Fiction.

di Devon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1. ***
Capitolo 2: *** Chapter 2. ***
Capitolo 3: *** Chapter 3. ***
Capitolo 4: *** Chapter 4. ***



Capitolo 1
*** Chapter 1. ***


Jimmy stava seduto tra i rami del grande albero del cortile scolastico da più di mezz'ora, le gambe penzoloni.
Non aveva alcuna intenzione di scendere, non gliene fregava niente di essere espulso. Non sarebbe stata certo la prima volta.
E poi si sarebbe subito l'ennesima ramanzina da parte della mamma, come succedeva praticamente ogni due giorni. La Krieger continuava a gracchiargli contro con la solita voce isterica, ma tutte le minacce e i rimproveri che gli sputava contro, gli entravano da un orecchio e uscivano dall'altro. Per quanto gli riguardava, poteva urlare quanto voleva che tanto lui da lì non sarebbe sceso finché non si sarebbe stufato.
Quante storie per un po' d'acqua. Adesso non si poteva neanche più scherzare.
Si guardò un po' attorno. Il cortile della scuola visto dall'alto non sembrava neanche così terribile.
I suoi compagni lo fissavano sbalorditi, senza però avvicinarsi troppo. Le madri proibivano severamente ai loro figli di avere anche solo minimamente a che fare con lui.
Tra le varie facce riconobbe Matthew Sanders, quel ragazzo simpatico con gli occhi verdi e le fossette e con cui aveva stretto subito amicizia. Uno dei pochi.
Sua madre gli stava vicino e lo teneva per le spalle. Lanciò un'occhiataccia al ragazzino sull'albero per poi rivolgersi al figlio.
-Che non ti veda mai andare in giro con quel delinquente - gli intimò, accompagnandosi con un gesto dell'indice.
Matt roteò gli occhi ma si limitò ad annuire. Sapeva che con la signora Sanders non c'era da discutere.
Jimmy fece una smorfia e continuò a far dondolare le gambe gracili.
Era sempre stato un ragazzino molto magro.
Da una parte non aveva fretta di andarsene, sarebbe potuto restare benissimo per tutto il giorno su quell'albero, ma nel pomeriggio avrebbe avuto lezione di batteria e non se la sarebbe persa per nulla al mondo. Ormai suonava da quasi due anni; era l'unica cosa che riusciva a far uscire quella parte di sé che teneva sempre nascosta. La musica era tutto ciò che di più prezioso aveva.
La cosa che desiderava di più era avere una batteria tutta per sé, anziché doversi sempre esercitare con la batteria giocattolo che i genitori gli avevano regalato quand'era piccolo. Gli era sempre piaciuto tamburellare su cose e persone, dal tavolo della cucina alla testa di Kelly, sin dai primi mesi di vita. Insomma, ce l'aveva nel sangue.
-Te lo ripeto per l'ultima volta Sullivan: se non scendi immediatamente da quell'albero io chiamo i tuoi genitori! - esclamò nuovamente la Krieger, puntandogli il dito raggrinzito contro con fare accusatore.
-E allora chiamali, cosa stai aspettando, un segno divino? - replicò Jimmy, senza preoccuparsi di risultare maleducato. Non gliene importava più niente.
Le madri e i ragazzi là sotto lo guardarono sbalorditi e a qualcuno sfuggì una mezza risata.
"Che vergogna", "che ragazzino sfacciato", "che razza di cafoncello", "chissà che educazione gli avranno dato i genitori".
Sì beh, i suoi genitori non ci facevano una gran bella figura. I coniugi Sullivan erano due persone così gentili e perbene, e così anche le loro figlie. Jimmy, nonché il fratello mezzano, costituiva l'eccezione. Com'era possibile che, in una famiglia di persone così cortesi e premurose, lui fosse nato con un carattere tanto ribelle? Se non ci fosse stata quella particolare somiglianza tra loro, Jimmy avrebbe potuto pensare di essere stato adottato.
Continuò a guardare l'insegnante con aria di sfida. Ormai si era abituato a tener testa a chiunque. Nessuno poteva sottomettere James Sullivan.



