From Iraq 2002 to Washington 2013

di myloveislikeastar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: INTRO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Risveglio ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Lui è tutto ***
Capitolo 4: *** AVVISO! ***
Capitolo 5: *** Capitolo4: Scars ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: little things ***
Capitolo 7: *** Camille ***
Capitolo 8: *** PROPOSTA URGENTE! ***
Capitolo 9: *** Capitolo 6: (non so come chiamarlo, sks) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: INTRO ***


Capitolo 1)
 
Come ogni mattina, da dodici anni a questa parte, mi alzai dal piccolo letto singolo della mia stanza dalle pareti azzurrine.
Come ogni mattina mi legai i capelli in una coda alta ancora prima di essermi vista allo specchio.
Come ogni mattina andai in bagno e mi sciacquai il viso osservando i lineamenti oltremodo convenzionali e privi di qualunque attrattiva del mio volto.
E, come ogni mattina, vidi la sua foto compostamente appoggiata su una mensola di vetro del bagno e il mio cuore perse un battito.
 
Era davvero una bella foto quella.
Gliel’avevo scattata due mesi dopo il nostro fidanzamento a Central Park.
Era una mattina come tante e lui mi era venuto a prendere sotto casa scatenando l’indignazione più sentita di mia madre, donna austera di altri tempi, che però non avevo minimamente notato.
Tutto quello che mi interessava in quel momento era godermela. Avevo 18 anni e tutta una vita davanti. Ma soprattutto avevo una vita con Justin.
 
Lui riempiva le mie giornate. Era semplicemente troppo bello e surreale per sembrare vero. Era bello, alto, intelligente, simpatico, spiritoso e terribilmente attratto da me. Cosa desideravo di più? nulla! Tutto era perfettamente al suo posto.
Perciò quella mattina ero uscita come tutte le mattine con la mia fidata Canon d’epoca al collo e un cuore pieno di amore e spensieratezza giovanile.
 Verso le 11 eravamo arrivati a Central Park e lì io gli avevo scattato una foto su una di quelle tipiche panchine verdi dei film, il sole gli faceva risaltare gli occhi e lui era di profilo, il ciuffo color grano sempre scompigliato e un meraviglioso sorriso stampato sul volto.
Uno di quei sorrisi spontanei, che anticipano una risata.
 
Quella foto, dopo dodici anni, era ancora poggiata su quella mensola, in una cornice semplice di legno fine e chiaro.
Ormai avevo trent’anni. Non ero più giovane e spensierata, avevo un lavoro, delle responsabilità.
Justin non l’avevo più visto, ma d’altra parte nessuno l’aveva più visto.
Le ultime notizie che avevo avuto di lui risalivano a dieci anni fa quando un ufficiale in uniforme aveva bussato alla mia porta dandomi una di quelle notizie che avrei desiderato non sentire mai.
 
<< Lei è la signorina Carbury? >>
Lei era rimasta stupita da quella domanda, cosa voleva quell’uomo?
<< Sì generale, sono io >>
A quel punto lui aveva abbassato il capo e lei aveva capito che qualcosa non andava.
Che qualcosa era successo a lui e che non era nulla di buono.
<< Signorina Carbury sono spiacente di dover essere io a darle la notizia ma… >>
<< che succede generale? >>
Il suo tono era salito di qualche ottava, era teso e spaventato.
<< Sono spiacente di dirle che il soldato Justin Bieber è stato catturato dalle armate irachene nell’ultima missione e che non sappiamo se e quando tornerà a casa >>
Justin.
Era stato preso prigioniero.
<< è morto generale? >>
<< Temiamo di sì signorina Carbury. L’esercito americano le porge le proprie più sentite condoglianze, il soldato Bieber era un uomo valoroso che si è battuto fedelmente per questa nazione >>
Il generale aveva usato il passato parlando di lui e lei aveva capito che non avrebbe più rivisto il ragazzo che amava.
 
Dopo dieci anni ancora nessuna notizia era stata rinvenuta sul gruppo di soldati americani che erano stati presi come ‘ostaggi’ in Iraq e lei aveva ormai perso le speranze.
Aveva frequentato altri uomini, ma non li aveva mai amati davvero.
Quando all’età di 19 anni Justin aveva deciso di arruolarsi nell’esercito lei aveva cercato di fermarlo ma tutto quello che aveva ricevuto era stato un perentorio << Tornerò a casa presto e allora tu sarai fiera di me >> peccato che non era tornato e che probabilmente non sarebbe tornato mai più.
 
Per il primo anno di arruolamento tutto andava bene, lui era ancora sul suolo americano e si sentivano spesso.
Ma nel 2002 il suo plotone era stato trasferito in Iraq per la cosidetta “guerra al terrorismo” contro Saddam Hussein. E in quel frangente lui le aveva promesso che le avrebbe scritto lettere e che avrebbe sempre pensato a lei e che sarebbe tornato a casa.
 
Dopo un anno dalla cattura lei aveva venduto la casa che si erano comprati insieme per trasferirsi in un appartamento più funzionale nel centro di Washington D.C. studiato per una sola persona.
Aveva trovato un lavoro facilmente grazie alla sua laurea con ottimi voti alla Columbia University di New York e ora scriveva per il “Washington Post” occupandosi di politica.
 
Perciò, come tutte le mattine, alle 8 a.m. in punto mi trovavo nell’ascensore del grattacielo della sede del giornale con un cappuccino della Costa Coffee nella mano e nell’altra un fascicolo pieno zeppo di fogli da esaminare.
 
<< Signorina Carbury venga nel mio ufficio la prego >>
La voce del direttore mi aveva perentoriamente chiamata alle 11 a.m. e così ora mi trovavo nel moderno ufficio dell’ultimo piano, comodamente seduta su una poltrona di pelle nera davanti all’uomo calvo e sulla sessantina che mi aveva dato il lavoro.
 
