-Sleeping with ghosts.

di Chuck
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** rumori sordi. ***
Capitolo 2: *** love sucks. ***
Capitolo 3: *** grandma take me home. ***
Capitolo 4: *** my first ghost, are you ready for the hell? ***
Capitolo 5: *** non scusarti, ragazzo senza nome. ***
Capitolo 6: *** runaway. ***
Capitolo 7: *** It's all wrong,it's all right. ***
Capitolo 8: *** All my tears, have been used up, on another love. ***
Capitolo 9: *** shattered. ***
Capitolo 10: *** your true colors. ***
Capitolo 11: *** (r)esisto. ***



Capitolo 1
*** rumori sordi. ***


Salve.

Già, sono io.

So che molte di voi saranno rimaste spiazzate, visto che non trovavano più il mio account ma...è stato cancellato da una persona che ritenevo importante, a mia insaputa.

Ora son tornata e che dire, spero di trovare ancora coloro che mi leggevano! :3

Un bacione!

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#1

Rumori sordi.

 

 

 

 

 

-Edward

 

Caos calmo.

Ero circondato da questo, da rumori sordi che urlavano, bestemmiavano, impazzivano.

Serrai gli occhi con più forza.

Il porto di Liverpool, l’odore del mare al mattino.

I gabbiani che volavano in un cielo chiaro; subito dopo l’alba.

“Puttana, ALZATI!”, il rumore di uno schiaffo ricevuto e dato.

Uno schiaffo che si infrange sulla guancia di lei.

Una lacrima che si infrange con le altre sulle mie, di guance.

Mare calmo, cielo terso, aria fresca.

“ALZATI TI HO DETTO!” urla, un corpo che si ribella; un corpo che opprime.

L’immagine del mare calmo viene distorta da quella del mare frastagliato… di una tempesta.

Ora, i rumori sordi, rappresentano grida di liberazione, di aiuto e di sofferenza.

Portai i pugni alle orecchie.

Basta, basta!

Basta rumori! Basta sofferenza! Basta, per favore.

Un corpo che si dibatte, un corpo che opprime; lacrime, lacrime e ancora lacrime.

Il porto Edward.

Il porto.

Altri rumori che portano il marchio di una violenza inflitta e subita.

Non sei al porto Edward.

Ti trovi nella tua vita di merda.

Ti trovi nell’inferno Edward.

“Per favore, basta” mormorò una voce dalla stanza affianco, stremata.

“Ti accontento puttana, solo perché ho una riunione!” Un altro schiaffo, un corpo che cadde a terra.

Sentii la porta della mia cameretta aprirsi e attraverso uno spiraglio di luce vidi il carnefice.

“Tesoro” mi accarezzò  il capo con dolcezza.

Non mi ritrassi, ero fin troppo spaventato e disgustato per fare qualunque movimento.

“Vai da mamma e curala, per favore” mi lasciò un bacio sulla fronte e sorrise quando annuii inerme.

“Bravo bambino”.

Chiuse la porta e urlai.

Non potei far altro se non urlare e piangere.

Presi un orsetto di peluche e una coperta.

Aprii la porta con timore e aspettativa; ormai sapevo in che condizioni si trovava la mamma, non era di certo la prima volta.

Andai da lei, la coprì e le diedi il peluche che strinse tra le braccia piene di lividi e graffi.

Chiuse gli occhi, poi sorrise tristemente accarezzandomi il capo.

Le sorrisi tra le lacrime e portai il suo capo sulle mie gambe.

Canticchiai un motivetto a noi conosciuto.

Sorrise, ricordando la nostra ninna nanna.

“Sei un bravo bambino,  Edward”.

Chiuse gli occhi, sorrise…e non gli riaprì più.

 

 

11 anni dopo.

Dicono che la vita è difficile e che, la morte invece, facile.

Beh, è una cazzata.

La vita è difficile, una lotta continua dove le strade più semplici sono le più tortuose, e le più tortuose… sono un tunnel di dolore senza fine.

Ma la morte, oh! La morte è peggio o meglio, dipende dai punti di vista.

Per chi se ne va dopo aver vissuto una vita lunga e felice, è un bene.

Ha già avuto tutto dalla vita, l’ha vissuta davvero.

Per chi, come mia madre, se ne va dopo aver vissuto una vita di merda, è ugualmente un bene.

Ha smesso di soffrire lei.

Ha smesso.

Ora ovunque stia, sta bene.

In pace.

Da sola.

Ma questo concetto vale per chi se ne va.

E per chi resta?

Chi resta, cosa prova?

Dolore.

Un oceano infinito di dolore e sofferenza.

Ed è inutile prendersela con Dio, con il destino o con chissà cos’altro.

Tu soffri.

Chi resta soffre.

Ed è una sofferenza che ti si instaura dentro, che diventa parte di te, che ti distrugge e ti sputtana la vita.

Bene per chi se ne va.

Male per chi resta e vorrebbe in realtà andarsene.

Ai bambini piccoli che hanno avuto un’infanzia si diceva, per rassicurarli: “Va dagli angeli”, “va in cielo”, “starà bene”.

E io, io che un’infanzia non l’ho mai vissuta e che mi è stata rubata, penso:

“Per quale cazzo di ragione doveva andare proprio lei dagli angeli?”.

E’ la vita, dicono.

Una vita di merda, dico.

Ed è la stessa cosa che penso stando ora a questo tavolo, circondato da persone  che mi hanno rovinato la vita.

 

 

«Allora figliolo, come prosegue il tuo lavoro alla libreria?» mormorò disgustato quel viscido.

«Molto bene, uomo d’affari.» Tono in risposta altrettanto disgustato.

«Non ti azzardare ad utilizzare quel tono con me, signorino!» urlò battendo un pugno sul tavolo.

Vidi mia sorella sobbalzare impaurita e pregarmi con lo sguardo di calmarmi.

Accanto a me, mio fratello continuava a mangiare senza curarsi, in apparenza, di ciò che stava accadendo.

Guardai nuovamente Alice, e le chiesi scusa con gli occhi.

«Se per questo io dovrei dirti di non azzardarti a…»

«Signor Masen, una lettera da parte del Signor Swan.» Marie interruppe la schermaglia tra me e quell’essere.

«Oh, ti ringrazio cara» le accarezzo lascivamente il braccio.

Mi alzai di scatto dalla tavola e nonostante i richiami di Alice e Emmett continuai imperterrito.

Accesi l’auto e partii.

140, 150, 160, 180… spingevo i piedi sul pedale sempre più a fondo, sempre con più forza e rabbia.

Sterzai bruscamente sul ciglio della strada e vomitai l’anima, poco prima di intraprendere la strada che mi avrebbe portato dall’unica persona che abbia mai amato.

Mi pulii le labbra con un fazzoletto e andai verso di lei.

Ogni passo e sentivo la sofferenza aumentare.

Ogni passo e sentivo i ricordi affiorare.

Ogni passo e odiavo quel mostro di padre che mi ritrovavo.

Ogni passo…e finii per raggiungere mia madre.

Mi sedetti, non prima di aver pulito con cura la sua lapide.

Appoggiai il capo su di essa e ascoltai il martellante rumore del silenzio.

Buon compleanno Edward, hai compiuto ventuno  anni il giorno dell’anniversario della morte di tua madre.

Ma ovviamente,  attorno a me, il vuoto.

 

 

 

-Mallory.

 

Bum, bum, bum, bum.

Il ritmo della musica House, pressante e martellante, è il degno accompagnatore di tutti quei corpi sudati e ammassati che a tempo di musica, o meglio dell'alcool e droghe ingerite, si muovono freneticamente.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

Ho caldo. Cerco di farmi un varco tra la calca soffocante di persone.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

La vista si appanna sempre più e la testa mi gira vorticosamente.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

Esco dalla folla e, con passo barcollante, mi siedo su una delle tante panchine della Metropolitana.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

L'eroina sta facendo il suo effetto nel mio sistema nervoso e nel sangue.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

Mi sento bene. Libera dai mille pensieri e dai mille problemi.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

«Vuoi un goccio di Vodka? Ti aiuterà a sentirti meglio».

Mi volto verso la voce ruvida e calda che ha pronunciato queste parole e vedo Stefan.

Oggi sembra più bello del solito, il mio migliore amico.

O forse è la droga, a farmi credere questo.

 

«Perché no» gli prendo la bottiglia di Vodka dalle mani e bevo avida, fregandomene delle gocce che sfuggono dalle mie labbra, che percorrono un percorso immaginario lungo la mia gola, per poi  terminare nell'incavo dei seni.

 

Mi volto e mi fissa con sguardo dolce... triste.

 

Si porta alle labbra la canna per aspirarne il fumo con una boccata profonda.

È  così... bello, il mio migliore amico.

Scoppio a ridere senza motivo, con spensieratezza.

Mi fissò con i suoi occhi verdi intensi, le pupille che erano due spilli.

« Mallory, sei un disastro.», continuò a fissarmi intensamente, per poi scrollare le spalle e bere la sua Vodka.

Sentivo la testa vorticare senza controllo, mentre la vista si era appannata per l’ennesima volta, ma la sensazione di spossatezza, allo stesso tempo di iperattività che ti dava la cocaina, era fantastica.

 

Fantastica per il semplice motivo che non riuscivo a pensare alla merda che mi circodava.

«Mi dai un goccio, per favore?».

Mi guardò nuovamente e, sorridendomi di sbieco, mi allungò la bottiglia da cui bevvi avidamente.

«Si può sapere cosa ci fa una bella donzella ricca sfondata, in questa merda?» domandò, aspirando dalla nuova canna appena rullata, dopo aver indicato con un ampio gesto di mano la metropolitana.

«La stesso che stai facendo tu, gentleman».

Ci fissammo negli occhi e scoppiamo a ridere a crepapelle per diversi minuti, senza fermarci.

Ero felice nella finta patina di felicità che la droga e l’alcol creavano.

Il problema sarebbe arrivato dopo, quando avrei ripreso le piene facoltà mentali e fisiche.

Finii la bottiglia di Vodka.

 

 

 ----------

 

 

«Isabella, dovrebbe svegliarsi, sono le sette del mattino», la voce di una delle mie inservienti arrivò distante  e indecifrabile. La testa continuava a pulsarmi vorticosamente. La sera precedente era un pallido ricordo nebuloso e l'unica cosa che rammentavo erano due occhi verdi come uno smeraldo.

Niente di più, niente di meno.

Aprii gli occhi, togliendo la visiera che li oscurava per la notte.

Lasciai vagare lo sguardo lungo la mia camera da letto e mi stupii di come ero riuscita, anche stavolta, a tornare in casa.

Mi alzai e andai di fronte allo specchio orizzontale posizionato dietro alla porta dell'enorme bagno.

Guardai i miei capelli arruffati, le mie occhiaie profonde, il trucco sbavato e iniziai a pettinarmi e a sistemarmi... per l'ennesima giornata dedicata alla finzione.

 

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Capitolo 2
*** love sucks. ***


Here we are! :3

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#2

Love sucks.

 

 

-Bella.

Nell’esatto istante in cui varcai il cancello della Costance, udii mormorii indistinti farsi più fitti e concisi.

Cercai di non pensarci troppo e mi accesi un’altra sigaretta, indossando gli occhiali da sole con lo scopo di oscurare gli occhi che avevano vita propria; infatti, si chiudevano da soli dalla stanchezza.

 

Improvvisamente, sentii una presenza affianco a me e, prima che potessi spaventarmi, riconobbi il profilo di  Nate.

«Ciao tesoro!» mormorò cingendomi le spalle con un suo braccio.

Mi limitai a donargli un vero sorriso.

«Fatto le ore piccole ieri sera?» disse ridendo.

« Mi trovavo ad una festa di amici di amici», mentii.

Nessuno sapeva dell’altra mia vita, quella più spericolata e meno consona a Isabella Marie Swan, figlia del magnate dell’economia statunitense e di una stilista di fama mondiale e, men che meno, sapeva la ragione che mi portava a comportarmi così; escluso Stefan.

Rabbrividii involontariamente.

«Senti» disse Nate guardandosi la punta dei piedi, «ti va di uscire insieme a cena?» mi guardò con i suoi occhi scuri e mi dispiacqui all’istante di dovergli dire di no.

Lui non meritava una ragazza come me.

Non meritava una donna senz’anima, che gli è stata rubata dall’infanzia.

Che un’infanzia non l’ha mai avuta.

Non la merita.

«Mi dispiace, Nate, ma non sono tipo da relazioni durature, mi dispiace davvero tanto» mormorai, accarezzando con dolcezza il suo profilo.

Lo vidi aprir bocca per ribadire, così di scatto presi e scappai, prima che potesse dire qualcosa che mi avrebbe fatto sentire più in colpa di quanto già non mi sentissi.

Scappare, una costante della mia vita.

Scappare e scappare ancora.

Forse perché mi ritrovavo sempre in situazioni più grandi di me.

O forse perché  non ho abbastanza palle.

Fatto sta che scappo, anche adesso.

Entrai in classe, precedendo così  il professore di letteratura, Mr.Grant.

«Oggi parleremo dell’amore».

Sbuffai mettendo gli auricolari alle orecchie; l’amore, pff!

Chi ti ama ti distrugge.

L’amore ti distrugge, sia che se lo ricevi sia se non lo ricevi.

Ti ritrovi lì in attesa di un messaggio che non ti arriverà mai, ti ritrovi in attesa di un qualcosa che non accadrà, oppure, se accadrà sarai talmente felice che continuerai a vivere con la costante paura che quella felicità venga distrutta.

Quindi, chi ama, viene distrutto.

Indebolito.

Non devi dare a nessuno la possibilità, il potere, di essere felice o triste.

 

A nessuno.

 

Alzai “Don’t Stay”, dei Linkin Park, mentre il professore continuava a blaterare e a fare domande inutili sull’amore.

Persa nei miei pensieri, non udii il Mr.Grant chiamarmi, così la mia compagna di banco Cassidy, mi diede un buffetto sul braccio.

Trasalii.

Mi tolsi gli auricolari e mi scusai, sentendomi in imbarazzato da quell’improvvisa attenzione generale.

«E tu Isabella, cosa ne pensi dell’amore o dei libri che trattano quest’argomento?»

Tutti gli occhi dei compagni di classe si puntarono sulla mia figura, incuriositi di sapere cosa pensasse la  perfetta Isabella, sull’amore.

«L’amore non esiste, fa semplicemente schifo, perché sia se lo ricevi, sia che non lo ricevi stai male ugualmente. Per quanto riguarda i libri, ne ho sinceramente abbastanza di tutte quelle cazzate che  dicono. Vorrei leggerne  uno che racconta l’amore reale, vero,  -ammesso e non concesso che esista; non di una Giulietta e di un Romeo che dopo uno sguardo si innamorano e si sposano subito dopo, per poi morire per l’altro. Sinceramente, a chi mai capiterà di vivere una storia del genere?!»

Mi stupii di me stessa, dato che feci il discorso più lungo di tutta una carriera scolastica.

Lessi stupore anche negli occhi del professore e degli altri compagni di classe.

«Non dovresti pensare questo, Isabella. L’amore esiste, ed è la cosa più bella che possa capitarti.»

Insistette Mr.Grant, non capendo che io, nell’amore, non ci ho mai creduto e mai ci crederò.

«Questione di punti di vista, professore.»

Scrollai le spalle, sperando di far troncare il discorso lì.

Sperai invano.

«Esatto, punto di vista che sarei curioso di conoscere».

