Attacchi di broncio

di Sophie Hatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte I - They Say Life Carries On ***
Capitolo 3: *** Parte II - Can't have you, can't leave you ***
Capitolo 4: *** Parte III - I suppose, life sometimes, it doesn't go the way it was meant ***
Capitolo 5: *** Parte IV - I know fine well that what I did was wrong ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nota di inizio fanfic: ed eccomi qua, finalmente, con la mia prima Sirius/Remus

Nota di inizio fanfic: ed eccomi qua, finalmente, con la mia prima Sirius/Remus. No, tranquilli, a questa affermazione non seguirà un “siate clementi”. Potete bastonarmi quanto vi pare e piace, proprio perché è la prima fanfic che ho composto su questa coppia, e ci vorrà dell’esercizio prima di arrivare a scrivere bene a riguardo. Ho iniziato ad amare Sirius e Remus come coppia grazie alle meravigliose creazioni di TwinStar, che consiglio vivamente a tutti gli amanti del pairing. Riguardo al mio lavoro, posso soltanto dire che è nato per caso. Non ha uno scopo particolare, se non quello di scrivere su questa coppia, fornendone l’idea che si è formata nella mia testolina. Avevo già buttato giù da tempo l’inizio di questo breve lavoro, ma non sapevo davvero come portarlo avanti, né dove sarebbe andato a parare; dopo un bel po’ di tempo, è arrivata l’illuminazione. La vicenda è ambientata nel periodo delle vacanze di Natale del quinto anno di Harry & Co., all’incirca a partire dal capitolo 23 dell’Ordine della Fenice. Ci saranno quattro capitoli (due narrati dal punto di vista di Remus, altri due narrati dal punto di vista di Sirius), più un prologo e un epilogo narrati da un punto di vista esterno e onnisciente. Per quanto mi riguarda, mi sono divertita un sacco a scrivere questa fanfic; spero qualcuno possa anche apprezzarne la lettura.

Saluti

Jane

 

Attacchi di broncio

 

Prologo

 

“Voglio venire anch’io”.

L’uomo dai capelli ingrigiti e il volto segnato da acciacchi prematuri mollò di scatto la presa sulla pesante maniglia d’ottone per voltarsi a fissare il suo interlocutore, con un’espressione incredula dipinta in faccia.

“Come, scusa?”

“Ho detto che voglio venire anch’io!” ripeté l’uomo in piedi dall’altra parte della stanza, avanzando di qualche passo in direzione della porta. L’uomo dall’aspetto sciupato si affrettò a richiuderla, come per tentare di prevenire una possibile fuga dell’altro.

“Ti rendi conto che le tue pretese sono totalmente assurde, vero?” domandò, in tono retorico. In tutta risposta, ricevette un’occhiata assassina.

“Voglio uscire da questa casa, dannazione!”

Remus Lupin esalò un profondo sospiro.

“Senti, Sirius, lo sai che mi dispiace e che se potessi ti aiuterei senza pensarci due volte, ma di venire con me a Diagon Alley non se ne parla proprio”.

Sirius Black guardò l’uomo in cagnesco.

“Non è giusto, e lo sai” sbraitò, stringendo i pugni e prendendo a camminare nervosamente su e giù per la stanza. Lupin lo fissava con un’espressione tormentata, con l’aria di chi si ritrova a svolgere un compito niente affatto piacevole.

“Lo so, Sirius. Ma tu sai che non è possibile fare tutto ciò che vuoi”.

“Tutto ciò che voglio?! Andiamo, Remus, chiedo solo di uscire da questa putrida casa, non mi sembra di aspirare a qualcosa di impossibile! E poi non mi fido di te, tu non hai mai saputo fare regali decenti”.

Una lieve smorfia di disappunto intaccò il volto di Lupin, che a quell’affermazione si irrigidì appena. Subito dopo, però, quelle tracce di contrarietà svanirono, inghiottite da un’espressione neutrale.

“Fidati di me, ho già un paio di idee. Piacerà anche a te, puoi starne certo” disse, in tono conciliante.

“Oh, già. Posso sicuramente fidarmi del buon gusto di un ex professorino di Hogwarts”.

Anche stavolta, la manifestazione di fastidio di Lupin per le parole dell’amico durò ben poco.

“Non credo che tu sia nella posizione migliore per poter fornire delle idee alternative, riguardo al regalo per Harry” replicò, in tono lievemente più secco di poco prima. Voleva far capire a Sirius che stava esagerando, e che non era disposto a sorbirsi i suoi insulti gratuiti ancora per molto, ma non aveva alcuna intenzione di mostrarsi irritato e dargli così la soddisfacente impressione di sortire un qualche effetto con le sue provocazioni infantili.

Sirius andava trattato esattamente come un bambino.

“E dai, Remus”.

Gli si avvicinò, fino a posargli una mano sulla spalla.

“Non voglio rimanere recluso qui dentro per tutto il resto della mia vita. È da un sacco di tempo che non usciamo più, io e te”.

Remus Lupin inclinò il capo, fissando il suo amico con sguardo grave.

“I tempi delle nostre uscite amichevoli sono finiti da quando sono morti Lily e James, e lo sai anche tu. Non siamo più dei ragazzini”.

Sirius chinò lo sguardo a terra, con aria contrita, poi tornò a fissare Remus negli occhi.

“Hai ragione, ma non sarebbe bello se ogni tanto, in nome dei vecchi tempi, tu ed io…”

Remus Lupin sembrò vacillare un attimo, e la sicurezza finora ostentata parve abbandonarlo, lasciando il posto ad un’espressione di affettuoso rimpianto. Poi, di colpo, la sua espressione si fece sospettosa.

“Che cosa intendi, esattamente?”

Sirius Black lo scrutò con aria confusa.

“In che senso?”

“Lascia perdere” lo liquidò Lupin, con un gesto rassegnato. Corrugò la fronte mentre fissava di sbieco il pavimento, e spostava poi lo sguardo alla mano di Sirius, ancora poggiata sulla sua spalla.

I loro occhi si incontrarono, e il piglio di Lupin tornò serio come prima.

“Devo andare, o farò tardi e troverò tutti i negozi chiusi”.

Sirius Black si riscosse soltanto dopo un paio di secondi, poi interruppe il contatto e si rassegnò a lasciarlo andar via senza di lui.

“Va bene. Ci vediamo a cena” gli disse, in tono più dimesso del consueto. Se fosse stato un cane, avrebbe avuto la coda fra le gambe. Lupin indugiò con lo sguardo su di lui per qualche attimo, mentre apriva la porta e si accingeva ad andarsene. Un lieve sorriso di compassione gli si dipinse sul volto.

“Perché non provi qualche canzone di Natale, nel frattempo?”

Sirius Black si girò a guardarlo, spiazzato.

“Canzone di Natale?”

“Sì, esatto. Ci vorrebbe un po’ di spirito festivo, in questa casa. Soprattutto adesso che avremo così tanti ospiti”.

Sirius Black assunse per un attimo un’aria pensierosa, guardandosi intorno con circospezione, poi un sorriso spontaneo gli illuminò il volto.

“Devo ammetterlo, Moony: le tue idee non sono così pessime come pensavo”.

Lupin gli sorrise di rimando, in modo sinceramente affettuoso. Le guance gli si colorirono un po’, probabilmente per essersi sentito di nuovo chiamare con il suo soprannome dei tempi di scuola. Gettò un altro paio di occhiate furtive all’amico, poi si decise ad uscire e inforcò le scale, scendendo i gradini a passo rapido.

Non aveva ancora raggiunto la porta d’ingresso quando la voce di Sirius gli riecheggiò alle spalle.

“Mi raccomando, niente libri noiosi!”

“Contaci” gli rispose, sorridendo, contagiato dal tono di voce gaio che l’amico aveva di colpo assunto. Non smise di sorridere nemmeno quando, prima di richiudersi l’uscio alle spalle, sentì una calda voce baritonale intonare un vecchio motivetto natalizio.

 

Nota: il regalo per Harry a cui ho fatto riferimento è il libro Magia Difensiva Pratica: Come Usarla contro le Arti Oscure, che viene indicato come regalo ricevuto appunto da Harry per Natale da parte di Remus e Sirius. L’ultima battuta di Remus, pertanto, è un pochino ironica; alla fine comprerà sì un libro, ma non noioso come pensa Sirius.

Per quanto riguarda le canzoni di Natale, che Sirius si mette effettivamente a cantare nel capitolo 23, ho immaginato una genesi un po’ particolare, e cioè che Sirius inizi a mettersi a cantare su suggerimento di Remus.

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Capitolo 2
*** Parte I - They Say Life Carries On ***


Parte I – They Say Life Carries On

Parte I – They Say Life Carries On

 

 

Così come si provocano o si esagerano i dolori dando loro importanza, nello stesso modo questi scompaiono quando se ne distoglie l'attenzione.

(Sigmund Freud)

 

 

La signora Weasley li chiamava “attacchi di broncio”.

Sirius sembrava sentirsi oltremodo infastidito da quella definizione, ma forse non avrebbe potuto essercene una più calzante: semplicemente, si alzava al mattino presto, quando già si percepivano i rumori di qualcuno che trafficava giù in cucina, si raccoglieva silenziosamente per qualche secondo - giusto il tempo di realizzare dove si trovava, che cosa ci faceva lì e quale preoccupazione l’avesse tormentato per tutta la notte togliendogli il sonno – e, una volta che gli era tutto chiaro, decideva che per il resto della giornata il suo umore non avrebbe potuto fare a meno di essere pessimo.

Logorava se stesso senza una ragione particolare, e l’aspetto ironico della questione era che lo intuiva anche lui.

Quello che non concepiva era come potessero gli altri non fare il minimo sforzo per cercare di comprenderlo.

Ogni giorno, dopo essersi svegliato e aver compiuto quel breve bilancio interiore – e dopo aver deciso se fosse il caso o meno di radersi – scendeva le scale con la sua solita andatura pesante e svaccata, come di chi si muove per pura inerzia, arrivava di sotto, esalava un saluto generico e indifferente che si sforzava di tirare fuori per una semplice questione di educazione (e soprattutto, per evitare ulteriori rimproveri da parte della signora Weasley, che ormai aveva preso l’abitudine di bacchettarlo su ogni suo minimo dettaglio comportamentale), sgraffignava qualcosa da mangiare occupandomi esclusivamente dei fatti suoi con una sfacciataggine che probabilmente irritava ognuno degli eventuali presenti, e infine, senza preoccuparsi delle tracce che lasciava in giro, se ne tornava di sopra, trascinandosi su per le scale con l’aria di un moribondo, raggiungeva la stanza dove riposava Fierobecco e ci si chiudeva dentro sbattendo la porta con un gesto secco, alle volte anche con un incantesimo.

I suoi sbalzi di umore rischiavano di diventare proverbiali, di quel passo. Solo qualche giorno prima lo si sentiva cantare per tutta la casa ad ogni ora del giorno; non si era nemmeno arrabbiato con me quando aveva scoperto che a Harry avevo preso proprio un libro, come regalo di Natale da parte nostra (“Non fare quella faccia. Ti avevo detto niente libri noiosi, e tu hai rispettato il patto, una volta tanto” mi aveva detto, quando con un certo scetticismo dubbioso gli avevo mostrato la mia scelta, di ritorno da Diagon Alley), ma in poco tempo tutta la sua euforia era andata scemando, e aveva finito per sfociare negli stessi musi lunghi dell’estate appena trascorsa. Non che non lo capissi, ma mi faceva piacere vederlo allegro, una volta tanto, e quelle facce da funerale che sfoggiava quando tentavo di intrattenerlo non erano esattamente ciò che preferivo vedergli esibire.

Si comportava da asociale in una casa in cui tutti erano stati abituati alla massima collaborazione, e risultava essere così l’elemento stonato del gruppo, quello che giocava a fare il disadattato per attirare l’attenzione su di sé.

“Pensi per caso che io non conosca a menadito tutti i discorsi che imbastiscono alle mie spalle, pur non avendone mai ascoltato direttamente nemmeno uno?” mi chiese, una di quelle fredde mattine, dopo che avevo cercato di metterlo in guardia a proposito del suo comportamento di quei giorni. In tutta risposta mi limitai a stringermi nelle spalle, complimentandomi con lui per la sua incommensurabile sagacia.

Ad ogni modo, la sua opinione era che tutti lì dentro conoscevano le sue ragioni. Ed era per questo che gli risultava impossibile tollerare la loro insofferenza nei suoi confronti. Era una conseguenza diretta dei fatti che lo riguardavano, e non vedeva perché quella comprensione che esigevano da lui verso ciascuno di loro dovesse vedersela negata quando si trattava di lui.

In fondo, non era colpa sua né di nessun altro se ormai Voldemort e i suoi tirapiedi erano in grado di riconoscerlo anche trasformato in un cane, se il tempo non si fermava ma continuava inesorabilmente a trascorrere senza dargli tregua dal pensiero che di lì a poco Harry sarebbe dovuto tornare a Hogwarts privandolo della sua compagnia, e se “quel bastardo di Piton continua a lanciarmi frecciatine riguardo alla mia forzata inutilità”. L’opinione generale era che, se solo avesse evitato di immusonirsi e di prenderla così a male, forse avrebbe potuto godersi al meglio quel che restava delle vacanze, senza rivolgere il pensiero al domani. Ma questo, per lui, era un discorso campato in aria.  Immaginavo che non sarebbe mai riuscito a scacciare quel chiodo fisso dalla sua mente, e avrebbe finito soltanto per combinare guai, tentando di scaricare un’ansia che gli si sarebbe comunque ritorta contro. E in fondo, io pensavo di capirlo; nessuno poteva imporgli di bloccare la mente e di forzare i suoi pensieri a non vagare oltre un certo limite. Prima o poi, in qualche occasione, ci avrebbe comunque dovuto pensare lo stesso. Sirius non era mai stato un tipo ottimista, perciò domandargli di vivere con serenità il tempo che gli era stato concesso in compagnia di Harry era davvero una pretesa troppo elevata. E l’aspetto peggiore di tutto quello spiacevole intrico era che, non potendo dare la colpa a nessuno, in quanto non c’era un diretto responsabile delle sue disgrazie con cui potersela prendere, finiva per scaricarsi sugli altri. Era una cosa che aveva sempre fatto, per quanto l’opinione comune potesse giudicarla deplorevole.

Anche con James capitava non di rado.

Lui quando era arrabbiato si isolava da tutti, per ricomparire dopo ore con un qualche segno visibile del suo sfogo. Di solito prendeva a pugni le pareti. Sirius invece diventava insopportabile, tagliente, un cane feroce. Riversava tutta la sua crudeltà gratuita sulle persone che non gli avevano fatto niente, ma che in quel dato momento avevano avuto la malaugurata idea di rivolgergli la parola, ignari di quello a cui andavano incontro. E nella maggior parte dei casi non se ne pentiva. Non ce la faceva a scegliere la strada di James, perché nutriva sempre un impellente bisogno di scaricare la sua misera frustrazione su un altro essere umano. Era sempre stato un gran bastardo, ma era fondamentalmente la sua natura. E gli volevamo bene anche per questo, dopotutto.

Spesso mi diceva che io non mi arrabbiavo mai, e che non capiva come facessi. “Se anche qualcosa concorre ad urtarti, nel giro di qualche secondo hai già fatto sparire quella ruga dalla fronte”. Diceva che mi aveva sempre invidiato per questo, in un certo senso. Non aveva mai capito che razza di fatica mi costasse, ogni volta, ingoiare l’irritazione e tornare ad essere imperturbabile. Sorridendo silenziosamente tra me, mi dicevo che probabilmente quella sua invidia ammessa a metà era soltanto la contorta manifestazione del desiderio di ricevere affetto dagli altri, nonostante si fosse sempre orgogliosamente dato da fare per piacere a meno gente possibile. Imparando a schivare abilmente ogni tipo di compassione, era arrivato a far sì che nessuno riuscisse a considerarlo una creatura che ispirasse dolcezza. Del resto, la sua famiglia di dolcezza non gliene aveva mai data. Con il tempo, probabilmente, aveva imparato a disprezzarla, per una sorta di meccanismo di autodifesa e di orgoglio personale.

Se c’era una cosa che potevo dire con sicurezza, era che ormai lo conoscevo bene. Avevo avuto dodici interminabili anni per riflettere su ogni singolo dettaglio delle nostre misere esistenze, prima che venissero spazzate via con un colpo di spugna. Sirius aveva trascorso dodici anni in prigione ad Azkaban, e quei dodici anni era come se non li avesse mai vissuti; perciò, quando le nostre strade si erano di nuovo incrociate, non era stato difficile riallacciare i rapporti, poiché nessuno dei due era cambiato poi così tanto, almeno caratterialmente. C’era stato il problema di quegli ultimi anni trascorsi all’insegna di una certa freddezza tra me e lui, complici quel clima di sospetto che aveva segnato le nostre vite durante la guerra e quella faccenda mai veramente risolta dello scherzo giocato a Piton, quando Sirius aveva ben pensato di spifferargli in che modo entrare nel tunnel del Platano Picchiatore e finire per imbattersi in un Lupo Mannaro in completa trasformazione. Ma nel momento in cui me l’ero trovato di fronte dopo dodici anni, sentendomi dire che era innocente, era stato fin troppo bello per ritirare fuori vecchi dissapori ormai accantonati. Rivederlo, per me, era stato un vero colpo al cuore, la cosa più inaspettata che potessi mai concepire. Perché ormai mi ci ero rassegnato, ad essere rimasto solo.

