Love save the pain di RobiSmolderhalder (/viewuser.php?uid=169071)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** A family situation ***
Capitolo 3: *** When something is burn ***
Capitolo 4: *** Lonely day ***
Capitolo 5: *** George ***
Capitolo 6: *** The truth ***
Capitolo 7: *** You take my breath away ***
Capitolo 8: *** Pain is so close to pleasure. ***
Capitolo 9: *** Nothing else matters. ***
Capitolo 10: *** What I Want ***
Capitolo 11: *** The way You touch, I loser control and shiver deep inside. ***
Capitolo 12: *** With Your Eyes ***
Capitolo 13: *** The order of memories ***
Capitolo 14: *** She's Like Heroin ***
Capitolo 15: *** When The Silence Worth a Thousand Words ***
Capitolo 16: *** The Quiet Before The Storm ***
Capitolo 17: *** I Miss Those Eyes, Wich We Have Seen In The Universe. ***
Capitolo 18: *** All Broken. ***
Capitolo 19: *** The Last Resort. ***
Capitolo 20: *** All And Nothing. ***
Capitolo 21: *** In Spite Of Everything. ***
Capitolo 22: *** The Bitter Revelation. ***
Capitolo 23: *** The Happiness Before Death. ***
Capitolo 24: *** Start Again. ***
Capitolo 25: *** It's My Life. ***
Capitolo 26: *** ∞ // Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Love
save the pain.
Prologo.
Se ne
stava lì, sulla riva delle spiaggia di fronte casa sua.
Guardava
il mare, l’orizzonte. Aspettando qualcuno o qualcosa.
Ogni
giorno, dopo pranzo, compiva la solita routine.
Appoggiava
un telo da mare, nella riva ad un dito dal mare, accendeva due
sigarette, una
la fumava, l’altra la lasciava fumare da sola appoggiata in
bilico nel suo
pacchetto.
Ascoltava
Queen e Scorpions in quel frangente.
Canticchiava
sempre le solite rime, ma ogni giorno la canzone era diversa.
Passava da who wants to live forever? A rock you an
hurricane. Ed I suoi
occhi color del cioccolato diventavano lucidi fin quando le lacrime
esplodevano,
per poi finire lungo le sue guance.
Aveva
ventidue anni, viveva ancora con la sua adorata mamma, di suo padre non
si
sapeva niente. Lei non ne parlava spesso.
A
scuola era sempre stata una ragazza tranquilla, gli scolari erano
sempre
contenti di far parte della classifica delle loro amicizie. Era una
ragazza
solare, estroversa, piena di idee e sempre sorridente. Ma quando
capitava che
arrivava l’uno Aprile, il giorno più brutto di
tutta la sua vita, il suo umore
si trasformava terribilmente. Ogni anno l’uno Aprile andava
sempre nella
spiaggetta, ma invece di accendere solo le due sigarette buttava anche
trentuno
rose bianche. Nessuno sapeva il perché, nessuno sapeva il
motivo. Il dolore era
un frangente sempre presente nella sua vita. Aveva perso una persona
importante,
questo si sapeva. Quello che non si sapeva era chi.
Sua
madre non sapeva delle sue escursioni giornaliere, o forse lo sapeva,
ma non
era pronta a subire lo stesso dolore che la figlia provava giornalmente.
Isabella
da pochi giorni aveva trovato un lavoro. Era la segretaria di un
avvocato. Era
un brav’uomo, lei si trovava bene. La madre dopo tanti anni
di sacrifici per
dar da mangiare a sua figlia pulendo le scale dei condomini, aveva
trovato
lavoro in un salone di bellezza e finalmente avevano trovato un
po’ di luce
dopo anni di povertà.
Reenè
era un’ottima madre per Bella. Erano come se fossero amiche,
il loro legame era
indissolubile, si amavano in maniera indescrivibile. Erano un piccola
famiglia,
ma a loro importava di essere felici nonostante tutto.
**
Edward,
uno dei ventottenni più ricchi di Los Angeles.
Da ragazzino
intimidiva ragazze e ragazzi della scuola. Ma lui era solare,
simpatico. Era
bello da far paura, lui lo sapeva, ma non aveva mai approfittato di
questo. Era
ricco sì, ma umile dentro.
Si era
appena laureato e presto avrebbe iniziato a lavorare con il padre, era
eccitato
all’idea di entrare nel mondo del lavoro, era felice di
lavorare con il padre.
Non
viaggiava mai con l’aereo. Forse odiava quel mezzo o aveva
semplicemente paura.
Forse odiava le nuvole. Forse odiava il cielo. Perché
benché lui lo guardasse
spesso, i suoi occhi rivolti al cielo diventavano delle gemme verdi
infuocate
di rabbia.
Aveva
un fratello e una sorella. I suoi genitori sono sempre stati amorevoli.
Aveva
una famiglia perfetta. Era buono e gentile. Andava d’accordo
con tutti. Ma il
suo cuore era ferito, per quel che si sa non era stato ferito da
qualche
ragazza. Era stato fidanzato, ma i caratteri differenti non avevano
portato a
lungo le sue relazioni.
Quando
una nuvola di dolore si invadeva nel suo corpo, nella sua anima lui
cercava
sempre di riprendersi. Ma il dolore è come
l’amore, una volta che ti entra
dentro è difficile farlo uscire.
Non
aveva mai capito quali dei due fosse più forte. Non voleva
pensarci al momento.
La sua mente era occupata dalle sue ambizioni.
Premetto
che non sto abbandonando l’altra mia storia (Per
chi la segue) Robsten. Chi non la conosce se la vuole leggere
è questa :
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=957738&i=1
Ma questo prologo è pronto da giorni e oggi ho deciso di
pubblicarlo.
Il prologo
è in terza persona, ma dal primo capitolo sarà
con dei rispettivi Pov.Spero di avervi incuriosito
Fatemi sapere, il
vostro parere è molto importante per me. Un
bacio a mia cugina Giulia, lei si che è speciale, sono
fortunata ad averla.
Alla prossima Roby.
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Capitolo 2 *** A family situation ***
Love save the
pain
A
family situation
Bella’s
Pov.
20
marzo 2008
Los Angeles.
Cazzo.
E’ tardissimo. Sono le otto del mattino e mi sono
appena svegliata. Alle otto e mezza spaccate dovrei essere dal mio capo.
Faccio velocemente la doccia, ma non mi soffermo come tutte
le mattine a pensare sotto la doccia, oggi non ho tempo di fare niente.
Mi metto di fronte al mio armadio pensando a quello che
potrei mettermi.
Non sono una bella ragazza.
Non sono alla moda, né mi importa esserlo.
I miei vestiti sono semplici ma mi piacciono. E le mie tute
sono davvero comode. Peccato che per lavorare mi hanno dato un tailleur
blu
scuro con una camicetta bianca. I capelli devono essere sempre ordinati
e raccolti
in uno chignon. Mi è sempre piaciuto tenere i miei capelli
sciolti, che col
vento accarezzano la mia faccia, che nascondono anche il mio viso.
Sono estroversa come ragazza, ma le mie pene e i miei dolori
non sono leggibili se non dal mio viso, nemmeno dai miei occhi
è mai trasparito
niente. Ma le mie espressioni sono sempre quelle che mi tradiscono.
Prendo un jeans blu scuro e una canotta bianca. Appunto i
miei capelli come meglio riesco. Non
riesco a capire perché quell’avvocato
così dolce ma molto rigoroso
riguardo al suo lavoro, non vuole che indossi direttamente il tailleur
e lo
devo indossare nel mio camerino all’interno del suo studio.
Avevo chiesto a mia madre se magari lei potesse sapere il
motivo e mi ha risposto: Amore, magari
è
necessario prova a chiederglielo.
Ma in una settimana di lavoro non gli avevo chiesto niente.
Oggi inizio la mia seconda settimana, oggi è un giorno
importante per l’avvocato,
suo figlio da oggi comincerà a lavorare con lui.
Questa sono io Isabella Swan, preferisco
Bella. Sono una ragazza normale
con un lavoro normale. Mi piace parlare con le persone che conosco ma
non
rivelo mai tutto. Odio le persone che provano pena per gli altri, e di
conseguenza non racconto mai delle cose brutte che mi capitano per
evitare che
la gente abbia pena di me e quindi arrivare al punto di odiarle. Mia
madre
Reenè è una donna speciale, premurosa
è tutto l’amore che il suo animo produce
lo dona a tutti. Non porta rancore ed è troppo buona.
E’ la mia vita. Mia madre è tutto quello che ho.
Mia madre è
tutto ciò di cui io ho sempre avuto bisogno fino ad oggi.
Angela, la mia migliore amica dai tempi dell’asilo, adesso
si trova a New York frequenta l’università di
Harvard, quando riesce a venire
dai suoi, passa sempre a trovarmi, ogni giorno ci sentiamo e oggi
doveva uscire
con un ragazzo del campus, stasera mi chiamerà per farmi
sapere. Mi manca, lei
colorava le mie giornate. Lei è l’unica persona
dopo mia madre che sa tutto di
me. Mi conosce meglio di chiunque altro e soprattutto mi capisce meglio
di
chiunque altro. Appena finirà gli studi tornerà
qui e io conto i giorni, segno
perfino le crocette nel calendario.
Do un’occhiata all’orologio e cazzo è
tardissimo. Scendo le
scale di fretta sperando di non inciampare.
“Buongiorno Mamma” do un bacio nella guancia a mia
mamma che
è intenta a leggere un libro di make up alternativo.
“Ehi tesoro. C’è la torta al
cioccolato”.
“Mh no è tardissimo c’è il
caffè?” annuisce e mi passa una
fumante tazza di caffè. Lo ingoio velocemente anche se
scotta, è tardissimo.
Bell’inizio della seconda settimana di lavoro.
Prendo il mio pacchetto di sigarette, l’accendino e il mio
cellulare.
“Ciao mamma” urlo più per la fretta che
per altro. Lei
ricambia il saluto ed esco. Fortunatamente non ho bisogno di prendere
mezzi
pubblici tanto è vicino. Accendo la mia sigaretta, non
guardando la spiaggia di
fronte casa nostra, a quel punto me ne infischierei del ritardo e
passerei
tutta la mattinata seduta a riva.
Mia madre finalmente dopo anni di lavori alla giornata, come
colf, badante, baby sitter oppure lavare le scale dei grandi palazzi,
dove
guadagnava una miseria. Qualche anno fa’ finalmente ha
trovato lavoro come
visagista in un salone di bellezza, fa anche la parrucchiera e i
massaggi se è
il caso. La pagano davvero bene, finalmente non abbiamo più
quella
preoccupazione di contare i soldi giornalmente e farci il conto se
bastavano
fini ad arrivare a fine mese.
Arrivo nel grande grattacielo familiare già da una
settimana,
entro pensando al giorno in cui mi ha assunta.
La
tranquillità che trasmettono le onde del mare nel silenzio
più assoluto viene
interrotta dal trillo del mio cellulare.
“Pronto?”
“Isabella
Swan?”
“Si?”
“Ecco
sono l’avvocato Cullen, mi è arrivato il suo
curriculum ieri mattina. Vorrei
fissare un appuntamento quando lei è disponibile”
“Oh si
certamente, io sono libera tutti i giorni”
“Tra
mezz’ora?”
“Tra
mezz’ora è perfetto”.
Quando
attaccò il telefono io ero straordinariamente
euforica. Non ci speravo nemmeno che mi chiamasse. Quel pomeriggio mi
aveva
comunicato che avrei lavorato per lui e suo figlio. Avrei dovuto
rispondere al
telefono, fissare gli appuntamenti e dividere le carte. Ero diplomata
in
ingegneria, ma mi andava abbastanza bene. Ero felice, e la paga per
come mi
aveva detto era abbastanza generosa.
Mi cambio velocemente, e fortunatamente non sono in ritardo.
Prendo posto nella mia scrivania e accendo il computer, lo studio
è vuoto. La
mia scrivania è dentro lo studio. E’ strano molte
volte le segretarie stavano
fuori dallo studio. Ma non importa,
l’importante
è che io faccia bene il mio lavoro.
“Buongiorno Bella” mi saluta Carlisle. Quando mi ha
assunta
mi ha detto: Dimmi sempre se c’è qualcosa che ti
mette a disagio. Io ho
cominciato col dirgli di chiamarmi Bella.
“Buon giorno avvocato” mi sorride e prende posto
anche lui.
“Appuntamenti per oggi?”
“Solo uno. Gli altri li ho cancellati sabato, sotto sua
richiesta, per l’arrivo di suo figlio in ufficio”.
Annuisce e prende il suo
Blackberry. Ed ecco che inizia la mia giornata lavorativa. Adesso
sicuramente
passerà circa due ore al cellulare.
Un’ora dopo. Attacco il telefono segnando l’ultimo
appuntamento libero che c’era per domani. Appunto tutto sul
pc e lo stampo. Una
volta stampato il foglio lo ripongo nella cartella della scrivania
dell’avvocato
Cullen.
Sistemo velocemente la scrivania, solitamente lo faccio a
fine giornata lavorativa.
La porta si apre e spunta Carlisle, con un ragazzo che oh.
Non trasmette certo pensieri puri. Ha i capelli
scompigliati, color rame biondiccio, il suo corpo è
muscoloso, ma non come
quello dei westler o dei palestrati. Avrà si e no
venticinque anni. E’
bellissimo. Indossa uno spezzato blu scuro, una camicia azzurrina e la
cravatta
nera che scompare dentro la giacca abbottonata. I suoi occhi sono
verdi. Il
verde solitamente è un colore acceso, pieno di vita, ma no.
Il suo colore è più
un ceruleo spento che un verde gemma scintillante. Il suo sguardo
intimidisce,
ma la sua espressione è tranquilla, forse non si rende conto
dell’effetto che
il suo sguardo ha sulla gente. Non provo pena per quegli occhi spenti,
ma un
senso di tristezza familiare, come se il suo sguardo fosse il mio. Come
se
dentro quel dolore ci fossi io, come una sensazione familiare come se
io
conoscessi cosa influenza quel colore così spento dei suoi
occhi.
“Buongiorno, io sono Isabella” dico al figlio di
Carlisle
che mi guarda, forse pensando a quello che ho pensato io di lui fino ad
un
minuto fa.
“Ciao, Io sono Edward”. La sua mano raggiunge la
mia e la
mia spina dorsale diventa molle, le mie gambe hanno un impercettibile
tremore,
e le mie guance si surriscaldano automaticamente.
Strano.
Non mi era mai successa una cosa del genere, con il mio
carattere è sempre stato difficile. Forse per quel senso di
tristezza
familiare.
“Bene. Edward quella è la tua scrivania”
gli comunica
Carlisle indicandogli la scrivania accanto alla sua, al lato della mia.
Io
prendo il mio posto e inizio a segnare dei giorni dove ci saranno delle
cause.
“Isabella-”
“Bella. Preferisce Bella” interviene Carlisle.
Edward
sorride mostrando una schiera perfetta di denti bianchi e dritti. Mi
incanto un
attimo a guardarlo, ma poi la mia mente decide che il momento di essere
ridicola è finito.
“Bella. Potresti copiare questi bigliettini da visita e
stamparli” mi porge il suo biglietto da visita e lo guardo.
“Si certo. Quante copie?” chiedo iniziando ad
aprire il
programma sul computer.
“Ne fai cinquanta per adesso, poi se ne avrò
bisogno te lo
dirò” annuisco e inizio a copiare il biglietto da
visita.
Edaward Anthony Cullen.
Avvocato
penitenziario.
Contatti:
213 8239581.
Orari:
Lunedì,
Mercoledì e venerdì dalle 09:00 am alle 01:00 pm.
Martedì,
giovedì e sabato dalle 03:00 pm alle 07:00 pm.
Street
Farrok Bulsara 12/a. LA.
Lavorerò
sempre con lui. Ecco perché Carlisle mi aveva
avvertita che avrei dovuto lavorare anche al pomeriggio. Lui
è in studio tutte
le mattine, mentre il figlio a salti farà mattino e
pomeriggio.
Un sorriso mi nasce
sulle labbra, e resto per minuti interi a chiedermi il motivo.
Verso le undici del mattino, Carlisle mi dice che se voglio
prendermi una pausa devo approfittarne. Così decido prima di
andare in bagno.
Prendo il mio caffè e mi dirigo sulla terrazza per fumare.
Sono tre ore che non fumo, questo lavoro fa’ anche bene alla
mia salute. Quando
esco nella terrazza noto che c’è Edward che mi da
le spalle, la testa all’indietro
come se stesse guardando il cielo. Decido di non pensarci e accendo la
mia
sigaretta.
“Fumi?” alzo la testa, che poco prima era rivolta
al
pavimento. Annuisco e sorrido.
“Anch’io fumo. Ho iniziato tanti anni fa”
ammette.
“Anch’io, avevo solamente tredici anni”
mi fissa come se
avessi detto una cosa molto interessante.
“So che è maleducazione, ma sono davvero troppo
curioso. Quanti
anni hai?” mi chiede.
“Ah no, tranquillo. Non sono una tipa che si offende
perché
le chiedono l’età. Ne ho ventidue. Tu?”
mi sorride. Teneramente, come se davvero
gli interessa sapere qualcosa di me. Tante persone nel momento in cui
le
conosci, ti chiedono, l’età, i gusti sul gelato,
sulla musica, sui film, su tutto.
Ma lo fanno per fare conversazione e poi dimenticare tutto
nell’esatto momento
in cui glielo dici, perché lo fanno senza interesse. Ma lui
no, ha quell’espressione
che urla ‘ davvero m’importa di te ’ o
forse sto solo fantasticando
inutilmente.
“Io ventotto” risponde. Finiamo la nostra sigaretta
e
torniamo nello studio.
La mattinata passa tranquilla, ma la mia salute mentale ha
davvero bisogno di riposo, avrò risposto a circa duecento
telefonate.
E’ mezzogiorno, scendo e mi dirigo al take- away qui vicino.
Ogni mattina Carlisle mi da un foglio dove c’è
scritto
quello che prenderà per pranzo, oggi ovviamente ha ordinato
per due.
Due bistecche al sangue con contorno di patate al forno. Da
bere una bottiglia di acqua naturale e una frizzante. Io
pranzerò a casa.
Sicuramente con la torta che mia mamma mi ha fatto per colazione. Non
sono né magra
né grassa, ma mangio poco perché sono fatta
così. Mia madre quante volte si è
disperata per cercare di farmi mangiare almeno un piatto di pasta una
volta a
settimana, ma niente. A parte il fatto che io odio la pasta.
Solitamente a
colazione mangio qualche biscotto con il caffè, oppure
qualche fetta di torta che
prepara mia madre. A pranzo un toast, un frutto o un frullato. A cena
mi
preparo una tazza di latte con i cereali al cioccolato. Questo non
è un modo di
alimentarsi nel modo giusto, ma semplicemente lo faccio.
L’importante poi è
stare bene di salute. La mia salute è apposto.
“Ecco qui” porgo a Edward il suo piatto, lui mi
guarda e mi
sorride. Oh ma oggi è tutto un sorriso o è sempre
così. Mi farà morire questo
ragazzo bellissimo quanto impossibile per la sottoscritta.
“Grazie Bella”. Gli sorrido di rimando e faccio lo
stesso
con Carlisle.
Mi dirigo nel camerino e mi cambio. Saluto entrambi e mi
dirigo a casa mia.
**
“
Here i am, will you
send me an angel. Here i am, in the land of the
morning start”
canticchio un brano degli Scorpions con il vento che fa volare i miei
capelli e
con la tranquillità dello scroscio delle onde che arrivano a
riva e si
dissolvono nel mare immenso.
Il
mare.
Amavo
il mare da bambina, e anche se è difficile ammetterlo lo amo
anche adesso.
Anni
fa’ credevo che il mare fosse la causa del mio dolore.
In parte è così, ma non è tutta colpa
del mare. Dicono che
il mare è bello, ed è così. Ma dicono
anche che è traditore. E con me lo ha
fatto, mi ha tradita.
Ha portato con sé il mio passato, la mia infanzia, gran
parte della mia vita.
Ma il destino aveva deciso così. Poteva essere un treno,
poteva essere un aereo, poteva essere una malattia. Invece è
stato il mare.
Sono i casi della vita, dopo anni di odio verso il mare, ho
capito che se anche io provassi rancore verso di lui non avrei concluso
niente.
Se odiavo il mare non potevo più guardarlo, ammirarlo e
approfittare della
tranquillità che emana.
Più lo guardo però, più mi aspetto di
vedere qualcosa
spuntare dall’orizzonte. Ma sono anni ormai che ci spero e
non è mai successo
niente. Ogni giorno vengo qui. Concentro il mio dolore, piango, mi
dispero,
spero, prego. Sarò masochista ma lo faccio,
perché è l’unica cosa che mi fa
pensare che lui è esistito davvero, e che non è
frutto dei miei sogni, che non
è soltanto un ricordo sbiadito col tempo.
Guardo il mare.
Come quando una persona a cui tieni è morta, quando sei
scoraggiata, triste o anche felice vai al cimitero e ci vai a parlare.
Io non
ho nessuna tomba su cui sfogarmi, ho solo il mare dove posso essere
certa che
lui possa sentirmi, che possa sapere che io lo penso ogni giorno. Che
la mia
vita è in bianco e nero, opaca, senza sfumature. Che
l’unico modo per
sopravvivere è sapere di riuscire a comunicare con lui,
anche se è doloroso è
necessario.
Le lacrime scendono copiose sul mio viso e piango,
singhiozzo. Perché qui è deserto da quel giorno.
Perché qui non c’è mia madre e
non devo trattenermi, perché qui posso essere me stessa e
sfogarmi per cercare
di far uscire anche una minima parte del mio dolore.
“Loney wolfe torna da me” ripeto questa frase come
ogni
giorno e solo quando le lacrime mi sfiniscono
all’inverosimile mi accascio su
me stessa e mi distendo guardando il cielo.
Edward’s
Pov.
“Oh
Edward, come stai?” Sto parlando al telefono con mia
sorella da circa mezz’ora ed è un quarto
d’ora che mi chiede come sto.
“Alice per la centesima volta sto bene. Tu piuttosto come va
al campus?”
“Mh abbastanza bene sai-” Ed eccola che inizia a
parlare,
adesso chi la ferma più? Sorrido e mi butto sul divano.
Alice. Una forza della
natura in tutti i sensi possibili. Ha ventitré anni. Non so
cosa avrei fatto
senza di lei negli ultimi anni. Adesso sta frequentando il penultimo
anno di
Università a Seattle. La sua mancanza si sente giornalmente
in famiglia. E’
estroversa, solare, completamente fissata con la moda. Quando eravamo
piccoli,
litigavamo sempre, come tutti i fratelli del mondo
d’altronde. Abbiamo un
legame strabiliante. Forse è stato il dolore a farci unire
in maniera così
forte, forse è stato lo stesso senso di perdita che ci ha
fatto unire
soffrendo. O semplicemente è stato il nostro volerci bene
che ci ha fatto capire
quanto siamo importanti l’una per l’altro. Mio
fratello Emmet, alto un metro e
novanta per novantaquattro Kg, fa’ paura a chiunque non lo
conosca, ma è un
tenerone, lui ha trent’anni, il prossimo mese di sposa con la
sua fidanzata
Rosalie. Infatti mia madre – Esme- è molto
indaffarata con l’organizzazione del
matrimonio.
La mia è una famiglia molto unita, semplice e complessa allo
stesso tempo.
E’ come la famiglia delle pubblicità. La colazione
tutti
quanti assieme, almeno quando abitavamo tutti a villa Cullen. Adesso
ogni
domenica è sacra per riunire la famiglia. E sono contento di
questo, ma è anche
bello vivere da solo. Se ho fame mangio, se ho sonno dormo. Se voglio
suonare
la mia chitarra posso farlo quando voglio. Se voglio deprimermi posso
farlo
senza avere il timore di trasmettere il mio dolore alla mia famiglia.
Quando ho finito di parlare con Alice sono le otto di sera.
Preparo un toast, mi siedo sul divano e accendo la tv. Faccio un
po’ di zapping
fin quando non trovo il live del concerto a Budapest dei Queen. Lo
guardo.
Piango pensando quanto queste canzoni, mi facciano pensare a lui.
Quante cose
condividevamo, come l’amore per i Queen. Come prenderci in
giro quando le
ragazze ci mandavano a quel paese. Le persone più buone sono
quelle che vivono
meno. Tante volte mi sono chiesto cosa ho fatto di male nella mia vita
per
subire un dolore come questo. Non so dove ho sbagliato, o in cosa.
Riesco a
sapere solamente che il destino ha voluto portarmi via gran parte della
mia
felicità. Tante volte ho tentato il suicidio, ma tentativo
vano, non ho il
coraggio per farlo. Sperare che qualcuno mi ammazzi è
sbagliato ed egoistico. Perché
dopo aver ragionato un po’ di più sulla mia
situazione ho capito che, la mia
famiglia ne morirebbe se io non ci fossi più,
perché far provare agli altri già
il dolore che provo io? Un membro della famiglia già basta e
avanza.
Mi sono laureato in giurisprudenza con la specializzazione
in giustizia penale.
Ho iniziato a lavorare oggi con mio padre.
Quando ero ancora un’adolescente volevo diventare un medico,
volevo salvare le vite delle persone. Ma dopo quell0 che mi
è successo, ho
cambiato totalmente idea. Perché se sei un medico, puoi
salvare innumerevoli
vite, ma ci sono anche quei casi in cui potresti fallire, il senso di
colpa ti
mangerà l’anima e dopo la prima esperienza, non
riuscirai mai a lavorare come
prima, ogni persona in fin di vita, ti farà pensare a quella
che non hai potuto salvare.
Ho deciso di specializzarmi in diritto penale per dare un
senso alla giustizia.
Tutti i giorni, nel mondo muoiono parecchie persone, che sia
una malattia o la vecchiaia, ma se invece fosse per i pirati della
strada? Se fosse
perché un folle ti incontra per strada e ti spara
semplicemente perché aveva
voglia di farlo?. Purtroppo ogni giorno ci sono molte persone che
muoiono a
causa di un’ingiustizia. Ed io ho voluto prendere questa
strada per farla
pagare a tutti quelli che fanno del male a delle persone innocenti. Che
siano
buone o cattive non importa sono sempre persone che sono state create
per
vivere. Ci sono casi irrisolti da tantissimi anni, buttati nel
dimenticatoio, e
questa è un’ingiustizia.
Arrestare degli assassini non riporta di certo in vita la
persona che è morta, ma il prossimo che pensa di fare una
cosa del genere, se
la giustizia interviene giustamente senza tralasciare nulla, ci ripensa
miliardi
di volte prima di agire.
**
Raccolgo le
carte da portare in ufficio e le impilo per bene
prima di infilarle nella mia valigetta. Oggi lavoro di pomeriggio.
Arrivo nel corridoio dell’ufficio e l’odore
inconfondibile
di fragola e frutti di bosco penetra il mio naso. Bella è
già in ufficio.
Bella. Mi ha dato molto da pensare questa mattina.
E’ una ragazza molto simpatica, ed è davvero
bella. I suoi
capelli sono castani, la lunghezza non è visibile
perché c’è li ha sempre
raccolti in uno chignon. La gonna e la giacca – che le fanno
da seconda pelle-
fasciano il suo corpo snello, ma non troppo minuto. I suoi occhi, dove
mi
immergerei per giornate intere, tanta è la
profondità, la sincerità e purtroppo
il dolore. Ho notato che molte volte si ferma a pensare e i suoi occhi
color
cioccolato si imporporano di uno strato lucido, che però
riesce a trattenere.
Forse il suo cuore è stato spezzato, forse anche lei ha
perso una persona
fondamentale nella sua vita.
“Ciao Bella” sussurro entrando nello studio, lei
intanto
mastica la penna con i denti e fissa dei foglio di fronte a
sé.
“Ciao Edward” mormora sorridendomi. Il suo sorriso
è così
dolce che rimarrei ore ed ore a guardarlo.
Mi accomodo nella mia scrivania, ed entusiasta guardo i
fogli sistemati per bene, con tutti gli orari, gli appuntamenti e tutto
quello
che mi occorre per lavorare. Oggi devo vedere solamente due persone.
Dopo due ore. Sono spaparanzato nella sedia-poltrona che
leggo attentamente degli appunti presi per la prossima causa. Bella
è stata in
silenzio tutto il tempo, non mi ha mai interrotto mentre parlavo con i
miei
clienti anzi è come se volesse essere invisibile per
lasciarmi la privacy con i
clienti. Mio padre è stato davvero fenomenale ad assumerla.
Il pomeriggio passa tra un appunto e un altro. Quando ad un
tratto il suo cellulare squilla.
“Here we are, born to
be kings we’re the princes of the universe” e i miei pensieri si fanno
ancora una volta
vividi nella mia mente. Una nuvola di dolore si espande nella mia
mente. Tante
lacrime vorrebbero uscire dai miei occhi, ma mi trattengo anche se
difficilmente.
Lei torna in studio imbarazzata e si scusa.
“No tranquilla, anzi ottimi gusti musicali”
ammetto. Lei annuisce.
“Ascolti i Queen?” mi chiede.
“Si. Gli dei della musica come potrei non
ascoltarli?”
E da lì parte una conversazione su tutta la discografia dei
Queen. Dai live più belli, alle esibizioni più
stravaganti e affascinanti del
grande Freddie Mercury.
E rimango interdetto di una cosa. Tutti i giorni io ascolto
i Queen, in quasi tutta la settimana, guardo i live e dentro di me
quell’aria
malinconica quanto familiare si prende la mia mente, ma adesso
parlandone con
Bella. Mi sento spensierato, come se mi fossi tolto un peso dallo
stomaco.
Forse perché la sua naturalezza, il suo modo affascinante di
esprimersi mi
emana tranquillità.
O forse perché sono alquanto consapevole che lei ha provato
e sta provando lo stesso dolore che provo io.
_______
Salve!
Primo capitolo ufficiale della storia.
Allora come vi è sembrato l’incontro tra Edward e
Bella?.
Avete almeno un pochino capito chi hanno perso di così
importante nella loro vita?
Spero che vi sia piaciuto, e spero ardentemente ricevere un
parere su questo capitolo.
Ps: non sapendo cosa scrivere ho inventato l’indirizzo dello
studio, mettendo il vero nome di Freddie Mercury.
Buonanotte.
Alla prossima. Rò
|
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Capitolo 3 *** When something is burn ***
Love
save the pain.
When
something is born
Bella’s
Pov.
“Ciao
Bella. Noi ci vediamo domani” mi saluta Carlisle.
“Arrivederci signor Cullen”
“Senti Bella. Mia moglie domani organizzerà una
cena, torna
mia figlia da Seattle, mi
farebbe molto
piacere se venissi”.
Ma? Io non conosco nessuno. Come faccio? Mi sentirei
profondamente a disagio. Poi guardo Carlisle, noto la speranza nei suoi
occhi e
sento che potrei deluderlo se risponderei negativamente.
“D’accordo” rispondo.
“Allora domani alle Otto, l’indirizzo lo
sai” ovvio abita al
piano di sopra. Edward invece abita in un altro grattacielo altrettanto
bello.
Mi ha raccontato, un po’ dei suoi studi, dei suoi film
preferiti, cibo, libri.
Siamo molto in sintonia, forse perché noto ancora quella
tristezza così familiare.
Sono sempre stata una ragazza non molto invadente,
semplicemente non mi interessava di sapere la vita degli altri, che
come sempre
si rivelava noiosa e dolorosa come la mia. Quella di Edward,
sarà certamente
anch’essa noiosa e dolorosa, ma al contrario delle altre mi
interessa. E poi
oh, è così bello e intelligente che passerei ore
ad ascoltarlo, ed a guardarlo
mentre parla e gesticola. La sua voce è dolce e calda, ogni
volta che sento la
sua voce mi tranquillizzo. Non mi capitava da quando ero piccola.
Troppo
piccola per capire.
Mi cambio ed esco avviandomi verso casa, prima che dei
pensieri, non proprio felici si catapultino sulla mia mente.
“Ciao mamma. Come mai a casa?” chiedo a mia madre
una volta
entrata in casa.
“Ciao Bella, c’erano poche prenotazioni e quindi mi
hanno
detto che potevo riposarmi per oggi” annuisco e mi dirigo in
cucina. Fame.
“Ci sono delle lasagne in forno” mi informa mia
mamma. La
guardo alzando un sopracciglio e scoppia a ridere “ come non
detto”. Sorrido e
prendo una mela dal frigo. Quando finisco mi dirigo nella porta.
“Dove vai? Non è troppo presto per il
lavoro?” mia mamma non
sa che ogni giorno dopo pranzo mi dirigo nella spiaggetta qui
d’avanti. O forse
lo sa, ma non vuole capire il perché, per lei,
così fragile sarebbe altro
dolore da accumunare all’altro.
“Ehm, esco un po’ ” annuisce e la sua
espressione si
intristisce un attimo, per poi diventare uguale a quella di prima. Ha
sofferto
troppo nella sua vita, non voglio che lo faccia ancora.
Prendo l’I-pod dalla tasca dei miei jeans e faccio partire
la riproduzione casuale e indosso le cuffie alle orecchie.
Nothing else matters dei metallica parte a tutto volume.
Dalle orecchie passa, alla gola e poi dritta nel cuore.
La musica.
L’unica
cosa che mi
fa stare bene, che mi fa sorridere. L’unica cosa che mi
ricorda che nonostante
tutto la vita va vissuta, che non bisogna mai guardarsi indietro.
Guardo il mare. Oggi c’è vento, le onde formano
del
cavalloni pazzi a causa del vento. Sembra che ogni onda voglia litigare
con
l’altra. Il mare sembra infuriato, eco del mio stato
d’animo in questo preciso
istante.
“Sto bene sai?” sorrido “ Ho conosciuto
Edward, sai non te
l’ho detto subito perché non pensavo che te ne
avrei parlato mai. E’ dolce,
intelligente, interessante e sai ascolta i Queen. Forse ti starebbe
simpatico
solo per quello”.
La musica è la sua risposta. Da sempre è stato
così. Dicono
che per non soffrire dobbiamo allontanarci dal dolore. Venire qui tutti i giorni
per me è troppo
doloroso, forse, ma è come togliere un peso dal mio stomaco.
E’ il rimedio al
mio male, perché quando vengo qui mi sento uno spirito
libero, posso sfogarmi,
posso lasciare libero il mio dolore che per anni ho rinchiuso dentro il
mio cuore.
Mi distendo sul telo e osservo il cielo. Forse
dopo tutto, non sei nemmeno in fondo
al mare, forse dopo tutti questi anni
sei felice. Forse mi pensi, forse mi hai dimenticata.
Guardo l’orario e mi accorgo che se non mi muovo sono in
ritardo.
“Ciao. Ti voglio bene” bacio la mia mano e poi
delicatamente
l’appoggio sul mare. Prendo il telo e lo rimetto nella
cantina, che c’è di
fianco la porta dell’ingresso di casa mia.
Prendo la mia borsa – appesa sulla maniglia della cantina- e
mi dirigo a lavoro.
**
“Ehi
ciao” alzo al testa al suono melodioso che produce
quella voce e sorrido.
“Ciao Edward. Senti volevo chiamarti, ma mi sono accorta che
non ho il tuo numero”. Mi guarda aspettando che continui
“ Per oggi non hai
nessun appuntamento”.
Annuisce fra se e poi si avvicina dandomi un bacio sulla
guancia. Oddio. Una forte fitta arriva sulla mia schiena facendola
vibrare, le
mie guance si colorano immediatamente di rosa, che subito dopo si
scurisce
diventando rossa e le mie orecchie sono bollenti.
“Ciao” mormora dolcemente.
“Allora? Possiamo andarcene a casa no?” io lo fisso
incredula,
non lo avevo mai visto così leggero. Certo ci conosciamo
solo da nove giorni,
ma in questi giorni non lo avevo mai visto così. Sorrido a
lui, al suo
entusiasmo.
“Anzi no. Vieni andiamo a prendere un
caffè” mi prende per
mano e fa’ per farmi uscire dallo studio.
“Ehi aspetta, devo cambiarmi” annuisce e mima
‘scusa’ con le
labbra. Sorrido ed entro nel camerino. Quella labbra, così
soffici che mi aveva
dato l’impressione di una nuvola che mi stava accarezzando.
Esco dal camerino e ci dirigiamo al bar.
Prendiamo posto e ordiniamo due caffè.
“Allora come va?” mi chiede mentre inizia a girare
il
cucchiaino sulla tazzina.
“Mh, va”Rispondo, lui sorride
e mi contagia. “ A te come va?” Gli
chiedo.
“Va” sorride e inizia a soffiare nel
caffè. Io faccio lo
stesso.
“Ah, dimenticavo. Tuo padre oggi mi ha invitata a cena per
domani”
“Ah, verrai?” Mi chiede dolcemente.
“Si. Non mi sembrava giusto rifiutare. Tu ci
sarai?”
annuisce e mi sorride.
Non avevo mai preso un caffè così volutamente con
qualcuno.
I miei compagni e le mie amiche mi chiedevano sempre di andare a
prendere
qualcosa al bar, ci andavo ma svogliatamente. Si parlava sempre di cose
noiose
in quei casi. Ma adesso sto bene, anche se non diciamo niente e ci
fissiamo,
non è per niente noioso. Ogni suo movimento mi attrae.
Quando ha troppi
appuntamenti si passa una mano tra capelli, scompigliandoli di
più. Quando è
concentrato sul suo lavoro, ogni tanto fa schioccare la sua lingua nel
palato,
e la cosa è tremendamente eccitante, che mi chiedo come
abbia fatto a restare
così lucida per così tanto tempo. E adesso, qui,
lontani dal lavoro, siamo noi
due, che ci guardiamo negli occhi, abbiamo voglia di conoscerci, ridere
e scherzare
insieme. Perché qualsiasi cosa io faccia con lui, anche la
più futile mi fa
stare così bene, che per un attimo dimentico tutto il dolore
che il mio corpo
ha dentro sé.
“Bella” una voce familiare, interrompe la nostra
piccola e
silenziosa bolla privata. Mi giro e non riesco a credere ai miei occhi.
“Jakee” mi alzo e corro verso di lui. Ci scambiamo
un lieve
bacio a fior di labbra e ci guardiamo negli occhi. L’unica
persona dopo Angela
che sa di me, della mia vita, delle mie gioie e dei miei dolori.
“Tesoro!” esclama entusiasta “ come
stai?”.
“Sempre uguale. Tu? Ti trovo bene” annuisce e
guarda Edward
seduto nel tavolo dov’ero prima io. Poi mi fa
l’occhiolino.
Prendo la mano di Jacob e lo porto nel nostro tavolino.
“Edward, lui è Jacob” Jacob avvicina la
mano ad Edward, e
lui con molta educazione prende la mano di Jake. La sua mascella
è tesa, i suoi
occhi sono diventati scuri. La sua espressione è dura.
“Piacere”. Sussurra Jake tranquillo.
“Mio”. Risponde Edward, adesso anche lui tranquillo.
Si guardano e poi Jake mi guarda con un espressione di
scuse.
“Bells, devo andare. Passa stasera se ti va mh?”
annuisco e
ci salutiamo.
“ Ehi Bella, ho dimenticato le sigarette potresti darmene
una?” mi chiede tranquillo Edward, dopo che jake è
andato via. Chissà cosa gli
era preso, forse qualche telefonata. Ma adesso è tranquillo.
Non so.
“Certo” afferro il mio pacchetto e glielo porgo.
Nel modo di
afferrarlo la sua manica della giacca si alza, e si intravede un nome
tatuato
sul polso.
“Hai un tatuaggio?” annuisce e me lo mostra.
C’è
scritto George tra il palmo e il
polso. Non gli
chiedo niente, non vorrei essere invadente. Poi lo ricopre mettendo
apposto la
giacca. Io continuo a fissarla, come se avessi i raggi x negli occhi e
potessi
guardare ancora quel marchio che ha sulla pelle. Decido di fare un
passo verso
di lui, in fondo se voglio sapere qualcosa di lui è giusto
aprirmi anch’io.
Alzo la mia manica, corta e gli mostro la mia spalla
sinistra.
Lui sgrana gli occhi vedendo quel mio tatuaggio da
maschiaccio.
Una corona con la scritta
Queen sotto fa’ bella mostra di sé. Sono
fiera del mio tatuaggio,
soprattutto per il significato che ha. Sopra la corona ho fatto
incidere due
iniziali C. S.
“E’-è”
“Bellissimo, ah si lo so” a questa mia affermazione
scoppia
a ridere.
“Non ti facevo un tipo da tatuaggi del genere”. Mi
confessa.
“Nah. Odio le farfalline che si fanno le ragazze nel ventre.
I tatuaggi si fanno per qualcosa che ti piace, o che magari ha un
significato
molto importante. E se io non avessi avuto la musica, specie i Queen,
non penso
che sarei così”.
Annuisce e smette di sorridere.
“Le iniziali per cosa stanno?” mi chiede
ingenuamente.
“Le…E’ il nome di una persona molto
importante per me”
abbasso il viso. Non sono affatto pronta, a raccontargli tutto di me.
In tanto
l’ho mostrato io il mio tatuaggio. Eppure lui annuisce
impercettibilmente. Ha
capito tutto.
“Okay. Ehm. Allora a domani” mi alzo dalla sedia e
lui dopo
la mia affermazione, mi imita. Si avvicina e lascia un bacio
nell’angolo della
mia bocca. La reazione è simile a quella di prima,
l’unica differenza è che
adesso è moltiplicata. “A domani Bella”.
Lo guardo imbambolata e vado via.
“Mamma. Domani sono a cena fuori. Mi serve qualche vestito.
Non ho nulla da
mettere” mi lamento dopo
aver stravaccato tutti i miei abiti dall’armadio. Sento i
passi di mia madre
salire le scale e sorrido. Lei si che avrà la soluzione.
“Andiamo dai” sorrido prendo la mia borsa e la
seguo.
Edward’s
Pov.
Guardarla
era qualcosa di profondamente illegale. Perdersi
in quei occhi così espressivi era profondamente
rassicurante. Tutto di lei mi
incuriosiva, mi piaceva, stranamente avevo bisogno di guardarla anche
solo di
sbieco per stare un po’ meglio. Che fosse inspiegabile
attrazione fisica lo
avevo immaginato. Avevo paura del sentimento, forse provavo pena per
quei occhi
doloranti? Provavo pena per quegli occhi che ogni tanto diventavano
lucidi
visibilmente? Non lo sapevo, sapevo solo che dentro di me stava
nascendo un
interesse più forte di una semplice attrazione fisica.
Suono il campanello di casa dei miei e aspetto. Chissà se
è
già arrivata.
“Ciao tesoro entra” Esme, mia madre, apre la porta,
e mi
abbraccia. Non sono un tipo molto affezionato ai genitori, ma gli
voglio bene
tantissimo. Si amano, sono felici e sono le persone più
buone e genuine che io
conosca. Mio padre, mi ha dato consigli che fino ad oggi mi sono stati
molto
utili. Mia madre mi ha sempre amato immensamente, non vorrei una
famiglia
diversa da questa. Mio fratello Emmet, perenne ritardatario, si sta per
sposare. Con lui ho sempre avuto un rapporto ben saldo e molto
affettivo.
Litighiamo per stronzate, per poi il giorno dopo dimenticarcene. Mia
sorella
Alice è un dono che mi ha fatto la natura. Anche se a volte
le capita di essere
triste, lei non si lascia trascinare giù dalla tristezza
è un portento su
tutto, se si mette qualcosa in testa ci riesce. E’ fidanzata
con un ragazzo al
Campus. Sono contento per lei, in fondo ha ventitré anni, un
po’ geloso lo
sono, ma lei questo non lo sa.
“Edward!” ed eccola lì, la donna di cui
sono sempre stato
innamorato sin da piccolo.
La mia piccola nana si fionda tra le mie braccia, e per un
attimo mi sento tutto intero.
“Alice” sussurro annusando il profumo dei suoi
capelli, il
profumo di benessere. Ogni persona ha la sua essenza, il suo profumo.
Alice ha
il profumo di tranquillità. Ed ogni volta che la vedo le mia
narici ne aspirano
al massimo di quanto possono, in modo che ogni volta che io sento la
sua
mancanza possa ricordarmi del suo profumo.
“Come stai?” mormora con gli occhi lucidi per la
commozione.
“Bene”. Lei mi guarda e sorride. Ha tagliato i
capelli e
stranamente, è un po’ più in carne. Il
mio piccolo folletto.
Suona il campanello ed Alice corre ad aprire. Emmet, Rose e
Bella, varcano la soglia di casa.
“Ciao tu sei Bella no?” Bella sorride, e le sue
guance si
colorano di rosso.
“Si Ciao” risponde visibilmente imbarazzata.
“Io sono Alice”.
Si presenta mia sorella.
“Piacere allora” Bella offre la mano a mia sorella,
ma Alice
non è un tipo da stretta di mano. Così
l’abbraccia e la stringe fortissimo. Ma
Bella anziché disgustarsi o rimanere di sasso.
L’abbraccia e scoppia a ridere.
“Sei forte” le dice quando si staccano. La risata
cristallina di Alice rimbomba in tutta la sala. Mi avvicino a loro, per
salutare Bella. Ma poi mi fermo un attimo. I suoi capelli sono sciolti,
ondulati e lunghi fino alla vita. Ha un vestito rosso, lungo fino alle
ginocchia,
ma così stretto che le sue forme sono ben visibili. Ed io
non ho mai visto una
ragazza così incantevole. Mi avvicino a lei. E come ieri
pomeriggio, le lascio
un bacio sull’angolo delle labbra. Mi guarda negli occhi e mi
sorride
intimidita. Non lo avevo mai fatto con nessuna, ma con lei sto
scoprendo un
altro me. Un’altra persona, e questo nuovo cambiamento mi
entusiasma. Intanto
mio fratello si avvicina a me e mi da una pacca sulla spalla. Rose
invece mi
abbraccia.
“Bella. Ciao, io sono Esme” mia madre si avvicina e
la
stringe in un piccolo abbraccio.
“Molto piacere signora Cullen”. Dice sorridendo a
mia madre.
“Io sono Esme, cara”.
Mio padre passa anche a salutarla e poi prendiamo posto per
cenare.
Casualmente, credo, alla mia sinistra siede Bella. Con la
coda dell’occhio la guardo. Dio non mi ero accorto della
scollatura del vestito
sul suo petto. Ed è anche senza reggiseno. Okay calmati, in
fondo non è la
prima volta che vedi il seno di una ragazza. Mia madre inizia a
servirci.
La cena passa, con chiacchere allegre. Discorsi formali, di
mio padre riguardante il suo lavoro. Emmet con le sue solite battute,
Rose sta
zitta e ogni tantotanto molla un piccolo ceffone al suo futuro sposo.
Bella
ascolta tutto attentamente e risponde anche a modo. E’
davvero una ragazza
intelligente.
“Bella cara. Non credo che resterai per sempre a fare la
segretaria, hai qualcosa in mente?” deglutisco a quella
domanda di mia madre,
non volendo scoprire la risposta.
“Bè, mi piace lavorare con Edward e Carlisle. Fin
quando il
lavoro mi soddisfa, non credo che abbia voglia di cambiare. Comunque
sono
diplomata in ragioneria. Mi piacerebbe molto diventare
ragioniera” risponde
Bella.
Consumiamo il dolce e bella inizia a massaggiarsi lo
stomaco, facendo i complimenti a mia madre per la cena deliziosa. Poso
una mano
sulla mia coscia. Ma la mia mano vorrebbe prendere un’altra
direzione. Mi
piacerebbe tastare la morbidezza della sua pelle, stringerne anche un
lembo,
per sapere se ha davvero quella consistenza che immagino. Poi tutto ad
un
tratto, la mano di Bella si posa sulla mia spalla e la stringe. Mi
guardo
intorno e mi accorgo che siamo da soli. Le sorrido e lei posa il capo
sulla mia
spalla.
“Sto per scoppiare me lo sento” dice ridendo. Le
accarezzo
la spalla nuda e sorrido anch’io.
“Ma se sei magrissima! Dovresti mangiare di
più”. Scuote la
testa e la alza guardandomi.
“Sei bello!” esclama, come se avesse risolto un
enigma.
“No tu lo sei” detto questo mi avvicino a lei e le
bacio la
guancia.
Mia madre ci distrae, dicendoci di spostarci in salotto.
Ci
alziamo, e faccio strada a Bella. Dopo pochi minuti mia sorella, le fa
girare
la casa. La serata passa più o meno come la cena. Poi per
Bella si fa tardi.
“Vi
ringrazio Moltissimo. Davvero ancora complimenti Esme
per la cena. Sono lieta di avervi conosciuto tutti. Allora noi ci
vediamo
domani?” dice rivolgendosi infine ad Alice., che sorride e la
abbraccia.
Si
avvicina a me per salutarmi.
“Ti
accompagno”
“Ma,
no tranquillo abito qui vicino. Sono due passi” mi
contradice sorridendo.
“Insisto”
annuisce ed entriamo nell’ascensore.
“Tua
sorella è fantastica” mormora abbassandosi per
togliersi le scarpe.
“Lo
è” mormoro anch’io guardandola.
La
guardo, siamo dentro un ascensore gigante, che
improvvisamente a me sembra troppo piccolo. Forse è la sua
presenza. Forse è
quella strana voglia che si prende gioco di me quando
c’è lei. Quella voglia di
accarezzarle i capelli, ma allo stesso tempo di sbatterla anche qui, su
un
piccolo- grande ascensore. Guardo i suoi occhi, e per un attimo guardo
il mondo
da un altro punto di vista.
Quegli
occhi che mi sembrano così sinceri, ma allo stesso
tempo ammaliatori.
Quegli
occhi che da qualche giorno immagino lucidi per il
piacere che io stesso le potrei donare.
Quel
corpo da musa, splendido, imperfettamente perfetto. Le sue
mani così piccole, ma che sembrano avere la forza di un
leone. Le sue braccia
esili e sottili, che vorrei mi circondassero il collo. La sua bocca,
così
carnosa e rossa, che mi piacerebbe affondarci i denti per riuscire a
scoprirne
la consistenza.
Bella.
Quella Bella che da qualche giorno il destino mi ha
mandato per farmi impazzire. Per farmi capire, che forse, non sono
stato l’unico
a soffrire come un cane. Per scombussolare, la mia routine, dove
giornalmente c’è
dolore, tristezza e disperazione. Ma che da qualche giorno in quella
stupida,
noiosa e dolorosa routine c’è qualche sorriso
senza apparente motivo sulle mie
labbra. Forse è presto per fare delle supposizioni. Ma la
mia mente vaga ed ha
trovato questi cambiamenti.
“
Scusa Bella, ma Jacob è il tuo ragazzo?” le chiedo
una
volta aver spento la macchina e accostato d’avanti casa sua.
Scoppia a ridere e
nega con la testa.
“
Ma no! Sono single. Anche se Jake è molto dolce e sarebbe
un perfetto fidanzato” ammette sorridente.
“
Ma insomma, anche tu sei molto dolce e…Bella, molto
bella”
mi guarda negli occhi e mi sorride.
“
Ma Jake è Gay, mi vedrebbe come una rivale semmai”
Tiro un
sospiro di sollievo e appoggio la schiena nel sedile. Potrei rimanere
in
macchina anche tutta la notte, se c’è lei con me.
“
Grazie ancora Edward. La tua famiglia è formidabile, dico
davvero. E tu sei, bè tu sei dolcissimo. Adesso si
è fatto tardi devo andare”
si avvicina e mi lascia un leggero bacio sul mento. In questo esatto
momento
prenderei quel viso così fragile, lo avvicinerei al mio e
cancellerei le
distanze con un bacio, non propriamente impuro certo.
“Ciao”
sussurra nel buio dell’abitacolo.
“Buonanotte
Bella”, mi sorride scende dalla macchina ed
entra dentro casa sua. Metto in moto e parto verso casa. Canticchiando, per la
prima volta dopo cinque
anni.
Salve!
Allora, vado di fretta. Vorrei solo dirvi che questa
per certi punti di vista è una biografia. Quindi ci tengo
particolarmente a
capire se potrebbe piacere. Poi boh, fate voi, se fa schifo ditemelo
che
miglioro.Un bacio, buona domenica per domani e notte (?).
Roby.
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Capitolo 4 *** Lonely day ***
Love
save the pain.
Lonely
day.
1 Aprile 2008 LA
Ore: 12:30 am.
Bella’s
Pov
“Fanno
trenta dollari Bella” Annuisco e porgo i soldi alla
fioraia. Lei in cambio mi da le rose bianche. Sono trentuno, come ogni
anno,
come ogni volta, come sempre.
Sono già passati sedici anni, ed io non me ne sono resa mai
veramente conto.
Il
tempo.
Quando
non vuoi vola, come una piuma, come la vita. Ti
scivola via dalle mani, senza che tu te ne renda davvero conto. Il
tempo è
denaro dicono.
Sì è prezioso, veloce, bello, brutto, grande,
piccolo, buono,
cattivo.
Il tempo che ci fa compagnia, anche se pensiamo di essere
soli, quando in realtà nessuno è mai realmente
solo. Soltanto l’anima rimane
sola.
A volte credi che la vita sia una merda, ma poi ti fermi un
attimo a pensare e dici ‘no è molto
peggio’. Esistono i giorni solitari, dove
credi che nessuno potrà aiutarti, se non la fonte del nostro
dolore.
Che se anche fa schifo, prima o poi dovrà migliorare. Che
non ci può essere costantemente tristezza immutabile nella
nostra vita, nel
nostro tempo.
Spesso ci chiediamo se sperare sia la via d’uscita. Io credo
solo che sia buon intenditrice degli illusi. Ho sperato per almeno nove
anni,
ma non è successo niente.
Tutto è rimasto esattamente come prima. Freddo, triste,
immutabile.
Il dolore rimane lì, non diminuisce ma diventa
più grande,
potente. La sua forza arriva al punto di espandersi in tutto il corpo,
è
letale, ti annebbia, ti possiede. Ed è quando arrivi a
questo punto che è
davvero finita. Io non ci sono ancora arrivata, ma non manca poco.
Le mie lacrime scendono, copiose, veloci, senza comandi.
Scendono e basta senza che io decida. Sono stanca di piangere, di
soffrire.
Vorrei solo una via d’uscita, una soluzione per stare almeno
un po’ meglio, un
appiglio per dire ‘c’è l’hai
fatta’.
Apro la porta della cantina e prendo il mio telo giallo. Era
arancione una volta, poi si è schiarito con la salsedine e
forse anche con le
lacrime. Arrivo a riva e lo sistemo più vicino al mare delle
altre volte.
Mi siedo e attacco il mio I-Pod. Parte Lonely day.
Such
a
lonely day (E’ un giorno così solitario).
And it's mine (Ed è mio)
The most loneliest day of my life ( il giorno più solitario
della mia
vita)
Such a lonely day (E’ un giorno così
solitario).
Should be banned (Dovrebbe essere bandito)
It's a day that I can't stand (E’ un giorno che non
riesco a sopportare)
The most loneliest day of my life (Il giorno più solitario
della mia
vita)
The most loneliest day of my life (Il giorno più
solitario della mia vita)
Such a lonely day (E’ un giorno solitario)
Shouldn't exist (Non dovrebbe esistere)
It's a day that ill never miss (E’ un giorno che non
mi mancherà mai)
Such a lonely day (E’ un giorno solitario)
And it's mine (Ed è mio)
The most loneliest day of my life (Il giorno più solitario
della mia
vita)
And if you go (E se va via)
I wanna go with you (Voglio venire con te)
And if you die (E se muori)
I wanna die with you (Voglio morire con te)
Take your hand and walk away (Prendere la tua mano ed andare
via)
The most loneliest day of my life (Il giorno più
solitario della mia vita)
The most loneliest day of my life
The most loneliest day of my life
Such a lonely day (E’ un giorno solitario)
And it's mine (Ed è mio)
It's a day im glad I survived (E’ un giorno di cui sono
contento di essere
sopravvissuto). Sussurro.
Non mi ero mai realmente resa conto
della verità in queste parole. Ho sempre avuto il difetto di
non ascoltare mai
veramente delle canzoni. Poi un’immagine, immaginaria, spunta
d’avanti ai miei
occhi. Da bambina ricordo che i primi
giorni che lui non c’era più, mia
mamma
mentre mi faceva il bagnetto piangeva. Un giorno mi ero arrabbiata e le
avevo
chiesto ‘ e adesso chi mi mette il profumino?’ e
poi entrambe eravamo scoppiate
a piangere.
All’epoca era solamente una bambina. Me ne stavo li a
piangere, guardandolo mentre andava via. Vedevo mia madre, che ogni
volta era
in ansia. Vedevo il mare e mi rassicuravo, non capendo quanto stessi
sbagliando.
Mi sono sempre chiesta il perché. Mi sono
sempre detta che a
tutto c’è una spiegazione razionale. Crescendo,
andando avanti col tempo, ci ho
riflettuto. Ho cercato di trovare qualcosa di logico in questa vicenda,
e non
ci sono mai riuscita.
Dicono che quando dio ci crea, lo fa per una scopo. Il mio
scopo è quello di piangere sempre.
Piangere perché sei felice dopo tanto tempo.
Piangere perché vorresti avere di più.
Piangere perché non sai combattere il dolore, allora piangi,
ma con le lacrime e i singhiozzi non si risolve niente. Sono
nata per non risolvere niente piangendo.
Mi fa schifo tutto questo. Non lo reggo tutto questo dolore
mi serve una strada diversa da intraprendere.
Ed eccomi qui, come ogni anno il mio essere cambia. Per
qualche ora torno la ragazza insicura, che piange, che non sa nemmeno
come si
chiama. Che pensa, pensa, pensa e non risolve, ma si procura il triplo
del
dolore che prova giornalmente. Siamo nati per essere distrutti, non per
distruggerci.
Poggio la mia testa sul telo, e chiudo gli occhi. Sperando
che sia un incubo. Sperando che torni bambina, dove i miei problemi
erano
acconciare i capelli delle bambole.
**
“Torni
a lavoro tra un po’?” mi chiede mia mamma, che mi
abbraccia e mi accarezza la spalla. Scuoto la testa. Oggi Edward ha
lavorato al
mattino con Carlisle. A volte al pomeriggio mi capita di andare in
ufficio lo
stesso, per fare qualcosa, ma oggi proprio non riesco. Poi mi ricordo
che devo
vedere Alice. Credo che le chiamerò.
Ogni anno. Non esco mai durante questo giorno. Perché il mio
stato d’animo è troppo visibile. Mi chiederebbero
tutti ‘ ehi come stai? Che
succede?’ e francamente il mio umore non è dei
migliori per parlare con la
gente, meno che con mia madre.
“So. Che è difficile. Doloroso e fa anche un
po’ paura. Ma
amore mio così non andiamo da nessuna parte capisci? Lui non
vorrebbe vederti
così.” Ammette mia madre con la voce flebile come
uno spago sottilissimo che
potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.
Scoppio a piangere tra le sue braccia.
Forse non dovrei farlo. Certamente così soffre di
più. Ma è
come l’istinto, incontrollabile.
Lei mi stringe forte, come se potesse aiutarmi. E sono certa
che anche lei sta piangendo.
Ricordo che i primi giorni si chiudeva in bagno a piangere.
Ricordo che mi sorrideva debolmente e mi diceva ‘
tornerà’. Ricordo che quando
qualcuno passava a trovarci mi chiedeva sempre di andare a giocare, in
quei
momenti, mi nascondevo per ascoltare i discorsi dei grandi.
Piangevano, ricordando tutte le volte che faceva sorridere
la gente. Ricordando che quando la gente vicina di casa era senza
denaro, lui
tagliava il pesce della giornata e lo divideva per i più
bisognosi. Ricordando
quanto si sentiva inutile quando c’era brutto tempo e non
poteva fare niente
per guadagnare denaro.
Ma nonostante tutto sorrideva. Per lui era sempre okay,
qualunque cosa gli sarebbe accaduta lui faceva finta che andava tutto
bene,
facendoci credere che era sempre felice.
I miei ricordi sono sfumati, a volte credo di immaginarli.
Avevo solamente sei anni. Non ricordo il suono della sua voce, ricordo
solo che
sorrideva e giocava con me e mi voleva bene. Ricordo che me lo ripeteva
sempre
‘ sarò sempre fiero di te. Sei la mia vita. Ti
voglio bene piccola mia’. Questo
lo ricordo. L’essenziale per capire che lui per me ci sarebbe
sempre stato, che
mi voleva bene.
Sono sempre stata una ragazza solare, ma ci sono frangenti
nella vita che almeno per un po’ ti fanno cambiare. Come il
cubo ogni umano ha diverse
facce, caratteri diversi, due mondi uno diverso dall’altro,
ma l’anima, quella
è solo una.
Mi sento come un pesce fuori dall’acqua. Mi sento sola in un
deserto. Ed è sbagliato, perché mia madre non
vorrebbe mai che io pensassi di
essere sola. Sciolgo l’abbraccio
con mia madre e salgo in camera mia. Il tempo
di varcare la soglia che il cellulare inizia a vibrare.
Alice.
“Pronto Bella?”
“Ciao Alice. Scusa ma non riesco a venire non sto molto
bene”.
“Oh mi dispiace. Io tra due giorni torno a Seattle. Mi
sarebbe piaciuto passare del tempo con te” Mormora afflitta.
“Facciamo domani Okay? Tanto lavoro solo al mattino. Ti
chiamo io dopo pranzo”
“Okay Bella a domani” Stacco il telefono e lo butto
sul
letto. Mi avvicino allo specchio e oggi sono irriconoscibile. I miei
capelli
sono tutti attaccati alla fronte, forse per il sudore, forse per le
lacrime. I
miei occhi sono cerchiati neri, e i miei occhi non sono mai stati
più spenti di
così. Sembro una trent’enne. Sbuffo e prendo dei
vestiti puliti. Una tuta larga
e comoda andrà più che bene. Entro in bagno,
metto il tappo nella vasca e apro
l’acqua. Mi spoglio con lentezza assurda e quando la vasca
è piena mi immergo
dentro. Appoggio la schiena e la testa e lascio andare le mie lacrime.
Non so cosa la vita ha riservato per me.
Non so se questo dolore cesserà mai, se resterà
con me fino
all’ultimo dei miei giorni.
So solamente che ne vale la pena.
Per avere un contatto imaginario con lui ne
vale la pena.
Afferro il mio pacchetto di sigarette appoggiato alla vasca
e ne accendo una.
**
Apro
gli occhi. Mi sento congelata dentro. L’acqua è
diventata gelata, non so per quanto tempo sono rimasta qui dentro.
Spero solo
che sia mattina, spero che quel giorno. Così tanto freddo e
solitario sia
andato via, aspettandomi per il prossimo anno.
Alzo la testa e guardo la radiosveglia appoggiata nel
lavabo.
06:00 pm 1 Aprile 2008.
“Ti piacerebbe” Mormoro a me stessa. Prendo
l’accappatoio,
mi ci avvolgo e mi dirigo in camera. Nel corridoio sento dei mormorii,
e a meno
che mia madre non sia diventata come me, che parlo da sola, qualcuno
è venuto a
farci visita. Forse Jake.
Mi vesto velocemente, lasciando i miei capelli bagnati.
Scendo le scale e trovo Edward seduto nel mio divano a parlare con mia
madre.
“Ehm ciao” dico una volta sceso l’ultimo
gradino.
“Tesoro Edward è passato per parlare con te. Ma tu
eri su e
gli ho chiesto se voleva aspettarti qui”. Mormora mia mamma.
Le sorrido e
sorrido anche a lui. Non sapendo dove abbia trovato la forza. Mi
avvicino a
Edward e mi siedo con lui. Mia madre si scusa andando in cucina, un
modo per
lasciarci da soli.
Reené si è sempre chiesta come mai, io non abbia
mai avuto
un certo tipo di approccio diverso con i ragazzi, oltre Jacob che
comunque è
omosessuale.
Non mi ha mai detto niente di spiacevole al riguardo. Ma è
sempre mia madre, non è di certo normale che a ventidue anni
io non sono mai
stata con un ragazzo.
E adesso dopo, tanti anni, in cui guardavo un ragazzo e
non
riuscivo a provare niente se non simpatia. Mi ritrovo incantata a
guardare
Edward che si passa una mano nei capelli e mi guarda, come se volesse
dirmi
qualcosa ma non ci riesca, sono questi i momenti in cui vorrei
baciarlo. Vorrei
tenergli la mano, coccolarlo fino a tarda notte, vedere anche uno
stupido film
con lui, fare anche una lotta con i cuscini, inviargli messaggi con
testi
casuali e stupidi, giocare con i suoi capelli, ridere con lui a
crepapelle fino
a non respirare più, voglio andare ovunque con lui e magari
litigare per cose
futili. Ma lo voglio. Lo desidero, provo qualcosa di assolutamente
nuovo. Solitamente
l’ignoto ci spaventa, ma invece sento che può
cambiarmi, ed io lo voglio con
tutta me stessa. Come se non ci fosse via d’uscita, come se
fosse l’aria che
respiro. E’ ormai fondamentale. Forse è presto, ma
sta di fatto che mi è
successo e non ho intenzione di ripensarci.
“Volevo sapere come stavi. Oggi non sei venuta, non era il
tuo orario di lavoro ma solitamente vieni lo stesso. Poi Alice mi ha
detto che
non sei riuscita ad uscire con lei perché stavi poco bene.
Io mi chiedevo se-”.
“Apprezzo molto Edward. Davvero” mormoro
interrompendolo.
Annuisce e ancora una volta i nostri occhi si incontrano.
I
suoi sono verdi, ma non a effetto cartone animato, sono puri. Hanno
quell’essenza che ti fa credere di immaginarli, ma sono
profondi, estremamente
profondi.
“Guardiamo un film?” gli chiedo dopo un
po’ dato che non
accenna ad andarsene. Lui annuisce e io mi alzo dal divano.
Gli porgo la mano e lui l’afferra prontamente. Solitamente
in un giorno come questo, se Edward fosse un altro lo avrei mandato via
a
calci. Avrei imprecato in greco e avrei mandato a fanculo mia madre
senza
apparente motivo. Invece no lui è diverso, con lui
è stato sempre diverso, è
stato dal primo giorno una scoperta. Sento che stare accanto a lui, mi
trasforma, mi devasta e mi fa sentire, anche se per pochi attimi,
intera. Se
rido con lui è perché ho voglia di farlo. Se lo
guardo lo faccio con interesse.
Se lo bacio lo faccio perché in quel momento, la ragione o
l’istinto mi dicono
che è giusto così. Perché se provi
qualcosa di nuovo, di sconosciuto, bisogna
fare quello che sentiamo, perché se non lo facciamo
rimarremmo per sempre con
il dubbio.
“Ehm Edward ti va di rimanere a cena?” ci
interrompe mia
madre a metà scala. Ci fermiamo un attimo e
la nostra stretta si scioglie immediatamente.
Lui guarda mia madre
e le sorride. Poi guarda me, non sapendo cosa rispondere, io gli
annuisco,
qualsiasi cosa volesse dirmi.
“La ringrazio molto Reené” mia madre gli
sorride e va in
cucina.
“Mi sa che dovremmo aspettare per il film” lui
annuisce e
scendiamo le scale.
Ci sediamo vicini sul divano e ci guardiamo.
“Allora. Come va?” gli chiedo per spezzare il
silenzio
imbarazzante.
“Bene. Alice tra pochi giorno andrà
via” mormora dispiaciuto.
“Le vuoi molto bene” ammetto.
“Non si può non volergliene. Lei è una
persona stupenda, a
volte invadente, a volte precipitosa, ma è semplicemente
così. Credo che lei
sia stata creata per far sorridere la gente, per portare un
po’ di luce nella
vita degli altri” mentre parla di sua sorella, noto
un’illuminazione nei suoi
occhi, deve essere molto importante per lui.
