Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: myloveislikeastar    04/05/2013    5 recensioni
Non sapevo cosa stavo facendo, sapevo solo che lui era lì, dopo dodici anni.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1)
 
Come ogni mattina, da dodici anni a questa parte, mi alzai dal piccolo letto singolo della mia stanza dalle pareti azzurrine.
Come ogni mattina mi legai i capelli in una coda alta ancora prima di essermi vista allo specchio.
Come ogni mattina andai in bagno e mi sciacquai il viso osservando i lineamenti oltremodo convenzionali e privi di qualunque attrattiva del mio volto.
E, come ogni mattina, vidi la sua foto compostamente appoggiata su una mensola di vetro del bagno e il mio cuore perse un battito.
 
Era davvero una bella foto quella.
Gliel’avevo scattata due mesi dopo il nostro fidanzamento a Central Park.
Era una mattina come tante e lui mi era venuto a prendere sotto casa scatenando l’indignazione più sentita di mia madre, donna austera di altri tempi, che però non avevo minimamente notato.
Tutto quello che mi interessava in quel momento era godermela. Avevo 18 anni e tutta una vita davanti. Ma soprattutto avevo una vita con Justin.
 
Lui riempiva le mie giornate. Era semplicemente troppo bello e surreale per sembrare vero. Era bello, alto, intelligente, simpatico, spiritoso e terribilmente attratto da me. Cosa desideravo di più? nulla! Tutto era perfettamente al suo posto.
Perciò quella mattina ero uscita come tutte le mattine con la mia fidata Canon d’epoca al collo e un cuore pieno di amore e spensieratezza giovanile.
 Verso le 11 eravamo arrivati a Central Park e lì io gli avevo scattato una foto su una di quelle tipiche panchine verdi dei film, il sole gli faceva risaltare gli occhi e lui era di profilo, il ciuffo color grano sempre scompigliato e un meraviglioso sorriso stampato sul volto.
Uno di quei sorrisi spontanei, che anticipano una risata.
 
Quella foto, dopo dodici anni, era ancora poggiata su quella mensola, in una cornice semplice di legno fine e chiaro.
Ormai avevo trent’anni. Non ero più giovane e spensierata, avevo un lavoro, delle responsabilità.
Justin non l’avevo più visto, ma d’altra parte nessuno l’aveva più visto.
Le ultime notizie che avevo avuto di lui risalivano a dieci anni fa quando un ufficiale in uniforme aveva bussato alla mia porta dandomi una di quelle notizie che avrei desiderato non sentire mai.
 
<< Lei è la signorina Carbury? >>
Lei era rimasta stupita da quella domanda, cosa voleva quell’uomo?
<< Sì generale, sono io >>
A quel punto lui aveva abbassato il capo e lei aveva capito che qualcosa non andava.
Che qualcosa era successo a lui e che non era nulla di buono.
<< Signorina Carbury sono spiacente di dover essere io a darle la notizia ma… >>
<< che succede generale? >>
Il suo tono era salito di qualche ottava, era teso e spaventato.
<< Sono spiacente di dirle che il soldato Justin Bieber è stato catturato dalle armate irachene nell’ultima missione e che non sappiamo se e quando tornerà a casa >>
Justin.
Era stato preso prigioniero.
<< è morto generale? >>
<< Temiamo di sì signorina Carbury. L’esercito americano le porge le proprie più sentite condoglianze, il soldato Bieber era un uomo valoroso che si è battuto fedelmente per questa nazione >>
Il generale aveva usato il passato parlando di lui e lei aveva capito che non avrebbe più rivisto il ragazzo che amava.
 
Dopo dieci anni ancora nessuna notizia era stata rinvenuta sul gruppo di soldati americani che erano stati presi come ‘ostaggi’ in Iraq e lei aveva ormai perso le speranze.
Aveva frequentato altri uomini, ma non li aveva mai amati davvero.
Quando all’età di 19 anni Justin aveva deciso di arruolarsi nell’esercito lei aveva cercato di fermarlo ma tutto quello che aveva ricevuto era stato un perentorio << Tornerò a casa presto e allora tu sarai fiera di me >> peccato che non era tornato e che probabilmente non sarebbe tornato mai più.
 
