erano mai parlati molto e in poche frasi erano riusciti a dirsi gran parte di quello che avevano bisogno di sapere l’uno dell’altra. Affetti entrambi da una buona dose di timidezza, si risparmiavano in questo modo guance color porpora e sguardi distolti in fretta. Yule del resto conosceva il caratteraccio di Thorin e non gliene faceva una colpa; apprezzava il suo lavoro come fabbro e aveva rispetto del suo sangue reale.
Thorin conosceva l’animo tranquillo ma non sottomesso di Yule, la timidezza che nascondeva in realtà un carattere piuttosto vivace e la semplice felicità di essere lontana da tutto quello che aveva conosciuto finora. Ne ammirava, inoltre, la capacità di adattamento. Una cosa non da poco, considerando certe occhiate sospettose che ogni tanto riceveva, in primis da Dwalin.
- Qualcosa ti turba, amico mio? – ebbe modo di chiedergli Thorin, un giorno.
- No. In fondo non è molto più alta di te. – rispose Dwalin, sulle sue. Gli diede una pacca sulle spalle e non si pronunciò oltre. L’erede di Erebor lo prese come un buon augurio.

                                                                                           ***

L’estate era ormai alle porte, quando Thorin e Yule si sposarono. Nani di varie famiglie erano giunti a Gabigalthol come un piccolo esercito parato a festa; poche le nane, moltissimi i nani. Galbor era arrivato da Brea, ed era stato ospitato da Thorin, e anche Gandalf aveva raggiunto la città come aveva promesso quando si erano visti l’ultima volta: loro due, assieme alla sposa, spiccavano in quel mare di gente piccola e bassa.
- Mi fa piacere vedere Thorin contento. – Dìs aveva preteso e ottenuto di occuparsi di Yule anche per quel giorno, e le strava intrecciando i capelli castani con fiori bianchi. Ed era così. Suo fratello era sempre stato così preso da pensieri cupi e dal suo senso del dovere, che si trattasse delle faccende della sua stirpe o del semplice lavoro. Era davvero bello sapere che non era da solo, ora.
- Non mi è sembrato di vederlo sorridere. – replicò Yule, trattenendo a fatica il suo, di sorriso.
- E’ Thorin, che pretendi?
- Come sta il piccolo nanino in arrivo?
Dìs si passò una mano sulla pancia. – Bello come anche tu lo dia per maschio senza possibilità di dubbio.
- Mi hanno detto di non aspettarmi femmine.
- Sta bene, in ogni caso. Spero sia biondo come suo padre. – mise ancora mano all’acconciatura di Yule per un momento, poi le posò una mano sulla spalla. – Io ho finito. Pronta?
- Pronta.
Fu in quella giornata che Yule scoprì definitivamente cosa distingueva Thorin dal resto dei nani. I parenti e gli amici dell’erede di Durin erano drammaticamente chiassosi, rumorosi e in vena di divertirsi, tutte cose che Thorin sopportò di buon grado ed eroico stoicismo. Volente o meno, buona parte della città stessa si ritrovò coinvolta; la quantità di cibo ordinato e consumato rischiò di impressionare la giovane Yule, ma trovò molto più imbarazzante vedere Galbor perfettamente a suo agio nel prendere parte a scommesse che era predestinato a perdere, come quella sul numero di fette di pane che era in grado di mettersi in bocca in una volta contro Bombur, il più grosso della compagnia lì riunita.
- Mi dispiace. – le disse Bofur, un nano gentile che riempiva le pause tra una portata e l’altra suonando un piccolo flauto di legno. – Non avrebbe dovuto sfidare Bombur.
- Avrebbe dovuto capire da solo che non era una sfida alla sua portata. – replicò lei, cortese.
- Ecco… il punto è che credo abbia bevuto un po’ troppo per deciderlo. Dori e Nori non hanno fatto che riempirgli il bicchiere per tutto il giorno.
- E immagino sia stato un caso, vero? – chiese Thorin, intromettendosi.
- Beh… hanno detto che volevano essere cortesi.
Galbor di certo non fu l’unico ubriaco della giornata, a giudicare dalle stonature di chi si metteva improvvisamente a cantare, ma erano cose che nessuno tendeva mai a notare in un matrimonio, soprattutto uno fra nani.
Yule, invece, rimase per lungo tempo lucidamente in ostaggio delle poche nane presenti, che le si radunarono attorno, con Dìs in prima fila, come a vantare diritti di precedenza in quanto cognata. Thorin si ritrovò a pensare che la sua minuta sposa pareva una chioccia circondata da pulcini famelici.
- Vuoi avere Yule come ospite anche questa notte o hai pensato di lasciarla in pace, Dìs?
Thorin, ritrovandosi costretto a destreggiarsi con quella feroce nidiata, scelse di concentrarsi sull’unica che conosceva bene, ma anche l’unica che non aveva mai avuto soggezione della sua autorità.