“Sirius?” lo chiamai, dando un paio di leggeri colpi alla porta.

“Uhm, sei tu?” borbottò lui, dall’altra parte dell’uscio. La sua voce mi arrivò ovattata, come se fosse accasciato sul letto con la testa sotto il cuscino.

“Già. Disturbo?” domandai, in tono cortese. Lui grugnì.

“Dacci un taglio con queste inutili smancerie, Remus. Entra”.

Scossi la testa con un mezzo sorriso, poi posai una mano sulla pesante maniglia d’ottone e feci il mio ingresso nella stanza del principino.

La sua congenita mancanza di gentilezza e di educazione mi avevano sempre fatto sorridere, dopotutto. Non valeva la pena di prendersela.

“Volevo… soltanto avvisarti che la cena è quasi pronta” dissi, in tono cauto. Non solo non vi era nemmeno una luce accesa, ma scrutando nella penombra mi sembrò di intravedere Sirius esattamente dove avevo ipotizzato che potesse trovarsi: stravaccato sull’antico letto a baldacchino, con un guanciale sopra la faccia.

“Mmm. Fantastico” mormorò, senza scomporsi. Lo osservai con un sopracciglio inarcato.

“Ne deduco che non ti interessa granché” gli dissi. Lui mi fece eco con una risata.

“Sei un genio. Ci hai quasi azzeccato”.

“Che intendi?” domandai, perplesso.

“Che non è esatto dire che non mi interessa granché. Non mi interessa proprio per niente” esclamò lui, platealmente soddisfatto di se stesso e della sua arroganza. Io scrollai le spalle, cercando di abituarmi al buio.

“La signora Weasley ha minacciato di lasciarti digiuno, se non dai una mano ad apparecchiare” lo informai.

“Umpf, ci sono i suoi amorevoli figlioli che adorano darsi da fare in cucina” ribatté Sirius, in un confuso borbottio.

“Ti rendi conto che Molly fa sul serio, vero?” gli chiesi, giusto per verificare che sapesse a cosa andava incontro continuando a comportarsi in quel modo.

“Piantala, Remus, non ci credo nemmeno un po’. Non oserebbe mai negarmi un pasto in casa mia” replicò lui, in tono aspro. Io non feci una piega. Ero abituato ad essere bistrattato da lui, quando non era esattamente di ottimo umore; ma con il tempo avevo imparato a non dargli la soddisfazione di sentirsi posto al centro dell’attenzione anche da me.

“Se ne sei così convinto… allora buon appetito”.

Mi voltai e ripercorsi il pavimento scricchiolante e polveroso a grandi falcate, pronto ad inforcare l’uscita e a dileguarmi il più in fretta possibile, ma lui mi bloccò prima che potessi mettere in atto il mio piano perfetto.

“Remus, ehi, aspetta un attimo”.

Indugiai sulla soglia, voltandomi indietro a fissare il punto della massa amorfa stesa sul letto dove ipotizzavo ci fosse la sua faccia, che ovviamente non potevo guardare, cosa che riusciva ad infastidirmi non poco.

“Che c’è?” gli chiesi, celando a malapena una nota di scarsa sopportazione.

“Senti, io… non ho voglia di scendere”.

Sembrava davvero un bambino, seppure ormai fosse giunto alla veneranda età di trentasette anni.

“Così faciliti di gran lunga le cose a Molly” commentai, stringendomi nelle spalle.

“No, aspetta… io voglio mangiare, per la barba di Merlino”.

Già, stava proprio facendo i capricci. Come se credesse di potermi suggestionare con quel tono burbero da persona che ce l’ha con il mondo intero. Sfortunatamente per lui, lo conoscevo fin troppo bene.

“E allora ti conviene muoverti, tra poco avranno già finito…”

“No, Remus. Non hai capito”.

Qualcosa mi diceva che in realtà fosse lui che non aveva capito, ma mi rassegnai ad ascoltarlo e mi appoggiai allo stipite della porta, incrociando le braccia. Sentii che lui si tirava su a sedere, e ora mi fissava dal bordo del letto.

“Ti sto chiedendo di portarmi da mangiare” mi disse, in tono risolutivo. Io lo fissai con aria scettica, come se avesse bevuto troppo.

“Cioè dovrei farti da cameriere?” domandai. Sirius scoppiò di nuovo a ridere.

“Cos’è, la carriera dell’Elfo Domestico non ti attira?”

“Hai già Kreacher, ti consiglio di divertirti a dare ordini a lui invece che a me” gli dissi, seccamente, poi mi voltai di nuovo verso la porta, afferrando la maniglia con decisione.

“Remus, per favore. Non ho voglia di vedere il lurido muso di Kreacher in camera mia. Ho voglia di vedere solo la tua faccia, in camera mia”.

Mi sentii inspiegabilmente confuso e imbarazzato per un motivo che non riuscii a decifrare, e tentai di guardarlo bene negli occhi. Poi capii cos’era che non andava.

“Non si vede un accidenti di niente in questa stanza, Sirius” gli feci notare, accantonando la gentilezza. Lo sentii sbuffare, e un attimo dopo il vecchio lampadario pendente dal soffitto della camera prese a gettare una fioca luce sulle pareti.

“Ecco, ora ci vedi. Per favore, Remus”.

Lo guardai, riuscendo finalmente a scorgere i tratti del suo viso. Aveva l’aria spossata, e i suoi occhi grigi erano cerchiati da occhiaie scure. Sembrava una figura costruita su un insano contrasto, con la pelle cerea del volto che risaltava sotto la chioma nera completamente arruffata e in disordine. Nonostante questo, constatai che riuscivo ancora ad intravedere, su quel volto scarno e segnato, i segni della sua famigerata bellezza giovanile.

Mi stupii di me stesso per il modo in cui mi ero incantato a contemplarlo, ma poi mi riscossi e decisi che l’avrei accontentato, anche se in via del tutto eccezionale.

“Va bene, Sirius. Ma è l’ultima volta che lo faccio” lo redarguii, aprendo la porta e preparandomi ad uscire.

“Sì, certo. Portami le braciole, okay?” mi voltai di nuovo, squadrandolo con un’espressione visibilmente sconcertata.

“Hai anche il coraggio di avanzare delle pretese?!” esclamai, incredulo.

“E va bene, Remus, portami quello che ti pare, ma sbrigati, che ho fame” mi disse, capitolando. Io non mi commossi.

“Sai benissimo che devo rimanere a tavola con tutti gli altri. A differenza di te, sono rimasto una persona educata” gli dissi, in tono asettico, lasciandomi sfuggire un pizzico di sarcasmo. Lui grugnì di nuovo, incrociando le braccia con dispetto e bofonchiando qualcosa riguardo al mio essere insopportabile e saccente.

“Se morirò per gli stenti mi avrai sulla coscienza, sappilo” mi rinfacciò. Io mi strinsi nelle spalle, indifferente di fronte alle sue scenate.

“Se preferisci vivere, alzati da quel letto e scendi di sotto”.

Lui mi gettò un’occhiata velenosa.

“Sei un perfido ricattatore, Remus Lupin” mi disse.

“E tu sei un indolente approfittatore, Sirius Black” replicai io, senza scompormi.

“Vai, e cerca di darti una mossa” mi intimò lui, con impazienza. Io gli feci un cenno volutamente pigro.

“Oh, certo. Farò tutto il possibile” lo rassicurai, in tono ironico. Per punirlo adeguatamente delle sue assurde pretese, rimasi a tavola il doppio del necessario. Mi profusi in chiacchiere e mi attardai a raccattare gli avanzi che avevo messo da parte mentre aiutavo Molly e Arthur a sparecchiare, dopodichè mi decisi a tornare ai piani alti per servire la cena al principino, che probabilmente stava imprecando contro di me da almeno mezzora.

“Diavolo, Remus, ti avevo detto di sbrigarti” mi ringhiò contro, quando mi vide entrare.

“Se hai così fame, concentrati sul cibo invece che su di me” gli risposi io, gettandogli il pasto.

“Oh. Fantastico” esclamò, avventandocisi sopra come un avvoltoio. Dischiuse l’involto e frugò tra le cibarie, scrutandole con sguardo critico. Poi alzò gli occhi verso di me.

“Lo sai che non mi piacciono le patate” mi disse, in tono di rimprovero, dopo essersi infilato in bocca un pezzo di carne.

“Ti posso assicurare che quelle sono divine” replicai io, imperturbabile. Lui mi restituì uno sguardo scettico e diffidente.

“Non ho mai capito come diavolo faccia un Lupo Mannaro ad apprezzare gli ortaggi, se devo essere sincero” osservò, rimestando le patate con la forchetta con aria dubbiosa.

“Già, nemmeno io ho mai capito come faccia tu a parlare e masticare contemporaneamente, senza che un solo boccone ti vada di traverso”.

Lui mi sorrise beffardo, inghiottendo un’altra forchettata.

“Dev’essere un’abilità congenita”.

“Già, hai ragione”.

Rimasi lì a fissarlo mentre mangiava, come se ci fosse bisogno di controllarlo. Mi sentivo abbastanza ridicolo, ma non riuscivo a trovare un pretesto efficace per abbandonare il campo, e lui, stranamente, non mi aveva ancora cacciato via. Dopotutto, la sua compagnia riusciva ancora a farmi piacere, anche se era rimasto lo stesso indisponente ragazzino di quattordici anni fa.

“Siediti” mi disse dopo un po’, indicandomi il letto con un cenno del capo. Dapprima reagii con un’occhiata confusa, sentendo di nuovo sorgere in me quell’inspiegabile imbarazzo, poi recuperai la padronanza di me e scossi prontamente la testa.

“No, grazie. Preferisco non guardare da vicino mentre ti avventi sul cibo come un morto di fame”. Sirius mi guardò storto, come se avessi appena detto un’eresia.

“E dai, vedi di piantarla. Vieni qui e siediti”.

Non volevo dare inizio ad una lite per un argomento così stupido, perciò decisi di ubbidirgli e mi avvicinai al letto, sedendomici sopra con cautela. Le molle del materasso cigolarono, ma Sirius non fece una piega, troppo impegnato a concentrarsi sul suo piatto.

“Oserei dire che, nonostante le tue insopportabili lamentele, la cena è di tuo gradimento” gli dissi, cogliendolo a masticare con gli occhi socchiusi, come in estasi.

“Uhm, chiudi la bocca, Remus” mi zittì perentoriamente, inghiottendo l’ennesimo boccone.

Mi accorsi in quel momento che c’era una strana atmosfera, in quella stanza.

Eravamo soli, io e lui, e non so per quale motivo la cosa mi faceva sentire a disagio. Io stavo lì a fargli compagnia mentre mangiava, ed ero l’unico che tollerava di vedere in quel periodo in cui non faceva altro che rispondere male e isolarsi, spesso in compagnia di una bottiglia di Firewhiskey. Mi resi conto con sorpresa che mi sentivo intimamente lusingato della sua preferenza nei miei confronti, anche se sapevo bene che l’unico motivo per cui stava male era per via di Harry, e che aveva designato me come sua compagnia soltanto perché, fra tutti coloro che andavano e venivano in quella casa fatiscente, io ero quello che lo conosceva meglio, e che sapeva come prenderlo. Ma Sirius, in passato, non aveva mai preferito me. Il suo prediletto era sempre stato James, e in quel momento io ero l’unica possibilità rimasta.

“Spiegami una cosa, Sirius”.

Lui mi guardò, con aria evidentemente interrogativa. Esitai un attimo, dopodichè mi decisi a fargli quella domanda che mi premeva sulle labbra.

“Per quale motivo sei arrivato a sospettare che il traditore fossi io, invece che Peter?”

Per un attimo mi fissò come se non avesse idea di che cosa stessi parlando. Poi diede segno di aver compreso, e roteò gli occhi con disappunto.

“Diavolo, Remus, perché vuoi parlare proprio di queste cose? Non ti sembro già abbastanza di cattivo umore?”

“La mia era una semplice curiosità” mi schermii a mezza voce, in tono indifferente. Sentii il suo sguardo su di me, e intuii che mi stava guardando storto, probabilmente pensando che fossi pazzo. Poi lo sentii sospirare, preparandosi a rispondermi controvoglia.

“Beh, io e te non andavamo più molto d’accordo. Lo sai”.

Fissai il pavimento con sguardo vacuo. Non avevo bisogno di sforzarmi per capire a che cosa si riferisse.

“E quindi, per questo…”

“Sì, per questo. Peter, quello schifoso, ci stava sempre intorno, e fingeva così bene di avere a cuore James e Lily che io…” Si bloccò, stringendo i pugni per la rabbia.

“Non devi sentirti in colpa” gli dissi, gentilmente, sfiorandogli il braccio.

“Non mi sento in colpa” replicò lui, in tono secco. Mentiva, e lo sapevo benissimo. Solo che non gli piaceva prendere coscienza del fatto che avesse commesso un errore.

“Ah, no?” domandai, con una vena d’incredulità.

“Remus, diavolo, ti ho già spiegato e chiesto scusa più di una volta…”

“Lo so”.

Feci un sorriso amaro, mentre le sue parole mi riecheggiavano nella testa, evocando ricordi di un passato che sembrava appartenere ad un’altra vita. Quando per fare uno stupido scherzo a Severus Piton aveva tirato in ballo me e il mio piccolo problema peloso, come soleva chiamarlo James. Mi sembrava passata un’eternità, e non era così piacevole constatarlo.

“Non volevo che qualcuno si facesse del male. Cioè, trattandosi di Piton probabilmente questo non è del tutto vero, ma… andiamo, smettila di guardarmi come se stessi bestemmiando!”

Sorrisi, scuotendo la testa di fronte alla sua indignazione.

“Tu non crescerai mai, Sirius”.

Lui sembrò rabbuiarsi, e mi gettò un’occhiata torva.

“Tu invece non hai intenzione di perdonarmi, a quanto pare”.

“Io ti ho già perdonato, razza di idiota, da molto prima di quanto tu creda” ribattei, in tono più colorito, alzando la voce. Non amavo alterarmi in quel modo, ma quando era troppo…

“E allora perché rivangare queste cose già morte e sepolte?” mi chiese Sirius, fissandomi con aria scettica. Io ricambiai lo sguardo, assumendo un’espressione grave.

“Perché ormai non abbiamo altro di cui parlare, se non del passato”. Lui corrugò la fronte, poi si mise a ridere.

“Sei solo un maledetto sentimentale. Senti, che ne dici se un giorno di questi ci ubriachiamo insieme? In ricordo dei bei vecchi giorni passati. Magari arriveremo ad essere talmente sbronzi da poter credere di essere tornati ai tempi della scuola”. Mi lasciai sfuggire un sorriso, osservando con condiscendenza la sua improvvisa eccitazione bambinesca.

“Io non mi sono mai ubriacato, a differenza di te e di James” gli rammentai.

“Oh, me lo ricordo bene. Ma credimi, caro mio, ti potrebbe soltanto giovare. Il tuo complesso del sopravvissuto si dissolverebbe magicamente nell’alcool nel giro di pochi secondi”.

“Per poi tornare il mattino dopo insieme ad un gran mal di testa”. Sirius sbuffò sonoramente.

“Come sei noioso” mi disse.

“Sei tu che sei fuori di testa” ricambiai io, con una mezza risata.

“Oh, finalmente ti degni di insultarmi come si deve. Mi sento lusingato della tua attenzione” mi fece notare, con un sorriso di soddisfazione.

“Che vuoi dire?” gli chiesi, perplesso. Lui se ne uscì con una risata beffarda.

“Che sei così preoccupato a mantenerti sul tuo piedistallo di superiore indifferenza che ancora non hai capito che anche se i Malandrini non esistono più io sono ancora vivo, dannazione”.

Lo fissai ad occhi sgranati, pensando che se c’era qualcuno in grado di sorprendermi sempre e comunque anche dopo tutti quegli anni, quello era Sirius Black.

Mi sforzai di capire che cosa volesse dire, dato che non ero certo io quello che stava continuando a vivere ancorato al passato; parlava proprio lui che mi aveva appena proposto di ubriacarci per illuderci di essere tornati indietro nel tempo e poter fare finta che James fosse ancora vivo e che Peter non ci avesse mai traditi, lui che continuava a ripetermi quanto Harry assomigliasse a suo padre e quanto avrebbe voluto che l’avesse conosciuto, lui che continuava a litigare con Piton come quando eravamo a scuola.

Non riuscivo davvero a comprendere da dove originasse tutta quella improvvisa indignazione nei miei confronti, né per quale motivo si sentisse in diritto di rimproverarmi per il mio comportamento, dopo che gli avevo persino portato da mangiare.

D’accordo, se avesse smesso di dire assurdità non si sarebbe più chiamato Sirius Black.

Ma ad ogni modo non aveva senso.

Sollevai lo sguardo con il timore di incontrare i suoi occhi, e rimanemmo a fissarci senza sapere che dire. In preda all’incertezza, non trovai niente di meglio da fare che stringergli amichevolmente una spalla ossuta. Rimanemmo per qualche secondo in silenzio, quasi immobili, senza guardarci negli occhi. Forse dovevo intenderlo come il nostro modo di fare pace.

“Ti ringrazio, comunque. Il malumore per Harry mi è completamente passato” mi disse lui, con aria melanconica. Io inarcai lievemente un sopracciglio, ancora più confuso di prima.

