Oh, I don' t know, I like impossible

di x Audrey x
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

Finalmente era riuscita a scappare da tutto quanto. Finalmente era di nuovo nel suo angolino. Sorrise. Era un sorriso sarcastico, mentre giocherellava con la sua lunga treccia color miele, illuminata dalla pallida luce della luna. Rivolse i suoi grandi occhi grigi verso il cielo. Verso le stelle. Non aveva passato male quella giornata. Aveva passeggiato lungo il viale, nel parco, e Martha le aveva fatto quella splendida treccia, che le incorniciava tutto il capo.
Improvvisamente sentì una goccia d’acqua e un grande fragore, un tuono a quanto pareva, che la riscosse dai suoi pensieri e dalla sorpresa rischiò quasi di cadere di sotto. Di sotto dal cornicione della terrazza, dov’era in bilico.
Ne cadde un’altra, e poi un’altra, e un’altra ancora. Abbassò lo sguardo sul vestito leggero che indossava. Era uno dei suoi preferiti: bianco, con qualche pizzo, ma non troppo sofisticato. Odiava le cose sofisticate. Tutta la sua vita era stata basata sulle cose sofisticate, che avevano portato solo disgrazie.
Le gocce aumentarono la loro intensità, e la pioggia iniziò a cadere sempre più violenta. Stava quasi per  rientrare, sebbene fosse ormai più bagnata che asciutta, quando una cosa particolarmente luccicante attirò la sua attenzione. Non fece nemmeno in tempo a sbattere le sue lunghe ciglia, che una violenta folata di vento la travolse, facendole perdere completamente  l’equilibro. Mentre cadeva però riuscì ad aggrapparsi con una mano a qualcosa.  Tutto era piombato nell’oscurità più assoluta e lei pendeva nel vuoto. Non riusciva a capire quello che succedeva, era sicura solo che non avrebbe resistito troppo in quella scomoda posizione. E se fosse finita? Caduta dal sesto piano di quel palazzo per una stupida distrazione? No, inconcepibile, non sarebbe successo, non voleva crederci, non poteva crederci.
Si stava ancora autocommiserando quando ad un tratto qualcosa l’afferrò per la mano. Sentì una voce indistinta gridare. Chiuse gli occhi umidi e lasciò la presa, stringendo forte quella mano sconosciuta. Era l’unica possibilità che le rimaneva. L’ultima cosa che vide furono un paio di profondi occhi color nocciola.

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


CAPITOLO UNO
Sentì una lieve brezza sulla pelle e aprì gli occhi. Il cielo era luminoso, di un intenso colore blu, che esiste solo nei sogni. Scoprì di essere distesa su qualcosa di morbido e decise di mettersi seduta. Trattenne il respiro. Era un prato. Era seduta su un prato, verde acceso e colorato da mille tonalità di piccoli fiorellini. Anche quello sembrava facesse parte del mondo dei sogni. Si chiese se effettivamente stesse sognando. Poi ricordò. La notte, la tempesta, la caduta. Quegli occhi. Che fosse morta?
«Ti sei risvegliata, vedo» .
Lei si girò di scatto, senza rispondere, e osservò la persona da cui proveniva la voce. Era un uomo. Non riusciva a definirne l’età. I suoi capelli erano scompigliati dalla lieve brezza che aleggiava nell’aria, e le sopracciglia inarcate gli davano un’espressione interrogativa. Stava camminando verso di lei.
« … Allora?» Disse la voce, riscuotendola dai suoi pensieri.
«Cosa?» Gli rispose in un soffio di voce.
«Mi stavo chiedendo se avessi potuto almeno conoscere il tuo nome.»
Lo guardò con aria perplessa, senza rispondere. Era tutto così irreale.
«Sei sicura di stare bene?» Continuò lui.
«Sono morta?» bisbigliò.
«Cosa? Perché dovresti essere morta?»
«La caduta…» Sospirò. Forse non era morta, ma poco importava, perché non ci stava capendo proprio niente!
«Cioè, intendo… Non lo so… qualcuno mi ha afferrato. Stavo cadendo. Sono morta?»
Sorrise. «No, non sei morta. Per fortuna.»
«Sto sognando, allora?»
Lui rise forte. «No, non stai nemmeno sognando. Sai, stai diventando inquietante con tutte queste domande. Perché dovrebbe essere un sogno? È un incubo?» Si sedette di fianco a lei e rise ancora. Lei fece correre lo sguardo sui suoi lineamenti, le labbra, il naso... Gli occhi. Grandi occhi. Occhi color nocciola.
«Oh, allora sei stato tu…» Sussurrò e si ributtò sull’erba. Era lui, dunque, senza dubbi, colui che l’aveva salvata in quella strana notte.
«Mi chiamo Lux, comunque, se vuoi proprio saperlo.» Pausa. «No, sarebbe Lucy, ma tutti mi conoscono come Lux. E tu chi sei, invece?» Si girò verso di lui con occhi curiosi. Se fosse viva, morta o in un sogno non le importava, tanto ormai era lì.
«Io sono il Dottore» disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Dottore chi?» Chiese.
«Il Dottore e basta» sospirò.
«E va bene, Dottore… Come ci sono finita qui?» Si alzò in piedi e si accorse che oltre al suo vestito bianco aveva addosso un lungo e morbido cappotto marrone, e ricordò ancora.
«Grazie per avermi preso ieri notte. O qualunque altra notte fosse.»
Lui rise. «Figurati. E poi, stavi penzolando dal mio tardis; non avrei mai potuto lasciarti lì.»
«Il tuo cosa?»
«Nave spaziale… o macchina del tempo, come la vuoi chiamare. Vedi, è quella là in fondo.» E alzò il dito indicando, parcheggiata a circa trenta metri da loro, una piccola cabina blu, lunga e stretta.
«Viaggi nel tempo con una cabina degli anni Cinquanta?» Chiese perplessa.
«E nello spazio» Aggiunse lui, con aria allegra. Lux alzò gli occhi al cielo. Effettivamente, con due soli che si fronteggiavano a vicenda e con un pianeta che si sfumava in quel blu in lontananza, dubitò fortemente che quello fosse il cielo della Terra.
«E scommetto che non hai la più pallida idea di dove siamo.» Disse con aria rassegnata.
«Indovinato!» Le fece un largo sorriso.
«Scopriamolo allora!» Gli rispose, con un cenno di malizia negli occhi.

