Distratto.

di iwashere
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E' inevitabile. ***
Capitolo 2: *** Sospiri. ***
Capitolo 3: *** Cinquantanove. ***
Capitolo 4: *** (In)dolore. ***
Capitolo 5: *** Ghiaccio e dolore. ***
Capitolo 6: *** Muri distrutti. ***
Capitolo 7: *** Promesse. ***



Capitolo 1
*** E' inevitabile. ***


E' inevitabile.



Blaine camminava distrattamente per il corridoio del McKinley.
Nell’ultimo periodo la parola distratto lo accompagnava dappertutto, come un amico fidato.
 
Anderson, potresti stare attento alla lezione?
Blaine, se smettessi di essere così distratto riusciremmo a fare una coreografia decente.
Blaine, smettila di lasciare i tuoi libri in giro per casa! Sta più attento, sai che tuo padre odia il disordine.
 
Eppure dire che Blaine era distratto, con la testa fra le nuvole, nel suo mondo personale, non sarebbe stato del tutto giusto. Blaine era attento, solo, a cose diverse rispetto a quelle che cercavano la professoressa Hagberg, Will o sua madre. Blaine passava la maggior parte del suo tempo a cercare di ricordare e di capire. Cercava di imprimersi nella mente tutto ciò che era stato e di capire cosa aveva fatto. Quando, circa un mese prima, era andato a New York, non aveva intenzione di far male a nessuno. Avrebbe di gran lunga preferito vendersi un braccio piuttosto che fare del male a Kurt. All’amore della sua vita. Blaine tutte le mattine, prima ancora di alzarsi e fare qualsiasi cosa, ricordava il modo in cui il viso di Kurt si era illuminato quando l’aveva visto sedersi al piano, il modo in cui le sue guancie erano diventate leggermente più rosse quando l’aveva guardato pronunciando quelle parole, il modo in cui i suoi occhi dicevano Sei l’amore della mia vita anche tu.
Quando invece sceglieva che vestiti indossare per andare a scuola, cercava di ricordare tutti i consigli che Kurt gli aveva dato in quei due anni. Due anni. Blaine continuava a chiedersi come avesse potuto buttare via un amore così duraturo e sincero, e per cosa poi? Per un ragazzo conosciuto da due settimane. Se ci pensava ora, il confronto non reggeva. Non poteva reggere. E non poteva reggere, semplicemente perché Kurt sarebbe sempre stato il meglio, per lui.
 

* - * - * 


Blaine, quel pomeriggio, cammina distrattamente per i corridoi del McKinley. Dopo aver finito le prove del Glee – Blaine non devi girare a destra! Blaine tu sei in coppia con Brittany non con Marley! Blaine, ci sei? – sta andando a prendere i libri di algebra lasciati nell’armadietto. Non lo faceva mai, lui. Finite le lezioni, solitamente, si portava dietro tutto l’occorrente per poter correre a casa senza perdere altro tempo. Ma questo era prima, si ricordava, prima quando avevi voglia di studiare e di finire in fretta per poter andare da Kurt. Scuote la testa e si da dello stupido perché aveva pensato di poter arrivare alla fine della giornata senza pensare a lui. Ma poi si da dello stupido di nuovo, perché lo sa benissimo di non poter passare una giornata senza pensare a lui e senza odiarsi un po’ di più per l’errore che ha fatto. Non fa in tempo ad aprire il lucchetto con la combinazione – sempre quella, la data dell’anniversario suo e di Kurt, giusto per farsi male un po’ di più – che sente una voce che intona qualche parola di una canzone che lui conosce benissimo. La sua prima reazione è quella di sorridere e di chiudere gli occhi, godendosi al meglio quella canzone che lui adora,  perché si sente di nuovo parte di qualcosa che conosce, che è realmente sua. Poi però si costringe a riaprire gli occhi e, in seguito, a spalancarli mentre nella sua testa si forma una sola e chiarissima domanda: cosa diamine ci fa Rachel Berry a Lima?
Allora decide che rimanere lì con i libri in mano e con la tracolla in spalla senza fare nulla, non gli darà mai una risposta. Ci mette meno di dieci secondi a ributtare dentro i libri come capita e a chiudere violentemente l’armadietto, prima di cominciare a guardarsi intorno per capire dove sia Rachel. Cerca con lo sguardo e con le orecchie di capire in quale corridoio o aula sia, ma in giro non vede nulla se non una fila identica di armadietti. Per un momento, dopo aver girato quattro volte davanti alla sua tracolla lasciata ai piedi della parete vicino alla fontanella, pensa di essersela immaginata, pensa di essere ufficialmente uscito di testa. Ma dura solo un secondo perché poi vede la porta dell’auditorium aperta e sente di nuovo Rachel cantare con la sua voce potente e pulita sulle note di “Big girls don’t cry”.  Blaine non è davvero sicuro di voler entrare, adesso che è a pochi passi dalla porta. Perché infondo, entrare in quella sala e parlare con Rachel, renderebbe ogni cosa più reale e dolorosa. E Blaine non è sicuro di riuscire a sopportare dell’altro dolore. Non è sicuro di poter controllare Rachel, che ovviamente gli urlerà contro per la cosa orribile che ha fatto al suo migliore amico, e non è nemmeno sicuro di riuscire a controllare se stesso. Proprio mentre comincia a ripetersi che no, non è una buona entrare in auditorium e che lui dovrebbe essere già a casa dai suoi genitori, la voce di Rachel si fa sempre più vicina fino a che si spegne, dopo lo scricchiolio della porta. E quando Blaine riesce a specchiarsi nei grandi occhi scuri della ragazza davanti a lui, che lo guarda con un sorriso a metà tra il soddisfatto e il dispiaciuto, decide che la scelta migliore sia decisamente quella di scrivere un messaggio.
 
Mamma, arrivo a casa tardi oggi, il professor Shue vuole che io ripassi ancora la coreografia. In ogni caso, non aspettatemi per cena.
 
