-Sleeping with ghosts. di Chuck (/viewuser.php?uid=428443)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** rumori sordi. ***
Capitolo 2: *** love sucks. ***
Capitolo 3: *** grandma take me home. ***
Capitolo 4: *** my first ghost, are you ready for the hell? ***
Capitolo 5: *** non scusarti, ragazzo senza nome. ***
Capitolo 6: *** runaway. ***
Capitolo 7: *** It's all wrong,it's all right. ***
Capitolo 8: *** All my tears, have been used up, on another love. ***
Capitolo 9: *** shattered. ***
Capitolo 10: *** your true colors. ***
Capitolo 11: *** (r)esisto. ***
Capitolo 1 *** rumori sordi. ***
Salve.
Già,
sono io.
So
che molte di voi saranno rimaste spiazzate, visto che non trovavano
più il mio account ma...è stato cancellato da una
persona che ritenevo importante, a mia insaputa.
Ora
son tornata e che dire, spero di trovare ancora coloro che mi
leggevano! :3
Un
bacione!
#1
Rumori
sordi.
-Edward
Caos
calmo.
Ero
circondato da
questo, da rumori sordi che urlavano, bestemmiavano, impazzivano.
Serrai
gli occhi con
più forza.
Il
porto di Liverpool,
l’odore del mare al mattino.
I
gabbiani che volavano
in un cielo chiaro; subito dopo l’alba.
“Puttana,
ALZATI!”, il
rumore di uno schiaffo ricevuto e dato.
Uno
schiaffo che si
infrange sulla guancia di lei.
Una
lacrima che si
infrange con le altre sulle mie, di guance.
Mare
calmo, cielo
terso, aria fresca.
“ALZATI
TI HO DETTO!”
urla, un corpo che si ribella; un corpo che opprime.
L’immagine
del mare
calmo viene distorta da quella del mare frastagliato… di una
tempesta.
Ora,
i rumori sordi,
rappresentano grida di liberazione, di aiuto e di sofferenza.
Portai
i pugni alle
orecchie.
Basta,
basta!
Basta
rumori! Basta
sofferenza! Basta, per favore.
Un
corpo che si
dibatte, un corpo che opprime; lacrime, lacrime e ancora lacrime.
Il
porto Edward.
Il
porto.
Altri
rumori che
portano il marchio di una violenza inflitta e subita.
Non
sei al porto Edward.
Ti
trovi nella tua vita
di merda.
Ti
trovi nell’inferno
Edward.
“Per
favore, basta”
mormorò una voce dalla stanza affianco, stremata.
“Ti
accontento puttana,
solo perché ho una riunione!” Un altro schiaffo,
un corpo che cadde a terra.
Sentii
la porta della
mia cameretta aprirsi e attraverso uno spiraglio di luce vidi il
carnefice.
“Tesoro”
mi accarezzò il
capo con dolcezza.
Non
mi ritrassi, ero
fin troppo spaventato e disgustato per fare qualunque movimento.
“Vai
da mamma e curala,
per favore” mi lasciò un bacio sulla fronte e
sorrise quando annuii inerme.
“Bravo
bambino”.
Chiuse
la porta e urlai.
Non
potei far altro se
non urlare e piangere.
Presi
un orsetto di
peluche e una coperta.
Aprii
la porta con
timore e aspettativa; ormai sapevo in che condizioni si trovava la
mamma, non
era di certo la prima volta.
Andai
da lei, la coprì
e le diedi il peluche che strinse tra le braccia piene di lividi e
graffi.
Chiuse
gli occhi, poi sorrise
tristemente accarezzandomi il capo.
Le
sorrisi tra le
lacrime e portai il suo capo sulle mie gambe.
Canticchiai
un
motivetto a noi conosciuto.
Sorrise,
ricordando la
nostra ninna nanna.
“Sei
un bravo
bambino, Edward”.
Chiuse
gli occhi,
sorrise…e non gli riaprì più.
11
anni dopo.
Dicono
che la vita è
difficile e che, la morte invece, facile.
Beh,
è una cazzata.
La
vita è difficile,
una lotta continua dove le strade più semplici sono le
più tortuose, e le più
tortuose… sono un tunnel di dolore senza fine.
Ma
la morte, oh! La
morte è peggio o meglio, dipende dai punti di vista.
Per
chi se ne va dopo
aver vissuto una vita lunga e felice, è un bene.
Ha
già avuto tutto
dalla vita, l’ha vissuta davvero.
Per
chi, come mia
madre, se ne va dopo aver vissuto una vita di merda, è
ugualmente un bene.
Ha
smesso di soffrire lei.
Ha
smesso.
Ora
ovunque stia, sta
bene.
In
pace.
Da
sola.
Ma
questo concetto vale
per chi se ne va.
E
per chi resta?
Chi
resta, cosa prova?
Dolore.
Un
oceano infinito di
dolore e sofferenza.
Ed
è inutile
prendersela con Dio, con il destino o con chissà
cos’altro.
Tu
soffri.
Chi
resta soffre.
Ed
è una sofferenza che
ti si instaura dentro, che diventa parte di te, che ti distrugge e ti
sputtana
la vita.
Bene
per chi se ne va.
Male
per chi resta e
vorrebbe in realtà andarsene.
Ai
bambini piccoli che
hanno avuto un’infanzia si diceva, per rassicurarli:
“Va dagli angeli”, “va in
cielo”, “starà bene”.
E
io, io che un’infanzia
non l’ho mai vissuta e che mi è stata rubata,
penso:
“Per
quale cazzo di
ragione doveva andare proprio lei dagli angeli?”.
E’
la vita, dicono.
Una
vita di merda,
dico.
Ed
è la stessa cosa che
penso stando ora a questo tavolo, circondato da persone che mi hanno rovinato la
vita.
«Allora
figliolo, come
prosegue il tuo lavoro alla libreria?» mormorò
disgustato quel viscido.
«Molto
bene, uomo d’affari.»
Tono in risposta
altrettanto disgustato.
«Non
ti azzardare ad utilizzare
quel tono con me, signorino!» urlò battendo un
pugno sul tavolo.
Vidi
mia sorella
sobbalzare impaurita e pregarmi con lo sguardo di calmarmi.
Accanto
a me, mio
fratello continuava a mangiare senza curarsi, in apparenza, di
ciò che stava
accadendo.
Guardai
nuovamente
Alice, e le chiesi scusa con gli occhi.
«Se
per questo io dovrei
dirti di non azzardarti a…»
«Signor
Masen, una
lettera da parte del Signor Swan.» Marie interruppe la
schermaglia tra me e
quell’essere.
«Oh,
ti ringrazio cara»
le accarezzo lascivamente il braccio.
Mi
alzai di scatto
dalla tavola e nonostante i richiami di Alice e Emmett continuai
imperterrito.
Accesi
l’auto e partii.
140,
150, 160, 180…
spingevo i piedi sul pedale sempre più a fondo, sempre con
più forza e rabbia.
Sterzai
bruscamente sul
ciglio della strada e vomitai l’anima, poco prima di
intraprendere la strada
che mi avrebbe portato dall’unica persona che abbia mai amato.
Mi
pulii le labbra con
un fazzoletto e andai verso di lei.
Ogni
passo e sentivo la
sofferenza aumentare.
Ogni
passo e sentivo i
ricordi affiorare.
Ogni
passo e odiavo
quel mostro di padre che mi
ritrovavo.
Ogni
passo…e finii per
raggiungere mia madre.
Mi
sedetti, non prima
di aver pulito con cura la sua lapide.
Appoggiai
il capo su di
essa e ascoltai il martellante rumore del silenzio.
Buon
compleanno Edward,
hai compiuto ventuno anni
il giorno
dell’anniversario della morte di tua madre.
Ma
ovviamente, attorno
a me, il vuoto.
-Mallory.
Bum, bum, bum, bum.
Il
ritmo della musica
House, pressante e martellante, è il degno accompagnatore di
tutti quei corpi
sudati e ammassati che a tempo di musica, o meglio dell'alcool e droghe
ingerite, si muovono freneticamente.
Bum,
bum, bum, bum.
Ho
caldo. Cerco di
farmi un varco tra la calca soffocante di persone.
Bum,
bum, bum, bum.
La
vista si appanna
sempre più e la testa mi gira vorticosamente.
Bum,
bum, bum, bum.
Esco
dalla folla e, con
passo barcollante, mi siedo su una delle tante panchine della
Metropolitana.
Bum,
bum, bum, bum.
L'eroina
sta facendo il
suo effetto nel mio sistema nervoso e nel sangue.
Bum,
bum, bum, bum.
Mi
sento bene. Libera
dai mille pensieri e dai mille problemi.
Bum,
bum, bum, bum.
«Vuoi
un goccio di
Vodka? Ti aiuterà a sentirti meglio».
Mi
volto verso la voce
ruvida e calda che ha pronunciato queste parole e vedo Stefan.
Oggi
sembra più bello
del solito, il mio migliore amico.
O
forse è la droga, a
farmi credere questo.
«Perché
no» gli prendo
la bottiglia di Vodka dalle mani e bevo avida, fregandomene delle gocce
che
sfuggono dalle mie labbra, che percorrono un percorso immaginario lungo
la mia
gola, per poi terminare
nell'incavo dei
seni.
Mi
volto e mi fissa con
sguardo dolce... triste.
Si
porta alle labbra la
canna per aspirarne il fumo con una boccata profonda.
È così... bello,
il mio migliore amico.
Scoppio
a ridere senza
motivo, con spensieratezza.
Mi
fissò con i suoi
occhi verdi intensi, le pupille che erano due spilli.
«
Mallory, sei un
disastro.», continuò a fissarmi intensamente, per
poi scrollare le spalle e
bere la sua Vodka.
Sentivo
la testa
vorticare senza controllo, mentre la vista si era appannata per
l’ennesima
volta, ma la sensazione di spossatezza, allo stesso tempo di
iperattività che
ti dava la cocaina, era fantastica.
Fantastica
per il semplice motivo che non riuscivo a pensare
alla merda che mi circodava.
«Mi
dai un goccio, per
favore?».
Mi
guardò nuovamente e,
sorridendomi di sbieco, mi allungò la bottiglia da cui bevvi
avidamente.
«Si
può sapere cosa ci
fa una bella donzella ricca sfondata, in questa merda?»
domandò, aspirando
dalla nuova canna appena rullata, dopo aver indicato con un ampio gesto
di mano
la metropolitana.
«La
stesso che stai
facendo tu, gentleman».
Ci
fissammo negli occhi
e scoppiamo a ridere a crepapelle per diversi minuti, senza fermarci.
Ero
felice nella finta
patina di felicità che la droga e l’alcol creavano.
Il
problema sarebbe
arrivato dopo, quando avrei ripreso
le piene facoltà mentali e fisiche.
Finii
la bottiglia di
Vodka.
----------
«Isabella,
dovrebbe
svegliarsi, sono le sette del mattino», la voce di una delle
mie inservienti
arrivò distante e
indecifrabile. La
testa continuava a pulsarmi vorticosamente. La sera precedente era un
pallido
ricordo nebuloso e l'unica cosa che rammentavo erano due occhi verdi
come uno
smeraldo.
Niente
di più, niente
di meno.
Aprii
gli occhi,
togliendo la visiera che li oscurava per la notte.
Lasciai
vagare lo
sguardo lungo la mia camera da letto e mi stupii di come ero riuscita, anche
stavolta, a tornare in casa.
Mi
alzai e andai di
fronte allo specchio orizzontale posizionato dietro alla porta
dell'enorme
bagno.
Guardai
i miei capelli
arruffati, le mie occhiaie profonde, il trucco sbavato e iniziai a
pettinarmi e
a sistemarmi... per l'ennesima giornata dedicata alla finzione.
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Capitolo 2 *** love sucks. ***
Here we are! :3
#2
Love
sucks.
-Bella.
Nell’esatto
istante in
cui varcai il cancello della Costance, udii mormorii indistinti farsi
più fitti
e concisi.
Cercai
di non pensarci
troppo e mi accesi un’altra sigaretta, indossando gli
occhiali da sole con lo
scopo di oscurare gli occhi che avevano vita propria; infatti, si
chiudevano da
soli dalla stanchezza.
Improvvisamente,
sentii
una presenza affianco a me e, prima che potessi spaventarmi, riconobbi
il
profilo di Nate.
«Ciao
tesoro!» mormorò
cingendomi le spalle con un suo braccio.
Mi
limitai a donargli
un vero sorriso.
«Fatto
le ore piccole
ieri sera?» disse ridendo.
«
Mi trovavo ad una
festa di amici di amici», mentii.
Nessuno
sapeva
dell’altra mia vita, quella più spericolata e meno
consona a Isabella Marie
Swan, figlia del magnate dell’economia statunitense e di una
stilista di fama
mondiale e, men che meno, sapeva la ragione che mi portava a
comportarmi così;
escluso Stefan.
Rabbrividii
involontariamente.
«Senti»
disse Nate guardandosi
la punta dei piedi, «ti va di uscire insieme a
cena?» mi guardò con i suoi
occhi scuri e mi dispiacqui all’istante di dovergli dire di
no.
Lui
non meritava una
ragazza come me.
Non
meritava una donna
senz’anima, che gli è stata rubata
dall’infanzia.
Che
un’infanzia non
l’ha mai avuta.
Non
la merita.
«Mi
dispiace, Nate, ma
non sono tipo da relazioni durature, mi dispiace davvero
tanto» mormorai,
accarezzando con dolcezza il suo profilo.
Lo
vidi aprir bocca per
ribadire, così di scatto presi e scappai, prima che potesse
dire qualcosa che
mi avrebbe fatto sentire più in colpa di quanto
già non mi sentissi.
Scappare,
una costante
della mia vita.
Scappare
e scappare
ancora.
Forse
perché mi
ritrovavo sempre in situazioni più grandi di me.
O
forse perché non
ho abbastanza palle.
Fatto
sta che scappo,
anche adesso.
Entrai
in classe,
precedendo così il
professore di
letteratura, Mr.Grant.
«Oggi
parleremo
dell’amore».
Sbuffai
mettendo gli
auricolari alle orecchie; l’amore,
pff!
Chi
ti ama ti
distrugge.
L’amore
ti distrugge,
sia che se lo ricevi sia se non lo ricevi.
Ti
ritrovi lì in attesa
di un messaggio che non ti arriverà mai, ti ritrovi in
attesa di un qualcosa
che non accadrà, oppure, se accadrà sarai
talmente felice che continuerai a
vivere con la costante paura che quella felicità venga
distrutta.
Quindi,
chi ama, viene
distrutto.
Indebolito.
Non
devi dare a nessuno
la possibilità, il potere, di
essere
felice o triste.
A
nessuno.
Alzai
“Don’t Stay”, dei
Linkin Park, mentre il
professore continuava a blaterare e a fare domande inutili
sull’amore.
Persa
nei miei
pensieri, non udii il Mr.Grant chiamarmi, così la mia
compagna di banco
Cassidy, mi diede un buffetto sul braccio.
Trasalii.
Mi
tolsi gli auricolari
e mi scusai, sentendomi in imbarazzato da quell’improvvisa
attenzione generale.
«E
tu Isabella, cosa ne
pensi dell’amore o dei libri che trattano
quest’argomento?»
Tutti
gli occhi dei
compagni di classe si puntarono sulla mia figura, incuriositi di sapere
cosa
pensasse la perfetta Isabella, sull’amore.
«L’amore
non esiste, fa
semplicemente schifo, perché sia se lo ricevi, sia che non
lo ricevi stai male
ugualmente. Per quanto riguarda i libri, ne ho sinceramente abbastanza
di tutte
quelle cazzate che dicono.
Vorrei leggerne uno
che racconta l’amore reale, vero, -ammesso e non
concesso che esista; non di una Giulietta e di un Romeo che dopo uno
sguardo si
innamorano e si sposano subito dopo, per poi morire per
l’altro. Sinceramente,
a chi mai capiterà di vivere una storia del
genere?!»
Mi
stupii di me stessa,
dato che feci il discorso più lungo di tutta una carriera
scolastica.
Lessi
stupore anche
negli occhi del professore e degli altri compagni di classe.
«Non
dovresti pensare
questo, Isabella. L’amore esiste, ed è la cosa
più bella che possa capitarti.»
Insistette
Mr.Grant,
non capendo che io, nell’amore, non ci ho mai creduto e mai
ci crederò.