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


CAPITOLO DUE
“Ehi, aspetta un attimo. Devo riportarti a casa” esclamò il Dottore.
Lux stette in silenzio per qualche secondo. 
“Non ci provare nemmeno” sbottò, e gli dette di spalle, iniziando a correre. Sentiva il vento che faceva attrito contro il suo corpo, il vestito svolazzava leggero con quello che le rimaneva della lunga treccia. Il cappotto le era appena caduto dalle spalle, e ora giaceva ai piedi del Dottore, che la guardava allontanarsi, rassegnato. 
Non si era mai sentita così libera. Corse, corse e corse ancora, fino a quando non ebbe più fiato. Si fermò e osservò l’ambiente circostante: si era inoltrata per una stradina di ciottoli, che ora l’aveva portata in un grande giardino, dietro ad un palazzo color avorio, illuminato dai due soli e ricoperto di rose bianche. Sembrava un castello incantato. Lo guardò per qualche minuto, ammirandolo.
“Ma non ti stanchi mai di correre, eh?” sentì una voce ansimante dietro.
“è bellissimo …” e si voltò verso di lui “Veramente non sai dove siamo?”
“Già, è stato il Tardis a portarci qui. Sta di fatto che ora tu devi tornare a casa, non certo stare in un posto sperduto nello spazio!”
Ancora! Pensò lei. Non aveva proprio voglia di tornare alla monotonia. Un’ avventura era quello che ci voleva per… No, niente, si decise che doveva correre e basta.
“Ehi, ma dove vai?” sentì la solita voce che la rimproverava, mentre lei si allontanava. Trovò un percorso in mezzo a un labirinto fatto di siepi, e dopo aver girato abbastanza intorno, si ritrovò davanti ad una piccola porta, che dava sul palazzo. Si guardò alle spalle, e la aprì lentamente. 
Era l’entrata di un corridoio poco illuminato, lungo e largo, e un’ aria fredda la investì, facendola rabbrividire. Camminò lentamente per un po’, sembrava che non dovesse mai finire. Svoltò a destra, poi a sinistra, poi a destra, trovò stanze sempre più grandi, ma continuò a proseguire. Più andava avanti, più le pareti erano decorate con affreschi e quadri e un profumo di vaniglia alleggiava nell’ aria. Avanzò di qualche passo, fino a intravedere un grande salone, da cui provenivano delle voci. Si nascose appena dietro la porta e sbirciò dentro: il colore predominante, o forse l’ unico presente, era il rosso. Degli arazzi appesi alle pareti, dei i tappeti che ricoprivano interamente il pavimento, delle lunghe e leggere tende alle finestre. C’ era una grande tavola, a cui sedevano molti uomini, che discutevano animatamente. Tutti loro indossavano un lungo mantello rosso scarlatto, come la tappezzeria.
“una guerra. È deciso?” 
 Trattenne il respiro nel suo nascondiglio e stette in ascolto.
“si, la più disastrosa di tutte le guerre.”
“dobbiamo trovare un movente…”
“Intanto sappiamo contro chi. Anche se alla fine è da secoli che è stata progettata”
“per porre fine alla nostra razza …”
“ i signori del tempo.”
Smise di ascoltare, frastornata. Ma cosa stava succedendo? Una guerra? doveva assolutamente trovare il Dottore. Magari lui avrebbe capito di che cosa stavano parlando, dato che a detta sua viaggiava nel tempo e nello spazio. Sospirò e guardò diritto di fronte a lei e scoprì esserci uno specchio. Un enorme specchio che stava riflettendo tutto quel rosso che ricolmava quell’ enorme sala. Tuttavia, qualcos’ altro attirò la sua attenzione: un paio di occhi scuri, carichi di sorpresa e indignazione, che la fissavano.
“Maledizione”, si lasciò sfuggire, prima di gettarsi in una corsa disperata in uno stretto corridoio, mentre sentiva dietro di sé quelle strane persone rivestite di scarlatto che imprecavano e crepitavano. L’ avevano scoperta, era così pessima a spiare le persone? Si fermò un attimo per prendere fiato. L’ avrebbero inseguita finché non l’ avessero scovata, era logico, e lei era senza forze. Doveva trovare un nascondiglio, e alla svelta. Riprese la sua corsa e andò a sbattere contro qualcosa. Il Dottore, ovvio. Ignorò completamente i suoi rimproveri, lo afferrò per la manica e lo trascinò nella sua fuga.
“Perché stiamo correndo? Cosa hai combinato?”
“Muoviti!” gli gridò. Imboccarono un altro corridoio e sbucarono in un giardino interno. C’ erano persone dappertutto, che si avvicinavano minacciose. I due fecero dietrofront e corsero ancora per un po’, fino a quando non ebbero trovato uno stanzino nascosto dietro ad un tendaggio che ricopriva l’ intera parete. Ci stavano a malapena, obiettò Lux, ma almeno ora non ansimavano più come prima. 
“Mi vuoi dire cosa è successo? Ti avevo detto di tornare a casa!” 
“La smetti di rimproverarmi? Non fai altro da quando siamo… “ si fermò di colpo. Aveva sentito dei passi. Si strinse più forte alla giacca del Dottore, così tanto che riuscì a sentire il suo cuore che batteva, e chiuse gli occhi, trattenendo il respiro. Scattò di colpo. il suo cuore batteva in un modo strano, produceva una specie di eco, quasi come fosse un altro battito. Era un altro battito. Si staccò di colpo da lui. Ma chi era?
“Hai due cuori. Non sei umano”
“Già” rispose divertito.
“Non ci trovo niente di divertente!” sbottò lei, e lui la intimò di fare silenzio. I passi erano sempre più vicini, e lei si riaggrappò alla sua giacca. Ma dove si era cacciata, con quello strano tipo, in quel posto insensato?! Fuori sentì altre persone parlare. Fantastico, era bloccata lì dentro, e chissà quando sarebbe uscita, e se sarebbe riuscita ad uscire. Si appoggiò alla parete, e scivolò lentamente, fino a sedersi, rassegnata. Lui la guardò e si mise vicino a lei.
“Non ci stiamo se ti siedi anche tu” lo rimproverò.
“Non trovi tutto questo elettrizzante? “ le rispose con un’ aria allegra.
“Guarda che non c’ è  proprio niente di elettrizzante!”  sbuffò lei. “ è solo una scocciatura! … ma” riprese con un tono di voce più calmo “Se non sei umano … da dove provieni? E perché viaggi?”
“è complicato.” le disse semplicemente. 
“scusa,  cercavo solo di fare un po’ di conversazione. “ gli rispose seccamente. Sentì ancora passi, non sarebbero riusciti a svignarsela, se la sentiva. Si stavano avvicinando.
Lo guardò distrattamente, e lo vide armeggiare con qualcosa che aveva in mano. 
“Cosa fai ora? “ chiese.
“Cerco di salvarci” Niente, non funzionava. Porta di legno, doveva aspettarselo e il suo cacciavite non andava bene. Si fermò a riflettere, anche se la situazione lo divertiva sempre di più.
 “Dimmi”, continuò ”Cosa hai fatto per mobilitare tutto l’ intero palazzo?” 
Lei fece spallucce.
“Ho origliato una conversazione che a quanto pare avrebbe dovuto rimanere segreta e, beh … mi hanno vista. Per sbaglio”
Lui scoppiò a ridere. Sì, quella situazione si faceva sempre più intrigante. Ad un tratto sentì silenzio completo. Aprì cauto la porta e sbirciò: nessuno. 
“Dai andiamo, è tutto libero” bisbigliò. 
“Smettila di ridere e aiutami ad alzarmi!” si sentì in risposta. 
“Ti puoi alzare anche da sola!” 
“No, non ce la faccio” sussurrò. Lui la guardo. La sua pelle aveva perso ogni traccia di colore. 
“Dai dammi la mano” le disse piano e la afferrò. Era gelida. Si abbassò di fronte a lei e le chiese se riusciva almeno a stare in piedi. Lei annuì e con il suo aiuto si alzò. Uscirono piano e si incamminarono, lentamente. Ora era tutto deserto! Cos’ era successo? Non importava, e non aveva tempo per scoprirlo. Chissà cosa aveva ascoltato Lux di tanto importante. Doveva ricordarsi di chiederglielo, quando si sarebbe ripresa.
Dopo aver girato per un bel po’ finalmente riuscì a trovare una piccola uscita che li riportò al tepore dei due soli. Ritrovò la stradina di ciottoli e finalmente avvistò il Tardis. Rimise distesa Lucy sull’ erba e le mise addosso il suo cappotto, di nuovo, dato che era caduta semi addormentata. 
Per quanto si sforzasse, non aveva proprio idea di che pianeta fosse, o dove si trovasse. Avrebbe voluto tornare indietro per scoprirne di più. Adorava quel genere di situazioni, ma non poteva lasciarla lì. Non in quello stato almeno. E, a pensarci bene, meglio che se ne stesse lì buttata sull’ erba, che in giro a scappare e creare altri inconvenienti. Sospirò. La prese e la mise nel tardis, deciso a riportarla a casa, prima che si fosse risvegliata.

