Queen Of The Sea

di Shery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** °Fondale° ***
Capitolo 2: *** °La Sirena delle sabbie° ***
Capitolo 3: *** °Nelle mani di Jesus° ***
Capitolo 4: *** °Il riverbero° ***



Capitolo 1
*** °Fondale° ***


NDA: mi sono resa conto del fatto che... siccome ho qualche problemino con NVU *non lo sa usare* è saltato accidentalmente parte del testo nella transizione, dunque, l'ho aggiunto e ripostato. chiedo venia a tutti coloro che hanno letto e si sono chiesti se rileggessi prima di postare. XD

Queen Of The Sea - °Fondale° -


"Quando troverete la strada giusta, lo capirete e la percorrerete" Sì, così diceva il prof. e sono finito qua: un paesino isolato e sperduto della Grecia...
«A quanti anni ho imparato a parlare? ma che test "IQ" sono, questi?»
23 anni di sfortuna. e mi viene pure in mente di fare il ricercatore.

Si dice che la Grecia sia ricca di mistero e che le sue acque nascondano una leggenda che si tramanda da generazioni arcane. Questo paese, di sicuro, qualcosa di mistico lo possiede..: non capisco perchè la gente continui a viaggere verso questa meta, visto che qua non c'è niente.
«Le dodici e cinque. Saltiamo l'ultima. non me ne accorgerei neanche io stesso della mia assenza, se non fosse che sono nel mio corpo.. e di certo, non sarà una gran perdita..: non capisco un cazzo di quello che dicono...!» «Ehi! a-mi-co?! come trova stin Elláda?!*» «come mi trovo....? come un uomo incinta...» «Pos....?!» «una merda... amico.. una skatá..» «ahahah... Tha ta xanapoúme , fíle!**» «Sì, sì.... amico. Allora, dunque...»
Sgattaiolato dall'istituto, non persi altro tempo in chiacchiere e, lasciandomi il gruppo di collegiali con le mani nei pantaloni, alle spalle, scavalcai... con mia grande difficoltà, le mura circostanti, e mi catapultai, a mie spese, su di uno di quei carretti di pollame che, maledettamente, sostano ovunque, in questo posto.
presi le strade dei "sobborghi" e, dopo una serie di labirinti, finalmente, l'entrata delle grotte, mi era difronte. Inutile dire che tra me e uno sportivo ci sono grandi differenze a partire dal fatto che non sono uno sportivo. dunque, incominciava la vera impresa, che non era tanto cercare ciò che cercavo, quanto tentare di arrivare vivo fin dove dovevo arrivare. Nonostante la mia tendenza al mistico e al surreale, sono un tipo scettico, dunque, sapevo in partenza che quella spedizione sarebbe stata infruttuosa. Il mio scopo nella vita, era sempre stato quello di dimostrare agli altri quanto noioso e privo di fantasia fosse il mondo che ogni giorno calpestiamo con le suole delle scarpe.
«maledette grotte. levigate fino a scivolare sotto le dita»

Più m'inoltravo in quella buca stagnante, tentando inutilmente di evitare scivoloni, più la luce del sole, si stringeva dietro di me. Ma chiaramente, al posto dei libri, lo zaino caricato alla spalla sinistra, era pieno di attrezzature e tuta elastica. Sì, nuoto, e questo non fa cadere la teoria dell'anti sportivo. nemmeno spiderman era un atleta. Ecco, io me la cavo, insomma... faccio i ricci, sbatto polipi allo scoglio... a volte li rigetto in mare per pietà... o perchè sono troppo piccoli.. questa roba. roba da niente.
Accesi, dunque, la torcia, e mi prese un colpo che l'anima aveva fatto sali-scendi nella mia gola. «e che cazzo...!!!» affannai, sospirai, mi appoggiai e mi fermai a riprendere un pò di quel fiato che avevo perso e, magari, anche per re-ingoiare parte dell'amina fuggiasca. «maledetti scherzi del cavolo...!»
Già, qualche idiota s'era divertito a mettere uno di quegli scheletri da laboratorio di scienze, appoggiato alla roccia e, sicuramente basatosi alla leggenda del posto, aveva modificato il sotto sostituendolo con la riproduzione della carcassa di uno squalo. Scoppiai in un risolino che non potei controllare e, dimenticando l'uomo pesce, proseguii tranquillo. la torcia, intanto, aveva fatto un tuffo diretto al pavimento e ivi si era spenta, probabilmente per la botta, dunque, poteva rimanere lì dov'era caduta.

Mi fermai un istante, poi, qualche metro più avanti, dimentico del fatto che la torcia, per colpa dello spavento, non era più nelle mani, così, scrollai lo zaino dalla spalla e vi scavai all'interno come un braccio meccanico nella terra, alla ricerca spasmodica di una benedetta lampadina. La trovai. Sicuro di scorgere a me difronte, uno spettacolo imperdibile, accesi la torcia subaquea, rimettendo la sacca in spalla e, così fu: un mucchio di muschio fradicio e verdastro, ricopriva le pareti rocciose sulle quali, tra l'altro, ci avevo appoggiato la mano. In altre parole: muco verdognolo nelle narici di un gigante; era questo quello che sembrava, salvo qualche batterio vivo che ogni tanto camminava al fianco del mio viso: Paguri.
Indubbiamente entusiasmante come la campanella della prima ora scolastica, il percorso a me davanti non faceva che infittirsi di viscidoso muschio di mare finchè, un barlume, mi parve di vedere oltre una sottospecie di alga marina appesa come lenzuola ad asciugare. Mai feci scelta più sbagliata, quando mi venne la brillante idea di scostarle senza guanti. «hm... che mongoloide» di lì a poco, un prurito da manicomio pervase il dorso della mano. sfioravo la follia quando, la dea bendata, decise che forse, la sfortuna, per questa volta, poteva prendere una strada diversa dalla mia: le luci del tramonto dividevano il cielo in due piani: violaceo e celeste. Ma i miei occhi si spostarono ancora più in basso. la baita raggiunta era più bella di quel che mi aspettassi.. non che mi aspettassi granchè. Ero circondato da rocce chilometriche e sorgenti che, dalla temperatura che potevo avvertire sulla pelle, dovevano essere freddi come il ghiaccio. «almeno non ho fatto chilometri per niente.»
Strinsi al volto il laccio di silicone della maschera, e un rumore sordo seguì il mio ingresso nel fondale di quella sorgente che tutt'altro era, salvo che fredda.
La perfetta prigione per tutte quelle surreali ninfe acquatiche, pensai. e intanto raggiungevo sempre più difficilmente, il fondale oltre le pinne.