<< Signorina Carbury come lei sa i suoi articoli sono ottimi e hanno fatto verificare una crescita esponenziale nelle vendite del nostro giornale. Così volevo chiederle di partecipare al rinfresco e alla cerimonia organizzata dal presidente qui a Washington in onore dei soldati americani>>
Questa era in pratica una promozione?
<< Allora, accetta? >>
La risposta mi uscì spontanea dalle labbra.
<< Ma certo signor direttore >>
L’uomo tirò un sospiro di sollievo e si riposizionò sulla poltrona.
<< Bene, sulla sua scrivania troverà tutto il materiale necessario, buon lavoro signorina Carbury>>
Mi alzai dalla poltrona e con un sorriso mi congedai dal direttore.
 
Un servizio importante. Dovevo studiarlo nei minimi dettagli se volevo fare una bella figura con il direttore e ricevere una promozione.
Mi risedetti sopra la sedia in plastica grigia del mio piccolo ufficio e aprii con calma il nuovo dossier poggiato sulla scrivania.
Non ero una di quelle persone che amavano fare le cose di fretta, mi piaceva metterci tempo per ottenere sempre il massimo risultato da ogni mio lavoro.
Così presi un foglio di carta e iniziai a leggere le prime righe del fascicolo.
 
“Ricevimento e rinfresco in onore dei soldati americani:
Data: 7 ottobre 2013
Luogo: camera ovale, Casa Bianca, Washington
Soggetto: In data 4 ottobre 2013 un plotone di ricognizione americano ha ritrovato in un fosso del deserto iracheno alcuni uomini dell’operazione ‘Desert Storm’ dati per dispersi nel lontano 2002. (…) “
 
Il respiro mi si mozzò in gola.
Dovevo aver letto male.
Sì era sicuramente andata così, avevo proiettato i miei desideri interiori sul mio lavoro. Tornai indietro con gli occhi e rilessi le ultime righe. Non poteva essere…
Il testo non era cambiato, il ricevimento era per i soldati ritrovati del suo plotone.
Perché non mi avevano avvertita? Dopotutto ero ancora legalmente la compagna di Justin, lui non aveva parenti quindi risultavo ancora essere il suo primo “familiare.
 
Forse lui non c’era.
Magari lui non lo avevano trovato.
Per la prima volta dopo tanto tempo sentii il dolore impossessarsi di me.
Magari era davvero morto, oppure un nuovo generale si sarebbe presentato il giorno stesso davanti a casa sua per darle la notizia.
E magari non avrebbe trovato nessuno visto che lei era al lavoro.
In quel momento di una cosa era certa, doveva andare.

Ciao a tutti quanti,
Ho appena iniziato questa storia.
Ne ho molte altre in corso al momento quindi se vi piace vi prego di essere
pazienti visto che aggiornerò con molto ritardo ogni volta.
CONTINUO A UNA O PIU RECENSIONI

 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Risveglio ***


Capitolo 2)
 
Dove mi trovavo?
La testa mi pulsava in maniera dolorosa e non riuscivo a capire dov’ero.
<< Si è svegliato >>
Spostai lo sguardo e vidi un uomo in camice bianco, probabilmente un dottore, che mi guardava in maniera affabile.
<< Al momento potrebbe essere un po’ confuso soldato Bieber, ma non si preoccupi, si sentirà meglio fra qualche minuto >>
Soldato Bieber.
Mi aveva chiamato Soldato Bieber, doveva far parte dell’esercito americano.
<< Dove mi trovo? >>
Dissi.
La mia voce era fievole, debole e uscì dalla mia gola come un rantolo.
<< Si trova a Washington, l’abbiamo ritrovata soldato Bieber, dopo dodici anni lei è di nuovo qui >>
Richiusi gli occhi e caddi nel mondo sei sogni.
 
<< Non andare, ti prego >>
Lui aveva sentito la sua presa sul suo braccio stringersi e la sua voce incrinarsi.
<< Devo >>
Le aveva risposto con voce pacata.
Le sue borse erano già in auto, doveva solo decidersi ad andare.
<< Non sei costretto ad arruolarti Justin! >>
Era vero.
Non era costretto, ma qualcosa lo spingeva a farlo.
<< Magari voglio >>
Si era girato verso di lei e aveva visto un lampo di delusione sfrecciarle negli occhi grigi.
Lei aveva staccato la mano e si era rannicchiata contro la porta.
<< Magari ci farà bene una pausa, ci vediamo Justin >>
La sua voce era stata fredda, distaccata.
L’aveva ferita e ne era consapevole. Anche lui era ferito.
Ma aveva deciso di non pensarci.
<< Tornerò presto e allora tu sarai fiera di me >>
 
Una voce mi svegliò.
La testa mi girava di meno, tutti i pezzi del puzzle si stavano ricomponendo.
Dovevo rivederla.Era passato così tanto tempo!
Come l’avrei trovata? Sarebbe stato tutto uguale?
Certo che sarebbe cambiato tutto. Ero una persona diversa.
Non ci conoscevamo più, eravamo come estranei probabilmente.
Ma questo era prematuro da dire, doveva vederla prima.
 