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


CAPITOLO TRE
Aprì gli occhi, ma li richiuse di colpo quando una forte luce la colpì. Aveva perso i sensi di nuovo? Stava diventando un’ abitudine. Li riaprì piano piano e mise a fuoco le immagini. Era in una specie di stanza, con una specie di consolle piena di pulsanti, fili e leve dall’ aria molto complessa. Al centro c ‘ era una colonna di vetro con qualcosa di strano dentro che si muoveva. Le pareti avevano delle piccole finestre ad oblò ed erano di un colore strano, ambrato. Ed eccolo, il Dottore, appoggiato alla consolle che armeggiava tra bottoni e levette.
“Ben svegliata” le disse. “Ti ho portato via da quel pianeta, non sembravi stare troppo bene. Ma non penso fosse colpa dell’atmosfera. Il tardis ci protegge da questo tipo di cose. Allora come ti senti? Ti sto riportando a casa, penso che sia la cosa migliore e no, non lamentarti! E no, non puoi nemmeno scappare stavolta, siamo nel vortice spazio-temporale e la porta è difficile da aprire” disse tutto d’ un fiato e concluse il suo discorso con un allegro sorriso, inarcando lievemente la sopracciglia sinistra.
Lucy cercò di parlare ma si accorse che aveva la bocca impastata. Fece un profondo respiro e con un soffio di voce chiese del tè.
“Certo, ora lo prendo!” le rispose con la solita vivacità e varcò una porta che lo condusse chissà dove.
Lei si osservò ancora intorno. Doveva essere nel tardis. E stavano andando… dove aveva detto che stavano andando? Oh già, a casa. Forse era meglio così, dato che continuava a causare imprevisti. Anche lì. Sospirò e si mise con le gambe incrociate.
“Mi dispiace, penso proprio di averlo finito… o almeno qui non c’ è ma strano perché io adoro il tè, soprattutto se ha un sacco di zucchero dentro”
“A me non piace troppo dolce”.
“Neanche a me, ora che mi ci fai pensare” rispose assumendo un’espressione corrucciata. Comunque dimmi, cosa hai sent…”
“Hai almeno un po’ d’ acqua?” lo interruppe di colpo.
“No!” disse scocciato “Ma ascolti quando ti parlano?”
“Ma non ha senso che qui dentro sia così grande se non c’ è niente di utile! Aspetta, non saremo mica in quella cabina nel prato! Come facciamo a starci in quella cosa così piccola?”
“Hei, un po’ di rispetto!” disse, dando una pacca affettuosa ad una parete. “Si chiama tardis, come ho già detto ed è più grande all’ interno” finì con orgoglio, come un bimbo che mostra il suo lecca lecca ricevuto per essersi comportato bene.
Lux soffocò una risata e aggiunse che aveva capito e di non indisporsi troppo, e tra quanto sarebbe ritornata a casa, dato che aveva voglia del suo tè.
“Esattamente… ora!” e andò ad aprire la porta del tardis. Lux guardò fuori, piano. Era esattamente nel posto in cui si trovava quella fatidica sera. Stavolta però era giorno e la temperatura era piacevolmente tiepida.
“Vuoi venire?” gli chiese.
“Io penso che, ti aspetterò qui” e tossì.
Non è proprio diverso dagli altri, pensò lei, l’ avrebbe abbandonata lì di nuovo, in quella casa, come facevano tutti. Guardò giù dalla terrazza: c’ era il solito traffico.
“E poi quando tornerò, non ci sarai più. Va bene. Addio, allora” concluse freddamente, aprendo la porta che dava su un piccolo salottino, decisa a prendere qualcos’ altro di più forte che un semplice tè.
“Perché pensi questo?” sentì il suo tono serio da dietro le spalle. Lei tirò un lungo sospiro. Gli rispose che era abituata, e di andarsene senza tirarla troppo lunga. Lui restò fermo e la osservò.
“Io non me ne vado. E poi ora anche a me è venuta voglia di prendere qualcosa. Non è che hai per caso del succo di mirtillo? Io adoro il succo di mirtillo!”
Lei si girò decisa a fulminarlo, ma appena gli vide quel sorriso da scemo stampato in faccia non riuscì a trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata.
“Sei incredibile! Ecco entra.” E gli fece cenno di seguirla” Metto su il bollitore. Siediti intanto” disse mentre entrava nella piccola stanza più fresca rispetto all’ esterno e si dirigeva verso la porta. Il Dottore si sedette su un piccolo divanetto e si guardò intorno: c’ era un piccolo tavolino di vetro, dall’ aria antica, con sopra un centrino di pizzo. Le pareti erano colorate da tonalità chiare ed era tutto luminoso.