«Questione
di punti di
vista, professore.»
Scrollai
le spalle,
sperando di far troncare il discorso lì.
Sperai
invano.
«Esatto,
punto di vista
che sarei curioso di conoscere».
Sbuffai
silenziosamente, turbata dal fatto di dovermi esprimere e aprire di
fronte a
tutte queste persone avide di informazioni, che vogliono soltanto
conoscere al
meglio Isabella, per potermi poi sputtanare alle spalle.
«Credo
di aver già
espresso in maniera consona il mio pensiero al riguardo,
professore.»
«Sì,
ma vorrei ... »
Salvata
dalla
campanella.
Uscii
dalla classe
prima che qualcuno potesse bloccarmi e mi
diressi a passo spedito verso quello che
era il mio rifugio segreto.
Mi
sdraiai sopra la
panchina situata oltre delle siepi e mi accesi l’ennesima
Lucky Strike.
Chiusi
gli occhi e la
voce di Sigur Ros ebbe il potere di rilassarmi.
L’amore.
Improvvisamente
risi,
risi e piansi contemporaneamente fumando in maniera quasi compulsiva.
L’amore
fa schifo.
L’amore
non esiste e
non guarisce le ferite, per lo meno non le mie
di ferite.
Chi
vorrebbe mai amare
una alla quale hanno rubato l’infanzia?
Chi
vorrebbe mai amare
una che dalla vita ha solo ricevuto dolore?
Chi
vorrebbe mai amare
una che, giorno dopo giorno, si dirige con falcate sempre
più sicure verso
l’autodistruzione?
Chi
vorrebbe mai amare,
me?
Le
risate sparirono,
per lasciar spazio ai pianti.
Eccola,
la donna menefreghista
senz’anima.
-Edward.
«Buongiorno
caro
ragazzo! Potresti aiutarmi nella scelta di un libro per mia nipote, per
favore?»
Mi
voltai, stando
attendo a non cadere dalla scala mobile e, dopo aver posato il libro al
suo
posto secondo il genere, scesi.
Incontrai
il sorriso di
una donna sulla sessantina, con un sorriso dolce e degli occhi che
trasmettevano amore.
L’amore.
Risi
al solo pensiero,
restando imperscrutabile all’esterno.
«Certamente,
mi dica
che tipo è all’incirca sua nipote.»
Risposi alla domanda posta in precedenza
dalla Signora, «nel frattempo, desidera un the?»
continuai altrettanto dolce.
Per
qualche assurda e
arcana emozione, sentivo che doveva trattarla con altrettanta dolcezza.
«Sì,
ti ringrazio..?»
lasciò la domanda in sospeso.
«Edward».
«Edward,
io sono
Marie.» si presentò l’arzilla signora,
allungandomi la sua mano ruvida ma
allo stesso tempo morbida al tatto.
Mi
seguì fino al
bancone dove le preparai il
the.
«Lei
è bellissima,
Edward. Semplicemente bellissima. E’ una di quelle bellezze
dannate, figliolo.
Ha due occhi verdi che sono delle pozze di dolore purtroppo e, con il
passare
del tempo, questa sua tristezza si instaura sempre di più il
lei e mi dispiace
Edward, davvero. Non so cosa posso fare per lei, tu hai qualche
idea?»
Restai
completamente
spiazzato, non solo dalla descrizione della ragazza ma per la domanda
finale di
Marie.
Cosa
avrei potuto
risponderle?
Con
quale tra le tante
bugie a disposizione, mentirle?
Quella
parte piccola di
me, che si fidava di Marie, mi spinse a dirle la verità.
«Se
solo lo sapessi, lo
applicherei anche su me stesso, signora. Ma non lo so e, di
conseguenza, lei
può soltanto guardare sua nipote morire dentro giorno dopo
giorno, senza far
nulla.»
«E
se le proponessi di
trasferirsi in po’ qui da me, a Londra? Credi che potrebbe
aiutarla in qualche
modo?».
La
vidi sorride e la
speranza accendersi nei suoi occhi di un incredibile azzurro chiaro,
terso…
Come
il cielo di Liverpool.
Scacciai
il pensiero
con forza e non me la sentii di dirle che non sarebbe cambiato un cazzo.
Se
il dolore ce l’hai
dentro, dentro ti rimane.
Se
il dolore si è
instaurato in te, tu puoi anche andare
al Polo Nord, ma non cambierà ugualmente un cazzo.
«Uhm,
credo che possa
esser un aiuto, Marie. Ecco a lei il the.»
«Grazie
Edward. Ti
dispiacerebbe se te la presentassi? Sai, vi vedrei fin troppo bene
assieme.»
Sbam.
Rimasi
completamente
spiazzato per ciò che aveva appena detto.
Solitamente,
le signore
quando vedevano le proprie figlie o parenti lanciarmi degli sguardi
compiaciuti, le istigavano a girarsi e le suggerivano di non guardarmi.
Questa,
invece, stava
spingendo sua nipote da me.
E,
secondo la
descrizione, era una gran bella nipote.
Perché
no?
«Come
vuole lei, per me
non è di certo un problema.» Risposi, senza
nascondere il sorriso malizioso che
mi era nato istintivamente sul volto.
Rise,
gettando il capo
all’indietro e mentre mi seguiva tra gli scaffali della
libreria la udii
mormorare:
«Sono
sempre più
convinta che questi due siano fatti per stare insieme.»
Scossi
il capo
lentamente.
Volevo
dirle che erano
inutile, che per un tipo come me che storceva la bocca alla parola amore, non avrebbe mai potuto avere una
relazione stabile con sua nipote, neanche sessualmente parlando.
Ma
non volli ferirla e
semplicemente tacqui, come tante volte nei miei ventun anni.
«Allora,
un libro di
Nicholas Sparks? Di solito queste cose piacciono alle
ragazze.»
Marie
rise nuovamente,
sorseggiando con lentezza il the.
«Di
solito» si limitò a
rispondere.
«Di
solito» ripetei.
«Uhm,
avventura?»
«Lo
è già la sua vita.»
Mi
incuriosiva sempre
di più questa fantomatica nipote.
«Storico
non credo,
erotico neanche.»
Mormorai
sovrappensiero.
«La
storia l’annoia
terribilmente e per quanto riguarda l’erotico, non credo che
le serva un libro,
con tutti quelli che le vanno dietro.»
Lessi
la costernazione
mista a divertimento nel suo sguardo.
Rivalutai
sua nipote.
Forse
e dico forse qualcosa
avremmo potuto farla con piacere,
insieme.
«Sua
nipote mi sta
mettendo in difficoltà, lo ammeto Marie.» Dissi
ridendo.
Rise
anche lei.
Era
un suono musicale,
quasi come quello di mia nonna.
«E
ancora non la
conosci, pensa a quando la conoscerai.»
Ridemmo
ancora, finché
non mi imbattei in un libro.
«”Noi
i ragazzi dello
zoo di Berlino”. Droga e quant’altro, un libro a
mio avviso davvero bello e
toccante. Cosa ne pensi? A tua nipote potrebbe piacerle?»
Chiesi, incrociando
segretamente le dita.
«Uhm,
direi di sì!
Grazie Edward!»
Sospirai,
e mi sentii
profondamente soddisfatto.
Ero
riuscito nell’impresa
del libro impossibile, per la nipote impossibile.
Le
dissi il conto e
pagò più del necessario, dicendo che il resto era
per me.
«Ci
rivedremo Edward! E
sappi che quando verrò, accanto a me ci sarà la
ragazza che ti rovinerà e ti
salverà, tesoro!»
Non
avrei potuto
immaginare quanto veritiere si sarebbero dimostrate quelle parole,
inseguito.
|
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Capitolo 3 *** grandma take me home. ***
>
#3
Grandma
take
me home.
-Isabella.
Molte
volte mi ero
immaginata la sensazione dell’asfalto freddo sulla mia
guancia.
Sul
mio corpo in caduta
libera.
Ogni
volte le emozioni
che mi assalgono sono sempre le stesse: pace, tranquillità,
nessun dolore.
Eppure
la paura di
morire mi ha sempre affiancato, impedendomi così di godermi
la mia eterna pace
interiore.
Lasciandomi
“vivere” in
questo cazzo di limbo in cui non vivo.
“Isabella,
vieni!”
Un’ultima
occhiata allo
specchio e mi vidi; perfetta.
Capelli
legati in una
coda alta, corpo fasciato da un vestito fin sopra il ginocchio, come
trucco
solo del mascara.
Perfetta.
La
perfetta Isabella Marie Swan.
Sentii
richiamare il
mio nome un’altra volta.
Sbruffai
silenziosamente, per dirigermi verso le scale che portano al salotto.
Lisciai
il vestito e
preparai un sorriso per salutare
gli ennesimi amici dei
miei genitori.
“Isabella,
bella come
sempre!” esclamò la Signora Miller.
Donna
sulla quarantina,
bella, viziata, fedifraga.
Ecco
il circolo di amici che
frequentavano i miei genitori.
“Come
stai dolcezza? Ti
ricordi mio figlio, John?”
Voltai
lo sguardo
appena sulla figura che si stagliava fiera accanto alla Signora Miller.
John,
ragazzo sulla
ventina con gli occhi verdi e capelli biondo cenere.
Decisamente
non il tipo
per Mallory.
Decisamente
il tipo per
Isabella.
Sorrisi,
allungando la
mano verso il giovane che mi scrutava con mal celato interesse.
“Ma
tesoro! Come mai
porti la borsa per stare in casa?” Mi guardò
sconvolta Reneè, mentre mio padre
al suo fianco mi intimava di non rispondere ciò che stavo
per dire.
“Perché
esco madre”.
Sorrisi
dolcemente,
salutando nuovamente i Miller, con particolare attenzione per
John… forse
questo sarebbe servito per calmare le
acque.
Lo
sperai vivamente.
Vidi
i miei genitori
guardarmi con felicità ed entusiasmo terrificante, ai miei
occhi, poco prima
che me ne andassi.
Trovai
come da
programma l’auto trasandata di Stefan sul vialetto e,
correndo, vi entrai.
“Ciao
Stefan!” mormorai
dandogli un bacio sulla guancia.
“Piccola
Swan!” mormorò
lui in risposta.
Tolsi
gli abiti dalla
borsa e mi spogliai degli indumenti di Isabella, per indossare poi
quelli di
Mallory.
Una
minigonna in jeans
e un top verde.
Le
scarpe con il tacco
restarono al loro posto.
“Cosa
dicevano gli Swan
quest’oggi?”
“Uhm,
volevano
accasarmi con il figlio dei Miller.”
“Perfetto
per Isabella
immagino”.
Sorridevamo
ancora,
quando il mio telefono squillò.
“Marie!”
dissi
entusiasta.
“Tesoro mio! Come sta la mia nipotina
preferita?”
“Ma
se sono la tua
unica nipote, nonna!” dissi ridendo, contagiando anche Stefan
che stava
prestando attenzione alla chiamata.
“Oh,
devo essermene dimenticata!” mormorò
sovrappensiero, scherzando.
Risi
nuovamente, con felicità.
Adoravo
mia nonna, la madre di mio padre.
Era
semplicemente fantastica.
Mi
comprendeva, ascoltava i miei silenzi e, cosa più
importante, li rispettava.
“Amore,
ho parlato con Renèe l’altro
giorno…” disse
con un tono annoiato.
“Cosa
ha detto, stavolta?”
“Le
solite cose, va bene a scuola, è una figlia
modello, è perfetta, e
bla bla bla,
tutte cose noiose insomma. Per questo volevo farti una proposta, amore,
per
movimentare la tua monotonia!”
Oh,
nonna, se solo sapessi che la monotonia la vivo soltanto di giorno.
“Che
ne dici di trasferirti a Londra? Ti iscrivo in
una scuola pubblica, dove non ci sono tutti quei figli di
papà e inoltre, ti
troverai un lavoro.”
“Ma
nonna, anche io sono una figlia di papà in
pratica!” le dissi ridendo.
“Tu
devi esserlo, non è che vuoi. E’ diversa la cosa
per te, figlia mia. Cosa ne pensi dell’idea,
comunque?”
Le
sue parole mi colpirono nel profondo.
Lei
sapeva.
Lei
mi capiva.
Lei
c’era.
E,
lanciando un’occhiata a Stefan, capii che anche
lui c’era.
“Dico
che devi preparare la mia stanza, nonna.”
Una
fuga; imperfetto per Isabella, perfetto per
Mallory.
-Edward.
Mi
accasciai stremato sul corpo di… Madison? Mandy?
Carla? Clara? O Marie?
“E’
stato stupendo, amore.” Mormorò lei.
Annuii
inespressivo, mentre mi alzai per prendere le
Malboro dal cassetto per accenderne una.
Aspirai
una lunga boccata, aprendo la finestra
dell’appartamento.
“Lo
sai che le donne odiano la gente che fuma, dopo
aver fatto l’amore?”
Amore.
Ancora
questa odiosa parola.
“Infatti
tu non lo odi, in quanto abbiamo soltanto
scopato.”
Si
alzò dal letto con lentezza, fino ad arrivare
dietro di me.
“Edward,
devi capire che una donna più la tratti
male, e più ti verrà dietro.”
Mormorò con voce bassa, seducente, mentre con
lentezza esasperante accarezzava il mio membro rilassato.
“Allora
dev’essere una donna davvero stupida, se
continua a farlo. Una intelligente se ne andrebbe.” Scacciai
la sua mano con
delicatezza e le indicai la porta.
“Sai
dove si esce.”
Entrai
nel bagno, senza aspettare oltre in camera da
letto.
Appoggiai
le braccia sul lavandino e guardai il mio
volto riflesso sullo schermo.
L’immagine
di un uomo distrutto.
L’immagine
di un uomo a pezzi.
L’immagine
di un uomo che va alla deriva.
L’immagine
di un uomo che si dirige tranquillamente
verso l’autodistruzione.
L’uomo
sospirò, e aprì l’anta delle “medicine”.
Mi
scostai dalla superficie riflettente e aprì
l’acqua della vasca; calda.
La
riempì e mi immersi totalmente.
Da
sotto l’acqua, mi sentivo in pace.
Ma
quando riemersi e aspirai una boccata di fumo, mi
sentì subito meglio.
L’erba
fece con calma il suo effetto,
tranquillizzandomi immediatamente.
Mi
sentii in pace.
Presi
una bottiglia mezza piena di Jack Daniel’s che
ti trovava riversa sul pavimento, e iniziai a bere avidamente, conscio
che
anche stanotte, i
suoi occhi tersi come
il cielo di Liverpool, non mi avrebbero
lasciato dormire.
Appoggiai
mollemente il capo contro le
mattonelle, quando
gli occhi iniziarono
a chiudersi da soli.
Sei
pronto a dormire con i tuoi fantasmi, Edward?
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Capitolo 4 *** my first ghost, are you ready for the hell? ***
#4
My
first ghost,
are you
ready for
the hell?
Cara Mallory,
credo, anzi, sono sicura, che
tutto ciò che abbia
desiderato di più al
mondo era un “ti voglio bene, figlia mia”, da parte
dei miei genitori. Tre
parole. Solo quelle parole, fino all’età di
diciassette anni in cui tutto
cambiò. Solo quelle parole fino ad un anno fa. Una parte di
me, piccola ma
alquanto rumorosa, sperava si sarebbero opposti al mio soggiorno a
Londra. Una
parte di me, sperava di
mancargli. Ovviamente,
desideri inutili.
Mi
avevano risposto in questo modo:
“Certo tesoro! Vai, così sono
certa che le tue migliori amiche saranno verdi
d’invidia!” disse Renée.
Quali migliori amiche? Io non ne
ho mai avute. Eppure continuava ad insistere su quel punto, Mallory.
“Quale scuola frequenterai
comunque? Una prestigiosa spero.”
“No padre, frequenterò una
scuola
pubblica.”
Non si curavano del fatto che
sarei andata a vivere in un altro Stato.
Non si curavano del fatto che non
mi avrebbero rivisto per anni, forse.
Non si curavano di nulla, se non
della scuola che avrei frequentato; o meglio, su quanto fosse rinomata.
“Oh, va bene ugualmente, almeno
farà vedere di sapersi distinguere in ogni
frangente.”
