Pepper Potts 3

di evenstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Havoc ***
Capitolo 2: *** Detour ***
Capitolo 3: *** Extremis ***
Capitolo 4: *** Falling down ***
Capitolo 5: *** Phoenix ***



Capitolo 1
*** Havoc ***


Vi rubo due secondi per spiegarvi come è nata questa ennesima storia. Un giorno stavo discutendo con il mio ragazzo su Iron Man 3 e mi stavo lamentando del fatto che Pepper si veda molto poco. Sappiamo quello che le succede, ma in tutto il film compare per pochi minuti in totale. Al che, giustamente, lui mi ha fatto notare come il film si chiami Iron Man 3 e non Pepper Potts 3 proprio perchè il protagonista è lui. 
Molto bene, ormai sapete che se mi manca un pezzo me lo scrivo e quindi... eccovi Pepper Potts 3, ossia quello che succede a Pepper mentre Tony risolve le sue crisi di identità. Ho cercato di riprendere il film dove era necessario, integrandolo con quelli che mi sono immaginata fossero i pensieri e i sentimenti di Pepper. Se avete letto altre mie storie sapete come sono un tipo da Fluff, ironia e dialoghi. Con l'angst e l'introspezione non so bene come muovermi, spero di non aver fatto troppi danni. 
Fatemi sapere!
PS sono una quindicina di pagine ma divise in capitoli (da brevi a brevissimi) perchè ho voluto mantenere la divisione in scene del film.
Enjoy.



Il frastuono la circondava nonostante indossasse ancora l’armatura e il casco le trasmettesse suoni ovattati. Pepper, scagliata a terra appena fuori dalla Villa dall’attivazione dei propulsori della Mark 42, si guardò rapidamente intorno e vide la dottoressa Hansen accucciata al suolo, vicino a lei. Aveva un taglio sulla fronte che stava sanguinando, ma per il resto sembrava in buone condizioni. Attorno a loro polvere e fumo vorticavano nel vento prodotto dalle esplosioni e dalle pale dei tre elicotteri che stavano portando l’attacco nel centro stesso della sua esistenza.
Il rumore del rotore di un elicottero e il fragore di un’ennesima esplosione la fece girare nuovamente verso la casa, scattando in piedi nonostante i dolori lancinanti che sentiva in ogni singolo muscolo del corpo. Fece qualche passo incerto verso la porta, ancora poco avvezza all’armatura che aveva addosso, prima che un’altra serie di esplosioni la ricacciasse indietro, ma fu subito di nuovo in piedi diretta verso quello che rimaneva dell’ingresso.
- TONY – urlò come a poterlo richiamare con la sola forza del desiderio. Fece un altro passo, ma all’improvviso, così come la Mark 42 era venuta in suo soccorso quando il primo missile aveva colpito la casa, adesso la stava abbandonando un pezzo per volta, schizzando di nuovo dentro.
Pepper all’inizio non capì cosa stesse succedendo, ma non appena l’ultima parte si fu staccata vide uno dei tre elicotteri precipitare nell’oceano, colpito dal loro pianoforte, ed infine comprese.
L’aveva protetta.
Tony aveva fatto in modo che l’armatura la coprisse e la proteggesse finché non era stata al sicuro e poi, una volta certo che per lei non ci fossero più rischi, aveva richiamato i pezzi per cercare di combattere.
Ma qualcosa non stava andando come previsto.
Pepper sapeva quello che le armature erano in grado di fare e fermare tre elicotteri sarebbe stata cosa da poco se tutto fosse andato secondo i piani. Invece l’attacco stava continuando e non c’erano tracce di Iron Man in cielo. La ragazza non riusciva a vedere nulla di quello che stava succedendo dentro la casa, vide solo un secondo elicottero colpito cominciare a roteare nell’aria, diretto contro la vetrata principale di quello che appena qualche minuto prima era stato il loro salotto. Vide un’esplosione e parte della Villa crollare dalla scogliera e poi, con terrore, vide un ultimo missile lanciato contro quello che restava della casa. I muri rimasti si sgretolarono e precipitarono nell’oceano sottostante, trascinando con sé qualunque cosa avessero contenuto fino a quel momento.
Pepper rimase paralizzata e senza fiato ad osservare la distruzione della sua vita, incapace di pensare o fare qualsiasi cosa mentre l’ultimo elicottero rimasto voltava indietro e scompariva da dove era arrivato. La ragazza si gettò verso la casa, percependo solo indistintamente qualcuno che la chiamava e una mano che tentava invano di afferrarla e trattenerla, e si precipitò al limite della scogliera, urlando il suo nome.
Tony.
Rimase senza fiato al bordo del baratro ad osservare il mare che ingoiava le macerie, spumeggiando e rombando sotto di lei.
Tony.
Sentì il vento provocato da quel disastro scompigliarle i capelli.
Tony.
Sentì il caldo delle esplosioni che le scottava la pelle.
Tony.
Sentì i muscoli delle gambe urlare nello sforzo di mantenerla in equilibrio, sporta sul baratro per cercare di vedere qualcosa, qualsiasi cosa che le desse ancora speranza.
Tony.
E poi si rese conto che la speranza era morta.
- TONY – urlò nel vento.
Si girò, accasciandosi tra le macerie di quella che era stata la casa di Tony, la sua casa, la loro casa e che adesso era solo un ammasso di fumo e detriti, svuotata di ogni sentimento.
Percepì indistintamente il suono delle prime ambulanze che accorrevano sul posto, sentì il rumore degli elicotteri delle televisioni che tornavano a sorvolare la zona, colse il trambusto delle autopompe dei vigili del fuoco e poi qualcuno che la prendeva per un braccio tirandola in piedi con poca grazia, spingendola fuori da quello che restava della Villa verso un’ambulanza in attesa.
Qualcuno le stava chiedendo qualcosa, parlandole, urlandole domande a cui lei non voleva né poteva rispondere, la mente ancora in quell’abisso nero dove giaceva la sua vita.
Tony.
- Sta bene?
Di nuovo parole scaraventatele addosso, mani che la toccavano, le palpavano la testa alla ricerca di traumi, luci che le illuminavano gli occhi provocandole scariche dolorose che le fecero strizzare le palpebre, unica reazione a quella serie di violenze.
- Signorina, sta bene?
Di nuovo domande, ma che senso avevano le domande? Che cosa poteva significare un graffio, un taglio, una ferita o una frattura nel momento in cui il cuore era squarciato, lacerato, affondato nell’oceano.
Morto.
Tony.
- Credo che sia sotto shock.
- Certo che è sotto shock, le hanno appena distrutto la casa e il suo fidanzato è… - una voce diversa, una voce che non era fredda e metodica, ma arrabbiata, sconvolta, viva.
- Non è morto – si sentì dire con voce rotta mentre l’apatia l’abbandonava e un dolore sordo e pulsante la invadeva completamente, lasciandola senza fiato.
- Non c’è più nessuno là – disse una delle voci impersonali che le vorticavano attorno, superando il frastuono delle sirene.
- Non può essere morto. LUI NON E’ MORTO – urlò alzandosi di scatto ed evitando con una mossa rapida una tozza mano che cercava di riafferrarla e farla restare seduta. Si mosse a scatti diretta verso quello che solo qualche ora prima era stato l’ingresso della Villa, attraverso le macerie della sua esistenza, e il suo sguardo fu attirato da qualcosa di metallico che brillava alla luce dei lampeggianti. Si chinò e raccolse una delle maschere di Iron Man, sfregiata da uno squarcio che l’attraversava verticalmente. Pepper prese il casco e lo tenne davanti al volto, come se osservando quegli occhi vuoti potesse vedere un riflesso di chi l’aveva indossato, come se tramite quel simulacro potesse rivedere ancora una volta lui.
Tony.
Un lieve suono e l’eco di una luce rossa attrassero la sua attenzione all’interno dell’elmo e Pepper, non senza qualche timore, lo indossò. Una serie di luci e diagrammi le sfavillarono davanti agli occhi mentre una voce femminile riconosceva il suo scanner retinico e dava accesso ad un messaggio vocale.
- Pepper sono io, devo farmi perdonare molte cose, ma non ho tempo perciò…
Il sollievo la invase, fu come se qualcuno le avesse svuotato a forza i polmoni, ricacciando l’aria direttamente nello stomaco. Sentì il cuore perdere un battito, il respiro farsi affannoso e le gambe rischiarono di cederle mentre gli occhi le si offuscavano di lacrime di gioia. Si ritrovò a ridere suo malgrado e sebbene fosse ancora nel bel mezzo del disastro.
TONY.
Era vivo.
Ascoltò il messaggio con un misto di irritazione e comprensione. Lui aveva una missione da svolgere, lo capiva, ma una parte egoista della sua mente pensava che la sua missione avrebbe dovuto riguardare lei per prima, e poi il resto del mondo. Scacciò quel pensiero dalla mente concentrandosi sulla frase che aveva appena sentito “devi essere al sicuro”, l’aveva lasciata per tenerla al sicuro, per risolvere quella situazione una volta per tutte e poter poi tornare alla loro…
A cosa?
Pepper si guardò intorno e il brivido di un presagio le corse lungo le braccia. Quelle che aveva attorno non erano solo le rovine di una casa, ma delle loro vite. Prima che il Mandarino arrivasse, prima che Tony lo invitasse pensò malignamente sempre quella parte della sua mente, parte che fu rapida a ridurre al silenzio relegandola in un angolo buio e solitario, erano già sull’orlo del baratro. A New York Tony era stato spezzato, dopo quello che era successo non era stato più in grado di gestire la sua vita, meno che mai le sue armature che stavano diventando sempre più pericolose e sempre meno controllabili. Quello che era successo quella sera non era altro che la rappresentazione reale di una situazione che virtualmente si stava manifestando sotto i suoi occhi da qualche tempo a quella parte. Il fatto stesso che Tony avesse perso il controllo all’ospedale, rendendo pubblico il suo indirizzo e sfidando formalmente un terrorista, erano le prove che la situazione stava degenerando già da qualche tempo a quella parte.
Iron Man stava prendendo il sopravvento cancellando infine, dopo anni di tentativi iniziati con l’intossicazione da palladio fino ad arrivare alle armature autonome, quello che era rimasto di Tony Stark.
Pepper scosse la testa, cercando di cancellare quelle idee dalla sua mente e di concentrarsi sul problema più pressante. Capì che Tony aveva una missione da compiere e che aveva bisogno di tempo, e lei avrebbe tentato di fornirgliene quanto possibile mantenendo il silenzio sulla verità.
Per il mondo Tony Stark doveva essere morto.
Si tolse mal volentieri il casco, unico legame che la teneva ancorata a lui in quel momento, e si guardò intorno. Vide la dottoressa Hansen in piedi a qualche decina di metri dietro di lei che la stava osservando incuriosita e pensò di avere un aspetto decisamente sospetto con quel casco in testa. Se lo rigirò ancora una volta tra le mani, incapace di staccarsene definitivamente, e poi a malincuore lo fece scivolare per terra, assieme al resto delle rovine.  
- A posto? – chiese Maya quando Pepper si avvicinò a lei. Sapeva che non avrebbe avuto senso chiedere “tutto bene?” perché nulla stava andando bene in quel momento, ma almeno adesso la ragazza sembrava aver ripreso un minimo di controllo e non essere più completamente indolente.
- Per quanto possa essere possibile – le rispose Pepper con un sussurro, scavalcando una serie di calcinacci diretta al garage. - Tu stai bene? – chiese scrutando il taglio che l’altra ragazza aveva sulla fronte.
- Sopravviverò.
– Andiamo via di qui – disse Pepper avvicinandosi alla sua auto che, trovandosi nel box esterno alla casa, era rimasta quasi miracolosamente illesa dalla distruzione di tutto il resto.
- Qualche idea di dove andare?
Pepper ripensò ad Happy in ospedale e a Tony disperso da qualche parte e per un momento si sentì sola e spersa, esattamente come quando da bambina si svegliava da un incubo al buio, nel suo letto, senza il coraggio di muoversi per paura che le ombre l’afferrassero. Ma adesso non era più una bambina, adesso aveva quanto meno una cosa da fare ed era cercare di capire come mai la fantomatica biologa era comparsa, o meglio ricomparsa, nella vita di Tony l’esatto giorno in cui questa era stata annientata. La sua forza di volontà la riscosse dall’apatia e aprì decisa la portiera dell’auto. - Per adesso andiamo, poi vedremo – rispose mettendo in moto e facendo manovra tre le decine di mezzi di soccorso e di giornalisti che erano accorsi in massa.     