I mobili erano tutti marrone chiaro, e anche loro avevano un’ aria antica. Sopra uno di essi c’era un orologio a pendolo, molto elaborato, che dava l’ impressione di essere molto sofisticato. Ora che notava, tutto nell’ insieme sembrava essere molto sofisticato. Inoltre era tutto perfettamente in ordine, niente era fuori posto di un millimetro. Era così perfetto che sembrava non ci abitasse nessuno. Riapparve Lux, con un vassoio d’ argento con il tè e il succo. Anche lei sembrava facesse parte di quella stanza incantata, come fosse quasi una bambolina con quell’ abito bianco e la lunga treccia.
“Ecco” gli disse interrompendo i suoi pensieri e porgendogli il bicchiere di vetro contente il succo, e iniziò a riempire la sua piccola tazzina bianca, decorata in fondo da piccoli fiorellini rosa con una striscia dorata, con l’ acqua. Al che si sedette e iniziò a soffiare sul tè bollente.
Si sentì il tic toc dell’ orologio a pendolo per qualche secondo mentre entrambi sorseggiavano lentamente.
“Non metti lo zucchero?” iniziò il Dottore.
“Non mi piacciono troppo le cose dolci. Perché?”
“Curiosità” e silenzio per qualche altro attimo. “Abiti qui? Da sola? La tua famiglia?”
Lei tentennò. “è complicato.” E accennò un sorriso.
“Ti ascolto… se vuoi…”
Lei lo studiò per qualche lungo istante. La stava osservando con i suoi grandi occhi. Non sapeva come, ma quello strano personaggio le trasmetteva simpatia. Fiducia. Spensieratezza. Le sembrava che lui sarebbe riuscito a risolvere qualsiasi situazione. Era tutte cose che ormai non riusciva a percepire più in nessun altro da un bel po’.
“Ecco…” incominciò “Non c’ è molto da dire. È da poco che vivo qui. Cioè in questa casa, prima ero nella parte opposta della città. Di Edimburgo. Mia madre è morta abbastanza anni fa. È semplicemente, morta. Nessuno è mai riuscito a scoprire il motivo.” Si fermò e bevve un altro sorso di tè. Lui rimase in silenzio e lei riprese. “Vedi siamo rimasti io e mio fratello. Sai, eravamo gemelli. Mio padre se ne stava sempre via, per lavoro. È a capo delle industrie Sharp. A parte questo, avevamo comunque una vita normale, la scuola, degli amici, divertimento. Anche se dovevo continuare ad andare a Milano a partecipare ad un sacco di noiosi ricevimenti. Mia madre faceva parte dell’ alta società e anche se non c’ era più nostro padre ci costringeva comunque. Ma poi se n’ è andato anche mio fratello, un anno fa, come mia madre.” Oddio, ma cosa le stava succedendo? Lei non parlava mai di queste cose nemmeno con Martha, come mai ora le stava rivelando ad un perfetto estraneo, che aveva trovato meno di ventiquattro ore prima? Si fermò di colpo. Eppure quella figura davanti a lei era rassicurante. Gli fece un timido sorriso. “Sono stata rinchiusa qui. Ho lasciato la scuola, tutto. Mio padre ha sempre pensato che fossi un po’ strana e ora non ha più motivo di curarsene.” Gli lanciò un’ occhiata. “Non voglio –mi dispiace- o cose del genere”. Lui la guardò “Non è comunque una bella storia.”
“No, non lo è. Ma non importa, ora è il tuo turno. Cosa ci fai nello spazio e nel tempo?”
“Nemmeno io ho molto da dire. In poche parole, il mio pianeta è stato distrutto in una guerra. Molto grande. E con esso tutti i suoi abitanti. Io mi sono salvato e da allora viaggio. Non è male, in fondo”
“Piacevole” disse sarcastica. Anche lui aveva parlato di una guerra. Allora era abbastanza comune anche nell’ intero universo, a quanto pare.
“Non mi domandi altro?” le chiese sorpreso. Tutti appena lo sentivano avevano un sacco di domande e curiosità da rivolgergli. Lei se ne stava zitta, semplicemente.
“Perché dovrei? Ora so le cose più essenziali. Odio quelle complicate, le trovo noiose e pesanti e sono costretta a prestare attenzione quando me ne parlano.”
Lui rise. Era proprio strana. Ma poi ritornò serio e con un sorso svuotò il bicchiere.
“Ora devo andarmene” disse.
“Ritornerai in quel posto là?”
“Già. Non capisco come hanno fatto tutti quanti a sparire così. E a me piacciono i misteri.” Rispose sorridendo. Poi ringraziò e si alzò e uscì nella terrazza, dov’ era parcheggiato il suo tardis. Le fece un altro cenno di saluto e sparì dentro la cabina blu.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