“Lieto di esserti stato utile” risposi, sentendomi abbastanza idiota. Forse avrei dovuto semplicemente chiedergli perché si fosse arrabbiato con me in quel modo poco prima, ma alla fine non ne ebbi il coraggio, e dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio durante i quali non avevo trovato la forza di staccare la mano dalla sua spalla mi alzai per andarmene, senza aggiungere altro.

“Vai già via?” mi chiese lui, sfiorandomi il braccio.

“Si è fatto tardi” gli dissi, con aria di scusa. Lui mi sfoderò quel suo vecchio e accattivante sorriso beffardo.

“Cos’è, Molly Weasley ti ha imposto il coprifuoco serale?” mi domandò, con aria canzonatoria. Io scossi la testa, alzando gli occhi al soffitto.

“È quasi mezzanotte, Sirius…”

“Perché non rimani qui a dormire?”

Spalancai gli occhi più che potei, non riuscendo in alcun modo a contenere il mio enorme stupore. Sirius reagì con un’occhiata di sufficienza.

“Il letto non ti sembra abbastanza largo, per caso?” mi chiese, con asprezza. Io corrugai la fronte, grattandomi la testa.

Volevo chiedergli perché. Mi sentivo agitato e imbarazzato, ma non riuscii ad aprire bocca. Desideravo ardentemente poter recuperare il controllo di me stesso ed esibire il mio superiore distacco prendendolo bonariamente in giro con qualche battuta ironica, ma inspiegabilmente non ne fui capace. Guardavo Sirius negli occhi, scrutando la sua espressione spazientita e imbronciata, e pur continuando a ripetermi mentalmente che si trattava soltanto dell’ennesima pretesa capricciosa del momento, continuava a sembrarmi tutto fin troppo assurdo.

“Va bene” risposi, dopo diversi secondi di imbarazzante silenzio, e senza aggiungere altro feci il giro del letto e feci per sedermi sul bordo.

“Ah, no, non se ne parla. Il lato vicino alla finestra è mio” mi bloccò Sirius, scuotendo un dito in segno di diniego. Io mi coprii il volto con una mano, esalando un pesante sospiro.

“Sei ridicolo” gli dissi, e desistetti dalla tentazione di assalirlo di domande o di inforcare la porta e andarmene. Ricordai che una volta James mi aveva detto che io ero l’unico veramente in grado di sopportare Sirius, e io l’avevo smentito con un sorriso: Sirius era sempre stato il fratello di James, avevano trascorso separati l’uno dall’altro sempre il minor tempo possibile, ed era impensabile che, con il legame che sussisteva tra loro, quello più in grado di sopportare Sirius fossi io, anziché James. Eppure, in quel momento cominciai a pensare che forse James non aveva avuto tutti i torti, nel fare un’affermazione del genere. Nessun altro avrebbe mai accettato di assecondare le astruse richieste di Sirius Black, e io ero soltanto un povero idiota: chiunque altro l’avrebbe lasciato a cuocere nel suo brodo già da tempo, invece che rimanergli a fianco. Eppure, anche se ero perfettamente cosciente di avere questa possibilità a disposizione, sapevo altrettanto bene che non l’avrei mai sfruttata. Forse sarebbe stato il caso che mi domandassi il perché, ma cominciavo ad essere stanco e il letto di Sirius ormai mi sembrava il più invitante del mondo.

“Ti avverto, però” dissi, reprimendo uno sbadiglio. “Domani mattina mi devo alzare presto perché mi hanno assegnato delle commissioni da fare per l’Ordine, perciò non voglio sentire storie sul fatto che vuoi venire anche tu, perché non se ne parla” sentenziai, con severità. Mi volsi a guardarlo, osservando la sua espressione faticosamente rassegnata. Inspiegabilmente, mi sentii cogliere da un moto di tenerezza.

“Non fare quella faccia da cane bastonato” lo presi in giro, con calore, rendendomi improvvisamente conto che avevo una certa nostalgia di Padfoot, nonostante quando si trasformasse avesse sempre avuto la brutta abitudine di poggiarmi le zampe sulle spalle e tentare di atterrarmi.

“Non sei affatto spiritoso” grugnì lui, con aria offesa. Io gli sorrisi.

“Già, me l’hai sempre detto”.

“Significa che sarà vero”.

Scossi la testa, sempre sorridendo, poi scostai le coperte e mi ci infilai sotto, sbadigliando di nuovo. Indugiai un attimo prima di distendermi e mi voltai a guardarlo; si era di nuovo disteso sul letto, in modo scomposto e privo di decoro, con le braccia incrociate sotto la testa. Mi gettò una schiva occhiata di sbieco che non durò più di un attimo, poi spense la luce e si avvolse nelle coperte.

“Buonanotte, Sirius”.

“’Notte” mi rispose lui, laconico, la voce impastata dal sonno.

Rimasi a fissare il buio per qualche minuto, prima di decidermi a chiudere gli occhi e dormire.

Mi resi conto che non mi pesava affatto essere lì per riempire un suo vuoto affettivo.

 

 

Nevermind the words that came

Out of my mouth when all that I could feel was pain.

The difference in the two of us

Comes down to the way,

You rise over things, I just put down.

(Grant Lee Phillips, “Happiness”)

 

Nota: il titolo è un verso della canzone “I Grieve” di Peter Gabriel. Per quanto riguarda il capitolo, posso solo dire che mi è servito per iniziare ad introdurre la mia idea di rapporto Sirius/Remus, che è fatta di cose non dette o dette al rovescio, di incomprensioni, di silenzi e soprattutto di un sentimento che non si spiega. Ho fatto in modo che si avverta molto sottilmente, in quanto è ben lontana da me l’idea di un Sirius e un Remus che tutt’ad un tratto si dichiarano amore eterno e decidono di darsi alla pazza gioia; ho sempre pensato che nonostante le enormi diversità caratteriali siano in grado di capirsi meglio di quanto loro stessi non riescano a riconoscere, ma tutto, in questa fanfic, si gioca su segnali impliciti che chi riesce a cogliere è bravo, ma che personalmente ritengo essere in sintonia con i caratteri di questi due personaggi, chiusi e non disposti mai a parlar chiaro e semplice a proposito di se stessi.

 

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Capitolo 3
*** Parte II - Can't have you, can't leave you ***


Parte II – Can’t Have You, Can’t Leave You

Parte II – Can’t Have You, Can’t Leave You

 

 

Si vive per anni accanto a un essere umano, senza vederlo. Un giorno ecco che uno alza gli occhi e lo vede. In un attimo non si sa perché, non si sa come, qualcosa si rompe: una diga tra due acque. E due sorti si mescolano, si confondono e precipitano.

(Gabriele D’Annunzio)

 

 

Lo sentii subito, quando si svegliò.

Non era così difficile capirlo.

I suoi muscoli erano entrati di colpo in tensione, e il suo corpo si era irrigidito in un attimo. Provai ad immaginare che cosa gli stesse passando per la testa in quel momento, ma anche senza saperlo con certezza era comunque molto divertente. Di una cosa ero certo, e cioè che non si aspettava di svegliarsi e trovarmi completamente avvinghiato a lui.

Del resto, non era colpa mia. Quando avevo aperto gli occhi mi trovavo già in questa posizione. Dovevo essermi rigirato nel sonno, tutto qui. In effetti, mi ero proprio scordato di fargli presente questo piccolo particolare; da quando ero uscito da Azkaban passavo sempre delle notti piuttosto agitate. Ma in fin dei conti, per me non era certo un problema. Non vedevo perché avrebbe dovuto esserlo per lui, di conseguenza.

Dopotutto, era piacevole. Remus emanava uno strano tepore, quando dormiva. Io invece avevo sempre un freddo cane, e considerata la mia doppia natura l’espressione calzava perfettamente. In più, dato che era soltanto l’inizio di gennaio, era praticamente impossibile che una montagna di coperte riuscisse ad appagare il mio desiderio di calore.

Avevo un bel ricordo di quella volta in cui io e Remus avevamo dormito vicini, da ragazzi. Era stato dopo una delle notti di Luna piena, quando noi quattro scapestrati, invece di tornare dentro il Platano Picchiatore, ci eravamo incoscientemente appisolati fuori, al limitare della foresta. Ma mi ero scordato di questo bizzarro tepore che emanava. La sua pelle scottava, quasi avesse la febbre; eppure, il suo sonno era stato perfettamente tranquillo, tant’è che non si era mosso di un centimetro dalla posizione in cui si era coricato ieri notte. Era ancora lì, girato su un fianco, dandomi le spalle, rannicchiato su se stesso, con un braccio infilato sotto il cuscino.

Io invece avevo annullato la distanza che era stata inizialmente stabilita fra me e lui, mi ero abbarbicato al suo corpo da dietro, avevo passato un braccio intorno ai suoi fianchi e avevo incassato la testa fra la sua spalla sinistra e il suo collo.

E ora sorridevo beffardamente, ad occhi chiusi.

Dopo qualche minuto di silenzio, durante i quali riuscivo a percepire in modo palpabile la sua tensione e la sua indecisione sul da farsi, lo sentii muoversi leggermente tentando di liberarsi con cautela dalla stretta in cui l’avevo rinchiuso, che modestamente avrebbe potuto far concorrenza al Tranello del Diavolo, per quanto era salda. La sua si rivelò ben presto un’impresa disperata, e allora decise di ricorrere ad altri mezzi.

“Sirius?” mi chiamò, a bassa voce, come se temesse di disturbarmi. Io feci finta di niente e rimasi immobile. Lo sentii sospirare, e poi ripetere il mio nome con una leggera punta d’insistenza in più.

“Sirius…”

Il mio sorriso si allargò, in modo del tutto spontaneo. Mi stavo prendendo gioco di lui alle sue spalle, letteralmente. E lui non se ne rendeva neanche conto.

“Sirius, forse sarebbe il caso che tu—”

“AHO!”

Mi ritirai di scatto premendomi le mani sull’occhio, con un guaito di dolore. Accidenti. Il bastardo mi aveva centrato con una gomitata.

“Sirius mi dispiace, non l’ho fatto apposta…”

Una sfilza di imprecazioni misconosciute mi uscì dalle labbra in tutta risposta, mentre mi dondolavo su me stesso in preda ad un dolore folle.

“Beh, devo dire che se non altro Azkaban ti è servita ad ampliare il tuo vocabolario” osservò lui, con un certo ironico scetticismo. Io lo guardai con il mio occhio sano e scoppiai a ridere, fragorosamente.

“Allora non è vero che tu non scadi mai nelle battute di cattivo gusto, eh, Moony?” gli dissi, tra le risa. Lui mi guardò con un mezzo sorriso sfuggitogli da una finta espressione imbronciata, e fu costretto a capitolare di fronte alla mia ilarità.

“Magari potresti illustrarmi il significato di qualcuno dei termini scurrili che hai appena usato, non sono tanto sicuro di saperlo…”

Ci guardammo ridendo, entrambi con i capelli arruffati dal sonno e le palpebre ancora pesanti.

“Vedi? Io l’ho sempre detto, che consumarti sui libri non ti serviva a niente” commentai, mentre una fitta di dolore mi attraversava di nuovo la zona contusa, facendo scemare la mia risata in una smorfia sofferente. Un guaito mi uscì dalle labbra, mentre ci premevo la mano sopra con più forza, nel tentativo di ricacciare lo spasimo all’interno del mio corpo. Accidenti a lui, e al suo grazioso modo di svegliarmi la mattina.

“Sirius, ti ho detto che mi dispiace. Non l’ho fatto apposta. Smettila di fare tutte queste scenate melodrammatiche”. Mi limitai a rispondere con un grugnito, pregando che la piantasse di fare il saccente. Era proprio necessario che si desse da fare per trovare una qualsiasi scusa per rimproverarmi anche quando era lui dalla parte del torto?

“Sì, va bene, ti perdono, però mi hai fatto un occhio nero, dannazione” replicai, inviperito, quando lui tenta di scostarmi la mano dall’orbita.

“Fammi vedere” mi disse. Lo respinsi con un gesto secco.

“Lascia perdere” replicai, ringhiando. Lui reagì con un sorriso bonario.

“Non ti agitare, voglio solo vedere se è vero che ti verrà un occhio nero”.

“Se mi esce fuori il livido mi dai venti Galeoni”.

“E secondo te dove diavolo li vado a pescare, venti Galeoni?” mi chiese lui, scoppiando a ridere di gusto. Già, ero davvero uno spettacolo esilarante. Non avevo mai capito perché ci trovasse tutta questa soddisfazione nel prendermi in giro.

“Non è un problema mio” gli risposi, seccamente.

“Così mi sei decisamente d’aiuto” commentò lui, stringendosi nelle spalle con ovvietà.

“In qualche modo dovrai cercare di farti perdonare, e ti assicuro che non sarà facile”.

Remus scoppiò di nuovo a ridere, divertito, guardandomi con tenerezza, come si fa di solito con i bambini che fanno i capricci. Lui e la sua stramaledetta superiorità da persona equilibrata, alle volte, riuscivano a darmi veramente sui nervi. Però non riuscivo mai a tenergli il broncio a lungo. Rideva così di rado che, quelle poche volte che lo faceva – e che di solito implicavano la mia presenza a sostenere la parte del buffone di turno – non potevo fare a meno di trovarlo adorabile.

“Ho fatto un sogno bizzarro, stanotte, sai” mi disse, soprapensiero. Io lo fissai con curiosità, raddrizzandomi a sedere sul letto.

“Che genere di sogno?” gli chiesi. Lui rimase in silenzio per qualche secondo, in meditazione, probabilmente tentando di richiamare alla memoria i dettagli.

“Non ricordo tutto. C’eri tu. Solo che eri… un po’ più simile a com’eri una ventina d’anni fa” mi disse, incerto. Io gli gettai un’occhiata torva.

“Ehi. Il mio fascino ce l’ho ancora, e se solo mi faceste uscire di qui te lo dimostrerei in un attimo. Certo, mi concentrerei su qualche Babbana, perché non credo che chi conosce la mia identità possa pensare di soffermarsi sul mio aspetto fisico…”

“Smettila, non hai bisogno di uscire di qui” mi zittì, in tono esasperato. Io scossi la testa, poco convinto.

“Oh, sì, certo. Grazie tante. Le tue infondate garanzie mi confortano davvero. Vai avanti”.

“Va bene. Insomma, c’eri tu sdraiato su questo letto, che ti fingevi moribondo. Arrivavo io, e per tirarti su ti proponevo di architettare uno scherzo ai danni di Piton… non ridere, me ne vergogno già di mio… solo che, beh, Piton era adulto, e… ti ricordi quando avevamo scavato quella buca nel parco per farcelo cadere dentro…? Ecco, dovevamo farla più grande, perché lui era inaspettatamente cresciuto… solo che, prima che potessimo mettere in atto lo scherzo…”

Remus si fermò, indugiando. Assunse una strana espressione colpevole, e io subito mi insospettii.

“Che c’è? Guarda che non mi offendo, qualsiasi cosa tu abbia sognato”. Ormai ero fin troppo curioso di scoprire come andava a finire. Lui sembrò esitare ancora un attimo, poi si decise, e riprese a raccontare.

“Beh, arrivavano i membri dell’Ordine a portare via Harry da Hogwarts. Tu davi fuori di matto, e decidevano di riportarti ad Azkaban… mi sono svegliato nel momento in cui stavo tentando di farti da avvocato difensore in Sala Grande. I membri della giuria erano gli esaminatori dei nostri M.A.G.O”.

“Oh. E poi?”

“Basta, mi sono svegliato”. Cercai di incrociare il suo sguardo, ma lui teneva gli occhi fissi su un punto imprecisato del pavimento, e sospirava. Aveva l’aria di sentirsi come se avesse appena detto qualcosa di indelicato nei miei confronti.

“Mi dispiace” mi disse, con quell’espressione contrita. Io mi sentii paradossalmente male per lui.

“Non dire sciocchezze. È solo uno stupido sogno. E poi, potrebbe averti indicato la tua prossima carriera” risposi, cercando di sdrammatizzare; riuscii perlomeno a strappargli un mezzo sorriso, cosa che mi rese felice come un bambino.

“No, ne dubito. Mi sembrava di essere un pessimo avvocato” ammise lui, chinando lo sguardo.

“Scommetto che ti saresti risollevato presto, se la posta in gioco fosse stata davvero farmi finire di nuovo ad Azkaban” affermai con convinzione, battendogli una mano sulla spalla. Mi sembrò di cogliere un leggero rossore sul suo viso, celato da quello sguardo di gratitudine.

“Me lo auguro. Se fosse stato tutto vero, non me lo sarei mai perdonato”.

“Avresti fatto il possibile, e questo mi basta” lo liquidai in tono bonario, sentendomi stranamente compiaciuto da quei momentanei sentimentalismi che ci stavamo scambiando.

“Cioè, non avresti mai inveito contro di me…?”

Mi strinsi nelle spalle, incerto.

“Solo qualche volta. Come in effetti ho fatto”. Remus mi guardò con una strana apprensione.

“Che vuoi dire?”

“Che, beh… nonostante tutto, nonostante fossi in prigione da innocente e James fosse morto per colpa mia… alle volte pensavo che ero contento che alla fine non fossi tu la spia”. Mi guardò ancora con quella faccia, come se fosse stato assalito da un inspiegabile rimorso. Mi posò una mano sulla spalla, con un sospiro.

