Love save the pain

di RobiSmolderhalder
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** A family situation ***
Capitolo 3: *** When something is burn ***
Capitolo 4: *** Lonely day ***
Capitolo 5: *** George ***
Capitolo 6: *** The truth ***
Capitolo 7: *** You take my breath away ***
Capitolo 8: *** Pain is so close to pleasure. ***
Capitolo 9: *** Nothing else matters. ***
Capitolo 10: *** What I Want ***
Capitolo 11: *** The way You touch, I loser control and shiver deep inside. ***
Capitolo 12: *** With Your Eyes ***
Capitolo 13: *** The order of memories ***
Capitolo 14: *** She's Like Heroin ***
Capitolo 15: *** When The Silence Worth a Thousand Words ***
Capitolo 16: *** The Quiet Before The Storm ***
Capitolo 17: *** I Miss Those Eyes, Wich We Have Seen In The Universe. ***
Capitolo 18: *** All Broken. ***
Capitolo 19: *** The Last Resort. ***
Capitolo 20: *** All And Nothing. ***
Capitolo 21: *** In Spite Of Everything. ***
Capitolo 22: *** The Bitter Revelation. ***
Capitolo 23: *** The Happiness Before Death. ***
Capitolo 24: *** Start Again. ***
Capitolo 25: *** It's My Life. ***
Capitolo 26: *** ∞ // Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Love save the pain.

 

 

                                                                                             Prologo.

 

Se ne stava lì, sulla riva delle spiaggia di fronte casa sua.
Guardava il mare, l’orizzonte. Aspettando qualcuno o qualcosa.
Ogni giorno, dopo pranzo, compiva la solita routine.
Appoggiava un telo da mare, nella riva ad un dito dal mare, accendeva due sigarette, una la fumava, l’altra la lasciava fumare da sola appoggiata in bilico nel suo pacchetto.
Ascoltava Queen e Scorpions in quel frangente.
Canticchiava sempre le solite rime, ma ogni giorno la canzone era diversa.
Passava da who wants to live forever? A rock you an hurricane.
Ed I suoi occhi color del cioccolato diventavano lucidi fin quando le lacrime esplodevano, per poi finire lungo le sue guance.
Aveva ventidue anni, viveva ancora con la sua adorata mamma, di suo padre non si sapeva niente. Lei non ne parlava spesso.
A scuola era sempre stata una ragazza tranquilla, gli scolari erano sempre contenti di far parte della classifica delle loro amicizie. Era una ragazza solare, estroversa, piena di idee e sempre sorridente. Ma quando capitava che arrivava l’uno Aprile, il giorno più brutto di tutta la sua vita, il suo umore si trasformava terribilmente. Ogni anno l’uno Aprile andava sempre nella spiaggetta, ma invece di accendere solo le due sigarette buttava anche trentuno rose bianche. Nessuno sapeva il perché, nessuno sapeva il motivo. Il dolore era un frangente sempre presente nella sua vita. Aveva perso una persona importante, questo si sapeva. Quello che non si sapeva era chi.
Sua madre non sapeva delle sue escursioni giornaliere, o forse lo sapeva, ma non era pronta a subire lo stesso dolore che la figlia provava giornalmente.
Isabella da pochi giorni aveva trovato un lavoro. Era la segretaria di un avvocato. Era un brav’uomo, lei si trovava bene. La madre dopo tanti anni di sacrifici per dar da mangiare a sua figlia pulendo le scale dei condomini, aveva trovato lavoro in un salone di bellezza e finalmente avevano trovato un po’ di luce dopo anni di povertà.
Reenè era un’ottima madre per Bella. Erano come se fossero amiche, il loro legame era indissolubile, si amavano in maniera indescrivibile. Erano un piccola famiglia, ma a loro importava di essere felici nonostante tutto.

 

**

Edward, uno dei ventottenni più ricchi di Los Angeles.
Da ragazzino intimidiva ragazze e ragazzi della scuola. Ma lui era solare, simpatico. Era bello da far paura, lui lo sapeva, ma non aveva mai approfittato di questo. Era ricco sì, ma umile dentro.
Si era appena laureato e presto avrebbe iniziato a lavorare con il padre, era eccitato all’idea di entrare nel mondo del lavoro, era felice di lavorare con il padre.
Non viaggiava mai con l’aereo. Forse odiava quel mezzo o aveva semplicemente paura. Forse odiava le nuvole. Forse odiava il cielo. Perché benché lui lo guardasse spesso, i suoi occhi rivolti al cielo diventavano delle gemme verdi infuocate di rabbia.
Aveva un fratello e una sorella. I suoi genitori sono sempre stati amorevoli.
Aveva una famiglia perfetta. Era buono e gentile. Andava d’accordo con tutti. Ma il suo cuore era ferito, per quel che si sa non era stato ferito da qualche ragazza. Era stato fidanzato, ma i caratteri differenti non avevano portato a lungo le sue relazioni.
Quando una nuvola di dolore si invadeva nel suo corpo, nella sua anima lui cercava sempre di riprendersi. Ma il dolore è come l’amore, una volta che ti entra dentro è difficile farlo uscire.
Non aveva mai capito quali dei due fosse più forte. Non voleva pensarci al momento. La sua mente era occupata dalle sue ambizioni.

 

 

Premetto che non sto abbandonando l’altra mia storia (Per chi la segue) Robsten. Chi non la conosce se la vuole leggere è questa : http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=957738&i=1
Ma questo prologo è pronto da giorni e oggi ho deciso di pubblicarlo.

Il prologo è in terza persona, ma dal primo capitolo sarà con dei rispettivi Pov.Spero di avervi incuriosito
Fatemi sapere, il vostro parere è molto importante per me. Un bacio a mia cugina Giulia, lei si che è speciale, sono fortunata ad averla.
Alla prossima Roby.

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Capitolo 2
*** A family situation ***


Love save the pain

 

 

 A family situation

 

 

Bella’s Pov.

20 marzo 2008 Los Angeles.

Cazzo. E’ tardissimo. Sono le otto del mattino e mi sono appena svegliata. Alle otto e mezza spaccate dovrei essere dal mio capo.
Faccio velocemente la doccia, ma non mi soffermo come tutte le mattine a pensare sotto la doccia, oggi non ho tempo di fare niente.
Mi metto di fronte al mio armadio pensando a quello che potrei mettermi.
Non sono una bella ragazza.
Non sono alla moda, né mi importa esserlo.
I miei vestiti sono semplici ma mi piacciono. E le mie tute sono davvero comode. Peccato che per lavorare mi hanno dato un tailleur blu scuro con una camicetta bianca. I capelli devono essere sempre ordinati e raccolti in uno chignon. Mi è sempre piaciuto tenere i miei capelli sciolti, che col vento accarezzano la mia faccia, che nascondono anche il mio viso.
Sono estroversa come ragazza, ma le mie pene e i miei dolori non sono leggibili se non dal mio viso, nemmeno dai miei occhi è mai trasparito niente. Ma le mie espressioni sono sempre quelle che mi tradiscono.
Prendo un jeans blu scuro e una canotta bianca. Appunto i miei capelli come meglio riesco. Non  riesco a capire perché quell’avvocato così dolce ma molto rigoroso riguardo al suo lavoro, non vuole che indossi direttamente il tailleur e lo devo indossare nel mio camerino all’interno del suo studio.
Avevo chiesto a mia madre se magari lei potesse sapere il motivo e mi ha risposto: Amore, magari è necessario prova a chiederglielo.
Ma in una settimana di lavoro non gli avevo chiesto niente. Oggi inizio la mia seconda settimana, oggi è un giorno importante per l’avvocato, suo figlio da oggi comincerà a lavorare con lui.
Questa sono io Isabella Swan,  preferisco Bella. Sono una ragazza normale con un lavoro normale. Mi piace parlare con le persone che conosco ma non rivelo mai tutto. Odio le persone che provano pena per gli altri, e di conseguenza non racconto mai delle cose brutte che mi capitano per evitare che la gente abbia pena di me e quindi arrivare al punto di odiarle. Mia madre Reenè è una donna speciale, premurosa è tutto l’amore che il suo animo produce lo dona a tutti. Non porta rancore ed è troppo buona.
E’ la mia vita. Mia madre è tutto quello che ho. Mia madre è tutto ciò di cui io ho sempre avuto bisogno fino ad oggi.
Angela, la mia migliore amica dai tempi dell’asilo, adesso si trova a New York frequenta l’università di Harvard, quando riesce a venire dai suoi, passa sempre a trovarmi, ogni giorno ci sentiamo e oggi doveva uscire con un ragazzo del campus, stasera mi chiamerà per farmi sapere. Mi manca, lei colorava le mie giornate. Lei è l’unica persona dopo mia madre che sa tutto di me. Mi conosce meglio di chiunque altro e soprattutto mi capisce meglio di chiunque altro. Appena finirà gli studi tornerà qui e io conto i giorni, segno perfino le crocette nel calendario.
Do un’occhiata all’orologio e cazzo è tardissimo. Scendo le scale di fretta sperando di non inciampare.
“Buongiorno Mamma” do un bacio nella guancia a mia mamma che è intenta a leggere un libro di make up alternativo.
“Ehi tesoro. C’è la torta al cioccolato”.
“Mh no è tardissimo c’è il caffè?” annuisce e mi passa una fumante tazza di caffè. Lo ingoio velocemente anche se scotta, è tardissimo. Bell’inizio della seconda settimana di lavoro.
Prendo il mio pacchetto di sigarette, l’accendino e il mio cellulare.
“Ciao mamma” urlo più per la fretta che per altro. Lei ricambia il saluto ed esco. Fortunatamente non ho bisogno di prendere mezzi pubblici tanto è vicino. Accendo la mia sigaretta, non guardando la spiaggia di fronte casa nostra, a quel punto me ne infischierei del ritardo e passerei tutta la mattinata seduta a riva.
Mia madre finalmente dopo anni di lavori alla giornata, come colf, badante, baby sitter oppure lavare le scale dei grandi palazzi, dove guadagnava una miseria. Qualche anno fa’ finalmente ha trovato lavoro come visagista in un salone di bellezza, fa anche la parrucchiera e i massaggi se è il caso. La pagano davvero bene, finalmente non abbiamo più quella preoccupazione di contare i soldi giornalmente e farci il conto se bastavano fini ad arrivare a fine mese.
Arrivo nel grande grattacielo familiare già da una settimana, entro pensando al giorno in cui mi ha assunta.

La tranquillità che trasmettono le onde del mare nel silenzio più assoluto viene interrotta dal trillo del mio cellulare.
“Pronto?”
“Isabella Swan?”
“Si?”
“Ecco sono l’avvocato Cullen, mi è arrivato il suo curriculum ieri mattina. Vorrei fissare un appuntamento quando lei è disponibile”
“Oh si certamente, io sono libera tutti i giorni”
“Tra mezz’ora?”
“Tra mezz’ora è perfetto”.

Quando attaccò il telefono io ero straordinariamente euforica. Non ci speravo nemmeno che mi chiamasse. Quel pomeriggio mi aveva comunicato che avrei lavorato per lui e suo figlio. Avrei dovuto rispondere al telefono, fissare gli appuntamenti e dividere le carte. Ero diplomata in ingegneria, ma mi andava abbastanza bene. Ero felice, e la paga per come mi aveva detto era abbastanza generosa.
Mi cambio velocemente, e fortunatamente non sono in ritardo. Prendo posto nella mia scrivania e accendo il computer, lo studio è vuoto. La mia scrivania è dentro lo studio. E’ strano molte volte le segretarie stavano fuori dallo studio. Ma non  importa, l’importante è che io faccia bene il mio lavoro.
“Buongiorno Bella” mi saluta Carlisle. Quando mi ha assunta mi ha detto: Dimmi sempre se c’è qualcosa che ti mette a disagio. Io ho cominciato col dirgli di chiamarmi Bella.
“Buon giorno avvocato” mi sorride e prende posto anche lui.
“Appuntamenti per oggi?”
“Solo uno. Gli altri li ho cancellati sabato, sotto sua richiesta, per l’arrivo di suo figlio in ufficio”. Annuisce e prende il suo Blackberry. Ed ecco che inizia la mia giornata lavorativa. Adesso sicuramente passerà circa due ore al cellulare.
Un’ora dopo. Attacco il telefono segnando l’ultimo appuntamento libero che c’era per domani. Appunto tutto sul pc e lo stampo. Una volta stampato il foglio lo ripongo nella cartella della scrivania dell’avvocato Cullen.
Sistemo velocemente la scrivania, solitamente lo faccio a fine giornata lavorativa.
La porta si apre e spunta Carlisle, con un ragazzo che oh.
Non trasmette certo pensieri puri. Ha i capelli scompigliati, color rame biondiccio, il suo corpo è muscoloso, ma non come quello dei westler o dei palestrati. Avrà si e no venticinque anni. E’ bellissimo. Indossa uno spezzato blu scuro, una camicia azzurrina e la cravatta nera che scompare dentro la giacca abbottonata. I suoi occhi sono verdi. Il verde solitamente è un colore acceso, pieno di vita, ma no. Il suo colore è più un ceruleo spento che un verde gemma scintillante. Il suo sguardo intimidisce, ma la sua espressione è tranquilla, forse non si rende conto dell’effetto che il suo sguardo ha sulla gente. Non provo pena per quegli occhi spenti, ma un senso di tristezza familiare, come se il suo sguardo fosse il mio. Come se dentro quel dolore ci fossi io, come una sensazione familiare come se io conoscessi cosa influenza quel colore così spento dei suoi occhi.
“Buongiorno, io sono Isabella” dico al figlio di Carlisle che mi guarda, forse pensando a quello che ho pensato io di lui fino ad un minuto fa.
“Ciao, Io sono Edward”. La sua mano raggiunge la mia e la mia spina dorsale diventa molle, le mie gambe hanno un impercettibile tremore, e le mie guance si surriscaldano automaticamente.
Strano.
Non mi era mai successa una cosa del genere, con il mio carattere è sempre stato difficile. Forse per quel senso di tristezza familiare.
“Bene. Edward quella è la tua scrivania” gli comunica Carlisle indicandogli la scrivania accanto alla sua, al lato della mia. Io prendo il mio posto e inizio a segnare dei giorni dove ci saranno delle cause.
“Isabella-”
“Bella. Preferisce Bella” interviene Carlisle. Edward sorride mostrando una schiera perfetta di denti bianchi e dritti. Mi incanto un attimo a guardarlo, ma poi la mia mente decide che il momento di essere ridicola è finito.
“Bella. Potresti copiare questi bigliettini da visita e stamparli” mi porge il suo biglietto da visita e lo guardo.
“Si certo. Quante copie?” chiedo iniziando ad aprire il programma sul computer.
“Ne fai cinquanta per adesso, poi se ne avrò bisogno te lo dirò” annuisco e inizio a copiare il biglietto da visita.

Edaward  Anthony Cullen.

Avvocato penitenziario.

Contatti: 213 8239581.

Orari: Lunedì, Mercoledì e venerdì dalle 09:00 am alle 01:00 pm.

Martedì, giovedì e sabato dalle 03:00 pm alle 07:00 pm.

Street Farrok Bulsara 12/a. LA.

Lavorerò sempre con lui. Ecco perché Carlisle mi aveva avvertita che avrei dovuto lavorare anche al pomeriggio. Lui è in studio tutte le mattine, mentre il figlio a salti farà mattino e pomeriggio.
Un  sorriso mi nasce sulle labbra, e resto per minuti interi a chiedermi il motivo.
Verso le undici del mattino, Carlisle mi dice che se voglio prendermi una pausa devo approfittarne. Così decido prima di andare in bagno.
Prendo il mio caffè e mi dirigo sulla terrazza per fumare. Sono tre ore che non fumo, questo lavoro fa’ anche bene alla mia salute. Quando esco nella terrazza noto che c’è Edward che mi da le spalle, la testa all’indietro come se stesse guardando il cielo. Decido di non pensarci e accendo la mia sigaretta.
“Fumi?” alzo la testa, che poco prima era rivolta al pavimento. Annuisco e sorrido.
“Anch’io fumo. Ho iniziato tanti anni fa” ammette.
“Anch’io, avevo solamente tredici anni” mi fissa come se avessi detto una cosa molto interessante.
“So che è maleducazione, ma sono davvero troppo curioso. Quanti anni hai?” mi chiede.
“Ah no, tranquillo. Non sono una tipa che si offende perché le chiedono l’età. Ne ho ventidue. Tu?” mi sorride. Teneramente, come se davvero gli interessa sapere qualcosa di me. Tante persone nel momento in cui le conosci, ti chiedono, l’età, i gusti sul gelato, sulla musica, sui film, su tutto. Ma lo fanno per fare conversazione e poi dimenticare tutto nell’esatto momento in cui glielo dici, perché lo fanno senza interesse. Ma lui no, ha quell’espressione che urla ‘ davvero m’importa di te ’ o forse sto solo fantasticando inutilmente.
“Io ventotto” risponde. Finiamo la nostra sigaretta e torniamo nello studio.
La mattinata passa tranquilla, ma la mia salute mentale ha davvero bisogno di riposo, avrò risposto a circa duecento telefonate.
E’ mezzogiorno, scendo e mi dirigo al take- away qui vicino.
Ogni mattina Carlisle mi da un foglio dove c’è scritto quello che prenderà per pranzo, oggi ovviamente ha ordinato per due.
Due bistecche al sangue con contorno di patate al forno. Da bere una bottiglia di acqua naturale e una frizzante. Io pranzerò a casa. Sicuramente con la torta che mia mamma mi ha fatto per colazione. Non sono né magra né grassa, ma mangio poco perché sono fatta così. Mia madre quante volte si è disperata per cercare di farmi mangiare almeno un piatto di pasta una volta a settimana, ma niente. A parte il fatto che io odio la pasta. Solitamente a colazione mangio qualche biscotto con il caffè, oppure qualche fetta di torta che prepara mia madre. A pranzo un toast, un frutto o un frullato. A cena mi preparo una tazza di latte con i cereali al cioccolato. Questo non è un modo di alimentarsi nel modo giusto, ma semplicemente lo faccio. L’importante poi è stare bene di salute. La mia salute è apposto.
“Ecco qui” porgo a Edward il suo piatto, lui mi guarda e mi sorride. Oh ma oggi è tutto un sorriso o è sempre così. Mi farà morire questo ragazzo bellissimo quanto impossibile per la sottoscritta.
“Grazie Bella”. Gli sorrido di rimando e faccio lo stesso con Carlisle.
Mi dirigo nel camerino e mi cambio. Saluto entrambi e mi dirigo a casa mia.

**

Here i am, will you send me an angel. Here i am, in the land of the morning start” canticchio un brano degli Scorpions con il vento che fa volare i miei capelli e con la tranquillità dello scroscio delle onde che arrivano a riva e si dissolvono nel mare immenso.

Il mare.
Amavo il mare da bambina, e anche se è difficile ammetterlo lo amo anche adesso.

Anni fa’ credevo che il mare fosse la causa del mio dolore.
In parte è così, ma non è tutta colpa del mare. Dicono che il mare è bello, ed è così. Ma dicono anche che è traditore. E con me lo ha fatto, mi ha tradita.
Ha portato con sé il mio passato, la mia infanzia, gran parte della mia vita.
Ma il destino aveva deciso così. Poteva essere un treno, poteva essere un aereo, poteva essere una malattia. Invece è stato il mare.
Sono i casi della vita, dopo anni di odio verso il mare, ho capito che se anche io provassi rancore verso di lui non avrei concluso niente. Se odiavo il mare non potevo più guardarlo, ammirarlo e approfittare della tranquillità che emana.
Più lo guardo però, più mi aspetto di vedere qualcosa spuntare dall’orizzonte. Ma sono anni ormai che ci spero e non è mai successo niente. Ogni giorno vengo qui. Concentro il mio dolore, piango, mi dispero, spero, prego. Sarò masochista ma lo faccio, perché è l’unica cosa che mi fa pensare che lui è esistito davvero, e che non è frutto dei miei sogni, che non è soltanto un ricordo sbiadito col tempo.
 Guardo il mare.
Come quando una persona a cui tieni è morta, quando sei scoraggiata, triste o anche felice vai al cimitero e ci vai a parlare. Io non ho nessuna tomba su cui sfogarmi, ho solo il mare dove posso essere certa che lui possa sentirmi, che possa sapere che io lo penso ogni giorno. Che la mia vita è in bianco e nero, opaca, senza sfumature. Che l’unico modo per sopravvivere è sapere di riuscire a comunicare con lui, anche se è doloroso è necessario.
Le lacrime scendono copiose sul mio viso e piango, singhiozzo. Perché qui è deserto da quel giorno. Perché qui non c’è mia madre e non devo trattenermi, perché qui posso essere me stessa e sfogarmi per cercare di far uscire anche una minima parte del mio dolore.
“Loney wolfe torna da me” ripeto questa frase come ogni giorno e solo quando le lacrime mi sfiniscono all’inverosimile mi accascio su me stessa e mi distendo guardando il cielo.

 

Edward’s Pov.

“Oh Edward, come stai?” Sto parlando al telefono con mia sorella da circa mezz’ora ed è un quarto d’ora che mi chiede come sto.
“Alice per la centesima volta sto bene. Tu piuttosto come va al campus?”
“Mh abbastanza bene sai-” Ed eccola che inizia a parlare, adesso chi la ferma più? Sorrido e mi butto sul divano. Alice. Una forza della natura in tutti i sensi possibili. Ha ventitré anni. Non so cosa avrei fatto senza di lei negli ultimi anni. Adesso sta frequentando il penultimo anno di Università a Seattle. La sua mancanza si sente giornalmente in famiglia. E’ estroversa, solare, completamente fissata con la moda. Quando eravamo piccoli, litigavamo sempre, come tutti i fratelli del mondo d’altronde. Abbiamo un legame strabiliante. Forse è stato il dolore a farci unire in maniera così forte, forse è stato lo stesso senso di perdita che ci ha fatto unire soffrendo. O semplicemente è stato il nostro volerci bene che ci ha fatto capire quanto siamo importanti l’una per l’altro. Mio fratello Emmet, alto un metro e novanta per novantaquattro Kg, fa’ paura a chiunque non lo conosca, ma è un tenerone, lui ha trent’anni, il prossimo mese di sposa con la sua fidanzata Rosalie. Infatti mia madre – Esme- è molto indaffarata con l’organizzazione del matrimonio.
La mia è una famiglia molto unita, semplice e complessa allo stesso tempo.
E’ come la famiglia delle pubblicità. La colazione tutti quanti assieme, almeno quando abitavamo tutti a villa Cullen. Adesso ogni domenica è sacra per riunire la famiglia. E sono contento di questo, ma è anche bello vivere da solo. Se ho fame mangio, se ho sonno dormo. Se voglio suonare la mia chitarra posso farlo quando voglio. Se voglio deprimermi posso farlo senza avere il timore di trasmettere il mio dolore alla mia famiglia.
Quando ho finito di parlare con Alice sono le otto di sera. Preparo un toast, mi siedo sul divano e accendo la tv. Faccio un po’ di zapping fin quando non trovo il live del concerto a Budapest dei Queen. Lo guardo. Piango pensando quanto queste canzoni, mi facciano pensare a lui. Quante cose condividevamo, come l’amore per i Queen. Come prenderci in giro quando le ragazze ci mandavano a quel paese. Le persone più buone sono quelle che vivono meno. Tante volte mi sono chiesto cosa ho fatto di male nella mia vita per subire un dolore come questo. Non so dove ho sbagliato, o in cosa. Riesco a sapere solamente che il destino ha voluto portarmi via gran parte della mia felicità. Tante volte ho tentato il suicidio, ma tentativo vano, non ho il coraggio per farlo. Sperare che qualcuno mi ammazzi è sbagliato ed egoistico. Perché dopo aver ragionato un po’ di più sulla mia situazione ho capito che, la mia famiglia ne morirebbe se io non ci fossi più, perché far provare agli altri già il dolore che provo io? Un membro della famiglia già basta e avanza.
Mi sono laureato in giurisprudenza con la specializzazione in giustizia penale.
Ho iniziato a lavorare oggi con mio padre.
Quando ero ancora un’adolescente volevo diventare un medico, volevo salvare le vite delle persone. Ma dopo quell0 che mi è successo, ho cambiato totalmente idea. Perché se sei un medico, puoi salvare innumerevoli vite, ma ci sono anche quei casi in cui potresti fallire, il senso di colpa ti mangerà l’anima e dopo la prima esperienza, non riuscirai mai a lavorare come prima, ogni persona in fin di vita, ti farà pensare a quella che non hai potuto salvare.
Ho deciso di specializzarmi in diritto penale per dare un senso alla giustizia.
Tutti i giorni, nel mondo muoiono parecchie persone, che sia una malattia o la vecchiaia, ma se invece fosse per i pirati della strada? Se fosse perché un folle ti incontra per strada e ti spara semplicemente perché aveva voglia di farlo?. Purtroppo ogni giorno ci sono molte persone che muoiono a causa di un’ingiustizia. Ed io ho voluto prendere questa strada per farla pagare a tutti quelli che fanno del male a delle persone innocenti. Che siano buone o cattive non importa sono sempre persone che sono state create per vivere. Ci sono casi irrisolti da tantissimi anni, buttati nel dimenticatoio, e questa è un’ingiustizia.
Arrestare degli assassini non riporta di certo in vita la persona che è morta, ma il prossimo che pensa di fare una cosa del genere, se la giustizia interviene giustamente senza tralasciare nulla, ci ripensa miliardi di volte prima di agire.

**

Raccolgo le carte da portare in ufficio e le impilo per bene prima di infilarle nella mia valigetta. Oggi lavoro di pomeriggio.
Arrivo nel corridoio dell’ufficio e l’odore inconfondibile di fragola e frutti di bosco penetra il mio naso. Bella è già in ufficio.
Bella. Mi ha dato molto da pensare questa mattina.
E’ una ragazza molto simpatica, ed è davvero bella. I suoi capelli sono castani, la lunghezza non è visibile perché c’è li ha sempre raccolti in uno chignon. La gonna e la giacca – che le fanno da seconda pelle- fasciano il suo corpo snello, ma non troppo minuto. I suoi occhi, dove mi immergerei per giornate intere, tanta è la profondità, la sincerità e purtroppo il dolore. Ho notato che molte volte si ferma a pensare e i suoi occhi color cioccolato si imporporano di uno strato lucido, che però riesce a trattenere. Forse il suo cuore è stato spezzato, forse anche lei ha perso una persona fondamentale nella sua vita.
“Ciao Bella” sussurro entrando nello studio, lei intanto mastica la penna con i denti e fissa dei foglio di fronte a sé.
“Ciao Edward” mormora sorridendomi. Il suo sorriso è così dolce che rimarrei ore ed ore a guardarlo.
Mi accomodo nella mia scrivania, ed entusiasta guardo i fogli sistemati per bene, con tutti gli orari, gli appuntamenti e tutto quello che mi occorre per lavorare. Oggi devo vedere solamente due persone.
Dopo due ore. Sono spaparanzato nella sedia-poltrona che leggo attentamente degli appunti presi per la prossima causa. Bella è stata in silenzio tutto il tempo, non mi ha mai interrotto mentre parlavo con i miei clienti anzi è come se volesse essere invisibile per lasciarmi la privacy con i clienti. Mio padre è stato davvero fenomenale ad assumerla.
Il pomeriggio passa tra un appunto e un altro. Quando ad un tratto il suo cellulare squilla.
Here we are, born to be kings we’re the princes of the universe”  e i miei pensieri si fanno ancora una volta vividi nella mia mente. Una nuvola di dolore si espande nella mia mente. Tante lacrime vorrebbero uscire dai miei occhi, ma mi trattengo anche se difficilmente.
Lei torna in studio imbarazzata e si scusa.
“No tranquilla, anzi ottimi gusti musicali” ammetto. Lei annuisce.
“Ascolti i Queen?” mi chiede.
“Si. Gli dei della musica come potrei non ascoltarli?”
E da lì parte una conversazione su tutta la discografia dei Queen. Dai live più belli, alle esibizioni più stravaganti e affascinanti del grande Freddie Mercury.
E rimango interdetto di una cosa. Tutti i giorni io ascolto i Queen, in quasi tutta la settimana, guardo i live e dentro di me quell’aria malinconica quanto familiare si prende la mia mente, ma adesso parlandone con Bella. Mi sento spensierato, come se mi fossi tolto un peso dallo stomaco. Forse perché la sua naturalezza, il suo modo affascinante di esprimersi mi emana tranquillità.
O forse perché sono alquanto consapevole che lei ha provato e sta provando lo stesso dolore che provo io.

 

 

_______

Salve! Primo capitolo ufficiale della storia.
Allora come vi è sembrato l’incontro tra Edward e Bella?.
Avete almeno un pochino capito chi hanno perso di così importante nella loro vita?
Spero che vi sia piaciuto, e spero ardentemente ricevere un parere su questo capitolo.
Ps: non sapendo cosa scrivere ho inventato l’indirizzo dello studio, mettendo il vero nome di Freddie Mercury
.

Buonanotte.
Alla prossima. Rò

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Capitolo 3
*** When something is burn ***


Love save the pain.

 

 

                                                                                                         When something is born

 

 

 

 

 

Bella’s Pov.

“Ciao Bella. Noi ci vediamo domani” mi saluta Carlisle.
“Arrivederci signor Cullen”
“Senti Bella. Mia moglie domani organizzerà una cena, torna mia figlia da Seattle,  mi farebbe molto piacere se venissi”.
Ma? Io non conosco nessuno. Come faccio? Mi sentirei profondamente a disagio. Poi guardo Carlisle, noto la speranza nei suoi occhi e sento che potrei deluderlo se risponderei negativamente.
“D’accordo” rispondo.
“Allora domani alle Otto, l’indirizzo lo sai” ovvio abita al piano di sopra. Edward invece abita in un altro grattacielo altrettanto bello. Mi ha raccontato, un po’ dei suoi studi, dei suoi film preferiti, cibo, libri. Siamo molto in sintonia, forse perché noto ancora quella tristezza così familiare.
Sono sempre stata una ragazza non molto invadente, semplicemente non mi interessava di sapere la vita degli altri, che come sempre si rivelava noiosa e dolorosa come la mia. Quella di Edward, sarà certamente anch’essa noiosa e dolorosa, ma al contrario delle altre mi interessa. E poi oh, è così bello e intelligente che passerei ore ad ascoltarlo, ed a guardarlo mentre parla e gesticola. La sua voce è dolce e calda, ogni volta che sento la sua voce mi tranquillizzo. Non mi capitava da quando ero piccola. Troppo piccola per capire.
Mi cambio ed esco avviandomi verso casa, prima che dei pensieri, non proprio felici si catapultino sulla mia mente.
“Ciao mamma. Come mai a casa?” chiedo a mia madre una volta entrata in casa.
“Ciao Bella, c’erano poche prenotazioni e quindi mi hanno detto che potevo riposarmi per oggi” annuisco e mi dirigo in cucina. Fame.
“Ci sono delle lasagne in forno” mi informa mia mamma. La guardo alzando un sopracciglio e scoppia a ridere “ come non detto”. Sorrido e prendo una mela dal frigo. Quando finisco mi dirigo nella porta.
“Dove vai? Non è troppo presto per il lavoro?” mia mamma non sa che ogni giorno dopo pranzo mi dirigo nella spiaggetta qui d’avanti. O forse lo sa, ma non vuole capire il perché, per lei, così fragile sarebbe altro dolore da accumunare all’altro.
“Ehm, esco un po’ ” annuisce e la sua espressione si intristisce un attimo, per poi diventare uguale a quella di prima. Ha sofferto troppo nella sua vita, non voglio che lo faccia ancora.
Prendo l’I-pod dalla tasca dei miei jeans e faccio partire la riproduzione casuale e indosso le cuffie alle orecchie.
Nothing else matters dei metallica parte a tutto volume. Dalle orecchie passa, alla gola e poi dritta nel cuore.
 La musica.
 L’unica cosa che mi fa stare bene, che mi fa sorridere. L’unica cosa che mi ricorda che nonostante tutto la vita va vissuta, che non bisogna mai guardarsi indietro.
Guardo il mare. Oggi c’è vento, le onde formano del cavalloni pazzi a causa del vento. Sembra che ogni onda voglia litigare con l’altra. Il mare sembra infuriato, eco del mio stato d’animo in questo preciso istante.
“Sto bene sai?” sorrido “ Ho conosciuto Edward, sai non te l’ho detto subito perché non pensavo che te ne avrei parlato mai. E’ dolce, intelligente, interessante e sai ascolta i Queen. Forse ti starebbe simpatico solo per quello”.
La musica è la sua risposta. Da sempre è stato così. Dicono che per non soffrire dobbiamo allontanarci dal dolore.  Venire qui tutti i giorni per me è troppo doloroso, forse, ma è come togliere un peso dal mio stomaco. E’ il rimedio al mio male, perché quando vengo qui mi sento uno spirito libero, posso sfogarmi, posso lasciare libero il mio dolore che per anni ho rinchiuso dentro il mio cuore.
Mi distendo sul telo e osservo il cielo. Forse dopo tutto, non sei nemmeno in fondo al mare, forse dopo tutti questi anni sei felice. Forse mi pensi, forse mi hai dimenticata.
Guardo l’orario e mi accorgo che se non mi muovo sono in ritardo.
“Ciao. Ti voglio bene” bacio la mia mano e poi delicatamente l’appoggio sul mare. Prendo il telo e lo rimetto nella cantina, che c’è di fianco la porta dell’ingresso di casa mia.
Prendo la mia borsa – appesa sulla maniglia della cantina- e mi dirigo a lavoro.

**

“Ehi ciao” alzo al testa al suono melodioso che produce quella voce e sorrido.
“Ciao Edward. Senti volevo chiamarti, ma mi sono accorta che non ho il tuo numero”. Mi guarda aspettando che continui “ Per oggi non hai nessun appuntamento”.
Annuisce fra se e poi si avvicina dandomi un bacio sulla guancia. Oddio. Una forte fitta arriva sulla mia schiena facendola vibrare, le mie guance si colorano immediatamente di rosa, che subito dopo si scurisce diventando rossa e le mie orecchie sono bollenti.
“Ciao” mormora dolcemente.
“Allora? Possiamo andarcene a casa no?” io lo fisso incredula, non lo avevo mai visto così leggero. Certo ci conosciamo solo da nove giorni, ma in questi giorni non lo avevo mai visto così. Sorrido a lui, al suo entusiasmo.
“Anzi no. Vieni andiamo a prendere un caffè” mi prende per mano e fa’ per farmi uscire dallo studio.
“Ehi aspetta, devo cambiarmi” annuisce e mima ‘scusa’ con le labbra. Sorrido ed entro nel camerino. Quella labbra, così soffici che mi aveva dato l’impressione di una nuvola che mi stava accarezzando.
Esco dal camerino e ci dirigiamo al bar.
Prendiamo posto e ordiniamo due caffè.
“Allora come va?” mi chiede mentre inizia a girare il cucchiaino sulla tazzina.
“Mh, va”Rispondo, lui  sorride e mi contagia. “ A te come va?” Gli chiedo.
“Va” sorride e inizia a soffiare nel caffè. Io faccio lo stesso.
“Ah, dimenticavo. Tuo padre oggi mi ha invitata a cena per domani”
“Ah, verrai?” Mi chiede dolcemente.
“Si. Non mi sembrava giusto rifiutare. Tu ci sarai?” annuisce e mi sorride.
Non avevo mai preso un caffè così volutamente con qualcuno. I miei compagni e le mie amiche mi chiedevano sempre di andare a prendere qualcosa al bar, ci andavo ma svogliatamente. Si parlava sempre di cose noiose in quei casi. Ma adesso sto bene, anche se non diciamo niente e ci fissiamo, non è per niente noioso. Ogni suo movimento mi attrae. Quando ha troppi appuntamenti si passa una mano tra capelli, scompigliandoli di più. Quando è concentrato sul suo lavoro, ogni tanto fa schioccare la sua lingua nel palato, e la cosa è tremendamente eccitante, che mi chiedo come abbia fatto a restare così lucida per così tanto tempo. E adesso, qui, lontani dal lavoro, siamo noi due, che ci guardiamo negli occhi, abbiamo voglia di conoscerci, ridere e scherzare insieme. Perché qualsiasi cosa io faccia con lui, anche la più futile mi fa stare così bene, che per un attimo dimentico tutto il dolore che il mio corpo ha dentro sé.
“Bella” una voce familiare, interrompe la nostra piccola e silenziosa bolla privata. Mi giro e non riesco a credere ai miei occhi.
“Jakee” mi alzo e corro verso di lui. Ci scambiamo un lieve bacio a fior di labbra e ci guardiamo negli occhi. L’unica persona dopo Angela che sa di me, della mia vita, delle mie gioie e dei miei dolori.
“Tesoro!” esclama entusiasta “ come stai?”.
“Sempre uguale. Tu? Ti trovo bene” annuisce e guarda Edward seduto nel tavolo dov’ero prima io. Poi mi fa l’occhiolino.
Prendo la mano di Jacob e lo porto nel nostro tavolino.
“Edward, lui è Jacob” Jacob avvicina la mano ad Edward, e lui con molta educazione prende la mano di Jake. La sua mascella è tesa, i suoi occhi sono diventati scuri. La sua espressione è dura.
“Piacere”. Sussurra Jake tranquillo.
“Mio”. Risponde Edward, adesso anche lui tranquillo.
Si guardano e poi Jake mi guarda con un espressione di scuse.
“Bells, devo andare. Passa stasera se ti va mh?” annuisco e ci salutiamo.
“ Ehi Bella, ho dimenticato le sigarette potresti darmene una?” mi chiede tranquillo Edward, dopo che jake è andato via. Chissà cosa gli era preso, forse qualche telefonata. Ma adesso è tranquillo. Non so.
“Certo” afferro il mio pacchetto e glielo porgo. Nel modo di afferrarlo la sua manica della giacca si alza, e si intravede un nome tatuato sul polso.
“Hai un tatuaggio?” annuisce e me lo mostra.

 
C’è scritto George tra il palmo e il polso. Non gli chiedo niente, non vorrei essere invadente. Poi lo ricopre mettendo apposto la giacca. Io continuo a fissarla, come se avessi i raggi x negli occhi e potessi guardare ancora quel marchio che ha sulla pelle. Decido di fare un passo verso di lui, in fondo se voglio sapere qualcosa di lui è giusto aprirmi anch’io.
Alzo la mia manica, corta e gli mostro la mia spalla sinistra.
Lui sgrana gli occhi vedendo quel mio tatuaggio da maschiaccio.
Una corona con la scritta Queen sotto fa’ bella mostra di sé. Sono fiera del mio tatuaggio, soprattutto per il significato che ha. Sopra la corona ho fatto incidere due iniziali C. S.
“E’-è”
“Bellissimo, ah si lo so” a questa mia affermazione scoppia a ridere.
“Non ti facevo un tipo da tatuaggi del genere”. Mi confessa.
“Nah. Odio le farfalline che si fanno le ragazze nel ventre. I tatuaggi si fanno per qualcosa che ti piace, o che magari ha un significato molto importante. E se io non avessi avuto la musica, specie i Queen, non penso che sarei così”.
Annuisce e smette di sorridere.
“Le iniziali per cosa stanno?” mi chiede ingenuamente.
“Le…E’ il nome di una persona molto importante per me” abbasso il viso. Non sono affatto pronta, a raccontargli tutto di me. In tanto l’ho mostrato io il mio tatuaggio. Eppure lui annuisce impercettibilmente. Ha capito tutto.
“Okay. Ehm. Allora a domani” mi alzo dalla sedia e lui dopo la mia affermazione, mi imita. Si avvicina e lascia un bacio nell’angolo della mia bocca. La reazione è simile a quella di prima, l’unica differenza è che adesso è moltiplicata. “A domani Bella”. Lo guardo imbambolata e vado via.
“Mamma. Domani sono a cena fuori. Mi serve qualche vestito. Non  ho nulla da mettere” mi lamento dopo aver stravaccato tutti i miei abiti dall’armadio. Sento i passi di mia madre salire le scale e sorrido. Lei si che avrà la soluzione.
“Andiamo dai” sorrido prendo la mia borsa e la seguo.

 

Edward’s Pov.

Guardarla era qualcosa di profondamente illegale. Perdersi in quei occhi così espressivi era profondamente rassicurante. Tutto di lei mi incuriosiva, mi piaceva, stranamente avevo bisogno di guardarla anche solo di sbieco per stare un po’ meglio. Che fosse inspiegabile attrazione fisica lo avevo immaginato. Avevo paura del sentimento, forse provavo pena per quei occhi doloranti? Provavo pena per quegli occhi che ogni tanto diventavano lucidi visibilmente? Non lo sapevo, sapevo solo che dentro di me stava nascendo un interesse più forte di una semplice attrazione fisica.
Suono il campanello di casa dei miei e aspetto. Chissà se è già arrivata.
“Ciao tesoro entra” Esme, mia madre, apre la porta, e mi abbraccia. Non sono un tipo molto affezionato ai genitori, ma gli voglio bene tantissimo. Si amano, sono felici e sono le persone più buone e genuine che io conosca. Mio padre, mi ha dato consigli che fino ad oggi mi sono stati molto utili. Mia madre mi ha sempre amato immensamente, non vorrei una famiglia diversa da questa. Mio fratello Emmet, perenne ritardatario, si sta per sposare. Con lui ho sempre avuto un rapporto ben saldo e molto affettivo. Litighiamo per stronzate, per poi il giorno dopo dimenticarcene. Mia sorella Alice è un dono che mi ha fatto la natura. Anche se a volte le capita di essere triste, lei non si lascia trascinare giù dalla tristezza è un portento su tutto, se si mette qualcosa in testa ci riesce. E’ fidanzata con un ragazzo al Campus. Sono contento per lei, in fondo ha ventitré anni, un po’ geloso lo sono, ma lei questo non lo sa.
“Edward!” ed eccola lì, la donna di cui sono sempre stato innamorato sin da piccolo.
La mia piccola nana si fionda tra le mie braccia, e per un attimo mi sento tutto intero.
“Alice” sussurro annusando il profumo dei suoi capelli, il profumo di benessere. Ogni persona ha la sua essenza, il suo profumo. Alice ha il profumo di tranquillità. Ed ogni volta che la vedo le mia narici ne aspirano al massimo di quanto possono, in modo che ogni volta che io sento la sua mancanza possa ricordarmi del suo profumo.
“Come stai?” mormora con gli occhi lucidi per la commozione.
“Bene”. Lei mi guarda e sorride. Ha tagliato i capelli e stranamente, è un po’ più in carne. Il mio piccolo folletto.
Suona il campanello ed Alice corre ad aprire. Emmet, Rose e Bella, varcano la soglia di casa.
“Ciao tu sei Bella no?” Bella sorride, e le sue guance si colorano di rosso.
“Si Ciao” risponde visibilmente imbarazzata. “Io sono Alice”. Si presenta mia sorella.
“Piacere allora” Bella offre la mano a mia sorella, ma Alice non è un tipo da stretta di mano. Così l’abbraccia e la stringe fortissimo. Ma Bella anziché disgustarsi o rimanere di sasso. L’abbraccia e scoppia a ridere.
“Sei forte” le dice quando si staccano. La risata cristallina di Alice rimbomba in tutta la sala. Mi avvicino a loro, per salutare Bella. Ma poi mi fermo un attimo. I suoi capelli sono sciolti, ondulati e lunghi fino alla vita. Ha un vestito rosso, lungo fino alle ginocchia, ma così stretto che le sue forme sono ben visibili. Ed io non ho mai visto una ragazza così incantevole. Mi avvicino a lei. E come ieri pomeriggio, le lascio un bacio sull’angolo delle labbra. Mi guarda negli occhi e mi sorride intimidita. Non lo avevo mai fatto con nessuna, ma con lei sto scoprendo un altro me. Un’altra persona, e questo nuovo cambiamento mi entusiasma. Intanto mio fratello si avvicina a me e mi da una pacca sulla spalla. Rose invece mi abbraccia.
“Bella. Ciao, io sono Esme” mia madre si avvicina e la stringe in un piccolo abbraccio.
“Molto piacere signora Cullen”. Dice sorridendo a mia madre.
“Io sono Esme, cara”.
Mio padre passa anche a salutarla e poi prendiamo posto per cenare.
Casualmente, credo, alla mia sinistra siede Bella. Con la coda dell’occhio la guardo. Dio non mi ero accorto della scollatura del vestito sul suo petto. Ed è anche senza reggiseno. Okay calmati, in fondo non è la prima volta che vedi il seno di una ragazza. Mia madre inizia a servirci.
La cena passa, con chiacchere allegre. Discorsi formali, di mio padre riguardante il suo lavoro. Emmet con le sue solite battute, Rose sta zitta e ogni tantotanto molla un piccolo ceffone al suo futuro sposo. Bella ascolta tutto attentamente e risponde anche a modo. E’ davvero una ragazza intelligente.
“Bella cara. Non credo che resterai per sempre a fare la segretaria, hai qualcosa in mente?” deglutisco a quella domanda di mia madre, non volendo scoprire la risposta.
“Bè, mi piace lavorare con Edward e Carlisle. Fin quando il lavoro mi soddisfa, non credo che abbia voglia di cambiare. Comunque sono diplomata in ragioneria. Mi piacerebbe molto diventare ragioniera” risponde Bella.
Consumiamo il dolce e bella inizia a massaggiarsi lo stomaco, facendo i complimenti a mia madre per la cena deliziosa. Poso una mano sulla mia coscia. Ma la mia mano vorrebbe prendere un’altra direzione. Mi piacerebbe tastare la morbidezza della sua pelle, stringerne anche un lembo, per sapere se ha davvero quella consistenza che immagino. Poi tutto ad un tratto, la mano di Bella si posa sulla mia spalla e la stringe. Mi guardo intorno e mi accorgo che siamo da soli. Le sorrido e lei posa il capo sulla mia spalla.
“Sto per scoppiare me lo sento” dice ridendo. Le accarezzo la spalla nuda e sorrido anch’io.
“Ma se sei magrissima! Dovresti mangiare di più”. Scuote la testa e la alza guardandomi.
“Sei bello!” esclama, come se avesse risolto un enigma.
“No tu lo sei” detto questo mi avvicino a lei e le bacio la guancia.

Mia madre ci distrae, dicendoci di spostarci in salotto. Ci alziamo, e faccio strada a Bella. Dopo pochi minuti mia sorella, le fa girare la casa. La serata passa più o meno come la cena. Poi per Bella si fa tardi.

“Vi ringrazio Moltissimo. Davvero ancora complimenti Esme per la cena. Sono lieta di avervi conosciuto tutti. Allora noi ci vediamo domani?” dice rivolgendosi infine ad Alice., che sorride e la abbraccia.

Si avvicina a me per salutarmi.

“Ti accompagno”

“Ma, no tranquillo abito qui vicino. Sono due passi” mi contradice sorridendo.

“Insisto” annuisce ed entriamo nell’ascensore.

“Tua sorella è fantastica” mormora abbassandosi per togliersi le scarpe.

“Lo è” mormoro anch’io guardandola.

La guardo, siamo dentro un ascensore gigante, che improvvisamente a me sembra troppo piccolo. Forse è la sua presenza. Forse è quella strana voglia che si prende gioco di me quando c’è lei. Quella voglia di accarezzarle i capelli, ma allo stesso tempo di sbatterla anche qui, su un piccolo- grande ascensore. Guardo i suoi occhi, e per un attimo guardo il mondo da un altro punto di vista.

Quegli occhi che mi sembrano così sinceri, ma allo stesso tempo ammaliatori.

Quegli occhi che da qualche giorno immagino lucidi per il piacere che io stesso le potrei donare.

Quel corpo da musa, splendido, imperfettamente perfetto. Le sue mani così piccole, ma che sembrano avere la forza di un leone. Le sue braccia esili e sottili, che vorrei mi circondassero il collo. La sua bocca, così carnosa e rossa, che mi piacerebbe affondarci i denti per riuscire a scoprirne la consistenza.

Bella. Quella Bella che da qualche giorno il destino mi ha mandato per farmi impazzire. Per farmi capire, che forse, non sono stato l’unico a soffrire come un cane. Per scombussolare, la mia routine, dove giornalmente c’è dolore, tristezza e disperazione. Ma che da qualche giorno in quella stupida, noiosa e dolorosa routine c’è qualche sorriso senza apparente motivo sulle mie labbra. Forse è presto per fare delle supposizioni. Ma la mia mente vaga ed ha trovato questi cambiamenti.

“ Scusa Bella, ma Jacob è il tuo ragazzo?” le chiedo una volta aver spento la macchina e accostato d’avanti casa sua. Scoppia a ridere e nega con la testa.

“ Ma no! Sono single. Anche se Jake è molto dolce e sarebbe un perfetto fidanzato” ammette sorridente.

“ Ma insomma, anche tu sei molto dolce e…Bella, molto bella” mi guarda negli occhi e mi sorride.

“ Ma Jake è Gay, mi vedrebbe come una rivale semmai” Tiro un sospiro di sollievo e appoggio la schiena nel sedile. Potrei rimanere in macchina anche tutta la notte, se c’è lei con me.

“ Grazie ancora Edward. La tua famiglia è formidabile, dico davvero. E tu sei, bè tu sei dolcissimo. Adesso si è fatto tardi devo andare” si avvicina e mi lascia un leggero bacio sul mento. In questo esatto momento prenderei quel viso così fragile, lo avvicinerei al mio e cancellerei le distanze con un bacio, non propriamente impuro certo.

“Ciao” sussurra nel buio dell’abitacolo.

“Buonanotte Bella”, mi sorride scende dalla macchina ed entra dentro casa sua. Metto in moto e parto verso casa.  Canticchiando, per la prima volta dopo cinque anni.

 

 

 

 

 

 

 

Salve! Allora, vado di fretta. Vorrei solo dirvi che questa per certi punti di vista è una biografia. Quindi ci tengo particolarmente a capire se potrebbe piacere. Poi boh, fate voi, se fa schifo ditemelo che miglioro.Un bacio, buona domenica per domani e notte (?).

Roby.

 

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Capitolo 4
*** Lonely day ***


 

 

Love save the pain.

 

 

 

Lonely day.

 

 

1 Aprile 2008 LA Ore: 12:30 am.

 

Bella’s Pov

“Fanno trenta dollari Bella” Annuisco e porgo i soldi alla fioraia. Lei in cambio mi da le rose bianche. Sono trentuno, come ogni anno, come ogni volta, come sempre.
Sono già passati sedici anni, ed io non me ne sono resa mai veramente conto.

Il tempo.
Quando non vuoi vola, come una piuma, come la vita. Ti scivola via dalle mani, senza che tu te ne renda davvero conto. Il tempo è denaro dicono.
Sì è prezioso, veloce, bello, brutto, grande, piccolo, buono, cattivo.
Il tempo che ci fa compagnia, anche se pensiamo di essere soli, quando in realtà nessuno è mai realmente solo. Soltanto l’anima rimane sola.
A volte credi che la vita sia una merda, ma poi ti fermi un attimo a pensare e dici ‘no è molto peggio’. Esistono i giorni solitari, dove credi che nessuno potrà aiutarti, se non la fonte del nostro dolore.
Che se anche fa schifo, prima o poi dovrà migliorare. Che non ci può essere costantemente tristezza immutabile nella nostra vita, nel nostro tempo.
Spesso ci chiediamo se sperare sia la via d’uscita. Io credo solo che sia buon intenditrice degli illusi. Ho sperato per almeno nove anni, ma non è successo niente.
Tutto è rimasto esattamente come prima. Freddo, triste, immutabile.

Il dolore rimane lì, non diminuisce ma diventa più grande, potente. La sua forza arriva al punto di espandersi in tutto il corpo, è letale, ti annebbia, ti possiede. Ed è quando arrivi a questo punto che è davvero finita. Io non ci sono ancora arrivata, ma non manca poco.
Le mie lacrime scendono, copiose, veloci, senza comandi. Scendono e basta senza che io decida. Sono stanca di piangere, di soffrire. Vorrei solo una via d’uscita, una soluzione per stare almeno un po’ meglio, un appiglio per dire ‘c’è l’hai fatta’.
Apro la porta della cantina e prendo il mio telo giallo. Era arancione una volta, poi si è schiarito con la salsedine e forse anche con le lacrime. Arrivo a riva e lo sistemo più vicino al mare delle altre volte.
Mi siedo e attacco il mio I-Pod. Parte Lonely day.

 

 

Such a lonely day (E’ un giorno così solitario).
And it's mine (Ed è mio)
The most loneliest day of my life ( il giorno più solitario della mia vita) 
Such a lonely day (E’ un giorno così solitario).
Should be banned (Dovrebbe essere bandito)
It's a day that I can't stand (E’ un giorno che non riesco a sopportare)
The most loneliest day of my life (Il giorno più solitario della mia vita) 
The most loneliest day of my life (Il giorno più solitario della mia vita)
Such a lonely day (E’ un giorno solitario)
Shouldn't exist (Non dovrebbe esistere)
It's a day that ill never miss (E’ un giorno che non mi mancherà mai)
Such a lonely day (E’ un giorno solitario)
And it's mine (Ed è mio)
The most loneliest day of my life (Il giorno più solitario della mia vita) 
And if you go (E se va via)
I wanna go with you (Voglio venire con te)
And if you die (E se muori)
I wanna die with you (Voglio morire con te)
Take your hand and walk away (Prendere la tua mano ed andare via)
The most loneliest day of my life (Il giorno più solitario della mia vita)
The most loneliest day of my life 
The most loneliest day of my life 
Such a lonely day (E’ un giorno solitario)
And it's mine (Ed è mio)
It's a day im glad I survived (E’ un giorno di cui sono contento di essere sopravvissuto).
Sussurro. Non mi ero mai realmente resa conto della verità in queste parole. Ho sempre avuto il difetto di non ascoltare mai veramente delle canzoni. Poi un’immagine, immaginaria, spunta d’avanti ai miei occhi. Da bambina ricordo che i primi giorni che lui non c’era più,  mia mamma mentre mi faceva il bagnetto piangeva. Un giorno mi ero arrabbiata e le avevo chiesto ‘ e adesso chi mi mette il profumino?’ e poi entrambe eravamo scoppiate a piangere.
All’epoca era solamente una bambina. Me ne stavo li a piangere, guardandolo mentre andava via. Vedevo mia madre, che ogni volta era in ansia. Vedevo il mare e mi rassicuravo, non capendo quanto stessi sbagliando.

Mi sono sempre chiesta il perché. Mi sono sempre detta che a tutto c’è una spiegazione razionale. Crescendo, andando avanti col tempo, ci ho riflettuto. Ho cercato di trovare qualcosa di logico in questa vicenda, e non ci sono mai riuscita.
Dicono che quando dio ci crea, lo fa per una scopo. Il mio scopo è quello di piangere sempre.
Piangere perché sei felice dopo tanto tempo.
Piangere perché vorresti avere di più.
Piangere perché non sai combattere il dolore, allora piangi, ma con le lacrime e i singhiozzi non si risolve niente. Sono nata per non risolvere niente piangendo.
Mi fa schifo tutto questo. Non lo reggo tutto questo dolore mi serve una strada diversa da intraprendere.

Ed eccomi qui, come ogni anno il mio essere cambia. Per qualche ora torno la ragazza insicura, che piange, che non sa nemmeno come si chiama. Che pensa, pensa, pensa e non risolve, ma si procura il triplo del dolore che prova giornalmente. Siamo nati per essere distrutti, non per distruggerci.
Poggio la mia testa sul telo, e chiudo gli occhi. Sperando che sia un incubo. Sperando che torni bambina, dove i miei problemi erano acconciare i capelli delle bambole.

**

“Torni a lavoro tra un po’?” mi chiede mia mamma, che mi abbraccia e mi accarezza la spalla. Scuoto la testa. Oggi Edward ha lavorato al mattino con Carlisle. A volte al pomeriggio mi capita di andare in ufficio lo stesso, per fare qualcosa, ma oggi proprio non riesco. Poi mi ricordo che devo vedere Alice. Credo che le chiamerò.
Ogni anno. Non esco mai durante questo giorno. Perché il mio stato d’animo è troppo visibile. Mi chiederebbero tutti ‘ ehi come stai? Che succede?’ e francamente il mio umore non è dei migliori per parlare con la gente, meno che con mia madre.
“So. Che è difficile. Doloroso e fa anche un po’ paura. Ma amore mio così non andiamo da nessuna parte capisci? Lui non vorrebbe vederti così.” Ammette mia madre con la voce flebile come uno spago sottilissimo che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.
Scoppio a piangere tra le sue braccia.
Forse non dovrei farlo. Certamente così soffre di più. Ma è come l’istinto, incontrollabile.
Lei mi stringe forte, come se potesse aiutarmi. E sono certa che anche lei sta piangendo.
Ricordo che i primi giorni si chiudeva in bagno a piangere. Ricordo che mi sorrideva debolmente e mi diceva ‘ tornerà’. Ricordo che quando qualcuno passava a trovarci mi chiedeva sempre di andare a giocare, in quei momenti, mi nascondevo per ascoltare i discorsi dei grandi.
Piangevano, ricordando tutte le volte che faceva sorridere la gente. Ricordando che quando la gente vicina di casa era senza denaro, lui tagliava il pesce della giornata e lo divideva per i più bisognosi. Ricordando quanto si sentiva inutile quando c’era brutto tempo e non poteva fare niente per guadagnare denaro.

Ma nonostante tutto sorrideva. Per lui era sempre okay, qualunque cosa gli sarebbe accaduta lui faceva finta che andava tutto bene, facendoci credere che era sempre felice.
I miei ricordi sono sfumati, a volte credo di immaginarli. Avevo solamente sei anni. Non ricordo il suono della sua voce, ricordo solo che sorrideva e giocava con me e mi voleva bene. Ricordo che me lo ripeteva sempre ‘ sarò sempre fiero di te. Sei la mia vita. Ti voglio bene piccola mia’. Questo lo ricordo. L’essenziale per capire che lui per me ci sarebbe sempre stato, che mi voleva bene.
Sono sempre stata una ragazza solare, ma ci sono frangenti nella vita che almeno per un po’ ti fanno cambiare. Come il cubo ogni umano ha diverse facce, caratteri diversi, due mondi uno diverso dall’altro, ma l’anima, quella è solo una.
Mi sento come un pesce fuori dall’acqua. Mi sento sola in un deserto. Ed è sbagliato, perché mia madre non vorrebbe mai che io pensassi di essere sola.
Sciolgo l’abbraccio con mia madre e salgo in camera mia. Il tempo di varcare la soglia che il cellulare inizia a vibrare.
Alice.
“Pronto Bella?”
“Ciao Alice. Scusa ma non riesco a venire non sto molto bene”.
“Oh mi dispiace. Io tra due giorni torno a Seattle. Mi sarebbe piaciuto passare del tempo con te” Mormora afflitta.
“Facciamo domani Okay? Tanto lavoro solo al mattino. Ti chiamo io dopo pranzo”
“Okay Bella a domani” Stacco il telefono e lo butto sul letto. Mi avvicino allo specchio e oggi sono irriconoscibile. I miei capelli sono tutti attaccati alla fronte, forse per il sudore, forse per le lacrime. I miei occhi sono cerchiati neri, e i miei occhi non sono mai stati più spenti di così. Sembro una trent’enne. Sbuffo e prendo dei vestiti puliti. Una tuta larga e comoda andrà più che bene. Entro in bagno, metto il tappo nella vasca e apro l’acqua. Mi spoglio con lentezza assurda e quando la vasca è piena mi immergo dentro. Appoggio la schiena e la testa e lascio andare le mie lacrime.

Non so cosa la vita ha riservato per me.
Non so se questo dolore cesserà mai, se resterà con me fino all’ultimo dei miei giorni.
So solamente che ne vale la pena.
Per avere un contatto imaginario con lui ne vale la pena.
Afferro il mio pacchetto di sigarette appoggiato alla vasca e ne accendo una.

**

Apro gli occhi. Mi sento congelata dentro. L’acqua è diventata gelata, non so per quanto tempo sono rimasta qui dentro. Spero solo che sia mattina, spero che quel giorno. Così tanto freddo e solitario sia andato via, aspettandomi per il prossimo anno.
Alzo la testa e guardo la radiosveglia appoggiata nel lavabo.
06:00 pm 1 Aprile 2008.
“Ti piacerebbe” Mormoro a me stessa. Prendo l’accappatoio, mi ci avvolgo e mi dirigo in camera. Nel corridoio sento dei mormorii, e a meno che mia madre non sia diventata come me, che parlo da sola, qualcuno è venuto a farci visita. Forse Jake.
Mi vesto velocemente, lasciando i miei capelli bagnati. Scendo le scale e trovo Edward seduto nel mio divano a parlare con mia madre.
“Ehm ciao” dico una volta sceso l’ultimo gradino.
“Tesoro Edward è passato per parlare con te. Ma tu eri su e gli ho chiesto se voleva aspettarti qui”. Mormora mia mamma. Le sorrido e sorrido anche a lui. Non sapendo dove abbia trovato la forza. Mi avvicino a Edward e mi siedo con lui. Mia madre si scusa andando in cucina, un modo per lasciarci da soli.
Reené si è sempre chiesta come mai, io non abbia mai avuto un certo tipo di approccio diverso con i ragazzi, oltre Jacob che comunque è omosessuale.
Non mi ha mai detto niente di spiacevole al riguardo. Ma è sempre mia madre, non è di certo normale che a ventidue anni io non sono mai stata con un ragazzo.

E adesso dopo, tanti anni, in cui guardavo un ragazzo e non riuscivo a provare niente se non simpatia. Mi ritrovo incantata a guardare Edward che si passa una mano nei capelli e mi guarda, come se volesse dirmi qualcosa ma non ci riesca, sono questi i momenti in cui vorrei baciarlo. Vorrei tenergli la mano, coccolarlo fino a tarda notte, vedere anche uno stupido film con lui, fare anche una lotta con i cuscini, inviargli messaggi con testi casuali e stupidi, giocare con i suoi capelli, ridere con lui a crepapelle fino a non respirare più, voglio andare ovunque con lui e magari litigare per cose futili. Ma lo voglio. Lo desidero, provo qualcosa di assolutamente nuovo. Solitamente l’ignoto ci spaventa, ma invece sento che può cambiarmi, ed io lo voglio con tutta me stessa. Come se non ci fosse via d’uscita, come se fosse l’aria che respiro. E’ ormai fondamentale. Forse è presto, ma sta di fatto che mi è successo e non ho intenzione di ripensarci.
“Volevo sapere come stavi. Oggi non sei venuta, non era il tuo orario di lavoro ma solitamente vieni lo stesso. Poi Alice mi ha detto che non sei riuscita ad uscire con lei perché stavi poco bene. Io mi chiedevo se-”.
“Apprezzo molto Edward. Davvero” mormoro interrompendolo.

Annuisce e ancora una volta i nostri occhi si incontrano. I suoi sono verdi, ma non a effetto cartone animato, sono puri. Hanno quell’essenza che ti fa credere di immaginarli, ma sono profondi, estremamente profondi.
“Guardiamo un film?” gli chiedo dopo un po’ dato che non accenna ad andarsene. Lui annuisce e io mi alzo dal divano.
Gli porgo la mano e lui l’afferra prontamente. Solitamente in un giorno come questo, se Edward fosse un altro lo avrei mandato via a calci. Avrei imprecato in greco e avrei mandato a fanculo mia madre senza apparente motivo. Invece no lui è diverso, con lui è stato sempre diverso, è stato dal primo giorno una scoperta. Sento che stare accanto a lui, mi trasforma, mi devasta e mi fa sentire, anche se per pochi attimi, intera. Se rido con lui è perché ho voglia di farlo. Se lo guardo lo faccio con interesse. Se lo bacio lo faccio perché in quel momento, la ragione o l’istinto mi dicono che è giusto così. Perché se provi qualcosa di nuovo, di sconosciuto, bisogna fare quello che sentiamo, perché se non lo facciamo rimarremmo per sempre con il dubbio.
“Ehm Edward ti va di rimanere a cena?” ci interrompe mia madre a metà scala. Ci fermiamo un attimo e  la nostra stretta si scioglie immediatamente.
Lui guarda mia  madre e le sorride. Poi guarda me, non sapendo cosa rispondere, io gli annuisco, qualsiasi cosa volesse dirmi.
“La ringrazio molto Reené” mia madre gli sorride e va in cucina.
“Mi sa che dovremmo aspettare per il film” lui annuisce e scendiamo le scale.
Ci sediamo vicini sul divano e ci guardiamo.
“Allora. Come va?” gli chiedo per spezzare il silenzio imbarazzante.