 -TU devi metterti in testa che la scuola non è tua e che ci sono delle regole da rispettare!
Ecco che il padre gli rifaceva la ramanzina.
Joe Sullivan era un uomo molto calmo e paziente. Voleva un bene dell'anima a suo figlio, ma non capiva cosa lo spingesse a comportarsi così. Né lui né sua moglie, Barbara, gli avevano mai fatto mancare nulla. E, per quanto si sforzassero, né loro né nessun altro riuscivano mai ad arrabbiarsi seriamente con lui, perché si finiva sempre col ridere fino allo sfinimento.
-Non ho fatto niente di male! - protestò Jimmy, alzandosi -è la Krieger che rompe...
-Questo non ti dà il diritto di mancarle di rispetto o di compiere atti di vandalismo nei confronti né degli insegnanti né dei tuoi compagni- intervenne sua madre.
-E dai ma', era solo acqua...
Joe sospirò. Perché doveva essere sempre così difficile educare Jimmy?
Anche se doveva ammettere che la scena che gli si era presentata davanti quel pomeriggio, a scuola, era stata particolarmente divertente.
Era riuscito a contenere a stento una risata fuori luogo alla vista della Krieger imbufalita, con i capelli ancora umidi e il fumo che le usciva dalle orecchie. Alcuni dei compagni di Jimmy ridevano spudoratamente.
-Non è affatto divertente - disse Barbara, guardandolo di traverso.
-Per me lo è - replicò il ragazzino, sollevando il sopracciglio destro in tono di sfida.
I due coniugi si scambiarono un'occhiata esasperata. Che cos'avrebbero dovuto fare con lui?
-E adesso - proruppe Jimmy, dirigendosi verso la porta d'ingresso -se non vi dispiace, vado a lezione.


-Ciao Jimmy - lo salutò Jeanette con un sorriso, mentre entrava in sala.
-Ehi - rispose Jimmy, sforzandosi di sorriderle e andando a sedersi sullo sgabello, dietro la batteria.
Jeanette era una donna sulla quarantina, bionda e con il sorriso sempre stampato in faccia. Era la sua insegnante da circa due anni ormai. I genitori di Jimmy avevano cercato di procurargliene uno parecchi anni prima, ma il tizio che avrebbe dovuto insegnargli aveva paura che potesse rompergli la batteria in quanto non in grado di controllarsi. Così avevano lasciato perdere. Poi avevano trovato lei. Jeanette Wrate aveva lavorato al college di Harbor in precedenza, e tra lei e Jimmy c'era stata subito intesa. Lei era come una seconda madre, oltre che un'ottima insegnante e lui apprendeva molto rapidamente, facendo tutto ciò che gli veniva chiesto senza mai lamentarsi di non saper fare qualcosa, il che era abbastanza inconsueto, per un ragazzino ostinato come lui.
-Brutta giornata? - gli domandò lei, guardandolo apprensiva.
-Nah - fece una smorfia di disappunto -solite cose. I professori mi odiano, la mia famiglia mi riempie di ramanzine e i miei coetanei mi stanno alla larga perché le loro madri mi vogliono morto. Tutto regolare.
La donna si sedette di fronte a lui.
-Che cos'hai combinato? - gli chiese, accennando un sorriso comprensivo.
Ormai aveva imparato a conoscerlo.
Lui sospirò e iniziò a raccontare. Le raccontò di come all'uscita di scuola, lui e un altro ragazzo si fossero procurati dei gavettoni e avessero iniziato a divertirsi. Jimmy mirò alla Krieger senza neanche accorgersene, bagnandola da capo a piedi. Beh, non poteva certo pretendere che stesse al gioco o che almeno ci ridesse sopra. Ma non si aspettava nemmeno una reazione tanto esagerata.
In quell'istante Jimmy avrebbe giurato che le uscisse il fumo dalle orecchie da quanto era incazzata.
-SULLIVAN, TI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO?
E l'aveva inseguito per tutto il cortile, finché non si era arrampicato su un albero.
Jeanette sospirò. Ormai era abituata a sentire quel genere di aneddoti. Se Jimmy non ne combinava almeno una alla settimana, non era contento.
Lei Jimmy lo conosceva da un po', e sapeva che non era un ragazzino maleducato. Bastava solo saperlo prendere. Non si era mai comportato in maniera indisciplinata in sua presenza.
Si allungò per dargli una leggera pacca sulla spalla.
-Sto bene - la rassicurò lui, sollevando le sopracciglia -mi passerà.
E così dicendo prese le bacchette tra le mani e respirò a fondo.
Quando le sue mani iniziarono a guidare le bacchette sui tom perse il contatto con la realtà. Si dimenticò della scuola, dei suoi compagni e della Krieger. In quel momento c'erano solo lui, la batteria e una voglia pazzesca di fare musica. Sentiva di non aver bisogno d'altro.
E Jeanette lo sapeva. Sapeva della sua passione per la musica, sapeva che per lui non costituiva solo un semplice passatempo; glielo si leggeva negli occhi. Col tempo sarebbe diventato un ottimo musicista, e lei l'avrebbe aiutato e seguito finché non ce ne fosse stato più bisogno.