Sbuffai silenziosamente, turbata dal fatto di dovermi esprimere e aprire di fronte a tutte queste persone avide di informazioni, che vogliono soltanto conoscere al meglio Isabella, per potermi poi sputtanare alle spalle.

«Credo di aver già espresso in maniera consona il mio pensiero al riguardo, professore.»

«Sì, ma vorrei ... »

Salvata dalla campanella.

Uscii dalla classe prima che qualcuno potesse bloccarmi e  mi diressi a passo spedito verso quello che era il mio rifugio segreto.

Mi sdraiai sopra la panchina situata oltre delle siepi e mi accesi l’ennesima Lucky Strike.

Chiusi gli occhi e la voce di Sigur Ros ebbe il potere di rilassarmi.

L’amore.

Improvvisamente risi, risi e piansi contemporaneamente fumando in maniera quasi compulsiva.

L’amore fa schifo.

L’amore non esiste e non guarisce le ferite, per lo meno non le mie di ferite.

Chi vorrebbe mai amare una alla quale hanno rubato l’infanzia?

Chi vorrebbe mai amare una che dalla vita ha solo ricevuto dolore?

Chi vorrebbe mai amare una che, giorno dopo giorno, si dirige con falcate sempre più sicure verso l’autodistruzione?

Chi vorrebbe mai amare, me?

Le risate sparirono, per lasciar spazio ai pianti.

Eccola, la donna menefreghista senz’anima.

 

 

 

 

 

 

-Edward.

 

«Buongiorno caro ragazzo! Potresti aiutarmi nella scelta di un libro per mia nipote, per favore?»

Mi voltai, stando attendo a non cadere dalla scala mobile e, dopo aver posato il libro al suo posto secondo il genere, scesi.

Incontrai il sorriso di una donna sulla sessantina, con un sorriso dolce e degli occhi che trasmettevano amore.

L’amore.

Risi al solo pensiero, restando imperscrutabile all’esterno.

«Certamente, mi dica che tipo è all’incirca sua nipote.» Risposi alla domanda posta in precedenza dalla Signora, «nel frattempo, desidera un the?» continuai altrettanto dolce.

Per qualche assurda e arcana emozione, sentivo che doveva trattarla con altrettanta dolcezza.

«Sì, ti ringrazio..?» lasciò la domanda in sospeso.

«Edward».

«Edward, io sono Marie.» si presentò l’arzilla signora, allungandomi la sua mano ruvida  ma allo stesso tempo morbida al tatto.

Mi seguì fino al bancone dove le preparai  il the.

«Lei è bellissima, Edward. Semplicemente bellissima. E’ una di quelle bellezze dannate, figliolo. Ha due occhi verdi che sono delle pozze di dolore purtroppo e, con il passare del tempo, questa sua tristezza si instaura sempre di più il lei e mi dispiace Edward, davvero. Non so cosa posso fare per lei, tu hai qualche idea?»

Restai completamente spiazzato, non solo dalla descrizione della ragazza ma per la domanda finale di Marie.

Cosa avrei potuto risponderle?

Con quale tra le tante bugie a disposizione, mentirle?

Quella parte piccola di me, che si fidava di Marie, mi spinse a dirle la verità.

«Se solo lo sapessi, lo applicherei anche su me stesso, signora. Ma non lo so e, di conseguenza, lei può soltanto guardare sua nipote morire dentro giorno dopo giorno, senza far nulla.»

«E se le proponessi di trasferirsi in po’ qui da me, a Londra? Credi che potrebbe aiutarla in qualche modo?».

La vidi sorride e la speranza accendersi nei suoi occhi di un incredibile azzurro chiaro, terso…

Come il cielo di Liverpool.

Scacciai il pensiero con forza e non me la sentii di dirle che non sarebbe cambiato un cazzo.

Se il dolore ce l’hai dentro, dentro ti rimane.

Se il dolore si è instaurato in te, tu puoi anche  andare al Polo Nord, ma non cambierà ugualmente un cazzo.

«Uhm, credo che possa esser un aiuto, Marie. Ecco a lei il the.»

«Grazie Edward. Ti dispiacerebbe se te la presentassi? Sai, vi vedrei fin troppo bene assieme.»

Sbam.

Rimasi completamente spiazzato per ciò che aveva appena detto.

Solitamente, le signore quando vedevano le proprie figlie o parenti lanciarmi degli sguardi compiaciuti, le istigavano a girarsi e le suggerivano di non guardarmi.

Questa, invece, stava spingendo sua nipote da me.

E, secondo la descrizione, era una gran bella nipote.

Perché no?

«Come vuole lei, per me non è di certo un problema.» Risposi, senza nascondere il sorriso malizioso che mi era nato istintivamente sul volto.

Rise, gettando il capo all’indietro e mentre mi seguiva tra gli scaffali della libreria la udii mormorare:

«Sono sempre più convinta che questi due siano fatti per stare insieme.»

Scossi il capo lentamente.

Volevo dirle che erano inutile, che per un tipo come me che storceva la bocca alla parola amore, non avrebbe mai potuto avere una relazione stabile con sua nipote, neanche sessualmente parlando.

Ma non volli ferirla e semplicemente tacqui, come tante volte nei miei ventun anni.

«Allora, un libro di Nicholas Sparks? Di solito queste cose piacciono alle ragazze.»

Marie rise nuovamente, sorseggiando con lentezza il the.

«Di solito» si limitò a rispondere.

«Di solito» ripetei.

«Uhm, avventura?»

«Lo è già la sua vita.»

Mi incuriosiva sempre di più questa fantomatica nipote.

«Storico non credo, erotico neanche.»

Mormorai sovrappensiero.

«La storia l’annoia terribilmente e per quanto riguarda l’erotico, non credo che le serva un libro, con tutti quelli che le vanno dietro.»

Lessi la costernazione mista a divertimento nel suo sguardo.

Rivalutai sua nipote.

Forse e dico forse qualcosa avremmo potuto farla con piacere, insieme.

«Sua nipote mi sta mettendo in difficoltà, lo ammeto Marie.» Dissi ridendo.

Rise anche lei.

Era un suono musicale, quasi come quello di mia nonna.

«E ancora non la conosci, pensa a quando la conoscerai.»

Ridemmo ancora, finché non mi imbattei in un libro.

«”Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”. Droga e quant’altro, un libro a mio avviso davvero bello e toccante. Cosa ne pensi? A tua nipote potrebbe piacerle?» Chiesi, incrociando segretamente le dita.

«Uhm, direi di sì! Grazie Edward!»

Sospirai, e mi sentii profondamente soddisfatto.

Ero riuscito nell’impresa del libro impossibile, per la nipote impossibile.

Le dissi il conto e pagò più del necessario, dicendo che il resto era per me.

«Ci rivedremo Edward! E sappi che quando verrò, accanto a me ci sarà la ragazza che ti rovinerà e ti salverà, tesoro!»

Non avrei potuto immaginare quanto veritiere si sarebbero dimostrate quelle parole, inseguito.

 

 

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Capitolo 3
*** grandma take me home. ***


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#3

Grandma take me home.

 

 

 

-Isabella.

Molte volte mi ero immaginata la sensazione dell’asfalto freddo sulla mia guancia.

Sul mio corpo in caduta libera.

Ogni volte le emozioni che mi assalgono sono sempre le stesse: pace, tranquillità, nessun dolore.

Eppure la paura di morire mi ha sempre affiancato, impedendomi così di godermi la mia eterna pace interiore.

Lasciandomi “vivere” in questo cazzo di limbo in cui non vivo.

“Isabella, vieni!”

Un’ultima occhiata allo specchio e mi vidi; perfetta.

Capelli legati in una coda alta, corpo fasciato da un vestito fin sopra il ginocchio, come trucco solo del mascara.

Perfetta.

La perfetta Isabella Marie Swan.

Sentii richiamare il mio nome un’altra volta.

Sbruffai silenziosamente, per dirigermi verso le scale che portano al salotto.

Lisciai il vestito  e preparai un sorriso per  salutare  gli ennesimi amici dei miei genitori.

“Isabella, bella come sempre!” esclamò la Signora Miller.

Donna sulla quarantina, bella, viziata, fedifraga.

Ecco il circolo di amici che frequentavano i miei genitori.

“Come stai dolcezza? Ti ricordi mio figlio, John?”

Voltai lo sguardo appena sulla figura che si stagliava fiera accanto alla Signora Miller.

John, ragazzo sulla ventina con gli occhi verdi e capelli biondo cenere.

Decisamente non il tipo per Mallory.

Decisamente il tipo per Isabella.

Sorrisi, allungando la mano verso il giovane che mi scrutava con mal celato interesse.

“Ma tesoro! Come mai porti la borsa per stare in casa?” Mi guardò sconvolta Reneè, mentre mio padre al suo fianco mi intimava di non rispondere ciò che stavo per dire.

“Perché esco madre”.

Sorrisi dolcemente, salutando nuovamente i Miller, con particolare attenzione per John… forse questo sarebbe servito per calmare  le acque.

Lo sperai vivamente.

Vidi i miei genitori guardarmi con felicità ed entusiasmo terrificante, ai miei occhi, poco prima che me ne andassi.

Trovai come da programma l’auto trasandata di Stefan sul vialetto e, correndo, vi entrai.

“Ciao Stefan!” mormorai dandogli un bacio sulla guancia.

“Piccola Swan!” mormorò lui in risposta.

Tolsi gli abiti dalla borsa e mi spogliai degli indumenti di Isabella, per indossare poi quelli di Mallory.

Una minigonna in jeans e un top verde.

Le scarpe con il tacco restarono al loro posto.

“Cosa dicevano gli Swan quest’oggi?”

“Uhm, volevano accasarmi con il figlio dei Miller.”

“Perfetto per Isabella immagino”.

Sorridevamo ancora, quando il mio telefono squillò.

“Marie!” dissi entusiasta.

Tesoro mio! Come sta la mia nipotina preferita?”

“Ma se sono la tua unica nipote, nonna!” dissi ridendo, contagiando anche Stefan che stava prestando attenzione alla chiamata.

“Oh, devo essermene dimenticata!” mormorò sovrappensiero, scherzando.

Risi nuovamente, con felicità.

Adoravo mia nonna, la madre di mio padre.

Era semplicemente fantastica.

Mi comprendeva, ascoltava i miei silenzi e, cosa più importante, li rispettava.

“Amore, ho parlato con Renèe l’altro giorno…” disse con un tono annoiato.

“Cosa ha detto, stavolta?”

“Le solite cose, va bene a scuola, è una figlia modello, è perfetta, e bla bla bla, tutte cose noiose insomma. Per questo volevo farti una proposta, amore, per movimentare la tua monotonia!”

Oh, nonna, se solo sapessi che la monotonia la vivo soltanto di giorno.

“Che ne dici di trasferirti a Londra? Ti iscrivo in una scuola pubblica, dove non ci sono tutti quei figli di papà e inoltre, ti troverai un lavoro.”

“Ma nonna, anche io sono una figlia di papà in pratica!” le dissi ridendo.

“Tu devi esserlo, non è che vuoi. E’ diversa la cosa per te, figlia mia. Cosa ne pensi dell’idea, comunque?”

Le sue parole mi colpirono nel profondo.

Lei sapeva.

Lei mi capiva.

Lei c’era.

E, lanciando un’occhiata a Stefan, capii che anche lui c’era.

“Dico che devi preparare la mia stanza, nonna.”

Una fuga; imperfetto per Isabella, perfetto per Mallory.

 

-Edward.

Mi accasciai stremato sul corpo di… Madison? Mandy? Carla? Clara? O Marie?

“E’ stato stupendo, amore.” Mormorò lei.

Annuii inespressivo, mentre mi alzai per prendere le Malboro dal cassetto per accenderne una.

Aspirai una lunga boccata, aprendo la finestra dell’appartamento.

“Lo sai che le donne odiano la gente che fuma, dopo aver fatto l’amore?”

Amore.

Ancora questa odiosa parola.

“Infatti tu non lo odi, in quanto abbiamo soltanto scopato.”

Si alzò dal letto con lentezza, fino ad arrivare dietro di me.

“Edward, devi capire che una donna più la tratti male, e più ti verrà dietro.” Mormorò con voce bassa, seducente, mentre con lentezza esasperante accarezzava il mio membro rilassato.

“Allora dev’essere una donna davvero stupida, se continua a farlo. Una intelligente se ne andrebbe.” Scacciai la sua mano con delicatezza e le indicai la porta.

“Sai dove si esce.”

Entrai nel bagno, senza aspettare oltre in camera da letto.

Appoggiai le braccia sul lavandino e guardai il mio volto riflesso sullo schermo.

L’immagine di un uomo distrutto.

L’immagine di un uomo a pezzi.

L’immagine di un uomo che va alla deriva.

L’immagine di un uomo che si dirige tranquillamente verso l’autodistruzione.

L’uomo sospirò, e aprì l’anta delle “medicine”.

Mi scostai dalla superficie riflettente e aprì l’acqua della vasca; calda.

La riempì e mi immersi totalmente.

Da sotto l’acqua, mi sentivo in pace.

Ma quando riemersi e aspirai una boccata di fumo, mi sentì subito meglio.

L’erba fece con calma il suo effetto, tranquillizzandomi immediatamente.

Mi sentii in pace.

Presi una bottiglia mezza piena di Jack Daniel’s che ti trovava riversa sul pavimento, e iniziai a bere avidamente, conscio che anche stanotte,  i suoi occhi tersi come il cielo di Liverpool, non mi avrebbero  lasciato dormire.

Appoggiai mollemente il capo contro le mattonelle,  quando gli occhi iniziarono a chiudersi da soli.

Sei pronto a dormire con i tuoi fantasmi, Edward?









 


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Capitolo 4
*** my first ghost, are you ready for the hell? ***


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#4

My first ghost, are you ready for the hell?

 

Cara Mallory,

credo, anzi, sono sicura, che tutto ciò che  abbia desiderato di più al mondo era un “ti voglio bene, figlia mia”, da parte dei miei genitori. Tre parole. Solo quelle parole, fino all’età di diciassette anni in cui tutto cambiò. Solo quelle parole fino ad un anno fa. Una parte di me, piccola ma alquanto rumorosa, sperava si sarebbero opposti al mio soggiorno a Londra. Una parte di me, sperava  di mancargli. Ovviamente, desideri inutili.

 Mi avevano risposto in questo modo:

“Certo tesoro! Vai, così sono certa che le tue migliori amiche saranno verdi d’invidia!” disse Renée.

Quali migliori amiche? Io non ne ho mai avute. Eppure continuava ad insistere su quel punto, Mallory.

“Quale scuola frequenterai comunque? Una prestigiosa spero.”

“No padre, frequenterò una scuola pubblica.”

Non si curavano del fatto che sarei andata a vivere in un altro Stato.

Non si curavano del fatto che non mi avrebbero rivisto per anni, forse.

Non si curavano di nulla, se non della scuola che avrei frequentato; o meglio, su quanto fosse rinomata.

“Oh, va bene ugualmente, almeno farà vedere di sapersi distinguere in ogni frangente.”

In quel momento, Mallory, guardai in volto coloro che mi avevano dato la vita e provai il desiderio di scuoterli per le spalle violentemente e chiedergli: mi vedete? , mi avete mai visto? , mi conoscete?

Ma nessuno dei due saprebbe rispondere.

Nessuna sa rispondere. Nemmeno io, Mallory.