“Allora, come stai Blaine?” gli chiede Rachel, non riuscendo proprio a togliersi quel sorriso dalla faccia e non sopportando più il silenzio che si era creato dopo che si erano seduti sul palco del teatro.
Blaine per un momento vacilla, si chiede se sia il caso ti tirare fuori tutto ora o se sia meglio fingere anche con lei, e quando risponde “Bene, tu invece?” si sente immediatamente falso e sbagliato, di nuovo. Ma alla brunetta non sembra importare, perché lo guarda e non dice niente, lasciando che Blaine capisca da solo che lei è sempre la stessa Rachel, anche sotto qui vestiti scelti con più cura e quei capelli lunghi. Perché anche lei è cambiata, negarlo sarebbe come mentire, però dentro è la stessa ragazza di sempre. La stessa Rachel che aveva costretto Blaine a duettare con lei a Natale, la stessa ragazza che lo aveva spronato a dare il meglio per il musical scolastico, la stessa Rachel che a New York lo aveva sentito andare via ma che non era riuscita a fermarlo.
È dopo un altro minuto buono di silenzio che Blaine decide di parlare di nuovo.
“Ok, non sto bene, d’accordo? Non mi piace stare qui, non riesco a concentrarmi su niente, e-“ si ferma di nuovo, perché ancora una volta si rende conto che parlare con qualcuno, nonostante sia liberatorio e non possa che fargli bene, rende tutto più vero e tangibile. “E mi manca Kurt. Da morire.” Blaine tira un sospiro, ma non sa se sia di sollievo o a causa della fitta al cuore provocata dal nominare Kurt. E poi aspetta. Aspetta che Rachel dica qualcosa, che lo prenda a schiaffi, qualunque cosa, purché faccia qualcosa. Perché, Blaine se ne rende conto proprio in quel momento, lui non può più fare niente. In queste settimane è andato avanti per inerzia, solamente perché il suo corpo lo obbligava a farlo. Andava a scuola, studiava, litigava con suo padre, dormiva. Quasi sempre in quest’ordine, ma senza realmente seguire cioè che stesse succedendo intorno a lui. Perché ormai si è reso conto di essere bloccato a quel giorno nel parco, o forse ancora prima, a quando nella classe del glee si era arreso. Perché era questo che Blaine aveva fatto, si era lasciato andare. Aveva permesso che il suo corpo affondasse, perché senza Kurt, che è sempre stato la sua roccia, la sua salvezza, la sua ancora, lui non era niente. E quando uno sconosciuto gentile non aveva fatto altro che cercare di tirarlo su, di salvarlo, lui l’aveva lasciato fare. Aveva lasciato che gli facesse la respirazione bocca a bocca e che cercasse di dargli un po’ di quell’aria che in quei mesi, da quando Kurt era partito, aveva perso.
Blaine è così preso dai suoi pensieri che non si accorge che Rachel si alza e torna verso lo sgabello dove era seduta prima, mentre cantava. “Quanto tempo è che non canti Blaine?” chiede lei, con voce gentile, come farebbe una mamma. E a Blaine quella sembra una domanda stupida, perché è sicuro che lei sappia che era alle prove del glee fino a qualche manciata di secondi prima. E probabilmente la mora si accorge di essere stata poco chiara, così aggiunge “Cantare per davvero, Blaine. Cantare con l’anima, come facevi prima.” e quando vede i suoi occhi ambrati velarsi per un secondo, capisce di aver fatto centro. Perché Rachel è tornata a Lima, in quella città che le sta decisamente troppo stretta, non sono per i suoi genitori, ma anche per Blaine.  Perché lei sa che Blaine merita un’altra chance, e non pensa solo a quella che potrebbe concedergli Kurt. Lei non sa la storia, perché quando i rispettivi fidanzati – State ancora insieme? Non lo so. – se n’erano andati, lei e Kurt non avevano fatto altro che passare le giornate come se fosse tutto normale per poi ritrovarsi alla fine della giornata abbracciati insieme nel letto, una volta di Kurt, una volta di Rachel, perché per loro dormire da soli lì ormai era insopportabile. L’unica cosa che Kurt le aveva detto, trattenendo le lacrime e chiudendosi in bagno successivamente, è che Blaine l’aveva tradito. Non aveva detto come, né perché, né con chi. E inizialmente lei aveva pensato di lasciargli i suoi spazi, di non intromettersi. Ma quando si era resa conto che quello che vedeva non era altro che una brutta copia del suo migliore amico, aveva deciso che per il ringraziamento sarebbero tornati a casa, e Kurt con lei.
Rachel sta ancora aspettando una risposta e Blaine si siede di fronte a lei con le gambe incrociate. Lei sostiene il suo sguardo perché esige una risposta, ma il riccio non ci riesce, e per rispondere abbassa gli occhi fino a guardare il pavimento. “Da quel giorno a New York, credo. Prima, ogni volta che cantavo, anche se indirettamente, lo facevo per lui. Adesso ogni volta che canto mi viene da piangere”.
Blaine non sa quando ha deciso di essere così aperto con lei, di fidarsi così tanto, però sa che gli riesce bene. Così, quando Rachel timidamente gli chiede se ha voglia di cantare qualcosa con lei, e specifica che può scegliere lui la canzone, accetta con piacere. Si spostano velocemente dal centro del palco al lato destro, dove c’è il piano che entrambi adorano. E quando Blaine si siede allo sgabello, l’unica cosa che vorrebbe è che tutti quei ricordi non lo investissero come un uragano o una calamità simile. Perché comparare quel giorno a tutti gli altri duetti cantati con Kurt, a tutte le volte in cui suonava da solo a casa sua quando era ancora solo un bambino, all’ultima volta che ha suonato Teenage dream e si è distrutto da solo, è inevitabile.

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Capitolo 2
*** Sospiri. ***


Sospiri.



Blaine muove le dita sui tasti del piano come se fosse l’unica cosa che è capace di fare. E per un sacco di tempo l’ha pensato davvero, che suonare sia il suo unico talento. Perché Blaine si sente completo quando suona, si sente al posto giusto al momento giusto. E quando sente che la canzone che aveva intenzione di suonare la conosce anche Rachel, che sta aspettando solo che lui si senta di nuovo in confidenza con lo strumento per cominciare a cantare, Blaine si sente di nuovo giusto.

 

Ascoltate, ne vale la pena.

 
 
Allora sorride un po’ e comincia a cantare per primo, mettendoci di nuovo l’anima, come è tanto tempo che non fa. Quando la voce di Rachel comincia ad accompagnarlo sente che si sta creando di nuovo quella strana atmosfera che c’è sempre tra di loro, quando duettano. E’ come se lei potesse leggerli dentro, e dopo tanti mesi non ne ha paura. Forse perché si sente stanco, perché ha bisogno di qualcuno che capisca, di qualcuno che lo aiuti. E quando quel pensiero gli si forma in testa, Blaine sa per certo che fidarsi di Rachel sia tutto ciò che può fare. Però poi sente che anche lui deve fare qualcosa, perché è da quando l’ha vista che sa che qualcosa non va. Allora alza lo sguardo verso di lei, per poter leggerci qualcosa anche lui nei suoi occhi, e quando la vede che sta piangendo silenziosamente per non rovinare la canzone, conoscendo bene il modo in cui si lascia trasportare, non si preoccupa, anzi si sente immediatamente compreso. Perché quella canzone, da quando l’ha sentita la prima volta alla radio, quando era stato costretto ad accostare e a scendere dall’auto per prendere una boccata d’aria, è stata subito sua. Perché solo lui sa quante volte, in quelle settimane, ma forse anche prima, si era ritrovato a casa di Kurt a guardare la sua finestra e a pensare che forse entrare e parlare con Burt non sarebbe stata una brutta idea. Un giorno ci aveva anche provato, però appena sceso dalla macchina si era sentito così spaesato, che correre indietro gli era sembrata la scelta migliore. C’era stato un solo problema, quella volta: il fatto che a casa sua, con i suoi genitori, si sentiva quasi più fuori posto che nel vialetto degli Hummel-Hudson. E allora, quel pomeriggio, Blaine, per la prima volta dopo settimane, aveva pianto. Aveva pianto con la testa sotto il cuscino e con tutta la coperta aggrovigliata addosso, come se in quel modo potesse proteggersi, potesse fingere che fuori da quel letto non fosse mai successo nulla.
Ed è quasi pronto a scommettere che quella canzone l’ha sentita anche Rachel, magari in un altro pomeriggio, in un’altra occasione, ma è più che convinto che anche lei se ne sia sentita parte. Perché sa quanto sia stata male per Finn, e quanto debba sentirsi distrutta, ora che è stata lei a proclamare indipendenza. Perché stavolta la decisione di Rachel è stata pensata e ripensata migliaia di volte, e in ogni caso non è nemmeno sicura che sia la scelta migliore. Perché lei non si sente libera così, si sente di nuovo intrappolata, come ad inizio ann,o quando aveva una compagna di stanza che non aveva mai visto e quando la July la aveva presa di mira dalla prima lezione.
Quando Blaine comincia ad suonare sempre più piano, sfiorandoli soltanto, i rettangoli bianchi e neri del piano, sa che ora dovranno parlare, perché la tensione, come l’ha sentita lui, l’ha sentita anche Rachel.
“Allora, è stato… strano, uhm?” dice Rachel dopo essersi schiarita la voce, facendo correre i suoi occhi a cercare quelli di Blaine. Sa che lui capirà alla perfezione cosa intende con strano, perché loro sono sempre stati legati, in qualche modo. Non può dire che sia il suo migliore amico, quel posto è di Kurt e di Kurt solo, ma si sente stranamente protettiva con lui. E si mette quasi a ridere a pensarlo, perché lei si sente ancora quella sempre fuori posto, quella poco popolare che nessuno nota. Eppure, quando vede le mani di Blaine che tremano giusto un po’, correre a stringerle gli sembra un’ottima idea.
“Ehi, ehi, va tutto bene! Lo so che è dura Blaine, lo so. Però sono tornata per questo, perché te la meriti un’altra possibilità. Tutti la meritano.” E Rachel è davvero convinta quando lo dice, però non si sente pienamente soddisfatta perché le mani di Blaine non smettono di tremare.
“Ti va di raccontarmi bene cos’è successo? Cioè, so che hai tradito Kurt con qualcuno che non è Sebastian – ci ha tenuto a specificarlo ci credi? Però vorrei capire cosa ti ha portato a farlo, perché sicuramente non l’hai fatto tanto per passare un po’ di tempo.”
Blaine sospira, e stavolta sa per certo che è a causa della fitta al cuore che ha provato, e decide che a questo punto, tirarsi indietro è troppo rischioso e stupido. E poi sentire il calore di Rachel è rassicurante, lo fa sentire un po’ più protetto. Così sputa fuori tutto, tutto in una volta perché sa che se si fermerà poi non riuscirà più ad andare avanti.
“Sai che potrei dirti che non lo so, Rach? Mi sento così stupido. Mi sono abbandonato a me stesso, alla solitudine, alla sensazione che Kurt non fosse più mio. E oggi, con il senno di poi, so che avevo torto perché lui faceva di tutto per cercare di stare con me. E io invece cosa ho fatto? Ho lasciato che uno sconosciuto si insinuasse tra i miei pensieri. E sai cos’è peggio, Rachel? Che non mi sono sentito meglio. Cioè forse un po’ sì, perché quando avevo bisogno che qualcuno mi ascoltasse quando Kurt non poteva farlo, Eli era sempre lì, però dopo un po’ finiva. La sensazione di valere qualcosa andava via, veloce com’era arrivata. E dopo è stato tutto uno schifo.” Blaine sospira di nuovo, e trattiene le lacrime tirando su con il naso, poi continua a parlare anche se sa di essere al limite. “Dopo essere stato con lui, non riuscivo a guardarmi allo specchio. E’ stato orribile. Io sono stato orribile, soprattutto perché ho pensato che avrei potuto nasconderlo e continuare così. E quindi con quel poco di onore che mi rimaneva sono venuto a New York a rovinare la cosa migliore che avessi mai avuto.”
E a questo punto, sotto lo sguardo attento e silenzioso di Rachel, Blaine era caduto di nuovo. Ma stavolta qualcuno di amico, di fidato, l’avrebbe aiutato, stavolta per davvero.