- Te la restituirò stasera, ma solo se ti comporterai bene. – aveva replicato l’interpellata con un’occhiata maliziosa e un atteggiamento pieno di alterigia. Yule aveva sorriso sconsolata, poi, appena gliene fu data l’occasione, si avvicinò al nano per parlargli: - Vedrò di sfuggire alla sua sorveglianza in ogni caso.
E alla fine, verso sera, furono finalmente lasciati in pace a loro stessi, dopo un’infinita serie di auguri di prosperità, buona sorte e regali.
- Galbor era ancora in piedi? E’ perfino riuscito a parlarti? – fu il commento del nano, vedendo Yule appoggiare, sul tavolo di quella che era ormai la loro casa, uno scrigno di legno intarsiato, dono del fratello.
- E’ perfino riuscito a dirmi che Pirli l’avrebbe ospitato per lasciarci soli.
- Buon per lui.
- E buon per noi. - concluse lei, aprendo la scatola. Dentro ci trovò il punteruolo e tutti i suoi attrezzi per il lavoro del legno, assieme ad un set di aghi. Sul fondo c’era un biglietto che lei lesse ad alta voce: - “Le mie più sentite congratulazioni per aver setacciato tutta Brea e aver trovato un uomo più basso di te, anche se è un nano, perché almeno non è un hobbit e non ti tocca abitare in un grazioso buco. Cerca di usare anche gli aghi per cucire, ogni tanto”.
- Un messaggio sentito.
- Un messaggio un po’ scemo, ma me l’aspettavo. Non sei contento di essere un nano e non un hobbit?
A dispetto del suo tono noncurante, però, Yule ripiegò con cura il biglietto e lo ripose nello scrigno.
- Anche io ho qualcosa per te. – le disse il nano e, ignorando il commento sugli hobbit, lasciò la stanza per un attimo. Quando rientrò le porse una piccola scatola di metallo.
- Non era necessario, a meno che non si tratti di carta e inchiostro; sembra che tutte le nane imparentate con la tua famiglia o meno vogliano intrattenere corrispondenza con me.
- Non avevo dubbi che ti saresti fatta delle amiche, ma no, non è né carta, né inchiostro.
Yule gli lanciò un’occhiata scettica ma, curiosa com’era, non attese molto prima di aprire la scatola e guardarci dentro. Il contenuto la lasciò per un momento senza parole.
- E’ opera tua? – chiese, sorpresa. Yule sapeva che i nani erano ottimi fabbri, ma non si era aspettata che potessero essere orafi altrettanto capaci; di sicuro non se lo aspettava dal nano che era diventato suo marito. Teneva per le mani una collana sorprendentemente leggera, una catena di piccole foglie color argento che si inseguivano una dopo l’altra, interrotta soltanto da piccoli fiori resi con una pietra preziosa color sangue.
- Purli ci tiene a farti sapere che le gemme sono merito suo.
- Sono piuttosto certa che tuo cognato si chiami Pirli, in realtà. – lo corresse Yule.
- Ne sono piuttosto certo anche io. – replicò Thorin con un lampo di divertimento negli occhi che fece ridacchiare entrambi.
- E’ davvero bellissima, grazie, Thorin.
Yule posò la collana e la sua custodia e si avvicinò al nano, abbracciandolo con affetto. Se lo colse di sorpresa lui non lo diede a vedere, perché la strinse a sua volta, sentendo il profumo dei fiori che ancora le ornavano i capelli.
Quella notte dormirono insieme.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Note: Con la speranza che abbiate passato un ottimo 25 aprile, ecco che siamo giunti al penultimo capitolo, colmo di fluff quanto piace a voi e buoni sentimenti. Preparatevi, perchè Fili is coming!


Capitolo quinto
                                                                                     
Da quel momento in poi, l’estate passò velocemente. L’orda di nani che aveva invaso Gabilgathol piano piano si disperse, così fece Gandalf, riprendendo le sue peregrinazioni, e così fece Galbor, che se ne tornò a Brea. Yule, inadatta all’inattività, si inserì senza difficoltà nella indaffarata routine di Thorin, e presto si mise al lavoro per regalare ai Dìs e Pirli una cassapanca per gli abiti e i giocattoli del piccolo in arrivo.
L’erede di Erebor era rimasto apparentemente lo stesso serio, a volte burbero e indaffarato mancato Re che era sempre stato. Il suo contegno rendeva difficile scorgere in lui alcunché, ma la realtà era che, se non osava ammettere di essere felice, era incredibilmente più sereno.
Sorrise per davvero però alcuni mesi dopo, quando Dìs partorì il suo primogenito e lo battezzò con il nome di Fili, un nome della famiglia del marito. Nacque nel bel mezzo dell’inverno, quando la città era completamente sepolta dalla neve. Nessuno sano di mente metteva il naso fuori dalla porta, a meno che non si trattasse di questioni di vita o di morte: Thorin e Yule, invece, pagarono il prezzo del pessimo tempismo del loro nipotino attraversando mezza Gabilgathol a piedi, per vederlo.