E poi, cosa mi aspetterà a Londra? Sento una sensazione strana, sai? All’altezza dello stomaco, come se il tutto stia in lavatrice che sta compiendo la centrifuga. Credo che comunemente si chiami ansia. Ma di cosa? Per cosa dovrei essere ansiosa? Mi manca la nonna. Eppure quando l’altro giorno l’ho sentita per telefono per accordarci sull’orario dell’aereo che meglio era per lei, l’ho sentita strana.

Irrequieta.

Mi mentiva.

Non so riguardo cosa, non so perché e forse, tesoro, è soltanto una delle mie mille paranoie.

Anche Renée e Charlie si lanciavano occhiate… spaventate, timorose.

Altra paranoia? Forse dovrei farmi una scopata, Mallory.

O forse no.

 Bah, non lo so.

Comunque ora devo partire e quindi niente.

Ci risentiamo nella mia mente, Mallory.

Un bacione,

Isabella.

 

Chiusi la busta con cura, per inserirla nel cassetto dove altre lettere si alternavano ordinate e diedi un giro di chiave alla toppa, in modo tale che nessuno potesse accedere alle lettere destinate all’altra parte di me.

Pazza? Forse.

Ma senz’altro sono convinta che ognuno di noi abbia  più persone dentro di sé.

C’è chi all’apparenza è tranquilla, un po’ paranoica; e dentro è un vulcano di emozioni, dolori, sentimenti.

C’è chi all’apparenza è parte pazza, svitata; altra dannatamente piatta di emozioni.

C’è  chi si autoflagella e chi si crede Miss Universo.

Quindi, in definitiva, ci sono più parti dentro di noi.

Io ne  ho due.

Isabella; perfetta, ciò che tutti i genitori desiderano, seria, posata, borghese, non ha mai avuto sofferenze.

Mallory; imperfetta, maschiaccio, pazza, che si diverte, odia le borghesi, soffre.

«Pronta? L’aereo parte tra due ore, Isabella!» disse Renèe bussando delicatamente alla porta.

No, non sono pronta.

Non voglio lasciare questa finta patina di felicità.

Non voglio uscir fuori ed aver paura.

Voglio restare qui e illudermi che tutto andrà bene.

«Certo! Arrivo subito»

«Forza Isabella, abbi coraggio! Dai!» mormorai guardando il mio riflesso nello specchio.

«Isabella?» urlò Renèe dal piano terra.

Quando scesi trovai Stefan ad attendermi e, con un’occhiata comprensiva, mi strinse la mano.

«Starò con te, sorella.»

Sospirai ed arrischiai un sorriso verso di lui e ai miei genitori.

Sei pronta ad abbandonare il tuo luogo sicuro per gettarti nell’ignoto, Isabella?

 

--------------------

 

«Nonna!» mi sbracciai nel tentativo di farmi vedere da lei.

«Amore!» mormorò Marie stringendomi a sé.

Mi era mancato il suo calore, il suo odore dolciastro che ti faceva sentire a casa.

Semplicemente l’adoravo.

Sin da quando ero piccola mi aggrappavo alla sua maglia e ovunque andasse la seguivo, sia quando dava l’acqua alle piante con cui parlava di tanto in tanto, sia quando doveva cucinare.

In ogni occasione, stavo assieme a lei.

Aveva la straordinaria capacità di non far domande e saper ascoltare i miei silenzi.

Non parlavamo quasi mai io e la nonna, forse perché con il nostro mutismo riuscivamo ad esprimerci meglio, senza l’utilizzo delle parole.

Le parole, così superflue, inutili e incomprensibili.

«Che notizie mi porti dall’America, amore?» chiese lanciando un’occhiata allo specchietto retrovisore.

«E tu Stefan?» continuò.

Non prestai attenzione alla risposta del mio migliore amico e men che meno risposi alla domanda posta da lei in precedenza. Infilai le cuffie alle orecchie, lasciandomi abbagliare dalle bellezze di questa città senza tempo.

Mi lasciai incantare dai giochi di luce e ombra che le nuvole creavano assieme al sole, prossimo a lasciare il suo posto nel cielo alla sua amante luna.

Mi lasciai incantare dai musicisti di strada, e dalla vita frenetica che gli abitanti vivevano.

Chissà se anche loro avevano degli scheletri nell’armadio.

Chissà se anche loro fingevano ogni giorno una felicità che non provavano.

«Oh, prima che me ne dimentichi! Ecco a te un regalo amore! Spero ti piaccia.»

Spense l’auto dato che eravamo appena arrivati di fronte al palazzo,-dove alloggiava al terzo piano e, una volta scesi, mi consegnò un libro.

Lessi il titolo e sorrisi affettuosamente, davanti a quel gesto di amore raro nella mia vita.

«Grazie» mormorai stringendola a me.

«Lo  hai già letto, vero?»

«Ehm, in realtà sì. Però mi fa piacere averne un’altra copia di “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”, tanto l’altra è andata perduta nella libreria di Stefan».

«Ma non ti preoccupare, ti porto dal ragazzo che mi ha venduto il libro!» ammiccò maliziosa.

Scoppiamo tutti e tre a ridere, accogliendo con gioia quel momento di felicità.

Quanto sarebbe durato?

Non lo so e, al momento, volevo soltanto godermi a pieno quella sensazione senza pormi domande; inconsapevole delle bugie rifilate anche in quest’attimo sereno.

 

Edward.

Avevo appena chiuso la libreria quando sentii una voce conosciuta chiamarmi.

«Edward! Ragazzo!» mi voltai verso Marie, sorridendo con affetto.

«Buona sera Marie! Non è piaciuto il libro a sua nipote?»

«Lo ha già letto purtroppo e infatti volevo venirlo a cambiare assieme a Isabella.»

Tremai sentendo il nome della ragazza.

Non è lei Edward, non lo è.

«Purtroppo ho appena chiuso, ma se vuoi posso fare un’eccezione» mormorai incerto, voltandomi nuovamente verso la porta del negozio.

«Tranquillo, ho tutto il tempo del mondo da passare qui a Londra, potrò ripassare un altro giorno.»

Improvvisamente udii quella voce.

«Isabella» mormorai stupito.

«Edward» sussurrò lei con le lacrime agli occhi.

«Amore, vi conoscevate già?»

Non mi preoccupai di rispondere a Marie, non ora che avevo il mio incubo personale di fronte agli occhi.

Era cambiata.

Non aveva più quel sorriso dolce che accentuava la bellezza delle sue labbra; in compenso aveva il mio stesso sorriso dannato.

«Sì più o meno.» mormorò lei.

«Oh, George mi ha mandato un messaggio, mi aspetta al ristorante.» disse Marie guardando il telefono,

«non vi dispiace quindi se vi lascio soli?».

Vidi Isabella aprir bocca più volte, non riuscendo ad articolare nessuna parola.

Le parole, le parole che tanto odiava.

«No, non ci dispiace Marie.»

La nonna di  Isabella se ne andò, lasciandoci in piedi soli su quel marciapiede.

Il tempo si era fermato.

Il tempo non esisteva più.

«Sei cambiata.»

«Anche tu. Sembri ancora più stronzo.»

«E tu sei la stessa stronza sincera di sempre.»

«Certe cose non cambiano, Edward»

Vagò con lo sguardo ovunque, -tranne sulla mia figura; mentre cercava all’interno della sua borsa una sigaretta che immediatamente accese.

«Ne vuoi una?»

Una boccata di fumo sul volto.

«C’è da chiedere?»

Le sue labbra si tesero verso l’alto; un lampo di quel sorriso che tanto aveva amato.

No, non amato.

Il sorriso a cui ti eri affezionato, tu non ami e mai amerai, Edward.

Fottuta coscienza.

«Andiamo a cena?»

«Casa tua?»

«Casa mia.»

Ci guardammo negli occhi.

Quegli stessi occhi con cui facevo l’amore soltanto guardandoli e, in quel dato istante, capii che ora avevo una compagna con cui dirigermi verso l’autodistruzione.

Perché Isabella? Perché sei cambiata? Cosa ti è successo?

Ma lasciai quelle domande da una parte quando tentò di intrecciare la sua mano alla mia.

Sì, decisamente avrei lasciato quelle domande da parte.

Per ora, volevo soltanto godermi la serenità che mi invadeva; senza l’uso di sostanze stupefacenti.

 

My first ghost, are you ready for the hell?

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Capitolo 5
*** non scusarti, ragazzo senza nome. ***


Salve.

Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e...che dire, spero di ricevere qualche parere in più per questa storia!

AVVISO: questo è l'ultimo capitolo che avevo postato la prima volta, l'ultimo che avete letto quindi dal prossimo...iniziano le novità! :D

Un bacione,

Chuck.

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#5

Non scusarti, ragazzo senza nome.

Le sue labbra si muovevano dolcemente sulle mie, pressandole leggermente. Aveva le labbra più dolci che avessi mai saggiato. Ci staccammo quando entrambi avemmo la necessità di prender fiato. Non sapevo come eravamo arrivati a quel bacio. Non credo fossero causati dall’alcool ingerito, e neanche dall’erba fumata, semplicemente era nato da sé come nelle più classiche scene da film, solo che l’ambientazione era diversa.

Sdraiata sul parco a fumarmi una sigaretta.

Poi si avvicina questo qua, Mallory, mi chiede una sigaretta, mi sorride sofferente, e ci baciamo.

Era dolce, straordinariamente dolce il ragazzo senza nome.

Per tutta la notte siamo rimasti assieme, l’uno accanto all’altra, in silenzio.

Credo che in quella notte di silenzio ci siano state tutte le parole che mai sono riuscita a dire.

Hai presente, no, quelle parole che porto dentro, che ognuno di noi porta dentro ma non riesce a dire.

Ecco, Mallory, esattamente questo.

Abbiamo parlato con il silenzio.

Abbiamo urlato con il silenzio.

Ci siamo amati con il silenzio.

Sai che io non so cosa sia l’amore. Mai provato, mai ricevuto, sempre negato.

Eppure, quella notte, con quel ragazzo, credo di essermi innamorata.

Non so perché, non so come, semplicemente lo so.

Eppure, mi basta vedere i lividi sul fianco destro di fronte allo specchio, e il corpo dimagrito per convincermi che mai ci sarà amore per me.

Mi tasto il livido, gemendo silenziosamente di dolore, guardando i miei occhi senz’anima.

Decisamente non c’è amore per me, Mallory.

Isabella.

 

 

 

 

Ed ora eccolo, il ragazzo senza nome.

Affianco a me, mano per la mano.

Non ci scambiamo parole, esattamente come quel giorno, semplicemente restiamo in silenzio.

In silenzio ci chiediamo come stiamo, ci baciamo con gli occhi e fingiamo che vada tutto bene.

Ma ormai è una costante fingere, no?

Tutti fingono; sentimenti che non provano, sentimenti che vorrebbero provare, felicità inesistente nonostante il dolore persistente.

Tutti fingono.

Tutti fingono di non fingere.

Ed ecco noi due, chiaro esempio di finta non finzione.

Lo continuo a chiamare ragazzo senza nome,  malgrado sappia qual è.

Edward.

Suona bene nella mia mente, talmente bene che tremo al pensiero di storpiarlo con la mia voce reale.

La voce della coscienza ha un qualcosa di più poetico, romantico, sui generis.

Improvvisamente ci fermiamo di fronte ad una palazzina che con leggerezza spintona, aprendola giusto per far passare i nostri corpi.

Proseguiamo per una piccola rampa di scale che odorano di lavanda, di pulito, fino ad arrivare al terzo piano dove ci fermiamo di fronte ad una porta in legno scuro, tendente al nero.

Come la tua anima, sussurra la mia amata coscienza.

«Ecco casa mia. Ordino una pizza? Le birre dovrei averle nel frigorifero.»

Piano, piano ragazzo senza nome; non inondare questo silenzio urlato con il tuo fiume di parole.

Non rispondo, limitandomi ad accarezzare con mano ed occhi le pareti chiare, la televisione di bell’aspetto sebbene dietro il cranio sbuchino fuori un turbinio di colori dei fili, le tende rosse; e la chitarra.

A quella visione, sono pronta anch’io ad interrompere il nostro non silenzio.

«Ho sempre voluto imparare a suonare, peccato soltanto che per una perfetta Isabella Swan non andasse bene.» Sputai con ironia e tristezza.

Afferrò la mia mano destra e con lentezza la posò su di essa.

Ne accarezzai ad occhi chiusi la sua superficie liscia, le sue corde ruvide al tatto.

«Posso insegnarti io, se vuoi.»

«Lo faresti davvero?» aprii gli occhi imprigionandoli volontariamente nei suoi.

Oh, ragazzo senza nome, quanto ti ho sognato.

«Per te sì.»

Per te sì.

Non svegliatemi. Se è un sogno, non svegliatemi.

Almeno qui, fatemi sognare.

Almeno qui, fatemi credere di esser amata, voluta bene; considerata.

Almeno qui, fatemi essere me stessa.

Portò le mani sui capelli, tirandoli leggermente, mentre con un mormorio di scuse si dirigeva in cucina per chiamare una pizzeria d’asporto.

Non scusarti ragazzo senza nome.

Non ora.

Non scusarti.

Scusati quando mi lascerai, quando le mie mani tremeranno nel ricordare un calore dimenticato, quando piangerò nella mia stanza la tua assenza e sorriderò agli altri.

Scusati quando opprimerò me stessa ancora.

Scusati quando mi struggerò per un bacio non dato ma voluto.

Scusati quando un lampo nei tuoi occhi ti fermerà dal saggiare nuovamente le mie labbra.

Scusati allora, Edward.

«Che pizza preferisci?» urlò dalla cucina per farsi sentire.

Non urlare, non mi piacciono le urla.

Ti sento, anche se mormori, ti sento.

«Con più schifezze possibili.» mormorai sorridendogli.

Mi sorrise e mi uccise.

Spense il telefono, comunicandomi che entro un’ora avrebbero portato pizza e patatine.

«Cosa ne pensi se intanto proviamo a suonare qualcosa?»

Gli sorrisi, stringendogli la mano che mi porgeva.

Non scusarti ora Edward.

 

-Edward.

 

«Grazie per la splendida serata, Isabella». Mormorai stringendo le mani a pugno, per impedire che questi si allunghino ad accarezzare il suo volto meraviglioso.

Non devi diventare come me, piccola. Tu devi tornare a sorridere, a vivere.

Non posso contaminarti.

Non posso.

Lei, dal canto suo, mi sorrise con le sue adorabili fossette.

Si avvicinò e, con lentezza estenuante, con le nostre labbra che prendevano il respiro dell’altro data la vicinanza, mi ringraziò.

Poi con lentezza  scese le scale.

Corsi immediatamente alla finestra, ansioso di vedere il suo volto ancora una volta e lei si voltò.

Poggiò delicatamente il palmo della mano sul finestrino del taxi, così come io appoggiai il mio sulla finestra di casa; e se ne andò.

Vai, piccola bugiarda fintamente coraggiosa.

Torna nella tua casa, sogna il bacio tanto agognato e non dato.

Torna nella tua casa e sogna una nostra possibile relazione.

Torna a casa e sogna di tenermi per mano.

Torna a casa e sogna di divenire felice.

Torna a casa e sogna di non mentire più.

Torna a casa e dormi, piccola mia.

Dormi.

Dormi, piccola donna andata e sempre rimasta.

Dormi con i tuoi fantasmi così come io dormirò con i miei, piccola finta coraggiosa.