Non ho un fratello né una sorella, quindi non so cosa si
prova ad avere dei rapporti del genere. Ma mai nessuno che parlasse di
sua
sorella o del fratello, ne ha mai parlato così. Lui ne parla
come se gli
dovesse la vita.
“Lei per me è fondamentale” ammette.
Annuisco e gli sorrido.
Quando ho conosciuto Alice ne sono rimasta estasiata. E’
così dolce che sembra
finta, è davvero un tornado. Infatti quando mi ha chiesto se
volevo passare un
pomeriggio con lei, ho accettato subito.
La cena è pronta e ci sediamo tutti e tre a tavola. Ci sono
degli stuzzichini di pasta sfoglia con prosciutto e formaggio.
C’è del pesce
marinato, patate al forno e delle cotolette di carne e due tipi diversi
di
insalata. Speriamo che gradisca.
“Edward non sapevo cosa ti piace, quindi ho fatto un
po’ di
tutto. Speriamo non sia un fiasco” dice mia madre.
“Stia tranquilla. Apprezzo molto la sua gentilezza”.
Iniziamo a mangiare, e la cena procede in silenzio. Io come
sempre finisco prima di tutti. Ho mangiato una cotoletta e le patate.
Edward
invece ha assaggiato un po’ di tutto. Mia madre come sempre
ha preso solo del
pesce.
Aiuto mia madre a sparecchiare e ad impilare i piatti per
poi metterli nella lavastoviglie.
Prendiamo posto in salotto e mia madre offre un po’ di crema
di caffè ad Edward. Dopo qualche oretta va a letto.
“Tua madre è molto gentile e ospitale”
sussurra
meravigliato.
Annuisco e accavallo le gambe.
“Allora lo vediamo questo film?” gli
chiedo. Lui annuisce e
come poco prima saliamo le scale.
“Allora. Horror, azione, drammatico, commedia
o…”
“Va bene Horror” mi interrompe. Prendo Orphan e lo
inserisco
nel lettore DVD. Lui intanto guarda la mia stanza.
“Ti piace tanto la musica mh?” mi chiede sorridendo.
“Si. Senza musica non siamo niente in questo mondo, la
musica serve per migliorarlo dato che l’uomo lo sta
distruggendo”. Ammetto
chinando il capo e guardandomi i piedi. Tutto ad un tratto mi sento
imbarazzata, come se Edward stesse violando la mia privacy. O forse ho
solo
paura del suo giudizio fuori l’orario di lavoro.
“Metallica, System of a
down, Led Zeppelin, Guns n’ roses, AC/DC, Scorpions, The
doors. E
innumerevoli album dei Queen, certo che ti tratti bene eh?”
scoppia a ridere,
anche se io non ci trovo niente di divertente gli sorrido,
perché il suo
sorriso mi contagia, perché quando sorride, anche se per
pochi secondi, mi fa
dimenticare tutto ciò che c’è di
negativo nella mia vita.
Il
suo
sorriso è come la musica.
Mi
trasporta in un mondo migliore.
Mi
fa
sorridere.
Mi
fa
sentire spensierata.
Mi
fa
sentire un’altra persona migliore.
E
quando qualcosa ti fa bene, ti fa sorridere, devi
provarla, assaporarla e conoscerla.
Il film parte ma noi non lo guardiamo. Continuiamo a parlare
di musica. L’argomento migliore.
“Edward chi è George?” gli chiedo di
punto in bianco. Ma me
ne pento subito, notando il dolore che si è impossessato dei
suoi occhi.
“Era. Era un mio amico. Il mio migliore amico. La persona
migliore che io avessi mai conosciuto, era come un fratello”
ammette con la
voce roca. Vorrebbe tanto piangere me lo sento. E dato che la giornata
non è
stata delle più belle una lacrima solca il mio viso. Lui mi
guardo
corrucciandosi, poi si addolcisce, ma nella sua espressione e nel suo
sguardo c’è
ancora dolore.
Mi accarezza il viso e avvicina il suo. La sua guancia si
appoggia alla mia e la sento umida. Mi scappa un singhiozzo.
“Non adesso” sussurra. Ci abbracciamo e iniziamo a
singhiozzare.
**
Taaaaaaaaaaadaaaaaan.
Allora scusate se vi
ho fatto aspettare tanto, ma tra mio
figlio, la fine della saga ç____ç e ask.fm che mi
fa perdere sempre tempo, non
ho scritto in questi giorni.
Allora vanno bene
capitoli come questo? Cioè la lunghezza ed un unico Pov? O
li volete più lunghi e divisi in due Pov?
Bene spero che vi
piaccia, e recensite in tanti! C:
A presto Roby.
|
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Capitolo 5 *** George ***
Love
save the pain.
George
Edward’s
pov
Venerdì 20 Aprile 2008
Come
ogni giorno eravamo nel nostro garage.
Ogni
mese dividevamo le spese per l’affitto e per la luce, anche
se ne usavamo
pochissima.
Il suo
basso e la mia chitarra erano come sempre appoggiati nel loro
rispettivo
piedistallo.
Era
strano considerare la nostra un band, quando non avevamo nemmeno un
batterista.
Ma quelli erano tempi felici, suonavamo e cantavamo quando volevamo e
non
importava se faceva schifo.
Eravamo
felici e spensierati.
Eravamo
insieme.
E
quando eravamo insieme tutto quello che facevamo ci rendeva felice.
Ogni
cosa che possedevamo era condiviso con l’altro. Dalle cose
materiali
all’affetto.
Come
ogni venerdì quel giorno avremmo passato il pomeriggio
insieme in garage. E poi
una pizza d’avanti ad un film a casa sua o mia.
“Ehi
Edward senti” Mormora. Le sue dita si muovono nelle corde del
suo strumento e
una sonora melodia riempie la stanza colorandola del suo ritmo. Prendo
la mia
chitarra accompagnandolo. Quelli erano i nostri venerdì
pomeriggio.
“E’
fantastica” annuncia con un sorriso a trentadue denti.
Annuisco e inizio a
cantare delle frasi sconnesse, senza senso, anzi no un senso
c’è l’hanno perché
George scoppia a ridere e mi guarda. Mi fissa ed io mi fermo.
“Ti
voglio bene amico” sussurra serio.
“Anch’io
te ne voglio”.
“George”
urlo. Guardo d’avanti a me e trovo me stesso
riflesso allo specchio che si trova nella mia camera di fronte al mio
letto.
Passo la mano sulla mia fronte, sudata e mi rendo conto che
era un sogno che sotto certi aspetti può sembrare un incubo.
Mi sdraio e provo a dormire.
Il venerdì, sorrido tra me, quello era il giorno che
aspettavamo sempre ogni settimana. Prima che morisse ci eravamo
promessi di
trovare più tempo da passare insieme.
Quando eravamo piccoli ci vedevamo tutti i giorni. Al
mattino a scuola e al pomeriggio per studiare e poi perdere il nostro
tempo sui
video games.
Alle superiori era diventato più difficile. Avevamo le
rispettive ragazze, studiavamo e lui ha iniziato a lavorare con suo
padre.
All’università avevamo a nostra disposizione il
venerdì pomeriggio.
Agli occhi degli altri sembravamo una coppia. Credevano che
fossimo omosessuali. Noi non lo eravamo, ma se volerci bene nel modo in
cui lo
volevamo significava sembrare due omosessuali a noi non importava.
Non ci abbracciavamo molto spesso. Ma ogni nostro gesto era
sempre d’affetto, volente e nolente. Ormai avere accanto
l’altro era
un’abitudine, ed era bello. Perché se in quel
momento lo stato d’animo di uno faceva
schifo c’era l’altro che consolava
l’amico. Se eravamo felici esultavamo insieme.
Era un rapporto di fratelli, non era un semplice amicizia.
Era essere felici e spensierati
Eravamo insieme comunque andassero le cose. Insieme eravamo
forti su tutto.
E’ come quando trovi l’anima gemella.
Qualcuno che ci dica, che ci dimostri davvero.. ‘io mi fido
di
te ’… ‘ io sto bene se stai bene
tu’
tutti abbiamo bisogno di questo, non una minima parte.
Non credo alla gente che non ama o che non vuole bene, credo
che quei soggetti siano quei tipi di persone che tremano dentro. Chi
crede poco
ai sentimenti è quello che più necessita di
essere amato o voluto bene, chi
tace avrebbe un mondo di parole da dire.
Adesso mi sento un persona incompleta. Il mio essere si è
spezzato, sono come un vaso rotto, che non puoi aggiustare raccogliendo
i cocci
e incollarlo, no, nel momento in cui quel vaso si è rotto i
vasi si sono
dispersi, si sono frantumati scomparendo nell’aria. Ogni
giorno vivo per il
semplice fatto che ho la mia famiglia che mi ama, e per rendere lui
fiero di
me. Per continuare a vivere nonostante le circostanze mi fanno capire
che è
inutile. Per non mollare. Per riuscire a dire un giorno
c’è l’ho fatta.
George diceva sempre che non deve esserci un reale motivo
per vivere davvero. Diceva che ognuno di noi viveva per rappresentare
ciò che
la vita poteva offrire, sia le cose brutte che quelle buone.
Ma io credo che non riuscirò mai a vivere davvero come mi
chiedeva lui. Perché se perdi una persona importante credi solo che d’ora in
avanti la tua vita faccia
schifo, che non potrà mai essere diversa. Dicono che
è immutabile, senza via d’uscita,
proprio come mi sento adesso, senza una seconda chance. Ma ho delle
ambizioni,
ho dei conti in sospeso con il mio amico. Mi vesto velocemente e prima
di
uscire di casa guardo l’orologio 02:00 am.
“Edward. Che ci fai qui?” mormora il custode.
“ Frank fammi entrare, sai che non faccio lo
stronzo” gli
chiedo con gli occhi imploranti.
“D’accordo ma muoviti che tra un’ora ho
il cambio” gli
sorrido tristemente ed entro. Percorrerei tutto il cimitero ad occhi
chiusi,
conosco la strada a memoria. Dopo pochi minuti mi fermo
d’avanti alla sua
lapide. Mi siedo accanto ad essa sul terreno bagnato.
“Ciao amico. Mi manchi sai? Oggi è
venerdì”. Sorrido come se
stessi davvero parlando con lui. “ Ho conosciuto una ragazza.
E’ molto carina,
ed è intelligente. Non sa niente di te, se non che non ci
sei più e che eri
come un fratello per me, ma sai credo che lei in un modo o in un altro
riuscirebbe a capirmi, forse sarebbe l’unica. Spero che tu
ovunque sia stai
bene. Mi mancano i nostri venerdì, mi manca sentirti
suonare, mi mancano i tuoi
consigli, mi mancano le tue battute, mi manchi tu, in tutti modi in cui
può
mancare una persona a qualcuno. Credevo di farcela, tutti mi dicevano
che ero
forte, ma io credo di no. Mi manchi terribilmente.” Fisso il
suo nome inciso
sulla lapide, sperando in qualcosa. Che lui venga dietro di me e mi
dica ‘ cazzo amico ti sei fottuto
il cervello a
venire al cimitero di notte’ poi io scoppierei a
ridere e magari anche a
piangere di gioia. Tante volte se canticchio una canzone, spero di
trovarmelo
accanto che si unisce a me. Forse sono pazzo, ma immaginarlo
com’era rende le
cose un tantino più facili. Mi alzo e mi dirigo a casa mia.
Una volta arrivato
mi butto sul letto emotivamente esausto.
Chiudo gli occhi ormai colmi di lacrime e cerco di trovare
un po’ di pace almeno nei sogni.
Lunedì
23 Aprile 2008
“Edward.
Se vuoi potrai trovare delle informazioni a
Seattle, ci sarà Alice a indicarti se hai bisogno”
Mi dice mio padre al
telefono, mentre prendo il mio caffè mattutino.
“Senti Papà, ne parliamo in ufficio. A
dopo” Stacco la
chiamata, prendo la mia valigetta ed esco.
L’aria mattutina è molto calda, fortunatamente
sotto la
giacca ho indossato una T-Shirt. Arrivo in ufficio e come sempre
l’odore di
Bella mi colpisce violentemente. Non so bene che fragranza sia ma
è buona. Ed è
la sua, ha l’esclusiva, perché solo lei possiede
quest’odore che puoi mandarmi
in tilt.
“Buongiorno Bella” Mormoro a Bella che intenta nel
computer
non si era accorta che ero entrato.
“Buongiorno Edward” Sussurra sorridendo.
E’ così diversa da
quella volta che ero stato in casa sua. Quel giorno era visibilmente a
pezzi.
Aveva il volto scavato, gli occhi rossi e l’espressione di
chi vuole mollare,
di chi farebbe di tutto per non subire quello che in quel momento stava
subendo, che fosse dolore o disperazione non lo avevo capito. Ma avevo
capito
che aveva bisogno di qualcuno che le stava vicino, non che le avrebbe
sussurrato un flebile ‘ mi dispiace’, ma che ci
sarebbe stato, anche in
silenzio ma sempre lì con lei.
Non provo pena per lei, ma una grande somiglianza. Ed io o
che sono diventato davvero pazzo o che forse mi sto innamorando.
Mio padre entra e saluta entrambi per poi accendere il suo
computer.
“Edward. Potresti partire anche domani, Alice è a
tua
disposizione tutti i pomeriggi, puoi stare lì anche due
settimane ma è il caso
che tu trova quello che cerchi. Credo che tu abbia aspettato
abbastanza”
Mormora mio padre.
Ci rifletto un attimo. Si ho aspetto cinque lunghi anni, è
arrivato il momento di prendermi una piccola vendetta, è
arrivato il momento di
fargliela pagare.
“Si Papà. Partirò domani per arrivare
Mercoledì” Sussurro a
mio padre. Isabella ci guarda confusa, ma ascoltandoci.
“Edward sono più di diciannove ore di
macchina” Mi dice mio
padre incredulo.
“Basta. Lo sai, andrò in macchina” La
mia voce è dura, lo sa
che non prendo un aereo da quel giorno.
Annuisce sconfitto e torna alla sua scrivania.
“Edward. Avrai bisogno di Bella” mormora dopo un
po’. Ed io
mi rendo conto che è vero. Ho bisogno che mi aiuti nelle
pratiche, e, forse che
mi sia vicina anche moralmente. Mi avvicino alla scrivania di Bella che
mi
guarda confusa.
“Bella, se non vuoi va bene. Io dovrei andare a Seattle per
un motivo che ti spiegherò presto. Ho bisogno di
te”. Lei prende la mia mano
tra le sue e annuisce.
“Verrò con te Edward” Mi sussurra in
tono grave.
Annuisco e inizio a preparare le carte che mi servono per
incastrare quell’ingrato pezzo di merda.
Dopo qualche ora decido di prendermi una piccola pausa.
Faccio cenno a Bella di seguirmi, come ogni volta e si alza.
Premo i pulsanti sul distributore e prendo due caffè. Lei si
avvicina e mi sorride, è sempre lei, non è
spaventata, non è confusa. E’ forte
sotto certi aspetti, o forse è solo lei che mi trasmette
forza.
“Bella io partirei stanotte. Se tu vuoi prendere
l’aereo
basta che me lo dici che prenotiamo subito un volo” Scuote la
testa alla mia
richiesta e si avvicina.
“Verrò con te. Non importa come, ma
verrò” Mi guarda negli
occhi, e per la prima volta mi capita di non riuscire a sostenere lo
sguardo di
qualcuno.
“Bene allora a pranzo siamo insieme mh?” Le chiedo,
lei
annuisce, butta il bicchiere vuoto nel cestino e si avvia in terrazza.
Bella’s
Pov.
“Bene
ragazzi cosa desiderate?” ci chiede gentilmente la
cameriera.
“Io prendo un toast” annuncio ed Edward prende lo
stesso. Da
bere della coca-cola.
Quando la cameriera ci porta i nostri toast iniziamo a
mangiare. Siamo stati in silenzio a guardarci negli occhi. Mentre
mangiamo ci
guardiamo negli occhi, dovrebbe essere imbarazzante ma sembra tanto
naturale.
“Bella io non prendo l’aereo da cinque
anni” mormora bevendo
l’ultimo sorso di coca. Io lo guardo incitandolo a continuare.
“George il mio amico è morto sull’aereo.
Da Seattle a qui,
era venuto per passare il natale con noi e la sua famiglia”
mormora, la sua
voce è dura. E parla guardando oltre quello che vede, forse
immaginando ancora
quel giorno che tutt’ora lo tormenta.
“Il capitano che quel giorno stava guidando l’aereo
era
ubriaco. Si sono schiantati ad una velocità impossibile. Da
quel giorno non ho
più preso l’aereo” Ammette sconfitto. Io
annuisco perché anch’io al posto suo
avrei fatto lo stesso. Perché il dolore che prova lo crede
indescrivibile, crede
che le sue ferite non potranno mai guarire, io lo so.
“Sono cinque anni che lo cerco. Inizialmete era stato
arrestato, ma dopo pochi mesi è uscito, il motivo non
l’ho ancora capito. Il
mio piano è quello di capire perché è
uscito così presto di galera, per poi
fallo rientrare a marcire lì dentro. E finalmente
l’ho trovato. Forse credi che
lo faccio solo per una piccola vendetta, ed in parte è
così. Ma il mio compito
è quello di fare giustizia a chi solitamente la passa
liscia. A tutte quelle
persone che si svegliano iniziando a bere o drogarsi per poi uccidere
un’innocente.
A chi non ha rancore. Perché se bevi sai benissimo che non
puoi guidare, allora
non farlo. Ogni giorno nel mondo ci sono innumerevoli casi di questo
genere.
Non posso fermarli in tutto il mondo ma almeno nel mio
paese”. Mormora più a se
stesso che a me. Quindi questo elemento che ha ucciso il suo amico
è di nuovo
in giro a piede libero. E non ha ucciso solamente il suo amico, ma
tutta le
gente che era in quell’aereo. Ed io non ci vedo nulla di
sbagliato, perché chi
sbaglia paga. E ci sono tante di quelle famiglie nel mondo che non si
conosce
esattamente il numero, che aspettano giustizia da tanti anni, che molte
volte
la legge non fa caso a certe cose e molti casi di questo tipo rimangono
irrisolti.
“Sono d’accordo” affermo.
“Quando partiamo?” gli chiedo.
“Io vorrei partire stanotte per arrivare il più
presto possibile”
Annuisco e mi alzo.
“Io allora vado a prepararmi” Mi ferma prendendo il
mio
polso e mi giro verso di lui.
“Spero che mi dirai presto ciò che ti
tormenta” Sussurra
dolcemente. Io mi avvicino a lui e gli lascio un bacio sulla guancia.
“Presto”
mi giro e vado a casa.
Mia mamma non c’è. Prendo un bicchiere di succo di
frutta lo
bevo e mi dirigo in spiaggia.
Senza telo, senza i-pod per la prima volta dopo tanti anni.
Mi inginocchio vicino alla riva e faccio scorrere le mie
dita sul mare.
“Ehi ciao. Sono passata a salutarti, devo partire stanotte.
Non ci sarò per un po’ di giorni, non so
esattamente quanti. Ma ti penserò, se
non vengo qui non significa che io non lo faccia. Ormai sei dentro di
me, non
potrò mai dimenticarti, né in un giorno,
né in una settimana, né un mese, né in
cento anni. Ti voglio bene” mi alzo e con le lacrime agli
occhi mi dirigo a
casa a preparare la valigia.
Dopo due ore la mia valigia è pronta. Sono le quattro del
pomeriggio. Decido di riposarmi un po’.
**
Il trillo del
mio cellulare mi fa sobbalzare. Alice.
“Pronto?”
“Oh Bella. Stavi dormendo? Mi dispiace averti disturbata io
non volevo..cioè-“
“ Ehi Alice, tranquilla non mi disturbi mai. Volevi dirmi
qualcosa?” le chiedo, prima che andasse via abbiamo passato
parecchio tempo
insieme. E’ davvero una ragazza stupenda, poi ho capito
perché quando Edward
parlava di lei gli si illuminavano gli occhi. E’ davvero una
persona speciale.
“Si bè ho saputo che verrai a Seattle e sono
contenta,
potremmo passare del tempo insieme se ti va certo”.
“Certo che mi va”
“Oh bene non vedo l’ora ci vediamo presto
allora” La sua
voce è squillante, è davvero una forza della
natura. Chiudo la chiamata e
guardo l’orario. Sono le sette di sera, ho dormito per tre
ore.
Scendo in cucina e trovo mia mamma che prepara la cena.
“Ehi amore credevo che fossi a lavoro” viene verso
di me e
mi da un bacio.
“No. Anzi mamma stanotte parto con Edward per
lavoro” Le
dico mentre prendo della coca cola dal frigo.
“Ah come mai?” Mi chiede incuriosita.
“Bè ha bisogno di informazioni per un tizio,
andiamo a
Seattle. Non so quanto tempo ci vorrà, ma non credo che
dovremmo stare più di
un mese”. Annuisce e mi sorride tristemente.
“Mi mancherai tesoro” Sussurra con le lacrime.
“Anche tu. Ma non sto andando in guerra” Scoppia a
ridere
alla mia affermazione e mi abbraccia forte.
Ci stacchiamo e ci guardiamo negli occhi.
“A che ora prenderete l’aereo?”
“Andiamo in macchina. Abbiamo bisogno dell’auto per
girare e
trovare qualcosa” Annuisce e continua a fare quello che stava
facendo. Accendo
una sigaretta e mi siedo sul divano. Squilla ancora il mio cellulare.
Edward.
“Pronto?”
“Ciao Bella perdona il disturbo. Ho pensato che sarebbe
meglio partire per le dieci di sera, facendo i calcoli dovremmo
arrivare per le
cinque del pomeriggio domani”.
“Oh certo, ci incontriamo all’ingresso dello
studio?”
“No vengo a prenderti”
“Okay, allora a dopo”
“Si a dopo”
Stacca la chiamata ed io decido di
andare a prepararmi. Indosso una tuta
comoda e una canotta larga in modo di rimanere comoda per le prossime
diciannove ore in macchina. Sarà strano, essere vicino a lui
per quasi un giorno
intero, eppure quest’idea mi alletta e non poco.
“Stai attenta tesoro” Mormora mia mamma in lacrime.
“Ehi mamma! So che non siamo mai state lontane, ma stai
tranquilla. Dai su!” le sorrido cercando di non scoppiare a
piangere d’avanti
alla sua fragilità.
La guardo e nei suoi occhi leggo tutto il dolore che ha
subito dal giorno che è nata ad oggi. E non mi riferisco
solamente alla
scomparsa di lui, ma di tutto quello che ha fatto in passato. Allora
poi penso,
in fondo la mia mamma non è così fragile come
sembra.
**
“Ciao
Edward” sorrido a Edward una volta entrata nelle sua
auto.
“Ciao. Allora pronti per partire?” Guardo oltre
Edward dove
c’è la spiaggia. Una lacrima solca il mio viso e
annuisco. ‘ Tornerò
presto da te ’ ripeto nella mia
mente sperando che ovunque lui sia, mi capisca e mi senta.
Guardo Edward intento nella guida, è così sexy
che davvero
devo lottare con tutto il mio corpo per evitare di saltargli addosso.
Il suo
profilo è qualcosa di meravigliosamente elegante .
“Dove dormiremo una volta arrivati?” gli chiedo con
visibile
curiosità.
“In albergo. Ho prenotato una suite, ci sono due letti
matrimoniali.” Annuisco e appoggio la testa nel sedile.
Guardo il cielo stellato di Los Angeles per l’ultima volta
dopo essere entrati nell’autostrada. Sfrecciamo al buio ad
alta velocità.
Inizio a guardarlo per un tempo indeterminato fin quando le mie
palpebre sia
abbassano stanche.
Eccoci! Come va?
Il prossimo capitolo sarà ambientato a
Seattle **.
Conoscerete
meglio Alice, e sarà tutto una ricerca. Spero
che vi piaccia, davvero.
Fatemi sapere e
recensionatemi ahahahah. Okay basta Roby.
Un bacio e
grazie di tutto, anche solamente di aver letto
fin qui.
Roby.
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Capitolo 6 *** The truth ***
Love save the pain.
The Truth
Edward’s Pov.
Le note di Another one bites the dust accompagnano la mia guida. Bella dorme immensamente. E’ davvero di una bellezza assurda. I capelli ricadono in quel viso – che sembra di cristallo, tanto mi appare fragile- addormentato, amo ogni lineatura fine che le appartiene.Avevo avuto modo di contemplare la sua bellezza in queste dodici ore di viaggio. L’avevo immaginata mentre mi sorride, magari con un semplice asciugamano addosso. Avevo immginato i suoi capelli bagnati che lentamente accarezzavano il mio petto, così come le sue mani. L’avevo immaginata piangere tra le mie braccia, dicendomi ciò che più la turba e la distrugge dall’interno. La mia mente, come la mia macchina, non si era fermata un’attimo di viaggiare. Vagavo in un mondo dove non c’era dolore, dove il male era soltanto un ricordo sbiadito. Era un viaggio nel futuro, o per lo meno il futuro che vorrei per me.
Vorrei che tutto ciò che di male c’è al mondo non esistesse. Se è vero che esiste un dio, allora è anche vero che esiste il demonio. Ricordo ancora la voce dell’interfono che annunciava la sua morte.‘Signore e signori, siamo spiacenti di annunciarvi che l’aereo del volo ws23f45 è precipitato’.Ed eccolo lì quel ricordo infame, che mi torna in mente spesso, troppo spesso. Quando la mia mente viaggia, qualsiasi sia la meta, quel ricordo, quella voce stridula mi tormenta. Ed è una tortura, preferisco di gran lunga essere mandato al rogo. E’ la stessa senzazione di quando dormi e sogni di cadere nel vuoto, è la sensazione che non vorresti mai provare. Tutti credevano che il dolore potesse passare, che fosse un mese o un’anno. Ma non passa, i pensieri – che prima erano soffocanti- sono diminuiti, ma l’intensità del dolore, della rabbia, aumenta giornalmente.Molte volte senza di lui, mi sento fuori posto, come se il mio posto nel mondo senza di lui valesse meno di zero, come se io sono nato per vivere la mia vita con una spalla destra al mio fianco, e lui era la mia spalla destra, era ciò che di imortante c’era nella mia vita.
“Edward?” Sussurra Bella con la voce di chi si è appena svegliato.
“Buon giorno” Mormoro a bassa voce per paura di darle fastidio.
Apre gli occhi, li richiude, con le mani li stropiccia e infine, il momento che aspetto da circa dieci ore arriva, apre gli occhi e mi guarda, poi sorride.
“Buon giorno. Che ora è?”
“Sono le dieci del mattino.” Con il palmo della mano si colpisce la fronte.
“Oddio! Ho dormito per tutto il tempo. Che delusione!” Esclama infine indegnata. Scuoto la testa e sorrido. Ma un sorriso vero, spontaneo, non forzato o fatto per far felice gli altri.
“Stai tranquilla! E poi ho guidato, non ero di compagnia nemmeno io”. Mormoro.
Guarda d’avanti a sé, poi si abbassa sul sedile, regalandomi la visione del suo lato B. Prende il termos con il caffè e lo beve direttamente da lì.
“Dove siamo?” mi chiede dopo un po’ mentre accende una sigaretta.
“ A Seattle, stiamo per arrivare a destinazione finalmente” sussurro più a me stesso che a lei.
Annuisce e appoggia la schiena sul sedile. Dopo pochi minuti sento la sua mano sui miei capelli.
“Ti da fastidio?” mi chiede innocenetemente. Scuoto la testa, altrochè, tutt’altro che fastidio. La sua mano che si insinua tra i miei capelli, per dei piccoli attimi mi fa sentire in pace, tranquillo. Avevo avuto tanti tipi di rapporti diversi con delle ragazze, che credevo di amare, ma che poi scoprivo che non era così. Con lei è diverso, c’è qualcosa di giusto, forse contorto o strano, ma sembra che la sua vicinanza sia ormai necessaria. E non mi dispiace.
**
“Bella!” Urla Alice abbracciandola. Dopo essersi staccata dall’abbraccio con Bella la guarda, ma con uno sguardo tra il sorpreso e lo schifato. Bella guardandola scoppia a ridere.
“Ero in macchina. Non potevo mica mettermi il vestito da sera.” Dice ad Alice ridendo ancora, Alice annuisce e le prende la mano, iniziando a farci girare il campus.
Dopo mezz’ora Alice ci porta in un bar. Prendiamo un semplice panino tutti e tre.
“Allora. Quando hai l’appuntamento con quell’avvocato di cui mi parlavi?” Mi chiede Alice interessata. Bella ci guarda normalmente.
“Oggi o domani, deve inviarmi una mail di conferma”. Alice annuisce e inizia a parlare con Bella. Un ragazzo biondo e smilzo si avvicina a mia sorella e l’abbraccia da dietro. Alice alza la testa lateralmente e lo bacia. Ma chi è questo?.
“Edward, Bella. Lui è Jasper, il mio ragazzo!” trilla felice. Bella sorride e va a presentarsi, io mi alzo e gli porgo la mia mano rigidamente.
“Piacere di conoscerti” Mormora il ragazzo, io annuisco e torno al mio posto. Lui casualmente, credo, si siede al mio fianco. Quando mi accorgo che Alice non mi sta guardando sussurro ‘ Sta attento con mia sorella’ nell orecchio del ragazzo. Lui deglutisce e mi guarda annuendo.
Dopo due ore circa decidiamo di andare in albergo per riposarci un po’. Alice scrive l’indirizzo dell’albergo su un foglio e partiamo verso L’Heathman Hotel.
“Sei stanca?” Chiedo a Bella dopo essere entrati sull’ascensore. Lei annuisce chiudendo gli occhi e appogiando la testa sulla parete dell’ascensore.
Dal primo momento in cui la vidi, avevo sentito quella scarica di un’ispiegabile attrazione, ma non immaginavo che giorno dopo giorno ne avrei desiderato di più.
Più di una carezza.
Più delle nostre labbra che sfiorano la guancia.
Più degli sguardi complici e inspiegabili.
E’ solo che quando sono con lei, mi sento intero, come se potessi vincere da solo contro il mondo intero, mi da forza inconsapevolmente.
Avete presente quando sorridete senza accorgervene? Quando pensate a quella determinata persona e sorridete? Quando la immaginate con la sua goffaggine e la sua eleganza contemporaneamente?
All’inizio credevo che era per la novità, credevo che ci pensavo perché è una Bella persona sia fuori che dentro, credevo, credevo, ma invece mi sbagliavo. Quella volta che mi ha guardato per la prima volta è stato un colpo letale, mi è entrata dentro, o forse sono stato io che l’ho accolta dentro di me senza alcuna richiesta, è una specie di sincronismo che ci unisce, non so cosa sia, ma è forte e inspiegabile.
L’ascensore si ferma e le porte si aprono. Entriamo nella nostra stanza, è davvero bellissima.
All’entrata c’è un salottino con due divani molto grandi dorati, così come le tende e la tovaglia del tavolo rotondo che c’è al centro della stanza.
A destra del salotto c’è una stanza da letto, il corpiletto è color avorio come le tende l’armadio e i comodini, a Sinistra c’è un’altra stanza uguale, all’angolo del salotto c’è una porta che rivela un bagno magnifico. La vasca è gigante, il lavandino anche, le piastrelle sono verdi ed i pezzi sanitari bianchi. E’ davvero molto bella.
“Ti piace?” Chiedo a Bella intenta a guardare una delle camere da letto, lei si gira e le sua guance si colorano di rosso immediatamente, poi annuisce.
“E’ stupenda” risponde affascinata. Un tuono ci fa sobbalzare.
Mi avvicino alla finestra, sta iniziando a piovere.
“Io vado a farmi la doccia” Annuncia uscendo dei vestiti dalla sua valigia.
Annuisco, ma continuo a guardare fuori dalla finestra. Dopo la morte di George non sono mai più tornato a Seattle, guardo il cielo, lo stesso che adesso ha il mio migliore amico con sé, lo stesso che mi ha tradito, lo stesso che spero saprà ripagarmi facendomi incastrare quel lurido bastardo che me lo ha portato via.
“So a cosa stai pensando” Mormora Bella, facendomi sobbalzare. “ Vorresti morire, il dolore brucia dentro. Non riesci a sorridere davvero, credi che nessuno potrebbe mai capirti. Credi che per sconfiggere il tuo dolore ti basterà mandare in galera chi te lo ha portato via. Ma non è così sai? Il dolore è il sentimento peggiore che noi, esseri umani possiamo provare, è qualcosa di assurdamente identificabile nell’altro se tu stesso lo provi. E non puoi sconfiggerlo, può diminuire, ma non morirà mai. Una volta che ti entra dentro non esce più…ogni minima cosa ti farà pensare la causa del tuo dolore. Non voglio disturbarti o comunque darti delle pillole di saggezza. Voglio solo dirti che io ci sono, che ti capisco e, che anche se molto probabilmente non ci sonosciamo molto bene, io so quello che pensi quando guardi il cielo..o..o se magari danno la notizia in tv di un’aereo che precipita, voglio solo dirti che impazzire di dolore non serve a nulla, anche se è molto difficile. Provaci, io lo sto facendo” Butta l’aria che ha trattenuto nel parlare e la porta del bagno si chiude.
Mi siedo sul divano e porto le mani tra i miei capelli.
Sapevo che lei aveva provato una sorta di dolore, ma mentre parlava nei suoi occhi, nella sua voce, capivo che il mio, di dolore, è molto minore al suo. Non so cosa le è successo, ma appena lei si sentirà pronta di farmelo sapere insieme lo sconfiggeremo, anche come semplici amici, ma possiamo aiutarci solamente tra di noi, solo chi può capire può aiutare.
**
Bella’s Pov
Sono già dieci minuti buoni che insapono sempre la stessa parte del mio corpo.
Ho sbagliato a dire quelle cose ad Edward?
L’ho visto lì, impalato d’avanti alla finestra, il mio istinto mi diceva di correre ad abbracciarlo, ma la ragione ha deciso di parlare per me.
E non capisco come io possa aver detto quelle parole, se, molte volte non ci credo nemmeno io. In quel preciso istante in cui la mia bocca si è aperta, mi sono sentita come se d’avanti a me non ci fosse Edward, ma me stessa. Ho visto il mio dolore su un’altra persona. Non mi era mai successo nemmeno con mia madre. Credevo che nessuno potesse capire me più di lei, credevo che il suo dolore è più forte del mio. Invece Edward ha perso il suo migliore amico. Ma non era un semplice migliore amico come solitamente usano i ragazzi. Era come un fratello, era una parte del suo essere. Ero rimasta sorpresa quando avevo visto la luce dei suoi occhi mentre parlava di Alice, quando invece mi ha parlato di George era come se stesse parlando un padre fiero del figlio.
Ha perso una parte importante della sua vita, come me. E molte volte non importa se è un’amico o un fratello o un semplice parente. E’ il legame che viene spezzato, ed è qui che io penso: Cos’è il mio dolore? Se io non ho realmente conosciuto lui?
Scuoto la testa avvilita e chiudo l’acqua. Mi vesto velocemente ed esco, trovo Edward seduto sul divano che legge un giornale. Sono ancora le quattro del pomeriggio.
Mi siedo a finco a lui e lo guardo. Dopo pochi minuti si gira verso di me. Ci guardiamo negli occhi, che sembrano conoscersi da una vita tanto è simile l’essenza, e mi sento come se la forza di gravità non esistesse più, sento che potrei volare, saltare per poi non ricadere, perché c’è quello sguardo che sto imparando ad amare.
“Scusa per prima” Sussurro abbassando per prima lo sguardo e portandolo al pavimento.
“No. Mi sei stata molto d’aiuto davvero. MI capita spesso di incantarmi e deprimermi più del dovuto. Anxi mi dispiace che tu mi abbia visto” Mormora piano. Lo abbraccio senza pensarci o rendermene conto davvero.
“Io ti capisco. Non preoccuparti” sussurro sul suo collo che profuma di buono, ci strofino il naso e mi sento a completo agio. Non sono mai stata bravo con i ragazzi che mi piacevano, certo non capitava molto spesso che potesse interessarmi un ragazzo. Non sono il tipo da ‘innamoramento’ ma con lui tutto quello che dico o faccio è naturale, non c’è né una forzatura e né nulla che mi impedisce di fare quello che faccio. E’ una cosa normale, almeno per me.
“Prima o poi dovrai spiegarmi come fai?”mi domanda sorridendo.
“Cosa?”
“Come fai a dirmi tutto quello che voglio che mi dicono quando voglio. Come fai ad essere così forte se mi sembri tanto fragile, come fai a farmi impazzire con un solo semplice gesto” alla sua ultima affermazione arrossisco ma non mi sposto, non voglio.
“Non lo so. Questa sono io credo..ma solo con te” dico dopo attimi di attesa. Mi accoccolo meglio sul suo petto e leggiamo il giornale insieme.
La pioggia batte forte sulle finestre, mi piace la pioggia. A Los Angeles non cade molto spesso. Dicono che molte volte la pioggia intristisce lo stato d’animo, io credo che sia un’ottima distrazione, il ticchettio che molte volte sembra incessante mi rilassa, mi concentro sul quel piccolo e insignificante rumore e mi sento calma. Ci vorrebbe forse un po’ di pioggia in più nella mia vita.
“Dovremmo andare” Sussurra Edward dopo un po’. Annuisco e mi alzo, la sua mano afferra il mio polso ed io d’istinto mi volto a guardarlo.
“Sei bella” Afferma sorridendo.
“Anche tu” dico dandogli un bacio sulla guancia.
Prima o poi morire d’autocombustione, lo so.
Dopo essermi sistemata velocemente siamo sulla sua auto. Parte e dopo circa mezz’ora siamo arrivati. Siamo d’avanti ad un grattacelo minimo altro trenta piani. Iniziamo a camminare l’uno a fianco dell’altro. Entriamo nell’atrio del grande palazzo e prendiamo l’ascensore. Io non chiedo niente, lui non mi dice nulla. L’ascensore si ferma al ventiduesimo piano e un corridoio lunghissimo e ampio ci accoglie. Ci fermiamo due porte dopo l’ascensore e leggo la targhetta d’ora attaccata elegantemente alla porta. ‘Avv Richard Nelsed’. La mia curiosità aumenta, ma taccio ugualmente. Una ragazza molto bella, con dei lunghi capelli color mogano ci accoglie. Non è molto alta, ma è devvaro molto magra. Ci sorride e ci fa accomodare nella sala d’aspetto.
“Siamo qui per maggiori informazioni” Mi informa Edward una volta seduti. Io annuisco.
“Edward Cullen?”Chiama una voce sconosciuta, calda e composta.
Edward si alza e mi guarda chiedendomi di fare lo stesso. Lo seguo ed entriamo nello studio, che credo che sia dell’avvocato Nelsed.
“Prego accomodatevi”. Noi prendiamo posto e lo guardiamo.
Edward porge dei fogli al signore che prende i suoi occhiali – che fino a pochi secondi prima pendevano nel suo collo- e inizia a leggere. Guardo Edward mentre fissa quei fogli, le sue mani non stanno un’attimo ferme, toccando prima la sua coscia, poi il ginocchio, è nervoso. Si passa una mano tra i capelli e sospira pesantemente.
Prende una sua mano tra le mie e l’accarezzo. Lui mi guarda e mi fa un sorriso tenero.
“Avvocato Cullen. Questo caso è stato aperto innumerevoli volte, purtroppo il Signor Juker ha le spalle coperte. C’è chi dice che ha pagato il suo sbaglio, c’è chi dice che è uscito tramite una cauzione pagata dal figlio. Ma vede, è un caso ormai archiviato da tre anni, io l’ho studiato personalmente. Avevo una coppia che era su quell’aereo quel giorno, la moglie era gravida e ha perso il bambino, ma non ho potuto fare nulla, i giudice era dalla sua parte, è stato in carcere per due anni poi è uscito. Fortunatamente non ci sono stati tanti morti se non uno, ci sono stati feriti gravi, che poi si sono rimessi non mostrando danni permanenti gravi…” Edward interrompe Richard alzandosi.
“Cosa sta dicendo? Sono morte almeno dieci persone su quell’aereo. Non possono davvero credere di fargliela passare liscia..”
“Signor Cullen, scusi se mi permetto, ma lei questo caso lo conosce davvero bene?” Chiede con tono grave ad Edward.
“Si, almeno, mio padre lo ha avuto tra le mani, adesso sono quasi due mesi che mi ci sono messo io, le informazioni le ho prese tutte da mio padre”.
“Signor Cullen, forse suo padre si è confuso. Quel giorno c’è stato solamente un morto. Georg…”
“LO SO! Ma sapevo che ne erano morti altri, io non capisco”. Urla ancora Edward. Sono confusa non sto capendo più nulla. Quanti morti ci sono stati quel giorno? Edward sa davvero le cose come stanno? Oppure, questo avvocato è un’altra spalla destra dell’assassino di George.
“Signor Cullen, credo che comunque Juker debba pagare, ha sempre ucciso un ragazzo. Non riesco a concepire il fatto che lui sia ancora libero”.Mormora dispiaciuto Nelsed.
“La ringrazio davvero tanto. Adesso vado ad informarmi da un’altra parte. In tutti i casi ho il suo indirizzo e il suo recapito telefonico”. L’avvocato annuisce e ci saluta.
**
“No. Papà, tu dovevi dirmi tutta la verità. Non ha un cazzo di senso, perché lo hai fatto? Si ha importanza” Chiude il telefono e con forza lo fa schiantare sul pavimento. Si siede sul divano e inizia a singhiozzare.
Mi siedo accanto a lui e gli accarezzo dolcemente la schiena.
“Vedrai che una soluzione c’è” mormoro con il timore che possa mandare a quel paese anche me.
“No..non c’è nulla da fare. E’ MORTO SOLAMENTE LUI CAPISCI?PERCHE’? CAZZO!” la sua voce è furiosa, disperata.
“Edward ti prego calmati” lui mi guarda e la sua visione che piange fa’ scappare una lacrima dai miei occhi.
“E’ morto solo lui quel giorno? Tuo padre te l’ha confermato?” lui annuisce e mi fissa.
“Troveremo un modo. Siamo solo al primo giorno. Vedrai”. Mi. abbraccia con forza appoggiando la sua fronte sulla mia. Poi in un solo attimo, mi da quello che aspettavo dal primo momento.
Le sue labbra toccano delicatamente le mie, sembrano di seta. Le avevo immaginate morbide ma non così. La sua lingua conosce la mia e finalmente mi sento bene.
Primo: Perdonate il ritardissimo, ma non ho avuto il materiale per scrivere >.<.
Secondo: E’ corto, anzi peggio, ma piùdi così non ho potuto fare, ho un certo epilogo in mente ç___ç
Terzo:Spero che vi sia piaciuto ugualmente, lasciatemi comunque un pensiero :D ci tengo eh?
Okay, ma ne vado che non ho tempo, spero di non farvi aspettare molto per il prossimo.
A presto spero, Roby- <3
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Capitolo 7 *** You take my breath away ***
Love
save the pain.
You
take my breath away.
Un
mese dopo.
Edward’s
Pov.
Un mese. Un
fottutissimo mese, dove ancora non ho ricevuto
risposte, o magari qualche suggerimento utile. Un mese in cui mi sono
sentito
la persona più inutile dell’universo.
Tutti i giorni, nuovi appuntamenti, nuove conoscenze, nuove
scoperte.
Inutili.
Tutto
inutilmente vero. Come un film, un po’ falso, un
po’
meno vero.
Sono incazzato, con il mondo, con tutto ciò che mi circonda.
Spaccherei tutto, ma poi, mi rendo conto che non posso reagire
negativamente.
Ho promesso che avrei fatto giustizia.
Ho promesso che serei stato forte.
L’ho promesso a lui, non posso
tirarmi indietro. Non voglio.
Apro la portiera della mia auto e mi dirigo in albergo, dove
Bella mi aspetta.
E’ l’una di notte, e mentre mi era appena arrivata
una mail
inutile, sono fuggito incazzato nero, lasciandola lì confusa
e spaventata.
Se in questo mese non sono impazzito lo devo a lei. Al suo
modo dolce e divertente di interpretare la mia rabbia, al suo modo di
rendere
bella ogni cosa. Forse ho sbagliato ad andare via così,
forse questa volta non
mi accarezzerà la schiena e mi dirà ‘
andrà tutto bene’. Sono stato uno
stronzo, per la prima volta in vita mia, mi sono accorto che il mio
modo di
fare non sempre è corretto.
Credevo di essere una persona corretta, credevo che tutto
ciò che facessi era giusto. Adesso, in questo preciso
momento mi sono reso
conto che molte volte ho sbagliato.
Ho sbagliato a credere che avrei potuto incastrare quello
stronzo da solo.
Ho sbagliato quando una ragazza mi amava ed io ci mettevo
più tempo del dovuto per accorgermi che io non ricambiavo.
Ho sbagliato quando credevo che George ed io saremmo rimasti
per sempre insieme.
Ho sbaglito con mia madre, l’ho fatta soffrire facendola
assistere a tre mesi di terapia psichiatrica.
Ho sbagliato a non accorgermi subito dove sbagliavo.
Ho sbagliato a dare per scontato Bella.
Afferro la chiave magnetica della suite, la striscio
sull’apposita
serratura ed entro piano.
“Ti sembra il modo?” Sussulto sentendo le urla di
Bella.
“Non urlare, è tardi” Sussurro non
guardandola negli occhi,
ho paura di vedere la sua rabbia e poi addormentarmi con quella visione.
“Guardami! E’ tardi? Dirmi che è tardi
è una scusa
plausibile secondo te?” Urla ancora, facendomi accorgere di
quanto male mi faccia
la testa.
“Cazzo! Non urlare, e poi che cosa vuoi eh?” Mi
avvicino a
lei, sempre senza mantenere il contatto visivo.
“Cosa voglio? Senti Edward, il fatto che tu sia il mio capo
non ti permette di trattarmi in questo modo!” Urla, urla,
solo urla. Senza
senso, ah bene, sono il suo capo adesso? Non sono più
l’Edward che le scalda i
piedi sul divano, non sono più una delle persone
più dolci che lei abbia mai
incontrato, non sono più la persona che bacia, anche senza
apparente motivo? Benissimo.
“Si esatto! Cosa vuoi? Sono tornato tardi allora? Che cazzo vuoi da me?
Posso fare quello che
voglio, non devo rendere conto a te” Urlo anch’io
ormai senza rendermene conto.
“Senti stronzo imbecille che non
sei altro, e dopo questa puoi anche
licenziarmi, altrimenti lo faccio io. Mi hai lasciata come una fottuta
stronza
impaurita, sei uscito per tre ore, di notte, senza dire o fare niente.
Perdonami
se mi sono solo preoccupata per te” Sbotta sbattendo la porta
della sua piccola
camera da letto.
In questo ultimo mese il nostro rapporto si era
come...fortificato. Avevamo trovato entrambi una specie di punto di
forza,
avevamo parlato di tante cose che giravano attorno all’essere
noi stessi, ma
mai ci siamo apinti oltre, non abbiamo ancora voluto affrantare il
nostro
dolore con l’altro. Io in parte l’ho fatto, lei per
qualche motivo non ci
riesce, arriva sul punto dove credo che sta per scoppiare per poi
cambiare assolutamente
discorso dalla A alla Z. Adesso quella lastra sottile di rapporto, che
insieme
avevamo costruito, si era distrutta, frammentata, uno stupido litigio
mi ha
fatto capire quanto stupido sia molte volte il mio comportamento.
A volte mi sono chiesto come mai io fossi sempre solo, a
parte George. E la verità è che il mio carattere
di merda tende ad allontanare
da me le persone, solo chi davvero vuole rimane. Come la mia famiglia,
come
George.
“Buongiorno”
Sussurro sopo aver aperto la porta di Bella , con la colazione
tra le mani. Lei si alza, si passa una
mano tra i capelli, che non sembrano proprio capelli e si stropiccia
gli occhi.
Inizialmente mi sorride, ed io ricambio sperando che non abbia dato
tanto peso
alla discussione di stanotte.
Il suo viso si indurisce e si allontana.
“Esci!” Urla con la voce roca.
“No, sono qui per chiarire, ti ho portato..”
“Privacy!” Esclama interrompendomi. Appoggio il
vassoio al
letto e mi avvicino a lei.
“Senti Bella, io so di aver sbagliato lasciami
solo..-”
“No. Senti Edward puoi fare quello che vuoi io non sono
nessuno per impedirlo, ma io non sono una di quelle che trovi per la
strada!
Non puoi andare via
così come se fossi
appena uscito da una rissa e mancare per tre ore. Il nervoso mi ha
mangiato lo
stomaco, almeno dire ‘Ehi stronza esco un po’
’ cavolo credevo di aver fatto
qualcosa di sbagliato”. Sbotta iritata.
“Bella, scusa io non..” Sospiro un attimo e la
guardo, poi
continuo. “ Scusa se sono stato uno stupido, ma è
un mese che tutto va male,
siamo venuti qui per qualcosa che fino ad oggi è risultato
solo un errore, che
le cose che abbiamo saputo potevamo saperle anche a Los Angeles. Scusa
se sono
scappato così, scusa se non ho rispettato te lasciandoti
come una cogliona sul
divano a guardarmi sorpresa. Ma il problema è che io ho
questi scatti di
pazzia, come quella di tutti, e come quella tua la mia pazienza ha un
limiti,
mi dispiace solo che sia successo d’avanti a te”.
Sussurro oprendendole le
mani.
“No è che..io ho urlato in quel modo
perché..” Le scappa un
singhiozzo e per la seconda volta la vedo piangere d’avanti a
me, senza saperne
il motivo, credo.
“Non sono mai stata tanto lontana dal…Scusa
è che, è un mese
ormai, non credevo
fosse passato così
tanto tempo è solo che…” Le sue frasi
sono sconnesse, vorrei chiederle di dirmi
cosa la fa stare così male, cosa le è successo
per cui lei debba soffrire in
qusto determinato modo, capire ciò che l’ha ferita
così profondamente in modo
di aiutarla, come lei sta facendo con me, inconsapevolmente.
Asciuga le lacrime con una mano e mi abbraccia.
“Siamo degli stupidi” Mormora ridendo. Ed ecco che
torna in
un baleno come prima, come se non avesse pianto, come se lei stessa
bene, senza
avere l’anima macchiata di dolore profondo
Iniziamo a consumare la nostra colazione, direttamente sul
suo letto.
“Senti stasera ti va di uscire, a cena intendo?” Le
chiedo
di punto in bianco. Lei mi sorride e annuisce.
“Uh, cos’è un primo appuntamento tra due
persone che si
piacciono o è una cena di lavoro?” Mi chiede
divertita.
“Entrambe le cose, non è mica colpa mia se ho la
segretaria
più intelligente e bella del pianeta” Ribatto
facendo imporporare le sue guance
di rosso. Finiamo la colazione e Bella va’ a farsi la doccia.
Dopo qualche ora, mentre invio una mail ad un avvocato di
Seattle, la sento sbuffare. Mi avvicino a lei, ma me ne pento
immediatamente
quando la vedo in asciugamano.
“Ehm..” Mi schiarisco la voce. “ Hai
bisogno?” Lei mi guarda
con una piccola V disegnata in fronte.
“Non ho portato niente di elegante con me” Mi dice
tristemente.
“Allora vestiti che usciamo no?”
“Tu odi lo shopping” Afferma confusa.
“Tu non sei Alice” Le dico in tono divertito.
La sua mano scioglie il nodo della tovaglia mentre io
deglutisco.
L’asciugamano cade per terra e…non succede nulla.
Alla mia espressione, che sarà un misto tra imbarazzo e
delusione, scoppia a ridere.
“Ti sarebbe piaciuto eh?” Dice tra le risate. Certo
non
capita tutti i giorni vederla in asciugamano, soprattutto se sotto ha i
vestiti! Insomma chi si tiene l’asciugamano se sotto
è vestita?!
“Non lo nego” Ammetto confuso dal suo modo di
vestirsi.
“Ehi guarda che era uno scherzo, volevo vedere come avresti
reagito” Mormora guardandomi e mordendosi il labbro.
“Andiamo, prima che i tuoi vestiti facciano una brutta
fine”
Scoppia a ridere e prendendomi la mano usciamo.
Questo è diventato il nostro modo di dialogare tra di noi.
Entrambi avevamo capito l’attrazione che provavamo verso
l’altro, non c’era
motivo di nasconderlo. Questa è la Bella di tutti i giorni,
la Bella che si
nasconde dietro se stessa per venire fuori quando non è sola.
“Quello ti piace?” Le chiedo per la
trentesima volta, lei
scuote la testa ed io sbuffo, non è come Alice, ma si
avvicina molto.
“Senti deve essere un colpo di fulmine okay? Deve piacermi
quando lo vedo” Ammette decisa iniziando a guardarsi intorno,
per l’ennesima
volta, dentro l’ennesimo negozio.
Dopo due ore si avvicina a me, fuori intento a fumare una
sigaretta, sorridente.
“Trovato tutto?” Le chiedo lei annuisce ed io
sospiro
sollevato, finalmente!
Ci infiliamo in macchina e ci avviamo verso l’albergo.
Deglutisco
con forza, alla visione di Bella con il nuovo
abito. Non è mai stata – almeno da quano la
conosco- un tipo di persona a cui
piace vestirsi elegante. Fuori dall’orario di lavoro, indossa
delle tute o dei
jeans con un T-Shirt sopra, ma oggi, adesso, vorrei rimanere a fissarla
per
tutto il tempo.
Indossa un abito blu scuro, lungo fino a metà coscia, una scollatura –
che lascia poco all’immagginazione-
a forma di cuore dai seni in giù. I suoi capelli sono
elegantemente slegati e
tirati indietro da un piccolo cerchietto. Le gambe, così
liscie e fottutamente
perfette sono nude. Ai piedi indossa delle decolleté nere,
non molto alte.
Sorrido è perfetta.
“Sei bella” Sussurro, lei si imbrazza e mi viene
incontro
senza parlare. Afferra la mia mano e usciamo. Nella Hall
dell’Heatman Hotel
tutti ci guardano compiaciuti., ovviamente fuori sembriamo una coppia,
e con
sincerità assoluta questa cosa non mi dispiace affatto.
In questo ultimo periodo ho fantasticato molto su di me e
Bella. Ogni volta che penso ad un noi, o semplicemente a me insieme a
lei sono
felice, anzi no, provo un’emozione che fino ad oggi mi appare
sconosciuta. Sto
bene, con lei, sono me stesso.
Ogni tanto mi capita di essere un’altra persona quando sono
in compagnia di nuove persone. Cerco di adattarmi alle persone che mi
circondano, cerco di sembrare quello che a loro potrebbe piacere. Tutti
mi hano
sempre detto che sono un bel ragazzo, tutti hanno sempre cercato di far
salire
la mia autostima. Ma io sono sempre stato così insicuro di
me stesso, come se
non fossi mai abbastanza. Ho sempre avuto il terrore di non piacere
agli altri,
anche a le persone che non mi erano poi così tanto vicine.
Solamente con una
persona sono sempre stato me stesso George, e adesso con Bella. Tutto
quello
che mi viene di dire o fare al momento lo faccio, senza preoccuparmi
del suo
giudizio.
Forse perché la maggior parte delle volta, qualsiasi cosa mi
succeda lei è lì pronta a consolarmi o
semplicemente a consigliarmi, o forse è
perché dal primo giorno che l’ho vista, ci ho
visto me stesso dentro i suoi
occhi.
Dopo
aver ordinato il cameriere del Wild Ginger
Restaurant va’ via lasciandoci soli. La sala
è molto
grande, ci sono dei tavoli vicini tra di loro, altri più
appartati. Noi siamo
in un tavolo – troppo grande per due- situato in un piccolo,
ma elegante,
angolino della sala. Mia sorella mi ha detto che questo è
uno dei Ristoranti
più belli della città, credo che aveva ragione
fino ad adesso, è molto arioso e
luminoso, c’è un silenzio confortante, si sente
solamente il ticchettio delle
forchette che si adagiano ai piatti.
Bella si guarda intorno ed i suoi occhi sono lucidi, ma non
di pianto o di emozione. Sembra…felice, sembra contenta, ed
io sono contento se
è davvero così.
“E’ stupendo qui” Annuisco e prendo la
sua mano. Forse il
mio gesto sembra troppo prematuro, forse è sbagliato, forse
le da fastidio, ma
perché farmi tutte queste domande quando sia la ragione che
l’istinto mi dicono
di fare così. Lei mi sorride e mi guarda.
La cena passa tranquilla, con qualche sorriso e qualche
commento sul cibo delizioso. Tutto sommato ci siamo divertiti. Usciamo
dal
ristorante complimentandoci con il cuoco e con tutto il personale
davvero
gentile e molto formale.
Fuori dal ristorante c’è una bellissima, quanto
grande
fontana, le luci che spuntano dal suolo sono bianche e sembrano piene
di
brillantini . Lo scenario è perfetto.
Appoggio le mie mani suoi suoi fianchi e l’avvicino a me,
sento il suo respiro entrare nella mia bocca. Ho già
l’acquolina la voglia di
baciarla è indescrivibile. Non so se è amore, ma
so che è qualcosa di
profondamente bello e sincero.
“Mi piaci da impazzire Bella” Sussurro rocamente al
suo
orecchio. LE mi sorride, contagiando anche gli occhi e si avvicina al
mio
orecchio.
“Anche tu. Edward” Sussurra il mio nome
sensualmente, ed io
mi riscaldo immediatamente come poche volte, forse mai, mi era
capitato. Morde dolcemente il lobo del mio orecchio e lì
sento che sto per morire.
Affero con forza la sua nuca e l’avvicino a me. Il respiro
le si mozza in gola e io ne approfitto per avvicinare le sue labbra
alle mie.
Il bacio è passionale, ma lento.
E’ come un ballo sensuale, ma che assapori lentamente.
Dischiudo le labbra e le nostre lingue si incontrano, e si
sincronizzano tra di loro.
Il suo corpo è attaccato al mio, i suoi seni sono
schiacciati nel mio petto. Le sue mani iniziano a torturare i miei
capelli,
scompigliandoli più degli altri giorno.
C’è silenzio, si sente solo lo
schioccare delle nostre labbra e i nostri sospiri.
La desidero come se fosse l’aria che si respira. La desidero
come un cieco desidera la vista.
Mi annebbio e penso solo a me, a lei, insieme felici. Siamo
uniti da qualcosa di magnifico, sento che per me sta diventando
qualcosa di
fondamentale. E’ importante, ormai è dentro di me.
“Alice?”
Mi chiede ingoiando l’ultimo pezzo di briosce che
le era rimasta.
“Oggi è libera, se vuoi puoi chiamarla e passare
un po’ di
tempo con lei”. Lei annuisce e inizia a sorseggiare la sua
spremuta.
“Io devo uscire, ma puoi rimanere qui se ti va. Sono sicuro
che sarà un’altra passeggiata inutile”.
Lei mi guarda e sospira.
“Sta tranquillo, non essere così pessimista.
Vedremo come
andrà oggi, se andrà male ritentiamo. Poi non
potresti chiamare tuo padre?”
“Si. E’ una buona idea” Sussurro. Non
sento mio padre dal
mese scorso, ero così arrabbiato con lui, lo sono ancora
adesso ma un po’ meno,
ho provato a mettermi nei suoi panni, e se fosse morto un suo amico
nello
stesso modo di George, forse anch’io avrei omesso qualche
particolare.
“Stiamo
cercando dei fascicoli che potrebbero incastrarlo. Vede
questa ragazza” L’avvocato Price mi mostra la foto
i una ragazza, avrà appena
16 anni, è bionda e un po’ magra.
“Ecco lei dice che quest’uomo abbia cercato di
violentarla,
aveva dei guanti quindi non ci sono impronte, né tantomeno
testimonianze. Se è
come sappiamo più o meno tutti, cioè che
quest’uomo abbia tanti di quei casi,
che è impossibile contarli, che sono stati archiviati,
potrebbe essere che la
ragazza venga creduta, in modo da sbatterlo finalmente in
galera” Mormora
finendo il suo piccolo ma intenso discorso.
Racconto la vicenda di George, anche se mi viene doloroso
farlo, è strettamente necessario.
L’’avvocato dice di conoscere questo caso, e
anche lui come altri mi hanno detto, dice che è coperto
bene, che abbia
corrotto molti giudici e avvocati. Sembra strano, sembra impossibile,
ma una
persona che si sbronza poco prima che faccia partire un aereo, potrebbe
fare di
tutto a parere mio.
“ Bene. Possiamo vederci qui la prossima settimana, ci
saranno una serie di avvocati, ognuno con il suo fascicolo,
dopodiché faremo un’istanza
al giudice per riaprire il processo” Annuisco e stringo la
mano all’uomo che
dopo un mese è riuscito a farmi sperare ancora.
Apro la porta
con la mano sinistra , la destra è occupata da
un costosissimo spumante dolce, acquistato apposta per
l’occasione.
“Bella!” Esclamo euforico, ma quando sento dei
singhiozzi
attraverso la porta del bagno mi preoccupo.
Giro la maniglia ma niente, non si apre. “Bella
apri!”.
“Si un attimo” mormora dall’altra parte
rocamente. Sento l’acqua
del lavandino scorrere e dopo pochi minuti la chiave girare nella toppa
del
bagno.
“Ehi ciao” I suoi occhi sono rossi e gonfi, sono
sicuro che
ha pianto per tutto il tempo che non ci sono stato, circa due ore. La
sue
espressione è quasi serenamente mascherata.
“Che succede?” Le chiedo dolcemente. Lei si guarda
intorno e
sospira.
“N-niente perché?” Sussurra
impercettibilmente, sta
mentendo, ormai lo so, l’ho capito.
“Se non succede niente perché ti ho trovato in una
crisi di
pianto?” La mia voce è ancora dolce, ma sale di
qualche ottava.
“Scusa. Non è niente” Mormora
sorpassandomi, io afferro il
suo braccio e lei istintivamente si gira.
“Bella. Tu stai male, cosa c’è che non
va? Se non vuoi dirlo
a me, chiama tua madre, Jacob o Angela o Alie, non lo so, ma ti prego
non
voglio vederti così” Sussurro disperato, la sua
faccia si riga di lacrime
silenziose, quelle più dolorose.
“Bella..”
“Ti prego, non dire niente. Non posso..”
“Cosa Bella, cosa non puoi? Che succede?” Urlo
disperatamente.
“Succede che mi manca! Mi manca terribilmente, credevo con
tutta me stessa che c’è l’avrei fatta,
ma non
è così..” Un altro
singhiozzo.
“Chi Bella?” Dico con voce grave mettendomi le mani
nei
capelli, non sto capendo più nulla.
“Mi manca da sempre Edward. Sono passati sedici anni, ma
ogni anno la lama del coltello arriva più in
profondità della volta precedente. Mi manca
passare con lui l’ora di pranzo, mi manca capire che lui
c’è stato davvero, che
ci siamo l’uno per l’altra anche senza vederci. Mi
manca la sua voce che non
ricordo più, mi manca il suo sorriso. L’ho
abbandonato insieme alla certezza
che io lo senta dolorosamente dentro di me” Si accascia al
pavimento
piangendo,. Non le chiedo niente. La prendo tra le mie braccia e mi
siedo sul
divan cullandola. Bacio la sua frobte innumerevoli volte e dopo qualche
minuto
apre gli occhi.
I suoi occhi si specchiano nei miei, ci vedo sincerità,
rabbia e immenso dolore.
“Mio padre era la mia vita.. la stessa vita che me lo ha
portato via”
**
Buonasera!
Allora, perdonate il ritardissimo, ma diciamo che
non è uno dei periodi migliori.
L’altra FF è finita, quindi adesso ho molto
più tempo da
dedicare a questa.
Al momento non scriverò altre Ff, quando questa
sarà quasi
alla fine, forse né scriverò un’altra.
Sicuramente prima di natale non aggiornerò quindi BUON
NATALE A TUTTE. Che sia un felice natale per tutti, che porti
felicità a chi
non ne ha, che porti speranza e che vi sia d’aiuto.
E anche FELICE ANNO NUOVO. Il ventisei parto e torno l’undici
Gennaio, non so se mentre sono in vacanza
scriverò…penso di sì, ma niente e
sicuro. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e bè, fatemi
sapere :')
Un bacio.
Grazie
Roby!
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Capitolo 8 *** Pain is so close to pleasure. ***
Love
save the pain.
Pain
is so close to pleasure
Bella’s Pov
Ci sono quei
momenti in cui rifletti se affidare la vita al
destino. Io avevo deciso, inconsciamente, di rendere Edward parte della
mia
vita, del mio dolore.
Per anni, se non con poche persone, non ho mai tirato
davvero fuori tutto il dolore che mi perseguita. E’ un male
che non mi sono
causata da sola, anzi. E’ il destino, o qualsiasi cosa che ci
rende partecipi
del futuro. E’ stata una perdita improvvisa, senza sapere
come né il perché. Da
piccola mi chiedevo sempre se la colpa della sua scomparsa era la mia,
pensavo
sempre; Forse mi sono comportata male negli ultimi mesi, forse ho fatto
troppi
capricci, credevo che Dio me l’avesse fatta pagare in questo
modo. Ero solo una
bambina di sei anni, non capivo il senso della vita, e quindi del male
e di
tutte le conseguenze che porta con sé.
Edward mi guardava, non mi forzava, ma era addolorato. Così
decisi di parlarne con lui, di sfogarmi e finalmente forse riuscire a
trovare
un po’ di luce, anche se per pochi attimi.
31
Marzo 1992 LA
Quel
giorno, Charlie e il suo amico John si organizzarono per la loro
imminente
battuta di pesca. Il lavoro scarseggiava, avevano la passione
–tramandata dai
padri- di lavorare nel mondo della pesca. Tante volte tornavano
sorridenti dopo
due settimane, il peschereccio spesso era appesantito da quintali di
pesce. Il
loro vivere glielo costruiva il mare, ma a loro stava bene
così.
Quel
giorno non sarebbero partiti per settimane, ma solo per 24 ore. Il
meteo aveva
previsto bonaccia fino all’indomani. All’una e
mezza del pomeriggio, Charlie si
recò con Reené a scuola. Quando Charlie non era a
lavoro gli piaceva
sorprendere la figlia facendosi trovare fuori da scuola. Isabella, che
con suo
padre aveva un legame più forte di quanto si potesse
immaginare, erano felici
se avevano l’altro a fianco. Si recarono a casa e Charlie
iniziò a prepararsi
la borsa per andare a lavoro.
Isabella,
osservando il padre, iniziò a piangere e ad accusarlo, che
per l’ennesima volta
stava andando via. Quando suo padre doveva andare a lavoro lo faceva di
notte,
in modo che lei non lo vedesse. Quando la lancetta
dell’orologio segnò le tre
in punto Charlie infilò il giaccone e diede un dolce, casto
e intenso bacio
alla moglie. Si avvicinò alla figlia che gli negò
il saluto. Lui deluso, come
ogni volta, scese. Ma dopo tre secondi suonarono alla porta.
“Non posso
andarmene senza aver dato un bacio a mia figlia” La piccola
Bella sorrise e si
tuffò nelle braccia del padre. Una lacrima scese dagli occhi
di Charlie, forse
aveva intuito che quello sarebbe stato il giorno più brutto
di tutta la
famiglia, e di gran parte della città.
Charlie
era una persona amata da tutti. Molte volte c’erano delle
persone che non
potevano permettersi di comprare il pesce, lui, senza che nessuno
fiatasse,
tagliava delle generose fette di pesce e le distribuiva alle persone
povere,
come lui, umili.
Quando
le cime si sciolsero dalla banchina, la barca iniziò ad
allontanarsi, fino a
sparire oltre l’orizzonte. Reené, come ogni volta,
non era tranquilla, sapendo
che il marito era chissà dove, in quale parte
dell’oceano, ma aveva una brutta
sensazione nel cuore, qualcosa che le tormentava l’anima.