“Bene. Alice tra pochi giorno andrà via” mormora dispiaciuto.
“Le vuoi molto bene” ammetto.
“Non si può non volergliene. Lei è una persona stupenda, a volte invadente, a volte precipitosa, ma è semplicemente così. Credo che lei sia stata creata per far sorridere la gente, per portare un po’ di luce nella vita degli altri” mentre parla di sua sorella, noto un’illuminazione nei suoi occhi, deve essere molto importante per lui.
Non ho un fratello né una sorella, quindi non so cosa si prova ad avere dei rapporti del genere. Ma mai nessuno che parlasse di sua sorella o del fratello, ne ha mai parlato così. Lui ne parla come se gli dovesse la vita.
“Lei per me è fondamentale” ammette. Annuisco e gli sorrido. Quando ho conosciuto Alice ne sono rimasta estasiata. E’ così dolce che sembra finta, è davvero un tornado. Infatti quando mi ha chiesto se volevo passare un pomeriggio con lei, ho accettato subito.
La cena è pronta e ci sediamo tutti e tre a tavola. Ci sono degli stuzzichini di pasta sfoglia con prosciutto e formaggio. C’è del pesce marinato, patate al forno e delle cotolette di carne e due tipi diversi di insalata. Speriamo che gradisca.
“Edward non sapevo cosa ti piace, quindi ho fatto un po’ di tutto. Speriamo non sia un fiasco” dice mia madre.
“Stia tranquilla. Apprezzo molto la sua gentilezza”.
Iniziamo a mangiare, e la cena procede in silenzio. Io come sempre finisco prima di tutti. Ho mangiato una cotoletta e le patate. Edward invece ha assaggiato un po’ di tutto. Mia madre come sempre ha preso solo del pesce.
Aiuto mia madre a sparecchiare e ad impilare i piatti per poi metterli nella lavastoviglie.
Prendiamo posto in salotto e mia madre offre un po’ di crema di caffè ad Edward. Dopo qualche oretta va a letto.
“Tua madre è molto gentile e ospitale” sussurra meravigliato.
Annuisco e accavallo le gambe.

“Allora lo vediamo questo film?” gli chiedo. Lui annuisce e come poco prima saliamo le scale.
“Allora. Horror, azione, drammatico, commedia o…”
“Va bene Horror” mi interrompe. Prendo Orphan e lo inserisco nel lettore DVD. Lui intanto guarda la mia stanza.
“Ti piace tanto la musica mh?” mi chiede sorridendo.
“Si. Senza musica non siamo niente in questo mondo, la musica serve per migliorarlo dato che l’uomo lo sta distruggendo”. Ammetto chinando il capo e guardandomi i piedi. Tutto ad un tratto mi sento imbarazzata, come se Edward stesse violando la mia privacy. O forse ho solo paura del suo giudizio fuori l’orario di lavoro.
“Metallica, System of a down, Led Zeppelin, Guns n’ roses, AC/DC, Scorpions, The doors.
E innumerevoli album dei Queen, certo che ti tratti bene eh?” scoppia a ridere, anche se io non ci trovo niente di divertente gli sorrido, perché il suo sorriso mi contagia, perché quando sorride, anche se per pochi secondi, mi fa dimenticare tutto ciò che c’è di negativo nella mia vita.

Il suo sorriso è come la musica.

Mi trasporta in un mondo migliore.

Mi fa sorridere.

Mi fa sentire spensierata.

Mi fa sentire un’altra persona migliore.

E quando qualcosa ti fa bene, ti fa sorridere, devi provarla, assaporarla e conoscerla.
Il film parte ma noi non lo guardiamo. Continuiamo a parlare di musica. L’argomento migliore.
“Edward chi è George?” gli chiedo di punto in bianco. Ma me ne pento subito, notando il dolore che si è impossessato dei suoi occhi.
“Era. Era un mio amico. Il mio migliore amico. La persona migliore che io avessi mai conosciuto, era come un fratello” ammette con la voce roca. Vorrebbe tanto piangere me lo sento. E dato che la giornata non è stata delle più belle una lacrima solca il mio viso. Lui mi guardo corrucciandosi, poi si addolcisce, ma nella sua espressione e nel suo sguardo c’è ancora dolore.
Mi accarezza il viso e avvicina il suo. La sua guancia si appoggia alla mia e la sento umida. Mi scappa un singhiozzo.
“Non adesso” sussurra. Ci abbracciamo e iniziamo a singhiozzare.

 

 

**

 

 

 

Taaaaaaaaaaadaaaaaan.
Allora scusate se vi ho fatto aspettare tanto, ma tra mio figlio, la fine della saga ç____ç e ask.fm che mi fa perdere sempre tempo, non ho scritto in questi giorni.
Allora vanno bene capitoli come questo? Cioè la lunghezza ed un unico Pov? O li volete più lunghi e divisi in due Pov?
Bene spero che vi piaccia, e recensite in tanti! C:
A presto Roby.

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Capitolo 5
*** George ***


Love save the pain.

 

 

 

George

 

Edward’s pov

 

Venerdì 20 Aprile 2008

 

Come ogni giorno eravamo nel nostro garage.
Ogni mese dividevamo le spese per l’affitto e per la luce, anche se ne usavamo pochissima.
Il suo basso e la mia chitarra erano come sempre appoggiati nel loro rispettivo piedistallo.
Era strano considerare la nostra un band, quando non avevamo nemmeno un batterista. Ma quelli erano tempi felici, suonavamo e cantavamo quando volevamo e non importava se faceva schifo.
Eravamo felici e spensierati.
Eravamo insieme.
E quando eravamo insieme tutto quello che facevamo ci rendeva felice.
Ogni cosa che possedevamo era condiviso con l’altro. Dalle cose materiali all’affetto.
Come ogni venerdì quel giorno avremmo passato il pomeriggio insieme in garage. E poi una pizza d’avanti ad un film a casa sua o mia.
“Ehi Edward senti” Mormora. Le sue dita si muovono nelle corde del suo strumento e una sonora melodia riempie la stanza colorandola del suo ritmo. Prendo la mia chitarra accompagnandolo. Quelli erano i nostri venerdì pomeriggio.
“E’ fantastica” annuncia con un sorriso a trentadue denti. Annuisco e inizio a cantare delle frasi sconnesse, senza senso, anzi no un senso c’è l’hanno perché George scoppia a ridere e mi guarda. Mi fissa ed io mi fermo.
“Ti voglio bene amico” sussurra serio.
“Anch’io te ne voglio”.

“George” urlo. Guardo d’avanti a me e trovo me stesso riflesso allo specchio che si trova nella mia camera di fronte al mio letto.
Passo la mano sulla mia fronte, sudata e mi rendo conto che era un sogno che sotto certi aspetti può sembrare un incubo.
Mi sdraio e provo a dormire.
Il venerdì, sorrido tra me, quello era il giorno che aspettavamo sempre ogni settimana. Prima che morisse ci eravamo promessi di trovare più tempo da passare insieme.
Quando eravamo piccoli ci vedevamo tutti i giorni. Al mattino a scuola e al pomeriggio per studiare e poi perdere il nostro tempo sui video games.
Alle superiori era diventato più difficile. Avevamo le rispettive ragazze, studiavamo e lui ha iniziato a lavorare con suo padre.
All’università avevamo a nostra disposizione il venerdì pomeriggio.
Agli occhi degli altri sembravamo una coppia. Credevano che fossimo omosessuali. Noi non lo eravamo, ma se volerci bene nel modo in cui lo volevamo significava sembrare due omosessuali a noi non importava.
Non ci abbracciavamo molto spesso. Ma ogni nostro gesto era sempre d’affetto, volente e nolente. Ormai avere accanto l’altro era un’abitudine, ed era bello. Perché se in quel momento lo stato d’animo di uno  faceva schifo c’era l’altro che consolava l’amico. Se eravamo felici esultavamo insieme.
Era un rapporto di fratelli, non era un semplice amicizia.
Era essere felici e spensierati
Eravamo insieme comunque andassero le cose. Insieme eravamo forti su tutto.
E’ come quando trovi l’anima gemella.
Qualcuno che ci dica, che ci dimostri davvero.. ‘io mi fido di te ’… ‘ io sto bene se stai bene tu’  tutti abbiamo bisogno di questo, non una minima parte.
Non credo alla gente che non ama o che non vuole bene, credo che quei soggetti siano quei tipi di persone che tremano dentro. Chi crede poco ai sentimenti è quello che più necessita di essere amato o voluto bene, chi tace avrebbe un mondo di parole da dire.
Adesso mi sento un persona incompleta. Il mio essere si è spezzato, sono come un vaso rotto, che non puoi aggiustare raccogliendo i cocci e incollarlo, no, nel momento in cui quel vaso si è rotto i vasi si sono dispersi, si sono frantumati scomparendo nell’aria. Ogni giorno vivo per il semplice fatto che ho la mia famiglia che mi ama, e per rendere lui fiero di me. Per continuare a vivere nonostante le circostanze mi fanno capire che è inutile. Per non mollare. Per riuscire a dire un giorno c’è l’ho fatta.
George diceva sempre che non deve esserci un reale motivo per vivere davvero. Diceva che ognuno di noi viveva per rappresentare ciò che la vita poteva offrire, sia le cose brutte che quelle buone.
Ma io credo che non riuscirò mai a vivere davvero come mi chiedeva lui. Perché se perdi una persona importante credi  solo che d’ora in avanti la tua vita faccia schifo, che non potrà mai essere diversa. Dicono che è immutabile, senza via d’uscita, proprio come mi sento adesso, senza una seconda chance. Ma ho delle ambizioni, ho dei conti in sospeso con il mio amico. Mi vesto velocemente e prima di uscire di casa guardo l’orologio 02:00 am.
“Edward. Che ci fai qui?” mormora il custode.
“ Frank fammi entrare, sai che non faccio lo stronzo” gli chiedo con gli occhi imploranti.
“D’accordo ma muoviti che tra un’ora ho il cambio” gli sorrido tristemente ed entro. Percorrerei tutto il cimitero ad occhi chiusi, conosco la strada a memoria. Dopo pochi minuti mi fermo d’avanti alla sua lapide. Mi siedo accanto ad essa sul terreno bagnato.
“Ciao amico. Mi manchi sai? Oggi è venerdì”. Sorrido come se stessi davvero parlando con lui. “ Ho conosciuto una ragazza. E’ molto carina, ed è intelligente. Non sa niente di te, se non che non ci sei più e che eri come un fratello per me, ma sai credo che lei in un modo o in un altro riuscirebbe a capirmi, forse sarebbe l’unica. Spero che tu ovunque sia stai bene. Mi mancano i nostri venerdì, mi manca sentirti suonare, mi mancano i tuoi consigli, mi mancano le tue battute, mi manchi tu, in tutti modi in cui può mancare una persona a qualcuno. Credevo di farcela, tutti mi dicevano che ero forte, ma io credo di no. Mi manchi terribilmente.” Fisso il suo nome inciso sulla lapide, sperando in qualcosa. Che lui venga dietro di me e mi dica ‘ cazzo amico ti sei fottuto il cervello a venire al cimitero di notte’ poi io scoppierei a ridere e magari anche a piangere di gioia. Tante volte se canticchio una canzone, spero di trovarmelo accanto che si unisce a me. Forse sono pazzo, ma immaginarlo com’era rende le cose un tantino più facili. Mi alzo e mi dirigo a casa mia. Una volta arrivato mi butto sul letto emotivamente esausto.
Chiudo gli occhi ormai colmi di lacrime e cerco di trovare un po’ di pace almeno nei sogni.

Lunedì 23 Aprile 2008

“Edward. Se vuoi potrai trovare delle informazioni a Seattle, ci sarà Alice a indicarti se hai bisogno” Mi dice mio padre al telefono, mentre prendo il mio caffè mattutino.
“Senti Papà, ne parliamo in ufficio. A dopo” Stacco la chiamata, prendo la mia valigetta ed esco.
L’aria mattutina è molto calda, fortunatamente sotto la giacca ho indossato una T-Shirt. Arrivo in ufficio e come sempre l’odore di Bella mi colpisce violentemente. Non so bene che fragranza sia ma è buona. Ed è la sua, ha l’esclusiva, perché solo lei possiede quest’odore che puoi mandarmi in tilt.
“Buongiorno Bella” Mormoro a Bella che intenta nel computer non si era accorta che ero entrato.
“Buongiorno Edward” Sussurra sorridendo. E’ così diversa da quella volta che ero stato in casa sua. Quel giorno era visibilmente a pezzi. Aveva il volto scavato, gli occhi rossi e l’espressione di chi vuole mollare, di chi farebbe di tutto per non subire quello che in quel momento stava subendo, che fosse dolore o disperazione non lo avevo capito. Ma avevo capito che aveva bisogno di qualcuno che le stava vicino, non che le avrebbe sussurrato un flebile ‘ mi dispiace’, ma che ci sarebbe stato, anche in silenzio ma sempre lì con lei.
Non provo pena per lei, ma una grande somiglianza. Ed io o che sono diventato davvero pazzo o che forse mi sto innamorando.
Mio padre entra e saluta entrambi per poi accendere il suo computer.
“Edward. Potresti partire anche domani, Alice è a tua disposizione tutti i pomeriggi, puoi stare lì anche due settimane ma è il caso che tu trova quello che cerchi. Credo che tu abbia aspettato abbastanza” Mormora mio padre.
Ci rifletto un attimo. Si ho aspetto cinque lunghi anni, è arrivato il momento di prendermi una piccola vendetta, è arrivato il momento di fargliela pagare.
“Si Papà. Partirò domani per arrivare Mercoledì” Sussurro a mio padre. Isabella ci guarda confusa, ma ascoltandoci.
“Edward sono più di diciannove ore di macchina” Mi dice mio padre incredulo.
“Basta. Lo sai, andrò in macchina” La mia voce è dura, lo sa che non prendo un aereo da quel giorno.
Annuisce sconfitto e torna alla sua scrivania.
“Edward. Avrai bisogno di Bella” mormora dopo un po’. Ed io mi rendo conto che è vero. Ho bisogno che mi aiuti nelle pratiche, e, forse che mi sia vicina anche moralmente. Mi avvicino alla scrivania di Bella che mi guarda confusa.
“Bella, se non vuoi va bene. Io dovrei andare a Seattle per un motivo che ti spiegherò presto. Ho bisogno di te”. Lei prende la mia mano tra le sue e annuisce.
“Verrò con te Edward” Mi sussurra in tono grave.
Annuisco e inizio a preparare le carte che mi servono per incastrare quell’ingrato pezzo di merda.
Dopo qualche ora decido di prendermi una piccola pausa. Faccio cenno a Bella di seguirmi, come ogni volta e si alza.
Premo i pulsanti sul distributore e prendo due caffè. Lei si avvicina e mi sorride, è sempre lei, non è spaventata, non è confusa. E’ forte sotto certi aspetti, o forse è solo lei che mi trasmette forza.
“Bella io partirei stanotte. Se tu vuoi prendere l’aereo basta che me lo dici che prenotiamo subito un volo” Scuote la testa alla mia richiesta e si avvicina.
“Verrò con te. Non importa come, ma verrò” Mi guarda negli occhi, e per la prima volta mi capita di non riuscire a sostenere lo sguardo di qualcuno.
“Bene allora a pranzo siamo insieme mh?” Le chiedo, lei annuisce, butta il bicchiere vuoto nel cestino e si avvia in terrazza.

 

 

Bella’s Pov.

“Bene ragazzi cosa desiderate?” ci chiede gentilmente la cameriera.
“Io prendo un toast” annuncio ed Edward prende lo stesso. Da bere della coca-cola.
Quando la cameriera ci porta i nostri toast iniziamo a mangiare. Siamo stati in silenzio a guardarci negli occhi. Mentre mangiamo ci guardiamo negli occhi, dovrebbe essere imbarazzante ma sembra tanto naturale.
“Bella io non prendo l’aereo da cinque anni” mormora bevendo l’ultimo sorso di coca. Io lo guardo incitandolo a continuare.
“George il mio amico è morto sull’aereo. Da Seattle a qui, era venuto per passare il natale con noi e la sua famiglia” mormora, la sua voce è dura. E parla guardando oltre quello che vede, forse immaginando ancora quel giorno che tutt’ora lo tormenta.
“Il capitano che quel giorno stava guidando l’aereo era ubriaco. Si sono schiantati ad una velocità impossibile. Da quel giorno non ho più preso l’aereo” Ammette sconfitto. Io annuisco perché anch’io al posto suo avrei fatto lo stesso. Perché il dolore che prova lo crede indescrivibile, crede che le sue ferite non potranno mai guarire, io lo so.
“Sono cinque anni che lo cerco. Inizialmete era stato arrestato, ma dopo pochi mesi è uscito, il motivo non l’ho ancora capito. Il mio piano è quello di capire perché è uscito così presto di galera, per poi fallo rientrare a marcire lì dentro. E finalmente l’ho trovato. Forse credi che lo faccio solo per una piccola vendetta, ed in parte è così. Ma il mio compito è quello di fare giustizia a chi solitamente la passa liscia. A tutte quelle persone che si svegliano iniziando a bere o drogarsi per poi uccidere un’innocente. A chi non ha rancore. Perché se bevi sai benissimo che non puoi guidare, allora non farlo. Ogni giorno nel mondo ci sono innumerevoli casi di questo genere. Non posso fermarli in tutto il mondo ma almeno nel mio paese”. Mormora più a se stesso che a me. Quindi questo elemento che ha ucciso il suo amico è di nuovo in giro a piede libero. E non ha ucciso solamente il suo amico, ma tutta le gente che era in quell’aereo. Ed io non ci vedo nulla di sbagliato, perché chi sbaglia paga. E ci sono tante di quelle famiglie nel mondo che non si conosce esattamente il numero, che aspettano giustizia da tanti anni, che molte volte la legge non fa caso a certe cose e molti casi di questo tipo rimangono irrisolti.
“Sono d’accordo” affermo. “Quando partiamo?” gli chiedo.
“Io vorrei partire stanotte per arrivare il più presto possibile” Annuisco e mi alzo.
“Io allora vado a prepararmi” Mi ferma prendendo il mio polso e mi giro verso di lui.
“Spero che mi dirai presto ciò che ti tormenta” Sussurra dolcemente. Io mi avvicino a lui e gli lascio un bacio sulla guancia. “Presto” mi giro e vado a casa.
Mia mamma non c’è. Prendo un bicchiere di succo di frutta lo bevo e mi dirigo in spiaggia.
Senza telo, senza i-pod per la prima volta dopo tanti anni.
Mi inginocchio vicino alla riva e faccio scorrere le mie dita sul mare.
“Ehi ciao. Sono passata a salutarti, devo partire stanotte. Non ci sarò per un po’ di giorni, non so esattamente quanti. Ma ti penserò, se non vengo qui non significa che io non lo faccia. Ormai sei dentro di me, non potrò mai dimenticarti, né in un giorno, né in una settimana, né un mese, né in cento anni. Ti voglio bene” mi alzo e con le lacrime agli occhi mi dirigo a casa a preparare la valigia.
Dopo due ore la mia valigia è pronta. Sono le quattro del pomeriggio. Decido di riposarmi un po’.

**

Il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare. Alice.
“Pronto?”
“Oh Bella. Stavi dormendo? Mi dispiace averti disturbata io non volevo..cioè-“
“ Ehi Alice, tranquilla non mi disturbi mai. Volevi dirmi qualcosa?” le chiedo, prima che andasse via abbiamo passato parecchio tempo insieme. E’ davvero una ragazza stupenda, poi ho capito perché quando Edward parlava di lei gli si illuminavano gli occhi. E’ davvero una persona speciale.
“Si bè ho saputo che verrai a Seattle e sono contenta, potremmo passare del tempo insieme se ti va certo”.
“Certo che mi va”
“Oh bene non vedo l’ora ci vediamo presto allora” La sua voce è squillante, è davvero una forza della natura. Chiudo la chiamata e guardo l’orario. Sono le sette di sera, ho dormito per tre ore.
Scendo in cucina e trovo mia mamma che prepara la cena.
“Ehi amore credevo che fossi a lavoro” viene verso di me e mi da un bacio.
“No. Anzi mamma stanotte parto con Edward per lavoro” Le dico mentre prendo della coca cola dal frigo.
“Ah come mai?” Mi chiede incuriosita.
“Bè ha bisogno di informazioni per un tizio, andiamo a Seattle. Non so quanto tempo ci vorrà, ma non credo che dovremmo stare più di un mese”. Annuisce e mi sorride tristemente.
“Mi mancherai tesoro” Sussurra con le lacrime.
“Anche tu. Ma non sto andando in guerra” Scoppia a ridere alla mia affermazione e mi abbraccia forte.
Ci stacchiamo e ci guardiamo negli occhi.
“A che ora prenderete l’aereo?”
“Andiamo in macchina. Abbiamo bisogno dell’auto per girare e trovare qualcosa” Annuisce e continua a fare quello che stava facendo. Accendo una sigaretta e mi siedo sul divano. Squilla ancora il mio cellulare. Edward.
“Pronto?”
“Ciao Bella perdona il disturbo. Ho pensato che sarebbe meglio partire per le dieci di sera, facendo i calcoli dovremmo arrivare per le cinque del pomeriggio domani”.
“Oh certo, ci incontriamo all’ingresso dello studio?”
“No vengo a prenderti”
“Okay, allora a dopo”
“Si a dopo”
Stacca la chiamata ed io decido  di andare a prepararmi. Indosso una tuta comoda e una canotta larga in modo di rimanere comoda per le prossime diciannove ore in macchina. Sarà strano, essere vicino a lui per quasi un giorno intero, eppure quest’idea mi alletta e non poco.
“Stai attenta tesoro” Mormora mia mamma in lacrime.
“Ehi mamma! So che non siamo mai state lontane, ma stai tranquilla. Dai su!” le sorrido cercando di non scoppiare a piangere d’avanti alla sua fragilità.
La guardo e nei suoi occhi leggo tutto il dolore che ha subito dal giorno che è nata ad oggi. E non mi riferisco solamente alla scomparsa di lui, ma di tutto quello che ha fatto in passato. Allora poi penso, in fondo la mia mamma non è così fragile come sembra.

**

“Ciao Edward” sorrido a Edward una volta entrata nelle sua auto.
“Ciao. Allora pronti per partire?” Guardo oltre Edward dove c’è la spiaggia. Una lacrima solca il mio viso e annuisco. ‘ Tornerò presto da te ’ ripeto nella mia mente sperando che ovunque lui sia, mi capisca e mi senta.
Guardo Edward intento nella guida, è così sexy che davvero devo lottare con tutto il mio corpo per evitare di saltargli addosso. Il suo profilo è qualcosa di meravigliosamente elegante .
“Dove dormiremo una volta arrivati?” gli chiedo con visibile curiosità.
“In albergo. Ho prenotato una suite, ci sono due letti matrimoniali.” Annuisco e appoggio la testa nel sedile.
Guardo il cielo stellato di Los Angeles per l’ultima volta dopo essere entrati nell’autostrada. Sfrecciamo al buio ad alta velocità. Inizio a guardarlo per un tempo indeterminato fin quando le mie palpebre sia abbassano stanche.

 

 

 

 

 

Eccoci! Come va? Il prossimo capitolo sarà ambientato a Seattle **.

Conoscerete meglio Alice, e sarà tutto una ricerca. Spero che vi piaccia, davvero.

Fatemi sapere e recensionatemi ahahahah. Okay basta Roby.

Un bacio e grazie di tutto, anche solamente di aver letto fin qui.

Roby.

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Capitolo 6
*** The truth ***


 Love save the pain.

                                                                              

  The Truth
 
 
 

 

 

 
Edward’s Pov.

 

Le note di Another one bites the dust accompagnano la mia guida. Bella dorme immensamente. E’ davvero di una bellezza assurda. I capelli ricadono in quel viso – che sembra di cristallo, tanto mi appare fragile- addormentato, amo ogni lineatura fine che le appartiene.Avevo avuto modo di contemplare la sua bellezza in queste dodici ore di viaggio. L’avevo immaginata mentre mi sorride, magari con un semplice asciugamano addosso. Avevo immginato i suoi capelli bagnati che lentamente accarezzavano il mio petto, così come le sue mani. L’avevo immaginata piangere tra le mie braccia, dicendomi ciò che più la turba e la distrugge dall’interno. La mia mente, come la mia macchina, non si era fermata un’attimo di viaggiare. Vagavo in un mondo dove non c’era dolore, dove il male era soltanto un ricordo sbiadito. Era un viaggio nel futuro, o per lo meno il futuro che vorrei  per me.
Vorrei che tutto ciò che di male c’è al mondo non esistesse. Se è vero che esiste un dio, allora è anche vero che esiste il demonio. Ricordo ancora la voce dell’interfono che annunciava la sua morte.‘Signore e signori, siamo spiacenti di annunciarvi che l’aereo del volo ws23f45 è precipitato’.Ed eccolo lì quel ricordo infame, che mi torna in mente spesso, troppo spesso. Quando la mia mente viaggia, qualsiasi sia la meta, quel ricordo, quella voce stridula mi tormenta. Ed è una tortura, preferisco di gran lunga essere mandato al rogo. E’ la stessa senzazione di quando dormi e sogni di cadere nel vuoto, è la sensazione che non vorresti mai provare. Tutti credevano che il dolore potesse passare, che fosse un mese o un’anno. Ma non passa, i pensieri – che prima erano soffocanti- sono diminuiti, ma l’intensità del dolore, della rabbia, aumenta giornalmente.Molte volte senza di lui, mi sento fuori posto, come se il mio posto nel mondo senza di lui valesse meno di zero, come se io sono nato per vivere la mia vita con una spalla destra al mio fianco, e lui era la mia spalla destra, era ciò che di imortante c’era nella mia vita.
“Edward?” Sussurra Bella con la voce di chi si è appena svegliato.
“Buon giorno” Mormoro a bassa voce per paura di darle fastidio.
Apre gli occhi, li richiude, con le mani li stropiccia e infine, il momento che aspetto da circa dieci ore arriva, apre gli occhi e mi guarda, poi sorride.
“Buon giorno. Che ora è?”
“Sono le dieci del mattino.” Con il palmo della mano si colpisce la fronte.
“Oddio! Ho dormito per tutto il tempo. Che delusione!” Esclama infine indegnata. Scuoto la testa e sorrido. Ma un sorriso vero, spontaneo, non forzato o fatto per far felice gli altri.
“Stai tranquilla! E poi ho guidato, non ero di compagnia nemmeno io”. Mormoro.
Guarda d’avanti a sé, poi si abbassa sul sedile, regalandomi la visione del suo lato B. Prende il termos con il caffè e lo beve direttamente da lì.
“Dove siamo?” mi chiede dopo un po’ mentre accende una sigaretta.
“ A Seattle, stiamo per arrivare a destinazione finalmente” sussurro più a me stesso che a lei.
Annuisce e appoggia la schiena sul sedile. Dopo pochi minuti sento la sua mano sui miei capelli.
“Ti da fastidio?” mi chiede innocenetemente. Scuoto la testa, altrochè, tutt’altro che fastidio. La sua mano che si insinua tra i miei capelli, per dei piccoli attimi mi fa sentire in pace, tranquillo. Avevo avuto tanti tipi di rapporti diversi con delle ragazze, che credevo di amare, ma che poi scoprivo che non era così. Con lei è diverso, c’è qualcosa di giusto, forse contorto o strano, ma sembra che la sua vicinanza sia ormai necessaria. E non mi dispiace.

 
**
 
“Bella!” Urla Alice abbracciandola. Dopo essersi staccata dall’abbraccio con Bella la guarda, ma con uno sguardo tra il sorpreso e lo schifato. Bella guardandola scoppia a ridere.
“Ero in macchina. Non potevo mica mettermi il vestito da sera.” Dice ad Alice ridendo ancora, Alice annuisce e le prende la mano, iniziando a farci girare il campus.
Dopo mezz’ora Alice ci porta in un bar. Prendiamo un semplice panino tutti e tre.
“Allora. Quando hai l’appuntamento con quell’avvocato di cui mi parlavi?” Mi chiede Alice interessata. Bella ci guarda normalmente.
“Oggi o domani, deve inviarmi una mail di conferma”. Alice annuisce e inizia a parlare con Bella. Un ragazzo biondo e smilzo si avvicina a mia sorella e l’abbraccia da dietro. Alice alza la testa lateralmente e lo bacia. Ma chi è questo?.
“Edward, Bella. Lui è Jasper, il mio ragazzo!” trilla felice. Bella sorride e va a presentarsi, io mi alzo e gli porgo la mia mano rigidamente.
“Piacere di conoscerti” Mormora il ragazzo, io annuisco e torno al mio posto. Lui casualmente, credo, si siede al mio fianco. Quando mi accorgo che Alice non mi sta guardando sussurro ‘ Sta attento con  mia sorella’ nell orecchio del ragazzo. Lui deglutisce e mi guarda annuendo.
Dopo due ore circa decidiamo di andare in albergo per riposarci un po’. Alice  scrive l’indirizzo dell’albergo su un foglio e partiamo verso L’Heathman Hotel.
“Sei stanca?” Chiedo a Bella dopo essere entrati sull’ascensore. Lei annuisce chiudendo gli occhi e appogiando la testa sulla parete dell’ascensore.
Dal primo momento in cui la vidi, avevo sentito quella scarica di un’ispiegabile attrazione, ma non immaginavo che giorno dopo giorno ne avrei desiderato di più.
Più di una carezza.
Più delle nostre labbra che sfiorano la guancia.
Più degli sguardi complici e inspiegabili.
E’ solo che quando sono con lei, mi sento intero, come se potessi vincere da solo contro il mondo intero, mi da forza inconsapevolmente.
Avete presente quando sorridete senza accorgervene? Quando pensate a quella determinata persona e sorridete? Quando la immaginate con la sua goffaggine e la sua eleganza contemporaneamente?
All’inizio credevo che era per la novità, credevo che ci pensavo perché è una Bella persona sia fuori che dentro, credevo, credevo, ma invece mi sbagliavo. Quella volta che mi ha guardato per la prima volta è stato un colpo letale, mi è entrata dentro, o forse sono stato io che l’ho accolta dentro di me senza alcuna richiesta, è una specie di sincronismo che ci unisce, non so cosa sia, ma è forte e inspiegabile.
L’ascensore si ferma e le porte si aprono. Entriamo nella nostra stanza, è davvero bellissima.
All’entrata c’è un salottino con due divani molto grandi dorati, così come le tende e la tovaglia del tavolo rotondo che c’è al centro della stanza.
A destra del salotto c’è una stanza da letto, il corpiletto è color avorio come le tende l’armadio e i comodini, a Sinistra c’è un’altra stanza uguale, all’angolo del salotto c’è una porta che rivela un bagno magnifico. La vasca è gigante, il lavandino anche, le piastrelle sono verdi ed i pezzi sanitari bianchi. E’ davvero molto bella.
“Ti piace?” Chiedo a Bella intenta a guardare una delle camere da letto, lei si gira e le sua guance si colorano di rosso immediatamente, poi annuisce.
“E’ stupenda” risponde affascinata. Un tuono ci fa sobbalzare.
Mi avvicino alla finestra, sta iniziando a piovere.
“Io vado a farmi la doccia” Annuncia uscendo dei vestiti dalla sua valigia.
Annuisco, ma continuo a guardare fuori dalla finestra. Dopo la morte di George non sono mai più tornato a Seattle, guardo il cielo, lo stesso che adesso ha il mio migliore amico con sé, lo stesso che mi ha tradito, lo stesso che spero saprà ripagarmi facendomi incastrare quel lurido bastardo che me lo ha portato via.
“So a cosa stai pensando” Mormora Bella, facendomi sobbalzare. “ Vorresti morire, il dolore brucia dentro. Non riesci a sorridere davvero, credi che nessuno potrebbe mai capirti. Credi che per sconfiggere il tuo dolore ti basterà mandare in galera chi te lo ha portato via. Ma non è così sai? Il dolore è il sentimento peggiore che noi, esseri umani possiamo provare, è qualcosa di assurdamente identificabile nell’altro se tu stesso lo provi. E non puoi sconfiggerlo, può diminuire, ma non morirà mai. Una volta che ti entra dentro non esce più…ogni minima cosa ti farà pensare la causa del tuo dolore. Non voglio disturbarti o comunque darti delle pillole di saggezza. Voglio solo dirti che io ci sono, che ti capisco e, che anche se molto probabilmente non ci sonosciamo molto bene, io so quello che pensi quando guardi il cielo..o..o se magari danno la notizia in tv di un’aereo che precipita, voglio solo dirti che impazzire di dolore non serve a nulla, anche se è molto difficile. Provaci, io lo sto facendo” Butta l’aria che ha trattenuto nel parlare e la porta del bagno si chiude.
Mi siedo sul divano e porto le mani tra i miei capelli.
Sapevo che lei aveva provato una sorta di dolore, ma mentre parlava nei suoi occhi, nella sua voce, capivo che il mio, di dolore, è molto minore al suo. Non so cosa le è successo, ma appena lei si sentirà pronta di farmelo sapere insieme lo sconfiggeremo, anche come semplici amici, ma possiamo aiutarci solamente tra di noi, solo chi può capire può aiutare.
 
**
Bella’s Pov
Sono già dieci minuti buoni che insapono sempre la stessa parte del mio corpo.
Ho sbagliato a dire quelle cose ad Edward?
L’ho visto lì, impalato d’avanti alla finestra, il mio istinto mi diceva di correre ad abbracciarlo, ma la ragione ha deciso di parlare per me.
E non capisco come io possa aver detto quelle parole, se, molte volte non ci credo nemmeno io. In quel preciso istante in cui la mia bocca si è aperta, mi sono sentita come se d’avanti a me non ci fosse Edward, ma me stessa. Ho visto il mio dolore su un’altra persona. Non mi era mai successo nemmeno con mia madre. Credevo che nessuno potesse capire me più di lei, credevo che il suo dolore è più forte del mio. Invece Edward ha perso il suo migliore amico. Ma non era un semplice migliore amico come solitamente usano i ragazzi. Era come un fratello, era una parte del suo essere. Ero rimasta sorpresa quando avevo visto la luce dei suoi occhi mentre parlava di Alice, quando invece mi ha parlato di George era come se stesse parlando un padre fiero del figlio.
Ha perso una parte importante della sua vita, come me. E molte volte non importa se è un’amico o un fratello o un semplice parente. E’ il legame che viene spezzato, ed è qui che io penso: Cos’è il mio dolore? Se io non ho realmente conosciuto lui?
Scuoto la testa avvilita e chiudo l’acqua. Mi vesto velocemente ed esco, trovo Edward seduto sul divano che legge un giornale. Sono ancora le quattro del pomeriggio.
Mi siedo a finco a lui e lo guardo. Dopo pochi minuti si gira verso di me. Ci guardiamo negli occhi, che sembrano conoscersi da una vita tanto è simile l’essenza, e mi sento come se la forza di gravità non esistesse più, sento che potrei volare, saltare per poi non ricadere, perché c’è quello sguardo che sto imparando ad amare.
“Scusa per prima” Sussurro abbassando per prima lo sguardo e portandolo al pavimento.
“No. Mi sei stata molto d’aiuto davvero. MI capita spesso di incantarmi e deprimermi più del dovuto. Anxi mi dispiace che tu mi abbia visto” Mormora piano. Lo abbraccio senza pensarci o rendermene conto davvero.
“Io ti capisco. Non preoccuparti” sussurro sul suo collo che profuma di buono, ci strofino il naso e mi sento a completo agio. Non sono mai stata bravo con i ragazzi che mi piacevano, certo non capitava molto spesso che potesse interessarmi un ragazzo. Non sono il tipo da ‘innamoramento’ ma con lui tutto quello che dico o faccio è naturale, non c’è né una forzatura e né nulla che mi impedisce di fare quello che faccio. E’ una cosa normale, almeno per me.
“Prima o poi dovrai spiegarmi come fai?”mi domanda sorridendo.
“Cosa?”
“Come fai a dirmi tutto quello che voglio che mi dicono quando voglio. Come fai ad essere così forte se mi sembri tanto fragile, come fai a farmi impazzire con un solo semplice gesto” alla sua ultima affermazione arrossisco ma non mi sposto, non voglio.
“Non lo so. Questa sono io credo..ma solo con te” dico dopo attimi di attesa. Mi accoccolo meglio sul suo petto e leggiamo il giornale insieme.
La pioggia batte forte sulle finestre, mi piace la pioggia. A Los Angeles non cade molto spesso. Dicono che molte volte la pioggia intristisce lo stato d’animo, io credo che sia un’ottima distrazione, il ticchettio che molte volte sembra incessante mi rilassa, mi concentro sul quel piccolo e insignificante rumore e mi sento calma. Ci vorrebbe forse un po’ di pioggia in più nella mia vita.
“Dovremmo andare” Sussurra Edward dopo un po’. Annuisco e mi alzo, la sua mano afferra il mio polso ed io d’istinto mi volto a guardarlo.
“Sei bella” Afferma sorridendo.
“Anche tu” dico dandogli un bacio sulla guancia.
Prima o poi morire d’autocombustione, lo so.
Dopo essermi sistemata velocemente siamo sulla sua auto. Parte e dopo circa mezz’ora siamo arrivati. Siamo d’avanti ad un grattacelo minimo altro trenta piani. Iniziamo a camminare l’uno a fianco dell’altro. Entriamo nell’atrio del grande palazzo e prendiamo l’ascensore. Io non chiedo niente, lui non mi dice nulla. L’ascensore si ferma al ventiduesimo piano e un corridoio lunghissimo e ampio ci accoglie. Ci fermiamo due porte dopo l’ascensore e leggo la targhetta d’ora attaccata elegantemente alla porta. ‘Avv Richard Nelsed’. La mia curiosità aumenta, ma taccio ugualmente. Una ragazza molto bella, con dei lunghi capelli color mogano ci accoglie. Non è molto alta, ma è devvaro molto magra. Ci sorride e ci fa accomodare nella sala d’aspetto.
“Siamo qui per maggiori informazioni” Mi informa Edward una volta seduti. Io annuisco.
“Edward Cullen?”Chiama una voce sconosciuta, calda e composta.
Edward si alza e mi guarda chiedendomi di fare lo stesso. Lo seguo ed entriamo nello studio, che credo che sia dell’avvocato Nelsed.
“Prego accomodatevi”. Noi prendiamo posto e lo guardiamo.
Edward porge dei fogli al signore che prende i suoi occhiali – che fino a pochi secondi prima pendevano nel suo collo- e inizia a leggere. Guardo Edward mentre fissa quei fogli, le sue mani non stanno un’attimo ferme, toccando prima la sua coscia, poi il ginocchio, è nervoso. Si passa una mano tra i capelli e sospira pesantemente.
Prende una sua mano tra le mie e l’accarezzo. Lui mi guarda e mi fa un sorriso tenero.
“Avvocato Cullen. Questo caso è stato aperto innumerevoli volte, purtroppo il Signor Juker ha le spalle coperte. C’è chi dice che ha pagato il suo sbaglio, c’è chi dice che è uscito tramite una cauzione pagata dal figlio. Ma vede, è un caso ormai archiviato da tre anni, io l’ho studiato personalmente. Avevo una coppia che era su quell’aereo quel giorno, la moglie era gravida e ha perso il bambino, ma non ho potuto fare nulla, i giudice era dalla sua parte, è stato in carcere per due anni poi è uscito. Fortunatamente non ci sono stati tanti morti se non uno, ci sono stati feriti gravi, che poi si sono rimessi non mostrando danni permanenti gravi…” Edward interrompe Richard alzandosi.
“Cosa sta dicendo? Sono morte almeno dieci persone su quell’aereo. Non possono davvero credere di fargliela passare liscia..”
“Signor Cullen, scusi se mi permetto, ma lei questo caso lo conosce davvero bene?” Chiede con tono grave ad Edward.
“Si, almeno, mio padre lo ha avuto tra le mani, adesso sono quasi due mesi che mi ci sono messo io, le informazioni le ho prese tutte da mio padre”.
“Signor Cullen, forse suo padre si è confuso. Quel giorno c’è stato solamente un morto. Georg…”
“LO SO! Ma sapevo che ne erano morti altri, io non capisco”. Urla ancora Edward. Sono confusa non sto capendo più nulla. Quanti morti ci sono stati quel giorno? Edward sa davvero le cose come stanno? Oppure, questo avvocato è un’altra spalla destra dell’assassino di George.
“Signor Cullen, credo che comunque Juker debba pagare, ha sempre ucciso un ragazzo. Non riesco a concepire il fatto che lui sia ancora libero”.Mormora dispiaciuto Nelsed.
“La ringrazio davvero tanto. Adesso vado ad informarmi da un’altra parte. In tutti i casi ho il suo indirizzo e il suo recapito telefonico”. L’avvocato annuisce e ci saluta.
**
“No. Papà, tu dovevi dirmi tutta la verità. Non ha un cazzo di senso, perché lo hai fatto? Si ha importanza” Chiude il telefono e con forza lo fa schiantare sul pavimento. Si siede sul divano e inizia a singhiozzare.
Mi siedo accanto a lui e gli accarezzo dolcemente la schiena.
“Vedrai che una soluzione c’è” mormoro con il timore che possa mandare a quel paese anche me.
“No..non c’è nulla da fare. E’ MORTO SOLAMENTE LUI CAPISCI?PERCHE’? CAZZO!” la sua voce è furiosa, disperata.
“Edward ti prego calmati” lui mi guarda e la sua visione che piange fa’ scappare una lacrima dai miei occhi.
“E’ morto solo lui quel giorno? Tuo padre te l’ha confermato?” lui annuisce e mi fissa.
“Troveremo un modo. Siamo solo al primo giorno. Vedrai”. Mi. abbraccia con forza appoggiando la sua fronte sulla mia. Poi in un solo attimo, mi da quello che aspettavo dal primo momento.
Le sue labbra toccano delicatamente le mie, sembrano di seta. Le avevo immaginate morbide ma non così. La sua lingua conosce la mia e finalmente mi sento bene.
 
 
 

 

 
Primo: Perdonate il ritardissimo, ma non ho avuto il materiale per scrivere >.<.
Secondo: E’ corto, anzi peggio, ma piùdi così non ho potuto fare, ho un certo epilogo in mente ç___ç
Terzo:Spero che vi sia piaciuto ugualmente, lasciatemi comunque un pensiero :D ci tengo eh?
Okay, ma ne vado che non ho tempo, spero di non farvi aspettare molto per il prossimo.
A presto spero, Roby- <
3

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Capitolo 7
*** You take my breath away ***


 

Love save the pain.

 

You take my breath away.

 

 

Un mese dopo.

 

 

 

 

Edward’s Pov.

Un mese. Un fottutissimo mese, dove ancora non ho ricevuto risposte, o magari qualche suggerimento utile. Un mese in cui mi sono sentito la persona più inutile dell’universo.
Tutti i giorni, nuovi appuntamenti, nuove conoscenze, nuove scoperte.

Inutili.
Tutto inutilmente vero. Come un film, un po’ falso, un po’ meno vero.
Sono incazzato, con il mondo, con tutto ciò che mi circonda. Spaccherei tutto, ma poi, mi rendo conto che non posso reagire negativamente.
Ho promesso che avrei fatto giustizia.
Ho promesso che serei stato forte.
L’ho promesso a 
lui, non posso tirarmi indietro. Non voglio.
Apro la portiera della mia auto e mi dirigo in albergo, dove Bella mi aspetta.
E’ l’una di notte, e mentre mi era appena arrivata una mail inutile, sono fuggito incazzato nero, lasciandola lì confusa e spaventata.
Se in questo mese non sono impazzito lo devo a lei. Al suo modo dolce e divertente di interpretare la mia rabbia, al suo modo di rendere bella ogni cosa. Forse ho sbagliato ad andare via così, forse questa volta non mi accarezzerà la schiena e mi dirà ‘ andrà tutto bene’. Sono stato uno stronzo, per la prima volta in vita mia, mi sono accorto che il mio modo di fare non sempre è corretto.
Credevo di essere una persona corretta, credevo che tutto ciò che facessi era giusto. Adesso, in questo preciso momento mi sono reso conto che molte volte ho sbagliato.
Ho sbagliato a credere che avrei potuto incastrare quello stronzo da solo.
Ho sbagliato quando una ragazza mi amava ed io ci mettevo più tempo del dovuto per accorgermi che io non ricambiavo.
Ho sbagliato quando credevo che George ed io saremmo rimasti per sempre insieme.
Ho sbaglito con mia madre, l’ho fatta soffrire facendola assistere a tre mesi di terapia psichiatrica.
Ho sbagliato a non accorgermi subito dove sbagliavo.
Ho sbagliato a dare per scontato Bella.
Afferro la chiave magnetica della suite, la striscio sull’apposita serratura ed entro piano.
“Ti sembra il modo?” Sussulto sentendo le urla di Bella.
“Non urlare, è tardi” Sussurro non guardandola negli occhi, ho paura di vedere la sua rabbia e poi addormentarmi con quella visione.
“Guardami! E’ tardi? Dirmi che è tardi è una scusa plausibile secondo te?” Urla ancora, facendomi accorgere di quanto male mi faccia la testa.
“Cazzo! Non urlare, e poi che cosa vuoi eh?” Mi avvicino a lei, sempre senza mantenere il contatto visivo.
“Cosa voglio? Senti Edward, il fatto che tu sia il mio capo non ti permette di trattarmi in questo modo!” Urla, urla, solo urla. Senza senso, ah bene, sono il suo capo adesso? Non sono più l’Edward che le scalda i piedi sul divano, non sono più una delle persone più dolci che lei abbia mai incontrato, non sono più la persona che bacia, anche senza apparente motivo? Benissimo.
“Si esatto! Cosa vuoi? Sono tornato tardi allora?  Che cazzo vuoi da me? Posso fare quello che voglio, non devo rendere conto a te” Urlo anch’io ormai senza rendermene conto.
“Senti stronzo imbecille che non  sei altro, e dopo questa puoi anche licenziarmi, altrimenti lo faccio io. Mi hai lasciata come una fottuta stronza impaurita, sei uscito per tre ore, di notte, senza dire o fare niente. Perdonami se mi sono solo preoccupata per te” Sbotta sbattendo la porta della sua piccola camera da letto.
In questo ultimo mese il nostro rapporto si era come...fortificato. Avevamo trovato entrambi una specie di punto di forza, avevamo parlato di tante cose che giravano attorno all’essere noi stessi, ma mai ci siamo apinti oltre, non abbiamo ancora voluto affrantare il nostro dolore con l’altro. Io in parte l’ho fatto, lei per qualche motivo non ci riesce, arriva sul punto dove credo che sta per scoppiare per poi cambiare assolutamente discorso dalla A alla Z. Adesso quella lastra sottile di rapporto, che insieme avevamo costruito, si era distrutta, frammentata, uno stupido litigio mi ha fatto capire quanto stupido sia molte volte il mio comportamento.
A volte mi sono chiesto come mai io fossi sempre solo, a parte George. E la verità è che il mio carattere di merda tende ad allontanare da me le persone, solo chi davvero vuole rimane. Come la mia famiglia, come George.

 

 

“Buongiorno” Sussurro sopo aver aperto la porta di Bella , con la colazione tra le mani. Lei si alza, si passa una mano tra i capelli, che non sembrano proprio capelli e si stropiccia gli occhi. Inizialmente mi sorride, ed io ricambio sperando che non abbia dato tanto peso alla discussione di  stanotte.
Il suo viso si indurisce e si allontana.
“Esci!” Urla con la voce roca.
“No, sono qui per chiarire, ti ho portato..”
“Privacy!” Esclama interrompendomi. Appoggio il vassoio al letto e mi avvicino a lei.
“Senti Bella, io so di aver sbagliato lasciami solo..-”
“No. Senti Edward puoi fare quello che vuoi io non sono nessuno per impedirlo, ma io non sono una di quelle che trovi per la strada! Non  puoi andare via così come se fossi appena uscito da una rissa e mancare per tre ore. Il nervoso mi ha mangiato lo stomaco, almeno dire ‘Ehi stronza esco un po’ ’ cavolo credevo di aver fatto qualcosa di sbagliato”. Sbotta iritata.
“Bella, scusa io non..” Sospiro un attimo e la guardo, poi continuo. “ Scusa se sono stato uno stupido, ma è un mese che tutto va male, siamo venuti qui per qualcosa che fino ad oggi è risultato solo un errore, che le cose che abbiamo saputo potevamo saperle anche a Los Angeles. Scusa se sono scappato così, scusa se non ho rispettato te lasciandoti come una cogliona sul divano a guardarmi sorpresa. Ma il problema è che io ho questi scatti di pazzia, come quella di tutti, e come quella tua la mia pazienza ha un limiti, mi dispiace solo che sia successo d’avanti a te”. Sussurro oprendendole le mani.
“No è che..io ho urlato in quel modo perché..” Le scappa un singhiozzo e per la seconda volta la vedo piangere d’avanti a me, senza saperne il motivo, credo.
“Non sono mai stata tanto lontana dal…Scusa è che, è un mese ormai,  non credevo fosse passato così tanto tempo è solo che…” Le sue frasi sono sconnesse, vorrei chiederle di dirmi cosa la fa stare così male, cosa le è successo per cui lei debba soffrire in qusto determinato modo, capire ciò che l’ha ferita così profondamente in modo di aiutarla, come lei sta facendo con me, inconsapevolmente.
Asciuga le lacrime con una mano e mi abbraccia.
“Siamo degli stupidi” Mormora ridendo. Ed ecco che torna in un baleno come prima, come se non avesse pianto, come se lei stessa bene, senza avere l’anima macchiata di dolore profondo
Iniziamo a consumare la nostra colazione, direttamente sul suo letto.
“Senti stasera ti va di uscire, a cena intendo?” Le chiedo di punto in bianco. Lei mi sorride e annuisce.
“Uh, cos’è un primo appuntamento tra due persone che si piacciono o è una cena di lavoro?” Mi chiede divertita.
“Entrambe le cose, non è mica colpa mia se ho la segretaria più intelligente e bella del pianeta” Ribatto facendo imporporare le sue guance di rosso. Finiamo la colazione e Bella va’ a farsi la doccia.
Dopo qualche ora, mentre invio una mail ad un avvocato di Seattle, la sento sbuffare. Mi avvicino a lei, ma me ne pento immediatamente quando la vedo in asciugamano.
“Ehm..” Mi schiarisco la voce. “ Hai bisogno?” Lei mi guarda con una piccola V disegnata in fronte.
“Non ho portato niente di elegante con me” Mi dice tristemente.
“Allora vestiti che usciamo no?”
“Tu odi lo shopping” Afferma confusa.
“Tu non sei Alice” Le dico in tono divertito.
La sua mano scioglie il nodo della tovaglia mentre io deglutisco.
L’asciugamano cade per terra e…non succede nulla.
Alla mia espressione, che sarà un misto tra imbarazzo e delusione, scoppia a ridere.
“Ti sarebbe piaciuto eh?” Dice tra le risate. Certo non capita tutti i giorni vederla in asciugamano, soprattutto se sotto ha i vestiti! Insomma chi si tiene l’asciugamano se sotto è vestita?!
“Non lo nego” Ammetto confuso dal suo modo di vestirsi.
“Ehi guarda che era uno scherzo, volevo vedere come avresti reagito” Mormora guardandomi e mordendosi il labbro.
“Andiamo, prima che i tuoi vestiti facciano una brutta fine” Scoppia a ridere e prendendomi la mano usciamo.
Questo è diventato il nostro modo di dialogare tra di noi. Entrambi avevamo capito l’attrazione che provavamo verso l’altro, non c’era motivo di nasconderlo. Questa è la Bella di tutti i giorni, la Bella che si nasconde dietro se stessa per venire fuori quando non è sola.

 
“Quello ti piace?” Le chiedo per la trentesima volta, lei scuote la testa ed io sbuffo, non è come Alice, ma si avvicina molto.
“Senti deve essere un colpo di fulmine okay? Deve piacermi quando lo vedo” Ammette decisa iniziando a guardarsi intorno, per l’ennesima volta, dentro l’ennesimo negozio.
Dopo due ore si avvicina a me, fuori intento a fumare una sigaretta, sorridente.
“Trovato tutto?” Le chiedo lei annuisce ed io sospiro sollevato, finalmente!
Ci infiliamo in macchina e ci avviamo verso l’albergo.

 

 Deglutisco con forza, alla visione di Bella con il nuovo abito. Non è mai stata – almeno da quano la conosco- un tipo di persona a cui piace vestirsi elegante. Fuori dall’orario di lavoro, indossa delle tute o dei jeans con un T-Shirt sopra, ma oggi, adesso, vorrei rimanere a fissarla per tutto il tempo.
Indossa un abito blu scuro, lungo fino a metà coscia,  una scollatura – che lascia poco all’immagginazione- a forma di cuore dai seni in giù. I suoi capelli sono elegantemente slegati e tirati indietro da un piccolo cerchietto. Le gambe, così liscie e fottutamente perfette sono nude. Ai piedi indossa delle decolleté nere, non molto alte. Sorrido è perfetta.
“Sei bella” Sussurro, lei si imbrazza e mi viene incontro senza parlare. Afferra la mia mano e usciamo. Nella Hall dell’Heatman Hotel tutti ci guardano compiaciuti., ovviamente fuori sembriamo una coppia, e con sincerità assoluta questa cosa non mi dispiace affatto.
In questo ultimo periodo ho fantasticato molto su di me e Bella. Ogni volta che penso ad un noi, o semplicemente a me insieme a lei sono felice, anzi no, provo un’emozione che fino ad oggi mi appare sconosciuta. Sto bene, con lei, sono me stesso.
Ogni tanto mi capita di essere un’altra persona quando sono in compagnia di nuove persone. Cerco di adattarmi alle persone che mi circondano, cerco di sembrare quello che a loro potrebbe piacere. Tutti mi hano sempre detto che sono un bel ragazzo, tutti hanno sempre cercato di far salire la mia autostima. Ma io sono sempre stato così insicuro di me stesso, come se non fossi mai abbastanza. Ho sempre avuto il terrore di non piacere agli altri, anche a le persone che non mi erano poi così tanto vicine. Solamente con una persona sono sempre stato me stesso George, e adesso con Bella. Tutto quello che mi viene di dire o fare al momento lo faccio, senza preoccuparmi del suo giudizio.
Forse perché la maggior parte delle volta, qualsiasi cosa mi succeda lei è lì pronta a consolarmi o semplicemente a consigliarmi, o forse è perché dal primo giorno che l’ho vista, ci ho visto me stesso dentro i suoi occhi.

 

Dopo aver ordinato il cameriere del Wild Ginger Restaurant va’ via lasciandoci soli. La sala è molto grande, ci sono dei tavoli vicini tra di loro, altri più appartati. Noi siamo in un tavolo – troppo grande per due- situato in un piccolo, ma elegante, angolino della sala. Mia sorella mi ha detto che questo è uno dei Ristoranti più belli della città, credo che aveva ragione fino ad adesso, è molto arioso e luminoso, c’è un silenzio confortante, si sente solamente il ticchettio delle forchette che si adagiano ai piatti.
Bella si guarda intorno ed i suoi occhi sono lucidi, ma non di pianto o di emozione. Sembra…felice, sembra contenta, ed io sono contento se è davvero così.
“E’ stupendo qui” Annuisco e prendo la sua mano. Forse il mio gesto sembra troppo prematuro, forse è sbagliato, forse le da fastidio, ma perché farmi tutte queste domande quando sia la ragione che l’istinto mi dicono di fare così. Lei mi sorride e mi guarda.
La cena passa tranquilla, con qualche sorriso e qualche commento sul cibo delizioso. Tutto sommato ci siamo divertiti. Usciamo dal ristorante complimentandoci con il cuoco e con tutto il personale davvero gentile e molto formale.
Fuori dal ristorante c’è una bellissima, quanto grande fontana, le luci che spuntano dal suolo sono bianche e sembrano piene di brillantini . Lo scenario è perfetto.
Appoggio le mie mani suoi suoi fianchi e l’avvicino a me, sento il suo respiro entrare nella mia bocca. Ho già l’acquolina la voglia di baciarla è indescrivibile. Non so se è amore, ma so che è qualcosa di profondamente bello e sincero.
“Mi piaci da impazzire Bella” Sussurro rocamente al suo orecchio. LE mi sorride, contagiando anche gli occhi e si avvicina al mio orecchio.
“Anche tu. Edward” Sussurra il mio nome sensualmente, ed io mi riscaldo immediatamente come poche volte, forse mai, mi era capitato. Morde dolcemente il lobo del mio orecchio e lì sento che sto per morire.
Affero con forza la sua nuca e l’avvicino a me. Il respiro le si mozza in gola e io ne approfitto per avvicinare le sue labbra alle mie.
Il bacio è passionale, ma lento.
E’ come un ballo sensuale, ma che assapori lentamente.
Dischiudo le labbra e le nostre lingue si incontrano, e si sincronizzano tra di loro.
Il suo corpo è attaccato al mio, i suoi seni sono schiacciati nel mio petto. Le sue mani iniziano a torturare i miei capelli, scompigliandoli più degli altri giorno. C’è silenzio, si sente solo lo schioccare delle nostre labbra e i nostri sospiri.
La desidero come se fosse l’aria che si respira. La desidero come un cieco desidera la vista.
Mi annebbio e penso solo a me, a lei, insieme felici. Siamo uniti da qualcosa di magnifico, sento che per me sta diventando qualcosa di fondamentale. E’ importante, ormai è dentro di me.

 

“Alice?” Mi chiede ingoiando l’ultimo pezzo di briosce che le era rimasta.
“Oggi è libera, se vuoi puoi chiamarla e passare un po’ di tempo con lei”. Lei annuisce e inizia a sorseggiare la sua spremuta.
“Io devo uscire, ma puoi rimanere qui se ti va. Sono sicuro che sarà un’altra passeggiata inutile”. Lei mi guarda e sospira.
“Sta tranquillo, non essere così pessimista. Vedremo come andrà oggi, se andrà male ritentiamo. Poi non potresti chiamare tuo padre?”
“Si. E’ una buona idea” Sussurro. Non sento mio padre dal mese scorso, ero così arrabbiato con lui, lo sono ancora adesso ma un po’ meno, ho provato a mettermi nei suoi panni, e se fosse morto un suo amico nello stesso modo di George, forse anch’io avrei omesso qualche particolare.

 

 

“Stiamo cercando dei fascicoli che potrebbero incastrarlo. Vede questa ragazza” L’avvocato Price mi mostra la foto i una ragazza, avrà appena 16 anni, è bionda e un po’ magra.
“Ecco lei dice che quest’uomo abbia cercato di violentarla, aveva dei guanti quindi non ci sono impronte, né tantomeno testimonianze. Se è come sappiamo più o meno tutti, cioè che quest’uomo abbia tanti di quei casi, che è impossibile contarli, che sono stati archiviati, potrebbe essere che la ragazza venga creduta, in modo da sbatterlo finalmente in galera” Mormora finendo il suo piccolo ma intenso discorso.
Racconto la vicenda di George, anche se mi viene doloroso farlo, è strettamente necessario. L’’avvocato dice di conoscere questo caso, e anche lui come altri mi hanno detto, dice che è coperto bene, che abbia corrotto molti giudici e avvocati. Sembra strano, sembra impossibile, ma una persona che si sbronza poco prima che faccia partire un aereo, potrebbe fare di tutto a parere mio.
“ Bene. Possiamo vederci qui la prossima settimana, ci saranno una serie di avvocati, ognuno con il suo fascicolo, dopodiché faremo un’istanza al giudice per riaprire il processo” Annuisco e stringo la mano all’uomo che dopo un mese è riuscito a farmi sperare ancora.

 

Apro la porta con la mano sinistra , la destra è occupata da un costosissimo spumante dolce, acquistato apposta per l’occasione.
“Bella!” Esclamo euforico, ma quando sento dei singhiozzi attraverso la porta del bagno mi preoccupo.
Giro la maniglia ma niente, non si apre. “Bella apri!”.
“Si un attimo” mormora dall’altra parte rocamente. Sento l’acqua del lavandino scorrere e dopo pochi minuti la chiave girare nella toppa del bagno.
“Ehi ciao” I suoi occhi sono rossi e gonfi, sono sicuro che ha pianto per tutto il tempo che non ci sono stato, circa due ore. La sue espressione è quasi serenamente mascherata.
“Che succede?” Le chiedo dolcemente. Lei si guarda intorno e sospira.
“N-niente perché?” Sussurra impercettibilmente, sta mentendo, ormai lo so, l’ho capito.
“Se non succede niente perché ti ho trovato in una crisi di pianto?” La mia voce è ancora dolce, ma sale di qualche ottava.
“Scusa. Non è niente” Mormora sorpassandomi, io afferro il suo braccio e lei istintivamente si gira.
“Bella. Tu stai male, cosa c’è che non va? Se non vuoi dirlo a me, chiama tua madre, Jacob o Angela o Alie, non lo so, ma ti prego non voglio vederti così” Sussurro disperato, la sua faccia si riga di lacrime silenziose, quelle più dolorose.
“Bella..”
“Ti prego, non dire niente. Non posso..”
“Cosa Bella, cosa non puoi? Che succede?” Urlo disperatamente.
“Succede che mi manca! Mi manca terribilmente, credevo con tutta me stessa che c’è l’avrei fatta, ma non  è così..” Un altro singhiozzo.
“Chi Bella?” Dico con voce grave mettendomi le mani nei capelli, non sto capendo più nulla.
“Mi manca da sempre Edward. Sono passati sedici anni, ma ogni anno la lama del coltello arriva più in profondità della volta precedente. Mi manca passare con lui l’ora di pranzo, mi manca capire che lui c’è stato davvero, che ci siamo l’uno per l’altra anche senza vederci. Mi manca la sua voce che non ricordo più, mi manca il suo sorriso. L’ho abbandonato insieme alla certezza che io lo senta dolorosamente dentro di me” Si accascia al pavimento piangendo,. Non le chiedo niente. La prendo tra le mie braccia e mi siedo sul divan cullandola. Bacio la sua frobte innumerevoli volte e dopo qualche minuto apre gli occhi.
I suoi occhi si specchiano nei miei, ci vedo sincerità, rabbia e immenso dolore.
“Mio padre era la mia vita.. la stessa vita che me lo ha portato via”

 

 

 **

 

Buonasera! Allora, perdonate il ritardissimo, ma diciamo che non è uno dei periodi migliori.
L’altra FF è finita, quindi adesso ho molto più tempo da dedicare a questa.
Al momento non scriverò altre Ff, quando questa sarà quasi alla fine, forse né scriverò un’altra.
Sicuramente prima di natale non aggiornerò quindi BUON NATALE A TUTTE. Che sia un felice natale per tutti, che porti felicità a chi non ne ha, che porti speranza e che vi sia d’aiuto.
E anche FELICE ANNO NUOVO. Il ventisei parto e torno l’undici Gennaio, non so se mentre sono in vacanza scriverò…penso di sì, ma niente e sicuro. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e bè, fatemi sapere :')
Un bacio.
Grazie

Roby!

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Capitolo 8
*** Pain is so close to pleasure. ***


 

 

 

 

Love save the pain.

 

Pain is so close to pleasure

 

 

 

Bella’s Pov

Ci sono quei momenti in cui rifletti se affidare la vita al destino. Io avevo deciso, inconsciamente, di rendere Edward parte della mia vita, del mio dolore.
Per anni, se non con poche persone, non ho mai tirato davvero fuori tutto il dolore che mi perseguita. E’ un male che non mi sono causata da sola, anzi. E’ il destino, o qualsiasi cosa che ci rende partecipi del futuro. E’ stata una perdita improvvisa, senza sapere come né il perché. Da piccola mi chiedevo sempre se la colpa della sua scomparsa era la mia, pensavo sempre; Forse mi sono comportata male negli ultimi mesi, forse ho fatto troppi capricci, credevo che Dio me l’avesse fatta pagare in questo modo. Ero solo una bambina di sei anni, non capivo il senso della vita, e quindi del male e di tutte le conseguenze che porta con sé.
Edward mi guardava, non mi forzava, ma era addolorato. Così decisi di parlarne con lui, di sfogarmi e finalmente forse riuscire a trovare un po’ di luce, anche se per pochi attimi.