* - * - * 

Ehm, ehm.
Salve, io e i miei aggiornamenti notturni siamo tornati.
Vorrei ringraziare di cuore LFS e gledis per aver recensito il primo capitolo, siete magnifiche, e spero di sentirvi ancora per quest’altro atto! (:
E grazie anche a chi legge soltanto, siete la mia forza.

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Capitolo 3
*** Cinquantanove. ***


Cinquantanove.




Kurt ha sempre avuto un modo tutto suo di cercare di prendere sonno. I suoi amici, i suoi famigliari, anche le persone che vedeva all’ospedale quando andava a trovare sua madre, contavano le pecore. A lui non era mai piaciuto perché non riusciva ad immaginare che delle pecore saltassero un recinto. Di solito Kurt rimaneva sveglio il più possibile e cercava di imprimersi nella mente il modo in cui sua madre sbadigliava o come gli accarezzava i capelli sempre nello stesso senso, sempre con lo stesso gesto.
Quando però sua madre era morta, si era ritrovato senza niente da fare prima di dormire e con nessuna voglia di cadere realmente tra le braccia di Morfeo. Da quel momento, Kurt aveva preso l’abitudine di guardare l’ora sulla sveglia. Guardava le ore scorrere, si concentrava sul momento in cui il numero cinquantanove torna ad essere uno zero. Per molto tempo era arrivato ad addormentarsi per sfinimento, ma quando aveva incontrato Blaine, era riuscito a smettere. Dopo la loro telefonata serale, Kurt si metteva sotto le coperte e dormiva beato come un neonato.
Inutile dire che da quando Blaine era arrivato a New York senza preavviso e con tante cose da dire, Kurt non era riuscito più a dormire. Da quel giorno, quando avevano dormito nello stesso letto ma con chilometri e chilometri a separarli, Kurt aveva ricominciato a contare le ore che passavano e a guardare i numeri cambiare forma.
Quella sera, dopo essersi miracolosamente addormentato sull’aereo diretto New York - Lima, Kurt si era ritrovato di nuovo a casa sua, con la sua famiglia. Eppure adesso, dopo aver abbracciato suo padre e salutato Carole con un affetto che non pensava di riuscire ad esprimere ancora, si ritrova di nuovo nel suo letto, a fissare i numeri rossi della sveglia che si vedono nonostante il buio totale in cui si trova la stanza. E Kurt cerca con tutto se stesso di chiudere gli occhi e di pensare ad altro, o di non pensare affatto, ma non ci riesce proprio. Ogni volta che si ritrova ad avere un momento di pace il suo cervello non lo lascia a riposarsi nemmeno un secondo, perché corre subito a quella terribile sera. Ed è da due mesi che cerca di immaginarsi la persona con cui è stato tradito, che cerca di capire perché Blaine gli ha fatto questo, perché non è stato all’altezza. E Kurt si odia quando pensa queste cose, perché è tutta una vita che le persone vicine a lui cercano di fargli capire che lui non solo è in grado di fare qualunque cosa, ma che è addirittura migliore di tutti gli altri, a Lima. Dopo aver passato altri ventisette minuti sdraiato a letto senza fare nulla, decide di alzarsi e di andare a fare due passi. E mentre si allaccia le scarpe si rende conto di essere davvero messo male se, anche alle due e quarantaquattro di notte, decide di uscire in pigiama per strada. Prende con sé solo il cellulare e scende le scale per arrivare alla porta d’ingresso cercando di fare meno rumore possibile, lasciando un post-it sulla maniglia per essere sicuro che la sua famiglia sappia che sta bene, nel caso qualcuno si svegliasse e non lo trovasse.
Dopo aver fatto alcuni passi sente il cellulare vibrare nella tasca della sua giacca di Marc Jacobs e tirandolo fuori sa già che il messaggio che ha ricevuto deve essere di Rachel.
 
So che non stai dormendo. E come vedi, non dormo neanche io. Ci vediamo da qualche parte? Credo di doverti parlare.
 
A Kurt viene quasi da ridere, perché la sua migliore amica è logorroica anche attraverso un semplice sms, però sa che è per questo che le vuole così tanto bene. Perché sono speciali, nei loro modi strani di essere e di fare le cose, e sono speciali insieme. Così, sorridendo, risponde al messaggio, tornando nel frattempo verso casa per prendere le chiavi dalla macchina. Perché a Rachel Berry che vuole una chiacchierata notturna, proprio non riesce a dire di no.
 
Vengo io verso casa tua, esci sul porticato. E mettiti una giacca, fa abbastanza freddo. Ma per l’amor del cielo, abbinala al pigiama! :)
 
Mentre sta mettendo in moto, si sente stranamente falso nei confronti della sua migliore amica. Ha forse cercato di farle credere che sta bene? Ha cercato di sembrare la stessa persona di qualche mese fa? Ma, si dice, è una cosa impossibile anche solo da pensare per lui, perché se stesse bene, non avrebbe nemmeno risposto.
 
 

 * - * - *

 
 

Rachel ha scelto bene che maglione mettersi, e sa che Kurt sarà fiero di lei per questo. E’ la prima volta che ascolta un suo consiglio di questo tipo, perché che senso ha vestirsi bene per uscire di casa alle tre di notte?, ma lo fa perché ciò di cui deve parlargli non gli piacerà e lei ne è consapevole.
Blaine era rimasto rannicchiato sul suo petto per un tempo che gli era sembrato interminabile, ma le andava bene perché era ciò di cui aveva bisogno, buttare fuori tutto quanto. Quando si era calmato e il suo respiro era tornato regolare, Rachel gli aveva parlato e aveva promesso che avrebbe fatto il possibile, perché non avrebbe mai più voluto vederlo in quello stato. Non vuole vederlo così, si ripete, perché non è giusto che soffra così. Perché non è giusto che qualcuno provi lo stesso dolore che ha sentito lei, negli ultimi mesi. Vuole solo essere d’aiuto, vorrebbe solo poter fare qualcosa per aiutare Blaine e il suo migliore amico.
Rachel fa in tempo a chiedersi un’ultima volta se quello che sta facendo sia effettivamente una cosa giusta, prima che i fari dell’auto di Kurt comincino ad illuminarla e poi si spengano di colpo appena più in fondo lungo la strada. E in quel momento, la mora si sente sia dalla parte del giusto sia in colpa. Si sente santa e traditrice. Perché sa di fare la cosa giusta, ma sta anche tradendo Kurt, in qualche modo. E non è giusto, perché lui merita di meglio. Si ricorda però, per l’ultima volta, che nella sua vita, il fine giustifica i mezzi. E’ con questo pensiero nella testa che si alza dagli scalini del portico e cammina verso il suo migliore amico. E’ con questa consapevolezza che lo abbraccia stretto prima di chiedergli di sedersi sulla sedia a dondolo che i suoi genitori hanno tanto insistito per avere. E, soprattutto, è con questo coraggio che si siede di fronte a Kurt e comincia a parlare.
 