CAPITOLO QUATTRO
Lei stette a guardarlo e la cabina scomparve. Ecco, era di nuovo ritornata alla sua monotonia. Non sapeva perché l’ aveva lasciato partire così. Anche se odiava le cose misteriose e questo genere, tutto era meglio che rimanersene lì. E poi era testarda, magari se avrebbe insistito sarebbe partita anche lei, che riusciva sempre ad averla vinta. O almeno così era sempre stato con Nate. Si disse che era inutile ripensare a quei tempi, anche se a volte provava veramente una grande nostalgia. Soprattutto perché Nate la capiva sempre, al volo e la aiutava in qualunque situazione, per esempio quando erano bambini, quando abitavano ancora nella casa sul lago, e lei l’ aveva trascinato nell’ acqua profonda ignorando le sue lamentele sul non saper nuotare. Era quasi annegato quella volta lì, però non se l’ era presa con lei e l’ aveva coperta, dicendo ai suoi che era stato lui che aveva voluto andare nel mezzo del lago. Quasi le scappò una risata. Rientrò in casa e gettò un’ occhiata allo specchio. Prese un colpo da com’ era conciata: la treccia era tutta spettinata, la pelle era cerea e le labbra erano ruvide e senza colore. La traccia di trucco che aveva era completamente scomparsa e il suo vestito era tutto stropicciato. Si diresse verso il bagno e riempì la vasca d’ acqua, buttandoci dentro qualsiasi tipo di sapone o bagnoschiuma che le capitò a tiro. Dopo aver fatto un lungo bagno in mezzo a quella montagna di schiuma, si rivestì con le prime cose pescate dalla confusione dell’ armadio e si mise un filo di trucco. Tamponò i capelli con l’ asciugamano quel tanto che bastava per non farli gocciolare e lasciò i morbidi boccoli liberi sulle spalle. Quindi, si buttò sui cuscini che ricoprivano interamente il pavimento della camera e chiuse gli occhi.
Un grande frastuono la risvegliò. Il sole stava tramontando, colorando il cielo di tonalità arancio e rosa. Si mise a sedere ancora mezza intontita e allungò la mano, afferrando un foglio. Era un lettera. La rilesse ancora, per la centesima volta. Era da parte di alcuni familiari di sua madre, che la invitavano qualche settimana là dove abitavano, a Milano. Si deve sapere che sua madre aveva vissuto lì, prima di sposarsi. Sua nonna faceva parte di una delle famiglie più importanti della città e dopo che la figlia se n’ era andata, aveva insistito molto perché i suoi due nipoti si trasferissero da lei; non ne sopportava il padre e poi pensava che fosse più decoroso per tutti che lasciassero quel postaccio orribile che era Edimburgo. Lux e Nate avevano sempre rifiutato; l’ idea di dover vivere in quella caotica città non li attirava neanche lontanamente e poi loro vedevano la nonna come un’ austera signora sempre composta e impeccabile con il suo chignon ordinato e la collana di perle. Ma ora era diverso. Forse lei da sola avrebbe potuto fare un tentativo. Magari avrebbe vissuto una buona esperienza e là, forse, avrebbe potuto rifarsi un’ altra vita e non essere vista come la tipa che, dopo tutto l’ accaduto era svanita dal mondo senza lasciare traccia. Ci stava ancora riflettendo sopra quando il rumore per cui si era svegliata risuonava più forte che mai nella sua testa. Una figura comparve sullo stipite della porta e lei si girò frastornata. 
“Lux Lux, Lux. Lux! Dov’ eri finita? Non ti ho vista quando sono ritornato qui ieri c’ erano delle persone che sapevano nemmeno chi fossi tu allora ho riprovato con le stesse coordinate ma stavolta eri tu a non sapere chi fossi io e allora ho provato ancora, ma sapevano loro chi ero io anche se e poi…” si fermò con un’ espressione corrucciata quando vide l’ aria perplessa di Lux.
“Okay, una cosa alla volta. Sai chi sono?” Chiese. Lei lo guardò con occhi sgranati.
“Ma sei stupido!? Certo che so chi sei. Piuttosto sei sicuro di stare bene? “ disse, “Dato che non vuoi rivelare il tuo nome e dici cose senza senso e vai in posti senza senso.” Disse un po’ scocciata per il brusco risveglio. Tuttavia non gli dispiaceva che fosse ritornato.
“Okay, innervosita ma almeno, sei quella giusta!” e iniziò a girare in tondo alla stanza,pensando vorticosamente. Ma com’ era possibile? Tre volte nello stesso punto esatto nello spazio e nel tempo e sono alla quarta era riuscito a raggiungere la Lux giusta. Non aveva senso per niente. Ma ora doveva risolvere la questione che l’ aveva portato a cercarla. La prese per la mano ignorando le sue lamentele, e la trascinò in terrazza, dove c’ era ancora una volta, il tardis.
“Hei, ma cosa vuoi ancora adesso!’” gridò lei, mentre era ormai dentro alla cabina.
“Lo vedrai!” gridò mentre si avventava con foga a tirare giù una grande leva e scintille partivano dalla tavola dei comandi principali.
Dopo un corto viaggio pieno di scossosi tutto tornò calmo.
“Siamo arrivati. Allons-y” gridò il Dottore, mentre spalancava la porta del tardis. Uno spettacolo desolato si parò davanti ai loro occhi.
“Oh no. Non ancora, noo” disse imbronciato.
Ma Lux fu quella più meravigliata.”L’ hanno già iniziata” disse un po’ perplessa. “Anzi, forse già finita.” Osservò ancora quello scenario. Erano di nuovo in quel pianeta. Solo che stavolta era tutto grigio e color cenere e nubi di fumo si levavano da alcuni punti della terra. I due soli emanavano una debole luce. Ma se l’ unica luce presente era lì di fronte, come mai la sua ombra era proiettata davanti a lei? Si voltò di scattò e spalancò paurosamente gli occhi. Una palla infuocata colorava il cielo di mille tonalità di arancio. Si accorse che quello era il piccolo pianeta che aveva visto. 
“Dottore” disse sommessamente.
“Cos…” disse girandosi verso dove Lux stava guardando, ma rimase senza fiato.
“Come hanno fatto ad agire così in fretta, e con un tale disastro?” sussurrò lei.
“è questo che cerco di capire, ci deve essere un'altra crepa nell’ universo.” Iniziò, rivolgendosi più a sé stesso che a qualcuno. “ Quando ho cercato di ritornare, dopo essermene andato via da te, ho trovato solo spazio in questo posto. Non c’ era niente altro. Ma non è possibile che provochi così tanti danni. Non so neanche se possa essere possibile cambiare le cose così in fretta. E in ogni momento, soprattutto.” Ritornare gli aveva provocato solo confusione. Che il tardis fosse danneggiato e che l’ universo andasse bene? Ma i suoi pensieri furono interrotti appena realizzò effettivamente quello che gli aveva detto Lucy.
“Hei, aspetta. Chi ha fatto cosa?” le chiese con un’ espressione perplessa.
“Avrei dovuto dirtelo prima. Io ecco, stavano parlando di una guerra. Quando gli ho ascoltati. Parlavano di una guerra. La più grande.” Disse, osservandosi ancora intorno.
“Con calma, guardami” le disse prendendola piano per le spalle. “Cos’ hai sentito esattamente? Per favore, è importante, anche se penso che lo veda anche tu che è importante anche se ormai niente segue più una logica!”esclamò, mettendosi le mani sui capelli e spettinandoli tutti. “Però è affascinante, non trovi?” disse con la solita aria da scemo.
“Smettila! Io la trovo solo una grande scocciatura!” anche se pensò, senza questa grande scocciatura forse ora sarebbe già diretta a Milano. No, non poteva certo definirla così... Piuttosto, un colpo di fortuna. Beh non molta fortuna però, per gli strani tipi con il mantello scarlatto. Ci riflettè ancora un po’ in silenzio, mentre lui la osservava con impazienza.
“È fuori dal normale e basta” concluse infine. 
“Bene, dopo le tue lunghe elucubrazioni, potrei sapere cosa hai sentito esattamente?” le disse in tono esasperato.
“Quanto sei noioso! Niente, dicevano di voler iniziare una guerra per…” e si ricordò il dettaglio più importante. “Ma certo! Per uccidere tutti quanti!” esclamò “Loro volevano neutralizzare tutto il loro popolo!” 
“E hanno detto come si chiamava il loro popolo!?” gridò sul punto di esplodere.
“I SIGNORI DEL TEMPO!”