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Capitolo 2
*** Detour ***


Dunque, questo capitolo è quello meno originale perchè è quello in cui Pepper si vede di più. Ovviamente ho infilato la mia personale interpretazione dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, ma in mezzo c'è anche la parte originale del film. I prossimi capitoli saranno, per forza di cose, più farina del mio sacco. 
 

Le due ragazze stavano dirigendosi verso nord nella notte, senza una meta ben precisa in mente.

Pepper aveva lo guardo fisso sulla strada davanti a sé, immersa nei suoi pensieri senza per il momento fare caso alla passeggera seduta di fianco a lei. Ogni volta che tentava di pensare a qualcosa di diverso il volto di Tony e il loro ultimo battibecco le tornavano alla mente prepotentemente, scacciando ogni altro pensiero coerente. Era quasi divertente, o quanto meno era beffardo, pensare che il loro ultimo dialogo insieme fosse stato uno proprio uno dei loro soliti diverbi. Quegli scambi di battute serrati, quei doppi dialoghi che avevano caratterizzato da sempre il loro rapporto boss-assistente, e che poi si erano ripresentati in maniera quasi altrettanto precisa anche dopo che il loro rapporto era cambiato, negli ultimi mesi si erano sempre più diradati. Dopo New York i loro dialoghi si erano sempre più rarefatti fino a quando i loro non erano diventati altro che monosillabi scambiati quasi per sbaglio. Ripensandoci in quel momento Pepper si rese conto, con assoluta sorpresa, che quella era proprio una delle cose che più le era mancata, e che le mancava tutt’ora.