Nel silenzio delle profondità di quel mare, accesi la lampadina legata al capo, e mi segnai sul palmare il percorso da seguire. Finalmente, dopo settimane di noiose lezioni collegiali, incominciava per me, la caccia allo demolizione del mito delle protettrici del mare.
Da grande demente quale sono, dimenticai di avvertire la mia squadra, che avevo ore libere per un immersione tranquilla, ecco spiegato il motivo della mia solitudine, anche se non era di certo cosa rara scorgermi da solo nelle acque di ogni luogo. Hmm... pesciotti lanterne, molluschi, schifosi gamberetti pellicciosi... al solito. che noia. si spreca tanta memoria digitale per sta roba che ripropone sempre la stessa solfa... la prossima volta mi scarico un film porno.

Benchè io conosca d'aspetto ogni tipo di animale marino, erano comunque a me estranei i nomi scientifici di tutti coloro che abitano questo mondo azzurro, dunque appellavo ad ogni creatura un nomignolo che mi era più facile ricordare.
Per quanto si possa pensare che le acque limpide siano trasparenti, in verità la trasparenza è tale fin dove il nostro occhio riesce a vedere, e anche questa volta fui vittima dei suoi inganni. Sfiorando il suolo, m'inoltrai per perlustrare meglio il raggio che avrei, poi, visitato angolo per angolo, insieme alla mia squadra, in cerca del solito "niente", quando, il secondo spavento della giornata mi fece sgranare gli occhi e perder fiato, ma di sicuro ne valse la pena. Non potevo crederci: a un palmo dal naso, avevo di fronte a me quello che a pirati caduti in mare, avrebbe di sicuro fatto rivoltare le ossa nelle loro tombe di sabbia. Ma pooorco.....woow.


_____________

* stin Ellàda vuol dire "in Grecia", per i curiosi. :)
** "ci vediamo in giro, amico!"

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NDA: Dunque, come al solito, ho voluto fare qualcosa di strano come me. Principalmente vi scrivo per dirvi che, essendo una storia al limite della realtà, non prendete per vero nulla di quello che scrivo. Baci e grazie a chi sceglierà la via della tortura, seguendomi.
Una cosuccia ancora. ogni critica, negativa o positiva è sempre gradita giacchè mi aiuta a comprendere cosa vi piace leggere e cosa no!
Miao!

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Capitolo 2
*** °La Sirena delle sabbie° ***


Queen Of The Sea  - °La Sirena Delle Sabbie °

Ancora incredulo, non potei frenare il desiderio di allungare le mani verso quello che i miei occhi si rifiutavano di vedere, così strisciai come una biscia, più avanti, e le mie pupille non poterono essere più soddisfatte di così: Mio Dio...! bella, alta, in posa ed appoggiata alla terra, giaceva inerme "la sirena delle sabbie". Non me lo dire, non me lo dire, non me lo dire, non me lo dire, la veeedoooo....!!! E così, cominciai una danza frenetica ciondolando il bacino come un cucù. L'accarezzai, la scrutai, la studiai. Ero in preda ad un attacco di follia da esaltazione. Non tanto per lei in se per se, quanto per ciò che dietro di lei avevo potuto mettere a fuoco. Si narrava che pirati e pirati l'avessero cercata in lungo e in largo, ma che nessuno era mai riuscito a trovare il relitto che la custodiva con così tanta bramosia. Beh... Manco io sarei mai venuto a cercarlo qui, invece, adesso, è proprio davanti a me….!

Fortunatamente, la bombola d'ossigeno in caso di emergenze, aveva ancora una buona mezz'ora di utilizzo, quindi, mi sembrò doveroso, da parte mia, andare a dare un'occhiatina a quella bella carcassa appoggiata su un fianco e ricoperta di coralli.
Appena vi poggiai le mani, un branco di pesci multicolor, sgusciati dalle innumerevoli fenditure dei coralli, scappò diritto in una direzione unica passando oltre la mia figura intera. Era sempre uno spettacolo per me, nonostante tutto. Involontario, per l'appunto, fu il sorriso che increspò le mie labbra mentr'ero impegnato a guardarmi indietro. Rivolsi ancora una volta, poi, la dovuta attenzione a quel maestoso relitto e, con cautela, m'imbucai passando attraverso quella che, nei tempi d'oro, doveva essere stata probabilmente una botola la quale, dalla base, portava dritti al cuore della nave. Dire che fosse malconcia, sarebbe stata decisamente ipocrisia, ma posso dire di avere potuto vedere relitti in uno stato che sarebbe stato eufemismo definirlo "pessimo".
Infilai il capo attraverso due travi che in principio, non dovevano far parte di quel luogo, giacché si trovavano in mezzo alle scale, e vi era, giusto all’angolo del corridoio che avevo scoperto, quello che doveva rimanere di un tavolino da gioco. Lì al suo fianco, una porta. Di fianco ancora, altre porte. Probabilmente, dietro ognuna di quelle porte, si nascondevano gli alloggi della ciurma. Dirò la verità: l’idea di aprire una di quelle porta, mi balenava nella testa, ma… beh, purtroppo per me, non avevo i tempi e la giusta attrezzatura. Così, mi limitai a fare un rapido tour di tutta la nave, imbucandomi nelle zone pressoché accessibili. La stiva, che avevo potuto intravedere, mi aveva letteralmente fatto venire la pelle d’oca. Sono un segretissimo fan dei pirati. Sì. Ammetto. Beh, nel fancazzismo, tutti quanti possiedono un Hobby. Nei miei momenti di noia, montavo modellini di navi pirata e guardavo documentari e film sull’argomento. Ma, beh.. tornando a me, immerso nell’acqua, ero oramai quasi a corto di fiato quando, con la coda dell’occhio, intravidi qualcosa che aveva attirato la mia attenzione. Non potei fermarmi, però. Sapevo che avrei potuto vederla domani, anche se la paura che qualcosa sarebbe potuta accadere, mi lasciava un senso di insoddisfazione. Non volevo rimandare. Ragionandoci su, però, mi dissi che comunque, se il relitto era lì dai tempi della sua scomparsa, nulla avrebbe potuto impedirmi di tornarci e ritrovarla nello stesso posto. Di certo, la “sirena delle sabbie”, non avrebbe messo su i piedi, durante la notte, per andarsene a zonzo sotto il mare…!
Con questa auto-convinzione, nuotai verso la superficie, guardandomi comunque indietro. Nel riemergere, il palmare intonò una di quelle suonerie predefinite e, scosso il capo per alleggerirmi dall’eccesso d’acqua, chinai lo sguardo per vedere chi cavolo mi cercava. Birra, stasera. Non andare a nanna all’orario delle galline. Era Daniel: uno della squadra di sub. Nonché: il migliore degli amici, tra i peggiori. Una birra non mi avrebbe fatto male, dopo il pomeriggio faticoso. Neanche risposi. Sapeva che ci sarei andato comunque, e se così non fosse stato, sarebbe venuto a prendermi.
Fortunatamente, tornato in superficie, notai che la mano aveva smesso di prudere. “Ciò che in terra ti ferisce, in acqua guarisce.” Lo diceva mio padre. Era una scusa per mandarmi fuori dalle balle quando, ciondolando in preda al pianto, cercavo un suo conforto per qualche feritina da nulla, magari, giocando. Al di là dei pessimi motivi per il quale me lo predicava, la frase è veritiera. Le ferite di terra guariscono con una velocità incredibile, nel mare. E le ferite di mare cicatrizzano molto più in fretta sulla terra ferma. Comunque, tornato a casa, Mi sarei medicato, onde evitare gonfiori o stati febbrili. Durante la notte.

