Torbidi.

di Peter The Sloth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. 18 luglio 1610. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II. ***



Capitolo 1
*** Prologo. 18 luglio 1610. ***


Torbidi.

Prologo.
18 luglio 1610.

 
-Scappate, Vatslav!
Non l’avevo mai sentito chiamarmi per nome. Rimango attonito a guardare quell’uomo, quello scricciolo, intento a gridarmi. Non grida per il dolore mentre i polacchi conficcano chiodi nella sua carne: mi grida di scappare.
Rimango a guardarlo immobile mentre le sue mani si chiudono in dei pugni serrati mentre i polacchi iniziano ad accorgersi che non sono soli nel giardino. Alcuni di loro iniziano a cercarmi, annusando e scrutando nei cespugli, a seguire per capire dove sono lo sguardo di Miron, che però non è altro che una maschera di dolore. Ma quei piccoli vermi, quei polacchi di merda, a confronto con il Saggio Miron, non sono nulla.
 -Scappate! Andate via, qui s’è perso tutto!-, ripete. Tremante, esco da dietro il muretto, mi alzo e mi volto. Corro senza girarmi per i duecento metri di giardino che mi dividono dall’uscita più vicina. Arrivato al cancello, mi giro. Una volta solamente, e quella volta mi è sufficiente per vedere la spada di un polacco, probabilmente uno dei capi, entrare in mezzo alle scapole di Miron ed uscire dalla parte opposta del suo busto.
 
Qualche mese dopo.
 
Il cavallo è stanco. Io anche. Scendo dalla sella. Il cavallo rifiata.
Sdraiato per terra, sento i miei polmoni espandersi e cercare di cacciar via dal mio corpo stremato l’ansia, la paura, l’incertezza.
Quelli dei miei polmoni sono sforzi vani.
Sete. Cerco di raggiungere la bisaccia dove tengo l’acqua piovana e di fiume che ho trovato. Faccio fatica a mandar giù il liquido per il grumo che ho in gola. Bocca impastata. Sputo.
Non dormo da più di quarantott’ore. Gli occhi mi si chiudono da soli e a stento riesco ad aprirli di nuovo. Ma non ho tempo di dormire a lungo. Non posso permettermelo.
Da quando i polacchi sono entrati a Perm, non ho visto altro che fuoco e insegne boiarde.
Fumo che si solleva dai villaggi in fiamme. Vomito liberatorio che esce violentemente dalla mia debole bocca.
Bastardi polacchi, cattolici servi di Roma, bifolchi figli d’una mula e d’un ratto, potessero bruciare insieme alle loro insegne tra le fiamme che loro stessi appiccano! Marciranno e periranno tutti, dopo che saremo tornati, e si sentirà ancora di Vatslav L'vovic Rachmrninov!
 
Lo sfogo di grida è passato. Mi guardo intorno e vedo solo pianura. Tundra inospitale russa. I miei abiti nobili sono ridotti a stracci e gli strappi lasciano cadere l’imbottitura per far posto al freddo. Il poco cibo che ho trovato nelle vicinanze di uno dei villaggi presi dai polacchi sta per finire.
I villaggi.
Kackanar.
Lobva.
Sosva.
Gari.
Kercel.
E poi la salvezza.
Mezdurecenski.
Se raggiungo Mezdurecenski, sul fiume Konda, sarò salvo.
Il Konda, che si butta a capofitto nell’Irtys, sarà la mia salvezza.
Irtys e Ob si uniscono presso Hanty-Manijsk. Là potrò percorrere a ritroso il grande Ob fino a Tomsk, città legata a Perm e a tutta la regione moscovita per il commercio di pellicce. Lì potrò ripararmi.
Gli studi di geografia fatti con il professor Miron hanno portato, insieme alle carte di cui mi servo, anche dei discreti risultati di memoria.
Miron. Miron l’Erudito. Miron il Morto.
Il combattente con il libro in mano. Il primo prete anti-clericale di Russia. L’unico insegnante di una famiglia nobile che combatte i potenti.
Bah, nobile. Mercanti arricchiti, siamo, niente più. Ma siamo potenti.
I potenti.
Il clero.
Saranno loro ad avere la meglio, se nessuno cercherà di deviare il letto del fiume nel quale gli eventi scorrono sempre più velocemente. Clero e Zarato. Vaffanculo loro e i loro impicci maledetti, porci tutti. Gordunov, quel minorato di Fëdor I, Otrepev, sì, lo sanno tutti che non sei nessuno, sei un falso storico, brutto cane, hai meritato di essere bruciato e sparato dentro un cannone! Al diavolo Šujskij, traditore d’un boiardo, inetto mercenario, quattro anni hai governato! Al diavolo pure tu, Andreij! Giuda, t’avrei dovuto lasciare sul ciglio della strada a crepare di fame!, al diavolo Romanov, al diavolo…
Romanov.
Fëdor Romanov.
Fëdor Nikitic Romanov.
Filarete.
Cazzo.
Il clericale.
Il tutore di Fëdor I.
Il collega di Gordunov.
Sta da Sigismondo, quello.
Quello sta coi polacchi. E’ ambasciatore in Polonia.
E’ lui che li ha fatti entrare.
 