- Perfino l’acqua delle fontane è completamente ghiacciata.
Thorin entrò in casa di Pirli spargendo neve ovunque, mentre si liberava del pesante mantello bordato di pelliccia che era solito indossare.
Dìs, orgogliosa e raggiante come solo una neomamma avrebbe potuto essere, li accolse accomodata sul suo letto come una regina in trono.
- E’ biondo come desideravi. – furono le prima parole che le rivolse Yule, sedendosi sul fondo del letto. Il fuoco nella stanza era caldo e scoppiettante, e la giovane donna sentì con piacere il calore accarezzarle il viso e le mani. Era il suo primo inverno sulle montagne, e doveva ancora abituarsi all’asprezza di quel clima.
- Così come lo volevo. – ammise la nana. – E’ un rischio che tu e Thorin non correte. Fili somiglia moltissimo a Pirli, non trovi, fratello mio?
Thorin grugnì qualcosa di non comprensibile con fare molto antipatico, ma si avvicinò a vedere il suo nipotino, a cui concesse un sorriso, prima di baciare la sorella.
- Ti somiglia, spero non abbia preso il tuo carattere.
- Ah, sono certa che sarà un nipotino affezionato.
- Grazie per essere passati nonostante il freddo, volete qualcosa da bere per riprendervi? – domandò Pirli, radioso non meno della moglie.
- Qualcosa di caldo, ti prego. – chiese Thorin, e anche Yule, annuì convinta. Pirli fece un cenno e lasciò le due donne sole, mentre Fili gorgheggiava per i fatti suoi.
- Mio fratello ti tratta bene? – Dìs era distratta dal figlioletto, che lei stava cullando dolcemente per farlo addormentare, ma c’era sincero interessamento nelle sue parole.
- Perché non dovrebbe?
- Perché ha un caratteraccio.
Yule rise, e si sistemò i capelli dietro le orecchie. – Non preoccuparti per me.
- In caso non hai che da chiedere, io e Fili gliela faremo vedere.
- Vedere cosa? – chiese Pirli rientrando nella stanza con il cognato.
- Quanto è bello il nipotino erede di Erebor. – rispose le nana, lanciando un’occhiata d’intesa a Yule, mentre riceveva da Pirli una tazza fumante dall’aria assai invitante. Rimasero a chiacchierare tutti e quattro ancora per un po’, e quando Fili finalmente si addormentò profondamente, Thorin e sua moglie salutarono e ripresero la gelida via di casa, giurandosi a vicenda di non mettere più il naso fuori casa prima del disgelo.
Per quanto piccolo e urlante, Fili divenne una presenza costante nelle vite non solo dei genitori, ma anche degli zii e dell’intera comunità dei nani. In fondo, per il momento, era l’unico erede diretto della stirpe dei Durin, e come tale veniva trattato, anche se ancora in fasce. Yule notò che cresceva lentamente, come se non avesse fretta, e non se ne sorprese; del resto i nani avevano una vita così lunga che era comprensibile che se la prendessero comoda. Si chiese se anche un figlio suo e di Thorin sarebbe cresciuto con calma, o se avrebbe avuto fretta, come gli umani, ma la sola idea la fece arrossire e la scacciò con forza dalla sua mente.
- Tutto bene? – le chiese una volta il nano, sorprendendola mentre aveva la testa persa in simili pensieri.
- Perfettamente. – aveva risposto lei, troppo precipitosamente, giocherellando con la collana che lui le aveva donato.
Passarono alcuni anni, senza che nulla cambiasse o sconvolgesse la tranquilla vita di Gabilgathol. Thorin e Yule continuavano a scendere ciclicamente a Brea per vedere Gandalf e Galbor, a volte accompagnati da Balin e Dwalin, altre volte da soli. Thorin spesso si preoccupava di raggiungere altri suoi parenti che vivevano altrove, e la ragazza era sempre la prima a fare i bagagli. Gli esuli di Erebor erano parecchi e dispersi in varie città; il nano considerava suo dovere essere un punto di riferimento anche per loro, così come Yule trovava suo dovere essergli accanto. Un dovere che lei trovava estremamente piacevole. Aveva inoltre mantenuto realmente una fitta corrispondenza con molte delle nane che erano state presenti al suo matrimonio, e queste erano sempre estremamente ospitali con lei, quando le raggiungeva; riuscivano a farla sentire una imbarazzatissima regina come la Dìs dei primi tempi.
In verità Thorin avrebbe preferito saperla a casa tranquilla, ogni tanto, ma finiva sempre per dover ammettere che amava avere la sua compagnia; la voglia di lei di vedere posti nuovi rendeva la sua energia a dir poco inesauribile, e ormai era avvezza anche alle lunghe cavalcate.
- Mi porti a casa un fratellino?
Fili, che era piccolo e paffutello, coperto di peluria bionda sulle guance, aveva da poco scoperto di saper parlare, e da allora non faceva che chiedere di avere un fratellino con ammirevole insistenza.