La stanza era piena di dottori sarebbe bastato chiederlo a loro.
<< Dottore…? >>
Solo un uomo quasi del tutto calvo si avvicinò.
Era di certo un uomo singolare.
Doveva essere sulla settantina, i capelli stavano sparendo e i pochi rimasti erano bianchi come la neve, gli occhi erano due specchi azzurri lattiginosi, portava degli occhiali tondi color pelle e, nonostante l’età, camminava perfettamente dritto.
<< Cosa succede soldato Bieber? >>
Presi coraggio e formulai la domanda.
<< Quando potrò rivederla? >>
Un dolce sorriso si formò sulle labbra dell’uomo e mi sentii rassicurato.
<< Intende la signorina Carbury? >>
Annuii.
<< La vedrà domani, al ricevimento in vostro onore alla Casa Bianca. La signorina sarà inoltre presente per lavoro >>
Cosa intendeva?
Che lavoro poteva mai fare?
<< Mi scusi, di cosa si occupa? >>
<< è una giornalista del Washington Post >>
 
Lui era steso sul prato con lei accanto.
Era una bella giornata di sole quella e loro erano andati a Central Park.
<< Tu cosa sogni di fare da grande? >>
Lei lo aveva guardato, Justin non era il tipo da fare queste domande.
Era uno di quei ragazzi che viveva giorno per giorno, che non si curava del futuro.
<< Mi prenderesti in giro, e poi perché ti interessa? >>
Lui si era girato verso di lei e l’aveva guardata dritto dentro gli occhi.
Quegli occhi che lo avevano stregato fin dall’inizio, per cui avrebbe potuto morire.
<< Mi interessa perché ti amo e lo sai che non ti prenderei mai in giro! >>
Lei aveva sorriso, lo faceva sempre quando lui le ripeteva che l’amava.
<< Mi piacerebbe scrivere, ma non libri. Vorrei scrivere di politica sui giornali >>
Lei aveva abbassato lo sguardo, forse imbarazzata.
<< Ci riuscirai sicuramente. Sei in assoluto la persona più intelligente che conosca >>
<< E tu? Cosa vorresti fare da grande? >>
Lui si aspettava questa domanda ma non sapeva comunque come rispondere.
Cosa voleva dal suo futuro?
Tutto era così confuso! Non aveva mai avuto degli obbiettivi nella vita, non aveva mai perseguito nulla fino in fondo.
<< Voglio te >>
Così rispose, perché lei era l’unica ancora nella sua disordinata vita. 

ALLORAAAAAA!
Ho avuto un sacco di recensioni! Non me le aspettavo davvero
e per quetso ho deciso di aggiornare in fretta anche se il cpaitolo non è perfetto
ed è anche un po' corto per i miei gusti, ma dovete capire che poi
devono incontrarsi e devo ricambiare p.o.v.
Spero che sia tutto chiaro!
Io starò via per una settimana perchè sono in gita :D
recensite e ditemi come posso migliorare, grazie mille a tutte.


Se volete: on twitter: @fagioloecarota

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Lui è tutto ***


Capitolo 3:
 
Con le dita continuai a ticchettare con le mie unghie perfettamente smaltate sul tavolino di legno posto accanato al divano di pelle nera nella piccola sala attigua alla camera ovale.
Quanto ci avrebbero tenute ancora qui dentro?
Sì, perché sedute accanto a me c’erano altre signore, donne e ragazze. Ognuna di loro reagiva in modo diverso. Alcune piangevano, altre si torturavano le mani e tenevano un ritmo incostante con il piede, altre ancora stringevano fra le mani vecchie foto.
E poi c’ero io. Il mio viso era una maschera di pietra da cui non trapelava nessuna informazione, l’unico mio gesto che tradiva il nervosismo era il ticchettare sopra il tavolino.
<< Scusate per l’attesa, potete entrare ora >>
Disse un uomo di colore addetto alla sicurezza.
Ecco, è arrivato il momento.
Cosa farò?
Cosa dirò?
Ci sarà imbarazzo?
Arriverà tutto naturale e spontaneo nel momento in cui lo vedrò?
La mia mente era affollata di domande che non avrebbero trovato risposta fino a quando non sarei entrata.
Alcune donne erano già entrate e potevo sentire i loro pianti, le loro grida di gioia, il rumore di due corpi che si scontravano e il suono di due bocche che si cercavano.
“Un passo, ecco brava ora metti un piede davanti all’altro, oltrepassa la porta, alza la testa ora”
Con i miei occhi grigi scrutai la sala, dove la gioia si poteva fendere con un coltello.
Disposti in fila c’erano soldati di ogni tipo, ma io uno ne cercavo.
Sorpassai con gli occhi vari uomini e poi lo vidi.
Teneva la testa bassa, come era solito fare.
Era più alto, più uomo.
Si era irrobustito, le sue spalle si erano allargate e muscoli erano evidenti.
I capelli erano cambiati, non cadevano più in un ciuffo disordinato erano abbastanza corti e ordinari nel loro insieme ma sempre di quel colore castano dorato.
Persi il controllo sul mio corpo.
Le mie gambe si mossero veloci verso di lui, senza controllo.
Mi misi a correre a grandi falcate, spostando in modo rude e scortese le altre persone.
Lui nel frattempo alzò lo sguardo e mi vide e fu allora che il mio cuore cedette e io crollai.
Perché non era vero che era tutto finito e che eravamo due persone diverse ormai, eravamo sempre gli stessi perché il nostro amore era sempre lo stesso.
I nostri corpi si scontrarono e lui fece qualche passo indietro per la botta.
Le mie braccia lo strinsero forte a me, poggiai la mia testa sulla sua spalla come facevo sempre quando avevo sedici anni e cercavo conforto tra le sue braccia.
<< Camille >>
La sua voce era roca, rotta però dall’emozione.
Il mio petto era scosso dai singhiozzi e le lacrime mi uscivano ormai copiose dagli occhi rovinando il trucco elaborato.
<< Oddio Camille >>
Mi poggiò un tenero bacio sulla testa e io inspirai il suo odore che non era cambiato. Lo feci entrare dentro i miei polmoni e me ne saziai, assaporandolo appieno. Quello era l’odore di Justin, gli apparteneva, a lui e a nessun altro.
Lui si abbassò verso di me e io,come ogni volta, mi persi dentro quegli occhi color caramello.
Scrutai i tratti del suo viso come a cercare la conferma di quello che stavo vedendo, come se la mia mente non riuscisse ancora a credere che lui era lì.
Con lo sguardo percorsi la linea ben definita della mascella, gli zigomi,il mento piccolo, le labbra perfettamente delineate piene e rosee, il naso delicato, gli occhi dal taglio ammaliante, le sopracciglia di un folto bionde che gli davano un aria adulta.
Ma ormai anche lui era un adulto, non eravamo più ragazzini, non si giocava più ora.
<< Justin >>
Le sue labbra si aprirono in un grande sorriso spontaneo.
<< Sono io Cami, in carne ed ossa >>
Sentendo quel vecchio nomignolo il cuore mi si strinse e le lacrime ricominciarono a scendere copiose dai miei occhi ed anche i suoi occhi si fecero lucidi.
<< Sono passati dodici anni Justin >>
Nel mio tono non c’era accusa, era una semplice constatazione.
<< Dodici anni che ti amo come il primo giorno, dodici anni che il pensiero di poterti riabbracciare mi tiene vivo, dodici anni in cui non molliamo >>
Mi venne un groppo alla gola, io non gli ero sempre stata fedele.
 