Quei battibecchi erano parte di lei, di loro.
Anche Maya era silenziosa, lo sguardo perso nel finestrino a vedere le luci della notte che scorrevano rapide di fianco a lei.
Alla fine fu Pepper a rompere il silenzio, quanto meno per scacciare per qualche momento il volto di Tony dalla mente e cercare di reprimere l’acuto senso di perdita che sentiva pesarle nel cuore. - Perché sei venuta da noi stasera, cosa avevi da dire di così importante a Tony? – chiese girando per un momento la testa verso l’altra e distogliendo l’attenzione dalla strada, peraltro deserta.
Maya balbettò qualche istante e Pepper sentì il panico crescere di nuovo in lei. Per un istante si ritrovò quasi a sperare che quelli che l’avevano portata lì fossero solo problemi sentimentali. Che la ragazza avesse visto Tony al telegiornale e che ne avesse sentito così tanto la mancanza da portarla a suonare alla sua porta. Non sarebbe stata di sicuro la prima a farlo. Purtroppo tale pretesto le risultò insensato nel momento stesso in cui la sua mente stanca lo formulò.
C’era di peggio, lo sentiva.
- Ritengo che il mio capo lavori per il Mandarino – le disse infatti candidamente Maya, con lo stesso tono che avrebbe usato per farle gli auguri di Natale. - Perciò se vuoi ancora parlarne suggerisco di trovare un luogo più sicuro della Villa – concluse fissandola negli occhi.
- Mi pare ovvio, anche perché della Villa non rimane molto – rispose Pepper sentendo per un attimo tutto il peso di quello che era successo ripiombarle addosso. Maya la stava guardando con curiosità, aspettandosi un tracollo da un momento all’altro probabilmente, ma non le avrebbe mostrato debolezze. Se c’era qualcosa da scoprire per aiutare Tony nella sua caccia, beh allora lo avrebbe scoperto e poi lo avrebbe trovato per dirglielo. - Come mai sei comparsa da noi proprio oggi? – chiese sospettosa Pepper.
- Sono capitata appena ho visto il tuo sconsiderato fidanzato dare il suo indirizzo privato ad un terrorista. Il fatto che il suddetto abbia deciso di disintegrarvi la casa lo stesso giorno è solo una coincidenza – le rispose con un’alzata di spalle.
Pepper cercò di nascondere la sorpresa che la notizia che le aveva appena dato Maya le aveva procurato. - Il tuo capo lavora per il Mandarino, dici? Ma Tony ha detto che sei una botanica, quindi… - chiese cercando di capire come una semplice botanica potesse avere contatti con un terrorista internazionale e cominciando a pensare che forse quella donna soffrisse di manie di protagonismo.
- Giusto, in realtà sono un codificatore di DNA che gestisce 40 persone in una fucina di cervelli privata, ma sì… puoi definirmi “botanica” – le rispose Maya facendo capire a Pepper come, al suo solito, Tony avesse semplificato un po’ troppo le cose al momento di esporgliele.
- Questa specie di capo c’è l’ha un nome?
- Sì, Aldrich Killian.
Pepper strinse le mani sul volante, ma non poté fare a meno di rimanere imbambolata a fissare la ragazza che aveva al fianco. - Killian? – chiese assolutamente sconvolta da quella notizia, dimenticandosi per qualche momento la strada.
- Lo conosci? – chiese Maya, incuriosita da quella reazione. Sapeva che Tony aveva incontrato Killian perché era successo lo stesso giorno che lo aveva incontrato anche lei, ma non credeva che l’incontro avesse segnato così tanto il miliardario da portarlo a parlare di lui con la sua ragazza.
- Diciamo così, ho lavorato con lui in passato.
- Esattamente… quanto passato? – chiese Maya che conosceva Killian da tredici anni e di Pepper non ricordava di aver mai sentito parlare, né di averla mai vista.
- Oh saranno… almeno quindici anni – rispose la ragazza rendendosi conto che era veramente molto tempo. Era successo prima di conoscere Tony, anzi era stato proprio quando lavorava con Killian che Tony Stark l’aveva assunta per fargli da assistente personale, dopo averla vista in azione e aver capito che quella giovane organizzata e perfettamente efficiente era quanto gli serviva.
- Io lo conosco da tredici – le disse Maya pensierosa.
- Quando… quando lo hai conosciuto lui era… così? – chiese Pepper che ancora stentava a credere che l’affascinante uomo sicuro di sé con cui aveva avuto un colloquio solo qualche giorno prima fosse la stessa persona che aveva conosciuto in passato. Al di là della disabilità fisica c’era qualcos’altro che la colpiva. Il Killian del passato era una persona insicura, ma non per questo meno determinata, quasi viscida nella sua insistenza verso Pepper per la quale aveva sempre avuto un debole. Lei non lo aveva mai visto altro che come conoscente e collega di lavoro, non lo aveva mai incoraggiato, sopportando i suoi numerosi inviti ad uscire con fermezza. Quando Tony Stark si era presentato da lei offrendole un lavoro presso le sue aziende, verso lui stesso a ben vedere, la giovane Pepper non aveva avuto alcun dubbio e aveva accettato quell’impiego sapendo bene che quello sarebbe stato un ottimo trampolino di lancio per il mondo industriale. Le cose erano andate in modo leggermente diverso da come si era immaginata, aveva finito per dipendere da Tony almeno quando lui dipendeva da lei e la sua idea di restare con lui per qualche anno, e poi cercare di camminare con le sue gambe, era stata accantonata. Fino a quando Tony non le aveva ceduto proprio le Stark Industries. La notizia l’aveva frastornata talmente che non si era neanche fermata un attimo a pensare a cosa stesse realmente succedendo. Sapeva che Tony le stava nascondendo qualcosa, ma era stata troppo presa da tutte le novità e dalle sue aziende appena acquisite che non si era fermata a riflettere, e per poco non lo aveva perso. Da quel momento in poi comunque lei era diventata ufficialmente socia delle Industries e aveva continuato a fare il suo lavoro, ossia mandare avanti l’azienda per lui.
- All’inizio no – rispose titubante Maya scuotendo Pepper dai suoi pensieri, di nuovo virati verso Tony.
- E’ stato… è cambiato per Extremis? – le chiese a bruciapelo Pepper.
- E tu che cosa sai di Extremis? – chiese a sua volta Maya, sorpresa che la sua compagna di viaggio fosse informata sull’argomento.
- Qualche giorno fa Aldrich è venuto alle Industries per offrirmi una collaborazione nel progetto Extremis. Mi ha mostrato parte della sue ricerche… si tratta di riprogrammazione del codice genetico, vero? – chiese conferma la ragazza che, addentrandosi su un terreno a lei ben poco conosciuto, non era sicura di quello che stava dicendo.
- In definitiva sì – ammise Maya.
- E Killian lo ha testato su di sé? – chiese allibita mentre fermava l’auto nel posteggio di un hotel a buon mercato sulla statale, sicura che in quel posto nessuno l’avrebbe cercata.
- Non sono argomenti di cui discutere in mezzo alla strada – le rispose l’altra aprendo la portiera e dirigendosi verso la reception.
Le due donne presero due camere e si separarono per darsi una sistemata e farsi una doccia. Non appena fu sola l’ansia e il timore tornarono ad assalire Pepper come un’onda di piena, minacciando di sommergerla. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non crollare a piangere sul letto, ma si impose di definire un piano d’azione per quello che l’attendeva. Se Killian stava modificando il DNA ed era alle dipendenze del Mandarino andava fermato, prima che fosse in grado di fare del male a qualcuno. Sempre ammesso che non ne avesse già fatto. Pepper non riuscì a pensare che fosse in qualche modo coinvolto nell’attacco alla Villa, per quanto potesse essersela presa per il suo rifiuto di qualche giorno prima non lo riteneva capace di fare del male. Lo immaginava come una pedina troppo ingenua per rendersi conto di quello che stava facendo molto più di quanto non lo immaginasse come collaboratore volontario di un terrorista.