“Sirius, non è stata colpa tua”. Sbuffai, spazientito.

“Non ricominciamo con questo discorso, okay? Tanto non sei mai riuscito a convincermi della tua opinione”. Lui si rasserenò, sfoggiando un sorrisetto obliquo.

“Chissà perché” mormorò, con l’aria di chi la sa lunga.

“Perché ho ragione io, ecco perché” replicai io, ostentando una fiera aria di superiorità. Lui sorrise, scuotendo la testa.

“E va bene, come vuoi”. Lo scrutai con sospetto, mentre stirava un lembo del lenzuolo con un distratto gesto della mano.

“Ora mi assecondi anche, pur di farmi contento?”

Remus mi rispose con un’espressione lievemente spazientita, inarcando un sopracciglio.

“Spero tu ti renda conto da solo di essere un tantino assurdo, considerato che se ti contraddico non va bene perché la ragione è sempre e comunque dalla tua parte, e se ti assecondo non va bene perché ti sembra che lo faccia solo per farti contento”. Corrugai la fronte, fissandolo con aria perplessa.

“Ma infatti è per questo che lo fai” risposi.

“Dunque non c’è modo per farti smettere di polemizzare” concluse lui, reclinando il capo in un gesto di rassegnazione.

“Hai ragione” confermai, passandomi una mano tra i capelli. Remus esibì un perfido sorriso divertito.

“Grazie a Godric, stavolta non hai nulla da ridire” esultò. Io alzai gli occhi al soffitto, esasperato.

“Ti salvi soltanto perché è mattino presto e le mie capacità ragionative sono ancora parzialmente assopite” capitolai, scuotendo la testa. Per una volta, potevo anche dargliela vinta, se lo faceva sentire così bene. In fondo, vederlo ridere per merito mio mi aveva sempre procurato una strana e calda soddisfazione.

Rimanemmo lì fermi per qualche minuto, in silenzio, come se fosse il momento di chiudere il sipario, alzarci dal letto e andare a sbrigare le rispettive faccende, ma nessuno dei due avesse molta voglia di farlo. Io men che meno.

Ormai, in quel periodo schifoso, riuscivo a sopportare solo la vista di Remus. Lui, del resto, non sembrava farsene un problema, se dopo aver sbrigato le faccende per conto dell’Ordine io finivo per richiedere la sua presenza ai piani alti, in genere in camera mia. Non mi interessava indagare sul perché. Remus era quello che di me sapeva ogni cosa, persino quante volte andavo abitualmente in bagno. C’erano stati quei dodici anni di silenzio e distanza tra noi, ma ci sforzavamo di comportarci come se non fossero mai passati, e ci riuscivamo anche piuttosto bene; la cosa migliore era far finta di non aver mai perso la fiducia l’uno nell’altro, di modo che né io né lui dovessimo faticare per riguadagnarcela. Adesso che la verità era nota ad entrambi – anche se io per quei dodici anni ne avevo conservato l’esclusiva assoluta – e che tutti i dubbi erano stati chiariti quella notte alla Stamberga, non c’era motivo di ripartire da zero. Io, a parte le ovvie conseguenze che dodici anni di prigione possono comportare, non ero sostanzialmente cambiato, e lui era rimasto sempre il solito scolaretto impeccabilmente saccente, che non solo non si lasciava intimorire dai miei scatti di malumore, ma riusciva ogni volta ad ostentare quella sua pacata indifferenza mista al costante e sottilmente perfido sarcasmo che non mancava mai di rivolgermi, finendo poi per prendermi con le buone anche nella peggiore delle situazioni, senza mai darmi la soddisfazione di mostrarsi davvero irritato per il mio modo di fare. Riusciva seriamente a darmi sui nervi, ma avevo bisogno solo di lui, per sfogare tutto il mio malumore accumulato. Sapeva già tutto, non mi giudicava per il mio modo di fare e non mi guardava con superiore disprezzo come se fossi soltanto un povero pazzo che soffre di manie di persecuzione, non dovevo spiegargli niente del mio passato e non sfoggiava mai quella filosofia spiccia del genere “Sirius è fatto così, c’è poco da fare”, che pareva essere così cara agli altri membri dell’Ordine. Ormai il mio era una specie di attaccamento morboso di cui non riuscivo a fare a meno, ma finché ad entrambi andava bene così, non c’era bisogno di condurre nessun tipo di indagine psicologica sul sottoscritto.

Era piuttosto strano. Spesso pensavo che, se non fossimo finiti nella stessa Casa, non avrei mai legato con uno come Remus. Non era stato per niente facile da avvicinare, nemmeno per instaurarci un rapporto di odio reciproco: se provavo a provocarlo con qualche battuta offensiva, lui rispondeva con quell’indifferenza distaccata che non regalava proprio nessuna soddisfazione. Mi faceva sempre sentire un idiota, quando si comportava così. Sembrava che niente lo sfiorasse, e che io fossi soltanto un meschino essere umano che si affannava per delle sciocchezze come cercare un pretesto per litigare. Poi però io e James iniziammo a prenderlo in simpatia, perché se ne stava sempre per i fatti suoi e non voleva legare con nessuno. In pratica, lo costringemmo a legare con noi. Non era certo il tipo da elemosinare la compagnia altrui, anche se poi si era trovato subito bene e aveva iniziato a sorridere un po’, cosa che in precedenza nessuno gli aveva mai visto fare.

“A che pensi?” mi domandò, reclinando lievemente il capo verso la spalla destra e osservandomi con affettuosa curiosità. Io mi lasciai sfuggire un mezzo sorriso, mentre mi scostavo i capelli dagli occhi.

“Mi chiedevo come diavolo abbiamo fatto io e te a diventare amici” risposi, osservandolo ridere in quel modo così raramente genuino. Prese a tormentarsi uno dei lembi sfrangiati della veste, lo sguardo timidamente chino sul copriletto e un lieve rossore sulle guance, in un’immagine che lo rendeva così simile a quello schivo ragazzino undicenne che avevo conosciuto tanti anni fa, così tanti che non riuscivo nemmeno a contarli, e che pure mi sembravano trascorsi in un lampo, con il senno di poi, mentre stavo lì a rimirarlo imbambolato in una vecchia stanza polverosa in cui i raggi della fredda alba d’inverno filtravano attraverso le pesanti tende verde scuro.

“È stato strano” disse Remus, con un lieve sorriso. Io annuii, passandomi una mano fra i capelli.

“Ti ricordi quando tuo fratello è arrivato a Hogwarts e ti ha visto in giro con me?”

“Sì, è scoppiato a ridere e ci siamo presi a pugni” ricordai, con una stretta al cuore. Quel giorno, io e Remus avevamo appena finito di bisticciare perché lui voleva convincermi a mettermi subito a studiare Artimanzia, dato che, stando alle sue convinzioni, era una materia difficile e mi sarei dimostrato molto meno irresponsabile se avessi cominciato a seguirla adeguatamente fin dall’inizio, in modo da evitare di ritrovarmi alla fine del semestre con i compiti in classe imminenti senza averci capito un bel nulla.

“Ho pensato un sacco di volte che non sarei più riuscito a reggerti ancora per molto. Senza offesa” gli dissi, correggendo leggermente il tiro nella speranza che non se la prendesse a male. Ma Remus non se la prendeva mai. Si era dimostrato capace di sopportare le mie frecciatine per pomeriggi interi, e non aveva mai accennato al desiderio di infilarsi una corda al collo per tutte le volte che a lezione mi ero seduto di fianco a lui con la chiara intenzione di dargli fastidio.

“Nessuna offesa, lo stesso vale per me” rispose, ed era evidente che ci eravamo capiti all’istante. Ognuno di noi due si era dimostrato insopportabile a suo modo, ed era così bello poterne ridere, ora, anche se il passare del tempo aveva comportato perdite irrimediabili per entrambi.

“Non hai proprio una bella cera,” osservai, facendo scuotere la testa al mio amico licantropo a causa della mia inguaribile mancanza di delicatezza, “vuoi che ti faccia compagnia per la prossima luna piena?”

Sapevo che sarebbe successo tra poco, ed io ero ancora più che capace di trasformarmi in un cane. Era sempre stato piacevole, trascorrere le nottate insieme sotto sembianze animalesche. Lui non era più nella posizione di rimproverarmi, io non ero più nella posizione di provocarlo sadicamente. Gli facevo compagnia e basta, come desideravo fare.

“Non è necessario, lo sai” mi rispose lui, con quella sua tipica aria dimessa e schiva da persona che non vuole aiuto da nessuno. Ma io del suo atteggiamento da povero martire me n’ero sempre cordialmente fregato.

“Potrà non esserlo per te, ma per me lo è, mi dispiace. Padfoot ha bisogno di risvegliarsi, ogni tanto” replicai, appoggiandomi sui gomiti con un sorriso sornione.

“Non ci sarà da divertirsi, ti avverto. Prendo la Pozione Antilupo da due anni, ormai, e…”

“Sì, sì, lo so, ti è di grande aiuto, eccetera. E che importa? Ci rannicchiamo in una stanza in forma animale e schiacciamo insieme un pisolino” gli spiegai, con ovvietà.

“Francamente, Sirius, non capisco davvero perché ti incaponisci con queste sciocchezze”.

Lo fissai diritto negli occhi eludendo con un sorriso il suo sguardo indagatore, poi mi strinsi nelle spalle, facendo vagare lo sguardo all’interno della stanza e sentendomi mancare il fiato nell’avvertire ciò che mi stava per uscire di bocca.

“Francamente, Remus, potrebbe essere perché ho una cotta per te”.

Il silenzio più profondo e greve calò nella stanza dopo questa mia affermazione.

Non avevo mai fatto fatica a non frenare la traduzione dei miei pensieri in parole pronunciate ad alta voce, e l’abitudine non mi tradì nemmeno in quel momento. Ma la faccia che fece Remus mi fece andare molto vicino a pentirmi di non averci pensato su due volte prima di aprir bocca, per la seconda volta in vita mia – la prima restava quella in cui avevo spifferato a Snivellus come accedere al passaggio segreto dentro il Platano Picchiatore. Ma questa era peggio. Mille volte peggio.

“Non guardarmi come se fossi pazzo, Merlino… va bene, può darsi che Azkaban mi abbia fatto andare leggermente fuori di testa, però evita di farmi sentire un idiota, per favore” gli dissi, con un sorriso forzato, cercando di sdrammatizzare la situazione. Non ci riuscii. L’atmosfera rimase terribilmente pesante, e lui mi fissava ancora con gli occhi spalancati, pallido come un cencio.

“Se volevi scioccarmi, ci sei riuscito” mi disse, a mezza voce, dopo diversi secondi di puro silenzio.

“Ah, dici… Okay, lascia stare. Era uno scherzo” capitolai, dopo essermi reso conto che non l’aveva presa troppo bene. Sarebbe stato meglio se me lo fossi tenuto per me, ma ormai il danno era fatto, e potevo soltanto cercare di fregarlo se volevo salvarmi la faccia.

“Davvero?” mi chiese lui, confuso.

“Sì, tanto sei abbastanza ingenuo per credere a tutto ciò che ti dico” risposi, spazientito. Dire che non lo capivo era poco. Dopo avergli detto che era uno scherzo avrebbe dovuto come minimo mostrarsi sollevato, se proprio la cosa lo sconvolgeva a tal punto.

“Smettila di prendermi in giro, Sirius. Non mi sembra il caso” mi disse lui, con aria grave. Io sfoggiai la mia migliore espressione di sprezzante indifferenza, e mi lasciai ricadere di schiena sul materasso.

“Come preferisci” lo accontentai, agitando una mano come per liquidarlo. Mi misi a fissare il soffitto, ben deciso a non incontrare il suo sguardo, in attesa che si convincesse davvero che ero completamente matto o che avevo un pessimo senso dell’umorismo.

Per diversi secondi non si mosse affatto, e sentire il suo sguardo su di me mi fece piombare nel disagio più nero. Intuivo già cosa gli stava passando per la testa. Che Azkaban non mi aveva reso pazzo, mi aveva reso finocchio.

Grandioso. Era esattamente ciò che desideravo che pensasse di me.

“E va bene, te la sei voluta tu” disse, dopo un po’. Sentii il letto cigolare, e la sua mano posarsi sul mio avambraccio.

“Che…?”

Non feci in tempo a dire altro, né ebbi la prontezza necessaria a reagire tempestivamente. Prima che potessi anche solo decidere che cosa fare, Remus si era chinato su di me e aveva cominciato a baciarmi, e io avevo chiuso gli occhi di scatto, per non guardare.

Perché mi sembrava incredibile.

Riuscivo a malapena a realizzare che lo volevo vicino, e ora c’erano le sue labbra sulle mie, in un gesto consapevole e dettato dalla coscienza, un gesto che inizialmente mi lasciò spiazzato. Dopodichè, sentendomi assalire dal terrore che potesse pensare di staccarsi da me, con il respiro mozzato cominciai a reagire.

Non fu come pensavo che sarebbe stato. Fu una cosa cieca, irrazionale. Sentivo solo quell’impulso che cresceva dentro di me, l’impulso di rispondere a quel bacio con una forza eguale e contraria, e non facevo altro che assecondarlo. Non ero dolce, o gentile, non badavo alle sue reazioni. Volevo soltanto che durasse il più a lungo possibile, prima che la sua petulante razionalità tornasse a galla e gli imponesse di finirla, per tornare a burlarsi di me dopo che ero cascato in pieno nel suo tranello. Mi aveva fregato, ma capii che non me ne importava. Mi sentivo più che disposto a sopportare l’umiliazione imminente, pur di compiere quel gesto folle che sembrava darmi tanta soddisfazione.

“Lupin! Dove ti sei cacciato?”

Era la voce di Moody, che ci fece sobbalzare violentemente e staccarci seduta stante. Distogliemmo lo sguardo l’uno dall’altro, nel più cocente degli imbarazzi, e io scattai in piedi, di colpo, con il terrore che Malocchio salisse di sopra e scrutasse dietro la porta della mia camera. Mi ero completamente scordato che Remus avesse da fare con l’Ordine, stamani, e anche lui pareva esserselo dimenticato, tanto da potersi permettere di perdere tempo a baciarmi.

“Arrivo, Malocchio!” gridò, con un tremito nella voce. “Scusami, devo andare” mi disse poi, bruscamente, rimettendosi le scarpe con la velocità di un Cercatore che ha appena avvistato il Boccino. Io rimasi a fissargli la schiena, sentendomi svuotare di ogni impulso vitale.

Dopo avermi baciato per provocazione, il suo brillante piano era quello? Andarsene, e piantarmi lì come un povero scemo con l’implicito consiglio di riflettere bene sul mio orientamento sessuale?

No, non poteva funzionare così. Se c’era una cosa di cui ero sempre stato sicuro, era di non essere un maledetto finocchio. Ma in quel momento, le cose erano diverse. Probabilmente l’avevo davvero detto per scherzo, per vedere come avrebbe reagito, probabilmente ero stato io ad aver fregato lui spingendolo fino a trovare il coraggio di osare un gesto del genere. C’era una motivazione sensata, dovevo soltanto trovarla.

“Senti, io… mi dispiace. Non volevo arrivare a questo” dissi, a fatica. Non sapevo perché mi sentissi in dovere di dargli una spiegazione. Ma l’impulso di dare voce a tutto ciò che mi passasse per la testa era sempre stato troppo forte da reprimere, per me. Non avevo la capacità di selezione e di controllo superiore di cui era dotato Remus. Non ero in grado di non dire cose che avrebbero ferito me stesso e gli altri, seppure sapessi a che cosa andavo incontro.

Non ero in grado di pormi un freno.

“Lascia perdere, Sirius. Meglio se non ne parliamo, per ora” sospirò lui, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi, con aria inerme. Lo osservai con dispiacere, come se mi stessi rendendo conto che con lui mi ero appena giocato la mia unica possibilità.

E avevo perso.

Ma aveva ragione. Sarebbe davvero stato meglio fingere che non fosse mai successo. Era una cosa sbagliata, inverosimile, e se l’avessimo raccontato in giro ci avrebbero squadrato da capo a piedi con gli occhi fuori dalle orbite, dopodichè saremmo stati spediti diritti al San Mungo, nel reparto per le malattie mentali. Tutti si sarebbero interrogati sul tipo di maleficio che ci era stato lanciato contro per spingerci al punto di poter pensare che io e lui potessimo provare dei sentimenti l’uno per l’altro, e noi avremmo consumato i nostri ultimi giorni costretti in una camicia di forza, a fissare immobili una parete bianca.

E poi, lui per me non provava niente.

“Ho sentito spesso la tua mancanza, mentre eri in prigione” mi disse, in tono melanconico. Già, in effetti immaginai che non dovesse essere stata una pacchia nemmeno per lui. Era rimasto completamente solo, dopo che Peter aveva tradito Lily e James; e noi eravamo sempre stati gli unici in grado di tenergli compagnia in ogni attimo della sua esistenza.

Anche lui mi era mancato, ma non avevo mai avuto la forza di ammetterlo.

E non ci riuscii nemmeno in quel momento.

“Senti, Sirius, lasciamo perdere. Dimentichiamocene. Non voglio che tu faccia cose sbagliate solo perché senti che stai perdendo Harry”.

Lo fissai, spalancando gli occhi.