Il
giorno dopo Bella credeva che all’uscita dalla scuola
l’aspettava il padre, ma
ci rimase male quando non lo trovò. Passarono giorni, mesi e
anni. Lui e John
non tornarono più. Il peschereccio chiamato ‘lupo
solitario’ non tocco più il
margine della banchina, da lì a sedici lunghissimi anni. Le
ricerche erano
partite subito, ma non furono trovati né i corpi,
né i resti del veicolo. La
famiglia Swan aspettava sperando, ma piano piano si resero conto che
aspettare
e sperare era inutile, ormai, dopo sedici anni la speranza era
diventata ottima
intenditrice degli illusi.
Raccontai tutto
a Edward, o almeno quello che ricordavo
meglio. La sua voce l’ho dimenticata, molte volte guardo dei
video per sentirlo
parlare. Ricordo che lui mi ha insegnato a leggere, ricordo il giorno
del mio
sesto compleanno, ricordo che mi ha insegnato la mia data di nascita.
Ricordo
che era buono. Ricordo che volevo essere come lui.
Le lacrime scendono senza controllo. Dopo un mese passato a
Seattle, mi sono resa conto che non c’è
l’ha faccio.
Che non riesco a stare lontana da lui. Non riesco a stare
lontana dal dolore.
Ho paura che lui pensi di essere stato abbandonato.
Ho paura di dimenticare le poche cose che ancora ricordo.
“Per quanto possa essere scontato, mi dispiace. Mi dispiace
che ti sia stata tolta gran parte delle felicità, mi
dispiace, davvero”
Sussurra Edward mortificato. Io lo abbraccio e libero i miei singhiozzi
fin quando
esausta chiudo gli occhi, addormentandomi.
**
“Ogni
pomeriggio mi reco nella spiaggetta che si trova di
fonte casa mia. Ci parlo, ascolto la musica con lui, fumo anche una
sigaretta
con lui. Sarò pazza, non so, quel che so è che il
mio essere non normale mi fa
stare bene. Il mio avvicinarmi pericolosamente alla mia fonte di dolore
mi fa
bene. Per questo ho perso il controllo. Ho paura Edward, paura che il
fatto che
lui sia esistito potrebbe diventare frutto della mia mente, che il suo
ricordo
possa svanire da un momento all’altro. Perché io
lo sento, ogni giorno, il
vento e la brezza marina lo tengono accanto a me, e allora penso che
mio padre
c’è davvero, che penso a lui sempre, che
è indipendente sentirlo dentro la mia
anima” Mormoro più tranquilla dopo tre ore di
sonno.
Edward annuisce e mi guarda è stato qualcosa di stupendo
durante queste poche ore. Mi ha ascoltata, mi ha
confortata…si è preso cura di
me nel momento in cui io ne ho avuto bisogno.
“Ti faccio il biglietto, mh?” Mi chiede fissando i
miei
occhi. Io annuisco, lui mi abbraccia ed io ricambio strofinando la
guancia
sulla sua spalla. Apro gli occhi, ancora ancorata a lui e mi accorgo
che sul
tavolo della saletta c’è una bottiglia di
champagne. Sciolgo l’abbraccio e lo
guardo.
“Edward hai portato tu lo spumante?”
“Ehm…si, ho avuto qualche risposta oggi, anzi
più di una…non
sapevo che però ti avrei trovato in quello stato”
Mi dice guardando per terra.
“Edward, non potevi saperlo. Allora che novità ci
sono?”
Chiedo interessata.
“Uno degli avvocati migliori di Seattle, mi ha detto che
purtroppo non sono l’unico a volerlo in carcere, ha
violentato una ragazzina ma
nessuno provvede. Ci sarà una riunione la prossima
settimana, io con gli altri
avvocati che lo accusano e decideremo di mandare un istanza al giudice
e quindi
vedere se riusciremo a fare qualcosa” Ammette con la voce
più calda.
“E’ fantastico!” Esulto buttandomi su di
lui. Le mie labbra,
senza che io abbia deciso, si avvicinano alle sue iniziando a morderle,
le sue
mani si arpionano ai miei fianchi che al suo contatto potrebbero
prendere fuoco
da un momento all’altro. Le mie mani corrono a cercare quella
chioma leonina
che piano piano inizio ad amare. Nel silenzio della stanza, si sente il
solo
rumore dei nostri fiati e le nostre bocche che si incontrano. Lo
voglio, lo
voglio davvero, ma qualcosa, non so cosa sia mette il freno al mio
istinto,
che, per pochi attimi mi è sembrato incontrollabile.
Staccandomi da lui inizio a guardarlo. I suoi occhi sono un
mix tra lussuria e dolcezza, sono più verdi del solito, sono
stupendi, come
lui. La sua mano raggiunge il mio viso, che prontamente gli offro
piegandolo
verso di essa. Sono questi i pochi istanti che annullano la mia mente,
che mi
fanno stare bene, che per un solo millesimo di secondo mi fanno pensare
che
sono una persona normale. Il telefono della suite squilla ed Edward
risponde.
“Pronto? D’accordo” ripone il telefono e
mi guarda “ Sta salendo
Alice” Mi informa un attimo prima dell’udire il
bussare di qualcuno.
“Bella!” Urla Alice abbracciandomi. “
Come stai?” Mi chiede.
“Alice! Non la vedi da quarantotto ore” Sbotta
esasperato “
E comunque è un piacere rivederti anche per me”.
Io e Alice a quella
affermazione scoppiamo a ridere.
In questo ultimo mese io e Alice siamo davvero diventate
amiche. Parliamo molto, ridiamo molto ed è come se ho
trovato un’altra Angela.
La compagnia di Alice riesce a riempire il piccolo vuoto che Angela ha
lasciato
andando via. A volte ho paura che Angela non sia contenta dei miei
pensieri,
non mi ha abbandonata è dovuta partire per studiare, mi
manca tanto, ma Alice
in qualche modo mi è vicina quanto lo era lei.
“Io esco un po’ ” Annuncia Edward, mi
avvicino per
salutarlo, lui sorprendendomi mi schiocca un bacio sulla bocca. Lo
sguardo
sperando che il mio sguardo sia più omicida possibile e lui
sorride. Arrossisco
e guardo il pavimento, Alice non commenta. Edward esce dalla stanza e
lo so che
tra 3..2..1..
“Bella! Ma cosa?Ma…” Ammutolita Alice si
zittisce scioccata.
“Senti Alice non lo so okay? Sta succedendo se te lo stai
chiedendo, ma non è realmente come pensi”.
“Ma, non mi hai detto nulla perché?” Mi
chiede infastidita.
“Perché non è niente di sicuro, e poi,
oh! andiamo non mi
aspettavo che mi baciasse”. Lei sorride e prendendomi per
mano mi fa sedere
accanto a lei nel divanetto.
“Dall’inizio dai!..” Dice sbattendosi le
mani nelle gambe,
come una bambina che aspetta le caramelle. Le racconto del primo
abbraccio che
ci siamo scambiati io e Edward, di quanto il suo essere solamente
Edward mi
faccia bene. Della sua dolcezza, dei suoi modi affettuosi che mi
abbagliano all’istante.
E’ vita, è il sole nel buio, ho bisogno di lui.
Anche se non solo.
Non credevo che la lontananza da casa mi avrebbe scaturito
questo effetto…Forse un mese è stato troppo,
forse è l’abitudine o forse è solo
la mia mente malata.
Edward mi ha offerto il ritorno a casa, ed io ho accettato
immediatamente...mi chiedo se è la cosa giusta da fare, se
una volta tornata a
casa starò bene…
In questi giorni mi sono accorta che il legame che
c’è tra
me e Edward sta diventando morboso da parte mia. Che sorrido solamente
quando c’è
lui, che non penso alla sua lontananza solo nelle ore che Edward
è con me. Forse
sta diventando indispensabile, forse attaccarmi così a lui
diventerà un errore,
lo stesso errore che ho fatto nel
momento in cui ho deciso di stendere il telo ad un dito della riva e
guardare
il mare.
Irrazionalmente lo faccio…Come l’amore, il dolore
è
irrazionale.
Una volta mi hanno chiesto; Cosa sai dell’amore? Ed io ho
risposto; So che è come il dolore. Irrazionale, vero, falso,
immenso, piccolo,
che si deve provare per immaginare la sua importanza e forza.
**
“Tesoro
ti sento strana…” Afferma mia mamma
dall’altra parte
del telefono. Sono dieci minuti che siamo al telefono, tre volte mi ha
detto la
stessa identica cosa. Ah le mamme!
“In che senso mamma?” Chiedo con un tono di voce
che ho
provato a modificare da teso a calmo, ma evidentemente non riesco a
nascondere
la mia tristezza, non con lei.
“Bella, lo so che succede…”
“Ma?”
“No! Ascoltami. Hai ventidue anni, la tua vita è
iniziata
adesso, non puoi cedere al dolore. Tu sei più forte,
più forte di quella forza che
sembra indistruttibile che è il dolore. Tu sei Bella, sei la
figlia di Charlie
Swan, e lui non ti vorrebbe vedere in questo stato. Lui sa che tu lo
ami con
tutta te stessa, non c’è bisogno di passare delle
ore intere sulla spiaggia a
stringerti il petto piangendo, a deprimerti ascoltando le canzoni che
piacevano
a lui per poi cantargliele. Vivi Bella, DEVI FARLO, per lui, per me, ma
soprattutto
per te stessa amore mio”. La sua voce, ormai rotta dalle
lacrime, somiglia a
quella della mamma che si arrabbia perché hai preso dei
brutti voti a scuola.
Io scoppio a piangere, non per quello che ha appena detto, ma per il
semplice
fatto che mi ha rivelato di avermi vista tutte le volte che andavo
nella
spiaggetta. Che alla visione si me che mi auto-distruggo il dolore
è triplicato
a quelli che ha già…E’
sincero il dolore
di chi piange in segreto.
“Scusa mamma, io-”.
“Non scusarti Bella, pensa solo a ciò che ti ho
detto. Ti
chiamo domani. Ti voglio bene”
“Anch’io” Mormoro tirando su con il naso
e chiudendo la
chiamata.
Passo una mano tra i miei capelli e le lacrime continuano a
scendere, lente, sulle mie guance ormai annaffiate da anni.
“Bella?” Mi chiama Edward dall’altra
stanza...Spero che non
mi abbia sentita.
“Dimmi” Urlo, dopo essermi sciacquata la faccia e
indossato
un sorriso falso.
“Potresti fare dieci fotocopie di questa E-mail?
C’è l’edicola
giù” Mi chiede con voce dolce. Io gli sorrido e
annuisco. Prendo il giubbino ed
esco.
“Buongiorno! Potrei avere dieci fotocopie di
questa?” Porgo
il foglio al ragazzo dell’edicola che annuisce e infila il
foglio sulla
fotocopiatrice.
“Io sono Ted” Mi dice porgendomi la sua mano.
“Piacere. Bella” Afferro la sua mano e lui mi
sorride. I
suoi capelli sono neri, la sua carnagione è chiarissima ed i
suoi occhi sono
azzurri. E’ un po’ smilzo, ma al punto giusto, le
sue mani sono grandi ed il
suo sorrido apparentemente è davvero dolce.
“Abiti qui da poco?” Mi chiede interessato.
“Ehm…no, sono qui per lavoro. Vivo
a Los Angeles”.
“Alloggi all’Heatman
Hotel?” Mi
chiede strabuzzando gli occhi. Io annuisco con nonchalance e lui mi
guarda
sorpreso.
“Sai che è uno degli alberghi più
costosi di Seattle?”
Scuoto la testa e lo guardo.
La fotocopiatrice smette di rompere il silenzio mentre Ted
mi fissa come se fossi un alieno, il suo sguardo è
abbastanza inquietante e
famelico. Sbuffo e lo guardo anch’io.
Allungo la mano verso i foglio, in modo da fargli capire che
non ha senso questa sua assurda lentezza . Finalmente prende i fogli e
me li
porge. Io lascio gli spiccioli sul bancone e mi dirigo verso
l’uscita.
“Allora ciao. Sei bella, se ti va di uscire io sono
qui”
Mormora. Gli faccio un cenno con la mano ed esco.
C’è particolarmente caldo
oggi, il che non dovrebbe sorprendermi, siamo a Maggio. Entro
nell’ascensore e
in pochi secondi sono già arrivata al nostro piano. Il
cellulare all’interno
della mia tasca vibra, lo afferro e leggo il nome di Angela sul display.
“Angela!”
“Ciao Bella…Come stai?” Mi chiede con
tono felice.
“Oddio...sono due settimane che non ci sentiamo. Sto bene,
bè come sempre..e…Tu invece?” Con la
spalla tengo il cellulare attaccato all’orecchio
e con la mano libera apro la porta.
“Bene, un po’ stressata dallo studio ma tutto bene.
Ho
conosciuto un ragazzo” Ammette, sento che ride. Poggio i
fogli sul tavolino
davanti al divano dove c’è Edward con il pc sulle
gambe. Mi sorride e leggo il
suo labiale mentre mi ringrazia.
“Oh, racconta su”
“E’ carino e dolce. Si chiama Ben, anche lui abita
a Los
Angeles. Che cosa strana dovevamo andare a New York per incontrarci. E
ci
stiamo frequentando. Io ho paura…”
“Ma no! Non è mica il primo, dai!”
“Con lui è diverso” Ammette.
“Con lui sei innamorata” Sussurro emozionata,
felice per la
mia migliore amica.
“Credo di sì...E tu?”
“Oh io sempre uguale. A parte che oggi un cretino patentato
ha fatto il cascamorto” Racconto ad Angela quello che mi
è appena successo con
il ragazzo dell’edicola mentre mi fisso i piedi seduta di
fianco ad Edward.
Dopo pochi minuti la chiamata con Angela si termina e sbuffo posando il
cellulare sul tavolino. Mi manca Angela, tantissimo.
“Che fai?” Chiedo ad Edward.
“Sto sistemando la cartella che mi serve per domani alla
riunione” Annuisco e afferro un biscotto dal vassoio.
Guardo l’orario e mi accorgo che sono le sei di sera.
“Edward hai bisogno di qualcosa?”
“Mmh no, non credo”
“Allora vado a farmi la doccia” Annuisce e continua
a fare
ciò che stava facendo.
Entro nel Box doccia e con cura insapono il mio corpo. Mi
sento un macigno sullo stomaco, anche senza aver fatto niente,
sarà il
nervosismo. Tante volte mi fermo a pensare a come sarebbe la mia vita
se mio
padre fosse rimasto con me…Quando parlo di lui mi viene
strano dire ‘Papà’
oppure ‘mio padre’. Ho pianto tante volte anche per
il semplice fatto che io
non so dire papà. Che i miei ricordi non mi regalano niente
se non qualche
sorriso, che non è mai un vero sorriso. Ero piccola, tutto
quello che so, lo so
perché gli altri ne hanno sempre parlato, specie mia madre.
Ogni tanto prendo
le foto, lei all’inizio titubante, dopo pochi minuti si
avvicinava a me e
iniziava a raccontarmi le storie di goni foto. Finiva sempre che
ridevamo
piangendo. Ricordo che mia madre i primi giorni se ne stava affacciata
alla
finestra, lo aspettava, pregava con gli occhi. Voleva che suo marito
tornasse
dicendogli ‘ Tesoro abbiamo fatto tardi per guadagnare di
più’. Passavano i
giorni, le settimane, i mesi, lei era sempre affacciata alla finestra.
Era
diventata una ragazza di venticinque anni, troppo magra, che fumava
quattro
pacchetti di sigarette al giorno, affacciata alla finestra i suoi
giorni non
avevano più senso, come la sua vita. I miei nonni paterni
erano in un punto di
non ritorno, ma cercavano di aiutarla in qualche modo, ma poi come si
prevedeva
piangevano tutti e tre insieme. Mia madre si riprese esattamente tre
anni dopo
la sua scomparsa. Da tredici lunghi anni porta il dolore con
sé, lei non lo
ammette, ma tante volte la trovo a fissare il mare con qualche lacrima
che
lentamente solca il suo viso. Non ci siamo mai dimenticati di lui, mai
nemmeno
per un istante, lui rimarrà per sempre con noi, nelle nostre
menti e nei nostri
cuori. Oggi lo amiamo come prima, domani lo ameremo e lo ricorderemo
per sempre.
Ti voglio bene Papà, pensai quando ormai, accovacciata nel
box doccia, con le
spalle schiacciate nelle piastrelle, i singhiozzi si fermarono. Dopo
essermi
vestita e aver asciugato i capelli mi dirigo nel salottino. Edward
è fermo
impalato davanti alla finestra, i suoi pugni chiusi sono tesi lungo il
corpo.
Mi avvicino lentamente, con una mano gli accarezzo la spalla, con
l’altra gli
accarezzo un dei pugni chiusi fin quando non lo apre e mi guarda.
“Mi manca Bella” Sussurra pianissimo, ma riesco a
sentirlo
ugualmente.
“Lo so..” Con uno scatto dolce, ma veloce mi
ritrovo la sua
testa sulla mia spalla. Accarezzo i suoi capelli, ma forse devo aver
fatto
qualcosa di sbagliato, perché immediatamente il suo corpo
viene scosso
violentemente dai singhiozzi. Ogni singhiozzo è come uno
schiaffo, ad ogni
singhiozzo avvicina fortemente il mio corpo al suo, ogni singhiozzo fa
cadere
una piccola lacrima dai miei occhi.
“Bella..” Sussurra piangendo. “ Non so
più cosa devo fare…”
Continua. Alzo la testa come se volessi far rientrare dentro i miei
occhi le
lacrime e scuoto la testa. Vederlo così è
qualcosa sdi assurdamente doloroso,
non è normale, ma non è affatto strano.
E’ qualcosa che colpisce la mia anima,
ma non è perché qualcuno sta soffrendo,
è perché sta soffrendo Edward. Una
persona brillante, dolce, che ha catturato la mia anima senza che
entrambi ce
ne rendessimo realmente conto. E’ come se i nostri dolori si
mescolassero, è
come se fossimo chiuso dentro un limbo, che da grigio passa a dei
colori
vivamente accesi. E’ come se la luna girasse in modi diversi
ogni secondo…
“Edward…Calmati” Sussurro, cercando si
essere almeno un
pochino più forte di lui, come lui ha fatto con me stamane.
Alza il suo viso
rigato di lacrime e mi guarda, i suoi occhi urlano
‘vergogna’. Gli sorrido
lievemente e accarezzo il suo viso, sperando di cancellare le lacrime e
sostituirle con un sorriso.
“Io…io-”
“Sssh” Lo interrompo continuando ad accarezzarlo e
guardarlo
nel centro del cuore, i suoi occhi. “ Va bene
così…Quando ti va di sfogarti io
ci sono Edward. So che è difficile, so che è
talmente potente da sembrare in un
film. Ma devi vincere tu, noi lo faremo insieme. Abbiamo il diritto di
essere
felici anche noi, scopriremo la felicità insieme Edward.
Anche se fosse l’ultima
cosa che faremo” Lui mi guarda e annuisce. Il problema
è che io a quello che ho
detto ci credo, ma adesso, tra qualche secondo, ma non co quanto questa
mia
fermezza possa durare. Lui mi guarda con gratitudine e qualcuno bussa.
Guardo l’orologio
che segna le otto di sera, sarà il cameriere con la cena.
Abbiamo scelto il
servizio in camera, in fondo siamo qui per lavoro e Edward ultimamente
non ha
il tempo di scendere in sala a mangiare.
Apparecchio velocemente, mentre lui divide le pietanze sui
piatti. C’è la pasta con il sugo, una fetta di
cotoletta e un tortino agli
spinaci. Iniziamo a mangiare in silenzio e come sempre a guardarci
mentre lo
facciamo. Dopo la pasta Edward si asciuga le labbra con il tovagliolo e
mi
guarda come se volesse dirmi qualcosa.
“Che c’è?”
“Cosa è esattamente successo oggi in
edicola?”
“Ah si, un ragazzo ha cercato di fare colpo. Certo il
risultato è stato ridicolo, ma va bè ci saranno
ragazze che potrebbero apprezzare”
Dico con nonchalance, sinceramente non mi importa
davvero…Lui mi guarda e poi
inizia a mangiare di nuovo.
Dopo cena ci fumiamo una sigaretta sul balconcino e Edward
non ha più detto una parola, tutto ciò sta
diventato snervante.
“Edward? C’è qualcosa che non
va?”
“No è che mi da fastidio okay?”
“Cosa?”
“Che qualcuno ci abbia provato, ma che cazzo!
Cos’è a
Seattle sono tutti diventati improvvisamente scapoli” Scoppio
a ridere per la
sua affermazione e per la sua espressione. Mi avvicino maliziosamente e
avvicino la mia mano al suo torace.
“Peccato sai era carino. Ma io ne ho trovato uno
speciale”
Mormoro sottovoce come se fosse un segreto…che
effettivamente fino a pochi
attimi lo era, non so nemmeno perché io l’abbia
detto.
“Ah si?” Continua il mio gioco sorridendo.
“Si ma non dirglielo” Mi avvicino al suo orecchio,
che mordo
piano piano. Gesto che lo fa praticamente impazzire. Afferra i miei
fianchi ed
ogni mio senso si annulla, non riesco ad immaginare cosa mi succedesse
se
facesse altro, al pensiero le mie guance si riscaldano, e non solo
quelle. La
sua bocca si avvicina alla mia, ma invece di baciarmi, inizia a
mordermi il
labbro inferiore, dolcemente, come se fosse una tortura. Mi alzo in
punta di
piedi e accarezzo i suoi capelli. Le sue mani si dirigono sulle mie
cosce e in
un secondo mi ritrovo avvolta come un Koala a lui. Le mie gambe
circondano il
suo bacino e le mie braccia le sue spalle. Poi finalmente mi da un
bacio vero.
“Non andare via Bella” Mormora sulle mie labbra
come fosse
una preghiera.
“No, non lo farò” la mia suona come una
promessa e mai come
oggi sono sicura di quello che ho appena detto.
^^^^
Salve ragazze! Scusate per il
ritardo, ma le festività e il
viaggio mi hanno tolto il tempo e la pazienza. Spero che il Natale e il
Capodanno lo avete passato bene...Io fortunatamente si.
Il capitolo non
è il massimo lo so, avrei voluto farlo
meglio, ma niente non ci sono riuscita. Spero che vi piaccia ugualmente
e
fatemi sapere…A presto, giuro.
Un bacio Roby.
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Capitolo 9 *** Nothing else matters. ***
Love
save the pain.
Nothing
Else Matters.
Edward’s
Pov
Era strano
capire la natura di un sentimento che,
velocemente ma con qualche sfumatura di lentezza, stava nascendo in me.
Molte volte, anche solo sfiorandola mi sentivo sopraffatto.
Pensarla a volte mi lasciava un piccolo strato di sudore che imperlava
la mia
fronte.
Era strano, ma all’interno di me stesso - il me stesso
quello vero- era bello. Era come se fosse strettamente necessario.
Credevo che da quando fosse morto George io non fossi più me
stesso. E solo oggi mi rendo conto che avevo torto, io sono sempre me
stesso,
ma sono cambiato.
Non sono più la persona sorridente di una volta.
Non sono più il ragazzo ribelle con lo spinello in bocca e
la chitarra in mano.
Non sono più il ragazzo più attraente della
scuola.
Sono un uomo. Un uomo che non riesce più a sorridere per
colpa degli avvenimenti spiacevoli.
Un uomo che ha paura di anche solo sfiorare le corde della
sua chitarra, quell’uomo che farebbe di tutto per non udirne
il suono così da
non far tornare i bei ricordi, che a causa della nostalgia diventano
brutti.
Non cerco più di farmi notare dalle donne perché
non mi
importa. Da cinque anni ad
oggi ho avuto
l’occasione di una sana scopata – non so se questa
parola potrebbe mai uscire
dalle mie labbra, al momento riesco solo a pensarla- ma nessuna donna,
nessuno
‘svago’ era in grado di farmi sentire bene, intero,
vero.
Prima di Bella la mia mente vagava in strade sconosciute,
non avevo idea delle sensazioni che provo anche solo sentendo la sua
voce.
Vivevo come se fossi il fantasma di me stesso. Non riuscivo
più a sorridere, a
parlare serenamente. La notte riuscivo solo a dormire dopo
un’ora buona di
singhiozzi soffocati in un cuscino. Per questo ho decido di andare a
vivere per
conto mio. Non solo per non far soffrire le persone a me care, ma anche
per il
semplice fatto che ho preferito soffrire in silenzio, per ben cinque
anni.
Adesso sento che questo ‘me stesso’, un tempo
– non molto
lontano- era solitario, triste, chiuso nella sua fortezza costruendosi
una
corazza, si
è sciolto.
Bella ha avuto il potere di farmi rinascere, di farmi capire
che gli avvenimenti brutti succedono a tutti, che lei , nonostante il
suo
dolore sia più potente di quanto lei stessa immagini,
è riuscita a rompere la
corazza che mi ero creato. E’ riuscita a farmi sorridere
anche per le cose
banali. E’ riuscita a farmi volere la sua compagnia. Sento
che il mio mondo mi
ha dato una creatura magica, ma che con tutto ciò devo
proteggere. Devo dargli
un porto come lei sta facendo con me, devo renderla felice come lei ha
fatto.
E se anche il mio migliore amico mi manca terribilmente
c’è
lei, che in un modo o nell’altro, che inconsciamente,
semplicemente e
fantasticamente sta curando la mia ferita. Ho trovato la colla che sta
riuscendo ad unire i cocci di quel famoso vaso che una volta sembravano
persi
del tutto.
Fisso il soffitto, oggi è Venerdì e sono le tre
del mattino.
Non riesco a dormire, non so se è per quello che passa per
la mia mente o per i
tuoni che stanotte non sembra che vogliano smettere.
Dopo la riunione di ieri, mi sento più sollevato, voglio
essere ottimista questa volta.
A mio padre non ho detto nulla, non lo merita dopo quello
che ha fatto. Avermi mentito in quel modo non ha fatto che ferirmi. Il
mio
migliore amico e morto ed io ero sicuro di conoscerne tutti i dettagli.
Mi
passo una mano nel viso e mi accorgo di essere piuttosto sudato, decido
di
alzarmi e bere qualcosa. Infilo i pantaloni della tuta e rimango a
torso nudo.
“Edward?” Sussurra Bella dalla sua stanza,
praticamente attaccata
al frigo della suite. Mi avvicino alla sua camera e appoggio la schiena
sullo
stipite della porta.
“Ehi” Mormoro. Lei è seduta sul letto,
con i capelli
appiccicati alla fronte.
“Non riesci a dormire neanche tu?” Scuoto la testa
rispondendo alla sua domanda e le sorrido dolcemente. Lei mi guarda
imbarazzata
per poi battere la sua piccola mano sulla parte vuota del letto. Vuole
che mi
sdrai con lei? Mi avvicino lentamente ma a metà strada mi
fermo. E se ho capito
male? Fisso i suoi occhi e lei annuisce impercettibilmente. Mi siedo
sul letto
e lei si protende verso di me abbracciandomi. Appoggia la testa sulla
mia
spalla ed io inspiro l’odore dei suoi capelli. Sanno di
fragola e di Bella. E’
un profumo delizioso. Si allontana di poco, lasciando le sue braccia
attorno al
mio collo, poi piano si abbassa lateralmente in modo che entrambi siamo
coricati nel letto. Nonostante fuori diluvia c’è
caldo, ma le sue lenzuola sono
fresche.
Nasconde il suo viso sul mio collo e annusa il mio profumo,
di questo passo credo che morirò però!
Sorrido silenziosamente e grato per la tranquillità che mi
emana la sua presenza.
“Grazie Edward. Ti voglio bene” Sussurra dandomi un
bacio
sul collo. Accarezzo i suoi capelli e bacio la sua fronte.
“Ti voglio bene anch’io piccola.” Dopo
pochi minuti si
addormenta e lo faccio anch’io. Cullato dal suo profumo e dal
suo respiro,
tranquillo dopo anni.
**
Sento un filo di
aria calda sul mio collo. Il rumore dei
tuoni e della pioggia è finalmente cessato. Cerco di
stiracchiarmi con gli
occhi chiusi ma poi il mio subconscio si risveglia subito. Sono con
Bella, nel
suo letto. Apro gli occhi e mi ritrovo Bella, che con
i suoi occhioni mi
scruta e un sorriso dolce le disegna le
labbra.
“Buongiorno” Sussurra mantenendo il contatto
visivo. Le
sorrido e guardo l’orologio digitale appoggiato sul suo
comodino. Sono le dieci
del mattino.
“Buongiorno a te” Mormoro spiaccicando la faccia
sul
cuscino.
“Scusa…io non, si
cioè…ecco” Cerca di formulare qualcosa
ma
evidentemente non ci riesce. Le sue guance sono imporporate
è in imbarazzo.
“Tranquilla. Almeno sono riuscito a dormire
anch’io” Le dico
cercando di tranquillizzarla.
Si avvicina e mi abbraccia. Il lenzuolo – che fino a cinque
secondi fa nascondeva il suo corpo- si sposta e rivela Bella in canotta
e slip.
Chiudo gli occhi per cercare di evitare la sensazione, ma la visione
della base
delle suo cosce nude mi perseguita. Sento la sua mano farsi strada tra
i miei
capelli, solleva la mia nuca e bacia il mio collo…poi lo
lecca.
Un gemito esce dalle mie labbra e mi sento un coglione.
Mi ritrovo seduto sul letto e decido di aprire gli occhi, ma
subito me ne pento. Bella si alza facendomi vedere benissimo le sue
gambe
scoperte, si siede sulle mie gambe avvolgendomi la vita con le sue. La
mia mano
istintivamente si muove sulla sua coscia nuda. E’ morbida.
E’ calda. E’
perfetta. Avvicino il suo viso al mio con l’altra mano e
finalmente riesco a
placare il mio bisogno delle sue labbra sulle mie. Non mi importava del
mondo
che ci circondava in quei momenti, non mi importava di nulla, importava
solo
lei e tutto ciò che riusciva a trasmettermi anche solo
sfiorandomi.
La mia lingua giocava con la sua, le sue mani vagavano tra i
miei capelli e il mio sterno, le mie non riusciva a lasciare le sue
gambe
scoperte. La mia mano sale incontrando il tessuto degli slip, lo
sorpassa per
poi alzare lentamente quello della canotta. I suoi fianchi sono caldi e
vorrei
morderli, stringo quel pezzetto di carne soffice tra le dita e sospiro
sulla
sua bocca. Ho bisogno di lei come se non ci fosse un domani. Vorrei
immergermi
dentro il suo corpo e rimanere lì per sempre. Non solo per
il contatto fisico,
ma perché con una sua carezza mi sento amato, intero e
follemente bene.
Intreccia i miei capelli tra le sue dite e poi stacca le sue labbra
dalle mie.
Mi guarda negli occhi e mi sorride maliziosamente. Scosta le mie mani,
una la
dirige verso la sua gamba destra, l’altra la prende tra le
sue. Insieme alla
sua piccola mano -
depositata sopra la
mia- mi dirige verso uno dei suoi seni. La guardo negli occhi cogliendo
l’eccitazione, la stessa che ci sarà nei miei. Non
c’è vergogna, sembra che ci conoscessimo
sessualmente da una vita e questo mi piace.
Il suo seno non è troppo grande né troppo
piccolo, è sodo e
il suo bottoncino rosa è turgidamente duro. Accarezzo quella
parte deliziosa
del suo corpo con il pollice, poi dopo aver aggiunto l’indice
a quella debole
tortura lo stringo tra le dita. Un gemito strozzato esce dalle sue
labbra. Mi
gira la testa tanta è la potenza della mia attrazione nei
suoi confronti. Forse
è così forte, così travolgente per il
semplice fatto che non è solo una
questione fisica,. Io mi sto innamorando e ne sono felicemente
consapevole. Non
è ancora amore il nostro ma si avvicina molto.
Stacco le mie mani dal suo corpo e con un movimento fulmineo
le sfilo la canotta. Non ho intenzione di andare oltre ma la voglia
è tanta. I
suoi occhi luccicano e non c’è più quel
dolore che avevo individuato mesi fa,
quando ci siamo conosciuti. O forse c’è solo che
al momento è schiacciato dalla
voglia, dalla passione e di quel filo invisibile che piano piano
cresce; L’amore.
E come pochi attimi fa riesco a sentirla nella mia anima e non importa
se la
nostra vita fa schifo, non importa se il dolore molte volte schiaccia
il nostro
essere, importa di noi; Seduti in questo letto, con gli occhi incollati
così
come i nostri corpi, che ci conosciamo cercando di interpretare
l’innamorando.
La mia lingua raggiunge velocemente il territorio appena
conosciuto e lo vezzeggia dolcemente. Le sue mani sono incollate ai
miei
capelli, il suo respiro si fa irregolare, il mio corpo freme
d’eccitazione. Il
colore della nostra anima al momento è passato da un grigio
scuro senza traccia
di alcuna sfumatura ad un azzurro chiaro. Sono sicuro che piano le
nostre anime
non saranno più irrimediabilmente grigie, piano piano
assumeranno delle
sfumature dove il grigio ci sarà sempre ma non
sarà quello che predomina l’anima.
Siamo
distesi nel letto abbracciati. Le gambe di Bella sono
attorcigliate alle mie, sul mio viso c’è un
sorriso che non ne vuole sapere di
lasciarmi.
"Sei bellissima” Sussurro osservando il suo corpo coperto
solo dagli slip.
“Tu. Sei bellissimo” Sibila prima do mordicchiarmi
il lobo
dell’orecchio. Scoppio a ridere e lecco le sue labbra al
sapore di menta.
Accarezzo il suo fianco e lei sospira.
“ Vorrei che questo attimo di pace non finisse mai”
Sussurra
tristemente.
“Non dobbiamo farlo finire per forza” Affermo sui
suoi
capelli.
Guardo l’orologio che segna mezzogiorno. Decido di alzarmi e
chiamare la Hall per farci portare il pranzo.
Dopo pochi minuti Bella mi raggiunge nel salottino con un
vestitino smanicato. Si avvicina e mi abbraccia.
“Che cosa siamo noi Edward?” Mi chiede senza
guardarmi negli
occhi.
“Siamo noi. Siamo Bella e Edward. Non so cosa vuoi che ti
risponda, posso solo dirti che ormai sei dentro di me. Che ti sento
fondamentale per la mia vita. Che se anche non ci conosciamo da molto
io sento
di conoscerti da una vita, che non ti amo, ma non sono molto lontano
e-” Mi
interrompe mettendomi l’indice sulle labbra e mi sorride
finalmente guardandomi
negli occhi.
“Mi sento completa, quando sono con te tutto il resto del
mondo non importa. Che i problemi, le preoccupazioni e i dolori sono
esclusi
dai noi stessi come se uscissero per pochi minuti. E non importa se poi
tornano
perché insieme si sta bene e si riesce ad affrontare
tutto” Continua lei per
me. Ed è come se adesso ci fossimo letti l’anima a
vicenda. Ed è qualcosa di
estremamente dolce e meraviglioso.
Dopo
pranzo il cellulare di Bella squilla.
"Pronto. Alice?...Ehm…credo di no perché?...Non
so se, oh.
Okay! Tra un ora” Sospira e chiude la chiamata. Mia sorella!
“Cosa voleva?” Le chiedo.
“Mi ha chiesto se possiamo vederci tra un’ora. Io
ho
accettato, è molto difficile dirle di no” Sbotta
esasperata. Annuisco deluso ma
non lo lascio a vedere. Pensavo che oggi pomeriggio saremo stati
insieme,
invece no.
“Oh, forse tu hai bisogno di me e io…”
“No, no Bella! Tranquilla esci con Alice, svagati…
Dopo
questa settimana stressante è giusto che tu vada a fare un
giro”
“Io avrei comunque preferito rimanere con te” Dice
mettendo
il broncio, io le sorrido dolcemente e accarezzo il suo viso
così soffice e
delicato.
“Perché non vieni con noi?” Mi chiede.
Scuoto la testa e
scoppio a ridere.
“No! Non passerò il mio pomeriggio tra le
lamentele di mia
sorella.” Lei mi sorride mordendosi il labbro in un modo che
dovrebbe essere
dichiarato illegale. Avvicina le sue labbra alle mie e mi lascia un
bacio
casto.
“Vado a farmi la doccia” Annuncia e decido di
accendere il
mio portatile.
Bella’s
Pov.
“Perché
siamo qui?” Chiedo ad Alice irritata davanti ad un
negozio di borse. E’ un’ora che camminiamo, i miei
piedi saranno sicuramente
invasi di vesciche e se ci penso un momento di più scoppio a
piangere. Potevo
rimanermene a casa con Edward, sicuramente mi sarei divertita di
più, soprattutto
se penso a quello che è successo stamane. Arrossisco al
pensiero e l’immagine
di Edward intento a baciare i miei seni mi passa davanti agli occhi.
“Bella su! Non ti chiedo mai niente, se non un pomeriggio con
la ragazza di mio fratello” Arrossisco a quella affermazione
e lei mi sorride.
Poi la sua espressione si fa seria e impertinente.
“Devi dirmi qualcosa Bella?” Mi chiede tranquilla.
Io scuoto
la testa. Annuisce tra sé.
“Bella? Devi dirmi qualcosa?” Ripete, adesso la sua
voce si
è alzata di qualche ottava.
“Bella!”
“No Alice! NO! E…comunque non credo che tu lo
voglia
comunque sapere” Sorrido.
“Oddio! Tu e…Edward..Avete..aw, cioè io
credo che sia-”
“Frena Alice! Non è successo nulla, o almeno non
ciò che
credi tu” Arrossisco di botto e lei mi sorride. Non voglio
parlarle di questa
cosa, oltre al fatto che non ci riuscirei per l’imbarazzo
voglio tenermi tutto
per me. E’ stato speciale stamattina e questa cosa non mi
piacerebbe
condividerla.
Sorridendomi annuisce e mi trascina dentro il negozio con
uno sbuffo di protesta da parte mia.
Usciamo dal negozio soddisfatte dei nostri acquisti. Alice
ha preso una borsetta rossa con una catenina attorno, io una nera
decorata da
una collana con un pon-pon attaccata nera e molto grande.
Il pomeriggio passa piacevolmente tranquillo e quando guardo
l’orologio mi accorgo che il tempo è volato, sono
le sei del pomeriggio.
“Che fate stasera?” Mi chiede Alice di punto in
bianco.
“Mmh, non lo so, credo che guarderemo la tv o-“
“Vecchi noiosi!” Esclama sorridendo, io le sorrido
e faccio
spallucce.
“Io e Jasper stasera abbiamo in mente di uscire,
perché non
vi unite a noi?” Già perché no?
Annuisco e afferro il mio cellulare.
Al terzo squillo Edward risponde.
“Piccola? Tutto bene?” In questo momento mi sento
un’anime
con gli occhi a cuoricino.
“Si. Alice mi ha chiesto se stasera potremmo unirci a lei e
Jasper. Io volevo sapere se tu-“
“Tu vorresti?” Mi interrompe.
“Si. Però se non ti va è okay, a me
basta essere con te lo
sai” Sorride dall’altro lato del telefono e sorrido
anch’io al suono che
produce la sua voce con una semplice risata.
“Dì ad Alice che ci saremo” Dopo averlo
salutato chiudo la
chiamata e lo dico ad Alice.
“E’ fantastico! Dobbiamo prendere qualcosa per
stasera per
te adesso!” Annuncia entusiasta, io le sorrido preparandomi
emotivamente ad un
altro giro di shopping con Alice.
**
“Edward?
Sono torn-” Vengo interrotta dalle sua labbra che
precipitosamente si fiondano sulle mie.
“Finalmente” Sussurra abbracciandomi e annusando i
miei
capelli.
Io lo abbraccio godendomi a pieno il momento.
“ A che ora ci incontriamo con Alice e Casper o come diavolo
si chiama” Mormora esasperato. Io lo guardo con aria
interrogativa e divertita,
sarà mica geloso?
“Alle otto qui sotto. Edward si chiama Jasper”
“Si quello che è” Sbotta infastidito. Io
scoppio a ridere e
lui mi guarda scocciato.
“Non sarai mica geloso?” Lui scuote la testa e
deglutisce.
Io rido di nuovo, è tenero questo Edward geloso. Mi avvicino
a lui e circondo
il suo collo con le braccia.
“E di cosa, esattamente, saresti geloso?” Chiedo
con
malizia.
“Non è questo il punto. Lui non mi piace per mia
sorella,
lui è-”
“Dolce, gentile, e Alice lo ama, solamente questo ha
importanza.” Sussurro ad un centimetro delle sue labbra, lui
annuisce e
sospira.
“Alice è sempre stata la più piccola.
Siamo sempre stati
molto possessivi con lei, io, mio padre e mio fratello. E immaginare
che lui
possa-”
“Cosa?” Sussurro ad un centimetro dal suo orecchio
interrompendolo. “Fare questo?” Continuo
afferrandogli la mano e portandola sul
mio sedere, che lui palpa immediatamente.
“Oppure questo?” Lascio la sua mano e prendo
l’altra
portandola sul mio seno, lui reagisce allo stesso modo di qualche
attimo fa. “Mh?”
Guardo i suoi occhi consapevole di star giocando con il fuoco. La sua
mano che
avevo appena avvicinato al mio seno raggiunge la natica libera e
facendosi
forza sulle braccia mi alza.
“Mi farai impazzire” Sussurra prima di baciarmi
appassionatamente.
Infilo
il vestito nuovo e giro su me stessa. Sorrido allo
specchio, mi piace questo vestito.
E’ grigio chiaro, il tessuto di seta scende dolcemente sul
mio corpo, mi fa da seconda pella. Nella vita c’è
una piccola cintura nera dove
l’attaccatura è un fiocco. Lo scollo è
a V ma il mio petto non è troppo
visibile. Le scarpe sono dei sandali con il tacco non troppo
vertiginoso, sono
nere lucide. Afferro una collanina, la catenina è fina e il
ciondolo è un fiore
grigio con una perlina nera al centro. Questa l’avevo
comprata al mercato con
mia mamma. Sospiro, mi manca terribilmente. Ma al pensiero che, se va
tutto
bene, tra due settimane torneremo a casa mi tiro un po’ su.
Spazzolo i miei
capelli appena asciugati e li raccolgo in una coda alta. Sono pronta.
Esco dal
bagno e trovo Edward intento ad allacciarsi il bottone della camicia
sul polso.
Mi avvicino e lo aiuto.
“Sei..wow!” Esclama accarezzandomi il fianco.
Sorrido e gli lascio un piccolo bacio sull’angolo delle
labbra. Prendo la borsa – anche essa comprata oggi- e usciamo.
Incontriamo Alice e Jasper nella Hall dell’albergo. Ci
salutiamo e ci
avviamo verso il
ristorante. Dopo cena decidiamo di andare a bere qualcosa. Edward
sembra
diffidente nei confronti di Jasper ma a mano a mano che passa la serata
cerca
di ammorbidirsi nei suoi confronti. Io credo che Jasper sia il ragazzo
adatto ad
Alice, un po’ di gelosia è certamente normale, ma
sono felice per loro. Il loro
amore si avverte nell’aria e negli sguardi che si scambiano.
Credo che la mia vita in questi ultimi mesi abbia preso una
piega diversa. Dal giorno che ho conosciuto Edward ho iniziato a
pensare che
forse amche per me ci sono delle probabilità per essere
felice.
Che non è mai troppo tardi per riemergere da quel sentiero
oscuro dove io ero entrata a causa del dolore. Che il dolore ci
sarà sempre
perché è ormai parte di me. Ma stasera, mentre
sorrido al ragazzo che dopo anni
mi ha fatto trovare una piccola speranza, sono sicura che io posso
essere
felice, che ci sono delle buone possibilità.
Perché noi ci stiamo salvando a
vicenda, l’uno aiuta l’altro anche senza che ce ne
accorgiamo realmente. Lo stesso
fatto di essere insieme è aiutarsi. Che non ci importa del
resto, se non di
cercare la felicità nell’altro.
**
Salve!
Forse vi aspettavate il capitolo prima, forse
credevate che fosse lungo. Ma il mio ‘cercare disperatamente
lavoro ’ mi sta
rubando un sacco di tempo D: .
Coooomunque, come sempre spero che vi sia piaciuto, la mia
connessione ha dei problemi al momento ma dalla prossima settimana
dovrebbe
essere okay. Non so se ci sono errori, ma sicuramente ci saranno,
scusate
comunque, non ho tempo, davvero!
Anyway. SCAPPO! Lasciatemi una piccola recensione :3 Mi fate
felice.
Ps: Capitolo dedicato a Francy_92 che non vedeva l’ora che
dormissero assieme. Ahahahaha
A presto gente!
Roby X.
|
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Capitolo 10 *** What I Want ***
Love save the pain
What I Want
Bella’s Pov
“Bella!” Il mio subconscio non voleva saperne di rispondere. O forse era solamente un sogno.
“Bella Alzati!” Pff! Un rumore di qualcosa di pesante, ma allo stesso tempo soffice mi risveglia totalmente. La mia pelle si ricopre di brividi, per quel fresco improvviso. Apro un occhio e vedo Alice con le braccia conserte che mi fissa.
“Finalmente! La prossima volta porto l’impianto stereo!” Esclama sbuffando.
“ ‘Giorno anche a te Alice”Urlo istericamente con una smorfia, sono incazzata. Guardo Alice sperando che il mio sguardo sia più omicida possibile. Mi siedo sul letto e guardo la radio-sveglia situata nel comodino.
“Alice! Sono le sette! Per quale assurdo motivo mi hai svegliata?” Urlo esasperata. La sua espressione cambia, adesso è dispiaciuta. Forse sono stata troppo dura, ma purtroppo ho questo difetto, quando mi svegliano divento una iena. Già mia madre aveva avvisato Edward per telefono. ‘ Edward quando devi svegliarla non devi: Aprire le tapparelle, fare alcun rumore –quindi entrare in camera a piedi nudi-, non urlare ‘sveglia’. Devi accarezzargli i capelli e non fiatare e se le porti un caffè è meglio ancora’. Purtroppo Edward non aveva detto niente alla sorella.
“Bella, ho bisogno di te. Scusa è solo che-”
“Scusami Alice, è solo che ho questo brutto difetto. Spero davvero che però sia qualcosa di estremamente importante” La interrompo addolcendo –almeno provandoci- il tono della voce.
“Bella, ecco stasera mi ha invitata Jasper a casa sua” Mormora imbarazzata, non credo di averla mai vista così insicura. Non che la conoscessi benissimo, ma quel poco che avevo visto era l’inverso di lei in questo preciso istante.
“E..” La incitai a continuare.
“Ho bisogno di un consiglio…Le mie amiche si sono offerte, ma ho preferito venire da te” L’ultima parola la sussurra pianissimo, infatti sono sorpresa di aver capito. I suoi occhi azzurri incontrano i miei. Avete presente gli occhi di un bambino che ti chiede qualcosa? Avete presente quando certi sguardi ti sciolgono?
Avete presente quando vi chiedono qualcosa e vi pregano con gli occhi?
Bè lo sguardo di Alice era triplicato a quello. Sono lusingata che abbia pensato a me. Mi alzo, pensando che qualche santo oggi ha voluto darle la benedizione e vado ad abbracciarla.
“Allora verrai?” Mi chiese speranzosa. Annuisco e le schiocco un bacio sulla guancia.
Dopo mezz’ora sono già vestita e decido di prepararmi un caffè. Sono contenta che abbiamo tutte queste comodità, molte volte dimentico di essere in albergo. Mi sento a casa. A casa con un coinquilino appena conosciuto. Perché l’Edward che avevo conosciuto come segretaria era per metà di quello che è adesso. Era ugualmente dolce, ma era più chiuso, autoritario – non che mi avesse mai maltrattata o qualcosa simile- a dire il vero ero un po’ intimorita da quell’Avvocato. Adesso mi sento come se lo avessi appena conosciuto. Devo ammettere che però l’Edward avvocato mi attizza, e non poco. Mi lecco le labbra istintivamente, e , solo dopo il fischiettare della caffettiera mi accorgo che Alice mi fissa. Abbasso lo sguardo e mi giro per mettere lo zucchero. Oddio.
Verso il caffè in due tazze, una la porgo ad Alice che mi ringrazia e avvicino la mia alle labbra. Adoro l’odore del caffè di prima mattina. Lo annuso e quando capisco che è abbastanza tiepido da poterlo bere inizio a sorseggiarlo.
“Andiamo?” Chiedo ad Alice, che mi sorride e annuisce. Prendo la mia borsa e guardo la porta chiusa di Edward. Forse dovrei avvisarlo, forse potrei chiamarlo tra qualche ora, in modo da non disturbarlo o forse gli farebbe piacere se…
Faccio cenno da aspettare ad Alice. Afferro un bigliettino bianco dalla mia borsa e con la biro gli comunico che sto uscendo. Apro piano la porta ed entro. Oh.
Dorme in mutande! Oh cazzo…non immaginavo che, Oddio. Mi passo nervosamente una mano tra i capelli e sospiro.
Calmati! tanto dorme. Mi avvisa la mia vocina interiore. Annuisco a me stessa e, solamente dopo che le mie guance si siano avvicinate al colore porpora, appoggio il foglio sulla parte del letto vuoto. Velocemente mi dirigo alla porta, mi giro un attimo e…il suo coso, è davvero visibile attraverso i boxer. Lo guardo per pochi secondi dormire e mi rendo conto che non ci sia creatura più bella che i miei occhi abbiano mai visto.
Raggiungo Alice e insieme entriamo nell’ascensore.
Dire che fare shopping con Alice è stressante è un eufemismo bello e buono. Sono tre ore, TRE ORE, che camminiamo, entriamo in un negozio, stiamo per più di venti minuti senza ottenere niente per poi uscire nel centro caotico di Seattle. Sbuffo silenziosamente, non voglio che pensi che non mi stia divertendo, come invece sta facendo lei. E’ solo che sto impazzendo, poi proprio oggi è uscito fuori il sole, sto morendo di caldo.
“Vieni Bella!” Esclama entusiasta. Sorrido – o almeno cerco di farlo- e mi avvicino al negozio dove è appena entrata. Come negli ultimi negozi in cui siamo entrate, i vestiti sono tutti molto raffinati…Ce ne sono di tutti i tipi, sono davvero molto belli…Non oso immaginare il prezzo. Alice si avvicina ad un vestito blu scuro e io la seguo.
“Oh Bella, guarda che bello” effettivamente l’abito è bellissimo. E’ blu scuro, lungo fino al ginocchio, in vita ha un piccola cintura patinata di brillantini e si attacca al collo.
“Alice, è davvero bellissimo. Provalo” Affermo. Si dirige in camerino ed io la aspetto.
E’ la prima volta che vengo in centro a Seattle. Tecnicamente sono già venuta, ma in auto. Seattle è bellissima, somiglia a Los Angeles anzi è una piccola Los Angeles piovosa.
Mi manca casa mia…Mi manca tutto ciò che ho lasciato. Ma ho promesso ad Edward che per lui sarei rimasta. Perché per quanto possa essere potente il mio dolore, il suo lo è altrettanto…E se io avrei bisogno di qualcuno come Edward, vorrei che quel qualcuno pronto a sostenermi ci fosse. Sono in parte felice di essere rimasta. Dal giorno che avevo accettato di fare parte all’incarico di Edward, sapevo che ne avrei sofferto, sapevo che non sarebbe stato facile. Mi sono detta quindi che la vita va vissuta e combattuta, che non posso arrendermi al primo ostacolo, che se il dolore ha un inizio può avere anche una fine, che quella fine sia lontana ne sono consapevole, ma se io non faccio nulla per accorciare i tempi, quella fine non verrà mai.
Guardo fuori dalla vetrina con una lacrima che solca il mio viso. Piango per l’odio che ho verso la prepotenza con cui il dolore è entrato in me, frantumandomi in tanti piccoli pezzetti.
Una bimba saltella felice, la sua mano è legata a quella di un uomo – evidentemente il padre- che sorride, il suo sguardo innamorato è incantato verso quella piccola, sua figlia. Li guardo, guardo la bimba con invidia. Perché io un padre c’è l’ho avuto per pochi anni, perché io mio padre neanche so che carattere abbia, perché io di mio padre non riconosco la voce, perché io di mio padre avrei solo voluto che mi portasse la piccola cassatina ogni domenica.
Era domenica, una domenica come quella di ogni volta. La famiglia Swan era interamente riunita. La domenica, Nonno Swan voleva tutti i figli e i nipoti a casa sua per il pranzo domenicale. Charlie portava sempre il dolce.
Dopo il pranzo, Charlie si recava in cucina, poggiava il vassoio con i pasticcini sul tavolo e quando lo scartava, nel centro, in mezzo a tutti i pasticcini c’è n’era uno in particolare. Era un dolce Italiano ‘ la cassatina Siciliana’ il dolce preferito della sua piccola Bells. Prendeva quella prelibatezza tra le mani, guardava sua figlia negli occhi ed esclamava ‘La cassatina per la piccolina mia’.
Da quel giorno non mangio più quel dolce. Mi sono promessa che la prossima volta che lo farò sarà perché me l’ha portato lui.
**
“Alice è davvero fantastico, sarai stupenda” Le dico addentando il mio panino. Ci siamo fermate per il pranzo.
“Grazie Bella, di tutto. Mi è piaciuto fare shopping con te. Comunque non abbiamo ancora finito” Ammette guardandomi felice. Sgrano per un attimo gli occhi.
“Le scarpe ci sono, l’abito, e gli accessori idem”
“Bella. Punto primo; tu non hai acquistato nulla. Punto secondo; devo comprare l’intimo. Punto terzo; Dobbiamo ancora parlare”.
Sbuffo e bevo la mia coca-cola. Accendo una sigaretta e chiudo gli occhi buttando indietro la testa.
“Bella tu non hai bisogno dell’intimo?” Mi chiede tranquillamente di punto in bianco.
“No..Cioè, io non uso qualcosa di unico. Un semplice reggiseno e un paio di slip e sono apposto” Affermo senza vergogna, lei invece mi fulmina con gli occhi. Mi afferra per il braccio ed inizia a camminare urlando.
“Non è assolutamente concepibile Bella!”
“Perché Alice? In fondo lo vedo solo io, mi sembra-” Annuncio tranquillamente…Non avevo preso in considerazione l’avversione per la moda che aveva Alice.
“Si Bella, ma adesso stai con mio fratello e…”
“Ma che dici? Tu sei pazza, Alice ma che…hai frainteso tutto e-” La interrompo di colpo, il tutto sempre camminando.
“Bella okay! Non è ancora il tuo ragazzo, ma prima o poi ci farai sesso. Insomma vivete insieme, eh lo so mio fratello è davvero bello. Mi chiedo come mai tu ci abbia perso tempo” La fermo di colpo e lei si blocca. Mi guarda con aria mortificata, forse crede che io mi sia offesa, ma non è così.
“Alice io sono vergine” Ammetto tutto d’un fiato. Lei sgrana gli occhi, ma dopo pochi secondi mi sorride.
“Scusami Bella io davo per scontato che…oh insomma lascia perdere, sono una stupida!”
“No Alice. Lo so ho ventidue anni, è strano che io lo sia, lo so. Ma guardami” Indico me stessa. “E’ palese” Ammetto sconfitta. Sul mio aspetto sono sempre stata insicura. Al liceo c’erano tanti ragazzi che mi davano attenzioni…Forse sono io che ai tempi somigliavo a qualcosa di vicino ad una monaca di clausura. Il problema è che non mi sono mai spinta oltre ad un semplice bacio perché non ne ho mai sentito il bisogno. Ma con Edward ogni minima carezza mi fa desiderare sempre di più.
“Bella. Mi è sembrato strano perché tu sei una ragazza bellissima” Mi guarda negli occhi e mi sorride.
“Sei bella dentro e fuori. Non ho mai conosciuto una persona così genuina come te. E cavolo, mio fratello ti guarda come se fossi una fragola. Sei affascinante e il fatto che tu non te ne renda conto aumenta il tuo fascino. Prova a guardarti con degli occhi diversi. Come se non fossi tu e vedrai che inizierai a piacerti” Mi dice sinceramente.
“Gra…Grazie Alice” Mi sorride.
“Senti posso farti una domanda?” Le chiedo, lei annuisce e mi guarda con curiosità.
“Quante donne ha avuto Edward?” Chiedo non convinta di voler sapere davvero la risposta.
“Non lo so…Io ho conosciuto solo una ragazza. Tanya. Le mie amiche mi hanno detto che però è stato con tante ragazze ma non so dirti se siano state importanti o meno”
“Ma com’era questa Tanya” Chiedo interessata.
“Oh è un’oca. Urla anziché parlare, è molto fine, o almeno prova ad esserlo. Dicono che si sia rifatta il naso” Una smorfia di orrore si dipinge sul viso di Alice, credo che la mia sia identica. Provo ad immaginarmi Edward con una persona meticolosa e strillante. Scoppio a ridere sperando che quel tipo di ragazza non sia la ragazza ideale di Edward.
“Basta parlare del passato. Andiamo dai!” Esclama entusiasta e prendendomi per il braccio inizia a correre come pochi minuti fa.
Entriamo da Victoria Secret e iniziamo a dare un’occhiata.
Non c’è nulla di effettivamente succinto. Ci sono dei baby-doll abbastanza sensuali ma non troppo spinti. La maggior parte dei capi d’intimo sono fatti di Seta, sono morbidi e davvero carini. Il mio occhio cade su completino bianco, le coppe del reggiseno sono rivestite di Satin lucido, i bordi sono in pizzo raffinato, lo slip che in realtà è un perizoma, è morbido come il reggiseno, la parte d’avanti è in pizzo trasparente, ma non troppo, ha l’effetto del vedo non vedo, la parte dietro è tutta in pizzo con dei fiori stampati. Lo fisso e mi chiedo se prenderlo o meno, in fondo posso anche indossarlo senza secondi fini. Alice si avvicina e con gli occhi segue il mio sguardo.
“Ehi è carino quello” Mormora indicando il completino che avevo adocchiato. Decido di prenderlo e lo infilo nel cestino – che abbiamo preso all’entrata per mettere tutti gli acquisti- Alice intanto mi mostra quello che ha preso per lei. E’ nero, è un baby-doll. I bordi del seno e del perizoma sono rossi son dei fiocchetti. Il pizzo che dovrebbe ricoprire il ventre è trasparente. E’ carino davvero, ma non credo sarebbe adatto per me.
Dopo aver pagato, Alice decide che è arrivato il momento di tornare a casa. Sorrido, alla fine mi sono anche divertita, ma mi è assurdamente mancato il fratello. Mi è mancato quello che realmente voglio e desidero.
Edward’s Pov.
Impilo i fogli e con una graffetta li fermo. Sospiro, per domani ho tutto pronto. Non vedo l’ora di andare a quella riunione domani. La aspetto da cinque anni ormai. Spero solo che non sia inutile.
Sono le quattro del pomeriggio, fisso il bigliettino che stamattina ho trovato sul mio letto e sorrido.
Buongiorno! Alice alla sette di stamattina mi ha buttato giù dal letto. E’ sabato quindi non credo che tu abbia bisogno di me. Ad ogni modo spero di tornare presto.
Un bacio. B.
Afferro una sigaretta dal pacchetto e mi dirigo verso il balconcino. Guardo dall’alto la gente che corre, le macchine che sfrecciano con velocità. Si sentono le urla dei bambini, la gente che mormora tra di loro, le macchine. Poi vedo una chioma familiare assieme ad un’altra altrettanto familiare. Sono Bella ed Alice. Si abbracciano e si salutano. Bella entra in Albergo e quindi sparisce dalla mia visuale, Alice invece rimane a guardare il punto da cui è sparita, dopo pochi secondi va via.
“Edward” Mi chiama Bella una volta entrata. Ha una busta in mano che appoggia sul divano insieme alla borsa.
“Ciao” Mormoro fissandola. Indossa un paio di jeans che le fasciano le gambe perfettamente, una canotta abbastanza larga che lascia intravedere il suo seno tonico e prosperoso. I capelli le ricadono sulle spalle in modo impeccabile. Mi avvicino a lei, che si butta immediatamente sulle mie labbra.
Per l’urgenza cadiamo sulla piccola panca situata al centro del balcone. Sorridiamo per la foga, e forse anche per quel senso di completezza che ci avvolge quando siamo insieme.
Quando si stacca dalle mie labbra mi guarda negli occhi. La sua è una domanda muta, e per come mi ha domandato io le rispondo. ‘ Mi sei mancata anche tu’. Bella è sopra di me, siamo sdraiati sulla panca. Le accarezzo dolcemente il braccio e un brivido intenso si espande in tutto il mio corpo. Si tratta di una cosa intensa, forte, come se la stessi toccando con l’anima, come se lei indissolubilmente mi avesse catturato dentro di lei. Mi sento di fare parte della sua anima e sento che la mia anima non è più sola.
Poche volte mi sono chiesto cosa penso dell’amore. In un libro o in film che si rispetti, il protagonista lo cita spesso. So che molte volte si soffre, si gioisce, si è felici, si è tristi, che è irrazionale, ma che non c’è niente di più razionale nella maggior parte dei casi. Ho sempre pensato che l’amore fosse un controsenso, che fosse qualcosa che nessuno ha mai provato davvero, che la gente dice di amare quando vuole bene una persona più di un’altra. Ma sono sempre stato uno stupido, perché solo adesso mi rendo conto che se credi nel male credi nel bene, e quindi se esiste il dolore deve esistere anche l’amore.
Ma non potente come quello per un oggetto, un’animale o un familiare. No, è potente, è forte come il dolore. E se il dolore si è impossessato di me, deve esserci una cura, e se la cura consiste nell’amore?
“Allora cosa avete comprato oggi?” Chiedo a Bella, che si sta dipingendo le unghia – così corte che mi chiedo se quello smalto lo spalmi davvero su di esse- dopo mezz’ora che è arrivata.
“Alice ha comprato un vestito, scarpe e accessori” Dice con nonchalance.
“No aspetta siete mancate per otto ore solo per questo?” Dico scoppiando a ridere.
“Già…Quattro ore, senza esagerare, passate da Victoria secret” A quel nome deglutisco silenziosamente.
“Tu...hai fatto acquisti?” Chiedo sperando di non sembrare troppo imbarazzato.
“Si” Sussurra guardandomi negli occhi.
“E non mi fai vedere?” Continuo con tono seducente. Lei sorride e scuote la testa. Mi alzo dal divano e mi avvicino a lei. Mi posiziono dietro la sedia dove è seduta e appoggio le mani sul bordo del tavolo. Mi avvicino al suo orecchio e le chiedo il perché. Lei sorride e si alza, scostando automaticamente le mie braccia, che la circondavano senza toccarla.
Prende una busta ed estrae un completo intimo bianco. Un colore che non credo le si addice davvero. Sgrano gli occhi, è semplice ma allo stesso tempo sensuale, non oso immaginare lei con solo quello addosso, potrei avere una perenne erezione. L’eccitazione aumenta quando mi accorgo che lo slip è un perizoma striminzito.
Sorride e lo ripone nella busta dirigendosi nella sua camera. Torno a sedermi sul divano maledicendo il giorno in cui ho deciso di prendere questa stanza con due letti.
Sono sempre stato circondato da ragazze belle, ma mai, mai nessuna ha suscitato in me certe emozioni. Sospiro e mi sento eccitato al solo pensiero di Bella con quel coso striminzito addosso.
“Edward tu cosa provi per me?” Mi domanda improvvisamente Bella.
“Non lo so” Mormoro guardandola. Lei abbassa lo sguardo, forse delusa.
“Non lo so perché è una cosa che non conosco, non lo so perché qualsiasi ragazza io abbia conosciuto non mi ha mai fatto lontanamente sentire come mi fai sentire tu. Non lo so perché è qualcosa di forte, così forte che può farmi paura. Ma non ho mai voluto avere paura come in questo momento. Non so se è amore, ma è qualcosa di bello. Io ho bisogno di te per stare bene” Sussurro. I suoi occhi diventano lucidi e poi finalmente apre la bocca.
“Meno male. Perché è quello che sento anch’io” Mi dice imbarazzata con le guance rosee. Si avvicina a me e nasconde il suo viso sull’incavo del mio collo. Sospiro e mi sento intero, non mi sento più quel vaso rotto in piccoli pezzi, mi sento come se dentro di me ci fossero dei lavori in corso.
**
“Sei nervoso?” Mi chiede Bella mentre siamo sull’ascensore. Oggi è il grande giorno, forse sto fantasticando troppo, in fondo dobbiamo solo decidere cosa fare con il giudice, decidere se è davvero coperto come sembra, il bastardo.
Annuisco e lei mi sorride dolcemente sfiorandomi la guancia. Mi avvicino a lei e la bacio, lei si stringe a me e mi tranquillizzo almeno un pochino.
Entriamo nell’atrio dello studio e ci sono gli altri avvocati già dentro. La porta è aperta, dovremmo essere in tutti dieci legali.
“Buongiorno” Mormoriamo io e Bella all’unisono.
“Edward Cullen e la mia segretaria Isabella Swan” Mi presento, facendo lo stesso con Bella e gli altri fanno lo stesso. Tutti con la loro segretaria. Ci accomodiamo e dopo pochi minuti Price arriva scusandosi per il ritardo. Guardo Bella che è visibilmente in soggezione senza capirne il motivo.
“Bene. Cominciamo. Avvocato Cullen, inizi pure mostrando la sua documentazione ai colleghi”. Bella accarezza la mia schiena velocemente ed io annuisco interiormente.
Apro la mia valigetta, tiro fuori il fascicolo di George e lo appoggio alla scrivania e mi alzo.
“Venerdì undici Gennaio 2003. Il volo che da Seattle, sarebbe dovuto arrivare a Los Angeles, quel giorno alle nove del mattino crolla. Cinquantasei sono i feriti, uno morto. George Nicolas Crise. La causa è stata guida sotto effetto di sostanze stupefacenti. Il pilota John Audost ha ucciso una persona e dopo pochi anni è uscito su pagamento di cauzione. Sono cinque anni che la famiglia del ragazzo rimasto vittima aspetta giustizia. Le persone ferite sono state risarcite. Per la famiglia del ragazzo due anni di galera non sono abbastanza, come non lo sarebbero per chiunque. Ho parlato con molti avvocati di questa situazione. Si dice che questo elemento non è la prima volta che commette reati gravi. Anche se sembra impossibile, si crede che sia coperto bene. Ora io mi chiedo, in che mondo corrotto viviamo? E’ possibile che innumerevoli persone debbano soffrire per la testa di cazzo che si ritrova questo soggetto? Chiedo giustizia per George, per i feriti e per tutte le altre persone che al giorno d’oggi aspettano che il proprio caso sia preso in considerazione. Che non è possibile che dopo pochi anni un caso grave venga archiviato” Sputo tra i denti il discorso più lungo che io abbia mai fatto fino ad oggi a queste persone che mi guardano interessati. Ogni tanto mentre parlavo qualcuno annuiva qualcun altro sgranava gli occhi. Bella sprizzava qualche lacrima sulla sua guancia. Mi ha fatto male parlare di quelle cose, sento ancora la rabbia montarmi dentro. Ma era necessario farlo, spero solo che non sia un altro tentativo inutile, spero solo che tutto ciò porti a quello che voglio: Giustizia, fino alla morte. Chiederò giustizia fino alla fine dei miei giorni se sarà necessario.
Dopo di me tutti mi imitano, poggiano il proprio fascicolo sulla scrivania e iniziano a parlare.
Ci sono accuse di violenza, accuse di guida in stato di ebrezza, accuse di calunnia e infine accuse di falsa testimonianza. Dopo due ore buone la riunione è giunta al termine.