Pepper decise di continuare la chiacchierata con Maya e cercare di scoprire quanto possibile, poi avrebbe chiamato Rhodey, lo avrebbe informato di tutto e insieme avrebbero aiutato Tony. Già una volta era stata costretta ad aspettare a casa, non sapendo se lui era vivo o morto, questa volta non sarebbe rimasta dietro le quinte ad aspettare di sapere. Lo avrebbe aiutato, avrebbero risolto quella cosa così come avevano risolto altre mille cose insieme, e poi avrebbero raccolto i pezzi della loro vita.
Insieme.
Qualche minuto dopo bussò alla porta della camera di Maya e, quando sentì rispondere, entrò. La ragazza era seduta sul letto con sguardo perso nel vuoto davanti a sé e, per la prima volta da quando quel pasticcio era iniziato, Pepper si chiese come avesse preso tutta quella storia. Fino a quel momento non aveva materialmente avuto tempo di pensare a Maya, troppo presa dai suoi problemi, ma adesso che le cose si erano un minimo calmate, adesso che sapeva che Tony era ancora vivo, poteva permettersi di riflettere su come avesse reagito. Tutta quella situazione sembrava assurda anche a lei sebbene tra invasioni aliene, portali intergalattici e semidei fosse abbastanza avvezza alle stranezze connesse alla vita di un supereroe. Non riusciva ad immaginare cosa ne potesse pensare una botanica, sebbene la botanica in questione in definitiva lavorasse per la stessa persona che aveva fatto saltare in aria la scogliera di Malibu.
- Posso? – chiese Pepper entrando nella stanza.
- Vieni – rispose con un mezzo sorriso la ragazza, accoccolandosi meglio sul letto per farle posto. – Non prenderla come un’offesa, ma… non hai l’aspetto di una che ha appena perso la persona più importante della sua vita – le disse scrutandola negli occhi.
Pepper sospirò e ricambiò lo sguardo, poi scosse la testa. – Non è morto.
- Lo immaginavo.
- Non dirlo a nessuno. Deve avere il tempo di …
- A chi vuoi che lo dica? Alla stampa? E mi crederebbero?
- Credono sempre a tutto.
- Si inventeranno una storia tutta loro non potendo parlare con te. Lo sai, vero? – le chiese Maya.
- Sì, che facciano pure. Più teorie ci sono, più le acque saranno confuse – rispose Pepper.
- Sai dov’è? – le chiese Maya.
- No – rispose Pepper scrutandola in volto e pensando che, anche se lo avesse saputo, non lo avrebbe rivelato. Per quanto quella ragazza le ispirasse fiducia non la conosceva e non le avrebbe rivelato nulla, non prima di essere sicura di potersi fidare realmente. – Che cosa ti è successo? – chiese cercando di capire come una biologa si fosse trovata impelagata tra terroristi e pazzi criminali. 
- Che cosa è successo? Un fatto divertente…
Pepper l’osservò senza commentare, aspettando che lei mettesse insieme la sua storia.
- Prima di cominciare a costruire missili per i nazisti il visionario Wernher Von Braun fantasticava il viaggio nello spazio – iniziò a dire Maya. - Osservava le stelle. Sai cosa disse quando la prima V2 colpì Londra?
Pepper scosse la testa.
- Il missile ha funzionato, perfettamente. E’ solo atterrato nel pianeta sbagliato. All’inizio siamo tutti meravigliati, pura scienza, poi si intromette l’ego, l’ossessione e quando ti volti sei molto lontano dalla riva.
- Non sei troppo dura con te stessa, Maya? Insomma hai dato la tua ricerca ad una fucina di cervelli – le disse sapendo perfettamente a cosa si riferisse, aveva visto la stessa cosa succedere proprio sotto ai suoi occhi all’uomo che amava.
- Sì ma Killian ha creato quella fucina con contratti militari.
- Esattamente quello che facevamo noi, pertanto non giudicarti – le disse Pepper comprensiva. Tony era tornato dall’Afganistan convinto a chiudere il settore armi delle sue industrie. Quella era stata la prima volta che la ragazza si era fermata a considerare quello che stavano realmente facendo o meglio che lui stava facendo, ma che lei avvallava lavorando per lui. E alla fine era stato proprio lui che l’aveva fatta riflettere sul loro retaggio e al suo rientro dalla prigionia aveva visto l’uomo dietro alla maschera e si era resa veramente conto di quanto quell’esperienza lo avesse cambiato. Non si trattava solo di aver creato Iron Man, si trattata di aver modificato tutta la sua vita e averla infine davvero inclusa in essa.
In definitiva si trattava di loro.
- Grazie, Pepper. Lo apprezzo veramente tanto – le rispose Maya con un sorriso incerto.
Furono interrotte dal bussare alla porta.
- Deve essere la cena. Ho ordinato qualcosa da mangiare prima di venire qui – rispose Pepper alla muta domanda della ragazza, avvicinandosi alla porta e facendo entrare il cameriere con un carrello.
- Salve, buonasera. Prego entri – fece appena in tempo a dire Pepper prima che l’uomo fosse aggredito e ucciso da una persona che comparve alle sue spalle. Killian bloccò Pepper, serrandole una mano sulla gola, inchiodandola al muro - Maya scappa! – urlò frastornata fissando uno sguardo terrorizzato sull’uomo che era appena entrato nella stanza.
- Ciao, Pepper – le disse come se fosse atteso.
La ragazza lanciò uno sguardo a Maya sperando che almeno lei riuscisse a scappare, ma con sua enorme sorpresa la vide ancora tranquillamente appollaiata nel letto senza dare segno di volersi muovere.
- Mi spieghi perché eri alla Villa di Stark, ieri sera? – chiese Killian alla giovane, strappando un gemito a Pepper che finalmente capì.
Maya le lanciò uno sguardo quasi dispiaciuto prima di alzarsi finalmente dal letto e avvicinarsi a loro. - Volevo essere utile, non sapevo che tu e il maestro volevate fargli saltare in aria la casa! – rispose.
- Capisco… cercavi di salvare Stark nonostante ci abbia minacciato.
- Te l’ho detto, Killian. Può esserci molto utile – gli rispose osservando preoccupata Pepper che era ancora tenuta nella morsa di ferro della mano dell’uomo e si lamentava, cercando di divincolarsi dalla presa. 
- Pepper, Pepper – mormorò lui scuotendo la testa come se lei l’avesse molto deluso.
Pepper scalciò e tentò di liberarsi dalla morsa in cui la stava stringendo, ma più si dibatteva più la mano che stringeva la sua gola si serrava togliendole completamente il fiato.
- Se dobbiamo lanciare la produzione l’anno prossimo abbiamo bisogno di Stark. Gli mancava solo una motivazione decente, e ora ce l’ha! – rispose Maya fissando Pepper e cercando di far capire ad Aldrich che ucciderla non avrebbe portato nulla di buono in quel momento.
Pepper intanto cominciava a vedere uno sfavillio di luci danzarle davanti agli occhi mano a mano che Killian stringeva la presa sulla sua gola. Avrebbe voluto urlare, aggredire, strattonare, ma nulla poteva fare contro la forza che la teneva bloccata contro il muro. Killian fece una smorfia ai ripetuti tentativi di liberarsi e poi strinse maggiormente la presa su di lei, finché la ragazza non vide il mondo cominciare a vorticare attorno a sé e un velo oscuro le calò sugli occhi. 