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***


CAPITOLO CINQUE
Sicuramente non era reale. Loro erano morti ancora da, beh da un bel po’. Era impossibile che fossero ritornati, di nuovo. E poi, in che modo questa volta ci sarebbero riusciti? E comunque, ora, in quel piccolo pianeta non c’ era proprio niente, quindi, al massimo erano già stati distrutti, ma se le coordinate erano le stesse della prima volta, neanche un secondo in più, non era possibile che fosse già tutto finito. 
Intorno a lui era tutto calmo, non c’ era alcun rumore. Non trovava un filo logico che riuscisse a tenere valido qualsiasi spiegazione che cercasse di dare all’ accaduto.
“Ma non trovi strano, che non ci sia nessun cadavere?” Lux ruppe quell’ opprimente silenzio. “Insomma, se dovevano uccidere qualcuno…”
“Ma non è questo il loro pianeta, è quello che brucia lassù” le rispose, indicando la palla infuocata, che si stava via via spegnendo.
“E allora che senso ha distruggere anche questo posto?”
Lui la guardò. Non ricordava nemmeno che fossero esistiti dei satelliti intorno a… sospirò “Proprio non lo so. Facciamo un giro qui intorno, forse troviamo qualcosa.” E si incamminò verso una direzione non definita, con lei dietro, che chiedeva come faceva a sapere che non era questo il luogo dove vivevano i signori del tempo, se li avevano trovati lì.
“Lo so e basta” tagliò corto lui.
“Va bene” girarono intorno ancora, non trovando niente di rilevante.
“E se, riprovassimo ancora con le stesse coordinate? Insomma, lo troveremo prima o poi?”
“No. Cioè, sì, potremmo ma non so se capiteremo nel posto giusto. Questo sembra un loro imminente futuro, anche tenendo conto che quando siamo riusciti a scappare via non c’ era nessuno, come ora qui. E poi non riesco a capire come mai hai detto che erano signori del tempo. Voglio dire. Non potevano e basta! E non c’ era nessun altro pianeta di così grande vicino al loro.” Si fermò un attimo. “E poi, se ora siamo nello stesso esatto momento della prima volta, è il loro presente, non il loro futuro” un’ altra pausa. “A meno che qualcuno non abbia modificato gli eventi passati. Allora si che potrebbe essere... No, non ha senso! Dovrebbe averlo fatto molto velocemente e non può continuare ogni due secondi. Ma chi può viaggiare nel tempo!? Sono solo io che creo questi problemi!”
Lei lo guardò accigliata. Non sapeva proprio cosa pensare. Soprattutto in mezzo ad un argomento come questo. Si buttò per terra, in mezzo alla cenere e chiuse gli occhi.
“Hei, ma che fai?”
“Niente. Allora, cosa pensi di fare?”
“Guarda che in mezzo ci sei anche tu”
Ma cosa stava dicendo? Lei non centrava assolutamente niente in quella storia. Glielo fece capire. Lui le rispose semplicemente di mettersi in piedi e di entrare nel tardis.
“Mi riporti a casa?” chiese.
“Vuoi tornare a casa?” rispose.
“Dai, scopriamo questo mistero temporale” disse Lux sorridendo e gli fece strada, mentre apriva la porta del tardis e si metteva a curiosare nella tavola dei comandi.
“Aspetta, non l’ avevi chiusa prima, la porta?” esclamò, alzando la mano con le chiavi della cabina e un ‘aria corrucciata. “Devi sempre chiudere la porta del tardis!” la rimproverò.
Ma lei era già scappata in giro ad esplorare quello strano mezzo. 