Ripulito e asciugato, m’infilai un jeans e una maglia, e aspettai Daniel sotto casa in sella alla mia Ducati 1098.
Stanchissimo, ero appoggiato con la faccia sul contachilometri e, mi sarebbe potuto passare un camion da sopra, certamente non me ne sarei accorto. Il suono terrificante di un clacson suonato all’impazzata, invece, mi fece letteralmente scattare il capo e, con mia grande sorpresa, Daniel era lì, seduto comodo, che mi aspettava, probabilmente, da un po’. Corrugai la fronte, nel vederlo, e aggrottai le sopracciglia, istintivamente. « Aspettavi che ti mandassi un messaggino con scritto “dove sei, amore mio?” ? – » « Non mi sarebbe mica dispiaciuto! Sono un ragazzo sensibile, dovresti saperlo…! – » esclamò, al solito, stringendosi nelle spalle. Doveva avere dormito per tutta la giornata. Aveva la classica faccia del cuscino. « hai la trapunta stampata tutta in faccia, nullafacente. » Rise, accelerando con la moto e attendendo che lo seguissi. Non rispose, ed io capii il perché. « Sei un danno della natura, tu. » insistetti, giacché il suo silenzio, era stato più chiaro di qualunque altra risposta che avrebbe potuto darmi, e lo seguii, accelerando a mia volta.
Un quarto d’ora al massimo, ed eravamo sul posto. Daniel era il classico ragazzo della porta a canto. E non c’era luogo in cui, avendoci messo piede, non aveva fatto strage di cuori. Praticamente il mio contrario. La mia ultima storiella senza impegno risale agli anni novanta. Daniel, invece, se la spassava e, come avevo potuto genialmente notare dalla stampa sulla faccia, era appena tornato da una passeggiata sul letto di qualche bella ragazza greca. Certe volte lo invidiavo. Ma questa volta, non era una di quelle.
Primi, come sempre, parcheggiammo le moto vicino ad un palo, e le lasciammo attaccate lì col catenaccio. Ci sedemmo sulle scale che portavano al locale, e ci facemmo due chiacchiere ordinando una birra cadauno. Rebecca, la ragazza del gruppo, sarebbe sicuramente arrivata un’ora dopo, almeno, l’orario stabilito; e Vincent, non so neanche se sarebbe venuto veramente. Quell’uomo era tutto un programma e io, non sono mai stato un genio dei computer. « Dov’è che sei andato? » « ho trovato un posto da perlustrare. » risposi, rubandogli la birra dalle mani. « roba interessante? » chiese, lui, accendendosi una sigaretta. « Marlboro? » Non mi rispose. Me la offrì direttamente, e ne approfittai. Non fumavo una Marlboro da giorni. Posai la birra in terra, tra una gamba e l’altra, e tacqui finché il fumo del primo tiro alla sigaretta, non offuscò la visuale. « roba da guardare. » Mi sentii strappare la sigaretta dalle labbra asciutte, e alzai lo sguardo, seguendo la voce stridula come quella di una cornacchia che tenta una gara di canto, con un usignolo. « fumare ti fa fare i denti gialli. Lascia questa roba agli uomini come Vinc! » Mi alzai dalle scale, afferrando la birra per il collo e, guardando Daniel, scossi il capo sperando nella comprensione di quel gesto che volli improvvisare visto il mancato tempo che avevo avuto a disposizione per potergli dire che la conversazione fatta, doveva rimanere solo nostra.
Due tre alcolici, quattro chiacchiera e il dolce, e s’erano fatte le quattro del mattino. Altro che l’orario delle galline. Qui facevamo cambio turno con il gallo, un altro po’.
« a proposito di domani, Vinc. Hai impegni, tu? » non chiedetemi perché lo facessi, ma d’abitudine chiedevo sempre e solo a lui, se avesse impegni. Gli altri, sapevo che bene o male mi avrebbero seguito comunque. Probabilmente, nell’inconscio, non ero sicuro che Vincent avrebbe fatto lo stesso. « No. » rispose secco, come di consueto, appoggiato con le braccia nude incrociate sulla tavola. « allora domani mattina ci caliamo fino a che la luce non è dalla nostra. » Mi riempii il bicchiere mezzo pieno, e lo portai alla bocca. « oggi? » se ne uscì, la cornacchia dal pelo rosso. « ch’è? » domandai, rivolgendomi a Rebecca, seguito da Daniel che si limitò a voltare il capo verso di lei e, Vincent che fece il semplice sforzo di girare le pupille nella sua direzione. « sono le quattro e trentasette, ragà. L’immersione è oggi, o domani? » Si grattò il capo, Daniel, e fece le mie veci, con l’aria da saccente « oggi, Beki, non lo vedi che sta bruciato?! » scoppiò in un risolino, lei, mentre io, trattenendo una risatina al limite del controllabile, mi difesi senza troppi sforzi « eh.. ad andare con lo zoppo, Dè… »
un altro giro di scotch, e ci ritirammo. Avrei preferito non tornare. Con il senno di poi, credo proprio che non l’avrei fatto. In queste due settimane di soggiorno qui in Grecia, mi era capitato di andare a dormire insolitamente troppo presto, giacché, preso dall’apprendimento basilare della lingua, mi ritiravo in camera con la testa a mongolfiera, dunque, non mi ero mai reso conto di quanto forte russasse alla Geppetto, il mio compagno di camera.
Con lo sguardo al cielo, il cuscino in una mano e il telecomando (mio fedele amico) nell’altra, mi appoggiai sul divano del soggiorno e mi addormentai.