Per il primo anno di arruolamento tutto andava bene, lui era ancora sul suolo americano e si sentivano spesso.
Ma nel 2002 il suo plotone era stato trasferito in Iraq per la cosidetta “guerra al terrorismo” contro Saddam Hussein. E in quel frangente lui le aveva promesso che le avrebbe scritto lettere e che avrebbe sempre pensato a lei e che sarebbe tornato a casa.
 
Dopo un anno dalla cattura lei aveva venduto la casa che si erano comprati insieme per trasferirsi in un appartamento più funzionale nel centro di Washington D.C. studiato per una sola persona.
Aveva trovato un lavoro facilmente grazie alla sua laurea con ottimi voti alla Columbia University di New York e ora scriveva per il “Washington Post” occupandosi di politica.
 
Perciò, come tutte le mattine, alle 8 a.m. in punto mi trovavo nell’ascensore del grattacielo della sede del giornale con un cappuccino della Costa Coffee nella mano e nell’altra un fascicolo pieno zeppo di fogli da esaminare.
 
<< Signorina Carbury venga nel mio ufficio la prego >>
La voce del direttore mi aveva perentoriamente chiamata alle 11 a.m. e così ora mi trovavo nel moderno ufficio dell’ultimo piano, comodamente seduta su una poltrona di pelle nera davanti all’uomo calvo e sulla sessantina che mi aveva dato il lavoro.
 
<< Signorina Carbury come lei sa i suoi articoli sono ottimi e hanno fatto verificare una crescita esponenziale nelle vendite del nostro giornale. Così volevo chiederle di partecipare al rinfresco e alla cerimonia organizzata dal presidente qui a Washington in onore dei soldati americani>>
Questa era in pratica una promozione?
<< Allora, accetta? >>
La risposta mi uscì spontanea dalle labbra.
<< Ma certo signor direttore >>
L’uomo tirò un sospiro di sollievo e si riposizionò sulla poltrona.
<< Bene, sulla sua scrivania troverà tutto il materiale necessario, buon lavoro signorina Carbury>>
Mi alzai dalla poltrona e con un sorriso mi congedai dal direttore.
 
Un servizio importante. Dovevo studiarlo nei minimi dettagli se volevo fare una bella figura con il direttore e ricevere una promozione.
Mi risedetti sopra la sedia in plastica grigia del mio piccolo ufficio e aprii con calma il nuovo dossier poggiato sulla scrivania.
Non ero una di quelle persone che amavano fare le cose di fretta, mi piaceva metterci tempo per ottenere sempre il massimo risultato da ogni mio lavoro.
Così presi un foglio di carta e iniziai a leggere le prime righe del fascicolo.
 
“Ricevimento e rinfresco in onore dei soldati americani:
Data: 7 ottobre 2013
Luogo: camera ovale, Casa Bianca, Washington
Soggetto: In data 4 ottobre 2013 un plotone di ricognizione americano ha ritrovato in un fosso del deserto iracheno alcuni uomini dell’operazione ‘Desert Storm’ dati per dispersi nel lontano 2002. (…) “
 
Il respiro mi si mozzò in gola.
Dovevo aver letto male.
Sì era sicuramente andata così, avevo proiettato i miei desideri interiori sul mio lavoro. Tornai indietro con gli occhi e rilessi le ultime righe. Non poteva essere…
Il testo non era cambiato, il ricevimento era per i soldati ritrovati del suo plotone.
Perché non mi avevano avvertita? Dopotutto ero ancora legalmente la compagna di Justin, lui non aveva parenti quindi risultavo ancora essere il suo primo “familiare.
 
Forse lui non c’era.
Magari lui non lo avevano trovato.
Per la prima volta dopo tanto tempo sentii il dolore impossessarsi di me.
Magari era davvero morto, oppure un nuovo generale si sarebbe presentato il giorno stesso davanti a casa sua per darle la notizia.
E magari non avrebbe trovato nessuno visto che lei era al lavoro.
In quel momento di una cosa era certa, doveva andare.

Ciao a tutti quanti,
Ho appena iniziato questa storia.
Ne ho molte altre in corso al momento quindi se vi piace vi prego di essere
pazienti visto che aggiornerò con molto ritardo ogni volta.
CONTINUO A UNA O PIU RECENSIONI

 
 
 
 
 
  
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