Price ci mostra una foto. C’è un uomo con i capelli neri, i tratti del viso sono invecchiati, e lo sguardo non promette nulla di buono.
“Questo è Aro Volturi. Uno dei giudici più famosi di Seattle. La maggior parte di noi crede che lui sia la spalla destra di Audost. Sarà difficile, lo ammetto. Ma siamo in tanti. Quindi vi chiedo di non mollare e vedrete che tutto si svolgerà per il meglio” Ci congeda ed usciamo.
“Ma hai visto come ti guardava quella?” Mi chiede bella inorridita. Io scoppio a ridere vedendo la sua espressione. Ha un V disegnata tra le sopracciglia, vorrei tanto baciarla in quel punto preciso.
“No. Proprio perché io non ho guardato nessuna che non sia stata tu” Sussurro dolcemente ad un millimetro dalle sue labbra. Lei mi sorride.
“Tu. Sei. Mio.” Sibila un attimo prima di baciarmi appassionatamente. E non importa se siamo d’avanti ad un edificio dove alle nostre spalle c’è gente che ci vede. Non ci importa se diluvia perché tutto ciò che ci circonda è niente in confronto a quello che proviamo quando le nostre labbra si muovono all’unisono.
Perché si, adesso ne sono pienamente convinto, la cura al mio dolore consiste nel trovare l’amore. Ed io non sono sicuro di averlo trovato davvero. Sono solo sicuro di aver trovato il modo per stare bene. Ho trovato la luce dopo anni di buio, una luce che riesce ad illuminare il mio cammino e mi basta, momentaneamente è quello che voglio.
Bè? Che ne pensate? Fatemi sapere, mi fa piacere leggere le vostre recensioni. Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate. Ringrazio che legge silenziosamente e infine ringrazio: https://www.facebook.com/GraphicsAndEditVideo per il banner, a proposito vi piace? Io credo che sia perfetto per questi Edward e Bella.
Enjoy.
Roby.
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Capitolo 11 *** The way You touch, I loser control and shiver deep inside. ***
Love save the
pain.
The
way You touch, I loser control and shiver deep
inside.
Bella’s
Pov.
Correvo.
Le mie gambe erano riuscite ad essere più veloci di quanto
pensassi. La sabbia,
ostacolava la mia corsa, ma mi sentivo libera. I polmoni bruciavano per
via
della corsa, ma sul mio viso un sincero, bizzarro e stupido sorriso
aleggiava senz’ombra
di dolore.
C’erano
delle rose blu. C’erano infiniti campi di grano.
C’era mia mamma, Edward,
Alice, Angela e Jacob che mi guardavano con una luce felice negli
occhi. I miei
capelli, al vento mi rendevano più libera di quanto il mio
subconscio potesse
credere. Correvo, senza capire il perché, senza capire quale
era la mia meta.
All’orizzonte,
un’ombra faceva bella mostra di sé. Una risata
arrivava al mio udito e un moto
di sorpresa si prese gioco di me quando avevo realizzato che era la mia
voce.
Anch’essa libera, spensierata, sincera e stranamente felice.
Mano a
mano che mi avvicinavo riuscivo
a vedere
l’ombra. Era un uomo, alto, non troppo snello, sorrideva
toccandosi i baffi.
Era
lui.
Finalmente
era lui.
Nemmeno
quella sorpresa aveva fatto cedere la mia corsa. Dopo cinque minuti ero
finalmente arrivata a destinazione.
“Papà!
Papà!”- Urlavo sorpresa che quella parola, - che
non avrei mai e poi mai
creduto potesse farlo- uscì
dalle mie
labbra. Invece lo avevo detto, ero riuscita a dire
‘Papà’. Guardavo i suoi
occhi, sempre innamorati della sua piccola bambina che ormai era
cresciuta. Una
lacrima aveva solcato il mio volto. Una lacrima libera, sincera,
felice, non
più solitaria.
Lo
avevo abbracciato, sorpresa di non aver sentito il suo odore.
“Papà.”-
Mormoravo in preda all’eccitazione di averlo di nuovo con me.
Forse il destino
mi aveva miracolata.
“Piccola
Bells.”- Mi aveva risposto, a quella che apparentemente non
era una domanda,
piangendo.
“Ascoltami.
Andrà tutto bene. Io so che sarò per sempre nel
tuo cuore, come tu lo sei e lo
sarai nel mio. Vivi amore mio. La vita è bella quanto
brutta. La vita è
infinita quanto breve-”
“Ma..”-
Lo avevo interrotto beccandomi la sua occhiata tra
l’arrabbiato e il divertito.
“Ti
voglio bene mia piccola Bells.” -Aveva detto un attimo prima
di posare le sue
labbra, ruvide, a causa della barba, sulla mia tempia. Poi come neve al
sole
era sparito.
“No!”-
Urlo con tutto il fiato che i miei polmoni possono
essere capace di produrre.
Sembrava così reale!
Quanto mi rendo conto che è questa la realtà, i
singhiozzi
si prendono la mia mente, il mio corpo, il mio cuore, la mia anima.
“Oh…mio…dio!”- Non capivo
più nulla. Ancora una volta me lo
hanno strappato via. Ancora una volta me lo sono
fatta sparire dalle mie braccia.
Ancora una volta il dolore ha il coltello dalla parte del
manico.
“Bella!”- La voce di Edward raggiunge il mio udito,
è
disperata, spaventata.
Mi copro il viso con le mani, non riuscendo – pur
provandoci- a placare i singhiozzi.
“Bella. Calmati.”- Mormora con le labbra sui miei
capelli.
“No! No Edward! Me lo hanno portato
via…Me..l…hanno…port..via”-
Lefrasi erano sconnesse, sentivo un blocco nel
petto che schiacciava la mia voce. Mi sento distrutta come se mi fosse
passato
un treno a tutta velocitò addosso. Schiacciandomi il cuore.
Avrei dovuto immaginare che era tutto un sogno, Avrei dovuto
immaginare che quello era un universo parallelo. La mia mente
– comandata dal
dolore- si era presa di nuovo gioco di me.
“Ssh. Dormi piccolo tesoro.”- Mormora Edward
cullandomi. I
miei occhi freddi e umidi si chiudono. E semplicemente con la voce di
Edward mi
addormento, disperata, sfrenata ed emotivamente esausta.
**
“E
questo è tutto.”- Sussurro ad Alice, dopo averle
raccontato tutta la mia storia, dall’inizio ad adesso. Lei
come ottima
interlocutrice ha ascoltato in silenzio, ogni tanto una piccola lacrima
scendeva dal suo viso. Forse per pietà, forse
perché la mia storia è troppo
dolorosa, forse perché sentendo la mia voce che
all’ombra di quel racconto
tremava, o forse perché in agguato c’era qualche
singhiozzo che
cercava di smorzare la mia voce.
Dicono che ogni avvenimento ha una sua trama, dicono che
ogni avvenimento ha una causa, dicono che ogni avvenimento a cose e
persone è o
non è puramente casuale.
Casualità o meno la mia vita è stata distrutta.
Il fato o
chiunque comandi il nostro cammino, ha deciso che la mia strada deve
essere
trascorsa in mezzo al dolore. Che la vita non è facile per
nessuno. La mia non
è assolutamente vita.
I libri mi hanno insegnato che vivere male può andare bene,
non vivere completamente però no. Ed io non vado bene,
perché non vivo, perché
non ho la possibilità di vivere.
Chiunque ha perso dei cari. Tante persone di ogni età sono
cresciuti con un solo genitore. Io non lo accetto. Non accetto di non
aver
vissuto mio padre.
Ricordo che era buono. Che sorrideva sempre. Che mi amava,
come ogni padre ama i propri figli. Che aveva uno sguardo stralunato il
giorno
in cui è andato via per sempre. Poi basta. I ricordi brutti
ci saranno per
sempre, i belli sono quelli che scompariscono sempre.
Dicono che appoggiarsi al ricordo non è bene. Dicono che i
ricordi sono piccole sfumature che al momento sbagliato tornano nella
nostra
mente.
Io invece avrei preferito vivere nel ricordo. Almeno avrei
vissuto davvero.
“E’ terribile Bella.”- Dice Alice mentre
deglutisce. Io
annuisco guardando lo spigolo del divano – della suite- dove
io e Alice ci
siamo accomodate.
Non so bene il
motivo
che mi ha spinta a raccontare tutto ad Alice. Forse è stata
la
disperazione, forse
il mio bisogno di
riuscire a parlare con lei. Alice. L’unica persona con cui mi
sento in sintonia
oltre Jake e Angela. L’unica persona che, in questo periodo,
insieme a suo
fratello riesce a farmi sorridere sinceramente.
“Non so cosa si dice in questi casi. Quindi faccio meglio a
stare zitta. Voglio solo farti presente che io ci sono. Come amica,
come
sorella, come-” La sua voce viene interrotta dal mio
abbraccio di gratitudine.
Non so se Alice ed io saremo amiche per sempre. Sono stanca
di pensare agli avvenimenti che può causare un mio gesto,
una mia parola. Ho
capito che nel bene e nel male certe cose succedono senza causa, senza
apparente motivo.
“Tu, invece, raccontami qualcosa.”- Sussurro.
Sorrido
cercando di tornare la Bella solare.
“Jasper vuole conoscere i miei genitori.”- Dopo
questa affermazione/rivelazione
avvampa, cosa non del tutto da Alice. Io le sorrido teneramente.
“Non vuoi?”- Le chiedo sicura di non essere
invadente,
termine che è assolutamente escluso dal vocabolario di Alice.
“Non è questo, è solo che. Ho paura che
lui non piaccia ai
miei.”
“E perché?”- Chiedo inorridita. I
genitori di Alice sono
persone fantastiche. Hanno accettato me dopo tutto. Rifletto un attimo.
No!
Quando mi hanno conosciuta io e Edward non eravamo nulla.
“Perché sono gelosi. Insomma Jasper proviene da
una famiglia
agiata come la mia. E’ molto educato e riservato. Non vorrei
che però la
gelosia potesse rovinare tutto.”- Ammette con una punta di
amarezza nella voce.
La mia famiglia non è per niente agiata! Cosa dovrei fare
allora io? Merda.
“Oh Alice! Capisco. E’ solo che dovresti provare,
insomma,
se è una cosa seria non puoi nasconderla per sempre. Anzi
meglio prima, ti
togli un peso.”-Cerco di essere più razionale
possibile, anche se al momento
mi risulta difficile.
“Vedremo.”- Mormora dando una rapida occhiata al
cellulare.
“Io vado Bella. Ci sentiamo domani okay?”- Annuisco
e le
poso un piccolo bacio sulla guancia.
“A domani. E sta’ tranquilla. Andrà
tutto bene!”- Urlo
mentre Alice si chiude la porta alle spalle.
Andrà tutto bene un corno!
Aspetta, aspetta, ASPETTA! Edward non mi ha mai parlato di
un colloquio con i suoi genitori. Se non di lavoro, ovviamente suo
padre è il
mio secondo capo. Sbuffo passandomi una mano tra i capelli.
La mia insicurezza bussa nel mio cervello, pronta e in
azione.
“Sono fottuta.”- Mormoro a me stessa.
Ho sempre avuto la paura di non piacere a nessuno. Anche se
la gente che conosco mi dice che sono adorabile, simpatica, riservata.
Il fatto è che ogni donna è così.
C’è a chi non piace il
proprio corpo, c’è chi ha paura di dire o fare
sempre qualcosa di sbagliato e
poi c’è, chi, come me, ha paura di entrambe le
cose.
Il mio corpo è apparentemente indecente. Sono magra, nelle
braccia e nelle gambe e il torace non è male. Il seno, per i
miei gusti troppo
sproporzionato. Insomma peso cinquanta chili e ho una quarta!
Goffaggine è mio il secondo nome. Le brutte figure fatte
grazie a essa non si possono classificare.
Quando qualcuno mi rivolge delle domande avvampo, le
orecchie diventano bollenti, inizio a sudare e la voce mi trema come se
dovessi
piangere da un secondo all’altro.
Chi vorrebbe una sfigata del genere in famiglia?
Accendo la tv per far scemare gli insulti che rivolgo a me
stessa. Faccio un po’ di zapping e mi fermo quando noto i Bon
Jovi sullo
schermo. Il mio sorriso si allarga e mi metto in piedi sul divano.
Ma chi se ne frega! Io sono così, chi mi accetta bene,
sennò
andrà a farsi benedire.
Alzo il volume e inizio a muovere il mio corpo a ritmo di
musica.
“She says; We've got to
hold on to what we've got .'Cause it doesn't make a
difference. If we make
it or not . We've got each other and that's a lot for
love, we'll
give it a shot.”- Canto
liberandomi, per pochi attimi, dal mondo
di negatività che mi circonda.
Quando la canzone finisce abbasso il volume. Un brivido
attraversa la mia schiena, quando mi accorgo che il respiro di qualcuno
è
addosso al mio collo. Giro il viso e un abbaglio di occhi verdi
scintillanti
colpisce il mio sguardo. Sorrido imbarazzata sicura che Edward abbia
assistito
al mio stupido teatrino.
“Ciao.”- Sussurra appoggiando le sue labbra alle
mie.
Assaporo la morbidezza di quelle labbra che mi attirano
anche solo guardandole. La mia lingua esplora la sua e un calore,
familiare da
qualche giorno, si impossessa del mio corpo rubando anche la mia mente.
Mi
porta in un universo parallelo. E per alcuni attimi il mio cuore sta
bene.
Avvolgo le braccia nel suo collo e schiaccio il suo corpo contro il
mio. E con
un semplice contatto mi sento a casa. Mentre mi bacia lo sento nelle
viscere,
nel profondo della mia anima che un tempo credevo annientata del tutto.
“Lo farai di nuovo?”- Mi chiede accarezzandomi la
guancia
con le nocche. Lo guardo interrogativamente non capendo cosa vuole
dirmi.
“Ballare e cantare…”- La frase dovrebbe
suonare divertente.
Ma nella sua voce c’è una punta di tenerezza.
“Sai per un momento mi hai fatto dimenticare lo schifo che
mi circonda. E’ stato bello vederti in quel momento.
Così spensierata, libera.
Se-”
“Per te lo farò sempre.”- Mormoro nel
suo orecchio
mordendolo dolcemente.
**
Dopo cena siamo
entrambi seduti sul divano. Io guardo un
film, di cui non ricordo il nome né la trama. Edward, come
ogni sera, è sul
computer. E’ passata già una settimana da quando
hanno presentato l’istanza al
giudice, ancora non ci sono novità.
Mentre guardo, invano, la tv, il mio cellulare squilla. Sono
le undici di notte!
“Pronto?”
“Pronto
Bella! Come va da quelle parti?” Sorrido al
suono di quella
voce familiare quanto rassicurante.
“Jake! Che piacere sentirti! Io tutto bene, e tu?”
“Magnificamente!
Mi sono appena laureato dolcezza. Come dovrei stare?”
“Oh…Congratulazioni
Jake. Sono così fiera di te!”- Sussurro
con le lacrime agli occhi. Jacob è come se fosse mio
fratello. Da piccoli ci
siamo sempre trovati insieme, indipendentemente dalle situazioni. I
nostri
coetanei erano pienamente convinti che prima o poi ci saremmo sposati.
Quando
al Liceo si venne a sapere dell’orientamento sessuale di
Jake, a molti prese un
colpo. A me non è cambiato nulla. E’ rimasto
sempre il mio Jake, la causa dei
miei sorrisi sinceri. Almeno fino a qualche mese fa.
“E
dimmi Bells! Raccontami qualcosa!”
“Vorrei
vederti quando torno.” -Mormoro, ho bisogno di un
consiglio alla ‘Jake’.
“Quando
torni?”
“Ehm.
Non lo so ancora. Facciamo così, se-”.
“Posso raggiungerti a
Seattle.” -Mi interrompe euforicamente.
“No! Ci vedremo a casa. Non preoccuparti non dovrebbe
mancare molto.” -Non voglio che spenda dei soldi in modo
così inutile. Infondo
Billy – suo padre- ha fatto dei sacrifici per farlo studiare,
e le loro
condizioni familiari non sono per niente agiate.
“Sempre
testarda!”
“Sempre
me stessa” Ribatto sorridendo.
“Va
bene Bells, ci sentiamo tra qualche giorno. A presto. Ti voglio bene
Orava.”
“Ti
voglio tanto bene anch’io Jake. A presto.”
Erano anni che non mi chiamava ‘Orava’,
che, significa scoiattolo in Finlandese. Quando ci siamo
conosciuti, mi ha fatto un piccolo interrogatorio. Nel suo questionario
c’era
anche la domanda ‘animale preferito?’ ed io avevo
risposto scoiattolo. Quando
poi ha iniziato ad interessarsi al Finlandese, Orava era diventato il
mio
secondo nome.
“Chi era?”- Mormora distrattamente Edward.
“Jake.” -Quando il nome del mio migliore amico esce
dalle
mie labbra, uno sbuffo appositamente sonoro fuori esce dalle sue
labbra. Io lo
guardo incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio.
“Qualcosa non va?”- Chiedo non troppo severamente.
“Come mai ti ha chiamata?”
“Così! Non c’è un motivo.
E’ il mio migliore amico. Può
chiamarmi quando vuole”.
“Oh certo.”- Alza la mano in segno di resa e torna
al suo
computer.
Sbuffando senza un motivo preciso mi dirigo in bagno. Pronta
per la doccia e per andare a letto.
Mi manca casa mia. Mi manca sentire mia mamma che mi chiede
di mangiare.
Mi manca il sole che sfiora le mie spalle. Mi manca il
fioraio che ogni mattina, prima di arrivare al lavoro mi chiede
‘come va?’. Mi
manca il tabaccaio che mi implora tutti i giorni di smettere di fumare.
Mi mancano
i miei cd, che stupidamente non ho portato con me. Mi manca piantonarmi
alla
scrivania e scrivere relazioni per Edward o Carlisle.
Carlisle. Chissà se non mi licenzierà a tronco
dopo aver
saputo il mio rapporto con Edward.
Sospiro ed entro nel box doccia.
“Buonanotte.” -Sussurro ad Edward- dopo
un’ora dalla mia
doccia- ancora al pc.
“’Notte.” -Mormora senza alzare lo
sguardo verso di me.
Lunatico. Ecco la parola che mi viene in mente. Sbuffo tra
me e mi siedo sul letto. Prendo il libro, che, oggi mi ha regalato
Alice.
‘L’ombra del vento- Carlos Ruiz
Zafòn’. Accendo la piccola abat-jour che si
trova nel comodino e mi immergo nella lettura.
Mentre Daniel viene avvicinato dall’uomo che porta le vesti
di un personaggio, di
uno dei romanzi di
Carax sento Edward schiarirsi la voce.
Abbasso il libro e aspetto che parli.
“Scusa.”
“Per cosa esattamente?” -Gli chiedo, dopo aver
fatto una
piccola piega sulla pagina a mo’ di segnalibro e chiuderlo
sperando di
riaprirlo tra qualche attimo.
“Per il mio comportamento.”- Lo guardo e gli
sorrido. In
fondo non che abbia fatto chissà cosa.
“Vieni a letto?”- Sussurro con voce roca, senza
essermi resa
conto immediatamente di quanto roca fosse.
“Tra un po’. Ahm, domani ho un appuntamento con
l’avvocato
Price.”- Annuisco e lo guardo mentre si gira per tornare dal
salottino. Si è
cambiato, indossa il pantalone della tuta che, fascia perfettamente
quel sedere
così solido e dal morso facile. Dovrebbe assicurarselo a
parere mio! Scuoto la
testa e riapro il libro.
“Cosa
leggi?”- Mi chiede mezz’ora dopo fermo sulla soglia.
“L’ombra del vento.” -Rispondo
ipnotizzata tra le righe del
libro.
“Mh.”
“Devi dirmi qualcosa?”- Chiedo dolcemente
abbassando il
libro.
“Ehm.”- Le sue guance si imporporano di rosso.
E’ strano e
allo stesso tempo adorabile il modo in cui si dimostra ancora timido,
dopo
avermi conosciuto, almeno un pochino, sessualmente. Adesso si vergogna
anche a
venire a letto con me.
“Vieni a letto ora?”- Annuisce e mi rivolge un
sorriso
dolce.
Si avvicina e si sdraia al mio fianco.
Poso il libro e lo guardo.
“Vuoi che spenga la luce?”- Lui alza le spalle e mi
guarda.
“Che succede Edward? E’ tutto il giorno che sei un
po’…come
dire, strano!”
“Penso che a volte tu sia solo un sogno.
Un’illusione. Non
voglio perderti mai Bella.”- Dice velocemente come se potesse
divorare
quell’ultima frase.
“Non mi perderai. Perché io non voglio perdere
te.”- Mormoro
un attimo prima di perdermi tra le sue labbra e nel suo inebriante
profumo di
petali di rose blu.
Quell’odore che mi fa perdere la ragione facendomi dominare
dall’istinto. Lo sento nel profondo di me stessa. La mia
gamba avvolge il suo
fianco e i bacini si ritrovano.
Mi sono sempre chiesta come sarebbe fare del sesso con
Edward. Ma, mai ho potuto immaginare me insieme a lui. Forse per la mia
scarsa
autostima, forse perché la frase detta da lui stesso poco fa
rispecchia anche
me.
Un’illusione.
E se
fosse tutto davvero un’illusione? Come ne uscirei?.
E mentre le sue mani vogliose ma al tempo stesso dolci,
vagano sul mio corpo mi rendo conto che lui è qui,
è reale, che è impossibile
provare certe cose anche solo con un semplice e delicato tocco.
Restiamo abbracciati senza stancarci di esserlo. Come se
abbracciare il corpo dell’altro fosse naturale.
“Buonanotte piccola mia.”- Sussurra al mio orecchio
senza
staccarsi da me.
“Buonanotte Edward.”
E felicemente abbracciata a una delle persone, che, nella
mia vita è diventata qualcosa di più del semplice
essenziale, mi addormento.
**
Tornerò
presto. Prega per noi che ci siano buone notizie.
Ti voglio
bene.
Edward.
Mentre sorseggio
il mio caffè, fisso il biglietto che ho
trovato sul comodino appena sveglia.
Ero così stanca che nemmeno ho sentito il freddo che si era
impadronito di me al distacco delle sue braccia dal mio corpo.
Accendo una sigaretta e guardo Seattle alle dieci del
mattino. E’ una bellissima città, lo ammetto, ma
non più della mia adorata Los
Angeles.
Prendo il cellulare e decido di chiamare mia mamma.
Mi chiede quando torno, che le manco, che ci sarà una
sorpresa al mio ritorno. Mi racconta di Fred ‘ il
droghiere’ che ha finalmente
accettato il fidanzato della figlia. Scoppio a ridere nel sentire mia
madre
raccontarmi i fatti giornalieri. Scoppio a ridere anche
perché erano anni che
la sua voce non era più così accesa. Un moto di
depressione si fa spazio nella
mia mente. E se fosse così sollevata perché io
sono lontana? Nel senso che non
ha costantemente la visione di me che mi autodistruggo sulla spiaggia.
Non ho mai realmente pensato al dolore in più che le
infliggevo ogni volta. Non mi sono mai chiesta cosa ne pensasse lei di
quelle
‘visite’ giornaliere. Ho sempre e solo alimentato
il mio dolore che al tempo
stesso era la cura ad esso, noncurante di quello che facevo a mia madre.
La donna che ha lottato per farmi crescere nel modo migliore
possibile.
La donna che non si è fatta trascinare dal baratro in
presenza della figlia orfana di padre.
La donna che ancora oggi non si preoccupa di sé, del suo
dolore, della sua perdita, per non farla pesare sulla nostra casa.
La donna che mi racconta, mi ricorda il grande uomo che era
mio padre.
La donna che ama sua figlia più della sua stessa vita.
“Bella! Si torna a casa!”- La voce di Edward mi fa
sussultare.
Lo guardo sorridente.
“Come? Co-”
“Bella! Non c’è più bisogno
di restare qui. L’istanza è
stata accettata dal giudice. Ci contatterà entro sei mesi
per la data del
nostro processo!”- E’ felice. Sorrido contagiata e
lo abbraccio.
“Sono contenta per te!”- Sussurro abbracciandolo
più forte e
baciandogli il petto. Lui inspira il profumo dei miei capelli.
“Dai! Fai la valigia. Facciamo una doccia e
partiamo!” Anche
lui è contento di tornare a casa ovviamente. Ma una volta
arrivati non ci
mancherà quella piccola routine, di noi due costantemente
insieme, che si era
creata?
Mentre Edward entra in bagno un’idea si paralizza nella mia
mente.
Prendo quell’indumento che avevo detto di aver comprato
senza secondi fini e lo indosso, sicura di essere già rossa
come un peperone.
Mi avvicino, cauta, in bagno e apro la porta. Ringraziandolo
per non averla chiusa a chiave. Quando entro riesco ad intravedere la
sagoma di
Edward sulla doccia.
Un calore al mio basso ventre si propaga inebriandomi la
mente. Oddio! Non credo di poterlo fare.
Muoviti! Urlo a
me stessa.
Apro il box doccia e Edward osserva me e la mia mise con una
sguardo pieno di ardore e con gli occhi fuori dalle orbite.
“Voglio fare una cosa prima di andare via.”-
Sussurro sotto
il suo sguardo passionalmente dolce.
Sono viva! Yes.
Ho avuto dei piccoli problemini, che, mi hanno rubato tempo
e ispirazione.
Perdonatemi. Spero che siete rimaste qui, spero di non aver
deluso nessuno.
Devo andare!
Ps: Avete mai letto l’ombra del vento? Se è no
fatelo!
Ps2: Secondo voi che sorpresa attende Bella al suo rientro?
:p
A presto.
Roby <3
|
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Capitolo 12 *** With Your Eyes ***
Love save the pain.
With Your Eyes.
Bella’s Pov
Nella
mia vita – se è lecito chiamarla tale- ho passato
gran
parte del mio tempo immersa nel libri.
I libri raccontano dell’amore. Del dolore che
l’amore stesso
può causare.
Dell’amore insormontabile che può nascere, dipende
dalla
forza con cui si ama.
Dell’amore per l’arte, per gli animali, per i
familiari.
Molti libri riescono a farci provare le emozioni, che il
narratore stesso racconta.
Leggendo libri, ho scoperto un nuovo mondo.
Il mondo dei sogni, pianti, gioie, dolori, amore.
Ed è assurdo che, in un momento come questo io penso ai
libri.
In un momento in cui il mio sguardo timido fissa Edward
ricoperto di goccioline d’acqua, nella sua perfetta
nudità che, farebbe invidia
a qualsiasi uomo che si trova nel mondo terrestre.
Lo
amo.
E l’ho
capito senza confrontare i libri. Perché l’amore
non è quello che si racconta,
non è quello che vediamo solitamente nei film. Non
è all’interno di una favola,
ma è nelle nostre vite.
E per quanto possano essere perfette o imperfette la vita
non è una favola, non è un libro né
tantomeno un film.
L’amore, è quel sentimento che provi quando vuoi
costantemente una persona al tuo fianco.
Una persona ama l’altra quando con essa si sente bene,
completa, quasi felice.
Una persona che ama farebbe di tutto per amore.
Una persona che ama non ha rimpianti. E se anche l’amore
stesso dovesse tradirti rimarrai per sempre con il ricordo.
Perché l’amore, se si ama davvero, ti lascia il
marchio di
se stesso.
Ed io ho capito di amare Edward. Qui in questa suite.
L’ho visto diverso da quello che immaginavo.
L’ho visto piangere, sorridere, incazzarsi per poi calmarsi
all’istante.
E non importa se non sono ricambiata, non importa se in
questo momento –offrendogli me stessa- sto
facendo la cosa giusta. Almeno potrò avere
il ricordo di quello che per me è stato l’amore.
“Che-” Lo interrompo con un gesto. Mi sorride
dolcemente ed
io ricambio immediatamente. Mi porge la mano ed io l’afferro.
Guardo i suoi occhi, rapiti dalla passione, immaginando i
miei intimoriti.
“Cosa succede Bella?”- Mi chiede sfiorandomi il
lobo dell’orecchio
con l’indice.
“Eh…è solo che…”-
Mi interrompo per paura che possa dire
qualche stupidaggine e lo guardo.
Il suo viso così bello, che sembra quasi irraggiungibile
è
rivolto verso di me. La sua bocca socchiusa emana sospiri, le sua
labbra sono
rosse e succose. Il suo sguardo arde nel mio. E me lo immagino quel
viso,
rapito dal piacere mentre si spinge dentro di me.
Mi immagino la sua bocca lucida dei miei umori, baciarmi.
Immagino le sue mani, così grandi quanto delicate che
candidamente sfiorano la
mia pelle.
“Voglio
fare l’amore con te Edward. Qui. Prima di andare via.
Perché è qui che mi sono
davvero resa conto di amarti. Perché è qui che
voglio un ricordo felice di noi
due.”- Mi sorride dolcemente e mi sposta, facendomi finire
sotto il getto dell’acqua.
“Sei bellissima”- Sussurra con voce roca, mentre il
mio
corpo si rivela sotto la mise bagnata dall’acqua.
La sua bocca raggiunge finalmente la mia e con le dita
accarezzo il suo petto bagnato. Le sue mani si fanno strada nel mio
corpo.
Accarezzano il ventre, arrivano fino alle cosce, per poi
risalire e fermarsi sul mio seno.
Accarezzo i suoi capelli e schiaccio il mio corpo al suo.
Chiudo gli occhi, un po’ per il getto dell’acqua,
un po’ per
l’emozione di averlo nudo tra le mie braccia.
Afferra le mie natiche e con un movimento fluido allaccio le
mie gambe sui suoi fianchi.
I nostri respiri sono strozzati a causa dei baci, a causa
dei nostri corpi allacciati. Una sua mano lascia la mia natica e
abbassa le
coppe del Baby-Doll facendo fuori uscire il mio seno.
Il pollice e l’indice iniziano la loro tortura mentre i suoi
ansiti si perdono nella mia bocca.
La mia lingua eccitata esplora la sua.
Un gemito sonoro esce dalla mia bocca nel momento in cui i
suoi denti iniziano a stuzzicare il mio seno. Mi rimetto in piedi e lui
si
stacca con un gemito di disapprovazione.
Accarezzo lentamente il suo collo e lui mi sorride
dolcemente.
“Sei sicura?”- Mi chiede con la voce affannata.
Io annuisco e lo abbraccio.
Scioglie il nodo del mio indumento e non smette un secondo
di guardarmi negli occhi.
Quando finisce mi guarda.
Ed io dovrei sentirmi in imbarazzo, date le circostanze.
Nuda con solo gli slip addosso davanti al suo sguardo
famelico.
Lui mi guarda, come se volesse chiedermi il permesso, come
se fosse tutto sbagliato.
Abbasso gli slip e li lascio cadere ai miei piedi. Un
sospiro esce dalle sue labbra, ed io sorrido tra me e me lusingata.
Mi ritrovo sul letto, chiedendomi come non abbia fatto ad
accorgermi di esserci arrivata.
Il suo corpo schiaccia il mio sul materasso, le mie mani stringono
i suoi capelli e mi sento persa.
Lo desidero in un modo indescrivibile.
Lo desidero come se fosse l’oasi della felicità.
Lo desidero non vedendo l’ora di sentire il suo corpo fuso
con il mio.
“Sono vergine Edward”- Sussurro sicura che dovevo
dirglielo
e sperando che con questa rivelazione lui non cambi idea.
“E…Voglio dire, ne sei davvero sicura?”-
Mi chiede senza
smettere di baciarmi. Io annuisco e lui si ferma.
“Bella” - Sussurra con tono sofferente.
“Edward sono sicura. Quante volte devo dirtelo? Forse quello
che non è sicuro qui sei tu, di certo non io”-
Mormoro sconfitta.
“Ma che stai?-”- Si interrompe baciandomi
avidamente. Le sue
mani, che prima si muovevano lentamente sul mio corpo, adesso sono
urgenti e irruente.
Immediatamente mi sento eccitata dalla forza della passione.
Avvicina la mano sulla mia intimità accarezzando dolcemente
il mio monte di Venere. Sospiro e lui mi guarda.
Le sue dita si avvicinano alle mie labbra intime e chiudo
gli occhi quando introduce un dito.
Accarezzo i suoi capelli per la millesima volta, afferro il
suo braccio noncurante della forza che ci metto.
Il suo dito mi penetra dolcemente, dentro e fuori, sembra
una tortura, una dolce e lenta tortura.
Avvicino il mio viso al suo unendo le nostre labbra.
Quando sento una spasmo sul mio basso ventre perdo il lume
della ragione.
E’ un’emozione devastante. Quasi dolorosa per
quanto è
potente.
Dalle mie labbra escono gemiti incontrollati e senza capirne
il motivo mordo il lobo del suo orecchio, così forte che un
gemito di dolore
fuori esce dalle labbra di Edward.
“Oddio..” Sussurro ancora con il respiro affannato.
Il corpo imponente di Edward mi sovrasta ancora una volta. E
riesco a sentire il suo membro duro spalmato sulla mia coscia.
Bacio le sue labbra, senza mai stancarmi , e lo avvicino a
me. Lo guardo negli occhi e lui mi sorride.
Non mi sento affatto nervosa o impaurita, mi fido di lui, e
sono sicura che non potrà mai farmi del male. Almeno non
volontariamente.
La sua punta si sfrega contro la mia intimità e un sospiro
esce dalle nostre labbra all’unisono.
Lentamente mi penetra fermandosi all’istante.
Brucia, cazzo se lo fa!
Sospiro chiudendo gli occhi. Sento le sua mani accarezzarmi
il viso e la sua bocca che lascia una scia delicata sul mio collo.
Finalmente
siamo una cosa sola. Lo sento, dentro l’anima, nel cuore, lo
sento così forte
che mi sento sconquassata. Una lacrima di commozione esce dal mio
occhio e
prontamente lui la bacia. Sorrido, perché sono felice.
Perché è anche questo
che l’amore ti regala; gran parte della felicità.
E il mondo è lontano da noi, noi che siamo chiusi in un
limbo, un limbo che da grigio sta assumendo un colore più
vivo, più bello,
prezioso.
Che sono attimi ma ci sono e resteranno con noi. Quando
siamo tristi, delusi, penseremo all’altro e a questo momento,
a questo momento
nostro.
Con gli occhi dell’altro penseremo sempre a noi.
Perché se
ami vivi. Ed io mi sento viva, finalmente per la prima volta.
Siamo immobili, lui è dentro di me, il bruciore piano piano
sta andando via.
Apro gli occhi, diventati lucidi e lui mi guarda, con un
piccolo senso di colpa sullo sguardo.
“Scusa…”
Scuoto la testa e gli sorrido dolcemente prima di
accarezzare la sua chioma ribelle.
“Continua”- Affermo chiudendo ancora una volta
chiudendo gli
occhi.
Piano piano inizia a muoversi. La sensazione è stupenda.
Le spinte sono lente e dolci.
Inizio a muovermi e i sospiri riempiono il silenzio della
stanza.
“Apri gli occhi” -Mi ordina dolcemente ed io lo
faccio. I
suoi occhi sembrano sciolti. Quel verde che qualche mese fa avevo visto
spento
è adesso acceso. Riesco a leggere nei suoi occhi la
felicità, stupore, amore,
passione.
Ogni volta che si tira indietro c’è
l’ansia della spinta,
che una volta arrivata aumenta l’intensità del
piacere.
I miei gemiti sono incontrollati. Lo sento farsi spazio in
me, e non c’è altro posto dove vorrei trovarmi, se
non tra le sue braccia.
Afferro le sue spalle e lo abbraccio mentre continuiamo a
muoverci.
Sento i suoi gemiti sul mio orecchio e la cosa non fa che
aumentare il mio piacere.
Un urlo strozzato esce dalla mia gola nel momento in cui
raggiungo l’apice, per la seconda volta, una meglio
dell’altra.
Sento il suo seme riversarsi dentro di me, ma non riesco a
concepire pensieri coerenti.
Mormoro il suo nome centinaia di volte, così come fa lui.
Si accascia su di me e mi guarda negli occhi accarezzandomi
i capelli.
“Ti amo anch’io. Piccola Bells.”
Edward’s
Pov.
“Mi
mancherà qui”- Mormora prima di chiuderci la porta
della
suite alle spalle.
“Mancherà anche a me. Averti sempre con
me.” -Mi abbraccia,
mentre le porte dell’ascensore si chiudono e
sospiro di felicità.
Non mi aspettavo una tale rivelazione da parte sua,
stamattina.
Ma soprattutto non mi aspettavo che io l’amassi.
Dicono sempre che le rivelazioni si hanno una volta aver
visto la realtà in faccia.
Mi ero perso innumerevoli volte guardando il suo viso la
notte.
Avevo capito di amarla nell’esatto momento in cui avevo
varcato per la prima volta la soglia dello studio di mio padre.
E pensare che lei ricambia, e che si sia donata a me fidandosi
al massimo è la cosa che più di tutte mi rende
felice.
Non so se è più forte l’amore del
dolore, ma so che esiste e
che comunque la sua forza non è da meno.
E per la prima volta dopo cinque anni,
mi rendo conto che si, posso essere felice
anche io. Che il destino ha voluto regalarmi Bella e il suo amore.
Entriamo in macchina e mi preparo mentalmente alle ore di
viaggio che ci aspettano.
“Edward. Posso chiederti una cosa?”
“Si. Certo”
“Perché non viaggi mai in aereo? E’ per
quello che è
successo a George vero?”.
“Si ma-“
“Ne parliamo un’altra volta. Okay”
Mormora accarezzandomi la
mano che guida il cambio dell’automobile.
**
“Entri
con me?” Mi chiede Bella dolcemente mentre sta per
uscire dall’auto.
Annuisco e apro la portiera.
Mi è mancata Los Angeles. Mi è mancato il caldo.
Mi è
mancato l’odore del mare. Mi è mancata
l’abitudine del Venerdì sera.
La casa di Bella non è grande ma è molto carina,
sia dentro
che fuori.
“Prima di entrare vorrei…” Sussurra
lasciando la frase a
metà. Ed io annuisco capendo quello che sta per fare. Toglie
i sandali e corre
verso la spiaggetta che c’è di fronte casa sua.
Mi avvicino lentamente mentre la vedo mettersi in ginocchio
quasi alla riva.
“Sono tornata. Finalmente!” Esclama piangendo. I
palmi delle
sua mani diventano una coppa e prende un po’
d’acqua.
“Sto bene. Lui, lui è Edward” Sussurra
indicandomi, ma con
lo sguardo fisso sul mare.
Inizia a parlare, e se non la conoscessi penserei che fosse
pazza.
Piange, ride e parla, parla
con suo padre.
Mi rendo conto che il suo è un dolore che non
potrà mai
cessare, che è così profondo che ormai le ha
bucato l’anima.
Che non ci saranno soluzioni, non c’è un
colpevole, né un
motivo valido per cui è morto.
E’ morto per dar da mangiare a sua figlia.
Guardo il mare con i suoi occhi, sperando in qualche modo di
riuscire ad aiutarla.
Sperando che io possa fare qualcosa per farla uscire dal
pozzo in cui il dolore l’ha sotterrata.
Per renderla felice, nonostante sia impossibile da credere.
Mi prenderò cura di lei, del suo dolore.
Perché è questo che fa una persona che ama.
Una persona che ama lo fa fino in fondo, rischiando,
volendo.
Ed io ho scoperto che l’amore può compiere il
miracolo di
portare un po’ di luce nelle nostre anime.
Non so se il nostro amore potrà mai sconfiggere i nostri
dolori, non so se riuscirò mai a sorridere e farla
sorridere, so solamente che
voglio provarci. Voglio rendere forte il mio amore per lei in modo di
annientare il dolore, il peso che il suo cuore porta da anni.
Perché se anche lo credevo impossibile lei con me lo ha
fatto.
La morte di George resterà per sempre nel mio cuore, il
dolore ci sarà sempre.
Ma posso vivere, con lei a fianco a me posso farlo. Lo so. Lei aiuta
me, io
aiuto lei, insieme riusciremo a vivere una vita normale.
Forse non perfetta, ma una vita.
Mi si stringe il cuore a vederla così.
Il dolore di non aver conosciuto veramente il padre. La voglia
che avrebbe di passarci giornate intere assieme. La sfortuna di
chiedersi il perché a lei.
L’adolescenza senza
potergli chiedere aiuto se ne avesse avuto bisogno.
Una lacrima sfugge dal mio occhio. Non una lacrima di pena,
ma una lacrima di familiarità e amore.
**
“Entriamo
dai” Sussurra asciugandosi l’ultima lacrima.
Annuisco e afferro la sua mano.
Lei mi abbraccia e bacia il mio mento.
“Ti amo” Sussurro baciandole la fronte.
“Ti amo” Sussurra sorridendomi dolce.
Percorriamo la piccola spiaggetta lentamente e arrivati alla
soglia di casa sua inizia a suonare il campanello.
La porta si apre e Reneé scoppia a piangere.
“Oh tesoro! Non sapevo saresti arrivata oggi”- Dice
alla
figlia scoppiando a piangere.
Bella l’abbraccia forte, inizia a baciarle il viso con tanti
piccoli baci affettuosi.
“Mamma”- Urla piangendo di commozione. La madre
scioglie l’abbraccio
e la guarda accarezzandole i capelli.
“Mi sei mancata, piccola Bells”.
“Anche tu mi sei mancata Mamma” Le risponde
accarezzandole
il viso.
Prendiamo posto in cucina e Reneé ci offre il tè
con i
biscotti. Ci chiede come abbiamo passato il periodo a Seattle, le
abbiamo
raccontato tutto. Tranne di noi.
Sembra che Bella non abbia ancora capito che è mia.
“E poi io e Bella ci siamo messi insieme” Mormoro
tutto di
un fiato, ma tranquillo, so benissimo che Reneé è
d’accordo. Infatti dopo pochi
secondi mi fa l’occhiolino.
Il campanello ci avvisa che qualcuno ha suonato e Bella va
ad aprire.
“Io non so chi sia!” Esclama dopo pochi secondi, Reneé mi guarda
spaventata e mima un aiutami
diretto a me. Ci avviciniamo all’ingresso e un uomo, biondo
con gli occhi come
la pece, sorridente sta parlando con Bella.
“Isabella. Ricordi la sorpresa?” le chiede
dolcemente Reneé.
Bella la fissa, annuisce e deglutisce.
“Lui è Carl. Il mio compagno” Sussurra
impaurita la madre.
**
Tadaaaaaan!
Questa è la sorpresa. Come la prenderà secondo
voi Bella?
Sono stata puntuale sta volta, una piccolissima recensione
la merito no? :3
Mi sono accorta che le recensioni sono diminuite un sacco.
Se state perdendo l’interesse, o comunque
c’è qualcosa che non vi piace io sono
qui ad ascoltarvi. Accetto critiche e bè il resto lo
deciderete voi.
Spero vi sia piaciuto.
Alla prossima!
Roby :*
|
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Capitolo 13 *** The order of memories ***
Love
save the pain.
The
order of the memories.
Bella’s Pov.
Fisso
l’uomo. Fisso mia madre. Fisso Edward.
Mi guardano come se fossi pazza, lo sguardo di mia madre è
mortificato.
Certamente, non si aspettava che avessi fatto ritorno oggi.
Chissà da quanto dura, chissà quante volte
è venuto a casa nostra a mia
insaputa.
Una lacrima solca la mia guancia.
Lei lo ha dimenticato.
Le mi ha mentito.
Lei mi ha fatto credere per tutto il tempo, incluso l’ultimo
periodo che era addolorata, che dopo sedici anni lo amava ancora e non
lo
avrebbe mai dimenticato.
Cazzate, tutte sparate al vento.
“Bella-”
“No Mamma-”- La interrompo immediatamente.
“No”- Sussurro
dirigendomi fuori.
Corro via da casa mia. Corro e il vento scompiglia i miei
capelli. Corro sperando che con il vento tutto quanto diventi un incubo.
Non avevo mai realmente pensato a mia madre con un altro
uomo.
Non avevo mai pensato che potesse farlo. Fino all’ultimo
giorno, prima della mia partenza, mi ha parlato di lui. Dolorosamente,
come se
ancora la sua ferita fosse aperta. Come se lei fosse morta insieme a lui, come se l’unica cosa che
faceva
dipendere la sua vita fosse il suo
ricordo. Scuoto la testa.
Questa sono io.
Sono io che non posso avere un padre diverso.
Sono io che non potrò mai dimenticarlo.
Sono io che porto il suo sangue nelle vene.
Sono io che sono parte di lui.
Allora si, allora è vero, il dolore di una figlia non
può
essere paragonato a quello di nessun’altro.
Lei lo ha dimenticato, ha dimenticato il suo ricordo. Ha
trovato conforto in un altro, ha distrutto quello che era il ricordo
della
nostra famiglia.
“Bella Fermati!”-- Urla Edward che mi insegue. Mi
fermo e mi
guardo attorno, siamo al parco.
Mi siedo su una panchina, di fronte al piccolo chiosco e
aspetto che Edward mi raggiunga.
“Scusa”- Sussurro guardandomi la punta dei piedi.
Solo in
questo momento mi accorgo che i piedi sono nudi, non ho infilato le
scarpe
quando sono tornata dentro.
“Ehi. Non scusarti è-”
“No! Non è normale, non c’è
niente di normale Edward”- Lo
interrompo sconfitta.
Rimaniamo in silenzio. Sono le due del pomeriggio. Si sente
solo il fischiettare degli uccellini e il fruscio del ruscello che si
trova a
pochi metri.
E sono i momenti come questi che sento più il suo bisogno.
Vorrei che lui fosse qui, per consigliarmi, per consolarmi,
per dirmi che si, andrà tutto bene.
Ma non c’è niente che andrà mai bene, niente se non il suo
ritorno.
Quando mi sono davvero resa conto della sua scomparsa avevo
dieci anni. I miei nonni, le mie zie, mi dicevano sempre;
Tornerà.
Tornerà perché non si è trovato il
corpo, e non si è sicuri
che sia morto.
Avevo sorriso la prima volta che me lo avevano detto. Ed è
stata quella che mi distrutto definitivamente; la speranza.
Mi dicevano di sperare, ed io lo facevo. Aspettandolo,
cercando sempre di pensare che lui era vivo. Che aveva perso la
memoria, che
era in qualche Isola deserta e che avesse bisogno di aiuto.
All’età di sedici anni, ho perso definitivamente
tutte le
speranze, un po’ perché dopo tanto tempo credo sia
normale, un po’ perché non
volevo vivere con la consapevolezza che mi avesse abbandonata.
Perché lui non lo avrebbe mai fatto, mi amava.
Sono stata piuttosto egoista, ho preferito credere alla sua
morte, più che a una vita felice senza di me.
“Che intendi fare?”- La voce di Edward mi ridesta
dai
pensieri.
“Niente”- Gli dico con voce ferma.
“Bella devi fare qualcosa, non puoi-”
“Non accetterò il loro rapporto, non
accetterò una figura
paterna che non sia mio padre. Reneé è adulta, io
me ne starò per conto mio,
lei può fare quel che vuole”
Edward annuisce e mi avvicino a lui.
“Oggi è Venerdì” -Sussurro.
Ricordo benissimo, una delle
tante notti in cui non riuscivamo a dormire a Seattle, mi ha raccontato
dei
suoi Venerdì ai tempi di George, che adesso li trascorre
sempre insieme a lui,
solo diversamente.
“Andrò stasera”- Mormora con gli occhi
fissi sui miei. Io
annuisco e mi alzo porgendogli la mano.
Iniziamo a camminare verso casa mia. Non mi frega niente se
c’è lui o meno, quella è casa mia, non
posso privarmi di andarci per colpa di
un intruso.
“Bella posso chiederti una cosa?”
“Si certo”
“Capisco il tuo dolore. Ma hai mai pensato che tua madre si
sentisse sola. Non credi che abbia bisogno di qualcuno, una figura di
uomo,
un’altra persona da amare?”
“No Edward. Lei mi ha sempre detto che, mio padre
l’ha amato
davvero. Mi ha sempre detto che si ama una volta sola davvero, nella
vita. Mi
ha detto che non avrebbe mai accettato l’idea di un altro
uomo che non sia lui
al suo fianco. Ma adesso, adesso sono convinta che mi ha solo riempita
di
bugie” -Sussurro piangendo. Mi sono sentita tradita.
Mi sono sentita fuori posto, come se io non potrei mai
appartenere a quel mondo che si erano creati. E’ una cosa
solo loro, non è una
cosa da genitori a figli, non è sbagliato, ma non
è nemmeno giusto fino in
fondo.
“Capisco Bella, ma tu vuoi davvero che tua madre viva per
sempre in solitudine? Non è diverso dal tuo amore per me
sai?”
“Ma che stai dicendo? Non c’entra proprio niente!
Sono due
cose imparagonabili! Io ho bisogno di un padre! Io ho il dolore di una
figlia,
lei ha il dolore della moglie. Che non è da sottovalutare,
ma tutte le volte
che lei parlava di lui, bè lei ha sopravvalutato tutto. Ha
sopravvalutato
l’amore che aveva per lui. E’ stata lei ad
insegnarmi che se si ama davvero,
succede solo una volta. Ma, l’amore quello vero,
l’amore quello che senza non
ti permettere di vivere. Quel motivo per cui ti alzi al mattino, quel
motivo
che ti fa sorridere anche senza apparente motivo. E succede solo una
volta, la
volta definitiva.”- Edward mi guarda, non parla. Forse il mio
ragionamento è
sbagliato, ma io la penso così e non ci sarà
nulla che mi farà cambiare idea.
Continuiamo a camminare finché non arriviamo a casa mia.
“Allora. Ci vediamo domani”- Sussurra ad un
centimetro dalle
mie labbra. Mi alzo sulle punte e lo abbraccio forte. Le sue mani
stringono il
mio viso e le nostre labbra si uniscono finendo in un bacio delicato.
“Voglio vederti stasera”- Sussurro contro il suo
petto.
“Verrò a casa tua dopo cena. Se vuoi che venga con
te”- Gli
dico ancora, stringendolo forte. Mi sembra giusto stargli vicino , lui
lo ha
fatto per me, e non c’è cosa più bella
che qualcuno abbia mai fatto con me, per
me; condividere il mio dolore.
**
Nel momento in
cui Daniel sfiora la tomba di Penelope in
L’ombra del vento. Qualcuno bussa alla porta della mia camera.
“Entra!”- Esclamo, con una punta di nervosismo
nella voce.
Mia madre entra ed io continuo a leggere il mio libro come
se lei non esistesse. Sento il letto che si appesantisce e il suo
respiro sulla
mia coscia, fasciata solo da dei pantaloncini striminziti che uso per
dormire.
“Bella?”
“Mh?”
“Bella?”
“Mh, mh?”
“Isabella Marie Swan! Abbassa immediatamente quel cazzo di
libro!”- Urla con rabbia dovuta alla mia indifferenza. Ma
neanche quel tono
quasi minaccioso attira la sua attenzione su di me.
Un sospiro. Il suo.
“Bella. Io so quello che pensi, so che non ho scusanti, non
almeno per te. Ma non credi che io abbia il diritto di essere
felice?-” La sua
voce è dolce. Ma niente, continuo ad ignorarla. Mi conosce,
lo sa che non ci
sarà niente che potrà farmi cambiare idea.
“E va bene!” Si alza dal letto e si dirige nel
corridoio.
“Sappi solo che venderemo questa casa. Andremo a vivere con
Carl in città-”
Chiudo il libro di scatto e lo scaravento sulla scrivania, facendo
cadere tutto quello che c’era sopra un attimo prima.
“Mi stai sbattendo fuori?!”- Urlo fuori di me. Lei
si gira e
percorre il piccolo corridoio prima di scendere le scale.
“Mamma! Rispondi!”- Esclamo inseguendola. Sta
facendo la
stessa cosa che ho fatto io; mi sta ignorando!
“Bene. Vai a vivere con il tuo bellissimo amante! Ma non
venderai questa casa, non fino a quando io starò qui! Non ci
vengo a vivere con
quel coglione! IO NON TRADIRO’ MIO PADRE!”-Urlo
incazzata, lei sbatte le ciglia
e si avvicina me. Se non la conoscerei bene, sarei sicura che stia per
darmi un
ceffone, ma lei fortunatamente non è così.
“Non è vero”- Mormora.
“Cosa?”
“Non è vero che venderemo la casa, non
è vero che andrò a
vivere con Carl. Ah e nessuno ti da il diritto di aggiungere aggettivi
poco
gentili al suo nome, non vuoi conoscerlo? Bene, non nominarlo e non
offenderlo”-
Annuisco e continuo a guardarla.
“Ti ho detto quella cosa perché tu mi ignoravi,
era il solo
modo per farti reagire, infatti ci sono riuscita. Quello che voglio
dirti è che
mi rincresce che tu pensi certe cose di me. Come puoi pensare, dopo
tutto
quello che ti ho detto che io abbia dimenticato Charlie?” -
La sua voce è rotta
dal pianto, ma non mi scompongo, mi ha mentito per sedici anni un
giorno in più
o un giorno in meno non cambia i fatti.
La fisso, i miei occhi potrebbero uscire dalle orbite da un
momento all’altro. Tanto sono accesi di rabbia. Continuo a
guardarla senza
risponderle.
“Come puoi farlo Bella?!”- Urla mentre i singhiozzi
divengono acuti dalle sue labbra.
“Come Posso?! COME? Bene, vediamo. Per sedici anni mi hai
mentito! Mi hai detto che lui era l’amore della tua vita, mi
hai detto che
nessuno, nessuno al mondo avrebbe mai preso il suo posto. Invece no!
Non hai
perso occasione per dimenticarlo, non hai avuto la coscienza, non hai
pensato a
quello che credevi lui significasse per te! Sei una donna vile. Non ti
riconosco più!”- Urlo uscendo di senno. Mi copro
il viso con le mani e prendo a
morsi l’estremità di una palmo. Inizio a piangere
ininterrottamente e più
scendono le lacrime più i denti intensificano la presa sulla
mano.
“Bella calmati”- Sussurra mia madre accarezzandomi
i
capelli. Ansimo e inizio a respirare profondamente. Passano diversi
minuti
prima che il respiro torna regolare. Mia madre è ancora
accanto a me che mi
accarezza i capelli. Con il gomito la spingo e salgo in camera mia.
Prendo la borsa e mi dirigo di nuovo al piano di sotto.
“Mi hai delusa. Mi hai delusa in un modo che credevo
impossibile”- Sussurro prima di chiudermi la porta alle
spalle.
**
Oggi
è Venerdì, Edward mi ha raccontato che ogni
Venerdì,
quando George era in vita, lo passavano insieme. Molte volte uscivano,
molte
volte suonavano i loro strumenti e altre volte rimanevano semplicemente
in
Garage a guardare la tv.
Adesso sono le undici di sera e siamo al cimitero. E’ un
po’
strano trovarsi qui, sembra mostruoso, ma non lo è.
E’ qualcosa di triste,
dolce, doloroso, ma allo stesso tempo è un rimedio.
Forse è sbagliato, rimuginare sul proprio dolore, tornare
sempre in quel luogo che hai conosciuto davvero grazie al dolore
stesso. Ma ci
sono ricordi, c’è compagnia,
c’è amicizia, c’è amore.
C’è vita.
E non importa se le azioni che facciamo sono sbagliate,
importa che ci fanno stare bene e che, in un modo o in un altro ci
fanno
vivere, vivere davvero.
Edward depone della rose blu nuove, togliendo quelle
vecchie, che non sono nemmeno appassite. La madre e il padre di George
vengono
ogni due giorni, parlano con lui, gli cambiano i fiori, fanno quel che
possono
anche se può sembrare ormai inutile.
Edward inizia a parlare con lui. Gli racconta tutto quello
che è successo mentre eravamo via.
Piange, ride, scherza con lui. E lo faccio anch’io.
Iniziamo a parlare con quel ragazzo a me sconosciuto. Prendo
la mano di Edward e la stringo forte.
Per fargli capire che io ci sono e ci sarò sempre qualunque
cosa accada.
Per fargli capire che voglio condividere con lui anche
questo, il dolore.
Per fargli capire e per trasmettergli tutto l’amore che
posso in questo momento di mezza solitudine.
Per fargli capire che in un modo o in un altro ce la faremo,
riusciremo ad essere felici al cento per cento.
Perché quando una persona cara ti lascia, non è
detto che lo
faccia per sempre. Il solo ricordo è un segno indelebile che
resterà in noi in
eterno, la conferma che loro vivano in noi per sempre.
Anche se sorridiamo, anche se scherziamo non significa che
li abbiamo dimenticati, significa che forse, finalmente, dopo anni
stiamo
riuscendo a convivere con il dolore.
A convivere con una sola speranza; la speranza si non
dimenticare mai i nostri ricordi, di non dimenticarli mai nonostante
accada
qualsiasi cosa.
Perché loro ancora oggi vivono, dentro di noi, e fin quando
terremo preziosi i ricordi loro vivranno in noi, per sempre.
Edward mi stringe forte a lui. Le mie braccia circondano il
suo collo e la mia camicetta si bagna della sue lacrime.
Guardo il celo stellato sopra di noi, accarezzo i suoi
capelli mentre piange sul mio seno. E come una persona che ama, mi
prendo cura
del mio amore.
Un brivido di
freddo accarezza il mio corpo, costringendomi
ad aprire gli occhi.
Sono al cimitero. Confusa prendo il cellulare per
controllare l’orario; sono le sette del mattino. Ci siamo
addormentati.
“Edward?”
“”Mh”
“Edward? Svegliati!”- Esclamo per svegliarlo,
sembra che non
vuole saperne di aprire gli occhi.
“Dove siamo?”- Mi chiede mugugnando e guardandosi
attorno
confuso.
“Ci siamo addormentati. Su dai, andiamo.”- Mi alzo
pulendomi
le gambe sporche ti terriccio e lui mi imita.
“Mi dispiace.”- Sussurra, baciandomi dolcemente
sulle
labbra.
“Di cosa?”- Mormoro confusa.
“Per averti lasciata dormire qui.”- Mormora deluso.
“Tranquillo! Non lo hai mica deciso tu! E poi è
stato bello,
essere qui con te.”- Mormoro avvicinandomi a lui e lasciarmi
un piccolo bacio
all’angolo delle labbra.
“Ciao George”- Mormoriamo all’unisono e
ci incamminiamo
verso casa.
“Allora
ci vediamo alle tre in ufficio?”- Mi chiede davanti
casa mia. Annuisco e lo abbraccio forte baciandogli il petto.
“Ti amo. Edward.”
“Ti amo anch’io piccola mia.”
Entro in casa e sento mia madre che parla al telefono.
“Oh. No. E’ arrivata…grazie, si a
dopo” -Stacca la chiamata
e corre verso di me.
“Bella. Dove sei stata?”- Mi chiede con la voce
arrochita.
“Mi sono addormentata.”- Le dico scansandola e
andando verso
le scale.
“Potevi avvisarmi”
“Quale parte di ‘mi sono addormentata’
non ti è chiara?”
“Bella. Calmati…Io non
volevo…”
“Vado di sopra.”- La interrompo, non ho intenzione
di
discutere. Salgo le scale e una volta varcata la soglia di camera mia
mi butto
sul letto.
Sopra il letto noto un foglio bianco piegato in due.
Lo apro. Riconosco immediatamente la calligrafia e inizio a
leggerla.
Con
la
seguente non ho intenzioni di rabbonirti.
Sai mi
ricordo ancora, quella volta in cui avevamo litigato, io non volevo
parlarti.
Dopo tre giorni tu mi hai scritto una lettera. Quella è
stata la prima e
l’ultima volta.
Non è
mai successo che noi litigassimo in questo modo.
Voglio
solo farti capire che; non dimenticherò mai tuo padre. Non
succederà mai, ne
sono sicura.
Ti ho
insegnato che nella vita si ama al massimo soltanto una persona.
Non so
se è stato un insegnamento positivo, forse non è
vero, forse si può amare nello
stesso modo più volte. Questo però non significa
che Carl ha sostituito tuo
padre.
Io non
potrò mai dimenticarlo, non potrò mai dimenticare
quello che c’è stato e che
rimarrà per sempre in me. Probabilmente se tuo padre fosse
ancora qui con noi
ti direbbe quanto ci siamo amati, cercando di trasmetterlo a te.
Carl è
stata la mia svolta, è stato quel motivo per sentirmi almeno
un pochino bene. Mi
ha ascoltata e ha capito, ha capito che amerò Charlie per
sempre. Ha capito che
nessuno, che sia lui o un’altra persone potrebbe mai prendere
il suo posto nel
mio cuore.
La mia
relazione con Carl non cambierà niente, non almeno dentro di
me.
Sono
stanca di piangere continuamente. Voglio riuscire a convivere con la
perdita di
tuo padre in modo meno distruggente.
Spero
solo che tu mi comprenda.
Non ho
intenzione di perderti per un uomo. Ma non ho nemmeno intenzione di
perdere
Carl per una situazione che tu non riesci a capire.
Spero
che capirai. E ricorda: Qualunque decisione tu prenda nei miei
confronti io ti
amerò per sempre.
Reneè
Rileggo
più volte, bagnando così tante volte che sembrano
infinite, la lettera con le mie lacrime.
Sono troppo confusa. Mi abbandono sul letto e chiudo gli
occhi, sfinita.
___
Grazie per essere arrivate fin
qui <3
Roby :*
|
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Capitolo 14 *** She's Like Heroin ***
Love
save the pain.
She’s
Like Heroin.
Edward’s
Pov.
Fissavo lo
schermo della tv con interesse, per la prima volta
dopo cinque anni. Su MTV stanno trasmettendo il live di ; Radio Gaga.
Ricordo benissimo che, questa era la sua
canzone preferita, in assoluto. Ricordo perfettamente che, ogni
volta che la sentiva; Saliva su un divano, una sedia o, comunque,
qualcosa di
stabile su cui potesse salire e stare in piedi. Come se fosse un
mantra, una
regola; alzava un braccio, chiudeva il palmo della mano,
sull’arto che aveva
alzato, facendolo divenire un pugno e cantava: ‘ All We here
is, Radio Gaga’.
Trattengo le lacrime, contento che sia riuscito a farlo, non
perché c’è qualcuno accanto a me che
potrebbe vedermi soffrire, non perché
sento meno la sua mancanza, no! E’ perché adesso
sono diverso, ho qualcosa per
cui vale la pena lottare, vivere; L’amore.
Bella.
Il mio cuore si gonfia d’emozione, non appena penso a lei,
non appena pronuncio il suo nome.
L’unica persona che mi ha aperto una porta, portandomi via
da quel luogo in cui stavo perdendo me stesso. Mi ha trascinato in un
luogo che
non è tanto meglio di quello precedente, perché
provare il suo dolore non è poi
così diverso, ma c’è lei con me, questo
ha importanza, questo è essenziale.
Se anche mi troverei in un posto oscuro, all’interno della
mia anima, so che ci sarà lei con me e non
c’è niente di più bello di avere
questa consapevolezza; noi, insieme, nonostante tutto.
La canzone finisce, guardo l’orologio appeso alla parete del
mio salone, decido che è ora di andarmi a lavare per poi
andare in ufficio e
ricominciare.
“NON ERA COMUNQUE COSI’ CHE DOVEVO
SAPERLO”- Urlo a gran
voce verso mio padre, per l’ennesima volta. Credeva che
avessi dimenticato la
sua omissione dei dettagli della morte di George. Lui mi ha risposto
che in
qualche modo voleva proteggermi. Non c’è
l’ho a morte con lui, ma questo tipo
di atteggiamento da parte mia, nei suoi confronti, farà in
modo che, se, ci
sarà una prossima volta, ci penserà
più di due volte a nascondere certe cose.
Perché la verità prima o poi viene sempre a
galla, quindi
meglio non mentire, perché prima o poi risulterebbe inutile.
Qualcuno si schiarisce la voce e, in un attimo quel filo di
tensione che si era creato tra me e mio padre, sparisce in un soffio.
“Buon pomeriggio Mr Cullen, Edward.”- Ci saluta
cordialmente
Bella, appena arrivata in ufficio, si è già
cambiata ed è in perfetto orario,
dettagli che ha notato mio padre che, adesso le sorride teneramente.
“Bentornata Bella, come ti sei trovata a Seattle.”-
Si
abbracciano leggermente.
“Edward si è comportato bene?”- Le
chiede, ancora. A quella
domanda, le guance di Bella si colorano irrimediabilmente di rosso
acceso. Mi
avvicino a lei, lentamente, lei mi guarda timidamente con una nota
negativa
nell’espressione.
“Si, benissimo grazie.”- Balbetta, sia per
l’imbarazzo, sia
per ciò che immagina sto per fare. Non appena arrivo a
destinazione, il mio
braccio le allaccia la vita.
“Vedi Papà, io e Bella, abbiamo scoperto di amarci
mentre
eravamo via.”- Mio padre a quell’affermazione, ci
sorride e alza le mani in
segno di resa. Guardo mio padre negli occhi, i suoi cercano i miei
chiedendomi
scusa, e annuisco, facendogli capire che per me è tutto
okay.
Sfioro con le labbra la fronte di Bella e torno alla mia
scrivania.
“Appuntamenti Papà?”
“Si, sul Computer di Bella Tanya ha segnato tutto, mentre
voi eravate a Seattle.” Mormora distrattamente, al nome
‘Tanya’ Bella alza il
sopracciglio verso di me. Scuoto la testa tra me, no, non è
possibile. Sarà
intuizione, nient’altro.
Faccio finta di niente e chiedo a Bella di stamparmi in
ordine gli appuntamenti.
Quattro
famiglie, due caffè e cinque sigarette dopo, la
giornata lavorativa si sta concludendo. Massaggio le mie tempie tre
secondi e
inizio a sistemare alcuni documenti, mio padre ci congeda e se ne va.
“Lascia, faccio io.”- Sussurra Bella togliendomi i
fogli
dalle mani e impilandoli per bene.
Mentre sistema i documenti, il suo posteriore ondeggia ai
miei occhi, ed è una tentazione, una tortura.
La mia mano sfiora la sua coscia, coperta da collant fini,
sono così fini che riesco perfettamente a sentirne la
morbidezza e il calore.
La mia mano sale, fino a toccare, finalmente una sua natica,
inizio ad accarezzarla, e potrei sembrare un depravato ma non riesco a
non
farlo. E’ come mettere un drogato, in crisi di astinenza,
davanti a una dose di
eroina. Lei è la mia droga, è il mio bisogno
quotidiano, è qualcosa per cui
sono dipendente, e non mi fa paura perché al contrario
dell’eroina nutrirsi di
lei è sano, giusto, fenomenale, fantastico, tranquillo.
La sua mano afferra la mia spalla e dopo pochi attimi
ritrovo il suo viso ad un centimetro dal mio, riesco perfettamente e
sentire il
profumo del suo alito, fragola mischiato al tabacco della sigaretta.
E’ inebriante, come lei, come tutto ciò che ci
circonda.
Eccitazione, passione, amore, dolcezza.
“Impaziente, Mr Cullen?-” Mi chiede sorridendo
maliziosamente.
“Ovvio che si!”- Esclamo euforico.
“Bè non qui, non adesso, non siamo
amanti.”- Mi dice con
voce ferma, anche se un lampo di divertimento le sfiora gli occhi.
“Io e te. Stasera a casa mia.”- Sibilo al suo
orecchio.
“Assolutamente si.”- Mormora nelle mie labbra un
attimo
prima di andarsi a cambiare.
“Passo
a prenderti alle otto.”- Le dico baciandole la mano,
nell’atrio del grande edificio che ospita il nostro studio.
"Sono già tutta bagnata.”- Sussurra e poi scappa
via verso
casa.
Scoppio a ridere, la gente mi guarda male ma non importa,
voglio ridere, desidero farlo veramente.