 

31 Marzo 1992 LA

Quel giorno, Charlie e il suo amico John si organizzarono per la loro imminente battuta di pesca. Il lavoro scarseggiava, avevano la passione –tramandata dai padri- di lavorare nel mondo della pesca. Tante volte tornavano sorridenti dopo due settimane, il peschereccio spesso era appesantito da quintali di pesce. Il loro vivere glielo costruiva il mare, ma a loro stava bene così.
Quel giorno non sarebbero partiti per settimane, ma solo per 24 ore. Il meteo aveva previsto bonaccia fino all’indomani. All’una e mezza del pomeriggio, Charlie si recò con Reené a scuola. Quando Charlie non era a lavoro gli piaceva sorprendere la figlia facendosi trovare fuori da scuola. Isabella, che con suo padre aveva un legame più forte di quanto si potesse immaginare, erano felici se avevano l’altro a fianco. Si recarono a casa e Charlie iniziò a prepararsi la borsa per andare a lavoro.
Isabella, osservando il padre, iniziò a piangere e ad accusarlo, che per l’ennesima volta stava andando via. Quando suo padre doveva andare a lavoro lo faceva di notte, in modo che lei non lo vedesse. Quando la lancetta dell’orologio segnò le tre in punto Charlie infilò il giaccone e diede un dolce, casto e intenso bacio alla moglie. Si avvicinò alla figlia che gli negò il saluto. Lui deluso, come ogni volta, scese. Ma dopo tre secondi suonarono alla porta.
“Non posso andarmene senza aver dato un bacio a mia figlia” La piccola Bella sorrise e si tuffò nelle braccia del padre. Una lacrima scese dagli occhi di Charlie, forse aveva intuito che quello sarebbe stato il giorno più brutto di tutta la famiglia, e di gran parte della città.
Charlie era una persona amata da tutti. Molte volte c’erano delle persone che non potevano permettersi di comprare il pesce, lui, senza che nessuno fiatasse, tagliava delle generose fette di pesce e le distribuiva alle persone povere, come lui, umili.
Quando le cime si sciolsero dalla banchina, la barca iniziò ad allontanarsi, fino a sparire oltre l’orizzonte. Reené, come ogni volta, non era tranquilla, sapendo che il marito era chissà dove, in quale parte dell’oceano, ma aveva una brutta sensazione nel cuore, qualcosa che le tormentava l’anima.
Il giorno dopo Bella credeva che all’uscita dalla scuola l’aspettava il padre, ma ci rimase male quando non lo trovò. Passarono giorni, mesi e anni. Lui e John non tornarono più. Il peschereccio chiamato ‘lupo solitario’ non tocco più il margine della banchina, da lì a sedici lunghissimi anni. Le ricerche erano partite subito, ma non furono trovati né i corpi, né i resti del veicolo. La famiglia Swan aspettava sperando, ma piano piano si resero conto che aspettare e sperare era inutile, ormai, dopo sedici anni la speranza era diventata ottima intenditrice degli illusi.

Raccontai tutto a Edward, o almeno quello che ricordavo meglio. La sua voce l’ho dimenticata, molte volte guardo dei video per sentirlo parlare. Ricordo che lui mi ha insegnato a leggere, ricordo il giorno del mio sesto compleanno, ricordo che mi ha insegnato la mia data di nascita. Ricordo che era buono. Ricordo che volevo essere come lui.
Le lacrime scendono senza controllo. Dopo un mese passato a Seattle, mi sono resa conto che non c’è l’ha faccio.
Che non riesco a stare lontana da lui. Non riesco a stare lontana dal dolore.
Ho paura che lui pensi di essere stato abbandonato.
Ho paura di dimenticare le poche cose che ancora ricordo.
“Per quanto possa essere scontato, mi dispiace. Mi dispiace che ti sia stata tolta gran parte delle felicità, mi dispiace, davvero” Sussurra Edward mortificato. Io lo abbraccio e libero i miei singhiozzi fin quando esausta chiudo gli occhi, addormentandomi.
 

**

“Ogni pomeriggio mi reco nella spiaggetta che si trova di fonte casa mia. Ci parlo, ascolto la musica con lui, fumo anche una sigaretta con lui. Sarò pazza, non so, quel che so è che il mio essere non normale mi fa stare bene. Il mio avvicinarmi pericolosamente alla mia fonte di dolore mi fa bene. Per questo ho perso il controllo. Ho paura Edward, paura che il fatto che lui sia esistito potrebbe diventare frutto della mia mente, che il suo ricordo possa svanire da un momento all’altro. Perché io lo sento, ogni giorno, il vento e la brezza marina lo tengono accanto a me, e allora penso che mio padre c’è davvero, che penso a lui sempre, che è indipendente sentirlo dentro la mia anima” Mormoro più tranquilla dopo tre ore di sonno.
Edward annuisce e mi guarda è stato qualcosa di stupendo durante queste poche ore. Mi ha ascoltata, mi ha confortata…si è preso cura di me nel momento in cui io ne ho avuto bisogno.
“Ti faccio il biglietto, mh?” Mi chiede fissando i miei occhi. Io annuisco, lui mi abbraccia ed io ricambio strofinando la guancia sulla sua spalla. Apro gli occhi, ancora ancorata a lui e mi accorgo che sul tavolo della saletta c’è una bottiglia di champagne. Sciolgo l’abbraccio e lo guardo.
“Edward hai portato tu lo spumante?”
“Ehm…si, ho avuto qualche risposta oggi, anzi più di una…non sapevo che però ti avrei trovato in quello stato” Mi dice guardando per terra.
“Edward, non potevi saperlo. Allora che novità ci sono?” Chiedo interessata.
“Uno degli avvocati migliori di Seattle, mi ha detto che purtroppo non sono l’unico a volerlo in carcere, ha violentato una ragazzina ma nessuno provvede. Ci sarà una riunione la prossima settimana, io con gli altri avvocati che lo accusano e decideremo di mandare un istanza al giudice e quindi vedere se riusciremo a fare qualcosa” Ammette con la voce più calda.
“E’ fantastico!” Esulto buttandomi su di lui. Le mie labbra, senza che io abbia deciso, si avvicinano alle sue iniziando a morderle, le sue mani si arpionano ai miei fianchi che al suo contatto potrebbero prendere fuoco da un momento all’altro. Le mie mani corrono a cercare quella chioma leonina che piano piano inizio ad amare. Nel silenzio della stanza, si sente il solo rumore dei nostri fiati e le nostre bocche che si incontrano. Lo voglio, lo voglio davvero, ma qualcosa, non so cosa sia mette il freno al mio istinto, che, per pochi attimi mi è sembrato incontrollabile.
Staccandomi da lui inizio a guardarlo. I suoi occhi sono un mix tra lussuria e dolcezza, sono più verdi del solito, sono stupendi, come lui. La sua mano raggiunge il mio viso, che prontamente gli offro piegandolo verso di essa. Sono questi i pochi istanti che annullano la mia mente, che mi fanno stare bene, che per un solo millesimo di secondo mi fanno pensare che sono una persona normale. Il telefono della suite squilla ed Edward risponde.
“Pronto? D’accordo” ripone il telefono e mi guarda “ Sta salendo Alice” Mi informa un attimo prima dell’udire il bussare di qualcuno.
“Bella!” Urla Alice abbracciandomi. “ Come stai?” Mi chiede.
“Alice! Non la vedi da quarantotto ore” Sbotta esasperato “ E comunque è un piacere rivederti anche per me”. Io e Alice a quella affermazione scoppiamo a ridere.
In questo ultimo mese io e Alice siamo davvero diventate amiche. Parliamo molto, ridiamo molto ed è come se ho trovato un’altra Angela. La compagnia di Alice riesce a riempire il piccolo vuoto che Angela ha lasciato andando via. A volte ho paura che Angela non sia contenta dei miei pensieri, non mi ha abbandonata è dovuta partire per studiare, mi manca tanto, ma Alice in qualche modo mi è vicina quanto lo era lei.
“Io esco un po’ ” Annuncia Edward, mi avvicino per salutarlo, lui sorprendendomi mi schiocca un bacio sulla bocca. Lo sguardo sperando che il mio sguardo sia più omicida possibile e lui sorride. Arrossisco e guardo il pavimento, Alice non commenta. Edward esce dalla stanza e lo so che tra 3..2..1..
“Bella! Ma cosa?Ma…” Ammutolita Alice si zittisce scioccata.
“Senti Alice non lo so okay? Sta succedendo se te lo stai chiedendo, ma non è realmente come pensi”.
“Ma, non mi hai detto nulla perché?” Mi chiede infastidita.
“Perché non è niente di sicuro, e poi, oh! andiamo non mi aspettavo che mi baciasse”. Lei sorride e prendendomi per mano mi fa sedere accanto a lei nel divanetto.
“Dall’inizio dai!..” Dice sbattendosi le mani nelle gambe, come una bambina che aspetta le caramelle. Le racconto del primo abbraccio che ci siamo scambiati io e Edward, di quanto il suo essere solamente Edward mi faccia bene. Della sua dolcezza, dei suoi modi affettuosi che mi abbagliano all’istante. E’ vita, è il sole nel buio, ho bisogno di lui. Anche se non solo.
Non credevo che la lontananza da casa mi avrebbe scaturito questo effetto…Forse un mese è stato troppo, forse è l’abitudine o forse è solo la mia mente malata.
Edward mi ha offerto il ritorno a casa, ed io ho accettato immediatamente...mi chiedo se è la cosa giusta da fare, se una volta tornata a casa starò bene…
In questi giorni mi sono accorta che il legame che c’è tra me e Edward sta diventando morboso da parte mia. Che sorrido solamente quando c’è lui, che non penso alla sua lontananza solo nelle ore che Edward è con me. Forse sta diventando indispensabile, forse attaccarmi così a lui diventerà un  errore, lo stesso errore che ho fatto nel momento in cui ho deciso di stendere il telo ad un dito della riva e guardare il mare.
Irrazionalmente lo faccio…Come l’amore, il dolore è irrazionale.
Una volta mi hanno chiesto; Cosa sai dell’amore? Ed io ho risposto; So che è come il dolore. Irrazionale, vero, falso, immenso, piccolo, che si deve provare per immaginare la sua importanza e forza.

 

**

“Tesoro ti sento strana…” Afferma mia mamma dall’altra parte del telefono. Sono dieci minuti che siamo al telefono, tre volte mi ha detto la stessa identica cosa. Ah le mamme!
“In che senso mamma?” Chiedo con un tono di voce che ho provato a modificare da teso a calmo, ma evidentemente non riesco a nascondere la mia tristezza, non con lei.
“Bella, lo so che succede…”
“Ma?”
“No! Ascoltami. Hai ventidue anni, la tua vita è iniziata adesso, non puoi cedere al dolore. Tu sei più forte, più forte di quella forza che sembra indistruttibile che è il dolore. Tu sei Bella, sei la figlia di Charlie Swan, e lui non ti vorrebbe vedere in questo stato. Lui sa che tu lo ami con tutta te stessa, non c’è bisogno di passare delle ore intere sulla spiaggia a stringerti il petto piangendo, a deprimerti ascoltando le canzoni che piacevano a lui per poi cantargliele. Vivi Bella, DEVI FARLO, per lui, per me, ma soprattutto per te stessa amore mio”. La sua voce, ormai rotta dalle lacrime, somiglia a quella della mamma che si arrabbia perché hai preso dei brutti voti a scuola. Io scoppio a piangere, non per quello che ha appena detto, ma per il semplice fatto che mi ha rivelato di avermi vista tutte le volte che andavo nella spiaggetta. Che alla visione si me che mi auto-distruggo il dolore è triplicato a quelli che ha già…E’ sincero il dolore di chi piange in segreto.
“Scusa mamma, io-”.
“Non scusarti Bella, pensa solo a ciò che ti ho detto. Ti chiamo domani. Ti voglio bene”
“Anch’io” Mormoro tirando su con il naso e chiudendo la chiamata.
Passo una mano tra i miei capelli e le lacrime continuano a scendere, lente, sulle mie guance ormai annaffiate da anni.
“Bella?” Mi chiama Edward dall’altra stanza...Spero che non mi abbia sentita.
“Dimmi” Urlo, dopo essermi sciacquata la faccia e indossato un sorriso falso.
“Potresti fare dieci fotocopie di questa E-mail? C’è l’edicola giù” Mi chiede con voce dolce. Io gli sorrido e annuisco. Prendo il giubbino ed esco.
“Buongiorno! Potrei avere dieci fotocopie di questa?” Porgo il foglio al ragazzo dell’edicola che annuisce e infila il foglio sulla fotocopiatrice.
“Io sono Ted” Mi dice porgendomi la sua mano.
“Piacere. Bella” Afferro la sua mano e lui mi sorride. I suoi capelli sono neri, la sua carnagione è chiarissima ed i suoi occhi sono azzurri. E’ un po’ smilzo, ma al punto giusto, le sue mani sono grandi ed il suo sorrido apparentemente è davvero dolce.
“Abiti qui da poco?” Mi chiede interessato.
“Ehm…no, sono qui per lavoro.
Vivo a Los Angeles”.
“Alloggi  all’Heatman Hotel?”
Mi chiede strabuzzando gli occhi. Io annuisco con nonchalance e lui mi guarda sorpreso.
“Sai che è uno degli alberghi più costosi di Seattle?” Scuoto la testa e lo guardo.
La fotocopiatrice smette di rompere il silenzio mentre Ted mi fissa come se fossi un alieno, il suo sguardo è abbastanza inquietante e famelico. Sbuffo e lo guardo anch’io.
Allungo la mano verso i foglio, in modo da fargli capire che non ha senso questa sua assurda lentezza . Finalmente prende i fogli e me li porge. Io lascio gli spiccioli sul bancone e mi dirigo verso l’uscita.
“Allora ciao. Sei bella, se ti va di uscire io sono qui” Mormora. Gli faccio un cenno con la mano ed esco. C’è particolarmente caldo oggi, il che non dovrebbe sorprendermi, siamo a Maggio. Entro nell’ascensore e in pochi secondi sono già arrivata al nostro piano. Il cellulare all’interno della mia tasca vibra, lo afferro e leggo il nome di Angela sul display.

“Angela!”
“Ciao Bella…Come stai?” Mi chiede con tono felice.
“Oddio...sono due settimane che non ci sentiamo. Sto bene, bè come sempre..e…Tu invece?” Con la spalla tengo il cellulare attaccato all’orecchio e con la mano libera apro la porta.
“Bene, un po’ stressata dallo studio ma tutto bene. Ho conosciuto un ragazzo” Ammette, sento che ride. Poggio i fogli sul tavolino davanti al divano dove c’è Edward con il pc sulle gambe. Mi sorride e leggo il suo labiale mentre mi ringrazia.
“Oh, racconta su”
“E’ carino e dolce. Si chiama Ben, anche lui abita a Los Angeles. Che cosa strana dovevamo andare a New York per incontrarci. E ci stiamo frequentando. Io ho paura…”
“Ma no! Non è mica il primo, dai!”
“Con lui è diverso” Ammette.
“Con lui sei innamorata” Sussurro emozionata, felice per la mia migliore amica.
“Credo di sì...E tu?”
“Oh io sempre uguale. A parte che oggi un cretino patentato ha fatto il cascamorto” Racconto ad Angela quello che mi è appena successo con il ragazzo dell’edicola mentre mi fisso i piedi seduta di fianco ad Edward. Dopo pochi minuti la chiamata con Angela si termina e sbuffo posando il cellulare sul tavolino. Mi manca Angela, tantissimo.
“Che fai?” Chiedo ad Edward.
“Sto sistemando la cartella che mi serve per domani alla riunione” Annuisco e afferro un biscotto dal vassoio.
Guardo l’orario e mi accorgo che sono le sei di sera.
“Edward hai bisogno di qualcosa?”
“Mmh no, non credo”
“Allora vado a farmi la doccia” Annuisce e continua a fare ciò che stava facendo.
Entro nel Box doccia e con cura insapono il mio corpo. Mi sento un macigno sullo stomaco, anche senza aver fatto niente, sarà il nervosismo. Tante volte mi fermo a pensare a come sarebbe la mia vita se mio padre fosse rimasto con me…Quando parlo di lui mi viene strano dire ‘Papà’ oppure ‘mio padre’. Ho pianto tante volte anche per il semplice fatto che io non so dire papà. Che i miei ricordi non mi regalano niente se non qualche sorriso, che non è mai un vero sorriso. Ero piccola, tutto quello che so, lo so perché gli altri ne hanno sempre parlato, specie mia madre. Ogni tanto prendo le foto, lei all’inizio titubante, dopo pochi minuti si avvicinava a me e iniziava a raccontarmi le storie di goni foto. Finiva sempre che ridevamo piangendo. Ricordo che mia madre i primi giorni se ne stava affacciata alla finestra, lo aspettava, pregava con gli occhi. Voleva che suo marito tornasse dicendogli ‘ Tesoro abbiamo fatto tardi per guadagnare di più’. Passavano i giorni, le settimane, i mesi, lei era sempre affacciata alla finestra. Era diventata una ragazza di venticinque anni, troppo magra, che fumava quattro pacchetti di sigarette al giorno, affacciata alla finestra i suoi giorni non avevano più senso, come la sua vita. I miei nonni paterni erano in un punto di non ritorno, ma cercavano di aiutarla in qualche modo, ma poi come si prevedeva piangevano tutti e tre insieme. Mia madre si riprese esattamente tre anni dopo la sua scomparsa. Da tredici lunghi anni porta il dolore con sé, lei non lo ammette, ma tante volte la trovo a fissare il mare con qualche lacrima che lentamente solca il suo viso. Non ci siamo mai dimenticati di lui, mai nemmeno per un istante, lui rimarrà per sempre con noi, nelle nostre menti e nei nostri cuori. Oggi lo amiamo come prima, domani lo ameremo e lo ricorderemo per sempre. Ti voglio bene Papà, pensai quando ormai, accovacciata nel box doccia, con le spalle schiacciate nelle piastrelle, i singhiozzi si fermarono. Dopo essermi vestita e aver asciugato i capelli mi dirigo nel salottino. Edward è fermo impalato davanti alla finestra, i suoi pugni chiusi sono tesi lungo il corpo. Mi avvicino lentamente, con una mano gli accarezzo la spalla, con l’altra gli accarezzo un dei pugni chiusi fin quando non lo apre e mi guarda.
“Mi manca Bella” Sussurra pianissimo, ma riesco a sentirlo ugualmente.
“Lo so..” Con uno scatto dolce, ma veloce mi ritrovo la sua testa sulla mia spalla. Accarezzo i suoi capelli, ma forse devo aver fatto qualcosa di sbagliato, perché immediatamente il suo corpo viene scosso violentemente dai singhiozzi. Ogni singhiozzo è come uno schiaffo, ad ogni singhiozzo avvicina fortemente il mio corpo al suo, ogni singhiozzo fa cadere una piccola lacrima dai miei occhi.
“Bella..” Sussurra piangendo. “ Non so più cosa devo fare…” Continua. Alzo la testa come se volessi far rientrare dentro i miei occhi le lacrime e scuoto la testa. Vederlo così è qualcosa sdi assurdamente doloroso, non è normale, ma non è affatto strano. E’ qualcosa che colpisce la mia anima, ma non è perché qualcuno sta soffrendo, è perché sta soffrendo Edward. Una persona brillante, dolce, che ha catturato la mia anima senza che entrambi ce ne rendessimo realmente conto. E’ come se i nostri dolori si mescolassero, è come se fossimo chiuso dentro un limbo, che da grigio passa a dei colori vivamente accesi. E’ come se la luna girasse in modi diversi ogni secondo…
“Edward…Calmati” Sussurro, cercando si essere almeno un pochino più forte di lui, come lui ha fatto con me stamane. Alza il suo viso rigato di lacrime e mi guarda, i suoi occhi urlano ‘vergogna’. Gli sorrido lievemente e accarezzo il suo viso, sperando di cancellare le lacrime e sostituirle con un sorriso.
“Io…io-”
“Sssh” Lo interrompo continuando ad accarezzarlo e guardarlo nel centro del cuore, i suoi occhi. “ Va bene così…Quando ti va di sfogarti io ci sono Edward. So che è difficile, so che è talmente potente da sembrare in un film. Ma devi vincere tu, noi lo faremo insieme. Abbiamo il diritto di essere felici anche noi, scopriremo la felicità insieme Edward. Anche se fosse l’ultima cosa che faremo” Lui mi guarda e annuisce. Il problema è che io a quello che ho detto ci credo, ma adesso, tra qualche secondo, ma non co quanto questa mia fermezza possa durare. Lui mi guarda con gratitudine e qualcuno bussa. Guardo l’orologio che segna le otto di sera, sarà il cameriere con la cena. Abbiamo scelto il servizio in camera, in fondo siamo qui per lavoro e Edward ultimamente non ha il tempo di scendere in sala a mangiare.
Apparecchio velocemente, mentre lui divide le pietanze sui piatti. C’è la pasta con il sugo, una fetta di cotoletta e un tortino agli spinaci. Iniziamo a mangiare in silenzio e come sempre a guardarci mentre lo facciamo. Dopo la pasta Edward si asciuga le labbra con il tovagliolo e mi guarda come se volesse dirmi qualcosa.
“Che c’è?”
“Cosa è esattamente successo oggi in edicola?”
“Ah si, un ragazzo ha cercato di fare colpo. Certo il risultato è stato ridicolo, ma va bè ci saranno ragazze che potrebbero apprezzare” Dico con nonchalance, sinceramente non mi importa davvero…Lui mi guarda e poi inizia a mangiare di nuovo.
Dopo cena ci fumiamo una sigaretta sul balconcino e Edward non ha più detto una parola, tutto ciò sta diventato snervante.
“Edward? C’è qualcosa che non va?”
“No è che mi da fastidio okay?”
“Cosa?”
“Che qualcuno ci abbia provato, ma che cazzo! Cos’è a Seattle sono tutti diventati improvvisamente scapoli” Scoppio a ridere per la sua affermazione e per la sua espressione. Mi avvicino maliziosamente e avvicino la mia mano al suo torace.
“Peccato sai era carino. Ma io ne ho trovato uno speciale” Mormoro sottovoce come se fosse un segreto…che effettivamente fino a pochi attimi lo era, non so nemmeno perché io l’abbia detto.
“Ah si?” Continua il mio gioco sorridendo.
“Si ma non dirglielo” Mi avvicino al suo orecchio, che mordo piano piano. Gesto che lo fa praticamente impazzire. Afferra i miei fianchi ed ogni mio senso si annulla, non riesco ad immaginare cosa mi succedesse se facesse altro, al pensiero le mie guance si riscaldano, e non solo quelle. La sua bocca si avvicina alla mia, ma invece di baciarmi, inizia a mordermi il labbro inferiore, dolcemente, come se fosse una tortura. Mi alzo in punta di piedi e accarezzo i suoi capelli. Le sue mani si dirigono sulle mie cosce e in un secondo mi ritrovo avvolta come un Koala a lui. Le mie gambe circondano il suo bacino e le mie braccia le sue spalle. Poi finalmente mi da un bacio vero.
“Non andare via Bella” Mormora sulle mie labbra come fosse una preghiera.
“No, non lo farò” la mia suona come una promessa e mai come oggi sono sicura di quello che ho appena detto.

 

 

 

^^^^

Salve ragazze! Scusate per il ritardo, ma le festività e il viaggio mi hanno tolto il tempo e la pazienza. Spero che il Natale e il Capodanno lo avete passato bene...Io fortunatamente si.
Il capitolo non è il massimo lo so, avrei voluto farlo meglio, ma niente non ci sono riuscita. Spero che vi piaccia ugualmente e fatemi sapere…A presto, giuro.
Un bacio Roby.

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Capitolo 9
*** Nothing else matters. ***


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Love save the pain.

 

 

Nothing Else Matters.

 

 

 

 

Edward’s Pov

Era strano capire la natura di un sentimento che, velocemente ma con qualche sfumatura di lentezza, stava nascendo in me.
Molte volte, anche solo sfiorandola mi sentivo sopraffatto. Pensarla a volte mi lasciava un piccolo strato di sudore che imperlava la mia fronte.
Era strano, ma all’interno di me stesso - il me stesso quello vero- era bello. Era come se fosse strettamente necessario.
Credevo che da quando fosse morto George io non fossi più me stesso. E solo oggi mi rendo conto che avevo torto, io sono sempre me stesso, ma sono cambiato.
Non sono più la persona sorridente di una volta.
Non sono più il ragazzo ribelle con lo spinello in bocca e la chitarra in mano.
Non sono più il ragazzo più attraente della scuola.
Sono un uomo. Un uomo che non riesce più a sorridere per colpa degli avvenimenti spiacevoli.
Un uomo che ha paura di anche solo sfiorare le corde della sua chitarra, quell’uomo che farebbe di tutto per non udirne il suono così da non far tornare i bei ricordi, che a causa della nostalgia diventano brutti.
Non cerco più di farmi notare dalle donne perché non mi importa. Da cinque anni  ad oggi ho avuto l’occasione di una sana scopata – non so se questa parola potrebbe mai uscire dalle mie labbra, al momento riesco solo a pensarla- ma nessuna donna, nessuno ‘svago’ era in grado di farmi sentire bene, intero, vero.
Prima di Bella la mia mente vagava in strade sconosciute, non avevo idea delle sensazioni che provo anche solo sentendo la sua voce. Vivevo come se fossi il fantasma di me stesso. Non riuscivo più a sorridere, a parlare serenamente. La notte riuscivo solo a dormire dopo un’ora buona di singhiozzi soffocati in un cuscino. Per questo ho decido di andare a vivere per conto mio. Non solo per non far soffrire le persone a me care, ma anche per il semplice fatto che ho preferito soffrire in silenzio, per ben cinque anni.
Adesso sento che questo ‘me stesso’, un tempo – non molto lontano- era solitario, triste, chiuso nella sua fortezza costruendosi una corazza,  si è sciolto.
Bella ha avuto il potere di farmi rinascere, di farmi capire che gli avvenimenti brutti succedono a tutti, che lei , nonostante il suo dolore sia più potente di quanto lei stessa immagini, è riuscita a rompere la corazza che mi ero creato. E’ riuscita a farmi sorridere anche per le cose banali. E’ riuscita a farmi volere la sua compagnia. Sento che il mio mondo mi ha dato una creatura magica, ma che con tutto ciò devo proteggere. Devo dargli un porto come lei sta facendo con me, devo renderla felice come lei ha fatto.
E se anche il mio migliore amico mi manca terribilmente c’è lei, che in un modo o nell’altro, che inconsciamente, semplicemente e fantasticamente sta curando la mia ferita. Ho trovato la colla che sta riuscendo ad unire i cocci di quel famoso vaso che una volta sembravano persi del tutto.
Fisso il soffitto, oggi è Venerdì e sono le tre del mattino. Non riesco a dormire, non so se è per quello che passa per la mia mente o per i tuoni che stanotte non sembra che vogliano smettere.
Dopo la riunione di ieri, mi sento più sollevato, voglio essere ottimista questa volta.
A mio padre non ho detto nulla, non lo merita dopo quello che ha fatto. Avermi mentito in quel modo non ha fatto che ferirmi. Il mio migliore amico e morto ed io ero sicuro di conoscerne tutti i dettagli. Mi passo una mano nel viso e mi accorgo di essere piuttosto sudato, decido di alzarmi e bere qualcosa. Infilo i pantaloni della tuta e rimango a torso nudo.
“Edward?” Sussurra Bella dalla sua stanza, praticamente attaccata al frigo della suite. Mi avvicino alla sua camera e appoggio la schiena sullo stipite della porta.
“Ehi” Mormoro. Lei è seduta sul letto, con i capelli appiccicati alla fronte.
“Non riesci a dormire neanche tu?” Scuoto la testa rispondendo alla sua domanda e le sorrido dolcemente. Lei mi guarda imbarazzata per poi battere la sua piccola mano sulla parte vuota del letto. Vuole che mi sdrai con lei? Mi avvicino lentamente ma a metà strada mi fermo. E se ho capito male? Fisso i suoi occhi e lei annuisce impercettibilmente. Mi siedo sul letto e lei si protende verso di me abbracciandomi. Appoggia la testa sulla mia spalla ed io inspiro l’odore dei suoi capelli. Sanno di fragola e di Bella. E’ un profumo delizioso. Si allontana di poco, lasciando le sue braccia attorno al mio collo, poi piano si abbassa lateralmente in modo che entrambi siamo coricati nel letto. Nonostante fuori diluvia c’è caldo, ma le sue lenzuola sono fresche.
Nasconde il suo viso sul mio collo e annusa il mio profumo, di questo passo credo che morirò però!
Sorrido silenziosamente e grato per la tranquillità che mi emana la sua presenza.
“Grazie Edward. Ti voglio bene” Sussurra dandomi un bacio sul collo. Accarezzo i suoi capelli e bacio la sua fronte.
“Ti voglio bene anch’io piccola.” Dopo pochi minuti si addormenta e lo faccio anch’io. Cullato dal suo profumo e dal suo respiro, tranquillo dopo anni.

 

**

 

Sento un filo di aria calda sul mio collo. Il rumore dei tuoni e della pioggia è finalmente cessato. Cerco di stiracchiarmi con gli occhi chiusi ma poi il mio subconscio si risveglia subito. Sono con Bella, nel suo letto. Apro gli occhi e mi ritrovo Bella, che con  i suoi occhioni  mi scruta e un sorriso dolce le disegna le labbra.
“Buongiorno” Sussurra mantenendo il contatto visivo. Le sorrido e guardo l’orologio digitale appoggiato sul suo comodino. Sono le dieci del mattino.
“Buongiorno a te” Mormoro spiaccicando la faccia sul cuscino.
“Scusa…io non, si cioè…ecco” Cerca di formulare qualcosa ma evidentemente non ci riesce. Le sue guance sono imporporate è in imbarazzo.
“Tranquilla. Almeno sono riuscito a dormire anch’io” Le dico cercando di tranquillizzarla.
Si avvicina e mi abbraccia. Il lenzuolo – che fino a cinque secondi fa nascondeva il suo corpo- si sposta e rivela Bella in canotta e slip. Chiudo gli occhi per cercare di evitare la sensazione, ma la visione della base delle suo cosce nude mi perseguita. Sento la sua mano farsi strada tra i miei capelli, solleva la mia nuca e bacia il mio collo…poi lo lecca.
Un gemito esce dalle mie labbra e mi sento un coglione.
Mi ritrovo seduto sul letto e decido di aprire gli occhi, ma subito me ne pento. Bella si alza facendomi vedere benissimo le sue gambe scoperte, si siede sulle mie gambe avvolgendomi la vita con le sue. La mia mano istintivamente si muove sulla sua coscia nuda. E’ morbida. E’ calda. E’ perfetta. Avvicino il suo viso al mio con l’altra mano e finalmente riesco a placare il mio bisogno delle sue labbra sulle mie. Non mi importava del mondo che ci circondava in quei momenti, non mi importava di nulla, importava solo lei e tutto ciò che riusciva a trasmettermi anche solo sfiorandomi.
La mia lingua giocava con la sua, le sue mani vagavano tra i miei capelli e il mio sterno, le mie non riusciva a lasciare le sue gambe scoperte. La mia mano sale incontrando il tessuto degli slip, lo sorpassa per poi alzare lentamente quello della canotta. I suoi fianchi sono caldi e vorrei morderli, stringo quel pezzetto di carne soffice tra le dita e sospiro sulla sua bocca. Ho bisogno di lei come se non ci fosse un domani. Vorrei immergermi dentro il suo corpo e rimanere lì per sempre. Non solo per il contatto fisico, ma perché con una sua carezza mi sento amato, intero e follemente bene. Intreccia i miei capelli tra le sue dite e poi stacca le sue labbra dalle mie. Mi guarda negli occhi e mi sorride maliziosamente. Scosta le mie mani, una la dirige verso la sua gamba destra, l’altra la prende tra le sue. Insieme alla sua piccola mano  - depositata sopra la mia- mi dirige verso uno dei suoi seni. La guardo negli occhi cogliendo l’eccitazione, la stessa che ci sarà nei miei. Non c’è vergogna, sembra che ci conoscessimo sessualmente da una vita e questo mi piace.
Il suo seno non è troppo grande né troppo piccolo, è sodo e il suo bottoncino rosa è turgidamente duro. Accarezzo quella parte deliziosa del suo corpo con il pollice, poi dopo aver aggiunto l’indice a quella debole tortura lo stringo tra le dita. Un gemito strozzato esce dalle sue labbra. Mi gira la testa tanta è la potenza della mia attrazione nei suoi confronti. Forse è così forte, così travolgente per il semplice fatto che non è solo una questione fisica,. Io mi sto innamorando e ne sono felicemente consapevole. Non è ancora amore il nostro ma si avvicina molto.
Stacco le mie mani dal suo corpo e con un movimento fulmineo le sfilo la canotta. Non ho intenzione di andare oltre ma la voglia è tanta. I suoi occhi luccicano e non c’è più quel dolore che avevo individuato mesi fa, quando ci siamo conosciuti. O forse c’è solo che al momento è schiacciato dalla voglia, dalla passione e di quel filo invisibile che piano piano cresce; L’amore. E come pochi attimi fa riesco a sentirla nella mia anima e non importa se la nostra vita fa schifo, non importa se il dolore molte volte schiaccia il nostro essere, importa di noi; Seduti in questo letto, con gli occhi incollati così come i nostri corpi, che ci conosciamo cercando di interpretare l’innamorando.
La mia lingua raggiunge velocemente il territorio appena conosciuto e lo vezzeggia dolcemente. Le sue mani sono incollate ai miei capelli, il suo respiro si fa irregolare, il mio corpo freme d’eccitazione. Il colore della nostra anima al momento è passato da un grigio scuro senza traccia di alcuna sfumatura ad un azzurro chiaro. Sono sicuro che piano le nostre anime non saranno più irrimediabilmente grigie, piano piano assumeranno delle sfumature dove il grigio ci sarà sempre ma non sarà quello che predomina l’anima.

 Siamo distesi nel letto abbracciati. Le gambe di Bella sono attorcigliate alle mie, sul mio viso c’è un sorriso che non ne vuole sapere di lasciarmi.
"Sei bellissima” Sussurro osservando il suo corpo coperto solo dagli slip.
“Tu. Sei bellissimo” Sibila prima do mordicchiarmi il lobo dell’orecchio. Scoppio a ridere e lecco le sue labbra al sapore di menta. Accarezzo il suo fianco e lei sospira.
“ Vorrei che questo attimo di pace non finisse mai” Sussurra tristemente.
“Non dobbiamo farlo finire per forza” Affermo sui suoi capelli.
Guardo l’orologio che segna mezzogiorno. Decido di alzarmi e chiamare la Hall per farci portare il pranzo.
Dopo pochi minuti Bella mi raggiunge nel salottino con un vestitino smanicato. Si avvicina e mi abbraccia.
“Che cosa siamo noi Edward?” Mi chiede senza guardarmi negli occhi.
“Siamo noi. Siamo Bella e Edward. Non so cosa vuoi che ti risponda, posso solo dirti che ormai sei dentro di me. Che ti sento fondamentale per la mia vita. Che se anche non ci conosciamo da molto io sento di conoscerti da una vita, che non ti amo, ma non sono molto lontano e-” Mi interrompe mettendomi l’indice sulle labbra e mi sorride finalmente guardandomi negli occhi.
“Mi sento completa, quando sono con te tutto il resto del mondo non importa. Che i problemi, le preoccupazioni e i dolori sono esclusi dai noi stessi come se uscissero per pochi minuti. E non importa se poi tornano perché insieme si sta bene e si riesce ad affrontare tutto” Continua lei per me. Ed è come se adesso ci fossimo letti l’anima a vicenda. Ed è qualcosa di estremamente dolce e meraviglioso.

 Dopo pranzo il cellulare di Bella squilla.
"Pronto. Alice?...Ehm…credo di no perché?...Non so se, oh. Okay! Tra un ora” Sospira e chiude la chiamata. Mia sorella!
“Cosa voleva?” Le chiedo.
“Mi ha chiesto se possiamo vederci tra un’ora. Io ho accettato, è molto difficile dirle di no” Sbotta esasperata. Annuisco deluso ma non lo lascio a vedere. Pensavo che oggi pomeriggio saremo stati insieme, invece no.
“Oh, forse tu hai bisogno di me e io…”
“No, no Bella! Tranquilla esci con Alice, svagati… Dopo questa settimana stressante è giusto che tu vada a fare un giro”
“Io avrei comunque preferito rimanere con te” Dice mettendo il broncio, io le sorrido dolcemente e accarezzo il suo viso così soffice e delicato.
“Perché non vieni con noi?” Mi chiede. Scuoto la testa e scoppio a ridere.
“No! Non passerò il mio pomeriggio tra le lamentele di mia sorella.” Lei mi sorride mordendosi il labbro in un modo che dovrebbe essere dichiarato illegale. Avvicina le sue labbra alle mie e mi lascia un bacio casto.
“Vado a farmi la doccia” Annuncia e decido di accendere il mio portatile.

 

 

Bella’s Pov.

 

“Perché siamo qui?” Chiedo ad Alice irritata davanti ad un negozio di borse. E’ un’ora che camminiamo, i miei piedi saranno sicuramente invasi di vesciche e se ci penso un momento di più scoppio a piangere. Potevo rimanermene a casa con Edward, sicuramente mi sarei divertita di più, soprattutto se penso a quello che è successo stamane. Arrossisco al pensiero e l’immagine di Edward intento a baciare i miei seni mi passa davanti agli occhi.
“Bella su! Non ti chiedo mai niente, se non un pomeriggio con la ragazza di mio fratello” Arrossisco a quella affermazione e lei mi sorride. Poi la sua espressione si fa seria e impertinente.
“Devi dirmi qualcosa Bella?” Mi chiede tranquilla. Io scuoto la testa. Annuisce tra sé.
“Bella? Devi dirmi qualcosa?” Ripete, adesso la sua voce si è alzata di qualche ottava.
“Bella!”
“No Alice! NO! E…comunque non credo che tu lo voglia comunque sapere” Sorrido.
“Oddio! Tu e…Edward..Avete..aw, cioè io credo che sia-”
“Frena Alice! Non è successo nulla, o almeno non ciò che credi tu” Arrossisco di botto e lei mi sorride. Non voglio parlarle di questa cosa, oltre al fatto che non ci riuscirei per l’imbarazzo voglio tenermi tutto per me. E’ stato speciale stamattina e questa cosa non mi piacerebbe condividerla.
Sorridendomi annuisce e mi trascina dentro il negozio con uno sbuffo di protesta da parte mia.
Usciamo dal negozio soddisfatte dei nostri acquisti. Alice ha preso una borsetta rossa con una catenina attorno, io una nera decorata da una collana con un pon-pon attaccata nera e molto grande.
Il pomeriggio passa piacevolmente tranquillo e quando guardo l’orologio mi accorgo che il tempo è volato, sono le sei del pomeriggio.
“Che fate stasera?” Mi chiede Alice di punto in bianco.
“Mmh, non lo so, credo che guarderemo la tv o-“
“Vecchi noiosi!” Esclama sorridendo, io le sorrido e faccio spallucce.
“Io e Jasper stasera abbiamo in mente di uscire, perché non vi unite a noi?” Già perché no?
Annuisco e afferro il mio cellulare.
Al terzo squillo Edward risponde.
“Piccola? Tutto bene?” In questo momento mi sento un’anime con gli occhi a cuoricino.
“Si. Alice mi ha chiesto se stasera potremmo unirci a lei e Jasper. Io volevo sapere se tu-“
“Tu vorresti?” Mi interrompe.
“Si. Però se non ti va è okay, a me basta essere con te lo sai” Sorride dall’altro lato del telefono e sorrido anch’io al suono che produce la sua voce con una semplice risata.
“Dì ad Alice che ci saremo” Dopo averlo salutato chiudo la chiamata e lo dico ad Alice.
“E’ fantastico! Dobbiamo prendere qualcosa per stasera per te adesso!” Annuncia entusiasta, io le sorrido preparandomi emotivamente ad un altro giro di shopping con Alice.

**

 

“Edward? Sono torn-” Vengo interrotta dalle sua labbra che precipitosamente si fiondano sulle mie.
“Finalmente” Sussurra abbracciandomi e annusando i miei capelli.
Io lo abbraccio godendomi a pieno il momento.
“ A che ora ci incontriamo con Alice e Casper o come diavolo si chiama” Mormora esasperato. Io lo guardo con aria interrogativa e divertita, sarà mica geloso?
“Alle otto qui sotto. Edward si chiama Jasper”
“Si quello che è” Sbotta infastidito. Io scoppio a ridere e lui mi guarda scocciato.
“Non sarai mica geloso?” Lui scuote la testa e deglutisce. Io rido di nuovo, è tenero questo Edward geloso. Mi avvicino a lui e circondo il suo collo con le braccia.
“E di cosa, esattamente, saresti geloso?” Chiedo con malizia.
“Non è questo il punto. Lui non mi piace per mia sorella, lui è-”
“Dolce, gentile, e Alice lo ama, solamente questo ha importanza.” Sussurro ad un centimetro delle sue labbra, lui annuisce e sospira.
“Alice è sempre stata la più piccola. Siamo sempre stati molto possessivi con lei, io, mio padre e mio fratello. E immaginare che lui possa-”
“Cosa?” Sussurro ad un centimetro dal suo orecchio interrompendolo. “Fare questo?” Continuo afferrandogli la mano e portandola sul mio sedere, che lui palpa immediatamente.
“Oppure questo?” Lascio la sua mano e prendo l’altra portandola sul mio seno, lui reagisce allo stesso modo di qualche attimo fa. “Mh?” Guardo i suoi occhi consapevole di star giocando con il fuoco. La sua mano che avevo appena avvicinato al mio seno raggiunge la natica libera e facendosi forza sulle braccia mi alza.
“Mi farai impazzire” Sussurra prima di baciarmi appassionatamente.

 Infilo il vestito nuovo e giro su me stessa. Sorrido allo specchio, mi piace questo vestito.
E’ grigio chiaro, il tessuto di seta scende dolcemente sul mio corpo, mi fa da seconda pella. Nella vita c’è una piccola cintura nera dove l’attaccatura è un fiocco. Lo scollo è a V ma il mio petto non è troppo visibile. Le scarpe sono dei sandali con il tacco non troppo vertiginoso, sono nere lucide. Afferro una collanina, la catenina è fina e il ciondolo è un fiore grigio con una perlina nera al centro. Questa l’avevo comprata al mercato con mia mamma. Sospiro, mi manca terribilmente. Ma al pensiero che, se va tutto bene, tra due settimane torneremo a casa mi tiro un po’ su. Spazzolo i miei capelli appena asciugati e li raccolgo in una coda alta. Sono pronta. Esco dal bagno e trovo Edward intento ad allacciarsi il bottone della camicia sul polso. Mi avvicino e lo aiuto.
“Sei..wow!” Esclama accarezzandomi il fianco.
Sorrido e gli lascio un piccolo bacio sull’angolo delle labbra. Prendo la borsa – anche essa comprata oggi- e usciamo.
Incontriamo Alice e Jasper nella Hall dell’albergo. Ci salutiamo  e ci avviamo verso il ristorante. Dopo cena decidiamo di andare a bere qualcosa. Edward sembra diffidente nei confronti di Jasper ma a mano a mano che passa la serata cerca di ammorbidirsi nei suoi confronti. Io credo che Jasper sia il ragazzo adatto ad Alice, un po’ di gelosia è certamente normale, ma sono felice per loro. Il loro amore si avverte nell’aria e negli sguardi che si scambiano.
Credo che la mia vita in questi ultimi mesi abbia preso una piega diversa. Dal giorno che ho conosciuto Edward ho iniziato a pensare che forse amche per me ci sono delle probabilità per essere felice.
Che non è mai troppo tardi per riemergere da quel sentiero oscuro dove io ero entrata a causa del dolore. Che il dolore ci sarà sempre perché è ormai parte di me. Ma stasera, mentre sorrido al ragazzo che dopo anni mi ha fatto trovare una piccola speranza, sono sicura che io posso essere felice, che ci sono delle buone possibilità. Perché noi ci stiamo salvando a vicenda, l’uno aiuta l’altro anche senza che ce ne accorgiamo realmente. Lo stesso fatto di essere insieme è aiutarsi. Che non ci importa del resto, se non di cercare la felicità nell’altro.

 

**

 

 

Salve! Forse vi aspettavate il capitolo prima, forse credevate che fosse lungo. Ma il mio ‘cercare disperatamente lavoro ’ mi sta rubando un sacco di tempo D: .
Coooomunque, come sempre spero che vi sia piaciuto, la mia connessione ha dei problemi al momento ma dalla prossima settimana dovrebbe essere okay. Non so se ci sono errori, ma sicuramente ci saranno, scusate comunque, non ho tempo, davvero!
Anyway. SCAPPO! Lasciatemi una piccola recensione :3 Mi fate felice.
Ps: Capitolo dedicato a Francy_92 che non vedeva l’ora che dormissero assieme. Ahahahaha
A presto gente!

Roby X.

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Capitolo 10
*** What I Want ***


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Love save the pain


What I Want
 
 

Bella’s Pov
 
“Bella!” Il mio subconscio non voleva saperne di rispondere. O forse era solamente un sogno.
“Bella Alzati!” Pff! Un rumore di qualcosa di pesante, ma allo stesso tempo soffice mi risveglia totalmente. La mia pelle si ricopre di brividi, per quel fresco improvviso. Apro un occhio e vedo Alice con le braccia conserte che mi fissa.
“Finalmente! La prossima volta porto l’impianto stereo!” Esclama sbuffando.
“ ‘Giorno anche a te Alice”Urlo istericamente con una smorfia, sono incazzata. Guardo Alice sperando che il mio sguardo sia più omicida possibile. Mi siedo sul letto e guardo la radio-sveglia situata nel comodino.
“Alice! Sono le sette! Per quale assurdo motivo mi hai svegliata?” Urlo esasperata. La sua espressione cambia, adesso è dispiaciuta. Forse sono stata troppo dura, ma purtroppo ho questo difetto, quando mi svegliano divento una iena. Già mia madre aveva avvisato Edward per telefono. ‘ Edward quando devi svegliarla non devi: Aprire le tapparelle, fare alcun rumore –quindi entrare in camera a piedi nudi-, non urlare ‘sveglia’. Devi accarezzargli i capelli e non fiatare e se le porti un caffè è meglio ancora’. Purtroppo Edward non aveva detto niente alla sorella.
“Bella, ho bisogno di te. Scusa è solo che-”
“Scusami Alice, è solo che ho questo brutto difetto. Spero davvero che però sia qualcosa di estremamente importante” La interrompo addolcendo –almeno  provandoci- il tono della voce.
“Bella, ecco stasera mi ha invitata Jasper a casa sua” Mormora imbarazzata, non credo di averla mai vista così insicura. Non che la conoscessi benissimo, ma quel poco che avevo visto era l’inverso di lei in questo preciso istante.
“E..” La incitai a continuare.
“Ho bisogno di un consiglio…Le mie amiche si sono offerte, ma ho preferito venire da te” L’ultima parola la sussurra pianissimo, infatti sono sorpresa di aver capito. I suoi occhi azzurri incontrano i miei. Avete presente gli occhi di un bambino che ti chiede qualcosa? Avete presente quando certi sguardi ti sciolgono?
Avete presente quando vi chiedono qualcosa e vi pregano con gli occhi?
Bè lo sguardo di Alice era triplicato a quello. Sono lusingata che abbia pensato a me. Mi alzo, pensando che qualche santo oggi ha voluto darle la benedizione e vado ad abbracciarla.
“Allora verrai?” Mi chiese speranzosa. Annuisco e le schiocco un bacio sulla guancia.
Dopo mezz’ora sono già vestita e decido di prepararmi un caffè. Sono contenta che abbiamo tutte queste comodità, molte volte dimentico di essere in albergo. Mi sento a casa. A casa con un coinquilino appena conosciuto. Perché l’Edward che avevo conosciuto come segretaria era per metà di quello che è adesso. Era ugualmente dolce, ma era più chiuso, autoritario – non che mi avesse mai maltrattata o qualcosa simile- a dire il vero ero un po’ intimorita da quell’Avvocato. Adesso mi sento come se lo avessi appena conosciuto. Devo ammettere che però l’Edward avvocato mi attizza, e non poco. Mi lecco le labbra istintivamente, e , solo dopo il fischiettare della caffettiera mi accorgo che Alice mi fissa. Abbasso lo sguardo e mi giro per mettere lo zucchero. Oddio.
Verso il caffè in due tazze, una la porgo ad Alice che mi ringrazia e avvicino la mia alle labbra. Adoro l’odore del caffè di prima mattina. Lo annuso e quando capisco che è abbastanza tiepido da poterlo bere inizio a sorseggiarlo.
“Andiamo?” Chiedo ad Alice, che mi sorride e annuisce. Prendo la mia borsa e guardo la porta chiusa di Edward. Forse dovrei avvisarlo, forse potrei chiamarlo tra qualche ora, in modo da non disturbarlo o forse gli farebbe piacere se…
Faccio cenno da aspettare ad Alice. Afferro un bigliettino bianco dalla mia borsa e con la biro gli comunico che sto uscendo. Apro piano la porta ed entro. Oh.
Dorme in mutande! Oh cazzo…non immaginavo che, Oddio. Mi passo nervosamente una mano tra i capelli e sospiro.
Calmati! tanto dorme. Mi avvisa la mia vocina interiore. Annuisco a me stessa e,  solamente dopo che le mie guance si siano avvicinate al colore porpora, appoggio il foglio sulla parte del letto vuoto. Velocemente mi dirigo alla porta, mi giro un attimo e…il suo coso, è davvero visibile attraverso i boxer. Lo guardo per pochi secondi dormire e mi rendo conto che non ci sia creatura più bella che i miei occhi abbiano mai visto.
Raggiungo Alice e insieme entriamo nell’ascensore.
 
Dire che fare shopping con Alice è stressante è un eufemismo bello e buono. Sono tre ore, TRE ORE, che camminiamo, entriamo in un negozio, stiamo per più di venti minuti senza ottenere niente per poi uscire nel centro caotico di Seattle. Sbuffo silenziosamente, non voglio che pensi che non mi stia divertendo, come invece sta facendo lei. E’ solo che sto impazzendo, poi proprio oggi è uscito fuori il sole, sto morendo di caldo.
“Vieni Bella!” Esclama entusiasta. Sorrido – o almeno cerco di farlo- e mi avvicino al negozio dove è appena entrata. Come negli ultimi negozi in cui siamo entrate, i vestiti sono tutti molto raffinati…Ce ne sono di tutti i tipi, sono davvero molto belli…Non oso immaginare il prezzo. Alice si avvicina ad un vestito blu scuro e io la seguo.
“Oh Bella, guarda che bello” effettivamente l’abito è bellissimo. E’ blu scuro, lungo fino al ginocchio, in vita ha un piccola cintura patinata di brillantini e si attacca al collo.
“Alice, è davvero bellissimo. Provalo” Affermo. Si dirige in camerino ed io la aspetto.
E’ la prima volta che vengo in centro a Seattle. Tecnicamente sono già venuta, ma in auto. Seattle è bellissima, somiglia a Los Angeles anzi è una piccola Los Angeles piovosa.
Mi manca casa mia…Mi manca tutto ciò che ho lasciato. Ma ho promesso ad Edward che per lui sarei rimasta. Perché per quanto possa essere potente il mio dolore, il suo lo è altrettanto…E se io avrei bisogno di qualcuno come Edward, vorrei che quel qualcuno pronto a sostenermi ci fosse. Sono in parte felice di essere rimasta. Dal giorno che avevo accettato di fare parte all’incarico di Edward, sapevo che ne avrei sofferto, sapevo che non sarebbe stato facile. Mi sono detta quindi che la vita va vissuta e combattuta, che non posso arrendermi al primo ostacolo, che se il dolore ha un inizio può avere anche una fine, che quella fine sia lontana ne sono consapevole, ma se io non faccio nulla per accorciare i tempi, quella fine non verrà mai.
Guardo fuori dalla vetrina con una lacrima che solca il mio viso. Piango per l’odio che ho verso la prepotenza con cui il dolore è entrato in me, frantumandomi in tanti piccoli pezzetti.
Una bimba saltella felice, la sua mano è legata a quella di un uomo – evidentemente il padre- che sorride, il suo sguardo innamorato è incantato verso quella piccola, sua figlia. Li guardo, guardo la bimba con invidia. Perché io un padre c’è l’ho avuto per pochi anni, perché io mio padre neanche so che carattere abbia, perché io di mio padre non riconosco la voce, perché io di mio padre avrei solo voluto che mi portasse la piccola cassatina ogni domenica.
 
Era domenica, una domenica come quella di ogni volta. La famiglia Swan era interamente riunita. La domenica, Nonno Swan voleva tutti i figli e i nipoti a casa sua per il pranzo domenicale. Charlie portava sempre il dolce.
Dopo il pranzo, Charlie si recava in cucina, poggiava il vassoio con i pasticcini sul tavolo e quando lo scartava, nel centro, in mezzo a tutti i pasticcini c’è n’era uno in particolare. Era un dolce Italiano ‘ la cassatina Siciliana’ il dolce preferito della sua piccola Bells. Prendeva quella prelibatezza tra le mani, guardava sua figlia negli occhi ed esclamava ‘La cassatina per la piccolina mia’.
 
Da quel giorno non mangio più quel dolce. Mi sono promessa che la prossima volta che lo farò sarà perché me l’ha portato lui.
**
“Alice è davvero fantastico, sarai stupenda” Le dico addentando il mio panino. Ci siamo fermate per il pranzo.
“Grazie Bella, di tutto. Mi è piaciuto fare shopping con te. Comunque non abbiamo ancora finito” Ammette guardandomi felice. Sgrano per un attimo gli occhi.
“Le scarpe ci sono, l’abito, e gli accessori idem”
“Bella. Punto primo; tu non hai acquistato nulla. Punto secondo; devo comprare l’intimo. Punto terzo; Dobbiamo ancora parlare”.
Sbuffo e bevo la mia coca-cola. Accendo una sigaretta e chiudo gli occhi buttando indietro la testa.
“Bella tu non hai bisogno dell’intimo?” Mi chiede tranquillamente di punto in bianco.
“No..Cioè, io non uso qualcosa di unico. Un semplice reggiseno e un paio di slip e sono apposto” Affermo senza vergogna, lei invece mi fulmina con gli occhi. Mi afferra per il braccio ed inizia a camminare urlando.
“Non è assolutamente concepibile Bella!”
“Perché Alice? In fondo lo vedo solo io, mi sembra-” Annuncio tranquillamente…Non avevo preso in considerazione l’avversione per la moda che aveva Alice.
“Si Bella, ma adesso stai con mio fratello e…”
“Ma che dici? Tu sei pazza, Alice ma che…hai frainteso tutto e-” La interrompo di colpo, il tutto sempre camminando.
“Bella okay! Non è ancora il tuo ragazzo, ma prima o poi ci farai sesso. Insomma vivete insieme, eh lo so mio fratello è davvero bello. Mi chiedo come mai tu ci abbia perso tempo” La fermo di colpo e lei si blocca. Mi guarda con aria mortificata, forse crede che io mi sia offesa, ma non è così.
“Alice io sono vergine” Ammetto tutto d’un fiato. Lei sgrana gli occhi, ma dopo pochi secondi mi sorride.
“Scusami Bella io davo per scontato che…oh insomma lascia perdere, sono una stupida!”
“No Alice. Lo so ho ventidue anni, è strano che io lo sia, lo so. Ma guardami” Indico me stessa. “E’ palese” Ammetto sconfitta. Sul mio aspetto sono sempre stata insicura. Al liceo c’erano tanti ragazzi che mi davano attenzioni…Forse sono io che ai tempi somigliavo a qualcosa di vicino ad una monaca di clausura. Il problema è che non mi sono mai spinta oltre ad un semplice bacio perché non ne ho mai sentito il bisogno. Ma con Edward ogni minima carezza mi fa desiderare sempre di più.
“Bella. Mi è sembrato strano perché tu sei una ragazza bellissima” Mi guarda negli occhi e mi sorride.
“Sei bella dentro e fuori. Non ho mai conosciuto una persona così genuina come te. E cavolo, mio fratello ti guarda come se fossi una fragola. Sei affascinante e il fatto che tu non te ne renda conto aumenta il tuo fascino. Prova a guardarti con degli occhi diversi. Come se non fossi tu e vedrai che inizierai a piacerti” Mi dice sinceramente.
“Gra…Grazie Alice” Mi sorride.
“Senti posso farti una domanda?” Le chiedo, lei annuisce e mi guarda con curiosità.
“Quante donne ha avuto Edward?” Chiedo non convinta di voler sapere davvero la risposta.
“Non lo so…Io ho conosciuto solo una ragazza. Tanya. Le mie amiche mi hanno detto che però è stato con tante ragazze ma non so dirti se siano state importanti o meno”
“Ma com’era questa Tanya” Chiedo interessata.
“Oh è un’oca. Urla anziché parlare, è molto fine, o almeno prova ad esserlo. Dicono che si sia rifatta il naso” Una smorfia di orrore si dipinge sul viso di Alice, credo che la mia sia identica. Provo ad immaginarmi Edward con una persona meticolosa e strillante. Scoppio a ridere sperando che quel tipo di ragazza non sia la ragazza ideale di Edward.
“Basta parlare del passato. Andiamo dai!” Esclama entusiasta e prendendomi per il braccio inizia a correre come pochi minuti fa.
Entriamo da Victoria Secret e iniziamo a dare un’occhiata.
Non c’è nulla di effettivamente succinto. Ci sono dei baby-doll abbastanza sensuali ma non troppo spinti. La maggior parte dei capi d’intimo sono fatti di Seta, sono morbidi e davvero carini. Il mio occhio cade su completino bianco, le coppe del reggiseno sono rivestite di Satin lucido, i bordi sono in pizzo raffinato, lo slip che in realtà è un perizoma, è morbido come il reggiseno, la parte d’avanti è in pizzo trasparente, ma non troppo, ha l’effetto del vedo non vedo, la parte dietro è tutta in pizzo con dei fiori stampati. Lo fisso e mi chiedo se prenderlo o meno, in fondo posso anche indossarlo senza secondi fini. Alice si avvicina e con gli occhi segue il mio sguardo.
“Ehi è carino quello” Mormora indicando il completino che avevo adocchiato. Decido di prenderlo e lo infilo nel cestino – che abbiamo preso all’entrata per mettere tutti gli acquisti- Alice intanto mi mostra quello che ha preso per lei. E’ nero, è un baby-doll. I bordi del seno e del perizoma sono rossi son dei fiocchetti. Il pizzo che dovrebbe ricoprire il ventre è trasparente. E’ carino davvero, ma non credo sarebbe adatto per me.
Dopo aver pagato, Alice decide che è arrivato il momento di tornare a casa. Sorrido, alla fine mi sono anche divertita, ma mi è assurdamente mancato il fratello. Mi è mancato quello che realmente voglio e desidero.
 
 
Edward’s Pov.
 
Impilo i fogli e con una graffetta li fermo. Sospiro, per domani ho tutto pronto. Non vedo l’ora di andare a quella riunione domani. La aspetto da cinque anni ormai. Spero solo che non sia inutile.
Sono le quattro del pomeriggio, fisso il bigliettino che stamattina ho trovato sul mio letto e sorrido.
Buongiorno! Alice alla sette di stamattina mi ha buttato giù dal letto. E’ sabato quindi non credo che tu abbia bisogno di me. Ad ogni modo spero di tornare presto.
Un bacio. B.
Afferro una sigaretta dal pacchetto e mi dirigo verso il balconcino. Guardo dall’alto la gente che corre, le macchine che sfrecciano con velocità. Si sentono le urla dei bambini, la gente che mormora tra di loro, le macchine. Poi vedo una chioma familiare assieme ad un’altra altrettanto familiare. Sono Bella ed Alice. Si abbracciano e si salutano. Bella entra in Albergo e quindi sparisce dalla mia visuale, Alice invece rimane a guardare il punto da cui è sparita, dopo pochi secondi va via.
“Edward” Mi chiama Bella una volta entrata. Ha una busta in mano che appoggia sul divano insieme alla borsa.
“Ciao” Mormoro fissandola. Indossa un paio di jeans che le fasciano le gambe perfettamente, una canotta abbastanza larga che lascia intravedere il suo seno tonico e prosperoso. I capelli le ricadono sulle spalle in modo impeccabile. Mi avvicino a lei, che si butta immediatamente sulle mie labbra.
Per l’urgenza cadiamo sulla piccola panca situata al centro del balcone. Sorridiamo per la foga, e forse anche per quel senso di completezza che ci avvolge quando siamo insieme.
Quando si stacca dalle mie labbra mi guarda negli occhi. La sua è una domanda muta, e per come mi ha domandato io le rispondo. ‘ Mi sei mancata anche tu’. Bella è sopra di me, siamo sdraiati sulla panca. Le accarezzo dolcemente il braccio e un brivido intenso si espande in tutto il mio corpo. Si tratta di una cosa intensa, forte, come se la stessi toccando con l’anima, come se lei indissolubilmente mi avesse catturato dentro di lei. Mi sento di fare parte della sua anima e sento che la mia anima non è più sola.
Poche volte mi sono chiesto cosa penso dell’amore. In un libro o in film che si rispetti, il protagonista lo cita spesso. So che molte volte si soffre, si gioisce, si è felici, si è tristi, che è irrazionale, ma che non c’è niente di più razionale nella maggior parte dei casi. Ho sempre pensato che l’amore fosse un controsenso, che fosse qualcosa che nessuno ha mai provato davvero, che la gente dice di amare quando vuole bene una persona più di un’altra. Ma sono sempre stato uno stupido, perché solo adesso mi rendo conto che se credi nel male credi nel bene, e quindi se esiste il dolore deve esistere anche l’amore.
Ma non potente come quello per un oggetto, un’animale o un familiare. No, è potente, è forte come il dolore. E se il dolore si è impossessato di me, deve esserci una cura, e se la cura consiste nell’amore?
“Allora cosa avete comprato oggi?” Chiedo a Bella, che si sta dipingendo le unghia – così corte che mi chiedo se quello smalto lo spalmi davvero su di esse- dopo mezz’ora che è arrivata.
“Alice ha comprato un vestito, scarpe e accessori” Dice con nonchalance.
“No aspetta siete mancate per otto ore solo per questo?” Dico scoppiando a ridere.
“Già…Quattro ore, senza esagerare, passate da Victoria secret” A quel nome deglutisco silenziosamente.
“Tu...hai fatto acquisti?” Chiedo sperando di non sembrare troppo imbarazzato.
“Si” Sussurra guardandomi negli occhi.
“E non mi fai vedere?” Continuo con tono seducente. Lei sorride e scuote la testa. Mi alzo dal divano e mi avvicino a lei. Mi posiziono dietro la sedia dove è seduta e appoggio le mani sul bordo del tavolo. Mi avvicino al suo orecchio e le chiedo il perché. Lei sorride e si alza, scostando automaticamente le mie braccia, che la circondavano senza toccarla.
Prende una busta ed estrae un completo intimo bianco. Un colore che non credo le si addice davvero. Sgrano gli occhi, è semplice ma allo stesso tempo sensuale, non oso immaginare lei con solo quello addosso, potrei avere una perenne erezione. L’eccitazione aumenta quando mi accorgo che lo slip è un perizoma striminzito.
Sorride e lo ripone nella busta dirigendosi nella sua camera. Torno a sedermi sul divano maledicendo il giorno in cui ho deciso di prendere questa stanza con due letti.
Sono sempre stato circondato da ragazze belle, ma mai, mai nessuna ha suscitato in me certe emozioni. Sospiro e mi sento eccitato al solo pensiero di Bella con quel coso striminzito addosso.
“Edward tu cosa provi per me?” Mi domanda improvvisamente Bella.
“Non lo so” Mormoro guardandola. Lei abbassa lo sguardo, forse delusa.
“Non lo so perché è una cosa che non conosco, non lo so perché qualsiasi ragazza io abbia conosciuto non mi ha mai fatto lontanamente sentire come mi fai sentire tu. Non lo so perché è qualcosa di forte, così forte che può farmi paura. Ma non ho mai voluto avere paura come in questo momento. Non so se è amore, ma è qualcosa di bello. Io ho bisogno di te per stare bene” Sussurro. I suoi occhi diventano lucidi e poi finalmente apre la bocca.
“Meno male. Perché è quello che sento anch’io” Mi dice imbarazzata con le guance rosee. Si avvicina a me e nasconde il suo viso sull’incavo del mio collo. Sospiro e mi sento intero, non mi sento più quel vaso rotto in piccoli pezzi, mi sento come se dentro di me ci fossero dei lavori in corso.
**
“Sei nervoso?” Mi chiede Bella mentre siamo sull’ascensore. Oggi è il grande giorno, forse sto fantasticando troppo, in fondo dobbiamo solo decidere cosa fare con il giudice, decidere se è davvero coperto come sembra, il bastardo.
Annuisco e lei mi sorride dolcemente sfiorandomi la guancia. Mi avvicino a lei e la bacio, lei si stringe a me e mi tranquillizzo almeno un pochino.
Entriamo nell’atrio dello studio e ci sono gli altri avvocati già dentro. La porta è aperta, dovremmo essere in tutti dieci legali.
“Buongiorno” Mormoriamo io e Bella all’unisono.
“Edward Cullen e la mia segretaria Isabella Swan” Mi presento, facendo lo stesso con Bella e gli altri fanno lo stesso. Tutti con la loro segretaria. Ci accomodiamo e dopo pochi minuti Price arriva scusandosi per il ritardo. Guardo Bella che è visibilmente in soggezione senza capirne il motivo.
“Bene. Cominciamo. Avvocato Cullen, inizi pure mostrando la sua documentazione ai colleghi”. Bella accarezza la mia schiena velocemente ed io annuisco interiormente.
Apro la mia valigetta, tiro fuori il fascicolo di George e lo appoggio alla scrivania e mi alzo.
“Venerdì undici Gennaio 2003. Il volo che da Seattle, sarebbe dovuto arrivare a Los Angeles, quel giorno alle nove del mattino crolla. Cinquantasei sono i feriti, uno morto. George Nicolas Crise. La causa è stata guida sotto effetto di sostanze stupefacenti. Il pilota John Audost ha ucciso una persona e dopo pochi anni è uscito su pagamento di cauzione. Sono cinque anni che la famiglia del ragazzo rimasto vittima aspetta giustizia. Le persone ferite sono state risarcite. Per la famiglia del ragazzo due anni di galera non sono abbastanza, come non lo sarebbero per chiunque. Ho parlato con molti avvocati di questa situazione. Si dice che questo elemento non è la prima volta che commette reati gravi. Anche se sembra impossibile, si crede che sia coperto bene. Ora io mi chiedo, in che mondo corrotto viviamo? E’ possibile che innumerevoli persone debbano soffrire per la testa di cazzo che si ritrova questo soggetto? Chiedo giustizia per George, per i feriti e per tutte le altre persone che al giorno d’oggi aspettano che il proprio caso sia preso in considerazione. Che non è possibile che dopo pochi anni un caso grave venga archiviato” Sputo tra i denti il discorso più lungo che io abbia mai fatto fino ad oggi a queste persone che mi guardano interessati. Ogni tanto mentre parlavo qualcuno annuiva qualcun altro sgranava gli occhi. Bella sprizzava qualche lacrima sulla sua guancia. Mi ha fatto male parlare di quelle cose, sento ancora la rabbia montarmi dentro. Ma era necessario farlo, spero solo che non sia un altro tentativo inutile, spero solo che tutto ciò porti a quello che voglio: Giustizia, fino alla morte. Chiederò giustizia fino alla fine dei miei giorni se sarà necessario.
 Dopo di me tutti mi imitano, poggiano il proprio fascicolo sulla scrivania e iniziano a parlare.
Ci sono accuse di violenza, accuse di guida in stato di ebrezza, accuse di calunnia e infine accuse di falsa testimonianza. Dopo due ore buone la riunione è giunta al termine.
Price ci mostra una foto. C’è un uomo con i capelli neri, i tratti del viso sono invecchiati, e lo sguardo non promette nulla di buono.
“Questo è Aro Volturi. Uno dei giudici più famosi di Seattle. La maggior parte di noi crede che lui sia la spalla destra di Audost. Sarà difficile, lo ammetto. Ma siamo in tanti. Quindi vi chiedo di non mollare e vedrete che tutto si svolgerà per il meglio” Ci congeda ed usciamo.
“Ma hai visto come ti guardava quella?” Mi chiede bella inorridita. Io scoppio a ridere vedendo la sua espressione. Ha un V disegnata tra le sopracciglia, vorrei tanto baciarla in quel punto preciso.
“No. Proprio perché io non ho guardato nessuna che non sia stata tu” Sussurro dolcemente ad un millimetro dalle sue labbra. Lei mi sorride.
“Tu. Sei. Mio.” Sibila un attimo prima di baciarmi appassionatamente. E non importa se siamo d’avanti ad un edificio dove alle nostre spalle c’è gente che ci vede. Non ci importa se diluvia perché tutto ciò che ci circonda è niente in confronto a quello che proviamo quando le nostre labbra si muovono all’unisono.
Perché si, adesso ne sono pienamente convinto, la cura al mio dolore consiste nel trovare l’amore. Ed io non sono sicuro di averlo trovato davvero. Sono solo sicuro di aver trovato il modo per stare bene. Ho trovato la luce dopo anni di buio, una luce che riesce ad illuminare il mio cammino e mi basta, momentaneamente è quello che voglio.
 