 

----------------

 

«Isabella, Stefan, questa è la vostra nuova scuola.» mormorò Marie, con ancora il suo cipiglio imbronciato in volto.

Sorrisi e mi sporsi dal sedile posteriore per darle un bacio soffiato sulla guancia.

«Non è successo nulla con quel ragazzo nonna, nulla.»

Non è successo nulla con quel ragazzo nonna, nulla. Stai tranquilla, ti sto mentendo come al solito.

Sto mentendo come sempre.

Con il ragazzo senza nome è successo tutto, non nulla.

Mi sono sentita viva, protetta, al sicuro, me stessa.

«Non è successo nulla.» ripetei come una nenia.

«Non vi siete baciati quindi? Nulla di nulla?» continuò con voce acuta, Marie.

«No, non ci siamo baciati.» mormorai uscendo dall’auto, salutandola con un finto sorriso.

Oh, nonna! Non solo ci siamo baciati, abbiamo fatto l’amore guardandoci negli occhi.

Abbiamo suonano la chitarra, e per “sbaglio” ci siamo accarezzati più volte le mani.

Poi è arrivata la pizza, ed ho riso.

Ho riso talmente tanto da sentir la mascella dolere, Marie.

Abbiamo bevuto, ci siamo fatti il solletico.

E poi ci siamo ritrovati l’uno sopra all’altra.

Eravamo così vicini al bacio…

Ma si è scusato il ragazzo senza nome.

Si è scusato.

«Stefan chiama Isabella!»

«Scusami, stavo pensando»

«Sai che io sono qui, vero? Quando vuoi parlarne ti ascolterò.»

Sorrisi scompigliandoli i capelli, il mio modo non verbale per ringraziarlo di tutto ciò che lui fa per me.

Ma d’altro canto, lui lo sa.

«Vedi di non fare  troppe conquiste, migliore amico!»

«Oh, dovrei essere io a dirtelo!» rise, scuotendo leggermente il capo mentre le ragazze con mormorii concisi, morivano al suo passaggio.

Sei troppo melodrammatica e poetica, Isabella!

Girai, voltai, spiegazzai la cartina scolastica più volte alla ricerca della classe in cui avrei svolto la prima lezione, che non trovai.

Sbuffai nervosamente e continuai a camminare finché, come un miracolo, ecco la classe di arte…con la porta già chiusa.

Bussai leggermente ed entrai.

Immediatamente trovai gli occhi di tutta l’aula fissarmi e combattei con voglia di abbassare il mio sguardo.

Ho subìto occhi che mi squadravano, giudicavano, per tutta la vita.

Adesso non sto con il ragazzo senza nome, adesso sto con un branco di odiosi essere umani impiccioni.

Alza la maschera, Isabella.

«Scusi il ritardo professore, ma ho avuto difficoltà a trovare la classe.»

Voce certa, sicura, chiara.

Non sono io ad avere paura.

Non voglio più esser io, ad avere paura.

Non più.

«Lei è la ragazza nuova?» mormorò Mr.White portando le mani tra i capelli.

Non poteva farlo.

Non poteva portare le mani tra i capelli come il ragazzo senza nome.

Non poteva farmelo ricordare con un gesto.

Non dovevo pensarlo costantemente.

«Sono Isabella Swan.»

Ed eccoli i mormorii concisi.

“Ma  è la figlia della stilista di fama mondiale”

“Sarà senz’altro antipatica, guarda come si è presentata”

“Senz’altro riuscirò a portarmela a letto, spero.”

“Il padre è avvocato, chissà se potrà aiutarmi parlare con lei per trovare a mio padre un lavoro”.

 

«Si accomodi.»

L’unico che rimase composto di fronte al mio nome e soprattutto cognome, fu l’insegnante di arte.

«La lezione di oggi, signorina Swan, riguardava i fantasmi. Forse lei non lo sa, ma son solito porre domande ai miei studenti sul loro credo o meno verso i fantasmi, perché i primi  disegni del corso sono… i fantasmi appunto. Ora, continua signor Jackson»

Non ascoltai le risposte degli altri, troppo impegnata a pensare alla mia di risposta.

«Signorina Swan, lei crede nell’esistenza dei fantasmi?»

Aveva un qualcosa che mi inquietava, che mi portò ad incrociare le braccia attorno alla vita.

Il suo sorriso gelido e cortese, gli occhi color ghiaccio mi ricordavano colui che non volevo ricordare.

Respira Isabella, respira.

Pensa ad Edward.

Mi tranquillizzai all’istante e, con finta sicurezza ritrovata, lo guardai negli occhi pronta a rispondere alla sua domanda.

Non mi curai degli sguardi altrui. Non meritavano una mia preoccupazione.

«Quali fantasmi intende, Mr.White?»

Lessi la sorpresa e l’affronto nei suoi occhi.

«Tutti i tipi di fantasmi.»

«I fantasmi esistono, ma non sotto forma di tanti Casper. I fantasmi sono tutto ciò che ci circonda, tutti quei ricordi che teniamo dentro di noi e la notte vengono a farci visita nei nostri incubi. I fantasmi sono la speranza di ciò che diventeremo dopo la morte. I fantasmi sono i nostri scheletri nell’armadio. I fantasmi esistono e fanno male.»

«Teoria interessante, Swan.»

«Signorina Berry, a lei.»

Voltò lo sguardo da me e tornai a respirare.

 

-Edward.

«E così ieri hai rincontrato quella ragazza di cui mi parlasti allora?» mormorò sgranando gli occhi Thomas, ripetendo la stessa domanda per l’ennesima volta.

«Sì, Tom, sì. E’ la ventesima volta che ti rispondo sì.»

«Non è successo nulla?» mormorò malizioso, sorridendo ad una ragazza appena entrata nel negozio.

Alzai gli occhi al cielo.

«No, non è successo nulla.»

Non è successo nulla, ma tutto Thomas.

Tutto.

Perché non ti butti?»

«Da un ponte?» mormorai sarcastico, al  che Tom mi diede un pugno sulla spalla.

«Dalla tue paure, dalla tua maschera di cera, da te. Per quella ragazza ne vale la pena Ed, me lo sento qui.» E batté la mano sul cuore.

Non posso trascinarla nei miei casini, Tom, lo sai.

Lei ha già altrettanti problemi, perché aggiungerle anche i miei?

Lei può salvarsi, Tom.

Lei può.

Mi guardò negli occhi e come se avesse letto nei miei pensieri mi rispose:

«Voi potete salvarvi a vicenda, basta solo che troviate il coraggio di non scusarvi

Buttati e non scusarti.

Buttati e non scusarti.

 

-Bella.

 

«Mi inquieta Stefan. Io, mi ricorda lo sguardo cattivo di lui.»

Mi strinse tra le braccia,  inondandomi con quel calore che in quel momento mi mancava e sfregò le mie braccia con le sue mani.

«Calmati piccola, calmati. Ci sono io okay? Ci sono io. Nessuno ti farà più del male, nessuno.»

Mi sta già facendo, del male.

Il ricordo mi uccide, mi opprime, mi tormenta.

Fuori sembrerò una ragazza normale, tranquilla ma dentro marcirò, soffrirò e morirò, Stefan.

Sono già morta, dentro.

«Bella!»

Mi voltai sgranando gli occhi, alla vista del ragazzo senza nome.

«Cosa… cosa ci fai qui?»

Non mi rispose a parole, ma  mi abbracciò.

Con quell’abbracciò mi comunicò tutto.

Con questo abbraccio lui è qui.

«Cosa ci fai qui?» mormorai contro il suo torace.

«Volevo cercare di dirti che proverò a smettere di scusarmi, ma la strada è lunga e tortuosa, Bella.»

Sorrisi, baciandogli dolcemente la guancia sfregando poi le labbra contro la leggere barba che ricopriva la sua guancia.

«Grazie.» Sentii le sue labbra tendersi un sorriso.

«Spero possiate perdonare la mia presenza!» Disse ironico Stefan.

«Ehm, Edward lui è Stefan il mio migliore amico e bè fratello lui sai chi è.»

Dire che ero imbarazzata è un eufemismo.

«Oh, finalmente conosco il ragazzo senza nome!»

«Ragazzo senza nome…?»

«Nulla Edward, tranquillo!»

«Non ho capito sinceramente! » Si grattò la nuca, con un’espressione confusa stampata in volto.

«Neanche io se per questo.»

Guardai in maniera eloquente Stefan, che alzò le mani al cielo sorridendomi.

«Che ne dite se andiamo in un bar dietro l’angolo? Fanno dei dolci squisiti.»

«Io ho da fare, una ragazza mi aspetta! Comunque stasera Edward sei invitato a cena da noi, non puoi opporti!»

«D’accordo, non mi oppongo.» Disse ridendo.

Quando Stefan se ne fu andato, Edward mi prese per mano e ci incamminammo verso il bar.

Ti stai facendo perdonare ragazzo senza nome.

Ti stai facendo perdonare… ma per cosa?

“The wall” era un delizioso bar con l’atmosfera soffusa e le pareti tappezzate di citazioni di musicisti. Era un locale che trasmetteva una vivacità contenuta, non eccessiva e inoltre Edward sembrava conoscere le persone che ci lavoravano.

«Ehi Sam! Un tavolo appartato per due per favore.»

«Certo Ed! Chi è questa bella ragazza?»

Degli occhi piccoli e vispi, appartenenti ad un volto paonazzo mi scrutarono simpaticamente.

«E’ semplicemente lei, Sam.»

E’ semplicemente lei.

E’ semplicemente lei.

E’ semplicemente lei.

Mi gustai queste parole ripetendole come una nenia nella mia mente.

Sono semplicemente io, ragazzo senza nome.

«Piacere, Isabella.» Allungai una mano verso l’uomo che prontamente la strinse.

«Il piacere è il mio, Isabella! Sono Sam, prego accomodatevi su quel tavolo laggiù, se volete ordinare fatemi un cenno e arriverò.»

Gli sorrisi educatamente e mi sedetti sul tavolo isolato che aveva richiesto.

Mi trasmetteva calore e amore questo locale.

Mi sentivo a casa.

Ma era merito del locale o merito del ragazzo senza nome?

Del ragazzo senza nome, lo sai.

«Vorrei parlarti, Isabella.»

«Dimmi» Mormorai stringendo la sua mano, giocherellando con le sue dita.

Un modo per far evadere l’ansia che repentinamente mi aveva assalito.

«Io, vorrei dirti che voglio provarci. So che può sembrare assurdo, che è assurdo, infondo non ci conosciamo neanche eppure io sento di conoscerti. Sento che mi conosci meglio tu che chiunque altro. Sento che voglio provare a rompere questa diga di silenzio tra noi con le parole  che tengo da troppo tempo imprigionate in me. Sento che voglio smettere di scusarmi. Sento che voglio essere la tua ancora Isabella, così come tu sarei la mia… se vorrai. Non ti chiedo di frequentarci o di stare insieme, perché tu ed io non apparteniamo a nessuna di queste categorie. Siamo solo Edward e Bella.»

Ma tu hai già inondando questo silenzio di parole, tesoro.

Tu non comprendi che anche silenziosamente parliamo.

Se tu mormori, io ti sento.

Se tu parli, io ti sento.

Se stai in silenzio, io ti sento.

Io ti sento, Edward.

Io ti sento, mia ancora.

Io ti sento.

 

Mi alzai dal posto e delicatamente appoggiai le mie labbra sulle sue. Non feci alcuna pressione, così come nessuna pressione fece lui.

Stavamo respirando l’altro, stavamo parlando, stavo rispondendo.

Poi, dopo un tempo indefinito, tornai a sedere sulla sedia sorridendogli.

«Non sarà facile, Edward. Io sono una ragazza complicata, sofferente. Io fuori sorrido e dentro muoio.»

«Trovo le cose semplici noiose.»

«Arriverà un punto in cui amerai la semplicità che ora sdegni.»

«Arriverà un punto in cui ci salveremo.»

«Arriverà un punto in cui ci distruggeremo.»

«Arriverà il punto in cui ci sarà luce.»

«Arriverà un punto in cui mi lascerai, come tutti gli altri.»

«Ed è qui che ti sbagli piccola; io non sono “tutti gli altri”»

E sugellò questa frase con un bacio dal retrogusto amaro, dal retrogusto del dolore ma con un sapore preciso che porta il nome di speranza.

Riusciremo a salvarci, ragazzo senza nome?

Riusciremo ad essere Edward e Bella?

Non gli chiesi nulla e lui non mi rispose.

Strinse la mia mano e mi baciò nuovamente.

Mi baciò e riemersi dalle acque oscure che puntualmente mi facevano annegare.

Riemersi.

 

 

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Capitolo 6
*** runaway. ***


Saaaaaaaaalve.

Eccomi con il nuovo capitolo di Sleeping with ghosts.

Da qui, inizia davvero questo storia. 

Spero vi piaccia, fatemi sapere.

Un bacione, Chuck.

ps: si ringrazia Ever Lights per lo splendido banner! :3

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#6

Runaway.

 

"I wanna run away
Never say goodbye
I wanna know the truth
Instead of wondering why
I wanna know the answers
No more lies"

-Runaway, Linkin park.

«Non so cosa indossare.»

«Perché non hai abiti, giustamente.»

«Edward, non sei simpatico» Risposi tirandogli un cuscino in faccia, sbuffando.

«Se vado al ristorante in tuta da ginnastica, faccio una brutta figura?» mormorai, appoggiando il capo sul suo petto.

Il suo odore mi faceva impazzire, era dolciastro ma non troppo; ma forse mi faceva uscire fuori di testa così tanto soltanto perché era di Edward.

«Per me saresti bellissima anche con un sacco di plastica a coprirti.» Accarezzò le mie braccia nude più volte, percorrendo un percorso immaginario che mi diede i brividi… o forse erano le sue labbra, così vicine al mio collo eppure così distanti, a causarmi tutto ciò?

«Sarei bellissima perché il sacco mi coprirebbe anche il capo, ecco perché.» dissi mentre cercavo, invano, di alzarmi.

«Non dire mai più una cosa del genere, tu sei bella non solo di aspetto ma anche dentro, anche qui» picchiettò con dolcezza la mano sul mio cuore, « ancora non te ne rendi conto, ma lo sei. Non farti macchiare da tuo passato, piccola.»

I suoi occhi erano capaci di farti viaggiare, volare, senza alcun biglietto o altro mezzo di trasporto.

I suoi occhi erano caldi, avvolgenti; i suoi occhi erano fiumi di parole non dette.

Iniziai a piangere.

Nessuno mi aveva mai considerata bella dentro, l’importante era l’esterno; ma non per lui.

Incapace di pronunciare alcun ché, lo baciai con delicatezza cercando di assaporare il più possibile la pace che mi trasmetteva. Aveva le labbra ammorbidite dalle mie lacrime, e quando la sua lingua ricercò la mia, potei constare che anch’ella aveva il medesimo sapore.

Avevo baciato molti ragazzi nella mia vita, eppure Edward era l’unico che avessi mai baciato davvero.

Quanta dolcezza mi ero negata? Quanto amore? Quanto affetto? E quanto dolore e solitudine avevo inseguito?

«Noi ci salveremo, Isabella Swan. Ci salveremo.» Mormorò sulle mie labbra, guardandomi con quegli occhi che avrebbero fatto impallidire anche le stelle, in confronto.

No, Edward. Non ci salveremo. Tu ti salverai. Farò di tutto per riuscirci amore, ma non io. Sono troppo danneggiata, troppo disadattata per potermi salvare. Le cicatrici pulsano, hanno vita propria; e come posso riuscire a mettere fine ad una vita?