- Non dovresti chiederlo a tuo madre e a tuo padre? – era solita chiedere la zia, sorridendo.
- Se tu e zio ne trovate uno…
Ma non fu necessario trovare un bambino per strada, perché fu di rientro da una di queste visite, che Yule realizzò di essere incinta.
- Thorin, penso di aver trovato un fratellino per Fili, o qualcosa di simile. Un cuginetto, in realtà. – fu il suo annuncio, una sera dopo che avevano cenato. Yule si stava spazzolando i capelli, attenta alla reazione che avrebbe avuto il marito.
- E dove? – il nano alzò lo sguardo su di lei, sorpreso.
- A quanto ne so è in viaggio.
Thorin per poco non si soffocò con il fumo della sua pipa, cosa che, per sua fortuna, lo rese incapace di parlare. A Yule, che si era aspettata un tale attacco di mutismo, non restò altro da fare che sedersi accanto a lui e posare la testa sulla sua spalla. Il nano la strinse un po’ a sé con la mano libera dalla pipa, e le diede un bacio sui capelli.
Pirli e Dìs accolsero con entusiasmo la notizia, e cercarono di tenerla nascosta a Fili per qualche tempo, per evitare di sovreccitarlo, ma verso l’autunno la pancia di Yule si fece più prominente e rotonda, e mentire al piccolo nanetto, che ancora camminava tutto traballante, divenne impossibile.
- Quando arriva il fratellino?
- Fili, non sarà tuo fratello, ma tuo cugino. – era solito correggerlo dolcemente Pirli, portandoselo in giro in braccio.
- Quando arriva?
- Presto.
- Giura.
- Te lo giuro, bambino mio, ma devi stare tranquillo.
- Papà. Lo voglio.
- Arriverà, Fili, arriverà. – promise Pirli, cercando di distrarre il bambino. Operazione che si faceva difficile, per non dire impossibile ogni volta che il piccolo vedeva lo zio o la zia. Non riuscendo a rimanere in braccio a Yule, che già si portava in giro un peso per due, Fili tendeva ad arrampicarsi in braccio a Thorin, divertendosi a tirare la sua barba ogni volta che poneva una domanda.
La gravidanza impedì a Yule di potersi spostare con suo marito, fatto che la rese scontrosa e indisponente; Thorin si dimostrò così irremovibile che a nulla valsero le sue reiterate proteste. Il mancato re  finì per zittirla ribattendo semplicemente che tirare fuori un caratteraccio da nano non avrebbe reso la sua partenza più probabile. La ragazza di Brea rimase a casa con il suo pancione e la sua irritazione, e chiunque la incontrò in quei giorni non poté non trovarla estremamente simile al marito. Dwalin ne fu addirittura sorpreso.
Sfogò il suo malumore dovuto al riposo forzato con l’intaglio, operando piccoli capolavori con pezzi di legni diversi piccolissimi. Preparò per sé una cassapanca, così come aveva fatto per Dìs, con viticci intrecciati di diverse tonalità sul coperchio. Liberando così la mente, fu pronta a perdonare un marito dalle eccessive premure e dai modi rudi, quando questi rientrò a casa.
Fu incalcolabile il numero di volte in cui fu costretta a cavarsi schegge di legno dalle mani, operazione che Thorin, se si trovava nei paraggi, osservava con affettuosa attenzione, perché gli ricordava Brea e i suoi primi incontri con lei. Come aveva promesso al fratello, però, usò gli aghi anche per cucire il corredo del suo primo bambino in arrivo.
- E’ rassicurante vederti cucire, dovresti farti meno male.
- Non credere, Thorin. Mi pungo con imbarazzante facilità; il cucito non è esattamente il mio campo, quasi quanto il legno non è il tuo, signor Scudodiquercia.
- Avevi considerato la scelta del legno buona, se ben ricordo.
In effetti, Yule faticava a cucire. Essendo però una perfezionista, sentiva il bisogno di fare tutto con cura, e questo le faceva perdere molto tempo, perché sembrava dover riflettere tra un punto e l’altro. Lavorava dunque con aria seria, e con la fronte corrucciata.
- Mi dicesti che fu un caso, però.
Eppure, anche così concentrata, la giovane donna non dimenticava di avere sempre la risposta pronta.
Passò l’inverno senza troppe novità, salvo il numero imbarazzante di lettere che giungeva alla casa dell’erede di Durin per avere notizie sulla futura madre.
- E’ perché in teoria sta per nascere il futuro erede al trono, vero?
- Un erede al trono ben misero, Yule, visto la casa in cui nascerà.
A lei non piaceva che il marito usasse sempre questo tono così depresso, riguardo alla faccenda. Sapeva che Thorin era irritato da chi, seppur armato di buone intenzioni, finiva per ricordargli cosa aveva perduto, ma continuava a non vederne il senso, considerata la stima che tutta la gente di Erebor nutriva per lui. Yule aveva visto coi suoi occhi il rispetto e l’autorevolezza che ispirava in quei nani, e lo viveva lei stessa di riflesso, in quanto sua moglie. Ciò andava al di là dell’esilio.