7:34 del mattino.
La sveglia di Zenais, il mio coinquilino, non poteva suonare in momento peggiore. Mi trovavo a New Orleans e mangiavo patatine fritte passeggiando per Jackson Square mentre ascoltavo musica dal vivo. Avevo appena finito di sognare lucertole a tre teste che volevano staccarmi gli arti a morsi. Appena fui sveglio, ero io quello che avrebbe voluto tre teste per staccare gli arti a morsi di Zenais. « Zeeennn... ‘Nte gamí̱sou! » che tradotto, sta a significare “ Vaffanculo, Zen. ” La comunicazione tra di noi era scarsa, ma le cose essenziali, riuscivamo sempre a dircele. Rise, e mi portò la colazione a letto. Che momento fantastico. Lo faceva sempre. Tanto meglio per me. Un quarto d’ora dopo, ero già fuori della porta, pronto per l’immersione. Non vedevo l’ora di perlustrare la poppa, la prua e, l’alloggio che aveva attirato la mia attenzione, proprio vicino alla scala malandata.

« Boa in mare. » disse Vin, risalendo sullo scafo e, restò lì, come un polpo al sole. « Allora, Daniel, tu vieni con me, Rebecca alla boa oltre la cascata, e Vinni torna da dove è venuto. » Diressi. « Smettila. » Ribatté, Vin, a proposito del mio intervento. « scusa, Vin! L’abitudine. » detestava il suo soprannome così come un cane detesta le pulci. Eppure, se me lo chiedessero adesso, non saprei rispondere al perché di quel nomignolo. Un tuffo di schiena nell’acqua e, questa volta, si faceva sul serio. Avremmo perlustrato ciò che volevo, senza preoccuparmi di tenere il respiro.
Arrivati a sfiorare il fondo con le pinne, trascinai Daniel dritto verso la maestosa “Sirena delle sabbie”, unico e solo, simbolo della nave pirata che, secoli addietro, si reggeva sulla prua e, appena le passammo accanto, Daniel voltò il capo verso di me con gli occhi che facevano zigo-zago: non poteva crederci. – Cazzo! – esclamò, sbrodolando bolle, e se la mangiò con gli occhi. Con un dito, puntai oltre la Sirena e ancora una volta, fu preso dalla sorpresa, inscenando uno svenimento. Che coglione. Gli mostrai la unica entrata sicura che avevo trovato nella perlustrazione del giorno prima, e di lì entrammo, sicuri che non ci avrebbe accidentalmente colpito nulla. Era decisamente instabile come struttura, ma i coralli avevano formato una sottospecie d’armatura su di lei e, forse, questo, contribuiva a tenerla ancora in piedi. Daniel perlustrò le zone identiche a quelle sulle quali io mi soffermai il giorno prima, mentre io, feci segno a lui, che sarei entrato in un alloggio sotto la scala. Avevo aspettato troppo allungo. Come una donna in trepida attesa per il suo primo appuntamento, sgattaiolai oltre lo squarcio nella porta, e vi trovai esattamente quello che credevo di avere visto. Non potei trattenere l’eccitazione, così, cavai fuori il capo dalla porta e attesi che Daniel mi guardasse. Vieni a vedere, cazzo. Devi vedere. – scattò, come una puzzola dopo il misfatto, e mi seguì: io e lui in quella stanza, di spalle alla porta e l’espressione inebetita: due bambini, in un negozio di caramelle, con un buono di 100.000 euro in mano, era l’impressione che, al difuori della nostra percezione, avremmo dato a chi ci avesse guardato. Pancia mia… fatti capanna!



NDA: Ciao a tutti! :D ok! Questa volta, volevo solo dirvi che ringrazio tutti quelli che mi seguono, che hanno letto, o che accidentalmente si sono trovati a leggere il primo capitolo, che vi sia piaciuto o meno. E poi, grazie a quelli che aspettavano il secondo. ;)
Asdrubale!
NB: un grazie speciale a Sabrina91, che mi ha aiutata a comprendere l'html! *w*

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Capitolo 3
*** °Nelle mani di Jesus° ***


Queen Of The Sea  - ° Nelle mani di Jesus °



La stanza che apparteneva a Dante il "corsaro" uno tra i più temuti membri della ciurma. si racconta che in un'aggressione ad una nave avesse combattuto con un povero sfortunato al quale aveva tagliato la lingua e strappato un occhio a morsi che aveva poi conservati in un forziere come ricordo di quel giorno idilliaco. Probabilmente lo spavaldo non sapeva che per conservarli avrebbe dovuto tenerli in congelamento. sicuramente si decomposero, e li gettò, ammesso che se ne accorse.
Ma la storia più indegna che mantiene vivo il suo nome nel tempo nonostante la sua morte, è quella di avere trasgredito un tabù che, come marchio inciso a fuoco su pelle, nessun pirata avrebbe dovuto infrangere. Un giorno, ai piedi della nave approdata, comparve una donna al capezzale di Dante chiedendogli un pugno di danaro, almeno, se non la sua costante presenza per poter crescere, sola, il figlio che aveva in grembo e che dichiarava come sangue del suo sangue. Allora questi la invitò sulla nave promettendole che l'avrebbe accolta e che si sarebbe preso cura di lei meditando, invece, di punirla per aver avuto la sfortuna, lui, di approdare in una stessa terra già conquistata e dove per divertimento aveva profanato quella donna che, nonostante il poco tempo passato al suo fianco, aveva dovuto amarlo follemente concedendosi a lui senza difficoltà.
Discesi nella stiva la gettò in terra con una violenza tale che neanche una bestia si permette contro la sua preda e, lentamente le rigò lo stomaco, tagliandole il ventre mentre la sposava e le giurava amore senza alcuna carica in suo possesso, né amore verso la donna, per il semplice gusto di torturarla e lasciarla morire nel tradimento e nella beffa.
Raccontò lui stesso, dicono, la vicenda mentre, condannato a morte dagli stessi compagni, veniva legato (come un amo attaccato alla lenza) ad una trave in legno e, la veridicità delle sue ignobili gesta furono confermate dal suo fedele compagno di avventure che, assistendo a tutta la scena, giunse ai piedi del capitano a denunciare il fatto, costernato.
Il risvolto ripugnante della faccenda è che, si dice lui abbia conservato il bacino della donna e ciò che rimaneva di quello che doveva essere suo figlio, in un forziere minuziosamente inciso nel dettaglio e da un particolare che sarebbe potuto difficilmente passare inosservato; ed era questo che aveva attirato la mia attenzione. Sul forziere vi era inciso in oro massiccio il nome più conosciuto a questo mondo: il nome di nostro "fratello".