Filarete.

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Capitolo 2
*** Capitolo I. ***


Torbidi.

7 gennaio 1598. 



Miron espelle fumo dalle narici. Lo guardo mentre ripeto i passi del Vangelo di Luca.
 
“Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti…”
 
Fëdor I è morto senza lasciare eredi. Mancano due soli anni al diciassettesimo secolo dalla nascita del Cristo. Si spegnerà così la dinastia dei Rurik?
 
“… mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra…”
 
Miron sa che adesso sarà una dura lotta per lo Zarato. I due regnanti de factodurante il regno del figlio di Ivan Il Terribile si combatteranno per il trono con le unghie e con i denti. Ci sarà uno scontro armato?
 
“… Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte…”
 
I due regnanti de facto. Boris Fëdorovic Gordunov e Fëdor Nikitic Romanov.
Il boiaro ed il colto. Il furbo ed il calcolatore.
Da una parte la scaltrezza, dall’altra l’intelligenza.
Per carità, entrambi hanno le due le qualità; ma accentuano solo una delle due.
 
Da una parte, c’è Boris Gordunov. E’ riuscito a diventare boiaro solo entrando nel giro giusto e facendosi amico e suocero Il Terribile. Era praticamente fratello di quel coglione di Fëdor I.
Dall’altra, c’è Fëdor Romanov. Viene da una delle famiglie più influenti di Russia, ma allo stesso tempo suo padre è comparso dal nulla. Nikita Romanov è stato riconosciuto come un effettivo componente della nobile famiglia nella seconda metà del corrente secolo. Fëdor è il degno erede di suo padre, uno scaltro e colto nobile che voleva portare una famiglia probabilmente non sua in alto, molto in alto. E Fëdor deve completare l’impresa. Manca solo il gradino più alto.
 
“… Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.”
 
Con chi dovremmo stare?
Sono entrambi nemici.
Entrambi boiari.
Ma dovremo appoggiarne uno. Miron questo lo sa e sa anche che mio padre Lev gli chiederà aiuto per la decisione.

La lezione, oggi, non è il Vangelo. E’ la coscienza di saper decidere. Non è MIron a farmela, è Dio. Miron è un alunno come me, ora. Dalla cattedra arriva una domanda difficile.
Gordunov o Romanov?
 
Con quale coscienza dovrei pensare? Con quella di mio padre o con quella di Miron?

 

17 febbraio 1598.
 
Boris Gordunov è il nuovo Zar di tutte le Russie.
Abbiamo fatto la scelta giusta.
Abbiamo appoggiato l’uomo giusto.
Cerco di convincermi che lo sia.
Miron me lo impedisce.
E’ preoccupato. E’ preoccupato, nonostante la decisione su chi appoggiare è praticamente stata sua, mio padre ha semplicemente curato la parte tecnica.
Gordunov è pur sempre un boiaro e Romanov non scomparirà così. Cosa ci abbiamo guadagnato?
 