**
“E’
bellissimo qui.”- Sussurra mentre guarda le stelle
dall’ampio terrazzo del mio attico.
“Mai quanto te. Sto contando i minuti per toglierti questo
vestito di dosso.” -Sussurro affondando il mio naso tra i
suoi capelli
fruttati.
E’ così strano trovarmi in questa situazione,
è così strano
sentirsi felici, è così strano pensare di avere
una possibilità.
Mai e poi mai avrei immaginato che una donna avrebbe avuto
questo tipo di influenza nei miei confronti, mai e poi mai avrei
immaginato che
fosse Bella. Dal primo giorno che ho incrociato i suoi occhi, mi ero
reso conto
che lei soffriva come lo stavo facendo io, credevo che ci saremmo
compatiti a
vicenda, credevo che potevamo parlarne, essere tristi per quella
piccola grande
cosa che avevamo in comune. Mai e poi mai avrei immaginato di poter
amare.
Credevo che dopo la morte di George non avrei più provato la
minima emozione positiva, era come se si fosse congelato il tempo. Era
come se
stessi chiuso in limbo pieno di solitudine, tristezza, dolore. Credevo
che mai
e poi mai ne sarei uscito.
Invece eccola, come un miracolo, piomba nella mia vita, la
similitudine ci ha fatto interessare l’una
dell’altro. La similitudine ha
scatenato una tempesta di cui l’essenza è
l’amore. All’inizio – quando mi sono
reso conto di amarla- credevo che fosse perché avevo trovato
una persona che
provava le mie stesse emozioni, credevo che fosse proprio per la
similitudine.
Più passavano i giorni, più mi rendevo conto che
il mio
amore per lei cresceva a dismisura, era alimentato da lei, dal suo
carattere e
di tutto ciò che di positivo possiede, mi sono reso conto
che il mio cuore
batte per lei, che non c’è un motivo, non
è stata la familiarità a farci
credere di amarci. E’ stato l’amore stesso. Quello
per cui vivi, quello per cui
senza non puoi farlo. Quello che ti fa sorridere, quello che ti fa
incazzare,
quello che è amore, quello che è tutto
ciò di cui ogni essere umano ha bisogno.
Forse il fato ha voluto farci incontrare, forse il fato ci
ha dato la possibilità di capirci a vicenda e amarci
più facilmente.
Sono sicuro che se non ci fosse successo tutto quello che è
accaduto, ci saremmo incontrati e lo stesso ci saremmo innamorati.
L’amore è irrazionale, l’amore
è come il dolore; Forte e
prepotente.
Le mie mani scivolano facilmente sui suoi fianchi morbidi.
Indossa un vestitino blu, corto, che lascia davvero poco spazio
all’immaginazione.
La mia mano arriva all’orlo del vestito e lo solleva. La sua
testa si adagia alla mia spalla e un sospiro di apprezzamento lascia le
sue
labbra.
Lentamente, dolcemente accarezzo la sua pelle così soffice e
vellutata. Sono solo due giorni che siamo tornati da Seattle, sono due
giorni
che penso a noi, sul letto, ad amarci, a sorriderci.
Velocissima, come un’anguilla si gira, e mi guarda negli
occhi. I suoi occhi sono accesi d’eccitazione, e
più mi guarda, più sento il
bisogno di rifugiarmi dentro di lei, di sentirmi protetto immerso nelle
sue
calde piaghe.
Amo il suo corpo quasi quanto amo lei. L’attrazione fisica
è
così potente che si potrebbe perfino sentire
nell’aria che ci circonda.
Il nostro limbo. Pieno d’amore, passione, dolcezza,
tristezza, dolore, emozioni che ci appartengono come noi apparteniamo a
noi stessi.
Con la mano raggiunge il mio petto e mi spinge dentro casa.
Sorpassiamo il salone, il corridoio e infine arriviamo in camera da
letto.
Senza lasciare il mio petto, mette un po’ più di
forza e mi spinge sul letto.
Rimango disteso e la guardo. Mi fa l’occhiolino e un sospiro
esce dalle mie
labbra.
Dal taschino del vestito, all’altezza del suo seno, estrae
una piccola pen-drive.
“Te lo avevo promesso.”- Sussurra piano con voce
grave. La
inserisce sullo stereo che tengo sul settimanile e schiaccia i pulsanti.
Rock
You like a Hurricane degli Scorpions
riempie il silenzio che si era
creato in pochi secondi.
Si toglie le scarpe e si posiziona ai piedi del letto
davanti a me.
Lentamente alza l’orlo del vestito ed estrae gli slip. Getto
la testa indietro e un sorriso malizioso spunta sulle sue labbra.
Inizia a ballare, e sfiora il suo corpo con le sue piccole
mani. Passa l’indice sulle sue labbra e lo lecca
sensualmente, poi lentamente
scende sul collo per poi finire sul seno, ancora coperto dal vestito.
Mentre lo
fa non smette un attimo di guardarmi negli occhi e, la cosa non fa che
portare
a livelli stratosferici la mia eccitazione.
Scende sempre più giù e alza il vestito, dandomi
visione
della sua intimità, adesso liscia.
Mi alzo immediatamente, afferro i suoi fianchi e le faccio
abbracciare la mia vita con le gambe. Mi avvicino allo stereo e lo
spengo,
mentre lei mi guarda male.
“Non ti è piaciuto?”- Chiede amaramente.
“Ovvio che si. Solo che voglio sentire urlare te, non mi
frega nulla al momento del balletto.”- Scoppia a ridere e
inizia a divorare le
mie labbra con lei sue.
Nei suoi gesti non c’è l’ansia della
prima volta, non c’è la
voglia di scoprire l’altro.
C’è un misto d’amore e passione,
c’è voglia di amarsi,
urgenza di perdersi nell’altro.
“Alza le braccia.”- Sussurro mettendola seduta al
centro del
letto e posizionandomi in ginocchio davanti a lei.
Alza le braccia e le sfilo il vestito dalla testa. Non porta
il reggiseno, e per pochi minuti mi perdo nel contemplare quel seno
così bello,
soffice, abbondante nonostante lei sia minuta. E’ perfetto.
La faccio distendere e accarezzo il suo collo, scendendo nel
solco tra i seni, sul suo ventre piatto, e infine sul suo monte di
venere. E’
liscio, morbido, diverso dalla prima volta.
“Come..”- Mi interrompe immediatamente baciandomi
co foga.
In pochi secondi ribalta la posizione.
L’aiuto a sfilarmi la maglietta e tutto il resto dei miei
indumenti. Afferra la mia erezione tra le mani e chiudo gli occhi. La
sua mano
sale e scende, provocandomi gemiti incontrollati, mandandomi in
paradiso e
all’inferno contemporaneamente. Apro gli occhi, e riesco a
vederla mentre
guarda quello che fa e si morde il labbro, è
un’immagine così erotica, che mi
sorprendo quando mi rendo conto di resistere a questo, a tutto questo.
Afferro le sue spalle e ribalto ancora una volta la
posizione, velocemente, ma con dolcezza faccio entrare un dito il lei,
che
immediatamente inarca la schiena facendomi sfiorare un suo seno con le
labbra
che, prontamente prendo in bocca.
Inizio a muovere il dito velocemente, infilandone poi un
altro,
Vezzeggio i suoi capezzoli con la lingua per poi succhiare
forte. Le sua mani tirano i miei capelli con forza. I suoi muscoli
intimi
stringono le mie dita in una morsa e inizio a palparle il clitoride.
Viene
prepotentemente, quasi subito, sussurrando il mio nome a raffica.
Inizio a
baciarle le labbra e le sue braccia mi avvolgono.
Poi lentamente, con dolcezza, ma con un urgenza dentro che
sento quasi incontrollabile.
Entro dentro di lei, piano. Mi fermo un attimo e lei apre
gli occhi.
“Ti amo tanto.”- Sussurra, e come la prima volta
una lacrima
scende dal suo occhio, che prontamente bacio, accogliendo anche questo
suo pezzetto
d’amore dentro di me.
“Ti amo anch’io. Tantissimo.”- Le
sussurro altrettanto
emozionato.
Inizio a muovermi più velocemente, e qui, in questo momento,
dento di lei, sento che sono protetto. Sento che sono coperto da una
scudo che
protegge qualsiasi forza negativa volesse farmi cambiare umore. Ma non
ci
riesce, perché lei è la mia salvezza, la mia
ancora, il mio porto sicuro, la
mia casa.
**
Una
settimana dopo.
“Pronto?”
“Edward! Alice mi ha rapita!”- Esclama Bella
inorridita.
Scoppio a ridere, ma poi capisco meglio quello che vuole dirmi. Oggi
pomeriggio
avevamo organizzato di andare al mare, ma Alice è tornata e
non vedeva
sicuramente l’ora di stare un po’ con Bella.
“Vuoi che venga a salvarti?”
“Oh si-”- Si interrompe quasi subito, e Alice si
impadronisce
del suo cellulare.
“Dai Edward. Non ci vediamo da un po’. Passare il
pomeriggio
con Bella sarà il tuo regalo per la mia Laurea. Oh ti
prego!”- Scoppio a ridere
al suono disperato della voce di mia sorella.
“D’accordo. Ma non farla disperare. E’ un
ordine.”
“Grazie, ti voglio bene. Ciao.”- Stacca la chiamata
e mi
guardo attorno. Dovrò trovare qualcosa da fare se non voglio
morire di noia.
Il citofono squilla e mi precipito a rispondere.
“Chi è?”
“Ciao Edward. Sono Reneé. Scusa se ti disturbo mi
chiedevo
se…”
“Sali pure.”- Sussurro, sicuro che voleva chiedere
questo e
l’idea la imbarazza.
“Ciao
Edward.”- Mormora sorridendomi e dandomi un bacio
affettuoso sulla guancia.
"Buon pomeriggio Reneé, accomodati, sei la
benvenuta.”-
Annuisce e mi sorride con gratitudine.
Ci accomodiamo nel salotto, apro le tende della
porta-finestra per fare entrare un po’ di luce, e far
apparire il posto un po’
meno macabro del solito.
“Vuoi del tè?”- Le chiedo cortesemente.
Lei scuote la testa
e picchietta sul tavolo, nella parte che le sta di fronte. Mi siedo e
aspetto
che parli.
“Vedi Edward, io e Bella siamo state sempre molto unite,
soprattutto dopo quello che è successo. Non so se lei ti
abbia messo al
corrente di questo.”- Si ferma un attimo, e io annuisco,
facendole capire che
si, Bella mi ha detto tutto.
“Sono contenta che si sia aperta almeno con te.”-
Sussurra
mentre inizia a torturarsi le mani e muoverle in modo nervoso.
“Reneé, calma. Stai tranquilla.”- Le
dico, non mi piace
vederla così, dal giorno in cui l’ho conosciuta ho
sempre visto una donna
solare, col sorriso sulle labbra, una punta di malinconia aleggiava nei
suoi
occhi, ma lei, comunque, cercava di fare del suo meglio per apparire
meno
fragile possibile, e ai miei occhi ci riusciva perfettamente.
“Non so più che fare. Le ho scritto una lettera.
Ho cercato
di parlarci in tutti i modi. E’ irremovibile. Non mi tratta
male, per carità, è
sempre molto gentile ugualmente, ma è che non sento
più la stessa intensità che
c’era prima tra di noi. Siamo sempre state l’ago e
il cotone, siamo sempre
state quel motivo per convivere nonostante tutto, siamo state
l’appoggio di cui
avevamo bisogno in ogni momento l’una per l’altra.
Io, io non credevo che Carl
avrebbe scaturito questo in lei. Immaginavo che ne sarebbe rimasta con
l’amaro
in bocca, ma credevo che dopo qualche giorno avrebbe accettato il
tutto.”- Dice
mentre piange incessantemente. Ed io non so cosa dirle, non so se il
comportamento di Bella sia sbagliato o giusto.
“Perché non provi a dargli altro tempo?”
“Perché lei è così, se non
cambia idea subito, non lo farà
mai.”- Mormora scuotendo la testa.
“Tu che faresti Edward al suo posto? Che faresti quando dopo
anni tua madre potrebbe essere di nuovo un po’ felice? Che
faresti quando
avresti la possibilità di non avere più un
fantasma per madre? Non credi che il
suo sia egoismo?”
“No Reneé. Il suo è orgoglio marchiato
dal dolore. Lei non
vuole in nessun modo perdere il ricordo del padre. La distruggerebbe.
E’ come
se lo tradirebbe se accettasse capisci? Lei non vuole nessuna figura
paterna,
non ti impedisce di vivere la tua vita, solo che tu, giustamente sei
tra
l’incudine e il martello, ma lei cosa deve fare? Ci hai
pensato? Hai pensato a
come si sia sentita? E come l’ha saputo? L’ha
saputo nel peggiore nei modi, ha
visto la realtà senza ulteriori spiegazioni. Non so come
avrei reagito. Quello
che posso dirti è: Posso provare a parlarci, ma sai meglio
di me quanto sia
testarda.”- Le dico sempre mantenendo il tono gentile. Non
c’è l’ho con lei, è
una madre che svolge il suo compito benissimo, può capitare
a tutti di avere un
periodo di destabilizzazione. Le sorrido, cercando di contagiarla e ci
riesco.
“La ami molto Edward. La ami così tanto da
renderla felice
nonostante tutto. Ed io te ne sarò grata per
sempre.”- Mormora con una lacrima
che le scivola dall’occhio.
“E’ spontaneo amarla”. Sussurro fiero di
me, per essere
riuscito ad amare una persona speciale come la mia Bella.
**
Olè, non vi
aspettavate l’aggiornamento eh? Bè che dire, le
mie mani hanno vagato nella tastiera senza fermarsi e con tutti i
ritardi precedenti
ho deciso di aggiornare subito.
Spero vi faccia
piacere, anche se siete molto silenziose.
Bando alle ciance.
L’amore di Edward e Bella si va
fortificando ogni giorno sempre di più, stanno riuscendo a
convivere con il
dolore facendo piccoli passi.
Il resto si
vedrà dopo. E ditemelo se vi piace, mi
rendereste felice :’)
Se volete aggiungermi
su Facebook sono qui: http://www.facebook.com/robystew.efp
Se non aggiorno BUONA
PASQUA
a tutte, ma credo che dovrei aggiornare, non lo so.
A presto.
Un bacio.
Roby <3
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Capitolo 15 *** When The Silence Worth a Thousand Words ***
Love
Save The Pain.
When
The Silence Worth a Thousand Words.
Bella’s
Pov.
Apro gli occhi,
infastiditi dalla luce mattutina che, filtra
dalla finestra e guardo la sveglia. Sono le sette e mezzo, tra
un’ora devo
essere in ufficio. Sbuffo e mi alzo. Sono questi i momenti in cui mi
manca l’albergo
di Seattle. Mi manca l’odore di Edward tra le lenzuola, mi
manca vederlo mentre
dorme e si sta per svegliare, mi manca la consapevolezza di essere in
un nostro
piccolo mondo.
Mi infilo sotto il getto dell’acqua e la mia mente si
stabilizza, si, mi serve una doccia per svegliarmi del tutto. Ieri
Alice mi ha
detto che tra una settimana sarà il compleanno di Edward,
sta organizzando una
festa, nella piscina di casa Cullen. Ovviamente ho accettato di andare,
non
voglio che Edward passi il compleanno senza di me, non voglio farlo
stare da
solo con me senza la sua famiglia quel giorno. Chissà se lui
ne resterà felice,
Alice mi ha detto che ogni compleanno lo organizzava George, e che sono
cinque
anni che lui chiede, implora, di non organizzare nulla,
perché comunque non
sarebbe bello, non sarebbe più lo stesso. Abbiamo comunque
deciso di provarci,
Alice crede che la mia presenza sarà il motivo per accettare
di buon grado la
festa. Oltre a questo sono abbastanza in crisi, cosa gli regalo? Scuoto
la
testa, ancora insaponata e decido di godermi la doccia e poi pensare al
regalo.
Afferro la tazza e bevo il caffè tutto d’un sorso,
anche se
è bollente non riesco a berlo freddo. Mia madre scende le
scale ed è ancora in
pigiama e vestaglia. Decido di non fare domande, anche se la
‘discussione’
sembra essersi conclusa. Io ignoro la sua relazione con Carl, lei non
commenta.
Credevo che dopo che lei avesse accettato questa mia decisione, tutto
sarebbe
tornato come prima. Ma no, è come se non ci conoscessimo, a
stento ci
salutiamo, a stento ci vediamo. Fino a qualche giorno fa riuscivamo
sempre a
trovare del tempo, per parlare, per ingozzarci di cioccolata, per
dipingere le
unghia all’altra. La sera dopo cena, per colazione, al
pomeriggio quando sono a
casa. Ma niente è come se quella luce che manteneva il
nostro rapporto si fosse
spenta. E’ come se fossimo ‘costrette’ a
convivere insieme. Ed è brutto, fa
male pensarci ma è così. Forse non sono la figlia
modello, forse mi sarei
dovuta comportare diversamente, ma io sono io, niente può
cambiarmi. E lei
doveva immaginare, se non capire, che questo sarebbe successo.
“Buongiorno.”- Sussurra con voce arrochita.
“Buongiorno Mamma.”- Mormoro tranquillamente.
Cercando di
farle capire che comunque io le voglio bene, le voglio bene come
sempre. Che ho
capito quello che lei prova per Carl, ho capito che lui nel suo cuore
non potrà
mai prendere il posto di mio padre. Ma il mio giudizio, il mio rapporto
con lui,
non deve necessariamente essere rose e fiori, a me basta che lei sta
bene, ma
non voglio conoscerlo, non voglio dargli la possibilità di
entrare nella mia
vita e convincerlo che lui è riuscito a prendere il posto di
Charlie Swan.
“Bella. Vorrei chiederti una cosa.”- Mormora
accendendo una
sigaretta.
“Dimmi. Ti ascolto.”- Sussurro.
“Stasera Carl ha organizzato una cena. Ci sarà
anche sue
figlia. Mi chiedevo se tu…”
“No mamma. Non siamo una famiglia. Lui con il mio concetto
di famiglia non c’entra nulla. Ora se vuoi scusarmi vado a
lavoro.” Dico
alzandomi e riponendo la tazza sul lavello della cucina.
“Okay. Scusami se ho potuto pensare che avresti
accettato.”-
Dice con un pizzico d’ironia anche se la sua tristezza, per
questa mia risposta,
è palpabile.
Afferro la giacca e in quarto d’ora mi ritrovo in tailleur
davanti la mia scrivania. Apro il file che contiene gli appuntamenti e
mi passo
una mano in fronte. La ragazza che mi ha sostituito ha fatto un casino.
Non si
capisce nulla!
“Buongiorno amore!”- Esclama Edward posandomi un
bacio
leggero sulle labbra.
“Buongiorno.”- Sussurro nervosamente. Non voglio
prendermela
con lui, ma la giornata è iniziata in modo decisamente
negativo. La mattina
passa tra clienti e telefonate. Ogni tanto cerco di strapparmi la
giacca del
Tailleur di dosso, ma resisto. Vorrei urlare, per non so quale motivo,
ma ho
bisogno di farlo. Ogni tanto tiro qualche ciuffo dei miei capelli, e
si, sono
impazzita.
Esco fuori nel terrazzo e accendo una sigaretta
immediatamente, come un Robot.
Mi giro e mi affaccio guardando la città dal settimo piano.
“Bella!”- Mi chiama Edward affannato.
“Che c’è?”- Gli chiedo confusa.
“Dovrei essere io a chiedertelo! E’ tutta la
mattina che sei
nervosa, non mi parli, se non a monosillabi, c’è
qualcosa che non va?”- Mi
chiede visibilmente dispiaciuto.
“No. E’ solo che diciamo che mi sono alzata con il
piede
sbagliato.”- Sussurro accarezzandogli il viso lentamente.
“Okay.”- Mormora guardandomi preoccupato.
“Lo sai che Ti amo?”- Gli sussurro un attimo prima
di
baciarlo a fior di labbra.
“Si, lo so che mi ami.”- Mormora per poi voltarmi
le spalle
e tornare in ufficio.
Sbuffo arrabbiata. Oggi è proprio nera, nera, nera. Meglio
che me ne torni a casa a rifugiarmi sotto le lenzuola.
Clicco
sulla x che compare sulla finestrella e chiudo tutti
i file aperti del pc. Allontano sonoramente la sedia dalla scrivania e
corro a
cambiarmi. Per tutto il tempo Edward non mi ha rivolto la parola.
Eppure non
ero io quella incazzata? Forse si è offeso perché
voleva che gli parlassi, ma
non voglio angosciarlo più di quanto non lo sia di suo.
“Io vado a casa. Scendi con me?”- Gli chiedo
speranzosa.
“No. Devo sistemare ancora dei documenti. Ci vediamo
dopo.”-
Sussurra con gli occhi incollati al computer, Stringo i pugni e mi
avvicino per
baciarlo. Lui si gira e mi porge la guancia.
“Fottiti.”- Sussurro e me ne vado via.
Inizio a piangere senza che me ne sia resa conto. Sono
lacrime di rabbia, che scendono senza preavviso. Dio, sono
così arrabbiata che
vorrei addormentarmi e svegliarmi domani direttamente.
“Bella?”- Mi chiama mia mamma, che sicuramente ha
notato la
mia faccia stravolta.
“Non mi va mamma.”- Le dico stroncandola. Salgo le
scale e
butto la borsa sul letto. Mi passo una mano tra i capelli e con le mani
afferro
la trapunta del mio letto e la butto per terra. Inizio a saltarci sopra
e la
prendo a calci. Scendo le scale di fretta e prendo il telo per poi
distenderlo
nella spiaggia.
Afferro l’I-Pod e i System of a Down partono a tutto volume
con CIGARO. La canzone fa effettivamente ridere per le frasi, ma
è una di
quelle che invadono la mente in modo impeccabile. Inizio a respirare
regolarmente e la canzone cambia in Radio/Video. Scoppio a ridere,
sicura che
sia per il nervoso e per la fase post-pianto.
“Hey man look me rocking
now. I’m
on the Radiooooo!”- Inizio a cantare e a volteggiare su me
stessa. Cerco di
tranquillizzarmi e ci riesco. Inizio a ballare con il venticello che
soffia sui
miei capelli. Agito le mani, come per liberarmi del peso che porto
sulle
spalle. Della situazione, che non è mai stata tranquilla, ma
meglio di adesso
si. Chiudo gli occhi e con le mani stiracchiate lateralmente alzo il
viso verso
il cielo.
“Ricorda
Bells, niente è più bello del saper voler
bene.”- Sussurrò tra i miei capelli,
quello era il suo modo per coccolarmi.
“Pelché
Pappà?” - Nel sentirmi parlare scoppio a ridere,
ma divenne immediatamente
serio.
“Perché
ti fa stare bene voler bene qualcuno, perché voler bene
qualcuno ti da un
motivo in più per sorridere.”
“Io
sollido pelché ti vollio bene.”- Sussurrai a soli
cinque anni. Lo ricordo
ancora, ricordo come cercava di insegnarmi ad amare il prossimo
già da piccola.
Ricordo il suo sorrido che mi aveva dedicato quella volta. Ricordo che
mi
abbracciò forte tanto forte che mi lamentai piagnucolando, e
gli dissi di
lasciarmi immediatamente, altrimenti avrei smesso di volerlo bene. A
saperlo
glielo avrei detto più spesso quel ‘ ti voglio
bene’, lo avrei abbracciato e
non lo avrei lasciato mai. A saperlo quella volta avrei anche rotto la
serratura di casa, in modo da non farlo uscire e farlo restare per
sempre con
me, con noi.
Inizio a
piangere, sapendo che è normale, naturale, pensarlo
e piangere. Ma almeno mi sento viva, provo emozioni, questa
è la cosa che mi fa
gioire del fatto che io non l’abbia dimenticato.
Perché pensandolo per poi
piangere, è la prova del mio amore per lui, è la
prova che lui resterà per
sempre qui, nel mio cuore, che niente e nessuno potrà mai
farmi dubitare dei
miei ricordi. Che nessuno può prendere il suo posto,
perché nessuno ne è all’altezza.
“Sto
un po’ così oggi…Cosa devo farci? Tu
che faresti? Che
mi diresti?”- Chiedo al mare, invano.
“E poi, poi Edward oggi si è comportato
così male, che DIO
che nervi.”- Sussurro dandomi mentalmente della stupida.
Scuoto la testa e la
prendo tra le mani. Che brutta giornata.
Asciugo le lacrime e prendo il telo, riponendolo al suo
posto.
“Bella?”- mi fermo non appena entro sentendo la
voce di mia
madre, è disperata.
“Dimmi mamma.”
“Vorrei, vorrei parlare con te se non ti dispiace.”
-Si
avvia in cucina e torna con una ciotola in una mano e i cucchiaini
nell’altra.
“Ho preparato la mousse al cioccolato al latte, come piace a
te e-”
Mi siedo sul divano e batto la mano nel posto a fianco. Lei
mi sorride e si avvicina.
Non appena si siede l’abbraccio immediatamente.
“Mi sei mancata Mamma.”- Sussurro con le lacrime
che
rischiano di uscire dai miei occhi.
“Oh tesoro. Mi sei mancata anche tu.”- Sussurra
accarezzandomi i capelli con il mento. Lo ha sempre fatto, dal giorno
in cui
sono nata. E’ il nostro modo di dirci ti voglio bene. Sorrido
sentendo l’odore
di mia mamma, mi era mancato anche quello.
“Cosa ti turba amore mio? Bè oltre a-”
-inizio a parlare per
evitare di farla sentire in colpa. Anche se. ne sono sicura,
l’avrò già fatta
sentire in colpa.
“Vedi mamma è che oggi è proprio una
giornata nera. Sai
quando dicono ‘il buongiorno si vede dal mattino ’
ecco intendo questo.”
“Ed oggi è iniziata male per me no?”-
Annuisco
impercettibilmente e lei infatti non lo nota. Rimango in silenzio, un
silenzio
necessario, un silenzio costituito da milioni di parole.
“Mi dispiace Bella, non credevo che poteva succedere tutto
questo.”- Mormora tristemente, io rimango in silenzio, ancora
una volta.
“Credevo che tu potessi essere felice per me, che in un modo
o in un altro avresti capito. Forse sono stata fin troppo ottimista. Ma
va
bene, così. Cercherò di non farti pesare questa
situazione. E scusa se non ho
pensato a te prima di tutto, per una volta nella vita.”-
Dalle parole la sua
voce dovrebbe risultare pungente, ma non lo è, è
dispiaciuta, è triste. Io la
abbraccio forte, senza capirne il motivo, senza che io
l’abbia deciso. E’ mia
madre, è sempre stata una mamma competente, nonostante tutto
mi ha cresciuta,
nonostante tutto è qui con me. Forse un’altra
persona al posto mio avrebbe
accettato di buon grado la situazione, forse ancora una volta, sono io
che non
vado bene.
Finiamo la mousse ridendo, pensando a quante volte lo
abbiamo fatto. E mi era mancato tutto questo, parlare con lei, ridere,
scherzare, guardare i suoi occhi e vederci ancora una volta
l’universo.
Tutti meritano di essere felici, anche la gente che non lo
merita davvero. E lei lo merita, come lo merito io. Lei ha trovato un
pezzetto
di felicità, come l’ho trovato io.
Salgo di sopra e afferro il cellulare.
“Pronto?”- Risponde, Edward, al primo squillo.
“Ciao.”
“Ciao.”- Risponde con voce tranquilla. Passano i
secondi in
silenzio, nessuno dei due parla, nessuno dei due attacca, nessuno dei
due ha
intenzione di rompere questo silenzio necessario.
“Che cosa è successo esattamente oggi?”-
Gli chiedo
sussurrando.
“Non è successo niente.”- Aggiunge con
uno sbuffo.
“Allora cos’hai? Allora perché non mi
hai neanche salutata
oggi? Ho fatto qualcosa?”
“No. Come hai detto tu oggi; mi solo alzato con il piede
sbagliato.”- Dopo questa sua risposta vorrei davvero averlo
qui per tirargli un
cazzotto.
“Va bene. Passa una buona serata. Ciao.”- Attacco
il
telefono senza che gli abbia dato il tempo di rispondere e mi passo una
mano
tra i capelli, lanciando il cellulare sul letto.
Che se ne vada a fare in culo.
**
“Bella.
Stasera come sai, io non ci sono. Vuoi che ti
prepari qualcosa per cena?”- Mi chiede mia mamma
accarezzandomi i capelli, dopo
averle raccontato la mia ‘mini-lite’ avuta con
Edward.
“No mamma. Mangerò la frutta.”- Sussurro
baciandole la
guancia.
“Bella. Dovresti alimentarti con più
regolarità. Sei troppo
magra.”- Scuoto la testa e accendo la tv.
“Tesoro. Gli uomini sono così. Gli
passerà vedrai.”-
Sussurra prima di tornare in cucina.
Il campanello suona e, lascio che mia madre vada ad aprire,
non vorrei trovare ancora qualche ‘sorpresa’.
Sento dei passi sul salotto e strizzo gli occhi.
“Bella?” Mi chiama mia mamma.
“ Mh?”
“C’è Edward che ti aspetta qui
fuori.”- Sussurra.
Annuisco e prendendo le sigarette mi dirigo fuori.
“Ciao.”- Sussurra sorridendomi.
“Ciao? Ciao? Hai seriamente detto ciao?”- Gli
domando
inorridita. Lui annuisce e mi giarda confuso.
“Che diamine è successo? Che diavolo ti
è preso oggi? Posso
saperlo? Potresti gentilmente darmi il privilegio di
dirmelo?”- Gli chiedo
ancora.
“Dovrei essere io a chiedertelo.”- Sussurra
serenamente,
come se stessimo parlando di scarpe Lo guardo torva e incrocio le
braccia sotto
al seno guardandolo.
Rimaniamo in silenzio guardandoci con sguardo di sfida,
cercando entrambi di provocarci. Dio, che situazione assurda.
“Cosa è successo stamattina?”- Mi chiede
dolcemente
avvicinandosi e ammorbidendo lo sguardo. Gli racconto tutto e lui mi
ascolta
senza interrompermi. E adesso, che gli sto raccontando tutto, mi
accorgo di
quanto infantile devo essere risultata oggi ai suoi occhi.
“Io credevo che tu c’è
l’avessi con me.”- Mormora abbassando
lo sguardo.
“Hai qualcosa da farti perdonare? Cosa ti fa credere che sia
così?”
“No. Niente, è stata
un’impressione.”- Mormora. Mi avvicino
a lui e lo abbraccio.
“Perché non mi hai salutata oggi? Mi hai fatto
male.”-
Sussurro dandogli un bacio all’altezza del cuore.
“L’ho fatto per farti avere una reazione, per
sapere cosa ti
turbava stamattina.”
“Bè, la prossima volta chiedimelo
direttamente.”- Borbotto.
Lui scoppia a ridere e servendosi del mio mento avvicina le sue labbra
alle mie,
che agognavano il momento da troppo tempo.
“Verrai con me?”- Gli chiedo una volta davanti casa
mia. Ho
preso una decisione, ho deciso che una possibilità si da a
tutti. Voglio
conoscere questo Carl, capire se è all’altezza di
mia madre, e se può renderla
felice sempre. Ma non prenderà mai il posto di mio padre,
nessuno al mondo può
farlo.
“Hai deciso che andrai?”- Mi chiede speranzoso. Io
annuisco
e lui mi bacia appassionatamente.
“A che ora vengo a prenderti?”
“Alle otto”- Annuisce e mima ‘a dopo
’ per poi raggiungere
la sua auto.
Entro in casa, sperando che non sia troppo tardi e corro a
farmi la doccia.
“Mamma?”- Sussurro con l’asciugamano che
copre il mio corpo.
“Che c’è tesoro?”
“Avete due posti disponibili per stasera?”- Le
chiedo
incrociando mentalmente le dita.
“Oh tesoro.”- La sua voce è emozionata,
mi corre incontro e
mi abbraccia, slacciando per sbaglio il telo che copre il mio corpo.
“Sono così felice. Certo che ci sono due posti. Ci
sarà
sempre posto per te.” -Mormora con le lacrime agli occhi.
Scoppia a ridere, quando l’asciugamano cade per terra. Poi
il suo sguardo diventa severo.
“Cosa sono quelle macchie sul seno?”- Mi chiede
seriamente.
Io acchiappo l’asciugamano e la ri-allaccio goffamente sul
mio corpo. La guardo
indugiando, cercando di dirgli silenziosamente come stanno le cose. Che
sono
cresciuta e che deve accettarlo.
“Oh non mi hai detto niente!”- Esclama delusa.
Scoppio a ridere,
trovando la situazione alquanto strana.
“Dimmi tutto! Come è stato?
Racconta…”
“No! NO MAMMA!”- Dico tra le risate. Lei mi guarda,
aspettando che le dica ciò che vuole sapere.
“Dai Bella! Sono tua madre!”- Mi implora assumendo
la stessa
espressione che mi ricorda tanto Alice.
Nego col capo e corro a vestirmi.
“Prendi la pillola! Se non vuoi avere figli,
ovviamente.”-
Urla dal piano di sotto. Scoppio a ridere guardando la scatola di
anticoncezionali sul mio comodino e scuotendo la testa.
“Piacere,
e scusa se…si, per l’altra volta.”-
Mormoro
avvampando porgendo la mia mano a Carl.
“Oh, non preoccuparti. Il piacere è mio. Tua mamma
mia ha
parlato tanto di te.”- Mi dice sorridendo.
Guardo mia mamma che mi sorride, ma nel suo sguardo aleggia
l’ombra della preoccupazione.
“Possiamo andare?”- Chiede Carl a mia madre.
“No. Aspettiamo Edward. Il ragazzo di Bella.”-
Sussurra mia
madre guardandomi con sguardo malizioso. Avvampo più di
prima e, ne sono
sicura, mi farà pentire di non averle raccontato tutto.
“Carl? Non veniva con noi tua figlia anche?”-
Chiede mia
madre al suo compagno? Fidanzato?
“No. Aveva un appuntamento con la madre. Non è
riuscita. Ma
vuole conoscerti.”-Mia madre annuisce e rimaniamo in silenzio
finché non arriva
Edward e ci avviamo verso il ristorante.
“Come ti sembra?”- Mi chiede Edward mentre seguiamo
l’Audi
di Carl. Mia mamma è in macchina con lui, io sono con Edward
nella sua auto.
“Abbastanza okay. Ma non importa. Importa che rende lei
felice.”- Sussurro.
Lui annuisce e mi guarda di sbieco sorridendo.
“Sono contento che tu abbia decido di dargli una
possibilità.”
“Già lo sono anch’io.”
“Si.
Ci sono molti casi di questo tipo. Noi, per quanto
possiamo. cerchiamo di stare dietro a tutto.”- Mormora Edward
parlando a Carl
del suo lavoro. Carl fa il medico, è una persona abbastanza
elegante e
intelligente. Mia madre lo guarda affascinata, ogni tanto si scambiano
uno sguardo
complice, ogni tanto lui le sorride.
“E tu Bella? Come ti trovi nel tuo lavoro?”- Mi
chiede
gentilmente, rimanendo nei limiti.
“Io bene. Mi piace fare questo lavoro. Ovviamente non credo
che rimarrò per sempre a fare la segretaria.”- Con
questa affermazione. Edward
mi guarda truce.
Non accetta questa mia decisione, mi ha rivelato che
vorrebbe avermi sempre al suo fianco. Ma che comunque non vuole impormi
qualcosa che a me non sta bene. Ho apprezzato le sue parole, ma nel mio
futuro –le
poche volte che mi sono concessa di pensare al futuro- mi sono sempre
vista
come una donna pieni di ambizioni, magari amministratrice delegata o
ragioniera
o Laureata in medicina. Non accetto di rimanere segretaria a vita.
“Cosa vorresti fare dopo?”- Mi chiede bevendo un
sorso di
vino.
“Non lo so ancora. Forse vorrei laurearmi. Vorrei comunque
fare qualcosa di più importante, ecco.”- Sussurro,
lui mi sorride e mi
contagia.
“Spero che tu faccia quello che desideri.”-
Annuisco e
continuo a consumare il mio cocktail di gamberi.
La serata passa tranquillamente. Finiamo la cena e, con
qualche protesta da parte di Edward, Carl paga per tutti.
Rimango con mia mamma e le sorrido.
“Sei felice mamma?” -Le chiedo dolcemente.
“Non al cento per cento, direi più
contenta.”- Mormora. Io
annuisco e mi avvicino soffiandole un bacio sulla guancia.
“Possiamo andare?”- Ci chiede Edward sorridendo. Io
e mia
madre annuiamo e ci alziamo.
“Okay Bella. Spero di rivederti presto.
Buonanotte.”- Mi
dice Carl stringendomi la mano.
“Lo spero anch’io.”- Saluto mia madre,
dicendole che passerò
la notte da Edward e ci dirigiamo a casa sua.
“E’ carino però.”- Mi dice
Edward dolcemente, chiedendomi
tra le righe cosa ne penso di Carl.
“Si mi piace.”- Sussurro appoggiando la testa sul
sedile.
°°°
|
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Capitolo 16 *** The Quiet Before The Storm ***
Love Save The
Pain.
The
Quiet Before The Storm.
Edward’s
Pov.
“Non
posso credere che tu l’abbia fatto.”- Sussurro
incredulo sotto lo sguardo timido di Alice.
“Edward io…”- Cerca di dire, prima di
essere interrotta da
Bella.
“Non è colpa di Alice. Anch’io ho
incoraggiato il tutto.”-
Ammette con voce flebile.
Non sono arrabbiato, ma solo deluso. Non credevo che
avessero organizzato la mia festa di compleanno, sanno benissimo,
specie Alice,
che non avrei mai e poi mai voluto festeggiare.
Ogni anno, come di tradizione, George organizzava una festa
a sorpresa, ogni anno me lo aspettavo, ogni anno facevo finta di
rimanerne
sorpreso.
Dal giorno della sua morte, tutti avevano evitato di dirmi
‘buon
compleanno’ , figuriamoci fare una festa. A parte che non mi
sento in umore da
festa.
Ci sono giorni, alcuni più di altri, che ti fanno pensare a
certe cose. Ad esempio io soffro ogni giorno la perdita di George, ma
quando
arriva l’anniversario di morte o, il compleanno o
semplicemente il Venerdì. Non
è che in quei giorni lo penso e in altri no, è
semplicemente che le ricorrenze
ci fanno chiedere i perché.
E’ come vivere un’ingiustizia. E come se, il mondo
piano
piano, giorno per giorno, crollasse sotto ai miei piedi, come un vaso
che si
rompe piano piano. Ogni scheggia è un parte di dolore che
penetra il mio corpo,
e più passano gli anni, i mesi, le settimane, i giorni, le
ore, i minuti, i
secondi, il dolore penetra il mio cuore sempre in
profondità, arrivando a
perforare la mia anima per attimi, infiniti attimi.
E sono quelli i momenti in cui hai paura del buio. Quando
tutto attorno perde la luce, quando ogni speranza lo fa, quando ti
senti perso,
come una persona che perde la vista improvvisamente. Dicono che si ha
paura
dell’ignoto, io non credo sia così,
perché il dolore lo conosco bene, eppure la
paura del dolore non mi ha mai lasciato un attimo.
“Vi lascio soli.”- Sussurra Alice, dirigendosi
dagli altri. Noi
siamo in quella che una volta era camera mia.
“Edward, mi dispiace, io non credevo
che…”- Scuoto la testa
interrompendola, non c’è l’ho con lei,
né tantomeno con Alice. Loro lo hanno
fatto per me, non hanno pensato al dolore, ma chi lo avrebbe fatto? Chi
non
vorrebbe vedermi felice almeno per pochi minuti? E adesso che tramite
Bella, ho
conosciuto la felicità, perché non mostrarla
anche ai miei cari? In questi mesi
ho scoperto una cosa; il dolore non andrà mai via, ma si
può convivere con
esso, con una buona dose di felicità, armonia e amore.
“Andiamo dai.”- Sussurro a Bella. Lei si toglie la
maglia e
i pantaloncini, indossa un costume nero con delle sfumature grigie
brillantinate. Il suo corpo è stupendo e vorrei chiudere
questa porta all’istante
se non fosse che c’è quasi tutta la mia
generazione lì fuori.
“E’ una festa in piscina.”- Annuncia
porgendomi un costume
per me. Io annuisco e lo infilo, sotto il suo sguardo malizioso. Si
avvicina a
me e mi bacia il collo dolcemente.
“Grazie.”- Sussurra, leccando la parte che pochi
secondi
prima aveva baciato. La mia mano corre a palpare una sua natica e lei
sorride
sul mio collo.
“Non cambiarti dopo.”- Sussurra prima di prendermi
per mano
e raggiungere gli altri.
Ci sono i miei nonni paterni, i miei zii, i miei cugini,
Emmett e Rosalie, appena rientrati dalla luna di miele, Alice e Jasper
che
telefonicamente ho imparato ad apprezzare. Forse averlo lontano da me,
me lo ha
reso più simpatico, occhio che non vede cuore che non duole.
Ci sono anche
alcuni amici che non vedevo da una vita.
“Edward. Piccolo mio!” -Esclama mia nonna Julia
abbracciandomi stretto. Bella mi sorride e accarezza la mia spalla.
“Nonna lei è Bella.”- Mormoro a mia
nonna che non accenna a
lasciarmi andare.
“Oh ma che bella ragazza. Complimenti!”- Urla,
credendo che,
dato che non ci sente lei lo stesso sia per noi, Bella le sorride e la
ringrazia dandole un bacio sulla guancia. La prima di altre centinaia
di
presentazioni.
“Ciao Jazz!”- Esclama Bella, correndo ad
abbracciarlo. Lei e
Jasper hanno istaurato una bella amicizia, si abbracciano e Jasper le
sorride,
ma la cosa, stranamente non mi innervosisce. Poi Alice trascina via
Bella.
“Ciao Edward!”- Saluto Jasper e iniziamo a parlare
un po’.
Mi fa strano ammetterlo, me è davvero un ragazzo in gamba.
“Quindi ti trasferisci a New York?”- Gli chiedo.
Lui
annuisce e mi guarda.
“Alice è contenta, le è sempre piaciuta
l’idea di una casa a
New York…”
“Aspetta! Volete andare a vivere insieme?”
“Si. Non te lo ha detto?”- Scuoto la testa e guardo
mia sorella
lanciandole uno sguardo omicida. Lei mi sorride e mi soffia un bacio.
“Ehi Edward!”
“Ciao Jordan! Come va?”- Chiedo ad un amico che non
vedevo
dalla prima guerra civile.
“Tutto bene.”- Sussurra guardandosi attorno.
“Che c’è? Qualcuna ha già
fatto colpo su di te.”- Scoppia a
ridere e annuisce.
“Guardala è quella lì!”-
Esclama cercando di avvicinarsi a
quella ragazza bellissima, con un corpo splendido fasciato da un
costume nero.
Lo fermo da un braccio e inizio a camminare a passo veloce verso Bella.
Prendo il suo viso tra le mie mani e divoro le sue labbra
con le mie, marcando il territorio, lancio uno sguardo a Jordan alla
‘lei è mia’.
Bella mi abbraccia e sorride sulle mie labbra. Jordan rimane a fissarci
con la
bava alla bocca.
Avvolgo la vita di Bella con un braccio mentre lei parla con
Rosalie della luna di miele. Sono stati alle isole Bahamas.
“Facciamo un tuffo?”- Mi chiede Bella io annuisco e
ci
avviciniamo alla piscina.
C’è solo mia madre con mia zia Marie che parlano
tranquillamente a bordo vasca.
“Qualche volta andiamo al mare?”- Le chiedo
appoggiando la
testa al suo seno. Lei scuote la testa e la guardo negli occhi. Zona
off
limits.
“N-non…”- Poso l’indice sulle
sue labbra e dolcemente la
zittisco.
“Ne parliamo un’altra volta.”- Sussurro
baciandola
passionalmente. E’ assurdo e a allo stesso tempo magnifico il
nostro modo di
passare dalla modalità grigia e quella rossa. Per ogni
minima cosa, che
riguarda il dolore, diventiamo
tristi,
ma non appena uno si avvicina all’altro l’umore
cambia, di radice, colore.
“Sei la mia salvezza.”- Sussurra guardandomi
intensamente
negli occhi.
“Tu sei la mia.”- Soffio sulle sua labbra prima di
afferrarle i fianchi facendola alzare e baciare il suo ventre piatto e
morbido
al tempo stesso.
“Affittatevi una camera!”- Urla quel troglodita di
mio
fratello, scoppio a ridere e Bella arrossisce nascondendo il viso
nell’incavo
del mio collo.
Il pomeriggio passa tra baci, chiacchierate, sfioramenti
sensuali, insulti per mio fratello, abbracci con i familiari. Mi manca,
tantissimo, ma sono felice, lo sono e sono fiero di me per aver trovato
Bella
ed essere riuscito a sorridere nonostante tutto.
Apro i regali; Ci sono un sacco di cd, libri, maglie, una
valigetta nuova per il lavoro, una tuta e accessori per
l’auto. Infine Bella mi
porge il suo.
“Non dovevi.”- Sussurro sincero, il suo regalo
è il suo
amore, niente è più prezioso di quello.
“Non è niente di che.”- Sussurra
imbarazzata, lo scarto e
immediatamente sgrano gli occhi.
E’ una maglietta nera, in mezzo c’è
stampata una foto; mia e
di George. Ricordo quel giorno, avevamo appena finito di suonare, dopo
qualche
birra di troppo, Emmett aveva be pensato di farci delle foto. Ricordo
che lui
mi disse: ‘questa è la più bella, sai
perché? Perché siamo noi, siamo due
semplici amici che ridono ’. Una lacrima riga il mio viso e,
vorrei prendermi a
pugni dato che qui presente c’è tutta la mia
famiglia. Bella mi guarda e bacia
la mia guancia.
“E’ perfetta.”- Sussurro. Lei guarda
Alice, che mi sorride,
porto una mano alla bocca e soffio un bacio a mia sorella.
Vedo mia madre prendere per mano Bella e, dirigersi insieme
dentro casa.
“Sono contento Edward, lo sono per te.”- Mormora
serio mio
fratello a fianco a me.
“Grazie.”- Sussurro. Lui annuisce e corre da
Rosalie.
“Tesoro
sono felice che ci sia Bella con te.”- Sussurra mia
madre con le lacrime agli occhi, lei è stata
l’unica a sopportare me e il mio
dolore, lei è stata la più forte ad affrontare
tutto con me, lei c’è sempre
stata e ci sarà sempre.
“Anch’io mamma, è solo che, mi sento
come…”
“Edward non devi sentirti in colpa, lui non vorrebbe, lui ne
sarebbe felice. E non importa se non saremo mai felici al cento per
cento,
importa riuscire a convivere con il dolore. Lui vorrebbe vederti
felice, lui a
vederti così soffrirebbe.” -Sussurra mia madre
abbracciandomi.
“Ti voglio bene mamma.”
“Ti voglio bene piccolo mio.”
Bella ci raggiunge sorridendo e si abbraccia con mia madre.
“Spero che sia stato bello per te.”- Sussurra
ansiosa.
“Lo è stato.”- Con ancora il costume
addosso – come mi aveva
chiesto lei- ci dirigiamo in macchina.
“Andiamo da me?”
“No. Accompagnami a casa.”- Sussurra mentre io
dentro di me
disapprovo.
“Non entri?”- Io la guardo confuso, sono le undici
di sera,
sarà stanca, sua madre sarà a letto, al massimo
potevamo andare a casa mia.
“Non c’è nessuno.”- La sua
voce improvvisamente diventa
roca. Slaccio la cintura e scendo dall’auto, con uno slancio
mi fiondo sulle
sue labbra. Non so come, ma, in pochi secondi ci ritroviamo mezzi nudi
sul suo
divano del soggiorno. C’è urgenza,
c’è voglia di diventare una cosa sola. Non
avrei mai creduto alle doti sessuali di Bella, ho sempre detto che
fosse sexy e
ammaliatrice, ma mai e poi mai, avrei creduto che fosse una vera e
propria
bomba del sesso.
Bacio il suo collo, lascio scie di baci che ricoprono di
brividi la sua pelle, fremo per la voglia di entrare in lei. Il trillo
del mio
cellulare mi avvisa di un messaggio, ma al momento non mi importa.
“Edward, il cellulare.”- Ansima con la voce rotta
dell’eccitazione.
“Al diavolo.”- Mormoro continuando a baciare il suo
collo,
per poi passare le mie mani sotto il tessuto del suo top e sfilarglielo
sorpreso che non l’abbia strappato. Le sfilo i pantaloncini
per poi,
finalmente, slacciare i lacci del pezzo di sotto del suo bikini. Le mie
dita
passano lì, sul frutto della passione, su quella parte del
corpo che chiede
attenzioni da me. Lei sposta la mia mano e ribalta la posizione.
“Sono già bagnata, non ce la faccio.”-
Mormora sulle mie
labbra, getto la testa indietro e lei ne approfitta per mordere il mio
collo.
Le mie mani accarezzano le sue spalle, perché tutto ad un
tratto non voglio
affrettare il momento, non voglio che questo finisca, anche se so che
domani
lei sarà qui, è come se mi sentissi costretto a
voler fermare il momento, senza
ragione, senza apparente motivo. Slaccio anche il laccio del pezzo di
sopra ed
è finalmente nuda sotto ai miei occhi. Mi perdo a
contemplare quel corpo
meraviglioso, chiedendomi se questo non sia un sogno, chiedendomi se
davvero
questa creatura meravigliosa sia mia. Sorrido tra me, pensando a quante
volte
avevo desiderato vederla nuda sotto le mie braccia, a quanto non avevo
mai
desiderato nessuno in vita mia quanto desidero lei.
“Edward!” - Urla impaziente, sicuramente
chiedendosi perché
io non sia già dentro di lei, e una parte di me se lo chiede
anche in questo
momento.
Accarezzo i suoi seni, così tondi e perfetti, più
chiari
delle altre parti del corpo. Lei butta la testa all’indietro
e la mia
eccitazione pulsa, per la sua voce, le sue carezze, per il suo amore,
per il
suo corpo, per la sua anima.
Sfila la mia maglia e alzandosi abbassa pantaloni e boxer in
un unico movimento. Le sue mani si aggrappano sulle mie spalle e
sedendosi
sulla mia erezione mi permette di entrare dentro di lei. Inizia a
muoversi, ma
io la fermi per i fianchi, non voglio fretta anche se non sembra.
Guardo i suoi
occhi, lucidi per l’eccitazione, la sua bocca gonfia dei miei
baci, la amo, amo
tutto di lei, è la cosa più bella che mi sia
capitata in tutti questi anni, è
la ragione di tutto il mio essere.
Prendo un ciocca dei suoi capelli e la bacio, lei inclina la
testa e mi sorride.
“Ti amo.”- Sussurro sinceramente.
“Ti amo anch’io.”- Sussurra prima di
iniziare a muoversi e
dando vita ad un ballo passionale.
I suoi seni danzano ad ogni suo movimento e vederla mentre è
persa nella nostra bolla di passione è una visione talmente
erotica che mi
trattengo dal venire immediatamente.
Accarezza il mio collo delicatamente e in tutto l’amplesso
non abbiamo smesso un attimo di guardarci negli occhi. Una lacrima di
emozione
riga i suoi occhi, come la prima volta, come sempre, come se fosse una
regola
da rispettare, la sua anima mi mostra che si sente bene, che
è felice. Dicono
che gli occhi sono lo specchio dell’anima, non so se sia
realmente così, ma se
lo è, la sua è l’anima più
bella che i miei occhi abbiano incontrato, che la
mia anima abbia mai conosciuto.
I suoi muscoli intimi si contraggono intorno alla mia
erezione e butta la testa indietro, appoggiando automaticamente i suoi
seni sul
mio viso, io, non perdendo occasione, li faccio sparire tra le mie
labbra, prolungando
il suo orgasmo.
Dopo pochi attimi raggiungo l’apice, sfiniti, appagati,
ansanti
e follemente innamorati ci abbracciamo.
**
“Ti
era arrivato un messaggio.”- Sussurra sdraiata sul mio
petto. Annuisco e prendo i pantaloni per terra, dalla tasca estraggo il
cellulare.
Signor
Edward Cullen, siamo lieti di annunciargli la data del processo del
signor John
Audost che avverrà il 24 di questo mese. Cordiali saluti.
A.V.
“Che
cosa dice?”- Mi domanda Bella ansiosa.
“Il…il processo…”- Mormoro
imbambolato, non so se devo
esserne felice, ma sono sicuro di essere spaesato.
“Non sei contento?”- Mi chiede confusa.
“Si, ma, non lo so.”- Sbuffo in totale confusione.
E se
andasse tutto male? E se tutto quello che ho cercato di fare si
ritenesse
inutile? E se quel furfante la passi liscia anche questa volta? Voglio
davvero
assistere a quel processo? Voglio davvero rischiare di vedere la
inutilità per
quanto riguarda questo caso? Sono pronto? Scuoto la testa,
più confuso di
prima. Bella accarezza il mio braccio.
“Lo so quello che stai pensando. Devi andare, devi esserci,
non puoi non farlo, ne dipende parte della tua vita. Aspetti questo
momento da
tanto tempo, e se andrà male? Se andrà male
continuerai a lottare fino al punto
di mettere fine a questa situazione, a questo caso. Non devi
confonderti, io so
quello che vuoi, e lo sai anche tu.”- Sussurra con una
sicurezza nella voce che
non le avevo mai sentito.
“Verrai con me?”- Le chiedo sicuro che non
rifiuterà, ho
bisogno che lei mi stia accanto.
“Certo. Verrò sempre con te.”- Sussurra
soffiando un bacio
sulle mie labbra.
**
“Non
posso andare senza di te.”- Sussurro incazzato sotto lo
sguardo infuriato di mio padre e quello dispiaciuto di Bella.
“Edward. E’ importante, ci sarò, il mio
cuore non ti lascerà
nemmeno un istante.”-
Siamo davanti casa, anche questa volta ho scelto di andare
in macchina. Non ho intenzione di volare in aereo, specie adesso che ho
la certezza
che Bella non sarà con me. Mio padre ha detto che non
può venire, che ha
bisogno di lei per una cosa importante, che non ha voluto svelare cosa,
dovrebbe cercarsi un’altra segretaria. Sbuffo passandomi una
mano tra i
capelli.
“Edward puoi farcela da solo. Ne sono sicuro, tutti noi, io,
tua madre, Alice, Bella, i genitori di George contiamo su di te, ci
fidiamo di
te. Saprai cosa fare, cosa dire, se sbagliare oppure se tacere. Sei in
gamba
figliolo.”- Sussurra mio padre cercando di confortarmi. Ma
lui non capisce, non
capisce che non posso riuscirci senza il mio punto di forza; Bella. Ma
non
posso tirarmi indietro, devo farlo per George, devo farlo per me stesso.
“D’accordo.”- Dico ad alta voce, facendo
sospirare mio padre
e Bella.
Mio padre mi saluta con una pacca d’affetto sulla spalla.
Bella si avvicina e per minuti interminabili co guardiamo negli occhi.
“Sarò qui ad aspettarti.”- Promette in
un sussurro. Io
annuisco e avvicino le nostre labbra.
“Ti amo.”
“Ti amo anch’io.”- Sussurro prima di
entrare in macchina e
partire verso Seattle, sperando per l’ultima volta.
**
“Edward.
Ciao! Ho una notizia.”- Mormora l’avvocato Price
venendomi incontro.
“Mi dica.”
“Non ci sarà Aro Volturi oggi.”
“E’ positivo?”
“Dipende da dove vogliamo vedere la
cosa…”
“Che il processo abbia inizio.”- Il giudice spunta
dalla
porta che si trova dietro la poltrona e noi tutti ci alziamo in piedi.
Lo
sguardo di John Audost mi è addosso, nelle sue labbra
aleggia un sorriso strafottente.
Vorrei davvero oltrepassare questa dannata barriera che ci divide e
prenderlo a
pugni, vendicandomi a modo mio, ma quello sarà il piano B,
se il piano A andrà
in fumo.
“Siamo tutti qui riuniti per una
sentenza penale di condanna. L’imputato è
accusato di violenza sessuale, falsa testimonianza, calunnia e infine
guida
sotto effetto di stupefacenti. Dopo varie istanze, procedimenti,
abbiamo deciso
il da farsi.”- Mormora con voce calda.
“Dall’articolo 111, 6° comma, dichiariamo
che il qui
presente imputato John Audost è stato condannato, senza
proscioglimento su cauzione,
per trentacinque anni di carcere sotto stretta sorveglianza..”
“Obbiezione!”- Urla l’avvocato dello
stronzo. Il giudice
abbassa gli occhiali e guarda l’avvocato sottecchi.
“A cosa
esattamente?”-
Chiede il giudice senza scomporsi.
“Il mio cliente avrebbe qualcosa da dire al
riguardo.”- Il
giudice annuisce e l’imputato prende un respiro.
“Ho già pagato per quello che ho fatto.
E’ ora di mettere
fine a questa storia.”- Sibila con un sorriso strafottente
sulle labbra.
“Lei non è in carcere per qualcuno che
dovrà pagare per
quello che ha fatto. Le hanno coperto le spalle molto bene in questi
anni. Ed è
per questo che Aro Volturi non ha potuto prendere il mio posto
quest’oggi.
Signor Audost, questa è la sentenza, non
c’è niente da obbiettare, anzi ci
abbiamo solo perso tempo.”
“Signore…”
“No! Questo è stato deciso e questo si
farà. In nome di
Judith, di Stephan , per George e per le loro famiglie che dopo anni
aspettano
che giustizia sia fatta. Ma volevo dirle Signor Audost, credo che
questo le
appartenga.”- Il giudice porge un
passaporto all’imputato. Un immagine spunta nel
grande schermo dell’aula.
C’è la sua foto, ma il nome non è John
Ausost, ma John Juker. Ecco perché molti
lo chiamano in quel modo, quindi non è il suo soprannome
come avevo creduto in
tutti questi anni, è un documento falso.
“I documenti falsi sono facilmente riconoscibili nel nostro
stato. La condanna è decisa. Non accetto obbiezioni, non
accetto niente di
niente.”- Mormora sotto lo sguardo incazzato
dell’avvocato di Audost e di
Audost stesso. Rimette apposto gli occhiali e continua a leggere la
sentenza.
“Dall’articolo 111, 6° comma, dichiariamo
che il qui
presente imputato John Audost viene condannato a trentacinque anni di
carcere,
sotto stretta sorveglianza, senza proscioglimento su cauzione.
L’imputato è
condannato di Calunnia, violenza sessuale, falsa testimonianza e guida
sotto
effetto di stupefacenti. La corte annuncia che inoltre, non sono stati
ben
definiti alcuni reati che verranno presi in considerazione
immediatamente.”- Il
giudice si alza e sparisce da dove era spuntato. Ci alziamo applaudendo
e un
sorriso aleggia sul mio volto.
Audost mi guarda con gli occhi pieni d’odio.- “Ve
la farò
pagare. A tutti quanti è una promessa.”- Urla un
secondo prima che le guardie
lo prendono per scortarlo in carcere.
“Signor Cullen. E’ stato un piacere lavorare con
lei.”- Mi
dice Price stringendomi calorosamente la mia mano.
“Anche per me lo è stato.”
Esco dall’edificio e afferro il cellulare, al primo squillo
Bella risponde.
“Edward!”
“Bella. Ce l’abbiamo fatta!”- Esclamo
colmo di gioia nella
voce.
“Tu ce l’hai fatta amore mio, sapevamo che ci
saresti
riuscito.”- Sussurra felice.
Mi sento liberato, come se quel macigno che sentivo sulle
spalle tutto ad un tratto fosse sparito.
“Sto partendo. Il tempo della strada e sono da
te.”- Le dico
con la voce felice.
“ Devo dirti una cosa importante. Ti aspetto.”-
Sussurra.
Stacco la chiamata e i genitori di George mi indicano di raggiungerli.
“Volevamo ringraziarti. Sappiamo che con questo nostro
figlio non tornerà, ma almeno sei riuscito ad alleggerire
almeno un pochino le
cose. Non so se ci saremmo riusciti senza di te.”- Mormora il
padre di George
abbracciandomi.
**
“Ciao
Edward.”- Reneé mi apre la porta in lacrime.
“Che succede? Dov’è Bella?”
“E’ scappata via.”- Mormora singhiozzando.
“Come…”
“Mi ha lasciato questa.”- Sussurra porgendomi una
lettera.
Confuso apro la lettera e mi accomodo sul divano.
Ciao
amore,
Lo so
sembra strano chiamarti così in questo momento ma lo sei,
sei il mio amore. Sono
dovuta andare via, senza un motivo valido, senza essermene resa conto
davvero.
Voglio solo dirti di non cercarmi, sarebbe solo inutile.
Ti
ringrazio anche se per poco, per aver reso la mia vita una vera vita,
per
avermi dato il tuo amore, per avermi permesso di amarti, grazie. Io
sarò sempre
con te, la mia anima ti appartiene così come il mio cuore.
Sono
andata via non perché lo volessi, ma l’ho fatto,
l’ho fatto proprio perché ti
amo immensamente. Non dimenticarmi mai, perché io non lo
farò. Il mio cuore ti apparterrà
per sempre.
Non
chiederti niente, non puoi, non posso, darti spiegazioni.
Non è
un addio, è semplicemente un arrivederci, in una prossima
vita. Perché in
questa Edward e Bella non possono restare uniti. L’amore
è forte, ma non è
sempre quello che tiene uniti.
Ti
amerò per sempre,
per
sempre tua. Bella.
Una lacrima riga
il mio viso, guardo Reneé che scuote la
testa e mi abbraccia.
Che cazzo significa?
______________-
AAAAALT. Fermi con le pistole!
NON E’ COME SEMBRA. A tutto c’è
una spiegazione no?
Questa ultima parte
l’ho scritta insieme al prologo, in un
secondo momento volevo toglierla, ma poi mi sono resa conto che la
storia deve
andare così. Nel prossimo capitolo ci sarà un Pov
Bella, sarà un capitolo in
cui tutti i nodi verranno al pettine. Prometto che non vi
farò stare sulle
spine, cercherò d farvi scoprire tutto entro la prossima
settimana. E
recensite, mi fareste felice. Cosa ne pensate voi? Cosa vi aspettate
nel
prossimo? Cosa doveva dire Bella a Edward? Perché
è scappata?
E la storia
è malinconica, quindi accetto le critiche ma non
le lamentele per quest’ultima parte. Riguardo il processo,
avrò scritto cose
assurde, ma, capitemi, non sono un avvocato né ho mai
partecipato ad una cosa
del genere v.v .
Detto questo, grazie
per avermi seguita fin qui e spero che
siate meno silenziosi.
Un bacio.
Roby.
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Capitolo 17 *** I Miss Those Eyes, Wich We Have Seen In The Universe. ***
Love
Save The Pain.
I
Miss Those Eyes, Which We Have Seen In The Universe.
Quattro anni dopo.
Bella’s
Pov.
“Bella?”-
Mi chiama Jasper dal suo ufficio.
Ebbene sì, mi trovo a New York, da quattro, interminabili,
lunghissimi anni. Sono la segretaria di Jasper, del Jasper fidanzato
con Alice,
prossimo al matrimonio ed architetto. Io sono la sua segretaria,
nonché
migliore amica. Alice lavora in una Spa, il lavoro che aveva sempre
sognato.
Sono quattro anni che non vedo Edward, quattro anni che la mia vita
è cambiata
radicalmente, la mia vita che per certi versi è rimasta
sempre la stessa. Il
dolore c’è, ma triplicato, attutito da quella
creatura che mai e poi mai avrei
pensato potesse entrare nella mia vita.
Sono fuggita, sono dovuta fuggire, contro il mio volere,
contro ogni mio desiderio, contro ogni mia aspettativa. Le uniche cose
che non
sono cambiate nella mia vita sono; il mio amore per Edward e il dolore
per la
perdita di mio padre. Quello che è cambiato è
tutto il mondo. Adesso lo guardo
con una prospettava diversa, mi sono convinta che la vita, che sia
bella o
brutta non cambierà mai. Sono nata per soffrire, avevo detto
un giorno, cosa
che avevo smentito con l’amore per Edward, ma che adesso
è tornata a farsi
spazio nella mia mente. Ma sono fiera di me stessa, lo sono
perché contro ogni
probabilità ho saputo decidere tra la strada giusta e quella
più facile.
Facile era lasciare perdere le cose com’erano, giusto era
andare via, non permettere che, per amore, un’intera famiglia
venga distrutta,
annientata, come una città rasata al suolo.
“Dimmi.”
“C’è un piccolo problema. Edward
verrà a trovarci questo
fine settimana.”- Mormora studiandomi con lo sguardo.
“Okay. Prenderò un giorno di ferie.”-
Dico alzando le
spalle. Lui annuisce e mi chiede di tornare all’ingresso,
dove si trova la mia
scrivania, dove accolgo i clienti.
Edward viene spesso a fare visita ad Alice, ed ogni volta
Alice e Jasper fingono di non sapere dove io sia. Ma se non avessi
avuto loro,
bè in questo caso credo che sarei per strada ad elemosinare.
Loro non avevano
ancora finito gli studi, Alice mi ha accolto di notte nella sua camera,
promettendomi che sarebbe andato tutto bene, promettendomi che una
soluzione si
sarebbe trovata. Ma con il passare dei giorni, dei mesi, degli anni, ci
siamo
resi conto che l’unica soluzione era nascondermi, non dare
mie notizie.
Carlisle, Esme, Alice, Jasper, Angela, Mia madre, Carl, sanno il motivo
per cui
sono dovuta fuggire, l’unico a non saperlo è
Edward. Non lo sa nemmeno Jacob,
non lo avrebbe accettato. Tutti mi hanno detto che era
l’unica cosa sensata;
fuggire, nessuno mi ha giudicata. Chiudo gli occhi e una lacrima riga
il mio
viso, ricordando il giorno più brutto di tutta la mia vita,
il 24 Giugno del
2008.
Prendo
il telo e come sempre, come ogni giorno, lo posiziono sulla sabbia. Un
rumore
metallico mi fa sobbalzare. Una macchina si è schiantata sul
lampione che
illumina il piccolo giardino di casa mia. Un uomo sulla quarantina, con
dei
lunghi capelli corvini, il viso allungato e vestito con uno spezzato
Beige, mi
raggiunge correndo.
“Signorina
Swan! Oh la prego, mi aiuti!”- Mi alzo immediatamente e
raggiungo l’uomo.
“Che
succede?”- Gli chiedo cercando di mantenere un tono
tranquillo.
“Mi
stanno inseguendo! Vogliono dei soldi da me, vogliono
uccidermi!”- Urla
disperato. Dovrei aiutarlo? Dovrei farlo rifugiare a casa mia? No,
sarebbe
troppo.
“Venga
con me.”- Sussurro mentre mi dirigo in cantina e lo faccio
entrare.
“Si
nasconda. Io torno a casa mia.”- Ma detto questo, lui prende il mio braccio e
mi tira dentro la
cantina insieme a lui.
“No
cara, non così in fretta.”- Il suo corpo
è piantato sulla porta, non ho via d’uscita,
sono fottuta.
“Che
vuole farmi?”- Sussurro iniziando a piangere di paura.
“Non
violento le donne stia tranquilla.”- Mi dice con un sorriso
strafottente
stampato in viso.
Esce il
portafogli e mi mostra il passaporto.
Aro
Volturi.
La
terra sparisce sotto ai miei piedi. Solo adesso il suo viso assume
un’aria
familiare. Ricordo che, uno dei tanti avvocati che abbiamo visto a
Seattle, io
e Edward, ci ha mostrato la sua foto, dicendo che lui copre Audost, che
è lui
che ha permesso il proscioglimento di tutti i reati in passato.