 
 
“Come stai, Kurtie?” chiede subito, come se fosse l’unico centro del loro discorso.
“Bene Rach, bene. Devo essere un po’ scombussolato per il viaggio, tutto qui.” le risponde lui, pronto come sempre a mostrarsi perfetto e intatto agli occhi degli altri. “E vedo con gioia che il tuo maglione è abbinato al pigiama! Cosa ti ha portato a seguire il mio ordine?” ridacchia Kurt, cercando di portare la conversazione su un argomento che non lo costringa a mentire alla sua migliore amica.
“Kurt, smettila.” sono due semplici parole, ma sono dette con un tono così autoritario, che non ammette repliche, che Kurt smette immediatamente di ridere e torna subito serio.
“Ok, farò la persona matura. Mi hai chiesto di venire qui perché credevi di dovermi parlare. Di cosa dovresti mettermi al corrente, esattamente?” non è arrabbiato, non può esserlo, però sa che è l’impressione che ha dato a Rachel visto che lei ha abbassato gli occhi fino a nasconderli completamente con la frangetta. E’ da questa posizione che pone la sua seconda domanda, quella sera. “Puoi promettere di non interrompermi e soprattutto di lasciarmi finire?” sembra quasi una supplica, e Kurt non ha mai visto Rachel Berry supplicare qualcuno, esclusa l’esaminatrice della NYADA. E’ questo comportamento che gli fa capire che deve darle una risposta affermativa per forza, come se fosse obbligato. Basta il movimento impercettibile della sua testa prima che Rachel cominci a parlare.
“Sai perché ti ho chiesto di tornare per il ringraziamento? Non per i miei genitori, o per i tuoi Kurt, per Blaine. E ti prego, ti prego hai promesso che mi avresti lasciato finire!” si costringe ad urlare perché sa perfettamente che Kurt vorrebbe alzarsi e tornare a casa a fingere di dormire, ma non può permetterselo, deve fare qualcosa per lui e per Blaine, per loro. “L’altro pomeriggio sono andata a trovarlo a scuola. E lui era distrutto Kurtie, distrutto. So che tu conosci perfettamente il significato di distrutto, e ti assicuro che Blaine lo incarna alla perfezione. Si sente tanto in colpa, perché non puoi dargli una possibilità? O come minimo un’occasione per spiegarsi. Ti prego Kurt, ti prego.”
E adesso Kurt non si ferma dall’alzarsi e cercare di allontanarsi il più possibile da quella realtà che lo sta soffocando. Per mesi si è sentito come in apnea, bloccato sott’acqua e ora che Rachel l’ha smosso, sente perfettamente l’acqua entrargli in circolo e fargli bruciare naso, occhi, gola e cuore. Cammina avanti e indietro a grandi passi per il giardino davanti alla casa dei genitori della sua migliore amica, prendendo respiri grandi e profondi come se stesse per avere un attacco di panico. Quando il la gola smette di bruciare come se avesse ingoiato un bicchiere intero di caffè bollente tutto in un solo sorso, si risiede a fianco di Rachel che durante quei minuti è stata in un silenzio perfetto. E Kurt vorrebbe godersi quella calma innaturale vicino a lei, ma si costringe a parlare perché il cuore, quello fa ancora dannatamente male.
“Posso sapere perché Rach? Perché sei andata a cercarlo? Ha fatto una scelta, mi ha rimpiazzato come se non esistessi nemmeno. Non ci sono spiegazioni da dare, non ci sono occasioni da concedere.” La mora trema appena a sentire il suo migliore amico così arrabbiato e deluso, ma lo capisce. Sa cosa significa sentirsi traditi e rimpiazzati, ed è anche per questo che insiste.
“Vuoi sapere perché l’ho fatto? Perché questo non sei tu. Quel ragazzo che non mangia più gli spaghetti di soia con me il mercoledì sera nonostante li odi, quel ragazzo che non canta più sotto la doccia, quel ragazzo che non rimane con la luce accesa fino ad orari improponibili di notte per lavorare, quello non sei più tu, Kurt. E io ti rivoglio indietro, rivoglio il mio migliore amico. Tu sei un combattente Kurt, perché ti sei ridotto ad essere un semplice sopravvissuto? Il mio Kurt non avrebbe mai permesso che la vita lo prendesse e lo schiacciasse come se non valesse nulla. Ho aspetto per settimane che un giorno tu ti alzassi dicendomi che tornavi a Lima e riprenderti l’amore della tua vita, ma non l’hai fatto. E allora l’ho fatto io. Mi sono sentita obbligata a farlo perché Kurt, noi abbiamo fatto un patto, ci siamo promessi di esserci sempre, se uno avesse avuto bisogno dell’altra. E io so che hai bisogno di me Kurt, quindi ti prego, lasciati aiutare.”
Kurt comincia a sentire le lacrime formarsi nei suoi occhi cristallini e si odia giusto un po’, perché non vuole mostrarsi debole, non di nuovo. E si sente debole semplicemente perché la sua migliore amica ha ragione. E’ diventato un sopravvissuto perché è più facile, perché così gli basta prendere le cose come capitano e non cercare di cambiarle per renderle giuste per sé. Forse però, è il momento di tornare ad essere il Kurt Hummel di qualche mese fa. Quello che si lamentava perché non gli era concesso cantare canzoni originariamente interpretate da donne, quello che veniva sbattuto agli armadietti e si rialzava, quello che non scappava. Ci vuole davvero poco prima che Kurt decida di prendere una posizione, di riavere la sua vita. Si asciuga l’unica lacrima che non è riuscito a trattenere e si alza in piedi, di fronte a Rachel con la luna alle spalle ad illuminare il suo profilo.
“Dovrei solo ascoltare, quindi?”
Kurt torna ad essere un combattente e Rachel non può fare altro se non alzarsi ed abbracciare il suo migliore amico.


 

* - * - *

 


Se ve lo state chiedendo, sì ho una passione per gli aggiornamenti notturni.

Beh, spero che il capitolo vi piaccia o, per lo meno, che non vi faccia proprio schifo. Prometto che la prossima volta vi darò tanta Klaine, giuro!

Anyway, grazie ancora a tutti quanti e nulla, datemi feedback perchè sono davvero preoccupata per questo aggiornamento! :)

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Capitolo 4
*** (In)dolore. ***


(In)dolore.