“Non essere ridicolo” gli dissi, con una smorfia di disgusto. Non riuscivo a crederci che potesse davvero pensare che io soffrissi di carenze d’affetto.

“Che cosa intendi per non essere ridicolo?”

“Intendo smettila di psicanalizzare, smettila di credermi una creatura così meschina come cerchi di farmi sembrare”.

Mi fissò come se avessi assunto le sembianze di un Vermicolo, prima di sospirare con aria spazientita. Io lo fissai stringendo i pugni con forza.

“Sei sempre stato estremamente bravo a rigirare la frittata a tuo vantaggio” commentò, dandomi freddamente le spalle. Mi sentii di colpo ribollire il sangue nelle vene, e feci il giro del letto a grandi falcate per riuscire ad averlo di fronte e poterlo guardare direttamente in faccia.

“Eh, no, Remus. Sei tu che pretendi di sapere che cosa mi passa per la testa!”

“Tu non hai una spiegazione soddisfacente per il tuo comportamento, io sì”.

Lo guardai con rabbia, sentendomi contrarre il volto in una smorfia. Doveva sempre essere tutto così facile da spiegare, secondo lui. Come al solito. Io non avevo il diritto di far valere la mia opinione, non avevo il diritto di lottare per fargli capire che c’era qualcosa di più, che anche se in quel momento lo stavo odiando non volevo che andasse via.

“Che ne so, senti, io… io non sono un pervertito. E non sono nemmeno frustrato. E men che meno soffro di carenze d’affetto. E non provare a pensare che qualcuno mi abbia fatto un maleficio”.

Lo osservai stringersi nelle spalle e alzare le mani in segno di difesa, con ironica rassegnazione.

“Stai facendo tutto da solo” mi disse, e io storsi la bocca in una smorfia.

“Bene. Comunque, togliti dalla testa tutte queste possibili soluzioni. Se proprio ne vuoi un’altra, forse, può darsi che prima io…”

Mi bloccai, osservando la sua espressione malinconicamente rassegnata.

“Sirius, io e te a scuola litigavamo spesso”.

“E questo che cosa vorrebbe…”

“…e abbiamo anche due caratteri completamente opposti. Siamo riusciti ugualmente ad essere ottimi amici, ma se prima ho fatto quello che ho fatto, è perché io credo di… provare qualcosa per te, ma… è sbagliato. E non credo che per te sia lo stesso”.

Distolsi lo sguardo da lui per evitare di incenerirlo, mentre mi sentivo ribollire per la rabbia e l’umiliazione. Era assolutamente ingiusto. Per quale assurdo motivo lui poteva permettersi di nutrire i sentimenti che gli pareva mentre per me doveva necessariamente esserci un’altra spiegazione? Perché giocava con me in quel modo riuscendo perfino a farsi passare per quello che aveva tutta la ragione dalla sua parte?

Ma ne avevo abbastanza, di sentire tutte quelle sciocchezze. Ne avevo abbastanza di osservarlo sputare sentenze in tutta tranquillità, calpestare i miei sentimenti con quella spietata ovvietà, ignorare le mie proteste come se stessi vomitando idiozie.

“Bene. Allora, facciamo a modo tuo. Ignoriamo tutto, torniamo alla normalità. Prima di tutto, ricomincerò a starmene chiuso qui dentro da solo”.

Lui mi guardò con aria corrucciata, dispiaciuta. La durezza del suo sguardo di bronzo non riuscì a celarlo. Sì, lo stavo cacciando; aveva capito benissimo.

Non volevo averlo tra i piedi, se davvero la pensava in quel modo.

“Perfetto”. Si alzò in piedi, e mi sentii percorrere da un brivido quando ci trovammo faccia a faccia per quei pochi secondi, a una distanza che per quanto minima ormai non poteva più essere annullata. Fronteggiai la sua espressione impeccabilmente neutrale con occhi di fuoco, esultai silenziosamente quando chinò lo sguardo in segno di sconfitta, poi lo guardai camminare fino alla porta con il suo passo leggermente rigido e aprire la porta per andarsene, ubbidendo con precisione ai miei ordini.

“Buona giornata, Sirius”.

Gli risposi con una risata beffarda, dato che dell’educazione non me ne importava niente.

Dopo una discussione di quel genere, l’ultima cosa che desideravo era sentirmi salutare ipocritamente. Che se ne andasse sbraitando e sbattendo la porta, una volta tanto… ma no, lui no. Non poteva mai mostrarsi in preda all’ira, o al risentimento. Tutte connotazioni troppo deboli per uno come lui.

E va bene, poteva anche darsi che in quel periodo fossi di malumore soprattutto per via di Harry. E poteva anche darsi che il fatto che Remus fosse la persona che mi capisse meglio di tutti tra quelli che avevo attorno non fosse sufficiente per spiegare quell’impulso che mi aveva spinto a confessare candidamente qualcosa di cui non mi ero nemmeno reso davvero conto, ma ero sincero, maledettamente sincero, e lui non aveva motivo di negarlo con le sue supposizioni da quattro soldi. Senza contare che non capivo assolutamente da dove fosse saltata fuori quella sua dichiarazione dell’ultimo minuto. Non mi ero particolarmente soffermato a riflettere sul suo comportamento, e il fatto che avesse assecondato alcune mie richieste alquanto bizzarre non mi era risultato nemmeno lontanamente sospettoso: ero sempre riuscito a far cedere Remus, di fronte alle mie infantili pretese. Magari in occasioni precedenti avevo dovuto insistere di più per combattere la sua debole reticenza, ma non ci avevo visto nulla di strano nel fatto che avesse deciso di accontentarmi; e ora, se ne saltava fuori con il fatto che lui provava qualcosa per me. Quando nemmeno mi stava a sentire, e mi trattava come un bambino. Quando mi osservava sempre con quella sua aria di ironica e pacata superiorità e criticava puntualmente ogni mia affermazione.

Dire che non riuscivo a crederci era soltanto un pallido eufemismo.

Ma non ero più così sicuro di voler indagare sulla questione.

 

 

Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don't just say
And nothing else matters

(Metallica, “Nothing Else Matters”)

 

 

Nota: il titolo è un verso della canzone “Shy” dei Sonata Arctica. Preciso che se Sirius vi è sembrato contraddittorio, in certi punti del capitolo, beh, era proprio quello che doveva risultare. Il fatto è che personalmente sono stata parecchio influenzata dallo studio della “Coscienza di Zeno”, che in quanto a trama non mi ha particolarmente entusiasmato, ma di cui adoro il metodo innovativo di scrittura e di stile. Zeno, parlando delle sue esperienze, spesso mistifica la realtà, mente e si contraddice, ma dato che parla in prima persona non c’è un narratore onnisciente che intervenga nel racconto a dire dove sta la verità: questo compito, Svevo lo lascia al lettore, con la consapevolezza che una verità definitiva non la si potrà mai trovare. È una concezione della scrittura che mi ha profondamente segnata, e sta a poco a poco contagiando tutti i “miei” personaggi. Insomma, è con questo atteggiamento che bisogna leggere quanto racconta Sirius. Remus ha già una maggiore consapevolezza di sé, anche se poi in ultima analisi trova sempre una spiegazione falsata da fornirsi per mettersi l’anima in pace; comunque, si avvertiva l’intuizione che provasse qualcosa per Sirius nel modo in cui reagiva di fronte alle sue azioni o parole, mentre Sirius avverte soltanto qualcosa che preme dentro di lui per uscire allo scoperto, non sa da cosa è causata ma non vuole farsi accusare di soffrire di carenze d’affetto o di essere sotto un maleficio, insomma, non capisce una beata mazza di quello che sta passando, e affronta tutto come se fosse un gioco, un capriccio, perché se si comporta come un bambino spera che nessuno pretenderà delle spiegazioni logiche e razionali da parte sua. Certo, anche Remus fa un errore madornale nel non dare credito alla sincerità di Sirius, rimanendo arroccato sulle sue posizioni; ha delle ragioni per farlo, perché in fondo sarebbe un comportamento “da Sirius”, ma alla fine si giunge ad un attrito tra i due in cui sbagliano entrambi, e la cui conclusione si vedrà nell’epilogo.

Intanto, rispondo a chi mi ha lasciato una recensione^^

 

x sanzina89: sono contenta che tu ti trovi d’accordo con la mia visione di Sirius e Remus, e ti ringrazio per i complimenti. A Remus non pesa proprio sopportare Sirius; si avverte che c’è qualcosa, se ne rende sottilmente conto anche lui, nonostante poi trovi mille scuse stupide per giustificarsi. Proprio da far cadere le braccia. Ma Remus è fatto così, sono entrambi molto particolari. Grazie ancora e a presto, spero!

x LCasssieP: uhm, no, a dire il vero non ho mai pensato di far entrare Harry nella storia, almeno non direttamente. Questo è il mio primo esperimento Sirius/Remus e ho preferito concentrarmi sulle due creature, se devo essere sincera^^ comunque, sì, ci hai visto giusto, nello scorso capitolo si avvertiva che Sirius manifestava qualcosa verso Remus; allo stesso modo, si avvertiva che Remus non è affatto indifferente a tutti questi segnali piuttosto ambigui, ma maschera abbastanza abilmente le sue reazioni. Grazie per il commento!

x sibil: a prescindere dal fatto che amo gli Oasis, il mio nick non deriva da loro, bensì dal personaggio omonimo di “Il Giovane Holden”, o se preferisci, “The Catcher In The Rye”, di J.D. Salinger. Siccome leggo molto volevo prendere il mio nick da un libro, e in quel periodo stavo leggendo questo^^ comunque, grazie davvero per i complimenti: anche per me Remus è un personaggio magnifico, pur con tutti i suoi difetti, così come Sirius. Contenta anche che ti piaccia il tono della fanfic: le storie malinconiche mi sono sempre piaciute, e quando scrivo cerco di ispirarmi a quello che incontra i miei gusti personali^^

x nischino11: non si direbbe che è la prima? Wow ma ti ringrazio! Se c’è una delle mie paure folli, è quella di non saper rendere i personaggi, perciò sentirmelo dire mi rassicura molto, dato che in materia non posso considerarmi un’esperta, almeno per quanto riguarda la parte della scrittrice. Prima di questa fanfic, infatti, le due creaturine erano comparse in una mia shot come protagonisti soltanto una volta, ed era più una cosa a libera interpretazione, in cui potevano anche essere letti come semplici amici; però, affrontarli dal punto di vista di una coppia è decisamente più impegnativo. Certo, se ci fossero errori di grammatica mi suiciderei; dopo cinque anni di liceo classico, dovrei soltanto vergognarmi^^ Insomma, sono contenta che la fanfic ti piaccia, e spero continuerai a seguirla.

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Capitolo 4
*** Parte III - I suppose, life sometimes, it doesn't go the way it was meant ***


Parte III – I suppose, life sometimes, it doesn’t go in the way it was meant

Parte III – I suppose, life sometimes, it doesn’t go in the way it was meant

 

 

Ognuno ha la pretesa di soffrire molto più degli altri.

(Honoré de Balzac)

 

 

La fine delle vacanze di Natale arrivò per Sirius con lo stesso greve incedere con cui la luna piena soleva giungere per me ogni mese. Sembrò davvero essere giunto al limite della sopportazione: una sera, mentre cercavo di sistemare i turni di guardia dell’Ordine di modo da non dover rimanere da solo con lui a Grimmauld Place una volta che Harry e i ragazzi se ne fossero andati – mossa meschina, ma che ritenevo necessaria per evitare lo scoppio di altri litigi fra me e lui – lo sentii gridare in tono aspro, dabbasso. Sulle prime, feci per precipitarmi di sotto, spinto da non so quale impulso di inutile altruismo, nato in quella parte di me che ci teneva a sincerarsi delle sue condizioni, ma poi decisi che non erano affari miei, se Sirius era riuscito a trovare qualcun altro con cui accapigliarsi. Personalmente, ritenevo di aver già dato abbastanza.

Nei giorni scorsi, tra noi si era verificata una spiacevole esplosione di contrasti; da allora, avevo preferito ritirarmi nel mio silenzio, chiuso in una stanza vuota, camminando avanti e indietro su un pavimento coperto da due dita di polvere, volgendo lo sguardo verso l’alto al vecchio ed imponente lampadario di cristallo, e desiderare di non aver mai compiuto un gesto che mi aveva lasciato completamente scoperto e che, come del resto avevo sempre sospettato, aveva condotto me e Sirius ad un alterco serio, come non ne avevamo avuti da anni.

Gliel’avevo ricordato io stesso, che durante i nostri anni a Hogwarts quel genere di occasioni non mancavano mai.

Bastava un qualsiasi pretesto; io che mi rifiutavo di fargli copiare un compito, lui che rientrava in dormitorio alle quattro di mattina dopo le sue scappatelle facendo un incredibile macello per svegliarci e metterci al corrente dei particolari, la sua nuova trovata per dar fastidio a qualcuno che mi rifiutavo di approvare, la sua pessima abitudine di scrivermi stupide frasi divertenti sui libri di scuola, o di trasformarsi in Padfoot e ricoprirmi di bava di cane da capo a piedi, e poi quei momenti in cui si spingeva troppo in là, il cui apice era stato lo scherzo a Piton al sesto anno.

Già. Quello stupido scherzo riusciva a pesarmi ancora, per quanto mi aveva fatto male.

L’avevo perdonato, mi sarebbe risultato impossibile non farlo. Ero troppo attaccato a Sirius per sbattergli per sempre una porta in faccia, e lui si umiliò e mi chiese scusa in ogni maniera possibile, cosa che mai gli avevo visto fare per nessuno al mondo, nemmeno per James. Era capitato che litigassero anche loro due, più di una volta, ma Sirius l’aveva sempre presa come un’offesa personale – come se nessuno potesse permettersi di avere da ridire sul suo conto senza il suo permesso – e in genere, anche se dopo qualche ora erano già tornati a parlarsi, la loro riconciliazione avveniva secondo determinati canoni che imponevano loro di fingere di trovarsi per caso insieme nella stessa stanza, di rivolgersi la parola con una scusa, di sfoggiare un paio di battute di repertorio e infine di sghignazzare insieme, rompendo il gelo del litigio e finendo per prendersi amichevolmente a pugni e ricominciare come se niente fosse successo.

Per noi due non era andata così.

Fu la prima – e pensavo sarebbe stata anche l’ultima – volta in cui vidi Sirius sinceramente pentito per come si era comportato, senza la benché minima traccia di astiosa superbia negli occhi. Mi implorò di perdonarlo praticamente in ginocchio, non appena trovò il coraggio necessario per rivolgermi la parola senza il timore di vedersi respinto in maniera definitiva e inevitabile. Sirius sapeva bene che non trascuravo facilmente le sue bravate, e sapeva anche che io, a differenza di James, ero perfettamente in grado di tenergli il broncio per ben più di un paio d’ore. Credo che l’orgoglio sia sempre stato il nostro principale, e forse unico, punto in comune, e che quando Sirius si ritrovava a dover gestire il mio risentimento nei suoi confronti ne aveva un certo timore, perché era così simile, nella sostanza, a quello che lui riserbava agli altri quando era il suo turno di essere arrabbiato. Sirius sapeva che se voleva vedersi perdonare un gesto del genere avrebbe dovuto strisciare, e così aveva fatto; forse, se fossi stato più sadico e maligno, la cosa avrebbe potuto farmi piacere, ma benché io non abbia sfruttato l’occasione per trarne soddisfazione i risultati non furono quelli sperati. Il mio rapporto con Sirius era sempre stato una specie di strana simbiosi, all’interno della quale nessuno di noi due sentiva il bisogno di mostrare apertamente che viveva, oltre che per se stesso, anche per l’altro, ma che al di là delle apparenze piene di discussioni accese, di dialoghi sarcastici e di velate frecciatine, c’era una base di affetto che nessuno si sarebbe mai sognato di mettere in discussione. Quando qualcuno accennava anche solo a desiderare di potermi torcere un capello, Sirius diventava una bestia. Non riusciva a passare oltre nessuna minaccia, anche se palesemente buttata lì soltanto per provocarlo. Diceva che era per principio. Era sempre stato molto protettivo, tant’è che James lo chiamava “mamma” per prenderlo in giro. Ma anche se mi risultava difficile spiegarmi razionalmente una simile tutela nei miei confronti, dato il nostro particolare tipo di rapporto – che prevedeva, tra l’altro, la sua decisa convinzione che io, anche se disgraziatamente Lupo Mannaro, non avessi diritto a particolari trattamenti da femminuccia indifesa –, sapevo benissimo che Sirius per me ci sarebbe sempre stato, anche se avessi avuto bisogno di lui cinque minuti dopo aver finito di litigare. Sarebbe arrivato con la furia negli occhi, sbraitando e sfogando i suoi impeti violenti su qualcuno che magari non lo meritava fino a quel punto, e poi avrebbe inveito nei miei confronti per mezzora in ogni maniera possibile per essermi cacciato un’altra volta nei guai, ma la sua difesa non mi sarebbe mai venuta meno. E lo stesso valeva per me nei suoi confronti, anche se poi avrei finito per sospirare e dirgli “te l’avevo detto”. In realtà, sotto sotto mi divertivo un mondo a farlo ammattire con i miei interminabili predicozzi; non solo perché lui era il mio oggetto di tortura preferito in quel campo, ma anche perché poi finivamo sempre per riderne.