Tu ti salverai, ragazzo senza nome.

Mi alzai delicatamente da quel porto sicuro e, con leggerezza che la mia mente e il mio cuore non avevano, gli dissi che nessuno mi avrebbe salvato dalla furia di Marie se solo avessi ritardato di dieci minuti.

Lui rise, ed io anche.

La temperatura aveva perso la serietà del momento, quella a cui tentavo sempre di sfuggire.

Sarei riuscita a non fuggire questa volta?

 

-Edward.

Mai sono stato così sicuro di una scelta compiuta. Solitamente, dato il carattere impulsivo, compivo delle azioni per poi pentirmene.

Ma non ora, non con Isabella.

Con la problematica, sofferente, lunatica Isabella.

In fine, per la cena aveva optato per un paio di semplici jeans che fasciavano alla perfezione le sue gambe, con una canottiera dei Joy Division e tacchi.

Una strana combinazione che, letta bene, farebbe comprendere molto del suo carattere.

E quanto è bello il suo sorriso? Dovrebbe ridere più spesso, come questa sera.

«Ti giuro, appena sono entrato tutte mi stavano guardando incantate; come faccio a non montarmi, sorellina?» disse ridendo Stefan.

«Anche perché gli stronzi vanno e sono sempre andati di moda, in effetti.» disse Marie, ammiccando verso George.

«Con questo cosa intendi dire, mio splendido amore?» disse lui in risposta.

«Ecco che ora utilizza la tattica del compagno dolce, fa sempre così quando il discorso non gli va bene.»

Con questa battuta l’adorabile e arzilla nonna di Isabella causò un’ilarità generale, che contribuì a rendere la serata più piacevole.

Ma poi, mentre Isabella stava ancora battibeccando con Stefan, e Marie con George, vidi mio “padre”.

Il sangue mi si gelò nelle vene e, quando notai lo sguardo di Isabella seguire il mio, ebbe la stessa reazione.

«Devo andare un attimo, torno subito.» Mi scusai con tutti e, dopo aver dato un bacio sulla fronte a Bella, stavo per avviarmi da mio padre quando fu lui a venire.

«Ciao figliolo. Ciao anche a te, Isabella. Ti trovo molto meglio rispetto all’ultima volta che ci siamo incontrati.»

Ed Isabella, in risposta si alzò e andò via, seguita velocemente da Marie; lasciando me impietrito e George con Stefan che guardavano con rabbia il Signor Masen.

Una domanda, una sola, in mente; cosa sta succedendo?

 

 

-Bella.

«Isabella, piccolina, dove sei?» canticchiò l’uomo a mezza bocca, mentre Isabella si rannicchiò dentro l’armadio, cercando di coprirsi con tutti i capi possibili.

In quel momento, voleva soltanto sparire.

Potersi volatilizzare.

Ma non poteva e restò, tremante, a sperare.

«Piccolina, non mi scapperai, lo sai? Tua madre ha già fatto la fine che meritava e tu, tesoro, la raggiungerai a breve, se non esci fuori immediatamente.»

L’uomo vestito di nero continuava a camminare, imperterrito, con il coltello insanguinato tra le mani.

Al suo passaggio, gocce di sangue cadevano sul pavimento di legno.

La piccola strinse tra i denti il bavero del cappotto del padre, per non urlare; non sapeva però come frenare i tremiti e le lacrime.

Aveva soltanto dieci anni, Isabella.

Non voleva morire.

Non avrebbe voluto vedere morire la madre e il padre.

Non avrebbe voluto nulla di tutto ciò; avrebbe voluto soltanto continuare a giocare con le sue bambole di pezza che, al momento, il suo aguzzino stringeva tra le mani.

Lo poteva vedere, Isabella.

Ora, dallo spiraglio tra le  ante dell’armadio, poté vedere l’assassino camminare avanti e indietro per la stanza, stringendo Molly tra le mani; fu un attimo e vide la testa della bambola rimbalzare sul legno della porta.

Isabella strinse ancora più forte il bavero, facendo uscire delle gocce di sangue e lacrime mentre tra sé e sé stremata, tentava di ricordare le parole del padre: “devi sopravvivere amore, devi sopravvivere”.

«ISABELLA! SE NON ESCI TI GIURO CHE QUANDO TI TROVO TI RIDUCO PEGGIO DI QUELLA PUTTANA DI TUA MADRE!» urlò l’assassino dagli occhi azzurri, per poi riabbassare il tono di voce nell’istante seguente, «dai piccolina, per favore, non amo giocare a nascondino, perché ci metto molto tempo a trovare le persone e, quando le trovo, poi mi arrabbio per il tempo sprecato.»

Gironzolava per la stanza e, improvvisamente, quando sembrava che stesse per andare via, si bloccò di fronte all’armadio.

Vide le sue lunghe mani avvicinarsi, Molly ormai acefala e con gli arti mozzati; ed i suoi occhi che entusiasti  e accessi di una luce folle guardavano i suoi.

L’aveva trovata.

Sarebbe morta; come sua madre e suo padre.

Sarebbe morta.

«Finalmente ti ho trovata, piccola.»

 

«Isabella, Isabella! Amore, sono qui, sono Marie, Isabella!» Percepii con il corpo due braccia che mi strattonavano, ma non avevo la forza né il coraggio di rispondere.

Non poteva essere lui, perché stava a marcire in prigione grazie a Charlie ed i suoi soldi e, inoltre, nonostante gli occhi azzurri non poteva essere il padre di Edward.

No, non poteva.

«Nonna, è lui?» mormorai, stremata dai ricordi.

Prima della risposta passò un tempo infinito, doloroso.

Un tempo che sapeva di pensieri contorti, sofferenti, atroci; di menzogna.

«No amore mio, non è lui.»

Eppure non riuscii a crederle del tutto.

 

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Capitolo 7
*** It's all wrong,it's all right. ***


Salve! Ecco a voi il nuovo capitolo di sleeping!

Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite; per di più grazie a chi ha recensito questa storia, come NanaSpunk, ed altre!

Grazie!

In particolare volevo ringraziare infinitamente LBetty per la sua stupenda recensione nello scorso capitolo…quando lo rileggo sappi che ancora mi emoziono da morire, tesoro.

 Ed è grazie a quella recensione che non vedo l’ora di portare avanti questa storia, e di migliorarmi sempre di più.

Per questo motivo, il capitolo è per te, tesoro. <3

ps: per domanda riguardo alla storia, intasatemi su ask --> capolinea.

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 "And if somebody hurts you, I wanna fight
But my hands been broken, one too many times
So I’ll use my voice, I’ll be so f*cking rude
Words they always win, but I know I’ll lose"

-Another love, Tom Odell.



#7

It's all wrong,it's all right.


 

«Cosa ci fai qui?» ringhiò Edward al padre.

«Cena di lavoro, e tu cosa ci facevi con quella?»

A queste parole dette con sarcasmo ed odio palese, gli uomini seduti attorno alla  tavola si alzarono di scatto; al che l’uomo dagli occhi azzurri scoppiò in una risata derisoria mentre Stefan veniva trattenuto da George.

Se solo quest’ultimo avesse mollato la presa, senz’altro qualcuno sarebbe andato in carcere quella notte.

«Segui per una volta il consiglio di tuo padre…Lascia stare quella ragazza, è anche più fallita e penosa di te, e sai che ce ne vuole per dire questo.»

Edward scattò in avanti e, prima che lui si stesso si accorgesse di ciò che fece, il pugno si schiantò sulla mascella del padre causando un rumore  sinistro che non fece presagire nulla di buono.

«Puoi anche offendere me, non mi interessa, ma non ti azzardare ad offendere lei, essere schifoso.»

E con una nonchalance ostentata, il ragazzo senza nome se ne andò, seguito da Stefan e George; non prima che il migliore amico di Bella gli desse un altro pugno.

Ma l’avrebbe pagata l’uomo con gli occhi azzurri, l’avrebbe pagata; questo il pensiero costante e furioso di George, mentre sempre più inquieto ed arrabbiato usciva dal ristorante.

 

 

 

 

«“Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile, riprovi più tardi, grazie e…” vaffanculo», mormorai tra me e me.

Dopo  l’incontro fugace avuto con mio padre nel ristorante, nell’esatto istante in cui Isabella lasciò il locale capii che il filo sottile su cui stavamo imparando a camminare, si era inclinato.

Dopo la lite con il mostro, lasciai Stefan e George sul marciapiede basiti finché con passo lesto mi allontanai continuando a chiamare, -inutilmente, Isabella.

Scaraventai il telefono contro il  muro, urlando e continuando a dar  pugni contro il sacco da boxe che si trovava nella mia camera.

È sempre stata colpa tua, sempre a causa tua le persone a cui tenevo o sono andate via, o morivano… mamma.

Un gancio.

Ti ho sempre odiato, mi  hai ucciso, seppellito, distrutto.

Un altro pugno.

Mi hai sempre trattato come un fallito, un’idiota, un buon annulla, quando l’unico a esser inutile sei tu.

Altri pugni, forti e precisi ed il saccone incassava i colpi piegandosi su se stesso.

Piegandosi, accartocciandosi come feci io con me stesso a causa tua.

Come ha fatto Bella a causa tua, sotto il tuo sguardo.

Come ci siamo ringrinziti noi amanti, a causa tua.

 Il sacco cadde a terra con un tonfo pesante, accompagnato dal sangue che copioso fuoriusciva dalle mie nocche.

Suonò il campanello, una volta, due, tre, quattro.

Non me ne curai e mi accasciai a terra, portando le ginocchia al petto.

Andate via, lasciatemi stare, lasciatemi soffrire.

Lasciatemi piangere, sfogarmi.

Lasciatemi.

Lasciatemi stare.

(ascoltatela fino alle fine, per favore.)

 

«Edward.»

Un mormorio indeciso, che nascondeva la mia stessa sofferenza.

Il suo mormorio.

Mi alzai di scatto e quando aprii la porta trovai Isabella seduta a terra, in lacrime.

Senza dire una parola, in silenzio,  avvolsi il suo corpo tra le mie braccia e la portai in braccio fino divano del salotto, dove la depositai con dolcezza.

Per un tempo indefinito tutto tacque.

Il nostro dolore, le lacrime, le parole dette e non riferite, le nostre storie, la nostra vita, le nostre domande poste e mai risposte; tutto fermo.

Per un’  istante io e lei fummo infinito, finché non prese la mia mano portandomi in camera.

Mi guardò con i suoi occhi indecifrabili e lucidi, mentre si distendeva sulle coltri bianche del letto.

«Dimostrami come si ama, Edward.»

Era sbagliato, era dannoso, eppure era dannatamente giusto.

L’unica cosa di cui entrambi avevamo bisogno in cui momento, era sentirci amati.

Non importava se poi avremmo sofferto, se ciò era veleno con cui ci stavamo mano a mano nutrendo e morendo.

Sarebbe stato comunque il veleno migliore del mondo, sarebbe stato una bella ferita da mostrare.

Il nostro amore sarebbe stato una ferita palpabile ed invisibile.

Una ferita per cui sarei orgoglioso di morire.

“Edward Cullen, ragazzo morto a causa dell’amore.”, ecco ciò che scriveranno sulla mia lapide.

«Smettila di pensare a ciò che scriveresti sul tuo taccuino ragazzo senza nome, insegnami ad amare.»

Ma ti sto già amando piccola, solo che tu, donna ignorante a questo sentimento non lo noti; o forse hai soltanto paura di notarlo.

Perché automaticamente anche tu dovresti ammetterlo a te stessa, e ciò ti farebbe star male… ti farebbe  paura.

Mi sdraiai sul suo corpo e lentamente le tolsi la maglietta, accarezzando con la calma la sua pelle.

Era bianca, lattea, liscia, finché non raggiunsi le cicatrici all’altezza del basso ventre.

E lì, compresi di aver sbagliato.

Lei, per mostrarmi le sue ferite, aveva già compreso di amarmi.

Stava già soffrendo d’amore.

Mi chinai su di esse e, con delicatezza, le baciai uno ad uno, per tornare alla sue labbra e al suo viso quando sentii il suo corpo scosso dai singhiozzi.

«Sei bella, angelo. Lo sei.» Un bacio sul collo.

«Ed è questo che dirai alla tua prossima donna?» mormorò sulle mie labbra.

«No, le dirò anche che avevi una pelle morbida, che era fuoco e ghiaccio insieme.» Una carezza sul volto, sul seno destro, sui fianchi, sulle cicatrici.

«Le dirò che avevi degli occhi bellissimi, espressivi, sofferenti; veri. Degli occhi che cercherò negli sguardi di tutti i passanti, degli occhi che lei non avrà mai, degli occhi che sanno come tormentarmi. Le dirò che avevi degli occhi che sarebbero diventati i miei nuovi fantasmi.  Degli occhi che sapranno come tenermi sveglio la notte.» Un bacio sugli occhi, sulle palpebre incastonate nelle lacrime.

«Le dirò che avevi il naso piccolo e un po’ all’insù» Un bacio sul naso.

«Le dirò che avevi delle labbra indescrivibili, stupende» Un bacio, un morso delicato che le fece aprire quest’ultime, per portare la mia lingua a giocare e soffrire con la sua.

Mi staccai ansimante e con la bocca creai un percorso immaginario che mi portò dopo il suo collo, ai suoi seni.

Slaccia il reggiseno, e baciai tormentando con i denti i suoi capezzoli eretti.

«Le dirò che avevi dei seni bellissimi.»

«Non sono perfetti, Edward.» Ansimò, ricercando le mie labbra che prontamente trovò.

«Le tue imperfezioni sono la mia perfezione, amore.»

Asciugai tutte le sue lacrime, mentre lentamente continuai la scoperta del suo corpo.

«E poi le dirò…»

«Basta Edward, non ti immaginavo così prolisso. Ti lascerà se continuerai a parlarle di me.» Sorrise mentre pigramente subiva e accoglieva le mie carezze più intime.

Risi sul suo collo e, per il momento, smisi di parlare con la voce.

I nostri sguardi, le nostre labbra e i nostri corpi uniti comunicarono al posto di noi esseri impauriti per tutta la notte.

 

 

 

«E tu cosa dirai, al tuo lui?» Le chiesi mentre con calma e svogliatezza accarezzava i miei capelli.

«Non ci sarà più vita, più amore, più gioia dopo di te.»

«Prevedi che ci sarà un dopo?»

«Tutti i sogni si infrangono al risveglio, Edward.»

«Ma i sogni possono diventare realtà.»

«Non in questa di realtà, purtroppo.»

«Isabella…»

«Le cicatrici ho iniziato a provocarmele all’età di dodici anni, non…non riesco a spiegarti perché, mi dispiace.» La strinsi a me, senza sapere cosa dirle perché qualunque cosa avessi detto in quel momento sarebbe stata inutile; tranne due parole dette con sincerità, forse.

«Ti amo.» La guardai negli occhi mentre glielo dissi.

Guardai in quegli occhi che sapevano uccidermi e rinascere.

Guardai in quegli occhi che raccontavano storie senza fine.

Guardai in quegli occhi che, ne ero certo, avevano incasinato la mia mente e il mio cuore.

Guardai in quegli occhi che mi avrebbe tenuto sveglio la notte, assieme ai miei fantasmi.

Guardai lo sguardo che avrei ricercato tra i passanti come un’anima dannata all’inferno.