C’era voluto poco per Kurt per sentirsi di nuovo a casa a Lima. Carole lo aveva accolto di nuovo a casa a braccia aperte, Finn - che era apparso dal nulla sullo stipite della sua camera salutandolo come se fosse tutto normale - era sempre disponibile per lui, quando non era occupato a lavorare, e Burt era sempre il padre premuroso e meraviglioso di sempre. Per Kurt, pensare che tra altri tre giorni sarebbe dovuto ritornare a New York era una tortura, nonostante lì si sentisse compreso e accettato. Ma se per abituarsi alle cene in famiglia e ai rumori provenienti dalla camera di Finn c’era voluto poco, tutt’altro discorso era per il liceo McKinley. Ora che Kurt cammina per i corridoi, l’unica cosa che sente è il senso di vomito. Passa in rassegna tutti gli armadietti, contando e ricordando quelli contro i quali è stato sbattuto durante tutto il suo periodo di studi lì, e si sente mancare l’aria. Sente il dolore Kurt, però non si ferma perché sarebbe un segno di debolezza ammettere di stare male in quel luogo, e Kurt non vuole più essere ritenuto una persona debole. Così continua a camminare e per non dare importanza alle pareti che sorpassa con il suo passo veloce, cerca nella sua mente qualche canzone da canticchiare. Sta ancora spulciando tra i mille spartiti che ha in testa quando, ancora a qualche metro di distanza, riconosce l’armadietto contro il quale al secondo anno aveva pianto e poi aveva deciso di rialzarsi. Rivede la scena perfettamente, come se ne avesse scattato una foto. Riconosce la colonna di quel colore improponibile e il manifesto appeso su di essa da tempi immemorabili. Ma più di ogni altra cosa, Kurt rivede Blaine. Blaine che si siede ai piedi della fila di armadietti e aspetta che lui si calmi, che non gli mette fretta, che è perfetto nel suo smoking nero con solo il fiore rosa a fare da contrasto. Ci prova davvero a distogliere lo sguardo, ma è come se una forza superiore lo obbligasse a guardare cosa aveva e cosa ha adesso, e la risposta che si da fa dannatamente male. Più male dello stare in quella scuola che odia tanto, più del non essere stato accettato all’università dei suoi sogni, più di essere stato tradito. Perché Kurt si rende conto che lui, senza Blaine, non si sente niente. Si sente il ragazzino sperduto e spaventato che andava a scuola con il cambio in borsa e il correttore per coprire i lividi prima di tornare a casa e fingere che andasse tutto bene. Si sente il ragazzo cui sono stati infranti tutti i sogni con due semplici parole, “non ammesso”. Si sente il ragazzo che si era ancorato ad un posto da lui odiato solo per non dover affrontare la vita al di fuori. Ma tutto questo prima di Blaine, si dice sorridendo appena. Prima che Blaine lo convincesse ad andare in una scuola dove c’era tolleranza zero verso le discriminazioni, prima che Blaine lo consolasse per settimane facendogli fare tutto quello che voleva, prima che Blaine lo spronasse a prendere il volo e affrontare il destino a testa alta. Scuote la testa e cerca di ricordarsi il motivo per cui è in quella scuola, ascoltare. Kurt deve solo sedersi e ascoltare, non ha promesso di fare null’altro. Allora riprende a camminare verso la sala del coro e davanti alla porta non ha nemmeno un’esitazione, abbassa la maniglia ed entra.
Quello che vede non è quello che si aspettava, in realtà. Non si aspettava di vedere Blaine che, nel centro della sala, gira intorno a quattro o cinque sedie poste a semicerchio. Non si aspetta di vederlo girato e vestito completamente di bianco, che canta una canzone che lui riconosce immediatamente. Si trattiene dal cantare con lui, però rimane a guardarlo finché la base sfuma e la stanza cala nel silenzio. E in quel momento Kurt applaude, perché è la cosa più giusta da fare, perché il talento di Blaine è sempre stato immenso e insuperabile. Il riccio si gira con un gesto veloce e quando lo vede i suoi occhi si sgranano giusto un po’, prima di cominciare ad assottigliarsi, quasi stesse vedendo un miraggio. E Blaine pensa sia così perché non avrebbe mai desiderato di più che rivederlo, ma averlo a così poca distanza, che lo applaude, e non poterlo abbracciare e ringraziare lo fa rabbrividire giusto un pochino.
“Sei stato davvero bravo, non sapevo avreste messo in scena Grease quest’anno. Di chi è stata l’idea?” chiede Kurt e quasi si spaventa a sentirsi parlare, perché in cuor suo avrebbe preferito il silenzio.
“Di Artie. Ha convinto tutti in meno di due giorni, o meglio, ci ha costretto ad essere d’accordo. Ma fa sempre un ottimo lavoro, non ce la siamo sentita di non accontentarlo.” risponde l’altro, sorridendo al ricordo dell’entusiasmo del suo amico. “Stavo riprovando la mia canzone, l’altro giorno alle prove ho sbagliato un passaggio e non posso permettermi di farlo durante la prima! Ma alla fine è per questo che si fanno le prove generali, no? Per trovare i problemi e risolverli.” continua Blaine, ma non è sicuro che l’ultima parte sia davvero riferita al musical scolastico.
“Beh, il bello del teatro è proprio questo, si può rifare tutto da capo, se c’è qualcosa di sbagliato.” Kurt non fa in tempo a fermare la sua voce prima di dire questa frase che ormai è il suo motto. E sa di aver detto davvero troppo quando vede gli occhi di Blaine spegnersi un po’ e sente se stesso trattenere il fiato. Ancora una volta però viene sorpreso perché il più basso scoppia a ridere.
“Questo l’avevi già detto, ricordi? Comunque hai ragione, è bellissimo stare sul palcoscenico per me. Ma sarebbe ancora meglio se tu fossi lì il giorno del debutto. Io voglio davvero che tu ci sia. Non credi dovremmo parlare a questo punto?” Blaine è teso come una corda di violino, eppure sorride e Kurt a quel sorriso non è mai riuscito a dire di no.
 
 

 * - * - *

 
 
 
“Devo ammettere che il caffè del Lima Bean è proprio come lo ricordavo: sempre troppo caldo e senza sapore. E’ bello sapere che questo non è cambiato.” Kurt e Blaine sono al bar, nel loro posto, da circa dieci minuti, e questa è la prima frase che si sente pronunciare al tavolo, escluse la voglia di Kurt di pagarsi l’ordinazione e l’imposizione di Blaine, perché mi ricordo ancora come prendi il caffè.
“Uhm, bene, questo lascia intendere che dovrei cominciare a parlare, vero? Ok. Allora, esattamente cosa ti ha detto Rachel?” Blaine è nervoso, forse più di prima, eppure non vuole nient’altro che non sia tirare fuori tutto e mettere a posto le cose.
“Rachel non mi ha detto nulla, in realtà. Mi ha solo chiesto di darti una possibilità per spiegarmi cos’era realmente successo, ma non ha parlato di nulla che riguardasse te o cosa le avevi detto.” Kurt è diventato freddo come una statua di ghiaccio, perché questo argomento fa ancora male e lui non vuole essere ferito. Però ha promesso, lo sa, e si impone di rimanere ad ascoltare, nonostante non abbia più voglia di bere il suo caffè e preferisca di gran lunga non rimanere lì seduto mentre la sua vita gli si sgretola davanti agli occhi.
“Oh, bene! Cioè, preferisco raccontarti tutto io, sai come succede in questi casi, dici qualcosa ad una persona e poi vengono a saperlo tutti e ognuno in maniera diversa e-“
Blaine viene interrotto da un Kurt quasi sorridente, per quanto la maschera che ha addosso gli permetta. “Respira Blaine, che dici?” E Blaine lo fa, prende un respiro profondo e chiude gli occhi solo per un secondo, per fare mente locale di quello che deve dire e di ciò che deve fare.
“In sostanza ho fatto una grande cazzata, Kurt. Ho baciato un ragazzo che non eri tu, che non valeva niente in confronto a te e l’ho fatto solo perché mi sentivo solo e beh, trascurato. Perché vogliamo essere completamente sinceri Kurt?” il ragazzo dagli occhi azzurri trattiene la collera e annuisce. “Quanto tempo mi dedicavi, quand’eri a New York? Perfino quando ci sentivamo su Skype non facevamo altro che parlare di te! Come credi mi abbia fatto sentire? Io avevo bisogno che tu, che mi conosci meglio di nessun’altro, mi dicessi che sarebbe andato tutto bene, che avrei trovato un modo per essere lì perché ti mancavo. Quante volte mi hai detto “mi manchi” senza che fossi stato io a affrontare il discorso?” Blaine non ha più fiato quando arriva alla fine del discorso. E si sente più libero, ma non ha ancora finito quindi fa per ricominciare a parlare ma Kurt non glielo permette.
“Davvero Blaine? Mi stai davvero dicendo che mi hai tradito perché non ti facevo capire quanto mi mancassi? Io mi sentivo vuoto senza di te a New York, vuoto. Cercavo di arrivare a fine giornata solo per poterti vedere attraverso un computer, per sapere che eri ancora lì, che non ti stavi arrendendo. Avrei tanto voluto che tu non ti fossi arreso.” Kurt sospira, adesso, perché ammettere a se stesso e a Blaine quanto lui si senta una nullità rende il concetto molto più tangibile.
“Io… Io potrei dirti che non mi sono arreso. Perché non l’ho realmente fatto. Sono caduto, Kurt, è diverso. Non ho mai smesso di pensare e di sognarci a quarant’anni in un appartamento a New York sul divano a guardare un film della Disney per la centesima volta. Non ho mai smesso di considerarti il mio pezzo mancante, Kurt. Perché io so che non ci sarà mai qualcuno migliore di te, per me. Sei tutto quello che voglio, lo capisci?” La voce di Blaine trema appena, giusto un secondo, ma poi si riprende perché si accorge che Kurt lo sta guardando. Ma non lo sta guardando solo con quei due occhi trasparenti che lui ama da impazzire, lo sta guardando con l’anima, ed era tanto che voleva essere guardato così. “Adesso, io so che sei venuto qui solo per ascoltare e che non sei tenuto a darmi una seconda possibilità, ma potresti almeno non tagliarmi fuori dalla tua vita come se tutto il nostro passato con contasse?” Kurt sta odiando Blaine, in questo momento. Perché il riccio non se ne accorge, ma sta sfruttando i suoi occhi da cucciolo, lo sta implorando senza nemmeno parlare, e lo sta anche convincendo. Cosa ho da perdere?, si chiede. A conti fatti, il suo cuore è sempre stato suo, del suo sogno adolescenziale, quindi nelle peggiori delle ipotesi cosa potrebbe succedergli?
“Forse potremmo essere amici, Blaine. Perché sai, mi manchi un po’.”