Gran parte di tutto questo finì, dopo lo scherzo a Piton.

In quel periodo non capii cosa fu che mi impedì di darmi da fare veramente per dimenticare e ricominciare, e solo anni dopo ci arrivai, quando ormai ero solo e non mi rimaneva altro da fare che riflettere sulla mia squallida vita. Compresi che in quell’occasione il patto fra me e Sirius si era rotto, che lui si era dimostrato capace di tradire la mia fiducia; ragione per cui negli anni successivi, anche se mi sembrò incredibile dal primo all’ultimo istante, non feci fatica ad accettare la versione dei fatti che lo voleva colpevole del tradimento dei Potter.

Forse fu per tutto quel tempo e quell’amicizia gettata via in modo stupido che fui così contento di riaverlo a fianco, quando due anni prima me lo ritrovai davanti, evaso da Azkaban, più morto che vivo e animato dal solo desiderio di uccidere. E gli diedi manforte, ero pronto a finire Peter a sangue freddo insieme a lui, al suo fianco, più per quello che aveva fatto a lui che per gli amici che aveva portato via a me. Il vecchio patto era improvvisamente tornato a ristabilirsi fra noi, e la possibilità di essere rinchiuso ad Azkaban per essermi fatto giustizia da solo non destò in me la benché minima preoccupazione, convinto com’ero di voler assecondare la legittima pretesa di Sirius di vendicarsi per quei dodici anni passati a marcire in una cella con l’atroce consapevolezza di essere innocente.

Mentre lo sentivo gridare, poco fa, intuivo che, con un’altra persona al suo posto, non avrei mai avanzato una proposta del genere.

Rimisi mano alle carte che avevo trascurato per cercare di tendere l’orecchio, nel tentativo di tornare a concentrarmici sopra. Avevo parecchio lavoro da sbrigare per l’Ordine, ed ero ben consapevole di non potermi concedere troppe distrazioni; per questa ragione, quanto udii dei passi pesanti trascinarsi fino alla porta della stanza in cui mi ero rinchiuso, mi sentii leggermente innervosire. Senza contare il fatto che riconobbi immediatamente la camminata, e il pensiero di non sapere assolutamente che cosa dire mi gettò in temporanea apprensione.

“Arthur è tornato, se ti interessa saperlo” mi disse lui, levandomi da ogni impaccio, con quel tono cupo e quell’espressione che non dava adito alla benché minima manifestazione di allegria.

“Ti… ringrazio di avermi avvisato” risposi, osservandolo con circospezione, mentre lui sfuggiva visibilmente il mio sguardo. Il fatto che sembrasse non voler affrontare l’argomento scottante lasciato in sospeso qualche giorno prima mi dava un certo meschino sollievo, ad essere franchi, ma non poteva fare a meno di provocarmi una qualche preoccupazione, considerato che, a quanto mi era parso di sentire poco prima, aveva appena avuto un diverbio con qualcuno di cui ignoravo l’identità.

“Ti dispiace così tanto?” gli chiesi, mentre, dopo avermi gettato un’occhiata obliqua, Sirius stava per uscire richiudendosi la porta alle spalle.

La riaprì con un gesto secco nel momento in cui mosse un passo indietro per tornare ad affacciarsi sulla soglia, e mi piantò in faccia due occhi ardenti di collera, che mi fecero passare la voglia di condurre una conversazione ironica.

“Non essere ridicolo” mi rispose, in tono brusco, sferzandomi con ogni singola parola. “È che… prima è stato qui Piton, e, sai com’è, ha ben pensato di cogliere l’occasione per insultarmi di nuovo. A quanto pare, nell’ultimo periodo sembra essere un desiderio piuttosto diffuso, quello di gettarmi fango addosso”.

Naturalmente. Quello era il suo modo di farmela pagare. Sfoggiare tutta la cattiveria di cui un Black poteva essere capace, combinandola con un sottile sarcasmo tutto tipico di Sirius: una miscela indubbiamente esplosiva, che fin dai tempi di Hogwarts riusciva a far cedere i nervi della persona bersagliata da tali attenzioni dopo un tempo decisamente breve.

Increspai le labbra, feci per ribattere a tono ma poi desistetti, e decisi di passare oltre.

“Che voleva, stavolta?” domandai, fingendo di non aver colto l’allusione. Sirius sembrava fin troppo arrabbiato per potersi permettere di non sfogare tutta quell’ira accumulata.

“Dare lezioni di Occlumanzia a Harry, e ricordarmi quanto sono pateticamente inutile” rispose, gesticolando rabbiosamente. Io mi lasciai andare contro lo schienale della sedia, osservandolo con una certa preoccupazione.

“Quando pensate di smetterla di comportarvi come se fossimo ancora a scuola?” domandai, in tono piuttosto retorico, dato che già in un paio di occasioni precedenti avevo avuto modo di constatare che ciò sembrava non essere possibile.

“Stavolta io non ho fatto niente, è stato lui” si difese Sirius, con veemenza. Io mi strinsi nelle spalle, rassegnato, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi infuocati. In un’altra occasione, probabilmente, avrei esibito un’aria scherzosamente scettica e avrei finito per riserbargli qualche frecciatina densa di ironia che lui, dopo un primo momento di animosità, avrebbe finito per prendere sul ridere. Ma qualche giorno fa io avevo dato fuori di matto e l’avevo volontariamente baciato, motivo per cui la situazione non poteva più essere affrontata nello stesso modo in cui l’avrei fronteggiata se quello che avevo fatto non fosse mai successo.

Cominciavo a davvero pentirmene, in effetti.

“Non hai niente da ridire? Strano” mi bersagliò lui, mettendo consapevolmente il dito nella piaga.

“Dipende,” risposi, inarcando un sopracciglio e stringendo le labbra, mentre fingevo di fissare con aria assorta le mie carte, “è stato particolarmente più pesante del solito?”

“Ci puoi giurare!” esclamò lui, rosso in viso per la rabbia. “Mi ha detto che casualmente Lucius Malfoy mi ha riconosciuto l’ultima volta che sono andato in giro trasformato in cane, e che sembra proprio che in questo modo io abbia trovato la scusa perfetta per rimanere qui come un codardo… Mi ha dato del codardo, ti rendi conto? Io venderei l’anima al diavolo per respirare una boccata all’aria aperta, e Piton osa darmi del codardo!”

Lo fissai camminare avanti e indietro con gigantesche falcate, i muscoli che si tendevano in spasimi nervosi sotto le vesti. Sapevo benissimo quanto gli bruciasse, essere sepolto a vita a Grimmauld Place; ne avevo osservato ampiamente gli effetti durante quelle ultime vacanze ormai quasi concluse. Se avessi potuto, l’avrei senz’altro consolato; ma ormai avevo timore perfino ad avvicinarmi troppo, visto che cosa avevo avuto il coraggio di fare l’ultima volta, dopo un periodo passato a sentirmi inspiegabilmente in imbarazzo di fronte a un suo gesto o parola qualsiasi, come una stupida ragazzina con una cotta adolescenziale per quello che era uno dei migliori amici che avessi mai avuto.

“Credimi, ci guadagni molto di più se lasci perdere e vai avanti per la tua strada. Sai benissimo che non è come dice lui, perciò ignoralo ed evita di farti il sangue amaro…”

“Ignoralo? Certo, perché tu ne saresti capace, Remus… Tu sei capace di ignorare qualsiasi spiacevolezza incomba sul tuo cammino! Sei capace di ignorare perfino il fatto che, guarda un po’, qualche giorno fa hai ben pensato di saltarmi addosso all’improvviso, e… Ah, al diavolo”.

Ero abituato a sentirmi ritorcere contro le sue disgrazie, quando Sirius era di umore particolarmente nero, ma in quel momento mi bruciò sentirmi dire certe cose, e fu solo sforzandomi di inghiottire il risentimento che mi trattenei dal rispondergli per le rime.

Di sicuro non pensavo che si meritasse una simile indulgenza da parte mia.

“Almeno io non sprizzo bile da tutti i pori” replicai dunque, a bassa voce, in un tono che mi sforzai di rendere più scherzoso che sarcastico. Ma Sirius non sembrò comunque prenderla bene.

“Bene, la prossima volta allora ci verrai tu a raccogliere le ceneri di Piton dal pavimento, e mi raccomando, fai pure con calma. Sono sicuro che la cosa non ti turberà, come tutto il resto”.

Sollevai uno sguardo preoccupato dalla mappa che stavo studiando e fissai Sirius come se dovesse esplodere da un momento all’altro, e io dovessi sforzarmi di trovare in fretta un modo per impedirlo.

“Non dirai mica sul serio. Vero?” domandai, storcendo la bocca in una smorfia carica di disagio. Quello era il guaio, con Sirius; non avevo mai compreso fino a che punto avrebbe avuto il coraggio di spingersi. O forse, pensavo di averlo compreso, dopo tutti gli anni che gli avevo passato a fianco, ma poi i fatti mi avevano necessariamente costretto a demolire questa mia certezza, nel momento in cui, dal nulla più completo, senza nemmeno un segnale d’avviso o un’atmosfera particolare, mi aveva confessato di avere una cotta per me.

Ormai ero sicuro che l’avesse detto senza pensarlo, ma la cosa mi aveva comunque lasciato spiazzato.

Non avevo ancora analizzato a posteriori la faccenda nel migliore dei modi, considerato che c’erano ancora un paio di punti che mi rimanevano oscuri: il più importante di tutti, sicuramente, riguardava me e il modo in cui ero riuscito, senza averlo pianificato né averci pensato sopra, a confessargli che in realtà ero io quello che provava qualcosa per lui.

Continuavo a comportarmi come se niente fosse, per il momento, perché per entrambi era sicuramente meglio così. Sirius, tra noi due, era quello con le idee confuse; io dovevo continuare a sostenere il mio ruolo di persona consapevole di se stessa, altrimenti tutto quel complicato e precario castello di carte sarebbe crollato in un soffio.

“Per il momento, siamo arrivati ad estrarre le bacchette. Lascio giudicare a te, se dico sul serio o no” mi rispose lui, risvegliandomi dai miei pensieri. I miei occhi si spalancarono di colpo.

“Avete… Sirius, sei impazzito?!”

“Non so se tu stia diventando sordo o se molto semplicemente non mi stavi ascoltando, ma ti ho detto che mi ha insultato pesantemente!”

“Questo non significa proprio un bel niente!”

“Perché non la vuoi piantare, di dare sempre la colpa a me? Ti ho già detto che è stato lui a cominciare, e io sono chiuso qui dentro da mesi, non ho nemmeno visto la neve, Godric, e anche per quanto è successo qualche giorno fa, sei stato tu a cominciare… Ammettilo, una buona volta”.

“Se ritieni che le parole che hai pronunciato poco prima che ti baciassi fossero totalmente innocenti ed innocue, allora sì, direi che hai ragione tu” risposi, stizzito, voltandomi verso il muro. Non erano certo rare le occasioni in cui mi capitava di pensare che Sirius non sarebbe mai cresciuto, nemmeno se l’avessero innaffiato di Pozione della Crescita, ma in quel momento il pensiero fu formulato con rabbia, e non riuscii ad evitare che mi invadesse la mente.

“Già, certo. Non eri tu a sostenere che ciò che conta sono i fatti, non le parole” mi disse lui, beffardamente, e io mi voltai a guardarlo, stringendo le mani con forza sul bordo del tavolo, fino a farmi sbiancare le nocche.

Ciò che conta sono i fatti, non le parole.

Erano le esatte parole con cui mi ero rifiutato di accettare le sue scuse il primo giorno dopo l’incidente con Piton, precisamente vent’anni fa.

Aveva sempre avuto un’ottima memoria, e lo sapevo. Lo avevo intuito fin da subito, per il modo in cui riusciva sempre a strappare dei voti brillanti in ogni disciplina pur avendo sfogliato il libro soltanto per una ventina di minuti la mattina stessa, mentre faceva colazione. Mi ero sempre domandato come diavolo ci riuscisse, dicendomi che avrei dovuto studiarlo, aprirgli il cervello alla maniera Babbana e carpire i segreti del suo funzionamento per poter smettere di spendere ore a star chino sul testo di Pozioni.

Ma anch’io ricordavo bene quel giorno, e il suo bellissimo volto in lacrime aveva tormentato il mio sonno non di rado, negli ultimi anni. Uno strano misto di senso di colpa e di desiderio di prenderlo a calci per ciò che si era dimostrato capace di fare si univa a quelle rievocazioni oniriche così amare che mi avevano fatto stare male per tutto il giorno successivo, senza che fossi riuscito ad andare avanti e a considerare Sirius come un capitolo chiuso della mia vita. Uno di quegli incubi era stato particolarmente orribile, era quello in cui i suoi occhi grigi invasi dal pianto mi fissavano da dietro le sbarre di Azkaban, in mezzo ad urla atroci e rumori di catene.

Non ero riuscito a perdonarmi di sognarlo in quello stato di supplica quando ero più che convinto che fosse colpevole, e ora non riuscivo a perdonarmi di non essere mai andato a trovarlo, anche solo per insultarlo e dirgli che mi faceva schifo, dato che pensavo che avesse ucciso Lily e James. Almeno, magari, lui avrebbe potuto fermarmi, dire che le cose non stavano come credevo, e forse, spinto dal sospetto, sarei ritornato a trovarlo, e avrei scoperto che era Peter, e non lui, a doversi meritare il mio odio, e forse Sirius non avrebbe trascorso dodici anni in prigione, privato della possibilità di vivere, costretto ad ascoltare le grida di colpevolezza a cui lui non poteva mischiarsi, senza nessuno che gli credesse.

Dodici anni in una cella, e ancora io non ero riuscito a capire quanto gli costasse veramente rimanere segregato a Grimmauld Place da sei mesi, dopo aver appena riacquistato la libertà.

Mi sentii improvvisamente schiacciato da quel senso di colpa, e quella sensazione terribile tornò.

La sensazione di essermi comportato da perfetto idiota, di aver gettato via tutto il mio rapporto con lui per un suo errore che non riuscivo a dimenticare nel terrore che potesse commetterlo di nuovo, la sensazione di aver sbagliato tutto, la sensazione di essere condannato e insieme di aver scelto di provare le sue stesse sofferenze, perché quello a cui aspiravo era soltanto a un nostalgico, agognato ricongiungimento.

Corsi il rischio di spaventarmi per ciò che avevo appena pensato, ma riuscii a ricacciarlo indietro, e presi la decisione che in quel momento mi sembrava la migliore, sia per me che per lui.

“Va bene. Vuoi vedere la neve?” gli domandai, bruscamente, alzandomi di scatto e facendo un paio di passi verso di lui, mentre recuperavo la bacchetta dalle pieghe della veste.

Sirius mi fissava con aria perplessa, ovviamente ignaro di tutto ciò che mi era passato per la testa in quel momento.

“Che vuoi fare, rimpicciolirmi e rinchiudermi in una di quelle campane di vetro natalizie per Babbani?” mi domandò, inarcando un sopracciglio con aria scettica. Io scossi la testa, alzando gli occhi al cielo, lo raggiunsi e lo afferrai per un braccio, senza badare alla sua espressione spiazzata.

Stavo per pronunciare l’incantesimo quando mi venne in mente una cosa importante, e mi staccai un attimo da lui per andare verso l’attaccapanni e afferrare un paio di mantelli, anche se erano piuttosto logori e poco protettivi. Dopodiché, tornai a stringere con forza il braccio di Sirius, e dopo qualche secondo lo strappo allo stomaco mi colse e mi risucchiò via, mentre mi sforzavo di tenerlo ancorato a me con tutta la disperazione di cui ero capace, e di nuovo mi accorgevo di quanto fosse dimagrito e di quanto sembrasse più fragile adesso che pure avrebbe dovuto essere un uomo fatto, ancora imponente nella sua nobile altezza ma spento come se avesse già finito di vivere ciò per cui veramente valeva la pena, e probabilmente era davvero così.

Terminato quel breve vortice di coscienza, ci ritrovammo improvvisamente immersi in una soffice nevicata, in un mondo che sembrava essere completamente bianco, in cui l’occhio si perdeva fino a smarrirsi dietro l’orizzonte, sbarrato da catene di montagne ricoperte di ghiaccio.

Sirius era completamente pietrificato.

Non dava segni di vita, né accennava ad aprire bocca. Fissava solamente il bianco che si depositava incessantemente ai nostri piedi con la bocca aperta per lo stupore, il suo braccio ancora saldamente ancorato al mio.

Mi misi a contemplarlo con aria beata e sorrisi, fiero di me, una volta tanto, per essere stato io a sorprenderlo, contrariamente alla norma.

“Tu… tu mi hai…”

“Sì” risposi, troncando il suo stentoreo balbettio. L’avevo Materializzato insieme a me sulla cima di una montagna, per fargli vedere la neve.

“Ma… dico, Remus… sei impazzito, per caso?”

Gli sistemai uno dei mantelli sulle spalle con un gesto professionale, soffermandomi solo per una frazione di secondo sul contorno delle sue spalle.

“Conosco il posto, e so perfettamente che è poco frequentato, perciò non hai da temere che da un momento all’altro ti compaia di fronte Lucius Malfoy o chi altri”.