“Che
cosa vuole da me? Io non la conosco!”- Urlo in preda al
panico.
“Non
voglio niente, se non ricambiare il favore.”- Lo guardo
confusa e lui inizia a
camminare per tutta la stanza.
“Davvero
non riesci a capire? Oh vediamo, posso certamente rinfrescarti la
memoria io
stesso. John Audost, ti dice niente? Da oggi la sua vita è
stata rovinata, gli
hanno tolto la libertà. E tu, mia cara, conosci ogni minimo
dettaglio della
questione. Rovinando Audost, tempo due mesi, ed anche la mia vita
sarà
rovinata. E non
voglio certo sporcarmi
le mani, in fondo, anche se può sembrare strano
anch’io sono una buona persona.
Mi avevano chiesto di ucciderlo quel ragazzo che ha lottato per
arrivare a tutto
questo. Ma perché togliere la vita ad un ragazzo,
così dolce e intelligente
come Edward Cullen? Abbiamo scoperto che ha una relazione con te,
quindi perché
non rendergli il favore, quando abbiamo trovato qualcosa di utile come
il suo
amore per te? In fondo non pensi che ucciderlo per lui sarebbe troppo
facile?”-
Mi chiede, dopo aver finito il suo monologo. Le lacrime, che prima
erano di
paura allo stato puro, adesso si sono trasformate in rabbia.
“TUTTI
DEVONO PAGARE PER QUELLO CHE COMMETTONO!”- Urlo disperata
sicura di essere
vicina alla morte.
“Non
scaldarti, in fondo non ti chiedo tanto, se non un piccolo
sacrificio.”-
Sospira tristemente, sicura che sia tutta una menzogna, non
è triste per quello
che sta facendo, altrimenti non mi avrebbe rinchiusa qui dentro.
“Devi
andare via. Fuggire, far finta che sei morta, far finta che non lo ami
più. Non
lasciare traccia, sarai pedinata da me e da altre persone. Non puoi
sfuggire, è
una richiesta, è un ordine, vedilo come vuoi. Potrei
ucciderti, essere sicuro
che lui non ti veda più. Ma non voglio.”- Dice
guardandosi le punte delle dita.
Sperando che sia solo un modo per illudermi e poi, finalmente, prendere
una
pistola e spararmi in testa, in bocca o sul cuore. In modo che non
debba
davvero sopportare tutto questo.
“Non
posso andare via.”- Sussurro flebilmente con la voce carica
di dolore e
disperazione.
“Oh, si
invece. Sarò qui ad aspettarti, ti accompagnerò
in Aeroporto io stesso, pagherò
il biglietto di destinazione, dopodiché dovrai cavartela da
sola.”- Inizio
a singhiozzare e scuoto la testa.
“Non
posso, non posso, non posso.”- Ripeto in continuazione con la
voce che piano
piano si affievolisce diventando il nulla, come me.
Esce
dalla cantina e chiude la porta.
Avrei
mille volte preferito morire che passare la vita senza
di lui. Ma dal momento in cui non avrei accettato lui mi avrebbe
uccisa, quel
giorno non moriva solo una vita ma ben due, ho deciso la strada
più giusta.
IL 24 Giugno del 2008 ho scoperto di essere incinta, credevo
che quello fosse il giorno più bello di tutta la mia vita.
Ero sicura che
Edward ne sarebbe stato contento, anche se ci conoscevamo da poco,
entrambi,
sapevamo di conoscerci da una vita. Che il nostro amore era puro, vero,
forte,
che se anche è durato poco ha lasciato un segno indelebile;
George Charlie
Swan.
Mio figlio,
Nostro figlio.
Ha tre anni, li ha compiuti quattro giorni fa, l’otto Marzo.
E’ la fotocopia di Edward, molte
volte,
segretamente, lo chiamo l’Edward in miniatura.
E’ stato lui l’unico motivo per cui ancora ora non
sono
impazzita, è stato lui quel motivo che mi ha permesso di
lottare contro me
stessa. Nel cuore della notte sarei voluta fuggire via, andare da
Edward e
dirgli di scappare insieme, lo avrei fatto, se solo quel giorno di
quattro anni
fa lui fosse stato a Los Angeles. Ma Aro e la sua combriccola sono
stati furbi,
hanno studiato il tutto, non potevano di certo permettersi di compiere
passi
falsi. Non avevo mai desiderato di diventare mamma giovane, ma dal
momento in
cui ho scoperto di aspettare George, nemmeno per un secondo ho pensato
di
poterlo uccidere. Forse dovevo farlo, dal momento in cui ho elaborato
che
sarebbe cresciuto senza un padre, che la sua vita sarebbe stata un
immenso
motivo per chiedersi il perché. Ma non potevo,
l’ho amato dal momento in cui ho
visto le due linee rosa del test di gravidanza. Fino ad oggi non mi ha
mai
chiesto di un ipotetico papà, ma è troppo
piccolo, sono sicura al cento per
cento che prima o poi lo farà ed io non saprò mai
rispondergli come realmente
merita.
L’ho lasciato come ogni codarda avrebbe fatto, con una
lettera. La lettera più dolorosa che io abbia mai scritto.
Non potevo fargli
credere che io fossi morta, non volevo, lo avrebbe distrutto. Spero
solo che
lui sia felice, spero che un giorno trovi un’altra persona
che riuscirebbe a
renderlo felice. Spero che comunque vada lui non si dimentichi mai di
me, come
io non dimenticherò mai lui.
Alice lo sente tutti i giorni per telefono, dice che la sua
voce è spenta. Lui le ha chiesto se io l’avessi
contattata in tutti questi
anni, ma Alice, mantenendo il cuore duro ha smentito. Ha detto di
essere
arrabbiata con me per quello che ho fatto, quando invece, ogni giorno
mi
ringrazia, ogni giorno una lacrima solca il suo viso quando vede mio
figlio,
gli occhi di mio figlio, profondi, belli, sinceri, verdi come quelli
del padre,
dove spesso lì dentro io ci vedevo il mio universo.
**
“Davvero?”-
Chiedo entusiasta a George, si chiama George
Charlie, ma è più facile chiamarlo semplicemente
George.
“Mh, mh. La maessa si ha detto che siamo stati
blavissimi.”-
Mi dice ridendo. Siamo al Central Park, veniamo tutti i giorni dopo la
scuola,
a lui piace passeggiare. Ricordo ancora il giorno della sua nascita,
mia madre
era venuta a trovarmi con Carl. Dovevo partorire a fine mese, ma lui ha
deciso
di voler uscire prima. Ricordo che volevo Edward con me, ricordo che
volevo
solo tranquillità, quella tranquillità che solo
lo sguardo di Edward sapeva
darmi. Sotto lo sguardo disperato di Alice, di mia madre li imploravo
di
chiamarlo, di dirgli che suo figlio stava nascendo e che io avevo
bisogno di
lui, solo di lui e di nessun altro.
Carl e mia madre sono andati a vivere insieme, dopo la mia
fuga non è più riuscita a vivere in quella casa,
diceva che senza mio padre era
triste, senza di me era ancora peggio. La casa è vuota,
l’ho implorata di non
venderla e lei ha accettato immediatamente, non potrei sopportare di
perdere
anche quella casa. Forse è stupido, materiale, ma ci tengo.
I primi giorni senza Edward sono stati i peggiori, ma più
passa il tempo più la sua mancanza scava
all’interno della mia anima.
“Andiamo dalla tia?”- Mi chiede
dolcemente, mio figlio, guardandomi intensamente. Lo prendo in spalla e
gli
faccio fare la giravolta, quando lo rimetto con i piedi al suolo lo
abbraccio
schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
“D’accordo amore.”- Sussurro,
inspirando l’odore dei suoi capelli, guardandolo come una
mamma innamorata
guarda il proprio figlio. Mi sento in colpa per quello che provo
guardando mio
figlio, mi sento in colpa perché vorrei che anche Edward
provasse lo stesso.
Lo sistemo sul sediolino ed
entro in macchina, una Volkswagen Golf nera, comprata appena due
settimane fa.
Quando ho iniziato a lavorare, la prima cosa di cui mi sono occupata
è stata
prendere una casa in affitto, ho apprezzato che Alice non volesse che
andassimo
via, ma loro hanno bisogno dei propri spazi, io e mio figlio abbiamo
bisogno
dei nostri. Quasi tutti i giorni o è Alice a venire da noi o
siamo noi ad
andare da lei.
“Amore mio! Vieni qui!”- Urla
Alice, non appena varchiamo la soglia di casa sua.
“Mi tei mancata tia.”- Sussurra
George, appoggiando la testa sul seno di Alice. Per lui è
come una seconda
madre, lei c’è sempre stata da quando è
nato, lei era lì quando gli è spuntato
il primo dentino, quando ha fatto i primi passi, quando per la prima
volta ha
detto mamma. Non so se c’è l’avrei fatta
senza Alice e Jasper, non so se sarei
qui. Viva nonostante tutto.
“Ciao Bella.”- Mi saluta
dandomi un bacio sulla guancia e non posso resistere dal non
abbracciarla.
Posiziona George sulla sedia e
gli taglia una fetta di torta. Io mi dirigo in terrazzo a fumare una
sigaretta.
Se solo potessi trasformarmi in
una farfalla, se solo potessi andare da lui e vederlo, capire se ha
superato
tutto, se ha continuato a vivere, se ha continuato a ricordarmi. Alice
mi ha
detto che dopo un paio di volte non ha più parlato di me, ho
chiesto se ha un’altra
donna ma a quella domanda nessuno mi saputo dare risposta. Forse
perché nessuno
lo sa, forse perché non c’è
nessun’altra, forse perché
c’è ma nessuno ha
intenzione di infilzare la lama del coltello ancora di più
sul mio cuore.
“A che pensi?”- Mi chiede Alice
con lo sguardo cupo. Io la guardo negli occhi, e lei capisce
all’istante.
“Jasper te l’ha detto.”- Mi
dice senza formulare una qualsiasi domanda. Si avvicina a me e mi
abbraccia
forte.
“Vorrei…vorrei, solo vederlo
Alice, da lontano, ti prego, permettimelo.”- La mia suona
come una preghiera, è
una frase che le ho sempre detto quando alle porte c’era una
visita di Edward,
ho sempre desiderato poterlo vedere, ma Alice lo ha sempre tenuto in
casa,
proprio per evitare che lui mi vedesse, per evitare che io lo veda e
mandare a
puttane tutto il dolore che ho provato e che, provo ancora oggi, per
arrivare a
questo punto.
“Bella..”- Mormora con voce
flebile, ma allo stesso tempo ferma.
“Ti prego Alice. Giuro che non
mi faccio vedere, mi metto il burka, mi sfiguro la faccia, mi tingo i
capelli,
mi rendo irriconoscibile. Ma ti prego, devo vederlo, ne va della mia
salute, ne
va di tutti i sacrifici che ho fatto per amore, voglio solo vedere i
suoi
occhi, o la sua faccia. Mi manca Alice, mi manca in una maniera che
nemmeno io
credevo possibile, darei di tutto per vederlo, anche solo per un
secondo.”- Le
chiedo piangendo disperatamente.
“Bella…Non rendere le cose più
difficili di quanto già non lo siano. Non puoi rischiare di
farti vedere, sai
quello che succederà? Edward non ti lascerebbe
più andare, dovrai dirgli tutto,
dovrai dirgli di George. Quando vedrà George cosa gli dirai?
‘Sai ho avuto tuo
figlio, ma tu non potevi saperlo, perché uno psicopatico mi
ha costretto a
fuggire’. Non puoi dirgli che non è suo figlio, se
ne accorgerebbe anche un
cieco. Smettila Bella, vederlo ti farà solo del
male.”- Sbotta rientrando,
scuto la testa iniziando a piangere. Perché?
Perché la vita deve essere una
costante ingiustizia, perché tutto quello che creiamo prima
o poi viene
distrutto? Mi ero sempre chiesta se l’amore fosse
più potente del dolore, e
finalmente dopo tanti ‘ma’,
‘se’, ‘forse’ ho trovato la
risposta. Si è più forte,
sia nel male che nel bene. Perché
l’amore
è quel motivo per cui riesco a vivere tutti i giorni, che il
dolore che piano
scavava la mia anima è stato bloccato, da una cosa molto
più potente, l’amore,
che ti travolge, ti devasta, ti fa arrivare in paradiso per poi
scendere in
picchiata nell’inferno. Ma soprattutto è
più forte perché è un motivo per
vivere nel bene e male, è quel motivo per cui la vita ha un
senso.
Il mio amore per Edward, per
mio figlio, per la mia famiglia, per l’arte, per gli animali
è quel motivo in
più per dire ‘questa è la mia
vita’, ‘questa sono io’. Senza amore
siamo
niente, senza amore non si può vivere, l’amore
vive in noi, sempre, anche
quando crediamo che sia impossibile, sotto ogni forma e misura
l’amore è all’interno
dell’anima di chiunque.
Spengo la sigaretta sul
posacenere e rientro.
“Amore, ti piace questa torta?”-
Chiedo a George dandogli un bacio sui capelli castano-ramati . Lui
annuisce
felice e sospiro.
“Lui sarebbe fiero di te.”-
Sussurra Alice, facendo correre lo sguardo tra me e George. Una lacrima
solca
il mio viso e mi incanto a guardare mio figlio che finisce la sua torta.
**
Ciao
Papà,
Oggi
c’è vento qui, il sole non di vede da un
po’. Mi manca il sole di Los Angeles,
mi manca casa nostra, mi manca passare qualche ora con te, dopo pranzo.
Chissà
come sarà la nostra casa, spoglia, ormai vuota. Mamma sembra
essere felice, ed
io lo sono per lei. Perché nonostante tutto i suoi ricordi
non sono stati
dimenticati, ti pensa sempre, costantemente. Non ti
dimenticherà mai, nessuno
può farlo.
All’inizio
credevo di mancarti di rispetto nell’accettare Carl. Ma credo
che anche tu lo
avresti fatto, vedendo la luce negli occhi di mamma dopo tanto tempo,
vuol dire
che ne è valsa la pena.
Forse
in questa vita, quella che una volta era la nostra famiglia, non
è stata
destinata per rimanere tale. Forse, chi lo sa, in un’altra
vita la vita stessa
sarà più bella, facile, felice.
Ma
come molti mi hanno insegnato; la vita va vissuta, anche se sembra che
non ne
valga la pena, anche se si pensa che qualsiasi cosa noi facciamo
andrebbe in
ogni caso distrutta. La vita è bella, la vita è
una merda, ma siamo noi a
deciderlo molte volte, siamo noi gli artefici per viverla.
Non
sono felice, ma non sono nemmeno triste. Sono la via di mezzo che mi
permette
di andare avanti.
C’è
sempre quel motivo per vivere, ed io c’è
l’ho. Ho mio figlio, quel motivo per
cui vale la pena lottare sempre, quel motivo per cui mi alzo al
mattino, quel
motivo per sorridere anche per circostanza, quel motivo che mi fa
sentire
utile, quel motivo che mi fa sentire viva anche quando sembra che il
mondo sia
crollato.
Il
mio mondo è crollato già due volte, ma sento che
ogni volta l’ho ricostruito
più forte di prima, sono gli avvenimenti che ci fanno
crescere, amare, lottare,
fortificare. Ed io lo sono, sono cresciuta, amo, lotto e mi fortifico
giorno
per giorno.
Spero
che tu sappia che non ti ho mai dimenticato, spero che tu mi ascolterai
in un
modo o in un altro. Ma ho capito, ho capito che se sei nel mio cuore
sei ovunque
io viva, ovunque io respiri, ovunque io guardi.
Mi
manchi Papà. Ogni giorno più del precedente.
Ti
voglio bene.
Bells.
Apro la borsa e
tiro fuori le
altre lettere che ho scritto per lui, aggiungo l’ultima e chiudo gli occhi. Qualche
mese fa ho scoperto
questo posto.
E’ una piccola spiaggia, non
molto diversa da quella in cui mi recavo a Los Angeles. Ma non
è vicino casa
mia. Vengo solo quando ho il giorno libero, quando anche George
è a scuola. E’
ad un’ora di distanza da casa mia.
Casa mia è piccola. E’ un
monolocale, ma è carina, e per me e George è
perfetta.
Apro gli occhi e , come tante
volte mi capita, lo vedo, vedo Edward che mi sorride, che mi viene
incontro
abbracciandomi.
Ma sono solo illusioni,
bellissime illusioni.
Un colpo di vento terribile fa
volare tutto quello che c’era un attimo prima
all’interno della mia borsa. Mi
alzo e cerco di raccogliere tutto. I fogli, le lettere che ho scritto a
mio
padre sono sparite.
Inizio a correre cercandole, ma
all’interno dell’acqua qualcosa cattura la mia
attenzione. Mi avvicino, senza
toccare l’acqua e li vedo. L’inchiostro una volta
bagnato si è sparso su tutti
i fogli, cancellando tutto quello che ci avevo scritto.
Ma non mi dispero, sorrido, sicura
che quello che penso è giusto; Ovunque io guardi, ovunque io
respiri, ovunque
io viva lui c’è, e mi ha ascoltata, dandomi la
certezza che no, neanche lui mi
ha mai dimenticata, che c’è, in un posto migliore
del mondo stesso, il mio
cuore.
“Grazie papà, grazie per avermi
ascoltata.”- Sussurro iniziando a piangere, ma non pianto di
disperazione, ma di
comprensione.
Ho capito, che lui c’è sempre
stato nella mia vita, non importa come, quando e perché, lui
c’è stato davvero,
e ci sarà per sempre.
Tadaan! Come
promesso ho cercato di non farvi penare tanto.
Non mi sembrava giusto lasciarvi per tanto tempo nel dubbio. Vi
aspettavate
tutto questo? :3
Il capitolo
è dedicato a Grazia. Grazie per
esserci sempre, nonostante tutto, grazie per avermi dato dei
consigli per questo capitolo e per tutto. Non so se senza di te avrei
continuato. Ti voglio bene.
Spero di non
aver deluso nessuno.
A presto. Roby <3
|
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Capitolo 18 *** All Broken. ***
Love
save the pain.
All
Broken.
Edward’s
Pov.
Guardo lo
schermo con poco interesse, come tutto quello che faccio
da quattro anni a questa parte. Tutto ciò che di bello mi
era rimasto, mi è
stato portato via, come la felicità che per pochi attimi
avevo assaggiato, via
come il vento scuote la polvere, ci vuole molto per trovare la
felicità, poco
per perderla.
Oggi è il dodici Marzo del 2012, oggi devo prendere un aereo
alle quattro del pomeriggio per New York, oggi rivedrò mia
sorella. Queste sono
le mie certezze, le cose calcolate durante la giornata, mia madre mi
dice che
sono diventato un robot, potevano aspettarsi di meglio?
Non importa il motivo che ha portato Bella ad abbandonarmi,
non importa se dice di amarmi ancora, non importa se si e dimenticata
di me,
importa che l’abbia fatto. Importa che non ci ha messo poi
così tanto tempo ad
abbandonarmi alla prima occasione, credevo fosse diversa, credevo mi
amasse,
credevo che lei fosse la persona con la quale sarei tornato ad essere
felice. E
lo ero, per pochi attimi lo ero, e sarei codardo a dire di averla
dimenticata,
o smesso di amarla, lei è qui, non è mai andata
davvero via, è nel mio cuore.
Perché se anche le persone ci deludono, feriscono,
maciullano il cuore, ci sono
quei casi in cui non puoi fare altro che pensare a quella persona,
perché è
importante, perché il pensiero di lei è sinonimo
di vivere, perché per
sorridere – o almeno cercare di farlo- ho bisogno di pensare
a lei, al suo
viso, alla sua voce, al suo sorriso. Dicono che nella vita o si ama o
si odia,
io non ho mai smesso di amarla. C’è
qualcosa che non mi permette di avercela davvero con lei, come una
consapevolezza
che prende forma con il tempo.
Sono arrabbiato con lei, sono arrabbiato con il tempo, con
gli avvenimenti, con il destino, con la vita, sono deluso, ferito,
umiliato,
distrutto. Non mi era mai capitato niente di più bello, come
l’amore. Avevo
amato e lo facevo ancora, anche se il rapporto non era ancora
solidificato,
anche se era da poco che avevo scoperto la vera definizione della
parola amore,
non riesco a smettere di amarla, non riesco a non pensare a lei. Sapevo
di star
diventando indipendente, quello che non sapevo è quanto
dipendente sia
diventato. Ho aspettato per quattro anni in un suo ritorno, ho sperato
che
c’era stato un malinteso e che lei sarebbe tornata da me, ma
non l’ha fatto, né
una visita, né una chiamata, né una mail. Niente
per darmi conferma che ci sono
ancora io dentro il suo cuore.
Molte volte mi fermo
a pensare a lei, a come sarebbe adesso, se è cambiata, se ha
trovato un uomo
che la rende felice, perché è scappata, se mi
pensa, se ormai sono un ricordo
che piano piano va affievolendosi con il passare dei giorni. Ma non
riesco a
vederla oltre il mio cuore, vedo sempre lei e me, vedo sempre i suoi
occhi così
tristi ma tanto sinceri, quel cioccolato dove io mi fondevo spesso,
dove
adoravo passarci le ore. C’era un che di malinconico nella
mia vita, sempre, da
sempre, su tutto, dovevo sapere che il tempo passato con Bella erano
solo
attimi intensi di pace. Dovevo immaginare che prima o poi tutti i miei
sogni,
progetti, che ritraevano lei e me sarebbero andati in fumo. Dovevo
sapere che
prima o poi, come tutto ciò che nella mia vita sia mai
esistito, si sarebbe
distrutto.
Il mio lavoro è sempre quello, anche se non ci metto
più la
stessa passione di un tempo, c’è una nuova
segretaria, Amber si chiama, ma
questo non fa che urtare ancora di più i miei nervi, sbaglia
ogni cosa, non
riesce nemmeno a prendere gli appuntamenti in tempo. Ho chiesto a mio
padre se
voleva che ne cercassi un’altra, ma lui ha detto che va bene,
lui ha detto che
non ci va bene perché in Bella avevamo trovato
ciò di cui avevamo bisogno, ed
era l’unica che potevi ridarci il tutto. Le mie giornate sono
lente, noiose ,
non passano mai. Quando non sono a casa sono a lavoro e, se non sono
neanche
lì, sono davanti casa di Bella, nella spiaggetta.
E’ come se passare le ore lì
mi darebbe un contatto con lei, è come se per non smettere
di amarla avessi
bisogno di questo, ho capito che come lei aveva un contatto immaginario
con il
padre, io ce l’ho con lei. La cerco sempre tra la gente, tra
i passanti, cerco
sempre di sbirciare dentro le auto della gente per vedere il viso del
guidatore, ma lei non c’è mai, nessuna traccia,
nessun motivo, nessun senso mi
ha mai fatto credere che lei sia rimasta qui, è andata via,
ha cambiato città,
forse anche continente, ma non smetterò mai di cercarla, non
smetterò mai di
amarla. Casa sua è vuota e triste, sono due anni che non
vedo Reneé, da quando
ha lasciato la casa è andata a vivere in centro con Carl.
Chissà cosa ne pensa
Bella, chissà se lo sa, chissà se lei adesso
è felice, se ha trovato la
felicità fuori di qui, via da me. Forse il mio dolore la
ostacolava più di
quanto il suo facesse, forse non è riuscita a sopportarlo,
per questo è andata
via. Scuoto la testa e mi passo nervosamente una mano tra i capelli.
I primi giorni sono stati i più terribili, non che adesso
siano migliori, ma la mia anima ci ha fatto l’abitudine
adesso. Ricordo quel
dolore, che ogni tanto torna, ma che prima arrivava con più
intensità, forza,
al centro del petto, irradiandosi poi lentamente su tutto il torace,
per
risalire sul collo fino a farmi mancare il respiro per pochi secondi.
Non mi
sono mai sentito davvero bene in questi quattro anni, è come
se il tempo si
fosse fermato, come se io aspettassi rientrare Bella da un momento
all’altro,
come se questa, come se quella di ieri, come se quella di domani, fosse
una
giornata come un’altra. Credo che sia la speranza a farmi
credere di vivere in
un tempo non definito, un tempo immutabile. Ed è mostruoso,
perché se non si va
avanti non si vive, ma è la speranza che ci fa credere che
si, tutto può andare
bene, è la speranza il motivo per cui ogni
giorno fisso la porta di casa, ad ogni
rumore urlo il suo nome per poi ricevere silenzio in cambio. Non
c’è niente di
più bello che sperare, non c’è niente
di più brutto che sperare. E’ questa la
consapevolezza che mi distrugge, giorno per giorno.
Nonostante quella porta non si sia mai aperta rivelando
Bella, nonostante lei non c’è, non è
ancora tornata, io ci spero, fino a quando
chiuderò gli occhi crederò in un suo ritorno. Che
forse non avverrà mai, ma il
pensiero di lei con me, un giorno di nuovo insieme mi aiuta ad
accettare la mia
vita, mi aiuta ad essere ancora una persona, mi aiuterà
quando una lacrima
solcherà il mio viso, quando il mio respiro diventa
affannato al pensiero di
lei che mi sussurra ‘ Ti amo ’, alle urla quando
immagino un suo sorriso, al
dolore quando sento la sua voce senza che lei sia accanto a me.
E’ straziante,
ma è sempre qualcosa che rinforza il mio amore nei suoi
confronti, perché ne
sono sicuro, lei mia ama, lei non mi avrebbe mai lasciato come ha
fatto. E devo
trovarla, anche per dieci anni, devo farlo, devo capire il
perché, voglio che
mi guardi negli occhi, in modo da capire tutto. La mia vita, il mio
essere, la
mia anima, quello che mi circonda è ormai diventato tutto
una contraddizione.
Sono sicuro che la mia vita sia arrivata ad un bivio, o
questa per sempre, o la morte.
Io non sarei morto, finché c’è vita
c’è speranza, e la
speranza è l’ultima a morire. Resterò
sempre qui ad aspettarla, cercherò
sempre di cercarla tra la gente,
lascerò sempre il mio amore per lei segregato nel mio cuore
fino al suo
ritorno.
“Edward.”-
Mormora mia madre quando apre la porta, sono
venuto per salutarla.
“Ciao mamma.”- Sussurro abbracciandola. Lei, come
quando ho
perso George, non mi ha mai abbandonato, mi ha sempre detto che a tutto
c’è un
motivo, che vivere è il motivo stesso per sapere quello che
ci accadrà, che
sono il fantasma di me stesso. Ho cercato di allontanarla da me, per
evitarle
anche questo dolore, ma lei non ha voluto, ha sopportato con me tutte
le mie
pene e ancora oggi lo fa.
Forse sono egoista, forse non dovrei accettare che mia madre
soffra con me, ma ne ho bisogno, ho bisogno di forza, di quella forza
che bella
mi aveva donato al primo sguardo.
“Come va, tesoro?”- Mi chiede porgendomi una tazza
di caffè.
“Come sempre.”- Lei annuisce e accarezza la mia
mano.
Sulla parete, oltre ai quadri, alle foto di famiglia,
c’è
una foto che ritrae me e Bella il giorno del mio compleanno. Le avevo
chiesto
di toglierla, ma lei ha risposto che non c’è posto
migliore dove quella foto
potrebbe stare, che nonostante tutto bella mi ha reso felice, che Bella
è una
ragazza forte e che, se è fuggita lo ha fatto per un buon
motivo, per qualcosa
più grande di noi, per qualcosa per cui vale la pena lottare.
Io invece credo che lei sia fuggita per paura, per la paura
di non essere o rendere me felice, per la paura di non essere
abbastanza, per
qualcosa, si, più grande di lei, ma che potevamo superare
insieme, perché se si
ama ogni ostacolo si supera insieme, qualsiasi cosa sia successa lei
non mi ha
reso partecipe, non mi ha permesso di superare quello che era insieme a
lei, mi
ha cacciato via dalla sua vita.
“Edward! Ciao fratellino come stai?”- Urla
abbracciandomi
Alice.
“Può sempre andare meglio. Tu invece?”
Le chiedo mentre
iniziamo a camminare per raggiungere la sua auto nel parcheggio.
Inizia a parlare di quanto ama il suo lavoro, della sua vita
a New York, di Jasper e del suo prossimo matrimonio. Erano sei mesi che
non la
vedevo, è ingrassata, ma questo è meglio non
dirglielo. I suoi occhi sono
sempre tristi, forse per la mancanza di Bella, forse anche lei in Bella
aveva
trovato un piccolo paradiso, ma almeno lei, fortunatamente ha
l’amore su cui
contare, ha Jasper che la ama davvero, che la guarda come se fosse
l’unica
donna presente in tutto l’universo. Quando hai
l’amore hai tutto. Mio padre mi
ha suggerito di trovare quello che avevo trovato in Bella in
un’altra ragazza,
ma non ci sono riuscito, non ho nemmeno provato, non ho nemmeno preso
in
considerazione l’idea, perché io voglio lei, amo
lei, il mio cuore prende vita
solo quando focalizzo lei nella mia mente. Che nessuna potrà
mai essere come
Bella.
Ci fermiamo davanti la villetta di Alice e mi guarda
sospirando.
“Posso andare in albergo, non è mica un
problema.”-
Sussurro.
“Ma cosa dici? Non se ne parla nemmeno, viene qui mio
fratello e non lo spupazzo tutto per me? AH, non capisci nulla! Dai
scendi che
abbiamo cambiato di nuovo arredamento.”- Sussurra facendomi
scoppiare a ridere,
sono già venuto a trovarla quattro volte, trovando sempre la
casa diversa da
come l’avevo lasciata. Certamente avere Jasper come
architetto può soddisfare
le esigenze di Alice.
Entro in casa ed è sempre bellissima. E’ grande
per solo due
persone, ma entrambi non vedono l’ora di allargare la
famiglia. Le pareti erano
celesti chiare, la volta precedente, adesso sono tutte di colori
diversi, il
corridoio all’entrata è lilla, la cucina
è di un giallo non
troppo accesso, il soggiorno è color
mogano, e le camere da letto credo che le vedrò
più tardi.
“Siediti in cucina, ti preparo un
caffè.”- Mi dice
sorridendomi, sorriso che ovviamente non le contagia gli occhi. Molte
volte
l’entusiasmo di Alice mi dava su i nervi, soprattutto quando
lo usava per
prendermi in giro, ho pregato tante volte che smettesse, e adesso che
lo ha
fatto mi dispiace.
“Allora Edward, come va a lavoro?”- Mi chiede con
nonchalance, mentre versa il caffè sulle tazze.
“Abbastanza noioso e monotono.”- Butto sul vago.
Lei annuisce e inizia a bere il suo caffè. Rimaniamo in
silenzio, cosa che ci imbarazza da quattro anni ormai. Non pensavo che
Bella
fosse così importante anche nella vita di mia sorella, non
pensavo che alla sua
fuga lei avrebbe assunto questa tristezza immutabile.
“Mi manca. Alice.”- Sussurro mentre una lacrima
esce dal mio
occhio. Lei chiudo gli occhi e guarda la finestra, cercando di evitare
il mio
sguardo. Tutti sanno quanto mi manca ogni giorno Bella, ma mai ne ho
parlato
con qualcuno, se non con George, al cimitero.
“Ogni giorno diventa peggiore del precedente. Non ce la
faccio più.”- Sussurro con il cuore che sono
sicuro, sanguina.
Non ce la faccio a vivere questa perenne sofferenza.
Non ce la faccio a rimanere in questo cielo pieno di nuvole,
immutabile, spento, sempre uguale.
Lei non mi guarda, fissa la finestra immobile, come se il
tempo, questa volta, anche per lei si fosse fermato.
“Devo cercarla, per quattro anni ho fatto come mi ha
chiesto, non l’ho cercata abbastanza, non mi sono chiesto
dove mai potrebbe
essere, adesso ho intenzione di farlo.”- Sussurro con le
lacrime agli occhi,
ormai abituato a sentire umido quel piccolo spazio che
c’è tra l’occhio e la
guancia.
“Che intendi fare?”- Mi chiede, senza mai guardarmi.
“Cercarla, ovunque, in America, in Europa ovunque. Non
importa se ormai non mi ama più, mi importa solo vederla,
guardare i suoi occhi
e dimostrarmi che è felice. Felice senza di me”-
Ribatto.
“Non puoi Edward, LO CAPISCI? Ti ha lasciato! Ci
sarà un
motivo, perché ti ostini così tanto a farti del
male?”- Sbotta alzandosi di
scatto. Si avvicina alla finestra ed estrae una sigaretta.
“Tu non fumi.”
“Adesso lo faccio.”- Sussurra incazzata. Mi
avvicino a lei e
la abbraccio.
“Perché sei arrabbiata con me?”- dico
guardandola, ma lei
non lo fa.
“Non lo sono.”
“Guardami, Alice.”
“No.”
“Fallo ti prego.”- Sussurro supplicandola. Lei si
allontana
e asciuga una lacrima con il palmo della mano.
“Non posso Edward, non posso guardarti, soffro già
a sentire
la tua voce, guardare i tuoi occhi sarebbe troppo.”- Mormora.
“Aiutami Alice.”- Mormoro singhiozzando sulla sua
spalla, i
singhiozzi non accennano a fermarsi e aumentano drasticamente non
appena Alice
inizia a piangere.
**
“E’
un piacere averti qui, Edward.”- Sussurra Jasper, non
appena mi saluta, è appena rientrato da lavoro, ha guardato
in faccia Alice e
annuendo è corso ad abbracciarmi. Li sento più
distanti dall’ultima volta, è
come se mi nascondessero qualcosa, che Alice sia incinta? E poi
perché dovrebbe
nasconderlo? Noi tutti abbiamo accettato Jasper con affetto, costatando
quanto
lei lo ami e lui che ricambia in modo eguale.
In questi anni non sono cambiato affatto, esteticamente, è
la mia mente che è cambiata, distrutta, così come
il mio cuore. Ci sono momenti
in cui mi isolo con me stesso, in cui tutto il mondo lì
fuori non esiste, c’è
solo il mio dolore, che mi schiaccia sconquassandomi l’anima,
quell’anima che
credevo avevo riacquistato ma che è sparita. Non
è più grigia, non c’è
più quel
limbo che mi proteggeva, era allo scoperto, era fragile e attirava
qualsiasi
forza negativa, spesso mi sento nudo agli occhi degli altri, spesso
penso di
essere solo una nullità, la gente guardandomi prova pena per
me, la gente
annuisce come se dicesse ‘ti capisco’, ma, il
problema è che nessuno può
capirmi, perché quando una persona smette di vivere dovrebbe
morire, io invece
sono ancora qui, da automa, da inutile che sono, cerco di sopravvivere
in quel
modo dove tutto mi è stato tolto.
Il trillo del cellulare di Alice mi fa sobbalzare.
“Pronto? Oh,
Ehm…Ciao
M-melanie. Oh si! Potresti
chiamarmi dopo? NO! Si ciao!” - Mentre parla
al telefono la voce le trema, è come se fosse la chiamata
più brutta di tutta
la sua vita. Mi avvicino a lei ma si allontana fuggendo in camera da
letto.
Jasper mi guarda intensamente, come se con quello sguardo vorrebbe
dirmi tante
cose, troppe, come se si trattiene da qualcosa di brutto o bello, ma
comunque
importante. Mi avvicino a lui, ma scuote la testa e raggiunge Alice.
“Edward?”- Mi chiama Alice, sorridente, vendendomi
incontro.
Io alzo lo sguardo e mi fermo a guardarla.
“Ti va di uscire un po’?”- Mi chiede
sorridendo.
Io annuisco e prendo la giacca. Ci chiudiamo la porta alle
spalle e quando usciamo Jasper ci comunica che lui deve andare in
ufficio.
“Andiamo in macchina o…- ”- La
interrompo con un gesto e
inizio a parlarle.
“Non importa, se a piedi, se in motorino, se in bicicletta.
Importa che parliamo, non so cosa ho fatto di sbagliato Alice, non mi
sento
trattato come al solito da te, c’è qualcosa he
vuoi dirmi?”- Le chiede con la
voce calda, in modo che non la prenda in criminale, come è
solita a fare.
“No Edward, non c’è niente che voglio
dirti, se non
chiederti di vivere. Non posso guardarti e vedere ciò che
sei diventato. Non
riesco a vivere con la consapevolezza di te distrutto dal dolore, come
se non
ne avessi avuto già abbastanza.”- Mormora con una
lacrima sul viso.
“Non riesco a smettere di amarla.”- Sussurro
chinando il
capo. Lei mi abbraccia baciandomi la testa.
“Provaci.”
“Non ce la faccio.”- Ammetto con amarezza.
“Lei non sarebbe mai andata via, né da me,
né in quel modo.
C’è qualcosa sotto.”- Mormoro.
“Edward. Perché lo hai capito dopo quattro
anni?”- Mi chiede,
guardandomi finalmente negli occhi e facendo sparire la sua corazza per
pochi
secondi.
“Non lo so.”- Sussurro piangendo.
“Quindi vuoi passare
il resto della vita a cercarla?”- Mi
chiede tranquillamente mentre passeggiamo tra le strade di New York. Ho
sempre
pensato che questa fosse una delle più belle
città in cui sono mai stato.
“Si. Non so
da dove cominciare, so già che qui e a Los
Angeles sarebbe inutile, quindi non so, forse l’Italia, forse
Francia,
Germania, non so l’Europa mi da qualche speranza in
più. E’ come un intuizione.”-
Le dico sperando in qualche consiglio. Lei non vuole che io la cerchi,
pensa
che spreco il mio tempo, pensa che lei non mi ama più
altrimenti avrebbe
trovato una via più facile, non quella della fuga.
Io non so
più cosa pensare, forse avrebbe potuto fuggire, ma
in maniera diversa, magari guardandomi negli occhi dicendomelo, o
magari
cercando la mia mano per afferrarla e farsi aiutare.
A volte, invece, penso
che lei lo abbia fatto per un motivo
che forse io non avrei accettato, che forse io non ero
d’accordo. O forse sono
solo uno stupido che cerca spiegazioni, quando magari ha ragione Alice,
forse
davvero non mia ama più
Scuoto la testa e la
mia attenzione viene catturata da un
bambino. E’ dentro ad un edificio, dall’aspetto
sembra una scuola, forse è la
scuola materna, avrà tre anni circa, è
sull’altalena e mi sorride, o forse non
sorride a me, mi guarda, non riesco ad identificare il colore degli
occhi. E’
un bimbo minuto, i suoi capelli sono castani chiari, quasi ramati,
quasi come
quelli miei, forse è per questo che mi guarda, per aver
notato lo stesso colore
dei miei capelli. Alice mi guarda e guarda la direzione del mio
sguardo,
guardando dove guardo io. Mi volto a guardarla, i suoi occhi sono un
misto tra
terrore e ansia, la vedo deglutire e tirarmi via afferrando un lembo
della mia
camicia.
“Che succede
Alice?”- Le chiedo affannato.
“Niente, ti
eri imbambolato a guardare quel piccolo, potevi
spaventarlo.”- Annuisco e mi passo una mano tra i capelli.
Continuiamo a parlare,
lei mi dice quanto sia fiera del suo
lavoro, di quanto sia contenta di vivere qui, di Jasper. Ma la sua voce
è
triste, è come se vorrebbe essere felice al cento per cento
ma non lo è. Mi
parla sempre delle stesse cose, come se avrebbe paura di dire qualcosa
di
troppo, come se quello che può dirmi è limitato.
Si volta a guardarmi e una
lacrima riga il suo viso.
“Potrai mai
perdonarmi?”- Mi chiede sussurrando, gettandosi
tra le mie braccia.
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Capitolo 19 *** The Last Resort. ***
Love
Save The Pain.
The
Last Resort.
Bella’s
Pov
«Dimmi
che non ha capito?!»- Chiedo ad Alice, con la voce
delusa e arrabbiata e con la gola secca. Alice mi guarda negli occhi e
una
lacrima solitaria lascia il suo viso. Mi copro il viso con le mani e
scuoto la
testa. Edward è appena andato via, io non l’ho
visto, lei non me lo ha
permesso, la razionalità nemmeno. Quando sono entrata a casa
di Alice, le ho
guardato gli occhi e ho capito. Ho capito che nemmeno lei ce la fa a
mantenere
questo orribile segreto, ho capito che Edward non è affatto
felice, ho capito
che è distrutto, come lo sono io. Non so cosa Alice gli
abbia detto o, gli
abbia fatto capire, ma qualcosa ha fatto. I suoi occhi lo dicono, i
suoi occhi
dicono sempre tutto.
«Non ha capito. Ma non posso lasciarlo andare in Europa, non
posso permettergli davvero di fare quel che ha detto.»-
Mormora piangendo.
«Non capisco Alice…»- Mormoro,
guardandola confusa.
«Vuole cercarti Bella, non si arrenderà. Dopo
quattro anni
si è sbloccato, ha capito che tu non lo avresti mai lasciato
in quel modo,
senza alcun motivo. Ha intenzione di farlo, fino al giorno in cui
vivrà non
smetterà di cercarti.»- Sbotta singhiozzando.
Inizio a camminare girando attorno al piccolo tavolo della
cucina. Non è possibile, non possiamo lasciarlo vagare in
giro per il mondo,
non per cecare me, che sono lontana anni luce dalla sua versione di
verità.
Forse si sente in colpa, in fondo sa solamente che l’ho
lasciato perché ho
dovuto, ma lui non sa che ogni giorno, ogni istante possiede i miei
pensieri,
la mia mente. Non sa che morirei pur di rivederlo, ma non permetterei
mai che
lui muoia, non permetterei mai che mio figlio viva questo dolore. Il
dolore di
non poter conoscere mai suo padre, credevo di poterlo fare, ma mi rendo
conto
che è impossibile. Io sono cresciuta senza un padre, so
quello che si prova.
E’ tutto troppo complicato, irreale, assurdo. Come una patina
di ghiaccio, che
lentamente si scioglie, come il cuore che a furia di piangere si
consuma, come
un filo di spago
che piano piano si
brucia. E’ arrivato il momento più doloroso della
situazione, è arrivato il
momento di decidere tra la verità e la menzogna, tra il
giusto e il facile, tra
la razionalità e la irrazionalità, tra la vita e
la morte. E’ il momento dell’ultima
spiaggia.
Prendo il cellulare e faccio segno ad Alice di occuparsi a
tenere lontano George.
«Che intendi fare?»- Mi chiede con il sopracciglio
alzato.
«Lo chiamo. Chiamo Aro, devo chiedergli una cosa.»
«Che cosa Bella?»-Mi chiede ansiosa.
«Lo vedrai.»- Sussurro, scomparendo oltre la porta
della
camera degli ospiti, quella dove Edward ha dormito.
Chiudo gli occhi e una lacrima solca il mio viso, avrei
dovuto sapere che non poteva davvero esistere un noi, che quegli Edward
e Bella
insieme erano felici, e loro non possono esserlo, il destino non vuole
felicità
per loro.
Appoggio la mano sul letto, ancora sfatto, e abbasso la
testa. Annuso la stoffa, che sa di lui, sa di amore, tristezza,
passione,
felicità. Prendo il cuscino e lo cullo, come se fosse
Edward, cercando di
trasmettergli il mio amore, come per poco tempo ho fatto, sperando che
lui non
abbia mai messo in dubbio il mio amore per lui. Una volta mi hanno
chiesto se è
vero che si può amare una sola persona in tutta la vita, io
quella volta non
seppi rispondere, adesso saprei farlo. Tutto dipende dalla forza con
cui si
ama, e la mia, di forza dell’amore verso Edward è
indissolubile.
«Pronto? Isabella? Quale onore?»- Chiede
dall’altra parte
del telefono Aro, un conato di vomito attraversa la mia gola al suono
di quella
voce. Deglutisco a vuoto e inizio a piangere.
«Devo vederlo.»- Sussurro.
«No, non puoi, è escluso, lo sai
benissimo.»- Borbotta con
voce divertita.
«Invece posso…»
«Sai benissimo che se ti vedo insieme a lui, lui
morirà.»-
Mi dice scoppiando a ridere.
«Uccidi me. Devo vederlo, devo dirgli una cosa. Ucciderai
me, in fondo lo hai detto anche tu che uccidere lui sarebbe troppo
facile. »- Mormoro
mordendomi il labbro inferiore per non urlare.
«Cosa devi dirgli? Davvero devi farlo? Ne vale della tua
vita lo sai. Come crescerà tuo figlio senza di te?»
«Come diavolo…»- Mi
interrompo udendo il suono della sua risata.
«Lo sai, non possiamo permetterci di perderti di vista.»-
“Brutto
bastardo” penso tra me, reprimendo tutte le parolacce in
aramaico che vorrei
rifilargli. Mi ha spiata anche quando ero con mio figlio. Non avevo mai
detto
ad Aro di avere un figlio.
« Sono fatti miei. Porterò con me una video
camera, se lo
uccidi sei nei guai, sappilo. »- Mormoro cercando
di essere dura, ma vorrei solo urlare
disperatamente per dodici ore di fila.
«D’accordo. Quando? »
«Tra
due mesi esatti. Edward sarà qui, conoscerà suo
figlio, mio figlio ha bisogno
di lui, di fidarsi. Non vedrà me, lo giuro, lo
vedrò tra due mesi, lo stesso
giorno in cui sacrificherò la mia vita. »- Mormoro
risoluta. Lui scoppia a ridere
e accetta staccando la chiamata.
Mi abbandono sul
letto e il mio petto viene scosso dai singhiozzi. Mordo le mie mani e
stringo
gli occhi sperando, in qualche modo che escano dalle orbite. Non ce la
faccio,
credevo che il dolore sarebbe rimasto lì, fermo
dov’era, invece no, passando
gli anni mi sono resa conto che ogni giorno buca il mio cuore, trafigge
la mia
anima, distrugge la mia mente. Dovevo sapere che alla fine sarebbe
finita così,
dovevo immaginare che quel momentaneo tempo tra la tristezza e la
felicità non
sarebbe durato per sempre. Chiudo gli occhi e lo vedo, mentre mi dice
che mi
ama, mentre mi sorride, mentre mi guarda negli occhi trasmettendomi le
sue
gioie e i suoi dolori. Sorrido amaramente, lui, come mio padre,
è sempre qui
con me, nel mio cuore, non lo lascerà mai, nemmeno quando
smetterà di battere.
Il bussare alla porta
mi riporta alla realtà, quella realtà dove devo
vivere, dove devo sorridere per
mio figlio, l’unica cosa che non mi ha fatta sacrificare la
mia vita quattro
anni fa. Ma adesso non posso farne a meno.
«Bella, apri!»- Strilla Alice
disperata. Mi alzo di
scatto, sicura che è successo qualcosa a George. Apro la
porta e trovo Alice
che piange.
«George?»- Sussurro con la
voce roca a causa del
pianto di poco prima.
«Dorme. Perché lo hai
fatto?»
«Fatto
cosa?»- Mormoro confusa.
«Ho sentito tutto,
perché lo hai chiamato? Perché non hai lasciato
tutto com’era? Hai sofferto per
quattro anni, hai costruito un muro in quattro anni, perché
hai deciso di
mandare tutto a puttane? Vuoi davvero che tuo figlio cresca senza di
te? Senza
una madre? »
«Conoscerà il padre,
Edward non lo lascerà mai da solo.»- Mormoro
tristemente, ammettendo l’amara
verità. Era questa la fine della mia vita, dovevo capirlo
quattro anni fa, ma
quattro anni fa avevo una vita in grembo, adesso mio figlio
è qui, e avrà suo
padre. Forse è sbagliato, sicuramente lo è, ma
non c’è una via d’uscita. Come
quattro anni fa devo agire contro ogni mia volontà, contro
ogni mio desiderio,
contro ogni aspettativa.
Mi avvicino in camera
da letto, dove c’è George che dorme beatamente.
Accarezzo i suoi riccioli
delicatamente e le lacrime scendono. Sono davvero pronta ad
abbandonarlo? Ogni
madre non dovrebbe volere il meglio per il figlio? Non vorrebbe esserci
sempre
in ogni momento della sua vita? E’ giusto agire per amore?
Non so perché solo
adesso mi pongo queste domande a cui, naturalmente non ho risposte. Ma
anche
Edward vorrebbe vivere con suo figlio, come sto facendo io, anche
Edward
vorrebbe provare la gioia di essere padre, come l’ho provata
io. Forse dovevo
pensarci prima, ma mi hanno legato le mani e l’unico modo per
essere felice è
vedere Edward e mio figlio felice, perché lui lo
sarà. Non appena avrà
conosciuto Edward –che prenderà il mio posto-
sarà felice come lo è adesso.
Sarà ugualmente circondato da persone che lo amano,
perché Edward lo farà, ne
sono sicura.
«Sei tanto amato,
amore mio.»- Sussurro,
prima di sfiorare la sua fronte fresca e morbida con le labbra.
**
«Ehi
mamma! »-
Urlo
alzando le mani e scuotendole per
farmi vedere. Sono nella sezione “arrivi”
dell’aeroporto, mia madre e Carl
passeranno una settimana con noi. E’ già un anno
che non li vedo.
I miei occhi vengono
catturati dal viso allungato di Carl, che non appena mi vede sorride
picchiettando sulla spalla di Reneé e indicandomi. Carl non
è cambiato, sempre
gli stessi capelli biondo-scuro, sempre stesso fisico da grissino e
sempre gli
stessi occhi da saggio. Mia madre è sempre uguale, se non
per quello sguardo –che
una volta credevo troppo doloroso- adesso doloroso devastante. Mi
è dispiaciuto
abbandonarla così, di punto in bianco. Lei è
stata la prima a sapere che
aspettavo George. Forse lei lo ha capito prima di me.
All’epoca quando
abitavamo nella nostra casa, usavamo due tipi di proteggi slip diversi,
non
appena si è accorta che dopo un mese il mio pacco era ancora
chiuso, si è
presentata davanti a me con un test di gravidanza dicendomi:
“Sei sicuramente
incinta”. Quel giorno il suo sguardo e la sua espressione
erano spaventati, non
appena insieme abbiamo visto quelle due strisce rosa che indicavano
positivo,
lei ha aspettato la mia reazione, ho pianto quel giorno. Ho pianto
perché avevo
avuto la consapevolezza che una parte di Edward viveva dentro di me,
che
sarebbe stato un piacere portarlo in me per nove mesi e stargli accanto
per il
resto della mia vita. Edward ne sarebbe stato felice. La reazione di
mia madre
è stata confortante, essenziale, anche lei era felice, lo
sguardo spaventato
era per una mia reazione, che lei immaginava tutt’altro di
quello che poi è
stato.
«Come è andato il
viaggio?»- Chiedo ad entrambi, girando la chiave e facendo
partire l’auto.
«Bene, grazie. Tu
come te la passi qui?»- Mi chiede Carl con lo sguardo
interessato.
Racconto ad entrambi
dell’asilo e di come George si sia abituato subito, del mio
lavoro che mi piace
anche se non è il massimo. Delle giornate passate con Alice,
di quanto George a
volte sia troppo intelligente per essere solamente un bimbo di tre
anni. Molte
volte il respiro si blocca mentre parlo, per paura che possano
chiedermi di
Edward, ma non lo fanno, sono sempre stati al massimo della discretezza
su
questo punto di vista.
Eppure mi sarebbe d’aiuto
parlarne con mia madre, mi manca il senso di tranquillità
che trasmette la sua
voce, le sue mani che accarezzano i miei capelli quando la terra mi
viene a
mancare dai piedi. Mi manca tutto ciò che avevo e che non
potrò mai più avere.
Scendiamo dalla
macchina e li aiuto a prendere i bagagli. Loro mi guardano, ad ogni
movimento
che compio, mi studiano, e la cosa mi infastidisce, parecchio.
«E’ bellissima
tesoro.»- Mormora mia madre non appena entriamo a casa mia.
E’ piccola, non è
granché, non è come quella in cui vivevo quattro
anni fa. All’entrata c’è una
cucina abitabile, a destra dalla cucina c’è il
bagno –una delle stanze più
grandi di tutta la casa- dove c’è la vasca enorme,
il fasciatoio che usavo
quando George era ancora piccolino, ma che adesso uso per metterci
tutti i suoi
accessori da bagno. A sinistra, sempre dalla cucina,
c’è la camera da letto,
anch’essa grande con il lettone e la culla, ancora nuova che
George non ha mai
usato. Ha sempre preferito dormire con il mio odore che entrava nelle
sue
narici, ha sempre preferito dormire con la sua manina paffuta
appoggiata sul
mio seno, ha sempre preferito addormentarsi con i miei capelli tra le
mani, ha
sempre preferito chiudere gli occhi nell’esatto momento in
cui li avrei chiusi
io. Il ricordo della telefonata di stamattina si sparge nella mia
mente, come
una freccia sparata da un arco, deglutisco ma il nodo che si
è appena formato
sulla mia gola non desiste, è sempre lì.
«E’ piccola, ma per
noi va bene.»- Dico a mia madre accennando un piccolo
sorriso, cercando di non
pensare dolorosamente. Forse dovrei avere paura della morte, ma che
senso
avrebbe? Vivere senza Edward non è peggio? Scuoto la testa e
guardo mia madre,
che mi fissa con gli occhi appannati.
«Accomodatevi.»- Li
invito a sedersi, un po’ perché non voglio che
stiano in piedi, un po’ per
spezzare quel silenzio assurdo che si era creato. Inizio a preparare il
caffè
mentre suona il campanello. Deve essere Alice con George.
«Amore! Cosa hai
fatto oggi?»- Chiedo a mio figlio entusiasta.
«Abbiamo giocato con
la falina e l’acqua, abbiamo fatto il pane.»- Mi
dice urlando felice, inizio a
baciargli il pancino e lui –come ogni volta- scoppia a ridere.
«Batta mamma, ti
plego.»- Farfuglia tra le risa, abbasso la sua maglia e gli
schiocco un bacio
sui capelli che profumano di albicocca. Mi abbasso alla sua altezza e
guardo i
suoi occhi.
«C’è una sorpresa
sai?»- Lui spalanca la bocca e corre in cucina.
«E’
fantastico, e lo
è ancora di più il fatto che si sia ricordato di
noi.»- Mormora mia madre dopo
aver messo George a letto.
«Gli parlo sempre di
voi, di Esme, di Carlisle. E’ molto intelligente, non
dimentica mai quello che
gli diciamo.»
«Alice ti aiuta
molto.» Dice annuendo tra sé. Abbasso la testa e
mi guardo la punta dei piedi.
Siamo sole, Alice è a casa, George dorme e Carl sta facendo
la doccia.
«Anch’io avrei voluto
esserci, sempre.»- Mormora dispiaciuta.
«Ma non hai potuto.
So che avresti voluto, ci sono tante cose di cui mi sono privata e mi
dispiace.
Ma la colpa non è mia.»- Mormoro, è
sempre così. Non basta il senso di colpa
che si prende gioco di me non appena incrocio lo sguardo di mio figlio,
non
basta il pensiero di Edward tormentato, non basta la voce di Aro che mi
impone
di lasciare correre la felicità lontano da me. No, anche
lei, inconsapevolmente
lo fa, per telefono, quando viene a trovarmi. Anche a me sarebbe
piaciuto
gioire con tutti quanti alla prima parola di George, al suo primo
passo, al suo
primo bagnetto, alla sua nascita. Ma non è successo, il
destino ha lasciato
tutto al caso. Dicono che il destino è scritto sulle pagine
della nostra vita,
e non si può cambiare, io ho avuto questo. Tutti prima o poi
si chiedono il
perché, io l’ho già fatto troppe,
innumerevoli, volte. Forse la parola fine
nelle pagine della mia vita arriva troppo presto. Dicono che sono gli
avvenimenti che ci rendono ciò che siamo, io credo che siano
le scelte.
«Non dico questo, non
potrei mai. Sei stata così forte e coraggiosa. Non avrei mai
creduto che
avresti potuto farlo. Avresti preferito morire, ma
nell’esatto momento in cui
la tua mente ha concepito quel pensiero tu hai pensato a tuo figlio.
Sei una
madre coraggiosa Bella. Hai e stai passando il momento più
difficile della tua
vita, e il tuo comportamento ti rende una grande donna. La mia piccola
grande
donna.»- Sussurra scoppiando a piangere e abbracciandomi.
«Ti voglio bene
mamma. Sempre.»
«Te ne voglio anch’io
amore mio.»
La sua mano accarezza
i miei capelli e la mia mente si materializza in un universo parallelo.
Immagini veloci scorrono come un film nella mia mente. Io, George e
Edward
sulla spiaggetta di fronte casa nostra che sorridiamo, Edward che
accarezza il
naso del figlio con il suo, George che lo chiama a gran voce
“Papà”. Una
lacrima solca il mio viso quando mi rendo che ciò che la mia
mente ha partorito
è impossibile, bellissimo quanto irraggiungibile.
«Non ce la faccio
mamma.»- Sussurro scoppiando a piangere, senza smettere di
accarezzarmi i
capelli mi intima di calmarmi. Ma non ci riesco, mi porta con lei sulla
piccola
poltrona e mi fa sedere sulle sua gambe. I singhiozzi non smettono di
squarciare il mio petto, è un dolore lancinante, quasi
terrorizzante.
«Tu
dici?»- Mormoro
ansiosa a Jasper.
«Ne sono sicuro,
Edward non è stupido. Sono sicuro che abbia già
fatto l’interrogatorio a
Carlisle. Se solo tu mi facessi vedere quel farabutto, io metterei fine
alla
tua sofferenza, a quella di Edward, di Alice, a quella di tutti noi.
Alice mi
ha parlato di Edward tante volte, mi ha spiegato il suo stato
catatonico dopo
la morte del suo amico. Mi ha raccontato della solarità
nello sguardo non
appena ti ha vista con lui. Devi dirmi che è se lo vedi,
devi dirmi dove abita se
lo sai. Io voglio ucciderlo.»- Mi dice arrabbiato. In tutti
questi anni ha
sempre voluto vendicarmi, ha sempre desiderato uccidere Aro, ma io non
so dove
si trova, né l’ho mai visto, nonostante lui sappia
tutto di me. Non credo che
comunque sia solo, non credo che comunque glielo direi, non voglio
rovinare la
vita di Alice più di quanto già non lo sia,
né tantomeno la sua.
«Apprezzo tanto le tua
parole. Ma no, non so come tu possa fare. Adesso torno a lavoro. A
dopo.»- Gli
schiocco un bacio sulla guancia e lui sospira dispiaciuto. E’
un grande uomo
Jasper, sono contenta che sia mio amico, sono contenta che rende felice
Alice,
lei lo merita, lo merita più di qualunque cosa.
Sbuffo sedendomi
sulla scrivania e inizio a spulciare i fogli con gli schizzi di Jasper.
Un disegno,
fatto non sicuramente da Jasper attira la mia attenzione. Conosco
troppo bene
quel metodo di disegno, è quello più bello di
tutti quelli che conosco. Quello
di mio figlio. Il respiro mi muore in gola. C’è
un’altalena, dove c’è sopra un
bambino, a fianco ci sono disegnati due omini, uno con i capelli
marroni
lunghi, l’altro senza capelli con un punto interrogativo
sopra la testa. Chiudo
gli occhi, non è possibile. Non è assolutamente
plausibile che George abbia
disegnato questo, non mi ha mai chiesto di un padre, non ha mai detto
“Papà”,
non ha mai chiesto qualcosa che potesse fare riferimento a suo padre.
«Jasper!»- Urlo,
credo disperatamente, dato che Jasper arriva come un fulmine.
«Che diavolo succede?»-
Mi chiede con il respiro affannato. Io deglutisco mostrandogli il
disegno. Lui
lo prende tra le mani e, a quanto pare lo riconosce subito.
«E’ di George, lo ha
fatto per te.»- Sussurra.
«Capitan ovvio.»-
Dico impaziente. Lui si passa una mano tra i capelli e mi guarda negli
occhi.
«Lo ha fatto ieri,
Alice avrà dimenticato di parlartene.» Sussurra.
«Credo che dovresti
portare questo disegno dalla psicologa dell’asilo.
» Continua, io scuoto la
testa, non ce ne sarà bisogno, adesso non più.
«No Jasper. La
prossima settimana Alice chiamerà Edward,
conoscerà George.»- Mormoro e dal
tono della mia voce lui intende tutto.
«A quale prezzo
Bella? »
«Alice non te lo ha
detto?»- Gli chiedo, sicura che non sia al corrente di niente.
«La mia vita, il
prezzo da pagare è quello.»- Lui sbatte il pugno
sul muro e mi trucida con gli
occhi.
«Com’è possibile?»
«Ho contrattato con
Aro. Per telefono.»
«Mi avevi detto che
non sapevi come rintracciarlo.»- Sbotta incazzato. In
realtà non lo sapevo
nemmeno io. Un giorno di qualche mese fa ho fatto il cambio dei
vestiti, nella
piccola valigia che mi ero portata c’era un biglietto col suo
numero.
«Non posso permetterti
di marcire in galera! Fattene una ragione Jasper, come sto facendo
io»
«Non capisco Bella!
Davvero è inconcepibile. E George Charlie? Lui se ne
farà una ragione? Ci hai pensato
al dolore psicologico che dovrà subire? » Mi
accusa con la faccia rossa di
rabbia.
«Ci ha pensato al
dolore di Edward? Ci hai pensato al dolore di George quando si
chiederà perché?
Perché lui è senza un padre? So che magari sto
sbagliando nei suoi confronti.
Lo so benissimo. Ma cosa posso fare? Ho cercato do lottare, ma adesso
è
arrivato il momento. Questa scelta è sempre stata qui, alle
mie spalle,
aspettando di essere presa in considerazione. Questa è
l’unica cosa che posso
fare. Non posso lasciare morire Edward nel cercarmi, non posso farlo. E
l’ho
capito, l’ho capito solo adesso.»- Mormoro
piangendo.
«Bella. George ha bisogno
di te, solo e sempre di te.»- Sussurra sparendo dentro il suo
studio. La mia
testa rischia di scoppiare. Non posso immaginare il dolore di mio
figlio nel
non vedermi più. Ma cosa posso fare?
C’è altro modo? No, non c’è.
Non posso
lasciare vivere Edward con dei grandi punti interrogativi in testa. Non
posso,
non posso. Scuoto la testa convulsamente e scoppio in un pianto
disperato.
Forse sono egoista e non me ne rendo conto. Forse ho preso questa
scelta per il
semplice fatto di mettere fine la mio dolore. Ma non voglio che sia
così. Ho
sempre messo George al primo posto su tutto, come ogni mamma farebbe, a
adesso,
adesso non posso proprio farlo. Sono sicura che Edward lo
amerà come io ho
fatto fino ad oggi. Come me in questi quattro anni, il dolore di Edward
sarà
attutito dal sorriso, dallo sguardo, dalla voce di suo figlio. Voglio
che lui
abbia questo destino. Gli avevo già detto che questi Edward
e Bella non erano
destinati in questa vita, ma voglio essere io a dare una piega alla sua
vita.
Suo figlio.
Se siete arrivati qui
vi state chiedendo due cose; Che cazzo sta combinando Bella? Oppure,
cosa
succederà nel prossimo?
Allora per quanto
riguarda la prima, vi prego di non giudicarla. Lei ama suo figlio,
altrimenti
avrebbe preferito morire quel giorno di quattro anni fa, ma non
l’ha fatto
proprio perché aspettava un piccolo esserino che dal primo
momento ha amato. Ma
qui c’è in ballo la felicità di Edward
e di George. So che la madre deve
esserci sempre e deve pensare al figlio sempre prima di ogni cosa, ma,
qui si
tratta anche della felicità di George. Di dargli la
possibilità di avere un
padre, quello che lei non ha avuto. Poi il giudizio spetta a voi.
Nel prossimo capitolo
succederà che…EEEEh, non ve lo dico :p
Ma arriverà
presto!
Grazie per aver letto
fin qui, apprezzo che la storia sia seguita, anche silenziosamente.
Un bacio.
Roby <3
|
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Capitolo 20 *** All And Nothing. ***
Love
Save The Pain.
All
And Nothing.
Ho un vuoto. Al
posto
del mio cuore, nel mio petto adesso c’è un vuoto.
Ma non una voragine che
provoca dolore, è una cosa indolore, che non ti fa stare
bene né male, che non
ti fa piangere, non ti fa sorridere. Credo fosse così da
quattro anni a questa parte,
è come se fossi congelato. E non sono contento di questo,
né triste. Anche il
mio corpo, oltre che la mia mente ha capito che sono il fantasma di me
stesso.
Sono nel mio ufficio,
non so nemmeno quanti appuntamenti mi aspettano oggi, non so nemmeno
che giorno
è oggi, a stento ricordo il mio nome. La malinconia
è sempre stato quell’arazzo
che la mia vita mi ha saputo dare. C’è sempre
stata quella malinconia, anche
prima della fuga di Bella, anche prima della morte di George. Capitano
quei
giorni, che senza apparente motivo ti fanno sentire triste, vuoto,
inutile.
Prima erano giorni, fino a quattro anni fa erano ore, adesso
è tutto il giorno.
Forse sarebbe salutare per me togliermi la vita, ma se sono arrivato a
questo
punto, se sono ancora vivo, ci sarà un valido motivo. Voglio
vivere, anche se
non lo faccio davvero, anche se questa mia ipotetica vita non lo
è davvero,
voglio farlo. Voglio vivere con tutto e con niente.
Il trillo del mio
cellulare mi fa sobbalzare, nell’assurdo silenzio che si era
creato.
«Pronto? Jasper? »
“Edward, come stai?”-
Butta in un sospiro.
«Tutto bene, grazie.
Devi dirmi qualcosa?»- Chiedo speranzoso. Come succede ad
ogni telefonata. Ad
ogni trillo del mio cellulare, ad ogni messaggio, spero che la mia
famiglia,
ogni volta, mi dica: “Ehi Edward è tornata
Bella.” Ma non succede mai, e come
ogni volta non succede nemmeno adesso.
“Vedi
Alice ha avuto un incidente a
lavoro. E avrebbe bisogno di te, so che magari sei occupato. Ma so che
potresti
lavorare anche a distanza, e…mi chiedevo se..”-
«Dammi il tempo di
prenotare un aereo.»- Dico interrompendolo. Strano, ma
l’ho detto. Prenderò un
aereo, credevo che mai e poi avrei potuto farlo. Qualche giorno fa,
mentre
progettavo di tornare da Alice, mi sono detto: “Vivere
così è poi così tanto
diverso dal morire?”.
Mentre lui mi spiega
dell’incidente di Alice, assurdo da crederci. Mi rendo conto
che nelle
caratteristiche di mia sorella c’è il:
“Fare tutto da sola.” Mi chiedo come mai
abbia chiesto aiuto proprio a me. Forse il fatto che il nostro
rapporto, in
questi ultimi quattro anni, si sia raffreddato la turba, e quindi,
vuole farlo
tornare come una volta.
Amber è seduta sulla
scrivania -quella scrivania che una volta non potevo fare a meno di
guardare-
che si passa una mano nei capelli annoiata. Il botto della porta che si
apre fa
sobbalzare entrambi. Mio padre entra come una furia puntando dritto gli
occhi
su Amber.
«Che diavolo hai
combinato?!»- Urla rabbioso, un tono che non avevo mai
sentito uscire dalle
labbra di mio padre.
«Io…io, non capisco.»-
Si rivolge intimorita lei.
«Mi hai cancellato un
appuntamento che aspettavo da mesi! Mi hai tolto la
possibilità di sbattere in
galera quel bastardo! FUORI DI QUI! Sei licenziata!»- Urla
ancora, sotto il mio
sguardo confuso. Amber inizia a piangere e mi guarda, come per
intimarmi di far
ragionare mio padre, ma detto francamente il fatto che vada via non mi
importa.