In quel momento, Mallory, guardai
in volto coloro che mi avevano dato la vita e provai il desiderio di
scuoterli
per le spalle violentemente e chiedergli: mi vedete? , mi avete mai
visto? , mi
conoscete?
Ma nessuno dei due saprebbe
rispondere.
Nessuna sa rispondere. Nemmeno
io, Mallory.
E poi, cosa mi aspetterà a
Londra? Sento una sensazione strana, sai? All’altezza dello
stomaco, come se il
tutto stia in lavatrice che sta compiendo la centrifuga. Credo che
comunemente
si chiami ansia. Ma di cosa? Per cosa dovrei essere ansiosa? Mi manca
la nonna.
Eppure quando l’altro giorno l’ho sentita per
telefono per accordarci
sull’orario dell’aereo che meglio era per lei,
l’ho sentita strana.
Irrequieta.
Mi mentiva.
Non so riguardo cosa, non so
perché e forse, tesoro, è soltanto una delle mie
mille paranoie.
Anche Renée e Charlie si
lanciavano occhiate… spaventate, timorose.
Altra paranoia? Forse dovrei
farmi una scopata, Mallory.
O forse no.
Bah,
non lo so.
Comunque ora devo partire e
quindi niente.
Ci risentiamo nella mia mente,
Mallory.
Un
bacione,
Isabella.
Chiusi
la busta con cura, per inserirla nel cassetto dove altre lettere si
alternavano
ordinate e diedi un giro di chiave alla toppa, in modo tale che nessuno
potesse
accedere alle lettere destinate all’altra parte di me.
Pazza?
Forse.
Ma
senz’altro sono convinta che ognuno di noi abbia più persone
dentro di sé.
C’è
chi all’apparenza è tranquilla, un po’
paranoica; e dentro è un vulcano di
emozioni, dolori, sentimenti.
C’è
chi all’apparenza è parte pazza, svitata; altra
dannatamente piatta di
emozioni.
C’è
chi si autoflagella
e chi si crede Miss Universo.
Quindi,
in definitiva, ci sono più parti dentro di noi.
Io
ne ho due.
Isabella;
perfetta, ciò che tutti i genitori desiderano, seria,
posata, borghese, non ha
mai avuto sofferenze.
Mallory;
imperfetta, maschiaccio, pazza, che si diverte, odia le borghesi,
soffre.
«Pronta?
L’aereo parte tra due ore, Isabella!» disse
Renèe bussando delicatamente alla
porta.
No, non sono
pronta.
Non voglio lasciare
questa finta patina di felicità.
Non voglio uscir
fuori ed aver paura.
Voglio restare qui
e illudermi che tutto andrà bene.
«Certo!
Arrivo subito»
«Forza
Isabella, abbi coraggio! Dai!» mormorai guardando il mio
riflesso nello
specchio.
«Isabella?»
urlò Renèe dal piano terra.
Quando
scesi trovai Stefan ad attendermi e, con un’occhiata
comprensiva, mi strinse la
mano.
«Starò
con te, sorella.»
Sospirai
ed arrischiai un sorriso verso di lui e ai miei genitori.
Sei pronta ad
abbandonare il tuo luogo sicuro per gettarti nell’ignoto,
Isabella?
--------------------
«Nonna!»
mi sbracciai nel tentativo di farmi vedere da lei.
«Amore!»
mormorò Marie stringendomi a sé.
Mi
era mancato il suo calore, il suo odore dolciastro che ti faceva
sentire a
casa.
Semplicemente
l’adoravo.
Sin
da quando ero piccola mi aggrappavo alla sua maglia e ovunque andasse
la
seguivo, sia quando dava l’acqua alle piante con cui parlava
di tanto in tanto,
sia quando doveva cucinare.
In
ogni occasione, stavo assieme a lei.
Aveva
la straordinaria capacità di non far domande e saper
ascoltare i miei silenzi.
Non
parlavamo quasi mai io e la nonna, forse perché con il
nostro mutismo riuscivamo
ad esprimerci meglio, senza l’utilizzo delle parole.
Le
parole, così superflue, inutili e incomprensibili.
«Che
notizie mi porti dall’America, amore?» chiese
lanciando un’occhiata allo
specchietto retrovisore.
«E
tu Stefan?» continuò.
Non
prestai attenzione alla risposta del mio migliore amico e men che meno
risposi
alla domanda posta da lei in precedenza. Infilai le cuffie alle
orecchie,
lasciandomi abbagliare dalle bellezze di questa città senza
tempo.
Mi
lasciai incantare dai giochi di luce e ombra che le nuvole creavano
assieme al
sole, prossimo a lasciare il suo posto nel cielo alla sua amante luna.
Mi
lasciai incantare dai musicisti di strada, e dalla vita frenetica che
gli
abitanti vivevano.
Chissà
se anche loro avevano degli scheletri nell’armadio.
Chissà
se anche loro fingevano ogni giorno una felicità che non
provavano.
«Oh,
prima che me ne dimentichi! Ecco a te un regalo amore! Spero ti
piaccia.»
Spense
l’auto dato che eravamo appena arrivati di fronte al
palazzo,-dove alloggiava
al terzo piano e, una volta scesi, mi consegnò un libro.
Lessi
il titolo e sorrisi affettuosamente, davanti a quel gesto di amore raro
nella
mia vita.
«Grazie»
mormorai stringendola a me.
«Lo hai già letto,
vero?»
«Ehm,
in realtà sì. Però mi fa piacere
averne un’altra copia di “Noi i ragazzi dello
zoo di Berlino”, tanto l’altra è andata
perduta nella libreria di Stefan».
«Ma
non ti preoccupare, ti porto dal ragazzo che mi ha venduto il
libro!» ammiccò
maliziosa.
Scoppiamo
tutti e tre a ridere, accogliendo con gioia quel momento di
felicità.
Quanto
sarebbe durato?
Non
lo so e, al momento, volevo soltanto godermi a pieno quella sensazione
senza
pormi domande; inconsapevole delle bugie rifilate anche in
quest’attimo sereno.
Edward.
Avevo
appena chiuso la libreria quando sentii una voce conosciuta chiamarmi.
«Edward!
Ragazzo!» mi voltai verso Marie, sorridendo con affetto.
«Buona
sera Marie! Non è piaciuto il libro a sua nipote?»
«Lo
ha già letto purtroppo e infatti volevo venirlo a cambiare
assieme a Isabella.»
Tremai
sentendo il nome della ragazza.
Non è lei Edward,
non lo è.
«Purtroppo
ho appena chiuso, ma se vuoi posso fare
un’eccezione» mormorai incerto,
voltandomi nuovamente verso la porta del negozio.
«Tranquillo,
ho tutto il tempo del mondo da passare qui a Londra, potrò
ripassare un altro
giorno.»
Improvvisamente
udii quella voce.
«Isabella»
mormorai stupito.
«Edward»
sussurrò lei con le lacrime agli occhi.
«Amore,
vi conoscevate già?»
Non
mi preoccupai di rispondere a Marie, non ora che avevo il mio incubo
personale
di fronte agli occhi.
Era
cambiata.
Non
aveva più quel sorriso dolce che accentuava la bellezza
delle sue labbra; in
compenso aveva il mio stesso sorriso dannato.
«Sì
più o meno.» mormorò lei.
«Oh,
George mi ha mandato un messaggio, mi aspetta al ristorante.»
disse Marie
guardando il telefono,
«non
vi dispiace quindi se vi lascio soli?».
Vidi
Isabella aprir bocca più volte, non riuscendo ad articolare
nessuna parola.
Le
parole, le parole che tanto odiava.
«No,
non ci dispiace Marie.»
La
nonna di Isabella
se ne andò,
lasciandoci in piedi soli su quel marciapiede.
Il
tempo si era fermato.
Il
tempo non esisteva più.
«Sei
cambiata.»
«Anche
tu. Sembri ancora più stronzo.»
«E
tu sei la stessa stronza sincera di sempre.»
«Certe
cose non cambiano, Edward»
Vagò
con lo sguardo ovunque, -tranne sulla mia figura; mentre cercava
all’interno
della sua borsa una sigaretta che immediatamente accese.
«Ne
vuoi una?»
Una
boccata di fumo sul volto.
«C’è
da chiedere?»
Le
sue labbra si tesero verso l’alto; un lampo di quel sorriso
che tanto aveva
amato.
No, non amato.
Il sorriso a cui ti
eri affezionato, tu non ami e mai amerai, Edward.
Fottuta
coscienza.
«Andiamo
a cena?»
«Casa
tua?»
«Casa
mia.»
Ci
guardammo negli occhi.
Quegli
stessi occhi con cui facevo l’amore soltanto guardandoli e,
in quel dato
istante, capii che ora avevo una compagna con cui dirigermi verso
l’autodistruzione.
Perché
Isabella? Perché sei cambiata? Cosa ti è successo?
Ma
lasciai quelle domande da una parte quando tentò di
intrecciare la sua mano alla
mia.
Sì,
decisamente avrei lasciato quelle domande da parte.
Per
ora, volevo soltanto godermi la serenità che mi invadeva;
senza l’uso di
sostanze stupefacenti.
My first ghost, are
you ready for the hell?
|
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Capitolo 5 *** non scusarti, ragazzo senza nome. ***
Salve.
Grazie a tutti coloro che hanno
inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e...che dire,
spero di ricevere qualche parere in più per questa storia!
AVVISO: questo è
l'ultimo capitolo che avevo postato la prima volta, l'ultimo che avete
letto quindi dal prossimo...iniziano le novità! :D
Un bacione,
Chuck.
#5
Non
scusarti, ragazzo
senza nome.
Le
sue labbra si muovevano dolcemente sulle mie, pressandole leggermente.
Aveva le
labbra più dolci che avessi mai saggiato. Ci staccammo
quando entrambi avemmo
la necessità di prender fiato. Non sapevo come eravamo
arrivati a quel bacio.
Non credo fossero causati dall’alcool ingerito, e neanche
dall’erba fumata,
semplicemente era nato da sé come nelle più
classiche scene da film, solo che
l’ambientazione era diversa.
Sdraiata
sul parco a fumarmi una sigaretta.
Poi
si avvicina questo qua, Mallory, mi chiede una sigaretta, mi sorride
sofferente, e ci baciamo.
Era
dolce, straordinariamente dolce il ragazzo senza nome.
Per
tutta la notte siamo rimasti assieme, l’uno accanto
all’altra, in silenzio.
Credo
che in quella notte di silenzio ci siano state tutte le parole che mai
sono
riuscita a dire.
Hai
presente, no, quelle parole che porto dentro, che ognuno di noi porta
dentro ma
non riesce a dire.
Ecco,
Mallory, esattamente questo.
Abbiamo
parlato con il silenzio.
Abbiamo
urlato con il silenzio.
Ci
siamo amati con il silenzio.
Sai
che io non so cosa sia l’amore. Mai provato, mai ricevuto,
sempre negato.
Eppure,
quella notte, con quel ragazzo, credo di essermi innamorata.
Non
so perché, non so come, semplicemente lo so.
Eppure,
mi basta vedere i lividi sul fianco destro di fronte allo specchio, e
il corpo
dimagrito per convincermi che mai ci sarà amore per me.
Mi
tasto il livido, gemendo silenziosamente di dolore, guardando i miei
occhi
senz’anima.
Decisamente
non c’è amore per me, Mallory.
Isabella.
Ed
ora
eccolo, il ragazzo senza nome.
Affianco
a me, mano per la mano.
Non
ci
scambiamo parole, esattamente come quel giorno, semplicemente restiamo
in
silenzio.
In
silenzio ci chiediamo come stiamo, ci baciamo con gli occhi e fingiamo
che vada
tutto bene.
Ma
ormai
è una costante fingere, no?
Tutti
fingono; sentimenti che non provano, sentimenti che vorrebbero provare,
felicità inesistente nonostante il dolore persistente.
Tutti
fingono.
Tutti
fingono di non fingere.
Ed
ecco
noi due, chiaro esempio di finta non finzione.
Lo
continuo a chiamare ragazzo senza nome, malgrado sappia qual
è.
Edward.
Suona
bene nella mia mente, talmente bene che tremo al pensiero di storpiarlo
con la
mia voce reale.
La
voce
della coscienza ha un qualcosa di più poetico, romantico, sui generis.
Improvvisamente
ci fermiamo di fronte ad una palazzina che con leggerezza spintona,
aprendola
giusto per far passare i nostri corpi.
Proseguiamo
per una piccola rampa di scale che odorano di lavanda, di pulito, fino
ad
arrivare al terzo piano dove ci fermiamo di fronte ad una porta in
legno scuro,
tendente al nero.
Come la tua
anima, sussurra
la mia amata coscienza.
«Ecco
casa mia. Ordino una pizza? Le birre dovrei averle nel
frigorifero.»
Piano, piano
ragazzo senza nome;
non inondare questo silenzio urlato con il tuo fiume di parole.
Non
rispondo, limitandomi ad accarezzare con mano ed occhi le pareti
chiare, la
televisione di bell’aspetto sebbene dietro il cranio sbuchino
fuori un turbinio
di colori dei fili, le tende rosse; e la chitarra.
A
quella
visione, sono pronta anch’io ad interrompere il nostro non
silenzio.
«Ho
sempre voluto imparare a suonare, peccato soltanto che per una perfetta Isabella Swan non andasse
bene.» Sputai con ironia e tristezza.
Afferrò
la mia mano destra e con lentezza la posò su di essa.
Ne
accarezzai ad occhi chiusi la sua superficie liscia, le sue corde
ruvide al
tatto.
«Posso
insegnarti io, se vuoi.»
«Lo
faresti davvero?» aprii gli occhi imprigionandoli
volontariamente nei suoi.
Oh, ragazzo
senza nome, quanto ti
ho sognato.
«Per
te
sì.»
Per
te sì.
Non
svegliatemi. Se è un sogno, non svegliatemi.
Almeno
qui, fatemi sognare.
Almeno
qui, fatemi credere di esser amata, voluta bene; considerata.
Almeno
qui, fatemi essere me stessa.
Portò
le
mani sui capelli, tirandoli leggermente, mentre con un mormorio di
scuse si
dirigeva in cucina per chiamare una pizzeria d’asporto.
Non scusarti
ragazzo senza nome.
Non ora.
Non scusarti.
Scusati
quando mi lascerai,
quando le mie mani tremeranno nel ricordare un calore dimenticato,
quando
piangerò nella mia stanza la tua assenza e
sorriderò agli altri.
Scusati
quando opprimerò me
stessa ancora.
Scusati
quando mi struggerò per
un bacio non dato ma voluto.
Scusati
quando un lampo nei tuoi
occhi ti fermerà dal saggiare nuovamente le mie labbra.
Scusati
allora, Edward.
«Che
pizza preferisci?» urlò dalla cucina per farsi
sentire.
Non urlare,
non mi piacciono le
urla.
Ti sento,
anche se mormori, ti
sento.
«Con
più
schifezze possibili.» mormorai sorridendogli.
Mi
sorrise e mi uccise.
Spense
il telefono, comunicandomi che entro un’ora avrebbero portato
pizza e patatine.
«Cosa
ne
pensi se intanto proviamo a suonare qualcosa?»
Gli
sorrisi, stringendogli la mano che mi porgeva.
Non scusarti
ora Edward.
-Edward.
«Grazie
per la splendida serata, Isabella». Mormorai stringendo le
mani a pugno, per impedire
che questi si allunghino ad accarezzare il suo volto meraviglioso.
Non devi
diventare come me,
piccola. Tu devi tornare a sorridere, a vivere.
Non posso
contaminarti.
Non posso.
Lei,
dal
canto suo, mi sorrise con le sue adorabili fossette.
Si
avvicinò
e, con lentezza estenuante, con le nostre labbra che prendevano il
respiro
dell’altro data la vicinanza, mi ringraziò.
Poi
con
lentezza scese le
scale.
Corsi
immediatamente alla finestra, ansioso di vedere il suo volto ancora una
volta e
lei si voltò.
Poggiò
delicatamente il palmo della mano sul finestrino del taxi,
così come io
appoggiai il mio sulla finestra di casa; e se ne andò.
Vai, piccola
bugiarda fintamente coraggiosa.
Torna nella
tua casa, sogna il
bacio tanto agognato e non dato.
Torna nella
tua casa e sogna una
nostra possibile relazione.
Torna a casa
e sogna di tenermi
per mano.
Torna a casa
e sogna di divenire
felice.