<< Ti va di venire da me? >>
La malinconia, la tristezza e la nostalgia la stanno uccidendo così la ragazza dagli occhi grigi dice di sì, sa cosa la aspetta da lui, sa che lo tradirà, ma che importa! Lui è disperso da qualche parte in Iraq, probabilmente è morto.
Non ha neanche il coraggio di pensarlo, che è morto.
Sarebbe troppo reale, troppo vero, se lei lo pensasse, preferisce accantonare in un angolo la possibilità molto concreta che non ci sia più.
<< Certo >>
L’uomo è più grande di lei, se ne sta approfittando.
Si sta approfittando della sua giovinezza, del suo corpo nel fiore degli anni, della sua purezza e lei lo sa bene ma non si oppone.
Dopo poco arrivano a casa di lui, è un appartamento spazioso nel centro di Washington.
Lei si è appena trasferita, la città le sembra troppo grande e frettolosa.
Le mani di lui le percorrono il corpo seminudo e le sue labbra cercano le sue.
Altre labbra sulle sue, non quelle di Justin, labbra che vanno veloci, frettolose e passionali.
Lei si lascia andare alla prima notte d’amore senza di lui.
Ma aspetta… quello non è amore, è solo sesso.
 
Poggio la mia borsa sul tavolino di vetro accanto al divano del mio appartamento.
<< E la nostra casa? >>
La domanda di Justin viene spontanea.
<< L’ho venduta, era…troppo grande e non riuscivo a pagarla da sola, mi serviva un posto più funzionale qui a Washington >>
Justin fa un cenno di assenso con il capo, il silenzio è inquietante e imbarazzante. Io mi muovo veloce, apparecchio la tavola e metto su l’acqua per la pasta, poi apro il letto sotto al mio in modo che diventi matrimoniale e ci metto sopra cuscino e coperte.
<< Lascia che ti aiuti >>
Avverto la sua presenza calda dietro di me e mille brividi mi partono su per la schiena, ecco l’effetto che mi fa, ancora dopo dodici anni.
<< Ecco fatto >>
Il letto è finito così corro in cucina e vedo che l’acqua bolle già così ci butto dentro la pasta e mi fermo un attimo, mentre lui entra in cucina.
<< Cosa dovrebbe succedere ora? Dovremmo correrci incontro come prima e fare finta che questi dodici anni non ci siano? Cosa dobbiamo fare? Justin io sono così confusa! Ho paura di sbagliare, di non fare le cose giuste… >>
Infatti dopo quei momenti alla Casa Bianca dove la nostalgia e l’emozione ha preso il sopravvento a mala pena ci siamo sfiorati e siamo tornati due estranei.
<< Io ti amo Cami, non so cosa sia successo questi dodici anni e non lo voglio sapere, ma sappi che tutto quello che mi teneva in vita laggiù eri tu. I tuoi occhi grigi, i tuoi capelli ramati, la tua pelle bianca, le tue lentiggini, il tuo sorriso, le tue labbra, tu. >>
<< Anche io ti amo J ma ora mi sembra tutto cambiato >>
Lui si avvicina a me, riesco a sentire il suo respiro caldo sulle labbra.
<< E’ tutto cambiato solo se tu vuoi che sia così >>
Sinceramente non so cosa voglio, voglio che tutta vada bene, voglio essere felice.
Non so se sarò felice con Justin, ma ora come ora è tutto quello che ho e lo amo, chi potrebbe farmi più felice?
Così mi avvicino ancora di più alle sue labbra e lo bacio.
Dopo dodici anni riscopro la morbidezza delle sue labbra, le emozioni che un semplice contatto mi può scatenare e l’amore c’è, si sente nell’aria.
Ora lo so, è lui quello che ho voluto per questi dodici anni, lui.
Perché solo lui può farmi felice. 

AMATEMIIII

No ok, lo so che sono secoli che non aggiorno
ma sono stata in gita e sto in punizione D:
Poi ho dato la precedenza ad un altra storia mi dispiace.
Però ok....... ECCO IL CAPITOLO!
E' uscito una mezza schifezza e poi l'ho dovuto riscrivere
perchè me lo aveva eliminato fanculen.
Lasciatemi una recensioneeeeeeee sennò non continuo.

Passate dalle mie altre storie DAIIII
Se volete: on twittah @fagioloecarota  

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Capitolo 4
*** AVVISO! ***


RAGAZZI ODIO DOVERLO DIRE DI NUOVO MA IL CAPITOLO NON HA AVUTO RECENSIONI QUINDI IO NON CONTINUO. 