 

* - * - *

 


Eccomi, con un ritardo imperdonabile, ma sono tornata.

Ci tengo a ringraziare di cuore tutti quelli che leggono e recensiscono, siete fantastici.

E un grazie speciale va alla mia Dafne, come ti ho detto, senza di te non so come farei.

Spero che il prossimo capitolo arrivi prima di questo, e fatemi sapere cosa ne pensate! :)

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Capitolo 5
*** Ghiaccio e dolore. ***


Ghiaccio e dolore.




Potremmo essere amici. Potremmo essere amici. Potremmo essere amici.
Blaine pensava che dopo aver chiarito con Kurt, sarebbe stato più facile stare attento a scuola, seguire il Glee e studiare. Pensava che avrebbe smesso di stare male e di piangere prima di dormire, quelle poche volte che a dormire ci andava. Ma no, Blaine continua a pensare, senza sosta, e quella frase continua a rimbombargli in testa. Il modo in cui Kurt lo guardava, come gli era sembrato spaesato e indeciso, come alla fine abbia ceduto. Blaine ricorda ogni singolo particolare, e per la prima volta, non fa male.
Perché mi manchi un po’. Perché mi manchi un po’. Perché mi manchi un po’.
Come si può misurare la definizione di “un po’”? Per Blaine, è un’immensità. Sarà così anche per Kurt?, continua a chiedersi.
Sa che sarà a Lima ancora per due giorni, poi ripartirà per New York. Non ha paura, Blaine, ma non sa cosa fare. Vorrebbe chiamarlo, chiedergli se può accompagnarlo all’aeroporto, chiedergli di non andare via di nuovo. Ma sa che non può farlo davvero, perché è stato lui a spingerlo a volare via e a intraprendere la sua strada. È stato lui a spingerlo verso la sua nuova vita, lontano da sé. Blaine ama ancora Kurt, con tutto se stesso. Perché nonostante tutto, lui sarà sempre la sua anima gemella.
Blaine è così preso dai suoi pensieri, che mentre sta camminando per il corridoio del McKinley, non si accorge dei ragazzi della squadra di football che lo guardano in un modo strano, diverso da solito. Continua a tirare dritto, e fila in aula di francese, mentre pensa a cosa scrivere a Kurt quel pomeriggio stesso.
 

* - * - *

 
Quando Anderson si è iscritto alla palestra scolastica, l’ha fatto principalmente perché in questo modo poteva usare la sala da boxe senza dovere spiegazioni a nessuno. Bastava mostrare la sua tessera alla segretaria, fingere un sorriso che equivalesse a quello della fototessera e poteva sfogarsi per ore contro il sacco.
Blaine sta andando in palestra perché è arrabbiato con se stesso, come accade spesso, da un po’ di tempo a questa parte. Non ha concluso nulla ieri, e oggi, l’ultimo giorno di permanenza di Kurt a Lima, lui non ha il coraggio di chiamarlo o contattarlo in alcun modo. Così si rifugia in palestra per poter picchiare un innocente sacco da boxe dove immagina ci sia il suo stesso viso.
E’ a qualche metro dall’entrata, quando sente una risata. Ricorda quel tipo di risata cattiva e meschina, e riconosce immediatamente la sensazione che comincia ad attanagliargli lo stomaco: paura. Non sa perché, né se ci sia un vero e proprio motivo per avere paura, ma Blaine è assolutamente terrorizzato da una semplice risata.
L’ultima volta che qualcuno ha riso così di lui, si è ritrovato con due costole rotte ed un migliore amico che non voleva più parlargli. E, ora come ora, non si sente in grado di sopportare altro dolore.
Si gira per assicurarsi di non essere seguito, ma escluse le tre macchine che ci sono nel parcheggio oltre la sua, non c’è nessuno, solo silenzio. Sta per tirare un sospiro di sollievo, ma tornando alla posizione originale, dando le spalle al parcheggio e cercando di entrare nell’edificio proprio davanti a lui, lo vede. È uno di quegli idioti che lo fissano sempre quando cammina per i corridoi. A volte, quando lo vedono passare si ritirano addirittura e si schiacciano il più possibile contro gli armadietti, neanche avesse la lebbra. A Blaine fanno schifo le persone come loro, letteralmente schifo.
Ma quando sente il ghiaccio arrivare fino a dentro la maglietta e scorrere lungo la schiena, a parte la sensazione di freddo, Blaine riesce solo a provare pena per loro.  Sono regrediti allo stadio granite. Pensava di averla scampata, perché non era uno dei nuovi membri, ma ripensandoci, non gli avevano mai tirato un granita, non a scuola almeno.
Se lo merita quindi? Merita la sensazione di bruciore agli occhi, il freddo e l’umiliazione? Certamente no. Eppure non fa niente. Rimane lì a sentire il ragazzo che gli ha lanciato la granita al limone addosso ridere e sente distintamente i suoi amici – tre o quattro? – unirsi a lui battendogli il cinque e congratulandosi. Forse è una recluta, un cadetto da addestrare. E quale miglior modo se non accanirlo contro i membri del Glee? La loro logica non fa una piega. Persino Blaine si rende conto che forse, sotto strati e strati di idiozia e odio gratuito, non sono così stupidi come tutti pensano.
Disprezzano e distruggono, ma il loro cervello funziona. Senza dubbio non funziona completamente, ma gli fa elaborare piani e insulti che hanno conseguenza disastrose: i primi rovinano vestiti e quaderni, i secondi si insinuano sotto la pelle e bruciano da morire.
Blaine rimane da solo nel parcheggio per un tempo indefinito. Rimane lì a non fare niente, a serrare gli occhi di più cercando un po’ di sollievo e a stringersi le braccia al petto per sentire meno freddo. Gli sembra di essere tornato a New York qualche mese fa: strizzava gli occhi per non piangere e si abbracciava da solo perché Kurt non lo faceva.
Kurt.
È un lampo di genio quello di Blaine. Una speranza, forse vana, ma pur sempre una speranza. Cerca a tastoni nelle tasche del giubbotto e del borsone fino a ritrovare il suo cellulare. Preme il tasto uno – perché Kurt è sempre e comunque la persona che chiama più spesso e più volentieri – e aspetta.
Uno, due, tre squilli.
È partito, è andato via, non c’è più tempo, pensa Blaine in un momento di sconforto.
Ma è soltanto per poco, perché la voce squillante di Kurt gli riempie il cuore con tre sole parole.
“Blaine, stai bene?” e forse non è la domanda più giusta da fare, quella più semplice o quella più sensata, ma è assolutamente quella più adatta a quel momento.
“No, Kurt.” Risponde Blaine quando sente la prima lacrima scivolargli giù per una guancia. “Ho bisogno di te. Puoi venire qui? Ti prego.”
 