-Sarà uno Zarato breve.-, gli sento dire piano. –Molto breve. Gli do sette, otto anni al massimo. Romanov è duro a morire e dietro di lui c’è molto più che una famiglia. Tutti sanno chi è Gordunov e quanto sia furbo e accattone. Non ci metterà niente a riaprire i contatti con occidente, ed il clero di certo non approverebbe una tale mossa. La Chiesa ortodossa non prende i contatti con Roma dallo Scisma e di certo se si lasciassero andare partirebbe una lotta di scomuniche senza termine. E’ già successo, in Europa.
Taccio per non far partire lo sfogo del Titano. E’ un prete, sì, ma mai ho visto un’energia tale in un solo uomo.

Ha però, purtroppo, ragione. Il mio entusiasmo è stato spezzato dalla lama sapiente di Miron.
Gordunov cercherà di aprire i contatti con l’occidente.
Per la nostra famiglia è un bene. Siamo mercanti di pellicce, merce rara in occidente.
Per le altre?

 
11 marzo 1601.
 
Poteva il nuovo secolo aprirsi peggio? Pare di no.
Le stime sui raccolti sono bassissime. A Mosca sono morte già quasi duecento persone per la carestia. E chissà quante altre in tutta la Russia.
Mio padre, che si tiene in contatto con il centro della Moscovia, giorno dopo giorno dà segni di preoccupazione. Ieri l’altro mi ha detto che la carestia è destinata a crescere a dismisura. E non solo in Moscovia.
Intanto Gordunov inizia a essere inviso alla nobiltà. L’occidente non piace ai boiari: loro soli vogliono avere il potere decisionale, in Russia.
Lo Zar Boris si sta tirando contro le antipatie della stessa classe da cui proviene.
E la classe dei boiari non è tanto stupida da perdere l’occasione di screditare Gordunov.
 
In tre anni abbiamo respirato solo aria satura di tensione e carica di energia, un’energia mortale. E la morte non tarderà nell’accompagnare questo binomio letale.

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Capitolo 3
*** Capitolo II. ***


Torbidi.

16 agosto 1601.

 
Ho visto Mosca.
Ho visto l’orrore.
Ho visto gente mangiare erbacce a non più di cinquecento metri dal Cremlino.
Ho visto un bambino morto in una buca scavata con le sue stesse mani. Probabilmente cercava lombrichi da servire come portata principale del suo pasto.
Ho visto un giovane provare a masticare una moneta. Non esiste più il valore di un pezzo d’oro. Non è commesitibile. D’altronde, fornai aperti dove ci fosse pane ce n’erano? Magari quel ragazzo era il garzone di un mugnaio.
Ho visto una donna, nuda. Era ancora viva, mentre due uomini a turno la azzannavano. Ma la fame le toglieva la forza di chiedere aiuto: figuriamoci per reagire.
Ho visto tante cose.
Ho visto la fame.
Ho visto la morte.
Ho visto il destino dello Zar di Russia.
Abbiamo appoggiato l’uomo giusto?
Miron non è con noi. Lui non può formulare i miei pensieri, ora. Devo pensare da solo.

E’ così difficile, maledettamente difficile pensare da solo.
 

17 agosto 1601.
 