- Tu vuoi riprenderti quel trono, vero?
Era una domanda che non gli aveva mai posto, durante quegli anni insieme. Se poteva, Yule evitava l’argomento perché non sopportava di incupire il nano senza una valida ragione. Conosceva la sua frustrazione e aveva intuito il suo disperato bisogno di riscatto, ma non aveva mai lasciato che queste cose prendessero voce. Ora, però, la questione andava affrontata.
Thorin trovò difficile rispondere onestamente a quella domanda complicata. Desiderava sconfiggere il drago con tutte le sue forze, ma era un’impresa difficile da portare a termine; un pensiero pericoloso per chi si stava costruendo una famiglia, lo sapevano entrambi. Avrebbe voluto con tutte le sue forze poter dire che non ne aveva bisogno, che la sua vita felice, realmente felice, gli era sufficiente. Eppure Smaug lo visitava ancora spesso, in sogno, come un tormento senza fine. La sua risposta, dunque, fu sincera:
- Sì.
Yule annuì in silenzio; era preparata a questo, perché era la risposta che si era aspettata da lui.
- E io dove sarò?
- Al mio fianco. – era una risposta semplice questa, da dare. Se fosse realmente riuscito a riavere Erebor, Yule sarebbe stata accanto a lui, come una regina. Le prese la mano nelle sue. – Assieme al piccolo in arrivo.
- Pensi che sia maschio, dunque?
- E’ quasi sempre maschio, siamo nani.
- Parla per te. – Yule sorrise divertita. Avevano tempo, per pensare al futuro.

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Note: Bene gente, ci siamo. Questo è l'ultimo capitolo della storia. Come sapete, ho messo drammatico tra gli avvertimenti non a caso, e se non avete visto traccia di dramma nei capitoli precedenti, è perchè arriva tutto ora, in una botta unica. Me ne scuso, e vi confesso che io stessa ho passato una settimana sentendomi una persona orribile, Charme mi è testimone. Ciononostante, sono felice di come ho scritto questa storia, ho amato scriverla, ne ho amato i personaggi e sono soddisfatta di come ho reso quelli originali. Ci sono affezionata, e anche se da me me lo aspettavo, fa sempre piacere. Del resto sono un po' Kili, il che significa che sono un po' un concentrato di zucchero filato. Quanto a Thorin beh... mi sento TANTO in colpa, ma prometto che in futuro mi comporterò meglio e farò la brava, perchè con Charme e Viola ho in progetto di smettere di accanirmi su di lui come fece Tolkien e di fare la brava persona, rifilandogli un lieto fine. Glielo rifilerò a forza, lo giuro. 
Bene, cari lettori, this is the end. Spero vi piaccia, e spero non mi detesterete troppo. Ho amato moltissimo i vostri commenti pieni di entusiasmo e fluff, e un po' mi mancheranno, confesso. 
Alla prossima, a quando sarà! 



Capitolo sesto


Un piccolo nano, mezzo nano e mezzo umano, per la verità, nacque all’inizio della primavera, pochi mesi dopo il compleanno della sua giovane madre. Dopo una breve consultazione, fu deciso il nome Kili, e nessuno ebbe nulla da obiettare a riguardo. Era piccolo e decisamente con meno peluria di Fili al momento della sua nascita, con i capelli e gli occhi scuri di sua madre. Fili si arrampicò sul letto per essere il primo a vederlo, e nessuno riuscì a fermarlo.
- E’ piccolo. – fu il suo primo commento, mentre suo padre lo prendeva in braccio per lasciare un po’ di respiro alla cognata.
- Diventerà grande, Fili. – rispose Yule, cortese, mentre si stringeva il suo bambino. Kili dormiva, ignaro di tutto attorno a lui, compreso il frastuono prodotto da un cugino entusiasta. – Presto giocherete insieme.
- Davvero?
- Chiedi conferma a tuo zio.
Fu un espediente efficace, Fili liberò Yule dai suoi assalti e corse fino ad avvinghiare le gambe di Thorin, lì accanto.
- Davvero zio? Me lo giuri?
- Te lo giuro solo se ti calmi.
Per tutta risposta il bambino alzò le braccia verso l’alto e Thorin lo prese in braccio. Fili si attaccò allo zio, fermamente deciso a non abbandonare quella postazione comoda e rialzata che gli permetteva di dominare tutti, nella stanza.
- Se vuoi te lo lascio una settimana o due, se vuoi fare pratica. – propose Pirli.
- No, grazie. Mi farò bastare il mio, Purli.
Chi fu felice di perdere tempo dietro a Fili, presenza onnipresente a casa di Thorin, ormai, fu Galbor, che raggiunse la sorella a rotta di collo per vedere il suo nipotino.