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Capitolo 2
*** Chapter 2. ***


Non appena uscì dalla sala, una volta che la lezione fu terminata, incrociò Matthew insieme ad un altro ragazzo più pallido e basso che aveva già intravisto a scuola.
-Hey! - lo salutò Matt con un sorriso enorme, porgendogli la mano.
Jimmy ricambiò il sorriso e gli strinse la mano per poi far scontrare la spalla con la sua.
-Come va? - gli chiese, dandogli una pacca tanto amichevole quanto poco leggera sulla schiena.
-Tiro avanti, e tu? - replicò l'altro, scrutandolo con i suoi occhioni verdi -Che ti hanno detto i tuoi? Ti hanno fatto il culo?
-Nah, hanno solo detto le solite cose; - fece una smorfia, scompigliandosi i capelli biondi -che mi comporto da incivile, che non posso fare ciò che mi pare, che di questo passo finirò in un riformatorio, roba di poco conto.
Matt accennò una risata e scosse la testa. Il ragazzino accanto a lui continuò a scrutarli in silenzio.
Jimmy sembrò accorgersi solo in quel momento della sua presenza, e gli occhi azzurri gli si illuminarono.
-Ehi, ciao - accennò un sorriso e fece un breve cenno di saluto con la mano.
Matt si schiarì la voce e li presentò.
-Jim, lui è Zack, frequenta la nostra stessa scuola, - spostò lo sguardo verso il nuovo amico -Zack, lui è Jim.
Zack si avvicinò timidamente al ragazzo più alto e gli allungò la mano.
-Ciao - il suo sguardo acqua marina resse solo per pochi istanti quello blu del biondo, che sembrò confuso dal suo atteggiamento.
-Ehi, mica ti mangio! - esclamò, accennando una risata.
Il più piccolo si sforzò di ridere a sua volta, ma Jimmy si accorse che era arrossito.
Che avesse paura di lui? Beh, è vero che spesso si divertiva a spaventare i ragazzi della sua scuola, ma non pensava di essersi spinto tanto oltre. Con Matt non aveva mai avuto di quei problemi. Quei due andavano d'accordo che era una meraviglia.
-Ehi senti - fece Matt, andando a rompere il silenzio imbarazzante che si era andato a creare -i miei mi ucciderebbero se sapessero anche solo che ti rivolgo la parola, ma ti va di andare a berci qualcosa tutti insieme?
Gli occhi azzurri di Jimmy si illuminarono. In genere era lui ad invitare gli altri, o si aggregava ai gruppi senza essere stato espressamente invitato. Oppure, infine, se ne stava per conto suo. E in qualche modo riusciva a divertirsi ugualmente. Invece, questa volta...
-Ma sì - accettò di buon grado, sorridendo -una coca dopo lezione ci sta tutta.
E si incamminò al fianco dei due ragazzi. Matt sorrise a sua volta, e così anche Zack, che stava iniziando a sciogliersi un po'.
Loro non lo sapevano ancora, ma quell'episodio segnò l'inizio di un'amicizia destinata a durare per anni.