 
 
 
 
 
 
 
Bè? Che ne pensate? Fatemi sapere, mi fa piacere leggere le vostre recensioni. Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate. Ringrazio che legge silenziosamente e infine ringrazio: https://www.facebook.com/GraphicsAndEditVideo per il banner, a proposito vi piace? Io credo che sia perfetto per questi Edward e Bella.
Enjoy.
Roby.

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Capitolo 11
*** The way You touch, I loser control and shiver deep inside. ***


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Love save the pain.

 

 

 

The way You touch, I loser control and shiver deep inside.

 

 

 

 

Bella’s Pov.

Correvo. Le mie gambe erano riuscite ad essere più veloci di quanto pensassi. La sabbia, ostacolava la mia corsa, ma mi sentivo libera. I polmoni bruciavano per via della corsa, ma sul mio viso un sincero, bizzarro e stupido sorriso aleggiava senz’ombra di dolore.
C’erano delle rose blu. C’erano infiniti campi di grano. C’era mia mamma, Edward, Alice, Angela e Jacob che mi guardavano con una luce felice negli occhi. I miei capelli, al vento mi rendevano più libera di quanto il mio subconscio potesse credere. Correvo, senza capire il perché, senza capire quale era la mia meta.
All’orizzonte, un’ombra faceva bella mostra di sé. Una risata arrivava al mio udito e un moto di sorpresa si prese gioco di me quando avevo realizzato che era la mia voce. Anch’essa libera, spensierata, sincera e stranamente felice.
Mano a mano che mi avvicinavo  riuscivo a vedere l’ombra. Era un uomo, alto, non troppo snello, sorrideva toccandosi i baffi.
Era lui.
Finalmente era lui.
Nemmeno quella sorpresa aveva fatto cedere la mia corsa. Dopo cinque minuti ero finalmente arrivata a destinazione.
“Papà! Papà!”- Urlavo sorpresa che quella parola, - che non avrei mai e poi mai creduto potesse farlo-  uscì dalle mie labbra. Invece lo avevo detto, ero riuscita a dire ‘Papà’. Guardavo i suoi occhi, sempre innamorati della sua piccola bambina che ormai era cresciuta. Una lacrima aveva solcato il mio volto. Una lacrima libera, sincera, felice, non più solitaria.
Lo avevo abbracciato, sorpresa di non aver sentito il suo odore.
“Papà.”- Mormoravo in preda all’eccitazione di averlo di nuovo con me. Forse il destino mi aveva miracolata.
“Piccola Bells.”- Mi aveva risposto, a quella che apparentemente non era una domanda, piangendo.
“Ascoltami. Andrà tutto bene. Io so che sarò per sempre nel tuo cuore, come tu lo sei e lo sarai nel mio. Vivi amore mio. La vita è bella quanto brutta. La vita è infinita quanto breve-”
“Ma..”- Lo avevo interrotto beccandomi la sua occhiata tra l’arrabbiato e il divertito.
“Ti voglio bene mia piccola Bells.” -Aveva detto un attimo prima di posare le sue labbra, ruvide, a causa della barba, sulla mia tempia. Poi come neve al sole era sparito.

“No!”- Urlo con tutto il fiato che i miei polmoni possono essere capace di produrre.
Sembrava così reale!
Quanto mi rendo conto che è questa la realtà, i singhiozzi si prendono la mia mente, il mio corpo, il mio cuore, la mia anima.
“Oh…mio…dio!”- Non capivo più nulla. Ancora una volta me lo hanno strappato via. Ancora una volta me lo sono  fatta sparire dalle mie braccia.
Ancora una volta il dolore ha il coltello dalla parte del manico.
“Bella!”- La voce di Edward raggiunge il mio udito, è disperata, spaventata.
Mi copro il viso con le mani, non riuscendo – pur provandoci- a placare i singhiozzi.
“Bella. Calmati.”- Mormora con le labbra sui miei capelli.
“No! No Edward! Me lo hanno portato via…Me..l…hanno…port..via”- Lefrasi erano sconnesse, sentivo un blocco nel petto che schiacciava la mia voce. Mi sento distrutta come se mi fosse passato un treno a tutta velocitò addosso. Schiacciandomi il cuore.
Avrei dovuto immaginare che era tutto un sogno, Avrei dovuto immaginare che quello era un universo parallelo. La mia mente – comandata dal dolore- si era presa di nuovo gioco di me.
“Ssh. Dormi piccolo tesoro.”- Mormora Edward cullandomi. I miei occhi freddi e umidi si chiudono. E semplicemente con la voce di Edward mi addormento, disperata, sfrenata ed emotivamente esausta.

 

**

“E questo è tutto.”- Sussurro ad Alice, dopo averle raccontato tutta la mia storia, dall’inizio ad adesso. Lei come ottima interlocutrice ha ascoltato in silenzio, ogni tanto una piccola lacrima scendeva dal suo viso. Forse per pietà, forse perché la mia storia è troppo dolorosa, forse perché sentendo la mia voce che all’ombra di quel racconto tremava, o forse perché in agguato c’era qualche singhiozzo  che cercava di smorzare la mia voce.
Dicono che ogni avvenimento ha una sua trama, dicono che ogni avvenimento ha una causa, dicono che ogni avvenimento a cose e persone è o non è puramente casuale.
Casualità o meno la mia vita è stata distrutta. Il fato o chiunque comandi il nostro cammino, ha deciso che la mia strada deve essere trascorsa in mezzo al dolore. Che la vita non è facile per nessuno. La mia non è assolutamente vita.
I libri mi hanno insegnato che vivere male può andare bene, non vivere completamente però no. Ed io non vado bene, perché non vivo, perché non ho la possibilità di vivere.
Chiunque ha perso dei cari. Tante persone di ogni età sono cresciuti con un solo genitore. Io non lo accetto. Non accetto di non aver vissuto mio padre.
Ricordo che era buono. Che sorrideva sempre. Che mi amava, come ogni padre ama i propri figli. Che aveva uno sguardo stralunato il giorno in cui è andato via per sempre. Poi basta. I ricordi brutti ci saranno per sempre, i belli sono quelli che scompariscono sempre.
Dicono che appoggiarsi al ricordo non è bene. Dicono che i ricordi sono piccole sfumature che al momento sbagliato tornano nella nostra mente.
Io invece avrei preferito vivere nel ricordo. Almeno avrei vissuto davvero.
“E’ terribile Bella.”- Dice Alice mentre deglutisce. Io annuisco guardando lo spigolo del divano – della suite- dove io e Alice ci siamo accomodate.
 Non so bene il motivo che mi ha spinta a raccontare tutto ad Alice. Forse è stata la disperazione,  forse il mio bisogno di riuscire a parlare con lei. Alice. L’unica persona con cui mi sento in sintonia oltre Jake e Angela. L’unica persona che, in questo periodo, insieme a suo fratello riesce a farmi sorridere sinceramente.
“Non so cosa si dice in questi casi. Quindi faccio meglio a stare zitta. Voglio solo farti presente che io ci sono. Come amica, come sorella, come-” La sua voce viene interrotta dal mio abbraccio di gratitudine.
Non so se Alice ed io saremo amiche per sempre. Sono stanca di pensare agli avvenimenti che può causare un mio gesto, una mia parola. Ho capito che nel bene e nel male certe cose succedono senza causa, senza apparente motivo.
“Tu, invece, raccontami qualcosa.”- Sussurro. Sorrido cercando di tornare la Bella solare.
“Jasper vuole conoscere i miei genitori.”- Dopo questa affermazione/rivelazione avvampa, cosa non del tutto da Alice. Io le sorrido teneramente.
“Non vuoi?”- Le chiedo sicura di non essere invadente, termine che è assolutamente escluso dal vocabolario di Alice.
“Non è questo, è solo che. Ho paura che lui non piaccia ai miei.”
“E perché?”- Chiedo inorridita. I genitori di Alice sono persone fantastiche. Hanno accettato me dopo tutto. Rifletto un attimo. No! Quando mi hanno conosciuta io e Edward non eravamo nulla.
“Perché sono gelosi. Insomma Jasper proviene da una famiglia agiata come la mia. E’ molto educato e riservato. Non vorrei che però la gelosia potesse rovinare tutto.”- Ammette con una punta di amarezza nella voce.
La mia famiglia non è per niente agiata! Cosa dovrei fare allora io? Merda.
“Oh Alice! Capisco. E’ solo che dovresti provare, insomma, se è una cosa seria non puoi nasconderla per sempre. Anzi meglio prima, ti togli un peso.”-Cerco di essere più razionale possibile, anche se al momento mi risulta difficile.
“Vedremo.”- Mormora dando una rapida occhiata al cellulare.
“Io vado Bella. Ci sentiamo domani okay?”- Annuisco e le poso un piccolo bacio sulla guancia.
“A domani. E sta’ tranquilla. Andrà tutto bene!”- Urlo mentre Alice si chiude la porta alle spalle.
Andrà tutto bene un corno!
Aspetta, aspetta, ASPETTA! Edward non mi ha mai parlato di un colloquio con i suoi genitori. Se non di lavoro, ovviamente suo padre è il mio secondo capo. Sbuffo passandomi una mano tra i capelli.
La mia insicurezza bussa nel mio cervello, pronta e in azione.
“Sono fottuta.”- Mormoro a me stessa.
Ho sempre avuto la paura di non piacere a nessuno. Anche se la gente che conosco mi dice che sono adorabile, simpatica, riservata.
Il fatto è che ogni donna è così. C’è a chi non piace il proprio corpo, c’è chi ha paura di dire o fare sempre qualcosa di sbagliato e poi c’è, chi, come me, ha paura di entrambe le cose.
Il mio corpo è apparentemente indecente. Sono magra, nelle braccia e nelle gambe e il torace non è male. Il seno, per i miei gusti troppo sproporzionato. Insomma peso cinquanta chili e ho una quarta!
Goffaggine è mio il secondo nome. Le brutte figure fatte grazie a essa non si possono classificare.
Quando qualcuno mi rivolge delle domande avvampo, le orecchie diventano bollenti, inizio a sudare e la voce mi trema come se dovessi piangere da un secondo all’altro.
Chi vorrebbe una sfigata del genere in famiglia?
Accendo la tv per far scemare gli insulti che rivolgo a me stessa. Faccio un po’ di zapping e mi fermo quando noto i Bon Jovi sullo schermo. Il mio sorriso si allarga e mi metto in piedi sul divano.
Ma chi se ne frega! Io sono così, chi mi accetta bene, sennò andrà a farsi benedire.
Alzo il volume e inizio a muovere il mio corpo a ritmo di musica.
“She says; We've got to hold on to what we've got .'Cause it doesn't make a difference. If we make it or not . We've got each other and that's a lot for love, we'll give it a shot.”-
Canto liberandomi, per pochi attimi, dal mondo di negatività che mi circonda.  
Quando la canzone finisce abbasso il volume. Un brivido attraversa la mia schiena, quando mi accorgo che il respiro di qualcuno è addosso al mio collo. Giro il viso e un abbaglio di occhi verdi scintillanti colpisce il mio sguardo. Sorrido imbarazzata sicura che Edward abbia assistito al mio stupido teatrino.
“Ciao.”- Sussurra appoggiando le sue labbra alle mie.
Assaporo la morbidezza di quelle labbra che mi attirano anche solo guardandole. La mia lingua esplora la sua e un calore, familiare da qualche giorno, si impossessa del mio corpo rubando anche la mia mente. Mi porta in un universo parallelo. E per alcuni attimi il mio cuore sta bene. Avvolgo le braccia nel suo collo e schiaccio il suo corpo contro il mio. E con un semplice contatto mi sento a casa. Mentre mi bacia lo sento nelle viscere, nel profondo della mia anima che un tempo credevo annientata del tutto.
“Lo farai di nuovo?”- Mi chiede accarezzandomi la guancia con le nocche. Lo guardo interrogativamente non capendo cosa vuole dirmi.
“Ballare e cantare…”- La frase dovrebbe suonare divertente. Ma nella sua voce c’è una punta di tenerezza.
“Sai per un momento mi hai fatto dimenticare lo schifo che mi circonda. E’ stato bello vederti in quel momento. Così spensierata, libera. Se-”
“Per te lo farò sempre.”- Mormoro nel suo orecchio mordendolo dolcemente.

**

Dopo cena siamo entrambi seduti sul divano. Io guardo un film, di cui non ricordo il nome né la trama. Edward, come ogni sera, è sul computer. E’ passata già una settimana da quando hanno presentato l’istanza al giudice, ancora non ci sono novità.
Mentre guardo, invano, la tv, il mio cellulare squilla. Sono le undici di notte!
“Pronto?”

“Pronto Bella! Come va da quelle parti?” Sorrido al suono di quella voce familiare quanto rassicurante.
“Jake! Che piacere sentirti! Io tutto bene, e tu?”

“Magnificamente! Mi sono appena laureato dolcezza. Come dovrei stare?”
“Oh…Congratulazioni Jake. Sono così fiera di te!”- Sussurro con le lacrime agli occhi. Jacob è come se fosse mio fratello. Da piccoli ci siamo sempre trovati insieme, indipendentemente dalle situazioni. I nostri coetanei erano pienamente convinti che prima o poi ci saremmo sposati. Quando al Liceo si venne a sapere dell’orientamento sessuale di Jake, a molti prese un colpo. A me non è cambiato nulla. E’ rimasto sempre il mio Jake, la causa dei miei sorrisi sinceri. Almeno fino a qualche mese fa.
“E dimmi Bells! Raccontami qualcosa!”
“Vorrei vederti quando torno.” -Mormoro, ho bisogno di un consiglio alla ‘Jake’.
“Quando torni?”
“Ehm. Non lo so ancora. Facciamo così, se-”.
Posso raggiungerti a Seattle.” -Mi interrompe euforicamente.
“No! Ci vedremo a casa. Non preoccuparti non dovrebbe mancare molto.” -Non voglio che spenda dei soldi in modo così inutile. Infondo Billy – suo padre- ha fatto dei sacrifici per farlo studiare, e le loro condizioni familiari non sono per niente agiate.

“Sempre testarda!”
“Sempre me stessa” Ribatto sorridendo.
“Va bene Bells, ci sentiamo tra qualche giorno. A presto. Ti voglio bene Orava.”
“Ti voglio tanto bene anch’io Jake. A presto.”
Erano anni che non mi chiamava ‘Orava’, che, significa scoiattolo in Finlandese. Quando ci siamo conosciuti, mi ha fatto un piccolo interrogatorio. Nel suo questionario c’era anche la domanda ‘animale preferito?’ ed io avevo risposto scoiattolo. Quando poi ha iniziato ad interessarsi al Finlandese, Orava era diventato il mio secondo nome.
“Chi era?”- Mormora distrattamente Edward.
“Jake.” -Quando il nome del mio migliore amico esce dalle mie labbra, uno sbuffo appositamente sonoro fuori esce dalle sue labbra. Io lo guardo incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio.
“Qualcosa non va?”- Chiedo non troppo severamente.
“Come mai ti ha chiamata?”
“Così! Non c’è un motivo. E’ il mio migliore amico. Può chiamarmi quando vuole”.
“Oh certo.”- Alza la mano in segno di resa e torna al suo computer.
Sbuffando senza un motivo preciso mi dirigo in bagno. Pronta per la doccia e per andare a letto.
Mi manca casa mia. Mi manca sentire mia mamma che mi chiede di mangiare.
Mi manca il sole che sfiora le mie spalle. Mi manca il fioraio che ogni mattina, prima di arrivare al lavoro mi chiede ‘come va?’. Mi manca il tabaccaio che mi implora tutti i giorni di smettere di fumare. Mi mancano i miei cd, che stupidamente non ho portato con me. Mi manca piantonarmi alla scrivania e scrivere relazioni per Edward o Carlisle.
Carlisle. Chissà se non mi licenzierà a tronco dopo aver saputo il mio rapporto con Edward.
Sospiro ed entro nel box doccia.

 
“Buonanotte.” -Sussurro ad Edward- dopo un’ora dalla mia doccia- ancora al pc.
“’Notte.” -Mormora senza alzare lo sguardo verso di me.
Lunatico. Ecco la parola che mi viene in mente. Sbuffo tra me e mi siedo sul letto. Prendo il libro, che, oggi mi ha regalato Alice. ‘L’ombra del vento- Carlos Ruiz Zafòn’. Accendo la piccola abat-jour che si trova nel comodino e mi immergo nella lettura.
Mentre Daniel viene avvicinato dall’uomo che porta le vesti di un personaggio,  di uno dei romanzi di Carax sento Edward schiarirsi la voce.
Abbasso il libro e aspetto che parli.
“Scusa.”
“Per cosa esattamente?” -Gli chiedo, dopo aver fatto una piccola piega sulla pagina a mo’ di segnalibro e chiuderlo sperando di riaprirlo tra qualche attimo.
“Per il mio comportamento.”- Lo guardo e gli sorrido. In fondo non che abbia fatto chissà cosa.
“Vieni a letto?”- Sussurro con voce roca, senza essermi resa conto immediatamente di quanto roca fosse.
“Tra un po’. Ahm, domani ho un appuntamento con l’avvocato Price.”- Annuisco e lo guardo mentre si gira per tornare dal salottino. Si è cambiato, indossa il pantalone della tuta che, fascia perfettamente quel sedere così solido e dal morso facile. Dovrebbe assicurarselo a parere mio! Scuoto la testa e riapro il libro.

 “Cosa leggi?”- Mi chiede mezz’ora dopo fermo sulla soglia.
“L’ombra del vento.” -Rispondo ipnotizzata tra le righe del libro.
“Mh.”
“Devi dirmi qualcosa?”- Chiedo dolcemente abbassando il libro.
“Ehm.”- Le sue guance si imporporano di rosso. E’ strano e allo stesso tempo adorabile il modo in cui si dimostra ancora timido, dopo avermi conosciuto, almeno un pochino, sessualmente. Adesso si vergogna anche a venire a letto con me.
“Vieni a letto ora?”- Annuisce e mi rivolge un sorriso dolce.
Si avvicina e si sdraia al mio fianco.
Poso il libro e lo guardo.
“Vuoi che spenga la luce?”- Lui alza le spalle e mi guarda.
“Che succede Edward? E’ tutto il giorno che sei un po’…come dire, strano!”
“Penso che a volte tu sia solo un sogno. Un’illusione. Non voglio perderti mai Bella.”- Dice velocemente come se potesse divorare quell’ultima frase.
“Non mi perderai. Perché io non voglio perdere te.”- Mormoro un attimo prima di perdermi tra le sue labbra e nel suo inebriante profumo di petali di rose blu.
Quell’odore che mi fa perdere la ragione facendomi dominare dall’istinto. Lo sento nel profondo di me stessa. La mia gamba avvolge il suo fianco e i bacini si ritrovano.
Mi sono sempre chiesta come sarebbe fare del sesso con Edward. Ma, mai ho potuto immaginare me insieme a lui. Forse per la mia scarsa autostima, forse perché la frase detta da lui stesso poco fa rispecchia anche me.

Un’illusione.
E se fosse tutto davvero un’illusione? Come ne uscirei?.
E mentre le sue mani vogliose ma al tempo stesso dolci, vagano sul mio corpo mi rendo conto che lui è qui, è reale, che è impossibile provare certe cose anche solo con un semplice e delicato tocco.
Restiamo abbracciati senza stancarci di esserlo. Come se abbracciare il corpo dell’altro fosse naturale.
“Buonanotte piccola mia.”- Sussurra al mio orecchio senza staccarsi da me.
“Buonanotte Edward.”
E felicemente abbracciata a una delle persone, che, nella mia vita è diventata qualcosa di più del semplice essenziale, mi addormento.

**

Tornerò presto. Prega per noi che ci siano buone notizie.
Ti voglio bene.
 Edward.

Mentre sorseggio il mio caffè, fisso il biglietto che ho trovato sul comodino appena sveglia.
Ero così stanca che nemmeno ho sentito il freddo che si era impadronito di me al distacco delle sue braccia dal mio corpo.
Accendo una sigaretta e guardo Seattle alle dieci del mattino. E’ una bellissima città, lo ammetto, ma non più della mia adorata Los Angeles.
Prendo il cellulare e decido di chiamare mia mamma.
Mi chiede quando torno, che le manco, che ci sarà una sorpresa al mio ritorno. Mi racconta di Fred ‘ il droghiere’ che ha finalmente accettato il fidanzato della figlia. Scoppio a ridere nel sentire mia madre raccontarmi i fatti giornalieri. Scoppio a ridere anche perché erano anni che la sua voce non era più così accesa. Un moto di depressione si fa spazio nella mia mente. E se fosse così sollevata perché io sono lontana? Nel senso che non ha costantemente la visione di me che mi autodistruggo sulla spiaggia.
Non ho mai realmente pensato al dolore in più che le infliggevo ogni volta. Non mi sono mai chiesta cosa ne pensasse lei di quelle ‘visite’ giornaliere. Ho sempre e solo alimentato il mio dolore che al tempo stesso era la cura ad esso, noncurante di quello che facevo a mia madre.
La donna che ha lottato per farmi crescere nel modo migliore possibile.
La donna che non si è fatta trascinare dal baratro in presenza della figlia orfana di padre.
La donna che ancora oggi non si preoccupa di sé, del suo dolore, della sua perdita, per non farla pesare sulla nostra casa.
La donna che mi racconta, mi ricorda il grande uomo che era mio padre.
La donna che ama sua figlia più della sua stessa vita.
“Bella! Si torna a casa!”- La voce di Edward mi fa sussultare.
Lo guardo sorridente.
“Come? Co-”
“Bella! Non c’è più bisogno di restare qui. L’istanza è stata accettata dal giudice. Ci contatterà entro sei mesi per la data del nostro processo!”- E’ felice. Sorrido contagiata e lo abbraccio.
“Sono contenta per te!”- Sussurro abbracciandolo più forte e baciandogli il petto. Lui inspira il profumo dei miei capelli.
“Dai! Fai la valigia. Facciamo una doccia e partiamo!” Anche lui è contento di tornare a casa ovviamente. Ma una volta arrivati non ci mancherà quella piccola routine, di noi due costantemente insieme, che si era creata?
Mentre Edward entra in bagno un’idea si paralizza nella mia mente.
Prendo quell’indumento che avevo detto di aver comprato senza secondi fini e lo indosso, sicura di essere già rossa come un peperone.
Mi avvicino, cauta, in bagno e apro la porta. Ringraziandolo per non averla chiusa a chiave. Quando entro riesco ad intravedere la sagoma di Edward sulla doccia.
Un calore al mio basso ventre si propaga inebriandomi la mente. Oddio! Non credo di poterlo fare.

Muoviti! Urlo a me stessa.
Apro il box doccia e Edward osserva me e la mia mise con una sguardo pieno di ardore e con gli occhi fuori dalle orbite.
“Voglio fare una cosa prima di andare via.”- Sussurro sotto il suo sguardo passionalmente dolce.

 

 

Sono viva! Yes.
Ho avuto dei piccoli problemini, che, mi hanno rubato tempo e ispirazione.
Perdonatemi. Spero che siete rimaste qui, spero di non aver deluso nessuno.
Devo andare!
Ps: Avete mai letto l’ombra del vento? Se è no fatelo!
Ps2: Secondo voi che sorpresa attende Bella al suo rientro? :p
A presto.
Roby <3

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** With Your Eyes ***


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Love save the pain.

With Your Eyes.

 

 

 

 

 

 

Bella’s Pov

 

 

Nella mia vita – se è lecito chiamarla tale- ho passato gran parte del mio tempo immersa nel libri.
I libri raccontano dell’amore. Del dolore che l’amore stesso può causare.
Dell’amore insormontabile che può nascere, dipende dalla forza con cui si ama.
Dell’amore per l’arte, per gli animali, per i familiari.
Molti libri riescono a farci provare le emozioni, che il narratore stesso racconta.
Leggendo libri, ho scoperto un nuovo mondo.
Il mondo dei sogni, pianti, gioie, dolori, amore.
Ed è assurdo che, in un momento come questo io penso ai libri.
In un momento in cui il mio sguardo timido fissa Edward ricoperto di goccioline d’acqua, nella sua perfetta nudità che, farebbe invidia a qualsiasi uomo che si trova nel mondo terrestre.

Lo amo. E l’ho capito senza confrontare i libri. Perché l’amore non è quello che si racconta, non è quello che vediamo solitamente nei film. Non è all’interno di una favola, ma è nelle nostre vite.
E per quanto possano essere perfette o imperfette la vita non è una favola, non è un libro né tantomeno un film.
L’amore, è quel sentimento che provi quando vuoi costantemente una persona al tuo fianco.
Una persona ama l’altra quando con essa si sente bene, completa, quasi felice.
Una persona che ama farebbe di tutto per amore.
Una persona che ama non ha rimpianti. E se anche l’amore stesso dovesse tradirti rimarrai per sempre con il ricordo.
Perché l’amore, se si ama davvero, ti lascia il marchio di se stesso.
Ed io ho capito di amare Edward. Qui in questa suite.
L’ho visto diverso da quello che immaginavo.
L’ho visto piangere, sorridere, incazzarsi per poi calmarsi all’istante.
E non importa se non sono ricambiata, non importa se in questo momento –offrendogli me stessa-  sto facendo la cosa giusta. Almeno potrò avere il ricordo di quello che per me è stato l’amore.
“Che-” Lo interrompo con un gesto. Mi sorride dolcemente ed io ricambio immediatamente. Mi porge la mano ed io l’afferro.
Guardo i suoi occhi, rapiti dalla passione, immaginando i miei intimoriti.
“Cosa succede Bella?”- Mi chiede sfiorandomi il lobo dell’orecchio con l’indice.
“Eh…è solo che…”- Mi interrompo per paura che possa dire qualche stupidaggine e lo guardo.
Il suo viso così bello, che sembra quasi irraggiungibile è rivolto verso di me. La sua bocca socchiusa emana sospiri, le sua labbra sono rosse e succose. Il suo sguardo arde nel mio. E me lo immagino quel viso, rapito dal piacere mentre si spinge dentro di me.
Mi immagino la sua bocca lucida dei miei umori, baciarmi. Immagino le sue mani, così grandi quanto delicate che candidamente sfiorano la mia pelle.

Voglio fare l’amore con te Edward. Qui. Prima di andare via. Perché è qui che mi sono davvero resa conto di amarti. Perché è qui che voglio un ricordo felice di noi due.”- Mi sorride dolcemente e mi sposta, facendomi finire sotto il getto dell’acqua.
“Sei bellissima”- Sussurra con voce roca, mentre il mio corpo si rivela sotto la mise bagnata dall’acqua.
La sua bocca raggiunge finalmente la mia e con le dita accarezzo il suo petto bagnato. Le sue mani si fanno strada nel mio corpo.
Accarezzano il ventre, arrivano fino alle cosce, per poi risalire e fermarsi sul mio seno.
Accarezzo i suoi capelli e schiaccio il mio corpo al suo.
Chiudo gli occhi, un po’ per il getto dell’acqua, un po’ per l’emozione di averlo nudo tra le mie braccia.
Afferra le mie natiche e con un movimento fluido allaccio le mie gambe sui suoi fianchi.
I nostri respiri sono strozzati a causa dei baci, a causa dei nostri corpi allacciati. Una sua mano lascia la mia natica e abbassa le coppe del Baby-Doll facendo fuori uscire il mio seno.
Il pollice e l’indice iniziano la loro tortura mentre i suoi ansiti si perdono nella mia bocca.
La mia lingua eccitata esplora la sua.
Un gemito sonoro esce dalla mia bocca nel momento in cui i suoi denti iniziano a stuzzicare il mio seno. Mi rimetto in piedi e lui si stacca con un gemito di disapprovazione.
Accarezzo lentamente il suo collo e lui mi sorride dolcemente.
“Sei sicura?”- Mi chiede con la voce affannata.
Io annuisco e lo abbraccio.
Scioglie il nodo del mio indumento e non smette un secondo di guardarmi negli occhi.
Quando finisce mi guarda.
Ed io dovrei sentirmi in imbarazzo, date le circostanze.
Nuda con solo gli slip addosso davanti al suo sguardo famelico.
Lui mi guarda, come se volesse chiedermi il permesso, come se fosse tutto sbagliato.
Abbasso gli slip e li lascio cadere ai miei piedi. Un sospiro esce dalle sue labbra, ed io sorrido tra me e me lusingata.
Mi ritrovo sul letto, chiedendomi come non abbia fatto ad accorgermi di esserci arrivata.
Il suo corpo schiaccia il mio sul materasso, le mie mani stringono i suoi capelli e mi sento persa.
Lo desidero in un modo indescrivibile.
Lo desidero come se fosse l’oasi della felicità.
Lo desidero non vedendo l’ora di sentire il suo corpo fuso con il mio.
“Sono vergine Edward”- Sussurro sicura che dovevo dirglielo e sperando che con questa rivelazione lui non cambi idea.
“E…Voglio dire, ne sei davvero sicura?”- Mi chiede senza smettere di baciarmi. Io annuisco e lui si ferma.
“Bella” - Sussurra con tono sofferente.
“Edward sono sicura. Quante volte devo dirtelo? Forse quello che non è sicuro qui sei tu, di certo non io”- Mormoro sconfitta.
“Ma che stai?-”- Si interrompe baciandomi avidamente. Le sue mani, che prima si muovevano lentamente sul mio corpo, adesso sono urgenti e irruente.
Immediatamente mi sento eccitata dalla forza della passione.
Avvicina la mano sulla mia intimità accarezzando dolcemente il mio monte di Venere. Sospiro e lui mi guarda.
Le sue dita si avvicinano alle mie labbra intime e chiudo gli occhi quando introduce un dito.
Accarezzo i suoi capelli per la millesima volta, afferro il suo braccio noncurante della forza che ci metto.
Il suo dito mi penetra dolcemente, dentro e fuori, sembra una tortura, una dolce e lenta tortura.
Avvicino il mio viso al suo unendo le nostre labbra.
Quando sento una spasmo sul mio basso ventre perdo il lume della ragione.
E’ un’emozione devastante. Quasi dolorosa per quanto è potente.
Dalle mie labbra escono gemiti incontrollati e senza capirne il motivo mordo il lobo del suo orecchio, così forte che un gemito di dolore fuori esce dalle labbra di Edward.
“Oddio..” Sussurro ancora con il respiro affannato.
Il corpo imponente di Edward mi sovrasta ancora una volta. E riesco a sentire il suo membro duro spalmato sulla mia coscia.
Bacio le sue labbra, senza mai stancarmi , e lo avvicino a me. Lo guardo negli occhi e lui mi sorride.
Non mi sento affatto nervosa o impaurita, mi fido di lui, e sono sicura che non potrà mai farmi del male. Almeno non volontariamente.
La sua punta si sfrega contro la mia intimità e un sospiro esce dalle nostre labbra all’unisono.
Lentamente mi penetra fermandosi all’istante.
Brucia, cazzo se lo fa!
Sospiro chiudendo gli occhi. Sento le sua mani accarezzarmi il viso e la sua bocca che lascia una scia delicata sul mio collo. Finalmente siamo una cosa sola. Lo sento, dentro l’anima, nel cuore, lo sento così forte che mi sento sconquassata. Una lacrima di commozione esce dal mio occhio e prontamente lui la bacia. Sorrido, perché sono felice. Perché è anche questo che l’amore ti regala; gran parte della felicità.
E il mondo è lontano da noi, noi che siamo chiusi in un limbo, un limbo che da grigio sta assumendo un colore più vivo, più bello, prezioso.
Che sono attimi ma ci sono e resteranno con noi. Quando siamo tristi, delusi, penseremo all’altro e a questo momento, a questo momento nostro.
Con gli occhi dell’altro penseremo sempre a noi. Perché se ami vivi. Ed io mi sento viva, finalmente per la prima volta.
Siamo immobili, lui è dentro di me, il bruciore piano piano sta andando via.
Apro gli occhi, diventati lucidi e lui mi guarda, con un piccolo senso di colpa sullo sguardo.
“Scusa…”
Scuoto la testa e gli sorrido dolcemente prima di accarezzare la sua chioma ribelle.
“Continua”- Affermo chiudendo ancora una volta chiudendo gli occhi.
Piano piano inizia a muoversi. La sensazione è stupenda.
Le spinte sono lente e dolci.
Inizio a muovermi e i sospiri riempiono il silenzio della stanza.
“Apri gli occhi” -Mi ordina dolcemente ed io lo faccio. I suoi occhi sembrano sciolti. Quel verde che qualche mese fa avevo visto spento è adesso acceso. Riesco a leggere nei suoi occhi la felicità, stupore, amore, passione.
Ogni volta che si tira indietro c’è l’ansia della spinta, che una volta arrivata aumenta l’intensità del piacere.
I miei gemiti sono incontrollati. Lo sento farsi spazio in me, e non c’è altro posto dove vorrei trovarmi, se non tra le sue braccia.
Afferro le sue spalle e lo abbraccio mentre continuiamo a muoverci.
Sento i suoi gemiti sul mio orecchio e la cosa non fa che aumentare il mio piacere.
Un urlo strozzato esce dalla mia gola nel momento in cui raggiungo l’apice, per la seconda volta, una meglio dell’altra.
Sento il suo seme riversarsi dentro di me, ma non riesco a concepire pensieri coerenti.
Mormoro il suo nome centinaia di volte, così come fa lui.
Si accascia su di me e mi guarda negli occhi accarezzandomi i capelli.
“Ti amo anch’io. Piccola Bells.”

 

 

 

 

Edward’s Pov.

“Mi mancherà qui”- Mormora prima di chiuderci la porta della suite alle spalle.
“Mancherà anche a me. Averti sempre con me.” -Mi abbraccia, mentre le porte dell’ascensore si chiudono  e sospiro di felicità.
Non mi aspettavo una tale rivelazione da parte sua, stamattina.
Ma soprattutto non mi aspettavo che io l’amassi.
Dicono sempre che le rivelazioni si hanno una volta aver visto la realtà in faccia.
Mi ero perso innumerevoli volte guardando il suo viso la notte.
Avevo capito di amarla nell’esatto momento in cui avevo varcato per la prima volta la soglia dello studio di mio padre.
E pensare che lei ricambia, e che si sia donata a me fidandosi al massimo è la cosa che più di tutte mi rende felice.
Non so se è più forte l’amore del dolore, ma so che esiste e che comunque la sua forza non è da meno.
E per la prima volta dopo cinque anni,  mi rendo conto che si, posso essere felice anche io. Che il destino ha voluto regalarmi Bella e il suo amore.
Entriamo in macchina e mi preparo mentalmente alle ore di viaggio che ci aspettano.
“Edward. Posso chiederti una cosa?”
“Si. Certo”
“Perché non viaggi mai in aereo? E’ per quello che è successo a George vero?”.
“Si ma-“
“Ne parliamo un’altra volta. Okay” Mormora accarezzandomi la mano che guida il cambio dell’automobile.
 

**

“Entri con me?” Mi chiede Bella dolcemente mentre sta per uscire dall’auto.
Annuisco e apro la portiera.
Mi è mancata Los Angeles. Mi è mancato il caldo. Mi è mancato l’odore del mare. Mi è mancata l’abitudine del Venerdì sera.
La casa di Bella non è grande ma è molto carina, sia dentro che fuori.
“Prima di entrare vorrei…” Sussurra lasciando la frase a metà. Ed io annuisco capendo quello che sta per fare. Toglie i sandali e corre verso la spiaggetta che c’è di fronte casa sua.
Mi avvicino lentamente mentre la vedo mettersi in ginocchio quasi alla riva.
“Sono tornata. Finalmente!” Esclama piangendo. I palmi delle sua mani diventano una coppa e prende un po’ d’acqua.
“Sto bene. Lui, lui è Edward” Sussurra indicandomi, ma con lo sguardo fisso sul mare.
Inizia a parlare, e se non la conoscessi penserei che fosse pazza.
Piange, ride e parla, parla con suo padre.
Mi rendo conto che il suo è un dolore che non potrà mai cessare, che è così profondo che ormai le ha bucato l’anima.
Che non ci saranno soluzioni, non c’è un colpevole, né un motivo valido per cui è morto.
E’ morto per dar da mangiare a sua figlia.
Guardo il mare con i suoi occhi, sperando in qualche modo di riuscire ad aiutarla.
Sperando che io possa fare qualcosa per farla uscire dal pozzo in cui il dolore l’ha sotterrata.
Per renderla felice, nonostante sia impossibile da credere.
Mi prenderò cura di lei, del suo dolore.
Perché è questo che fa una persona che ama.
Una persona che ama lo fa fino in fondo, rischiando, volendo.
Ed io ho scoperto che l’amore può compiere il miracolo di portare un po’ di luce nelle nostre anime.
Non so se il nostro amore potrà mai sconfiggere i nostri dolori, non so se riuscirò mai a sorridere e farla sorridere, so solamente che voglio provarci. Voglio rendere forte il mio amore per lei in modo di annientare il dolore, il peso che il suo cuore porta da anni.
Perché se anche lo credevo impossibile lei con me lo ha fatto. La morte di George resterà per sempre nel mio cuore, il dolore ci sarà sempre. Ma posso vivere, con lei a fianco a me posso farlo. Lo so. Lei aiuta me, io aiuto lei, insieme riusciremo a vivere una vita normale.
Forse non perfetta, ma una vita.
Mi si stringe il cuore a vederla così.
Il dolore di non aver conosciuto veramente il padre. La voglia che avrebbe di passarci giornate intere assieme. La sfortuna di chiedersi il perché a lei. L’adolescenza senza potergli chiedere aiuto se ne avesse avuto bisogno.
Una lacrima sfugge dal mio occhio. Non una lacrima di pena, ma una lacrima di familiarità e amore.

 

**

“Entriamo dai” Sussurra asciugandosi l’ultima lacrima. Annuisco e afferro la sua mano.
Lei mi abbraccia e bacia il mio mento.
“Ti amo” Sussurro baciandole la fronte.
“Ti amo” Sussurra sorridendomi dolce.
Percorriamo la piccola spiaggetta lentamente e arrivati alla soglia di casa sua inizia a suonare il campanello.
La porta si apre e Reneé scoppia a piangere.
“Oh tesoro! Non sapevo saresti arrivata oggi”- Dice alla figlia scoppiando a piangere.
Bella l’abbraccia forte, inizia a baciarle il viso con tanti piccoli baci affettuosi.
“Mamma”- Urla piangendo di commozione. La madre scioglie l’abbraccio e la guarda accarezzandole i capelli.
“Mi sei mancata, piccola Bells”.
“Anche tu mi sei mancata Mamma” Le risponde accarezzandole il viso.
Prendiamo posto in cucina e Reneé ci offre il tè con i biscotti. Ci chiede come abbiamo passato il periodo a Seattle, le abbiamo raccontato tutto. Tranne di noi.
Sembra che Bella non abbia ancora capito che è mia.
“E poi io e Bella ci siamo messi insieme” Mormoro tutto di un fiato, ma tranquillo, so benissimo che Reneé è d’accordo. Infatti dopo pochi secondi mi fa l’occhiolino.
Il campanello ci avvisa che qualcuno ha suonato e Bella va ad aprire.
“Io non so chi sia!” Esclama dopo pochi secondi,  Reneé mi guarda spaventata e mima un aiutami diretto a me. Ci avviciniamo all’ingresso e un uomo, biondo con gli occhi come la pece, sorridente sta parlando con Bella.
“Isabella. Ricordi la sorpresa?” le chiede dolcemente Reneé. Bella la fissa, annuisce e deglutisce.
“Lui è Carl. Il mio compagno” Sussurra impaurita la madre.

 

 

 

 

**

 

 

Tadaaaaaan! Questa è la sorpresa. Come la prenderà secondo voi Bella?
Sono stata puntuale sta volta, una piccolissima recensione la merito no? :3
Mi sono accorta che le recensioni sono diminuite un sacco. Se state perdendo l’interesse, o comunque c’è qualcosa che non vi piace io sono qui ad ascoltarvi. Accetto critiche e bè il resto lo deciderete voi.
Spero vi sia piaciuto.
Alla prossima!
Roby :*

 

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Capitolo 13
*** The order of memories ***


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Love save the pain.

 

 

 

 

The order of the memories.

 

 

 

Bella’s Pov.

Fisso l’uomo. Fisso mia madre. Fisso Edward.
Mi guardano come se fossi pazza, lo sguardo di mia madre è mortificato.
Certamente, non si aspettava che avessi fatto ritorno oggi. Chissà da quanto dura, chissà quante volte è venuto a casa nostra a mia insaputa.
Una lacrima solca la mia guancia.
Lei lo ha dimenticato.
Le mi ha mentito.
Lei mi ha fatto credere per tutto il tempo, incluso l’ultimo periodo che era addolorata, che dopo sedici anni lo amava ancora e non lo avrebbe mai dimenticato.
Cazzate, tutte sparate al vento.
“Bella-”
“No Mamma-”- La interrompo immediatamente. “No”- Sussurro dirigendomi fuori.
Corro via da casa mia. Corro e il vento scompiglia i miei capelli. Corro sperando che con il vento tutto quanto diventi un incubo.
Non avevo mai realmente pensato a mia madre con un altro uomo.
Non avevo mai pensato che potesse farlo. Fino all’ultimo giorno, prima della mia partenza, mi ha parlato di lui. Dolorosamente, come se ancora la sua ferita fosse aperta. Come se lei fosse morta insieme a lui, come se l’unica cosa che faceva dipendere la sua vita fosse il suo ricordo. Scuoto la testa.
Questa sono io.
Sono io che non posso avere un padre diverso.
Sono io che non potrò mai dimenticarlo.
Sono io che porto il suo sangue nelle vene.
Sono io che sono parte di lui.
Allora si, allora è vero, il dolore di una figlia non può essere paragonato a quello di nessun’altro.
Lei lo ha dimenticato, ha dimenticato il suo ricordo. Ha trovato conforto in un altro, ha distrutto quello che era il ricordo della nostra famiglia.
“Bella Fermati!”-- Urla Edward che mi insegue. Mi fermo e mi guardo attorno, siamo al parco.
Mi siedo su una panchina, di fronte al piccolo chiosco e aspetto che Edward mi raggiunga.
“Scusa”- Sussurro guardandomi la punta dei piedi. Solo in questo momento mi accorgo che i piedi sono nudi, non ho infilato le scarpe quando sono tornata dentro.
“Ehi. Non scusarti è-”
“No! Non è normale, non c’è niente di normale Edward”- Lo interrompo sconfitta.
Rimaniamo in silenzio. Sono le due del pomeriggio. Si sente solo il fischiettare degli uccellini e il fruscio del ruscello che si trova a pochi metri.
E sono i momenti come questi che sento più il suo bisogno.
Vorrei che lui fosse qui, per consigliarmi, per consolarmi, per dirmi che si, andrà tutto bene.
Ma non c’è niente che andrà mai bene,  niente se non il suo ritorno.
Quando mi sono davvero resa conto della sua scomparsa avevo dieci anni. I miei nonni, le mie zie, mi dicevano sempre; Tornerà.
Tornerà perché non si è trovato il corpo, e non si è sicuri che sia morto.
Avevo sorriso la prima volta che me lo avevano detto. Ed è stata quella che mi distrutto definitivamente; la speranza.
Mi dicevano di sperare, ed io lo facevo. Aspettandolo, cercando sempre di pensare che lui era vivo. Che aveva perso la memoria, che era in qualche Isola deserta e che avesse bisogno di aiuto.
All’età di sedici anni, ho perso definitivamente tutte le speranze, un po’ perché dopo tanto tempo credo sia normale, un po’ perché non volevo vivere con la consapevolezza che mi avesse abbandonata.
Perché lui non lo avrebbe mai fatto, mi amava.
Sono stata piuttosto egoista, ho preferito credere alla sua morte, più che a una vita felice senza di me.
“Che intendi fare?”- La voce di Edward mi ridesta dai pensieri.
“Niente”- Gli dico con voce ferma.
“Bella devi fare qualcosa, non puoi-”
“Non accetterò il loro rapporto, non accetterò una figura paterna che non sia mio padre. Reneé è adulta, io me ne starò per conto mio, lei può fare quel che vuole”
Edward annuisce e mi avvicino a lui.
“Oggi è Venerdì” -Sussurro. Ricordo benissimo, una delle tante notti in cui non riuscivamo a dormire a Seattle, mi ha raccontato dei suoi Venerdì ai tempi di George, che adesso li trascorre sempre insieme a lui, solo diversamente.
“Andrò stasera”- Mormora con gli occhi fissi sui miei. Io annuisco e mi alzo porgendogli la mano.
Iniziamo a camminare verso casa mia. Non mi frega niente se c’è lui o meno, quella è casa mia, non posso privarmi di andarci per colpa di un intruso.
“Bella posso chiederti una cosa?”
“Si certo”
“Capisco il tuo dolore. Ma hai mai pensato che tua madre si sentisse sola. Non credi che abbia bisogno di qualcuno, una figura di uomo, un’altra persona da amare?”
“No Edward. Lei mi ha sempre detto che, mio padre l’ha amato davvero. Mi ha sempre detto che si ama una volta sola davvero, nella vita. Mi ha detto che non avrebbe mai accettato l’idea di un altro uomo che non sia lui al suo fianco. Ma adesso, adesso sono convinta che mi ha solo riempita di bugie” -Sussurro piangendo. Mi sono sentita tradita.
Mi sono sentita fuori posto, come se io non potrei mai appartenere a quel mondo che si erano creati. E’ una cosa solo loro, non è una cosa da genitori a figli, non è sbagliato, ma non è nemmeno giusto fino in fondo.
“Capisco Bella, ma tu vuoi davvero che tua madre viva per sempre in solitudine? Non è diverso dal tuo amore per me sai?”
“Ma che stai dicendo? Non c’entra proprio niente! Sono due cose imparagonabili! Io ho bisogno di un padre! Io ho il dolore di una figlia, lei ha il dolore della moglie. Che non è da sottovalutare, ma tutte le volte che lei parlava di lui, bè lei ha sopravvalutato tutto. Ha sopravvalutato l’amore che aveva per lui. E’ stata lei ad insegnarmi che se si ama davvero, succede solo una volta. Ma, l’amore quello vero, l’amore quello che senza non ti permettere di vivere. Quel motivo per cui ti alzi al mattino, quel motivo che ti fa sorridere anche senza apparente motivo. E succede solo una volta, la volta definitiva.”- Edward mi guarda, non parla. Forse il mio ragionamento è sbagliato, ma io la penso così e non ci sarà nulla che mi farà cambiare idea.
Continuiamo a camminare finché non arriviamo a casa mia.
“Allora. Ci vediamo domani”- Sussurra ad un centimetro dalle mie labbra. Mi alzo sulle punte e lo abbraccio forte. Le sue mani stringono il mio viso e le nostre labbra si uniscono finendo in un bacio delicato.
“Voglio vederti stasera”- Sussurro contro il suo petto.
“Verrò a casa tua dopo cena. Se vuoi che venga con te”- Gli dico ancora, stringendolo forte. Mi sembra giusto stargli vicino , lui lo ha fatto per me, e non c’è cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto con me, per me; condividere il mio dolore.
 

**

 

Nel momento in cui Daniel sfiora la tomba di Penelope in L’ombra del vento. Qualcuno bussa alla porta della mia camera.
“Entra!”- Esclamo, con una punta di nervosismo nella voce.
Mia madre entra ed io continuo a leggere il mio libro come se lei non esistesse. Sento il letto che si appesantisce e il suo respiro sulla mia coscia, fasciata solo da dei pantaloncini striminziti che uso per dormire.
“Bella?”
“Mh?”
“Bella?”
“Mh, mh?”
“Isabella Marie Swan! Abbassa immediatamente quel cazzo di libro!”- Urla con rabbia dovuta alla mia indifferenza. Ma neanche quel tono quasi minaccioso attira la sua attenzione su di me.
Un sospiro. Il suo.
“Bella. Io so quello che pensi, so che non ho scusanti, non almeno per te. Ma non credi che io abbia il diritto di essere felice?-” La sua voce è dolce. Ma niente, continuo ad ignorarla. Mi conosce, lo sa che non ci sarà niente che potrà farmi cambiare idea.
“E va bene!” Si alza dal letto e si dirige nel corridoio.
“Sappi solo che venderemo questa casa. Andremo a vivere con Carl in città-”
Chiudo il libro di scatto e lo scaravento sulla scrivania, facendo cadere tutto quello che c’era sopra un attimo prima.
“Mi stai sbattendo fuori?!”- Urlo fuori di me. Lei si gira e percorre il piccolo corridoio prima di scendere le scale.
“Mamma! Rispondi!”- Esclamo inseguendola. Sta facendo la stessa cosa che ho fatto io; mi sta ignorando!
“Bene. Vai a vivere con il tuo bellissimo amante! Ma non venderai questa casa, non fino a quando io starò qui! Non ci vengo a vivere con quel coglione! IO NON TRADIRO’ MIO PADRE!”-Urlo incazzata, lei sbatte le ciglia e si avvicina me. Se non la conoscerei bene, sarei sicura che stia per darmi un ceffone, ma lei fortunatamente non è così.
“Non è vero”- Mormora.
“Cosa?”
“Non è vero che venderemo la casa, non è vero che andrò a vivere con Carl. Ah e nessuno ti da il diritto di aggiungere aggettivi poco gentili al suo nome, non vuoi conoscerlo? Bene, non nominarlo e non offenderlo”- Annuisco e continuo a guardarla.
“Ti ho detto quella cosa perché tu mi ignoravi, era il solo modo per farti reagire, infatti ci sono riuscita. Quello che voglio dirti è che mi rincresce che tu pensi certe cose di me. Come puoi pensare, dopo tutto quello che ti ho detto che io abbia dimenticato Charlie?” - La sua voce è rotta dal pianto, ma non mi scompongo, mi ha mentito per sedici anni un giorno in più o un giorno in meno non cambia i fatti.
La fisso, i miei occhi potrebbero uscire dalle orbite da un momento all’altro. Tanto sono accesi di rabbia. Continuo a guardarla senza risponderle.
“Come puoi farlo Bella?!”- Urla mentre i singhiozzi divengono acuti dalle sue labbra.
“Come Posso?! COME? Bene, vediamo. Per sedici anni mi hai mentito! Mi hai detto che lui era l’amore della tua vita, mi hai detto che nessuno, nessuno al mondo avrebbe mai preso il suo posto. Invece no! Non hai perso occasione per dimenticarlo, non hai avuto la coscienza, non hai pensato a quello che credevi lui significasse per te! Sei una donna vile. Non ti riconosco più!”- Urlo uscendo di senno. Mi copro il viso con le mani e prendo a morsi l’estremità di una palmo. Inizio a piangere ininterrottamente e più scendono le lacrime più i denti intensificano la presa sulla mano.
“Bella calmati”- Sussurra mia madre accarezzandomi i capelli. Ansimo e inizio a respirare profondamente. Passano diversi minuti prima che il respiro torna regolare. Mia madre è ancora accanto a me che mi accarezza i capelli. Con il gomito la spingo e salgo in camera mia.
Prendo la borsa e mi dirigo di nuovo al piano di sotto.
“Mi hai delusa. Mi hai delusa in un modo che credevo impossibile”- Sussurro prima di chiudermi la porta alle spalle.

**

 

Oggi è Venerdì, Edward mi ha raccontato che ogni Venerdì, quando George era in vita, lo passavano insieme. Molte volte uscivano, molte volte suonavano i loro strumenti e altre volte rimanevano semplicemente in Garage a guardare la tv.
Adesso sono le undici di sera e siamo al cimitero. E’ un po’ strano trovarsi qui, sembra mostruoso, ma non lo è. E’ qualcosa di triste, dolce, doloroso, ma allo stesso tempo è un rimedio.
Forse è sbagliato, rimuginare sul proprio dolore, tornare sempre in quel luogo che hai conosciuto davvero grazie al dolore stesso. Ma ci sono ricordi, c’è compagnia, c’è amicizia, c’è amore. C’è vita.
E non importa se le azioni che facciamo sono sbagliate, importa che ci fanno stare bene e che, in un modo o in un altro ci fanno vivere, vivere davvero.
Edward depone della rose blu nuove, togliendo quelle vecchie, che non sono nemmeno appassite. La madre e il padre di George vengono ogni due giorni, parlano con lui, gli cambiano i fiori, fanno quel che possono anche se può sembrare ormai inutile.
Edward inizia a parlare con lui. Gli racconta tutto quello che è successo mentre eravamo via.
Piange, ride, scherza con lui. E lo faccio anch’io.
Iniziamo a parlare con quel ragazzo a me sconosciuto. Prendo la mano di Edward e la stringo forte.
Per fargli capire che io ci sono e ci sarò sempre qualunque cosa accada.
Per fargli capire che voglio condividere con lui anche questo, il dolore.
Per fargli capire e per trasmettergli tutto l’amore che posso in questo momento di mezza solitudine.
Per fargli capire che in un modo o in un altro ce la faremo, riusciremo ad essere felici al cento per cento.
Perché quando una persona cara ti lascia, non è detto che lo faccia per sempre. Il solo ricordo è un segno indelebile che resterà in noi in eterno, la conferma che loro vivano in noi per sempre.
Anche se sorridiamo, anche se scherziamo non significa che li abbiamo dimenticati, significa che forse, finalmente, dopo anni stiamo riuscendo a convivere con il dolore.
A convivere con una sola speranza; la speranza si non dimenticare mai i nostri ricordi, di non dimenticarli mai nonostante accada qualsiasi cosa.
Perché loro ancora oggi vivono, dentro di noi, e fin quando terremo preziosi i ricordi loro vivranno in noi, per sempre.
Edward mi stringe forte a lui. Le mie braccia circondano il suo collo e la mia camicetta si bagna della sue lacrime.
Guardo il celo stellato sopra di noi, accarezzo i suoi capelli mentre piange sul mio seno. E come una persona che ama, mi prendo cura del mio amore.

 

Un brivido di freddo accarezza il mio corpo, costringendomi ad aprire gli occhi.
Sono al cimitero. Confusa prendo il cellulare per controllare l’orario; sono le sette del mattino. Ci siamo addormentati.
“Edward?”
“”Mh”
“Edward? Svegliati!”- Esclamo per svegliarlo, sembra che non vuole saperne di aprire gli occhi.
“Dove siamo?”- Mi chiede mugugnando e guardandosi attorno confuso.
“Ci siamo addormentati. Su dai, andiamo.”- Mi alzo pulendomi le gambe sporche ti terriccio e lui mi imita.
“Mi dispiace.”- Sussurra, baciandomi dolcemente sulle labbra.
“Di cosa?”- Mormoro confusa.
“Per averti lasciata dormire qui.”- Mormora deluso.
“Tranquillo! Non lo hai mica deciso tu! E poi è stato bello, essere qui con te.”- Mormoro avvicinandomi a lui e lasciarmi un piccolo bacio all’angolo delle labbra.
“Ciao George”- Mormoriamo all’unisono e ci incamminiamo verso casa. 

“Allora ci vediamo alle tre in ufficio?”- Mi chiede davanti casa mia. Annuisco e lo abbraccio forte baciandogli il petto.
“Ti amo. Edward.”
“Ti amo anch’io piccola mia.”
Entro in casa e sento mia madre che parla al telefono.
“Oh. No. E’ arrivata…grazie, si a dopo” -Stacca la chiamata e corre verso di me.
“Bella. Dove sei stata?”- Mi chiede con la voce arrochita.
“Mi sono addormentata.”- Le dico scansandola e andando verso le scale.
“Potevi avvisarmi”
“Quale parte di ‘mi sono addormentata’ non ti è chiara?”
“Bella. Calmati…Io non volevo…”
“Vado di sopra.”- La interrompo, non ho intenzione di discutere. Salgo le scale e una volta varcata la soglia di camera mia mi butto sul letto.
Sopra il letto noto un foglio bianco piegato in due.
Lo apro. Riconosco immediatamente la calligrafia e inizio a leggerla.

 

Con la seguente non ho intenzioni di rabbonirti.
Sai mi ricordo ancora, quella volta in cui avevamo litigato, io non volevo parlarti. Dopo tre giorni tu mi hai scritto una lettera. Quella è stata la prima e l’ultima volta.
Non è mai successo che noi litigassimo in questo modo.
Voglio solo farti capire che; non dimenticherò mai tuo padre. Non succederà mai, ne sono sicura.
Ti ho insegnato che nella vita si ama al massimo soltanto una persona.
Non so se è stato un insegnamento positivo, forse non è vero, forse si può amare nello stesso modo più volte. Questo però non significa che Carl ha sostituito tuo padre.
Io non potrò mai dimenticarlo, non potrò mai dimenticare quello che c’è stato e che rimarrà per sempre in me. Probabilmente se tuo padre fosse ancora qui con noi ti direbbe quanto ci siamo amati, cercando di trasmetterlo a te.
Carl è stata la mia svolta, è stato quel motivo per sentirmi almeno un pochino bene. Mi ha ascoltata e ha capito, ha capito che amerò Charlie per sempre. Ha capito che nessuno, che sia lui o un’altra persone potrebbe mai prendere il suo posto nel mio cuore.
La mia relazione con Carl non cambierà niente, non almeno dentro di me.
Sono stanca di piangere continuamente. Voglio riuscire a convivere con la perdita di tuo padre in modo meno distruggente.
Spero solo che tu mi comprenda.
Non ho intenzione di perderti per un uomo. Ma non ho nemmeno intenzione di perdere Carl per una situazione che tu non riesci a capire.
Spero che capirai. E ricorda: Qualunque decisione tu prenda nei miei confronti io ti amerò per sempre.

 

Reneè

 

Rileggo più volte, bagnando così tante volte che sembrano infinite, la lettera con le mie lacrime.
Sono troppo confusa. Mi abbandono sul letto e chiudo gli occhi, sfinita.

 

 

 

 

 

___

 

 

 

 

Grazie per essere arrivate fin qui <3
Roby :*

 

 

 

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Capitolo 14
*** She's Like Heroin ***


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Love save the pain.

 

 

 

She’s Like  Heroin.

 

 

 

 

 

 

 

 

Edward’s Pov.

 

Fissavo lo schermo della tv con interesse, per la prima volta dopo cinque anni. Su MTV stanno trasmettendo il live di ; Radio Gaga.
Ricordo benissimo che, questa era la sua canzone preferita, in assoluto. Ricordo perfettamente che, ogni volta che la sentiva; Saliva su un divano, una sedia o, comunque, qualcosa di stabile su cui potesse salire e stare in piedi. Come se fosse un mantra, una regola; alzava un braccio, chiudeva il palmo della mano, sull’arto che aveva alzato, facendolo divenire un pugno e cantava: ‘ All We here is, Radio Gaga’.
Trattengo le lacrime, contento che sia riuscito a farlo, non perché c’è qualcuno accanto a me che potrebbe vedermi soffrire, non perché sento meno la sua mancanza, no! E’ perché adesso sono diverso, ho qualcosa per cui vale la pena lottare, vivere; L’amore.
Bella.
Il mio cuore si gonfia d’emozione, non appena penso a lei, non appena pronuncio il suo nome.
L’unica persona che mi ha aperto una porta, portandomi via da quel luogo in cui stavo perdendo me stesso. Mi ha trascinato in un luogo che non è tanto meglio di quello precedente, perché provare il suo dolore non è poi così diverso, ma c’è lei con me, questo ha importanza, questo è essenziale.
Se anche mi troverei in un posto oscuro, all’interno della mia anima, so che ci sarà lei con me e non c’è niente di più bello di avere questa consapevolezza; noi, insieme, nonostante tutto.
La canzone finisce, guardo l’orologio appeso alla parete del mio salone, decido che è ora di andarmi a lavare per poi andare in ufficio e ricominciare.

 
“NON ERA COMUNQUE COSI’ CHE DOVEVO SAPERLO”- Urlo a gran voce verso mio padre, per l’ennesima volta. Credeva che avessi dimenticato la sua omissione dei dettagli della morte di George. Lui mi ha risposto che in qualche modo voleva proteggermi. Non c’è l’ho a morte con lui, ma questo tipo di atteggiamento da parte mia, nei suoi confronti, farà in modo che, se, ci sarà una prossima volta, ci penserà più di due volte a nascondere certe cose.
Perché la verità prima o poi viene sempre a galla, quindi meglio non mentire, perché prima o poi risulterebbe inutile.
Qualcuno si schiarisce la voce e, in un attimo quel filo di tensione che si era creato tra me e mio padre, sparisce in un soffio.
“Buon pomeriggio Mr Cullen, Edward.”- Ci saluta cordialmente Bella, appena arrivata in ufficio, si è già cambiata ed è in perfetto orario, dettagli che ha notato mio padre che, adesso le sorride teneramente.
“Bentornata Bella, come ti sei trovata a Seattle.”- Si abbracciano leggermente.
“Edward si è comportato bene?”- Le chiede, ancora. A quella domanda, le guance di Bella si colorano irrimediabilmente di rosso acceso. Mi avvicino a lei, lentamente, lei mi guarda timidamente con una nota negativa nell’espressione.
“Si, benissimo grazie.”- Balbetta, sia per l’imbarazzo, sia per ciò che immagina sto per fare. Non appena arrivo a destinazione, il mio braccio le allaccia la vita.
“Vedi Papà, io e Bella, abbiamo scoperto di amarci mentre eravamo via.”- Mio padre a quell’affermazione, ci sorride e alza le mani in segno di resa. Guardo mio padre negli occhi, i suoi cercano i miei chiedendomi scusa, e annuisco, facendogli capire che per me è tutto okay.
Sfioro con le labbra la fronte di Bella e torno alla mia scrivania.
“Appuntamenti Papà?”
“Si, sul Computer di Bella Tanya ha segnato tutto, mentre voi eravate a Seattle.” Mormora distrattamente, al nome ‘Tanya’ Bella alza il sopracciglio verso di me. Scuoto la testa tra me, no, non è possibile. Sarà intuizione, nient’altro.
Faccio finta di niente e chiedo a Bella di stamparmi in ordine gli appuntamenti.