- Pochi giorni di vita e più barba di me. Non vale mica, Yule. – fu il suo primo giudizio sul bambino.
Rimase a Gabilgathol qualche giorno, interrompendo la tranquillità consolidata di Thorin e Yule. Fu però un ospite piacevole, che Thorin tollerò di buon grado, soprattutto perché era molto meno rumoroso di Kili. Del resto non fu che il primo di molti. Parenti, conoscenti, amici come Gandalf: passarono tutti a rendere omaggio a Thorin e al suo piccolo bambino. 
- Sono straordinariamente felice per te. – gli disse lo stregone, mentre giocava a far scomparire un divertitissimo Fili sotto il suo enorme cappello a punta.
- Ti ringrazio, Gandalf. Anche Yule sembra felice. – rispose distrattamente il nano, osservando sua moglie passeggiare canticchiando una ninna nanna per il piccolo che piangeva.
- Si vede che lo è. Sarà certo una buona madre. Prendi esempio da lei, e sarai un ottimo padre.
A suo modo Thorin seguì il consiglio; non aveva avuto l’esempio migliore possibile né da suo padre né da suo nonno, e per natura non era espansivo. Fili, che aveva preso il carattere solare dei suoi genitori, si conquistava i suoi spazi con la forza, ma Kili era ancora troppo piccolo per optare per quel tipo di tirannia.
Yule, al contrario, pareva perfettamente a suo agio. Spesso doveva alzarsi di notte per placare i suoi pianti e il nano sentiva i suoi sospiri stanchi ogni volta che si rimetteva a letto, sperando di riuscire a dormire per qualche ora di fila. Più piacevole era quando la sentiva canticchiare durante il giorno con il bambino in braccio, o quando Kili dormiva profondamente, cosa che riusciva a fare a lungo, quanto meno quando il sole era alto. Da parte sua, Thorin iniziò spesso a parlargli in nanico, una lingua che Yule non conosceva, ma che Kili non poteva non imparare. Era una lingua aspra dai suoni duri che spesso faceva ridere suo figlio in maniera alquanto inopportuna.
- Immagino non fosse nulla di divertente, vero?
- In effetti, no.
- Per stavolta terrò la mia curiosità per me. – disse Yule.
Come il cugino, Kili fu abbastanza precoce, nel parlare, ma essendo anche figlio di suo padre, non era afflitto dalla logorrea del biondo Fili. Parlava se ne sentiva la necessità. Sapeva chiamare per nome tutti, in famiglia: mamma era stata la sua prima parola, seguita da Fili, seguita da papà. Zio e zia sfuggivano ancora al suo controllo, trasformandosi spesso in cìo e cìa. Nessuno osò fargliene una colpa, nemmeno il giovane Fili, che era impazzito di gioia nello scoprire di essere stato la sua seconda parola.
Nei successivi due anni e mezzo furono chiare le differenze tra un nano figlio di nani e un nano figlio di un’umana. Kili continuava ad avere meno peluria sul viso, rispetto a Fili, e sembrava destinato a diventare più alto; ciononostante pareva non aver troppa fretta di crescere, e la cosa non dispiacque troppo a Yule, che amava coccolarlo e tenerlo in braccio.
- Non credi che sia un po’ troppo?
Thorin era stato svezzato presto, ed era stato un bambino responsabilizzato e reso adulto molto velocemente, perciò era strano per lui vedere come Yule trattava Kili, e ne era quasi invidioso.
- Kili, papà pensa che dovresti stare meno attaccato a me. Tu che dici? – la donna aveva posto la domanda al bambino, senza troppi preamboli, come al suo solito. Per tutta risposta, Kili aveva nascosto la faccia contro il petto di sua madre, biascicando un: - Se mi prende in braccio lui va bene.

                                                                                         ***

Niente, nel quieto scorrere degli eventi, faceva presagire l’arrivo di una nuova ondata di pestilenza come era accaduto moltissimi anni prima, ma durante l’estate successiva preoccupanti notizie giunsero da ovest, e molte città cominciarono ad essere colpite da una violenta pestilenza. Brea chiuse i suoi cancelli e respinse i forestieri, e così fecero molte altre città. Il provvedimento sembrò funzionare sulle prime, ma la malattia presto si diffuse ovunque. Gabilgathol, sebbene fosse isolata sulle alte Montagne Azzurre, non fu risparmiata. Thorin e Pirli, preoccupati per i loro figli, si chiusero in casa con le rispettive famiglie. Yule, che non aveva notizie del fratello da settimane, divenne cupa e di malumore. Iniziò a passare le sue giornate in piena inattività, spesso in compagnia di Kili, seduta vicino alle finestre, a guardare una bella stagione di cui non poteva godere. Quando divenne pallida e spesso stanca, Thorin capì che non era la preoccupazione per Galbor, a consumarla. Controvoglia, allontanò Kili da lei e lo affidò a Dìs e Pirli, per paura che potesse ammalarsi a sua volta; quanto a lui, non fece un passo. Yule, comprendendo la situazione, non si oppose in alcun modo alla decisione, anche perché non ne avrebbe avuto la forza.