 


-Dio, so già che me ne pentirò.
-Piantala. Non ci vedrà nessuno, rilassati.
I due ragazzini stavano rannicchiati dietro un muro semidiroccato, con le ginocchia piegate che iniziavano già a dolere. Quelle di Matt tremavano per il freddo e per la paura che i genitori potessero beccarlo. Avrebbe tradito l'immagine di bravo ragazzo che si era andato a creare e che i genitori pensavano che fosse. Non che fosse cattivo. Era un ragazzo simpatico e di buon cuore, solo aveva cattivi atteggiamenti.
Non erano lì neanche da dieci minuti e già era tentato di tornarsene a casa. Ma ormai era deciso. Avevano messo qualche dollaro a testa e si erano recati in tabacchino con due amici più grandi. Jimmy aveva già fumato in precedenza, per Matt invece era la prima volta in assoluto. Non aveva mai toccato una sigaretta in vita sua, ma l'idea lo attirava in un modo non indifferente. Era curioso di vedere cosa si provava a portarsi quel sottile cilindro alle labbra e ad aspirare il fumo come se fosse semplice aria. Solo pura curiosità.
E poi che male c'era a voler provare? Due o tre tiri non gli avrebbero certo dato dipendenza. Aveva un certo autocontrollo, poteva decidere di smettere quando voleva.
E se anche fosse stata una cazzata, avrebbe comunque imparato qualcosa. Bisogna imparare a sbagliare, si disse, a sbatterci il muso. Altrimenti come pretendiamo di poter crescere? Jimmy si accese la sigaretta, passò l'accendino all'amico e si alzò in piedi. Era alto e sottile come un chiodo, come se tutti gli hamburger che buttava giù ogni giorno si polverizzassero nel suo organismo.
Lui non si preoccupava certo di essere visto dai genitori.
Matt si portò la sigaretta alle labbra e strinse le dita tremanti intorno all'accendino blu.
Dopo cinque minuti di tentativi mal riusciti, Jimmy sbuffò e si piegò nuovamente verso di lui.
-Se tiri è più facile - suggerì, levandogli l'accendino di mano e svolgendo l'operazione nel modo giusto.
Matt fece un lungo tiro dalla Marlboro e tossì violentemente, piegandosi in due.
Per un attimo entrambi pensarono che avrebbe vomitato, ma poco dopo iniziò a riprendere colore e a respirare normalmente. Tossicchiò un'ultima volta e riportò la sigaretta alle labbra.
-Forse è meglio se ci vai piano - gli intimò Jimmy, soffocando una risata inopportuna. Era sempre suo amico, ma Cristo, era così maldestro.
Matt sospirò. Perché doveva essere sempre così goffo e impacciato? Perché non poteva essere spontaneo, sicuro di sé e con la battuta sempre pronta come Jimmy?
Tirò nuovamente e sentì il fumo bruciargli la gola, ma non era una sensazione tanto spiacevole. Buttò fuori il fumo cercando di non tossire e gli sembrò di sentirsi un po' più rilassato, nonostante gli girasse lievemente la testa. In ogni caso ci rimase un po' male, si aspettava qualcosa di più.
-Ti piace? - domandò Jimmy, che era già a metà sigaretta.
-è... strano - rispose l'altro, senza guardarlo.
-è normale all'inizio- si rannicchiò accanto a lui e si accorse della smorfia di disapprovazione comparsa sul suo volto.
-Ehi - gli disse -lo so, magari non sarà un granché ma almeno ti sei tolto uno sfizio, no? Bisogna pur fare qualche cazzata ogni tanto. Sennò che vita è?
-Tu ne sai qualcosa - replicò Matt, accennando una risata nervosa.
Jimmy si strinse nelle spalle, spostandosi bruscamente una ciocca bionda che gli cadeva sull'occhio.
-Io non ho paura di niente - buttò la sigaretta per terra, la spense col piede e la calciò via.
L'unica paura che aveva era proprio di aver paura.
Forse avevano fatto una mezza cazzata, si disse Matt.
Con quei soldi avrebbero potuto prendersi un gelato o una Coca, o avrebbero potuto conservarseli per andare a qualche concerto, aspirazione di entrambi.
Dopotutto avevano solo dodici anni. L'età per uscire in bicicletta, ascoltare musica a tutto volume e mangiare schifezze a non finire, non per fumare. Anche se a Jimmy piaceva.
Matt buttò ciò che restava della sigaretta e sbuffò, alzandosi in piedi.
-Mia madre mi ammazza - sibilò.
-Non se ne accorgerà nemmeno - lo rassicurò Jimmy, dandogli una pacca sulla spalla e dando un'occhiata al suo vecchio orologio da polso. Erano le nove e mezza. Sarebbe dovuto rientrare a casa un quarto d'ora prima.
Ai suoi genitori non piaceva che uscisse di sera, ma lui si lamentava continuamente del fatto che non gli lasciassero la libertà che si meritava e non avessero abbastanza fiducia in lui. Perciò avevano dovuto trovare un compromesso; Jimmy poteva uscire, ma non restare fuori fino a tardi. Con tutto quello che si sente in giro, non si sa mai, gli ripeteva sempre sua madre.
Probabilmente questa volta l'avrebbero messo in punizione. Come se servisse a qualcosa. Mica per niente aveva una finestra in camera. Se la sarebbe sbrigata da solo, come aveva sempre fatto.
Non era stato facile, invece, convincere i genitori di Matt, due persone estremamente rigide, specialmente per quanto riguardava l'educazione dei loro figli.
Matt iniziava a stufarsi di essere il loro burattino. A lui piaceva correre, andare in bicicletta, rotolarsi per terra, fare qualche piccola rissa di tanto in tanto e ascoltare gruppi metal; Metallica, Slayer e Pantera primi tra tutti. Tutte cose che ai suoi genitori non andavano a genio. Ma erano problemi loro. Non potevano certo cambiarlo a proprio piacimento. Non sono la vostra fotocopia, cercava di comunicare loro con i suoi occhi verdi ogni volta che lo rimproveravano senza motivo, non primeggerò mai nella squadra di football, non avrò mai ottimi voti a scuola e non diventerò un avvocato né tantomeno un giudice. Ho dodici anni. Voglio divertirmi, voglio giocare ai videogames per ore, voglio bere coca cola fino a vomitare, voglio ascoltare i Pantera finché non mi sentirò più le orecchie; non voglio pensare a dove sarò tra dieci anni. Non sarò mai come volete che sia. Fatevene una ragione.
Comunque, garantì ad entrambi che sarebbe andato a trovare un amico, che sarebbe rientrato presto e che avrebbe telefonato se ci fossero stati problemi, e i due sembrarono accontentarsi. Da una parte erano contenti che il loro figlio uscisse più spesso. Sembrava sempre così chiuso, così ombroso, così estraniato dal resto del mondo. Come se la realtà da cui era circondato non gli interessasse minimamente. Il che turbava in particolar modo la signora Sanders, che aveva pensato più volte di mandarlo da uno strizzacervelli. Ma non c'era bisogno né di preoccuparsi né di pagare uno specialista. Matt era un ragazzino perfettamente normale, forse a qualcuno risultava il contrario solo perché era uno dei pochi che pensava con la propria testa e non si adeguava al pensiero altrui. Ma questo i due coniugi l'avrebbero capito solo più tardi.