“Ma…”

“Inoltre,” ripresi, sovrastando il suo debole tentativo di protesta con un sorriso divertito, “come ti sei gentilmente premurato di informarmi, Arthur è appena tornato dal San Mungo, perciò, con tutti i calorosi benvenuti che dovrà giustamente ricevere, è molto improbabile che qualcuno si accorga della nostra momentanea assenza. E da ultimo, dato che in questi giorni eri diventato davvero insopportabile, non ringraziarmi troppo. Consideralo come un gesto compiuto per farti passare il malumore, e permettere così a tutti di tornare a vivere serenamente, una volta privati della tua influenza negativa”.

Ero bravo a parlare, e lo sapevo bene. Era il miglior modo di detenere il controllo della situazione. Ma Sirius non sembrava disposto a competere su quel piano, e dopo avermi lanciato uno sguardo raggiante si gettò in una folle corsa lungo il pendio, gridando di felicità come un bambino un po’ troppo esuberante. Rimasi ad osservarlo mentre si faceva cadere a terra e si rotolava in maniera degna del suo alter ego animalesco, seppellendo la faccia in mezzo alla neve e riemergendone con le guance rosse, gli occhi accesi, bianco ovunque. E intanto i fiocchi continuavano a cadere dal cielo, e si depositavano con grazia sul suo mantello scuro e sui suoi capelli, ancora così neri come un tempo.

“Non restare lì impalato come una mummia, Remus!” mi gridò, ridendo come non lo vedevo fare da secoli, non sapevo nemmeno io da quanto. Sorrisi in risposta e mi avvicinai stringendomi nel mantello, le mani in tasca, avanzando a fatica in mezzo alla neve che mi arrivava al ginocchio.

“Ti serve aiuto per costruire un pupazzo di neve?” gli domando, in tono ironico, mentre lo osservo abbracciare un cumulo bianco. Le nostre impronte si perdono in quel sentiero precario, e io mi guardo intorno per cercare la grotta dove venivo a nascondermi qualche anno fa durante le notti di luna piena, quando ancora non avevo nemmeno sentito parlare della Pozione Antilupo, e ritenevo più opportuno isolarmi in un luogo così meravigliosamente desertico piuttosto che correre il rischio di attaccare qualcuno, ormai privato della possibilità di trascorrere una divertente nottata insieme ai miei vecchi compagni di avventure.

Imparare a reagire alla loro assenza in quei momenti era stato tremendamente difficile, tanto mi ero abituato ad averli a fianco e, di conseguenza, a non avvertire la pressante necessità di stare attento a tutto ciò che facevo. Avevo ricominciato a perdere il controllo, durante le trasformazioni, e spesso mi ero domandato se non avessi dovuto essere contento di poter diventare una bestia, almeno per una notte al mese, garantendomi così la possibilità di sfogare tutto il mio carico di frustrazioni emozionali in modo violento e animalesco.

Forse quella voce maligna che insinuava in me simili sospetti non aveva poi tutti i torti.

Ma persi troppo tempo a rimuginarci sopra, perché l’attimo dopo qualcosa mi colpì diritto in faccia.

“Ahuff… SIRIUS!” gridai, rosso in viso, squadrandolo con aria truce mentre rideva.

Avrei voluto adirarmi sul serio, ma non ci riuscii, perché mi si strinse il cuore.

Quella risata canina, così forte, fragorosa, contagiosa, enfatica, da quanto non mi risuonava nelle orecchie.

L’immagine di lui, più giovane di una ventina d’anni, mi si sovrappose davanti agli occhi, e mi ricordai improvvisamente di quelle vacanze di Natale trascorse a Hogwarts soltanto per rimanere insieme a loro, perché c’era la neve, e Sirius adorava la neve. Due settimane intere trascorse nel cortile di Hogwarts a congelare ridendo e mirando alle nostre teste, e che disgrazia se era proprio un colpo di Sirius a beccarti, perché tirava delle cannonate micidiali. Poi ti guardava e rideva, rideva…

Come adesso.

“Che ti prende? Mi ci hai portato tu, in questo posto, non mi dire che ti mette la depressione!”

Tentai un mezzo sorriso, chinando lo sguardo verso terra.

“Non dire assurdità” gli risposi, scompigliandogli i capelli. Rise di nuovo, e io mi sentii morire.

Mi sembrava incredibile, essergli davvero così visceralmente attaccato come temevo.

Addirittura più di quanto temevo.

Capii improvvisamente che non avevo affatto esagerato quando gli avevo confessato di provare qualcosa per lui, perché era così terribilmente vero. Per quanto una simile definizione potesse sembrare riduttiva, non era possibile definire semplice amicizia quella morsa che mi stringeva le viscere. Mi sembrava che nulla avrebbe potuto rendermi più felice, in quel momento, della possibilità di restare per sempre sulla cima di quella montagna con lui, soli, lontani da tutto ciò che in passato ci aveva divisi e costretti ad un distacco che non desideravamo veramente.

Eppure, mi dicevo, era anche in virtù di una separazione durata dodici anni che, alla fine, mi ero reso conto di quanto dannatamente mi mancasse.

Forse, se non fossi stato così cieco, l’avrei potuto capire anni prima.

Il germe di quella morsa era sempre stato presente in me, me ne rendevo conto mentre tutti gli avvenimenti passati mi scorrevano davanti agli occhi come in un’improvvisa rievocazione epifanica. Tuttavia, non era facile, non era neanche normale, secondo una certa ottica, e non avevo la più pallida idea di dove sarei andato a finire.

“Dobbiamo tornare indietro” gli dissi, con un filo di voce, sollevando appena lo sguardo da terra.

“Cosa? Ma dai, siamo qui da pochissimo… Chi ti ha detto che io non voglia fare davvero un pupazzo di neve?” mi disse, ironico.

“Se ne accorgeranno presto, che siamo spariti, e allora per te saranno guai seri, credimi”.

“Sì, per me” rispose, in tono beffardo. “Il tuo problema è difendere la tua reputazione di uomo ineccepibile”.

Non avevo per nulla voglia di litigare, perciò mi limitai a lanciargli un’occhiata torva.

“Se mi fossi preoccupato così tanto di difendere la mia ineccepibilità, puoi star certo che non ti avrei mai portato fin qui”.

Non capivo più se era colpa mia o sua il fatto che continuassimo a trovare un pretesto per scannarci anche in una situazione che, forse, avrebbe potuto far sì che tutto andasse a posto da sé.

O forse mi ero semplicemente lasciato trasportare da un’altra delle mie gigantesche chimere.

“Non te l’ho chiesto io, ad ogni modo. Se l’hai fatto soltanto per placare i tuoi ridicoli sensi di colpa…”

“L’ho fatto per te, razza di imbecille!”

Ci fronteggiammo con la rabbia negli occhi per una manciata di secondi carichi di tensione, mentre la neve continuava a caderci addosso, e la notte si lasciava presagire da un cielo sempre più tinto di scuro.

“Quindi non sei pentito per quello che mi hai detto?”

Boccheggiai, fissandolo con aria completamente confusa. La sua espressione dura e tagliente non dava adito ad esitazioni, tuttavia ci misi un po’ prima di comprendere a che cosa si riferisse.

“Io non… Sirius, andiamo, cerca di capire…”

“Perfetto, allora per quanto mi riguarda non abbiamo più nulla da dirci”.

Mi sentii improvvisamente pesante come un macigno. Dire che non riuscivo ad intendere perché ne avesse fatta una questione di stato era poco. Avevo ancora bisogno di fare chiarezza, fino a poco tempo prima, ma ora che avevo compreso che il mio gesto non era stato insensato, o semplicemente impulsivo o provocatorio, mi rendevo conto che non avrei nemmeno saputo come dirglielo; e adesso, come se non bastasse, insisteva ancora con quella storia delle mie accuse nei suoi confronti, come se non fosse stato evidente che il nostro straordinario riavvicinamento in quei giorni non fosse stato causato dalla situazione del suo rapporto con Harry. Avevo a malapena avuto il tempo di riflettere riguardo a me stesso, come potevo pretendere di riuscire a giungere altrettanto in fretta ad avere un’opinione chiara e precisa riguardo a lui?

Faticavo ancora a fidarmi, questo purtroppo era un dato di fatto indelebilmente evidente.

Non sarebbe dovuto succedere. Niente di quanto era accaduto a Lily e James, a lui e a me. Non sarebbe dovuto succedere per nulla al mondo. Perché se avessi avuto la possibilità di rimanergli vicino, per tutti quegli anni, lentamente quella fiducia di cui avevo bisogno per credergli sulla parola l’avrei riacquistata. Ne ero automaticamente certo. Il nostro rapporto avrebbe continuato ad essere solido e costante, e con il passare del tempo le ferite si sarebbero sanate.

E invece, era andata in un modo diverso, un modo in cui non avrebbe dovuto andare, e mi resi conto che non sapevo nemmeno a chi dare la colpa, se alla sfortuna, al destino, a Voldemort, a Peter, a me che avevo sospettato ingiustamente di Sirius, a Sirius che aveva sospettato ingiustamente di me, e non mi aveva detto che lui e Peter si erano scambiati, e tutto era irrimediabilmente precipitato in un baratro da cui non riuscivo ancora a risollevarmi.

“Va bene” capitolai, mesto, senza sapere che altro dire. Forse avrei potuto tentare di spiegargli, ma con Sirius era praticamente impossibile riuscire a ragionare. E se avesse avuto ragione lui, avrei finito soltanto per accusarlo ingiustamente, un’altra volta.

Anche se ormai c’era in ballo qualcosa di profondamente differente.

Qualcosa che era soltanto fra me e lui. Come non succedeva da anni.

Ritornammo indietro senza dire una parola, e mi lasciai indietro le montagne con gli occhi appannati per il vento sferzante.

Quando ci trovammo di nuovo nella stanza in cui lui aveva fatto irruzione poco prima, lasciai il suo braccio reprimendo un sussulto angoscioso.

Probabilmente stavo sbagliando, per l’ennesima volta.

Ma il tempo a nostra disposizione era scaduto, e per il momento non c’erano possibilità di prendere in considerazione l’idea di chiarire tutto con calma.

“Scusami, ora devo proprio andare” gli dissi, osservando l’ora, senza guardarlo negli occhi. Raccolsi le mie carte e uscii di corsa salutando a malapena gli ospiti di Grimmauld Place, voltandomi solamente una volta indietro ad osservare quelle scale scricchiolanti che avevo ormai salito e sceso innumerevoli volte, la maggior parte soltanto per andare a fargli compagnia.

 

 

Yes, and I feel too young to hold on,
I'm much too old to break free and run.
Too deaf, dumb, and blind
To
see the damage I've done.

(Jeff Buckley, “Lover You Should’ve Come Over”)

 

Nota: il titolo è un verso della canzone “Don’t Say A Word” dei Sonata Arctica (come se non si fosse capito che mi piacciono XD). Con questo capitolo ho voluto provare a fornire le prime spiegazioni per quanto è accaduto nel precedente; la fanfic sarà breve, ma erano necessari dei chiarimenti. Senza contare che io ormai ci ho preso la mano e mi sto davvero esaltando, a scrivere di queste due teste di rapa. Un paio di piccole precisazioni tecniche: 1) i fatti qui ambientati li immagino, come intuibile da riferimenti vari, un completamento al capitolo 24 dell’Ordine della Fenice, il che mi calzava a pennello anche per la risoluzione finale, perché Remus, tra i partecipanti alla cena di quella sera, non c’è; ricomparirà solo la mattina dopo, in compagnia di Tonks, per riportare Harry e gli altri a Hogwarts; 2) non sono proprio sicura riguardo alla possibilità di Materializzarsi e Smaterializzarsi all’interno di un luogo protetto da Incanto Fidelius per due persone che pure ne conoscono l’ubicazione, però non essendoci modo di verificarlo ho deciso ugualmente di far andare le cose in questo modo.

 

Rispondo alle recensioni che mi avete gentilmente lasciato:

x suni: non ti preoccupare per il caos con le recensioni, mi sa che c’è qualche problema ma non ha importanza ^^ dunque, mi pare di capire che quindi hai letto solo il prologo. Beh, se ti ha fatto un’impressione così favorevole non posso che esserne davvero lieta: certo, ci tengo assai ad un tuo commento anche al resto, perché come sai ormai amo JUST A BLACK e amo il modo in cui scrivi, perciò ti ritengo assolutamente degna di stima, ma non ho intenzione di far pressioni di nessun genere su nessuno. Resta il fatto che sentirmi dire da te che riesco a rendere bene i personaggi, per me è motivo di grande euforia, dato appunto come amo il modo in cui scrivi di Sirius e Remus. Ho corretto gli “a capo” dove ci andavano, grazie per la segnalazione, mi erano proprio sfuggiti. Ti ringrazio tanto per questo commento, che mi ha fatto immensamente piacere.

x Faith Lupin: wow, sono lusingata dal tuo commento. Poi hai già la mia stima per il fatto che ami “Shy”, dato che la reputo una canzone meravigliosa. Anche a me, quando leggo una bella Sirius/Remus, viene voglia di picchiarli XD penso sia parte integrante del loro modo di relazionarsi nel momento in cui tra loro si fa accadere qualcosa che vada al di là dell’amicizia, per il modo in cui sono fatti è inevitabile che cozzino l’uno contro l’altro. Mi dispiace per l’aggiornamento un po’ tardivo, purtroppo sono in periodo di maturità – anche se ho quasi finito, grazie a Dio – ma comunque spero ti sia piaciuto anche questo capitolo.

x sanzina89: dici che il termine “cotta” ti pare più appropriato per Sirius, e ti do ragione, anche se nel prossimo capitolo si capirà qualcosa di più a riguardo, dato che sarà lui a parlare. Per il momento, di Remus si vede – spero – una sorta di amore/devozione viscerale, qualcosa che è tutt’uno con l’amicizia eppure la trascende. Fingere che niente sia accaduto non è facile per nessuno dei due e Sirius non è nemmeno tanto d’accordo, ma solo perché Remus si comporta come se non gliene importasse nulla, dopotutto; però, date le circostanze, non era possibile per nessuno dei due dire “Va bene, adesso ci mettiamo seduti e ne parliamo con calma”. Non sono due persone che esternano con chiarezza e facilità ciò che pensano e provano, e queste sono le conseguenze. Grazie mille per i complimenti ai personaggi, comunque: ci tengo un sacco che risultino IC, perché ci tengo a loro proprio per come sono stati creati, anche se ovviamente poi ci ricamo sopra di mio. Non credo proprio che toccherò l’argomento della morte di Sirius, almeno, finora non è nei miei programmi, dato che preferisco concentrarmi sul tema degli “attacchi di broncio”: tuttavia, la fanfic non è un’AU, perciò poi, dopo la sua conclusione, resterà comunque implicito che Sirius morirà. Aspetto il tuo prossimo commento ^^

x ivy_: contentissima che la storia ti piaccia, davvero. Mi dispiace di non aver potuto aggiornare molto presto, dato che ho avuto gli esami di maturità in questo periodo, ma scrivere per me è indispensabile, in qualsiasi momento, anche se lo faccio meno di quanto vorrei per cause di forza maggiore. Grazie ancora.

x nischino11: a dire la verità, il mio intento era proprio quello di giocare sul tema degli “attacchi di broncio”, e, con questa “scusa”, portare prima a far accadere qualcosa tra i due, e poi a cercare di darne una spiegazione tramite gli eventi successivi; perché in effetti a prima vista può sembrare che da un momento all’altro si siano svegliati e abbiano deciso di essere innamorati l’uno dell’altro, però leggendo oltre, per il momento riguardo a Remus, si capisce – spero – che non è successo tutto così, dal nulla. Remus dice chiaramente di essere rimasto estremamente scosso – anche se inteso in senso positivo – dal ritorno inaspettato di Sirius, una persona che pensava di aver perso, per cui già nutriva un attaccamento molto forte anche se la storia dello scherzo a Piton li aveva fatti allontanare, e una volta che l’ha riavuto, questo ha scatenato qualcosa, cioè un attaccamento ancora più forte, che però ormai valica i confini dell’amicizia, anche se la comprende in sé e ne è parte inscindibile. Spero che così la situazione ti risulti più chiara, anche se manca ancora la versione di Sirius. A presto e grazie ^^

x sibil: grazie per il consiglio, ma io guardo già Lost, come una droga! XD ho capito che ti riferisci a Charlie, ma io non lo reggo molto, questo personaggio, se devo essere sincera – preferisco Sawyer, anzi, diciamo che lo adoro incondizionatamente. Il mio amore per gli Oasis nacque l’estate scorsa, anche se già prima mi piaciucchiavano, e da allora – dato che ho un gruppo di amici che mi ha trasmesso la passione – ogni occasione è buona per cantare “Wonderwall” a squarciagola in macchina tutti insieme XD a parte questo, ti ringrazio molto per i bei complimenti: adoro Sirius, e riuscire a renderlo bene mi fa davvero felice. In questi capitoli, come hai potuto notare, sono presenti diverse rievocazioni del passato, anche se non si tratta direttamente di flashback, perché la storia dello scherzo a Piton ha giocato – e Remus se ne sta rendendo conto – un ruolo cruciale per quanto riguarda il suo rapporto con Sirius prima della morte dei Potter. Ti saluto, alla prossima!

 

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Capitolo 5
*** Parte IV - I know fine well that what I did was wrong ***


Parte IV – I know fine well that what I did was wrong

Parte IV – I know fine well that what I did was wrong

 

 

Come può qualsiasi cosa finire?