Torna a casa
e sogna di non
mentire più.
Torna a casa
e dormi, piccola
mia.
Dormi.
Dormi,
piccola donna andata e
sempre rimasta.
Dormi con i
tuoi fantasmi così
come io dormirò con i miei, piccola finta coraggiosa.
----------------
«Isabella,
Stefan, questa è la vostra nuova scuola.»
mormorò Marie, con ancora il suo cipiglio imbronciato in
volto.
Sorrisi
e mi sporsi dal sedile posteriore per darle
un bacio soffiato sulla guancia.
«Non
è successo nulla con quel ragazzo nonna,
nulla.»
Non
è successo nulla con quel ragazzo nonna, nulla. Stai
tranquilla, ti sto
mentendo come al solito.
Sto
mentendo come sempre.
Con
il ragazzo senza nome è successo tutto, non nulla.
Mi
sono sentita viva, protetta, al sicuro, me stessa.
«Non
è successo nulla.» ripetei come una nenia.
«Non
vi siete baciati quindi? Nulla di nulla?»
continuò con voce acuta, Marie.
«No,
non ci siamo baciati.» mormorai uscendo
dall’auto, salutandola con un finto sorriso.
Oh,
nonna! Non solo ci siamo baciati, abbiamo fatto l’amore
guardandoci negli
occhi.
Abbiamo
suonano la chitarra, e per “sbaglio” ci siamo
accarezzati più volte le mani.
Poi
è arrivata la pizza, ed ho riso.
Ho
riso talmente tanto da sentir la mascella dolere, Marie.
Abbiamo
bevuto, ci siamo fatti il solletico.
E
poi ci siamo ritrovati l’uno sopra all’altra.
Eravamo
così vicini al bacio…
Ma
si è scusato il ragazzo senza nome.
Si
è scusato.
«Stefan
chiama Isabella!»
«Scusami,
stavo pensando»
«Sai
che io sono qui, vero? Quando vuoi parlarne ti
ascolterò.»
Sorrisi
scompigliandoli i capelli, il mio modo non
verbale per ringraziarlo di tutto ciò che lui fa per me.
Ma
d’altro canto, lui lo sa.
«Vedi
di non fare
troppe conquiste, migliore amico!»
«Oh,
dovrei essere io a dirtelo!» rise, scuotendo
leggermente il capo mentre le ragazze con mormorii concisi, morivano al
suo
passaggio.
Sei
troppo melodrammatica e poetica, Isabella!
Girai,
voltai, spiegazzai la cartina scolastica più
volte alla ricerca della classe in cui avrei svolto la prima lezione,
che non
trovai.
Sbuffai
nervosamente e continuai a camminare finché,
come un miracolo, ecco la classe di arte…con la porta
già chiusa.
Bussai
leggermente ed entrai.
Immediatamente
trovai gli occhi di tutta l’aula
fissarmi e combattei con voglia di abbassare il mio sguardo.
Ho
subìto occhi che mi squadravano, giudicavano, per tutta la
vita.
Adesso
non sto con il ragazzo senza nome, adesso sto con un branco di odiosi
essere
umani impiccioni.
Alza
la maschera, Isabella.
«Scusi
il ritardo professore, ma ho avuto difficoltà
a trovare la classe.»
Voce
certa, sicura, chiara.
Non
sono io ad avere paura.
Non
voglio più esser io, ad avere paura.
Non
più.
«Lei
è la ragazza nuova?» mormorò Mr.White
portando
le mani tra i capelli.
Non
poteva farlo.
Non
poteva portare le mani tra i capelli come il ragazzo senza nome.
Non
poteva farmelo ricordare con un gesto.
Non
dovevo pensarlo costantemente.
«Sono
Isabella Swan.»
Ed
eccoli i mormorii concisi.
“Ma è la
figlia della stilista di fama mondiale”
“Sarà
senz’altro antipatica, guarda come si è
presentata”
“Senz’altro
riuscirò a portarmela a letto, spero.”
“Il
padre è avvocato, chissà se potrà
aiutarmi
parlare con lei per trovare a mio padre un lavoro”.
«Si
accomodi.»
L’unico
che rimase composto di fronte al mio nome e
soprattutto cognome, fu l’insegnante di arte.
«La
lezione di oggi, signorina Swan, riguardava i
fantasmi. Forse lei non lo sa, ma son solito porre domande ai miei
studenti sul
loro credo o meno verso i fantasmi, perché i primi disegni del corso
sono… i fantasmi appunto.
Ora, continua signor Jackson»
Non
ascoltai le risposte degli altri, troppo
impegnata a pensare alla mia di risposta.
«Signorina
Swan, lei crede nell’esistenza dei
fantasmi?»
Aveva
un qualcosa che mi inquietava, che mi portò ad
incrociare le braccia attorno alla vita.
Il
suo sorriso gelido e cortese, gli occhi color
ghiaccio mi ricordavano colui che non volevo ricordare.
Respira
Isabella, respira.
Pensa
ad Edward.
Mi
tranquillizzai all’istante e, con finta sicurezza
ritrovata, lo guardai negli occhi pronta a rispondere alla sua domanda.
Non
mi curai degli sguardi altrui. Non meritavano
una mia preoccupazione.
«Quali
fantasmi intende, Mr.White?»
Lessi
la sorpresa e l’affronto nei suoi occhi.
«Tutti
i tipi di fantasmi.»
«I
fantasmi esistono, ma non sotto forma di tanti Casper.
I fantasmi sono tutto ciò che ci
circonda, tutti quei ricordi che teniamo dentro di noi e la notte
vengono a
farci visita nei nostri incubi. I fantasmi sono la speranza di
ciò che
diventeremo dopo la morte. I fantasmi sono i nostri scheletri
nell’armadio. I
fantasmi esistono e fanno male.»
«Teoria
interessante, Swan.»
«Signorina
Berry, a lei.»
Voltò
lo sguardo da me e tornai a respirare.
-Edward.
«E
così ieri hai rincontrato quella ragazza di cui
mi parlasti allora?» mormorò sgranando gli occhi
Thomas, ripetendo la stessa
domanda per l’ennesima volta.
«Sì,
Tom, sì. E’ la ventesima volta che ti rispondo sì.»
«Non
è successo nulla?» mormorò malizioso,
sorridendo ad una ragazza appena entrata nel negozio.
Alzai
gli occhi al cielo.
«No,
non è successo nulla.»
Non
è successo nulla, ma tutto Thomas.
Tutto.
Perché
non ti butti?»
«Da
un ponte?» mormorai sarcastico, al
che Tom mi diede un pugno sulla spalla.
«Dalla
tue paure, dalla tua maschera di cera, da te.
Per quella ragazza ne vale la pena Ed, me lo sento qui.» E
batté la mano sul
cuore.
Non
posso trascinarla nei miei casini, Tom, lo sai.
Lei
ha già altrettanti problemi, perché aggiungerle
anche i miei?
Lei
può salvarsi, Tom.
Lei
può.
Mi
guardò negli occhi e come se avesse letto nei
miei pensieri mi rispose:
«Voi
potete salvarvi a vicenda, basta solo che
troviate il coraggio di non scusarvi.»
Buttati
e non scusarti.
Buttati
e non scusarti.
-Bella.
«Mi
inquieta Stefan. Io, mi ricorda lo sguardo
cattivo di lui.»
Mi
strinse tra le braccia, inondandomi
con quel calore che in quel
momento mi mancava e sfregò le mie braccia con le sue mani.
«Calmati
piccola, calmati. Ci sono io okay? Ci sono
io. Nessuno ti farà più del male,
nessuno.»
Mi
sta già facendo, del male.
Il
ricordo mi uccide, mi opprime, mi tormenta.
Fuori
sembrerò una ragazza normale, tranquilla ma dentro
marcirò, soffrirò e morirò,
Stefan.
Sono
già morta, dentro.
«Bella!»
Mi
voltai sgranando gli occhi, alla vista del
ragazzo senza nome.
«Cosa…
cosa ci fai qui?»
Non
mi rispose a parole, ma mi
abbracciò.
Con
quell’abbracciò mi comunicò tutto.
Con
questo abbraccio lui è qui.
«Cosa
ci fai qui?» mormorai contro il suo torace.
«Volevo
cercare di dirti che proverò a smettere di scusarmi,
ma la strada è lunga e
tortuosa, Bella.»
Sorrisi,
baciandogli dolcemente la guancia sfregando
poi le labbra contro la leggere barba che ricopriva la sua guancia.
«Grazie.»
Sentii le sue labbra tendersi un sorriso.
«Spero
possiate perdonare la mia presenza!» Disse
ironico Stefan.
«Ehm,
Edward lui è Stefan il mio migliore amico e bè
fratello lui sai chi è.»
Dire
che ero imbarazzata è un eufemismo.
«Oh,
finalmente conosco il ragazzo senza nome!»
«Ragazzo
senza nome…?»
«Nulla
Edward, tranquillo!»
«Non
ho capito sinceramente! » Si grattò la nuca,
con un’espressione confusa stampata in volto.
«Neanche
io se per questo.»
Guardai
in maniera eloquente Stefan, che alzò le
mani al cielo sorridendomi.
«Che
ne dite se andiamo in un bar dietro l’angolo?
Fanno dei dolci squisiti.»
«Io
ho da fare, una ragazza mi aspetta! Comunque
stasera Edward sei invitato a cena da noi, non puoi opporti!»
«D’accordo,
non mi oppongo.» Disse ridendo.
Quando
Stefan se ne fu andato, Edward mi prese per
mano e ci incamminammo verso il bar.
Ti
stai facendo perdonare ragazzo senza nome.
Ti
stai facendo perdonare… ma per cosa?
“The
wall” era
un delizioso bar con l’atmosfera soffusa e le
pareti tappezzate di citazioni di musicisti. Era un locale che
trasmetteva una
vivacità contenuta, non eccessiva e inoltre Edward sembrava
conoscere le
persone che ci lavoravano.
«Ehi
Sam! Un tavolo appartato per due per favore.»
«Certo
Ed! Chi è questa bella ragazza?»
Degli
occhi piccoli e vispi, appartenenti ad un
volto paonazzo mi scrutarono simpaticamente.
«E’
semplicemente lei, Sam.»
E’
semplicemente lei.
E’
semplicemente lei.
E’
semplicemente lei.
Mi
gustai queste parole ripetendole come una nenia
nella mia mente.
Sono
semplicemente io, ragazzo senza nome.
«Piacere,
Isabella.» Allungai una mano verso l’uomo
che prontamente la strinse.
«Il
piacere è il mio, Isabella! Sono Sam, prego
accomodatevi su quel tavolo laggiù, se volete ordinare
fatemi un cenno e
arriverò.»
Gli
sorrisi educatamente e mi sedetti sul tavolo
isolato che aveva richiesto.
Mi
trasmetteva calore e amore questo locale.
Mi
sentivo a casa.
Ma
era merito del locale o merito del ragazzo senza
nome?
Del
ragazzo senza nome, lo sai.
«Vorrei
parlarti, Isabella.»
«Dimmi»
Mormorai stringendo la sua mano,
giocherellando con le sue dita.
Un
modo per far evadere l’ansia che repentinamente
mi aveva assalito.
«Io,
vorrei dirti che voglio provarci. So che può
sembrare assurdo, che è assurdo,
infondo non ci conosciamo neanche eppure io sento di conoscerti. Sento
che mi
conosci meglio tu che chiunque altro. Sento che voglio provare a
rompere questa
diga di silenzio tra noi con le parole
che tengo da troppo tempo imprigionate in me. Sento che
voglio smettere
di scusarmi. Sento che voglio essere la tua ancora Isabella,
così come tu sarei
la mia… se vorrai. Non ti chiedo di frequentarci o di stare
insieme, perché tu
ed io non apparteniamo a nessuna di queste categorie. Siamo solo Edward
e
Bella.»
Ma
tu hai già inondando questo silenzio di parole, tesoro.
Tu
non comprendi che anche silenziosamente parliamo.
Se
tu mormori, io ti sento.
Se
tu parli, io ti sento.
Se
stai in silenzio, io ti sento.
Io
ti sento, Edward.
Io
ti sento, mia ancora.
Io
ti sento.
Mi
alzai dal posto e delicatamente appoggiai le mie
labbra sulle sue. Non feci alcuna pressione, così come
nessuna pressione fece
lui.
Stavamo
respirando l’altro, stavamo parlando, stavo
rispondendo.
Poi,
dopo un tempo indefinito, tornai a sedere sulla
sedia sorridendogli.
«Non
sarà facile, Edward. Io sono una ragazza
complicata, sofferente. Io fuori sorrido e dentro muoio.»
«Trovo
le cose semplici noiose.»
«Arriverà
un punto in cui amerai la semplicità che
ora sdegni.»
«Arriverà
un punto in cui ci salveremo.»
«Arriverà
un punto in cui ci distruggeremo.»
«Arriverà
il punto in cui ci sarà luce.»
«Arriverà
un punto in cui mi lascerai, come tutti
gli altri.»
«Ed
è qui che ti sbagli piccola; io non sono “tutti
gli altri”»
E
sugellò questa frase con un bacio dal retrogusto
amaro, dal retrogusto del dolore ma con un sapore preciso che porta il
nome di
speranza.
Riusciremo
a salvarci, ragazzo senza nome?
Riusciremo
ad essere Edward e Bella?
Non
gli chiesi nulla e lui non mi rispose.
Strinse
la mia mano e mi baciò nuovamente.
Mi
baciò e riemersi dalle acque oscure che
puntualmente mi facevano annegare.
Riemersi.
|
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Capitolo 6 *** runaway. ***
Saaaaaaaaalve.
Eccomi con il nuovo capitolo di
Sleeping with ghosts.
Da qui, inizia davvero
questo storia.
Spero vi piaccia, fatemi sapere.
Un bacione, Chuck.
ps: si ringrazia Ever
Lights per lo splendido banner! :3
#6
Runaway.
"I
wanna run away
Never say goodbye
I wanna know the truth
Instead of wondering why
I wanna know the answers
No more lies"
-Runaway,
Linkin park.
«Non
so cosa indossare.»
«Perché
non hai abiti, giustamente.»
«Edward,
non sei simpatico» Risposi tirandogli un
cuscino in faccia, sbuffando.
«Se
vado al ristorante in tuta da ginnastica, faccio
una brutta figura?» mormorai, appoggiando il capo sul suo
petto.
Il
suo odore mi faceva impazzire, era dolciastro ma
non troppo; ma forse mi faceva uscire fuori di testa così
tanto soltanto perché
era di Edward.
«Per
me saresti bellissima anche con un sacco di
plastica a coprirti.» Accarezzò le mie braccia
nude più volte, percorrendo un
percorso immaginario che mi diede i brividi… o forse erano
le sue labbra, così
vicine al mio collo eppure così distanti, a causarmi tutto
ciò?
«Sarei
bellissima perché il sacco mi coprirebbe
anche il capo, ecco perché.» dissi mentre cercavo,
invano, di alzarmi.
«Non
dire mai più una cosa del genere, tu sei bella
non solo di aspetto ma anche dentro, anche qui»
picchiettò con dolcezza la mano
sul mio cuore, « ancora non te ne rendi conto, ma lo sei. Non
farti macchiare
da tuo passato, piccola.»
I
suoi occhi erano capaci di farti viaggiare,
volare, senza alcun biglietto o altro mezzo di trasporto.
I
suoi occhi erano caldi, avvolgenti; i suoi occhi
erano fiumi di parole non dette.
Iniziai
a piangere.
Nessuno
mi aveva mai considerata bella dentro, l’importante
era
l’esterno; ma non per lui.
Incapace
di pronunciare alcun ché, lo baciai con
delicatezza cercando di assaporare il più possibile la pace
che mi trasmetteva.
Aveva le labbra ammorbidite dalle mie lacrime, e quando la sua lingua
ricercò
la mia, potei constare che anch’ella aveva il medesimo sapore.
Avevo
baciato molti ragazzi nella mia vita, eppure
Edward era l’unico che avessi mai baciato davvero.
Quanta
dolcezza mi ero negata? Quanto amore? Quanto
affetto? E quanto dolore e solitudine avevo inseguito?
«Noi
ci salveremo, Isabella Swan. Ci salveremo.»
Mormorò sulle mie labbra, guardandomi con quegli occhi che
avrebbero fatto
impallidire anche le stelle, in confronto.