Cercarono entrambi di ignorare le notizie sui bollettini dei morti che venivano stilate alla fine di ogni giornata. Yule, costretta a letto con la schiena appoggiata ad un paio di cuscini per sorreggersi, era estremamente malinconica.
- Che faremo se Kili dovesse ammalarsi?
- So che è felice ostaggio di Fili e che sta bene, non dovresti preoccuparti di questo.
Per Thorin era difficile riuscire a sollevare il suo umore; era un talento che non aveva mai avuto. Era stata lei la prima a sorridere, la prima a ridere. Era Balin, quando passava a sincerarsi delle sue condizioni, e a dare notizie sul resto della comunità dei nani, quello che riusciva a far comparire sul suo viso un sorriso tirato. Sopravvissuto a sua volta ad una pestilenza da bambino, affrontava quella presente con ottimismo, immune al male. Faceva la spola tra le case di Thorin e Pirli, aggiornando Yule su quello che combinava suo figlio.
- Forse dovresti lasciarmi alle cure di Balin e andartene anche tu, Thorin.
- Perché dovrei?
- Che senso ha rischiare di morire in due?
Fu una frase che colpì profondamente il nano. Sapeva che Yule si preoccupava per Kili, ma dal suo punto di vista quello era un problema secondario; Kili era in buone mani, e poteva fare a meno di lui. Se questo lo trasformava in un cattivo genitore, l’avrebbe sopportato.
- Che senso ha lasciarti da sola?
Yule sorrise timidamente, e non rispose.
Seguirono notti difficili, in cui lei faticava a prendere sonno, disturbata da una febbre che la tormentava. Durante il giorno alternava stati di apatia a lunghe dormite. Erano i momenti in cui Thorin si concedeva di accarezzarle una guancia, liscia e rovente. Gli piaceva guardarla mentre riusciva a riposare davvero e riprendere un po’ di forze, perché riusciva di illudersi che lei potesse semplicemente riprendersi e stare meglio.
Non fu così, e quando Balin passò nuovamente a trovarli, Thorin lesse nel suo sguardo mortificato una condanna a morte.
- Mi sento in colpa, sai?
- Oh, Yule, perché dovresti? – Thorin si sedette accanto a lei, prendendole la mano. I suoi occhi marroni erano velati, e respirava a fatica.
- Puoi immaginare perché. – la donna voltò la testa di lato, distogliendo lo sguardo dal marito. Sembrava arrabbiata con se stessa e con la malattia. Sbuffò, in preda alla frustrazione. – Non vorrei essere ridotta in un letto a costringerti a farmi da balia.
Il nano non trovò nulla da replicare, e chiuse per un momento gli occhi, stringendole un po’ di più la mano. Yule rimase voltata per un po’, in silenzio. Sospirò, prima di mettersi a parlare di nuovo.
- Cerca di tornare a casa, Thorin. Te lo meriti, e se lo merita anche Kili. Riportali tutti a casa. So quanto lo desideri. – si girò verso di lui con aria quasi di scuse, un’espressione che ferì Thorin come non credeva fosse possibile.
- Farò il possibile. – fu la sua risposta. Erebor, in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri. Vi avrebbe volentieri rinunciato, per Yule, che aveva negli occhi la delusione di chi stava rinunciando troppo presto a troppe cose, di chi avrebbe voluto viaggiare ancora e che sapeva di non poterlo fare.
La ragazza di Brea si addormentò poco dopo, e rimase così per tutto il pomeriggio. Al tramonto non respirava più.
Se Thorin riuscì a non versare una lacrima, Dìs lo fece per entrambi in un modo che probabilmente avrebbe irritato il fratello se fosse stato più lucido. Yule fu portata via e seppellita velocemente, così come si faceva in caso di epidemie.
- A questo ha portato fare ciò che desideravo. – furono le uniche parole che Thorin disse a Balin, quando questi passò da lui. L’anziano nano fu capace solo di mettergli una mano sul braccio, per cercare di confortarlo. La pestilenza intanto continuava, e l’elenco di vittime nelle città, tra uomini e nani, continuò a salire.
Ci volle un mese perché l’epidemia mollasse la presa; cancelli e porte delle città ormai svuotare vennero riaperte, le persone tornarono a viaggiare. Galbor giunse a Gabilgathol con aria spiritata, e lì fece la sua amara scoperta. Aveva temuto il peggio, non ricevendo notizie, e la conferma era stata causa di un dolore infinito. Thorin cercò di rendergli lo scrigno che aveva donato a Yule quando si era sposata, ma l’uomo rifiutò con fermezza.
- Tienili tu. Io ho molti più ricordi di lei di quanto non possa averne tu.