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Capitolo 5
*** Capitolo4: Scars ***


UN RINGRAZIAMENTO A: @Happy_ http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=317815 CHE MI HA DATO LA FORZA DI CONTINUARE CON QUESTA STORIA. Capitolo 4:
 
Durante la cena parlammo, riprendendo confidenza piano piano, riscoprendo il legame che ci univa e che ci aveva tenuti insieme così tanti anni, che non ci aveva mai fatto crollare.
<< Penso che i piatti li laverò domani mattina. Ho preso una piccola pausa dal lavoro per poter stare con te e per farti ambientare e devo scrivere un articolo intanto>>
Dissi mentre iniziavo a sparecchiare, senza smettere di sorridere.
<< A proposito del tuo lavoro, sono fiero di te Cami, hai realizzato il tuo sogno >>
Sentii le sue mani cingermi i fianchi e mi voltai versi di lui, osservandolo.
<< Per un bel po’ di tempo starò in congedo, andrò al pentagono e lavorerò negli uffici dell’esercito e se Dio vorrà non dovrò più andarmene >>
Un brivido mi partì su per la schiena, il solo pensiero di lui di nuovo in guerra mi faceva impazzire, se fosse successo di nuovo sarei morta.
<< Non ti lascerò più, te lo giuro >>
Fece intrecciare la sua mano con la mia come quando andavamo al liceo.
<< Non fare promesse che non puoi mantenere J Se tu partissi io… io impazzirei >>
Lo vidi abbassare la testa, forse deluso di non potermi dare le certezze che mi servivano.
<< Non è colpa tua è solo che… >>
Non riuscii a finire la frase che le sue labbra mi zittirono catturando le mie in un bacio passionale pieno di aspettative. Le sue mani mi accarezzavano la schiena e io sapevo dove saremmo finiti. Avrei amato dopo tanto tempo e avrei amato l’uomo della mia vita.
La mente corse alla loro prima volta, che per me era stata davvero la prima, e sorrisi nel bacio, pensando a come si erano subito trovati sulla stessa lunghezza d’onda a come lui si era preso cura di me. Lentamente alzai la maglietta di Justin. Un grido strozzato mi si bloccò in gola.
Cicatrici.
Tagli,bruciature, ferite appena rimarginate, lividi, abrasioni…
Il petto, le braccia e la schiena di Justin ne erano ricoperti. Con delicatezza sfiorai alcuni di questi tagli con la punta della dita, lo sentii sospirare.
<< Come… >>
Avevo le lacrime agli occhi. La vista del suo corpo ridotto in quello stato mi avevo sconvolto. Non avevo mai realmente pensato a quello che avevano potuto fargli in questi anni, ma ora la realtà dei fatti mi era stata brutalmente imposta.
<< Pensavi che stessi in un Hotel a cinque stelle in Iraq? >>
Di tutte le cose che potesse dire, quella era di certo la più sbagliata.
Sembrava quasi colpa mia se ero rimasta scioccata da quella vista, forse non capiva cosa provavo. Sentivo ogni taglio, ogni ferita, ogni frustata bruciare sul mio corpo come se mi fosse stato inferto in quel momento.
Alzai lentamente lo sguardo verso il suo viso. Nel mio sguardo emozioni contrastanti combattevano fra di loro. Rabbia per quello che aveva detto. Compassione. Pena. Amore. Frustrazione.
<< Scusa se mi sento male per te >>
<< Scusami tu, non voglio litigare. È solo- è solo che non voglio ricordare quello che mi è successo. Voglio solo accantonare tutto quanto e non pensarci più. >>
Subito mi addolcii e gli accarezzai le labbra con il pollice.
Quella sera non facemmo nulla, dormimmo vicini, mentre gli accarezzavo tutte le cicatrici quasi come se il mio tocco potesse eliminare il dolore.
 
Lei era una ragazza sola, chiusa, timida quando si trasferì a New York alla vigilia dei suoi quindici anni. Quella mattina sull’autobus giallo della scuola, si sedette da sola in un posto libero vicino al finestrino mentre tutti urlavano e si divertivano con i vecchi amici.
La sua famiglia si era trasferita nella grande mela perché il padre, che lavorava in banca, aveva avuto una promozione. Per lei era stato un bel cambiamento.
Era passata da una piccola cittadina della Virginia alla città che non dorme mai, a quella fantasmagorica bolla di divertimento ed innovazione.
Là tutto andava più velocemente. La vita girava più velocemente. I giorni si rincorrevano tutti uguali. Le persone erano più superficiali e non sprecavano un minuto.
<< Sei nuova? >>
Un ragazzo le si era avvicinato. Portava vestiti usurati, un cappello grigio, aveva un dilatatore grande e nero all’orecchio, un piercing sul sopracciglio e si trascinava dietro un alone di fumo e di canna persistente.
<< Sì… vengo dalla Virginia >>
Un sorriso era apparso sul volto del ragazzo.
<< Allora questo posto sarà sicuramente libero >>
Detto ciò lui si era seduto accanto a lei, aveva tirato fuori una sigaretta e un accendino rosso e aveva iniziato a fumare.
Lei si era tirata la borsa accanto e aveva cercato di evitare, anche solo con lo sguardo, quel ragazzo così strano.
<< Non ti mangio mica >>
Dopo qualche minuto il ragazzo le parlò con tono scherzoso.
Lei si ridestò dai suoi sogni e lo fissò a lungo, non capiva come comportarsi, quel tipo la mandava in confusione.
<< Lo so >>
Aveva risposto con voce fredda, girandosi di nuovo verso il finestrino, mentre il bus si fermava ogni 5 minuti per prendere gli studenti.
Lo aveva sentito ridacchiare così aveva girato nuovamente la testa.
<< Sai qual è il tuo problema? >>
Lei aveva roteato gli occhi spazientita, cosa voleva saperne lui di come era fatta lei…
<< Non ti lasci andare >>
Dettò ciò lui si era acceso una sigaretta e aveva aspirato con soddisfazione, come se avesse appena risolto un complicato problema.
<< Non è vero >>
Quel tipo iniziava già a darle fastidio.
<< Allora dimostra melo. Saltiamo scuola! Ti porto in un posto >>
<< Cosa? >>
Era il primo giorno e questo già voleva pisciare. E poi lei non avrebbe mai e poi mai fatto sega a scuola, non voleva di certo deludere i suoi genitori.
<< Come non detto…sei proprio come immaginavo >>
Dovevo dimostrargli che si sbagliava, stava diventando una sfida personale.
<< Ok. Scendiamo da qui? >>
Un sorrisetto compiaciuto gli apparve sul volto e posso giurare che da quel momento non fui più la stessa.
 