No,
Edward. Non ci salveremo. Tu ti salverai. Farò di tutto per
riuscirci amore, ma
non io. Sono troppo danneggiata, troppo disadattata per potermi
salvare. Le
cicatrici pulsano, hanno vita propria; e come posso riuscire a mettere
fine ad
una vita?
Tu
ti salverai, ragazzo senza nome.
Mi
alzai delicatamente da quel porto sicuro e, con
leggerezza che la mia mente e il mio cuore non avevano, gli dissi che
nessuno
mi avrebbe salvato dalla furia di Marie se solo avessi ritardato di
dieci
minuti.
Lui
rise, ed io anche.
La
temperatura aveva perso la serietà del momento,
quella a cui tentavo sempre di sfuggire.
Sarei
riuscita a non fuggire questa volta?
-Edward.
Mai
sono stato così sicuro di una scelta compiuta.
Solitamente, dato il carattere impulsivo, compivo delle azioni per poi
pentirmene.
Ma
non ora, non con Isabella.
Con
la problematica, sofferente, lunatica Isabella.
In
fine, per la cena aveva optato per un paio di
semplici jeans che fasciavano alla perfezione le sue gambe, con una
canottiera
dei Joy Division e tacchi.
Una
strana combinazione che, letta bene, farebbe
comprendere molto del suo carattere.
E
quanto è bello il suo sorriso? Dovrebbe ridere
più
spesso, come questa sera.
«Ti
giuro, appena sono entrato tutte mi stavano
guardando incantate; come faccio a non montarmi, sorellina?»
disse ridendo
Stefan.
«Anche
perché gli stronzi vanno e sono sempre andati
di moda, in effetti.» disse Marie, ammiccando verso George.
«Con
questo cosa intendi dire, mio splendido amore?»
disse lui in risposta.
«Ecco
che ora utilizza la tattica del compagno
dolce, fa sempre così quando il discorso non gli va
bene.»
Con
questa battuta l’adorabile e arzilla nonna di
Isabella causò un’ilarità generale, che
contribuì a rendere la serata più
piacevole.
Ma
poi, mentre Isabella stava ancora battibeccando
con Stefan, e Marie con George, vidi mio “padre”.
Il
sangue mi si gelò nelle vene e, quando notai lo
sguardo di Isabella seguire il mio, ebbe la stessa reazione.
«Devo
andare un attimo, torno subito.» Mi scusai con
tutti e, dopo aver dato un bacio sulla fronte a Bella, stavo per
avviarmi da
mio padre quando fu lui a venire.
«Ciao
figliolo. Ciao anche a te, Isabella. Ti trovo
molto meglio rispetto all’ultima volta che ci siamo
incontrati.»
Ed
Isabella, in risposta si alzò e andò via, seguita
velocemente da Marie; lasciando me impietrito e George con Stefan che
guardavano con rabbia il Signor Masen.
Una
domanda, una sola, in mente; cosa sta
succedendo?
-Bella.
«Isabella,
piccolina, dove sei?» canticchiò l’uomo
a mezza bocca, mentre Isabella si
rannicchiò dentro l’armadio, cercando di coprirsi
con tutti i capi possibili.
In
quel momento, voleva soltanto sparire.
Potersi
volatilizzare.
Ma
non poteva e restò, tremante, a sperare.
«Piccolina,
non mi scapperai, lo sai? Tua madre ha già fatto la fine che
meritava e tu,
tesoro, la raggiungerai a breve, se non esci fuori
immediatamente.»
L’uomo
vestito di nero continuava a camminare, imperterrito, con il coltello
insanguinato tra le mani.
Al
suo passaggio, gocce di sangue cadevano sul pavimento di legno.
La
piccola strinse tra i denti il bavero del cappotto del padre, per non
urlare;
non sapeva però come frenare i tremiti e le lacrime.
Aveva
soltanto dieci anni, Isabella.
Non
voleva morire.
Non
avrebbe voluto vedere morire la madre e il padre.
Non
avrebbe voluto nulla di tutto ciò; avrebbe voluto soltanto
continuare a giocare
con le sue bambole di pezza che, al momento, il suo aguzzino stringeva
tra le
mani.
Lo
poteva vedere, Isabella.
Ora,
dallo spiraglio tra le ante dell’armadio,
poté
vedere l’assassino camminare
avanti e indietro per la stanza, stringendo Molly tra le mani; fu un
attimo e
vide la testa della bambola rimbalzare sul legno della porta.
Isabella
strinse ancora più forte il bavero, facendo uscire delle
gocce di sangue e
lacrime mentre tra sé e sé stremata, tentava di
ricordare le parole del padre:
“devi sopravvivere amore, devi sopravvivere”.
«ISABELLA!
SE NON ESCI TI GIURO CHE QUANDO TI TROVO TI RIDUCO PEGGIO DI QUELLA
PUTTANA DI
TUA MADRE!» urlò l’assassino dagli occhi
azzurri, per poi riabbassare il tono
di voce nell’istante seguente, «dai piccolina, per
favore, non amo giocare a
nascondino, perché ci metto molto tempo a trovare le persone
e, quando le
trovo, poi mi arrabbio per il tempo sprecato.»
Gironzolava
per la stanza e, improvvisamente, quando sembrava che stesse per andare
via, si
bloccò di fronte all’armadio.
Vide
le sue lunghe mani avvicinarsi, Molly ormai acefala e con gli arti
mozzati; ed
i suoi occhi che entusiasti e
accessi di
una luce folle guardavano i suoi.
L’aveva
trovata.
Sarebbe
morta; come sua madre e suo padre.
Sarebbe
morta.
«Finalmente
ti ho trovata, piccola.»
«Isabella,
Isabella! Amore, sono qui, sono Marie,
Isabella!» Percepii con il corpo due braccia che mi
strattonavano, ma non avevo
la forza né il coraggio di rispondere.
Non
poteva essere lui, perché
stava a marcire in prigione grazie a Charlie ed i suoi
soldi e, inoltre, nonostante gli occhi azzurri non poteva essere il
padre di
Edward.
No,
non poteva.
«Nonna,
è lui?»
mormorai, stremata dai ricordi.
Prima
della risposta passò un tempo infinito, doloroso.
Un
tempo che sapeva di pensieri contorti,
sofferenti, atroci; di menzogna.
«No
amore mio, non è lui.»
Eppure
non riuscii a crederle del tutto.
|
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Capitolo 7 *** It's all wrong,it's all right. ***
Salve!
Ecco a voi il nuovo capitolo di sleeping!
Grazie
a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le
preferite/ricordate/seguite;
per di più grazie a chi ha recensito
questa storia, come NanaSpunk, ed
altre!
Grazie!
In
particolare volevo ringraziare
infinitamente
LBetty per la sua stupenda recensione nello scorso
capitolo…quando lo rileggo sappi che ancora mi emoziono da
morire, tesoro.
Ed
è grazie a
quella recensione che non vedo
l’ora di portare avanti questa storia, e di migliorarmi
sempre di più.
Per questo
motivo, il capitolo è per
te, tesoro. <3
ps: per
domanda riguardo alla storia, intasatemi su ask --> capolinea.
"And if somebody hurts you, I
wanna fight
But my hands been
broken, one too many times
So I’ll use my
voice, I’ll be so f*cking rude
Words they always win,
but I know I’ll lose"
-Another love, Tom Odell.
#7
It's
all wrong,it's all right.
«Cosa
ci fai qui?» ringhiò Edward al padre.
«Cena
di lavoro, e tu cosa ci facevi con quella?»
A
queste parole dette con sarcasmo ed odio palese, gli
uomini seduti attorno alla tavola
si
alzarono di scatto; al che l’uomo dagli occhi azzurri
scoppiò in una risata
derisoria mentre Stefan veniva trattenuto da George.
Se
solo quest’ultimo avesse mollato la presa,
senz’altro qualcuno sarebbe andato in carcere quella notte.
«Segui
per una volta il consiglio di tuo
padre…Lascia stare quella ragazza, è anche
più fallita e penosa di te, e sai
che ce ne vuole per dire questo.»
Edward
scattò in avanti e, prima che lui si stesso
si accorgesse di ciò che fece, il pugno si
schiantò sulla mascella del padre
causando un rumore sinistro
che non fece
presagire nulla di buono.
«Puoi
anche offendere me, non mi interessa, ma non
ti azzardare ad offendere lei, essere schifoso.»
E
con una nonchalance ostentata, il ragazzo senza
nome se ne andò, seguito da Stefan e George; non prima che
il migliore amico di
Bella gli desse un altro pugno.
Ma
l’avrebbe pagata l’uomo con gli occhi azzurri,
l’avrebbe pagata; questo il pensiero costante e furioso di
George, mentre
sempre più inquieto ed arrabbiato usciva dal ristorante.
«“Il
numero da lei chiamato non è al momento
raggiungibile, riprovi più tardi, grazie
e…” vaffanculo»,
mormorai tra me e me.
Dopo
l’incontro
fugace avuto con mio padre nel
ristorante, nell’esatto istante in cui Isabella
lasciò il locale capii che il
filo sottile su cui stavamo imparando a camminare, si era inclinato.
Dopo
la lite con il mostro, lasciai
Stefan e George sul
marciapiede basiti finché con passo lesto mi allontanai
continuando a chiamare,
-inutilmente, Isabella.
Scaraventai
il telefono
contro il muro,
urlando e continuando a
dar pugni contro il
sacco da boxe che si
trovava nella mia camera.
È
sempre stata colpa tua, sempre a causa tua le
persone a cui tenevo o sono andate via, o morivano… mamma.
Un
gancio.
Ti
ho sempre odiato, mi hai
ucciso, seppellito, distrutto.
Un
altro pugno.
Mi
hai sempre trattato come un fallito, un’idiota,
un buon annulla, quando l’unico a esser inutile sei tu.
Altri
pugni, forti e
precisi ed il saccone incassava i colpi piegandosi su se stesso.
Piegandosi,
accartocciandosi come feci io con me
stesso a causa tua.
Come
ha fatto Bella a causa tua, sotto il tuo
sguardo.
Come
ci siamo ringrinziti noi amanti, a causa tua.
Il
sacco cadde a terra con un tonfo pesante,
accompagnato dal sangue che copioso fuoriusciva dalle mie nocche.
Suonò
il campanello,
una volta, due, tre, quattro.
Non
me ne curai e mi
accasciai a terra, portando le ginocchia al petto.
Andate
via, lasciatemi stare, lasciatemi soffrire.
Lasciatemi
piangere, sfogarmi.
Lasciatemi.
Lasciatemi
stare.
(ascoltatela
fino alle fine, per
favore.)
«Edward.»
Un
mormorio indeciso,
che nascondeva la mia stessa sofferenza.
Il
suo mormorio.
Mi
alzai di scatto e
quando aprii la porta trovai Isabella seduta a terra, in lacrime.
Senza
dire una parola,
in silenzio, avvolsi
il suo corpo tra le
mie braccia e la portai in braccio fino divano del salotto, dove la
depositai
con dolcezza.
Per
un tempo indefinito
tutto tacque.
Il
nostro dolore, le
lacrime, le parole dette e non riferite, le nostre storie, la nostra
vita, le
nostre domande poste e mai risposte; tutto fermo.
Per
un’ istante
io e lei fummo infinito, finché non
prese la mia mano portandomi in camera.
Mi
guardò con i suoi
occhi indecifrabili e lucidi, mentre si distendeva sulle coltri bianche
del
letto.
«Dimostrami
come si
ama, Edward.»
Era
sbagliato, era
dannoso, eppure era dannatamente giusto.
L’unica
cosa di cui
entrambi avevamo bisogno in cui momento, era sentirci amati.
Non
importava se poi
avremmo sofferto, se ciò era veleno con cui ci stavamo mano
a mano nutrendo e
morendo.
Sarebbe
stato comunque
il veleno migliore del mondo, sarebbe stato una bella ferita da
mostrare.
Il
nostro amore sarebbe
stato una ferita palpabile ed invisibile.
Una
ferita per cui
sarei orgoglioso di morire.
“Edward
Cullen, ragazzo morto a causa dell’amore.”, ecco
ciò che scriveranno sulla mia lapide.
«Smettila
di pensare a
ciò che scriveresti sul tuo taccuino ragazzo senza nome,
insegnami ad amare.»
Ma
ti sto già amando piccola, solo che tu, donna
ignorante a questo sentimento non lo noti; o forse hai soltanto paura
di
notarlo.
Perché
automaticamente anche tu dovresti ammetterlo
a te stessa, e ciò ti farebbe star male… ti
farebbe paura.
Mi
sdraiai sul suo
corpo e lentamente le tolsi la maglietta, accarezzando con la calma la
sua
pelle.
Era
bianca, lattea,
liscia, finché non raggiunsi le cicatrici
all’altezza del basso ventre.
E
lì, compresi di aver sbagliato.
Lei,
per mostrarmi le sue ferite, aveva già compreso
di amarmi.
Stava
già soffrendo d’amore.
Mi
chinai su di esse e,
con delicatezza, le baciai uno ad uno, per tornare alla sue labbra e al
suo
viso quando sentii il suo corpo scosso dai singhiozzi.
«Sei
bella, angelo. Lo
sei.» Un bacio sul collo.
«Ed
è questo che dirai
alla tua prossima donna?» mormorò sulle mie labbra.
«No,
le dirò anche che
avevi una pelle morbida, che era fuoco e ghiaccio insieme.»
Una carezza sul
volto, sul seno destro, sui fianchi, sulle cicatrici.
«Le
dirò che avevi
degli occhi bellissimi, espressivi, sofferenti; veri. Degli occhi che
cercherò
negli sguardi di tutti i passanti, degli occhi che lei non
avrà mai, degli
occhi che sanno come tormentarmi. Le dirò che avevi degli
occhi che sarebbero
diventati i miei nuovi fantasmi. Degli
occhi che sapranno come tenermi sveglio la notte.» Un bacio
sugli occhi, sulle
palpebre incastonate nelle lacrime.
«Le
dirò che avevi il
naso piccolo e un po’
all’insù» Un bacio sul naso.
«Le
dirò che avevi
delle labbra indescrivibili, stupende» Un bacio, un morso
delicato che le fece
aprire quest’ultime, per portare la mia lingua a giocare e
soffrire con la sua.
Mi
staccai ansimante e
con la bocca creai un percorso immaginario che mi portò dopo
il suo collo, ai
suoi seni.
Slaccia
il reggiseno, e
baciai tormentando con i denti i suoi capezzoli eretti.
«Le
dirò che avevi dei
seni bellissimi.»
«Non
sono perfetti,
Edward.» Ansimò, ricercando le mie labbra che
prontamente trovò.
«Le
tue imperfezioni
sono la mia perfezione, amore.»
Asciugai
tutte le sue
lacrime, mentre lentamente continuai la scoperta del suo corpo.
«E
poi le dirò…»
«Basta
Edward, non ti
immaginavo così prolisso. Ti lascerà se
continuerai a parlarle di me.» Sorrise
mentre pigramente subiva e accoglieva le mie carezze più
intime.
Risi
sul suo collo e,
per il momento, smisi di parlare con la voce.
I
nostri sguardi, le
nostre labbra e i nostri corpi uniti comunicarono al posto di noi
esseri impauriti
per tutta la notte.
«E
tu cosa dirai, al
tuo lui?» Le chiesi mentre con calma e svogliatezza
accarezzava i miei capelli.
«Non
ci sarà più vita,
più amore, più gioia dopo di te.»
«Prevedi
che ci sarà un
dopo?»
«Tutti
i sogni si
infrangono al risveglio, Edward.»
«Ma
i sogni possono
diventare realtà.»
«Non
in questa di
realtà, purtroppo.»
«Isabella…»
«Le
cicatrici ho
iniziato a provocarmele all’età di dodici anni,
non…non riesco a spiegarti
perché, mi dispiace.» La strinsi a me, senza
sapere cosa dirle perché qualunque
cosa avessi detto in quel momento sarebbe stata inutile; tranne due
parole
dette con sincerità, forse.
«Ti
amo.» La guardai
negli occhi mentre glielo dissi.
Guardai
in quegli occhi
che sapevano uccidermi e rinascere.
Guardai
in quegli occhi
che raccontavano storie senza fine.
Guardai
in quegli occhi
che, ne ero certo, avevano incasinato la mia mente e il mio cuore.