Cammino verso il Cremlino. Ho rifiutato la carrozza. Mi aspetterà direttamente vicino alla reggia. Lì mi renderò presentabile. Mi sono messo, infatti, le cose meno nobili che avevo. Ho preso un sacco con gli avanzi della cena di ieri e di ieri l’altro e me lo sono portato dietro.
Nessuno, con mia sorpresa, mi è saltato addosso. I boiari sono molto rispettati, qui: io non sono un boiaro, ma posso ben sembrare tale. O per lo meno il pargolo di un boiaro.
Un ragazzo, ancora imberbe, mi guarda con uno sguardo famelico. Un po’ titubante, decido che sarà lui a distribuire gli avanzi. Lo chiamo a me e m’accorgo che mi guarda con occhi d’ammirazione più che famelici. Confermo, ben più sollevato, la mia decisione di consegnargli il cibo. Mi posso fidare.
Finalmente gli parlo.
-Compagno, vado errato per il Cremlino se percorro questa strada?
-No, senza fallo alcuno, vostra Signoria.
-Vostra Signoria! E che linguaggio è mai questo? Ti sembro per caso un nobile?
-Beh, un uomo così ben vestito non può che essere…
-No, no-, lo interrompo, -sono solo un mercante di pellicce e sono vecchio al massimo cinque anni più di te.
-Mi scuso.
-Non ti preoccupare. Grazie dell’informazione.-, gli dico. Faccio per andare, ma dopo essermi fermato e dopo alcuni ben studiati sguardi intorno a me, torno indietro e gli dico: -Dimmi, compagno, da quant’è che Mosca è in questa situazione?
-Poco, signore. Due mesi al massimo. Ci siamo resi conto del disastro tardi.
-Ma…-, provo ad intervenire.
-Ma la fame è iniziata prima, lo so. Prima, però, solo i più sventurati erano in ginocchio e morivano. La mia famiglia è benestante. O meglio, era benestante. Mio padre era un uomo libero. Era un falegname di successo: io il suo garzone.
-Ed è successo così, di colpo?-, dico con aria scettica e con un tono sarcastico. Lo prendo sottobraccio e gli dico, con fare paterno: -Compagno, cose del genere succedono gradualmente, io studio la storia e so per certo che i Rurik non si sono insediati di botto…
-Gordunov sì.
Il ragazzo mi ha lasciato a bocca aperta. Ha interrotto la mia recita con due parole. Il ragazzo mi piace sempre di più.
-Com’è che ti chiami, compagno?-, chiedo con un mezzo sorriso.
-Andreij, signore.
-Senti, Andreij, se mi chiami ancora una volta signore mi sento in dovere di avvisarti che, anche se non sono un boiaro, so usare anch’io bene la spada-, dico con un’aria vagamente spiritoso.
-Non volevo…-, prova a scusarsi lui. Non ha colto l’ironia. E’ prudente. Una qualità.
-Non ti preoccupare. Ora sapresti accompagnarmi? Te ne sarei grato. E ti ricompenserei lautamente.
I suoi occhi si illuminano. Il bagliore di un secondo.
-Non posso, signore. Non posso lasciare i miei fratelli da soli con mia madre.
-Oh, sì che puoi. Di’ loro che lo fai per cibo.
La scintilla famelica ritorna ancor più vigorosamente potente nei suoi occhi.
-Signore mio, non so come…
Sguaino la daga. Lui salta indietro di due metri buoni e atterra di schiena.
-Visto che so usare la daga?-, gli dico. Il ragazzo scoppia a ridere. La paura è scomparsa; è già scomparsa. Un’altra qualità. Ha un animo così pieno d’energia che mi sento costretto a ridere anch’io.
-Chiamami Vatslav, compagno. Vatslav L’vovic Rachmrninov.
-Andreij VladimirovicNagy.
Ci guardiamo con sguardi vagamente compiaciuti. Dico: -Beh, dopo di te, Andreij.
Mentre ci avviamo verso il Cremlino, Andreij si fa strada tra gli elemosinanti promettendo, da parte mia, cibo a destra e a manca.
In un momento di quiete, rompe il silenzio.
-E dimmi, compagno Vatslav, perché mai vai al Cremlino?
-Ho un appuntamento con la persona più sventurata di Russia-, rispondo.
-Ah sì?-, dice divertito Andreij, - e chi mai sarebbe questo sventurato che vive al Cremlino?
Con una naturalezza ben studiata, guardo avanti e gli rispondo: -Un certo Boris Gordunov.
Si ferma a guardarmi, basito. Mi fermo un secondo e gli faccio segno di proseguire a camminare. Mi segue.

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