La piccola cabina atterrò per l’ ennesima volta nello stesso punto. Il Dottore uscì, ma fu subito deluso. Era lo stesso paesaggio grigio e distrutto. Beh, la cosa positiva è che almeno stavolta era tutto esattamente uguale. Chiamò Lucy, ma non ricevette risposta. Chissà dove si sarà cacciata, pensò, ma decise di lasciarla gironzolare ancora per il tardis. Non sembrava ci fosse niente di nuovo. Stava quasi per rientrare, frustrato, quando sentì un leggero movimento dietro di lui. Strano, se non c’ era nessuno. Si voltò di scattò e vide un’ ombra nell’ oscurità.
“Hei!” gridò “Chi sei?”
L’ ombra si avvicinò “Potrei rivolgerti la stessa domanda”
“Sono il Dottore. Come sei arrivato qui?” no, domanda stupida. “Volevo dire, quando, sei arrivato qui.”
“Non importa il mio nome. E poi, se fossi veramente il Dottore, dovresti saperlo, chi sono” si avvicinò un altro po’. Era abbastanza alto, ma non riusciva a distinguerne il volto, dato che era coperto da un largo cappuccio. La voce risultava però abbastanza giovane “Pensi di prendermi in giro? Tu non sei il Dottore!” esclamò, mentre estraeva qualcosa da sotto quella giacca lunga e nera, che arrivava quasi fino a terra.
“No, no. Non ci siamo capiti. Io sono il Dottore. L’ unico”
“Stai mentendo. Sei una persona completamente diversa da lui. Prima di tutto non è così giovane!”
E se… quel tipo poteva parlare di una sua vecchia rigenerazione. O una sua futura. Nel contesto era però più probabile che questo fosse un avvenimento già accaduto. Strano però, perché lui dovrebbe averne avuto memoria.
“Cosa centra il Dottore in tutto questo?” gli chiese improvvisamente.
“E io dovrei anche venirtelo a dire?” rise sommessamente. “Comunque, qui non ci dovrebbe essere nessuno, tantomeno un sopravvissuto” disse, mentre estraeva una strana arma, e la puntava contro il Dottore.
“No un momento, aspetta. Con calma. Parliamo almeno, insomma, non sai chi sono, non ci guadagneresti niente a farmi fuori così!”
“Non ci guadagno niente comunque"
“Dottore, cosa sta succedendo?” 
Entrambi guardarono sorpresi la persona da cui derivava la domanda.
“Oh Lux, ma non eri rimasta nel tardis?” disse il Dottore, scocciato.
Lei gli lanciò un’ occhiataccia.
“Ti sono venuta a cercare perché eri sparito!” sbottò. “Ma ora ritorno dentro, sei felice?” fece, e gli voltò le spalle.
“Eddai, non prenderla così…” 
“Ti chiami Lux?” chiese l’ ombra con un accenno di stupore.
Lux si girò di scatto. Era così scuro che non si era nemmeno accorta di quella terza figura.
“Non farle niente!” lo ammonì il Dottore.
“Si ma se ci vai di mezzo tu, poi io come ci torno a casa? Non so guidare quella… cosa!” gli disse gelida, ignorando completamente l’ altra persona.
“Non è possibile” bisbigliò l’ ombra. 
“Cosa?” chiese istintivamente il Dottore.
“Non può essere qui…” abbassò l’ arma.
“E perché non potrei essere qui? Chi sei tu per dire questo? “ Mio dio, dove si era cacciata, con due matti che parlavano criptico o che davano ordini.
“Non è possibile.” Ripetè ancora.” Eppure… non c’ era altra soluzione, chi poteva mai essere se… Avrebbe chiesto spiegazioni. Rimise l’ arma dentro il lungo mantello. Cosa fare? Non poteva di certo ucciderla. E nemmeno lui allora. Decise di andarsene, per il momento.
“Hei, Lux… se sei tu” aggiunse “Non fidarti di questo Dottore” e cliccò qualcosa congegno che aveva sul braccio, per poi sparire in mezzo ad una luce verde azzurra.
“No, non andarteneee” gridò il Dottore. “Fantastico! Beh, almeno c’ è qualcuno di vivo, un po’ ostile sì, ma…” tirò su con il naso “Intanto c’ è qualcuno” disse, sorridendo con aria ottimista. “Ora non ci rimane che ritrovarlo!”

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Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