Si voltò a guardarmi, Daniel e, con il viso sempre più incredulo sgranò gli occhi ancor più di quanto avesse potuto fare puntandomi insistentemente il forziere con il dito. L'hai visto?! - pensò - L'ho visto. - pensai. Sapevo benissimo quello che pensava e lui sapeva quello che io gli avrei risposto.   - è quello che penso? - è quello che pensi. - annuii, pressoché sconvolto anch'io, anche se con un certo contegno e lui si aggrappò alla testa dai capelli e mentre si lisciava le ciocche bionde, non la smetteva di fissarmi con quell'aria da cucciolo spaesato. Nuotai verso l'oggetto della nostra attenzione e mi trascinai Daniel da un polso per l'esasperazione.

Jesus. JEI - E - ESSE - U  - ESSE.
Prima di morire in pasto agli squali, sul ponte dal quale lo gettarono subito dopo, Dante dichiarò di avere lasciato la donna che lo aveva incastrato e il figlio che non aveva amato, nelle mani di Jesus.
Nessuno si preoccupò di cercare di capirlo; nè tanto meno vollero decifrare le sue parole. Fatto era che il suo compagno, in suo onore volle mantenere la sua stanza intatta.
Solo ora, guardando il forziere che avevamo proprio difronte a noi, avevo potuto decifrare quelle parole. La cassa in ferro battuto aveva nella fascia frontale, in alto, quell'enorme scritta e, sotto, incisi in rilievo i palmi delle mani con le stigmate. "nelle mani di Jesus".
Non potendo esplorare l'interno del forziere, per quanto ci doleva, ci limitammo a scattare una serie di foto invidiabili e rovistammo l'intero camerato. Non vi erano grandi cose. probabilmente la maggior parte di queste  spazzate via dalla corrente del mare e, benché fosse stata una grande fortuna trovare il relitto, sicuramente eguale fortuna non l'avremmo avuta nella ricerca di qualcosa che non sappiamo neppure se fosse lì dentro. Un vero peccato della storia.
La seconda tappa fu la tanto attesa stiva. Dalla camerata ci defilammo dopo una ventina di minuti. su per giù vi era all'interno solamente legno infracidito e coralli aggrappati ad ogni cosa. D'interessate: poco e niente. ciò che catturò la nostra attenzione, però, fu tutto impresso su pellicola digitale.
Sgattaiolati dalla voragine sulla porta, ritornammo ai piedi delle scale lì vicino e discendemmo giù per queste, giacché miracolosamente vi era una via libera. Ma ci entusiasmammo a dir poco troppo presto. Infondo alla scalinata travi di legno impedivano il passaggio. Sembravano piuttosto alberi della nave stessa impalati fino al suolo che l'attraversavano senza pietà. Insomma, non ci sarebbe passato neanche il mio pesce rosso da lì, così cercammo una strada alternativa. Ricordai che nel giro di ispezione notai che da una delle bocche dei corridoi per i cannoni vi si poteva tranquillamente passare, attraversandolo e, fortuna voleva che ci avrebbe portati esattamente nell’ala che volevamo visitare. Facemmo il giro e un banco di pesci azzurri ci accompagnò sino a metà percorso, dopodiché virò a sinistra e sparì nel buio, silenzioso. Ci imbucammo nella canna, Io passai senza problemi; anche se le mie spalle sono di una certa ampiezza, sono decisamente mingherlino. Mi bastò infilare prima un braccio e dopo l’altro, per sgattaiolare all’interno. Daniel non fu più fortunato, però, e la cosa non poté che divertirmi. Tutta quella palestra per farsi bello e poi, nel momento del bisogno, gli fu del tutto inutilizzabile. (Viva il fisico asciutto.) Lasciai Daniel oltre il corridoio che mi indicava di proseguire mentre lui faceva un giro di più per cercare un entra alternativa. Un pollice in su fu la mia risposta. Lui capì e si dileguò con l’andamento di un delfino lungo la facciata della nave. Io, intanto, nuotai come uno squalo verso la stiva. La vedevo davanti a me e ancora non ci credevo. Mi attraversavano brividi come scariche elettriche per l’eccitazione. Un po’ come per un giovane fa l’effetto del ranger…!
Avevo oltrepassato la soglia e ora ero un oggetto di più in quella stanza che in passato aveva ospitato polvere da sparo, armi, cibo e detenuti prossimi alla morte o al baratto. Saltellavo per l’emozione, lo ammetto. Scivolai verso la catasta di botti e di casse di legno che, fradice e marce, decomposte e ricoperte di coralli, affollavano una sola parte della sala: quella inclinata verso il basso. Mi rigiravo come una trottola alla ricerca di qualcosa come armi da assalto o carica di cannoni ma la roba era accatastata e il mio tempo, probabilmente, stava per terminare. Si faceva buio lì sopra, sicuramente, ed io ero ancora in giro con le bollicine. Dovevo darmi una mossa ma… come potevo essere nella cameretta dei miei sogni e chiudermi la porta alle spalle? Un’occhiatina fugace avrei voluto darla anche alle celle. E stupidamente lo feci. Prima, però, gongolai sul fatto che proprio sotto i miei piedi Dante avesse commesso quell’atto più deplorevole che poté progettare. Ovviamente la storia narra e il popolo tramanda ma sotto di me non vi erano che molluschi interessanti e pesciolini dal brutto aspetto ma dall’andatura rilassante e l’atteggiamento accattivante. Mi avvicinai, e non si mossero. Era emozionante accorgersi ogni volta di quanto il mare mi ritenesse parte integrante. Nessun pesce si allontanò. Tutto rimase tale e quale. Di quel gruppetto di pescetti ne guardai uno in particolare che aveva attirato la mia attenzione. Rosicchiava con estrema costanza il corallo incastonato tra le assi del pavimento e si intestardiva su ciò che non riusciva a mangiucchiare. Non volli disturbare oltre quello che aveva tutta l’aria di esser la sua cena, e mi allontanai ma gli scattai qualche foto, mentre banchettava.
Non ci crederete mai, ma per quanto potesse sembrare vuoto e desolato, quel relitto, in verità è più abitato di un carcere dei nostri tempi. Apparentemente le camerate e i salotti e i corridoi sembravano spogli e silenziosi ma bastava guardare per qualche minuto lo stesso punto per accorgersi dei suoi cari e nuovi e vecchi ospiti. Rumorosamente silenziosi si muovevano a passo di lumaca negli angoli sempre bui di ogni dove e sembravano non essere spaventati dalla mia presenza. Cosa assai particolare. Dovevano essere abituati alla mia faccia per lasciare che invadessi i loro spazi senza dileguarsi. Anche il banco di prima sembrava apprezzarci, e il pesce cocciuto non era affatto intimorito dalla mia vicinanza. Eppure se qualcuno avesse visto quel relitto prima di me, sarebbe sicuramente finito su tutti i giornali ma seguo la gazzetta come un sessantenne tutti i giorni seduto al cesso e lo leggo tutto due volte al giorno e le barzellette quando mi scappa una volta di più. E difatti, non avevo letto mai niente. Senza contare che non ci saremmo mai potuti neanche lontanamente avvicinare al relitto, se così fosse accaduto. Mi rimase, così, la curiosità addosso del perché di quell’accoglienza ma proseguii.
Nella stiva destinata alle vivande non vi era più nulla. Solo qualche attrezzo da cucina solidificato alle pareti e, devo ammettere che l’aspetto lasciava nell’anima una sensazione nostalgica. Voltai il capo per guardarmi alle spalle e vi era la parte della stiva destinata alle armi, come detto prima. Questa volta volli provare a cercare qualche cosa di entusiasmante e, chi cerca trova, dice bene il proverbio, vi trovai i resti di un cannone da 24 libbre, cosa assai rara da poter ammirare in un fondale, e un carretto con le fiocine tenute ferme da catene che sembravano in fiamme, per quanta ruggine vi si era formata attorno. Tutto materiale, questo, che per chi non fa questo mestiere, ritiene insignificante.
“risalgo. Non c’è alcuna entrata per le mie spalle pompose. E l’ossigeno è a zero. Sbrigati.” – Il paparino Daniel si sentiva il sedere di bruciare perché non era riuscito ad entrare e mi faceva la paternale (che poi aveva le sue ragioni ) per spedirmi in superficie. “ancora cinque minuti e sono di sopra.” Risposi, di rimando, al suo messaggio.
In effetti il palestrato non aveva tutti i torti. La mia bombola segnava dieci minuti al massimo ma io dovevo ancora entrare nelle celle, indi, decisi di affrettarmi.
Mi precipitai dall’altra parte della stanza e attraversai barili che impedivano l’accesso a quella limitrofa e mi spinsi all’interno. Ricordo bene che vi era una trave in mezzo allo stretto corridoio e scavalcai: Con il senno di poi, Non l’avrei fatto mai.
Spaventarsi è una delle cose più orribili del mondo. Uno spavento ti paralizza; se ti trovi in mezzo ad una strada, rischi un “tête à tête” con un auto, una moto, un camion, la morte; se sei solo, rischi un infarto, un collasso, un mancamento; uno spavento ti lascia di stucco e ti riempie di terrore in un attimo, soprattutto quando sei solo e al buio. L’appuntamento con il mio peggior spavento fu quell’anno di quel giorno e andò pressoché in questa maniera, sempre che la memoria non mi inganni.
Quando scavalcai la trave incrociai lo sguardo più tetro che avessi mai pensato di poter vedere. Uno squalo mi avrebbe di sicuro tirato su un sorriso al suo confronto, ma non era quello che vidi. Al suo posto, qualcosa di assai più grosso e assai più pallido. Il palmare mi cadde dalle mani, gli occhi erano fuori dalle orbite e la bocca era arrivata sul fondo del mare, posso garantirlo. La lingua era rasposa e la gola secca; il mio corpo paralizzato. Uno spavento può tante cose, e quello con il quale bruscamente mi imbattei, mi fu segnato addosso come una cicatrice sulla faccia.