Grazie mille a chi sta seguendo la storia, a chi la sta semplicemente leggendo e un grazie enorme a Robin 7, Alley, My brother under the sun, e Mrs Downey che hanno trovato il tempo di commentarla.
Grazie davvero tanto. 


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Capitolo 3
*** Extremis ***


- Bentornata tra noi – una voce fredda e dura la riscosse definitivamente dalla sua incoscienza.
- Dove… dove mi trovo? – chiese Pepper cercando di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava e di capire se c’era un modo per uscire da quel pasticcio. La testa le martellava continuamente non permettendole di pensare lucidamente, ma una cosa la sapeva: doveva cercare di andarsene prima che usassero lei per far fare qualcosa di terribile a Tony.
- Diciamo che sei mia gradita ospite – le rispose Killian avvicinando il volto a quello della ragazza.
Pepper si divincolò, ma scoprì di essere bloccata in una specie di lettino, legata talmente saldamente da non riuscire quasi a muovere un muscolo. Le mani erano incatenate con delle cinghie e delle sbarre di ferro le tenevano bloccate le spalle, pensare di riuscire a scappare sarebbe stato folle.
- E se io non volessi restare? – chiese ironica lanciando uno sguardo d’odio ad Aldrich.
- Non ti è data possibilità di scelta.
- Allora si chiama rapimento.
- Mettila come vuoi, la sostanza non cambia – le rispose sfiorandole il profilo del volto con l’indice mentre Pepper cercava di sottrarsi a quel contatto.
- Ho una piccola sorpresa per te – disse allontanandosi da lei a prendendo una fialetta da un tavolo vicino, scuotendola davanti ai suoi occhi per attirare la sua attenzione.
- Che cosa sarebbe?
- Questo, mia cara, è l’evoluzione.
- Cosa intendi?
- Extremis.
Pepper trattane il fiato cominciando ad immaginare cosa stesse per succedere. Il suo cervello iniziò a pensare freneticamente ad un modo per liberarsi, ma nonostante i suoi sforzi le cinghie la tenevano troppo ferma. L’unica cosa che poteva fare era cercare di prendere tempo.
E sperare. 
- L’hai provato su di te, vero? – chiese con disgusto capendo che la fisioterapia aveva avuto ben poco spazio nella miracolosa ripresa dell’uomo. Era stato una cavia del suo stesso esperimento.
- L’ho usato su di me, certo. E questo – rispose Killian indicando il suo corpo. – E’ il risultato. Niente male, eh? – le chiese con orgoglio.
- Tu sei completamente pazzo.
- Andiamo, Pepper. Ho visto come mi guardavi l’altro giorno e ricordo molto bene come mi hai guardato per anni quando lavoravamo insieme – le disse mentre lei distoglieva lo sguardo, vergognandosi anche solo di aver pensato a lui qualche istante dopo il loro incontro alle Industries. – Se le cose fossero andate diversamente, se ci fossimo incontrati solo per una proposta di lavoro e alla fine ti avessi proposto un caffè, puoi onestamente dirmi che non avresti accettato? – le chiese mettendo in dubbio con quelle poche parole tutta la sua vita degli ultimi dieci anni.
Amava Tony, da anni e forse da sempre, ma dopo l’attacco alieno era cambiato. Le sue armature erano diventate la sua vita e lei, che avrebbe dovuto essere la sua vita, era diventata secondaria. Passava tutto il tempo nel laboratorio, immerso in progetti e macchinari e sebbene lei avesse tentato di stargli vicino, di aiutarlo a superare quel momento, lo aveva sentito allontanarsi giorno per giorno fino a quando non si era ritrovata a flirtare con un’armatura, invece che con lui.   
- Ma non ti preoccupare, molto presto anche tu sarai dei nostri – le disse Killian intuendo forse quello che le stava passando per la mente e approfittando del vantaggio per insinuare ulteriori dubbi e paure in lei.
- Che cosa vuoi dire? – gli chiese sentendo che il panico tornava a sommergerla come un’ondata, mozzandole il respiro.
- Questo è il mio trofeo – mormorò prendendo un ago e una flebo e tornando ad avvicinarsi a Pepper.
- Non lo fare – mormorò la ragazza terrorizzata. Non sarebbe dovuta andare così, se solo Tony fosse stato con lei, se solo fosse tornato dopo la distruzione della Villa, se non l’avesse lasciata sola in quel momento sarebbero stati insieme, ben lontano da lì.
- Ti sto facendo un favore, con questo sarai perfetta – rispose l’uomo con sguardo compiaciuto. – E potremmo finalmente stare insieme.
- Tony… - tentò di dire la ragazza, convincendo se stessa più che l’uomo che Tony sarebbe arrivato a salvarla come sempre era successo. Magari facendo un’entrata trionfale come sempre capitava nelle grandi storie di avventure e di supereroi.
- Stark non verrà. Non lo vedrai apparire da quella porta – le disse indicando la porta dello stanzone in cui erano. – Non accorrerà a salvarti.
- Verrà.
- Non ha impedito che distruggessi la vostra casa, non è stato in grado di impedirmi di rapirti. Non riuscirà neanche a arrestare Extremis.
Pepper non rispose, schiacciata dai dubbi e dalle incertezze che si stavano insediando nella sua mente a dispetto di quello che aveva sempre saputo. Si fidava di Tony, lui era sempre arrivato, sempre in tutti quegli anni quando era stata in pericolo l’armatura rossa e oro era giunta da lei, ma tutto quello che Killian aveva detto era così reale, così vero, da far vacillare anche la sua incrollabile fiducia. Negli ultimi mesi Tony era stato assente, scostante, sempre preso ad armeggiare nel suo laboratorio, più interessato alle sue armature che a lei stessa, e così in quel momento il pensiero che davvero potesse non accorrere a salvarla le si incuneò nella mente senza che potesse fare nulla per fermarlo.
Cercò un’ultima volta di divincolarsi dalla stretta ferrea della sua prigione, senza alcun risultato.   
Vide la fialette contenente Extremis iniettata nella soluzione fisiologica e si rese conto che quella volta non sarebbe arrivato nessuno in suo soccorso.
Vide l’ago penetrare nel braccio, sentì la piccola puntura del metallo che lacerava la pelle e si rese conto che nessun lampo rosso sarebbe sceso dal cielo ad afferrarla prima della fine.
Vide la soluzione scendere lentamente nel suo braccio, una goccia per volta, e si rese conto che era troppo tardi, questa volta Tony non sarebbe arrivato.
Vide Killian allontanarsi di un passo da lei e quindi uscire dalla stanza.
E poi non vide più nulla.
Il mondo fu avvolto dalle fiamme, un calore insopportabile si sparse nel suo corpo bruciando muscoli, incendiando vasi e incenerendo la pelle mentre il virus scorreva dentro di lei riprogrammando il suo DNA. Chiuse gli occhi tentando di non urlare, cercando di pensare alla sua casa, all’oceano scintillante che ogni mattina vedeva dalla finestra della camera da letto, a Tony accanto a lei ancora profondamente addormentato nella luce grigia e fresca del mattino, ma poi le fiamme divamparono e inglobarono tutto in una massa di fuoco.
Fu solo caldo, terrore e dolore.
Cercò di stringere i denti, di controllare la sofferenza, di essere forte per lui, ma lei non era un supereroe, era una semplice assistente che si era trovata immersa in questioni troppo complesse, troppo grosse per una persona normale.
Tony aveva detto di essere solo un uomo di latta. Lei era solo una ragazza spaventata.
Il suo corpo si contrasse mentre il sangue incandescente scorreva nelle vene, infiammando i vasi e disegnando un reticolo rosso sotto la pelle sottile.
Gridò.
Pianse.
E alla fine invocò il suo nome, ma nessuno arrivò a salvarla.
Infine implorata, attesa e sperata l’incoscienza arrivò e Pepper si accasciò contro il metallo che la teneva ferma, mentre il suo organismo decideva se accettare o meno il virus ignara che in quel preciso momento anche un’altra persona stava soffrendo come lei, con lei, incapace di venire a patti con se stesso per quello che aveva permesso che succedesse. 