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Capitolo 3
*** Chapter 3. ***


"Le persone possono decidere se odiarci a morte o amarci alla follia. Non c'è via di mezzo."
 

-Synyster Gates.


Brian Haner Junior odiava James Sullivan. Odiava il suo egoncentrismo e la sua faccia da schiaffi. Di ragazzini così ce n'erano a migliaia, Jimmy non era il primo né sarebbe stato l'ultimo.
Non sopportava quel suo darsi delle arie. Il fatto che si divertisse a terrorizzare l'intera scuola non lo rendeva una persona migliore agli occhi di nessuno. Faceva solo la figura del ragazzino imbecille, esattamente come tutti gli altri.
Non che i due avessero mai avuto a che fare, ma Brian si era ritrovato a trattare con i suoi amici, poco tempo prima. Jimmy frequentava ragazzi di almeno tre anni più grandi di lui, e di conseguenza il povero Haner Jr era tornato a casa con un occhio nero e una contusione al femore. Li odiava. Li odiava tutti. Non si era mai sentito tanto debole e indifeso in vita sua. Non riuscì nemmeno a dirlo a suo padre. Sapeva che avrebbe fatto la figura del perdente e che l'avrebbe deluso. Non se la sentiva di dare un dispiacere né a lui né a Suzy. Preferì lasciare che la verità gli marcisse dentro, disse che si era fatto male giocando a pallone e non ebbe mai modo di farsi giustizia.
Ma la ruota gira per tutti, continuava a ripetersi.