 SCUSATE PER LA MERDA DI CAPITOLO.
VOLEVO POSTARLO IERI MA MI SI ERA IMPALLATO L'EDITOR, SORRY.
ANYWAY NON MI PIACE MOLTO COME E' USCITO... VI GIURO CHE IL PROSSIMO SARà MEGLIO.
NON SO QUANDO AGGIORNERO' SCUSATEMI.
MA INTANTO PASSATE DALLE MIE ALTRE STORIE.
ON TWITTER: @AGGVISTNURRUMOR

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: little things ***


Capitolo 5: (volevo ricordarvi che ad ogni spazio corrisponde un cambio di scena)
 
L’acqua della doccia scorreva ormai da un’ora e mezza. Nervosamente Camille si legò i capelli ramati in una coda alta e accese il vecchio computer fisso posto sopra alla scrivania. Quella situazione iniziava a snervarla; lei era una persona che viveva in maniera metodica e precisa, non le piaceva non sapere cosa sarebbe successo dopo, aveva bisogno delle sue certezze, delle sue abitudini, dei suoi schemi. In quella situazione di imbarazzo, di inesperienza, di timore lei non si trovava a suo agio, non sapeva cosa dire o cosa fare e quindi diventava parecchio nervosa. Mentre già pensava alla cifra stratosferica che avrebbe dovuto pagare per lo spreco di acqua calda il getto si interruppe e poco dopo Justin uscì dal bagno.
La rossa non poté che rimanere ancora una volta ammaliata dal suo corpo che sembrava scolpito, osservò i muscoli tonici delle braccia e dell’addome, i tatuaggi scuri che gli adornavano la pelle rosata, con lo sguardo cercò di evitare le abrasioni, i tagli e le bruciature che gli macchiavano la pelle scalfendo quel corpo che rasentava la perfezione.  Si risvegliò dal suo stato di contemplazione quando il computer emise il solito suono che avvisava che era pronto per l’utilizzo. Veloce lei spostò lo sguardo verso il monitor e si sedette sulla sedia di metallo nero della scrivania mentre anche Justin si riscuoteva e le si avvicinava da dietro. Le dita volavano veloci sulla vecchia tastiera bianca, Camille si perdeva sempre in quel limbo in cui esistevano solo lei e la scrittura quando lavorava.
<< Buon lavoro >>
Le parole di Justin le arrivarono come mormorii lontani mentre si inoltrava nel suo mondo.
 
<>
Lui aveva preso uno dei piccoli fascicoli dalla scrivania e lo aveva sfogliato velocemente. Lei era subito arrossita al pensiero dei suoi pensieri più intimi in bella vista sotto i suoi occhi.
<< Leva le tue manacce dal mio racconto! >>
Gli era corsa addosso e gli aveva levato il fascicolo dalle mani con un sorriso giocoso.
Lui aveva riso e avevano iniziato a rincorrersi nel piccolo appartamento vuoto. Oh come avevano riso! Quel pomeriggio sembravano tornati bambini, giocavano, si rincorrevano, ridevano e avevano dei pensieri facili e lineari.
 
<< Cami è pronto! >>
La ragazza con fatica si alzò dalla scrivania e si massaggiò stanca le tempie.
In silenzio i due si sedettero a tavola, Justin aveva preparato e apparecchiato e ora guardava il piatto metodico.
<< Come va l’articolo? >>
<< Bene grazie, manca qualche ritocco >>
La conversazione era fredda, come quella di due estranei. In passato non riuscivano a stare zitti un secondo e ora sembravano due adulti che si scambiavano giusto i saluti.
Camille si stupì quando realizzò che ormai lo erano. Lei aveva trentatré anni e lui trentacinque, non erano più dei ragazzi e in quanto tale, anche il loro rapporto era cambiato. Entrambi però non erano sicuri che gli piacesse questa nuova condizione.
<< Cosa fai domani Juss? >>
<< Starò a casa e poi passerò negli uffici dell’esercito per vedere quale compito mi è stato affidato. Suppongo che tu sarai in ufficio >>
<< Sì, ma potremmo andare a pranzo insieme e uscire un po’ il pomeriggio, no?>>
La rossa si stupì del suo coraggio, non era tipo da proporre uscite lei aspettava, la maggior parte delle volte, che fossero gli altri a gettare i ponti per nuove relazioni.
Questo Justin lo sapeva bene e infatti alzò lo sguardo leggermente stupito alla sua domanda, ma poi un sorriso non tardò a nascere sulle sue labbra.
<< Certo, devi farmi vedere Washington! >>
Camille fece per aprire bocca ma fu interrotta dal telefono di casa vecchio modello. Gli squilli finirono prima che uno dei due riuscisse ad alzarsi e partì il familiare tono della segreteria.
“ Ciao questa è la segreteria di Cami e Juss, lasciate un messaggio! No dai Justin stai fermo mi fai il solletico! Parlate dopo il bip AHAHA”
Quel messaggio lo avevano registrato insieme anni fa e Camille non aveva avuto la forza di cancellarlo, le sembrava l’unico modo per non dimenticarsi della sua voce e di come si divertivano insieme.
Il bip risuonò e entrambi ascoltarono il messaggio vocale.
“Camille sono Pattie, ho saputo che Justin è tornato e volevo invitarvi domenica a cena io…ho bisogno di rivederlo, mi è mancato così tanto. Salutalo da parte mia e digli che la mamma è sempre stata qui ad aspettarlo”.
Il gelo calò nuovamente sulla cucina mentre Justin assimilava le parole che aveva appena sentito. In quegli anni non si era di certo dimenticato della sua famiglia, sua mamma, suo papà, i suoi fratelli. Chissà come erano cresciuti Jazzy e Jaxon! Se li ricordava piccoli e petulanti.
<< Come stanno? >>
<< Bene, sono grandi ora, gli mancavi così tanto. >>
Gli rispose lei con un sorriso.
<< Invece i tuoi come stanno? >>
<< Non ci parliamo più>>
La rossa si alzò e iniziò a riordinare cercando di fermare la valanga di ricordi che la assalivano, ma lui era avido di informazioni.
<< Cosa? Come mai? >>
Si poteva notare il dispiacere nella sua voce e lei si sentì felice del fatto che lui ancora si preoccupasse per lei, per come si sentiva.
<< Dopo che sei… scomparso abbiamo avuto una lite furiosa, volevano che ti lasciassi e che mi cercassi un ragazzo “con la testa a posto” ma io gli ho categoricamente detto di no e la loro risposta è stata “non venire a piangere da noi quando ti ritroverai sola per sempre”, è stata l’ultima conversazione che abbiamo avuto>>.
Lui di colpo si alzò, sentì l’impulso di abbracciarla e così fece. Attirò a se quel corpo esile e fragile che tremava e lo strinse forte. Entrambi potevano sentire il cuore dell’altro battere all’impazzata e alla fine capirono che erano quelle piccole cose che li tenevano insieme. 