* - * - *

 
Dire che Kurt sta correndo è eufemismo. Ha mollato tutto al check-in – “Kurt dove stai andando? I bagagli, il volo, non puoi andare via così!” – e ha aspettato solo due minuti di orologio prima di prendere il taxi con Rachel al seguito. – “Non torniamo a New York, uhm?”
Quando risponde al tassista di portarlo al liceo McKinley, quello sbarra gli occhi guardandolo dallo specchietto retrovisore. “Sembri troppo grande per andare ancora al liceo, ragazzo” dice. E Kurt sente un pezzo di sé rompersi, perché sta tornando indietro, nella tana del lupo, all’interno del suo peggior incubo.
Rachel gli prende la mano e sussurra una sola domanda: “Cosa sta succedendo?”
“Non lo so” risponde lui, e la verità non l’ha mai scosso così tanto. “Blaine ha bisogno di me, ho paura che si sia cacciato nei guai. Io… Ho paura, Rach.”
Rafforza la presa, e aspetta. Guarda le strade e i paesaggi cambiare dal finestrino e quando finalmente arrivano a scuola, Rachel gli fa segno di andare avanti. Scende in fretta e furia, corre verso il parcheggio e si guarda intorno cercando Blaine.
Quando lo vede, non è più che una figura in lontananza, un puntino bianco addossato alle scale principali, con le braccia attorno alla ginocchia e la testa seppellita lì in mezzo.
Non corre verso di lui, al contrario gli si avvicina lentamente: come si farebbe con un animale in gabbia. Più si avvicina e più il quadro della situazione si fa nitido: i brividi che scuotono il suo corpo, non dovuti solo ai singhiozzi; il colore giallastro di cui la sua maglietta bianca è diventata; il fatto che Blaine non si nasconda, che sia posto nel luogo più visibile da chiunque.
Umiliazione. Dolore. Odio.
Kurt rabbrividisce, perché vorrebbe che Blaine non dovesse sentire tutte queste sensazioni, non di nuovo. È un tocco delicato il suo, è una mano appoggiata sulla spalla destra e una leggerissima pressione. Il viso di Blaine si alza di scatto, e quando Kurt si rende conto che aprire gli occhi gli fa troppo male, lo tira su di peso e lo porta all’interno dell’edificio. Il suo cuore pulsa a un ritmo regolare e porta il dolore che sente verso ogni terminazione nervosa. Non ha bisogno di guardare dove va, perché conosce quei corridoi e quei bagni meglio delle sue tasche, e ora come ora vuole solo stringere Blaine più forte e tenerlo più vicino.

* - * - *

Che ci crediate o meno, sono viva e ho finito di scrivere questa fan fiction. Anche se ormai la pubblico solo per me, merita di essere conclusa, quindi eccoci qui: capitolo cinque.
Mentre vado ad eliminare quella scritta "Temporaneamente in pausa" vi dico che ci rivediamo la settimana prossima.

Tatiana.

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Capitolo 6
*** Muri distrutti. ***


Muri distrutti.



Blaine non sa quanto tempo è che ha la testa sotto il getto dell’acqua. E onestamente non gli interessa: finché le mani gentili e delicate di Kurt continuano a lavargli i capelli gli va più che bene che l’acqua sia un po’ fredda.
Non hanno detto una parola da quando sono entrati nel bagno di servizio. Blaine non sapeva nemmeno che ce ne fosse uno e avrebbe tanto voluto attaccare discorso così, ma la sua priorità in quel momento era sciacquarsi gli occhi che avevano cominciato davvero a fare male.
Il rumore dell’acqua si interrompe, e Blaine pensa che Kurt abbia chiuso il rubinetto solo per prendere dell’altro shampoo. Ma lui picchietta dolcemente sulla sua spalla e gli dice “Tirati su, se rimani così tutto il pomeriggio ti verrà il torcicollo!”
Sa che sta cercando di sdrammatizzare, o quanto meno di allentare la tensione in cui sono inevitabilmente caduti. Sorride appena e Kurt ricambia immediatamente, poi arrossisce senza un apparente motivo. Ma Blaine sa che deve aver pensato qualcosa e che non ha il coraggio di dirlo. Forse vuole chiedergli perché l’ha chiamato, perché l’ha disturbato, o forse ha semplicemente paura che Blaine gli chieda perché non è partito.
Tossisce appena, Kurt, schiarendosi la voce. Poi con tanto imbarazzo ma con una convinzione e un’autorità che non pensava di avere chiede semplicemente: “Togliti la maglietta.”
E Blaine arrossisce a sua volta, strabuzza gli occhi e capisce il motivo di del rossore sulle guance del ragazzo. Obbedisce senza realmente capirne il motivo, e la sua confusione deve essere evidente perché Kurt, dopo aver afferrato la polo di Blaine, si gira, la mette nel lavandino e fa ripartire l’acqua.
“Hai idea di quanto sia difficile far andare via una macchia di granita? Anche se è al limone e non si nota moltissimo. Quando mi sporcarono i pantaloni di granita all’uva, ci misi tre lavaggi diversi per far sparire la chiazza viola.” Ridacchia appena e cerca in tutti i modi di non guardare Blaine che è appoggiato al muro dietro di lui, a petto nudo. “Hai il cambio, no? Insomma, eri venuto a boxare quindi presumo tu abbia un’altra maglietta. Ti conviene vestirti, comincia a fare freddo.” Non voleva sembrare un ordine, ma contro quegli occhioni color ambra Kurt si sente costretto ad alzare un muro di difesa, perché non vuole farsi male di nuovo, non vuole essere ferito ancora.
Blaine obbedisce un’altra volta – un po’ perché in quel bagno fa effettivamente freddo, un po’ perché non vuole litigare con Kurt – e si china per raccogliere il suo borsone che era stato abbandonato all’ingresso. Mentre sta frugando per cercare la t-shirt da indossare, Kurt strizza la maglietta e ammira il suo lavoro: neanche una macchia, è perfetta.
Si ferma a pensare che forse dovrebbe essere così anche per i ricordi, perché quella granitata porterà a Blaine un sacco di dolore e di paura, nei giorni a seguire. Sa che gli ha ricordato dell’episodio dell’anno precedente, dell’operazione, dell’ansia in cui si è trovato per due intere settimane. Quando si gira per ridare la maglietta a Blaine, è già vestito e lui lo ringrazia mentalmente. Allunga la mano verso Blaine dicendogli “Devi solo farla asciugare, ma per il momento puoi piegarla e metterla via. Tanto ora vai a casa, no?” e sorride appena, perché se vogliono essere amici, devono ripartire dalle basi, dalla fiducia reciproca e dal rispetto che hanno l’uno per l’altro.
“Si, vado dritto a casa a farmi una doccia per intero. Anche perché sono senza gel e non posso proprio andare in giro così, sono ridicolo!” ridacchia Blaine, e Kurt pensa che non abbia mai avuto più torto di ora. Blaine, ai suoi occhi, è semplicemente bellissimo: i capelli arruffati che si arricciano spontaneamente, le gocce d’acqua che gli bagnano il colletto della t-shirt e gli occhi che finalmente sorridono e sembrano felici.
Da quando è tornato, è la prima volta che vede gli occhi di Blaine illuminati come una volta, e si chiede come abbia fatto a guardarli attraverso lo schermo di un computer e non percepirne la differenza: ora che è davanti a lui gli sembra di vederci una galassia, dentro quegli occhi. Un galassia con stelle, pianeti satelliti e il Sole, ognuno distinguibile dall’altro, ognuno così luminoso da combattere con gli altri per il primato di stella portante. Ed è così naturale per Kurt dar voce ai suoi pensieri con un semplice “Sei bellissimo, Blaine.” che capisce che forse non possono essere amici. Non potranno mai essere solo amici, perché si ameranno sempre, nonostante il dolore e la paura che hanno l’uno dell’altro, si ameranno sempre perché sono destinati ad essere anime gemelle.
Blaine sembra spiazzato, più del solito, e prima che arrossisca passa qualche minuto. Non si aspettava una frase del genere, non quando si sta facendo forza per non dire mai a Kurt quanto sia meraviglioso, quanto gli manchi e quanto lo ami. E se prima la speranza di Blaine si riferiva al pregare che Kurt venisse lì a prenderlo e dargli una mano, adesso Blaine riesce solo a pensare che magari non sono poi così persi come sembrano. Forse non sono incapaci di amarsi di nuovo - di provarci almeno - perché alla fine, per loro, è diventato normale come respirare.