Jimmy odiava la scuola. Odiava doversi alzare presto la mattina, odiava studiare, odiava l'odore di ascelle che aleggiava nelle aule, odiava il cibo della mensa, odiava i corridoi e odiava tutte le facce di culo da cui era circondato, a parte qualche significativa eccezione.
Ma, in generale, a lui non piaceva nessuno. Così come a nessuno piaceva lui, o almeno è così che lui la vedeva.
Era conosciuto in tutte la scuola per i famosi scontri con ragazzi anche molto più grandi. Se stava avendo luogo una rissa, nel 99% dei casi lui era coinvolto. E finiva, puntualmente, in presidenza, con altri quattro o cinque ragazzi.
Ma non quel giorno. No, quel giorno non aveva alcuna intenzione di fare a botte. Non voleva aggredire nessuno, né fisicamente né moralmente.
Era di buon umore, e camminava con altri due ragazzi lungo il corridoio, parlando del più e del meno. Jimmy aveva appena aperto un discorso sugli Slayer, quando accadde.
Il ragazzo dietro di lui, scherzosamente, pensò bene di dargli uno spintone. Jimmy, preso alla sprovvista, perse l'equilibrio e andò a scontrarsi con un ragazzo che stava passando, facendogli cadere un quaderno pentagrammato.
Il ragazzo lo fulminò.
-Ehi, perché non guardi dove cammini, coglione? - lo apostrofò, dopo aver raccolto il quaderno.
-Mi dispiace - si scusò Jimmy -Non è stata colpa mia, mi hanno spinto.
-Sì certo, come ti hanno spinto tutte le altre volte.
Jimmy cambiò radicalmente espressione. Il ragazzo che aveva davanti era seriamente incazzato. Si erano già visti prima? Il suo volto non gli era nuovo.
-Ma insomma, che cazzo vuoi? - sollevò le sopracciglia -Ti ho detto che non l'ho fatto apposta, e ti ho chiesto scusa. Se non mi vuoi credere, è un problema tuo.
-Puoi infinocchiare i tuoi amichetti, ma non me. Credi che non sappia che tipo sei?
-E che tipo sono? - incalzò l'altro, sporgendosi in avanti.
I ragazzi dietro Jimmy attaccarono a ridacchiare.
Lì Brian non ci vide più.
I due ragazzini presero a malmenarsi, a darsi spintoni, pugni e a tirarsi i capelli.
Gli studenti delle altre classi li avevano accerchiati e li fissavano; c'era chi rideva, chi batteva le mani, chi li incitava e chi semplicemente osservava la scena in silenzio, senza preoccuparsi di andare a separarli. La stessa scena si ripeteva regolarmente ogni giorno, cambiavano solo i ragazzi.
Finirono a terra senza smettere di picchiarsi, finché un professore non andò a dividerli e li spedì in presidenza urlandogli contro, com'era solito fare.
Tanto Jimmy era abituato anche a quello... ma Brian?

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Capitolo 4
*** Chapter 4. ***