Era però proprio questo, per Thorin, il problema. Fece sparire lo scrigno in un angolo della casa. Lo stesso fece con la collana che le aveva regalato per le nozze e che Kili tirava ogni volta che lei lo teneva in braccio. Il bambino era rimasto per tutto il tempo da Dìs e Pirli, ignaro di quello che era accaduto a sua madre, coccolato e al sicuro. Fu in occasione della visita di Galbor al nipote, prima che lui ritornasse a Brea, che la sorella capì che era giunto il momento di affrontare anche quella questione. Salutò l’uomo in partenza con affetto, e poi prese il fratello da parte.
- Che dici di riportarlo a casa con te, ora? La pestilenza è scongiurata, ormai.
Thorin, che aveva accompagnato Galbor dalla sorella, ma che era rimasto in disparte per tutto il tempo come un estraneo, alzò lo sguardo sul bambino per la prima volta. Kili, che non lo vedeva da giorni, lo osservò con quei suoi begli occhi castani, come quelli di Yule, e sorrise. Per il nano fu come essere pugnalato.
- Non posso farlo, Dìs.
- Come non puoi? E’ tuo figlio.
- Non posso. Ogni volta che lo vedo, vedo lei. Questo è troppo, per me. – ringhiò il nano, colmo di dolore. Riusciva a capire come suo padre potesse essere impazzito, e lottò con tutte le sue forze per non cedere come lui aveva fatto. – Crescilo come se fosse tuo e di Pirli, non sarà difficile.
- Non puoi dire sul serio… - era stato Pirli stesso ad intervenire in quella discussione. Non si capacitava delle parole del cognato, perché gli sembravano assurde. – Chiederà di te. Ha bisogno di te.
- Sai meglio di me che è così piccolo che si dimenticherà presto di sua madre. Può dimenticarsi anche di me. Tanto più che Fili continua a considerarlo suo fratello. Io non posso occuparmi di lui, non da solo. –  per quanto sembrasse imperscrutabile,  Thorin aveva la voce rotta, e Dìs ricordava bene le altre occasioni in cui questo era accaduto, perciò tentò di essere conciliante.
- Non preferiresti pensarci quando…
- Quando, Dìs? Quando sarò più calmo? Non voglio che si ricordi di me come suo padre. Non potrei badare a lui come un padre.
- Gli stai facendo un torto. – Pirli si era avvicinato alla moglie, che si era fatta piccola e con gli occhi lucidi.
- Gli sto facendo un favore, lo sappiamo tutti e tre. Il torto gliel’ha fatto chi l’ha lasciato senza madre.
Non fu possibile discutere oltre con Thorin, poiché fu irremovibile; Dìs aveva completamente perso il suo ascendente su di lui e si ritrovò costretta a cedere. Promise a malincuore, ma tenne Kili presso di sé. Il piccolo nano passò qualche giorno chiedendo di suo padre e di sua madre, ma alla fine,  come Thorin aveva previsto, cominciò a chiamare Dìs mamma e Pirli papà. Quanto a Fili, sembrava non avesse mai emesso un respiro senza il fratello.
Thorin fu sul punto di tornare sui suoi passi, riguardo alla sua decisione su Kili, quando Pirli morì alcuni anni dopo. Di nuovo, fu Dìs a prendere a cuore la questione.
- Ha perduto una madre, perché devi fargli credere di non avere nemmeno un padre?
- Kili ha una madre, ha te. E mi prenderò cura di loro, entrambi loro allo stesso modo. È giusto così Dìs, lo sai anche tu. – le rispose il fratello, abbracciandola. Di nuovo, era lei che versava le lacrime per entrambi, mentre era lui quello che prendeva le decisioni scomode.
Pur con il passare degli anni scendere verso Brea per incontrare Gandalf rimase sempre un’esperienza dolorosa. Manteneva sporadici contatti con Galbor, che aveva messo su famiglia e sembrava essere felice.
- Potremmo incontrarci altrove se lo desideri, Thorin Scudodiquercia. – continuava a ripetergli lo stregone, comprendendo il disagio dell’amico.
- Non sarà necessario. – fu l’unica risposta che continuò a ricevere.
Del resto, Thorin aveva sempre razionalmente saputo che Yule era predestinata a morire prima di lui, poiché la vita di un umano è molto più breve di quella di un nano, ma considerò sempre crudele e ingiusto il modo in cui gli fu portata via. Più burbero e scontroso di quanto non fosse mai stato, si occupò con responsabilità di Fili e Kili, che stravedevano per lui. Tentò in ogni modo di mantenersi il più imparziale possibile, senza mai riuscirci del tutto. Kili era così simile a sua madre, così ridicolmente affettuoso per essere un nano, che si ritrovava ad essere più tenero di quanto avrebbe voluto. Se ne pentiva ogni volta, ma si arrendeva ogni volta che gli occhi scuri del giovane nano gli ricordavano la passata esistenza di una donna di nome Yule. Una cosa era però certa; figli o nipoti che fossero, avrebbe riportato entrambi a casa.


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