Guardai
in quegli occhi
che mi avrebbe tenuto sveglio la notte, assieme ai miei fantasmi.
Guardai
lo sguardo che
avrei ricercato tra i passanti come un’anima dannata
all’inferno.
«Ti
amo e scusami.»
Mormorò, mentre i nostri corpi dolcemente ripreso ad amarsi.
Drin,
drin, drin.
Mi
stropicciai
confusamente gli occhi, spegnendo la radiosveglia.
Tastai
il letto,
sperando di trovare il calore del corpo di Isabella… non lo
trovai.
Mi
alzai di scatto,
sentendo tutti i sintomi di un imminente crisi di panico che non avevo
da anni.
«Isabella!»
Aprii la
porta del bagno; non c’era.
«Isabella!»
Aprii la
porta dell’altra stanza; non c’era.
«ISABELLA!»
Non era né
in sala, né in cucina.
Non
preoccuparti
Edward, sarà uscita e ti avrà
lasciato un biglietto con delle
spiegazioni.
Non
ti preoccupare.
Ebbi
ragione.
Sopra
la chitarra, un
biglietto bianco, candido, spiegazzato più volte faceva
bella mostra di sé.
“Grazie
di avermi fatto sentire amata almeno una
volta nella vita dopo quel fatto.
Ma
non posso stare con te, non posso danneggiarti.
Mi
dispiace, ti amo; va avanti con la tua vita,
dimenticami.
Vivi.
Isabella.”
Mi
accasciai a terra,
sentendo i tremiti aumentare.
Portai
le mani alle
orecchie, tamponandole con forza mentre urlavo a squarciagola.
Un
nuovo scheletro,
decisamente più ingombrante, doloroso e dannatamente
presente, si era aggiunto
nell’armadio, accompagnato dalla consapevolezza che stavolta
non sarei riuscito
a sopravvivergli.
Crollai,
in uno stato
di incoscienza, in mente una sola frase:
«Tutti
i sogni si infrangono al risveglio, Edward.».
|
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Capitolo 8 *** All my tears, have been used up, on another love. ***
chap
Saalve.
Okay,
questo capitolo non mi piace per nulla.
Ho
provato a cambiare, ricambiare, ma nada, non mi
piace affatto.
Scusatemi
per questo capitolo schifezza.
Un
bacio e fatemi sapere cosa ne pensate, per
favore. Ne ho bisogno per poter continuare questa storia al meglio.
<3
#8
All my tears, have been used up, on another love.
"It breaks my heart 'couse I know
you're the one for me
Don't you feel sad,
there never was a story, obviously
it'll never be,
(...)
You won't find out what has been killing me
Can't you see me?
can't you see?"
-Imany, you will never know.
Tre anni dopo.
«Sei
pronto?»
«Devo
esserlo.»
Camminai
con passo spedito e il volto rivolto verso il basso, raggiungendo il
centro del
palco tra i vari schiamazzi del pubblico.
«Buona
sera.» Mormorai, in seguito presi in mano la chitarra ed
iniziai a suonare.
Non
mi
concentrai più sul resto della sala, bensì sulle
mie emozioni e le parole della
canzone che ero in procinto di cantare per lei.
I wanna take
you somewhere so you know I care
But it’s so cold and I don’t know where
Ti vorrei
portare dove vuoi, nei luoghi che meriti di visitare, vorrei portarti a
delle
feste, vorrei aiutarti a vivere, ma non so dove e come, tesoro.
Non so dove
portarti.
And I wanna
kiss you, make you feel alright
I’m just so tired to share my nights
I wanna cry and I wanna love
But all my tears have been used up
On another
love, another love
All my tears have been used up
On another love, another love
All my tears have been used up
On another love, another love
All my tears have been used up
Vorrei
baciarti solo per farti sentire meglio, sai? Ma non riesco.
Io ti bacio,
io ti accarezzo, io vorrei amarti, vorrei vederti… ma non ti vedo.
Vorrei
poterti dare l’amore che meriti di ricevere per starmi
accanto, ma non riesco.
Vorrei
poterti baciare e dirti che andrà meglio, che ci
sarà un domani per te, per noi; ma
non riesco a dirtelo, neanche a
pensarlo.
Vorrei
smettere di soffrire e vorrei iniziare ad amarti, ma non posso.
Non
posso perché ho speso tutte le mie lacrime per un
altro amore.*
And if somebody
hurts you, I wanna fight
But my hands been broken, one too many times
So I’ll use my voice, I’ll be so f*cking rude
Words they always win, but I know I’ll lose
And
I’d sing a song, that’d be just ours
But I sang ‘em all to another heart
Vorrei anche
che questa canzone parlasse di noi, di noi soltanto.
Ma non è
possibile, Sam.
Lei ci sarà sempre.
In ogni
testo che ho scritto, in ogni notte insonne, negli sguardi dei
passanti, nelle
giornate vuote, nelle nostre risate, nei nostri momenti, nelle mie
paure, nelle
mie gioie, lei ci sarà sempre.
Lei non mi
lascerà mai nonostante l’abbia fatto.
Lei mi manca
e mi mancherà per sempre.
Non smetterò
mai di vederla.
And I wanna
cry, I wanna fall in love
But all my tears have been used up
On another love, another love
Vorrei
riuscire a piangere.
Vorrei
riuscire ad innamorarmi di te.
Ma non ci
riesco.
Non posso e
non potrò mai.
Mi dispiace,
mi dispiace Sam.
Ma tutte le
mie lacrime, il mio essere, il mio dolore, il mio amore sono stati
spesi per
lei.
Per un altro
amore.
Un altro
amore.
Un amore che
non ti riguarda.
Mi
dispiace, Sam.
Alzai lo
sguardo quando ebbi terminato la canzone, cercando quello Isabella, di
una
persona che non avrei più incontrato e mai dimenticato, ma
incontrai il suo.
Scusami
Sam, scusami.
Ma lei
accettò le mie scuse.
Lei
accetterà sempre le mie scuse.
Mi sorrise,
un sorriso triste e sofferente; specchio del mio.
Cosa mi
hai fatto, Isabella?
Mi hai reso
soltanto un guscio vuoto che camminerà e
sorriderà, ma dentro morirò un poco
alla volta giorno per giorno, per una
altro amore.
-ascoltatela
fino alla fine, per favore.
-Bella.
«Isabella,
ti va di uscire dopo? Pensavamo di andare al pub con gli altri
del corso, vieni?»
«Cosa?»
«Mi stai
ascoltando?» Mormorò Maya, leggermente infastidita
dalla mia
disattenzione.
«Scusami,
mi ero distratta un attimo.»
«Dovresti
smetterla di ascoltare questa canzone, sai? Non ti fa bene
sentirla, e lo sai.»
«Sì,
scusami, hai ragione.»
Hai
ragione, ma non
posso smettere di ascoltare la voce di Edward, non posso.
Non
posso smettere di
sperare che le sue parole, siano rivolte a me.
Non
posso smettere di
odiarmi per ciò che ho fatto.
Non
posso smettere di
pensare a lui, a quella notte.
Non
posso smettere.
Semplicemente
non posso
smettere di amarlo.
Non
posso smettere di
piangere per un altro amore, il suo.
Non
posso.
Anche
se non saprà mai ciò che provo.
Anche
se non gli dirò mai ciò che provo ancora.
Anche
se non glielo dimosterò più, io non posso
smettere di amarlo.
Non
posso smettere di amarlo.
«Ci
sarà anche Derek, sai? Mi ha chiesto di parlare in privato,
questa
sera, secondo te cosa mi dirà?»
«Non lo so
Maya, forse i sentimenti che prova per te.»
«È
complicato.»
È
complicato, ha detto.
Voi
vi amate, non avete
scheletri nell’armadio che posso impedire il vostro amore.
Non
avete ferite che vi
hanno cambiato nel profondo.
Tu,
Maya, non hai visto
i tuoi genitori esser uccisi da un mostro che stava per uccidere anche
te.
Tu,
Maya, non ti sei mai
auto lesionata.
Tu,
Maya, non sei mai
stata sbattuta da una clinica all’altra.
Tu,
Maya, non hai mai
sofferto come ho sofferto io.
E
lui, Derek, non ha mai
provato tutto il dolore che ha provato Edward
Tutto
il dolore che io,
gli sto infliggendo.
Tra
voi non è
complicato.
Non
è complicato.
Non
è il vostro di
amore, ad esser complicato.
«Se
c’è amore nulla è complicato,
Maya!» Rispose Stefan, appena
sopraggiunto alle mie spalle.
Non
è vero Stefan e lo
sai.
«Io devo
andare, è appena arrivato mio fratello! A stasera!»
«Te la
potevi anche risparmiare, questa.» Mormorai una volta che lei
salì in auto.
«Risparmiarmi
cosa, Isabella?» mi
guardò negli occhi, prima di continuare, «sono
passati tre anni, tre anni in
cui non hai vissuto, perché senza di lui tu non vivi. Non
è complicato il
vostro amore, lo sei tu, il che è diverso!»
Le
lacrime, le mie odiete ed eterne compagne lacrime iniziarono a fluire
sul mio volto, ignorando la mia volontà.
Le
sue parole mi avevano ferite.
La
verità, mi ha ferita.
«Scusa
piccola.»
«Non ti
preoccupare, Stefan. Non posso arrabbiarmi se ciò che dici
è la
verità.»
Passò un
braccio attorno al mio collo, lasciando poi un rumoroso bacio
sulla guancia che pulii scherzosamente con una smorfia schifata in
volto.
«Ti voglio
bene.»
«Te ne
voglio anche io, fratellone. Ed ora andiamo, nonna Marie ci
aspetta!»
------------------
“Non è
complicato il
vostro amore, lo sei tu.
Mi
dispiace, Stefan.
Mi
dispiace, Edward.
Mi
dispiace di esser
così complicata, di esser così fragile e
sfuggente.
Mi
dispiace di essere me
stessa.
Hai
presente Mallory
quando ti trovi in mezzo ad un gruppo di persone, e tu ti immagini
sola, come
avvolta da una coltre di nebbia, in cui le parole altrui filtrano
confusamente?
Io
mi son sempre sentita
così.
Soltanto
con lui, il
ragazzo senza nome, la nebbia era sparita.
C’era
luce, lui ed io,
non più sola.
Ma
non mi sono mai
sentita adatta, mai me stessa pienamente.
Non
sono la ragazza
dalla battuta pronta.
Non
sono la ragazza
solare, che ti fa sorridere.
Non
sono la ragazza che
vorrei essere.
Sono
semplicemente io,
Mallory.
Stanca,
stufa di esser
ciò che sono.
Un
“io” che Edward non
merita.
Lui
merita una che la
faccia sorridere.
Una
che l’aiuti a
superare il suo passato.
Una
che lo faccia
ridere.
Una
che non è talmente
pazza da scrivere le lettere alla parte più vera di
sé stessa.
Lui
merita un “io” che
non ho.
Ma
voglio cambiare.
Dovrei
dire che vorrei
cambiare per me, ma non è così.
Voglio
cambiare per lui.
E
anche se non lo
incontrerò mai più, anche se lui si è
trovato una persona che non sono io da
amare, -come Sam, cambierò.
Io
cambierò Mallory.
Cambierò.
Baci, Isabella."
Chiusi la lettera con
cura, e nel momento in cui aprii il cassetto della
scrivania per inserire il mio sfogo, lo vidi.
Un biglietto, un
semplice biglietto di un concerto; il suo.
In allegato vidi
scritta con grafia elegante, -appartenente soltanto a
Stefan, una domanda:
Cosa farai, Isabella?
---------------
Non
posso perché ho speso tutte le mie lacrime per un
altro amore.*---> traduzione di una frase della canzone, Another love, di Tom Odell.
ps: la canzone cantanta da Edward è la sopra citata! :3
un bacione! <3
|
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Capitolo 9 *** shattered. ***
Hoola.
Ecco
a voi il nono capitolo di Sleeping.
Oddio,
già siamo arrivati al nono :')
Che
dire...è breve ma...intenso, penso.
Si
capiscono un pò più di cose del passato di
Isabella, che si chiariranno senz'altro nei capitoli a seguire.
Grazie
per chi segue/preferisce/ricorda/recensisce/legge soltanto questa ff!
Un
bacione! :*
Buona
lettura (?)
ps: ho
iniziato una nuova ff e sarei felice se vorreste passarci, ora vi
lascio il link! :3 (fandom twilight!)
Tutto
torna, e noi?
"And Ive lost who I am
And I can’t
understand
Why my heart is so broken
Rejecting your love
Without love gone wrong
Life
Less words
Carry on"
-Shattered,
Trading Yesterday.
-(ascoltatela fino alla fine, per favore.)
#9
Shattered.
«Sono
stanca.
Stanca
di esser continuamente in ansia. Ha
presente signore, quell’ansia che ti attorciglia tutti gli
organi in un
groviglio doloroso e confusionario, quell’ansia che ti
attanaglia il cuore come
se qualcuno si divertisse a stritolarlo, causandoti soltanto dolore?
Ecco, io
mi sento sempre così.
E
vorrei riuscire a dormire, ma non
riesco.
Appena
provo a coricarmi,-sempre in
compagnia di nonna Marie o del mio migliore amico Stefan,
l’incubo continua.»
«E
cosa sogna di solito, signorina?» con
un dito il signor Spencer riportò gli occhiali, appena
scivolati sul naso
aquilino, verso l’alto.
«Sogno
che lui uccida anche me. Che non
riesca a fermarsi grazie all’intervento della polizia e della
sua follia che lo
ha portato a dilungarsi in deliranti discorsi. Sogno i miei genitori,
ricordo
insistentemente il modo in cui gli ha torturati di fronte ai miei
occhi. Ho
paura, signore. Ho paura.»
Spencer
allungò la convezione di
fazzoletti, che utilizzai per asciugare le lacrime.
«Signorina,
il tempo a nostra disposizione
è scaduto. L’aspetto per la prossima seduta, e si
asciughi gli occhi, perché
son talmente belli che è un peccato veder annegare nelle
lacrime.
Con
un cenno del capo annuì,
ringraziandolo silenziosamente per l’aiuto.
Ma
le lacrime del cuore, chi me le avrebbe
mai asciugate, signor Spencer?
Ma
soprattutto, sai mai riuscita a
ritornare alla vita, mio caro psicologo?
--------------------------------
«Sei
davvero sicura, Isabella?»
«Stefan,
è la trentesima volta che me lo chiedi.»
«Lo
so, ma volevo soltanto sapere se ecco, eri sicura.»
«Lo
so che sto per rivederlo, lo so benissimo. Eppure devo farlo.»
Voglio
farlo.
Voglio
rivedere i suoi occhi, il suo
volto, le sue mani, il suo corpo, il suo sguardo.
Voglio
rivedere lui, Stefan.
Perché
ciò che più mi terrorizza non è
tanto un suo cero rifiuto, -non voglio tornare assieme a lui, non me lo
merito;
bensì la perdita di memoria.
Non
voglio dimenticare neanche un
particolare di lui, questo è ciò che
più mi spaventa.
Non
riuscirei a sedare i miei incubi
causati dal mostro con gli occhi azzurri, non ci riuscirei.
«E
poi non eri tu il mandante dei biglietti?» Ruotai gli occhi
verso il sedile del
guidatore.
In
risposta semplicemente si aprì in un sorriso che
illuminò tutta l’auto e stesse
per parlare, quando gli arrivò una chiamata sul cellulare.
Dalla
gioia che emanavano i suoi occhi compresi all’istante che si
trattava di Leah.
Si
erano incontrati all’università di Oxford, e un
appuntamento tira l’altro, il
mio migliore amico si era innamorato di lei.
Una
ragazza bella, solare e decisamente simpatica; il meglio che potevo
sperare per
lui.
«Ti
amo anche io» sentii mormorare da Stefan.
Le
sue labbra, i suoi occhi, i suoi
gemiti.
Le
sue mani gentili e allo stesso tempo
passionali, sul mio corpo.
L’amore
che esprimeva in ogni gesto.
I
suoi baci sulle mie cicatrici, senza
chiedere nulla.
I
suoi baci.
Istintivamente
chiusi gli occhi, sentendo un calore salire riscaldando il mio cuore e
la mia
mente.
«Isabella,
devo avvertirti di una cosa, comunque…», mi
voltai, riscuotendomi dai miei
pensieri, «Edward è fidanzato.»