Ecco un capitolo un pò più mio. Con questa storia ho confermato quello che avevo già sospettato in precedenza, mi piace perversamente accanirmi su Pepper. Ho sfrugugliato con molta soddisfazione quelle che, secondo me ovviamente, sono le sue emozioni, paure, dubbi e incertezze su un momento altamente drammatico della sua storia. Spero che la resa della cosa vi sia piaciuta. 
Grazie davvero tantissimo ad Alley, Mrs Downey, My brother under the sun e Robin7 che assiduamente hanno recensito anche lo scorso capitolo! 
Alla prossima
Even

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Capitolo 4
*** Falling down ***


Si svegliò quando delle rudi mani slacciarono le contenzioni che la tenevano stretta e l’afferrarono al volo prima che cadesse a terra. Cercò di restare in piedi, ma i muscoli non sembravano rispondere ai suoi comandi e prima che fosse in grado di capire quello che stava succedendo le legarono le mani e le misero una benda sugli occhi.
- Dove mi state portando? – riuscì a chiedere prima che un uomo la spingesse rudemente in un furgoncino.
- Al party dell’anno – fu l’unica risposta che ottenne.
Pepper approfittò del viaggio per cercare di capire cosa fosse successo. Ricordava l’iniezione di Extremis, ricordava il dolore, ma in quel momento non provava nulla, nulla se non una piacevole sensazione di benessere e tepore e… forza. Si sarebbe aspettata di essere debole, completamente spossata da quello che le avevano fatto, invece stava bene e si sentiva più in forze di quanto non si fosse sentita da molti mesi a quella parte. Cercò di muovere i polsi per liberarli dalle manette, ma una voce la fece desistere. – Se fossi in te non lo fare – le disse. – E poi per andare dove? Hai bisogno di noi, esattamente come noi abbiamo bisogno di te.
- Che cosa vuoi dire? – chiese.
- Hai bisogno di Extremis per non esplodere, letteralmente.
- Esplodere?
- Un piccolo effetto collaterale – rispose la voce con indifferenza.
Pepper rimase in silenzio, pensierosa. Stava bene, si sentiva decisamente energica e, alla prima occasione che le si fosse presentata, sarebbe scappata. Da quando si era svegliata (viva) dopo l’iniezione del virus aveva capito che il tempo della damigella in pericolo era finito. Tutti quegli anni, tutte quelle missioni, tutte le cose che le erano successe negli ultimi giorni portavano ad un'unica semplice conclusione: doveva imparare a sopravvivere con le sue forze.
Se Tony non fosse arrivato al suo fianco, allora lei sarebbe andata da lui. Gli avrebbe dimostrato di non aver bisogno di qualcuno che le guardasse costantemente le spalle e di essere perfettamente in grado di badare a se stessa.
Fu fatta alzare e camminare su una scaletta. L’intenso odore di salsedine la convinse definitivamente che la stavano portando su una nave e si chiese cosa avesse in mente Killian.
Con una punta di rammarico si rese conto che quella era la vigilia di Natale e per un attimo, mentre veniva legata l’ennesima volta in uno stanzone pieno di scatoloni e container, si perse a pensare a come avrebbero potuto essere diverse le cose. In quello stesso momento, in una realtà parallela, lei e Tony erano seduti a tavola davanti ad un enorme tacchino, con il coniglio di peluche che li stava fissando con sguardo vacuo, l’albero di Natale scintillante e una serie di jingle natalizi in sottofondo. Avrebbero mangiato, bevuto champagne e poi chissà, con Tony nulla era mai sicuro, neanche la notte di Natale.  
La lasciarono sola nello stanzone, ma poco dopo Aldrich fece il suo ingresso.
- Ciao – le mormorò sornione, come se si fossero appena svegliati insieme in una bella giornata d’estate.
Pepper fece una smorfia. – Non ti aiuterà mai – gli disse con astio. – Non lo farà! – ribadì sperando che fosse vero e al contempo temendo che lo fosse. Da quando era stata rapita aveva sperato nell’arrivo di Tony, quando aveva capito che non sarebbe arrivato a salvarla aveva provato rabbia e delusione, ma adesso la parte razionale della sua mente le stava urlando che era giusto così. Tony non poteva mettere a rischio la sicurezza nazionale per salvare la sua ragazza, lo capiva, lo sapeva. Quello che non sapeva era se fosse in grado di poter convivere con tale convinzione.
- La tua presenza qui non è per motivare Tony Stark – le spiegò Aldrich. – Sei qui per… beh, mi imbarazza un pochino dirtelo – continuò con un sorriso di soddisfazione sulle labbra. – Sei qui come mio…
- Trofeo – concluse Pepper tristemente. Tutto quello che le era successo dal momento in cui avevano subito l’attacco alla Villa era stata solo causa sua. Aveva incolpato Tony di averla messa in pericolo, aveva pensato di essere stata presa come ostaggio per farlo collaborare, ma si era sbagliata. Doveva smetterla di contare solo su di lui, doveva smetterla di dare a lui tutte le colpe e tutti i meriti e cominciare a prendersi le sue responsabilità. Iniziando con il tentare di fuggire dal pazzo che le stava davanti, con o senza Tony Stark a soccorrerla.
- Come ti senti? – le chiese poi scrutandola in volto in cerca di qualche segno di sofferenza residua.
- Come se potessi prenderti a calci nel culo – riuscì a rispondere Pepper, motivata da una forza che solo qualche ora prima non pensava di avere, facendo al contempo un ghigno degno di Tony Stark.
- Da dove arriva tutta questa volgarità? – le chiese Killian.
- Lasciami andare, non puoi tenermi legata per tutta la vita. E non mi vuoi uccidere, o l’avresti già fatto – gli disse.
- Ucciderti? Oh no, no. Ho progetti molto più ambiziosi per te, Pepper.
- Non ti aiuterò mai.
- Lo vedremo.
- Cos’hai intenzione di fare oggi? Perché siamo qui? – chiese a raffica la ragazza, sperando che ad almeno una delle sue domande avrebbe infine risposto.
- Diciamo che ho in mente di fare un party di Natale molto… scintillante. E tu sarai parte di tutto ciò, non sei orgogliosa?
- Ma ti senti quando parli? Sei completamente folle…
- Stai zitta! – sbottò Killian perdendo per la prima volta la sua calma a quelle parole e facendo capire a Pepper come avesse appena toccato un tasto particolarmente dolente.
Fu interrotto da un rumore metallico proveniente dall’esterno. Killian si girò verso la porta mentre questa si apriva e qualcuno entrava sferragliando. – Buonasera, signore – salutò l’uomo mentre Iron Patriot faceva il suo ingresso nel container provocando una marea indistinta di sensazioni nella ragazza. Sorpresa, sgomento, curiosità, speranza e infine paura l’avvolsero come qualche ora prima era stata avvolta dal calore e dal dolore. Osservò l’armatura di Rhodey fermarsi a poca distanza da loro, non riuscendo a capire cosa stesse succedendo e non osando sperare che fosse lì per lei. All’improvviso la vide aprirsi e un uomo cadde bocconi davanti a Killian. - Benvenuto a bordo, signor Presidente – lo salutò questi mentre lei tratteneva il fiato, sconvolta.
Aldrich fece alzare il Presidente degli Stati Uniti e si diresse verso il ponte con lui, lasciando Pepper nuovamente sola con i suoi pensieri. Come l’altra volta le sbarre di metallo la tenevano ferma, impedendole di fuggire. Non aveva idea di che cosa esattamente avrebbe fatto una volta che fosse riuscita a liberarsi, ma per il momento era secondario, l’importante era riuscire ad uscire e cercare di impedire a Killian di mettere in atto il suo piano e Pepper, da quello che aveva capito, ne faceva parte. Anche solo la sua temporanea scomparsa dalla scena avrebbe rallentato il progetto di Aldrich dando tempo a Tony, Rhodey, all’esercito o a chiunque fosse in grado di fare qualcosa di… farlo. Una strana determinazione e sicurezza di sé pervasero la ragazza che si rese conto di come fosse cambiata nelle ultime ore. Non aveva idea se fosse per Extremis o se invece fosse semplicemente una parte di sé che non aveva mai conosciuto e che non era mai venuta alla luce, la cosa importante era che si fosse presentata nel momento opportuno e tanto bastava. La stessa grinta che aveva sempre manifestato nel lavoro di tutti i giorni, quella che le aveva permesso fin da subito di gestire Tony e le sue stravaganze meglio di chiunque altro, adesso stava emergendo con un altro aspetto portandola a reagire alla situazione disperata in cui si trovava con coraggio e determinazione. 