Forse fino a qualche anno fa lo avrebbe fatto, ma sono vuoto, inutile,
triste,
senza arte né parte, indifferente. Tremando raggiunge lo
spogliatoio e si
cambia per andare via. Non ho mai capito perché mio padre
non faccia uscire le
segretarie con il tailleur, non gliel’ho mai chiesto a dire
il vero.
«Che è successo?»-
Chiedo a mio padre, che sembra si sia calmato un pochino.
«Oggi c’era
l’incontro per l’istanza. Aro Volturi. Ti dico solo
questo.»- Mormora
sbuffando.
«Come mai è saltato?»
«Vedi Edward, per
questo giorno mi ero preparato tutto. Avevo chiesto ad Amber di
cancellare
tutto, tranne questo. Invece non avrà capito un emerito
cazzo, e mi ha
cancellato. Gli altri si sono spostati, non so dove siano, credendo che
a me
non importava. Hanno ricevuto una mail dove io dicevo che non sarei
potuto
andare. Aspettavo questo momento da quattro anni.»- Mormora
uscendo dallo
studio mentre si scioglie la cravatta con l’espressione dura.
Lo seguo e mi
avvicino a lui.
«Papà, non capisco.»
«Non è il momento di
farlo figliolo.»- Ammette dandomi una leggera pacca sulla
spalla.
«Sono
contento che
vai un po’ da Alice.»- Mormora mio padre mentre
usciamo. Finalmente questa
giornata lavorativa, che sembrava non voler finire, è giunta
al termine.
«Papà, se hai bisogno
posso anche non andare.»
«No, va’ da Alice.
Sono sicuro che ti abbia chiamato per un motivo più che
valido.»-Annuisco e
prendendo la macchina mi dirigo all’aeroporto. Mangio un
panino sull’aereo e
una signora sulla cinquantina siede a fianco a me. Mi guarda, anzi no,
mi
studia con lo sguardo, trema e parla con l’hostess con voce
impaurita.
«Posso tenerti la
mano?»- Mi chiede imbarazzata. Io le sorrido e annuisco.
Prende la mia mano e
la stringe forte tra le sue.
«Prima volta?»-
Chiedo non appena l’aereo inizia a decollare, cercando di
parlarle e farle
pensare ad altro. Lei annuisce e sbarra gli occhi. Io accarezzo le sue
mani e
le intimo di stare calma. Eppure sembra che non voglia dirlo a lei, ma
a me
stesso. Come se la stretta si questa signora, di cui non conosco
nemmeno il
nome, sia necessaria, giusta, essenziale. Per tutta la durata del volo
le sue
mani non lasciano le mie. Mi parla di suo marito, che è
rimasto a LA, di suo
figlio che domani si laurea e finalmente torna a casa, di sua figlia,
morta in
un incidente aereo.
Sospiro, pensando a
quanto la vita sia più ingiusta per tante altre persone, per
la vita stessa che
va via, per il dolore quando una persona cara ci lascia. Dicono che
è passato,
ma il passato non fa forse parte di noi? Non dobbiamo conviverci per
sempre? Il
passato è dolore, il passato è parte di noi, il
dolore lo è. Bisogna solo
trovare la via per uscire dal limbo della malinconia, la via per
riuscire in
qualche modo a vivere. Vivere davvero.
«Grazie infinite.»
«Si figuri, è stato
un piacere. Buona fortuna. »
«Buona fortuna a te.
Credo che tu ne abbia più bisogno di me.»-
Sussurra prima di prendere la sua
valigia e uscire dall’aereo.
**
«Grazie
Edward.»
«Figurati è un
piacere. Come sta lei? Sa che sto arrivando?»
«Si certo. E’ stata
lei a dirmi di chiamarti. Io non lo avrei mai fatto.»- Dice
titubante.
«Perché?»- Chiedo confuso.
«Non è il momento di
chiedere il perché Edward.»
«Jasper. Io so
benissimo che mi nascondete qualcosa. Tutti quanti. Sono stanco di
sentirmi
dire “non è il momento”, credo che sia
giusto saperlo. Perché sono sicuro che
si tratta di Bella. Non capisco perché mi tenete
all’oscuro. Sono stanco di
questo!»- Dico alzando la voce di qualche ottava. Lui
annuisce e rimane in
silenzio. Per tutto il tragitto mi aspetto che dica qualcosa, ma non lo
fa. Ed
è straziante, dovrei essere incazzato per tutto questo, ma
non lo sono. Perché
so, che se, mi nascondono qualcosa lo fanno per il mio bene, per la mia
salute
psicologica. Forse l’hanno sentita, forse si è
sposata, forse è felice e non
vogliono dirmelo. Non sapendo che per me questo è
essenziale, trovare qualcuno
che mi parli di lei sarebbe necessario, sarebbe quel motivo per
sorridere.
Sapere che lei è felice, renderebbe felice anche me. Sarebbe
tutto e niente per
me. Anche se mi ha lasciato negli abissi, anche se la sua fuga mi ha
distrutto,
io la amo e non posso nascondere il mio sentimento. Sarà un
amore malato,
ossesso, ma è amore, è quella cosa per cui adesso
sono qui. In macchina con
Jasper pronto ad aiutare mia sorella.
«Edward!»- Esclama
sorridendo, Alice. E’ seduta sul divano con la gamba distesa,
il piede è
appoggiato su un cuscino e la sacca con il ghiaccio accanto.
«Che mi combini?»-
Domando, correndo ad abbracciarla. Scoppia a ridere e una lacrima riga
il suo
viso. La raccolgo con il pollice e guardo i suoi occhi. Non
è cambiato
niente dall’ultima
volta.
«Non piangere.»
«Perdonami Edward.»-
Sussurra guardandomi e accennando una piccola smorfia di d0lore sul suo
viso.
«Non capisco cosa dovrei
perdonarti.»- Mormoro baciando la sua fronte. Lei mi
abbraccia e mi stringe
forte. Sospiro sulla sua spalla, è anche questo che mi
permette di andare
avanti, l’affetto di mia sorella, sapere che lei non mi
abbandonerà mai, che
lei sarà quella donna che mi amerà sempre. Il suo
cellulare squilla e lei mi
sorride scusandosi.
«Pronto? Melanie?»-
Mormora confusa. Rimane in silenzio e annuisce.
«D’accordo…si…sicura.
Tua mamma è ancora qui?...Oh Capisco. A dopo.»-
Stacca la chiamata e mi guarda.
«Sta arrivando il
figlio della mia amica. E’ bellissimo vedrai.»-
Dice battendo le mani, ma è
triste, cerca di essere sé stessa, ma per quanto ci provi
non ci riesce.
«Ma conciata così? Non
potevi dirle che stai male?»- Lei scuote la testa e mi
sorride.
«Sao
Eduad. Io sono
Geolge.»- Mormora quel piccolo, che l’ultima volta
mi fissava attraverso il
cancello dell’asilo. Stringe la mia mano e mi sorride. Il suo
viso ha dei
tratti molto familiari, ma in questo momento non riesco a collocarli da
nessuna
parte.
«Molto piacere
George.»- George. Anch’io avrei voluto chiamare mio
figlio George.
«Tia Alice?»- Si
rivolge ad Alice che, le sorride e mi fa segno di avvicinarmi a lei.
«Edward. Potresti per
favore, tagliargli una fetta di torta?» Annuisco e taglio una
fetta di torta al
piccolo. Lui si siede sulla sedia e inizia a mangiarla.
«Lo tieni sempre tu?»-
Le chiedo contrariato.
«Si. La mia amica è
sola, lavora per mantenerlo, e poi è dolcissimo non trovi?
E’ un piacere averlo
qui.»- Annuisco guardando il piccolo che mangia. Il
pomeriggio passa tra
disegni, favole, risate. Ha ragione Alice, è un piacere
averlo qui. Ogni tanto
mi ricorda Isabella, il suo modo di concentrarsi, il rossore che si
imporpora
sulle sue guance quando gli chiedi qualcosa, anche Bella faceva
così. Scuoto la
testa, ogni persona, ogni cosa, mi ricorda lei. Dopo due ore il piccolo
si
addormenta tra le mie braccia. Sulla sua bocca si è formata
una piccola ‘o’, è
rilassato, ed è bellissimo. Uno dei bambini più
belli che abbia mai visto. I
suoi occhi sono grandi e verdi, sono bellissimi, i suoi capelli, come
avevo
notato la volta scorsa, sono come i miei, castano-ramati, il suo corpo
è
minuto, ma ha tanta forza. Alice mi fa segno di portarlo in quella che
dovrebbe
essere la mia camera e lo deposito sul letto.
«Mammina?»- Sussurra
con gli occhi chiusi.
«Torna tra poco.
Riposati.»- Sussurro dandogli un bacio sulla fronte.
I giorni
passavano,
ogni giorno George veniva da Alice, mi saltava addosso e si inventava
giochi
nuovi. In questi ultimi cinque giorni mi sono accorto della sua alta
quota di
intelligenza e furbizia. E’ un bambino fantastico, quando
Jasper lo riporta a
casa io non vedo l’ora che venga il giorno dopo per
rivederlo. Quando sono con
lui dimentico tutto, il male, la tristezza la malinconia, che sono
sicuro
tornerà quando tornerò a Los Angeles. Ma per
adesso voglio godermela questa
tranquillità. Dicono che i bambini sono la cosa migliore al
mondo. Dicono che
la felicità si ritrova in un bambino, ed io sono pienamente
d’accordo. Anche se
tra me e lui non c’è un legame di sangue lo sento
parte di me, lo vedo nei suoi
occhi, nei suoi gesti, siamo molto simili. L’ho detto ad
Alice, lei è rimasta
in silenzio ed ha continuato a guardare la televisione. Adesso sono nel
divano
con lei, George oggi non viene, è domenica e sua madre non
lavora. Ho chiesto
ad Alice come mai non venisse mai a trovarla, lei mi ha risposto che
è sempre
occupata con il lavoro. Ho chiesto del padre di George, e lei mi ha
semplicemente detto che non c’è l’ha.
Non ho chiesto ulteriori spiegazioni, ma
è assurdo che qualcuno non vorrebbe un figlio come George,
che un bambino è
sempre quella cosa che ci vuole in una vita. Che senza
l’amore per i figli
molte persone sono il nulla.
«A che pensi Edward?»-
Mi chiede Alice con la voce annoiata, mentre Jasper è di
là a lavorare.
«A tutto e a niente.»-
Dico con voce incolore. Lei annuisce e mi sorride.
«Facciamo una torta!»-
Esclama eccitata.
«Non puoi!»- Urlo
scoppiando a ridere.
«Già. A volte
dimentico di essere stata condannata a poltrire sul divano.»-
Mormora
sconfitta.
«Dobbiamo parlare Alice.»
«Non c’è niente di
cui dobbiamo parlare, se non del più e del meno.»-
Dice portandosi avanti. Ma
cosa crede? Che dicendo queste cose non mi faccia incuriosire di
più? Si
sbaglia di grosso.
«Alice perché mi dici
queste cose? Perché mi implori di perdonarti?
C’è qualcosa che dovrei sapere?»-
Domando esasperato. Delle lacrime copiose inondano le sue guance, ed
è questo
che mi da la conferma di quello che penso. Lei sa
dov’è Bella, la sente, ci
parla, è in contatto con lei in qualche modo. E non capisco
perché, mia sorella
debba tenersi tutto per sé.
«Cosa vuoi sapere
Edward?»
«Perché è andata via?
La senti?»
«La sento, si, per
telefono. Non so perché è andata via.»-
Mormora, ed io sono sicuro che sta
mentendo, non per niente sono la persona che la conosce più
di chiunque altro.
«TU LO SAI ALICE!
Cristo, perché non volete dirmelo, non basta il fatto che mi
sto distruggendo?
Non basta vedermi vivere nel suo ricordo? Senti Alice sono stanco!
Stanco di
tutto questo. Sono l’unico a non sapere che fine abbia fatto!
Andatevene a
fanculo!»- Sbotto uscendo di casa. Sono stufo di tutto
questo, non capisco il
perché, non capisco il motivo per cui debbano tutti
nascondermi la verità,
perché si, loro lo sanno. Ed ho intuito che lo hanno sempre
saputo. Inizio a
passeggiare per le vie di New York, senza meta, né
conoscendo le strade. C’è un
sacco di gente, ci sono luci dappertutto, tutto è
movimentato, tutti vanno di
corsa caoticamente. Guardo l’orologio e mi accorgo che sono
già passate due ore
che cammino. Scuoto la testa e mi passo freneticamente una mano tra i
capelli.
«Perché
mi fai
questo?»- mormora mia sorella, tenendosi su una stampella,
mentre guarda le mie
mani che si muovono veloci tra il letto e la valigia.
«Non c’è un perché,
sono semplicemente stanco. Dato che nessuno qui vuole dirmi qualcosa,
ci penserò
da me.»
«Non puoi davvero
passare la vita a cercarla! Edward, cerca di ragionare. Non puoi
passare il
resto della tua vita a cercarla! A cercare una persona che ti ha
lasciato!»-
Sbotta impazientita.
«Alice! Cristo santo!
Lo dici solo per farmi cambiare idea. Perché se davvero tu
non sapessi nulla
non diresti così! Sai che non è in Europa e stai
cercando in tutti i modi di
fermarmi. Non è in Europa? Come faccio a crederci, se non mi
dite un cazzo,
mentre sapete tutto?»- Mormoro al limite della pazienza.
«Non posso dirtelo
Edward. Non posso, non posso.»- Ripete scoppiando a piangere.
«Ma cosa credi? Credi
che a me non faccia male sapere come stai? Credi che io stia bene
sapendoti
così distrutto?»- Mormora con voce rotta dal
pianto. Piange senza sosta. E
allora capisco che si, lei sa tutto, ma che non può dirmi
nulla. Che è
impossibile da credere, ma è così. Che nonostante
tutto non posso, non riesco
ad avercela con lei, perciò mi avvicino e
l’abbraccio stretta a me.
«Dimmi solo che è
felice. Che sta bene.»- Mormoro sperando in una risposta
positiva.
«Non è felice, sta
bene, solo fisicamente.»- Mormora facendomi tacere. Inizio a
piangere con lei,
non sapendo bene il motivo, ma lo faccio, lo faccio finché i
singhiozzi portano
la mia anima allo sfinimento.
«Edduadd!»- Urla
George correndomi incontro. Sono fuori dall’asilo. Oggi la
madre non è riuscita
ad essere qui in tempo, mi sono offerto volontario per andare a
prenderlo
all’asilo. Non che lo faccia per fare un
favore alla madre, lo faccio per lui, per quel piccolo
ometto che riesce
a colorare la mia giornata.
«Ciao piccolo!»- Dico
baciandolo sulla guancia. Mi prende per mano e iniziamo a camminare.
Gli chiedo
come è andata oggi a scuola, lui mi dice che è
andato tutto bene e hanno fatto
molti disegni, poi il mio cellulare ci interrompe.
«Pronto? Alice? Tutto
bene?»- Chiedo a mia sorella allarmato per averla lasciata da
sola.
«Si, si. Solo volevo
dirti potresti portare al Central Park George? Credo che sua mamma
venga a
prenderlo lì tra qualche ora.»- Mormora titubante.
«Oh. Certamente. Ci
vediamo più tardi. Ce la fai a star da sola?»- Le
chiedo apprensivo.
«Si Edward, grazie,
grazie davvero di tutto. Ti voglio bene.»- Dice tutto
d’un fiato chiudendo la
conversazione. Guardo George che mi guarda e sorride, e non posso fare
a meno
di ricambiare.
Se io avrei un figlio
potrei mai fidarmi di uno sconosciuto? Come fa lei e stare tranquilla
sapendo
che suo figlio è con me? Una persone lei, la madre, non
abbia mai visto, o
comunque parlato telefonicamente.
Potrei sempre essere
un maniaco, un sequestratore.
Scuoto la testa,
nessuno potrebbe mai fare del male ad un bambino dolce, bello, solare
come
George.
«Allora facciamo un
giro?»- Gli chiedo abbassandomi alla sua altezza e
scompigliandogli i capelli.
Lui annuisce sorride e si tuffa tra le mie braccia. Mi tiene stretto a
sé e
scoppia a ridere.
«Ti voglio bene Eduad.»-
Mi dice facendo scorrere una lacrima sulla mia guancia.
Camminiamo mano nella
mano. Lui mi parla di una volta in cui la sua mamma si è
seduta su una di
quelle panche, che trovi ogni duecento metri attraversando il parco, e
piangeva, credendo che lui non ne aveva capito nulla.
«Come si chiama il
tuo Papà, piccolo?»- Chiedo visibilmente
interessato.
«Cos’è Papà? » Mi
chiede curioso. Io lo guardo negli occhi, un lampo di
curiosità accende quel
verde smeraldo magnifico. E mi viene in mete quel giorno in cui Alice
mi ha
detto che non ha un Papà, né nessuno
gliene ha mai parlato.
«Come si chiama la
tua mamma?»- Continuo guardandolo negli occhi, lui sorride.
«Itabellllla Suan. Ma
tutti la chiamano Bella, forse perché è bella
davvero. E’ bellittima la mia
mammina.»- Sento che i miei piedi tutto ad un tratto
diventano molli, che
potessero cedere da un momento all’altro. Penso a tutto e a
niente, la mia
mente produce delle immagini che raffigurano il tutto nitido, al niente
oscuro
e opaco. Il respiro mi manca, mi siedo su una panca e fisso George. No,
non è possibile.
Salve! Mi
dispiace
lasciarvi così, ma come avete visto il prossimo
arriverà in fretta. Non mi
piace lasciarli così, come non mi piace lasciare voi per
tanto tempo ad
aspettare.
Spero che il
capitolo
vi sia piaciuto, ehm, fatemi sapere.
A presto,
prestissimo.
Baci.
Roby <3
|
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Capitolo 21 *** In Spite Of Everything. ***
Love
Save The Pain.
In
Spite Of Everything.
Bella’s
Pov.
«Senti
mamma, mi sta chiamando Alice. Sta tenendo George e
non posso non rispondere, ti chiamo dopo.»- Dico
staccando la chiamata. Mia madre e Carl
sono appena atterrati. E’ stato bello averli qui per un
po’. Mentre esco dallo
studio di Jasper chiamo Alice.
«Bella. Corri a prendere George, è successo un
casino.»-
Urla ansante Alice.
«Cosa è successo a George Alice?!»-
Domando con il tono di
voce disperato, iniziando a correre verso l’auto.
«Sta bene, non è successo niente. Ma devi venire
qui,
subito. Entra dal passaggio nuovo, non
dall’entrata.»- Ancora ansante stacca la
chiamata e metto in moto.
Edward è qui , a New
York. George
ha passato il suo tempo con lui. Dicendomi che lo vuole bene, che
vorrebbe vederlo
tutto il giorno. Sono felice di questo, che Edward piaccia a George.
Una
lacrima solca il mio viso, avrei voluto vederli insieme. Immediatamente
arrivo
e, come mi ha accennato Alice qualche giorno fa, entro dal
“passaggio segreto”.
E’ una piccola porta situata dietro ad un edificio di fianco
casa di Alice. Si
arriva in cantina direttamente. Quando, in questi giorni, Jasper non ha
potuto
portarmi George sono passata da qui. Alice lo accompagnava in cantina e
sussurrando mi diceva: “Tutto apposto”. Sbuffo
impazientita, quando mi accorgo
che la cantina è chiusa a chiave da fuori. Scelgo
l’idea di iniziare ad urlare,
ma se Edward fosse in casa? Prendo il cellulare e compongo il numero di
Alice.
Al terzo squillo, anziché rispondere, apre la porta. Si
porta l’indice sulla
bocca, intimandomi di non parlare. Prende la mia mano e mi trascina in
bagno. L’unica
stanza dove non devi oltrepassare la casa in sé.
«Stai ferma. Qui. Non muoverti. Qualsiasi cosa accada,
qualsiasi cosa tu ascolti. Intesi?»- Annuisco, con il cuore
che fa le capriole
per l’ansia e lei esce, chiudendomi.
Si sentono svariati passi, George non si sente minimamente.
Confusa e spaesata appoggio l’orecchio sulla porta del bagno.
«Vaffanculo, vaffanculo, Alice. Che diamine è
successo?»- La
sua voce, quella voce. Il mio cuore,
come il mio respiro, si ferma di scatto, registrando quel suono, tanto
agognato. Quanto ho desiderato sentire la sua voce? E’
disperata, vuota,
triste. Non è la voce del mio Edward, è fredda,
spenta, flebile. Siamo così
vicini, mi basterebbe urlare, fare un qualsiasi rumore per averlo tra
le mie
braccia. Sento dei singhiozzi, sicura che siano di Alice.
«Cosa hai saputo Edward?»- Chiede lei disperata.
«Isabella Swan, ma si fa chiamare Bella.
Questo è tutto. Tutto quello che dovevo
sapere, tutto quello che George mi ha detto, quando gli ho chiesto il
nome di
sua madre.»- Non appena la sua voce smette di riempire la
stanza, un silenzio
tombale cala su tutta la casa. Un singhiozzo da parte mia, inaspettato,
mi fa
cadere per terra. Mordo la mia mano, cercando di attutire il suono, in
modo che
Edward non lo senta. Sarebbe davvero la fine.
«Non posso dirtelo Edward.»- Sussurra Alice.
«Non puoi? Scherzi? LEI MI HA TRADITO. PER QUESTO
E’
SCAPPATA. Dio, e io che l’amo ancora, io che mi sono fatto
prendere in giro da
lei! Sono stato un coglione.»- Urla disperato, un suono che
spezza il mio
cuore, frantumandolo definitivamente.
«Non ci posso credere.»- Sussurra, ancora. Chiudo
gli occhi,
spazzando via le lacrime e un dolore, mai sentito prima, si diffonde
nel mio
petto. Eppure, credevo che lui mi conoscesse abbastanza, non avrei mai
e poi
mai potuto tradirlo. Non vede che George è suo figlio? Come
può pensare questo
di me? Stringo i miei capelli tra le dita, non so per quale motivo,
forse per
trattenermi. Vorrei solo uscire da questa dannata porta. Appoggio la
schiena
sulla vasca e inizio a respirare lentamente, e mentre loro, in cucina,
si
guardano negli occhi rimanendo in silenzio, il mio cuore mi abbandona,
ed io lo
lascio andare.
«Non ti ha tradito Edward.»- Mormora Alice,
incerta. Non sa
se dirgli o meno che George è suo figlio. Deglutisco, voglio
davvero che lo
sappia così? Adesso?
«FALLO ALICE! DIGLIELO!»- Urlo scoppiando a
piangere. Un
rumore forte, sfuggente, di passi si avvicina al mio campo uditivo. Una
botta
sulla porta mi fa sussultare.
«Bella?»- E’ lui, sta piangendo. Avvicino
la mano alla porta
e tocco il punto dove credo che sia la sua mano dall’altro
lato. Inizio a
piangere silenziosamente ma non rispondo.
«Bella sei tu?»- Mi chiede disperato. Vorrei tanto
dirgli tutto,
vorrei dirgli che lo amo, più di prima nonostante siano
passati quattro anni da
quando non ci vediamo.
«E-edward.»- Mormoro balbettando. Alzo la testa e
guardo il
tetto del bagno. Le lacrime che stavano per uscire rientrano nei miei
occhi e
li chiudo.
«Apri Bella.»- Scuoto la testa, anche se lui non
può
vedermi. Sento altri passi e sono sicura che Alice lo
allontanerà da me.
«George è tuo figlio Edward. »- La voce
di Alice è sfinita,
senza tonalità. Un singhiozzo lascia il petto di Edward e
poi riesco solo a
vedere nero, il buio mi avvolge completamente.
«Bella?»-
Mi sento chiamare da Jasper, sentendo qualcosa di
duro e freddo sotto di me. Apro gli occhi leggermente. Sono distesa sul
pavimento del bagno. La mano di Jasper circonda il mio viso e mi metto
seduta.
«Sei svenuta Bella e, mi chiedevo se…»
«Si Jasper. Ricordo tutto.»- Mormoro.
«Mi dispiace.»- Dice sinceramente, io annuisco e mi
alzo.
«Dov’è lui?»
«In cameretta con George. Lui dorme. Lo sta guardando da
un’ora
ormai.»
«Chiudi la porta della camera. Portami George in cantina.
Devo andare a casa.»- Sussurro alzandomi.
«Che senso ha? Ormai vi siete parlati.»- Scuoto la
testa e
lui annuisce. Mi accompagna giù e aspetto che mi porti
George.
«Buonanotte Bella.»- Mi dice Jasper porgendomi
George
addormentato.
«Saluta Alice.»- Dico con voce incolore,
dirigendomi in
macchina. Deposito George sul sediolino e rimango incantata a
guardarlo.
Accarezzo i suoi capelli, e per l’ennesima volta i miei occhi
piangono. “Perdonami
amore mio” sussurro tra me chiudendo lo sportello. Non appena
rimbocco le
coperte a George il citofono suona.
«Chi è?»
«Sono io.» Mormora quella voce inconfondibile.
Edward.
Rimango in silenzio, ma con il citofono incollato
all’orecchio.
«Fammi salire. Ti prego.»
«N0n posso Edward. »- Dico in un singhiozzo che mi
sconquassa.
«Ti prego.»- Mormora disperato. Tono che lacera il
mio
cuore, ancora una volta. Odio sentirlo così, odio immaginare
come possa aver
passato questi ultimi anni senza di me. E nonostante tutto, nonostante
io fossi
scappata non ha smesso un momento di amarmi. Ha fatto come gli avevo
chiesto; non
mi ha dimenticata, non lo ha fatto, nonostante il caso, i fatti, i
dubbi.
Rimango ancora un volta in silenzio. Una parte di me
vorrebbe passare il resto della vita così, appoggiando la
mia vita ad un
citofono, senza lasciarlo, come se fosse un contatto. Siamo vicini,
quanto
lontani. L’altra parte di me vorrebbe che lui andasse via,
senza speranze, in
modo che si metta il cuore in pace. Non potremmo mai più
amarci. Ed è un
consapevolezza amara, dolorosa.
«Bella. Sei qui?»
«Si…»- Sussurro flebilmente.
«Ti amo Bella. Ciao.»- Chiudo gli occhi, che
bruciano così
tanto che vorrei toglierli dalle orbite e mordo il mio labbro
inferiore. Guardo
dalla finestra e lo vedo, di spalle, sta andando via, via da me.
Annuisco tra
me, è la cosa migliore, per lui, per George, per tutti.
Chissà cosa pensa,
chissà se si è mai chiesto il perché
sono andata via, se si è mai dato delle
risposte.
Mi sdraio a fianco a mio figlio e lo abbraccio, passando la
notte insonne, ovviamente.
«Bella,
dai vieni con me!»- Mormora Kate. Siamo a pranzo,
oggi lavoro tutto il giorno. Lei è la padrona di questa
piccola trattoria, dove
spesso vengo con Alice e Jasper. Sorseggio il mio caffè e
scuoto la testa.
«Ma è l’ultimo! Non puoi non
venire.»- Mormora cercando di
convincermi. Ha preso due biglietti per stasera, ci sarà
l’ultimo concerto dei
System Of A Down, doveva andare con la sorella, che si è
ammalata. Amo quel
gruppo, ma non sono completamente in vena di un concerto. Anzi forse
non lo
sono mai stata. E’ sempre stato un sogno per me vederli dal
vivo. Ricordo che,
a quindici anni impazzivo davanti ai live con mia cugina. Ci eravamo
promesse
di andarci insieme un giorno, ma poi l’università
che ha scelto, in Italia, mi
ha portato via anche lei. Non la sento da tanto, troppo tempo.
«No Kate. Dico davvero.»- Sussurro stanca
emotivamente.
«Perché no Bella? Ti farà bene. In
fondo è solo una sera.
Forse sarà un motivo per non pensare a niente per qualche
ora.»- Scuoto la
testa e la guardo.
«Dai Bella! E’ un sogno per te! Lo hai detto tante
volte.»-
Dice implorandomi con lo sguardo. Giro la testa guardando il sole e
cerco di
pensarci. Mi sembra così assurdo dare importanza a questa
scelta. Come posso
andare a divertirmi se so, che c’è gente che sta
soffrendo a causa mia? E mio
figlio, non posso lasciarlo da Alice la notte. Non è mai
successo che
dormissimo separati. Scuoto la testa e Kate sospira.
«D’accordo. Credo che li regalerò a
qualcun altro.»-
Sussurra sconfitta.
«Puoi sempre andare da sola. Non ti mangeranno
mica.»- Mormoro
con nonchalance. Lei annuisce e torna in cucina.
«Che succede?»- Mi chiede Alice sorridente,
stranamente,
mentre tiene la manina di George tra le sue.
«Ciao amore!»- Esclamo abbracciando mio figlio.
Faccio cenno
ad Alice di sedersi.
«Come mai qui?»- Chiedo ad Alice, accarezzando il
pancino di
mio figlio.
«Eravamo da soli. Abbiamo deciso di mangiare qui. Sicuri che
ti avremo trovata.»- Sussurra.
«Ma io ho finito. Devo tornare a lavoro.»- Lei mi
guarda e
annuisce.
«Allora pranzeremo io e il mio nipotino
preferito.»- Mormora,
guardando innamorata George. Lui scoppia a ridere e annuisce.
«Devo andare.»- Sussurro posizionando George sulla
sedia.- «Comportati
bene. La mamma verrà presto a prenderti.»- Dico a
quest’ultimo accarezzandogli
i capelli.
«Cosa aveva Kate?»- Mi chiede Alice abbracciandomi.
Le
spiego del suo tentativo di convincermi ad andare al concerto e di come
io
abbia stroncato il tutto immediatamente.
«Perché no Bella?»- Mi chiede anche lei.
«Non posso Alice. Non me la sento completamente.»-
Sussurro
triste.- «E poi non posso lasciarlo senza di me anche la
notte.»- Le dico
indicando George.
«Che dici George, stasera dormi dalla zia Alice! Facciamo la
capanna sul lettone?»- Dice Alice a George, battendo le mani.
«Siiiiii, ti prego!»- Urla mio figlio saltando
sulla sedia.
«Alice.»- Sussurro alzando gli occhi al cielo.
«Non puoi deluderlo adesso.»- Dice lei felice con
il sorriso
furbo.
«Sei una strega Alice.»- Dico con tono per niente
divertito
uscendo dalla trattoria, non prima di aver detto a Kate di
sì.
Capisco il tentativo di Alice, di farmi felice, ma non sono
davvero in vena di un concerto. Sono sicura che: passerò la
serata con il
broncio più colossale del mondo. Sbuffo ed entro in ufficio.
Se non ci fosse
stato Edward a casa di Alice, sarei potuta stare lì con
loro, fare la capanna
sul lettone con loro. Ma invece o resto in casa a deprimermi o esco con
Kate.
Scuoto la testa e accendo il pc.
«No!
Questo no!»- Urlo rivolta a Kate. E’ passata a
prendermi con la macchina, vuole che mi faccia delle scritte riferite
al
concerto. Ma no, sarebbe davvero troppo.
«Sei vecchia.»- Mormora schifata, facendo partire
l’auto. Io
la ignoro pensando al giorno in cui ci siamo conosciute.
Era la prima volta che andavo a pranzare lì, nel suo
ristorante. Non appena mi ha guardata, mi ha sorriso, dicendomi che lei
poteva
capirmi. E’ stata violentata dal padre quando aveva tredici
anni, si è sempre
guadagnata da vivere da sola, da quel giorno. Ha cambiato
città, portandosi
dietro la sorella, credendo che nella grande mela avrebbe potuto
dimenticare
tutto. Ma non è successo. Pensa sempre a quello che le
è accaduto, a sua madre
che se n’è fregata dal primo momento. Di me non le
ho raccontato nulla, ha capito
da sola che non volevo farlo. Sa solamente che la mia vita è
una costante
sofferenza.
«Ci siamo!»- Mormora eccitata. Siamo al Green Park,
è
insolito che facciano dei live qui, eppure stasera è
successo. Cerco di
sorridere, pensando che sto realizzando uno dei miei sogni, meno
importante
certo, ma sempre un sogno è stato. Ma non riesco a
sorridere. C’è un sacco di
gente, mormorii e urla confusi, gente con le scritte in faccia. Una
ragazza che
è incollata al fidanzato, le loro braccia attaccate formano
una scritta: “SOAD”-
System OF A Down. Scuoto la testa e seguo Kate. Siamo a
metà, né troppo avanti,
né troppo indietro, e la visuale qui è abbastanza
accontentabile. Mando un sms
ad Alice, chiedendole come va con George, e la risposta arriva
immediata, “Sta giocando felice con
Jasper, gli faccio
il bagnetto è inizia la battaglia J
divertiti”. Sospiro
felice, si, posso godermi qualche ore fuori dal
mondo. Sorrido a Kate, che mi prende per mano e inizia a saltare e a
urlare: «Vogliamo
Serj!»- Inizio a saltare e a imitarla. La musica interrompe
le nostre urla e,
quelle di tutta la gente che è venuta per questo, la voce di
Serj Tankian,
accompagnata a quella di Daron Malakian, scoppiamo a ridere e iniziamo
a
cantare. Un’ora dopo, finito l’assolo di sola
chitarra. Daron inizia a cantare
Lonely Day.
Una lacrima solca il mio viso. Quella canzone adesso è
più
vera che mai, ascoltata direttamente dalla voce del cantante, che molte
volte
mi ha regalato emozioni tramite un paio di cuffie.
C’è il delirio, i fan urlano
e cantano a squarcia gola. L’unica a rimanere ferma sono io.
Guardo il palco
davanti a noi, i capelli lunghi di Daron sfiorano il manico della
chitarra, la
sua voce è come se fosse un sussurro, ma non lo è
per niente canta trasportando
tutti con lui. Mi guardo attorno e due occhi, verdi, magnetici, mi
guardano da
capo a fondo. Guardo Kate terrorizzata e lei mi sorride.
«Devo andarmene!»
«Ehi Bella? Che succede?»- Mi chiede preoccupata.
«Perdonami! Ma ti spiego domani, devo andare!»-
Accarezzo la
sua mano e inizio a correre. Mi guardo indietro e lo vedo rincorrermi.
Scanso
la gente, che non appena la spingo mi guarda con sguardo omicida.
Inizio a
correre, non credendo ai miei occhi, corro più veloce di
quello che abbia mai
pensato. Non mi volto, per paura che lui possa essere più
vicino di quanto
immagini.
Dopo mezz’ora di corsa, sono fuori dal caos. Non smetto di
correre e mi dirigo a casa mia. Aro come spia me e mio figlio, sa per
certo che
stasera ero a quel concerto, e di certo sa che Edward è qui
a New York
momentaneamente.
Salgo le scale di corsa ed entro in casa. Sospiro tra me.
«Sono salva.»- Sussurro a me stessa.
«Non direi.»- Rimango immobile, sperando che abbia
immaginato quella voce. Non è possibile. Deglutisco e
facendomi coraggio e mi volto.
«Edward. Come hai…»- Mi interrompo,
sperando che non mi
chieda nulla. Guardo i suoi occhi, finalmente così vicini.
Mi immergo dentro
quello smeraldo liquido, e finalmente dopo tanto tempo ci vedo
l’universo, il
mio universo, quello dove c’era amore, felicità,
passione, dolore con il quale
saper convivere. Il suo corpo è sempre uguale, cambia solo
il viso, pieno zeppo
di barba. Non lo avevo mai visto così…triste. Mi
si stringe il cuore in una
morsa, forse è un illusione, forse dopotutto non
è davvero qui, in tutta la sua
bellezza. Il mio cuore palpita e per un attimo mi sento intera, bene,
felice.
«Ho fatto il duplicato delle chiavi. Quelle che hai lasciato
nello zainetto di nostro figlio.»- Mormora triste. Non so
dire se è felice o
meno di vedermi, la sua voce, i suoi occhi, la sua espressione non
riescono a
far trapelare nulla.
«Edward…»- Sussurro tramortita.
«Perché mi hai privato di mio figlio per
così tanto tempo?
Perché mi hai abbandonato? Perché Bella? Credevo
che tu mi amassi tanto quanto
ti amo io. Credevo che niente poteva mai dividerci, anche se siamo
stati
insieme poco, sapevi benissimo che entrambi ci siamo sempre conosciuti.
Dimmi
solo che non mi hai mai dimenticato, io non l’ho fatto, come
mi avevi chiesto.»-
Sussurra mentre le lacrime bruciano a contatto con la sua guancia.
Scoppio a
piangere e corro ad abbracciarlo. So che molto probabilmente Aro
è qui dietro l’angolo
pronto ad attaccare, ma non ho paura, non ora che ho Edward con me. Non
ora che
sento di essere potente, non ora che l’amore sta prendendo il
sopravvento. Non
so se dop0 questa notte, senza la quale non avrà risposte,
mi amerà ancora. Ma
se fosse così, voglio almeno prendermi un ultimo ricordo.
Nonostante tutto
voglio amarlo, ancora.
Ci sono quei film dove il protagonista sta per essere
ucciso, quando ad un tratto l’antagonista in questione chiede
l’ultimo
desiderio prima di morire, il mio è questo.
«Non chiedermi niente. Ti amo Edward. Non ho mai smesso di
farlo. Ma non posso dirti nulla. Proprio perché ti
amo.»- Sussurro accarezzando
la sua guancia umida. Lui mi guarda confuso e mi stringe a
sé.
«Amami, Edward.»- Sussurro implorandolo con lo
sguardo. La
sua espressione comunica puro dolore, ma si rilassa non appena le sue
labbra
sfiorano le mie, sfociando in un passionale bacio fatto
d’amore.
Dovevo lasciarlo
così. So che probabilmente mi odiate per
questo, ma la continuazione deve essere Pov Edward, poi il capitolo
diventa
troppo lungo e noioso (non che già non lo sia.)
Alcune di voi mi hanno
chiesto quando finirà la storia.
Posso dirvi che non lo
so per certa, ma la malinconia finirà
tra tre o quattro capitoli. C’è l’happy
Ending non temente, ne hanno passate
già troppe no?
Spero di non avervi
deluso, se così fosse non esitate a
dirmelo.
Un bacione. Grazie per
il sostegno nonostante tutto.
A presto. Prestissimo
:D
Roby. <3
|
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Capitolo 22 *** The Bitter Revelation. ***
Love
Save The Pain.
The
Bitter Revelation.
Edward’s
Pov
Bollenti, come
mai prima d’ora, le mie mani accarezzano il
suo corpo, in una lenta e dolce passeggiata, non credevo stesse
succedendo
tutto questo, ma la sua risata, i suoi occhi, i suoi sospiri la rendono
reale,
oltre che nella mia mente. Mi ha chiesto di
‘amarla’ e lo sto facendo. Forse
dovrei chiedere spiegazioni, forse dovrei fermarmi, capire il
perché di tutto
questo tempo. Il perché sono stato abbandonato? Del
perché mio figlio non sa
che un padre c’è, che io esisto, che ha bisogno di
me come io di lui. Ma non ci
riesco, il suo corpo, i suoi occhi, la sua voce sono come un campo di
forza, ed
io sono solo una stupida calamita microscopica. Nonostante fino a
qualche
secondo fa ero arrabbiato, non riesco a non baciarla, non riesco a non
fare
quello che mi ha chiesto; amarla. Il suo corpo, svestito, è
disteso sul suo
letto. I suoi occhi, mi studiano, mi amano in un certo senso. Voglio
davvero
prendermi ancora parti di lei senza aver ricevuto nessuna spiegazione?
Si,
voglio amarla prima di tutto, voglio cancellare il dolore della sua
assenza
stanotte.
Accarezzo il suo ventre caldo e vellutato, annuso il suo
collo, quell’oasi che mi è sempre mancata.
«Edward.»- Sussurra, cercando di dirmi di fare in
fretta,
che non riesce ad aspettare ancora, ma no. Voglio godermela, voglio
andare
piano, voglio dimenticare –non solo per qualche attimo- gli
ultimi quattro
anni.
Accarezzo le sue caviglie, i suoi occhi sono chiusi e un
sospiro esce dalle sue labbra. Mi incanto un attimo a guardarla,
chiedendomi
come ho resistito gli ultimi anni senza questo, senza il suo sorriso,
senza la
sua voce, senza le sua lacrime. Forse la conosco poco, anche se penso
di
conoscerla da una vita. Dal primo momento in cui ho incrociato i suoi
occhi, mi
sono reso conto che quella era la strada, quella più giusta
per riuscire in
qualche modo a vivere, quella giusta per riuscire ad amare, nonostante
il mio
cuore sembrava essersi congelato. Continuo ad accarezzare il suo corpo,
con
lentezza disarmante, come se non ci fosse un domani, come se questo
modo fosse
quello più giusto, essenziale. Non so se sono felice in
questo momento, mi sono
sentito tradito, umiliato. Sono venuto a sapere che, mia sorella, ha
sempre
vissuto con Bella, che si vedono, tutti i giorni. Che tutte le volte
che sono
venuto qui ho vissuto nella menzogna. Non avrei mai e poi mai
immaginato che
lei fosse qui, non avrei pensato che avrei avuto un figlio. E fa male,
fa male
sapere che dietro a tutto questo c’è una
spiegazione, deve esserci. Ma non è il
momento, questo è il momento per amarci, per ricucire quella
ferita che mi è
stata inferta nel cuore quattro anni fa, per sorridere, per vivere, per
continuare a sperare. Si siede sul letto e mi guarda. E’
sempre la stessa, i
suoi occhi sono cambiati di intensità, sono tristi, vuoti
proprio come quelli
miei. Il suo corpo è più magro di prima, i suoi
capelli sono più lunghi. E
nonostante è dimagrita, nonostante quel cioccolato che un
tempo, non molto
lontano, illuminava i suoi occhi –almeno per alcuni attimi- che adesso sono spenti,
senza arte né parte.
Io trovo che sia rimasta la creatura più bella di sempre,
che George ha davvero
ragione: “La mia mammina è bellittima.”
Sorrido interiormente, pensando a mio
figlio, quel piccolo che mai e poi mai avrei immaginato fosse parte di
me, quel
figlio di cui Bella, o chi per lei, mi ha privato di vivere, di vederlo
crescere, di parlargli attraverso il ventre della madre. Cose che in
passato
avevo sempre sognato di voler fare.
«Edward.»- Sussurra
con una nota, abbastanza evidente, di eccitazione.
«Calma.»- Mormoro baciando il suo polso. Afferra i
miei
capelli e mi tira verso di lei. E’ un bacio irruento,
passionale, doloroso,
famelico, triste, pieno, vuoto, disperato. Le mie mani afferrano i suoi
seni
con forza, sorpreso da quel bacio così animalesco e, un
gemito, per niente
angelico esce dalla sua gola. La vista si annebbia
dall’eccitazione, ma non
voglio questo, non voglio solo attrazione fatale, passione, voglio
anche l’amore.
Perché nonostante il caso, io la amo, e sono sicuro che non
smetterò mai di
farlo, come non ho smesso negli ultimi anni, non smetterò in
eterno. Con le sue
piccole, ma agili mani, mi fa stendere sotto di lei e, in un unico,
rapido,
animalesco movimento sento il mio membro prendere posto tra le sue
caldi
piaghe. Le sue mani si agganciano alle mie braccia e un sospiro esce
dalle
nostre labbra all’unisono. Apre i suoi occhi, e vengo
catturato dal suo
sguardo, rimanendone incantato, mi ha sempre fatto questo effetto
stupendo. Una
lacrima riga il suo volto, come la prima volta, come ogni volta, la
raccolgo
con il pollice e lei mi sorride. Mi sorride davvero. Le sue mani si
spostano
sulle mie spalle e inizia a muoversi, lentamente, dandomi finalmente
quello che
ho tanto agognato; l’amore.
Quello per cui moriresti.
Quello per cui piangi e sorridi.
Quello per cui sei felice e triste.
Quello che ti fa gioire e allo stesso tempo disperare.
Sotto ogni forma che sia giusta o sbagliata, che sia
essenziale o meno è amore, un amore puro, stupendo, un amore
da cui dipendiamo
entrambi. Mi rendo conto, mentre i suoi capelli sfiorano il mio petto,
mentre
le mie mani afferrano ogni lembo della sua pelle, mentre il suo sorriso
scalda
il mio cuore, mentre i nostri nomi vengono sussurrati in sintonia che
lei mi ha
sempre amato. Che non ha mai smesso di farlo, che nemmeno lei ha
spazzato via
la mia anima dal suo cuore. E finalmente dopo quattro interminabili,
dolorosi
anni, mi sento di nuovo a casa, mi sento di nuovo protetto da ogni
forza o
pensiero negativo.
«Bella…»-
Sussurro aprendo gli occhi. Guardo l’orologio
digitale poggiato sul comodino; sono le nove del mattino. Un biglietto
fa bella
mostra di sé sul cuscino, dove fino a qualche ora prima
c’era Bella.
Perdonami,
ancora. Non possiamo continuare, mi dispiace per stanotte, ma avevo
bisogno di
te. Solo e sempre di te. Non so se potrai mai perdonarmi, ma come ti
avevo
detto nelle ultime righe che ho riservato per te, quattro anni fa:
questi
Edward e Bella non sono destinati per stare insieme, chissà
forse ci sarà posto
per il nostro amore in un’altra vita. George ha bisogno di
te, come tu di lui.
Non smetterò mai di amarti, ma l’amore a volte non
è la strada più giusta.
Ti amo
Edward, forse non dovrei dirtelo perché fa più
male, ma sento il necessario
bisogno di farlo.
Tua
Bella.
Scuoto la testa
lanciando il foglio per terra. Prendo a
pugni il comodino della sua camera, facendo scaraventare per terra
tutto quello
che c’era fino ad un secondo prima. Scuoto ancora la testa,
spazzando via le
lacrime, che ancora una volta mi appannano la vista. Mi vesto
immediatamente,
con furia, colpendo i mobili ogni tre per due. Non è
possibile, credevo di
averla ritrovata, ho capito che mi ama ancora. Ma allora
perché? Perché sta
facendo tutto questo senza rendermi partecipe? Vorrei entrare nella sua
testa
per pochi secondi, per capire cosa la fa fuggire continuamente da me.
Quando
sto per aprire la porta, il cassetto del mobile della cucina attira la
mia
attenzione. Mi avvicino e noto che è aperto, forse
colpendolo si è spostato. Lo
apro del tutto e quello che vedo mi paralizza un attimo, ci sono delle
foto. Mie
e di Bella, del mio compleanno, di quando eravamo a Seattle, di quando
riuscivamo a sorridere. Una lacrima riga il mio viso per
l’ennesima volta,
ripongo le foto dov’erano e scappo via.
Apro la porta e trovo Alice che pulisce casa.
«Non dovresti affaticarti. La caviglia ha bisogno di
riposo.»-
Mormoro con nonchalance. Mentre mi siedo e la osservo, voglio delle
risposte e
lei deve darmele.
«Ciao Edward.»- Mi saluta Jasper dandomi una pacca
sulla spalla.
Io annuisco e lo guardo. Lui mi guarda, come se vorrebbe dirmi
qualcosa, ma
forse è solo una mia impressione.
«Non sono mai caduta Edward.»- Sussurra
arrestandosi di
colpo. Io la guardo confuso e lei sospirando si avvicina a me.
«So che vuoi sapere cosa diavolo è successo quel
24 Giugno
di quattro anni fa. E so che molto probabilmente sei incazzato con il
mondo
intero. Ma Edward, qualsiasi cosa accada, ricorda sempre che noi ti
vogliamo
bene e te ne abbiamo sempre voluto.»- Sussurra Alice, sotto
lo sguardo quasi
supplicante di Jasper. Io rimango in silenzio, le sue parole non hanno
assolutamente senso.
«Non sono caduta Edward. Ti ho fatto venire qui per un
motivo preciso. Per conoscere George, è stata Bella a
deciderlo, è giusto che
tu lo conosca e che ti prenda cura di lui. Sempre, per
sempre.»- Mormora,
ancora, con la voce flebile.
«E’ stata Bella a deciderlo, è stata
Bella a scappare per un
motivo che voi dite sia più che valido. E’ stata
Bella e decidere di avere un
figlio e non dirmi nulla! Sono stanco cazzo! Lo sono davvero troppo!
Ogni cosa,
ogni frase, che possa farmi capire qualcosa viene stroncata da un:
“non è il
momento.” Ma a me non importa, devo sapere tutto quello che
è successo, non
posso vivere così, non posso vivere nel dubbio per sempre!
Basta Alice! Basta!»-
Urlo, fuori di me, non posso davvero più aspettare ho avuto
troppa pazienza,
adesso basta. E’ un dovere di Alice dirmi tutto quel che
diavolo è successo, è
in dovere di rispondere alle mie domande.
«Edward non complicare le cose.»- Sussurra lei. Ma
viene
interrotta da Jasper quasi immediatamente.
«Ha ragione Edward, Alice. E’ giusto che lui
sappia, è
giusto che lui ci aiuti, è giusto fargli vivere la sua vita
come ogni essere
umano merita.»- Mormora Jasper sedendosi anche lui. Alice lo
guarda e scuote la
testa ininterrottamente.
«Vedi Edward è una cosa un po’
complicata da spiegare, ma è
arrivata l’ora che tu sappia, ed è giusto che sia
così.»- Sussurra, bevendo un
sorso d’acqua e guardandomi negli occhi, mostrandomi tutta la sua franchezza e
disponibilità nel dirmi
quel che voglio sapere.
«Quattro anni, mentre tu arrivavi a Los Angeles, Bella
è
venuta al Campus, piangeva, era notte fonda, ha implorato Alice e me di
aiutarla. Ci ha rivelato ciò che è davvero
successo quel giorno, ciò che ha
cambiato la via che le vostre vite stavano intraprendendo. Vedi Edward,
negli
ultimi anni ho imparato a conoscere Bella. Ho capito
dell’amore che nutre nei
tuoi confronti, non è passato un giorno senza che ti abbia
pensato. Aro
Volturi, si quello lì che tua padre sta cercando di sbattere
in galera in tutti
i modi, ha fatto irruzione in casa di Bella. Chiudendola nella cantina.
Ha fatto
occhio per occhio, dente per dente. Ha dato a Bella due scelte, o
quella di
fuggire da te, o quella di fingersi morta, se non lo avrebbe fatto, lui
l’avrebbe
uccisa. Ma dal momento in cui, Bella, quello stesso giorno, solo
qualche ora
prima, ha scoperto di aspettare un figlio, tuo figlio. Ha sempre detto
che quel
giorno avrebbe preferito morire, che vivere senza di te. Ma sapendo che
non
sarebbe morta solamente lei ha scelto la strada più
difficile quanto giusta. E’
scappata, Aro ha voluto rovinarti la vita come tu hai fatto con Audost
e
automaticamente con lui. Abbiamo cercato in tutti i modi di aiutarla e
ci siamo
riusciti, non siamo mai riusciti a vederla sorridere però.
Ha cresciuto George
come ogni madre, degna di essere chiamata tale, avrebbe fatto. Quando
ha
partorito voleva mandare all’aria tutto e averti
lì con lei, in uno dei
giorni più belli che la vita le ha
concesso. Ma abbiamo sempre cercato di farle ricordare quanto ha
sofferto,
quanto ha dovuto resistere nel correre qui ad abbracciarti ogni volta
che
venivi a trovarci. Tuo padre sta cercando di arrestarlo in modo che lui
non
possa più spiarvi. Ma è come uno scarafaggio, non
riescono a trovarlo. Non riescono
ad incastrarlo.»- Racconta Jasper con una punta di tristezza
nel tono della
voce. E’ possibile tutto questo? No, non può
essere, sarà una di quella tante
illusioni.
«Non è possibile.»- Infatti, mormoro.
«E’ così Edward, purtroppo.»-
Sussurra Alice piangendo.
Immaginare Bella, mentre si dispera agli occhi di quel vile, pensarla
sola
nella notte mentre affrontava a mani nude il suo orribile destino, un
destino
che qualcuno ha scelto al posto suo. Ma sono contento, in un certo
senso, che l’abbia
fatto, preferisco che sia qui anche se irraggiungibile ma che almeno
sia viva.
Immagino Bella, che piange mentre le contrazioni del parto diventano
più
frequenti e più dolorose, la immagino che implora di avermi
lì con lei. Ed è in
questo momento che mi rendo conto di quanto sia davvero irrazionale
l’amore,
lei è fuggita per evitare la mia morte, il mio dolore
alquanto più profondo di
ogni altra cosa se lei fosse morta. Mi alzo dalla sedia ma Jasper mi
blocca.
«So a cosa stai pensando. Ma non sappiamo
dov’è. E poi, poi
c’è dell’altro.»- Sussurra
Jasper con voce incolore facendomi segno di sedermi.
Ed io lo faccio.
«Qualche settimana fa, prima del tuo arrivo, Bella lo ha
contattato. Lui aveva detto esplicitamente a Bella che non appena lui
vi
avrebbe visti insieme – e in questi ultimi anni
l’ha spiata per davvero- lui ti
avrebbe ucciso, o comunque fatto uccidere. Bella ha contrattato
quest’ultima
cosa. Ha detto che non ce la fa ad immaginarti come realmente sei, in
questo
stato dolorosamente malinconico, che non vuole privarti per sempre di
tuo
figlio. Ha scelto di morire lei, tra un mese. Per questo Alice ha
dovuto
fingersi malata, per farti venire qui e darti la possibilità
di conoscere
vostro figlio, dare la possibilità a lui di fidarsi di te
non appena Bella sarà
morta. Ha deciso che la sua morte, è l’unico modo
per uscire dal suo dolore e
rendere felici te e vostro figlio.»- Sussurra studiandomi con
lo sguardo.
«E’ assurdo! Oh Dio! Perché non lasciava
tutto com’era? Lo
uccido quel figlio di puttana.»- Urlo alzandomi di nuovo
dalla sedia.
«Dimmi dov’è Jasper. Ditemi
dov’è Bella, vi prego.»- Sussurro
arrabbiato. No, non è possibile, è surreale. Mai
e poi mai avrei immaginato una
cosa simile, ora capisco perché la mia famiglia mi ha sempre
detto: “non è il
momento”. Ecco perché hanno sempre cercato di non
farmela odiare, ecco perché
la difendevano quando, arrabbiato mi incazzavo parlando di lei, con me
stesso.
Ci sono alcuni avvenimenti a cui non possiamo rinunciare, come Bella.
Che è
stata così coraggiosa, che mai avrei immaginato potesse
farlo. Che ha amato suo
figlio non appena ha saputo di averlo dentro di sé, che mi
sento inutile,
perché ho le mani legate e non posso fare niente. E una
consapevolezza, amara
quanto, purtroppo, vera annebbia la mia mente: “Questi
Edward e Bella non sono fatti per stare insieme in questa vita.”
Ha ragione, avevo in mente di cercarla, anche in capo al mondo se solo
fosse
stato necessario, avevo immaginato di poterla stringere ancora nelle
mie
braccia, avevo pensato che non appena ci saremmo ritrovati le avrei
chiesto di
sposarmi, di vivere la sua vita a fianco a me, per sempre.
E per quanto il nostro amore sia assoluto. Per quanto le
nostre anime siano simili, il destino non ha voluto collegarci, insieme
per
sempre. Forse il destino ha scelto di farci conoscere
l’amore, quello vero,
senza farcelo vivere davvero, senza assaporarlo in tutti i modi
possibili.
«Edward, noi abbiamo un piano. Bella stanotte è
scappata, è
venuta a prendersi George ed è andata via. Ci ha detto che
tornerà tra un mese,
quando lui la ucciderà.»- Mormora profondamenti
dispiaciuto.
«Dimmi questo piano.»- Dico impaziente.
«Non appena Bella ti contatterà per vederti,
cercherà di
raccontarti tutto quello che le è successo. In modo che tu
non possa mai
odiarla, in modo che lei ti lasci per sempre facendoti sapere che ti ha
sempre
amato. Non appena Aro vi vedrà insieme la
ucciderà. Io e Alice, quel giorno,
abbiamo pensato di armarci, di chiamare la polizia non se ne parla, non
avrebbe
senso, sai come funziona, ci vogliono prove, vorrebbero parlare con
Bella e lei
non lo farebbe mai. Abbiamo pensato di ucciderlo e mettere fine a
questa storia
per sempre.»- Mi dice sicuro di quello che ha deciso. E mi
rendo conto di che
persona sia Jasper, del coraggio che ha avuto nel rivelarmi queste
cose, dell’umanità
che gli ha permesso di mettere fine a quel punto interrogativo, ormai
pesante
quanto un macigno, sulla mia testa.
«Lo ucciderò io.»- Sussurro riducendo
gli occhi in due
fessure.
«No Edward. Lo faremo tutti insieme.»- Sussurra
Alice
abbracciandomi.
Un
mese dopo.
«Ciao
piccolo!»- Esclamo abbracciando George.
«Ciao.»- Mi da un sonoro bacio sulla guancia,
mentre mia
sorella si emoziona lasciando libera una lacrima.
Il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare.
«Pronto?»
“Ciao. Sono io, Bella.”- Dice in un sospiro, quella
voce che
riconoscerei tra mille.
«Ehi, ciao.»- Mormoro felice di sentire la sua
voce, anche
se so cosa deve dirmi. Sapevo che mi avrebbe contattato in qualche modo.
“Volevo chiederti se è possibile incontrarci.
Domani mattina
alle undici.”
«Dimmi dove.»
“Ci vediamo nella parte opposta al parcheggio del Green
Park.”- Mormora.
«Non è troppo isolato?»- Chiedo,
fingendo di essere
sorpreso.
“Importa davvero?”- Mi chiede, sussurrando con voce
roca e,
ne sono sicuro, sta piangendo.
«No, non importa. A domani.»
Eccoci qui, dopo soli tre
giorni. So che il capitolo è più
corto del solito, ma non sono riuscita ad allungarlo si più.
Spero che vi
piaccia ugualmente.
Forse non vi
aspettavate un’altra fuga di Bella, ma era
necessario, spero di non aver deluso nessuno, e il resto della storia
arriverà
subito.
Grazie per il
supporto, per leggere questa storia, grazie immensamente.
Un bacione
A presto, prestissimo.
Roby <3
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Capitolo 23 *** The Happiness Before Death. ***
Love
Save The Pain.
The
Happiness Before Death.
Bella’s
Pov.
«Basta
Bella!»- Urla Kate,
lanciandomi uno straccio addosso. Ho appena chiamato Edward, ho sempre
immaginato che il suo numero sarebbe rimasto lo stesso, ho sempre
pensato – e me
ne ha dato lui stesso la conferma- che non lo avrebbe fatto, in modo
che se mi
sarebbe venuto in mente di rintracciarlo lo avrei fatto, pensando che
non
appena avessi, se lo avessi fatto,
deciso di farmi viva, avrei pensato a chiamarlo prima di
tutte, è sempre
stata l’alternativa più semplice.
«Basta Bella, stai peggiorando,
guardati! Chissà cosa pensa George vedendoti in questo
stato. E’ solo un
bambino.»- Borbotta arrabbiata. In questo ultimo mese, non ho
visto Alice, se
non per farmi passare George dalla cantina, non ho sentito mia mamma
per
telefono, né Angela. Mi sono chiusa in me stessa, forse
sapendo che era il mio
ultimo mese di vita, non avrei dovuto reagire così. Ma
quando sai che stai
morendo, quando sai che le persone che ami stanno per ricevere un
dolore da
parte tua, come puoi guardarle in faccia? Come puoi guardare tuo figlio
negli
occhi, sapendo che stai per abbandonarlo? Forse è egoismo,
forse ho scelto la
via più facile, dopo aver percorso per anni quella
più giusta. Forse il mio
inconscio lo sa, forse sto per ‘suicidarmi’ per
mettere fine al mio dolore,
alla mia sofferenza, alla malinconia. Ma mio figlio? Come
potrà mai perdonarmi?
Una lacrima -ovviamente- solca il mio viso, e mi sento inutile,
fragile, troppo
triste per essere una buona madre. Forse in tutti questi anni ho solo
mentito a
me stessa, forse mio figlio ha sempre sentito, visto, la mia tristezza,
forse
la sua infanzia non sarà un ricordo felice, come ho sempre
cercato di fargli vivere.
Forse lui si ricorderà di me come una donna triste, come una
madre inutile. Ho
sempre cercato di apparire felice ai suoi occhi. Anche se da sola, ho
sempre
provato a crescerlo nel modo migliore che conosco. Ma in fin dei conti
non è
questo che deve fare una mamma? L’importante non è
amarlo? L’importante è
essere vicino a lui, l’importante è farlo
sorridere, accudirlo, curarlo,
sussurrargli parole dolci per farlo addormentare, confortarlo quando
piange,
dirgli sempre che gli vuoi bene, che lo ami più di qualsiasi
altra cosa esista
al mondo.
Il problema è che io lo sto
abbandonando, sto uscendo drasticamente dalla sua vita. E
l’ho deciso io. Ho
sempre messo mio figlio al primo posto su tutto, questa volta non ho
potuto
farlo. Spero solo che lui capisca, che anche se è piccolo,
si ricordi di me. Di
tutto l’amore che ho sempre cercato di dargli.
Mi alzo dalla sedia, pensando
che questa è l’ultima giornata della mia vita. Non
è la morte che mi spaventa,
dicono che sia più facile che addormentarsi, ho paura di
rimanere un ricordo
sbiadito nel tempo, nel cuore di tutte le persone che amo e che ho
amato, come
George, mia mamma, Edward, Alice, Jasper e tante altre persone che mi
hanno
sempre amata, in tutte le mie sfumature.
«Ci vediamo Kate.»- Sussurro,
prima di uscire dalla porta. Mi incammino a casa, per oggi ho finito di
lavorare, voglio solo passare il maggior tempo che mi resta con mio
figlio. Afferro
le chiavi della macchina e mi precipito all’asilo.
«Mammina!»- Urla euforico mio
figlio, protendendo le braccia verso di me.
«Amore.»- Sussurro annusando i
suoi capelli, mentre dei teneri baci riempiono il mio viso. Cerco di
trattenere
le lacrime, sperando che dopo la morte potrò davvero
vegliare su di lui, come
in molti dicono, vorrei che la mia anima fosse eternamente legata alla
sua, in
modo da stare con lui, sempre, in modo di proteggerlo, curarlo, fare in
modo
che lui non senta troppo la mia mancanza. Facendogli capire che
sì, io sarò
sempre con lui, nella vita e nella morte. Come se non me ne fossi
andata, non
andrò mai via dalla sua vita realmente. In questi ultimi
giorni mi sono chiesta
com’è dopo la morte. Ho immaginato un uomo con un
mantello nero e un’ascia tra
le mani, per potarmi in un luogo rapito dalle tenebre, dove
c’è tanta gente
chiusa dento un castello, quel castello che una volta dentro non potrai
mai più
uscire. Mi sono immaginata disperata, chiusa dento una bara, mentre
tiro pugni
e urlo per farmi sentire, ma dato che sarei morta, automaticamente
sarei un
fantasma, sarei un’anima dannata, e nessuno potrà
sentirmi. Ho immaginato un
luogo dove il pavimento è fatto della stessa materia della
nuvola, che ci fosse
Gesù, o comunque Dio, o non so, me li sono immaginata come
dei frati, che mi
sorridono dandomi il benvenuto, ho immaginato quel luogo,
l’ho immaginato senza
sensazioni, senza felicità né tristezza, senza
Amore né odio, senza tutto, senza
niente. Un luogo apatico, indifferente, vuoto di ogni emozione. Poi mi
sono
immagina davanti ad uno specchio, dove solo io potevo vedermi riflessa,
dove
nessuno potrebbe vedermi, dove potrei stare vicino alla gente che amo,
senza
che questi se ne accorga. Scuoto la testa, credendo ancora una volta di
stare
sbagliando a perdere il mio tempo, almeno quello che mi è
rimasto, a pensare
queste cose, quando devo stare con mio figlio, solo con lui.
«Che facciamo oggi?»- Chiedo a
mio figlio mentre entriamo dentro casa.
«Andiamo da Tia Alice?»- Mi
domanda sorridendo.
«No amore, zia Alice non è a
casa oggi…»- Mormoro distrattamente prendendo la
torta che ho preparato per lui
stamattina presto. Lo vedo annuire e taglio una fetta per il mio
piccolo.
«Glaffie mamma.»- Dice
afferrando il piattino di plastica, si siede sulla sedia e, solo dopo
aver
sistemato per bene il tovagliolo sul colletto del grembiule, inizia a
mangiarla. Lo guardo e mi rendo conto di quanto intelligente sia. Tante
volte,
guardandolo, mi sono sempre detta: “è possibile
che l’abbia fatto io? E’
possibile che sono stata in grado di creare una creatura del genere?
Così raro,
bello, intelligente, tenero, affettuoso. Mio figlio è il
sogno di ogni madre, è
quel tipo di bambino che non ti fa disperare, che capisce quando
è il momento
per chiedere qualcosa, quando può scherzare o deve fare il
serio. A soli tre
anni io credo che ne dimostri già dieci. Rido tra me, i miei
sono solo occhi e
mente di una madre innamorata, follemente innamorata del proprio figlio.
«Basta mamma! Ti pleeeego!»-
Farfuglia il mio piccoletto tra le risa. Gli sto facendo il solletico,
è sempre
stato fantastico fargli il solletico, la sua risata è quella
canzone che non ti
stancheresti mai di ascoltare, è così pura,
felice e cristallina che è
impossibile non farti contagiare.
«Parola d’ordine?»- Chiedo
mentre rido anch’io.
«Ti adoro mammina.»- Sussurra,
sempre ridendo. Io mi fermo un attimo. George mi ha sempre detto:
“sei Bella”, “Ti
voglio bene tantissimo”, “sei
dolcissima”, ma mai mi aveva detto “ti
adoro” è
la prima volta. Una lacrima riga il mio viso, reagisco allo stesso modo
di
quando ha detto: “mamma” per la prima volta e, a
tutte quelle frasi che una
mamma è felice di sentirsi dire. Lo abbraccio forte e inizio
a piangere.
«Mi mancherai tesoro mio. Tanto
tanto amore.»- Alzo gli occhi al cielo, come a voler fare
rientrare le lacrime
da dove sono uscite, in modo da non farmi vedere così da mio
figlio. Voglio che
lui mi ricordi sorridente, anche se non lo sono mai stata al cento per
cento,
ho sempre provato, e credo di essere riuscita –almeno un
poco- nel mio
tentativo. Il pomeriggio passa in fretta, troppo in fretta per i miei
gusti.
Abbiamo fatto la maratona di Madagascar, abbiamo giocato con il pongo,
disegnato tanto e adesso stiamo cenando. Ho preparato il petto di pollo
a
fette, con formaggio e prosciutto a mo’ di involtino.
E’ il suo piatto
preferito, infatti dopo dieci minuti lo finisce, quando io ancora sono
a metà.
«Coca-cola?»- Mi chiede
entusiasta, indicando il piatto vuoto. Abbiamo una regola: se mangia
tutto
lasciando il piatto pulito, può bere un bicchiere di cola al
giorno, se non lo
fa, non può. E adesso, infatti, prendo la coca-cola e ne
metto un po’ nei
bicchieri di entrambi.
«Bravo amore.»- Sussurro
masticando.
«Ehi mamma! Non si fa!»- Dice
con la faccia disgustata, io scoppio a ridere e mi protendo verso di
lui con le
braccia.