CAPITOLO SETTE
Finalmente, il luogo dove non era ritornato da ormai troppo tempo. Appoggiò la sua mano sulla maniglia e stette fermo, immobile. Aveva quasi paura anche solo a sbirciare dalla fessura della serratura. Avrebbe rivisto tutto, tutto quanto. Il cielo, il paesaggio, le città, dopo essersi rassegnato che ormai non esisteva più niente di tutto questo, che erano rimasti solo i vividi ricordi impressi nella sua mente. Aveva tanto desiderato un momento del genere. Ma ora, spingendo quella maniglia, era terrorizzato dall’ idea che avrebbe ritrovato il solito, freddo vuoto, mandando in frantumi la sua flebile speranza.
“Cosa aspetti?” chiese Lux da dietro, impaziente. Si era svegliata.
Lui non rispose, inspirò, e spalancò violentemente la porta della cabina. Rimase senza parole. Non era cambiato niente. Neanche una foglia. Era tutto perfettamente identico ai suoi ricordi. Rimase così estasiato ancora per qualche istante.
“Okay” si risvegliò infine. “Ora…” e si bloccò. Ora cosa? Cosa ci faceva lì, di nuovo?
“E qui, dove hai vissuto?” chiese timidamente Lux. Era curiosa, ma era anche un po’ confusa dalla sua reazione. Lo studiava, e si accorse che il suo sguardo era smarrito, assente. Non sapeva bene come attaccare bottone. Non voleva disturbarlo dai suoi pensieri, ma più che pensieri, sembra fossero angosce.
“Torniamo dentro?” chiese infine.
“Si” sussurrò deciso.
Lei lo guardò con aria interrogativa.
“Ho vissuto qui” spiegò lui. “Dai, andiamo” disse, avviandosi, abbozzando un sorriso.
Lei gli fu subito dietro, ma si tenne a una debita distanza. Stava iniziando a provare una sorta di rispetto e di benevolenza verso quella figura, che sembrava imperturbabile di fronte ai disastri del tempo, ma che rivelava una particolare fragilità in queste situazioni.
Procedettero per vari chilometri, passeggiando in quella sottile erba rossastra, che rispecchiava le mille sfumature del cielo. Lui non aveva più fiatato, e lei, dal canto suo, era rimasta zitta in silenzio. Di scattò, il Dottore si voltò dalla sua parte. Lei si arrestò immediatamente, sorpresa. Lui rimase in silenzio. Lux alzò gli occhi, e iniziò ad esaminare distrattamente le piccole sfumature arancioni presenti nell’ immenso cielo.
“Per prima cosa, andremo in quella grande cupola, la vedi?” le disse, interrompendo il silenzio, indicandola.
Lei  guardò dritto davanti a sè per la prima volta. Che domanda stupida. Era impossibile non notarla. Era immensa e così limpida. Al suo interno si intravedevano altissime costruzioni a punta. Intorno ad essa, il paesaggio era così terso. Montagne rocciose incorniciavano l’ orizzonte, e i campi radi non avevano una fine. Era stupendo.
 “Così prenderemo informazioni. Poi vedremo cosa fare.” continuò e riprese a camminare.
 “Sai, non pensavo di poter ritornare in questo posto.” Disse dopo pochi passi.
“E ora sei felice di essere di nuovo qui?”rispose Lucy, aspettando qualche secondo.
“Si” sorrise “Lo sono” disse, e gli si illuminarono gli occhi.
Continuarono a camminare, fino a quando non arrivarono ai piedi di quell’ enorme sfera. O meglio, ai piedi della cosa che sosteneva quell’ enorme sfera, portandola a qualche decina di metri sospesa dalla terra.
Lux rimase senza fiato. Da vicino, quella cosa era praticamente gigante.
“Come facciamo ad arrivare lassù?” chiese lei.
“Aspetta…” e con aria assorta si mise a tastare quella specie di muro di metallo… o qualunque cosa fosse quel materiale scuro.
“Ecco qui! Lo sapevo che c’ era!” esclamò esultante. “Vedi?” e indicò due piccoli cerchi concentrici, che scalfivano quella superficie liscia e perfetta. Tirò fuori quello strano aggeggio che aveva nella tasca del cappotto, e lo puntò intorno a quelle incisioni. Poi ci premette una mano sopra e spinse. Era una porta nascosta. Ci entrarono.
Era un corridoio. Un lungo e buoi corridoio. Lux non riusciva a vedere a un palmo dal naso. Era anche piuttosto basso.
“Per una volta. La mia altezza è un vantaggio…” commentò sarcastica mentre si inoltravano“Però non si vede niente! Ma dove l’ hai recuperato questo posto?” gli chiese, perplessa.
“Passaggio segreto… ce ne sono un bel po’. Soprattutto di questi tempi… sai, non era tutto perfetto e ordinato come poteva sembrare dall’ esterno, il mio pianeta. Ripensandoci, era proprio un gran disastro. E la loro scelta di dare corda alla loro rivalità che avevano con i dalek ne è stato la prova. Insomma, se veramente volevano preservare tutto in pace e armonia perché avrebbero dovuto-“
“Ahi!” si lamentò Lux, che aveva smesso di ascoltarlo dopo ‘tutto perfetto e ordinato’. Era mai possibile che per una volta riuscisse a non inciampare o sbattere contro qualcosa? Scosse la testa, rassegnata. Stavolta però, con era colpa della sua distrazione, ma di quel maledetto corridoio senza luce!
Il dottore fermò il suo discorso/monologo e scoppiò a ridere. Lux gli avrebbe tirato volentieri uno schiaffo, so solo potesse vedere dove si trovava la sua faccia in mezzo a quell’ oscurità.
“Sei inguaribile” commentò, e le prese la mano, riprendendo a camminare. Finalmente, dopo un viaggio che a Lux sembrò interminabile, risbucarono alla calda luce due soli.
 “Che bello, siamo dentro!” esclamò Lucy, contenta di essere uscita da quel luogo umido. “Ma perché non siamo entrati da un’ entrata ‘normale’?”
Il dottore la studiò un momento. “Certo , certo! In questi tempi è complicato entrare qui, pieno di controlli e cose di questo genere. Ed è l’ ultima cosa che voglio. Quanto sono noiosi! Sono inutili, se uno ha qualcosa da nascondere, lo riesce a fare tranquillamente in ogni caso.”
Lux soffocò una risata. Era davvero divertente quando  esprimeva le sue strane teorie.
“Perché ridi?” la squadrò lui.
“Non stavo ridendo. N-non per un valido motivo. Comunque… ci stiamo dirigendo a caso o verso una meta precisa?”
“Hei, per chi  mi prendi? Certo che abbiamo una meta solo… non ricordo esattamente qual’ era la direzione giusta…” finì dubbioso.
Lei decise di lasciare perdere questa conversazione, e pregò perché riuscissero in qualche modo a trovare la strada e si guardò veramente intorno per la prima volta, da quando erano entrati lì dentro. Rimase estasiata: si trovavano esattamente nel centro della cittadella.
I grandi edifici erano costruiti con un materiale scuro, ma lucido e ricco di sfumature, le ricordava il marmo. Inoltre l’ architettura era tra le più complicate che lei avesse mai visto. Quasi tutti, avevano lunghi e altissimi porticati. La strada era lastricata di strane pietre, che riflettevano mille colori con la luce del sole. O meglio, dei due soli, si corresse, dopo aver lanciato un’ occhiata in quel cielo mozzafiato. Si accorse anche che con la luce, quello strano marmo scuro, rifletteva un leggero e chiaro argento, facendo risplendere l’ aria.
Era la cosa più bella che avesse mai visto. Ad un tratto, piccoli fiorellini comparvero ai bordi della strada e più avanti, anche qualche albero.
“è stupendo…”
“Ma qualcosa non quadra. Sembra lo stesso, identico, uguale! Ma… stona. Qualcosa stona. Beh, non proprio tutto, però… questo pianeta ha qualcosa di estraneo, è come se mancasse qualcosa. No anzi, manca qualcosa! Ma non riesco a ricordare. È il mio pianeta, si vede e lo riconosco, ma è come se non ci avessi mai messo piede…”
“Siamo messi bene allora” rise Lux. Ma poi ritornò seria “Forse perché è da un sacco che non lo rivedevi. O forse è per un altro dei problemi spazio-temporali. Ma ora dovremo concentrarci sul motivo del perché siamo venuti qui. Dimmi, perché?”
“Vedi quella specie di specchi? Ecco sono una specie di piccoli tunnel spaziali, sono portali per la precisione. Ti portano nelle varie parti della città, e del pianeta, in qualche caso. Non all’ esterno però, perché altri estranei potrebbero intrufolarsi. Una volta, ce n’ erano molti di più… mmm… dobbiamo assolutamente capire qualcosa. Dai, se non ricordo male, dobbiamo entrare lì” disse, prendendola per mano, e trascinandola verso uno specchio, incastrato tra due portici.

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