Quattro famiglie, due caffè e cinque sigarette dopo, la giornata lavorativa si sta concludendo. Massaggio le mie tempie tre secondi e inizio a sistemare alcuni documenti, mio padre ci congeda e se ne va.
“Lascia, faccio io.”- Sussurra Bella togliendomi i fogli dalle mani e impilandoli per bene.
Mentre sistema i documenti, il suo posteriore ondeggia ai miei occhi, ed è una tentazione, una tortura.
La mia mano sfiora la sua coscia, coperta da collant fini, sono così fini che riesco perfettamente a sentirne la morbidezza e il calore.
La mia mano sale, fino a toccare, finalmente una sua natica, inizio ad accarezzarla, e potrei sembrare un depravato ma non riesco a non farlo. E’ come mettere un drogato, in crisi di astinenza, davanti a una dose di eroina. Lei è la mia droga, è il mio bisogno quotidiano, è qualcosa per cui sono dipendente, e non mi fa paura perché al contrario dell’eroina nutrirsi di lei è sano, giusto, fenomenale, fantastico, tranquillo.
La sua mano afferra la mia spalla e dopo pochi attimi ritrovo il suo viso ad un centimetro dal mio, riesco perfettamente e sentire il profumo del suo alito, fragola mischiato al tabacco della sigaretta.
E’ inebriante, come lei, come tutto ciò che ci circonda.
Eccitazione, passione, amore, dolcezza.
“Impaziente, Mr Cullen?-” Mi chiede sorridendo maliziosamente.
“Ovvio che si!”- Esclamo euforico.
“Bè non qui, non adesso, non siamo amanti.”- Mi dice con voce ferma, anche se un lampo di divertimento le sfiora gli occhi.
“Io e te. Stasera a casa mia.”- Sibilo al suo orecchio.
“Assolutamente si.”- Mormora nelle mie labbra un attimo prima di andarsi a cambiare.

 “Passo a prenderti alle otto.”- Le dico baciandole la mano, nell’atrio del grande edificio che ospita il nostro studio.
"Sono già tutta bagnata.”- Sussurra e poi scappa via verso casa.
Scoppio a ridere, la gente mi guarda male ma non importa, voglio ridere, desidero farlo veramente.

 

 

**

 

“E’ bellissimo qui.”- Sussurra mentre guarda le stelle dall’ampio terrazzo del mio attico.
“Mai quanto te. Sto contando i minuti per toglierti questo vestito di dosso.” -Sussurro affondando il mio naso tra i suoi capelli fruttati.
E’ così strano trovarmi in questa situazione, è così strano sentirsi felici, è così strano pensare di avere una possibilità.
Mai e poi mai avrei immaginato che una donna avrebbe avuto questo tipo di influenza nei miei confronti, mai e poi mai avrei immaginato che fosse Bella. Dal primo giorno che ho incrociato i suoi occhi, mi ero reso conto che lei soffriva come lo stavo facendo io, credevo che ci saremmo compatiti a vicenda, credevo che potevamo parlarne, essere tristi per quella piccola grande cosa che avevamo in comune. Mai e poi mai avrei immaginato di poter amare.
Credevo che dopo la morte di George non avrei più provato la minima emozione positiva, era come se si fosse congelato il tempo. Era come se stessi chiuso in limbo pieno di solitudine, tristezza, dolore. Credevo che mai e poi mai ne sarei uscito.
Invece eccola, come un miracolo, piomba nella mia vita, la similitudine ci ha fatto interessare l’una dell’altro. La similitudine ha scatenato una tempesta di cui l’essenza è l’amore. All’inizio – quando mi sono reso conto di amarla- credevo che fosse perché avevo trovato una persona che provava le mie stesse emozioni, credevo che fosse proprio per la similitudine.
Più passavano i giorni, più mi rendevo conto che il mio amore per lei cresceva a dismisura, era alimentato da lei, dal suo carattere e di tutto ciò che di positivo possiede, mi sono reso conto che il mio cuore batte per lei, che non c’è un motivo, non è stata la familiarità a farci credere di amarci. E’ stato l’amore stesso. Quello per cui vivi, quello per cui senza non puoi farlo. Quello che ti fa sorridere, quello che ti fa incazzare, quello che è amore, quello che è tutto ciò di cui ogni essere umano ha bisogno.
Forse il fato ha voluto farci incontrare, forse il fato ci ha dato la possibilità di capirci a vicenda e amarci più facilmente.
Sono sicuro che se non ci fosse successo tutto quello che è accaduto, ci saremmo incontrati e lo stesso ci saremmo innamorati.
L’amore è irrazionale, l’amore è come il dolore; Forte e prepotente.
Le mie mani scivolano facilmente sui suoi fianchi morbidi. Indossa un vestitino blu, corto, che lascia davvero poco spazio all’immaginazione.
La mia mano arriva all’orlo del vestito e lo solleva. La sua testa si adagia alla mia spalla e un sospiro di apprezzamento lascia le sue labbra.
Lentamente, dolcemente accarezzo la sua pelle così soffice e vellutata. Sono solo due giorni che siamo tornati da Seattle, sono due giorni che penso a noi, sul letto, ad amarci, a sorriderci.
Velocissima, come un’anguilla si gira, e mi guarda negli occhi. I suoi occhi sono accesi d’eccitazione, e più mi guarda, più sento il bisogno di rifugiarmi dentro di lei, di sentirmi protetto immerso nelle sue calde piaghe.
Amo il suo corpo quasi quanto amo lei. L’attrazione fisica è così potente che si potrebbe perfino sentire nell’aria che ci circonda.
Il nostro limbo. Pieno d’amore, passione, dolcezza, tristezza, dolore, emozioni che ci appartengono come noi apparteniamo a noi stessi.
Con la mano raggiunge il mio petto e mi spinge dentro casa. Sorpassiamo il salone, il corridoio e infine arriviamo in camera da letto. Senza lasciare il mio petto, mette un po’ più di forza e mi spinge sul letto. Rimango disteso e la guardo. Mi fa l’occhiolino e un sospiro esce dalle mie labbra.
Dal taschino del vestito, all’altezza del suo seno, estrae una piccola pen-drive.
“Te lo avevo promesso.”- Sussurra piano con voce grave. La inserisce sullo stereo che tengo sul settimanile e schiaccia i pulsanti.

Rock You like a Hurricane degli Scorpions riempie il silenzio che si era creato in pochi secondi.
Si toglie le scarpe e si posiziona ai piedi del letto davanti a me.
Lentamente alza l’orlo del vestito ed estrae gli slip. Getto la testa indietro e un sorriso malizioso spunta sulle sue labbra.
Inizia a ballare, e sfiora il suo corpo con le sue piccole mani. Passa l’indice sulle sue labbra e lo lecca sensualmente, poi lentamente scende sul collo per poi finire sul seno, ancora coperto dal vestito. Mentre lo fa non smette un attimo di guardarmi negli occhi e, la cosa non fa che portare a livelli stratosferici la mia eccitazione.
Scende sempre più giù e alza il vestito, dandomi visione della sua intimità, adesso liscia.
Mi alzo immediatamente, afferro i suoi fianchi e le faccio abbracciare la mia vita con le gambe. Mi avvicino allo stereo e lo spengo, mentre lei mi guarda male.
“Non ti è piaciuto?”- Chiede amaramente.
“Ovvio che si. Solo che voglio sentire urlare te, non mi frega nulla al momento del balletto.”- Scoppia a ridere e inizia a divorare le mie labbra con lei sue.
Nei suoi gesti non c’è l’ansia della prima volta, non c’è la voglia di scoprire l’altro.
C’è un misto d’amore e passione, c’è voglia di amarsi, urgenza di perdersi nell’altro.
“Alza le braccia.”- Sussurro mettendola seduta al centro del letto e posizionandomi in ginocchio davanti a lei.
Alza le braccia e le sfilo il vestito dalla testa. Non porta il reggiseno, e per pochi minuti mi perdo nel contemplare quel seno così bello, soffice, abbondante nonostante lei sia minuta. E’ perfetto.
La faccio distendere e accarezzo il suo collo, scendendo nel solco tra i seni, sul suo ventre piatto, e infine sul suo monte di venere. E’ liscio, morbido, diverso dalla prima volta.
“Come..”- Mi interrompe immediatamente baciandomi co foga.
In pochi secondi ribalta la posizione.
L’aiuto a sfilarmi la maglietta e tutto il resto dei miei indumenti. Afferra la mia erezione tra le mani e chiudo gli occhi. La sua mano sale e scende, provocandomi gemiti incontrollati, mandandomi in paradiso e all’inferno contemporaneamente. Apro gli occhi, e riesco a vederla mentre guarda quello che fa e si morde il labbro, è un’immagine così erotica, che mi sorprendo quando mi rendo conto di resistere a questo, a tutto questo.
Afferro le sue spalle e ribalto ancora una volta la posizione, velocemente, ma con dolcezza faccio entrare un dito il lei, che immediatamente inarca la schiena facendomi sfiorare un suo seno con le labbra che, prontamente prendo in bocca.
Inizio a muovere il dito velocemente, infilandone poi un altro,
Vezzeggio i suoi capezzoli con la lingua per poi succhiare forte. Le sua mani tirano i miei capelli con forza. I suoi muscoli intimi stringono le mie dita in una morsa e inizio a palparle il clitoride. Viene prepotentemente, quasi subito, sussurrando il mio nome a raffica. Inizio a baciarle le labbra e le sue braccia mi avvolgono.
Poi lentamente, con dolcezza, ma con un urgenza dentro che sento quasi incontrollabile.
Entro dentro di lei, piano. Mi fermo un attimo e lei apre gli occhi.
“Ti amo tanto.”- Sussurra, e come la prima volta una lacrima scende dal suo occhio, che prontamente bacio, accogliendo anche questo suo pezzetto d’amore dentro di me.
“Ti amo anch’io. Tantissimo.”- Le sussurro altrettanto emozionato.
Inizio a muovermi più velocemente, e qui, in questo momento, dento di lei, sento che sono protetto. Sento che sono coperto da una scudo che protegge qualsiasi forza negativa volesse farmi cambiare umore. Ma non ci riesce, perché lei è la mia salvezza, la mia ancora, il mio porto sicuro, la mia casa.

 

**

Una settimana dopo.

“Pronto?”
“Edward! Alice mi ha rapita!”- Esclama Bella inorridita. Scoppio a ridere, ma poi capisco meglio quello che vuole dirmi. Oggi pomeriggio avevamo organizzato di andare al mare, ma Alice è tornata e non vedeva sicuramente l’ora di stare un po’ con Bella.
“Vuoi che venga a salvarti?”
“Oh si-”- Si interrompe quasi subito, e Alice si impadronisce del suo cellulare.
“Dai Edward. Non ci vediamo da un po’. Passare il pomeriggio con Bella sarà il tuo regalo per la mia Laurea. Oh ti prego!”- Scoppio a ridere al suono disperato della voce di mia sorella.
“D’accordo. Ma non farla disperare. E’ un ordine.”
“Grazie, ti voglio bene. Ciao.”- Stacca la chiamata e mi guardo attorno. Dovrò trovare qualcosa da fare se non voglio morire di noia.
Il citofono squilla e mi precipito a rispondere.
“Chi è?”
“Ciao Edward. Sono Reneé. Scusa se ti disturbo mi chiedevo se…”
“Sali pure.”- Sussurro, sicuro che voleva chiedere questo e l’idea la imbarazza.

 “Ciao Edward.”- Mormora sorridendomi e dandomi un bacio affettuoso sulla guancia.
"Buon pomeriggio Reneé, accomodati, sei la benvenuta.”- Annuisce e mi sorride con gratitudine.
Ci accomodiamo nel salotto, apro le tende della porta-finestra per fare entrare un po’ di luce, e far apparire il posto un po’ meno macabro del solito.
“Vuoi del tè?”- Le chiedo cortesemente. Lei scuote la testa e picchietta sul tavolo, nella parte che le sta di fronte. Mi siedo e aspetto che parli.
“Vedi Edward, io e Bella siamo state sempre molto unite, soprattutto dopo quello che è successo. Non so se lei ti abbia messo al corrente di questo.”- Si ferma un attimo, e io annuisco, facendole capire che si, Bella mi ha detto tutto.
“Sono contenta che si sia aperta almeno con te.”- Sussurra mentre inizia a torturarsi le mani e muoverle in modo nervoso.
“Reneé, calma. Stai tranquilla.”- Le dico, non mi piace vederla così, dal giorno in cui l’ho conosciuta ho sempre visto una donna solare, col sorriso sulle labbra, una punta di malinconia aleggiava nei suoi occhi, ma lei, comunque, cercava di fare del suo meglio per apparire meno fragile possibile, e ai miei occhi ci riusciva perfettamente.
“Non so più che fare. Le ho scritto una lettera. Ho cercato di parlarci in tutti i modi. E’ irremovibile. Non mi tratta male, per carità, è sempre molto gentile ugualmente, ma è che non sento più la stessa intensità che c’era prima tra di noi. Siamo sempre state l’ago e il cotone, siamo sempre state quel motivo per convivere nonostante tutto, siamo state l’appoggio di cui avevamo bisogno in ogni momento l’una per l’altra. Io, io non credevo che Carl avrebbe scaturito questo in lei. Immaginavo che ne sarebbe rimasta con l’amaro in bocca, ma credevo che dopo qualche giorno avrebbe accettato il tutto.”- Dice mentre piange incessantemente. Ed io non so cosa dirle, non so se il comportamento di Bella sia sbagliato o giusto.
“Perché non provi a dargli altro tempo?”
“Perché lei è così, se non cambia idea subito, non lo farà mai.”- Mormora scuotendo la testa.
“Tu che faresti Edward al suo posto? Che faresti quando dopo anni tua madre potrebbe essere di nuovo un po’ felice? Che faresti quando avresti la possibilità di non avere più un fantasma per madre? Non credi che il suo sia egoismo?”
“No Reneé. Il suo è orgoglio marchiato dal dolore. Lei non vuole in nessun modo perdere il ricordo del padre. La distruggerebbe. E’ come se lo tradirebbe se accettasse capisci? Lei non vuole nessuna figura paterna, non ti impedisce di vivere la tua vita, solo che tu, giustamente sei tra l’incudine e il martello, ma lei cosa deve fare? Ci hai pensato? Hai pensato a come si sia sentita? E come l’ha saputo? L’ha saputo nel peggiore nei modi, ha visto la realtà senza ulteriori spiegazioni. Non so come avrei reagito. Quello che posso dirti è: Posso provare a parlarci, ma sai meglio di me quanto sia testarda.”- Le dico sempre mantenendo il tono gentile. Non c’è l’ho con lei, è una madre che svolge il suo compito benissimo, può capitare a tutti di avere un periodo di destabilizzazione. Le sorrido, cercando di contagiarla e ci riesco.
“La ami molto Edward. La ami così tanto da renderla felice nonostante tutto. Ed io te ne sarò grata per sempre.”- Mormora con una lacrima che le scivola dall’occhio.
“E’ spontaneo amarla”. Sussurro fiero di me, per essere riuscito ad amare una persona speciale come la mia Bella.

 

 

 

 

 

**

 

 

Olè, non vi aspettavate l’aggiornamento eh? Bè che dire, le mie mani hanno vagato nella tastiera senza fermarsi e con tutti i ritardi precedenti ho deciso di aggiornare subito.
Spero vi faccia piacere, anche se siete molto silenziose.
Bando alle ciance. L’amore di Edward e Bella si va fortificando ogni giorno sempre di più, stanno riuscendo a convivere con il dolore facendo piccoli passi.
Il resto si vedrà dopo. E ditemelo se vi piace, mi rendereste felice :’)
Se volete aggiungermi su Facebook sono qui: http://www.facebook.com/robystew.efp
Se non aggiorno BUONA PASQUA  a tutte, ma credo che dovrei aggiornare, non lo so.
A presto.
Un bacio.

Roby <3

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Capitolo 15
*** When The Silence Worth a Thousand Words ***


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Love Save The Pain.

 

When The Silence Worth a Thousand Words.

 

 

 

 

 

 

 

Bella’s Pov.

 

Apro gli occhi, infastiditi dalla luce mattutina che, filtra dalla finestra e guardo la sveglia. Sono le sette e mezzo, tra un’ora devo essere in ufficio. Sbuffo e mi alzo. Sono questi i momenti in cui mi manca l’albergo di Seattle. Mi manca l’odore di Edward tra le lenzuola, mi manca vederlo mentre dorme e si sta per svegliare, mi manca la consapevolezza di essere in un nostro piccolo mondo.
Mi infilo sotto il getto dell’acqua e la mia mente si stabilizza, si, mi serve una doccia per svegliarmi del tutto. Ieri Alice mi ha detto che tra una settimana sarà il compleanno di Edward, sta organizzando una festa, nella piscina di casa Cullen. Ovviamente ho accettato di andare, non voglio che Edward passi il compleanno senza di me, non voglio farlo stare da solo con me senza la sua famiglia quel giorno. Chissà se lui ne resterà felice, Alice mi ha detto che ogni compleanno lo organizzava George, e che sono cinque anni che lui chiede, implora, di non organizzare nulla, perché comunque non sarebbe bello, non sarebbe più lo stesso. Abbiamo comunque deciso di provarci, Alice crede che la mia presenza sarà il motivo per accettare di buon grado la festa. Oltre a questo sono abbastanza in crisi, cosa gli regalo? Scuoto la testa, ancora insaponata e decido di godermi la doccia e poi pensare al regalo.
Afferro la tazza e bevo il caffè tutto d’un sorso, anche se è bollente non riesco a berlo freddo. Mia madre scende le scale ed è ancora in pigiama e vestaglia. Decido di non fare domande, anche se la ‘discussione’ sembra essersi conclusa. Io ignoro la sua relazione con Carl, lei non commenta. Credevo che dopo che lei avesse accettato questa mia decisione, tutto sarebbe tornato come prima. Ma no, è come se non ci conoscessimo, a stento ci salutiamo, a stento ci vediamo. Fino a qualche giorno fa riuscivamo sempre a trovare del tempo, per parlare, per ingozzarci di cioccolata, per dipingere le unghia all’altra. La sera dopo cena, per colazione, al pomeriggio quando sono a casa. Ma niente è come se quella luce che manteneva il nostro rapporto si fosse spenta. E’ come se fossimo ‘costrette’ a convivere insieme. Ed è brutto, fa male pensarci ma è così. Forse non sono la figlia modello, forse mi sarei dovuta comportare diversamente, ma io sono io, niente può cambiarmi. E lei doveva immaginare, se non capire, che questo sarebbe successo.
“Buongiorno.”- Sussurra con voce arrochita.
“Buongiorno Mamma.”- Mormoro tranquillamente. Cercando di farle capire che comunque io le voglio bene, le voglio bene come sempre. Che ho capito quello che lei prova per Carl, ho capito che lui nel suo cuore non potrà mai prendere il posto di mio padre. Ma il mio giudizio, il mio rapporto con lui, non deve necessariamente essere rose e fiori, a me basta che lei sta bene, ma non voglio conoscerlo, non voglio dargli la possibilità di entrare nella mia vita e convincerlo che lui è riuscito a prendere il posto di Charlie Swan.
“Bella. Vorrei chiederti una cosa.”- Mormora accendendo una sigaretta.
“Dimmi. Ti ascolto.”- Sussurro.
“Stasera Carl ha organizzato una cena. Ci sarà anche sue figlia. Mi chiedevo se tu…”
“No mamma. Non siamo una famiglia. Lui con il mio concetto di famiglia non c’entra nulla. Ora se vuoi scusarmi vado a lavoro.” Dico alzandomi e riponendo la tazza sul lavello della cucina.
“Okay. Scusami se ho potuto pensare che avresti accettato.”- Dice con un pizzico d’ironia anche se la sua tristezza, per questa mia risposta, è palpabile.
Afferro la giacca e in quarto d’ora mi ritrovo in tailleur davanti la mia scrivania. Apro il file che contiene gli appuntamenti e mi passo una mano in fronte. La ragazza che mi ha sostituito ha fatto un casino. Non si capisce nulla!
“Buongiorno amore!”- Esclama Edward posandomi un bacio leggero sulle labbra.
“Buongiorno.”- Sussurro nervosamente. Non voglio prendermela con lui, ma la giornata è iniziata in modo decisamente negativo. La mattina passa tra clienti e telefonate. Ogni tanto cerco di strapparmi la giacca del Tailleur di dosso, ma resisto. Vorrei urlare, per non so quale motivo, ma ho bisogno di farlo. Ogni tanto tiro qualche ciuffo dei miei capelli, e si, sono impazzita.
Esco fuori nel terrazzo e accendo una sigaretta immediatamente, come un Robot.
Mi giro e mi affaccio guardando la città dal settimo piano.
“Bella!”- Mi chiama Edward affannato.
“Che c’è?”- Gli chiedo confusa.
“Dovrei essere io a chiedertelo! E’ tutta la mattina che sei nervosa, non mi parli, se non a monosillabi, c’è qualcosa che non va?”- Mi chiede visibilmente dispiaciuto.
“No. E’ solo che diciamo che mi sono alzata con il piede sbagliato.”- Sussurro accarezzandogli il viso lentamente.
“Okay.”- Mormora guardandomi preoccupato.
“Lo sai che Ti amo?”- Gli sussurro un attimo prima di baciarlo a fior di labbra.
“Si, lo so che mi ami.”- Mormora per poi voltarmi le spalle e tornare in ufficio.
Sbuffo arrabbiata. Oggi è proprio nera, nera, nera. Meglio che me ne torni a casa a rifugiarmi sotto le lenzuola.

Clicco sulla x che compare sulla finestrella e chiudo tutti i file aperti del pc. Allontano sonoramente la sedia dalla scrivania e corro a cambiarmi. Per tutto il tempo Edward non mi ha rivolto la parola. Eppure non ero io quella incazzata? Forse si è offeso perché voleva che gli parlassi, ma non voglio angosciarlo più di quanto non lo sia di suo.
“Io vado a casa. Scendi con me?”- Gli chiedo speranzosa.
“No. Devo sistemare ancora dei documenti. Ci vediamo dopo.”- Sussurra con gli occhi incollati al computer, Stringo i pugni e mi avvicino per baciarlo. Lui si gira e mi porge la guancia.
“Fottiti.”- Sussurro e me ne vado via.
Inizio a piangere senza che me ne sia resa conto. Sono lacrime di rabbia, che scendono senza preavviso. Dio, sono così arrabbiata che vorrei addormentarmi e svegliarmi domani direttamente.
“Bella?”- Mi chiama mia mamma, che sicuramente ha notato la mia faccia stravolta.
“Non mi va mamma.”- Le dico stroncandola. Salgo le scale e butto la borsa sul letto. Mi passo una mano tra i capelli e con le mani afferro la trapunta del mio letto e la butto per terra. Inizio a saltarci sopra e la prendo a calci. Scendo le scale di fretta e prendo il telo per poi distenderlo nella spiaggia.
Afferro l’I-Pod e i System of a Down partono a tutto volume con CIGARO. La canzone fa effettivamente ridere per le frasi, ma è una di quelle che invadono la mente in modo impeccabile. Inizio a respirare regolarmente e la canzone cambia in Radio/Video. Scoppio a ridere, sicura che sia per il nervoso e per la fase post-pianto.
“Hey man look me rocking now.
I’m on the Radiooooo!”- Inizio a cantare e a volteggiare su me stessa. Cerco di tranquillizzarmi e ci riesco. Inizio a ballare con il venticello che soffia sui miei capelli. Agito le mani, come per liberarmi del peso che porto sulle spalle. Della situazione, che non è mai stata tranquilla, ma meglio di adesso si. Chiudo gli occhi e con le mani stiracchiate lateralmente alzo il viso verso il cielo.

“Ricorda Bells, niente è più bello del saper voler bene.”- Sussurrò tra i miei capelli, quello era il suo modo per coccolarmi.
“Pelché Pappà?” - Nel sentirmi parlare scoppio a ridere, ma divenne immediatamente serio.
“Perché ti fa stare bene voler bene qualcuno, perché voler bene qualcuno ti da un motivo in più per sorridere.”
“Io sollido pelché ti vollio bene.”- Sussurrai a soli cinque anni. Lo ricordo ancora, ricordo come cercava di insegnarmi ad amare il prossimo già da piccola. Ricordo il suo sorrido che mi aveva dedicato quella volta. Ricordo che mi abbracciò forte tanto forte che mi lamentai piagnucolando, e gli dissi di lasciarmi immediatamente, altrimenti avrei smesso di volerlo bene. A saperlo glielo avrei detto più spesso quel ‘ ti voglio bene’, lo avrei abbracciato e non lo avrei lasciato mai. A saperlo quella volta avrei anche rotto la serratura di casa, in modo da non farlo uscire e farlo restare per sempre con me, con noi.

Inizio a piangere, sapendo che è normale, naturale, pensarlo e piangere. Ma almeno mi sento viva, provo emozioni, questa è la cosa che mi fa gioire del fatto che io non l’abbia dimenticato. Perché pensandolo per poi piangere, è la prova del mio amore per lui, è la prova che lui resterà per sempre qui, nel mio cuore, che niente e nessuno potrà mai farmi dubitare dei miei ricordi. Che nessuno può prendere il suo posto, perché nessuno ne è all’altezza.

“Sto un po’ così oggi…Cosa devo farci? Tu che faresti? Che mi diresti?”- Chiedo al mare, invano.
“E poi, poi Edward oggi si è comportato così male, che DIO che nervi.”- Sussurro dandomi mentalmente della stupida. Scuoto la testa e la prendo tra le mani. Che brutta giornata.
Asciugo le lacrime e prendo il telo, riponendolo al suo posto.
“Bella?”- mi fermo non appena entro sentendo la voce di mia madre, è disperata.
“Dimmi mamma.”
“Vorrei, vorrei parlare con te se non ti dispiace.” -Si avvia in cucina e torna con una ciotola in una mano e i cucchiaini nell’altra.
“Ho preparato la mousse al cioccolato al latte, come piace a te e-”
Mi siedo sul divano e batto la mano nel posto a fianco. Lei mi sorride e si avvicina.
Non appena si siede l’abbraccio immediatamente.
“Mi sei mancata Mamma.”- Sussurro con le lacrime che rischiano di uscire dai miei occhi.
“Oh tesoro. Mi sei mancata anche tu.”- Sussurra accarezzandomi i capelli con il mento. Lo ha sempre fatto, dal giorno in cui sono nata. E’ il nostro modo di dirci ti voglio bene. Sorrido sentendo l’odore di mia mamma, mi era mancato anche quello.
“Cosa ti turba amore mio? Bè oltre a-” -inizio a parlare per evitare di farla sentire in colpa. Anche se. ne sono sicura, l’avrò già fatta sentire in colpa.
“Vedi mamma è che oggi è proprio una giornata nera. Sai quando dicono ‘il buongiorno si vede dal mattino ’ ecco intendo questo.”
“Ed oggi è iniziata male per me no?”- Annuisco impercettibilmente e lei infatti non lo nota. Rimango in silenzio, un silenzio necessario, un silenzio costituito da milioni di parole.
“Mi dispiace Bella, non credevo che poteva succedere tutto questo.”- Mormora tristemente, io rimango in silenzio, ancora una volta.
“Credevo che tu potessi essere felice per me, che in un modo o in un altro avresti capito. Forse sono stata fin troppo ottimista. Ma va bene, così. Cercherò di non farti pesare questa situazione. E scusa se non ho pensato a te prima di tutto, per una volta nella vita.”- Dalle parole la sua voce dovrebbe risultare pungente, ma non lo è, è dispiaciuta, è triste. Io la abbraccio forte, senza capirne il motivo, senza che io l’abbia deciso. E’ mia madre, è sempre stata una mamma competente, nonostante tutto mi ha cresciuta, nonostante tutto è qui con me. Forse un’altra persona al posto mio avrebbe accettato di buon grado la situazione, forse ancora una volta, sono io che non vado bene.
Finiamo la mousse ridendo, pensando a quante volte lo abbiamo fatto. E mi era mancato tutto questo, parlare con lei, ridere, scherzare, guardare i suoi occhi e vederci ancora una volta l’universo.
Tutti meritano di essere felici, anche la gente che non lo merita davvero. E lei lo merita, come lo merito io. Lei ha trovato un pezzetto di felicità, come l’ho trovato io.
Salgo di sopra e afferro il cellulare.
“Pronto?”- Risponde, Edward, al primo squillo.
“Ciao.”
“Ciao.”- Risponde con voce tranquilla. Passano i secondi in silenzio, nessuno dei due parla, nessuno dei due attacca, nessuno dei due ha intenzione di rompere questo silenzio necessario.
“Che cosa è successo esattamente oggi?”- Gli chiedo sussurrando.
“Non è successo niente.”- Aggiunge con uno sbuffo.
“Allora cos’hai? Allora perché non mi hai neanche salutata oggi? Ho fatto qualcosa?”
“No. Come hai detto tu oggi; mi solo alzato con il piede sbagliato.”- Dopo questa sua risposta vorrei davvero averlo qui per tirargli un cazzotto.
“Va bene. Passa una buona serata. Ciao.”- Attacco il telefono senza che gli abbia dato il tempo di rispondere e mi passo una mano tra i capelli, lanciando il cellulare sul letto.
Che se ne vada a fare in culo.
 

**

 

“Bella. Stasera come sai, io non ci sono. Vuoi che ti prepari qualcosa per cena?”- Mi chiede mia mamma accarezzandomi i capelli, dopo averle raccontato la mia ‘mini-lite’ avuta con Edward.
“No mamma. Mangerò la frutta.”- Sussurro baciandole la guancia.
“Bella. Dovresti alimentarti con più regolarità. Sei troppo magra.”- Scuoto la testa e accendo la tv.
“Tesoro. Gli uomini sono così. Gli passerà vedrai.”- Sussurra prima di tornare in cucina.
Il campanello suona e, lascio che mia madre vada ad aprire, non vorrei trovare ancora qualche ‘sorpresa’.
Sento dei passi sul salotto e strizzo gli occhi.
“Bella?” Mi chiama mia mamma.
“ Mh?”
“C’è Edward che ti aspetta qui fuori.”- Sussurra.
Annuisco e prendendo le sigarette mi dirigo fuori.
“Ciao.”- Sussurra sorridendomi.
“Ciao? Ciao? Hai seriamente detto ciao?”- Gli domando inorridita. Lui annuisce e mi giarda confuso.
“Che diamine è successo? Che diavolo ti è preso oggi? Posso saperlo? Potresti gentilmente darmi il privilegio di dirmelo?”- Gli chiedo ancora.
“Dovrei essere io a chiedertelo.”- Sussurra serenamente, come se stessimo parlando di scarpe Lo guardo torva e incrocio le braccia sotto al seno guardandolo.
Rimaniamo in silenzio guardandoci con sguardo di sfida, cercando entrambi di provocarci. Dio, che situazione assurda.
“Cosa è successo stamattina?”- Mi chiede dolcemente avvicinandosi e ammorbidendo lo sguardo. Gli racconto tutto e lui mi ascolta senza interrompermi. E adesso, che gli sto raccontando tutto, mi accorgo di quanto infantile devo essere risultata oggi ai suoi occhi.
“Io credevo che tu c’è l’avessi con me.”- Mormora abbassando lo sguardo.
“Hai qualcosa da farti perdonare? Cosa ti fa credere che sia così?”
“No. Niente, è stata un’impressione.”- Mormora. Mi avvicino a lui e lo abbraccio.
“Perché non mi hai salutata oggi? Mi hai fatto male.”- Sussurro dandogli un bacio all’altezza del cuore.
“L’ho fatto per farti avere una reazione, per sapere cosa ti turbava stamattina.”
“Bè, la prossima volta chiedimelo direttamente.”- Borbotto. Lui scoppia a ridere e servendosi del mio mento avvicina le sue labbra alle mie, che agognavano il momento da troppo tempo.
“Verrai con me?”- Gli chiedo una volta davanti casa mia. Ho preso una decisione, ho deciso che una possibilità si da a tutti. Voglio conoscere questo Carl, capire se è all’altezza di mia madre, e se può renderla felice sempre. Ma non prenderà mai il posto di mio padre, nessuno al mondo può farlo.
“Hai deciso che andrai?”- Mi chiede speranzoso. Io annuisco e lui mi bacia appassionatamente.
“A che ora vengo a prenderti?”
“Alle otto”- Annuisce e mima ‘a dopo ’ per poi raggiungere la sua auto.
Entro in casa, sperando che non sia troppo tardi e corro a farmi la doccia.
“Mamma?”- Sussurro con l’asciugamano che copre il mio corpo.
“Che c’è tesoro?”
“Avete due posti disponibili per stasera?”- Le chiedo incrociando mentalmente le dita.
“Oh tesoro.”- La sua voce è emozionata, mi corre incontro e mi abbraccia, slacciando per sbaglio il telo che copre il mio corpo.
“Sono così felice. Certo che ci sono due posti. Ci sarà sempre posto per te.” -Mormora con le lacrime agli occhi.
Scoppia a ridere, quando l’asciugamano cade per terra. Poi il suo sguardo diventa severo.
“Cosa sono quelle macchie sul seno?”- Mi chiede seriamente. Io acchiappo l’asciugamano e la ri-allaccio goffamente sul mio corpo. La guardo indugiando, cercando di dirgli silenziosamente come stanno le cose. Che sono cresciuta e che deve accettarlo.
“Oh non mi hai detto niente!”- Esclama delusa. Scoppio a ridere, trovando la situazione alquanto strana.
“Dimmi tutto! Come è stato? Racconta…”
“No! NO MAMMA!”- Dico tra le risate. Lei mi guarda, aspettando che le dica ciò che vuole sapere.
“Dai Bella! Sono tua madre!”- Mi implora assumendo la stessa espressione che mi ricorda tanto Alice.
Nego col capo e corro a vestirmi.
“Prendi la pillola! Se non vuoi avere figli, ovviamente.”- Urla dal piano di sotto. Scoppio a ridere guardando la scatola di anticoncezionali sul mio comodino e scuotendo la testa.

 

 

“Piacere, e scusa se…si, per l’altra volta.”- Mormoro avvampando porgendo la mia mano a Carl.
“Oh, non preoccuparti. Il piacere è mio. Tua mamma mia ha parlato tanto di te.”- Mi dice sorridendo.
Guardo mia mamma che mi sorride, ma nel suo sguardo aleggia l’ombra della preoccupazione.
“Possiamo andare?”- Chiede Carl a mia madre.
“No. Aspettiamo Edward. Il ragazzo di Bella.”- Sussurra mia madre guardandomi con sguardo malizioso. Avvampo più di prima e, ne sono sicura, mi farà pentire di non averle raccontato tutto.
“Carl? Non veniva con noi tua figlia anche?”- Chiede mia madre al suo compagno? Fidanzato?
“No. Aveva un appuntamento con la madre. Non è riuscita. Ma vuole conoscerti.”-Mia madre annuisce e rimaniamo in silenzio finché non arriva Edward e ci avviamo verso il ristorante.
“Come ti sembra?”- Mi chiede Edward mentre seguiamo l’Audi di Carl. Mia mamma è in macchina con lui, io sono con Edward nella sua auto.
“Abbastanza okay. Ma non importa. Importa che rende lei felice.”- Sussurro.
Lui annuisce e mi guarda di sbieco sorridendo.
“Sono contento che tu abbia decido di dargli una possibilità.”
“Già lo sono anch’io.”
 

“Si. Ci sono molti casi di questo tipo. Noi, per quanto possiamo. cerchiamo di stare dietro a tutto.”- Mormora Edward parlando a Carl del suo lavoro. Carl fa il medico, è una persona abbastanza elegante e intelligente. Mia madre lo guarda affascinata, ogni tanto si scambiano uno sguardo complice, ogni tanto lui le sorride.
“E tu Bella? Come ti trovi nel tuo lavoro?”- Mi chiede gentilmente, rimanendo nei limiti.
“Io bene. Mi piace fare questo lavoro. Ovviamente non credo che rimarrò per sempre a fare la segretaria.”- Con questa affermazione. Edward mi guarda truce.
Non accetta questa mia decisione, mi ha rivelato che vorrebbe avermi sempre al suo fianco. Ma che comunque non vuole impormi qualcosa che a me non sta bene. Ho apprezzato le sue parole, ma nel mio futuro –le poche volte che mi sono concessa di pensare al futuro- mi sono sempre vista come una donna pieni di ambizioni, magari amministratrice delegata o ragioniera o Laureata in medicina. Non accetto di rimanere segretaria a vita.
“Cosa vorresti fare dopo?”- Mi chiede bevendo un sorso di vino.
“Non lo so ancora. Forse vorrei laurearmi. Vorrei comunque fare qualcosa di più importante, ecco.”- Sussurro, lui mi sorride e mi contagia.
“Spero che tu faccia quello che desideri.”- Annuisco e continuo a consumare il mio cocktail di gamberi.
La serata passa tranquillamente. Finiamo la cena e, con qualche protesta da parte di Edward, Carl paga per tutti.
Rimango con mia mamma e le sorrido.
“Sei felice mamma?” -Le chiedo dolcemente.
“Non al cento per cento, direi più contenta.”- Mormora. Io annuisco e mi avvicino soffiandole un bacio sulla guancia.
“Possiamo andare?”- Ci chiede Edward sorridendo. Io e mia madre annuiamo e ci alziamo.
“Okay Bella. Spero di rivederti presto. Buonanotte.”- Mi dice Carl stringendomi la mano.
“Lo spero anch’io.”- Saluto mia madre, dicendole che passerò la notte da Edward e ci dirigiamo a casa sua.
“E’ carino però.”- Mi dice Edward dolcemente, chiedendomi tra le righe cosa ne penso di Carl.
“Si mi piace.”- Sussurro appoggiando la testa sul sedile.

 

 

 

°°°

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Capitolo 16
*** The Quiet Before The Storm ***


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The Quiet Before The Storm.

 

 

 

Edward’s Pov.

 

 

“Non posso credere che tu l’abbia fatto.”- Sussurro incredulo sotto lo sguardo timido di Alice.
“Edward io…”- Cerca di dire, prima di essere interrotta da Bella.
“Non è colpa di Alice. Anch’io ho incoraggiato il tutto.”- Ammette con voce flebile.
Non sono arrabbiato, ma solo deluso. Non credevo che avessero organizzato la mia festa di compleanno, sanno benissimo, specie Alice, che non avrei mai e poi mai voluto festeggiare.
Ogni anno, come di tradizione, George organizzava una festa a sorpresa, ogni anno me lo aspettavo, ogni anno facevo finta di rimanerne sorpreso.
Dal giorno della sua morte, tutti avevano evitato di dirmi ‘buon compleanno’ , figuriamoci fare una festa. A parte che non mi sento in umore da festa.
Ci sono giorni, alcuni più di altri, che ti fanno pensare a certe cose. Ad esempio io soffro ogni giorno la perdita di George, ma quando arriva l’anniversario di morte o, il compleanno o semplicemente il Venerdì. Non è che in quei giorni lo penso e in altri no, è semplicemente che le ricorrenze ci fanno chiedere i perché.
E’ come vivere un’ingiustizia. E come se, il mondo piano piano, giorno per giorno, crollasse sotto ai miei piedi, come un vaso che si rompe piano piano. Ogni scheggia è un parte di dolore che penetra il mio corpo, e più passano gli anni, i mesi, le settimane, i giorni, le ore, i minuti, i secondi, il dolore penetra il mio cuore sempre in profondità, arrivando a perforare la mia anima per attimi, infiniti attimi.
E sono quelli i momenti in cui hai paura del buio. Quando tutto attorno perde la luce, quando ogni speranza lo fa, quando ti senti perso, come una persona che perde la vista improvvisamente. Dicono che si ha paura dell’ignoto, io non credo sia così, perché il dolore lo conosco bene, eppure la paura del dolore non mi ha mai lasciato un attimo.
“Vi lascio soli.”- Sussurra Alice, dirigendosi dagli altri. Noi siamo in quella che una volta era camera mia.
“Edward, mi dispiace, io non credevo che…”- Scuoto la testa interrompendola, non c’è l’ho con lei, né tantomeno con Alice. Loro lo hanno fatto per me, non hanno pensato al dolore, ma chi lo avrebbe fatto? Chi non vorrebbe vedermi felice almeno per pochi minuti? E adesso che tramite Bella, ho conosciuto la felicità, perché non mostrarla anche ai miei cari? In questi mesi ho scoperto una cosa; il dolore non andrà mai via, ma si può convivere con esso, con una buona dose di felicità, armonia e amore.
“Andiamo dai.”- Sussurro a Bella. Lei si toglie la maglia e i pantaloncini, indossa un costume nero con delle sfumature grigie brillantinate. Il suo corpo è stupendo e vorrei chiudere questa porta all’istante se non fosse che c’è quasi tutta la mia generazione lì fuori.
“E’ una festa in piscina.”- Annuncia porgendomi un costume per me. Io annuisco e lo infilo, sotto il suo sguardo malizioso. Si avvicina a me e mi bacia il collo dolcemente.
“Grazie.”- Sussurra, leccando la parte che pochi secondi prima aveva baciato. La mia mano corre a palpare una sua natica e lei sorride sul mio collo.
“Non cambiarti dopo.”- Sussurra prima di prendermi per mano e raggiungere gli altri.
Ci sono i miei nonni paterni, i miei zii, i miei cugini, Emmett e Rosalie, appena rientrati dalla luna di miele, Alice e Jasper che telefonicamente ho imparato ad apprezzare. Forse averlo lontano da me, me lo ha reso più simpatico, occhio che non vede cuore che non duole. Ci sono anche alcuni amici che non vedevo da una vita.
“Edward. Piccolo mio!” -Esclama mia nonna Julia abbracciandomi stretto. Bella mi sorride e accarezza la mia spalla.
“Nonna lei è Bella.”- Mormoro a mia nonna che non accenna a lasciarmi andare.
“Oh ma che bella ragazza. Complimenti!”- Urla, credendo che, dato che non ci sente lei lo stesso sia per noi, Bella le sorride e la ringrazia dandole un bacio sulla guancia. La prima di altre centinaia di presentazioni.
“Ciao Jazz!”- Esclama Bella, correndo ad abbracciarlo. Lei e Jasper hanno istaurato una bella amicizia, si abbracciano e Jasper le sorride, ma la cosa, stranamente non mi innervosisce. Poi Alice trascina via Bella.
“Ciao Edward!”- Saluto Jasper e iniziamo a parlare un po’. Mi fa strano ammetterlo, me è davvero un ragazzo in gamba.
“Quindi ti trasferisci a New York?”- Gli chiedo. Lui annuisce e mi guarda.
“Alice è contenta, le è sempre piaciuta l’idea di una casa a New York…”
“Aspetta! Volete andare a vivere insieme?”
“Si. Non te lo ha detto?”- Scuoto la testa e guardo mia sorella lanciandole uno sguardo omicida. Lei mi sorride e mi soffia un bacio.
“Ehi Edward!”
“Ciao Jordan! Come va?”- Chiedo ad un amico che non vedevo dalla prima guerra civile.
“Tutto bene.”- Sussurra guardandosi attorno.
“Che c’è? Qualcuna ha già fatto colpo su di te.”- Scoppia a ridere e annuisce.
“Guardala è quella lì!”- Esclama cercando di avvicinarsi a quella ragazza bellissima, con un corpo splendido fasciato da un costume nero. Lo fermo da un braccio e inizio a camminare a passo veloce verso Bella.
Prendo il suo viso tra le mie mani e divoro le sue labbra con le mie, marcando il territorio, lancio uno sguardo a Jordan alla ‘lei è mia’. Bella mi abbraccia e sorride sulle mie labbra. Jordan rimane a fissarci con la bava alla bocca.
Avvolgo la vita di Bella con un braccio mentre lei parla con Rosalie della luna di miele. Sono stati alle isole Bahamas.
“Facciamo un tuffo?”- Mi chiede Bella io annuisco e ci avviciniamo alla piscina.
C’è solo mia madre con mia zia Marie che parlano tranquillamente a bordo vasca.
“Qualche volta andiamo al mare?”- Le chiedo appoggiando la testa al suo seno. Lei scuote la testa e la guardo negli occhi. Zona off limits.
“N-non…”- Poso l’indice sulle sue labbra e dolcemente la zittisco.
“Ne parliamo un’altra volta.”- Sussurro baciandola passionalmente. E’ assurdo e a allo stesso tempo magnifico il nostro modo di passare dalla modalità grigia e quella rossa. Per ogni minima cosa, che riguarda il dolore,  diventiamo tristi, ma non appena uno si avvicina all’altro l’umore cambia, di radice, colore.
“Sei la mia salvezza.”- Sussurra guardandomi intensamente negli occhi.
“Tu sei la mia.”- Soffio sulle sua labbra prima di afferrarle i fianchi facendola alzare e baciare il suo ventre piatto e morbido al tempo stesso.
“Affittatevi una camera!”- Urla quel troglodita di mio fratello, scoppio a ridere e Bella arrossisce nascondendo il viso nell’incavo del mio collo.
Il pomeriggio passa tra baci, chiacchierate, sfioramenti sensuali, insulti per mio fratello, abbracci con i familiari. Mi manca, tantissimo, ma sono felice, lo sono e sono fiero di me per aver trovato Bella ed essere riuscito a sorridere nonostante tutto. Apro i regali; Ci sono un sacco di cd, libri, maglie, una valigetta nuova per il lavoro, una tuta e accessori per l’auto. Infine Bella mi porge il suo.
“Non dovevi.”- Sussurro sincero, il suo regalo è il suo amore, niente è più prezioso di quello.
“Non è niente di che.”- Sussurra imbarazzata, lo scarto e immediatamente sgrano gli occhi.
E’ una maglietta nera, in mezzo c’è stampata una foto; mia e di George. Ricordo quel giorno, avevamo appena finito di suonare, dopo qualche birra di troppo, Emmett aveva be pensato di farci delle foto. Ricordo che lui mi disse: ‘questa è la più bella, sai perché? Perché siamo noi, siamo due semplici amici che ridono ’. Una lacrima riga il mio viso e, vorrei prendermi a pugni dato che qui presente c’è tutta la mia famiglia. Bella mi guarda e bacia la mia guancia.
“E’ perfetta.”- Sussurro. Lei guarda Alice, che mi sorride, porto una mano alla bocca e soffio un bacio a mia sorella.
Vedo mia madre prendere per mano Bella e, dirigersi insieme dentro casa.
“Sono contento Edward, lo sono per te.”- Mormora serio mio fratello a fianco a me.
“Grazie.”- Sussurro. Lui annuisce e corre da Rosalie.

 

“Tesoro sono felice che ci sia Bella con te.”- Sussurra mia madre con le lacrime agli occhi, lei è stata l’unica a sopportare me e il mio dolore, lei è stata la più forte ad affrontare tutto con me, lei c’è sempre stata e ci sarà sempre.
“Anch’io mamma, è solo che, mi sento come…”
“Edward non devi sentirti in colpa, lui non vorrebbe, lui ne sarebbe felice. E non importa se non saremo mai felici al cento per cento, importa riuscire a convivere con il dolore. Lui vorrebbe vederti felice, lui a vederti così soffrirebbe.” -Sussurra mia madre abbracciandomi.
“Ti voglio bene mamma.”
“Ti voglio bene piccolo mio.”
Bella ci raggiunge sorridendo e si abbraccia con mia madre.
“Spero che sia stato bello per te.”- Sussurra ansiosa.
“Lo è stato.”- Con ancora il costume addosso – come mi aveva chiesto lei- ci dirigiamo in macchina.
“Andiamo da me?”
“No. Accompagnami a casa.”- Sussurra mentre io dentro di me disapprovo.
“Non entri?”- Io la guardo confuso, sono le undici di sera, sarà stanca, sua madre sarà a letto, al massimo potevamo andare a casa mia.
“Non c’è nessuno.”- La sua voce improvvisamente diventa roca. Slaccio la cintura e scendo dall’auto, con uno slancio mi fiondo sulle sue labbra. Non so come, ma, in pochi secondi ci ritroviamo mezzi nudi sul suo divano del soggiorno. C’è urgenza, c’è voglia di diventare una cosa sola. Non avrei mai creduto alle doti sessuali di Bella, ho sempre detto che fosse sexy e ammaliatrice, ma mai e poi mai, avrei creduto che fosse una vera e propria bomba del sesso.
Bacio il suo collo, lascio scie di baci che ricoprono di brividi la sua pelle, fremo per la voglia di entrare in lei. Il trillo del mio cellulare mi avvisa di un messaggio, ma al momento non mi importa.
“Edward, il cellulare.”- Ansima con la voce rotta dell’eccitazione.
“Al diavolo.”- Mormoro continuando a baciare il suo collo, per poi passare le mie mani sotto il tessuto del suo top e sfilarglielo sorpreso che non l’abbia strappato. Le sfilo i pantaloncini per poi, finalmente, slacciare i lacci del pezzo di sotto del suo bikini. Le mie dita passano lì, sul frutto della passione, su quella parte del corpo che chiede attenzioni da me. Lei sposta la mia mano e ribalta la posizione.
“Sono già bagnata, non ce la faccio.”- Mormora sulle mie labbra, getto la testa indietro e lei ne approfitta per mordere il mio collo. Le mie mani accarezzano le sue spalle, perché tutto ad un tratto non voglio affrettare il momento, non voglio che questo finisca, anche se so che domani lei sarà qui, è come se mi sentissi costretto a voler fermare il momento, senza ragione, senza apparente motivo. Slaccio anche il laccio del pezzo di sopra ed è finalmente nuda sotto ai miei occhi. Mi perdo a contemplare quel corpo meraviglioso, chiedendomi se questo non sia un sogno, chiedendomi se davvero questa creatura meravigliosa sia mia. Sorrido tra me, pensando a quante volte avevo desiderato vederla nuda sotto le mie braccia, a quanto non avevo mai desiderato nessuno in vita mia quanto desidero lei.
“Edward!” - Urla impaziente, sicuramente chiedendosi perché io non sia già dentro di lei, e una parte di me se lo chiede anche in questo momento.
Accarezzo i suoi seni, così tondi e perfetti, più chiari delle altre parti del corpo. Lei butta la testa all’indietro e la mia eccitazione pulsa, per la sua voce, le sue carezze, per il suo amore, per il suo corpo, per la sua anima.
Sfila la mia maglia e alzandosi abbassa pantaloni e boxer in un unico movimento. Le sue mani si aggrappano sulle mie spalle e sedendosi sulla mia erezione mi permette di entrare dentro di lei. Inizia a muoversi, ma io la fermi per i fianchi, non voglio fretta anche se non sembra. Guardo i suoi occhi, lucidi per l’eccitazione, la sua bocca gonfia dei miei baci, la amo, amo tutto di lei, è la cosa più bella che mi sia capitata in tutti questi anni, è la ragione di tutto il mio essere.
Prendo un ciocca dei suoi capelli e la bacio, lei inclina la testa e mi sorride.
“Ti amo.”- Sussurro sinceramente.
“Ti amo anch’io.”- Sussurra prima di iniziare a muoversi e dando vita ad un ballo passionale.
I suoi seni danzano ad ogni suo movimento e vederla mentre è persa nella nostra bolla di passione è una visione talmente erotica che mi trattengo dal venire immediatamente.
Accarezza il mio collo delicatamente e in tutto l’amplesso non abbiamo smesso un attimo di guardarci negli occhi. Una lacrima di emozione riga i suoi occhi, come la prima volta, come sempre, come se fosse una regola da rispettare, la sua anima mi mostra che si sente bene, che è felice. Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima, non so se sia realmente così, ma se lo è, la sua è l’anima più bella che i miei occhi abbiano incontrato, che la mia anima abbia mai conosciuto.
I suoi muscoli intimi si contraggono intorno alla mia erezione e butta la testa indietro, appoggiando automaticamente i suoi seni sul mio viso, io, non perdendo occasione, li faccio sparire tra le mie labbra, prolungando il suo orgasmo.
Dopo pochi attimi raggiungo l’apice, sfiniti, appagati, ansanti e follemente innamorati ci abbracciamo.

 

 

**

“Ti era arrivato un messaggio.”- Sussurra sdraiata sul mio petto. Annuisco e prendo i pantaloni per terra, dalla tasca estraggo il cellulare.
Signor Edward Cullen, siamo lieti di annunciargli la data del processo del signor John Audost che avverrà il 24 di questo mese. Cordiali saluti.
A.V.

“Che cosa dice?”- Mi domanda Bella ansiosa.
“Il…il processo…”- Mormoro imbambolato, non so se devo esserne felice, ma sono sicuro di essere spaesato.
“Non sei contento?”- Mi chiede confusa.
“Si, ma, non lo so.”- Sbuffo in totale confusione. E se andasse tutto male? E se tutto quello che ho cercato di fare si ritenesse inutile? E se quel furfante la passi liscia anche questa volta? Voglio davvero assistere a quel processo? Voglio davvero rischiare di vedere la inutilità per quanto riguarda questo caso? Sono pronto? Scuoto la testa, più confuso di prima. Bella accarezza il mio braccio.
“Lo so quello che stai pensando. Devi andare, devi esserci, non puoi non farlo, ne dipende parte della tua vita. Aspetti questo momento da tanto tempo, e se andrà male? Se andrà male continuerai a lottare fino al punto di mettere fine a questa situazione, a questo caso. Non devi confonderti, io so quello che vuoi, e lo sai anche tu.”- Sussurra con una sicurezza nella voce che non le avevo mai sentito.
“Verrai con me?”- Le chiedo sicuro che non rifiuterà, ho bisogno che lei mi stia accanto.
“Certo. Verrò sempre con te.”- Sussurra soffiando un bacio sulle mie labbra.

 

**

“Non posso andare senza di te.”- Sussurro incazzato sotto lo sguardo infuriato di mio padre e quello dispiaciuto di Bella.
“Edward. E’ importante, ci sarò, il mio cuore non ti lascerà nemmeno un istante.”-
Siamo davanti casa, anche questa volta ho scelto di andare in macchina. Non ho intenzione di volare in aereo, specie adesso che ho la certezza che Bella non sarà con me. Mio padre ha detto che non può venire, che ha bisogno di lei per una cosa importante, che non ha voluto svelare cosa, dovrebbe cercarsi un’altra segretaria. Sbuffo passandomi una mano tra i capelli.
“Edward puoi farcela da solo. Ne sono sicuro, tutti noi, io, tua madre, Alice, Bella, i genitori di George contiamo su di te, ci fidiamo di te. Saprai cosa fare, cosa dire, se sbagliare oppure se tacere. Sei in gamba figliolo.”- Sussurra mio padre cercando di confortarmi. Ma lui non capisce, non capisce che non posso riuscirci senza il mio punto di forza; Bella. Ma non posso tirarmi indietro, devo farlo per George, devo farlo per me stesso.
“D’accordo.”- Dico ad alta voce, facendo sospirare mio padre e Bella.
Mio padre mi saluta con una pacca d’affetto sulla spalla. Bella si avvicina e per minuti interminabili co guardiamo negli occhi.
“Sarò qui ad aspettarti.”- Promette in un sussurro. Io annuisco e avvicino le nostre labbra.
“Ti amo.”
“Ti amo anch’io.”- Sussurro prima di entrare in macchina e partire verso Seattle, sperando per l’ultima volta.

 

**

 

“Edward. Ciao! Ho una notizia.”- Mormora l’avvocato Price venendomi incontro.
“Mi dica.”
“Non ci sarà Aro Volturi oggi.”
“E’ positivo?”
“Dipende da dove vogliamo vedere la cosa…”
“Che il processo abbia inizio.”- Il giudice spunta dalla porta che si trova dietro la poltrona e noi tutti ci alziamo in piedi. Lo sguardo di John Audost mi è addosso, nelle sue labbra aleggia un sorriso strafottente. Vorrei davvero oltrepassare questa dannata barriera che ci divide e prenderlo a pugni, vendicandomi a modo mio, ma quello sarà il piano B, se il piano A andrà in fumo.
“Siamo tutti qui riuniti per  una sentenza penale di condanna. L’imputato è accusato di violenza sessuale, falsa testimonianza, calunnia e infine guida sotto effetto di stupefacenti. Dopo varie istanze, procedimenti, abbiamo deciso il da farsi.”- Mormora con voce calda.
“Dall’articolo 111, 6° comma, dichiariamo che il qui presente imputato John Audost è stato condannato, senza proscioglimento su cauzione, per trentacinque anni di carcere sotto stretta sorveglianza..”
“Obbiezione!”- Urla l’avvocato dello stronzo. Il giudice abbassa gli occhiali e guarda l’avvocato sottecchi.
“A  cosa esattamente?”- Chiede il giudice senza scomporsi.
“Il mio cliente avrebbe qualcosa da dire al riguardo.”- Il giudice annuisce e l’imputato prende un respiro.
“Ho già pagato per quello che ho fatto. E’ ora di mettere fine a questa storia.”- Sibila con un sorriso strafottente sulle labbra.
“Lei non è in carcere per qualcuno che dovrà pagare per quello che ha fatto. Le hanno coperto le spalle molto bene in questi anni. Ed è per questo che Aro Volturi non ha potuto prendere il mio posto quest’oggi. Signor Audost, questa è la sentenza, non c’è niente da obbiettare, anzi ci abbiamo solo perso tempo.”
“Signore…”
“No! Questo è stato deciso e questo si farà. In nome di Judith, di Stephan , per George e per le loro famiglie che dopo anni aspettano che giustizia sia fatta. Ma volevo dirle Signor Audost, credo che questo le appartenga.”- Il giudice porge un  passaporto all’imputato. Un immagine spunta nel grande schermo dell’aula. C’è la sua foto, ma il nome non è John Ausost, ma John Juker. Ecco perché molti lo chiamano in quel modo, quindi non è il suo soprannome come avevo creduto in tutti questi anni, è un documento falso.
“I documenti falsi sono facilmente riconoscibili nel nostro stato. La condanna è decisa. Non accetto obbiezioni, non accetto niente di niente.”- Mormora sotto lo sguardo incazzato dell’avvocato di Audost e di Audost stesso. Rimette apposto gli occhiali e continua a leggere la sentenza.
“Dall’articolo 111, 6° comma, dichiariamo che il qui presente imputato John Audost viene condannato a trentacinque anni di carcere, sotto stretta sorveglianza, senza proscioglimento su cauzione. L’imputato è condannato di Calunnia, violenza sessuale, falsa testimonianza e guida sotto effetto di stupefacenti. La corte annuncia che inoltre, non sono stati ben definiti alcuni reati che verranno presi in considerazione immediatamente.”- Il giudice si alza e sparisce da dove era spuntato. Ci alziamo applaudendo e un sorriso aleggia sul mio volto.
Audost mi guarda con gli occhi pieni d’odio.- “Ve la farò pagare. A tutti quanti è una promessa.”- Urla un secondo prima che le guardie lo prendono per scortarlo in carcere.
“Signor Cullen. E’ stato un piacere lavorare con lei.”- Mi dice Price stringendomi calorosamente la mia mano.
“Anche per me lo è stato.”
Esco dall’edificio e afferro il cellulare, al primo squillo Bella risponde.
“Edward!”
“Bella. Ce l’abbiamo fatta!”- Esclamo colmo di gioia nella voce.
“Tu ce l’hai fatta amore mio, sapevamo che ci saresti riuscito.”- Sussurra felice.
Mi sento liberato, come se quel macigno che sentivo sulle spalle tutto ad un tratto fosse sparito.
“Sto partendo. Il tempo della strada e sono da te.”- Le dico con la voce felice.
“ Devo dirti una cosa importante. Ti aspetto.”- Sussurra. Stacco la chiamata e i genitori di George mi indicano di raggiungerli.
“Volevamo ringraziarti. Sappiamo che con questo nostro figlio non tornerà, ma almeno sei riuscito ad alleggerire almeno un pochino le cose. Non so se ci saremmo riusciti senza di te.”- Mormora il padre di George abbracciandomi.

**

“Ciao Edward.”- Reneé mi apre la porta in lacrime.
“Che succede? Dov’è Bella?”
“E’ scappata via.”- Mormora singhiozzando.
“Come…”
“Mi ha lasciato questa.”- Sussurra porgendomi una lettera. Confuso apro la lettera e mi accomodo sul divano.

Ciao amore,
Lo so sembra strano chiamarti così in questo momento ma lo sei, sei il mio amore. Sono dovuta andare via, senza un motivo valido, senza essermene resa conto davvero. Voglio solo dirti di non cercarmi, sarebbe solo inutile.
Ti ringrazio anche se per poco, per aver reso la mia vita una vera vita, per avermi dato il tuo amore, per avermi permesso di amarti, grazie. Io sarò sempre con te, la mia anima ti appartiene così come il mio cuore.
Sono andata via non perché lo volessi, ma l’ho fatto, l’ho fatto proprio perché ti amo immensamente. Non dimenticarmi mai, perché io non lo farò. Il mio cuore ti apparterrà per sempre.
Non chiederti niente, non puoi, non posso, darti spiegazioni.
Non è un addio, è semplicemente un arrivederci, in una prossima vita. Perché in questa Edward e Bella non possono restare uniti. L’amore è forte, ma non è sempre quello che tiene uniti.

Ti amerò per sempre,

per sempre tua. Bella.

 

Una lacrima riga il mio viso, guardo Reneé che scuote la testa e mi abbraccia.
Che cazzo significa?

 

 

 

______________-

 

 

 

AAAAALT. Fermi con le pistole! NON E’ COME SEMBRA. A tutto c’è una spiegazione no?
Questa ultima parte l’ho scritta insieme al prologo, in un secondo momento volevo toglierla, ma poi mi sono resa conto che la storia deve andare così. Nel prossimo capitolo ci sarà un Pov Bella, sarà un capitolo in cui tutti i nodi verranno al pettine. Prometto che non vi farò stare sulle spine, cercherò d farvi scoprire tutto entro la prossima settimana. E recensite, mi fareste felice. Cosa ne pensate voi? Cosa vi aspettate nel prossimo? Cosa doveva dire Bella a Edward? Perché è scappata?
E la storia è malinconica, quindi accetto le critiche ma non le lamentele per quest’ultima parte. Riguardo il processo, avrò scritto cose assurde, ma, capitemi, non sono un avvocato né ho mai partecipato ad una cosa del genere v.v .
Detto questo, grazie per avermi seguita fin qui e spero che siate meno silenziosi.
Un bacio.
Roby.

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Capitolo 17
*** I Miss Those Eyes, Wich We Have Seen In The Universe. ***


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I Miss Those Eyes, Which We Have Seen In The Universe.

 

 

Quattro anni dopo.

 

 

 

Bella’s Pov.

“Bella?”- Mi chiama Jasper dal suo ufficio.
Ebbene sì, mi trovo a New York, da quattro, interminabili, lunghissimi anni. Sono la segretaria di Jasper, del Jasper fidanzato con Alice, prossimo al matrimonio ed architetto. Io sono la sua segretaria, nonché migliore amica. Alice lavora in una Spa, il lavoro che aveva sempre sognato. Sono quattro anni che non vedo Edward, quattro anni che la mia vita è cambiata radicalmente, la mia vita che per certi versi è rimasta sempre la stessa. Il dolore c’è, ma triplicato, attutito da quella creatura che mai e poi mai avrei pensato potesse entrare nella mia vita.
Sono fuggita, sono dovuta fuggire, contro il mio volere, contro ogni mio desiderio, contro ogni mia aspettativa. Le uniche cose che non sono cambiate nella mia vita sono; il mio amore per Edward e il dolore per la perdita di mio padre. Quello che è cambiato è tutto il mondo. Adesso lo guardo con una prospettava diversa, mi sono convinta che la vita, che sia bella o brutta non cambierà mai. Sono nata per soffrire, avevo detto un giorno, cosa che avevo smentito con l’amore per Edward, ma che adesso è tornata a farsi spazio nella mia mente. Ma sono fiera di me stessa, lo sono perché contro ogni probabilità ho saputo decidere tra la strada giusta e quella più facile.
Facile era lasciare perdere le cose com’erano, giusto era andare via, non permettere che, per amore, un’intera famiglia venga distrutta, annientata, come una città rasata al suolo.
“Dimmi.”
“C’è un piccolo problema. Edward verrà a trovarci questo fine settimana.”- Mormora studiandomi con lo sguardo.
“Okay. Prenderò un giorno di ferie.”- Dico alzando le spalle. Lui annuisce e mi chiede di tornare all’ingresso, dove si trova la mia scrivania, dove accolgo i clienti.
Edward viene spesso a fare visita ad Alice, ed ogni volta Alice e Jasper fingono di non sapere dove io sia. Ma se non avessi avuto loro, bè in questo caso credo che sarei per strada ad elemosinare. Loro non avevano ancora finito gli studi, Alice mi ha accolto di notte nella sua camera, promettendomi che sarebbe andato tutto bene, promettendomi che una soluzione si sarebbe trovata. Ma con il passare dei giorni, dei mesi, degli anni, ci siamo resi conto che l’unica soluzione era nascondermi, non dare mie notizie. Carlisle, Esme, Alice, Jasper, Angela, Mia madre, Carl, sanno il motivo per cui sono dovuta fuggire, l’unico a non saperlo è Edward. Non lo sa nemmeno Jacob, non lo avrebbe accettato. Tutti mi hanno detto che era l’unica cosa sensata; fuggire, nessuno mi ha giudicata. Chiudo gli occhi e una lacrima riga il mio viso, ricordando il giorno più brutto di tutta la mia vita, il 24 Giugno del 2008.