Uno scoppio improvviso e delle urla la riscossero dai suoi tentativi di liberarsi, abbassò la testa, ma fu lo stesso investita dall’onda d’urto che fece esplodere una parete intera della stanza in cui si trovava e la sbalzò per terra. Pepper urlò mentre una serie di macerie le piovevano addosso e fu sommersa crollando a terra, intrappolata e allo stesso tempo libera. Il lettino a cui l’aveva legata era stato divelto, ma le macerie la bloccavano. Cercò di muoversi per strisciare sotto di esse, senza alcun risultato.
- Pepper? – una voce fin troppo attesa, e allo stesso tempo assolutamente inaspettata in quel momento, la riscosse. Tony sollevò una serie di macerie, tentando di liberarla.
- FERMO! – urlò la ragazza mentre un dolore lancinante le mozzava il fiato e un tubo di metallo le premeva dolorosamente sulla pelle, rischiando di lacerarla. – Mettilo giù – mormorò tra i gemiti di dolore, non riuscendo a credere a quello che stava vedendo.
Tony si fermò si chinò verso di lei. – Vedi che cosa succede a frequentare le mie ex? – le chiese sporgendosi verso di lei e allungando il più possibile la mano.
Pepper sospirò sull’orlo delle lacrime. Lo aveva aspettato, lo aveva sognato, lo aveva desiderato e adesso che finalmente era arrivato, finalmente che si erano ritrovati, tutto quello che era in grado di fare era una battuta. La ragazza emise un gemito che era sollievo, speranza e astio tutto insieme incapace di dire se fosse più contenta di vederlo o più arrabbiata per la sua entrata così poco eroica e decisamente tardiva. – Sei un cretino – gli disse rendendosi conto di quanto realmente le fosse mancato: era Tony, come sempre. Ed era lì, come sempre.
In ritardo, come sempre.
- Ne parliamo a cena – le disse Tony sporgendosi ancora verso di lei mentre le loro dita si sfioravano senza riuscire a toccarsi realmente. – Avvicinati… - le disse sporgendosi al massimo mentre lei faceva lo stesso. – Un po’ di più – mormorò Tony cercando invano di afferrare la sua mano.
Pepper tese le dita il più possibile, desiderando con tutta se stessa afferrare quella mano che le stava tendendo, senza riuscirci. All’improvviso le dita che si stavano protendendo verso le sue furono brutalmente allontanate da lei e Tony cadde sulla schiena, schiacciato da Killian che lo teneva a terra, una mano infuocata premuta contro il suo torace. – Ti sta importunando? – le chiese con un ghigno malvagio tornando poi a volgere la sua attenzione a Tony. – Non alzarti – gli disse sempre mantenendo la mano incandescente sul suo petto. – Senti caldo? Ti senti un po’ incastrato? Come una tartaruga che viene cucinata nel suo guscio? – chiese.
Pepper era terrorizzata da quello che stava succedendo. Sapeva che il calore doveva essere insopportabile, sapeva che a meno di un metro da lei Tony stava soffrendo, morendo. E lei non era in grado di fare nulla, nulla per salvarlo, nulla per attenuare il dolore. Poteva solo restare a guardare. – Tony – mormorò come a chiedergli perdono.
- Lei sta guardando – disse Killian a Tony che, per colpa del casco dell’armatura, non riusciva a vedere cosa stesse succedendo di fianco a lui. – Credo che dovresti chiudere gli occhi – mormorò. – Chiudi gli occhi, è meglio che tu non veda – disse mentre accentuava il calore nella mano, rendendola ardente.
Pepper si divincolò graffiandosi contro i calcinacci e i tubi di metallo, si sporse verso Tony, cercò di raggiungerlo, di salvarlo, ma senza riuscirci. L’unica cosa che fu in grado di fare fu restare ad osservare Killian che lo uccideva davanti a lei. Per un attimo Tony volse lo sguardo, i loro occhi si incrociarono e Pepper fu terrorizzata da quello che vi lesse. Rimpianto, tristezza, senso di colpa, ma soprattutto rimorso per quello che avrebbero potuto avere e che era stato loro strappato prima ancora che lo conquistassero. Fu tentata di distogliere lo sguardo, incapace di sopportare la pena che vi leggeva, ma poi si costrinse a mantenere il contatto visivo, così come Tony si rifiutò di chiudere gli occhi. Se quella era l’ultima cosa che vedeva, doveva essere lei.
Poi un’altra esplosione distrasse Killian e Tony fu rapido ad approfittarne, fece guizzare una lama dal guanto dell’armatura tagliando di netto quel braccio che lo stava uccidendo. Il calore dell’arto fuse il metallo del ponte su cui si trovavano e Pepper scivolò, restando agganciata ad una gru che iniziò a muoversi verso l’esterno, trascinandola con sé. La ragazza strinse la presa con tutta la forza che aveva e rimase ad osservare impotente mentre veniva trascinata via, ancora una volta lontano da Tony.
Chiuse gli occhi, esausta. Per qualche attimo fu tentata di mollare la presa e farsi semplicemente scivolare giù, sommersa dal dolore, dalla paura, dall’angoscia, ma poi vide una figura muoversi sotto di lei, inseguirla di corsa cercando di afferrarla e capì che doveva tener duro. Per lui. Per se stessa, perché era più forte di quanto non si sarebbe mai aspettata e dopo tutto quello che le era successo si meritava anche lei un lieto fine, come tutte le eroine. Strinse la presa e rimase appesa al braccio meccanico in movimento finché questo non si fermò di colpo, minacciando di farle perdere l’appoggio.
Vide Tony appena qualche metro sotto di lei che si sporgeva nel vuoto. – Pep, ti prendo – le disse cercando di infonderle fiducia con uno sguardo. – Tranquilla, ti prendo – le ripeté sporgendosi al massimo e tendendo una mano verso di lei. Ma lei era terrorizzata e incapace di fare altro che reggersi al supporto, volse lo sguardo verso l’alto cercando una via di fuga che non esisteva. – GUARDAMI! – le urlò Tony ricatturando il suo sguardo e osservandola con una determinazione che non vedeva da prima di New York, con lo stesso sguardo deciso che aveva avuto la sera dell’attacco all’Expo, quando l’aveva salvata e portata sul tetto di un palazzo mentre tutt’attorno a loro si susseguivano le esplosioni. – Tesoro, non posso sporgermi oltre e tu non puoi restare lì. Devi mollare la presa. Molla la presa, ti afferro io. Te lo prometto – le gridò preoccupato.
Te lo prometto.
Furono quelle tre semplici parole e lo sguardo con cui furono dette che la convinsero alla fine.
Lui che aveva portato il Mandarino da loro.
Lui che non era stato in grado di proteggerla da Killian.
Lui che non era riuscito a salvarla.
Te lo prometto.
E Pepper si fidò di nuovo.
Lui che l’aveva sempre protetta in tutti quegli anni.
Lui che l’aveva salvata da Stane.
Lui che l’aveva salvata da Vanko.
Pepper fissò gli occhi in quelli di Tony e vi lesse solo determinazione e amore. Allungò la mano e sfiorò quella di lui un attimo prima che l’ennesima esplosione facesse vacillare la struttura a cui si stava reggendo, facendola ondeggiare e perdere la prese. Si sentì scivolare verso il basso, mantenne lo sguardo in quello di Tony, ma c’era qualcosa che non andava.
Vide la determinazione diventare terrore e l’amore disperazione, sentì i polpastrelli che sfioravano quelli di lui e poi sentì la presa della gravità su di lei, il vento che le scompigliava i capelli, il caldo che le infiammava la pelle e un urlo nella notte.
E poi non sentì più niente.