* - * - *

Ciao bellissimi! <3
Questo capitolo è un po' corto, soprattutto per i miei standard, ma spero possa piacervi ugualmente.
Come sempre aspetto i vostri pareri, e vi informo che questo è il penultimo capitolo - sono già triste, mannaggia a me.

Tatiana.

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Capitolo 7
*** Promesse. ***


Promesse.



Dopo quel pomeriggio, Blaine e Kurt si sono visti raramente.
La scuola, il Glee e il lavoro hanno assorbito ogni momento libero ed ogni energia di entrambi, portandoli alla perenne stanchezza e all’agognare un letto ad ogni ora del giorno.
Blaine ci ha pensato tanto, a cosa dire a Kurt e a quando dirglielo. Ha pensato che forse il modo migliore è andare a casa sua e parlargli sul portico, quello dove d’estate hanno passato intere serate a non fare nulla, solo a godersi il tempo assieme.
Ha pensato che forse dovrebbe invitarlo a casa e ripetergli il suo discorso in camera sua, dove si erano amati la prima volta e dove avrebbero ricominciato.
Ma quella mattina, Blaine si è svegliato con un’idea precisa e perfetta in testa, ed è completamente convinto di riuscire metterla in atto.
 

* - * - *

 
Appena entrato nella choir room, la prima cosa che fa è chiedere aiuto ai suoi compagni. Spiega loro il piano, e sembrano tutti d’accordo.
Blaine sta per tirare un sospiro di sollievo, quando dal nulla si scatena una lite sul dover fare o meno parte della sua idea.
Cerca di imporsi, per farli stare in silenzio, ma nessuno sembra ascoltarlo nonostante sia lui il centro del discorso. Allora si avvicina al piano, suona una nota a caso, ma con tanta rabbia e tanta forza da farla rimbombare per tutta la sala.
I suoi compagni si girano, ammutoliti e in religioso silenzio, come se nel toccare il tasto dello strumento Blaine abbia in realtà chiesto aiuto.
“Grazie” dice, quando è sicuro che la calma possa resistere per qualche minuto.
“Puoi spiegarmi perché dovremmo farlo?” Kitty ha quel suo tono saccente e annoiato, e la sicurezza di Blaine sembra vacillare per un attimo. Ma è un secondo, perché quando incastra i suoi occhi ambra in quelli verdi di lei, si sente di nuovo forte e indistruttibile.
“Potrei dirti che il motivo è che siamo amici, quasi una famiglia. Potrei dirti che ho bisogno di voi perché da solo non posso farlo. Potrei dire un milione di cose, ma la verità è che sono egoista. Sono egoista e innamorato, perdutamente. Lo amo, tutti voi lo sapete, e non voglio più stare senza di lui. Gli ho dato il suo tempo e il suo spazio, ma adesso basta: me lo riprendo.”
Kitty sorride, perché era questo che aspettava: la determinazione.
Quando Blaine fa uno di quei suoi sorrisi imbarazzati a labbra serrate, tutti i suoi compagni lo stringono in un abbraccio che sa di sogni, felicità e ultime possibilità.
 

* - * - *

 
Kurt è a casa di Rachel, e sta pranzando con lei e la sua famiglia. Adora i suoi papà: sono dei modelli perfetti a cui mirare, e indubbiamente sono due persone piene di talento e ottimo gusto.
Quando suonano alla porta e Rachel alza immediatamente la testa facendo muovere tutti i capelli della frangetta, Kurt sa che spera sia Finn. E forse sarà che Kurt non pensa sia lui, o forse sarà che ha un’idea ben precisa di quanto difficile sarà farli rimettere insieme – perché sarà così. Lei aiuta me e io aiuto lei. È un patto. – ma le stringe la mano da sotto il tavolo, forte e con sicurezza.
Leroy si alza da tavola chiedendo scusa per l’interruzione, e quando apre la porta nessuno si aspettava di vedere Brittany S. Pearce.
“Scusi signor Berry numero uno, avrei bisogno di parlare con Porcellana.” E sorride, con l’ingenuità di una bambina ma la consapevolezza di star facendo la cosa migliore.
Kurt si alza in un secondo, portando con sé Rachel, che ormai è come un apparato autonomo di sé stesso.
Quando arriva all’uscio della porta li vede per intero: il Glee Club al completo è nel giardino di casa Berry, e nel mezzo di un semicerchio un po’ improvvisato e smussato in qualche punto, c’è Blaine.
Blaine che è bello da morire in quel maglione rosso che assomiglia tantissimo a quello che indossava quando gli ha detto ti amo per la prima volta.
Blaine che sorride ma sta sudando freddo, e Kurt lo capisce dalla minuscola ruga che gli si forma all’attaccatura del naso.
Blaine che preme un testo su uno stereo che Artie tiene in mano – e come ho fatto a non notare lo stereo? – con una delicatezza innaturale e perfetta, come tutte le volte che entra in contatto con la musica, in ogni sua forma.
Sono solo le prime note, e Kurt sente già di voler piangere e nascondersi sotto le coperte come faceva da piccolo e dormire per il resto dei suoi giorni.
 

Will you still love me when I got nothing but my aching soul?
I know you will, I know you will, I know that you will.
Lana Del Rey - Young and Beautiful.

 
Mi amerai ancora, quando non avrò niente se non la mia anima dolorante?, gli chiede, e Kurt non fa nessun movimento, ma sente il cuore battere più forte.
So che lo farai, e Kurt sa di esserci caduto un’altra volta, come con Teenage Dream.
Pensa, mentre si gode la voce di Blaine che canta per lui con le Nuove Direzioni che armonizzano in sottofondo, che forse è il momento di dare un’altra possibilità, prima di tutto a sé stesso. Magari potrebbe iniziare chiedendogli il perché del suo tradimento e mettendosi l’anima in pace. Oppure ancora potrebbe semplicemente baciarlo lì, nel mezzo di quel cerchio imperfetto, perché gli manca tantissimo farlo.
Blaine fa un passo verso di lui, un solo minuscolo passo e il mondo di Kurt torna ad essere grigio, spaventoso e troppo fragile per essere modificato. Sembra quasi che spostandosi, abbia rotto la magia, mostrando a Kurt le loro ferite e riaprendo un pochino il loro scisma. Ma Blaine si muove di nuovo, e arriva a sfiorargli le mani sotto la porta della casa di Rachel, e il baricentro di Kurt torna al suo posto e smette di tremare.
Perché Blaine è lì e non sa come ha fatto a stare dei mesi interi senza tenerlo per mano: è la sensazione più bella che abbia mai provato, ed è quanto di più intimo che due come loro possono concedersi ora.
Allora Kurt sorride appena, tirando le labbra nel suo sorriso tipico, e anche l’universo di Blaine si sistema, perché è proprio lui la soluzione: senza Kurt è tutto un insieme di sensazioni e pensieri alla rinfusa.
Quando la canzone finisce, sono distanti di un soffio, e Blaine vorrebbe baciarlo più di ogni altra cosa al mondo, invece sorride.
Sorride perché stare così con Kurt è la sua felicità, e non importa come finirà tra loro due, se riusciranno a tornare insieme o meno, lui saprà di aver fatto tutto quello che poteva.
“Non ti dirò mai addio, anche se non saremo fidanzati. Ti amerò sempre, perché l’ho promesso, e gli Anderson mantengono le promesse.”

* - * - *

Eccoci alla vera fine. E lo so, lo so davvero che è un finale pessimo e senza risposte, ma vorrei davvero che ognuno di voi immaginasse la fine come meglio crede.
Per quanto può importare, i miei Kurt e Blaine tornano assieme. Non dopo questa serenata e nemmeno quando Blaine si diploma, ma tornano assieme.
Grazie a chi mi ha seguito, spronandomi a finire di scrivere e sostenendomi durante le mie immense pause.
Grazie a chi ha letto, recensito e ha inserito la storia in tutte le varie categorie.
Grazie a Marta e grazie a Beatrice, perchè siete voi e io vi amo.
Grazie a chi mi ha dato una possibilità.

Tatiana. <3

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