NDA: Ciao a Tutti! Perdonate l'attesa, purtoppo mi sono imbattuta in circostanze con le quali non avrei mai voluto farci i conti, ma la vita è tirranna.
Detto ciò, spero di avere scritto qualcosa di piacevole e interessante.

Grazie a tutti coloro che leggono per interesse e per noia, e grazie a chi commenta e a chi tace. :)
Buona lettura e Notte.

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Capitolo 4
*** °Il riverbero° ***


 Queen Of The Sea  - ° Il riverbero °



Come in un torpore mi sentivo in gabbia in una bolla dalla quale tutto potevo vedere ma niente ero in grado di gestire. Come guardare un film, voler cambiare le cose e non potendo farlo, attendere che nel finale le cose si aggiustassero come desideriamo. A volte non succede e per fortuna o per sfortuna, questa non era una di quelle.
Il respiro l’avevo perduto e la bombola dell’ossigeno segnava lo zero, senza dubbio perché prima di perder fiato l’avevo sentita esalare l’ultimo getto e poi niente più.
Probabilmente dovevo essere svenuto dallo spavento e dovevo esser rimasto a troneggiare sul fondo per un po’ prima che qualcuno arrivasse in aiuto. Qualcuno. Lui non mancava mai di venire in mio soccorso. Dio Narciso ( Daniel ) avrebbe dovuto collezionare un’altra fantastica impresa, e quale occasione migliore di questa gli si poteva presentare?! Certo, avrebbe dovuto salvare il disgraziato. Avrei voluto morire solo per rendere nulla una delle sue imprese.
Mi schiaffeggiò in preda all’agitazione, liberandomi il petto dalla tuta e tentò una respirazione bocca a bocca con massaggio cardiaco cosa che, lasciatemelo dire, non sapeva fare troppo bene.
Aprii gli occhi sorpreso di riuscire finalmente a fare ciò che per innumerevoli istanti avevo comandato al mio corpo di fare e che puntualmente, questi, non rispondeva ai comandi e ancora intontito con la pressione nelle orecchie boccheggiavo e cercavo di tenere le palpebre sollevate. Non  che la visione fosse uno spettacolo, certo, ma non ebbi tempo di pensarlo che “il gigante buono” subito mi diede degli scossoni urlando ch’ero rinvenuto. Un’altra botta di quelle e sarei svenuto di nuovo.