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Capitolo 7
*** Camille ***


Ragazze volevo metterli le foto della modella a cui mi ispiro per il personaggio di Camille.
Il suo nome è Nicole Fox e ha vinto America's Next Top Model e io da lì l'ho sempre adorata. L'unico problema è che gli occhi della modella sono versi mentre quelli di Camille sono grigi come gli occhi mostrati nell'ultima foto. Spero vi piaccia la ragazza che ho scleto. Fatemelo sapere con una recensione.


Camille:
 
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Capitolo 8
*** PROPOSTA URGENTE! ***


OKAY AVETE TUTTI IL DIRITTO DI VOLERMI AMMAZZARE PERCHE' NEANCHE QUESTO E' UN CAPITOLO MA VI ASSICURO CHE MANCA IL FINALE E VE LO POSTO.

allora, volevo farvi una proposta. Avevo intenzione di mettere questa ff sul sito americano Justin Bieber Fan Fiction Archive e mi chiedevo se ci fosse qualcuno che fosse disposto a tradurla con me visto che sono brava in inglese ma devo anche continuarla questa storia e quindi sarebbe un gran lavoro. Inoltre questa persona dovrebbe essere brava a fare banner e descrizione visto che quel sito si basa anche molto su quello.

Pensateci! Se mettiamo quella storia lì ci saranno anche i vostri crediti e un sacco di altre belieber potranno leggerla!
Fatemi sapere in una recensione, inoltre vi lascio il mio twitter @aggvistnrummor

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Capitolo 9
*** Capitolo 6: (non so come chiamarlo, sks) ***


Capitolo 6: (leggete lo spazio autore in fondo)
 
Camille si rigirò ancora una volta nel letto cercando di prendere sonno. Dopo la conversazione della sera precedente non aveva smesso un attimo di pensare alla sua famiglia e a come le mancasse. Sapeva, perché ne era certa, di aver preso la decisione giusta troncando i ponti. Insomma, se avesse dato ragione a loro ora lei e Justin non starebbero dormendo nello stesso letto; eppure sapeva anche che quando sua madre le aveva detto quella cosa lo faceva per lei, per non vederla triste di nuovo. Sia caratterialmente che fisicamente lei e la mamma erano molto diverse. La mamma di Camille non era una donna coraggiosa, aveva vissuto tutta la vita prendendo la decisione più facile cercando di evitare in ogni modo i dolori e i dispiaceri, quando il padre di Camille l’aveva tradita lei non aveva sbattuto ciglio e lo aveva perdonato evitando così di ritrovarsi sfrattata, senza un soldo e trascinata in tribunale. Lei l’aveva sempre disprezzata per questo, a volte aveva avuto l’impulso di scuoterla forte cercando di svegliarla da quella bolla che si era creata per farle affrontare la realtà. Il loro non era mai stato un bel rapporto, non si erano mai confidate, non avevano mai pianto né riso insieme e non avevano nessun momento speciale da condividere, il loro era più un rapporto di convenienza, si salutavano formalmente solo perché erano costrette a farlo e per quanto Camille ci avesse provato non avevano mai avuto un legame. Però, in quella triste sera in cui si erano urlate quelle cosa, lei aveva sentito una strana sensazione nel petto nei confronti della madre, un amore dolce e malinconico che la rattristava e che le faceva provare una certa malinconia.
 
Il ragazzo era arrivato alle otto in punto come aveva promesso. Il cuore della ragazza aveva fatto un capitombolo alla vista di tanta perfezione e quasi non riusciva a crederci di starlo per presentare ai suoi. I genitori austeri l’avevano squadrato con sospetto facendoli sentire entrambi a disagio, come se avessero commesso un crimine. Avevano iniziato ad interrogare il giovane che appariva sempre spavaldo e orgoglioso anche se, sotto tutto quella sicurezza, si nascondeva un animo fragile e Camille lo sapeva bene. Dopo quasi un’ora di conversazione i suoi li avevano lasciati andare e allora lei l’aveva capito, aveva finalmente capito di aver vinto la sua battaglia contro di loro, per una volta lei aveva avuto la meglio e non gli aveva dato motivo di affossarla.
 