Edward
è fidanzato.
Provai
rabbia.
Un
rabbia distruttiva, corrosiva, mista alla gelosia più
spietata che mai ebbi
provato prima d’ora.
L’idea
che se solo non avessi avuto il passato che ho avuto, costellato
dall’uccisione
dei miei a causa di Robert Redforls, le infinite cliniche su cui sono
dovuta
andare, l’adozione da parte di Reneè e Charlie;
Edward sarebbe potuto essere
mio.
Avrei
potuto vivere una vita felice, priva di timori se non quello latente di
un
possibile abbandono.
E
invece…
«Lo
odio.»
Stefan
immediatamente capii a chi mi riferivo, difatti mi abbraccio stretto.
Ma
non ero più qui.
Ero
altrove.
Un
luogo fatto di ricordi e doloro, da cui mai sarei riuscita a tornare.
«Lei
signor Redforls, sostiene di non aver
ucciso i coniugi Denali?» proruppe l’avvocato di
Charlie Swan, amico e da poco
tutore della piccola creatura sopravvissuta al mostro.
Isabella,
la piccola Isabella si trovava
abbracciata a Reneè, tremando di paura.
Ma
sfortunatamente, assieme ai video
ottenuti dalle telecamere inserite nella sua casa lei era
l’unica testimone e
superstite di quella strage avvenuta quel 18 Settembre.
«Assolutamente.»
«E
questi video, come li spiega? Non è
forse lei l’uomo che sta violentando
Victoria Denali, e nel video precedente non è
lei ad aver ucciso
brutalmente con il calco della sua pistola Laurent Denali?»
«Sarà
un sosia.»
In
quel momento Isabella provò un’ enorme
rabbia.
Un’enorme
rabbia verso quell’uomo che a
solo dieci anni la portò ad esser sola, in balia di
sé stessa e della sua
sofferenza.
Charlie
Swan, venne tenuto per il braccio
da sua moglie, che lo ammonì con lo sguardo.
Malgrado
l’unico desiderio dei due consorti era quello di
vedere quell’uomo in un
carcere per il resto dell’esistenza, al momento non volevano
far altro che
ucciderlo.
Isabella
guardò si guardò attorno
sorpresa, felice per un breve istante di vedere tutte quelle persone
attorno a
lei che criticavano e non credevano alle parole del mostro.
Il
mostro era stato incastrano, nessuno
gli credeva.
«Vorrei
poter chiamare il mio tester,
Isabella.»
Le
ginocchia le tremarono violentemente,
aveva paura.
Paura
soltanto di guardare quell’uomo.
Eppure
doveva farlo, per sé stessa.
Per
i suoi genitori.
La
giustizia avrebbe dovuto vincere, a
qualunque costo.
La
piccola Isabella si alzò dalla sedia
tremante e si avvicinò all’avvocato di Charlie.
Il
momento della verità era arrivato.
«Piccola,
svegliati.»
Stropicciò
gli occhi più volte con le mani strette a pugno.
Senza
rendersene conto si era addormentata in auto ed ora, si trovava di
fronte al
pub in cui Edward avrebbe dovuto suonare.
Scambiò
un lungo sguardo con Stefan e scendendo dall’auto,
continuò a ripetersi che ciò
a cui aveva appena ripensato era soltanto un sogno al momento.
Soltanto
un sogno terribilmente reale.
«Te
la senti?»
«Glielo devo, gli devo la verità Stefan. Se
vorrà ascoltarla, l’avrà.»
Sarebbe
riuscito la non più piccola
Isabella a guardare negli occhi il ragazzo senza nome, e tirar fuori
tutta la
sua storia?
L’unico
cosa di cui era certa al momento,
è che mai le erano tremate le ginocchia così
tanto se non come allora, in quel
processo.
Il
momento della verità era arrivato.
|
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Capitolo 10 *** your true colors. ***
E'.STATO.UN.PARTO.
Diamine che fatica.
Per non parlare di tutte le emozioni che ho
cercato di farvi arrivare, con questo capitolo.
Mi sento svuotata,
triste, stanca ed ho fame.
Scusate per il ritardo con cui sto postando, ma
questo non è
un
capitolo...è il
capitolo...o almeno spero.
Mi faccio perdonare se metto una sua foto? :')
Dopo questa foto oltre che farmi perdonare, mi
sono giocata pure le lettrici loool.
Comunque, tornando alla storia,
c'è tutto qua dentro, t u t t o.
Spero vi piaccia e, nulla, recensite se volete.
(Y)
PS: capitolo dedicato ad una lettrice
dolcissima e simpaticissima, Lizzie98,spero
di rallegrati un pochino, tesoro.
Buona lettura pipol! <3.
#10
Your
true colors.
"You
with the sad eyes
Don't be discouraged
Oh I realize
It's hard to take courage
In a world full of people
You can lose sight of it all
And the darkness inside you
Can make you feel so small
But I see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that's why I love you"
-Cyndi Lauper - True
Colors
«Ma
quanti diavolo di camerini ci sono, in questo pub?» Sibilai
ansiosa.
«Sei
tu che dovresti saperlo. Sbaglio o questo è il posto dove ti
ha portato a cena?»
Mormorai
pesantemente, guardando con attenzione e rammarico le parenti del
“The wall”.
Citazioni di musicisti, immagini di band ovunque.
Mi
sentivo a casa, maledettamente a casa tra quelle pareti colorate e allo
stesso
tempo cupe, a causa delle sfumature un po’ stile Lana del Rey.
«A
cena, appunto. Non come visitatrice.»
«Proviamo
di qua.» Ma non feci in tempo ad aprire la porta che
immediatamente Stefan
portò una mano a coprire i miei occhi.
«Lo
so benissimo quello che stavano facendo quei due, fratellone. Non
c’era bisogno
di farmi chiudere gli occhi.»
«E
con chi saresti andata a letto insieme?» I suoi sembravano
decisamente più
grandi, in quel momento.
«Sembri
un pesce palla. Comunque con Edward.»
«Allora
va bene.» Si rilassò visibilmente,
finché non incontrammo un’altra
coppia, lungo il corridoio.
«Che
per caso è la “Festa
della liberazione
degli ormoni”? Per Dio.»
«Non
fare tanto lo scandalizzato, stallone. Per te e la tua ragazza
è sempre, la FLO.»
«FLO?»
«Festa
della liberazione degli ormoni, idiota.»
Trascinai
per una manica Stefan, dietro ad una colonna, sperando che
l’uomo che stava
arrivando non mi vedesse.
«Fai che non mi veda, fai che non mi veda,
fai che non mi veda…»
«Isabella!»
Mi aveva vista, decisamente.
«Sam!»,
gli sorrisi, mentre mi avvicinai all’orecchio di Stefan per
mormoragli concisa,
che era il capo del pub e che era amico di Edward.
«Allora
chiedigli dove si trova, così possiamo…»
«Sei
stupenda come sempre, anche in preda all’imbarazzo.»
«E
tu gentile come sempre, Sam» Ignorai volutamente
l’ironia.
«E
lui chi è, il tuo nuovo giocattolo? O no, il tuo giocattolo
si chiama Edward,
giusto?»
«Senti
Sam, non sono affari che ti riguardano ciò che è
successo tra me ed Edward, e
comunque lui è soltanto mio fratello.»
«Adesso
gli chiami così? Fratelli?» L’odio era
palese sia nel suo sguardo che nelle sue
parole.
I
suoi piccoli occhi emanavano un odio tale da ricordami brevemente
quelli di
Redforls; ma solo per un’ istante, dovevo pensare al ragazzo senza nome, in quel momento.
«Sam,
lascia stare Isabella, okay? Vai di là, che il barista ti
aspetta per i
consigli sugli alcolici da servire.»
Vidi
per la prima volta un ragazzo dai capelli neri, alto, con gli occhi
azzurri.
Aveva le labbra troppo sottili, e il fisico un po’ troppo
magro, ma aveva
comunque il suo fascino.
«Un
altro tuo amico?»
Sillabò Stefan,
infuriato dalla scenata appena ricevuta.
«Non
lo so, chi è. Non l’ho mai visto.»
Sam
ascoltò le parole del ragazzo, non prima di dirmi che Edward
era felicemente
fidanzato.
Ciò
mi distrusse molto più di tutta la sfuriata.
Come
potevo avere
l’arroganza di rientrare dopo tre anni nella sua vita,
pretendendo di dirgli al
verità che gli ho taciuto fino ad ora?
È
felice, allora
perché distruggergli questa felicità?
«Andiamo
via, Stefan.»
«Isabella
ma cosa…?»
«No,
non andartene ti prego! Sono Tom, il migliore amico del ragazzo
senza nome.»
Mi
voltai, incuriosita dal fatto che sapesse il modo con cui chiamavo lui.
Quanto
poco
sapevo, di Edward? Non sapevo nulla, né della sua famiglia,
né di lui, né dei
suoi migliori amici.
Dovrei
considerarlo un estraneo, eppure perché sento di conoscerlo
molto meglio di
quanto lo possano conoscere i suoi parenti, ad esempio?
Forse
perché sai
che uno come Richard non può essere un buon padre…
«Non
andartene un’altra volta, Isabella. Resta.
Mi faccio portare un paio di birre nel mio camerino, e
parliamo. Che ne
pensi?»
«Penso
che non posso essere così arrogante,
da tornare nella vita di Edward. E parlare con te, beh, rientra in
questo.»
«Entriamo
nel camerino, prima di fare altri incontri sgradevoli.» Disse
guardandosi alle
spalle, da dove provenivano voci di un gruppo di ragazzi.
Come
un automa lo seguii, assieme a Stefan.
«Siediti
dove vuoi.»
Mi
sedetti a terra, seguita da Stefan, nonostante il comodo divano color
carne
addossato alla parete.
A
sorpresa, anche Tom si sedette di fronte a noi.
«Birra
e sigaretta?»
«Birra
e sigaretta» acconsentimmo noi in stereo, provocando un
momento di ilarità
generale, che molto presto terminò.
Era
arrivato il momento delle parole.
Le
odiate parole,
così false ed illusorie.
«Perché
adesso e non prima?»
«Non
lo so, Tom, forse ho
capito che lui non
meritava e non merita, ciò che gli ho fatto senza uno
straccio di spiegazione.»
Un
tiro profondo, di fumo, mi calmò.
Ma
non il tremito delle mani con cui tenevo la sigaretta tra le mani e
ciò, non
sfuggi al ragazzo.
«Non
hai scusanti, sai?»
«Lo
so, Tom.»
«Quindi,
hai intenzione di dirgli tutto.»
«Ogni
cosa, se vorrà ascoltarmi. Anche se adesso sono sinceramente
in dubbio.»
«Ancora?
Isabella, ti parlo con il cuore in mano anche se non ci conosciamo,
anche se a
me sembra di sì visto che per tre anni non ho sentito
parlare di altro da
Edward, anche se è specialmente grazie al suo silenzio,
sempre denso di te, che
un po’ penso di sapere come sei.» Un lungo sorso di
birra, e poi mi guardò
nuovamente negli occhi.
«Se
decidi di voler rientrare nella sua vita così
prepotentemente, -anche se non te
ne sei mai andata, per lui; devi saper restare. Qui non si parla
più di un
tocca e fuggi. Qui si parla di restare, di dirgli ogni cosa e di
chiedergli
perdono per tutto e di restare, anche se lui forse ti dirà
di andartene. Non
puoi pensare di venire a parlargli e di andartene poi. Non puoi pensare
di non
parlargli, dopo che pochi metri di distanza vi dividono. Non lo senti,
che è
vicino a te, Isabella?»
«Non
se n’è mai andato, Tom.»
«Bella
risposta. Ma ora o la va, o la spacca. Vuoi parlarci?»
Sei
disposta ad
aprirti a tal punto con qualcuno, dicendogli tutto ciò che
hai provato?
Sei
disposta a
scombussolargli la vita nuovamente?
Ma,
cosa più
importante, sei disposta a restare?
Sei
disposta a non
mandare in frantumi il sogno al momento del risveglio?
«Sono
pronta, Tom.»
«Allora
io e Stefan ce ne andiamo, e ti porto qui Edward.»
Si
alzò, e mi stupii di come gli altri non riuscissero a
sentire il mio cuore
battere così furiosamente.
Solo
io sentivo il cuore uscirmi fuori dal petto?
Il
respiro iniziò a farsi più frequente, il cuore
così come lo stomaco si strinse
in una morsa gelida, e le orecchie iniziarono a fischiare.
Andai
in iperventilazione.
«Isabella.»
Alzai
lo sguardo pieno di lacrime, guardando negli occhi verdi di Stefan e in
seguito
in quelli azzurri di Tom.
Mi
aspettavo parole, consolazioni da loro mentre invece ricevei molto di meglio.
Mi
abbracciarono.
E
in quell’ abbraccio ci fu tutto ciò di cui avevo
bisogno.
«Grazie.»
Si
staccarono dopo poco, e dopo un tenero bacio sulla fronte da parte di
entrambi,
si alzarono.
«Tom?»
Quell’affermazione
bruciava ancora in me. Avevo bisogno di risposte, risposte sincere.
«Edward
è felice con lei?»
«Sei
tu la sua felicità e il suo dolore, Isabella.»
Poi
se ne andò, assieme al mio fratello.
Trascorsero
minuti, o forse ore, non avevo il benché minimo controllo su
ciò che stava
avvenendo in quel momento.
Non
riuscivo a pensare a nulla, se non a ciò che avrei dovuto
dire ad Edward.
Mi
avrebbe
ascoltato?
Mi
avrebbe accettato?
Ma,
cosa più
importante di tutte, mi avrebbe perdonato?
La
porta si aprì all’improvviso, e vidi il ragazzo
senza nome in piedi, ansimanti
mormorare il mio nome.
Adesso
avrei saputo se mi avrebbe perdonato.
Adesso,
era arrivato il momento di abbassare la maschera per sempre.
Ma
il ragazzo
senza nome, l’avrebbe mai ascoltata?
-Edward.
«Sei
qui», mormorò Isabella con gli occhi lucidi.
Era
bellissima, come la ricordavo.
Gli
occhi erano di un mare liquido, e tempestoso.
La
bocca leggermente schiusa, inspirava aria velocemente.
I
capelli, attorcigliati attorno ad un bastoncino dietro la nuca.
Era
bellissima e letale.
Avrei
voluto dirle che mi mancava, che l’amavo, che la odiavo, che
avrei voluto non
vederla mai più, eppure riuscii soltanto a ripetere il suo
nome, come una
nenia.
Fu
lei ad interrompere il momento, chiedendomi di sedermi e chiudere la
porta.
Eseguii
ciò che mi chiedeva, come un automa. Non avevo la forza, e
la volontà di
resisterle.
Ero
stanco.
Semplicemente
stanco di continuare ad alzare muri attorno al pensiero di lei e,
nonostante il
dolore persistente, mi sentii sollevato, felice di poterla vedere e
pensare a
lei liberamente.
Fu
come se tutte le barriere invisibili fossero crollate.
Respirai.
«Sono
qui, ed ho poco tempo, quindi muoviti per favore.»
Imbecille,
dovevi
trattarla con un minimo di rispetto. Certo, non puoi risponderle tutto
amorevole, che figura ci faresti? Però neanche
così male.
«Ora
mi metto anche a parlare tra me e me», bofonchiai.
«Volevo
dirti tutto, Edward. Tutta la verità, sul perché
me ne sono andata in quel
modo. C’è una spiegazione, te lo giuro. Vuoi
ascoltarmi?» mormorò lei, con gli
occhi che erano smeraldo fuso, e la bocca tremante.
«Sì,
sono disposto ad ascoltarti.»
Il
momento della verità era arrivato davvero.
-Bella.
Presi
un respiro profondo, sapendo che una volta tolta la diga al fiume di
parole che
tengo dentro da sempre, nulla mi avrebbe più fermato.
I
tremiti avevano già iniziato ad invadere il mio corpo, e
seppi per certo che a breve
avrei iniziato a piangere.
Stai
già
piangendo.
Hai
di fronte a te
l’uomo che ami, l’unica che amerai per sempre, ne
hai la certezza.
Ti
trovi di fronte
al ragazzo senza nome, e
ti senti ancor
più di nuda di quanto ti sia sentita quando avete
l’amore nel suo appartamento.
Ora,
Isabella, ti
stai davvero spogliando di tutto.