«Hai ragione amore, scusami
tanto.»- Mormoro, prima di dargli un sonoro bacio sulla
fronte. Dopo cena, mi
aiuta –come sempre- a sparecchiare, mettiamo assieme le
stoviglie sulla
lavastoviglie e la facciamo partire, per poi dirigerci in bagno. Si
spoglia,
mentre io apro l’acqua della vasca e la stempero. Lui si
infila nella vasca e
lo immergo, iniziamo a giocare con l’acqua fino a quando non
sono bagnata al
mille per mille. Scoppiamo a ridere, ed è strano, ma
nonostante io sappia che
questo è l’ultimo giorno che sto con lui,
nonostante la paura che un giorno lui
potrebbe dimenticarmi, che un giorno potrebbe anche odiarmi per averlo
abbandonato: sono felice, sto ridendo di cuore grazie a lui, i miei
occhi –sono
sicura- adesso hanno una luce diversa, il suono della mia risata
è qualcosa di
vitale. Scuoto la testa, non so se posso davvero andare fino in fondo,
non so
se domani andrò da Edward, dove ad aspettarci ci
sarà Aro. Forse devo aspettare
che lui venga arrestato, che muoia o comunque che in qualche modo possa
riuscirmi a liberare di lui. Non posso lasciare mio figlio, forse sono
codarda,
ma ho una brutta sensazione, come se questo sacrificio: il voler farmi
uccidere,
non porti a nulla. Chi mi da la garanzia che non uccida Edward dopo
essersi
liberato di me? E’ un uomo spietato, senza cuore, freddo e
cattivo. Questi
uomini non dovrebbero stare al mondo, perché se il mondo fa
schifo è anche colpa
di queste persone, che non gli frega un cazzo della vita altrui, che
pensano
solo ai soldi, sempre e solamente a quello, per il resto, se una vita o
due
muore per mano sua, non gliene può importare di meno.
Alzo le coperte e George si
infila sotto immediatamente.
«Cota non va mammina?»- Mi
chiede triste. Io gli sorrido dolcemente.
«Nulla amore mio.»- Sussurro
abbracciandolo forte. Lui annuisce non troppo convinto. Appoggia la
testa sul
cuscino e mi guarda.
«Cosa c’è amore mio?»-
Sussurro
abbracciandolo.
«Nulla mammina.»- Sussurra
guardandomi furbo. Io mi butto su di lui, inizio a baciare il suo collo
e lui inizia
a contorcersi, ho capito il furbetto che vuole fare.
«Sai cosa c’è che non va amore
mio? A volte dovrei proprio ringraziarti, per avere te, per vivere
grazie a te.
Perché amore mio, tu hai migliorato la mia vita, senza di te
mai avrei potuto
sorridere. Grazie amore mio. Sei la mia vita, ti voglio bene sopra ad
ogni
cosa.»- Mormoro mentre una lacrima passa dalla mia guancia.
«Tai cota c’è che non va mamma?
Ho paura di peldelti.»- Mormora triste.
«Ma no amore mio! Cosa sarebbe
il mondo senza di me?»- Domando divertita, anche se non
è normale che lo sia.
Lui scoppia a ridere tranquillizzandosi, ed era quello il mio intento,
tenerlo
sempre lontano dalle emozioni negative. Ci abbracciamo stretti, inizio
a
cantargli qualche canzoncina, e dopo avermi dato un bacio carico
d’affetto si
addormenta tra le mie braccia.
Lo guardo e penso che sì, vale
la pena dare la mia vita per lui, per Edward. Loro saranno felici,
Edward saprà
amarlo e, George, saprà occupare quello spazio che io ho
lasciato nel cuore di
Edward. Chiudo gli occhi e, nonostante la tensione, nonostante la
paura, la
tristezza, cullata dal respiro di mio figlio mi addormento.
Ancora una volta, fisso
l’orizzonte
che si para davanti ai miei occhi. C’è un gazebo,
bianco sbiadito, forse a
causa della pioggia, con un tavolo e due sedie di plastica sotto,
anch’essi
bianchi ma sbiaditi. Non ci sono macchine, non c’è
gente, non ci sono
testimoni, proprio come avevo previsto, proprio come Aro vuole che sia.
Espiro
tutta l’aria che i miei polmoni possiedono e mi guardo
attorno. Mancano dieci
minuti alle undici, avrei tutto il tempo di mandare all’aria
tutto, ma il
pensiero di Edward, solo, qui, con Aro, mi rabbrividisce e non poco. Ho
paura
che dopo avermi uccisa potrebbe ammazzare anche lui. Ma se, in questi
pochi
anni, ho potuto almeno capire, un poco, il comportamento del furfante,
non lo
farebbe. Preferisce spiare Edward, vederlo piangere la mia morte, farlo
diventare un fantasma, continuare a rovinargli la vita più
di quanto abbia
fatto fino ad ora. Questo, anche se strano, mi tranquillizza. Una
sagoma invade
il mio campo visivo, è Edward, ci scommetterei la vita. Un
sorriso amaro
aleggia sul suo viso, facendomi confondere la mente.
«Ciao.»-
Sussurro, cercando di
mantenere tranquillo il tono di voce. Lui annuisce e mi guarda,
aspettando che
io parli. Ma non lo faccio, rimango in silenzio a contemplare il suo
viso. Quel
viso che ho tanto amato, quel viso di cui ho amato e, amo, ogni singola
espressione. E’ qui. Il mio Edward, pronto a perdonarmi,
pronto a riprendere da
dove abbiamo lasciato, è qui e mi ama, anche se è
sbagliato. Perché ogni
persona al posto suo avrebbe smesso di farlo. Dovrebbe essere
arrabbiato,
deluso, ferito, invece no, mi ama. Forse qualche volta ha pensato di
aver
smesso di amarmi, ma dentro di lui, il suo cuore, la sua anima non mi
fanno
mettere in dubbio l’amore che ancora nutre nei miei
confronti. Vorrei solo
averlo chiamato per potergli chiedere di restare con me, con George,
per
sempre. Dimenticando questi quattro anni, facendo finta che sia stato
solo un
sogno. Vorrei urlargli “ti amo”, adesso, in questo
istante, in ogni istante,
per sempre. Ma, interiormente, scuoto la testa e guardo le sue pupille,
fissandole, senza mai staccare lo sguardo.
«Forse ti
stai chiedendo perché
sei qui, perché lo siamo. Perché sono andata via
da te, dall’amore. Forse hai
pensato che io non ti abbia mai amato abbastanza, ma non è
così.»- Sussurro
respirando pesantemente.
«Non mi sto
chiedendo nulla.
Ormai non importa no? L’unica cosa che mi chiedo è
perché dopo tutto questo
tempo?»- Chiede con una nota dolorosa nella frase finale.
«Non voglio
ferirti, ma è
giusto che tu sappia la verità. Comincio col dirti che: se
fosse stato per me,
non ci sarebbe mai stato questo incontro. Se George non fosse mai nato,
io non
sarei qui, già da un pezzo. Vedi Edward, ho imparato molte
cose nel corso della
mia breve vita. E’ una di queste, la più
importante tra le altre, è quella che
non c’è il male senza il bene, che non
c’è vita senza la morte, che non
c’è
felicità senza la tristezza. Mi sono sempre detta: se la mia
vita fa schifo, se
la mia vita fino ad oggi è stata solo un immensa, immutabile
tristezza, prima o
poi deve arrivare per me anche il sole, la felicità, prima o
poi la mia vita
dovrebbe prendere la piega giusta per riuscire a vivere, vivere
perché vuoi
farlo, non perché sei costretta.»- Dico
sospirando, con le lacrime che bussano
per uscire dai miei occhi.
«Parli come
se fosse arrivata
la fine per te.»- Mormora serio, senza smettere un attimo di
guardarmi negli
occhi.
«La fine per
me è arrivata
quattro anni fa.»- Dico con la voce tremante. Mi avvicino a
lui e prendo la sua
mano, insieme ci avviciniamo al tavolo che c’è
sotto il gazebo. Gli faccio
segno di sedersi e lui lo fa. Lascio la sua mano e rimango in piedi di
fronte a
lui. Torturo una mano con l’altra e mi preparo, al breve e
straziante racconto
di cui lui deve essere assolutamente a conoscenza.
«Due minuti
prima che tu mi
chiamassi, quel lontano 24 Giugno del 2008, ho scoperto di aspettare un
bambino. Ero così contenta che rischia di dirtelo anche al
telefono. Invece ho
preferito aspettarti, mentre andavo in centro a comprare un paio di
scarpette –sai
come si fa solitamente- e farti capire che sì, saremo
diventati genitori. In
quelle poche ore che mi è stato concesso di pensare
lucidamente: ho immaginato
te, mentre accarezzavi il mio pancione che di lì a pochi
mesi sarebbe cresciuto,
mentre cullavi tuo figlio…appena nato. Poi è
successo, tutto troppo in fretta,
con un piccolo sotterfugio è arrivato Aro Volturi, il
giudice che doveva essere
presente lo stesso giorno del processo a Seattle. Non c’era,
era venuto da me.
Inizialmente pensai che mi avrebbe uccisa, avevo paura, ma era niente
confrontata a quello che ho provato rimanendo in vita. Mi ha chiesto di
fare
occhio per occhio, tu hai contribuito a rovinare la vita a Audost
–e quindi a
lui- e lui avrebbe rovinato la tua e l’ha fatto, includendo
me ovviamente. O mi
avrebbe uccisa, lì, facendo finire la mia vita senza troppi
preamboli, o avrei
dovuto fingere di essere morta ai tuoi occhi e poi sparire. Forse le
mie
lacrime, forse le mie urla, non so, gli hanno fatto evitare tutto, mi
ha detto:
sbrigati, ti porto in aeroporto, non appena torni a Los Angeles, non
appena lo
rintraccerai, lui morirà, lo ucciderò io. Avrei
preferito morire mille volte,
che passare gli ultimi anni senza di te. Ma l’istinto
materno, attivo da appena
qualche ora, me lo ha impedito. Non avrei permesso che il mio piccolo
morisse
prima ancora di nascere, ho deciso di uscire irrimediabilmente dalla
tua vita,
avrei comunque vissuto con una parte di te per sempre.»-
Sussurro, aspettandomi
che lui parli o mi faccia un qualsiasi cenno, ma non lo fa. Rimane
immobile a
guardarmi, eppure avrei scommesso qualsiasi cosa che si sarebbe
arrabbiato, ma
niente, se non lo conoscessi bene, penserei che non gliene importa un
tubo.
«Perché
hai deciso di vedermi
allora? Perché hai portato George da mia sorella quando
sapevi benissimo che io
ero qui?»- Mi chiede tranquillamente, anche se sono sicura
che non lo è, non lo
è per niente, eppure ho sempre invidiato la sua
“faccia da poker”.
«Perché
volevo che anche tu
avessi il privilegio di conoscere tuo figlio…»-
Mormoro con un filo di voce,
sicura che potrei scoppiare a piangere da un momento
all’altro. Mi guardo attorno,
ma non c’è ombra di Aro, né di qualcun
altro.
«Dopo tre
anni dalla sua nascita?»-
Sussurra mentre nel suo viso un’espressione di puro dolore
compare
inesorabilmente.
«Mi
dispiace, mi dispiace così
tanto…io…»
«Basta
Bella! Basta! Non dire “mi
dispiace”. Ho capito che sei stata costretta. E non
c’è cosa più grande di
questa che mi ha fatto capire l’amore che provi per me. Ho
sempre saputo che tu
non avresti smesso di amarmi, come non l’ho fatto io.
E’ vero siamo stati
lontani per quattro anni, ma il nostro sincronismo non ha tenuto
lontane le
nostre anime. Io ti sono sempre appartenuto Bella, lo sai anche tu. E
sapere,
che mentre io piangevo di dolore, tu avevi un piccolo esserino che in
qualche
modo riusciva a farti vivere, è la cosa più bella
che potesse mai accaderci. Perché
nonostante il tuo dolore, nonostante l’andartene
così senza averlo deciso, nel
modo peggiore che esiste, tu hai avuto la forza di alzarti e diventare
mamma,
la mamma di un bambino stupendo. Sono contento che, dopo tutto quello
che è
successo hai avuto almeno un motivo per sorridere. Non
c’è l’ho con te, per
quanto irrazionale possa sembrare, io Ti amo, e questo sentimento
annullerebbe
qualsiasi altro pensiero. Io ti amo Bella, non ho mai smesso nemmeno
per un
istante di farlo, perciò ti prego, continuiamo il resto
della nostra vita
insieme, in un modo o in un altro ce la faremo.»- Le sue
parole mi danno il
colpo di grazia, facendomi scoppiare a piangere, è
così sincero, è la verità e,
lui mi ama, ancora, nonostante tutto, mi ama davvero. Vorrei davvero
fare come
mi ha chiesto, non lo immagina nemmeno quanto vorrei, ma non
è così semplice.
«Edward
io…»- Un suono forte e
metallico mi interrompe. E’ uno sparo, qualcuno ha sparato in
aria, le gambe
iniziano a tremare. Mi chiedo se ho salutato mio figlio nel modo
giusto. Chiedendomi
per la millesima volta se sono pronta a morire, ma non lo sono, chi lo
sarebbe
al posto mio? Guardo Edward con gli occhi sgranati, ma lui è
tranquillo.
«Hai
sentito?»- Gli chiedo,
sperando che l’abbia sentito solo io.
«Lo
sparo?»- Mi chiede lui a
sua volta. Io annuisco e mi guardo attorno, non
c’è, non c’è, dove cazzo
è?
Voglio che abbia il coraggio di guardarmi mentre mi uccide, voglio che
mi
guardi negli occhi e provi senso di colpa ogni giorno, dopo oggi.
«Edward!
Reagisci!»- Urlo
disperata, forse pensa che vogliono uccidere lui.
Lui mi guarda e mi
sorride.
«Ti amo
tanto amore mio.»-
Sussurra avvicinandosi a me, prendendo la mia mano e baciandone il
palmo.
Ricomincio silenziosamente a piangere e mi godo questo piccolo, ma
necessario,
attimo di felicità. Prima della morte la felicità.
«Bene, bene,
bene. Che bel
quadretto.»- Dice una voce a me sfortunatamente conosciuta.
Aro. Ha la mano in
tasca e dopo pochi passi si ferma, è lontano da noi di circa
un centinaio di
metri.
«Lo sai, mia
cara Isabella.»-
Mormora, fingendo di dispiacersi. Io annuisco e guardo Edward. Circondo
il suo
collo con le braccia e lo attiro a me, prendendomi il calore che mi
appartiene
poco prima di essere sostituito dal freddo della morte.
«Ti amo
Edward. Sei la persona
più buona e bella del mondo, sei il mio amore, lo sarai
sempre amore mio. Non c’è
stato attimo in cui non ti abbia pensato, il tuo ricordo è
stato uno dei motivi
principali per la quale ho continuato a vivere. Ti amo amore mio, e non
smetterò mai di farlo, in eterno io ti
appartengo.»- Sussurro ad un centimetro
dal suo orecchio. Una lacrima solca il suo viso ed io la raccolgo con
un bacio
pieno di affetto e amore. Mi allontano da lui ma non appena faccio un
passo
sento il mio braccio paralizzarsi, seguito da un sonoro rumore simile a
quello
di poco prima. Sento un dolore insopportabile farsi spazio su tutti i
miei
muscoli. Mi accascio a terra e cerco lo sguardo di Edward, con la poca
forza
che mi rimane accendo il registratore direttamente dalla stoffa dei
jeans.
«Bella!
Amore mio, amore mio,
no, no.»- Sento i singhiozzi di Edward perforare la mia anima.
«Edward…v..vieni
qui.»-
Sussurro ormai senza forze. Sento impercettibilmente i suoi passi e il
mio
campo visivo viene attirato dai suoi magnifici occhi verdi. Le sue mani
circondano il mio viso, ma non sento il suo contatto fino in fondo.
«Tutti i
giorni ricorda a
George quanto l’ho amato, amalo anche per me.»-
Sussurro con qualche
difficoltà, prendo fiato, cerco di alzare il braccio ma non
ci riesco, i muscoli
non rispondono ai comandi della mente.
«Ed…Edward.
G…guardami.»
«Amore mio.
Resisti Bella. Non
addormentarti, ti prego.»- Le sue lacrime mi colpiscono come
uno schiaffo in pieno
viso. Vorrei abbracciarlo forte e cullarlo fin quando i singhiozzi non
smettono
ti sconquassare la sua anima. Ogni suo singhiozzo è un colpo
al cuore.
«Grazie…gr…grazie
ai tuoi…o…occhi,
grazie…per avermi fatto vedere
l’uni…universo.»- Mormoro sentendo a
stento la
mia voce. Una lacrima di Edward si fonde con le mie, cadendo
direttamente all’interno
del mio occhio. Poi mi sento cadere nel buio, dove esistono solo gli
abissi.
Pensando al sorriso di mio figlio mi scappa un sorriso, un vero
sorriso, l’ultimo
sorriso.
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Capitolo 24 *** Start Again. ***
Love Save The
Pain.
Start Again.
Edward’s
Pov.
Bianco e nero.
Silenzioso. Senza odore, senza essenza. Fino
a cinque minuti fa, c’erano due edifici grigi, con qualche
sfumatura di nero,
il gazebo era bianco, ma bianco ingiallito, c’era
l’erba, qualche cespuglietto
verde sparso qua e la, c’era il rumore delle auto, che dall’esterno
venivano parcheggiate o partivano
per andare via. C’era odore di benzina mischiato a quello del
petrolio, c’era
odore di pane appena sfornato dalla panetteria dietro gli edifici.
Adesso il
cielo, il gazebo, il corpo esile e quasi
senza vita di Bella è bianco e nero, senza sfumature
né punti indefiniti. Non
sento alcun odore, se non quello salato delle mie lacrime. Non
c’è niente, c’è
solo il mio dolore, moltiplicato per mille. Alzo gli occhi al cielo,
una goccia
d’acqua piovana cade sulla mia fronte. Gli occhi di Bella
sono semi chiusi, non
sembra che stia morendo, sembra essere stanca, sembra si stia
addormentando.
Prendo la sua mano, calda e ne bacio il palmo.
«Resisti amore mio. Resisti, ce la farai, fallo per me,
fallo per George.»- Sussurro, scoppiando disperatamente a
piangere. Lei non può
morire, è inaccettabile. Mi alzo e l’assassino
è ancora lì. Con la mano tocco
la tasca posteriore dei miei pantaloni, strabuzzo gli occhi,
è vuota. Sono
sicuro di averci messo la mia pistola, mi guardo attorno, sperando che
sia
caduta da qualche parte, ma niente è come sparita.
«Jasper!»- Urlo, sperando che ovunque sia riesca a
sentirmi.
Un schiocco di labbra attira la mia attenzione.
«No, no, no Edward. Non c’è nessuno,
è inutile cercare
aiuto. E’ morta, lo ha chiesto lei.»- Mormora con
un ghigno malefico sul viso.
Inizio a correre e lo raggiungo, incurante della pistola che ha tra le
mani.
«Sei un figlio di puttana. Sei un
stronzo…»- Avrei voluto
continuare, se non fosse stato per la sua pistola, che adesso preme
prepotente
sul mio fianco.
«Non sai giocare Edward.»- Dice scoppiando a
ridere.
Raccolgo tutta la saliva che il mio esofago possa produrre e gli sputo
dritto
in faccia. Lui rimane impassibile, guardando nella direzione dove giace
il
corpo fragile di Bella. Lotto contro il mio istinto per non girarmi e,
quindi,
vedere ciò che il suo sguardo ha puntato.
«Butta l’arma a terra!»- La voce di Alice
fa capolino in
mezzo al silenzio.
«Alice! Porta Bella all’ospedale,
immediatamente.»- Urlo a
mia sorella, senza guardarla. Ma in un battito di ciglia Aro sparisce
dal mio
campo visivo. Mi giro di scatto e lo vedo chinato sul corpo di Bella.
Alice
velocemente mi raggiunge e mi abbraccia scoppiando a piangere. Sciolgo
l’abbraccio
immediatamente e mi avvicino anch’io.
«E’ morta!»- Esclama scoppiando a ridere.
Premo due dita sul
collo di Bella, ci
sono delle flebili pulsazioni,
se ne sta andando. Un
singhiozzo provoca
un tremore assurdo al mio petto. Afferro le sue spalle e la stringo a
me.
«Non è possibile.»- Sussurro incredulo,
vedendo il suo petto
immobile.
«No, no, no, no.»- Sussurro senza sosta, cercando
in qualche
modo di farla riprendere. Schiaffeggio le sue guance ma niente, nessuna
reazione, provo con il respiro bocca a bocca, ma niente, non ci riesco.
Cerco
mentalmente di pregare Dio, o qualsiasi divinità possa
esserci davvero. I
singhiozzi mi sconquassano il petto, ma non smetto, nemmeno per un
secondo e
perdere la speranza.
«Ti prego, mio amore, resta, resta qui con me. Non andare via
adesso che ti ho ritrovata.-» Sussurro senza sosta, sperando
in qualche modo
che il suo subconscio possa sentirmi e, darle una qualsiasi forma di
energia
per far battere il suo cuore. Aro si allontana avvicinandosi a Alice.
Uno sparo
parte dalla pistola di Alice, ma manca l’obbiettivo. Sgrano
gli occhi, quando
vedo la stessa arma che, ha ridotto Bella in questo stato, puntata
verso mia
sorella. Jasper piomba all’improvviso e gli spara sul
braccio, facendogli
cadere l’arma sull’asfalto. Mi avvicino a lui
buttandolo per terra in modo poco
gentile e inizio a prenderlo a pugni in faccia.
«Spostati Edward!»- Urla in preda la panico Jasper,
con la
pistola puntata su di Aro, che si trova sotto di me. Mi allontano ma
Jasper non
ha il tempo di premere il grilletto che uno sparo finisce dritto nella
tempia
di Aro. Mi volto verso Alice che sgrana gli occhi e sorride. Non
è stata Alice
a sparare…
Bella si alza in malo modo e cerca di raggiungerci.
«Bella!»- Esclamo correndole in contro. Lo ha
ucciso lei,
ecco dov’era la mia pistola. La prendo da sotto le ginocchia
e sfrego la mia
fronte con la sua. Lei scoppia a piangere stringendo forte il colletto
della
mia camicia con le dita.
«Ssh, è tutto finito ormai.»- Sussurro
cercando di
tranquillizzarla. Lei scuote la testa e continua a piangere.
«Ci sono gli altri. Non era solo.»- Mi dice, con
molta
fatica, e il suono della sua voce mi fa ricordare che le hanno sparato
in un
braccio. Inizio a correre avviandomi verso la macchina, presa in
noleggio dal
giorno in cui sono arrivato. Alice e Jasper annuiscono, capendo
immediatamente
che siamo diretti al pronto soccorso e rimangono lì.
«Edward…»- Sussurra piangendo,
è troppo stanca emotivamente,
gli ultimi anni, gli ultimi mesi, si stanno dissolvendo in quelle calde
lacrime, che adesso camminano lungo la strada del suo viso. Sospiro,
rendendomi
conto che stavo per perderla, perderla davvero, perderla per sempre.
Solo
adesso, mi rendo conto, immaginando, il dolore atroce che avrei potuto
provare
una volta averla presa, una volta averla tra le braccia priva di vita.
Solo
adesso, che è qui a fianco a me, viva e vegeta, nonostante
sia ferita, immagino
la mia vita senza di lei. Sapere che era lontana, chissà
dove era brutto. Era
brutto sapere che lei era da qualche parte senza di me, sola, con
qualcun altro,
ma comunque senza di me. Ma saperla morta, era peggio di qualsiasi
altra cosa.
Era guardare gli occhi di mio figlio e vederci dentro lo stesso dolore
che io
stesso avrei provato, era guardarmi attorno e continuare a vivere con
quel
suono che sentirei solo con la consapevolezza di lei morta: la
solitudine.
Scuoto la testa, cercando di pensare solo al presente, è
sbagliato piangersi
addosso per qualcosa che poteva accadere ma non è accaduto.
«Resisti stiamo arrivando.»- Sussurro girandomi un
secondo
verso di lei.
Scendo dalla macchina e la prendo da sotto le ginocchia.
Arriviamo nell’atrio del pronto soccorso e
l’infermiera ci viene immediatamente
incontro.
«Che è successo?»- Ci chiede. Bella mi
guarda e capisco che
devo parlare io.
«E’ stata ferita al braccio da un’arma da
fuoco, è successo
circa mezz’ora fa.»- Sussurro stringendo
più a me Bella. Sospira e strofina il
naso sul mio collo, accoccolandosi meglio contro il mio petto.
«Presto, entra alla prima porta a destra, arriverà
il medico
immediatamente.»- Mormora l’infermiera, indicandomi
la porta. Una volta varcata
la soglia la posiziono sul lettino.
«Come va?»- Le chiedo preoccupato.
«Potrebbe andare peggio, brucia tanto, ma mi sto
abituando.»-
Avvicino il viso alla ferita, pare che il proiettile non sia andato
proprio in
fondo, si riesce a vedere il posteriore di metallo dalla ferita. Ecco
perché
credevo stesse per morire, il proiettile ha colpito il nervo del
braccio,
istintivamente è caduta per terra e i sensi
l’hanno abbandonata per qualche
attimo. Prendo il suo viso tra le mie mani e finalmente le mie labbra
toccano
le sue. La sua bocca non ha perso la consistenza morbida che ho tanto
amato,
sono sempre morbide, piacevoli da baciare o solo accarezzare con il
polpastrello del dito. Soffia sulle mie labbra e un sorriso nasce
spontaneo tra
le mie labbra.
«Ti amo Edward. Io…»- Si interrompe
scoppiando a piangere,
ed io raccolgo ogni lacrima con un bacio.
«Non piangere, ti prego non farlo. Devi sorridere oggi. Ti
amo anch’io, tanto quanto il mondo.»- Sussurro
appoggiando il mio naso sul suo.
«Non posso vivere senza di te Edward.»- Mormora
guardandomi
negli occhi.
«Non vivrai mai più senza di me.»- Le
dico in una promessa,
sicuro che manterrò con tutto il mio cuore.
«Edward!
Ti rendi conto del rischio che avete corso tutti
quanti?»- Urla mio padre. Sono venuto a casa di Alice, che mi
ha chiamato non
appena mio padre è arrivato qui a casa sua. Bella
è in ospedale, quando sono
andato via la stavano portando nella sua stanza. L’hanno
operata, estraendo il
proiettile, il medico ha detto che perdere altro tempo sarebbe stato
fatale, la
ferita era in parte già infetta. Resterà
lì qualche giorno, in modo da
controllare i valori e la reazione dell’organismo. Mio padre
era qui a New York
da due giorni, a nostra insaputa.
«Papà, tu non capisci! Bella stava per morire!
Avrebbe dato
la vita, sarebbe morta, se la fortuna per una volta non era dalla
nostra parte!»-
Esclamo risoluto.
«Edward. So tutto, abbiamo rintracciato le telefonate, Aro
era pedinato da noi da un anno ormai. Bella, un giorno, mi ha
raccontato tutto,
sperando in qualche modo che io potessi aiutarla. Lei aveva promesso
che
avrebbe aspettato, che lui fosse morto o arrestato per dirti tutto. Ma
tu,
testardo come sei non hai voluto farlo, non hai voluto vederlo, hai
scelto la
strada più ovvia, quella che lui si aspettava.»-
Dice parecchio arrabbiato.
«Tu sapevi tutto?»- Sussurro incredulo.
«Tutti sapevamo. L’unico che non poteva eri
tu.»- Mormora
mio padre cercando di addolcire il tono.
«Qual è il problema allora? Dovresti essere
contento che si
è sistemato tutto!»
«No Edward. Non quando ho saputo che i miei figli stavano
rischiando la vita a mia insaputa!»- Sputa con disperazione.
«Dovevo fare qualcosa Papà. Adesso basta, devo
andare da
Bella.»- Mi avvio verso la porta ma una sagoma alta poco
più di un metro mi fa
arrestare di colpo i piedi.
«Edduad!»- Esclama George, saltandomi sul collo.
«Ciao piccolino mio.»- Sussurro, sospirando il
profumo dei
suoi capelli. Rimaniamo abbracciati per minuti interminabili. Una
lacrima di
commozione riga il mio viso. Tra le braccia di mio figlio sento di
essere
forte, di essere speciale, mi sento unico al mondo.
«Devo andare dalla mamma.»- Gli comunico
guardandolo negli
occhi, dispiaciuto che devo lasciarlo.
«Potto venile con te? Ti plego, ti plego.»- Mormora
saltellando. Annuisco e lo porto in cucina.
Mio padre vedendoci sgrana gli occhi. Alice sorride
abbracciando Jasper.
«Lui è…»- Si interrompe mio
padre deglutendo.
«Si. Lui è mio figlio.»- Annuncio fiero,
mio padre si
emoziona e si avvicina a noi.
«E’ bellissimo.»- Mormora, dandogli un
bacio in fronte.
Esco e con mio figlio mi dirigo all’ospedale.
«Gli metto la mascherina! Deve vedere la madre! In fondo
è
sola nella stanza.»- Cerco di convincere il medico a farmi
entrare in reparto
con George.
Il medico dopo mezz’ora annuisce e ridendo entro con mio
figlio, dirigendomi nella stanza di Bella. Non appena stiamo per
varcare la
soglia mi fermo. E’ giusto fargli vedere la madre in questo
stato? E’ sdraiata
con il lenzuolo che la copre fino al petto, il suo sguardo è
rivolto fuori
dalla finestra, il suo braccio, quello che non è stato
colpito, è pieno di
aghi. Forse è sbagliato dargli questa visione ad un bimbo di
tre anni.
«Edduad? Entiamo?»- Mi dice tirando la mia camicia.
Agisco
di istinto e prendendolo in spalla entriamo.
«Mamma! Mammaa!»- Urla correndo verso Bella. Sgrano
gli
occhi, per paura che dalla felicità possa saltargli addosso
e provocarle danni.
Ma no, si ferma giusto in tempo e bacia delicatamente la mano della
madre.
Rimango in disparte, da spettatore. Rimango a guardare quello che in
questi
anni mi sono perso, il loro rapporto, è la prima volta che
li vedo insieme.
Bella gli sorride, ma è un sorriso strano, è quel
sorriso che mai avevo visto
apparire sulle sue labbra. E’ quel sorriso che magnificamente
contagia lo
sguardo, il corpo, l’anima. E mi rendo conto che la vita di
Bella è cambiata in
mia assenza. E’ cambiata di colore, di maturità,
di amore, di tutto quello che
di positivo può darti un figlio. Mi avvicino a loro e mi
siedo sulla seggiola a
fianco al suo letto. George
si avvicina
a me sedendosi sulle mie gambe. Bella ci guarda e sorride.
«Siete belli.»- Mormora ridendo.
«Come stai?»- Le chiedo, non dimenticando il suo
stato di
salute.
«Fosse per me, tornerei a casa adesso. Ma vogliono tenermi
qui
ancora un po’.»- Sussurra dispiaciuta.
«Vedrai amore, tornerai a casa presto.»- Sussurro
fiero di
lei, del suo coraggio, del suo amore, del suo essere così
buona e limpida.
«Sei la sua mamma?»- Mi chiede George, indicando
Bella.
Strabuzzo gli occhi e guardo Bella confuso, mentre lei scoppia a ridere.
«No amore. E’ il mio amore, come te. Per questo mi
chiama
amore.»- Gli spiega Bella, con tono amorevole.
«Potto chiamallo amole allola?»- Chiede lui alla
madre
entusiasta, ma non appena Bella scuote la testa i suoi occhi divengono
due
fessure.
«No, non amore. Papà.»- Sussurra, mentre
una lacrima riga il
viso ad entrambi.
Dieci
giorni dopo.
Mi sento dentro
ad una fiaba, mi sento dentro a qualcosa di
grandioso, mi sento dentro a qualcosa di bello. Mi sembra
così strana la
realtà. Mi ero abituato a vivere giornate tristi, vuote,
spente, mi ero
abituato all’assenza di Bella nella mia vita. Eppure,
nonostante la sua
mancanza abbia lasciato un marchio nel mio cuore, sento che adesso sto
meglio.
Ho un figlio, un figlio che fino a poco tempo fa non sapevo esistesse,
un
figlio che riempie le mie giornate, spazzando via il dolore, il senso
di
perdita che ancora prevale nelle mie notti insonni. Eppure, sento che
adesso,
in questo preciso istante, non ci sia uomo più felice di me,
mi sento rinato,
messo a lucido, come una macchina appena comprata. Mi sento completo,
come se
quello che mi è sempre mancato adesso è qui,
dentro di me, nella mia vita.
Negli ultimi giorni, Bella mi ha chiesto di restare in quella casa dove
lei e
George hanno vissuto qui a New York, dicendomi che quella è
anche casa mia. Ma
non la sento parte della mia vita, perché quella casa
è stata testimone della
nostra distruzione, è stata di compagnia alle lacrime, alla
solitudine, alla
malinconia di Bella. Non ho intenzione di perderla, non adesso che
l’ho
ritrovata, non adesso che il mio cuore è tornato intatto,
come se nulla fosse
successo. Sono in macchina con George, stamane ha chiamato Bella,
dicendoci di
aver appena avuto tra le mani la lettera di dimissioni. Ho intenzione
di
ricominciare la nostra vita da oggi, ho intenzione di vivere alla
giornata,
vivendo come se non ci fosse un domani, godendomi la vita, la
felicità e l’amore
che solo lei e mio figlio possono darmi. Mi sono chiesto parecchie
volte come
mai non mi sono reso quasi subito conto che George fosse mio figlio.
Adesso,
guardandolo mi rendo conto di quanto simile sia a me. E non
c’è consapevolezza
migliore di sapere che questo piccolo principe, questo corpo fatto di
energia e
felicità è mio figlio. E poi ti rendi conto
dell’amore che un padre nutre per
suo figlio, te ne rendi conto solo una volta che l’hai
provato. Capisci che è
parte di te, che ogni cosa materiale o meno che ti appartiene, non lo
fa più di
un figlio. C’è il tuo sangue che scorre nelle sue
vene, c’è qualche sfumatura
del tua carattere che si fa spazio all’interno della sue
mente. Capisci che una
volta diventato genitore, non c’è alcun lavoro
migliore, di quello di insegnare
ciò che è giusto ai figli, di insegnargli ad
essere sempre forti, educati,
sorridenti. Di essere sempre se stessi, di amare, perché non
c’è cosa più bella
e potente dell’amore.
«Finalmente a casa.»- Sussurra Bella, una volta
varcata la
soglia di casa sua. Corre sul divano e si butta su di esso. Ci
guardiamo negli
occhi e scoppiamo a ridere, felici e spensierati come mai prima
d’ora. Siamo
noi, Edward e Bella, e sì, siamo destinati a stare insieme
in questa vita e in
altre, per sempre.
**
«Dove andiamo?»- Le chiedo, una volta entrati in
macchina,
non conosco New York, forse alcune strade possono sembrarmi familiari,
ma
adesso proprio non capisco dove mi sta portando.
«Vedrai.»- Dopo qualche minuto ci fermiamo,
parcheggia la
macchina, è deserto qui, c’è odore di
mare, c’è una grande aiuola, poi
nient’altro.
Mi prende per mano e mi trascina in un piccolo sentiero
pieno di alberi. Dopo cinquecento metri inizio a vedere una piccola
spiaggetta,
sembra un posto isolato dall’intera New York, come se fosse
un’isola sperduta
nel mondo.
C’è silenzio, si sente solo il suono del vento che
sfiora le
onde del mare, producendo quel rumore che molte persone chiamano
tranquillità.
«Questo è il posto dove mi sono sentita a
casa.»- Sussurra
guardandomi intensamente negli occhi.
«Non hai più bisogno di questo posto. Sono io la
tua casa.»-
Mormoro non staccando il contatto visivo.
«Ti ho portato qui per un motivo. Dal primo giorno in cui ti
ho visto, dal primo giorno che i miei occhi si sono mescolati nei tuoi,
ho
sempre pensato di aver conosciuto l’universo, attraverso i
tuoi occhi,
attraverso te. Ho perso mio padre quando ancora ero piccola, non capivo
il
senso della vita. Credevo che la perdita di mio padre fosse una
punizione,
credevo che a causa dei miei capricci Dio per punirmi me lo aveva
portato via.
Sono sempre stata quella persona che piange in silenzio, quella persona
che
odia vedere la pena negli occhi degli altri. Poi sei arrivato tu e
tutto quello
che credevo importante è diventato una sciocchezza. Che
importava vederti,
importava parlarti e tutto era qualcosa di immenso. Quando mi hanno
strappato
te, la felicità, ho capito. Ho capito che questa
è la vita, che la vita stessa
mi ha fatto perdere mio padre per sempre. Mi ha fatto perdere te, ma mi
ha dato
George, l’unico motivo per cui ho continuato ad amare,
l’unico motivo per cui
io stessa mi sono detta: “la vita non è perfetta,
sono le persone che ci
circondano a renderla bella”. Io Ti amo Edward. Ti amo in un
modo che nemmeno i
libri mi hanno insegnato. Ti amo perché sento che amarti
è la cosa più giusta
che io possa fare. Ti amo perché il solo dirti “Ti
amo” mi rende felice. Ti amo
perché sei ancora qui, perché hai avuto fiducia
in me, sempre, nonostante
tutto. Ti amo Edward, ti amo così tanto che morirei per te.
Perciò Edward devi
farmi una promessa, che manterrò
anch’io.»- Sussurra piangendo. Il mio cuore
manca di un battito ad ogni “ti amo” da lei
sussurrato. Annuisco e sento i miei
occhi lucidi, lucidi di felicità, cosa che mai era accaduta.
«Promettimi di stare con me sempre, di non abbandonarmi come
io ho fatto con te. Di parlarne insieme se c’è
qualche problema. Voglio amarti
Edward, voglio farlo in eterno, perché ho capito che
qualsiasi cosa accada io
non smetterò mai di amarti. Lasciami vivere la mia vita
insieme a te, sempre,
per sempre.»- Sussurra. Accorcio le distanze, facendo
diventare le nostre
labbra una cosa sola. I respiri si infrangono, le mura della malinconia
si
distruggono, lasciando spazio all’entusiasmo, alla
felicità. Sono felice,
nonostante la mia vita fino ad oggi è stata in parte una
totale sofferenza,
nonostante soffriremo sempre, voglio soffrire con lei, voglio che il
mio dolore
diventi il suo e viceversa. Voglio che lei sia con me,
perché l’amore è
invincibile, perché l’amore è
quell’essenza positiva più forte di ogni
emozione. Accarezzo i suoi capelli, insieme accarezziamo la
realtà, la viviamo,
la percorriamo, insieme. Insieme ricominciamo.
«Sposami amore mio.»
Taaaadaaan. Okay, lo so che fa
schifo, ma dovete capire che
sono abituata ai capitoli tristi, quindi :p Il capitolo è
interamente dedicato
a tutte, so che vi ho fatto penare, ma ne è valsa la pena?
Fatemi sapere. Un
dedica speciale va a Aiami, senza di lei non credo ce l’avrei
fatta, quindi è
giusto, e poi lei dal primo momento voleva questo capitolo. Grazie. Ti
voglio
bene.
Siete contente? BELLA
E’ VIVA YEAH. Non sono così sadica,
non potevo farla morire davvero!
Volevo avvisarvi che
dopo questo ci sarà un altro capitolo e
poi l’epilogo.
Un bacio.
Roby.
|
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Capitolo 25 *** It's My Life. ***
Love Save The
Pain.
It’s
My Life.
Bella’s
Pov.
Finalmente, dopo
quattro lunghissimi, interminabili,
dolorosi anni, sento l’odore dell’amore. Per la
prima volta in vita mia, sento
quello della felicità. L’odore di lenzuola fresche
d’estate, l’odore del pane
tostato con la sottiletta sciolta all’interno,
l’odore dei vestiti sporchi di
George, che sporchi non è proprio la definizione adatta.
Quegli odori che ti
entrano dentro, per poi diventare sapori, intensi e piacevolmente
nostri.
Quelli che ci appartengono, ci cambiano l’umore, ci
migliorano la vita. La mia
vita, oggi, in questo istante è migliorata. Ho Edward, ho un
figlio che amo, ho
la mia vita, la vita che sto decidendo io di vivere, quella vita dove
nessuno
mi ha imposto nulla, quella vita che io sono fiera di avere, di essere
la mia
vita.
«Ti sposerò Edward. E non ci sarà cosa
migliore di questa.»-
Sussurro, senza piangere, sorridendogli come mai avevo fatto in vita
mia. Forse
è stato stupido pensarlo, credevo che Edward
l’avevo perso per sempre, che qualsiasi
cosa fosse accaduta lui non mi avrebbe creduto o, cosa peggiore, mi
avrebbe
dimenticata. Non so come sarebbe stato questo giorno se così
fosse stato, ma
che senso ha pensarci adesso? Adesso che ho finalmente la vita che ho
sempre
sognato, adesso che ho persone da amare che mi circondano, quelle
persone che
so per certa non mi abbandoneranno mai, quelle che ci sono sempre state
fino ad
oggi. Ed Edward c’è stato, anche se nessuno dei
due aveva notizie dell’altro,
anche se entrambi abbiamo pensato che mai avremmo potuto più
amarci, nell’anima
dell’uno c’era l’altro. L’unica
persona che mi è entrata nell’anima, facendola
cambiare di colore, è lui. Quella persona che, dentro di me,
ho sempre saputo:
ci sarebbe stata. Sono grata ad Edward, per essere
così…lui, così dolce, così
tanto simile a me, per amarmi nonostante non è facile farlo
con me. Lui ci sarà
sempre, ed io voglio sposarlo, perché così
facendo non ci sarà scelta migliore,
giusta, facile, di questa. Questa è la mia vita, in una
nostra casa, con Edward,
con la fede nuziale al dito, con i suoi baci che colorano la mia
giornata, con
il sorriso di mio figlio, quando litigheremo per poi fare pace nel
nostro mare
d’amore, dove siamo naufraghi.
Abbraccio Edward, senza parlare, senza fiatare, ma facendogli
ugualmente capire il mio ringraziamento, e per una volta mi sento
fortunata,
per essere rimasta viva, per essere qui accanto all’uomo che
amo e che ho
sempre amato, per poter vivere la crescita di mio figlio, per poter
finalmente
essere libera di fare ciò che voglio della mia vita. Senza
più paura, senza più
freni, senza supposizioni, senza chiedermi il perché.
Sospiro felice sulla
spalla del mio futuro marito e mi godo quel senso di
tranquillità che mai e poi
mai avrei creduto potesse impossessarsi di me, della mia anima.
«Mi sei mancato tanto amore mio.»- Sussurro in un
sospiro
felice. Lui annuisce e prendendo il
mio
mento tra le sua grandi mani incastra il suo sguardo nel mio.
«Io. Ti. Amo.»- Sibilla prima di confondere i miei
sensi,
trasportandomi in un bacio passionale, trasportandomi nel nostro mondo,
quel
mondo che avevo creduto perso per sempre, ma che adesso mi ha
risucchiata per
non lasciarmi andare mai più, e son alquanto felice,
entusiasta di questo. Non
capisco più nulla, presa dalle forti emozioni che solo il
mio uomo riesce a
regalarmi, fin quando la mia schiena nuda – a causa della
camicetta sollevata-
tocca la sabbia calda a causa del sole che picchia forte in noi, in
questo
posto meraviglioso. La sua bocca si stacca dalla mia e riprendendo a
respirare,
le nostri fronti si incastonano, si fondono, come le nostre anime, come
il
nostro amore, come il nostro destino.
«Fermami.»- Sussurra ansante sfiorando il mio naso
col suo.
«Non voglio farlo.»- Mormoro prima di capovolgere i
nostri
corpi e trovandomi a cavalcioni su di lui. Sfilo la camicetta del
tutto,
sganciando i gancetti del piccolo reggiseno, lui chiude gli occhi per
pochi
istanti, facendomi sorridere, estasiata del mio effetto su di lui,
anche dopo
tutto questo tempo. Le sue mani, come se fossero delle calamite, si
attaccano
ai miei seni, come se fossero il polo principale. Butto la testa
all’indietro,
godendomi queste magnifiche sensazione, agogniate per troppo, infinito
tempo.
Si mette seduto, dandomi la magnifica visione dei suoi occhi, ormai
liquidi dalla
forza della passione, e mi ci perdo dentro per un tempo abbastanza
lungo. Ed
eccolo lì, il mio universo personale, quello che tutti
quanti bramiamo con
tutti noi stessi, quel piccolo pezzo di luogo dove noi stessi siamo lo
specchio
dell’anima della persona che amiamo, dove puoi sorridere,
piangere, amare,
disprezzare, dove puoi pensare ciò che vuoi,
perché nessuno verrà a dirti che è
giusto o sbagliato. Quel posto che molti di noi credono sia il
paradiso, io non
ho un paradiso, non ho un luogo dove esiste solo la
felicità. Io ho Edward. I
suoi occhi. Il mio universo. Quello dove voglio vivere, quello dove
voglio
passare i miei giorni fino all’ultimo dei miei giorni.
Senza neanche rendermene conto siamo entrambi completamente
nudi, la sua bocca ormai attaccata, come una sanguisuga, su un mio seno
mi
manda fuori di testa. Facendomi vedere macchie colorate
all’altezza dove cerco
di guardare il sole. Il suo respiro sulla mia pelle è
qualcosa di assolutamente
unico e eccezionale.
Sospiro, prendendo tra le mani piccoli pezzi della sua
chioma ribelle, invitandolo ancora di più a continuare la
sua lenta, dolce,
assolutamente necessaria, tortura. Cerco di respirare annaspando, e se
anche i
polmoni bruciano non mi sono sentita mai meglio di così.
Quel vaso rotto che
una volta è caduto in mille pezzi è adesso al suo
posto, più bello di come era
originariamente. Quell’anima che per molti anni è
rimasta grigia, buia e fredda
adesso ha il sole che la circonda, hai i colori, quelli
dell’arcobaleno, anche
lei, finalmente, sta bene.
I nostri corpi si muovono all’unisono, bramando un contatto
più profondo. Riesco a sentire l’intrusione delle
sue dita dentro di me, riesco
a percepire il tocco delicato della mia mano sul suo membro, e mai mi
è
sembrata cosa più dolce, quella di noi uniti, in un limbo
che da malinconico,
grazie all’amore, grazie al nostro “essere
simili”, si è trasformato in un
limbo pieno di felicità e armonia. Stiamo bene con noi
stessi perché al nostro
fianco c’è l’altro. Non appena il suo
membro varca la mia entrata un urletto
molto più che soddisfatto lascia le mie labbra. E sono
questi i momenti
speciali della vita, quando fai qualcosa e sei sicuro che non
c’è cosa più
giusta che potessi mai fare, quando sorridi perché
è spontaneo, naturale farlo,
quando piangi senza rendertene conto, di commozione o di nostalgia di
qualcosa
di profondo.
I miei fianchi si muovono dettati dal ritmo delle sue mani
ancorati a essi. Il mio viso, un misto tra emozione e passione, pulsa.
Le mie
orecchie sono bollenti, e mi ricordo, ricordo quelle notti in cui mi
è mancato
tutto questo. Le sue mani su di me, il suo corpo che si muove sotto il
mio, il
suo respiro caldo che sfiora la mia pelle candida, le sue parole dolci
sussurrate nel momento in cui i nostri corpi diventano una cosa sola.
Sì, è
questo che voglio dalla vita, questo è il mio ideale di
vita, è la mia vita,
quella vita che ho sempre sognato di vivere.
«Amore
mio.»- Sussurro afferrando George che mi viene in
contro.
«Dov’è il mio
Papà?»- Mi domanda corrucciando la fronte. Io
scoppio a ridere e non c’è cosa migliore, nel
sentire la dolce e flebile voce
di mio figlio che sussurra “Papà”. Mi
ero sempre immaginata come sarebbe stato
il rapporto tra Edward e George, avevo creato delle immagini tutte mie,
che mi
facevano sorridere e, sinceramente, mi facevano sentire un
po’ in colpa. Ma mai
avrei potuto lontanamente immaginare come sono nella realtà.
Sono entrambi l’altra
parte della mela, sono entrambi la persona di cui ha bisogno
l’altro, sono
entrambi il sorriso che aleggia nella bocca dell’altro.
Questa è la mia vita,
queste sono le persone che amo. Questa è la mia famiglia.
«Papà!»- Urla George saltando in braccio
ad Edward.
«Il mio campione!»- Mormora lui felice, vederlo
così riempie
il mio cuore di gioia, una gioia che non avevo mai provato prima, una
gioia che
accarezza il mio cuore.
«E’ bello no?»- Mi chiede Alice
abbracciandomi
affettuosamente, finalmente anche la sua vita è migliorata.
Non avrebbe dovuto
essere così per lei, non per un esterna comunque, ma
è come se il mio dolore si
fosse impossessato anche del suo cuore, vedere me, vedere suo fratello,
vedere
George le ha sempre scaturito una malinconia che pochi avrebbero
provato al suo
posto. E le sono grata, per avermi accolto, aiutata nel periodo
più difficile e
doloroso della mia vita, già la mia vita, le devo la mia
vita.
«Vederli assieme. Vedere quella luce negli occhi di Edward,
guardarli insieme e pensare “non c’è
cosa migliore al mondo”.»- Sussurra mentre
io annuisco con vigore.
«Non ti ho mai ringraziata abbastanza, Alice.»-
Sussurro con
i lacrimoni che bussano per uscire dagli occhi.
«Non l’ho mai fatto nemmeno io.»- Dice
facendomi scoppiare a
piangere e imitandomi.
«Ti voglio bene.»- Sussurriamo
all’unisono, aggiungendo una
risata alle lacrime. Carlisle si avvicina a me, e mi sembra assurdo
vederlo ed
essere felice anche per questo. E’ rimasto sempre uguale, ma
in fondo sono solo
passati quattro anni, anche se per la mia mente ne sono passati
cinquanta.
Sospiro, scuotendo la testa, sicura che mai potrò
dimenticare quegli anni, quel
dolore che mai avrei potuto credere in vita mia di provare. Il dolore
è ormai
parte di noi, è rimasto incastonato nelle nostre anime,
nelle vene scorre
dolore, anche se è un filamento, anche se è poco
adesso che siamo insieme,
resterà in noi per sempre. Come il ricordo dei nostri cari,
mio padre, George,
resterà sempre un ricordo doloroso, ma è
l’unica cosa che ci permette di farli
vivere nelle nostre anime. L’amore è riuscito a
diminuire quel filo spesso che
era il dolore, non è riuscito ad annientarlo del tutto, ma
ci si può convivere
adesso, possiamo pensare al nostro futuro, ricordando sempre quegli
anni ma
andando avanti col tempo, col sorriso di chi ama, col sorriso di chi
è genitore
e deve andare avanti per poter far vivere al meglio il proprio figlio.
Perché
ho capito che c’è un motivo non ovvio per cui
esiste l’amore. L’amore esiste
per farci vivere, l’amore è
quell’onnipotenza che distrugge tutto, come il dolore,
il dolore ci distrugge, ci limita la vita, ci annienta, ma non
può distruggere
un amore. L’amore ci annienta, ci distrugge, ci fa volare ad
un altezza
impossibile, ci annebbia la mente, ma non può distruggere il
dolore. L’unica
differenza tra dolore e amore è quella che il dolore molte
volte ci rende
fantasmi di noi stessi, l’amore è quel motivo per
continuare a vivere
nonostante tutto, perché se ami hai qualcosa di importante
per cui lottare.
«Grazie Bella. Grazie per essere stata così
coraggiosa.»-
Sussurra Carlisle, abbracciandomi.
«Non sono stata coraggiosa. Sono solamente una donna
innamorata.»- Mormoro fiera di me stessa, per essere
così innamorata.
Due
settimane dopo.
Siamo a Los
Angeles. Non so se voglio tornare a vivere qui,
non so nemmeno se tra qualche anno sentirei la mancanza di questo
posto. So
solo che questo posto mi ha causato parte della mia sofferenza, ma mi
ha
regalato anche Edward. Sospiro pensando a quanto vorrei tornare a casa
mia,
ammirare le foto appese alla parete, l’odore di mio padre
ancora impregnato lì
dentro, ai ricordi, di lui seduto sul grande divano che mi guardava
mentre
ballavo davanti ai cartoni animati. Si, mi mancherà questo
posto, ma non sono
sicura di voler passare il resto della mia vita intrappolata in un
posto che
non sento più mio, in una città dove mi
ricorderà tantissimo la mia infanzia,
ma non nella mia casa, l’unico posto, l’unico
rifugio dove mi sentivo me stessa.
L’altra parte del mio universo.
«Ehi ma che fai?»- Domando confusa, mentre Edward
,arrivati
in città, mi benda gli occhi.
«Una sorpresa per la mia futura moglie.»- Mormora
con un
tono di voce dolcissimo. Sorrido, prendendo la manina paffuta di George
tra le
mie. Ho Edward, ho mio figlio cosa dovrei volere di più di
questo?
Edward, George ed io abbiamo preso l’aereo. Non appena
Edward mi ha avvisata che saremo andati con quel mezzo di trasporto,
dire che
sono rimasta sorpresa è un eufemismo bello e buono, certo,
ma sapevo dentro di
me, che lui ci sarebbe riuscito. Sono così fiera di lui, del
suo essere così
dolce, forte, del suo essere sincero sempre, qualsiasi cosa accada. Mi
ha
promesso che finché il nostro amore vivrà nessuno
potrà mai più separarci,
anche a costo di morire insieme. E’ una promessa che
convalida il nostro futuro
matrimonio al mille per mille.
Il motore dell’auto si spegne. Sento la portiera di Edward
aprirsi e poi la mia.
Le sua mani
sciolgono abilmente la benda e mi ritrovo a stringere gli occhi per il
sole.
«Et voilà.»- Sussurra sorridendomi. Apro
gli occhi, siamo a
casa mia. Mi giro dando le spalle a quella che una volta era la mia
casa.
Sospiro, sicura che non voglio, non posso entrare lì dentro.
Non posso
sopportare di vedere quel luogo freddo e ormai spoglio, sarebbe una
delusione
grande.
«Non vuoi vederla?»- Mi chiede confuso. Io scuoto
la testa e
una lacrima si scioglie sul mio viso. Edward mi abbraccia, sotto gli
occhietti
confusi di George e involontariamente il mio sguardo si sposta sulla
piccola
spiaggetta. E’ sempre uguale, vuota, deserta da quel giorno.
Un sorriso amaro
circonda la mia bocca, il posto spettatore più di tutti del
mio eterno dolore.
La mano di Edward accarezza dolcemente la mia schiena, come a volermi
confortate,
e circondata nel suo abbraccio, con le narici che odorano di lui, della
sua
essenza, ci riesce.
Sciolgo l’abbraccio e sempre senza incontrare con gli occhi
casa mia, mi dirigo in spiaggia.
«Ciao Papà. Sono tornata. Anche se credo che
c’eri anche tu
con me a New York.»- Dico in un sospiro. Apro la mia piccola
borsetta e prendo
le lettere, che, sono sicura, saranno più di duecento, e li
butto in mare.
«In ogni caso, qui c’è ogni mio singola
emozione a te
raccontata. Ti voglio bene Papà, sempre, per sempre. Sto per
sposarmi, vorrei
tano che mi accompagnassi tu all’altare, vorrei vedere il tuo
sorriso quel
giorno, quello sguardo quando mi dicevi “sono fiero di
te”, “sei la mia piccola
Bells”. Tu non sei morto Papà, non lo sarai mai,
non almeno nel mio cuore, non
nel cuore delle persone che hanno avuto il privilegio di conoscerti.
Resterai
in me, per sempre, ogni singolo istante, la mia vita sarebbe un immenso
orrore
se tu non fossi dentro di me, immortale nel mio cuore, ti amo
Papà, sotto ogni
forma di quella parola che si definisce amore. Non potrò mai
non pensarti, non
potrò mai dimenticarti, perché è
impossibile.»- Mormoro, con le lacrime che
scendono incontrollabilmente dai miei occhi. Mi alzo e mi avvicino,
dove ci
sono Edward e George abbracciati che mi guardano. Asciugo le lacrime
velocemente e sorrido ai miei uomini. Con passa deciso varco la soglia
di casa
mia.
Un sorriso spontaneo nasce sulle mie labbra. E’ sempre la
stessa. C’è odore del detersivo per pavimenti alla
lavanda, c’è l’odore di
salsedine, quell’odore che mio padre aveva sempre addosso. Ci
sono le sue
ciabatte, sempre lì, sotto al tavolino dove sopra
c’è il televisore. E’ sempre
uguale, non c’è nulla di diverso. Non è
triste come avevo immaginato, non lo è
anche perché su tutta la parete ci sono le foto di me e mio
padre che
sorridiamo. E sapere che lui mi amava, vedere con i miei stessi occhi
queste
foto, mi rende felice sotto ogni punto di vista. Mi avvicino alla
cassetta
delle lettere e ne rimango sorpresa. Sotto la cassetta
c’è una targhetta
dorata. “Isabella Swan, Edward
Cullen”. Mi
giro, trovando Edward alle mie spalle e avvicino ancora di
più a lui.
«Che significa questo?»- Gli chiedo, non potendo
trattenere
l’entusiasmo che prende vita nella mia voce.
«Questa è ancora casa tua. Casa nostra, se vorrai.
Voglio
vivere con te, per sempre, nel tuo paradiso, nel tuo universo, in un
mondo dove
sono sicuro tu possa essere felice di farlo.»- Mormora
dolcemente.
«Mi basti tu per quello.»
«I dettagli non si devono mettere da parte
però.»- Mormora,
ma non fa in tempo a finire che le mie labbra si incollano alle sue.
E’ la mia
vita. Abbraccio forte George, che entusiasta gira la casa, casa nostra.
«Ti piace amore?»- Gli chiedo accarezzandogli la
testa.
«Ti mammina! E’ bellittima cata notta.»-
Dice urlando,
iniziando a correre per i corridoi. Abbraccio Edward trascinandolo sul
divano,
rimaniamo abbracciati, a guardare nostro figlio che gioca, felice, e
noi lo
siamo per lui, per noi stessi, per quella vita che vogliamo cominciare
a vivere
da subito.
Un anno
dopo.
«Calma
Bella!»- Esclama disperata Alice. Siamo nel grande
salotto di casa nostra. Edward è a villa Cullen. Oggi
è il grande giorno, e non
mi sono mai sentita così nervosa. Insomma, il vestito
è okay, ma non sono
sicura se posso essere davvero all’altezza di Edward.
«Sto per sposarmi Alice! Non dirmi calma!»- Dico
scoppiando
a piangere. Sicura che dopo questo ennesimo pianto, devono rifarmi il
trucco.
«Bells. Sei in ritardo di cinque minuti già. Se
continui
così non ti sposi.»- Mormora, spuntando dal nulla
Jake. Gli sorrido, contenta
di vederlo qui. Nel corso di quest’ultimo anno ci siamo
incontrati,
raccontandoci tutto quello che ci era successo. Lui si è
sposato con Jason, l’uomo
della sua vita, un ragazzo molto simpatico. Mi aveva avvisata qualche
mese fa,
che non sarebbe potuto venire il giorno del mio matrimonio, ma invece
eccolo
qui. Corre ad abbracciarmi, sotto lo sguardo infuriato di Alice,
chissà cosa
succederebbe se la mia acconciatura di sciogliesse.
«Ti voglio bene Jake.»
«Te ne voglio anch’io Bella, ma te ne
vorrò di più se ti
sbrighi.»- Dice ridendo, non contagiandomi però
questa volta.
«Senti Bella, so cosa stai pensando, cosa sta aspettando.
Hai paura. Paura di fallire nel tuo tentativo di moglie di Edward.
Paura di non
essere alla sua altezza, paura di oggi, del immensità che
è il matrimonio
stesso. Ma è sciocco sai? E’ sciocco
perché hai passato gli ultimi anni in modo
assoluto. In un modo che nessuno forse sarebbe riuscito. E dopo tutto
quello
che è successo, non ti sembra stupido aver paura di un
matrimonio? Ami Edward?»-
Mi domanda guardandomi negli occhi.
«Più della mia stessa vita.»
«Allora puoi affrontare tutto. Soprattutto questa cosa; il
matrimonio.»- Detto questo gira i tacchi ed esce di casa. Mi
guardo allo
specchio e annuisco a me stessa, pensando “posso, devo
farcela”. Mi sistemo il
ciuffo, che Alice ha sistemato lateralmente, ha alzato la chioma in un
piccolo
chignon intrecciato, le ho chiesto di fare qualcosa di semplice, le ho
chiesto
questo perché Edward si è innamorato della mia
semplicità. Il vestito è lungo,
con uno strascico che io definisco kilometrico. E’ bianco, la
parte del seno è
stretta, ci sono dei piccoli ghirigori in pizzo fine, il resto
è di seta. Senza
maniche. Il velo fa da ramo ad una grossa rosa bianca, che luccica al
sole. Il
trucco è semplice, l’occhio è
contornato dalla matita e da un ombretto argentato,
il rossetto è rosso, ma non troppo acceso, non sembra
neanche rossetto, è più
un lip-gloss.
«Dai Alice. Andiamo.»- Mormoro alzandomi. Lei batte
le mani
entusiasta e mi segue, in quanto testimone di nozze. Insieme a Jasper,
mia
madre e Carl.
«Prego Signora Cullen.»- Mormora divertito Jasper
aprendomi
la portiera.
«Sei bellissima
Bella.»- Mormora Jasper, colui che mi
accompagnerà all’altare.
«Ti voglio
bene Jasper.»- E sospirando cominciamo a
camminare mentre la marcia nuziale accompagna i nostri passi. Ci sono
tutti, la
famiglia di Edward al completo, la mia, i miei nonni in miei zii.
George è
davanti a noi che sorride a tutti, portando in mano un cuscinetto con
le fedi
nuziali. Incontro lo sguardo di mia madre emozionato, le sorrido e lei
mi
soffia un bacio dolcemente. Edward mi sorride, con gli occhi che
luccicano di
emozione. Sbatto le palpebre più del dovuto, in modo da non
far uscire le
lacrime. Non appena la mia mano tocca quella calda di Edward sospiro,
felice di
non aver dato spettacolo cadendo.
Il parroco inizia a recitare
la messa, e senza smettere di
guardarci negli occhi, io e Edward recitiamo il giuramento, mettendo la
fedo l’uno
nell’anulare sinistro dell’altro. Dicono che non si
può definire il giorno
migliore della nostra vita, ed è così per
davvero. Fino all’ultimo dei nostri
giorni, scopriremo cose nuove, vivremo emozioni diverse, impareremo
miliardi di
altre cose. Questo non sarà il giorno migliore della mia
vita, quel giorno è
tutti i giorni, accanto ad Edward tutto è il meglio del
meglio, tutto è
felicità e amore. E’ la mia vita. E sono felice di
poterla vivere in questo
modo, con determinate persone al mio fianco.
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Capitolo 26 *** ∞ // Epilogo. ***
Love
Save
the Pain.
∞ //Epilogo
Dopo
essersi sposati,
Edward e Bella, passarono la loro prima notte di nozze
nell’albergo spettatore
della loro prima volta quel luogo dove, dopotutto, entrambi avevano
capito di
amarsi. Quel luogo dove indirettamente si giurarono amore eterno. Negli
anni
che seguirono non ci fu l’ovvio: “e vissero per
sempre felici e contenti”. Il
dolore era sempre quel mare, dove la loro anima galleggiava.
L’unica
differenza, il fatto di amarsi, essere insieme nonostante tutto, era la
differenza che gli permetteva di vivere come volevano.
L’amarsi era quello per
cui erano nati. Ogni persona del mondo, giornalmente prova il dolore
della
perdita, c’è chi prima c’è
chi dopo, ma mai nessuno ha fatto finire la propria
vita per quello, per quel senso di perdita che ci distrugge, ci annulla
l’anima,
il senso della vita. Ogni persona si alza andando avanti, e loro lo
hanno
fatto. Insieme si sono alzati, distruggendo la malinconia, dando vita
alla
felicità, all’amore infinito di cui entrambi non
possono fare a meno. Questa è
la vita, questa è la realtà, la gente nasce, la
gente muore, la gente ci
abbandona, la gente ci ama, la gente ci odia. Vivranno sempre con le
loro
tipiche domande: “Perché così
presto”, “Perché a me?”. Ma
non per questo hanno
deciso di lasciarsi andare al dolore, di lasciare che la loro anima
fosse
portata dagli abissi dove il dolore è il sentimento
predominante. Hanno trovato
l’amore, l’amore che in sé ha salvato
quel dolore. Perché quel dolore è la
consapevolezza che le persone che perdiamo vivono in noi, sentendo il
profumo
della loro perdita, ci fanno capire che sono qui, nel nostro cuore,
nella
nostra anima.
Edward
e Bella adesso sono un uomo
e una donna.
Edward e Bella adesso sono felici. Edward e Bella adesso sono debitori
alla
vita, per aver trovato quello che stavano cercando
nell’altro. Quegli Edward e
Bella che credevano fosse impossibile amarsi in questa vita, adesso lo
fanno,
irrazionalmente, infinitamente, felicemente si amano, in questa vita.
Questa
vita che crudelmente li ha fatti crescere, facendoli rinforzare giorno
per
giorno, questa vita che li ha ripagati facendoli ritrovare, facendogli
pensare:
“ Siamo fatto l’una per
l’altro.”
C’è
che
dice che l’anima gemella non esiste, loro l’hanno
trovata. Vivono in quella che
una volta era casa Swan. Edward non ha mai smesso di passare i suoi
Venerdì con
George, Bella non ha mai smesso di passare l’ora di pranzo
con il padre. Il piccolo
George, ormai un ragazzo di quasi quindici anni è felice.
E’ felice perché amato
dai suoi genitori, è felice di aver
avuto la fortuna di essere figlio di una coppia che ogni giorno si
dimostra
amore reciproco, donandolo anche a lui, il loro piccolo principe.
Reneè e
Carl si sono sposati dopo qualche anno, vivono in centro, in una
piccola
casetta. Reneè è felice, ma per quanto possa
esserlo, per quanto abbia trovato
la felicità in Carl, mai un giorno smetteva di pensare al
suo primo amore.
Quel
giorno Edward e Bella, sentendo che il figlio si era innamorato per la
prima
volta, decisero di raccontare una storia al figlio, consapevoli che
prima o poi
dovevano farlo.
Raccontarono,
una storia dove predominava la malinconia, il dolore, quel dolore che
ti fa a
pezzi senza che tu sia stato colpito. Una storia che parla
dell’irrazionalità,
una storia che parla dell’infinito. Raccontarono la loro
storia al figlio, ma
non facendogli credere ad un semplice storia d’amore.
Raccontarono una
storia che parla dell’amore.
The end.
Ed eccoci alla
fine. Chi mi conosce, sa cosa significa per
me cliccare su “completa”. Mi sento come
se…non lo so, avete presente quando
guardate un film malinconico e poi vi rimane quel senso dentro? Quella
voglia
inspiegabile di piangere? Ecco come mi sento.
Questa storia è parte della mia vita, nel vero senso della
parola. Credo che non riuscirò mai più a scrivere
come ho fatto con questa. Mi
svegliavo la notte, quando sognavo qualcosa che mi emozionasse per
scrivere un
pezzetto. Mentre mangiavo mi appuntavo sul cellulare dei pezzi da
scrivere. Ho
chiuso gli occhi immaginando i miei personaggi e facendoli agire come
in un
film. Mi sono immedesimata troppo in loro, ma ne sono felice. Felice
perché voi
siete stati con me, mi avete supportata, tutte quante, ed io davvero
vorrei
fare qualcosa, qualsiasi cosa per ringraziare tutte.
Grazie per esserci state. Per avermi detto i vostri pareri. Per
aver seguito, preferito, ricordato questa storia. Le recensioni, tutte
quante
mi hanno emozionata, mi hanno fatta sorridere mi hanno resa fiera di
questa
storia.
Non ci saranno Extra o OS varie, la storia è finita qui, in
questo modo. Scriverla, qualche volta, ha fatto male anche a me.
Se volete continuare a leggere qualcosa di mio, ho iniziato
una nuova storia, molto diversa da questa, la trovate qui:
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1832310&i=1
A
Lu, Gra, Ami e Giu.
Grazie
di cuore, senza di voi non ce l’avrei mai fatta.
Un
bacione.
Roby
|
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