-Beh, tante grazie!- esclamò Jimmy sgranando gli occhi azzurri, una volta che furono usciti dopo una serie di ramanzini e un'ora di reclusione in presidenza -Ma come ti è venuto in mente di colpirmi?
-E te lo chiedi? - replicò l'altro, cinico.
-Ti sto sui coglioni? Qual è il problema, amico?
-Non chiamarmi amico. Noi due non potremmo mai essere amici.
Brian continuò a camminare con le mani in tasca, senza degnarlo di uno sguardo.
-Ah sì? Beh, non c'è pericolo - replicò Jimmy, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno da un ragazzino -Del resto, con il caratteraccio che ti ritrovi, sfido chiunque a voler diventare tuo amico.
Ahia. Stava iniziando a giocare sporco.
Brian si morse nervosamente il labbro. Quel ragazzino aveva la lingua troppo lunga.
-Senti chi parla - riuscì solo a borbottare, in risposta.
-La verità fa male - commentò Jimmy a mezza voce, con un sorriso maligno.
-Non rompere i coglioni.
-Ma che hai? - insistette, protendendosi in avanti -Sei in fase premestruale?
-Tu oggi vuoi tornare a casa senza palle.
Jimmy accennò una risata divertita e alzò lo sguardo, tutt'altro che alterato dall'atteggiamento del suo interlocutore.
-Sai una cosa? Mi piacciono i tuoi capelli - disse -quando vorrò un cane me lo prenderò dello stesso colore.
Il ragazzo lo fissò per alcuni interminabili secondi, senza dire una parola.
Jimmy pensò che sarebbe scoppiato da un momento all'altro e si preparò al contrattacco, trattenendo una risata.
Invece Brian, inavvertitamente, scoppiò a ridere.
Incredibile. Se fino a pochi secondi prima lo odiava a morte, ora aveva quasi voglia di stringergli la mano. Come se tutto il rancore che provava nei suoi confronti si fosse dissolto nel nulla. Pazzesco.
O forse, più semplicemente, si era fatto troppe pippe mentali. Era sempre stato convinto di odiarlo, ma era veramente così?
Chissà.
Se il suo orgoglio avesse predominato, probabilmente l'avrebbe preso a pugni senza pensarci due volte. E invece no.
Perché era James.
Aveva qualcosa di speciale. Prima di allora, nessuno si era mai preso tanta libertà con lui, nessuno l'aveva mai sfidato con tanta disinvoltura.
-D'accordo, hai vinto - si arrese, con un sorriso -io sono Brian - gli porse la mano, che Jimmy strinse automaticamente.
-James, ma chiamami Jimmy.
I suoi occhi si soffermarono sulla maglietta del ragazzo. Era dei Pantera, uno dei suoi gruppi preferiti.
-Bella maglia - commentò, incontrando gli occhi marroni del suo proprietario.
-Conosci i Pantera? - non sembrava sorpreso.
-Se li conosco? Li adoro - Jimmy sorrise, raggiante -Sono uno dei miei gruppi preferiti, uno dei primi che ho iniziato ad ascoltare.
Brian accennò un sorriso. La conversazione stava prendendo una piega decisamente interessante. Per essere solo un ragazzino imbecille, ascoltava buona musica, si disse.
-Piacciono molto anche a me - commentò -e Dimebag è una delle mie principali fonti di ispirazione.
Jimmy sgranò gli occhi. Non credeva alle proprie orecchie.
-Perché, anche tu suoni?
Brian annuì.
-Suono la chitarra da un bel po', ormai - rispose -mio padre è chitarrista anche lui, e mi ha aiutato molto. - fece una pausa -Tu cosa suoni?
-Ho iniziato batteria quando avevo nove anni, la chitarra so solo strimpellarla - accennò un sorriso.
Brian sembrò illuminarsi.
-Se è così - si grattò la testa -ti andrebbe di venire a casa, così suoniamo qualcosa insieme?
Un momento, cosa? L'aveva invitato a casa sua? Così, subito? Senza neanche conoscerlo?
Quando si trattava di musica, Jimmy non poteva certo tirarsi indietro.
 

Brian stentava a credere ai propri occhi e alle proprie orecchie.
Se fino a poche ore prima qualcuno gli avesse detto che sarebbe andato in un negozio di musica con James Sullivan e che l'avrebbe invitato a casa sua a suonare, gli avrebbe riso in faccia.
Ma era stato costretto a ricredersi.
Il ragazzo che suonava accanto a lui era semplicemente un mostro. Veniva da pensare che la musica gli scorresse nelle vene al posto del sangue. Riusciva ad improvvisare dei pezzi eccezionali e ad eseguirli impeccabilmente, senza mai perdere il ritmo e senza sbagliare neanche un passaggio. Incredibile.
Non credeva che avrebbe mai trovato un coetaneo dalle doti musicali così straordinarie e soprattutto appassionato di musica quando lui.
Era un po' la sua anima gemella. Gli piacevano anche i suoi stessi gruppi.
Brian sentiva qualcosa dentro di sé... Sentiva di voler fare musica con questo ragazzo. E anche Jimmy sentiva la stessa cosa. Erano come due pezzi di un puzzle che si ricongiungono. L'unica necessità che sentivano, in quel momento, era di fare musica insieme. Dove c'è il desiderio di fare musica insieme, c'è intesa. E dove c'è intesa, c'è amicizia. Possibile? Possibile che lui e quel ragazzino potessero diventare amici? Anche se fino a poche ore prima non lo poteva soffrire?
Jimmy rivolse l'attenzione a Brian e gli rivolse un sorriso sincero.
Brian ricambiò, per poi distogliere lo sguardo in direzione della sua chitarra.
Vacci coi piedi di piombo, si disse, non lo conosci ancora...
So che si chiama Jimmy, che ha la mia età e che è un musicista... Che altro importa?

 

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