Sentii qualcuno abbracciarmi e mi accoccolai nelle braccia di Justin.
<< Mi dispiace di averti svegliato in qualche modo >>
I nostri nasi si sfiorarono e io mi strinsi ancora più forte contro il suo petto caldo.
<< Non mi hai svegliato tu Cami >>
Passò qualche minuto di silenzio. Con il dito iniziai a tracciare tanti cerchi immaginari sugli addominali scolpiti di Justin.
<< Ti saresti mai immaginata così la tua vita? Se potessi scegliere, se ora ti dessero la possibilità di tornare indietro e di sederti ad un posto diverso su quell’autobus il primo giorno di scuola, tu cosa faresti? >>
Le sue parole vagavano ancora nell’aria mentre stavo zitta in parte scioccata dalla sua domanda, in parte cercavo le parole per spiegargli tutto quanto, perché non era di certo un concetto facile da esprimere quello dell’amore.
<< No. Mai. Neppure se mi dessero milioni di dollari non lo farei. Tu sei la mia vita Justin. Ci siamo persi così tanto tempo delle nostre vite ma ora non ho intenzione di sprecarne altro. E tu? Torneresti indietro?>>
Il mio tono di voce era sicuro e non lasciava trasparire neanche uno dei milioni di sentimenti che mi facevano attorcigliare lo stomaco. Con una velata preoccupazione lo osservai cercando di capire cosa si nascondeva dietro quei suoi occhi che, dopo anni, erano ancora un mistero per me.
<< No. Se potessi eviterei tante cose, la guerra ad esempio, e tutto quell’enorme bagaglio di ricordi che comporta. Perché vedi Camille io sono qui ora. Ma c’è una parte di me che è ancora lì, a combattere nel deserto iraqeno e io, per quanto ci provi, non riesco ad andare avanti. >>
Il suo respiro era spezzato mentre si immergeva nei torbidi ricordi di quegli anni e potevo giurare di aver sentito il suo corpo tendersi e le mani irrigidirsi al solo pensiero dell’Iraq.
Aprii la bocca cercando di farne uscire qualche suono o qualche parola di conforto ma non sapevo come aiutare.
<< Justin, cos’è successo in Iraq? >>
Per un attimo rimasi anche io sbigottita dalla mia stessa domanda, dal mio coraggio e mi maledissi mentalmente aspettandomi una reazione negativa da parte sua che invece non arrivò. Aveva capito cosa volevo sapere. Non volevo sapere delle battaglie, delle guerre o della morte, no. Volevo sapere perché lui era stato l’unico soldato non ritrovato e come aveva fatto a sopravvivere quegli anni da solo in Iraq. 
<< Tu non lo vuoi davvero sapere Cami, credimi.>>
e invece sì. Forse poteva non capirlo ma io lo volevo, volevo sapere ogni minimo dettaglio di quegli anni. Fremevo dalla voglia di sapere. Però questo non glielo dissi, lasciai da arte i miei dubbi, le mie domande e le mie curiosità come facevo di solito per accontentarlo.
<< Forse hai ragione tu >>
il mio tono di voce era flebile, lo percepivo. Faceva trasparire in qualche modo la delusione. Diamine, mi sembravo una bambina a cui non hanno dato la caramella che voleva. Justin però questo sembrò non capirlo e mi depose un leggero bacio sui capelli invitando ad accoccolarmi ancora di più sul suo petto.
<< Dormi ora, ora sono qui >>
 

 
Un leggero raggio di sole entrò nel mio campo visivo svegliandomi dal mio sonno profondo. Controvoglia mi girai verso il comodino e presi la sveglia.
 
10:45
 
“perdindirindina”
pensai maledicendomi mentalmente. Odiavo essere in ritardo. In realtà odiavo cambiare ogni singolo particolare della mia routine quando ne avevo una, mi scombussolava.
Perché Justin non mi aveva svegliato? A proposito… dov’era Justin?
<< Justin? >>
Borbottai mentre mi alzavo scioltamente dal letto e mi ricomponevo iniziando a vestirmi di corsa. Ero una persona mattiniera io. Amavo alzarmi presto e respirare l’aria frizzantina delle prime ore del giorno ma, per qualche strano motivo, il mio orologio biologico aveva deciso di giocarmi un brutto scherzo.
<< Justin? >>
Ora la mia voce suonava leggermente infastidita e spazientita. Dove si era cacciato? Mi diressi a grande falcate verso la cucina mentre mi infilavo la giacca. Justin era seduto comodamente su una sedia a leggere il giornale per cui io lavoravo.
<< Justin! >>
Quasi urlai nella sua direzione. La sua testa si girò nella mia direzione e sul suo volto apparve uno sguardo sorpreso e ironico.
<< Perché non mi hai svegliato? È tardissimo! >>
<< Scusami, non sapevo ti dovessi svegliare presto e dormivi così bene >>
Per un attimo mi sentii quasi in colpa per aver addossato tutta la colpa su di lui ma poi mi ricordai del ritardo disastroso e della situazione in cui mi trovavo così lo liquidai con un cenno della mano e corsi a prendere la borsa già ordinatamente messa sul comodino e corsi via.
<< Ci vediamo questo pomeriggio J >>
<< A dopo. L’articolo è stupendo Cami >>
Un naturale sorriso mi apparve sulle labbra. Lui l’aveva letto. E gli era piaciuto. Con il sorriso mi affrettai verso l’ufficio dimenticandomi del mio solito Costa Coffee. 







Beeeeeeene.
Ok, lo so che vorrete ammazzarmi e lo capisco ma capitemi, ero presa da un altra storia. 
Però ora visto che son intelligente mi sono scritta tutta la story-line e so già cosa succederà per almeno altri 20 capitoli quindi spero di aggiornare con meno ritardo. 
Ho anche provato afare un banner ma dire che non sono brava è dire poco insomma. 
Quindi se qualcuno fosse così gentile da crearne uno io lo farei santo, sul serio. 

Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono la mia storia, ve ne sono grata.
Ora evaporo, un bacione. 

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