«Ti amo e scusami.» Mormorò, mentre i nostri corpi dolcemente ripreso ad amarsi.

 

 

 

Drin, drin, drin.

Mi stropicciai confusamente gli occhi, spegnendo la radiosveglia.

Tastai il letto, sperando di trovare il calore del corpo di Isabella… non lo trovai.

Mi alzai di scatto, sentendo tutti i sintomi di un imminente crisi di panico che non avevo da anni.

«Isabella!» Aprii la porta del bagno; non c’era.

«Isabella!» Aprii la porta dell’altra stanza; non c’era.

«ISABELLA!» Non era né in sala, né in cucina.

Non preoccuparti  Edward, sarà uscita e ti avrà lasciato un biglietto con delle spiegazioni.

Non ti preoccupare.

Ebbi ragione.

Sopra la chitarra, un biglietto bianco, candido, spiegazzato più volte faceva bella mostra di sé.

 

“Grazie di avermi fatto sentire amata almeno una volta nella vita dopo quel fatto.

Ma non posso stare con te, non posso danneggiarti.

Mi dispiace, ti amo; va avanti con la tua vita, dimenticami.

Vivi.

Isabella.”

Mi accasciai a terra, sentendo i tremiti aumentare.

Portai le mani alle orecchie, tamponandole con forza mentre urlavo a squarciagola.

Un nuovo scheletro, decisamente più ingombrante, doloroso e dannatamente presente, si era aggiunto nell’armadio, accompagnato dalla consapevolezza che stavolta non sarei riuscito a sopravvivergli.

Crollai, in uno stato di incoscienza, in mente una sola frase:

«Tutti i sogni si infrangono al risveglio, Edward.».

 

 

 

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Capitolo 8
*** All my tears, have been used up, on another love. ***


chap

Saalve.

Okay, questo capitolo non mi piace per nulla.

Ho provato a cambiare, ricambiare, ma nada, non mi piace affatto.

Scusatemi per questo capitolo schifezza.

Un bacio e fatemi sapere cosa ne pensate, per favore. Ne ho bisogno per poter continuare questa storia al meglio.

<3

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#8

All my tears, have been used up, on another love.

"It breaks my heart 'couse I know
you're the one for me
Don't you feel sad,
there never was a story, obviously
it'll never be,
(...)
You won't find out what has been killing me
Can't you see me?
can't you see?"

-Imany, you will never know.


Tre anni dopo.

«Sei pronto?»

«Devo esserlo.»

Camminai con passo spedito e il volto rivolto verso il basso, raggiungendo il centro del palco tra i vari schiamazzi del pubblico.

«Buona sera.» Mormorai, in seguito presi in mano la chitarra ed iniziai a suonare.

Non mi concentrai più sul resto della sala, bensì sulle mie emozioni e le parole della canzone che ero in procinto di cantare per lei.

I wanna take you somewhere so you know I care
But it’s so cold and I don’t know where

 

Ti vorrei portare dove vuoi, nei luoghi che meriti di visitare, vorrei portarti a delle feste, vorrei aiutarti a vivere, ma non so dove e come, tesoro.

Non so dove portarti.

 

And I wanna kiss you, make you feel alright
I’m just so tired to share my nights
I wanna cry and I wanna love
But all my tears have been used up

On another love, another love
All my tears have been used up
On another love, another love
All my tears have been used up
On another love, another love
All my tears have been used up

Vorrei baciarti solo per farti sentire meglio, sai? Ma non riesco.

Io ti bacio, io ti accarezzo, io vorrei amarti, vorrei vederti… ma non ti vedo.

Vorrei poterti dare l’amore che meriti di ricevere per starmi accanto, ma non riesco.

Vorrei poterti baciare e dirti che andrà meglio, che ci sarà un domani per te, per noi; ma non riesco a dirtelo, neanche a pensarlo.

Vorrei smettere di soffrire e vorrei iniziare ad amarti, ma non posso.

Non posso perché ho speso tutte le mie lacrime per un altro amore.*

 

And if somebody hurts you, I wanna fight
But my hands been broken, one too many times
So I’ll use my voice, I’ll be so f*cking rude
Words they always win, but I know I’ll lose

And I’d sing a song, that’d be just ours
But I sang ‘em all to another heart


Vorrei anche che questa canzone parlasse di noi, di noi soltanto.

Ma non è possibile, Sam.

Lei ci sarà sempre.

In ogni testo che ho scritto, in ogni notte insonne, negli sguardi dei passanti, nelle giornate vuote, nelle nostre risate, nei nostri momenti, nelle mie paure, nelle mie gioie, lei ci sarà sempre.

Lei non mi lascerà mai nonostante l’abbia fatto.

Lei mi manca e mi mancherà per sempre.

Non smetterò mai di vederla.

 

 

And I wanna cry, I wanna fall in love
But all my tears have been used up

On another love, another love


Vorrei riuscire a piangere.

Vorrei riuscire ad innamorarmi di te.

Ma non ci riesco.

Non posso e non potrò mai.

Mi dispiace, mi dispiace Sam.

Ma tutte le mie lacrime, il mio essere, il mio dolore, il mio amore sono stati spesi per lei.

Per un altro amore.

Un altro amore.

Un amore che non ti riguarda.

 

Mi dispiace, Sam.

Alzai lo sguardo quando ebbi terminato la canzone, cercando quello Isabella, di una persona che non avrei più incontrato e mai dimenticato, ma incontrai il suo.

Scusami Sam, scusami.

Ma lei accettò le mie scuse.

Lei accetterà sempre le mie scuse.

Mi sorrise, un sorriso triste e sofferente; specchio del mio.

Cosa mi hai fatto, Isabella?

Mi hai reso soltanto un guscio vuoto che camminerà e sorriderà, ma dentro morirò un poco alla volta giorno per giorno, per una altro amore.

 

-ascoltatela fino alla fine, per favore.

-Bella.

«Isabella, ti va di uscire dopo? Pensavamo di andare al pub con gli altri del corso, vieni?»

«Cosa?»

«Mi stai ascoltando?» Mormorò Maya, leggermente infastidita dalla mia disattenzione.

«Scusami, mi ero distratta un attimo.»

«Dovresti smetterla di ascoltare questa canzone, sai? Non ti fa bene sentirla, e lo sai.»

«Sì, scusami, hai ragione.»

 

Hai ragione, ma non posso smettere di ascoltare la voce di Edward, non posso.

Non posso smettere di sperare che le sue parole, siano rivolte a me.

Non posso smettere di odiarmi per ciò che ho fatto.

Non posso smettere di pensare a lui, a quella notte.

Non posso smettere.

Semplicemente non posso smettere di amarlo.

Non posso smettere di piangere per un altro amore, il suo.

Non posso. 

Anche se non saprà mai ciò che provo. 

Anche se non gli dirò mai ciò che provo ancora.

Anche se non glielo dimosterò più, io non posso smettere di amarlo.

Non posso smettere di amarlo.

«Ci sarà anche Derek, sai? Mi ha chiesto di parlare in privato, questa sera, secondo te cosa mi dirà?»

 

«Non lo so Maya, forse i sentimenti che prova per te.»

 

«È complicato.»

 

È complicato, ha detto.

Voi vi amate, non avete scheletri nell’armadio che posso impedire il vostro amore.

Non avete ferite che vi hanno cambiato nel profondo.

Tu, Maya, non hai visto i tuoi genitori esser uccisi da un mostro che stava per uccidere anche te.

Tu, Maya, non ti sei mai auto lesionata.

Tu, Maya, non sei mai stata sbattuta da una clinica all’altra.

Tu, Maya, non hai mai sofferto come ho sofferto io.

E lui, Derek, non ha mai provato tutto il dolore che ha provato Edward

Tutto il dolore che io, gli sto infliggendo.

Tra voi non è complicato.

Non è complicato.

Non è il vostro di amore, ad esser complicato.

 

«Se c’è amore nulla è complicato, Maya!» Rispose Stefan, appena sopraggiunto alle mie spalle.

 

Non è vero Stefan e lo sai.

 

«Io devo andare, è appena arrivato mio fratello! A stasera!»

 

«Te la potevi anche risparmiare, questa.» Mormorai una volta che lei salì in auto.

«Risparmiarmi cosa, Isabella?» mi guardò negli occhi, prima di continuare, «sono passati tre anni, tre anni in cui non hai vissuto, perché senza di lui tu non vivi. Non è complicato il vostro amore, lo sei tu, il che è diverso!»

Le lacrime, le mie odiete ed eterne compagne lacrime iniziarono a fluire sul mio volto, ignorando la mia volontà.

Le sue parole mi avevano ferite.

La verità, mi ha ferita.

 

«Scusa piccola.»

«Non ti preoccupare, Stefan. Non posso arrabbiarmi se ciò che dici è la verità.»

Passò un braccio attorno al mio collo, lasciando poi un rumoroso bacio sulla guancia che pulii scherzosamente con una smorfia schifata in volto.

«Ti voglio bene.»

«Te ne voglio anche io, fratellone. Ed ora andiamo, nonna Marie ci aspetta!»

 

 ------------------

 

 

Non è complicato il vostro amore, lo sei tu.

Mi dispiace, Stefan.

Mi dispiace, Edward.

Mi dispiace di esser così complicata, di esser così fragile e sfuggente.

Mi dispiace di essere me stessa.

Hai presente Mallory quando ti trovi in mezzo ad un gruppo di persone, e tu ti immagini sola, come avvolta da una coltre di nebbia, in cui le parole altrui filtrano confusamente?

Io mi son sempre sentita così.

Soltanto con lui, il ragazzo senza nome, la nebbia era sparita.

C’era luce, lui ed io, non più sola.

Ma non mi sono mai sentita adatta, mai me stessa pienamente.

Non sono la ragazza dalla battuta pronta.

Non sono la ragazza solare, che ti fa sorridere.

Non sono la ragazza che vorrei essere.

Sono semplicemente io, Mallory.

Stanca, stufa di esser ciò che sono.

Un “io” che Edward non merita.

Lui merita una che la faccia sorridere.

Una che l’aiuti a superare il suo passato.

Una che lo faccia ridere.

Una che non è talmente pazza da scrivere le lettere alla parte più vera di sé stessa.

Lui merita un “io” che non ho.

Ma voglio cambiare.

Dovrei dire che vorrei cambiare per me, ma non è così.

Voglio cambiare per lui.

E anche se non lo incontrerò mai più, anche se lui si è trovato una persona che non sono io da amare, -come Sam, cambierò.

Io cambierò Mallory.

Cambierò.

 

 

Baci, Isabella."

 

Chiusi la lettera con cura, e nel momento in cui aprii il cassetto della scrivania per inserire il mio sfogo, lo vidi.

Un biglietto, un semplice biglietto di un concerto; il suo.

In allegato vidi scritta con grafia elegante, -appartenente soltanto a Stefan, una domanda:

Cosa farai, Isabella?

---------------

Non posso perché ho speso tutte le mie lacrime per un altro amore.*---> traduzione di una frase della canzone, Another love, di Tom Odell.

ps: la canzone cantanta da Edward è la sopra citata! :3

un bacione! <3

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Capitolo 9
*** shattered. ***


Hoola.

Ecco a voi il nono capitolo di Sleeping.

Oddio, già siamo arrivati al nono :')

Che dire...è breve ma...intenso, penso.

Si capiscono un pò più di cose del passato di Isabella, che si chiariranno senz'altro nei capitoli a seguire.

Grazie per chi segue/preferisce/ricorda/recensisce/legge soltanto questa ff!

Un bacione! :*

Buona lettura (?)

ps: ho iniziato una nuova ff e sarei felice se vorreste passarci, ora vi lascio il link! :3 (fandom twilight!)

Tutto torna, e noi?


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"And Ive lost who I am
And I can’t understand
Why my heart is so broken
Rejecting your love
Without love gone wrong
Life
Less words
Carry on"
-Shattered, Trading Yesterday.


-(ascoltatela fino alla fine, per favore.)

#9

Shattered.

 

 

«Sono stanca.

Stanca di esser continuamente in ansia. Ha presente signore, quell’ansia che ti attorciglia tutti gli organi in un groviglio doloroso e confusionario, quell’ansia che ti attanaglia il cuore come se qualcuno si divertisse a stritolarlo, causandoti soltanto dolore? Ecco, io mi sento sempre così.

E vorrei riuscire a dormire, ma non riesco.

Appena provo a coricarmi,-sempre in compagnia di nonna Marie o del mio migliore amico Stefan, l’incubo continua.»

«E cosa sogna di solito, signorina?» con un dito il signor Spencer riportò gli occhiali, appena scivolati sul naso aquilino, verso l’alto.

«Sogno che lui uccida anche me. Che non riesca a fermarsi grazie all’intervento della polizia e della sua follia che lo ha portato a dilungarsi in deliranti discorsi. Sogno i miei genitori, ricordo insistentemente il modo in cui gli ha torturati di fronte ai miei occhi. Ho paura, signore. Ho paura.»

Spencer allungò la convezione di fazzoletti, che utilizzai per asciugare le lacrime.

«Signorina, il tempo a nostra disposizione è scaduto. L’aspetto per la prossima seduta, e si asciughi gli occhi, perché son talmente belli che è un peccato veder annegare nelle lacrime.

Con un cenno del capo annuì, ringraziandolo silenziosamente per l’aiuto.

 

Ma le lacrime del cuore, chi me le avrebbe mai asciugate, signor Spencer?

Ma soprattutto, sai mai riuscita a ritornare alla vita, mio caro psicologo?

 

 

 

--------------------------------

 

 

 

«Sei davvero sicura, Isabella?»

«Stefan, è la trentesima volta che me lo chiedi.»

«Lo so, ma volevo soltanto sapere se ecco, eri sicura.»

«Lo so che sto per rivederlo, lo so benissimo. Eppure devo farlo.»

 

Voglio farlo.

Voglio rivedere i suoi occhi, il suo volto, le sue mani, il suo corpo, il suo sguardo.

Voglio rivedere lui, Stefan.

Perché ciò che più mi terrorizza non è tanto un suo cero rifiuto, -non voglio tornare assieme a lui, non me lo merito; bensì la perdita di memoria.

Non voglio dimenticare neanche un particolare di lui, questo è ciò che più mi spaventa.

Non riuscirei a sedare i miei incubi causati dal mostro con gli occhi azzurri, non ci riuscirei.

 

«E poi non eri tu il mandante dei biglietti?» Ruotai gli occhi verso il sedile del guidatore.

In risposta semplicemente si aprì in un sorriso che illuminò tutta l’auto e stesse per parlare, quando gli arrivò una chiamata sul cellulare.

Dalla gioia che emanavano i suoi occhi compresi all’istante che si trattava di Leah.

Si erano incontrati all’università di Oxford, e un appuntamento tira l’altro, il mio migliore amico si era innamorato di lei.

Una ragazza bella, solare e decisamente simpatica; il meglio che potevo sperare per lui.

«Ti amo anche io» sentii mormorare da Stefan.

 

Le sue labbra, i suoi occhi, i suoi gemiti.

Le sue mani gentili e allo stesso tempo passionali, sul mio corpo.

L’amore che esprimeva in ogni gesto.

I suoi baci sulle mie cicatrici, senza chiedere nulla.

I suoi baci.

 

Istintivamente chiusi gli occhi, sentendo un calore salire riscaldando il mio cuore e la mia mente.

«Isabella, devo avvertirti di una cosa, comunque…», mi voltai, riscuotendomi dai miei pensieri, «Edward è fidanzato.»

 

Edward è fidanzato.