E con ciò vi saluto per qualche tempo, andando nelle più che meritate ferie la prossima settimana. Manca un capitolo e poi anche questa storia è finita, non credo di lasciarvi con una grossa suspance, tanto cosa succede lo sapete già. 
Come sempre grazie infinite a Robin7, my brother under the sun e alla mitica (sì, mi sopporta quasi quotidinamente nei miei scleri letterari quindi l'aggettivo è più che meritato) Mrs Downey per i commenti.
A prima o poi :)
Even 

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Capitolo 5
*** Phoenix ***


Caldo.
Tutto quello che sentiva in quel momento poteva riassumersi in quell’unico concetto.
Caldo.
Niente dolore, niente bruciore, niente paura.
Solo un tempore che la cullava, la calmava, la rigenerava e l’avvolgeva completamente.
Pepper fece uno sforzo per capire e per ricordare. Era sospesa nel vuoto, Tony era poco sotto di lei e le diceva di lasciarsi andare, di mollare la presa che lui l’avrebbe afferrata.
Te lo prometto.
E lei lo aveva fatto. Si era fidata di lui e aveva mollato la presa, aveva sentito le dita sfiorare quelle di Tony e poi era caduta tra le fiamme. Ricordava il caldo, ma questa volta accompagnato dal dolore. Ricordava l’impatto con il ponte della nave, il rumore delle ossa che si rompevano, il sangue dal gusto metallico che le invadeva la bocca, e la sofferenza indicibile. Poi un velo era calato su di lei benevolo, cancellando tutte le sensazioni e lasciandola sola e indifferente nel buio.
E adesso c’era solo il caldo tepore che la cullava e le fiamme tutto attorno a lei che danzavano un ballo meraviglioso, invitante e accogliente.
Era morta?
Pepper strinse le palpebre cercando di alzarsi, ma il suo corpo non le rispose al contrario della sua mente che si mise a vagare dispersa nei meandri dell’incoscienza.
Caldo e fiamme.
Inferno.
Era dunque davvero morta? Tutto finito con quell’ultimo atto di fede?
Nonostante la situazione si indispettì: dopo tutto quello che aveva passato, dopo aver sopportato per anni Tony Stark e le sue megalomanie, Pepper pensava di essersi meritata quanto meno un suo angolino di paradiso e invece si ritrovava nel fuoco eterno.
Si irritò e strinse di nuovo le palpebre in una smorfia di disappunto. Poi mosse una mano e, al contrario di poco prima, quella le rispose e si mosse. Pepper si azzardò ad aprire gli occhi: vide fiamme roventi che però non la stavano bruciando, vide macerie distrutte tutto attorno a sé, vide container e, al di là di tutto, il cielo e le stelle che brillavano tenui in tutto quel chiarore. Osservò il suo braccio e vide che era infuocato, come fosse fatto di pure braci ardenti, ma senza che queste le provocassero alcun tipo di sofferenza. Si concentrò di più, richiamando i suoi pensieri e sforzandosi di ragionare lucidamente, e si rese conto di una sensazione di prurito al braccio, ma anche alla gamba sinistra, alla schiena, al volto; tutto il suo organismo solleticava e ardeva come brace.
Si rimise in piedi a fatica e solo in quel momento una pallida eco di sofferenza la invase, riflesso di un dolore che avrebbe dovuto essere molto maggiore. Si rese conto di essere appena sopravvissuta ad una caduta da sessanta metri in una fucina ardente e solo dopo che quella consapevolezza scese su di lei si rese conto di essere davvero ancora viva.
Viva e senza quasi un graffio ora che il suo corpo si era perfettamente rigenerato.
Pepper si guardò intorno perplessa e si incamminò fuori dall’incendio che la circondava.
Tony.
Tony aveva promesso di prenderla, ma poi l’esplosione l’aveva fatta oscillare e lei aveva perso la presa, cadendo. Come un’improvvisa onda di marea il volto di Tony al momento della sua caduta le tornò alla mente, rivide la sofferenza, il dolore, la colpa, la disperazione in un singolo sguardo e la cosa più importante divenne trovarlo.
Trovarlo e fargli sapere che era sopravvissuta.
Volse lo sguardo verso l’alto nel momento stesso in cui poco distante da lei qualcosa cadde a peso morto. La ragazza strinse gli occhi prima di riconoscere quello che restava di una delle armature di Tony ammaccata, semi distrutta e bruciacchiata. Fece un passo e si rese conto come non fosse solo un’armatura. Era Tony ammaccato, semi distrutto e bruciacchiato, ma ancora vivo. E all’improvviso non ebbe più nessuna importanza che lui non ci fosse stato, che non l’avesse salvata, era vivo, lei era viva. Potevano avere una seconda possibilità, potevano ricominciare e tanto era sufficiente. Si mosse rapidamente verso di lui incapace di trattenere un sorriso quando vide qualcos’altro abbattersi a terra, una massa indistinta e incandescente che una volta poteva essere stata qualcosa di simile ad un essere umano, ma che in quel momento erano solo ossa e fuoco che lo stavano minacciando.
Pepper capì che Tony non si sarebbe difeso, nonostante la lontananza vide nei suoi occhi la sofferenza, la delusione e quello che sperava non avrebbe mai più visto: la resa. Lo vide osservare l’essere che era stato Killian dirigersi verso di lui, lo vide alzare un braccio come se quello avesse potuto fermarlo, o forse avesse solo potuto nasconderlo dalla verità, e si rese conto che Tony non avrebbe più potuto salvarla, non sarebbe stato in grado di salvare neanche se stesso perché nel momento in cui lei era caduta, quando l’aveva creduta morta, anche il suo cuore era morto, esattamente come era successo a lei quando aveva visto la Villa distrutta.
Capì che c’era un solo modo per risolvere quella situazione e sperare di tornare a casa, o almeno a qualcosa che potesse diventare la loro casa. Era il suo momento. Sebbene non fosse mai stata particolarmente coraggiosa, sebbene fosse la persone più lontana da un supereroe che potesse venirle in mente, sebbene fino a solo qualche ora prima non fosse altro che una ragazza spaventata, in quel momento si rese conto che il cambiamento non era stato solo nel suo fisico. Era pronta a fare qualsiasi cosa per proteggere quello che restava della sua vita. E quello che restava della sua vita era steso a terra indifeso come mai lo aveva visto prima di allora.  
“Te lo prometto” pensò mentre correva verso di lui sapendo che questa volta la promessa sarebbe stata mantenuta.

Ed eccoci alla fine della storia. Il resto lo sapete e devo ammettere che, per una volta, non ho niente da aggiungere. La scena dell'abbraccio e la "tabula rasa" mi hanno pienamente soddisfatto (*scattano applausi, per una volta Eve non si lamenta del film*). Questa FF è iniziata nel momento in cui Tony e Pepper si sono separati e mi sembrava giusto finirla nel momento in cui si ritrovano.
Il resto è storia nota. 
Ringrazio come sempre Robin7, my brother under the sun, Alley e Mrs Downey per i commenti e i lettori silenziosi, che magari potrebbero approfittare dell'ultimo capitolo per scrivere due impressioni (lo dico, ma tanto lo so che non lo farete ;) )
Detto ciò non mi resta che salutarvi
Ciao a tutti
Even 

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