Prendo il telo e come sempre, come ogni giorno, lo posiziono sulla sabbia. Un rumore metallico mi fa sobbalzare. Una macchina si è schiantata sul lampione che illumina il piccolo giardino di casa mia. Un uomo sulla quarantina, con dei lunghi capelli corvini, il viso allungato e vestito con uno spezzato Beige, mi raggiunge correndo.
“Signorina Swan! Oh la prego, mi aiuti!”- Mi alzo immediatamente e raggiungo l’uomo.
“Che succede?”- Gli chiedo cercando di mantenere un tono tranquillo.
“Mi stanno inseguendo! Vogliono dei soldi da me, vogliono uccidermi!”- Urla disperato. Dovrei aiutarlo? Dovrei farlo rifugiare a casa mia? No, sarebbe troppo.
“Venga con me.”- Sussurro mentre mi dirigo in cantina e lo faccio entrare.
“Si nasconda. Io torno a casa mia.”- Ma detto questo,  lui prende il mio braccio e mi tira dentro la cantina insieme a lui.
“No cara, non così in fretta.”- Il suo corpo è piantato sulla porta, non ho via d’uscita, sono fottuta.
“Che vuole farmi?”- Sussurro iniziando a piangere di paura.
“Non violento le donne stia tranquilla.”- Mi dice con un sorriso strafottente stampato in viso.
Esce il portafogli e mi mostra il passaporto.
Aro Volturi.
La terra sparisce sotto ai miei piedi. Solo adesso il suo viso assume un’aria familiare. Ricordo che, uno dei tanti avvocati che abbiamo visto a Seattle, io e Edward, ci ha mostrato la sua foto, dicendo che lui copre Audost, che è lui che ha permesso il proscioglimento di tutti i reati in passato.
“Che cosa vuole da me? Io non la conosco!”- Urlo in preda al panico.
“Non voglio niente, se non ricambiare il favore.”- Lo guardo confusa e lui inizia a camminare per tutta la stanza.
“Davvero non riesci a capire? Oh vediamo, posso certamente rinfrescarti la memoria io stesso. John Audost, ti dice niente? Da oggi la sua vita è stata rovinata, gli hanno tolto la libertà. E tu, mia cara, conosci ogni minimo dettaglio della questione. Rovinando Audost, tempo due mesi, ed anche la mia vita sarà rovinata. E  non voglio certo sporcarmi le mani, in fondo, anche se può sembrare strano anch’io sono una buona persona. Mi avevano chiesto di ucciderlo quel ragazzo che ha lottato per arrivare a tutto questo. Ma perché togliere la vita ad un ragazzo, così dolce e intelligente come Edward Cullen? Abbiamo scoperto che ha una relazione con te, quindi perché non rendergli il favore, quando abbiamo trovato qualcosa di utile come il suo amore per te? In fondo non pensi che ucciderlo per lui sarebbe troppo facile?”- Mi chiede, dopo aver finito il suo monologo. Le lacrime, che prima erano di paura allo stato puro, adesso si sono trasformate in rabbia.
“TUTTI DEVONO PAGARE PER QUELLO CHE COMMETTONO!”- Urlo disperata sicura di essere vicina alla morte.
“Non scaldarti, in fondo non ti chiedo tanto, se non un piccolo sacrificio.”- Sospira tristemente, sicura che sia tutta una menzogna, non è triste per quello che sta facendo, altrimenti non mi avrebbe rinchiusa qui dentro.
“Devi andare via. Fuggire, far finta che sei morta, far finta che non lo ami più. Non lasciare traccia, sarai pedinata da me e da altre persone. Non puoi sfuggire, è una richiesta, è un ordine, vedilo come vuoi. Potrei ucciderti, essere sicuro che lui non ti veda più. Ma non voglio.”- Dice guardandosi le punte delle dita. Sperando che sia solo un modo per illudermi e poi, finalmente, prendere una pistola e spararmi in testa, in bocca o sul cuore. In modo che non debba davvero sopportare tutto questo.
“Non posso andare via.”- Sussurro flebilmente con la voce carica di dolore e disperazione.
“Oh, si invece. Sarò qui ad aspettarti, ti accompagnerò in Aeroporto io stesso, pagherò il biglietto di destinazione, dopodiché dovrai cavartela da sola.”- Inizio a singhiozzare e scuoto la testa.
“Non posso, non posso, non posso.”- Ripeto in continuazione con la voce che piano piano si affievolisce diventando il nulla, come me.
Esce dalla cantina e chiude la porta.

 
Avrei mille volte preferito morire che passare la vita senza di lui. Ma dal momento in cui non avrei accettato lui mi avrebbe uccisa, quel giorno non moriva solo una vita ma ben due, ho deciso la strada più giusta.
IL 24 Giugno del 2008 ho scoperto di essere incinta, credevo che quello fosse il giorno più bello di tutta la mia vita. Ero sicura che Edward ne sarebbe stato contento, anche se ci conoscevamo da poco, entrambi, sapevamo di conoscerci da una vita. Che il nostro amore era puro, vero, forte, che se anche è durato poco ha lasciato un segno indelebile; George Charlie Swan.
Mio figlio,
Nostro figlio.
Ha tre anni, li ha compiuti quattro giorni fa, l’otto Marzo. E’ la fotocopia di Edward,  molte volte, segretamente, lo chiamo l’Edward in miniatura.
E’ stato lui l’unico motivo per cui ancora ora non sono impazzita, è stato lui quel motivo che mi ha permesso di lottare contro me stessa. Nel cuore della notte sarei voluta fuggire via, andare da Edward e dirgli di scappare insieme, lo avrei fatto, se solo quel giorno di quattro anni fa lui fosse stato a Los Angeles. Ma Aro e la sua combriccola sono stati furbi, hanno studiato il tutto, non potevano di certo permettersi di compiere passi falsi. Non avevo mai desiderato di diventare mamma giovane, ma dal momento in cui ho scoperto di aspettare George, nemmeno per un secondo ho pensato di poterlo uccidere. Forse dovevo farlo, dal momento in cui ho elaborato che sarebbe cresciuto senza un padre, che la sua vita sarebbe stata un immenso motivo per chiedersi il perché. Ma non potevo, l’ho amato dal momento in cui ho visto le due linee rosa del test di gravidanza. Fino ad oggi non mi ha mai chiesto di un ipotetico papà, ma è troppo piccolo, sono sicura al cento per cento che prima o poi lo farà ed io non saprò mai rispondergli come realmente merita.
L’ho lasciato come ogni codarda avrebbe fatto, con una lettera. La lettera più dolorosa che io abbia mai scritto. Non potevo fargli credere che io fossi morta, non volevo, lo avrebbe distrutto. Spero solo che lui sia felice, spero che un giorno trovi un’altra persona che riuscirebbe a renderlo felice. Spero che comunque vada lui non si dimentichi mai di me, come io non dimenticherò mai lui.
Alice lo sente tutti i giorni per telefono, dice che la sua voce è spenta. Lui le ha chiesto se io l’avessi contattata in tutti questi anni, ma Alice, mantenendo il cuore duro ha smentito. Ha detto di essere arrabbiata con me per quello che ho fatto, quando invece, ogni giorno mi ringrazia, ogni giorno una lacrima solca il suo viso quando vede mio figlio, gli occhi di mio figlio, profondi, belli, sinceri, verdi come quelli del padre, dove spesso lì dentro io ci vedevo il mio universo.

 

**

“Davvero?”- Chiedo entusiasta a George, si chiama George Charlie, ma è più facile chiamarlo semplicemente George.
“Mh, mh. La maessa si ha detto che siamo stati blavissimi.”- Mi dice ridendo. Siamo al Central Park, veniamo tutti i giorni dopo la scuola, a lui piace passeggiare. Ricordo ancora il giorno della sua nascita, mia madre era venuta a trovarmi con Carl. Dovevo partorire a fine mese, ma lui ha deciso di voler uscire prima. Ricordo che volevo Edward con me, ricordo che volevo solo tranquillità, quella tranquillità che solo lo sguardo di Edward sapeva darmi. Sotto lo sguardo disperato di Alice, di mia madre li imploravo di chiamarlo, di dirgli che suo figlio stava nascendo e che io avevo bisogno di lui, solo di lui e di nessun altro.
Carl e mia madre sono andati a vivere insieme, dopo la mia fuga non è più riuscita a vivere in quella casa, diceva che senza mio padre era triste, senza di me era ancora peggio. La casa è vuota, l’ho implorata di non venderla e lei ha accettato immediatamente, non potrei sopportare di perdere anche quella casa. Forse è stupido, materiale, ma ci tengo.
I primi giorni senza Edward sono stati i peggiori, ma più passa il tempo più la sua mancanza scava all’interno della mia anima.
“Andiamo dalla tia?”- Mi chiede dolcemente, mio figlio, guardandomi intensamente. Lo prendo in spalla e gli faccio fare la giravolta, quando lo rimetto con i piedi al suolo lo abbraccio schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
“D’accordo amore.”- Sussurro, inspirando l’odore dei suoi capelli, guardandolo come una mamma innamorata guarda il proprio figlio. Mi sento in colpa per quello che provo guardando mio figlio, mi sento in colpa perché vorrei che anche Edward provasse lo stesso.
Lo sistemo sul sediolino ed entro in macchina, una Volkswagen Golf nera, comprata appena due settimane fa. Quando ho iniziato a lavorare, la prima cosa di cui mi sono occupata è stata prendere una casa in affitto, ho apprezzato che Alice non volesse che andassimo via, ma loro hanno bisogno dei propri spazi, io e mio figlio abbiamo bisogno dei nostri. Quasi tutti i giorni o è Alice a venire da noi o siamo noi ad andare da lei.
“Amore mio! Vieni qui!”- Urla Alice, non appena varchiamo la soglia di casa sua.
“Mi tei mancata tia.”- Sussurra George, appoggiando la testa sul seno di Alice. Per lui è come una seconda madre, lei c’è sempre stata da quando è nato, lei era lì quando gli è spuntato il primo dentino, quando ha fatto i primi passi, quando per la prima volta ha detto mamma. Non so se c’è l’avrei fatta senza Alice e Jasper, non so se sarei qui. Viva nonostante tutto.
“Ciao Bella.”- Mi saluta dandomi un bacio sulla guancia e non posso resistere dal non abbracciarla.
Posiziona George sulla sedia e gli taglia una fetta di torta. Io mi dirigo in terrazzo a fumare una sigaretta.
Se solo potessi trasformarmi in una farfalla, se solo potessi andare da lui e vederlo, capire se ha superato tutto, se ha continuato a vivere, se ha continuato a ricordarmi. Alice mi ha detto che dopo un paio di volte non ha più parlato di me, ho chiesto se ha un’altra donna ma a quella domanda nessuno mi saputo dare risposta. Forse perché nessuno lo sa, forse perché non c’è nessun’altra, forse perché c’è ma nessuno ha intenzione di infilzare la lama del coltello ancora di più sul mio cuore.
“A che pensi?”- Mi chiede Alice con lo sguardo cupo. Io la guardo negli occhi, e lei capisce all’istante.
“Jasper te l’ha detto.”- Mi dice senza formulare una qualsiasi domanda. Si avvicina a me e mi abbraccia forte.
“Vorrei…vorrei, solo vederlo Alice, da lontano, ti prego, permettimelo.”- La mia suona come una preghiera, è una frase che le ho sempre detto quando alle porte c’era una visita di Edward, ho sempre desiderato poterlo vedere, ma Alice lo ha sempre tenuto in casa, proprio per evitare che lui mi vedesse, per evitare che io lo veda e mandare a puttane tutto il dolore che ho provato e che, provo ancora oggi, per arrivare a questo punto.
“Bella..”- Mormora con voce flebile, ma allo stesso tempo ferma.
“Ti prego Alice. Giuro che non mi faccio vedere, mi metto il burka, mi sfiguro la faccia, mi tingo i capelli, mi rendo irriconoscibile. Ma ti prego, devo vederlo, ne va della mia salute, ne va di tutti i sacrifici che ho fatto per amore, voglio solo vedere i suoi occhi, o la sua faccia. Mi manca Alice, mi manca in una maniera che nemmeno io credevo possibile, darei di tutto per vederlo, anche solo per un secondo.”- Le chiedo piangendo disperatamente.
“Bella…Non rendere le cose più difficili di quanto già non lo siano. Non puoi rischiare di farti vedere, sai quello che succederà? Edward non ti lascerebbe più andare, dovrai dirgli tutto, dovrai dirgli di George. Quando vedrà George cosa gli dirai? ‘Sai ho avuto tuo figlio, ma tu non potevi saperlo, perché uno psicopatico mi ha costretto a fuggire’. Non puoi dirgli che non è suo figlio, se ne accorgerebbe anche un cieco. Smettila Bella, vederlo ti farà solo del male.”- Sbotta rientrando, scuto la testa iniziando a piangere. Perché? Perché la vita deve essere una costante ingiustizia, perché tutto quello che creiamo prima o poi viene distrutto? Mi ero sempre chiesta se l’amore fosse più potente del dolore, e finalmente dopo tanti ‘ma’, ‘se’, ‘forse’ ho trovato la risposta. Si è più forte, sia nel male che nel bene.  Perché l’amore è quel motivo per cui riesco a vivere tutti i giorni, che il dolore che piano scavava la mia anima è stato bloccato, da una cosa molto più potente, l’amore, che ti travolge, ti devasta, ti fa arrivare in paradiso per poi scendere in picchiata nell’inferno. Ma soprattutto è più forte perché è un motivo per vivere nel bene e male, è quel motivo per cui la vita ha un senso.
Il mio amore per Edward, per mio figlio, per la mia famiglia, per l’arte, per gli animali è quel motivo in più per dire ‘questa è la mia vita’, ‘questa sono io’. Senza amore siamo niente, senza amore non si può vivere, l’amore vive in noi, sempre, anche quando crediamo che sia impossibile, sotto ogni forma e misura l’amore è all’interno dell’anima di chiunque.
Spengo la sigaretta sul posacenere e rientro.
“Amore, ti piace questa torta?”- Chiedo a George dandogli un bacio sui capelli castano-ramati . Lui annuisce felice e sospiro.
“Lui sarebbe fiero di te.”- Sussurra Alice, facendo correre lo sguardo tra me e George. Una lacrima solca il mio viso e mi incanto a guardare mio figlio che finisce la sua torta.

**

Ciao Papà,
Oggi c’è vento qui, il sole non di vede da un po’. Mi manca il sole di Los Angeles, mi manca casa nostra, mi manca passare qualche ora con te, dopo pranzo.
Chissà come sarà la nostra casa, spoglia, ormai vuota. Mamma sembra essere felice, ed io lo sono per lei. Perché nonostante tutto i suoi ricordi non sono stati dimenticati, ti pensa sempre, costantemente. Non ti dimenticherà mai, nessuno può farlo.
All’inizio credevo di mancarti di rispetto nell’accettare Carl. Ma credo che anche tu lo avresti fatto, vedendo la luce negli occhi di mamma dopo tanto tempo, vuol dire che ne è valsa la pena.
Forse in questa vita, quella che una volta era la nostra famiglia, non è stata destinata per rimanere tale. Forse, chi lo sa, in un’altra vita la vita stessa sarà più bella, facile, felice.
Ma come molti mi hanno insegnato; la vita va vissuta, anche se sembra che non ne valga la pena, anche se si pensa che qualsiasi cosa noi facciamo andrebbe in ogni caso distrutta. La vita è bella, la vita è una merda, ma siamo noi a deciderlo molte volte, siamo noi gli artefici per viverla.
Non sono felice, ma non sono nemmeno triste. Sono la via di mezzo che mi permette di andare avanti.
C’è sempre quel motivo per vivere, ed io c’è l’ho. Ho mio figlio, quel motivo per cui vale la pena lottare sempre, quel motivo per cui mi alzo al mattino, quel motivo per sorridere anche per circostanza, quel motivo che mi fa sentire utile, quel motivo che mi fa sentire viva anche quando sembra che il mondo sia crollato.
Il mio mondo è crollato già due volte, ma sento che ogni volta l’ho ricostruito più forte di prima, sono gli avvenimenti che ci fanno crescere, amare, lottare, fortificare. Ed io lo sono, sono cresciuta, amo, lotto e mi fortifico giorno per giorno.
Spero che tu sappia che non ti ho mai dimenticato, spero che tu mi ascolterai in un modo o in un altro. Ma ho capito, ho capito che se sei nel mio cuore sei ovunque io viva, ovunque io respiri, ovunque io guardi.
Mi manchi Papà. Ogni giorno più del precedente.
Ti voglio bene.
Bells.

Apro la borsa e tiro fuori le altre lettere che ho scritto per lui, aggiungo l’ultima e  chiudo gli occhi. Qualche mese fa ho scoperto questo posto.
E’ una piccola spiaggia, non molto diversa da quella in cui mi recavo a Los Angeles. Ma non è vicino casa mia. Vengo solo quando ho il giorno libero, quando anche George è a scuola. E’ ad un’ora di distanza da casa mia.
Casa mia è piccola. E’ un monolocale, ma è carina, e per me e George è perfetta.
Apro gli occhi e , come tante volte mi capita, lo vedo, vedo Edward che mi sorride, che mi viene incontro abbracciandomi.
Ma sono solo illusioni, bellissime illusioni.
Un colpo di vento terribile fa volare tutto quello che c’era un attimo prima all’interno della mia borsa. Mi alzo e cerco di raccogliere tutto. I fogli, le lettere che ho scritto a mio padre sono sparite.
Inizio a correre cercandole, ma all’interno dell’acqua qualcosa cattura la mia attenzione. Mi avvicino, senza toccare l’acqua e li vedo. L’inchiostro una volta bagnato si è sparso su tutti i fogli, cancellando tutto quello che ci avevo scritto.
Ma non mi dispero, sorrido, sicura che quello che penso è giusto; Ovunque io guardi, ovunque io respiri, ovunque io viva lui c’è, e mi ha ascoltata, dandomi la certezza che no, neanche lui mi ha mai dimenticata, che c’è, in un posto migliore del mondo stesso, il mio cuore.
“Grazie papà, grazie per avermi ascoltata.”- Sussurro iniziando a piangere, ma non pianto di disperazione, ma di comprensione.
Ho capito, che lui c’è sempre stato nella mia vita, non importa come, quando e perché, lui c’è stato davvero, e ci sarà per sempre.                                                                                                        

 

 

 

 

Tadaan! Come promesso ho cercato di non farvi penare tanto. Non mi sembrava giusto lasciarvi per tanto tempo nel dubbio. Vi aspettavate tutto questo? :3

Il capitolo è dedicato a Grazia. Grazie per esserci sempre, nonostante tutto, grazie per avermi dato dei consigli per questo capitolo e per tutto. Non so se senza di te avrei continuato. Ti voglio bene.

Spero di non aver deluso nessuno.

A presto. Roby <3

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Capitolo 18
*** All Broken. ***


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Love save the pain.

All Broken.

 

 

 

 

 

 

Edward’s Pov.

Guardo lo schermo con poco interesse, come tutto quello che faccio da quattro anni a questa parte. Tutto ciò che di bello mi era rimasto, mi è stato portato via, come la felicità che per pochi attimi avevo assaggiato, via come il vento scuote la polvere, ci vuole molto per trovare la felicità, poco per perderla.
Oggi è il dodici Marzo del 2012, oggi devo prendere un aereo alle quattro del pomeriggio per New York, oggi rivedrò mia sorella. Queste sono le mie certezze, le cose calcolate durante la giornata, mia madre mi dice che sono diventato un robot, potevano aspettarsi di meglio?
Non importa il motivo che ha portato Bella ad abbandonarmi, non importa se dice di amarmi ancora, non importa se si e dimenticata di me, importa che l’abbia fatto. Importa che non ci ha messo poi così tanto tempo ad abbandonarmi alla prima occasione, credevo fosse diversa, credevo mi amasse, credevo che lei fosse la persona con la quale sarei tornato ad essere felice. E lo ero, per pochi attimi lo ero, e sarei codardo a dire di averla dimenticata, o smesso di amarla, lei è qui, non è mai andata davvero via, è nel mio cuore. Perché se anche le persone ci deludono, feriscono, maciullano il cuore, ci sono quei casi in cui non puoi fare altro che pensare a quella persona, perché è importante, perché il pensiero di lei è sinonimo di vivere, perché per sorridere – o almeno cercare di farlo- ho bisogno di pensare a lei, al suo viso, alla sua voce, al suo sorriso. Dicono che nella vita o si ama o si odia, io non ho mai smesso di amarla.  C’è qualcosa che non mi permette di avercela davvero con lei, come una consapevolezza che prende forma con il tempo.
Sono arrabbiato con lei, sono arrabbiato con il tempo, con gli avvenimenti, con il destino, con la vita, sono deluso, ferito, umiliato, distrutto. Non mi era mai capitato niente di più bello, come l’amore. Avevo amato e lo facevo ancora, anche se il rapporto non era ancora solidificato, anche se era da poco che avevo scoperto la vera definizione della parola amore, non riesco a smettere di amarla, non riesco a non pensare a lei. Sapevo di star diventando indipendente, quello che non sapevo è quanto dipendente sia diventato. Ho aspettato per quattro anni in un suo ritorno, ho sperato che c’era stato un malinteso e che lei sarebbe tornata da me, ma non l’ha fatto, né una visita, né una chiamata, né una mail. Niente per darmi conferma che ci sono ancora io dentro il suo cuore.
 Molte volte mi fermo a pensare a lei, a come sarebbe adesso, se è cambiata, se ha trovato un uomo che la rende felice, perché è scappata, se mi pensa, se ormai sono un ricordo che piano piano va affievolendosi con il passare dei giorni. Ma non riesco a vederla oltre il mio cuore, vedo sempre lei e me, vedo sempre i suoi occhi così tristi ma tanto sinceri, quel cioccolato dove io mi fondevo spesso, dove adoravo passarci le ore. C’era un che di malinconico nella mia vita, sempre, da sempre, su tutto, dovevo sapere che il tempo passato con Bella erano solo attimi intensi di pace. Dovevo immaginare che prima o poi tutti i miei sogni, progetti, che ritraevano lei e me sarebbero andati in fumo. Dovevo sapere che prima o poi, come tutto ciò che nella mia vita sia mai esistito, si sarebbe distrutto.
Il mio lavoro è sempre quello, anche se non ci metto più la stessa passione di un tempo, c’è una nuova segretaria, Amber si chiama, ma questo non fa che urtare ancora di più i miei nervi, sbaglia ogni cosa, non riesce nemmeno a prendere gli appuntamenti in tempo. Ho chiesto a mio padre se voleva che ne cercassi un’altra, ma lui ha detto che va bene, lui ha detto che non ci va bene perché in Bella avevamo trovato ciò di cui avevamo bisogno, ed era l’unica che potevi ridarci il tutto. Le mie giornate sono lente, noiose , non passano mai. Quando non sono a casa sono a lavoro e, se non sono neanche lì, sono davanti casa di Bella, nella spiaggetta. E’ come se passare le ore lì mi darebbe un contatto con lei, è come se per non smettere di amarla avessi bisogno di questo, ho capito che come lei aveva un contatto immaginario con il padre, io ce l’ho con lei. La cerco sempre tra la gente, tra i passanti, cerco sempre di sbirciare dentro le auto della gente per vedere il viso del guidatore, ma lei non c’è mai, nessuna traccia, nessun motivo, nessun senso mi ha mai fatto credere che lei sia rimasta qui, è andata via, ha cambiato città, forse anche continente, ma non smetterò mai di cercarla, non smetterò mai di amarla. Casa sua è vuota e triste, sono due anni che non vedo Reneé, da quando ha lasciato la casa è andata a vivere in centro con Carl. Chissà cosa ne pensa Bella, chissà se lo sa, chissà se lei adesso è felice, se ha trovato la felicità fuori di qui, via da me. Forse il mio dolore la ostacolava più di quanto il suo facesse, forse non è riuscita a sopportarlo, per questo è andata via. Scuoto la testa e mi passo nervosamente una mano tra i capelli.
I primi giorni sono stati i più terribili, non che adesso siano migliori, ma la mia anima ci ha fatto l’abitudine adesso. Ricordo quel dolore, che ogni tanto torna, ma che prima arrivava con più intensità, forza, al centro del petto, irradiandosi poi lentamente su tutto il torace, per risalire sul collo fino a farmi mancare il respiro per pochi secondi. Non mi sono mai sentito davvero bene in questi quattro anni, è come se il tempo si fosse fermato, come se io aspettassi rientrare Bella da un momento all’altro, come se questa, come se quella di ieri, come se quella di domani, fosse una giornata come un’altra. Credo che sia la speranza a farmi credere di vivere in un tempo non definito, un tempo immutabile. Ed è mostruoso, perché se non si va avanti non si vive, ma è la speranza che ci fa credere che si, tutto può andare bene, è la speranza il motivo per cui  ogni giorno fisso la porta di casa, ad ogni rumore urlo il suo nome per poi ricevere silenzio in cambio. Non c’è niente di più bello che sperare, non c’è niente di più brutto che sperare. E’ questa la consapevolezza che mi distrugge, giorno per giorno.
Nonostante quella porta non si sia mai aperta rivelando Bella, nonostante lei non c’è, non è ancora tornata, io ci spero, fino a quando chiuderò gli occhi crederò in un suo ritorno. Che forse non avverrà mai, ma il pensiero di lei con me, un giorno di nuovo insieme mi aiuta ad accettare la mia vita, mi aiuta ad essere ancora una persona, mi aiuterà quando una lacrima solcherà il mio viso, quando il mio respiro diventa affannato al pensiero di lei che mi sussurra ‘ Ti amo ’, alle urla quando immagino un suo sorriso, al dolore quando sento la sua voce senza che lei sia accanto a me. E’ straziante, ma è sempre qualcosa che rinforza il mio amore nei suoi confronti, perché ne sono sicuro, lei mia ama, lei non mi avrebbe mai lasciato come ha fatto. E devo trovarla, anche per dieci anni, devo farlo, devo capire il perché, voglio che mi guardi negli occhi, in modo da capire tutto. La mia vita, il mio essere, la mia anima, quello che mi circonda è ormai diventato tutto una contraddizione.
Sono sicuro che la mia vita sia arrivata ad un bivio, o questa per sempre, o la morte.
Io non sarei morto, finché c’è vita c’è speranza, e la speranza è l’ultima a morire. Resterò sempre qui ad aspettarla,  cercherò sempre di cercarla tra la gente, lascerò sempre il mio amore per lei segregato nel mio cuore fino al suo ritorno.

“Edward.”- Mormora mia madre quando apre la porta, sono venuto per salutarla.
“Ciao mamma.”- Sussurro abbracciandola. Lei, come quando ho perso George, non mi ha mai abbandonato, mi ha sempre detto che a tutto c’è un motivo, che vivere è il motivo stesso per sapere quello che ci accadrà, che sono il fantasma di me stesso. Ho cercato di allontanarla da me, per evitarle anche questo dolore, ma lei non ha voluto, ha sopportato con me tutte le mie pene e ancora oggi lo fa.
Forse sono egoista, forse non dovrei accettare che mia madre soffra con me, ma ne ho bisogno, ho bisogno di forza, di quella forza che bella mi aveva donato al primo sguardo.
“Come va, tesoro?”- Mi chiede porgendomi una tazza di caffè.
“Come sempre.”- Lei annuisce e accarezza la mia mano.
Sulla parete, oltre ai quadri, alle foto di famiglia, c’è una foto che ritrae me e Bella il giorno del mio compleanno. Le avevo chiesto di toglierla, ma lei ha risposto che non c’è posto migliore dove quella foto potrebbe stare, che nonostante tutto bella mi ha reso felice, che Bella è una ragazza forte e che, se è fuggita lo ha fatto per un buon motivo, per qualcosa più grande di noi, per qualcosa per cui vale la pena lottare.
Io invece credo che lei sia fuggita per paura, per la paura di non essere o rendere me felice, per la paura di non essere abbastanza, per qualcosa, si, più grande di lei, ma che potevamo superare insieme, perché se si ama ogni ostacolo si supera insieme, qualsiasi cosa sia successa lei non mi ha reso partecipe, non mi ha permesso di superare quello che era insieme a lei, mi ha cacciato via dalla sua vita.

 
“Edward! Ciao fratellino come stai?”- Urla abbracciandomi Alice.
“Può sempre andare meglio. Tu invece?” Le chiedo mentre iniziamo a camminare per raggiungere la sua auto nel parcheggio.
Inizia a parlare di quanto ama il suo lavoro, della sua vita a New York, di Jasper e del suo prossimo matrimonio. Erano sei mesi che non la vedevo, è ingrassata, ma questo è meglio non dirglielo. I suoi occhi sono sempre tristi, forse per la mancanza di Bella, forse anche lei in Bella aveva trovato un piccolo paradiso, ma almeno lei, fortunatamente ha l’amore su cui contare, ha Jasper che la ama davvero, che la guarda come se fosse l’unica donna presente in tutto l’universo. Quando hai l’amore hai tutto. Mio padre mi ha suggerito di trovare quello che avevo trovato in Bella in un’altra ragazza, ma non ci sono riuscito, non ho nemmeno provato, non ho nemmeno preso in considerazione l’idea, perché io voglio lei, amo lei, il mio cuore prende vita solo quando focalizzo lei nella mia mente. Che nessuna potrà mai essere come Bella.
Ci fermiamo davanti la villetta di Alice e mi guarda sospirando.
“Posso andare in albergo, non è mica un problema.”- Sussurro.
“Ma cosa dici? Non se ne parla nemmeno, viene qui mio fratello e non lo spupazzo tutto per me? AH, non capisci nulla! Dai scendi che abbiamo cambiato di nuovo arredamento.”- Sussurra facendomi scoppiare a ridere, sono già venuto a trovarla quattro volte, trovando sempre la casa diversa da come l’avevo lasciata. Certamente avere Jasper come architetto può soddisfare le esigenze di Alice.
Entro in casa ed è sempre bellissima. E’ grande per solo due persone, ma entrambi non vedono l’ora di allargare la famiglia. Le pareti erano celesti chiare, la volta precedente, adesso sono tutte di colori diversi, il corridoio all’entrata è lilla, la cucina è di un giallo  non troppo accesso, il soggiorno è color mogano, e le camere da letto credo che le vedrò più tardi.
“Siediti in cucina, ti preparo un caffè.”- Mi dice sorridendomi, sorriso che ovviamente non le contagia gli occhi. Molte volte l’entusiasmo di Alice mi dava su i nervi, soprattutto quando lo usava per prendermi in giro, ho pregato tante volte che smettesse, e adesso che lo ha fatto mi dispiace.
“Allora Edward, come va a lavoro?”- Mi chiede con nonchalance, mentre versa il caffè sulle tazze.
“Abbastanza noioso e monotono.”- Butto sul vago.
Lei annuisce e inizia a bere il suo caffè. Rimaniamo in silenzio, cosa che ci imbarazza da quattro anni ormai. Non pensavo che Bella fosse così importante anche nella vita di mia sorella, non pensavo che alla sua fuga lei avrebbe assunto questa tristezza immutabile.
“Mi manca. Alice.”- Sussurro mentre una lacrima esce dal mio occhio. Lei chiudo gli occhi e guarda la finestra, cercando di evitare il mio sguardo. Tutti sanno quanto mi manca ogni giorno Bella, ma mai ne ho parlato con qualcuno, se non con George, al cimitero.
“Ogni giorno diventa peggiore del precedente. Non ce la faccio più.”- Sussurro con il cuore che sono sicuro, sanguina.
Non ce la faccio a vivere questa perenne sofferenza.
Non ce la faccio a rimanere in questo cielo pieno di nuvole, immutabile, spento, sempre uguale.
Lei non mi guarda, fissa la finestra immobile, come se il tempo, questa volta, anche per lei si fosse fermato.
“Devo cercarla, per quattro anni ho fatto come mi ha chiesto, non l’ho cercata abbastanza, non mi sono chiesto dove mai potrebbe essere, adesso ho intenzione di farlo.”- Sussurro con le lacrime agli occhi, ormai abituato a sentire umido quel piccolo spazio che c’è tra l’occhio e la guancia.
“Che intendi fare?”- Mi chiede, senza mai guardarmi.
“Cercarla, ovunque, in America, in Europa ovunque. Non importa se ormai non mi ama più, mi importa solo vederla, guardare i suoi occhi e dimostrarmi che è felice. Felice senza di me”- Ribatto.
“Non puoi Edward, LO CAPISCI? Ti ha lasciato! Ci sarà un motivo, perché ti ostini così tanto a farti del male?”- Sbotta alzandosi di scatto. Si avvicina alla finestra ed estrae una sigaretta.
“Tu non fumi.”
“Adesso lo faccio.”- Sussurra incazzata. Mi avvicino a lei e la abbraccio.
“Perché sei arrabbiata con me?”- dico guardandola, ma lei non lo fa.
“Non lo sono.”
“Guardami, Alice.”
“No.”
“Fallo ti prego.”- Sussurro supplicandola. Lei si allontana e asciuga una lacrima con il palmo della mano.
“Non posso Edward, non posso guardarti, soffro già a sentire la tua voce, guardare i tuoi occhi sarebbe troppo.”- Mormora.
“Aiutami Alice.”- Mormoro singhiozzando sulla sua spalla, i singhiozzi non accennano a fermarsi e aumentano drasticamente non appena Alice inizia a piangere.

**

“E’ un piacere averti qui, Edward.”- Sussurra Jasper, non appena mi saluta, è appena rientrato da lavoro, ha guardato in faccia Alice e annuendo è corso ad abbracciarmi. Li sento più distanti dall’ultima volta, è come se mi nascondessero qualcosa, che Alice sia incinta? E poi perché dovrebbe nasconderlo? Noi tutti abbiamo accettato Jasper con affetto, costatando quanto lei lo ami e lui che ricambia in modo eguale.
In questi anni non sono cambiato affatto, esteticamente, è la mia mente che è cambiata, distrutta, così come il mio cuore. Ci sono momenti in cui mi isolo con me stesso, in cui tutto il mondo lì fuori non esiste, c’è solo il mio dolore, che mi schiaccia sconquassandomi l’anima, quell’anima che credevo avevo riacquistato ma che è sparita. Non è più grigia, non c’è più quel limbo che mi proteggeva, era allo scoperto, era fragile e attirava qualsiasi forza negativa, spesso mi sento nudo agli occhi degli altri, spesso penso di essere solo una nullità, la gente guardandomi prova pena per me, la gente annuisce come se dicesse ‘ti capisco’, ma, il problema è che nessuno può capirmi, perché quando una persona smette di vivere dovrebbe morire, io invece sono ancora qui, da automa, da inutile che sono, cerco di sopravvivere in quel modo dove tutto mi è stato tolto.
Il trillo del cellulare di Alice mi fa sobbalzare.
“Pronto?
Oh, Ehm…Ciao M-melanie. Oh si! Potresti chiamarmi dopo? NO! Si ciao!” - Mentre parla al telefono la voce le trema, è come se fosse la chiamata più brutta di tutta la sua vita. Mi avvicino a lei ma si allontana fuggendo in camera da letto. Jasper mi guarda intensamente, come se con quello sguardo vorrebbe dirmi tante cose, troppe, come se si trattiene da qualcosa di brutto o bello, ma comunque importante. Mi avvicino a lui, ma scuote la testa e raggiunge Alice.
“Edward?”- Mi chiama Alice, sorridente, vendendomi incontro. Io alzo lo sguardo e mi fermo a guardarla.
“Ti va di uscire un po’?”- Mi chiede sorridendo.
Io annuisco e prendo la giacca. Ci chiudiamo la porta alle spalle e quando usciamo Jasper ci comunica che lui deve andare in ufficio.
“Andiamo in macchina o…- ”- La interrompo con un gesto e inizio a parlarle.
“Non importa, se a piedi, se in motorino, se in bicicletta. Importa che parliamo, non so cosa ho fatto di sbagliato Alice, non mi sento trattato come al solito da te, c’è qualcosa he vuoi dirmi?”- Le chiede con la voce calda, in modo che non la prenda in criminale, come è solita a fare.
“No Edward, non c’è niente che voglio dirti, se non chiederti di vivere. Non posso guardarti e vedere ciò che sei diventato. Non riesco a vivere con la consapevolezza di te distrutto dal dolore, come se non ne avessi avuto già abbastanza.”- Mormora con una lacrima sul viso.
“Non riesco a smettere di amarla.”- Sussurro chinando il capo. Lei mi abbraccia baciandomi la testa.
“Provaci.”
“Non ce la faccio.”- Ammetto con amarezza.
“Lei non sarebbe mai andata via, né da me, né in quel modo. C’è qualcosa sotto.”- Mormoro.
“Edward. Perché lo hai capito dopo quattro anni?”- Mi chiede, guardandomi finalmente negli occhi e facendo sparire la sua corazza per pochi secondi.
“Non lo so.”- Sussurro piangendo.

 

 

“Quindi vuoi passare il resto della vita a cercarla?”- Mi chiede tranquillamente mentre passeggiamo tra le strade di New York. Ho sempre pensato che questa fosse una delle più belle città in cui sono mai stato.
“Si. Non so da dove cominciare, so già che qui e a Los Angeles sarebbe inutile, quindi non so, forse l’Italia, forse Francia, Germania, non so l’Europa mi da qualche speranza in più. E’ come un intuizione.”- Le dico sperando in qualche consiglio. Lei non vuole che io la cerchi, pensa che spreco il mio tempo, pensa che lei non mi ama più altrimenti avrebbe trovato una via più facile, non quella della fuga.
Io non so più cosa pensare, forse avrebbe potuto fuggire, ma in maniera diversa, magari guardandomi negli occhi dicendomelo, o magari cercando la mia mano per afferrarla e farsi aiutare.
A volte, invece, penso che lei lo abbia fatto per un motivo che forse io non avrei accettato, che forse io non ero d’accordo. O forse sono solo uno stupido che cerca spiegazioni, quando magari ha ragione Alice, forse davvero non mia ama più
Scuoto la testa e la mia attenzione viene catturata da un bambino. E’ dentro ad un edificio, dall’aspetto sembra una scuola, forse è la scuola materna, avrà tre anni circa, è sull’altalena e mi sorride, o forse non sorride a me, mi guarda, non riesco ad identificare il colore degli occhi. E’ un bimbo minuto, i suoi capelli sono castani chiari, quasi ramati, quasi come quelli miei, forse è per questo che mi guarda, per aver notato lo stesso colore dei miei capelli. Alice mi guarda e guarda la direzione del mio sguardo, guardando dove guardo io. Mi volto a guardarla, i suoi occhi sono un misto tra terrore e ansia, la vedo deglutire e tirarmi via afferrando un lembo della mia camicia.
“Che succede Alice?”- Le chiedo affannato.
“Niente, ti eri imbambolato a guardare quel piccolo, potevi spaventarlo.”- Annuisco e mi passo una mano tra i capelli.
Continuiamo a parlare, lei mi dice quanto sia fiera del suo lavoro, di quanto sia contenta di vivere qui, di Jasper. Ma la sua voce è triste, è come se vorrebbe essere felice al cento per cento ma non lo è. Mi parla sempre delle stesse cose, come se avrebbe paura di dire qualcosa di troppo, come se quello che può dirmi è limitato. Si volta a guardarmi e una lacrima riga il suo viso.

“Potrai mai perdonarmi?”- Mi chiede sussurrando, gettandosi tra le mie braccia.

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Capitolo 19
*** The Last Resort. ***


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Love Save The Pain.

 

 

The Last Resort.

 

 

 

 

Bella’s Pov

«Dimmi che non ha capito?!»- Chiedo ad Alice, con la voce delusa e arrabbiata e con la gola secca. Alice mi guarda negli occhi e una lacrima solitaria lascia il suo viso. Mi copro il viso con le mani e scuoto la testa. Edward è appena andato via, io non l’ho visto, lei non me lo ha permesso, la razionalità nemmeno. Quando sono entrata a casa di Alice, le ho guardato gli occhi e ho capito. Ho capito che nemmeno lei ce la fa a mantenere questo orribile segreto, ho capito che Edward non è affatto felice, ho capito che è distrutto, come lo sono io. Non so cosa Alice gli abbia detto o, gli abbia fatto capire, ma qualcosa ha fatto. I suoi occhi lo dicono, i suoi occhi dicono sempre tutto.
«Non ha capito. Ma non posso lasciarlo andare in Europa, non posso permettergli davvero di fare quel che ha detto.»- Mormora piangendo.
«Non capisco Alice…»- Mormoro, guardandola confusa.
«Vuole cercarti Bella, non si arrenderà. Dopo quattro anni si è sbloccato, ha capito che tu non lo avresti mai lasciato in quel modo, senza alcun motivo. Ha intenzione di farlo, fino al giorno in cui vivrà non smetterà di cercarti.»- Sbotta singhiozzando.
Inizio a camminare girando attorno al piccolo tavolo della cucina. Non è possibile, non possiamo lasciarlo vagare in giro per il mondo, non per cecare me, che sono lontana anni luce dalla sua versione di verità. Forse si sente in colpa, in fondo sa solamente che l’ho lasciato perché ho dovuto, ma lui non sa che ogni giorno, ogni istante possiede i miei pensieri, la mia mente. Non sa che morirei pur di rivederlo, ma non permetterei mai che lui muoia, non permetterei mai che mio figlio viva questo dolore. Il dolore di non poter conoscere mai suo padre, credevo di poterlo fare, ma mi rendo conto che è impossibile. Io sono cresciuta senza un padre, so quello che si prova.
E’ tutto troppo complicato, irreale, assurdo. Come una patina di ghiaccio, che lentamente si scioglie, come il cuore che a furia di piangere si consuma, come un  filo di spago che piano piano si brucia. E’ arrivato il momento più doloroso della situazione, è arrivato il momento di decidere tra la verità e la menzogna, tra il giusto e il facile, tra la razionalità e la irrazionalità, tra la vita e la morte. E’ il momento dell’ultima spiaggia.
Prendo il cellulare e faccio segno ad Alice di occuparsi a tenere lontano George.
«Che intendi fare?»- Mi chiede con il sopracciglio alzato.
«Lo chiamo. Chiamo Aro, devo chiedergli una cosa.»
«Che cosa Bella?»-Mi chiede ansiosa.
«Lo vedrai.»- Sussurro, scomparendo oltre la porta della camera degli ospiti, quella dove Edward ha dormito.
Chiudo gli occhi e una lacrima solca il mio viso, avrei dovuto sapere che non poteva davvero esistere un noi, che quegli Edward e Bella insieme erano felici, e loro non possono esserlo, il destino non vuole felicità per loro.
Appoggio la mano sul letto, ancora sfatto, e abbasso la testa. Annuso la stoffa, che sa di lui, sa di amore, tristezza, passione, felicità. Prendo il cuscino e lo cullo, come se fosse Edward, cercando di trasmettergli il mio amore, come per poco tempo ho fatto, sperando che lui non abbia mai messo in dubbio il mio amore per lui. Una volta mi hanno chiesto se è vero che si può amare una sola persona in tutta la vita, io quella volta non seppi rispondere, adesso saprei farlo. Tutto dipende dalla forza con cui si ama, e la mia, di forza dell’amore verso Edward è indissolubile.
«Pronto? Isabella? Quale onore?»- Chiede dall’altra parte del telefono Aro, un conato di vomito attraversa la mia gola al suono di quella voce. Deglutisco a vuoto e inizio a piangere.
«Devo vederlo.»- Sussurro.
«No, non puoi, è escluso, lo sai benissimo.»- Borbotta con voce divertita.
«Invece posso…»
«Sai benissimo che se ti vedo insieme a lui, lui morirà.»- Mi dice scoppiando a ridere.
«Uccidi me. Devo vederlo, devo dirgli una cosa. Ucciderai me, in fondo lo hai detto anche tu che uccidere lui sarebbe troppo facile. »- Mormoro mordendomi il labbro inferiore per non urlare.
«Cosa devi dirgli? Davvero devi farlo? Ne vale della tua vita lo sai. Come crescerà tuo figlio senza di te?
»
«Come diavolo…
»- Mi interrompo udendo il suono della sua risata.
«Lo sai, non possiamo permetterci di perderti di vista.
»- “Brutto bastardo” penso tra me, reprimendo tutte le parolacce in aramaico che vorrei rifilargli. Mi ha spiata anche quando ero con mio figlio. Non avevo mai detto ad Aro di avere un figlio.
« Sono fatti miei. Porterò con me una video camera, se lo uccidi sei nei guai, sappilo.
»- Mormoro cercando di essere dura, ma vorrei solo urlare disperatamente per dodici ore di fila.
«D’accordo. Quando?
»
«
Tra due mesi esatti. Edward sarà qui, conoscerà suo figlio, mio figlio ha bisogno di lui, di fidarsi. Non vedrà me, lo giuro, lo vedrò tra due mesi, lo stesso giorno in cui sacrificherò la mia vita. »- Mormoro risoluta. Lui scoppia a ridere e accetta staccando la chiamata.
Mi abbandono sul letto e il mio petto viene scosso dai singhiozzi. Mordo le mie mani e stringo gli occhi sperando, in qualche modo che escano dalle orbite. Non ce la faccio, credevo che il dolore sarebbe rimasto lì, fermo dov’era, invece no, passando gli anni mi sono resa conto che ogni giorno buca il mio cuore, trafigge la mia anima, distrugge la mia mente. Dovevo sapere che alla fine sarebbe finita così, dovevo immaginare che quel momentaneo tempo tra la tristezza e la felicità non sarebbe durato per sempre. Chiudo gli occhi e lo vedo, mentre mi dice che mi ama, mentre mi sorride, mentre mi guarda negli occhi trasmettendomi le sue gioie e i suoi dolori. Sorrido amaramente, lui, come mio padre, è sempre qui con me, nel mio cuore, non lo lascerà mai, nemmeno quando smetterà di battere.
Il bussare alla porta mi riporta alla realtà, quella realtà dove devo vivere, dove devo sorridere per mio figlio, l’unica cosa che non mi ha fatta sacrificare la mia vita quattro anni fa. Ma adesso non posso farne a meno.
«Bella, apri!
»- Strilla Alice disperata. Mi alzo di scatto, sicura che è successo qualcosa a George. Apro la porta e trovo Alice che piange.
«George?
»- Sussurro con la voce roca a causa del pianto di poco prima.
«Dorme. Perché lo hai fatto?
»
«
Fatto cosa?»- Mormoro confusa.
«Ho sentito tutto, perché lo hai chiamato? Perché non hai lasciato tutto com’era? Hai sofferto per quattro anni, hai costruito un muro in quattro anni, perché hai deciso di mandare tutto a puttane? Vuoi davvero che tuo figlio cresca senza di te? Senza una madre?
»
«Conoscerà il padre, Edward non lo lascerà mai da solo.
»- Mormoro tristemente, ammettendo l’amara verità. Era questa la fine della mia vita, dovevo capirlo quattro anni fa, ma quattro anni fa avevo una vita in grembo, adesso mio figlio è qui, e avrà suo padre. Forse è sbagliato, sicuramente lo è, ma non c’è una via d’uscita. Come quattro anni fa devo agire contro ogni mia volontà, contro ogni mio desiderio, contro ogni aspettativa.
Mi avvicino in camera da letto, dove c’è George che dorme beatamente. Accarezzo i suoi riccioli delicatamente e le lacrime scendono. Sono davvero pronta ad abbandonarlo? Ogni madre non dovrebbe volere il meglio per il figlio? Non vorrebbe esserci sempre in ogni momento della sua vita? E’ giusto agire per amore? Non so perché solo adesso mi pongo queste domande a cui, naturalmente non ho risposte. Ma anche Edward vorrebbe vivere con suo figlio, come sto facendo io, anche Edward vorrebbe provare la gioia di essere padre, come l’ho provata io. Forse dovevo pensarci prima, ma mi hanno legato le mani e l’unico modo per essere felice è vedere Edward e mio figlio felice, perché lui lo sarà. Non appena avrà conosciuto Edward –che prenderà il mio posto- sarà felice come lo è adesso. Sarà ugualmente circondato da persone che lo amano, perché Edward lo farà, ne sono sicura.
«Sei tanto amato, amore mio.
»- Sussurro, prima di sfiorare la sua fronte fresca e morbida con le labbra.
**

«Ehi mamma! »- Urlo alzando le mani e scuotendole per farmi vedere. Sono nella sezione “arrivi” dell’aeroporto, mia madre e Carl passeranno una settimana con noi. E’ già un anno che non li vedo.
I miei occhi vengono catturati dal viso allungato di Carl, che non appena mi vede sorride picchiettando sulla spalla di Reneé e indicandomi. Carl non è cambiato, sempre gli stessi capelli biondo-scuro, sempre stesso fisico da grissino e sempre gli stessi occhi da saggio. Mia madre è sempre uguale, se non per quello sguardo –che una volta credevo troppo doloroso- adesso doloroso devastante. Mi è dispiaciuto abbandonarla così, di punto in bianco. Lei è stata la prima a sapere che aspettavo George. Forse lei lo ha capito prima di me. All’epoca quando abitavamo nella nostra casa, usavamo due tipi di proteggi slip diversi, non appena si è accorta che dopo un mese il mio pacco era ancora chiuso, si è presentata davanti a me con un test di gravidanza dicendomi: “Sei sicuramente incinta”. Quel giorno il suo sguardo e la sua espressione erano spaventati, non appena insieme abbiamo visto quelle due strisce rosa che indicavano positivo, lei ha aspettato la mia reazione, ho pianto quel giorno. Ho pianto perché avevo avuto la consapevolezza che una parte di Edward viveva dentro di me, che sarebbe stato un piacere portarlo in me per nove mesi e stargli accanto per il resto della mia vita. Edward ne sarebbe stato felice. La reazione di mia madre è stata confortante, essenziale, anche lei era felice, lo sguardo spaventato era per una mia reazione, che lei immaginava tutt’altro di quello che poi è stato.
«Come è andato il viaggio?»- Chiedo ad entrambi, girando la chiave e facendo partire l’auto.
«Bene, grazie. Tu come te la passi qui?»- Mi chiede Carl con lo sguardo interessato.
Racconto ad entrambi dell’asilo e di come George si sia abituato subito, del mio lavoro che mi piace anche se non è il massimo. Delle giornate passate con Alice, di quanto George a volte sia troppo intelligente per essere solamente un bimbo di tre anni. Molte volte il respiro si blocca mentre parlo, per paura che possano chiedermi di Edward, ma non lo fanno, sono sempre stati al massimo della discretezza su questo punto di vista.
Eppure mi sarebbe d’aiuto parlarne con mia madre, mi manca il senso di tranquillità che trasmette la sua voce, le sue mani che accarezzano i miei capelli quando la terra mi viene a mancare dai piedi. Mi manca tutto ciò che avevo e che non potrò mai più avere.
Scendiamo dalla macchina e li aiuto a prendere i bagagli. Loro mi guardano, ad ogni movimento che compio, mi studiano, e la cosa mi infastidisce, parecchio.
«E’ bellissima tesoro.»- Mormora mia madre non appena entriamo a casa mia. E’ piccola, non è granché, non è come quella in cui vivevo quattro anni fa. All’entrata c’è una cucina abitabile, a destra dalla cucina c’è il bagno –una delle stanze più grandi di tutta la casa- dove c’è la vasca enorme, il fasciatoio che usavo quando George era ancora piccolino, ma che adesso uso per metterci tutti i suoi accessori da bagno. A sinistra, sempre dalla cucina, c’è la camera da letto, anch’essa grande con il lettone e la culla, ancora nuova che George non ha mai usato. Ha sempre preferito dormire con il mio odore che entrava nelle sue narici, ha sempre preferito dormire con la sua manina paffuta appoggiata sul mio seno, ha sempre preferito addormentarsi con i miei capelli tra le mani, ha sempre preferito chiudere gli occhi nell’esatto momento in cui li avrei chiusi io. Il ricordo della telefonata di stamattina si sparge nella mia mente, come una freccia sparata da un arco, deglutisco ma il nodo che si è appena formato sulla mia gola non desiste, è sempre lì.
«E’ piccola, ma per noi va bene.»- Dico a mia madre accennando un piccolo sorriso, cercando di non pensare dolorosamente. Forse dovrei avere paura della morte, ma che senso avrebbe? Vivere senza Edward non è peggio? Scuoto la testa e guardo mia madre, che mi fissa con gli occhi appannati.
«Accomodatevi.»- Li invito a sedersi, un po’ perché non voglio che stiano in piedi, un po’ per spezzare quel silenzio assurdo che si era creato. Inizio a preparare il caffè mentre suona il campanello. Deve essere Alice con George.
«Amore! Cosa hai fatto oggi?»- Chiedo a mio figlio entusiasta.
«Abbiamo giocato con la falina e l’acqua, abbiamo fatto il pane.»- Mi dice urlando felice, inizio a baciargli il pancino e lui –come ogni volta- scoppia a ridere.
«Batta mamma, ti plego.»- Farfuglia tra le risa, abbasso la sua maglia e gli schiocco un bacio sui capelli che profumano di albicocca. Mi abbasso alla sua altezza e guardo i suoi occhi.
«C’è una sorpresa sai?»- Lui spalanca la bocca e corre in cucina.

 «E’ fantastico, e lo è ancora di più il fatto che si sia ricordato di noi.»- Mormora mia madre dopo aver messo George a letto.
«Gli parlo sempre di voi, di Esme, di Carlisle. E’ molto intelligente, non dimentica mai quello che gli diciamo.»
«Alice ti aiuta molto.» Dice annuendo tra sé. Abbasso la testa e mi guardo la punta dei piedi. Siamo sole, Alice è a casa, George dorme e Carl sta facendo la doccia.
«Anch’io avrei voluto esserci, sempre.»- Mormora dispiaciuta.
«Ma non hai potuto. So che avresti voluto, ci sono tante cose di cui mi sono privata e mi dispiace. Ma la colpa non è mia.»- Mormoro, è sempre così. Non basta il senso di colpa che si prende gioco di me non appena incrocio lo sguardo di mio figlio, non basta il pensiero di Edward tormentato, non basta la voce di Aro che mi impone di lasciare correre la felicità lontano da me. No, anche lei, inconsapevolmente lo fa, per telefono, quando viene a trovarmi. Anche a me sarebbe piaciuto gioire con tutti quanti alla prima parola di George, al suo primo passo, al suo primo bagnetto, alla sua nascita. Ma non è successo, il destino ha lasciato tutto al caso. Dicono che il destino è scritto sulle pagine della nostra vita, e non si può cambiare, io ho avuto questo. Tutti prima o poi si chiedono il perché, io l’ho già fatto troppe, innumerevoli, volte. Forse la parola fine nelle pagine della mia vita arriva troppo presto. Dicono che sono gli avvenimenti che ci rendono ciò che siamo, io credo che siano le scelte.
«Non dico questo, non potrei mai. Sei stata così forte e coraggiosa. Non avrei mai creduto che avresti potuto farlo. Avresti preferito morire, ma nell’esatto momento in cui la tua mente ha concepito quel pensiero tu hai pensato a tuo figlio. Sei una madre coraggiosa Bella. Hai e stai passando il momento più difficile della tua vita, e il tuo comportamento ti rende una grande donna. La mia piccola grande donna.»- Sussurra scoppiando a piangere e abbracciandomi.
«Ti voglio bene mamma. Sempre.»
«Te ne voglio anch’io amore mio.»
La sua mano accarezza i miei capelli e la mia mente si materializza in un universo parallelo. Immagini veloci scorrono come un film nella mia mente. Io, George e Edward sulla spiaggetta di fronte casa nostra che sorridiamo, Edward che accarezza il naso del figlio con il suo, George che lo chiama a gran voce “Papà”. Una lacrima solca il mio viso quando mi rendo che ciò che la mia mente ha partorito è impossibile, bellissimo quanto irraggiungibile.
«Non ce la faccio mamma.»- Sussurro scoppiando a piangere, senza smettere di accarezzarmi i capelli mi intima di calmarmi. Ma non ci riesco, mi porta con lei sulla piccola poltrona e mi fa sedere sulle sua gambe. I singhiozzi non smettono di squarciare il mio petto, è un dolore lancinante, quasi terrorizzante.

 

«Tu dici?»- Mormoro ansiosa a Jasper.
«Ne sono sicuro, Edward non è stupido. Sono sicuro che abbia già fatto l’interrogatorio a Carlisle. Se solo tu mi facessi vedere quel farabutto, io metterei fine alla tua sofferenza, a quella di Edward, di Alice, a quella di tutti noi. Alice mi ha parlato di Edward tante volte, mi ha spiegato il suo stato catatonico dopo la morte del suo amico. Mi ha raccontato della solarità nello sguardo non appena ti ha vista con lui. Devi dirmi che è se lo vedi, devi dirmi dove abita se lo sai. Io voglio ucciderlo.»- Mi dice arrabbiato. In tutti questi anni ha sempre voluto vendicarmi, ha sempre desiderato uccidere Aro, ma io non so dove si trova, né l’ho mai visto, nonostante lui sappia tutto di me. Non credo che comunque sia solo, non credo che comunque glielo direi, non voglio rovinare la vita di Alice più di quanto già non lo sia, né tantomeno la sua.
«Apprezzo tanto le tua parole. Ma no, non so come tu possa fare. Adesso torno a lavoro. A dopo.»- Gli schiocco un bacio sulla guancia e lui sospira dispiaciuto. E’ un grande uomo Jasper, sono contenta che sia mio amico, sono contenta che rende felice Alice, lei lo merita, lo merita più di qualunque cosa.
Sbuffo sedendomi sulla scrivania e inizio a spulciare i fogli con gli schizzi di Jasper. Un disegno, fatto non sicuramente da Jasper attira la mia attenzione. Conosco troppo bene quel metodo di disegno, è quello più bello di tutti quelli che conosco. Quello di mio figlio. Il respiro mi muore in gola. C’è un’altalena, dove c’è sopra un bambino, a fianco ci sono disegnati due omini, uno con i capelli marroni lunghi, l’altro senza capelli con un punto interrogativo sopra la testa. Chiudo gli occhi, non è possibile. Non è assolutamente plausibile che George abbia disegnato questo, non mi ha mai chiesto di un padre, non ha mai detto “Papà”, non ha mai chiesto qualcosa che potesse fare riferimento a suo padre.
«Jasper!»- Urlo, credo disperatamente, dato che Jasper arriva come un fulmine.
«Che diavolo succede?»- Mi chiede con il respiro affannato. Io deglutisco mostrandogli il disegno. Lui lo prende tra le mani e, a quanto pare lo riconosce subito.
«E’ di George, lo ha fatto per te.»- Sussurra.
«Capitan ovvio.»- Dico impaziente. Lui si passa una mano tra i capelli e mi guarda negli occhi.
«Lo ha fatto ieri, Alice avrà dimenticato di parlartene.» Sussurra.
«Credo che dovresti portare questo disegno dalla psicologa dell’asilo. » Continua, io scuoto la testa, non ce ne sarà bisogno, adesso non più.
«No Jasper. La prossima settimana Alice chiamerà Edward, conoscerà George.»- Mormoro e dal tono della mia voce lui intende tutto.
«A quale prezzo Bella? »
«Alice non te lo ha detto?»- Gli chiedo, sicura che non sia al corrente di niente.
«La mia vita, il prezzo da pagare è quello.»- Lui sbatte il pugno sul muro e mi trucida con gli occhi.
«Com’è possibile?»
«Ho contrattato con Aro. Per telefono.»
«Mi avevi detto che non sapevi come rintracciarlo.»- Sbotta incazzato. In realtà non lo sapevo nemmeno io. Un giorno di qualche mese fa ho fatto il cambio dei vestiti, nella piccola valigia che mi ero portata c’era un biglietto col suo numero.
«Non posso permetterti di marcire in galera! Fattene una ragione Jasper, come sto facendo io»
«Non capisco Bella! Davvero è inconcepibile. E George Charlie? Lui se ne farà una ragione? Ci hai pensato al dolore psicologico che dovrà subire? » Mi accusa con la faccia rossa di rabbia.
«Ci ha pensato al dolore di Edward? Ci hai pensato al dolore di George quando si chiederà perché? Perché lui è senza un padre? So che magari sto sbagliando nei suoi confronti. Lo so benissimo. Ma cosa posso fare? Ho cercato do lottare, ma adesso è arrivato il momento. Questa scelta è sempre stata qui, alle mie spalle, aspettando di essere presa in considerazione. Questa è l’unica cosa che posso fare. Non posso lasciare morire Edward nel cercarmi, non posso farlo. E l’ho capito, l’ho capito solo adesso.»- Mormoro piangendo.
«Bella. George ha bisogno di te, solo e sempre di te.»- Sussurra sparendo dentro il suo studio. La mia testa rischia di scoppiare. Non posso immaginare il dolore di mio figlio nel non vedermi più. Ma cosa posso fare? C’è altro modo? No, non c’è. Non posso lasciare vivere Edward con dei grandi punti interrogativi in testa. Non posso, non posso. Scuoto la testa convulsamente e scoppio in un pianto disperato. Forse sono egoista e non me ne rendo conto. Forse ho preso questa scelta per il semplice fatto di mettere fine la mio dolore. Ma non voglio che sia così. Ho sempre messo George al primo posto su tutto, come ogni mamma farebbe, a adesso, adesso non posso proprio farlo. Sono sicura che Edward lo amerà come io ho fatto fino ad oggi. Come me in questi quattro anni, il dolore di Edward sarà attutito dal sorriso, dallo sguardo, dalla voce di suo figlio. Voglio che lui abbia questo destino. Gli avevo già detto che questi Edward e Bella non erano destinati in questa vita, ma voglio essere io a dare una piega alla sua vita. Suo figlio.

 

 

 

 

Se siete arrivati qui vi state chiedendo due cose; Che cazzo sta combinando Bella? Oppure, cosa succederà nel prossimo?
Allora per quanto riguarda la prima, vi prego di non giudicarla. Lei ama suo figlio, altrimenti avrebbe preferito morire quel giorno di quattro anni fa, ma non l’ha fatto proprio perché aspettava un piccolo esserino che dal primo momento ha amato. Ma qui c’è in ballo la felicità di Edward e di George. So che la madre deve esserci sempre e deve pensare al figlio sempre prima di ogni cosa, ma, qui si tratta anche della felicità di George. Di dargli la possibilità di avere un padre, quello che lei non ha avuto. Poi il giudizio spetta a voi.
Nel prossimo capitolo succederà che…EEEEh, non ve lo dico :p
Ma arriverà presto!
Grazie per aver letto fin qui, apprezzo che la storia sia seguita, anche silenziosamente.
Un bacio.

Roby <3

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Capitolo 20
*** All And Nothing. ***


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Love Save The Pain.

 

 

All And Nothing.

 

Ho un vuoto. Al posto del mio cuore, nel mio petto adesso c’è un vuoto. Ma non una voragine che provoca dolore, è una cosa indolore, che non ti fa stare bene né male, che non ti fa piangere, non ti fa sorridere. Credo fosse così da quattro anni a questa parte, è come se fossi congelato. E non sono contento di questo, né triste. Anche il mio corpo, oltre che la mia mente ha capito che sono il fantasma di me stesso.
Sono nel mio ufficio, non so nemmeno quanti appuntamenti mi aspettano oggi, non so nemmeno che giorno è oggi, a stento ricordo il mio nome. La malinconia è sempre stato quell’arazzo che la mia vita mi ha saputo dare. C’è sempre stata quella malinconia, anche prima della fuga di Bella, anche prima della morte di George. Capitano quei giorni, che senza apparente motivo ti fanno sentire triste, vuoto, inutile. Prima erano giorni, fino a quattro anni fa erano ore, adesso è tutto il giorno. Forse sarebbe salutare per me togliermi la vita, ma se sono arrivato a questo punto, se sono ancora vivo, ci sarà un valido motivo. Voglio vivere, anche se non lo faccio davvero, anche se questa mia ipotetica vita non lo è davvero, voglio farlo. Voglio vivere con tutto e con niente.
Il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare, nell’assurdo silenzio che si era creato.
«Pronto? Jasper? »
Edward, come stai?”- Butta in un sospiro.
«Tutto bene, grazie. Devi dirmi qualcosa?»- Chiedo speranzoso. Come succede ad ogni telefonata. Ad ogni trillo del mio cellulare, ad ogni messaggio, spero che la mia famiglia, ogni volta, mi dica: “Ehi Edward è tornata Bella.” Ma non succede mai, e come ogni volta non succede nemmeno adesso.