 

Provai rabbia.

Un rabbia distruttiva, corrosiva, mista alla gelosia più spietata che mai ebbi provato prima d’ora.

L’idea che se solo non avessi avuto il passato che ho avuto, costellato dall’uccisione dei miei a causa di Robert Redforls, le infinite cliniche su cui sono dovuta andare, l’adozione da parte di Reneè e Charlie; Edward sarebbe potuto essere mio.

Avrei potuto vivere una vita felice, priva di timori se non quello latente di un possibile abbandono.

 

E invece…

 

«Lo odio.»

Stefan immediatamente capii a chi mi riferivo, difatti mi abbraccio stretto.

Ma non ero più qui.

Ero altrove.

Un luogo fatto di ricordi e doloro, da cui mai sarei riuscita a tornare.

 

 

 

«Lei signor Redforls, sostiene di non aver ucciso i coniugi Denali?» proruppe l’avvocato di Charlie Swan, amico e da poco tutore della piccola creatura sopravvissuta al mostro.

Isabella, la piccola Isabella si trovava abbracciata a Reneè, tremando di paura.

Ma sfortunatamente, assieme ai video ottenuti dalle telecamere inserite nella sua casa lei era l’unica testimone e superstite di quella strage avvenuta quel 18 Settembre.

«Assolutamente.»

«E questi video, come li spiega? Non è forse lei l’uomo che sta violentando  Victoria Denali, e nel video precedente non è lei ad aver ucciso brutalmente con il calco della sua pistola Laurent Denali?»

«Sarà un sosia.»

In quel momento Isabella provò un’ enorme rabbia.

Un’enorme rabbia verso quell’uomo che a solo dieci anni la portò ad esser sola, in balia di sé stessa e della sua sofferenza.

Charlie Swan, venne tenuto per il braccio da sua moglie, che lo ammonì con lo sguardo.

Malgrado  l’unico desiderio dei due consorti era quello di vedere quell’uomo in un carcere per il resto dell’esistenza, al momento non volevano far altro che ucciderlo.

Isabella guardò si guardò attorno sorpresa, felice per un breve istante di vedere tutte quelle persone attorno a lei che criticavano e non credevano alle parole del mostro.

Il mostro era stato incastrano, nessuno gli credeva.

«Vorrei poter chiamare il mio tester, Isabella.»

Le ginocchia le tremarono violentemente, aveva paura.

Paura soltanto di guardare quell’uomo.

Eppure doveva farlo, per sé stessa.

Per i suoi genitori.

La giustizia avrebbe dovuto vincere, a qualunque costo.

La piccola Isabella si alzò dalla sedia tremante e si avvicinò all’avvocato di Charlie.

Il momento della verità era arrivato.

 

«Piccola, svegliati.»

Stropicciò gli occhi più volte con le mani strette a pugno.

Senza rendersene conto si era addormentata in auto ed ora, si trovava di fronte al pub in cui Edward avrebbe dovuto suonare.

Scambiò un lungo sguardo con Stefan e scendendo dall’auto, continuò a ripetersi che ciò a cui aveva appena ripensato era soltanto un sogno al momento.

Soltanto un sogno terribilmente reale.

«Te la senti?»
«Glielo devo, gli devo la verità Stefan. Se vorrà ascoltarla, l’avrà.»

 

 

Sarebbe riuscito la non più piccola Isabella a guardare negli occhi il ragazzo senza nome, e tirar fuori tutta la sua storia?

L’unico cosa di cui era certa al momento, è che mai le erano tremate le ginocchia così tanto se non come allora, in quel processo.

 

Il momento della verità era arrivato.

 

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Capitolo 10
*** your true colors. ***


E'.STATO.UN.PARTO.

Diamine che fatica.

Per non parlare di tutte le emozioni che ho cercato di farvi arrivare, con questo capitolo. 

Mi sento svuotata, triste, stanca ed ho fame.

Scusate per il ritardo con cui sto postando, ma questo non è un capitolo...è il capitolo...o almeno spero.

Mi faccio perdonare se metto una sua foto? :')

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Dopo questa foto oltre che farmi perdonare, mi sono giocata pure le lettrici loool.

Comunque, tornando alla storia,  c'è tutto qua dentro, t u t t o.

Spero vi piaccia e, nulla, recensite se volete. (Y)

PS: capitolo dedicato ad una lettrice dolcissima e simpaticissima, Lizzie98,spero di rallegrati un pochino, tesoro.

Buona lettura pipol! <3.

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#10

Your true colors.

"You with the sad eyes
Don't be discouraged
Oh I realize
It's hard to take courage
In a world full of people
You can lose sight of it all
And the darkness inside you
Can make you feel so small
But I see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that's why I love you"

-Cyndi Lauper - True Colors



«Ma quanti diavolo di camerini ci sono, in questo pub?» Sibilai ansiosa.

«Sei tu che dovresti saperlo. Sbaglio o questo è il posto dove ti ha portato a cena?»

Mormorai pesantemente, guardando con attenzione e rammarico le parenti del “The wall”. Citazioni di musicisti, immagini di band ovunque.

Mi sentivo a casa, maledettamente a casa tra quelle pareti colorate e allo stesso tempo cupe, a causa delle sfumature un po’ stile Lana del Rey.

«A cena, appunto. Non come visitatrice.»

«Proviamo di qua.» Ma non feci in tempo ad aprire la porta che immediatamente Stefan portò una mano a coprire i miei occhi.

«Lo so benissimo quello che stavano facendo quei due, fratellone. Non c’era bisogno di farmi chiudere gli occhi.»

«E con chi saresti andata a letto insieme?» I suoi sembravano decisamente più grandi, in quel momento.

«Sembri un pesce palla. Comunque con Edward.»

«Allora va bene.» Si rilassò visibilmente, finché non incontrammo un’altra coppia, lungo il corridoio.

«Che per caso è la “Festa della liberazione degli ormoni”? Per Dio.»

«Non fare tanto lo scandalizzato, stallone. Per te e la tua ragazza è sempre, la FLO.»

«FLO?»

«Festa della liberazione degli ormoni, idiota.»

Trascinai per una manica Stefan, dietro ad una colonna, sperando che l’uomo che stava arrivando non mi vedesse.

«Fai che non mi veda, fai che non mi veda, fai che non mi veda…»

«Isabella!» Mi aveva vista, decisamente.

«Sam!», gli sorrisi, mentre mi avvicinai all’orecchio di Stefan per mormoragli concisa, che era il capo del pub e che era amico di Edward.

«Allora chiedigli dove si trova, così possiamo…»

«Sei stupenda come sempre, anche in preda all’imbarazzo.»

«E tu gentile come sempre, Sam» Ignorai volutamente l’ironia.

«E lui chi è, il tuo nuovo giocattolo? O no, il tuo giocattolo si chiama Edward, giusto?»

«Senti Sam, non sono affari che ti riguardano ciò che è successo tra me ed Edward, e comunque lui è soltanto mio fratello.»

«Adesso gli chiami così? Fratelli?» L’odio era palese sia nel suo sguardo che nelle sue parole.

I suoi piccoli occhi emanavano un odio tale da ricordami brevemente quelli di Redforls; ma solo per un’ istante, dovevo pensare al ragazzo senza nome, in quel momento.

«Sam, lascia stare Isabella, okay? Vai di là, che il barista ti aspetta per i consigli sugli alcolici da servire.»

Vidi per la prima volta un ragazzo dai capelli neri, alto, con gli occhi azzurri. Aveva le labbra troppo sottili, e il fisico un po’ troppo magro, ma aveva comunque il suo fascino.

«Un altro tuo amico?» Sillabò Stefan, infuriato dalla scenata appena ricevuta.

«Non lo so, chi è. Non l’ho mai visto.»

Sam ascoltò le parole del ragazzo, non prima di dirmi che Edward era  felicemente fidanzato.

Ciò mi distrusse molto più di tutta la sfuriata.

Come potevo avere l’arroganza di rientrare dopo tre anni nella sua vita, pretendendo di dirgli al verità che gli ho taciuto fino ad ora?

È felice, allora perché distruggergli questa felicità?

«Andiamo via, Stefan.»

«Isabella ma cosa…?»

«No, non andartene ti prego! Sono Tom, il migliore amico del ragazzo senza nome.»

Mi voltai, incuriosita dal fatto che sapesse il modo con cui chiamavo lui.

Quanto poco sapevo, di Edward? Non sapevo nulla, né della sua famiglia, né di lui, né dei suoi migliori amici.

Dovrei considerarlo un estraneo, eppure perché sento di conoscerlo molto meglio di quanto lo possano conoscere i suoi parenti, ad esempio?

Forse perché sai che uno come Richard non può essere un buon padre…

«Non andartene un’altra volta, Isabella. Resta.  Mi faccio portare un paio di birre nel mio camerino, e parliamo. Che ne pensi?»

«Penso che non posso essere così arrogante, da tornare nella vita di Edward. E parlare con te, beh, rientra in questo.»

«Entriamo nel camerino, prima di fare altri incontri sgradevoli.» Disse guardandosi alle spalle, da dove provenivano voci di un gruppo di ragazzi.

Come un automa lo seguii, assieme a Stefan.

«Siediti dove vuoi.»

Mi sedetti a terra, seguita da Stefan, nonostante il comodo divano color carne addossato alla parete.

A sorpresa, anche Tom si sedette di fronte a noi.

«Birra e sigaretta?»

«Birra e sigaretta» acconsentimmo noi in stereo, provocando un momento di ilarità generale, che molto presto terminò.

Era arrivato il momento delle parole.

Le odiate parole, così false ed illusorie.

«Perché adesso e non prima?»

«Non lo so, Tom, forse  ho capito che lui non meritava e non merita, ciò che gli ho fatto senza uno straccio di spiegazione.»

Un tiro profondo, di fumo, mi calmò.

Ma non il tremito delle mani con cui tenevo la sigaretta tra le mani e ciò, non sfuggi al ragazzo.

«Non hai scusanti, sai?»

«Lo so, Tom.»

«Quindi, hai intenzione di dirgli tutto.»

«Ogni cosa, se vorrà ascoltarmi. Anche se adesso sono sinceramente in dubbio.»

«Ancora? Isabella, ti parlo con il cuore in mano anche se non ci conosciamo, anche se a me sembra di sì visto che per tre anni non ho sentito parlare di altro da Edward, anche se è specialmente grazie al suo silenzio, sempre denso di te, che un po’ penso di sapere come sei.» Un lungo sorso di birra, e poi mi guardò nuovamente negli occhi.

«Se decidi di voler rientrare nella sua vita così prepotentemente, -anche se non te ne sei mai andata, per lui; devi saper restare. Qui non si parla più di un tocca e fuggi. Qui si parla di restare, di dirgli ogni cosa e di chiedergli perdono per tutto e di restare, anche se lui forse ti dirà di andartene. Non puoi pensare di venire a parlargli e di andartene poi. Non puoi pensare di non parlargli, dopo che pochi metri di distanza vi dividono. Non lo senti, che è vicino a te, Isabella?»

«Non se n’è mai andato, Tom.»

«Bella risposta. Ma ora o la va, o la spacca. Vuoi parlarci?»

Sei disposta ad aprirti a tal punto con qualcuno, dicendogli tutto ciò che hai provato?

Sei disposta a scombussolargli la vita nuovamente?

Ma, cosa più importante, sei disposta a restare?

Sei disposta a non mandare in frantumi il sogno al momento del risveglio?

«Sono pronta, Tom.»

«Allora io e Stefan ce ne andiamo, e ti porto qui Edward.»

Si alzò, e mi stupii di come gli altri non riuscissero a sentire il mio cuore battere così furiosamente.

Solo io sentivo il cuore uscirmi fuori dal petto?

Il respiro iniziò a farsi più frequente, il cuore così come lo stomaco si strinse in una morsa gelida, e le orecchie iniziarono a fischiare.

Andai in iperventilazione.

«Isabella.»

Alzai lo sguardo pieno di lacrime, guardando negli occhi verdi di Stefan e in seguito in quelli azzurri di Tom.

Mi aspettavo parole, consolazioni da loro mentre invece ricevei molto di  meglio.

Mi abbracciarono.

E in quell’ abbraccio ci fu tutto ciò di cui avevo bisogno.

«Grazie.»

Si staccarono dopo poco, e dopo un tenero bacio sulla fronte da parte di entrambi, si alzarono.

«Tom?»

Quell’affermazione bruciava ancora in me. Avevo bisogno di risposte, risposte sincere.

«Edward è felice con lei?»

«Sei tu la sua felicità e il suo dolore, Isabella.»

Poi se ne andò, assieme al mio fratello.

Trascorsero minuti, o forse ore, non avevo il benché minimo controllo su ciò che stava avvenendo in quel momento.

Non riuscivo a pensare a nulla, se non a ciò che avrei dovuto dire ad Edward.

Mi avrebbe ascoltato?

Mi avrebbe accettato?

Ma, cosa più importante di tutte, mi avrebbe perdonato?

La porta si aprì all’improvviso, e vidi il ragazzo senza nome in piedi, ansimanti mormorare il mio nome.

Adesso avrei saputo se mi avrebbe perdonato.

Adesso, era arrivato il momento di abbassare la maschera per sempre.

 

Ma il ragazzo senza nome, l’avrebbe mai ascoltata?

 

 

-Edward.

«Sei qui», mormorò Isabella con gli occhi lucidi.

Era bellissima, come la ricordavo.

Gli occhi erano di un mare liquido, e tempestoso.

La bocca leggermente schiusa, inspirava aria velocemente.

I capelli, attorcigliati attorno ad un bastoncino dietro la nuca.

Era bellissima e letale.

Avrei voluto dirle che mi mancava, che l’amavo, che la odiavo, che avrei voluto non vederla mai più, eppure riuscii soltanto a ripetere il suo nome, come una nenia.

Fu lei ad interrompere il momento, chiedendomi di sedermi e chiudere la porta.

Eseguii ciò che mi chiedeva, come un automa. Non avevo la forza, e la volontà di resisterle.

Ero stanco.

Semplicemente stanco di continuare ad alzare muri attorno al pensiero di lei e, nonostante il dolore persistente, mi sentii sollevato, felice di poterla vedere e pensare a lei liberamente.

Fu come se tutte le barriere invisibili fossero crollate.

Respirai.

«Sono qui, ed ho poco tempo, quindi muoviti per favore.»

Imbecille, dovevi trattarla con un minimo di rispetto. Certo, non puoi risponderle tutto amorevole, che figura ci faresti? Però neanche così male.

«Ora mi metto anche a parlare tra me e me», bofonchiai.

«Volevo dirti tutto, Edward. Tutta la verità, sul perché me ne sono andata in quel modo. C’è una spiegazione, te lo giuro. Vuoi ascoltarmi?» mormorò lei, con gli occhi che erano smeraldo fuso, e la bocca tremante.

«Sì, sono disposto ad ascoltarti.»

Il momento della verità era arrivato davvero.

-Bella.

Presi un respiro profondo, sapendo che una volta tolta la diga al fiume di parole che tengo dentro da sempre, nulla mi avrebbe più fermato.

I tremiti avevano già iniziato ad invadere il mio corpo, e seppi per certo che a breve avrei iniziato a piangere.

Stai già piangendo.

Hai di fronte a te l’uomo che ami, l’unica che amerai per sempre, ne hai la certezza.

Ti trovi di fronte al ragazzo senza nome,  e ti senti ancor più di nuda di quanto ti sia sentita quando avete l’amore nel suo appartamento.