Non
di vestiti, ti
stai spogliando di te stessa.
Stai
togliendo i
vari strati formati dalle tue maschere.
«Sono
nata a Londra, perché mia madre ha sempre voluto che fossi
inglese, dato che è
qui che ha incontrato mio padre, Laurent Denali.»
Prima
maschera, gettata.
«Charlie
e Reneè sono i miei tutori legali, da quando avevo dieci
anni.»
«Non
lo sapevo.»
«Ci
sono tante cose che non sai, Edward, e avrei dovuto dirti.»
Sospirai, lasciando
cadere le lacrime liberamente.
Troppo
a lungo le avevo trattenute inutilmente, sapendo che se avessi pianto
avrei
abbassato tutte le mura che faticosamente avevo edificato.
«Comunque,
fino all’età di dieci anni ho avuto
un’infanzia limpida, tranquilla. Victoria,
mia madre, mi amava così come mio padre, e loro era il
ritratto della felicità.
Ricordo una sera, in cui Laurent aveva vinto una causa molto
importante, e ci
portò a cena fuori. Ci trovavamo aMontmartre, Place du
Tertre, quando mamma
iniziò a ballare, da sola. Sai Edward, era bellissima. Aveva
la vita negli
occhi, e papà la guardò con degli occhi
così innamorati che era impossibile non
sentirsi di troppo, in loro presenza. Ma mamma mi prese per un braccio,
ed
insistette per farmi ballare, mentre papà ci guardava
sorridendo e fumando. Fu
l’ultimo momento di gioia che mi ricordo, prima
di…di lui.»
Sapeva
Isabella
che da qui non si tornava più indietro.
Una
volta detto
ciò che era in procinto di dire, nulla sarebbe stato
più lo stesso.
Ma
voleva, voleva
buttare via assolutamente un’altra maschera, la
più ingombrante.
Edward
mi strinse la mano, e con movimenti circolari del pollice mi tramise
tranquillità.
«Papà
era riuscito a vincere la causa contro un candidato sindaco di Chicago,
John
Redforls, era..era…lui, sì insomma, era così
felice di aver vinto. E mamma…mamma era orgogliosa
di lui, tutti noi lo
eravamo e… e.. non facemmo caso alle minacce di morte che
puntualmente
riceveva. Lui era…era sicuro di esser protetto,
così come noi…noi credevamo lo
fosse ma…non…non…»
Le
sue braccia si strinsero al mio busto, mentre continuava a mormorare
tra un
bacio e l’altro sul mio viso “shsh,
sh”.
«Isabella,
se non riesci a continuare, non ti preoccupare…okay?
Apprezzo ciò che stai
facendo, ma ci sono verità che non riescono a emergere e, se
ciò che vorresti
dire rientra in questo contesto…non dire nulla,
piccola.»
Avrebbe
voluto
smettere.
Le
faceva troppo
male dire tutto ciò che aveva subito prima, durante e dopo.
Ma
voleva farlo.
Era
subentrata la testardaggine
e la voglia di esser sincera, la voglia di sfogarsi.
Avrebbe
detto
tutto.
«Non
credevamo che davvero qualcuno potesse arrivare ad ucciderlo,
finché un giorno
quando rientrammo nella nostra casa a Chicago, dopo un ricevimento,
trovammo la
casa a soqquadro. I miei genitori cercano di coprirmi gli occhi, ma era
troppo
tardi. Avevo letto e visto quello che c’era scritto sui
muri.»
«Cosa
c’era scritto?»
Le
sue braccia fecero una maggior pressione sul mio corpo.
«Vi ucciderò tutti, non avresti mai
dovuto
fare ciò che hai fatto, avvocato.
In
più c’erano varie foto di persone torturate e
uccise in modo piuttosto cruento.»
«Allora
papà si preoccupò veramente, e fummo costretti a
trasferirci. Andammo a New
York, convinti che in una metropoli del genere sarebbe stato
più difficile far
perdere le nostre tracce, inoltre Charlie, -Swan, amico di mio padre
assieme a
suo zio che era un investigatore privato, cercavano di scoprire chi lui
fosse.
La polizia ci teneva in stretta sorveglianza, ma non bastò.
»
Ed
eccoli, i conati di vomiti e i fremiti di paura e terrore che
assalirono il mio
corpo.
Sentivo
lo stomaco stretto in una potente morsa, la gola stringersi al ricordo
delle sue mani che mi soffocavano.
Edward
cercò di calmarmi ma non poteva; non ero più
lì in quel momento.
«Stavo
in camera mia a giocare con la mia bambola preferita, Molly,
quando udii un gran trambusto al piano di sotto. Decisi di
scendere, ma trovai mio padre davanti alla mia porta, dicendomi che per
nessun
motivo al mondo dovevo scendere...
»
« Dovrai vivere capito, vivere! Non
permettere a nessuno di renderti una morta vivente. Sei una Denali,
ricordatelo. E ama, ama incondizionatamente »
«Queste
furono le ultime parole che sentii dire a mio padre.»
Si
sentiva
svuotata, debole, stanca.
Avrebbe
soltanto
voluto stendersi affianco al ragazzo senza nome e dormire.
Avrebbe
soltanto
voluto vivere serenamente.
Ma
non era finita,
non ancora.
Intanto,
un’altra
maschera fu gettata via.
«Sono
qui piccola. Sono qui. Stai tranquilla, ti proteggo io,
amore.» Mormorò Edward,
baciandomi ripetutamente il capo, visibilmente scosso.
«E
chi proteggere te?» mormorai, per continuare il racconto.
Dovevo
finire, dovevo assolutamente finire.
«Rober
Redforls, questo è l’uomo che violentò
mia madre di fronte a mio padre per poi
ucciderli entrambi. Una volta compiuto ciò, venne a
cercarmi, e mi trovò.»
«ISABELLA! SE
NON ESCI TI GIURO CHE QUANDO TI TROVO TI RIDUCO PEGGIO DI QUELLA
PUTTANA DI TUA
MADRE!» urlò l’assassino dagli occhi
azzurri, per poi riabbassare il tono di
voce nell’istante seguente, «dai piccolina, per
favore, non amo giocare a
nascondino, perché ci metto molto tempo a trovare le persone
e, quando le
trovo, poi mi arrabbio per il tempo sprecato.»
Gironzolava per
la stanza e, improvvisamente, quando sembrava che stesse per andare
via, si
bloccò di fronte all’armadio.
Vide le sue
lunghe mani avvicinarsi, Molly ormai acefala e con gli arti mozzati; ed
i suoi
occhi che entusiasti e accessi di una luce folle guardavano i
suoi.
L’aveva
trovata.
Sarebbe morta;
come sua madre e suo padre.
Sarebbe morta.
«Finalmente ti
ho trovata, piccola.»
«Poi…poi cosa
è successo?»
Edward era decisamente
terrorizzato, ed impaurito.
«Cercò di
soffocarmi, ma Charlie arrivò in tempo assieme alla polizia
e
mi salvarono. Il periodo che segue tutto ciò è
confuso, delirante…ma c’è
un’altra
cosa che devi assolutamente sapere.»
«Cosa,
Isabella?» Mi accarezzò il volto con il dorso
della mano, mentre
con le labbra si avvicinava sempre di più alle mie.
«Riguarda tuo padre,
lui…»
«EDWARD!» Mi
voltai di scatto e vidi una ragazza, dai capelli biondi,
guardarmi stralunata.
Guardai il ragazzo senza
nome con le guance in fiamme, l’espressione
sofferente e al con tempo sbalordita.
Bastò soltanto
una parola, che Edward pronunciò ed Isabella ricadde nella
triste realtà.
La ragazza, di
fronte alla porta era lei, il suo nuovo incubo.
«Sam».
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Capitolo 11 *** (r)esisto. ***
Buona lettura ❤.
#11
(r)esisto.
"Condividere,
in amore, non significa tenere il bilancio di chi fa questo o quello,
di chi fa più di un altro. Vi sono momenti in cui dobbiamo
dare di più di quanto riceviamo, ma ve ne saranno altri in
cui avremo bisogno di ricevere più di quanto saremo in
condizione di donare."
-Leo
Buscaglia, Nati per amare.
Caro Edward,
mi ritrovo
seduta a terra, il
capo appoggiato al freddo vetro della clinica, guardando la pioggia
fuori
abbattersi furiosa sul suolo, sui tetti, sui volti delle persone.
Ho sempre
amato la pioggia, sai?
Innanzitutto, le lacrime possono tranquillamente confondersi con le
gocce
d’acqua, evitando così di dare spiegazione a
terzi…anche se, ripensandoci,
nessuno mi ha mai chiesto spiegazione per nulla.
Comunque,
sto divagando.
E’
passato esattamente un anno,
cinque giorni, e dieci minuti da quando Sam aprii la porta del camerino
di Tom.
Un anno, da
quando ti vidi uscire
con le lacrime nel cuore a parlare con colei che era la tua ragazza.
Mi ricordo
ancora le urla di lei,
che ti accusava di tradimento, che ti accusava di non averla mai amata,
che
accusava me di essere una puttana; e ricordo i tuoi pugni serrati, le
labbra
secche, gli occhi gonfi di acqua salata e il senso di colpa che
dilaniava il
tuo volto.
Ricordo che
gli chiedesti scusa,
scusa per ogni cosa.
Scusa per
non averla mai amata.
Scusa per
non averla trattata
come una donna come lei meritava.
Scusa per
non averla, semplice,
fatta sentire presente.
E lei, lei
che ti ripeteva senza
sosta che esisteva.
Ma per te,
per te ragazzo senza
nome, lei non era mai esistita.
Mi ricordo
che mi sentii in
colpa, per aver origliato la vostra conversazione, e che me ne andai,
con la
morte nel cuore, nella mente, nella mia vita da quel posto.
Stavo per
salire in macchina di
Stefan, mentre Tom mi rincorreva dicendo di doverti aspettare.
Ma io non so
aspettare Edward.
O meglio, non
riuscivo a stare
più
lì, sapendo di averti arrecato
ancor più dolore.
Mi scuserai
mai, ragazzo senza
nome, per esser salita su quell’auto?
Ma, a
maggior ragione, mi
scuserai per esser immediatamente scesa pochi metri dopo, appena ti ho
visto
seduto con le mani tra i capelli, sul marciapiede?
Quel
giorno avevi la bocca secca di chi ha sorriso per tutta una vita per
finta, e gli occhi di chi ha trattenuto troppe lacrime.
Ti abbracciai, di un abbraccio che entra sotto la pelle, come quelle
schegge di legno che si infilano lì sotto e tu, nonostante
sai dove si trovano, non riesci a toglierlo.
Mi sei entrato dentro le ossa, dentro il cuore, mi sei entrato come una
scheggia di legno sotto al cuore, amore.
Mi sei
entrato dentro le ossa,
dentro il cuore, mi sei entrato come una scheggia di legno, amore.
Sì,
amore.
Già
vedo la tua faccia stupita,
un po’ orgogliosa, e la tua risata un po’ forzata e
ridicola.
Ma ti amo.
Sì,
ti amo ragazzo senza nome.
E qui, mi
immagino il tuo attacco
di cuore, per questo ho già avvertito Tom di chiamare
un’ambulanza.
Non ti
ringrazierò mai
abbastanza, per esserti seduto su quel marciapiede, scegliendo me.
Scegliendo
una pazza, lunatica,
sofferente ragazza per…fidanza è troppo
riduttiva, vero? Così come compagna,
futura sposa forse, ragazza.
Meglio dire
che hai semplicemente
scelto me, da amare.
Anche se noi
non rientriamo
neanche in questa categoria, secondo me.
Perché
siamo al di sopra.
Al di sopra
dell’amore, dell’odio,
del dolore.
Direi che
hai scelto Isabella per
stare accanto ad Edward.
Ecco, questo
suona bene, non
trovi?
Sai, in
questa clinica mi sento
al sicuro.
Gli
psichiatri mi seguono, mi
aiutano, mi ascoltano.
Ma ho paura.
Cosa
accadrà una volta uscita
fuori di qui, dolce gabbia ed illusione di una vita perfetta?
Ritroverò
il mio volto sui
giornali, perché “la figlia del magnate
dell’economia Charlie Swan, è in realtà
la sua figlia adottiva”.
Ma
avrò te accanto…vero? So che
leggendo questa frase storcerai il labbro in quel modo che amo tanto, e
che
stringerai le nocche talmente tanto da diventare bianche…non
che tu sia tanto
abbronzato, amore.
Ma non avrai
una crisi, come
quando hai saputo che tuo padre, ora in carcere per favoreggiamento con
Robert
Redforls, è stato l’avvocato del mio aguzzino.
Ma mi va
bene così.
Tu mi vai
bene così.
E ti chiedo
scusa, per esser così
insicura, ma migliorerò amore.
Migliorerò.
Ed
è grazie a questa certezza che
dopo un anno da quel giorno sul marciapiede, ti scrivo per la prima
volta.
Questa notte
mi sono letta tutta
d’un fiato le lettere che mi hai inviato, 365, più
cinque, effettivamente.
C’è
l’ultima lettera, quella in
cui hai scritto una cosa bellissima, due parole soltanto che mi hanno
scaldato
il cuore: ti aspetto.
Ecco,
è stato meraviglioso.
Grazie a te,
mi viene da pensare
al fatto che ne ho fatta di strada, da quando non credevo
nell’amore.
Ed ora, ora
grazie a te, ci
credo.
Perché
tu, tu ragazzo senza nome,
sei l’amore.
Sei Amore.
E mi sono
innamorata di te ogni
lettera, di più.
Sembra
assurdo, lo so, ma è così.
La cosa che
mi stupisce di più,
amore (com’è bella questa parola: amore, amore,
amore, penso che la ripeterò
finché entrambi vivremo, è meravigliosa.;
è che non ti sei scusato.
Tu, che
chiedi scusa così tanto,
non ti sei scusato.
Ma
l’ho fatto io al posto tuo,
amore.
Amore,
amore, amore, amore,
amore.
Credo sia
meglio concludere
questa lettera, tanto tra una settimana esco da questo posto e andremo
a
mangiare un gelato enorme, d’accordo?
Vedremo per
la trentesima volta
il film che amo tanto, “The secret window”, anche
se tu sei convinto che io lo
adori solo perché c’è Johnny Depp; non
hai tutti i torti.
Suoneremo!
Ho imparato a suonare
la chitarra e, ti suonerò “I was
broken”, fino allo sfinimento.
Poi, faremo
l’amore lentamente,
riprendo una confidenza mai scemata, dei nostri corpi.
Amore,
amore, amore, amore.
Ti amo. Mi
scuso. Ti ringrazio.
Ma,
soprattutto, ho capito una
cosa fondamentale in questo luogo.
Ho capito
che io, Isabella Denali
Swan, esisto.
Un
bacio, il
tuo
amore.”
---------
Vorrei
dire
tante
cose, molti pensieri random, ma l’unica cosa che vi
dirò è grazie.
So
che
questo
finale non potrà piacere forse, ma io lo amo.
Doveva
essere così,
la fine di questa storia.
Avete
capito
bene, la
fine.
Questo
è l’ultimo
capitolo di Sleeping with ghosts.
Scusami,
forse
avreste voluto sapere più cose, esser avvertite prima della
fine di questa
storia, ma anche io,
oggi,
ho
capito che
dovevo mettere la parola fine a Sleeping.
Stavo
pulendo casa,
e il capitolo mi è venuto in mente da solo, dopo un mese di
totale apatia.
Questa
è la degna
fine, secondo me, di questa storia.
Scusate
possibili
errori grammaticali, e scusa il ritardo con cui aggiorno.
Comunque,
volevo
ringraziare tutti coloro che hanno recensito, inserito tra le
preferite/ricordate/seguite la mia bambina :’)
Grazie,
anche a voi
lettori silenziosi che siete aumentati sempre più, per poi
crollare in alcuni
capitoli.
Ma
grazie.
Grazie.
PS:
Forse,
prima o
poi, posterò una missing moment/OS che parli del loro
futuro; ma non lo so,
credo che loro, si meritino un finale a piacere, così come
voi lettori.
PPS:
Da
settembre
continuerò l’altra mia fanfiction; tutto torna, e
noi?
Vi
voglio
bene.
Un
abbraccio.
Grazie.
Vostra,
lisztomania/Chuck/thextra.
|
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