“Vedi Alice ha avuto un incidente a lavoro. E avrebbe bisogno di te, so che magari sei occupato. Ma so che potresti lavorare anche a distanza, e…mi chiedevo se..”-
«Dammi il tempo di prenotare un aereo.»- Dico interrompendolo. Strano, ma l’ho detto. Prenderò un aereo, credevo che mai e poi avrei potuto farlo. Qualche giorno fa, mentre progettavo di tornare da Alice, mi sono detto: “Vivere così è poi così tanto diverso dal morire?”.
Mentre lui mi spiega dell’incidente di Alice, assurdo da crederci. Mi rendo conto che nelle caratteristiche di mia sorella c’è il: “Fare tutto da sola.” Mi chiedo come mai abbia chiesto aiuto proprio a me. Forse il fatto che il nostro rapporto, in questi ultimi quattro anni, si sia raffreddato la turba, e quindi, vuole farlo tornare come una volta.
Amber è seduta sulla scrivania -quella scrivania che una volta non potevo fare a meno di guardare- che si passa una mano nei capelli annoiata. Il botto della porta che si apre fa sobbalzare entrambi. Mio padre entra come una furia puntando dritto gli occhi su Amber.
«Che diavolo hai combinato?!»- Urla rabbioso, un tono che non avevo mai sentito uscire dalle labbra di mio padre.
«Io…io, non capisco.»- Si rivolge intimorita lei.
«Mi hai cancellato un appuntamento che aspettavo da mesi! Mi hai tolto la possibilità di sbattere in galera quel bastardo! FUORI DI QUI! Sei licenziata!»- Urla ancora, sotto il mio sguardo confuso. Amber inizia a piangere e mi guarda, come per intimarmi di far ragionare mio padre, ma detto francamente il fatto che vada via non mi importa. Forse fino a qualche anno fa lo avrebbe fatto, ma sono vuoto, inutile, triste, senza arte né parte, indifferente. Tremando raggiunge lo spogliatoio e si cambia per andare via. Non ho mai capito perché mio padre non faccia uscire le segretarie con il tailleur, non gliel’ho mai chiesto a dire il vero.
«Che è successo?»- Chiedo a mio padre, che sembra si sia calmato un pochino.
«Oggi c’era l’incontro per l’istanza. Aro Volturi. Ti dico solo questo.»- Mormora sbuffando.
«Come mai è saltato?»
«Vedi Edward, per questo giorno mi ero preparato tutto. Avevo chiesto ad Amber di cancellare tutto, tranne questo. Invece non avrà capito un emerito cazzo, e mi ha cancellato. Gli altri si sono spostati, non so dove siano, credendo che a me non importava. Hanno ricevuto una mail dove io dicevo che non sarei potuto andare. Aspettavo questo momento da quattro anni.»- Mormora uscendo dallo studio mentre si scioglie la cravatta con l’espressione dura. Lo seguo e mi avvicino a lui.
«Papà, non capisco.»
«Non è il momento di farlo figliolo.»- Ammette dandomi una leggera pacca sulla spalla.

 

«Sono contento che vai un po’ da Alice.»- Mormora mio padre mentre usciamo. Finalmente questa giornata lavorativa, che sembrava non voler finire, è giunta al termine.
«Papà, se hai bisogno posso anche non andare.»
«No, va’ da Alice. Sono sicuro che ti abbia chiamato per un motivo più che valido.»-Annuisco e prendendo la macchina mi dirigo all’aeroporto. Mangio un panino sull’aereo e una signora sulla cinquantina siede a fianco a me. Mi guarda, anzi no, mi studia con lo sguardo, trema e parla con l’hostess con voce impaurita.
«Posso tenerti la mano?»- Mi chiede imbarazzata. Io le sorrido e annuisco. Prende la mia mano e la stringe forte tra le sue.
«Prima volta?»- Chiedo non appena l’aereo inizia a decollare, cercando di parlarle e farle pensare ad altro. Lei annuisce e sbarra gli occhi. Io accarezzo le sue mani e le intimo di stare calma. Eppure sembra che non voglia dirlo a lei, ma a me stesso. Come se la stretta si questa signora, di cui non conosco nemmeno il nome, sia necessaria, giusta, essenziale. Per tutta la durata del volo le sue mani non lasciano le mie. Mi parla di suo marito, che è rimasto a LA, di suo figlio che domani si laurea e finalmente torna a casa, di sua figlia, morta in un incidente aereo.
Sospiro, pensando a quanto la vita sia più ingiusta per tante altre persone, per la vita stessa che va via, per il dolore quando una persona cara ci lascia. Dicono che è passato, ma il passato non fa forse parte di noi? Non dobbiamo conviverci per sempre? Il passato è dolore, il passato è parte di noi, il dolore lo è. Bisogna solo trovare la via per uscire dal limbo della malinconia, la via per riuscire in qualche modo a vivere. Vivere davvero.
«Grazie infinite.»
«Si figuri, è stato un piacere. Buona fortuna. »
«Buona fortuna a te. Credo che tu ne abbia più bisogno di me.»- Sussurra prima di prendere la sua valigia e uscire dall’aereo.
**

«Grazie Edward.»
«Figurati è un piacere. Come sta lei? Sa che sto arrivando?»
«Si certo. E’ stata lei a dirmi di chiamarti. Io non lo avrei mai fatto.»- Dice titubante.
«Perché?»- Chiedo confuso.
«Non è il momento di chiedere il perché Edward.»
«Jasper. Io so benissimo che mi nascondete qualcosa. Tutti quanti. Sono stanco di sentirmi dire “non è il momento”, credo che sia giusto saperlo. Perché sono sicuro che si tratta di Bella. Non capisco perché mi tenete all’oscuro. Sono stanco di questo!»- Dico alzando la voce di qualche ottava. Lui annuisce e rimane in silenzio. Per tutto il tragitto mi aspetto che dica qualcosa, ma non lo fa. Ed è straziante, dovrei essere incazzato per tutto questo, ma non lo sono. Perché so, che se, mi nascondono qualcosa lo fanno per il mio bene, per la mia salute psicologica. Forse l’hanno sentita, forse si è sposata, forse è felice e non vogliono dirmelo. Non sapendo che per me questo è essenziale, trovare qualcuno che mi parli di lei sarebbe necessario, sarebbe quel motivo per sorridere. Sapere che lei è felice, renderebbe felice anche me. Sarebbe tutto e niente per me. Anche se mi ha lasciato negli abissi, anche se la sua fuga mi ha distrutto, io la amo e non posso nascondere il mio sentimento. Sarà un amore malato, ossesso, ma è amore, è quella cosa per cui adesso sono qui. In macchina con Jasper pronto ad aiutare mia sorella.
«Edward!»- Esclama sorridendo, Alice. E’ seduta sul divano con la gamba distesa, il piede è appoggiato su un cuscino e la sacca con il ghiaccio accanto.
«Che mi combini?»- Domando, correndo ad abbracciarla. Scoppia a ridere e una lacrima riga il suo viso. La raccolgo con il pollice e guardo i suoi occhi. Non è cambiato niente  dall’ultima volta.
«Non piangere.»
«Perdonami Edward.»- Sussurra guardandomi e accennando una piccola smorfia di d0lore sul suo viso.
«Non capisco cosa dovrei perdonarti.»- Mormoro baciando la sua fronte. Lei mi abbraccia e mi stringe forte. Sospiro sulla sua spalla, è anche questo che mi permette di andare avanti, l’affetto di mia sorella, sapere che lei non mi abbandonerà mai, che lei sarà quella donna che mi amerà sempre. Il suo cellulare squilla e lei mi sorride scusandosi.
«Pronto? Melanie?»- Mormora confusa. Rimane in silenzio e annuisce.
«D’accordo…si…sicura. Tua mamma è ancora qui?...Oh Capisco. A dopo.»- Stacca la chiamata e mi guarda.
«Sta arrivando il figlio della mia amica. E’ bellissimo vedrai.»- Dice battendo le mani, ma è triste, cerca di essere sé stessa, ma per quanto ci provi non ci riesce.
«Ma conciata così? Non potevi dirle che stai male?»- Lei scuote la testa e mi sorride.

«Sao Eduad. Io sono Geolge.»- Mormora quel piccolo, che l’ultima volta mi fissava attraverso il cancello dell’asilo. Stringe la mia mano e mi sorride. Il suo viso ha dei tratti molto familiari, ma in questo momento non riesco a collocarli da nessuna parte.
«Molto piacere George.»- George. Anch’io avrei voluto chiamare mio figlio George.
«Tia Alice?»- Si rivolge ad Alice che, le sorride e mi fa segno di avvicinarmi a lei.
«Edward. Potresti per favore, tagliargli una fetta di torta?» Annuisco e taglio una fetta di torta al piccolo. Lui si siede sulla sedia e inizia a mangiarla.
«Lo tieni sempre tu?»- Le chiedo contrariato.
«Si. La mia amica è sola, lavora per mantenerlo, e poi è dolcissimo non trovi? E’ un piacere averlo qui.»- Annuisco guardando il piccolo che mangia. Il pomeriggio passa tra disegni, favole, risate. Ha ragione Alice, è un piacere averlo qui. Ogni tanto mi ricorda Isabella, il suo modo di concentrarsi, il rossore che si imporpora sulle sue guance quando gli chiedi qualcosa, anche Bella faceva così. Scuoto la testa, ogni persona, ogni cosa, mi ricorda lei. Dopo due ore il piccolo si addormenta tra le mie braccia. Sulla sua bocca si è formata una piccola ‘o’, è rilassato, ed è bellissimo. Uno dei bambini più belli che abbia mai visto. I suoi occhi sono grandi e verdi, sono bellissimi, i suoi capelli, come avevo notato la volta scorsa, sono come i miei, castano-ramati, il suo corpo è minuto, ma ha tanta forza. Alice mi fa segno di portarlo in quella che dovrebbe essere la mia camera e lo deposito sul letto.
«Mammina?»- Sussurra con gli occhi chiusi.
«Torna tra poco. Riposati.»- Sussurro dandogli un bacio sulla fronte.


I giorni passavano, ogni giorno George veniva da Alice, mi saltava addosso e si inventava giochi nuovi. In questi ultimi cinque giorni mi sono accorto della sua alta quota di intelligenza e furbizia. E’ un bambino fantastico, quando Jasper lo riporta a casa io non vedo l’ora che venga il giorno dopo per rivederlo. Quando sono con lui dimentico tutto, il male, la tristezza la malinconia, che sono sicuro tornerà quando tornerò a Los Angeles. Ma per adesso voglio godermela questa tranquillità. Dicono che i bambini sono la cosa migliore al mondo. Dicono che la felicità si ritrova in un bambino, ed io sono pienamente d’accordo. Anche se tra me e lui non c’è un legame di sangue lo sento parte di me, lo vedo nei suoi occhi, nei suoi gesti, siamo molto simili. L’ho detto ad Alice, lei è rimasta in silenzio ed ha continuato a guardare la televisione. Adesso sono nel divano con lei, George oggi non viene, è domenica e sua madre non lavora. Ho chiesto ad Alice come mai non venisse mai a trovarla, lei mi ha risposto che è sempre occupata con il lavoro. Ho chiesto del padre di George, e lei mi ha semplicemente detto che non c’è l’ha. Non ho chiesto ulteriori spiegazioni, ma è assurdo che qualcuno non vorrebbe un figlio come George, che un bambino è sempre quella cosa che ci vuole in una vita. Che senza l’amore per i figli molte persone sono il nulla.
«A che pensi Edward?»- Mi chiede Alice con la voce annoiata, mentre Jasper è di là a lavorare.
«A tutto e a niente.»- Dico con voce incolore. Lei annuisce e mi sorride.
«Facciamo una torta!»- Esclama eccitata.
«Non puoi!»- Urlo scoppiando a ridere.
«Già. A volte dimentico di essere stata condannata a poltrire sul divano.»- Mormora sconfitta.
«Dobbiamo parlare Alice.»
«Non c’è niente di cui dobbiamo parlare, se non del più e del meno.»- Dice portandosi avanti. Ma cosa crede? Che dicendo queste cose non mi faccia incuriosire di più? Si sbaglia di grosso.
«Alice perché mi dici queste cose? Perché mi implori di perdonarti? C’è qualcosa che dovrei sapere?»- Domando esasperato. Delle lacrime copiose inondano le sue guance, ed è questo che mi da la conferma di quello che penso. Lei sa dov’è Bella, la sente, ci parla, è in contatto con lei in qualche modo. E non capisco perché, mia sorella debba tenersi tutto per sé.
«Cosa vuoi sapere Edward?»
«Perché è andata via? La senti?»
«La sento, si, per telefono. Non so perché è andata via.»- Mormora, ed io sono sicuro che sta mentendo, non per niente sono la persona che la conosce più di chiunque altro.
«TU LO SAI ALICE! Cristo, perché non volete dirmelo, non basta il fatto che mi sto distruggendo? Non basta vedermi vivere nel suo ricordo? Senti Alice sono stanco! Stanco di tutto questo. Sono l’unico a non sapere che fine abbia fatto! Andatevene a fanculo!»- Sbotto uscendo di casa. Sono stufo di tutto questo, non capisco il perché, non capisco il motivo per cui debbano tutti nascondermi la verità, perché si, loro lo sanno. Ed ho intuito che lo hanno sempre saputo. Inizio a passeggiare per le vie di New York, senza meta, né conoscendo le strade. C’è un sacco di gente, ci sono luci dappertutto, tutto è movimentato, tutti vanno di corsa caoticamente. Guardo l’orologio e mi accorgo che sono già passate due ore che cammino. Scuoto la testa e mi passo freneticamente una mano tra i capelli.

«Perché mi fai questo?»- mormora mia sorella, tenendosi su una stampella, mentre guarda le mie mani che si muovono veloci tra il letto e la valigia.
«Non c’è un perché, sono semplicemente stanco. Dato che nessuno qui vuole dirmi qualcosa, ci penserò da me.»
«Non puoi davvero passare la vita a cercarla! Edward, cerca di ragionare. Non puoi passare il resto della tua vita a cercarla! A cercare una persona che ti ha lasciato!»- Sbotta impazientita.
«Alice! Cristo santo! Lo dici solo per farmi cambiare idea. Perché se davvero tu non sapessi nulla non diresti così! Sai che non è in Europa e stai cercando in tutti i modi di fermarmi. Non è in Europa? Come faccio a crederci, se non mi dite un cazzo, mentre sapete tutto?»- Mormoro al limite della pazienza.
«Non posso dirtelo Edward. Non posso, non posso.»- Ripete scoppiando a piangere.
«Ma cosa credi? Credi che a me non faccia male sapere come stai? Credi che io stia bene sapendoti così distrutto?»- Mormora con voce rotta dal pianto. Piange senza sosta. E allora capisco che si, lei sa tutto, ma che non può dirmi nulla. Che è impossibile da credere, ma è così. Che nonostante tutto non posso, non riesco ad avercela con lei, perciò mi avvicino e l’abbraccio stretta a me.
«Dimmi solo che è felice. Che sta bene.»- Mormoro sperando in una risposta positiva.
«Non è felice, sta bene, solo fisicamente.»- Mormora facendomi tacere. Inizio a piangere con lei, non sapendo bene il motivo, ma lo faccio, lo faccio finché i singhiozzi portano la mia anima allo sfinimento.

 
«Edduadd!»- Urla George correndomi incontro. Sono fuori dall’asilo. Oggi la madre non è riuscita ad essere qui in tempo, mi sono offerto volontario per andare a prenderlo all’asilo. Non che lo faccia per fare un  favore alla madre, lo faccio per lui, per quel piccolo ometto che riesce a colorare la mia giornata.
«Ciao piccolo!»- Dico baciandolo sulla guancia. Mi prende per mano e iniziamo a camminare. Gli chiedo come è andata oggi a scuola, lui mi dice che è andato tutto bene e hanno fatto molti disegni, poi il mio cellulare ci interrompe.
«Pronto? Alice? Tutto bene?»- Chiedo a mia sorella allarmato per averla lasciata da sola.
«Si, si. Solo volevo dirti potresti portare al Central Park George? Credo che sua mamma venga a prenderlo lì tra qualche ora.»- Mormora titubante.
«Oh. Certamente. Ci vediamo più tardi. Ce la fai a star da sola?»- Le chiedo apprensivo.
«Si Edward, grazie, grazie davvero di tutto. Ti voglio bene.»- Dice tutto d’un fiato chiudendo la conversazione. Guardo George che mi guarda e sorride, e non posso fare a meno di ricambiare.
Se io avrei un figlio potrei mai fidarmi di uno sconosciuto? Come fa lei e stare tranquilla sapendo che suo figlio è con me? Una persone lei, la madre, non abbia mai visto, o comunque parlato telefonicamente.
Potrei sempre essere un maniaco, un sequestratore.
Scuoto la testa, nessuno potrebbe mai fare del male ad un bambino dolce, bello, solare come George.
«Allora facciamo un giro?»- Gli chiedo abbassandomi alla sua altezza e scompigliandogli i capelli. Lui annuisce sorride e si tuffa tra le mie braccia. Mi tiene stretto a sé e scoppia a ridere.
«Ti voglio bene Eduad.»- Mi dice facendo scorrere una lacrima sulla mia guancia.
Camminiamo mano nella mano. Lui mi parla di una volta in cui la sua mamma si è seduta su una di quelle panche, che trovi ogni duecento metri attraversando il parco, e piangeva, credendo che lui non ne aveva capito nulla.
«Come si chiama il tuo Papà, piccolo?»- Chiedo visibilmente interessato.
«Cos’è Papà? » Mi chiede curioso. Io lo guardo negli occhi, un lampo di curiosità accende quel verde smeraldo magnifico. E mi viene in mete quel giorno in cui Alice mi ha detto che non ha un Papà, né  nessuno gliene ha mai parlato.
«Come si chiama la tua mamma?»- Continuo guardandolo negli occhi, lui sorride.
«Itabellllla Suan. Ma tutti la chiamano Bella, forse perché è bella davvero. E’ bellittima la mia mammina.»- Sento che i miei piedi tutto ad un tratto diventano molli, che potessero cedere da un momento all’altro. Penso a tutto e a niente, la mia mente produce delle immagini che raffigurano il tutto nitido, al niente oscuro e opaco. Il respiro mi manca, mi siedo su una panca e fisso George. No, non è possibile.

 

 

 

 

 

Salve! Mi dispiace lasciarvi così, ma come avete visto il prossimo arriverà in fretta. Non mi piace lasciarli così, come non mi piace lasciare voi per tanto tempo ad aspettare.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ehm, fatemi sapere.

A presto, prestissimo.

Baci.

Roby <3

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Capitolo 21
*** In Spite Of Everything. ***


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Love Save The Pain.

In Spite Of Everything.

 

 

Bella’s Pov.

 

«Senti mamma, mi sta chiamando Alice. Sta tenendo George e non posso non rispondere, ti chiamo dopo.»-  Dico staccando la chiamata. Mia madre e Carl sono appena atterrati. E’ stato bello averli qui per un po’. Mentre esco dallo studio di Jasper chiamo Alice.
«Bella. Corri a prendere George, è successo un casino.»- Urla ansante Alice.
«Cosa è successo a George Alice?!»- Domando con il tono di voce disperato, iniziando a correre verso l’auto.
«Sta bene, non è successo niente. Ma devi venire qui, subito. Entra dal passaggio nuovo, non dall’entrata.»- Ancora ansante stacca la chiamata e metto in moto.
Edward è qui , a New York.
George ha passato il suo tempo con lui. Dicendomi che lo vuole bene, che vorrebbe vederlo tutto il giorno. Sono felice di questo, che Edward piaccia a George. Una lacrima solca il mio viso, avrei voluto vederli insieme. Immediatamente arrivo e, come mi ha accennato Alice qualche giorno fa, entro dal “passaggio segreto”. E’ una piccola porta situata dietro ad un edificio di fianco casa di Alice. Si arriva in cantina direttamente. Quando, in questi giorni, Jasper non ha potuto portarmi George sono passata da qui. Alice lo accompagnava in cantina e sussurrando mi diceva: “Tutto apposto”. Sbuffo impazientita, quando mi accorgo che la cantina è chiusa a chiave da fuori. Scelgo l’idea di iniziare ad urlare, ma se Edward fosse in casa? Prendo il cellulare e compongo il numero di Alice. Al terzo squillo, anziché rispondere, apre la porta. Si porta l’indice sulla bocca, intimandomi di non parlare. Prende la mia mano e mi trascina in bagno. L’unica stanza dove non devi oltrepassare la casa in sé.
«Stai ferma. Qui. Non muoverti. Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa tu ascolti. Intesi?»- Annuisco, con il cuore che fa le capriole per l’ansia e lei esce, chiudendomi.
Si sentono svariati passi, George non si sente minimamente. Confusa e spaesata appoggio l’orecchio sulla porta del bagno.
«Vaffanculo, vaffanculo, Alice. Che diamine è successo?»- La sua voce, quella voce. Il mio cuore, come il mio respiro, si ferma di scatto, registrando quel suono, tanto agognato. Quanto ho desiderato sentire la sua voce? E’ disperata, vuota, triste. Non è la voce del mio Edward, è fredda, spenta, flebile. Siamo così vicini, mi basterebbe urlare, fare un qualsiasi rumore per averlo tra le mie braccia. Sento dei singhiozzi, sicura che siano di Alice.
«Cosa hai saputo Edward?»- Chiede lei disperata.
«Isabella Swan, ma si fa chiamare Bella.  Questo è tutto. Tutto quello che dovevo sapere, tutto quello che George mi ha detto, quando gli ho chiesto il nome di sua madre.»- Non appena la sua voce smette di riempire la stanza, un silenzio tombale cala su tutta la casa. Un singhiozzo da parte mia, inaspettato, mi fa cadere per terra. Mordo la mia mano, cercando di attutire il suono, in modo che Edward non lo senta. Sarebbe davvero la fine.
«Non posso dirtelo Edward.»- Sussurra Alice.
«Non puoi? Scherzi? LEI MI HA TRADITO. PER QUESTO E’ SCAPPATA. Dio, e io che l’amo ancora, io che mi sono fatto prendere in giro da lei! Sono stato un coglione.»- Urla disperato, un suono che spezza il mio cuore, frantumandolo definitivamente.
«Non ci posso credere.»- Sussurra, ancora. Chiudo gli occhi, spazzando via le lacrime e un dolore, mai sentito prima, si diffonde nel mio petto. Eppure, credevo che lui mi conoscesse abbastanza, non avrei mai e poi mai potuto tradirlo. Non vede che George è suo figlio? Come può pensare questo di me? Stringo i miei capelli tra le dita, non so per quale motivo, forse per trattenermi. Vorrei solo uscire da questa dannata porta. Appoggio la schiena sulla vasca e inizio a respirare lentamente, e mentre loro, in cucina, si guardano negli occhi rimanendo in silenzio, il mio cuore mi abbandona, ed io lo lascio andare.
«Non ti ha tradito Edward.»- Mormora Alice, incerta. Non sa se dirgli o meno che George è suo figlio. Deglutisco, voglio davvero che lo sappia così? Adesso?
«FALLO ALICE! DIGLIELO!»- Urlo scoppiando a piangere. Un rumore forte, sfuggente, di passi si avvicina al mio campo uditivo. Una botta sulla porta mi fa sussultare.
«Bella?»- E’ lui, sta piangendo. Avvicino la mano alla porta e tocco il punto dove credo che sia la sua mano dall’altro lato. Inizio a piangere silenziosamente ma non rispondo.
«Bella sei tu?»- Mi chiede disperato. Vorrei tanto dirgli tutto, vorrei dirgli che lo amo, più di prima nonostante siano passati quattro anni da quando non ci vediamo.
«E-edward.»- Mormoro balbettando. Alzo la testa e guardo il tetto del bagno. Le lacrime che stavano per uscire rientrano nei miei occhi e li chiudo.
«Apri Bella.»- Scuoto la testa, anche se lui non può vedermi. Sento altri passi e sono sicura che Alice lo allontanerà da me.
«George è tuo figlio Edward. »- La voce di Alice è sfinita, senza tonalità. Un singhiozzo lascia il petto di Edward e poi riesco solo a vedere nero, il buio mi avvolge completamente.

 

«Bella?»- Mi sento chiamare da Jasper, sentendo qualcosa di duro e freddo sotto di me. Apro gli occhi leggermente. Sono distesa sul pavimento del bagno. La mano di Jasper circonda il mio viso e mi metto seduta.
«Sei svenuta Bella e, mi chiedevo se…»
«Si Jasper. Ricordo tutto.»- Mormoro.
«Mi dispiace.»- Dice sinceramente, io annuisco e mi alzo.
«Dov’è lui?»
«In cameretta con George. Lui dorme. Lo sta guardando da un’ora ormai.»
«Chiudi la porta della camera. Portami George in cantina. Devo andare a casa.»- Sussurro alzandomi.
«Che senso ha? Ormai vi siete parlati.»- Scuoto la testa e lui annuisce. Mi accompagna giù e aspetto che mi porti George.
«Buonanotte Bella.»- Mi dice Jasper porgendomi George addormentato.
«Saluta Alice.»- Dico con voce incolore, dirigendomi in macchina. Deposito George sul sediolino e rimango incantata a guardarlo. Accarezzo i suoi capelli, e per l’ennesima volta i miei occhi piangono. “Perdonami amore mio” sussurro tra me chiudendo lo sportello. Non appena rimbocco le coperte a George il citofono suona.
«Chi è?»
«Sono io.» Mormora quella voce inconfondibile. Edward. Rimango in silenzio, ma con il citofono incollato all’orecchio.
«Fammi salire. Ti prego.»
«N0n posso Edward. »- Dico in un singhiozzo che mi sconquassa.
«Ti prego.»- Mormora disperato. Tono che lacera il mio cuore, ancora una volta. Odio sentirlo così, odio immaginare come possa aver passato questi ultimi anni senza di me. E nonostante tutto, nonostante io fossi scappata non ha smesso un momento di amarmi. Ha fatto come gli avevo chiesto; non mi ha dimenticata, non lo ha fatto, nonostante il caso, i fatti, i dubbi.
Rimango ancora un volta in silenzio. Una parte di me vorrebbe passare il resto della vita così, appoggiando la mia vita ad un citofono, senza lasciarlo, come se fosse un contatto. Siamo vicini, quanto lontani. L’altra parte di me vorrebbe che lui andasse via, senza speranze, in modo che si metta il cuore in pace. Non potremmo mai più amarci. Ed è un consapevolezza amara, dolorosa.
«Bella. Sei qui?»
«Si…»- Sussurro flebilmente.
«Ti amo Bella. Ciao.»- Chiudo gli occhi, che bruciano così tanto che vorrei toglierli dalle orbite e mordo il mio labbro inferiore. Guardo dalla finestra e lo vedo, di spalle, sta andando via, via da me. Annuisco tra me, è la cosa migliore, per lui, per George, per tutti. Chissà cosa pensa, chissà se si è mai chiesto il perché sono andata via, se si è mai dato delle risposte.
Mi sdraio a fianco a mio figlio e lo abbraccio, passando la notte insonne, ovviamente.

 

 

«Bella, dai vieni con me!»- Mormora Kate. Siamo a pranzo, oggi lavoro tutto il giorno. Lei è la padrona di questa piccola trattoria, dove spesso vengo con Alice e Jasper. Sorseggio il mio caffè e scuoto la testa.
«Ma è l’ultimo! Non puoi non venire.»- Mormora cercando di convincermi. Ha preso due biglietti per stasera, ci sarà l’ultimo concerto dei System Of A Down, doveva andare con la sorella, che si è ammalata. Amo quel gruppo, ma non sono completamente in vena di un concerto. Anzi forse non lo sono mai stata. E’ sempre stato un sogno per me vederli dal vivo. Ricordo che, a quindici anni impazzivo davanti ai live con mia cugina. Ci eravamo promesse di andarci insieme un giorno, ma poi l’università che ha scelto, in Italia, mi ha portato via anche lei. Non la sento da tanto, troppo tempo.
«No Kate. Dico davvero.»- Sussurro stanca emotivamente.
«Perché no Bella? Ti farà bene. In fondo è solo una sera. Forse sarà un motivo per non pensare a niente per qualche ora.»- Scuoto la testa e la guardo.
«Dai Bella! E’ un sogno per te! Lo hai detto tante volte.»- Dice implorandomi con lo sguardo. Giro la testa guardando il sole e cerco di pensarci. Mi sembra così assurdo dare importanza a questa scelta. Come posso andare a divertirmi se so, che c’è gente che sta soffrendo a causa mia? E mio figlio, non posso lasciarlo da Alice la notte. Non è mai successo che dormissimo separati. Scuoto la testa e Kate sospira.
«D’accordo. Credo che li regalerò a qualcun altro.»- Sussurra sconfitta.
«Puoi sempre andare da sola. Non ti mangeranno mica.»- Mormoro con nonchalance. Lei annuisce e torna in cucina.
«Che succede?»- Mi chiede Alice sorridente, stranamente, mentre tiene la manina di George tra le sue.
«Ciao amore!»- Esclamo abbracciando mio figlio. Faccio cenno ad Alice di sedersi.
«Come mai qui?»- Chiedo ad Alice, accarezzando il pancino di mio figlio.
«Eravamo da soli. Abbiamo deciso di mangiare qui. Sicuri che ti avremo trovata.»- Sussurra.
«Ma io ho finito. Devo tornare a lavoro.»- Lei mi guarda e annuisce.
«Allora pranzeremo io e il mio nipotino preferito.»- Mormora, guardando innamorata George. Lui scoppia a ridere e annuisce.
«Devo andare.»- Sussurro posizionando George sulla sedia.- «Comportati bene. La mamma verrà presto a prenderti.»- Dico a quest’ultimo accarezzandogli i capelli.
«Cosa aveva Kate?»- Mi chiede Alice abbracciandomi. Le spiego del suo tentativo di convincermi ad andare al concerto e di come io abbia stroncato il tutto immediatamente.
«Perché no Bella?»- Mi chiede anche lei.
«Non posso Alice. Non me la sento completamente.»- Sussurro triste.- «E poi non posso lasciarlo senza di me anche la notte.»- Le dico indicando George.
«Che dici George, stasera dormi dalla zia Alice! Facciamo la capanna sul lettone?»- Dice Alice a George, battendo le mani.
«Siiiiii, ti prego!»- Urla mio figlio saltando sulla sedia.
«Alice.»- Sussurro alzando gli occhi al cielo.
«Non puoi deluderlo adesso.»- Dice lei felice con il sorriso furbo.
«Sei una strega Alice.»- Dico con tono per niente divertito uscendo dalla trattoria, non prima di aver detto a Kate di sì.
Capisco il tentativo di Alice, di farmi felice, ma non sono davvero in vena di un concerto. Sono sicura che: passerò la serata con il broncio più colossale del mondo. Sbuffo ed entro in ufficio. Se non ci fosse stato Edward a casa di Alice, sarei potuta stare lì con loro, fare la capanna sul lettone con loro. Ma invece o resto in casa a deprimermi o esco con Kate. Scuoto la testa e accendo il pc.

 

«No! Questo no!»- Urlo rivolta a Kate. E’ passata a prendermi con la macchina, vuole che mi faccia delle scritte riferite al concerto. Ma no, sarebbe davvero troppo.
«Sei vecchia.»- Mormora schifata, facendo partire l’auto. Io la ignoro pensando al giorno in cui ci siamo conosciute.
Era la prima volta che andavo a pranzare lì, nel suo ristorante. Non appena mi ha guardata, mi ha sorriso, dicendomi che lei poteva capirmi. E’ stata violentata dal padre quando aveva tredici anni, si è sempre guadagnata da vivere da sola, da quel giorno. Ha cambiato città, portandosi dietro la sorella, credendo che nella grande mela avrebbe potuto dimenticare tutto. Ma non è successo. Pensa sempre a quello che le è accaduto, a sua madre che se n’è fregata dal primo momento. Di me non le ho raccontato nulla, ha capito da sola che non volevo farlo. Sa solamente che la mia vita è una costante sofferenza.
«Ci siamo!»- Mormora eccitata. Siamo al Green Park, è insolito che facciano dei live qui, eppure stasera è successo. Cerco di sorridere, pensando che sto realizzando uno dei miei sogni, meno importante certo, ma sempre un sogno è stato. Ma non riesco a sorridere. C’è un sacco di gente, mormorii e urla confusi, gente con le scritte in faccia. Una ragazza che è incollata al fidanzato, le loro braccia attaccate formano una scritta: “SOAD”- System OF A Down. Scuoto la testa e seguo Kate. Siamo a metà, né troppo avanti, né troppo indietro, e la visuale qui è abbastanza accontentabile. Mando un sms ad Alice, chiedendole come va con George, e la risposta arriva immediata, “Sta giocando felice con Jasper, gli faccio il bagnetto è inizia la battaglia
J divertiti”. Sospiro felice, si, posso godermi qualche ore fuori dal mondo. Sorrido a Kate, che mi prende per mano e inizia a saltare e a urlare: «Vogliamo Serj!»- Inizio a saltare e a imitarla. La musica interrompe le nostre urla e, quelle di tutta la gente che è venuta per questo, la voce di Serj Tankian, accompagnata a quella di Daron Malakian, scoppiamo a ridere e iniziamo a cantare. Un’ora dopo, finito l’assolo di sola chitarra. Daron inizia a cantare Lonely Day.
Una lacrima solca il mio viso. Quella canzone adesso è più vera che mai, ascoltata direttamente dalla voce del cantante, che molte volte mi ha regalato emozioni tramite un paio di cuffie. C’è il delirio, i fan urlano e cantano a squarcia gola. L’unica a rimanere ferma sono io. Guardo il palco davanti a noi, i capelli lunghi di Daron sfiorano il manico della chitarra, la sua voce è come se fosse un sussurro, ma non lo è per niente canta trasportando tutti con lui. Mi guardo attorno e due occhi, verdi, magnetici, mi guardano da capo a fondo. Guardo Kate terrorizzata e lei mi sorride.
«Devo andarmene!»
«Ehi Bella? Che succede?»- Mi chiede preoccupata.
«Perdonami! Ma ti spiego domani, devo andare!»- Accarezzo la sua mano e inizio a correre. Mi guardo indietro e lo vedo rincorrermi. Scanso la gente, che non appena la spingo mi guarda con sguardo omicida. Inizio a correre, non credendo ai miei occhi, corro più veloce di quello che abbia mai pensato. Non mi volto, per paura che lui possa essere più vicino di quanto immagini.
Dopo mezz’ora di corsa, sono fuori dal caos. Non smetto di correre e mi dirigo a casa mia. Aro come spia me e mio figlio, sa per certo che stasera ero a quel concerto, e di certo sa che Edward è qui a New York momentaneamente.
Salgo le scale di corsa ed entro in casa. Sospiro tra me.
«Sono salva.»- Sussurro a me stessa.
«Non direi.»- Rimango immobile, sperando che abbia immaginato quella voce. Non è possibile. Deglutisco e facendomi coraggio e mi volto.
«Edward. Come hai…»- Mi interrompo, sperando che non mi chieda nulla. Guardo i suoi occhi, finalmente così vicini. Mi immergo dentro quello smeraldo liquido, e finalmente dopo tanto tempo ci vedo l’universo, il mio universo, quello dove c’era amore, felicità, passione, dolore con il quale saper convivere. Il suo corpo è sempre uguale, cambia solo il viso, pieno zeppo di barba. Non lo avevo mai visto così…triste. Mi si stringe il cuore in una morsa, forse è un illusione, forse dopotutto non è davvero qui, in tutta la sua bellezza. Il mio cuore palpita e per un attimo mi sento intera, bene, felice.
«Ho fatto il duplicato delle chiavi. Quelle che hai lasciato nello zainetto di nostro figlio.»- Mormora triste. Non so dire se è felice o meno di vedermi, la sua voce, i suoi occhi, la sua espressione non riescono a far trapelare nulla.
«Edward…»- Sussurro tramortita.
«Perché mi hai privato di mio figlio per così tanto tempo? Perché mi hai abbandonato? Perché Bella? Credevo che tu mi amassi tanto quanto ti amo io. Credevo che niente poteva mai dividerci, anche se siamo stati insieme poco, sapevi benissimo che entrambi ci siamo sempre conosciuti. Dimmi solo che non mi hai mai dimenticato, io non l’ho fatto, come mi avevi chiesto.»- Sussurra mentre le lacrime bruciano a contatto con la sua guancia. Scoppio a piangere e corro ad abbracciarlo. So che molto probabilmente Aro è qui dietro l’angolo pronto ad attaccare, ma non ho paura, non ora che ho Edward con me. Non ora che sento di essere potente, non ora che l’amore sta prendendo il sopravvento. Non so se dop0 questa notte, senza la quale non avrà risposte, mi amerà ancora. Ma se fosse così, voglio almeno prendermi un ultimo ricordo. Nonostante tutto voglio amarlo, ancora.
Ci sono quei film dove il protagonista sta per essere ucciso, quando ad un tratto l’antagonista in questione chiede l’ultimo desiderio prima di morire, il mio è questo.
«Non chiedermi niente. Ti amo Edward. Non ho mai smesso di farlo. Ma non posso dirti nulla. Proprio perché ti amo.»- Sussurro accarezzando la sua guancia umida. Lui mi guarda confuso e mi stringe a sé.
«Amami, Edward.»- Sussurro implorandolo con lo sguardo. La sua espressione comunica puro dolore, ma si rilassa non appena le sue labbra sfiorano le mie, sfociando in un passionale bacio fatto d’amore.

 

 

 

 

Dovevo lasciarlo così. So che probabilmente mi odiate per questo, ma la continuazione deve essere Pov Edward, poi il capitolo diventa troppo lungo e noioso (non che già non lo sia.)
Alcune di voi mi hanno chiesto quando finirà la storia.
Posso dirvi che non lo so per certa, ma la malinconia finirà tra tre o quattro capitoli. C’è l’happy Ending non temente, ne hanno passate già troppe no?
Spero di non avervi deluso, se così fosse non esitate a dirmelo.
Un bacione. Grazie per il sostegno nonostante tutto.
A presto. Prestissimo :D

Roby. <3

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Capitolo 22
*** The Bitter Revelation. ***


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Love Save The Pain.

The Bitter Revelation.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edward’s Pov

Bollenti, come mai prima d’ora, le mie mani accarezzano il suo corpo, in una lenta e dolce passeggiata, non credevo stesse succedendo tutto questo, ma la sua risata, i suoi occhi, i suoi sospiri la rendono reale, oltre che nella mia mente. Mi ha chiesto di ‘amarla’ e lo sto facendo. Forse dovrei chiedere spiegazioni, forse dovrei fermarmi, capire il perché di tutto questo tempo. Il perché sono stato abbandonato? Del perché mio figlio non sa che un padre c’è, che io esisto, che ha bisogno di me come io di lui. Ma non ci riesco, il suo corpo, i suoi occhi, la sua voce sono come un campo di forza, ed io sono solo una stupida calamita microscopica. Nonostante fino a qualche secondo fa ero arrabbiato, non riesco a non baciarla, non riesco a non fare quello che mi ha chiesto; amarla. Il suo corpo, svestito, è disteso sul suo letto. I suoi occhi, mi studiano, mi amano in un certo senso. Voglio davvero prendermi ancora parti di lei senza aver ricevuto nessuna spiegazione? Si, voglio amarla prima di tutto, voglio cancellare il dolore della sua assenza stanotte.
Accarezzo il suo ventre caldo e vellutato, annuso il suo collo, quell’oasi che mi è sempre mancata.
«Edward.»- Sussurra, cercando di dirmi di fare in fretta, che non riesce ad aspettare ancora, ma no. Voglio godermela, voglio andare piano, voglio dimenticare –non solo per qualche attimo- gli ultimi quattro anni.
Accarezzo le sue caviglie, i suoi occhi sono chiusi e un sospiro esce dalle sue labbra. Mi incanto un attimo a guardarla, chiedendomi come ho resistito gli ultimi anni senza questo, senza il suo sorriso, senza la sua voce, senza le sua lacrime. Forse la conosco poco, anche se penso di conoscerla da una vita. Dal primo momento in cui ho incrociato i suoi occhi, mi sono reso conto che quella era la strada, quella più giusta per riuscire in qualche modo a vivere, quella giusta per riuscire ad amare, nonostante il mio cuore sembrava essersi congelato. Continuo ad accarezzare il suo corpo, con lentezza disarmante, come se non ci fosse un domani, come se questo modo fosse quello più giusto, essenziale. Non so se sono felice in questo momento, mi sono sentito tradito, umiliato. Sono venuto a sapere che, mia sorella, ha sempre vissuto con Bella, che si vedono, tutti i giorni. Che tutte le volte che sono venuto qui ho vissuto nella menzogna. Non avrei mai e poi mai immaginato che lei fosse qui, non avrei pensato che avrei avuto un figlio. E fa male, fa male sapere che dietro a tutto questo c’è una spiegazione, deve esserci. Ma non è il momento, questo è il momento per amarci, per ricucire quella ferita che mi è stata inferta nel cuore quattro anni fa, per sorridere, per vivere, per continuare a sperare. Si siede sul letto e mi guarda. E’ sempre la stessa, i suoi occhi sono cambiati di intensità, sono tristi, vuoti proprio come quelli miei. Il suo corpo è più magro di prima, i suoi capelli sono più lunghi. E nonostante è dimagrita, nonostante quel cioccolato che un tempo, non molto lontano, illuminava i suoi occhi –almeno per alcuni attimi-  che adesso sono spenti, senza arte né parte. Io trovo che sia rimasta la creatura più bella di sempre, che George ha davvero ragione: “La mia mammina è bellittima.” Sorrido interiormente, pensando a mio figlio, quel piccolo che mai e poi mai avrei immaginato fosse parte di me, quel figlio di cui Bella, o chi per lei, mi ha privato di vivere, di vederlo crescere, di parlargli attraverso il ventre della madre. Cose che in passato avevo sempre sognato di voler fare.
«Edward.»-  Sussurra con una nota, abbastanza evidente, di eccitazione.
«Calma.»- Mormoro baciando il suo polso. Afferra i miei capelli e mi tira verso di lei. E’ un bacio irruento, passionale, doloroso, famelico, triste, pieno, vuoto, disperato. Le mie mani afferrano i suoi seni con forza, sorpreso da quel bacio così animalesco e, un gemito, per niente angelico esce dalla sua gola. La vista si annebbia dall’eccitazione, ma non voglio questo, non voglio solo attrazione fatale, passione, voglio anche l’amore. Perché nonostante il caso, io la amo, e sono sicuro che non smetterò mai di farlo, come non ho smesso negli ultimi anni, non smetterò in eterno. Con le sue piccole, ma agili mani, mi fa stendere sotto di lei e, in un unico, rapido, animalesco movimento sento il mio membro prendere posto tra le sue caldi piaghe. Le sue mani si agganciano alle mie braccia e un sospiro esce dalle nostre labbra all’unisono. Apre i suoi occhi, e vengo catturato dal suo sguardo, rimanendone incantato, mi ha sempre fatto questo effetto stupendo. Una lacrima riga il suo volto, come la prima volta, come ogni volta, la raccolgo con il pollice e lei mi sorride. Mi sorride davvero. Le sue mani si spostano sulle mie spalle e inizia a muoversi, lentamente, dandomi finalmente quello che ho tanto agognato; l’amore.
Quello per cui moriresti.
Quello per cui piangi e sorridi.
Quello per cui sei felice e triste.
Quello che ti fa gioire e allo stesso tempo disperare.
Sotto ogni forma che sia giusta o sbagliata, che sia essenziale o meno è amore, un amore puro, stupendo, un amore da cui dipendiamo entrambi. Mi rendo conto, mentre i suoi capelli sfiorano il mio petto, mentre le mie mani afferrano ogni lembo della sua pelle, mentre il suo sorriso scalda il mio cuore, mentre i nostri nomi vengono sussurrati in sintonia che lei mi ha sempre amato. Che non ha mai smesso di farlo, che nemmeno lei ha spazzato via la mia anima dal suo cuore. E finalmente dopo quattro interminabili, dolorosi anni, mi sento di nuovo a casa, mi sento di nuovo protetto da ogni forza o pensiero negativo.

 

«Bella…»- Sussurro aprendo gli occhi. Guardo l’orologio digitale poggiato sul comodino; sono le nove del mattino. Un biglietto fa bella mostra di sé sul cuscino, dove fino a qualche ora prima c’era Bella.

Perdonami, ancora. Non possiamo continuare, mi dispiace per stanotte, ma avevo bisogno di te. Solo e sempre di te. Non so se potrai mai perdonarmi, ma come ti avevo detto nelle ultime righe che ho riservato per te, quattro anni fa: questi Edward e Bella non sono destinati per stare insieme, chissà forse ci sarà posto per il nostro amore in un’altra vita. George ha bisogno di te, come tu di lui. Non smetterò mai di amarti, ma l’amore a volte non è la strada più giusta.
Ti amo Edward, forse non dovrei dirtelo perché fa più male, ma sento il necessario bisogno di farlo.
Tua Bella.

Scuoto la testa lanciando il foglio per terra. Prendo a pugni il comodino della sua camera, facendo scaraventare per terra tutto quello che c’era fino ad un secondo prima. Scuoto ancora la testa, spazzando via le lacrime, che ancora una volta mi appannano la vista. Mi vesto immediatamente, con furia, colpendo i mobili ogni tre per due. Non è possibile, credevo di averla ritrovata, ho capito che mi ama ancora. Ma allora perché? Perché sta facendo tutto questo senza rendermi partecipe? Vorrei entrare nella sua testa per pochi secondi, per capire cosa la fa fuggire continuamente da me. Quando sto per aprire la porta, il cassetto del mobile della cucina attira la mia attenzione. Mi avvicino e noto che è aperto, forse colpendolo si è spostato. Lo apro del tutto e quello che vedo mi paralizza un attimo, ci sono delle foto. Mie e di Bella, del mio compleanno, di quando eravamo a Seattle, di quando riuscivamo a sorridere. Una lacrima riga il mio viso per l’ennesima volta, ripongo le foto dov’erano e scappo via.
Apro la porta e trovo Alice che pulisce casa.
«Non dovresti affaticarti. La caviglia ha bisogno di riposo.»- Mormoro con nonchalance. Mentre mi siedo e la osservo, voglio delle risposte e lei deve darmele.
«Ciao Edward.»- Mi saluta Jasper dandomi una pacca sulla spalla. Io annuisco e lo guardo. Lui mi guarda, come se vorrebbe dirmi qualcosa, ma forse è solo una mia impressione.
«Non sono mai caduta Edward.»- Sussurra arrestandosi di colpo. Io la guardo confuso e lei sospirando si avvicina  a me.
«So che vuoi sapere cosa diavolo è successo quel 24 Giugno di quattro anni fa. E so che molto probabilmente sei incazzato con il mondo intero. Ma Edward, qualsiasi cosa accada, ricorda sempre che noi ti vogliamo bene e te ne abbiamo sempre voluto.»- Sussurra Alice, sotto lo sguardo quasi supplicante di Jasper. Io rimango in silenzio, le sue parole non hanno assolutamente senso.
«Non sono caduta Edward. Ti ho fatto venire qui per un motivo preciso. Per conoscere George, è stata Bella a deciderlo, è giusto che tu lo conosca e che ti prenda cura di lui. Sempre, per sempre.»- Mormora, ancora, con la voce flebile.
«E’ stata Bella a deciderlo, è stata Bella a scappare per un motivo che voi dite sia più che valido. E’ stata Bella e decidere di avere un figlio e non dirmi nulla! Sono stanco cazzo! Lo sono davvero troppo! Ogni cosa, ogni frase, che possa farmi capire qualcosa viene stroncata da un: “non è il momento.” Ma a me non importa, devo sapere tutto quello che è successo, non posso vivere così, non posso vivere nel dubbio per sempre! Basta Alice! Basta!»- Urlo, fuori di me, non posso davvero più aspettare ho avuto troppa pazienza, adesso basta. E’ un dovere di Alice dirmi tutto quel che diavolo è successo, è in dovere di rispondere alle mie domande.
«Edward non complicare le cose.»- Sussurra lei. Ma viene interrotta da Jasper quasi immediatamente.
«Ha ragione Edward, Alice. E’ giusto che lui sappia, è giusto che lui ci aiuti, è giusto fargli vivere la sua vita come ogni essere umano merita.»- Mormora Jasper sedendosi anche lui. Alice lo guarda e scuote la testa ininterrottamente.
«Vedi Edward è una cosa un po’ complicata da spiegare, ma è arrivata l’ora che tu sappia, ed è giusto che sia così.»- Sussurra, bevendo un sorso d’acqua e guardandomi negli occhi, mostrandomi tutta  la sua franchezza e disponibilità nel dirmi quel che voglio sapere.
«Quattro anni, mentre tu arrivavi a Los Angeles, Bella è venuta al Campus, piangeva, era notte fonda, ha implorato Alice e me di aiutarla. Ci ha rivelato ciò che è davvero successo quel giorno, ciò che ha cambiato la via che le vostre vite stavano intraprendendo. Vedi Edward, negli ultimi anni ho imparato a conoscere Bella. Ho capito dell’amore che nutre nei tuoi confronti, non è passato un giorno senza che ti abbia pensato. Aro Volturi, si quello lì che tua padre sta cercando di sbattere in galera in tutti i modi, ha fatto irruzione in casa di Bella. Chiudendola nella cantina. Ha fatto occhio per occhio, dente per dente. Ha dato a Bella due scelte, o quella di fuggire da te, o quella di fingersi morta, se non lo avrebbe fatto, lui l’avrebbe uccisa. Ma dal momento in cui, Bella, quello stesso giorno, solo qualche ora prima, ha scoperto di aspettare un figlio, tuo figlio. Ha sempre detto che quel giorno avrebbe preferito morire, che vivere senza di te. Ma sapendo che non sarebbe morta solamente lei ha scelto la strada più difficile quanto giusta. E’ scappata, Aro ha voluto rovinarti la vita come tu hai fatto con Audost e automaticamente con lui. Abbiamo cercato in tutti i modi di aiutarla e ci siamo riusciti, non siamo mai riusciti a vederla sorridere però. Ha cresciuto George come ogni madre, degna di essere chiamata tale, avrebbe fatto. Quando ha partorito voleva mandare all’aria tutto e averti lì con lei, in uno  dei giorni più belli che la vita le ha concesso. Ma abbiamo sempre cercato di farle ricordare quanto ha sofferto, quanto ha dovuto resistere nel correre qui ad abbracciarti ogni volta che venivi a trovarci. Tuo padre sta cercando di arrestarlo in modo che lui non possa più spiarvi. Ma è come uno scarafaggio, non riescono a trovarlo. Non riescono ad incastrarlo.»- Racconta Jasper con una punta di tristezza nel tono della voce. E’ possibile tutto questo? No, non può essere, sarà una di quella tante illusioni.
«Non è possibile.»- Infatti, mormoro.
«E’ così Edward, purtroppo.»- Sussurra Alice piangendo. Immaginare Bella, mentre si dispera agli occhi di quel vile, pensarla sola nella notte mentre affrontava a mani nude il suo orribile destino, un destino che qualcuno ha scelto al posto suo. Ma sono contento, in un certo senso, che l’abbia fatto, preferisco che sia qui anche se irraggiungibile ma che almeno sia viva. Immagino Bella, che piange mentre le contrazioni del parto diventano più frequenti e più dolorose, la immagino che implora di avermi lì con lei. Ed è in questo momento che mi rendo conto di quanto sia davvero irrazionale l’amore, lei è fuggita per evitare la mia morte, il mio dolore alquanto più profondo di ogni altra cosa se lei fosse morta. Mi alzo dalla sedia ma Jasper mi blocca.
«So a cosa stai pensando. Ma non sappiamo dov’è. E poi, poi c’è dell’altro.»- Sussurra Jasper con voce incolore facendomi segno di sedermi. Ed io lo faccio.
«Qualche settimana fa, prima del tuo arrivo, Bella lo ha contattato. Lui aveva detto esplicitamente a Bella che non appena lui vi avrebbe visti insieme – e in questi ultimi anni l’ha spiata per davvero- lui ti avrebbe ucciso, o comunque fatto uccidere. Bella ha contrattato quest’ultima cosa. Ha detto che non ce la fa ad immaginarti come realmente sei, in questo stato dolorosamente malinconico, che non vuole privarti per sempre di tuo figlio. Ha scelto di morire lei, tra un mese. Per questo Alice ha dovuto fingersi malata, per farti venire qui e darti la possibilità di conoscere vostro figlio, dare la possibilità a lui di fidarsi di te non appena Bella sarà morta. Ha deciso che la sua morte, è l’unico modo per uscire dal suo dolore e rendere felici te e vostro figlio.»- Sussurra studiandomi con lo sguardo.
«E’ assurdo! Oh Dio! Perché non lasciava tutto com’era? Lo uccido quel figlio di puttana.»- Urlo alzandomi di nuovo dalla sedia.
«Dimmi dov’è Jasper. Ditemi dov’è Bella, vi prego.»- Sussurro arrabbiato. No, non è possibile, è surreale. Mai e poi mai avrei immaginato una cosa simile, ora capisco perché la mia famiglia mi ha sempre detto: “non è il momento”. Ecco perché hanno sempre cercato di non farmela odiare, ecco perché la difendevano quando, arrabbiato mi incazzavo parlando di lei, con me stesso. Ci sono alcuni avvenimenti a cui non possiamo rinunciare, come Bella. Che è stata così coraggiosa, che mai avrei immaginato potesse farlo. Che ha amato suo figlio non appena ha saputo di averlo dentro di sé, che mi sento inutile, perché ho le mani legate e non posso fare niente. E una consapevolezza, amara quanto, purtroppo, vera annebbia la mia mente: “Questi Edward e Bella non sono fatti per stare insieme in questa vita.” Ha ragione, avevo in mente di cercarla, anche in capo al mondo se solo fosse stato necessario, avevo immaginato di poterla stringere ancora nelle mie braccia, avevo pensato che non appena ci saremmo ritrovati le avrei chiesto di sposarmi, di vivere la sua vita a fianco a me, per sempre.
E per quanto il nostro amore sia assoluto. Per quanto le nostre anime siano simili, il destino non ha voluto collegarci, insieme per sempre. Forse il destino ha scelto di farci conoscere l’amore, quello vero, senza farcelo vivere davvero, senza assaporarlo in tutti i modi possibili.
«Edward, noi abbiamo un piano. Bella stanotte è scappata, è venuta a prendersi George ed è andata via. Ci ha detto che tornerà tra un mese, quando lui la ucciderà.»- Mormora profondamenti dispiaciuto.
«Dimmi questo piano.»- Dico impaziente.
«Non appena Bella ti contatterà per vederti, cercherà di raccontarti tutto quello che le è successo. In modo che tu non possa mai odiarla, in modo che lei ti lasci per sempre facendoti sapere che ti ha sempre amato. Non appena Aro vi vedrà insieme la ucciderà. Io e Alice, quel giorno, abbiamo pensato di armarci, di chiamare la polizia non se ne parla, non avrebbe senso, sai come funziona, ci vogliono prove, vorrebbero parlare con Bella e lei non lo farebbe mai. Abbiamo pensato di ucciderlo e mettere fine a questa storia per sempre.»- Mi dice sicuro di quello che ha deciso. E mi rendo conto di che persona sia Jasper, del coraggio che ha avuto nel rivelarmi queste cose, dell’umanità che gli ha permesso di mettere fine a quel punto interrogativo, ormai pesante quanto un macigno, sulla mia testa.
«Lo ucciderò io.»- Sussurro riducendo gli occhi in due fessure.
«No Edward. Lo faremo tutti insieme.»- Sussurra Alice abbracciandomi.

 

 

Un mese dopo.

«Ciao piccolo!»- Esclamo abbracciando George.
«Ciao.»- Mi da un sonoro bacio sulla guancia, mentre mia sorella si emoziona lasciando libera una lacrima.
Il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare.
«Pronto?»
“Ciao. Sono io, Bella.”- Dice in un sospiro, quella voce che riconoscerei tra mille.
«Ehi, ciao.»- Mormoro felice di sentire la sua voce, anche se so cosa deve dirmi. Sapevo che mi avrebbe contattato in qualche modo.
“Volevo chiederti se è possibile incontrarci. Domani mattina alle undici.”
«Dimmi dove.»
“Ci vediamo nella parte opposta al parcheggio del Green Park.”- Mormora.
«Non è troppo isolato?»- Chiedo, fingendo di essere sorpreso.
“Importa davvero?”- Mi chiede, sussurrando con voce roca e, ne sono sicuro, sta piangendo.
«No, non importa. A domani.»

 

 

 

 

Eccoci qui, dopo soli tre giorni. So che il capitolo è più corto del solito, ma non sono riuscita ad allungarlo si più. Spero che vi piaccia ugualmente.
Forse non vi aspettavate un’altra fuga di Bella, ma era necessario, spero di non aver deluso nessuno, e il resto della storia arriverà subito.
Grazie per il supporto, per leggere questa storia, grazie immensamente.
Un bacione
A presto, prestissimo.

Roby <3

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Capitolo 23
*** The Happiness Before Death. ***


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Love Save The Pain.

The Happiness Before Death.

 

 

Bella’s Pov.

 

 

«Basta Bella!»- Urla Kate, lanciandomi uno straccio addosso. Ho appena chiamato Edward, ho sempre immaginato che il suo numero sarebbe rimasto lo stesso, ho sempre pensato – e me ne ha dato lui stesso la conferma- che non lo avrebbe fatto, in modo che se mi sarebbe venuto in mente di rintracciarlo lo avrei fatto, pensando che non appena avessi, se lo avessi fatto,  deciso di farmi viva, avrei pensato a chiamarlo prima di tutte, è sempre stata l’alternativa più semplice.
«Basta Bella, stai peggiorando, guardati! Chissà cosa pensa George vedendoti in questo stato. E’ solo un bambino.»- Borbotta arrabbiata. In questo ultimo mese, non ho visto Alice, se non per farmi passare George dalla cantina, non ho sentito mia mamma per telefono, né Angela. Mi sono chiusa in me stessa, forse sapendo che era il mio ultimo mese di vita, non avrei dovuto reagire così. Ma quando sai che stai morendo, quando sai che le persone che ami stanno per ricevere un dolore da parte tua, come puoi guardarle in faccia? Come puoi guardare tuo figlio negli occhi, sapendo che stai per abbandonarlo? Forse è egoismo, forse ho scelto la via più facile, dopo aver percorso per anni quella più giusta. Forse il mio inconscio lo sa, forse sto per ‘suicidarmi’ per mettere fine al mio dolore, alla mia sofferenza, alla malinconia. Ma mio figlio? Come potrà mai perdonarmi? Una lacrima -ovviamente- solca il mio viso, e mi sento inutile, fragile, troppo triste per essere una buona madre. Forse in tutti questi anni ho solo mentito a me stessa, forse mio figlio ha sempre sentito, visto, la mia tristezza, forse la sua infanzia non sarà un ricordo felice, come ho sempre cercato di fargli vivere. Forse lui si ricorderà di me come una donna triste, come una madre inutile. Ho sempre cercato di apparire felice ai suoi occhi. Anche se da sola, ho sempre provato a crescerlo nel modo migliore che conosco. Ma in fin dei conti non è questo che deve fare una mamma? L’importante non è amarlo? L’importante è essere vicino a lui, l’importante è farlo sorridere, accudirlo, curarlo, sussurrargli parole dolci per farlo addormentare, confortarlo quando piange, dirgli sempre che gli vuoi bene, che lo ami più di qualsiasi altra cosa esista al mondo.
Il problema è che io lo sto abbandonando, sto uscendo drasticamente dalla sua vita. E l’ho deciso io. Ho sempre messo mio figlio al primo posto su tutto, questa volta non ho potuto farlo. Spero solo che lui capisca, che anche se è piccolo, si ricordi di me. Di tutto l’amore che ho sempre cercato di dargli.
Mi alzo dalla sedia, pensando che questa è l’ultima giornata della mia vita. Non è la morte che mi spaventa, dicono che sia più facile che addormentarsi, ho paura di rimanere un ricordo sbiadito nel tempo, nel cuore di tutte le persone che amo e che ho amato, come George, mia mamma, Edward, Alice, Jasper e tante altre persone che mi hanno sempre amata, in tutte le mie sfumature.
«Ci vediamo Kate.»- Sussurro, prima di uscire dalla porta. Mi incammino a casa, per oggi ho finito di lavorare, voglio solo passare il maggior tempo che mi resta con mio figlio. Afferro le chiavi della macchina e mi precipito all’asilo.
«Mammina!»- Urla euforico mio figlio, protendendo le braccia verso di me.
«Amore.»- Sussurro annusando i suoi capelli, mentre dei teneri baci riempiono il mio viso. Cerco di trattenere le lacrime, sperando che dopo la morte potrò davvero vegliare su di lui, come in molti dicono, vorrei che la mia anima fosse eternamente legata alla sua, in modo da stare con lui, sempre, in modo di proteggerlo, curarlo, fare in modo che lui non senta troppo la mia mancanza. Facendogli capire che sì, io sarò sempre con lui, nella vita e nella morte. Come se non me ne fossi andata, non andrò mai via dalla sua vita realmente. In questi ultimi giorni mi sono chiesta com’è dopo la morte. Ho immaginato un uomo con un mantello nero e un’ascia tra le mani, per potarmi in un luogo rapito dalle tenebre, dove c’è tanta gente chiusa dento un castello, quel castello che una volta dentro non potrai mai più uscire. Mi sono immaginata disperata, chiusa dento una bara, mentre tiro pugni e urlo per farmi sentire, ma dato che sarei morta, automaticamente sarei un fantasma, sarei un’anima dannata, e nessuno potrà sentirmi. Ho immaginato un luogo dove il pavimento è fatto della stessa materia della nuvola, che ci fosse Gesù, o comunque Dio, o non so, me li sono immaginata come dei frati, che mi sorridono dandomi il benvenuto, ho immaginato quel luogo, l’ho immaginato senza sensazioni, senza felicità né tristezza, senza Amore né odio, senza tutto, senza niente. Un luogo apatico, indifferente, vuoto di ogni emozione. Poi mi sono immagina davanti ad uno specchio, dove solo io potevo vedermi riflessa, dove nessuno potrebbe vedermi, dove potrei stare vicino alla gente che amo, senza che questi se ne accorga. Scuoto la testa, credendo ancora una volta di stare sbagliando a perdere il mio tempo, almeno quello che mi è rimasto, a pensare queste cose, quando devo stare con mio figlio, solo con lui.
«Che facciamo oggi?»- Chiedo a mio figlio mentre entriamo dentro casa.
«Andiamo da Tia Alice?»- Mi domanda sorridendo.
«No amore, zia Alice non è a casa oggi…»- Mormoro distrattamente prendendo la torta che ho preparato per lui stamattina presto. Lo vedo annuire e taglio una fetta per il mio piccolo.
«Glaffie mamma.»- Dice afferrando il piattino di plastica, si siede sulla sedia e, solo dopo aver sistemato per bene il tovagliolo sul colletto del grembiule, inizia a mangiarla. Lo guardo e mi rendo conto di quanto intelligente sia. Tante volte, guardandolo, mi sono sempre detta: “è possibile che l’abbia fatto io? E’ possibile che sono stata in grado di creare una creatura del genere? Così raro, bello, intelligente, tenero, affettuoso. Mio figlio è il sogno di ogni madre, è quel tipo di bambino che non ti fa disperare, che capisce quando è il momento per chiedere qualcosa, quando può scherzare o deve fare il serio. A soli tre anni io credo che ne dimostri già dieci. Rido tra me, i miei sono solo occhi e mente di una madre innamorata, follemente innamorata del proprio figlio.
«Basta mamma! Ti pleeeego!»- Farfuglia il mio piccoletto tra le risa. Gli sto facendo il solletico, è sempre stato fantastico fargli il solletico, la sua risata è quella canzone che non ti stancheresti mai di ascoltare, è così pura, felice e cristallina che è impossibile non farti contagiare.
«Parola d’ordine?»- Chiedo mentre rido anch’io.
«Ti adoro mammina.»- Sussurra, sempre ridendo. Io mi fermo un attimo. George mi ha sempre detto: “sei Bella”, “Ti voglio bene tantissimo”, “sei dolcissima”, ma mai mi aveva detto “ti adoro” è la prima volta. Una lacrima riga il mio viso, reagisco allo stesso modo di quando ha detto: “mamma” per la prima volta e, a tutte quelle frasi che una mamma è felice di sentirsi dire. Lo abbraccio forte e inizio a piangere.
«Mi mancherai tesoro mio. Tanto tanto amore.»- Alzo gli occhi al cielo, come a voler fare rientrare le lacrime da dove sono uscite, in modo da non farmi vedere così da mio figlio. Voglio che lui mi ricordi sorridente, anche se non lo sono mai stata al cento per cento, ho sempre provato, e credo di essere riuscita –almeno un poco- nel mio tentativo. Il pomeriggio passa in fretta, troppo in fretta per i miei gusti. Abbiamo fatto la maratona di Madagascar, abbiamo giocato con il pongo, disegnato tanto e adesso stiamo cenando. Ho preparato il petto di pollo a fette, con formaggio e prosciutto a mo’ di involtino. E’ il suo piatto preferito, infatti dopo dieci minuti lo finisce, quando io ancora sono a metà.
«Coca-cola?»- Mi chiede entusiasta, indicando il piatto vuoto. Abbiamo una regola: se mangia tutto lasciando il piatto pulito, può bere un bicchiere di cola al giorno, se non lo fa, non può. E adesso, infatti, prendo la coca-cola e ne metto un po’ nei bicchieri di entrambi.
«Bravo amore.»- Sussurro masticando.
«Ehi mamma! Non si fa!»- Dice con la faccia disgustata, io scoppio a ridere e mi protendo verso di lui con le braccia.
«Hai ragione amore, scusami tanto.»- Mormoro, prima di dargli un sonoro bacio sulla fronte. Dopo cena, mi aiuta –come sempre- a sparecchiare, mettiamo assieme le stoviglie sulla lavastoviglie e la facciamo partire, per poi dirigerci in bagno. Si spoglia, mentre io apro l’acqua della vasca e la stempero. Lui si infila nella vasca e lo immergo, iniziamo a giocare con l’acqua fino a quando non sono bagnata al mille per mille. Scoppiamo a ridere, ed è strano, ma nonostante io sappia che questo è l’ultimo giorno che sto con lui, nonostante la paura che un giorno lui potrebbe dimenticarmi, che un giorno potrebbe anche odiarmi per averlo abbandonato: sono felice, sto ridendo di cuore grazie a lui, i miei occhi –sono sicura- adesso hanno una luce diversa, il suono della mia risata è qualcosa di vitale. Scuoto la testa, non so se posso davvero andare fino in fondo, non so se domani andrò da Edward, dove ad aspettarci ci sarà Aro. Forse devo aspettare che lui venga arrestato, che muoia o comunque che in qualche modo possa riuscirmi a liberare di lui. Non posso lasciare mio figlio, forse sono codarda, ma ho una brutta sensazione, come se questo sacrificio: il voler farmi uccidere, non porti a nulla. Chi mi da la garanzia che non uccida Edward dopo essersi liberato di me? E’ un uomo spietato, senza cuore, freddo e cattivo. Questi uomini non dovrebbero stare al mondo, perché se il mondo fa schifo è anche colpa di queste persone, che non gli frega un cazzo della vita altrui, che pensano solo ai soldi, sempre e solamente a quello, per il resto, se una vita o due muore per mano sua, non gliene può importare di meno.
Alzo le coperte e George si infila sotto immediatamente.
«Cota non va mammina?»- Mi chiede triste. Io gli sorrido dolcemente.
«Nulla amore mio.»- Sussurro abbracciandolo forte. Lui annuisce non troppo convinto. Appoggia la testa sul cuscino e mi guarda.
«Cosa c’è amore mio?»- Sussurro abbracciandolo.
«Nulla mammina.»- Sussurra guardandomi furbo. Io mi butto su di lui, inizio a baciare il suo collo e lui inizia a contorcersi, ho capito il furbetto che vuole fare.
«Sai cosa c’è che non va amore mio? A volte dovrei proprio ringraziarti, per avere te, per vivere grazie a te. Perché amore mio, tu hai migliorato la mia vita, senza di te mai avrei potuto sorridere. Grazie amore mio. Sei la mia vita, ti voglio bene sopra ad ogni cosa.»- Mormoro mentre una lacrima passa dalla mia guancia.
«Tai cota c’è che non va mamma? Ho paura di peldelti.»- Mormora triste.
«Ma no amore mio! Cosa sarebbe il mondo senza di me?»- Domando divertita, anche se non è normale che lo sia. Lui scoppia a ridere tranquillizzandosi, ed era quello il mio intento, tenerlo sempre lontano dalle emozioni negative. Ci abbracciamo stretti, inizio a cantargli qualche canzoncina, e dopo avermi dato un bacio carico d’affetto si addormenta tra le mie braccia.
Lo guardo e penso che sì, vale la pena dare la mia vita per lui, per Edward. Loro saranno felici, Edward saprà amarlo e, George, saprà occupare quello spazio che io ho lasciato nel cuore di Edward. Chiudo gli occhi e, nonostante la tensione, nonostante la paura, la tristezza, cullata dal respiro di mio figlio mi addormento.