« Waru…. Sta respirando! Waru, di’ qualcosa….!»

Lo so, lo so a che state pensando. A due cose. 1: Ma come cazzo ti chiami?! 2: sei giapponese?! No. non sono giapponese, ma buona parte della mia vita l'ho passata lì. I viaggi di mio padre ci portavano spesso nei luoghi più disparati di questo mondo.
Tossii, e finalmente ricominciai a respirare. Tossii ancora e risposi alla richiesta di Daniel. « Baci da schifo. Ma comunque, apprezzo l’outing. » Mi guardò con quell'aria di sufficienza che non mancava mai sul suo volto. poteva guardare la morte in faccia e avere sempre quell'espressione sicura di se nonostante le mutande piene di merda. Con un piede mi diede uno spintone che mi catapultò in acqua.

«Danieeell! Stava annegando! Va a prenderlo!» Rebecca era la più premurosa di tutti, nonostante il caratteraccio. « Non muore.» Cercò, allora, comprensione lanciando uno sguardo a Vincent, speranzosa. « Vinni, vallo a prendere.» « Smettila. non mi chiamo Vinni.» « Stava annegando. Vinni, vallo a prendere!» «Ho detto: smettila.» « Vinni, vallo a prendere sennò rompe.» interferì, Daniel, pavoneggiandosi come al solito. « Alla quarta catapulto la zattera.»

«Hei, Vin! Vieni a prendermi così, ce la sbrighiamo.» lo chiamai, non perché avessi sul serio bisogno d'aiuto, ma qualcuno doveva pur mettere fine alle loro chance.
« Scendo solo perché mi hai chiamato per nome.»
Venne a prendermi, come detto e, possente, con un braccio mi trascinò con se ma lo fermai tamburellando le dita contro la sua schiena cavernosa. « Vin, vai a prendere quella boa.» Si voltò, corrucciato come sempre. Era fatto così: robusto, alto, corrucciato e la capigliatura nera sempre indietro. «Dove vai? » « Scendo giù. Ho lasciato la roba.» « Vado io, tu vai a prendere la boa. » «Tranquillo ... » risposi, frenandolo ancora. « ... ce la faccio. E poi mi serve qualcuno  che abbia ancora tanta aria nei polmoni da arrivare fino all'altra boa. Tra l'altro a te toccherebbe cercare. Io so già dove andare a guardare. Non ci metterò niente a fare sali scendi. » Lo convinsi, credo. Mi guardò, con quel grugno, si voltò e se nè andò.
Dovevo rivederla. Sapevo che non l'avrei trovata, ma ci dovevo provare. Non potevo avere visto sul serio quello che m'era sembrato di vedere. doveva essere un'allucinazione, sì. Dev'essermi mancata l'aria. eppure... mi era sembrata vera. potrei addirittura descrivere com'era fatta, mi dissi. Ma il cervello dell'uomo può giocare scherzi che nemmeno possiamo immaginare.

Ridiscesi trattenendo il respiro e nuotai dritto a destinazione. Non ci misi che qualche minuto a ritrovare il relitto, e un minuto a raggiungere la trave che avevo scavalcato incrociando quegli occhi.
Con la torcia che mi ero fatto lanciare in mare da Rebecca puntai il fondo alla ricerca del palmare. Non che ci tenessi troppo a quel coso, ma dovevo pur tornare con qualcosa in mano.
Rivedere quel posto riaffiorava i ricordi annebbiati dal torpore e dalla perdita dei sensi. Sarei ipocrita se dicessi che stare lì con le pinne che sfioravano la sabbia fine non mi riempiva l’anima di terrore al ricordo, e il corpo tremava come una foglia in autunno che minaccia di staccarsi dal ramo, ma al contempo ero eccitato e speravo caldamente di incrociare quello sguardo gelido ancora una volta benché la luce puntata in basso tremasse sotto la mia mano sempre di più.
Quegli occhi. Quei grossi occhi a palla, lucidi e pupille dilatate come gatti in agguato. Lucidi, so di averlo già detto ma… erano davvero lucidi, lucidi e tondeggianti (ho già detto anche questo, lo so.) Non so definire ancora oggi quale fosse il loro colore. Le narici erano grandi quanto le mie, forse poco meno… e la sua testa, una taglia di meno di quella che porto io sul collo. Chiomata. Era chiomata. Un pesce con la chioma. Un pesce. Uno squalo uscito dal parrucchiere? Un delfino con la permanente? E la sua bocca era violacea come quella di un cadavere nel suo ultimo riposo.
La vidi solo per un attimo quella sorta di creatura marina, ma l’immagine mi fu limpida.  Dopodiché persi il fiato e boccheggiai quand’ella volteggiò di sopra e sotto davanti a me e poi scappò dopo l’attimo che sembrò un centenario per entrambi.