Ora, Isabella, ti stai davvero spogliando di tutto.

Non di vestiti, ti stai spogliando di te stessa.

Stai togliendo i vari strati formati dalle tue maschere.

«Sono nata a Londra, perché mia madre ha sempre voluto che fossi inglese, dato che è qui che ha incontrato mio padre, Laurent Denali.»

Prima maschera, gettata.

«Charlie e Reneè sono i miei tutori legali, da quando avevo dieci anni.»

«Non lo sapevo.»

«Ci sono tante cose che non sai, Edward, e avrei dovuto dirti.» Sospirai, lasciando cadere le lacrime liberamente.

Troppo a lungo le avevo trattenute inutilmente, sapendo che se avessi pianto avrei abbassato tutte le mura che faticosamente avevo edificato.

«Comunque, fino all’età di dieci anni ho avuto un’infanzia limpida, tranquilla. Victoria, mia madre, mi amava così come mio padre, e loro era il ritratto della felicità. Ricordo una sera, in cui Laurent aveva vinto una causa molto importante, e ci portò a cena fuori. Ci trovavamo aMontmartre, Place du Tertre, quando mamma iniziò a ballare, da sola. Sai Edward, era bellissima. Aveva la vita negli occhi, e papà la guardò con degli occhi così innamorati che era impossibile non sentirsi di troppo, in loro presenza. Ma mamma mi prese per un braccio, ed insistette per farmi ballare, mentre papà ci guardava sorridendo e fumando. Fu l’ultimo momento di gioia che mi ricordo, prima di…di lui.»

Sapeva Isabella che da qui non si tornava più indietro.

Una volta detto ciò che era in procinto di dire, nulla sarebbe stato più lo stesso.

Ma voleva, voleva buttare via assolutamente un’altra maschera, la più ingombrante.

Edward mi strinse la mano, e con movimenti circolari del pollice mi tramise tranquillità.

«Papà era riuscito a vincere la causa contro un candidato sindaco di Chicago, John Redforls, era..era…lui, sì insomma, era così felice di aver vinto. E mamma…mamma era orgogliosa di lui, tutti noi lo eravamo e… e.. non facemmo caso alle minacce di morte che puntualmente riceveva. Lui era…era sicuro di esser protetto, così come noi…noi credevamo lo fosse ma…non…non…»

Le sue braccia si strinsero al mio busto, mentre continuava a mormorare tra un bacio e l’altro sul mio viso “shsh, sh”.

«Isabella, se non riesci a continuare, non ti preoccupare…okay? Apprezzo ciò che stai facendo, ma ci sono verità che non riescono a emergere e, se ciò che vorresti dire rientra in questo contesto…non dire nulla, piccola.»

Avrebbe voluto smettere.

Le faceva troppo male dire tutto ciò che aveva subito prima, durante e dopo.

Ma voleva farlo.

Era subentrata la testardaggine e la voglia di esser sincera, la voglia di sfogarsi.

Avrebbe detto tutto.

«Non credevamo che davvero qualcuno potesse arrivare ad ucciderlo, finché un giorno quando rientrammo nella nostra casa a Chicago, dopo un ricevimento, trovammo la casa a soqquadro. I miei genitori cercano di coprirmi gli occhi, ma era troppo tardi. Avevo letto e visto quello che c’era scritto sui muri.»

«Cosa c’era scritto?»

Le sue braccia fecero una maggior pressione sul mio corpo.

«Vi ucciderò tutti, non avresti mai dovuto fare ciò che hai fatto, avvocato.  In più c’erano varie foto di persone torturate e uccise in modo piuttosto cruento.»

«Allora papà si preoccupò veramente, e fummo costretti a trasferirci. Andammo a New York, convinti che in una metropoli del genere sarebbe stato più difficile far perdere le nostre tracce, inoltre Charlie, -Swan, amico di mio padre assieme a suo zio che era un investigatore privato, cercavano di scoprire chi lui fosse. La polizia ci teneva in stretta sorveglianza, ma non bastò. »

Ed eccoli, i conati di vomiti e i fremiti di paura e terrore che assalirono il mio corpo.

Sentivo lo stomaco stretto in una potente morsa, la gola stringersi al ricordo delle sue mani che mi soffocavano.

Edward cercò di calmarmi ma non poteva; non ero più lì in quel momento.

«Stavo in camera mia a giocare con la mia bambola preferita, Molly, quando udii un gran trambusto al piano di sotto. Decisi di scendere, ma trovai mio padre davanti alla mia porta, dicendomi che per nessun motivo al mondo dovevo scendere... »

« Dovrai vivere capito, vivere! Non permettere a nessuno di renderti una morta vivente. Sei una Denali, ricordatelo. E ama, ama incondizionatamente »

«Queste furono le ultime parole che sentii dire a mio padre.»

Si sentiva svuotata, debole, stanca.

Avrebbe soltanto voluto stendersi affianco al ragazzo senza nome e dormire.

Avrebbe soltanto voluto vivere serenamente.

Ma non era finita, non ancora.

Intanto, un’altra maschera fu gettata via.

«Sono qui piccola. Sono qui. Stai tranquilla, ti proteggo io, amore.» Mormorò Edward, baciandomi ripetutamente il capo, visibilmente scosso.

«E chi proteggere te?» mormorai, per continuare il racconto.

Dovevo finire, dovevo assolutamente finire.

«Rober Redforls, questo è l’uomo che violentò mia madre di fronte a mio padre per poi ucciderli entrambi. Una volta compiuto ciò, venne a cercarmi, e mi trovò.»

«ISABELLA! SE NON ESCI TI GIURO CHE QUANDO TI TROVO TI RIDUCO PEGGIO DI QUELLA PUTTANA DI TUA MADRE!» urlò l’assassino dagli occhi azzurri, per poi riabbassare il tono di voce nell’istante seguente, «dai piccolina, per favore, non amo giocare a nascondino, perché ci metto molto tempo a trovare le persone e, quando le trovo, poi mi arrabbio per il tempo sprecato.»

Gironzolava per la stanza e, improvvisamente, quando sembrava che stesse per andare via, si bloccò di fronte all’armadio.

Vide le sue lunghe mani avvicinarsi, Molly ormai acefala e con gli arti mozzati; ed i suoi occhi che entusiasti  e accessi di una luce folle guardavano i suoi.

L’aveva trovata.

Sarebbe morta; come sua madre e suo padre.

Sarebbe morta.

«Finalmente ti ho trovata, piccola.»

«Poi…poi cosa è successo?»

Edward era decisamente terrorizzato, ed impaurito.

«Cercò di soffocarmi, ma Charlie arrivò in tempo assieme alla polizia e mi salvarono. Il periodo che segue tutto ciò è confuso, delirante…ma c’è un’altra cosa che devi assolutamente sapere.»

«Cosa, Isabella?» Mi accarezzò il volto con il dorso della mano, mentre con le labbra si avvicinava sempre di più alle mie.

«Riguarda tuo padre, lui…»

«EDWARD!» Mi voltai di scatto e vidi una ragazza, dai capelli biondi, guardarmi stralunata.

Guardai il ragazzo senza nome con le guance in fiamme, l’espressione sofferente e al con tempo sbalordita.

Bastò soltanto una parola, che Edward pronunciò ed Isabella ricadde nella triste realtà.

La ragazza, di fronte alla porta era lei, il suo nuovo incubo.

«Sam».

 

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Capitolo 11
*** (r)esisto. ***


Buona lettura ❤.

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#11

(r)esisto.

"Condividere, in amore, non significa tenere il bilancio di chi fa questo o quello, di chi fa più di un altro. Vi sono momenti in cui dobbiamo dare di più di quanto riceviamo, ma ve ne saranno altri in cui avremo bisogno di ricevere più di quanto saremo in condizione di donare."

-Leo Buscaglia, Nati per amare.



Caro Edward,

mi ritrovo seduta a terra, il capo appoggiato al freddo vetro della clinica, guardando la pioggia fuori abbattersi furiosa sul suolo, sui tetti, sui volti delle persone.

Ho sempre amato la pioggia, sai? Innanzitutto, le lacrime possono tranquillamente confondersi con le gocce d’acqua, evitando così di dare spiegazione a terzi…anche se, ripensandoci, nessuno mi ha mai chiesto spiegazione per nulla.

Comunque, sto divagando.

E’ passato esattamente un anno, cinque giorni, e dieci minuti da quando Sam aprii la porta del camerino di Tom.

Un anno, da quando ti vidi uscire con le lacrime nel cuore a parlare con colei che era la tua ragazza.

Mi ricordo ancora le urla di lei, che ti accusava di tradimento, che ti accusava di non averla mai amata, che accusava me di essere una puttana; e ricordo i tuoi pugni serrati, le labbra secche, gli occhi gonfi di acqua salata e il senso di colpa che dilaniava il tuo volto.

Ricordo che gli chiedesti scusa, scusa per ogni cosa.

Scusa per non averla mai amata.

Scusa per non averla trattata come una donna come lei meritava.

Scusa per non averla, semplice, fatta sentire presente.

E lei, lei che ti ripeteva senza sosta  che esisteva.

Ma per te, per te ragazzo senza nome, lei non era mai esistita.

Mi ricordo che mi sentii in colpa, per aver origliato la vostra conversazione, e che me ne andai, con la morte nel cuore, nella mente, nella mia vita da quel posto.

Stavo per salire in macchina di Stefan, mentre Tom mi rincorreva dicendo di doverti aspettare.

Ma io non so aspettare Edward.

O meglio,  non riuscivo a  stare più lì, sapendo di averti arrecato ancor più dolore.

Mi scuserai mai, ragazzo senza nome, per esser salita su quell’auto?

Ma, a maggior ragione, mi scuserai per esser immediatamente scesa pochi metri dopo, appena ti ho visto seduto con le mani tra i capelli, sul marciapiede?

Quel giorno avevi la bocca secca di chi ha sorriso per tutta una vita per finta, e gli occhi di chi ha trattenuto troppe lacrime.
Ti abbracciai, di un abbraccio che entra sotto la pelle, come quelle schegge di legno che si infilano lì sotto e tu, nonostante sai dove si trovano, non riesci a toglierlo.
Mi sei entrato dentro le ossa, dentro il cuore, mi sei entrato come una scheggia di legno sotto al cuore, amore.

Mi sei entrato dentro le ossa, dentro il cuore, mi sei entrato come una scheggia di legno, amore.

Sì, amore.

Già vedo la tua faccia stupita, un po’ orgogliosa, e la tua risata un po’ forzata e ridicola.

Ma ti amo.

Sì, ti amo ragazzo senza nome.

E qui, mi immagino il tuo attacco di cuore, per questo ho già avvertito Tom di chiamare un’ambulanza.

Non ti ringrazierò mai abbastanza, per esserti seduto su quel marciapiede, scegliendo me.

Scegliendo una pazza, lunatica, sofferente ragazza per…fidanza è troppo riduttiva, vero? Così come compagna, futura sposa forse, ragazza.

Meglio dire che hai semplicemente scelto me, da amare.

Anche se noi non rientriamo neanche in questa categoria, secondo me.

Perché siamo al di sopra.

Al di sopra dell’amore, dell’odio, del dolore.

Direi che hai scelto Isabella per stare accanto ad Edward.

Ecco, questo suona bene, non trovi?

Sai, in questa clinica mi sento al sicuro.

Gli psichiatri mi seguono, mi aiutano, mi ascoltano.

Ma ho paura.

Cosa accadrà una volta uscita fuori di qui, dolce gabbia ed illusione di una vita perfetta?

Ritroverò il mio volto sui giornali, perché “la figlia del magnate dell’economia Charlie Swan, è in realtà la sua figlia adottiva”.

Ma avrò te accanto…vero? So che leggendo questa frase storcerai il labbro in quel modo che amo tanto, e che stringerai le nocche talmente tanto da diventare bianche…non che tu sia tanto abbronzato, amore.

Ma non avrai una crisi, come quando hai saputo che tuo padre, ora in carcere per favoreggiamento con Robert Redforls, è stato l’avvocato del mio aguzzino.

Ma mi va bene così.

Tu mi vai bene così.

E ti chiedo scusa, per esser così insicura, ma migliorerò amore.

Migliorerò.

Ed è grazie a questa certezza che dopo un anno da quel giorno sul marciapiede, ti scrivo per la prima volta.

Questa notte mi sono letta tutta d’un fiato le lettere che mi hai inviato, 365, più cinque, effettivamente.

C’è l’ultima lettera, quella in cui hai scritto una cosa bellissima, due parole soltanto che mi hanno scaldato il cuore: ti aspetto.

Ecco, è stato meraviglioso.

Grazie a te, mi viene da pensare al fatto che ne ho fatta di strada, da quando non credevo nell’amore.

Ed ora, ora grazie a te, ci credo.

Perché tu, tu ragazzo senza nome, sei l’amore.

Sei Amore.

E mi sono innamorata di te ogni lettera, di più.

Sembra assurdo, lo so, ma è così.

La cosa che mi stupisce di più, amore (com’è bella questa parola: amore, amore, amore, penso che la ripeterò finché entrambi vivremo, è meravigliosa.; è che non ti sei scusato.

Tu, che chiedi scusa così tanto, non ti sei scusato.

Ma l’ho fatto io al posto tuo, amore.

Amore, amore, amore, amore, amore.

Credo sia meglio concludere questa lettera, tanto tra una settimana esco da questo posto e andremo a mangiare un gelato enorme, d’accordo?

Vedremo per la trentesima volta il film che amo tanto, “The secret window”, anche se tu sei convinto che io lo adori solo perché c’è Johnny Depp; non hai tutti i torti.

Suoneremo! Ho imparato a suonare la chitarra e, ti suonerò “I was broken”, fino allo sfinimento.

Poi, faremo l’amore lentamente, riprendo una confidenza mai scemata, dei nostri corpi.

Amore, amore, amore, amore.

Ti amo. Mi scuso. Ti ringrazio.

Ma, soprattutto, ho capito una cosa fondamentale in questo luogo.

Ho capito che io, Isabella  Denali Swan, esisto.

Un bacio, il tuo amore.”

 

 

---------

Vorrei dire tante cose, molti pensieri random, ma l’unica cosa che vi dirò è grazie.

So che questo finale non potrà piacere forse, ma io lo amo.

Doveva essere così, la fine di questa storia.

Avete capito bene, la fine.

Questo è l’ultimo capitolo di Sleeping with ghosts.

Scusami, forse avreste voluto sapere più cose, esser avvertite prima della fine di questa storia, ma anche io,

oggi, ho capito che dovevo mettere la parola fine a Sleeping.

Stavo pulendo casa, e il capitolo mi è venuto in mente da solo, dopo un mese di totale apatia.

Questa è la degna fine, secondo me, di questa storia.

Scusate possibili errori grammaticali, e scusa il ritardo con cui aggiorno.

Comunque, volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito, inserito tra le preferite/ricordate/seguite la mia bambina :’)

Grazie, anche a voi lettori silenziosi che siete aumentati sempre più, per poi crollare in alcuni capitoli.

Ma grazie.

Grazie.

PS: Forse, prima o poi, posterò una missing moment/OS che parli del loro futuro; ma non lo so, credo che loro, si meritino un finale a piacere, così come voi lettori.

PPS: Da settembre continuerò l’altra mia fanfiction; tutto torna, e noi?

Vi voglio bene.

Un abbraccio.

Grazie.

Vostra, lisztomania/Chuck/thextra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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