 

Ancora una volta, fisso l’orizzonte che si para davanti ai miei occhi. C’è un gazebo, bianco sbiadito, forse a causa della pioggia, con un tavolo e due sedie di plastica sotto, anch’essi bianchi ma sbiaditi. Non ci sono macchine, non c’è gente, non ci sono testimoni, proprio come avevo previsto, proprio come Aro vuole che sia. Espiro tutta l’aria che i miei polmoni possiedono e mi guardo attorno. Mancano dieci minuti alle undici, avrei tutto il tempo di mandare all’aria tutto, ma il pensiero di Edward, solo, qui, con Aro, mi rabbrividisce e non poco. Ho paura che dopo avermi uccisa potrebbe ammazzare anche lui. Ma se, in questi pochi anni, ho potuto almeno capire, un poco, il comportamento del furfante, non lo farebbe. Preferisce spiare Edward, vederlo piangere la mia morte, farlo diventare un fantasma, continuare a rovinargli la vita più di quanto abbia fatto fino ad ora. Questo, anche se strano, mi tranquillizza. Una sagoma invade il mio campo visivo, è Edward, ci scommetterei la vita. Un sorriso amaro aleggia sul suo viso, facendomi confondere la mente.
«Ciao.»- Sussurro, cercando di mantenere tranquillo il tono di voce. Lui annuisce e mi guarda, aspettando che io parli. Ma non lo faccio, rimango in silenzio a contemplare il suo viso. Quel viso che ho tanto amato, quel viso di cui ho amato e, amo, ogni singola espressione. E’ qui. Il mio Edward, pronto a perdonarmi, pronto a riprendere da dove abbiamo lasciato, è qui e mi ama, anche se è sbagliato. Perché ogni persona al posto suo avrebbe smesso di farlo. Dovrebbe essere arrabbiato, deluso, ferito, invece no, mi ama. Forse qualche volta ha pensato di aver smesso di amarmi, ma dentro di lui, il suo cuore, la sua anima non mi fanno mettere in dubbio l’amore che ancora nutre nei miei confronti. Vorrei solo averlo chiamato per potergli chiedere di restare con me, con George, per sempre. Dimenticando questi quattro anni, facendo finta che sia stato solo un sogno. Vorrei urlargli “ti amo”, adesso, in questo istante, in ogni istante, per sempre. Ma, interiormente, scuoto la testa e guardo le sue pupille, fissandole, senza mai staccare lo sguardo.
«Forse ti stai chiedendo perché sei qui, perché lo siamo. Perché sono andata via da te, dall’amore. Forse hai pensato che io non ti abbia mai amato abbastanza, ma non è così.»- Sussurro respirando pesantemente.
«Non mi sto chiedendo nulla. Ormai non importa no? L’unica cosa che mi chiedo è perché dopo tutto questo tempo?»- Chiede con una nota dolorosa nella frase finale.
«Non voglio ferirti, ma è giusto che tu sappia la verità. Comincio col dirti che: se fosse stato per me, non ci sarebbe mai stato questo incontro. Se George non fosse mai nato, io non sarei qui, già da un pezzo. Vedi Edward, ho imparato molte cose nel corso della mia breve vita. E’ una di queste, la più importante tra le altre, è quella che non c’è il male senza il bene, che non c’è vita senza la morte, che non c’è felicità senza la tristezza. Mi sono sempre detta: se la mia vita fa schifo, se la mia vita fino ad oggi è stata solo un immensa, immutabile tristezza, prima o poi deve arrivare per me anche il sole, la felicità, prima o poi la mia vita dovrebbe prendere la piega giusta per riuscire a vivere, vivere perché vuoi farlo, non perché sei costretta.»- Dico sospirando, con le lacrime che bussano per uscire dai miei occhi.
«Parli come se fosse arrivata la fine per te.»- Mormora serio, senza smettere un attimo di guardarmi negli occhi.
«La fine per me è arrivata quattro anni fa.»- Dico con la voce tremante. Mi avvicino a lui e prendo la sua mano, insieme ci avviciniamo al tavolo che c’è sotto il gazebo. Gli faccio segno di sedersi e lui lo fa. Lascio la sua mano e rimango in piedi di fronte a lui. Torturo una mano con l’altra e mi preparo, al breve e straziante racconto di cui lui deve essere assolutamente a conoscenza.
«Due minuti prima che tu mi chiamassi, quel lontano 24 Giugno del 2008, ho scoperto di aspettare un bambino. Ero così contenta che rischia di dirtelo anche al telefono. Invece ho preferito aspettarti, mentre andavo in centro a comprare un paio di scarpette –sai come si fa solitamente- e farti capire che sì, saremo diventati genitori. In quelle poche ore che mi è stato concesso di pensare lucidamente: ho immaginato te, mentre accarezzavi il mio pancione che di lì a pochi mesi sarebbe cresciuto, mentre cullavi tuo figlio…appena nato. Poi è successo, tutto troppo in fretta, con un piccolo sotterfugio è arrivato Aro Volturi, il giudice che doveva essere presente lo stesso giorno del processo a Seattle. Non c’era, era venuto da me. Inizialmente pensai che mi avrebbe uccisa, avevo paura, ma era niente confrontata a quello che ho provato rimanendo in vita. Mi ha chiesto di fare occhio per occhio, tu hai contribuito a rovinare la vita a Audost –e quindi a lui- e lui avrebbe rovinato la tua e l’ha fatto, includendo me ovviamente. O mi avrebbe uccisa, lì, facendo finire la mia vita senza troppi preamboli, o avrei dovuto fingere di essere morta ai tuoi occhi e poi sparire. Forse le mie lacrime, forse le mie urla, non so, gli hanno fatto evitare tutto, mi ha detto: sbrigati, ti porto in aeroporto, non appena torni a Los Angeles, non appena lo rintraccerai, lui morirà, lo ucciderò io. Avrei preferito morire mille volte, che passare gli ultimi anni senza di te. Ma l’istinto materno, attivo da appena qualche ora, me lo ha impedito. Non avrei permesso che il mio piccolo morisse prima ancora di nascere, ho deciso di uscire irrimediabilmente dalla tua vita, avrei comunque vissuto con una parte di te per sempre.»- Sussurro, aspettandomi che lui parli o mi faccia un qualsiasi cenno, ma non lo fa. Rimane immobile a guardarmi, eppure avrei scommesso qualsiasi cosa che si sarebbe arrabbiato, ma niente, se non lo conoscessi bene, penserei che non gliene importa un tubo.
«Perché hai deciso di vedermi allora? Perché hai portato George da mia sorella quando sapevi benissimo che io ero qui?»- Mi chiede tranquillamente, anche se sono sicura che non lo è, non lo è per niente, eppure ho sempre invidiato la sua “faccia da poker”.
«Perché volevo che anche tu avessi il privilegio di conoscere tuo figlio…»- Mormoro con un filo di voce, sicura che potrei scoppiare a piangere da un momento all’altro. Mi guardo attorno, ma non c’è ombra di Aro, né di qualcun altro.
«Dopo tre anni dalla sua nascita?»- Sussurra mentre nel suo viso un’espressione di puro dolore compare inesorabilmente.
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto…io…»
«Basta Bella! Basta! Non dire “mi dispiace”. Ho capito che sei stata costretta. E non c’è cosa più grande di questa che mi ha fatto capire l’amore che provi per me. Ho sempre saputo che tu non avresti smesso di amarmi, come non l’ho fatto io. E’ vero siamo stati lontani per quattro anni, ma il nostro sincronismo non ha tenuto lontane le nostre anime. Io ti sono sempre appartenuto Bella, lo sai anche tu. E sapere, che mentre io piangevo di dolore, tu avevi un piccolo esserino che in qualche modo riusciva a farti vivere, è la cosa più bella che potesse mai accaderci. Perché nonostante il tuo dolore, nonostante l’andartene così senza averlo deciso, nel modo peggiore che esiste, tu hai avuto la forza di alzarti e diventare mamma, la mamma di un bambino stupendo. Sono contento che, dopo tutto quello che è successo hai avuto almeno un motivo per sorridere. Non c’è l’ho con te, per quanto irrazionale possa sembrare, io Ti amo, e questo sentimento annullerebbe qualsiasi altro pensiero. Io ti amo Bella, non ho mai smesso nemmeno per un istante di farlo, perciò ti prego, continuiamo il resto della nostra vita insieme, in un modo o in un altro ce la faremo.»- Le sue parole mi danno il colpo di grazia, facendomi scoppiare a piangere, è così sincero, è la verità e, lui mi ama, ancora, nonostante tutto, mi ama davvero. Vorrei davvero fare come mi ha chiesto, non lo immagina nemmeno quanto vorrei, ma non è così semplice.
«Edward io…»- Un suono forte e metallico mi interrompe. E’ uno sparo, qualcuno ha sparato in aria, le gambe iniziano a tremare. Mi chiedo se ho salutato mio figlio nel modo giusto. Chiedendomi per la millesima volta se sono pronta a morire, ma non lo sono, chi lo sarebbe al posto mio? Guardo Edward con gli occhi sgranati, ma lui è tranquillo.
«Hai sentito?»- Gli chiedo, sperando che l’abbia sentito solo io.
«Lo sparo?»- Mi chiede lui a sua volta. Io annuisco e mi guardo attorno, non c’è, non c’è, dove cazzo è? Voglio che abbia il coraggio di guardarmi mentre mi uccide, voglio che mi guardi negli occhi e provi senso di colpa ogni giorno, dopo oggi.
«Edward! Reagisci!»- Urlo disperata, forse pensa che vogliono uccidere lui.
Lui mi guarda e mi sorride.
«Ti amo tanto amore mio.»- Sussurra avvicinandosi a me, prendendo la mia mano e baciandone il palmo. Ricomincio silenziosamente a piangere e mi godo questo piccolo, ma necessario, attimo di felicità. Prima della morte la felicità.
«Bene, bene, bene. Che bel quadretto.»- Dice una voce a me sfortunatamente conosciuta. Aro. Ha la mano in tasca e dopo pochi passi si ferma, è lontano da noi di circa un centinaio di metri.
«Lo sai, mia cara Isabella.»- Mormora, fingendo di dispiacersi. Io annuisco e guardo Edward. Circondo il suo collo con le braccia e lo attiro a me, prendendomi il calore che mi appartiene poco prima di essere sostituito dal freddo della morte.
«Ti amo Edward. Sei la persona più buona e bella del mondo, sei il mio amore, lo sarai sempre amore mio. Non c’è stato attimo in cui non ti abbia pensato, il tuo ricordo è stato uno dei motivi principali per la quale ho continuato a vivere. Ti amo amore mio, e non smetterò mai di farlo, in eterno io ti appartengo.»- Sussurro ad un centimetro dal suo orecchio. Una lacrima solca il suo viso ed io la raccolgo con un bacio pieno di affetto e amore. Mi allontano da lui ma non appena faccio un passo sento il mio braccio paralizzarsi, seguito da un sonoro rumore simile a quello di poco prima. Sento un dolore insopportabile farsi spazio su tutti i miei muscoli. Mi accascio a terra e cerco lo sguardo di Edward, con la poca forza che mi rimane accendo il registratore direttamente dalla stoffa dei jeans.
«Bella! Amore mio, amore mio, no, no.»- Sento i singhiozzi di Edward perforare la mia anima.
«Edward…v..vieni qui.»- Sussurro ormai senza forze. Sento impercettibilmente i suoi passi e il mio campo visivo viene attirato dai suoi magnifici occhi verdi. Le sue mani circondano il mio viso, ma non sento il suo contatto fino in fondo.
«Tutti i giorni ricorda a George quanto l’ho amato, amalo anche per me.»- Sussurro con qualche difficoltà, prendo fiato, cerco di alzare il braccio ma non ci riesco, i muscoli non rispondono ai comandi della mente.
«Ed…Edward. G…guardami.»
«Amore mio. Resisti Bella. Non addormentarti, ti prego.»- Le sue lacrime mi colpiscono come uno schiaffo in pieno viso. Vorrei abbracciarlo forte e cullarlo fin quando i singhiozzi non smettono ti sconquassare la sua anima. Ogni suo singhiozzo è un colpo al cuore.

«Grazie…gr…grazie ai tuoi…o…occhi, grazie…per avermi fatto vedere l’uni…universo.»- Mormoro sentendo a stento la mia voce. Una lacrima di Edward si fonde con le mie, cadendo direttamente all’interno del mio occhio. Poi mi sento cadere nel buio, dove esistono solo gli abissi. Pensando al sorriso di mio figlio mi scappa un sorriso, un vero sorriso, l’ultimo sorriso.

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Capitolo 24
*** Start Again. ***


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Love Save The Pain.

 

Start Again.

 

 

Edward’s Pov.

 

Bianco e nero. Silenzioso. Senza odore, senza essenza. Fino a cinque minuti fa, c’erano due edifici grigi, con qualche sfumatura di nero, il gazebo era bianco, ma bianco ingiallito, c’era l’erba, qualche cespuglietto verde sparso qua e la, c’era il rumore delle auto, che  dall’esterno venivano parcheggiate o partivano per andare via. C’era odore di benzina mischiato a quello del petrolio, c’era odore di pane appena sfornato dalla panetteria dietro gli edifici. Adesso il cielo, il gazebo, il corpo esile e  quasi senza vita di Bella è bianco e nero, senza sfumature né punti indefiniti. Non sento alcun odore, se non quello salato delle mie lacrime. Non c’è niente, c’è solo il mio dolore, moltiplicato per mille. Alzo gli occhi al cielo, una goccia d’acqua piovana cade sulla mia fronte. Gli occhi di Bella sono semi chiusi, non sembra che stia morendo, sembra essere stanca, sembra si stia addormentando. Prendo la sua mano, calda e ne bacio il palmo.
«Resisti amore mio. Resisti, ce la farai, fallo per me, fallo per George.»- Sussurro, scoppiando disperatamente a piangere. Lei non può morire, è inaccettabile. Mi alzo e l’assassino è ancora lì. Con la mano tocco la tasca posteriore dei miei pantaloni, strabuzzo gli occhi, è vuota. Sono sicuro di averci messo la mia pistola, mi guardo attorno, sperando che sia caduta da qualche parte, ma niente è come sparita.
«Jasper!»- Urlo, sperando che ovunque sia riesca a sentirmi. Un schiocco di labbra attira la mia attenzione.
«No, no, no Edward. Non c’è nessuno, è inutile cercare aiuto. E’ morta, lo ha chiesto lei.»- Mormora con un ghigno malefico sul viso. Inizio a correre e lo raggiungo, incurante della pistola che ha tra le mani.
«Sei un figlio di puttana. Sei un stronzo…»- Avrei voluto continuare, se non fosse stato per la sua pistola, che adesso preme prepotente sul mio fianco.
«Non sai giocare Edward.»- Dice scoppiando a ridere. Raccolgo tutta la saliva che il mio esofago possa produrre e gli sputo dritto in faccia. Lui rimane impassibile, guardando nella direzione dove giace il corpo fragile di Bella. Lotto contro il mio istinto per non girarmi e, quindi, vedere ciò che il suo sguardo ha puntato.
«Butta l’arma a terra!»- La voce di Alice fa capolino in mezzo al silenzio.
«Alice! Porta Bella all’ospedale, immediatamente.»- Urlo a mia sorella, senza guardarla. Ma in un battito di ciglia Aro sparisce dal mio campo visivo. Mi giro di scatto e lo vedo chinato sul corpo di Bella. Alice velocemente mi raggiunge e mi abbraccia scoppiando a piangere. Sciolgo l’abbraccio immediatamente e mi avvicino anch’io.
«E’ morta!»- Esclama scoppiando a ridere. Premo due dita sul collo di Bella,  ci sono delle flebili pulsazioni, se ne sta andando.  Un singhiozzo provoca un tremore assurdo al mio petto. Afferro le sue spalle e la stringo a me.
«Non è possibile.»- Sussurro incredulo, vedendo il suo petto immobile.
«No, no, no, no.»- Sussurro senza sosta, cercando in qualche modo di farla riprendere. Schiaffeggio le sue guance ma niente, nessuna reazione, provo con il respiro bocca a bocca, ma niente, non ci riesco. Cerco mentalmente di pregare Dio, o qualsiasi divinità possa esserci davvero. I singhiozzi mi sconquassano il petto, ma non smetto, nemmeno per un secondo e perdere la speranza.
«Ti prego, mio amore, resta, resta qui con me. Non andare via adesso che ti ho ritrovata.-» Sussurro senza sosta, sperando in qualche modo che il suo subconscio possa sentirmi e, darle una qualsiasi forma di energia per far battere il suo cuore. Aro si allontana avvicinandosi a Alice. Uno sparo parte dalla pistola di Alice, ma manca l’obbiettivo. Sgrano gli occhi, quando vedo la stessa arma che, ha ridotto Bella in questo stato, puntata verso mia sorella. Jasper piomba all’improvviso e gli spara sul braccio, facendogli cadere l’arma sull’asfalto. Mi avvicino a lui buttandolo per terra in modo poco gentile e inizio a prenderlo a pugni in faccia.
«Spostati Edward!»- Urla in preda la panico Jasper, con la pistola puntata su di Aro, che si trova sotto di me. Mi allontano ma Jasper non ha il tempo di premere il grilletto che uno sparo finisce dritto nella tempia di Aro. Mi volto verso Alice che sgrana gli occhi e sorride. Non è stata Alice a sparare…
Bella si alza in malo modo e cerca di raggiungerci.
«Bella!»- Esclamo correndole in contro. Lo ha ucciso lei, ecco dov’era la mia pistola. La prendo da sotto le ginocchia e sfrego la mia fronte con la sua. Lei scoppia a piangere stringendo forte il colletto della mia camicia con le dita.
«Ssh, è tutto finito ormai.»- Sussurro cercando di tranquillizzarla. Lei scuote la testa e continua a piangere.
«Ci sono gli altri. Non era solo.»- Mi dice, con molta fatica, e il suono della sua voce mi fa ricordare che le hanno sparato in un braccio. Inizio a correre avviandomi verso la macchina, presa in noleggio dal giorno in cui sono arrivato. Alice e Jasper annuiscono, capendo immediatamente che siamo diretti al pronto soccorso e rimangono lì.
«Edward…»- Sussurra piangendo, è troppo stanca emotivamente, gli ultimi anni, gli ultimi mesi, si stanno dissolvendo in quelle calde lacrime, che adesso camminano lungo la strada del suo viso. Sospiro, rendendomi conto che stavo per perderla, perderla davvero, perderla per sempre. Solo adesso, mi rendo conto, immaginando, il dolore atroce che avrei potuto provare una volta averla presa, una volta averla tra le braccia priva di vita. Solo adesso, che è qui a fianco a me, viva e vegeta, nonostante sia ferita, immagino la mia vita senza di lei. Sapere che era lontana, chissà dove era brutto. Era brutto sapere che lei era da qualche parte senza di me, sola, con qualcun altro, ma comunque senza di me. Ma saperla morta, era peggio di qualsiasi altra cosa. Era guardare gli occhi di mio figlio e vederci dentro lo stesso dolore che io stesso avrei provato, era guardarmi attorno e continuare a vivere con quel suono che sentirei solo con la consapevolezza di lei morta: la solitudine. Scuoto la testa, cercando di pensare solo al presente, è sbagliato piangersi addosso per qualcosa che poteva accadere ma non è accaduto.
«Resisti stiamo arrivando.»- Sussurro girandomi un secondo verso di lei.
Scendo dalla macchina e la prendo da sotto le ginocchia. Arriviamo nell’atrio del pronto soccorso e l’infermiera ci viene immediatamente incontro.
«Che è successo?»- Ci chiede. Bella mi guarda e capisco che devo parlare io.
«E’ stata ferita al braccio da un’arma da fuoco, è successo circa mezz’ora fa.»- Sussurro stringendo più a me Bella. Sospira e strofina il naso sul mio collo, accoccolandosi meglio contro il mio petto.
«Presto, entra alla prima porta a destra, arriverà il medico immediatamente.»- Mormora l’infermiera, indicandomi la porta. Una volta varcata la soglia la posiziono sul lettino.
«Come va?»- Le chiedo preoccupato.
«Potrebbe andare peggio, brucia tanto, ma mi sto abituando.»- Avvicino il viso alla ferita, pare che il proiettile non sia andato proprio in fondo, si riesce a vedere il posteriore di metallo dalla ferita. Ecco perché credevo stesse per morire, il proiettile ha colpito il nervo del braccio, istintivamente è caduta per terra e i sensi l’hanno abbandonata per qualche attimo. Prendo il suo viso tra le mie mani e finalmente le mie labbra toccano le sue. La sua bocca non ha perso la consistenza morbida che ho tanto amato, sono sempre morbide, piacevoli da baciare o solo accarezzare con il polpastrello del dito. Soffia sulle mie labbra e un sorriso nasce spontaneo tra le mie labbra.
«Ti amo Edward. Io…»- Si interrompe scoppiando a piangere, ed io raccolgo ogni lacrima con un bacio.
«Non piangere, ti prego non farlo. Devi sorridere oggi. Ti amo anch’io, tanto quanto il mondo.»- Sussurro appoggiando il mio naso sul suo.
«Non posso vivere senza di te Edward.»- Mormora guardandomi negli occhi.
«Non vivrai mai più senza di me.»- Le dico in una promessa, sicuro che manterrò con tutto il mio cuore.

 

 

«Edward! Ti rendi conto del rischio che avete corso tutti quanti?»- Urla mio padre. Sono venuto a casa di Alice, che mi ha chiamato non appena mio padre è arrivato qui a casa sua. Bella è in ospedale, quando sono andato via la stavano portando nella sua stanza. L’hanno operata, estraendo il proiettile, il medico ha detto che perdere altro tempo sarebbe stato fatale, la ferita era in parte già infetta. Resterà lì qualche giorno, in modo da controllare i valori e la reazione dell’organismo. Mio padre era qui a New York da due giorni, a nostra insaputa.
«Papà, tu non capisci! Bella stava per morire! Avrebbe dato la vita, sarebbe morta, se la fortuna per una volta non era dalla nostra parte!»- Esclamo risoluto.
«Edward. So tutto, abbiamo rintracciato le telefonate, Aro era pedinato da noi da un anno ormai. Bella, un giorno, mi ha raccontato tutto, sperando in qualche modo che io potessi aiutarla. Lei aveva promesso che avrebbe aspettato, che lui fosse morto o arrestato per dirti tutto. Ma tu, testardo come sei non hai voluto farlo, non hai voluto vederlo, hai scelto la strada più ovvia, quella che lui si aspettava.»- Dice parecchio arrabbiato.
«Tu sapevi tutto?»- Sussurro incredulo.
«Tutti sapevamo. L’unico che non poteva eri tu.»- Mormora mio padre cercando di addolcire il tono.
«Qual è il problema allora? Dovresti essere contento che si è sistemato tutto!»
«No Edward. Non quando ho saputo che i miei figli stavano rischiando la vita a mia insaputa!»- Sputa con disperazione.
«Dovevo fare qualcosa Papà. Adesso basta, devo andare da Bella.»- Mi avvio verso la porta ma una sagoma alta poco più di un metro mi fa arrestare di colpo i piedi.
«Edduad!»- Esclama George, saltandomi sul collo.
«Ciao piccolino mio.»- Sussurro, sospirando il profumo dei suoi capelli. Rimaniamo abbracciati per minuti interminabili. Una lacrima di commozione riga il mio viso. Tra le braccia di mio figlio sento di essere forte, di essere speciale, mi sento unico al mondo.
«Devo andare dalla mamma.»- Gli comunico guardandolo negli occhi, dispiaciuto che devo lasciarlo.
«Potto venile con te? Ti plego, ti plego.»- Mormora saltellando. Annuisco e lo porto in cucina.
Mio padre vedendoci sgrana gli occhi. Alice sorride abbracciando Jasper.
«Lui è…»- Si interrompe mio padre deglutendo.
«Si. Lui è mio figlio.»- Annuncio fiero, mio padre si emoziona e si avvicina a noi.
«E’ bellissimo.»- Mormora, dandogli un bacio in fronte.
Esco e con mio figlio mi dirigo all’ospedale.
«Gli metto la mascherina! Deve vedere la madre! In fondo è sola nella stanza.»- Cerco di convincere il medico a farmi entrare in reparto con George.
Il medico dopo mezz’ora annuisce e ridendo entro con mio figlio, dirigendomi nella stanza di Bella. Non appena stiamo per varcare la soglia mi fermo. E’ giusto fargli vedere la madre in questo stato? E’ sdraiata con il lenzuolo che la copre fino al petto, il suo sguardo è rivolto fuori dalla finestra, il suo braccio, quello che non è stato colpito, è pieno di aghi. Forse è sbagliato dargli questa visione ad un bimbo di tre anni.
«Edduad? Entiamo?»- Mi dice tirando la mia camicia. Agisco di istinto e prendendolo in spalla entriamo.
«Mamma! Mammaa!»- Urla correndo verso Bella. Sgrano gli occhi, per paura che dalla felicità possa saltargli addosso e provocarle danni. Ma no, si ferma giusto in tempo e bacia delicatamente la mano della madre. Rimango in disparte, da spettatore. Rimango a guardare quello che in questi anni mi sono perso, il loro rapporto, è la prima volta che li vedo insieme. Bella gli sorride, ma è un sorriso strano, è quel sorriso che mai avevo visto apparire sulle sue labbra. E’ quel sorriso che magnificamente contagia lo sguardo, il corpo, l’anima. E mi rendo conto che la vita di Bella è cambiata in mia assenza. E’ cambiata di colore, di maturità, di amore, di tutto quello che di positivo può darti un figlio. Mi avvicino a loro e mi siedo sulla seggiola a fianco al suo letto.  George si avvicina a me sedendosi sulle mie gambe. Bella ci guarda e sorride.
«Siete belli.»- Mormora ridendo.
«Come stai?»- Le chiedo, non dimenticando il suo stato di salute.
«Fosse per me, tornerei a casa adesso. Ma vogliono tenermi qui ancora un po’.»- Sussurra dispiaciuta.
«Vedrai amore, tornerai a casa presto.»- Sussurro fiero di lei, del suo coraggio, del suo amore, del suo essere così buona e limpida.
«Sei la sua mamma?»- Mi chiede George, indicando Bella. Strabuzzo gli occhi e guardo Bella confuso, mentre lei scoppia a ridere.
«No amore. E’ il mio amore, come te. Per questo mi chiama amore.»- Gli spiega Bella, con tono amorevole.
«Potto chiamallo amole allola?»- Chiede lui alla madre entusiasta, ma non appena Bella scuote la testa i suoi occhi divengono due fessure.
«No, non amore. Papà.»- Sussurra, mentre una lacrima riga il viso ad entrambi.

 

 

Dieci giorni dopo.

Mi sento dentro ad una fiaba, mi sento dentro a qualcosa di grandioso, mi sento dentro a qualcosa di bello. Mi sembra così strana la realtà. Mi ero abituato a vivere giornate tristi, vuote, spente, mi ero abituato all’assenza di Bella nella mia vita. Eppure, nonostante la sua mancanza abbia lasciato un marchio nel mio cuore, sento che adesso sto meglio. Ho un figlio, un figlio che fino a poco tempo fa non sapevo esistesse, un figlio che riempie le mie giornate, spazzando via il dolore, il senso di perdita che ancora prevale nelle mie notti insonni. Eppure, sento che adesso, in questo preciso istante, non ci sia uomo più felice di me, mi sento rinato, messo a lucido, come una macchina appena comprata. Mi sento completo, come se quello che mi è sempre mancato adesso è qui, dentro di me, nella mia vita. Negli ultimi giorni, Bella mi ha chiesto di restare in quella casa dove lei e George hanno vissuto qui a New York, dicendomi che quella è anche casa mia. Ma non la sento parte della mia vita, perché quella casa è stata testimone della nostra distruzione, è stata di compagnia alle lacrime, alla solitudine, alla malinconia di Bella. Non ho intenzione di perderla, non adesso che l’ho ritrovata, non adesso che il mio cuore è tornato intatto, come se nulla fosse successo. Sono in macchina con George, stamane ha chiamato Bella, dicendoci di aver appena avuto tra le mani la lettera di dimissioni. Ho intenzione di ricominciare la nostra vita da oggi, ho intenzione di vivere alla giornata, vivendo come se non ci fosse un domani, godendomi la vita, la felicità e l’amore che solo lei e mio figlio possono darmi. Mi sono chiesto parecchie volte come mai non mi sono reso quasi subito conto che George fosse mio figlio. Adesso, guardandolo mi rendo conto di quanto simile sia a me. E non c’è consapevolezza migliore di sapere che questo piccolo principe, questo corpo fatto di energia e felicità è mio figlio. E poi ti rendi conto dell’amore che un padre nutre per suo figlio, te ne rendi conto solo una volta che l’hai provato. Capisci che è parte di te, che ogni cosa materiale o meno che ti appartiene, non lo fa più di un figlio. C’è il tuo sangue che scorre nelle sue vene, c’è qualche sfumatura del tua carattere che si fa spazio all’interno della sue mente. Capisci che una volta diventato genitore, non c’è alcun lavoro migliore, di quello di insegnare ciò che è giusto ai figli, di insegnargli ad essere sempre forti, educati, sorridenti. Di essere sempre se stessi, di amare, perché non c’è cosa più bella e potente dell’amore.
«Finalmente a casa.»- Sussurra Bella, una volta varcata la soglia di casa sua. Corre sul divano e si butta su di esso. Ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere, felici e spensierati come mai prima d’ora. Siamo noi, Edward e Bella, e sì, siamo destinati a stare insieme in questa vita e in altre, per sempre.

 **
«Dove andiamo?»- Le chiedo, una volta entrati in macchina, non conosco New York, forse alcune strade possono sembrarmi familiari, ma adesso proprio non capisco dove mi sta portando.
«Vedrai.»- Dopo qualche minuto ci fermiamo, parcheggia la macchina, è deserto qui, c’è odore di mare, c’è una grande aiuola, poi nient’altro.
Mi prende per mano e mi trascina in un piccolo sentiero pieno di alberi. Dopo cinquecento metri inizio a vedere una piccola spiaggetta, sembra un posto isolato dall’intera New York, come se fosse un’isola sperduta nel mondo.
C’è silenzio, si sente solo il suono del vento che sfiora le onde del mare, producendo quel rumore che molte persone chiamano tranquillità.
«Questo è il posto dove mi sono sentita a casa.»- Sussurra guardandomi intensamente negli occhi.
«Non hai più bisogno di questo posto. Sono io la tua casa.»- Mormoro non staccando il contatto visivo.
«Ti ho portato qui per un motivo. Dal primo giorno in cui ti ho visto, dal primo giorno che i miei occhi si sono mescolati nei tuoi, ho sempre pensato di aver conosciuto l’universo, attraverso i tuoi occhi, attraverso te. Ho perso mio padre quando ancora ero piccola, non capivo il senso della vita. Credevo che la perdita di mio padre fosse una punizione, credevo che a causa dei miei capricci Dio per punirmi me lo aveva portato via. Sono sempre stata quella persona che piange in silenzio, quella persona che odia vedere la pena negli occhi degli altri. Poi sei arrivato tu e tutto quello che credevo importante è diventato una sciocchezza. Che importava vederti, importava parlarti e tutto era qualcosa di immenso. Quando mi hanno strappato te, la felicità, ho capito. Ho capito che questa è la vita, che la vita stessa mi ha fatto perdere mio padre per sempre. Mi ha fatto perdere te, ma mi ha dato George, l’unico motivo per cui ho continuato ad amare, l’unico motivo per cui io stessa mi sono detta: “la vita non è perfetta, sono le persone che ci circondano a renderla bella”. Io Ti amo Edward. Ti amo in un modo che nemmeno i libri mi hanno insegnato. Ti amo perché sento che amarti è la cosa più giusta che io possa fare. Ti amo perché il solo dirti “Ti amo” mi rende felice. Ti amo perché sei ancora qui, perché hai avuto fiducia in me, sempre, nonostante tutto. Ti amo Edward, ti amo così tanto che morirei per te. Perciò Edward devi farmi una promessa, che manterrò anch’io.»- Sussurra piangendo. Il mio cuore manca di un battito ad ogni “ti amo” da lei sussurrato. Annuisco e sento i miei occhi lucidi, lucidi di felicità, cosa che mai era accaduta.
«Promettimi di stare con me sempre, di non abbandonarmi come io ho fatto con te. Di parlarne insieme se c’è qualche problema. Voglio amarti Edward, voglio farlo in eterno, perché ho capito che qualsiasi cosa accada io non smetterò mai di amarti. Lasciami vivere la mia vita insieme a te, sempre, per sempre.»- Sussurra. Accorcio le distanze, facendo diventare le nostre labbra una cosa sola. I respiri si infrangono, le mura della malinconia si distruggono, lasciando spazio all’entusiasmo, alla felicità. Sono felice, nonostante la mia vita fino ad oggi è stata in parte una totale sofferenza, nonostante soffriremo sempre, voglio soffrire con lei, voglio che il mio dolore diventi il suo e viceversa. Voglio che lei sia con me, perché l’amore è invincibile, perché l’amore è quell’essenza positiva più forte di ogni emozione. Accarezzo i suoi capelli, insieme accarezziamo la realtà, la viviamo, la percorriamo, insieme. Insieme ricominciamo.
«Sposami amore mio.»

 

 

 

Taaaadaaan. Okay, lo so che fa schifo, ma dovete capire che sono abituata ai capitoli tristi, quindi :p Il capitolo è interamente dedicato a tutte, so che vi ho fatto penare, ma ne è valsa la pena? Fatemi sapere. Un dedica speciale va a Aiami, senza di lei non credo ce l’avrei fatta, quindi è giusto, e poi lei dal primo momento voleva questo capitolo. Grazie. Ti voglio bene.
Siete contente? BELLA E’ VIVA YEAH. Non sono così sadica, non potevo farla morire davvero!
Volevo avvisarvi che dopo questo ci sarà un altro capitolo e poi l’epilogo.
Un bacio.

Roby.

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Capitolo 25
*** It's My Life. ***


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Love Save The Pain.

 

It’s My Life.

 

 

 

 

Bella’s Pov.

 

Finalmente, dopo quattro lunghissimi, interminabili, dolorosi anni, sento l’odore dell’amore. Per la prima volta in vita mia, sento quello della felicità. L’odore di lenzuola fresche d’estate, l’odore del pane tostato con la sottiletta sciolta all’interno, l’odore dei vestiti sporchi di George, che sporchi non è proprio la definizione adatta. Quegli odori che ti entrano dentro, per poi diventare sapori, intensi e piacevolmente nostri. Quelli che ci appartengono, ci cambiano l’umore, ci migliorano la vita. La mia vita, oggi, in questo istante è migliorata. Ho Edward, ho un figlio che amo, ho la mia vita, la vita che sto decidendo io di vivere, quella vita dove nessuno mi ha imposto nulla, quella vita che io sono fiera di avere, di essere la mia vita.
«Ti sposerò Edward. E non ci sarà cosa migliore di questa.»- Sussurro, senza piangere, sorridendogli come mai avevo fatto in vita mia. Forse è stato stupido pensarlo, credevo che Edward l’avevo perso per sempre, che qualsiasi cosa fosse accaduta lui non mi avrebbe creduto o, cosa peggiore, mi avrebbe dimenticata. Non so come sarebbe stato questo giorno se così fosse stato, ma che senso ha pensarci adesso? Adesso che ho finalmente la vita che ho sempre sognato, adesso che ho persone da amare che mi circondano, quelle persone che so per certa non mi abbandoneranno mai, quelle che ci sono sempre state fino ad oggi. Ed Edward c’è stato, anche se nessuno dei due aveva notizie dell’altro, anche se entrambi abbiamo pensato che mai avremmo potuto più amarci, nell’anima dell’uno c’era l’altro. L’unica persona che mi è entrata nell’anima, facendola cambiare di colore, è lui. Quella persona che, dentro di me, ho sempre saputo: ci sarebbe stata. Sono grata ad Edward, per essere così…lui, così dolce, così tanto simile a me, per amarmi nonostante non è facile farlo con me. Lui ci sarà sempre, ed io voglio sposarlo, perché così facendo non ci sarà scelta migliore, giusta, facile, di questa. Questa è la mia vita, in una nostra casa, con Edward, con la fede nuziale al dito, con i suoi baci che colorano la mia giornata, con il sorriso di mio figlio, quando litigheremo per poi fare pace nel nostro mare d’amore, dove siamo naufraghi.
Abbraccio Edward, senza parlare, senza fiatare, ma facendogli ugualmente capire il mio ringraziamento, e per una volta mi sento fortunata, per essere rimasta viva, per essere qui accanto all’uomo che amo e che ho sempre amato, per poter vivere la crescita di mio figlio, per poter finalmente essere libera di fare ciò che voglio della mia vita. Senza più paura, senza più freni, senza supposizioni, senza chiedermi il perché. Sospiro felice sulla spalla del mio futuro marito e mi godo quel senso di tranquillità che mai e poi mai avrei creduto potesse impossessarsi di me, della mia anima.
«Mi sei mancato tanto amore mio.»- Sussurro in un sospiro felice. Lui annuisce e prendendo il  mio mento tra le sua grandi mani incastra il suo sguardo nel mio.
«Io. Ti. Amo.»- Sibilla prima di confondere i miei sensi, trasportandomi in un bacio passionale, trasportandomi nel nostro mondo, quel mondo che avevo creduto perso per sempre, ma che adesso mi ha risucchiata per non lasciarmi andare mai più, e son alquanto felice, entusiasta di questo. Non capisco più nulla, presa dalle forti emozioni che solo il mio uomo riesce a regalarmi, fin quando la mia schiena nuda – a causa della camicetta sollevata- tocca la sabbia calda a causa del sole che picchia forte in noi, in questo posto meraviglioso. La sua bocca si stacca dalla mia e riprendendo a respirare, le nostri fronti si incastonano, si fondono, come le nostre anime, come il nostro amore, come il nostro destino.
«Fermami.»- Sussurra ansante sfiorando il mio naso col suo.
«Non voglio farlo.»- Mormoro prima di capovolgere i nostri corpi e trovandomi a cavalcioni su di lui. Sfilo la camicetta del tutto, sganciando i gancetti del piccolo reggiseno, lui chiude gli occhi per pochi istanti, facendomi sorridere, estasiata del mio effetto su di lui, anche dopo tutto questo tempo. Le sue mani, come se fossero delle calamite, si attaccano ai miei seni, come se fossero il polo principale. Butto la testa all’indietro, godendomi queste magnifiche sensazione, agogniate per troppo, infinito tempo. Si mette seduto, dandomi la magnifica visione dei suoi occhi, ormai liquidi dalla forza della passione, e mi ci perdo dentro per un tempo abbastanza lungo. Ed eccolo lì, il mio universo personale, quello che tutti quanti bramiamo con tutti noi stessi, quel piccolo pezzo di luogo dove noi stessi siamo lo specchio dell’anima della persona che amiamo, dove puoi sorridere, piangere, amare, disprezzare, dove puoi pensare ciò che vuoi, perché nessuno verrà a dirti che è giusto o sbagliato. Quel posto che molti di noi credono sia il paradiso, io non ho un paradiso, non ho un luogo dove esiste solo la felicità. Io ho Edward. I suoi occhi. Il mio universo. Quello dove voglio vivere, quello dove voglio passare i miei giorni fino all’ultimo dei miei giorni.
Senza neanche rendermene conto siamo entrambi completamente nudi, la sua bocca ormai attaccata, come una sanguisuga, su un mio seno mi manda fuori di testa. Facendomi vedere macchie colorate all’altezza dove cerco di guardare il sole. Il suo respiro sulla mia pelle è qualcosa di assolutamente unico e eccezionale.
Sospiro, prendendo tra le mani piccoli pezzi della sua chioma ribelle, invitandolo ancora di più a continuare la sua lenta, dolce, assolutamente necessaria, tortura. Cerco di respirare annaspando, e se anche i polmoni bruciano non mi sono sentita mai meglio di così. Quel vaso rotto che una volta è caduto in mille pezzi è adesso al suo posto, più bello di come era originariamente. Quell’anima che per molti anni è rimasta grigia, buia e fredda adesso ha il sole che la circonda, hai i colori, quelli dell’arcobaleno, anche lei, finalmente, sta bene.
I nostri corpi si muovono all’unisono, bramando un contatto più profondo. Riesco a sentire l’intrusione delle sue dita dentro di me, riesco a percepire il tocco delicato della mia mano sul suo membro, e mai mi è sembrata cosa più dolce, quella di noi uniti, in un limbo che da malinconico, grazie all’amore, grazie al nostro “essere simili”, si è trasformato in un limbo pieno di felicità e armonia. Stiamo bene con noi stessi perché al nostro fianco c’è l’altro. Non appena il suo membro varca la mia entrata un urletto molto più che soddisfatto lascia le mie labbra. E sono questi i momenti speciali della vita, quando fai qualcosa e sei sicuro che non c’è cosa più giusta che potessi mai fare, quando sorridi perché è spontaneo, naturale farlo, quando piangi senza rendertene conto, di commozione o di nostalgia di qualcosa di profondo.
I miei fianchi si muovono dettati dal ritmo delle sue mani ancorati a essi. Il mio viso, un misto tra emozione e passione, pulsa. Le mie orecchie sono bollenti, e mi ricordo, ricordo quelle notti in cui mi è mancato tutto questo. Le sue mani su di me, il suo corpo che si muove sotto il mio, il suo respiro caldo che sfiora la mia pelle candida, le sue parole dolci sussurrate nel momento in cui i nostri corpi diventano una cosa sola. Sì, è questo che voglio dalla vita, questo è il mio ideale di vita, è la mia vita, quella vita che ho sempre sognato di vivere.

 

«Amore mio.»- Sussurro afferrando George che mi viene in contro.
«Dov’è il mio Papà?»- Mi domanda corrucciando la fronte. Io scoppio a ridere e non c’è cosa migliore, nel sentire la dolce e flebile voce di mio figlio che sussurra “Papà”. Mi ero sempre immaginata come sarebbe stato il rapporto tra Edward e George, avevo creato delle immagini tutte mie, che mi facevano sorridere e, sinceramente, mi facevano sentire un po’ in colpa. Ma mai avrei potuto lontanamente immaginare come sono nella realtà. Sono entrambi l’altra parte della mela, sono entrambi la persona di cui ha bisogno l’altro, sono entrambi il sorriso che aleggia nella bocca dell’altro. Questa è la mia vita, queste sono le persone che amo. Questa è la mia famiglia.
«Papà!»- Urla George saltando in braccio ad Edward.
«Il mio campione!»- Mormora lui felice, vederlo così riempie il mio cuore di gioia, una gioia che non avevo mai provato prima, una gioia che accarezza il mio cuore.
«E’ bello no?»- Mi chiede Alice abbracciandomi affettuosamente, finalmente anche la sua vita è migliorata. Non avrebbe dovuto essere così per lei, non per un esterna comunque, ma è come se il mio dolore si fosse impossessato anche del suo cuore, vedere me, vedere suo fratello, vedere George le ha sempre scaturito una malinconia che pochi avrebbero provato al suo posto. E le sono grata, per avermi accolto, aiutata nel periodo più difficile e doloroso della mia vita, già la mia vita, le devo la mia vita.
«Vederli assieme. Vedere quella luce negli occhi di Edward, guardarli insieme e pensare “non c’è cosa migliore al mondo”.»- Sussurra mentre io annuisco con vigore.
«Non ti ho mai ringraziata abbastanza, Alice.»- Sussurro con i lacrimoni che bussano per uscire dagli occhi.
«Non l’ho mai fatto nemmeno io.»- Dice facendomi scoppiare a piangere e imitandomi.
«Ti voglio bene.»- Sussurriamo all’unisono, aggiungendo una risata alle lacrime. Carlisle si avvicina a me, e mi sembra assurdo vederlo ed essere felice anche per questo. E’ rimasto sempre uguale, ma in fondo sono solo passati quattro anni, anche se per la mia mente ne sono passati cinquanta. Sospiro, scuotendo la testa, sicura che mai potrò dimenticare quegli anni, quel dolore che mai avrei potuto credere in vita mia di provare. Il dolore è ormai parte di noi, è rimasto incastonato nelle nostre anime, nelle vene scorre dolore, anche se è un filamento, anche se è poco adesso che siamo insieme, resterà in noi per sempre. Come il ricordo dei nostri cari, mio padre, George, resterà sempre un ricordo doloroso, ma è l’unica cosa che ci permette di farli vivere nelle nostre anime. L’amore è riuscito a diminuire quel filo spesso che era il dolore, non è riuscito ad annientarlo del tutto, ma ci si può convivere adesso, possiamo pensare al nostro futuro, ricordando sempre quegli anni ma andando avanti col tempo, col sorriso di chi ama, col sorriso di chi è genitore e deve andare avanti per poter far vivere al meglio il proprio figlio. Perché ho capito che c’è un motivo non ovvio per cui esiste l’amore. L’amore esiste per farci vivere, l’amore è quell’onnipotenza che distrugge tutto, come il dolore, il dolore ci distrugge, ci limita la vita, ci annienta, ma non può distruggere un amore. L’amore ci annienta, ci distrugge, ci fa volare ad un altezza impossibile, ci annebbia la mente, ma non può distruggere il dolore. L’unica differenza tra dolore e amore è quella che il dolore molte volte ci rende fantasmi di noi stessi, l’amore è quel motivo per continuare a vivere nonostante tutto, perché se ami hai qualcosa di importante per cui lottare.
«Grazie Bella. Grazie per essere stata così coraggiosa.»- Sussurra Carlisle, abbracciandomi.
«Non sono stata coraggiosa. Sono solamente una donna innamorata.»- Mormoro fiera di me stessa, per essere così innamorata.

 

 

Due settimane dopo.

Siamo a Los Angeles. Non so se voglio tornare a vivere qui, non so nemmeno se tra qualche anno sentirei la mancanza di questo posto. So solo che questo posto mi ha causato parte della mia sofferenza, ma mi ha regalato anche Edward. Sospiro pensando a quanto vorrei tornare a casa mia, ammirare le foto appese alla parete, l’odore di mio padre ancora impregnato lì dentro, ai ricordi, di lui seduto sul grande divano che mi guardava mentre ballavo davanti ai cartoni animati. Si, mi mancherà questo posto, ma non sono sicura di voler passare il resto della mia vita intrappolata in un posto che non sento più mio, in una città dove mi ricorderà tantissimo la mia infanzia, ma non nella mia casa, l’unico posto, l’unico rifugio dove mi sentivo me stessa. L’altra parte del mio universo.
«Ehi ma che fai?»- Domando confusa, mentre Edward ,arrivati in città, mi benda gli occhi.
«Una sorpresa per la mia futura moglie.»- Mormora con un tono di voce dolcissimo. Sorrido, prendendo la manina paffuta di George tra le mie. Ho Edward, ho mio figlio cosa dovrei volere di più di questo?
Edward, George ed io abbiamo preso l’aereo. Non appena Edward mi ha avvisata che saremo andati con quel mezzo di trasporto, dire che sono rimasta sorpresa è un eufemismo bello e buono, certo, ma sapevo dentro di me, che lui ci sarebbe riuscito. Sono così fiera di lui, del suo essere così dolce, forte, del suo essere sincero sempre, qualsiasi cosa accada. Mi ha promesso che finché il nostro amore vivrà nessuno potrà mai più separarci, anche a costo di morire insieme. E’ una promessa che convalida il nostro futuro matrimonio al mille per mille.
Il motore dell’auto si spegne. Sento la portiera di Edward aprirsi e poi la  mia. Le sua mani sciolgono abilmente la benda e mi ritrovo a stringere gli occhi per il sole.
«Et voilà.»- Sussurra sorridendomi. Apro gli occhi, siamo a casa mia. Mi giro dando le spalle a quella che una volta era la mia casa. Sospiro, sicura che non voglio, non posso entrare lì dentro. Non posso sopportare di vedere quel luogo freddo e ormai spoglio, sarebbe una delusione grande.
«Non vuoi vederla?»- Mi chiede confuso. Io scuoto la testa e una lacrima si scioglie sul mio viso. Edward mi abbraccia, sotto gli occhietti confusi di George e involontariamente il mio sguardo si sposta sulla piccola spiaggetta. E’ sempre uguale, vuota, deserta da quel giorno. Un sorriso amaro circonda la mia bocca, il posto spettatore più di tutti del mio eterno dolore. La mano di Edward accarezza dolcemente la mia schiena, come a volermi confortate, e circondata nel suo abbraccio, con le narici che odorano di lui, della sua essenza, ci riesce.
Sciolgo l’abbraccio e sempre senza incontrare con gli occhi casa mia, mi dirigo in spiaggia.
«Ciao Papà. Sono tornata. Anche se credo che c’eri anche tu con me a New York.»- Dico in un sospiro. Apro la mia piccola borsetta e prendo le lettere, che, sono sicura, saranno più di duecento, e li butto in mare.
«In ogni caso, qui c’è ogni mio singola emozione a te raccontata. Ti voglio bene Papà, sempre, per sempre. Sto per sposarmi, vorrei tano che mi accompagnassi tu all’altare, vorrei vedere il tuo sorriso quel giorno, quello sguardo quando mi dicevi “sono fiero di te”, “sei la mia piccola Bells”. Tu non sei morto Papà, non lo sarai mai, non almeno nel mio cuore, non nel cuore delle persone che hanno avuto il privilegio di conoscerti. Resterai in me, per sempre, ogni singolo istante, la mia vita sarebbe un immenso orrore se tu non fossi dentro di me, immortale nel mio cuore, ti amo Papà, sotto ogni forma di quella parola che si definisce amore. Non potrò mai non pensarti, non potrò mai dimenticarti, perché è impossibile.»- Mormoro, con le lacrime che scendono incontrollabilmente dai miei occhi. Mi alzo e mi avvicino, dove ci sono Edward e George abbracciati che mi guardano. Asciugo le lacrime velocemente e sorrido ai miei uomini. Con passa deciso varco la soglia di casa mia.
Un sorriso spontaneo nasce sulle mie labbra. E’ sempre la stessa. C’è odore del detersivo per pavimenti alla lavanda, c’è l’odore di salsedine, quell’odore che mio padre aveva sempre addosso. Ci sono le sue ciabatte, sempre lì, sotto al tavolino dove sopra c’è il televisore. E’ sempre uguale, non c’è nulla di diverso. Non è triste come avevo immaginato, non lo è anche perché su tutta la parete ci sono le foto di me e mio padre che sorridiamo. E sapere che lui mi amava, vedere con i miei stessi occhi queste foto, mi rende felice sotto ogni punto di vista. Mi avvicino alla cassetta delle lettere e ne rimango sorpresa. Sotto la cassetta c’è una targhetta dorata. “Isabella Swan, Edward Cullen”. Mi giro, trovando Edward alle mie spalle e avvicino ancora di più a lui.
«Che significa questo?»- Gli chiedo, non potendo trattenere l’entusiasmo che prende vita nella mia voce.
«Questa è ancora casa tua. Casa nostra, se vorrai. Voglio vivere con te, per sempre, nel tuo paradiso, nel tuo universo, in un mondo dove sono sicuro tu possa essere felice di farlo.»- Mormora dolcemente.
«Mi basti tu per quello.»
«I dettagli non si devono mettere da parte però.»- Mormora, ma non fa in tempo a finire che le mie labbra si incollano alle sue. E’ la mia vita. Abbraccio forte George, che entusiasta gira la casa, casa nostra.
«Ti piace amore?»- Gli chiedo accarezzandogli la testa.
«Ti mammina! E’ bellittima cata notta.»- Dice urlando, iniziando a correre per i corridoi. Abbraccio Edward trascinandolo sul divano, rimaniamo abbracciati, a guardare nostro figlio che gioca, felice, e noi lo siamo per lui, per noi stessi, per quella vita che vogliamo cominciare a vivere da subito.

 

Un anno dopo.

«Calma Bella!»- Esclama disperata Alice. Siamo nel grande salotto di casa nostra. Edward è a villa Cullen. Oggi è il grande giorno, e non mi sono mai sentita così nervosa. Insomma, il vestito è okay, ma non sono sicura se posso essere davvero all’altezza di Edward.
«Sto per sposarmi Alice! Non dirmi calma!»- Dico scoppiando a piangere. Sicura che dopo questo ennesimo pianto, devono rifarmi il trucco.
«Bells. Sei in ritardo di cinque minuti già. Se continui così non ti sposi.»- Mormora, spuntando dal nulla Jake. Gli sorrido, contenta di vederlo qui. Nel corso di quest’ultimo anno ci siamo incontrati, raccontandoci tutto quello che ci era successo. Lui si è sposato con Jason, l’uomo della sua vita, un ragazzo molto simpatico. Mi aveva avvisata qualche mese fa, che non sarebbe potuto venire il giorno del mio matrimonio, ma invece eccolo qui. Corre ad abbracciarmi, sotto lo sguardo infuriato di Alice, chissà cosa succederebbe se la mia acconciatura di sciogliesse.
«Ti voglio bene Jake.»
«Te ne voglio anch’io Bella, ma te ne vorrò di più se ti sbrighi.»- Dice ridendo, non contagiandomi però questa volta.
«Senti Bella, so cosa stai pensando, cosa sta aspettando. Hai paura. Paura di fallire nel tuo tentativo di moglie di Edward. Paura di non essere alla sua altezza, paura di oggi, del immensità che è il matrimonio stesso. Ma è sciocco sai? E’ sciocco perché hai passato gli ultimi anni in modo assoluto. In un modo che nessuno forse sarebbe riuscito. E dopo tutto quello che è successo, non ti sembra stupido aver paura di un matrimonio? Ami Edward?»- Mi domanda guardandomi negli occhi.
«Più della mia stessa vita.»
«Allora puoi affrontare tutto. Soprattutto questa cosa; il matrimonio.»- Detto questo gira i tacchi ed esce di casa. Mi guardo allo specchio e annuisco a me stessa, pensando “posso, devo farcela”. Mi sistemo il ciuffo, che Alice ha sistemato lateralmente, ha alzato la chioma in un piccolo chignon intrecciato, le ho chiesto di fare qualcosa di semplice, le ho chiesto questo perché Edward si è innamorato della mia semplicità. Il vestito è lungo, con uno strascico che io definisco kilometrico. E’ bianco, la parte del seno è stretta, ci sono dei piccoli ghirigori in pizzo fine, il resto è di seta. Senza maniche. Il velo fa da ramo ad una grossa rosa bianca, che luccica al sole. Il trucco è semplice, l’occhio è contornato dalla matita e da un ombretto argentato, il rossetto è rosso, ma non troppo acceso, non sembra neanche rossetto, è più un lip-gloss.
«Dai Alice. Andiamo.»- Mormoro alzandomi. Lei batte le mani entusiasta e mi segue, in quanto testimone di nozze. Insieme a Jasper, mia madre e Carl.
«Prego Signora Cullen.»- Mormora divertito Jasper aprendomi la portiera.

 «Sei bellissima Bella.»- Mormora Jasper, colui che mi accompagnerà all’altare.
«Ti voglio bene Jasper.»- E sospirando cominciamo a camminare mentre la marcia nuziale accompagna i nostri passi. Ci sono tutti, la famiglia di Edward al completo, la mia, i miei nonni in miei zii. George è davanti a noi che sorride a tutti, portando in mano un cuscinetto con le fedi nuziali. Incontro lo sguardo di mia madre emozionato, le sorrido e lei mi soffia un bacio dolcemente. Edward mi sorride, con gli occhi che luccicano di emozione. Sbatto le palpebre più del dovuto, in modo da non far uscire le lacrime. Non appena la mia mano tocca quella calda di Edward sospiro, felice di non aver dato spettacolo cadendo.

Il parroco inizia a recitare la messa, e senza smettere di guardarci negli occhi, io e Edward recitiamo il giuramento, mettendo la fedo l’uno nell’anulare sinistro dell’altro. Dicono che non si può definire il giorno migliore della nostra vita, ed è così per davvero. Fino all’ultimo dei nostri giorni, scopriremo cose nuove, vivremo emozioni diverse, impareremo miliardi di altre cose. Questo non sarà il giorno migliore della mia vita, quel giorno è tutti i giorni, accanto ad Edward tutto è il meglio del meglio, tutto è felicità e amore. E’ la mia vita. E sono felice di poterla vivere in questo modo, con determinate persone al mio fianco.

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Capitolo 26
*** ∞ // Epilogo. ***


Love Save the Pain.

 

  //Epilogo

 

 

 

 

 

Dopo essersi sposati, Edward e Bella, passarono la loro prima notte di nozze nell’albergo spettatore della loro prima volta quel luogo dove, dopotutto, entrambi avevano capito di amarsi. Quel luogo dove indirettamente si giurarono amore eterno. Negli anni che seguirono non ci fu l’ovvio: “e vissero per sempre felici e contenti”. Il dolore era sempre quel mare, dove la loro anima galleggiava. L’unica differenza, il fatto di amarsi, essere insieme nonostante tutto, era la differenza che gli permetteva di vivere come volevano. L’amarsi era quello per cui erano nati. Ogni persona del mondo, giornalmente prova il dolore della perdita, c’è chi prima c’è chi dopo, ma mai nessuno ha fatto finire la propria vita per quello, per quel senso di perdita che ci distrugge, ci annulla l’anima, il senso della vita. Ogni persona si alza andando avanti, e loro lo hanno fatto. Insieme si sono alzati, distruggendo la malinconia, dando vita alla felicità, all’amore infinito di cui entrambi non possono fare a meno. Questa è la vita, questa è la realtà, la gente nasce, la gente muore, la gente ci abbandona, la gente ci ama, la gente ci odia. Vivranno sempre con le loro tipiche domande: “Perché così presto”, “Perché a me?”. Ma non per questo hanno deciso di lasciarsi andare al dolore, di lasciare che la loro anima fosse portata dagli abissi dove il dolore è il sentimento predominante. Hanno trovato l’amore, l’amore che in sé ha salvato quel dolore. Perché quel dolore è la consapevolezza che le persone che perdiamo vivono in noi, sentendo il profumo della loro perdita, ci fanno capire che sono qui, nel nostro cuore, nella nostra anima.
Edward e Bella adesso sono un  uomo e una donna. Edward e Bella adesso sono felici. Edward e Bella adesso sono debitori alla vita, per aver trovato quello che stavano cercando nell’altro. Quegli Edward e Bella che credevano fosse impossibile amarsi in questa vita, adesso lo fanno, irrazionalmente, infinitamente, felicemente si amano, in questa vita. Questa vita che crudelmente li ha fatti crescere, facendoli rinforzare giorno per giorno, questa vita che li ha ripagati facendoli ritrovare, facendogli pensare: “ Siamo fatto l’una per l’altro.”

C’è che dice che l’anima gemella non esiste, loro l’hanno trovata. Vivono in quella che una volta era casa Swan. Edward non ha mai smesso di passare i suoi Venerdì con George, Bella non ha mai smesso di passare l’ora di pranzo con il padre. Il piccolo George, ormai un ragazzo di quasi quindici anni è felice. E’ felice perché  amato dai suoi genitori, è felice di aver avuto la fortuna di essere figlio di una coppia che ogni giorno si dimostra amore reciproco, donandolo anche a lui, il loro piccolo principe.
Reneè e Carl si sono sposati dopo qualche anno, vivono in centro, in una piccola casetta. Reneè è felice, ma per quanto possa esserlo, per quanto abbia trovato la felicità in Carl, mai un giorno smetteva di pensare al suo primo amor
e.
Quel giorno Edward e Bella, sentendo che il figlio si era innamorato per la prima volta, decisero di raccontare una storia al figlio, consapevoli che prima o poi dovevano farlo.
Raccontarono, una storia dove predominava la malinconia, il dolore, quel dolore che ti fa a pezzi senza che tu sia stato colpito. Una storia che parla dell’irrazionalità, una storia che parla dell’infinito. Raccontarono la loro storia al figlio, ma non facendogli credere ad un semplice storia d’amore. Raccontarono  una storia che parla dell’amore.

 

 

The end.

 

 

 

Ed eccoci alla fine. Chi mi conosce, sa cosa significa per me cliccare su “completa”. Mi sento come se…non lo so, avete presente quando guardate un film malinconico e poi vi rimane quel senso dentro? Quella voglia inspiegabile di piangere? Ecco come mi sento.
Questa storia è parte della mia vita, nel vero senso della parola. Credo che non riuscirò mai più a scrivere come ho fatto con questa. Mi svegliavo la notte, quando sognavo qualcosa che mi emozionasse per scrivere un pezzetto. Mentre mangiavo mi appuntavo sul cellulare dei pezzi da scrivere. Ho chiuso gli occhi immaginando i miei personaggi e facendoli agire come in un film. Mi sono immedesimata troppo in loro, ma ne sono felice. Felice perché voi siete stati con me, mi avete supportata, tutte quante, ed io davvero vorrei fare qualcosa, qualsiasi cosa per ringraziare tutte.
Grazie per esserci state. Per avermi detto i vostri pareri. Per aver seguito, preferito, ricordato questa storia. Le recensioni, tutte quante mi hanno emozionata, mi hanno fatta sorridere mi hanno resa fiera di questa storia.
Non ci saranno Extra o OS varie, la storia è finita qui, in questo modo. Scriverla, qualche volta, ha fatto male anche a me.
Se volete continuare a leggere qualcosa di mio, ho iniziato una nuova storia, molto diversa da questa, la trovate qui:
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1832310&i=1

A Lu, Gra, Ami e Giu.

Grazie di cuore, senza di voi non ce l’avrei mai fatta.

Un bacione.

Roby

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