Rividi il palmare proprio dove ricordavo di averlo perso e mi chinai. Non riuscivo davvero a trattenerlo nella mano. Ci misi qualche secondo prima di riuscire a stringere le dita. L’adrenalina rischiava di togliermi il fiato e schiacciarmi i polmoni dalla pressione del mare, ma potevo farcela. Dovevo ricordare, quantomeno. Mi guardai attorno e molluschi e pesci sembravano tranquilli. – tranquilli, esatto! Ecco perché erano tranquilli…! ciò spiegherebbe la loro indifferenza nell’avermi visto accanto a loro. Lei spiegherebbe ogni stranezza ma… è lei la stranezza… - confesso, non ero più sicuro di ciò che vidi.
Qualche passo più in là del palmare vi trovai la fotocamera e altre fesserie che avevo attaccate vicino. Mi chinai, un poco più sicuro e la mia mano aperta pronta a raccogliere la roba mi ricordò le sue. – Le sue pinne erano mani… come posso credere a quello che penso?! – mi schiaffeggiai il capo e afferrai la fotocamera con fermezza.
- Che assurdità: da quando in qua credo alle favole?! – Mi venne da sorridere ma cercavo solo di tranquillizzare me stesso e l’anima in tumulto.
Le dita affusolate erano lunghe, molto lunghe, e nella giuntura tra un dito e un altro… si vedevano palmate, quelle mani. - E mi ricordo quell’urto… me lo ricordo… come se qualcosa avesse colpito l’acqua con così tanta violenza da farmi balzare distante. Come può un essere umano farmi balzare con la forza delle pinne? -
Quando sollevai il capo, fui felice di guardare attorno solo pescetti dai molteplici colori. Cosa che in Grecia non avevo mai visto ma è anche vero che mai avevo visitato quelle acque. Non c’è limite alla sorpresa, decisamente.
Incominciavo davvero a rischiare un collasso così diedi un’ultima occhiata al posto, arrabbiato con me stesso per non essere riuscito a muovermi di un passo, e risalii.
Nel riemergere, probabilmente reduce dallo spavento ( e di questo ne sono convinto ancora oggi ) , credetti di incrociare ancora quello sguardo, una sola volta, quel bagliore fluorescente nel blu profondo, ma quando mi voltai un’istante ancora per confermare, lì dove m’era sembrato di averlo veduto, vi era solo tanto tanto troppo infinito buio.

Riaffiorai in superficie e cacciai l’aria riempiendomi i polmoni di ossigeno, beneamato ossigeno.
Vincent nuotava a due palmi da me e nel vedermi risalire si era fatto più in là come io, nel vederlo sotto di me, mi ero fatto più a destra. Con una mano mi fratturò una spalla, quasi.
« Stavo cominciando a pensare di dover scendere a recuperare la tua carcassa.» e con una mano avvinghiata al collo mi trascinò sullo scafo. « Vin, la delicatezza delle manine di cenerentola é nelle tue mani, giuro.» Allungò un sorriso e mi strappò la macchina dalle mani.
Ero un pessimo attore ma avevo dalla mia il fatto di essere una persona piuttosto silenziosa e a dar man forte a quei silenzi e all'espressione un po’ spaesata, fu lo svenimento che in realtà non mi aveva scosso niente affatto.
La mia testa non faceva che tornare a quel momento e i miei occhi guardavano oltre quello che di fatto si può vedere. Davanti agli occhi la scena si replicava come in un disco rotto che ripete sempre lo stesso pezzo. – Quella “persona” pallida e disumana… aveva una coda.-

Nei giorni a seguire le lezioni mi mangiarono settimane e sebbene fossi abbastanza bravo nelle materie generali, in quelle due settimane non potei fare più schifo di quanto feci.

Una domenica di quello stesso mese dissi a Vin che ci tenevo che sapesse una cosa che tormentava la mia mente. Era ovvio che mai avrei parlato di ciò che cominciai a credere di avere visto nella nebbia di quel malore; così ci incontrammo alla riva del mare.
«Quindi domani mi tolgono i punti. Porca puttana, le gambe mi fanno “giacomo-giacomo” a pensarci…»
« non morirai. »
«Ovvio che no, Vin….» Avrei atteso, avrei voluto, ma lui interruppe le mie stronzate. Non era un tipo ansioso, e neanche stava a domandarti di continuo cos'avesse da dirgli la gente, ma sapeva quando era il momento di essere seri e quando ci si poteva crogiolare nello scherzo.
« Che vuoi da me, Waru?» Solcava le onde con i ciottoli che trovava al suo fianco e almeno quattro salti sull’acqua riusciva sempre a farli fare mentre io, non avevo idea di come sfruttasse l’asse e l’andazzo del vento di modo che saltasse quella maledetta pietra. Sapeva essere sempre un passo avanti, lui, per questo lo scelsi nonostante Daniel fosse il mio compagno d’infanzia.
Sorrisi alla domanda e rigirai nelle mani quel ciottolo opaco dal colore mangiato dalla salsedine e granuloso. « Ti è capitato mai di vedere qualcosa di inspiegabile?» « Certo. 1997. Avevo rubato la moto di mio padre e non avevo visto una curva. Io e la moto volammo a chilometri ma inspiegabilmente non mi feci chissà che male e la moto che mi cadde addosso, mi sfiorò soltanto. Avevo dodic’anni e il cervello di una gallina.» « non che tu sia cambiato molto, Vin…!» Non conoscevo questo pezzo della sua vita. A dirla tutta… non conoscevo molto della sua vita. Mi partì una risata che non s’arrestò che dopo un colpo di Vinni sulla mia schiena.
« Non ridere. Quel giorno è cambiata la mia vita. » Benché parlasse seriamente, anche lui rideva sotto i baffi e mitigava quegli sbuffi di risata sorseggiando una pinta che gli avevo già trovato nelle mani quando arrivato, lo vidi seduto sullo scoglio.
« Che ti è successo in quel sopralluogo?» Mi ammutolì. Sapevo che fosse perspicace e sapevo che avrebbe capito a quale momento della mia vita io mi riferissi, ma sentirmelo domandare palesemente da lui, non me lo sarei mai aspettato. « Ho creduto di avere visto qualcosa che non c’é… » Vincent non rispose. Attese in silenzio di sapere se avessi altro da dire oppure se la mia risposta alla sua domanda poteva definirsi conclusa lì.
Si levò e spolverò i calzoni diretto al cestino. In quanto a me, la mia risposta aveva un seguito, ma che non potei mai più confessare. Un ciottolo ancora sprofondò dopo un tonfo nel mare scuro di quel giorno, mentr’io riprendevo il discorso e il riverbero dell’acqua che stavo guardando m’incatenò al suolo con gli occhi di fuori , terrificato.





NDA: Ciao, Minna!
So di avere aspettato troppo e di avere fatto attendere i pochi lettori di questa benedetta fanfiction decisamente troppo e non ho scusanti, chiedo venia. Ma quando l’ispirazione cala e altri problemi si accavallano a questo, abbandoni il campo per un po’. Ma sono tornata e spero di avere fatto meglio di quel che vi aspettavate. ( non credo ahah ) Grazie se nonostante il tempo, mi seguite ancora, e grazie ai nuovi che si affacceranno a questa strampalata lettura!
Hachi, spero di avere messo tutte le maiuscole questa volta! XD
D’ora in avanti almeno due capitoli al mese cercherò di pubblicarli, promesso! :)
Baci Baci e alla prossima! <3

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