(Jack Kerouac)

 

 

Fu con il volto contratto dalla rabbia e le mani spasmodicamente chiuse a pugno che decisi finalmente di dirgliene quattro, dopo tutti quei giorni trascorsi a fingere che non ci fosse nulla che non andava. Ne avevo abbastanza, di lui e della sua faccia tosta.

“La sai una cosa, Remus? Io non ti sopporto. Forse non ti ho mai sopportato, in effetti, ma adesso hai veramente superato ogni limite. Mi hai sempre tacciato di instabilità mentale, ma stavolta non sono stato io a baciarti e poi sparire come se niente fosse successo!”

Non ci fu alcuna risposta alle mie irose esclamazioni. Fissai con rabbia la mia immagine riflessa nello specchio, sospirando, mentre iniziavo lentamente a sentirmi un completo idiota.

Cercai di calmarmi e di riprendere il controllo di me stesso; era la terza volta in un giorno che mi succedeva di lasciarmi andare a simili sfoghi, ma non potevo permettermi di esplodere in quel modo, o sarei finito per prendere a pugni la mia immagine riflessa, e non mi sembrava proprio il caso di scadere in simili patetismi.

“…E quello con problemi psichici sarei io, secondo te?”

Sobbalzai di scatto, voltandomi verso la porta e sfoderando la bacchetta nella frazione di un secondo. Inconsapevolmente, avevo riconosciuto fin da subito la sua voce; ma o l’influenza delle tendenze paranoiche di Malocchio Moody stava cominciando a produrre gravi danni sulla mia psiche, o avevo accumulato talmente tanto astio nei suoi confronti da essere perfino pronto a scagliargli contro un incantesimo.

“Che diavolo ci fai qui?” lo aggredii, senza mezzi termini. Il mio orgoglio si sentiva profondamente offeso per essere stato colto in pieno in un momento di debolezza, e quell’ombra di un sorriso divertito che gli aleggiava sulle labbra mentre mi fissava mi stava veramente facendo irritare.

“Dovevo passare per assicurarmi che fossi vivo. Nessuno ha più avuto tue notizie in questi tre giorni, e a tutti è sembrato piuttosto strano, dato che di solito trovi il modo di assillare chiunque per sapere come vanno le cose”.

Esplosi in una risata beffarda, allontanandomi dallo specchio.

“Lo dici come se ti dispiacesse che io abbia smesso di assillare te” gli risposi, sfoggiando il mio miglior tono tagliente. Remus non batté ciglio.

“Non prenderla come una questione personale, Sirius. Non lo è” ribatté, in tutta calma, entrando nella stanza a passi silenziosi e misurati, perfettamente calmo e padrone di se stesso.

Mi irritava profondamente, questa sua capacità di contenere le emozioni. Da una parte lo invidiavo, perché se anch’io l’avessi posseduta non avrei avuto certo bisogno di mettermi a gridare ad alta voce contro uno specchio per dar modo di esplodere alla mia carica di frustrazioni represse; dall’altra, invece, trovavo quella sua caratteristica altamente detestabile, in quanto non mi riusciva mai di comprendere che cosa realmente gli passasse per la testa.

Per esempio, in quel momento non ero affatto in grado di intendere se davvero fosse venuto fin lì solo per sedare le preoccupazioni degli altri membri dell’Ordine o se almeno un po’ si fosse impensierito, dopo aver osservato che da qualche giorno non avevo più fatto avere mie notizie.

Mi faceva andare fuori di testa, tutto quel mistero con cui Remus persisteva nel coprire le sue azioni. Mai una volta che parlasse chiaro, che dicesse senza mezzi termini come stavano le cose; i suoi comportamenti dovevano sempre dare adito a molteplici interpretazioni, e di conseguenza io dovevo essere condannato ad eterni grattacapi nel tentativo di convincermi che una delle numerose ipotesi possibili era più convincente delle altre.

Almeno di qualcosa potevo farmi vanto: io non mandavo in confusione le persone con discorsi o atteggiamenti equivoci. Io mettevo in chiaro fin da subito come la pensavo circa un determinato argomento, di modo da non lasciare spazio a dubbi di nessun genere.

Come quando gli avevo detto di avere una cotta per lui.

Nessuna esitazione, nessun giro di parole, soltanto la pura, sacrosanta e indubitabile verità.

“Bene, ti sembro per caso un cadavere che cammina? Non credo, perciò dato che hai svolto il tuo compito puoi anche andartene”.

Anche adesso ero stato perfettamente chiaro.

E invece lui continuava a rimanere lì fermo sulla porta, osservandomi con un’espressione indecifrabile.

“Credi che andrà avanti ancora per molto?”

“Che cosa?”

“Questo”.

Lo fissai con rabbia, stringendo gli occhi, come se desiderassi incenerirlo.

“Andrà avanti finché ne avrò voglia. Finché continuerai a pensare che tu sei sempre quello che ha ragione e io sempre quello che pesta i piedi e fa i capricci”.

Detto questo, per me la faccenda poteva considerarsi chiusa. Non avrei tollerato di sentir pronunciare una parola di più. Sapevo perfettamente che Remus era testardo almeno quanto me, e che pertanto non avrebbe certo ritrattato le sue affermazioni da un momento all’altro senza alcun motivo. Non l’aveva mai fatto, del resto, perciò non avevo ragione di sperare in una sua straordinaria clemenza.

“Non perché io ci tenga ad essere pignolo, ma in questo momento stai esattamente facendo i capricci” mi disse, con una velata intonazione di rimprovero. Io lo fulminai con lo sguardo.

“Non dire assurdità”.

In tutta risposta, lui si strinse nelle spalle.

“Mi dispiace che la cosa ti ferisca, ma è vero”.

“Non mi dire!”

“No, infatti! Non ti rendi conto da solo che ti stai impuntando per una sciocchezza soltanto perché hai detto cose che non volevi dire e ora te ne stai pentendo?”

Lo fissai, incuriosito. Nella sua voce era comparsa una marcata traccia di veemenza, cosa che mi stupì non poco: doveva crederci fermamente, se davvero insisteva fino a tal punto.

“Io dico quello che penso, e lo dovresti sapere bene” gli risposi, voltandomi e dandogli le spalle. Ne avevo abbastanza che non mi credesse; non solo era frustrante, ma mi privava anche della voglia di continuare a dargli fiducia. Remus mi aveva sempre conosciuto meglio di chiunque altro: c’erano cose che a James non avevo mai confessato perché me ne vergognavo come un ladro, per quanto fosse mio fratello e non mi facessi mai problemi nel dirgli ogni genere di sciocchezze, mentre Remus aveva ascoltato ogni singola parola che usciva dalla mia bocca riguardo a quanto mi sentissi da schifo perché la mia famiglia mi aveva diseredato o quanto la morte di mio fratello non mi avesse lasciato indifferente come avrei voluto che fosse, e se mi ero confidato con lui era perché sapevo di poterlo fare. Non mi avrebbe mai dato del rammollito, non avrebbe nemmeno pensato che fossi un rammollito. Secondo lui era perfettamente normale che io, pur facendo costantemente un vanto della mia condizione di rinnegato, provassi sofferenza di quando in quando. Non si sentiva come se gli stesse crollando un mito se mi mostravo a lui in tutto il mio meschino bagaglio di debolezze. E ora, non poteva essere altrettanto normale che mi fossi… che provassi qualcosa per lui?

“Insomma, mi dici perché sei venuto qui?” gli domandai, sfinito. Di colpo, lui assunse un’espressione chiusa, quasi tetra.

“Tu non te lo ricordi, vero?” mi chiese lui, in un tono carico di sottintesi.

“Cosa?” domandai, leggermente confuso.

“Nocturn Alley”.

Continuavo a non afferrare, ma decisi che era meglio fare lo spiritoso.

“Ho sempre sostenuto che nelle cantine di quel postaccio si riesca a trovare il miglior Firewhiskey di Londra, ma non credevo che tu fossi interessato a questo genere di cose…”

Remus scosse la testa.

“Mi riferivo a quando abbiamo incontrato quella strega”.

“Quale?”

“Quella donna anziana, che ti ha fatto degli strani segni sul viso e…”

Oh. Allora era a questo che si riferiva.

Era successo tantissimi anni fa, se non ricordo male andavamo ancora a Hogwarts. Un’estate, mentre eravamo a Diagon Alley a comprare i libri e il necessario per la scuola, io avevo fatto l’incosciente e mi ero infilato a Nocturn Alley di nascosto. Remus era venuto a recuperarmi. Mentre cercavamo di uscire da lì, una vecchia incartapecorita vestita di nero mi aveva fermato, si era messa a cantilenare qualche sciocchezza passandomi le dita sulla faccia e poi mi aveva detto un paio di cose. Non me le ricordavo neppure tanto bene. Aveva azzardato qualche generica previsione sul mio futuro, dicendomi che avrei avuto una vita felice ma che non sarei riuscito a goderne appieno, se non sbaglio, e poi aveva aggiunto che sarei morto prima di quarant’anni.

Fissai Moony con un’espressione esasperata.

“Remus, ti prego. Qui non si tratta di Voldemort. Le profezie ti stanno dando di volta il cervello…”

Lui fece un gesto spazientito con la mano, come per zittirmi. Scosse la testa, lo sguardo perso nel vuoto.

“Non c’entra assolutamente nulla con l’Ordine o con Voldemort. Ci ho solamente pensato, ieri sera”.

“Sì, dopo una piacevole visita all’Ufficio Misteri. A chi vuoi darla a bere? Quella non era una vera profezia. E quella non era una vera strega. Hai mai visto predire il futuro a qualcuno facendogli dei segni sulla faccia? Potremo anche non aver mai frequentato Divinazione, ma non ti ritengo così ottuso da non capirlo…”

Remus, ovviamente, non diede segno di essere d’accordo con me. Continuò a pensare in silenzio, per qualche secondo.

“Quello che ti ha detto si è avverato, finora. Non credi?”

Scoppiai in una risata amaramente beffarda, distogliendo lo sguardo da lui.

“Oh, sì, certo, la mia vita è stata davvero felice” osservai, sarcastico.

“Ma non l’hai vissuta appieno” mi fece notare lui.

“Non è stata una mia scelta, va bene? Per quanto tu possa ritenermi stupido per aver deciso di scambiarmi con Peter, non è stata una mia scelta marcire ad Azkaban per dodici anni. È stato Crouch a spedirmici senza processo. Certo, immagino che se anche avessi avuto questa possibilità nessuno avrebbe testimoniato in mio favore…”

Mi resi conto che l’avrei ferito un attimo prima che quell’ultima frase mi uscisse di bocca, ed infatti l’espressione con cui accolse la mia replica non fu delle più felici. Ma trovò comunque la forza di rispondermi per le rime, come sempre aveva fatto, anche nei miei momenti di più acuta cattiveria.

“Se tu ti fossi confidato con me, magari avrei potuto davvero farti da avvocato difensore” disse, con un lieve sorriso. Io scrollai le spalle, spazientito.

“Oh, andiamo, non è divertente. Hai cominciato tu ad allontanarti da me”.

Stavolta, la sua reazione fu ancora peggiore. Lui non si offendeva mai per nulla, eppure ora sembrava sentirsi insultato per ciò che avevo appena detto. Ma io non capivo certo perché dovesse.

“Credi che l’abbia fatto senza motivo?” mi chiese.

“Credo semplicemente che tu, Remus Lupin il licantropo vittima dei pregiudizi, ti sia fatto contagiare come tutti gli altri dal mio simpatico bagaglio familiare, sebbene avessi fatto di tutto per prenderne le distanze”.

Questa volta, Remus mi fulminò con uno sguardo truce. Cominciai a pensare che ci fosse davvero qualcosa che mi sfuggiva, a parte il suo perenne desiderio di aver ragione.

“Allora non hai capito proprio un bel niente”.

“Spiegamelo, se pensi di essere tanto bravo”.

“Non sei sempre tu la vittima della situazione, che diavolo! Sirius, io ho cominciato ad allontanarmi da te da quando tu hai deciso di tradire la mia fiducia per uno stupido scherzo!”

Rimasi a bocca aperta per qualche secondo. Quello era l’argomento che più di tutti mi ero sforzato di evitare, da quando io e Remus ci eravamo ritrovati; era ciò che più mi vergognavo di aver fatto in vita mia, l’unica cosa capace di farmi davvero sentire un verme della peggior specie, e da un tempo interminabile speravo che lui se lo fosse dimenticato.

E invece, era colpa mia. Dannatamente solo colpa mia.

“Pensavo che la faccenda fosse stata dichiarata chiusa” gli dissi, a mezza voce. Lui sospirò.

“Non si è mai chiusa, e non dirmi che non te ne sei accorto”.

“Può darsi, ma ho cercato di umiliarmi in ogni modo per far sì che tu potessi metterci una pietra sopra, finché non mi sono stufato”.

Non riuscivo ad accettarlo, che per colpa di un errore che avevo compiuto quando ero soltanto un ragazzino incosciente fosse successo tutto il resto. Avremmo potuto fermare Peter, avremmo potuto salvare James e Lily, avremmo potuto essere ancora tutti qui, se soltanto io e lui fossimo restati uniti.

“Magari ho sbagliato a covare delle remore in merito, ma evidentemente doveva andare così”.

“Doveva? Remus, niente doveva andare in un certo modo perché una vecchia strega con il cervello in fumo mi ha detto che non avrei potuto godere appieno della mia felicità!”

Sentivo che sarei potuto esplodere da un momento all’altro. Cercai di calmarmi.

“Sapeva già che sarebbe andata così, molto semplicemente”.

Sospirai, arrendendomi. Stavo lottando da troppo tempo.

“Ti stai lasciando abbindolare da un mare di sciocchezze” gli dissi soltanto, scuotendo la testa. Lui continuò a guardarmi con quell’espressione dolorosa negli occhi, che invece di smorzarsi aumentò terribilmente d’intensità.

“Non ci hai pensato, allora? Al fatto che potresti morire entro pochi anni, forse mesi, vuoi farmi credere che non ci hai mai pensato?” chiese lui, con una stravolta disperazione negli occhi. Poche, pochissime volte in vita mia l’avevo visto lasciarsi travolgere così. Mi passai una mano fra i capelli, lasciandomi cadere a sedere sul letto.

“Ho desiderato che succedesse con sufficiente intensità da aver esaurito la voglia di pensarci, ora come ora. Sai com’è, l’argomento finisce per diventare un po’ monotono se ripetuto in tutte le salse per dodici anni di galera”.

Ecco, ora avevamo decisamente toccato il fondo. Era riuscito a farmi parlare anche del carcere, la seconda cosa che ancora non riuscivo ad ammettere di aver vissuto davvero.

Continuare in quel modo era semplicemente una tortura. Non avevo fatto altro che pensare al perché gli avevo confessato di avere una cotta per lui, durante i giorni precedenti, e mi ero reso conto che c’era una sola risposta possibile a quella domanda: l’avevo fatto perché era vero. Non mi ero mai innamorato di nessuno, in vita mia, perché nessuna donna era mai giunta a rappresentare per me quello che lui rappresentava da un tempo interminabile. Non l’avevo mai detto a nessuno tranne a lui, quello che pensavo dell’amore: che se tra due persone non c’era un’intesa pressoché totale, era stupido innamorarsi. Ma nessuno mi aveva mai capito bene quanto Remus, o mi aveva dato il tormento al pari di lui. Mi resi conto che mi faceva un male incredibile il fatto che non mi volesse credere.

“Mi dispiace. Mi dispiace veramente” esalai, col capo chino. Mi sentivo uno schifo, per quanto fosse una sensazione che avevo sempre cercato di non provare. A quel punto, però, non riuscivo più a farne a meno.

“Considerati fortunato, perché se si fosse trattato di qualcun altro non l’avrei mai ammesso” aggiunsi, e improvvisamente Remus mi si era avvicinato e mi stava abbracciando. Strinsi le braccia intorno ai suoi fianchi e posai la guancia contro il suo stomaco, mentre lui stava in piedi di fronte a me e mi accarezzava la testa, come faceva sempre quando mi trasformavo in Padfoot.

Capii in quel momento che Remus aveva ragione. Non c’era futuro per due come noi, che persistevano nel rifugiarsi nel passato e nei suoi attimi di confortante intensità che sapevamo di aver vissuto appieno. Anche ora, il motivo per cui Remus era tornato da me affondava le sue radici nel passato. Nel presente, entrambi non eravamo che straziati brandelli di esseri viventi.

“Non voglio che tu muoia” lo sentii sussurrare, ed era la prima, vera confessione dei suoi reali sentimenti che ottenevo da tempo. Mi costrinsi a sorridere.

“Morirò comunque” gli dissi, sforzandomi di essere filosofico. Ma non mi riuscì molto bene. Di solito quello saggio e pragmatico era lui, non io. Io non sapevo recitare quella parte.

Rimasi in attesa di una risposta a tono, di un commento sarcastico per smorzare la tensione. Ma non udii niente, non una sola parola. Mi ricordai della rabbia smarrita con cui mi aveva chiesto se avevo mai pensato alla possibilità di morire, poco fa, e mi resi conto, forse per la prima volta da quando ci conoscevamo, che Remus mi aveva a cuore sul serio. Era una cosa che avevo sempre dato per scontata, ma più per comodità mia che perché lui me l’avesse mai esplicitamente detto. Era sempre riuscito a far sì che la parte più insicura e nascosta di me si domandasse per tutta la vita se forse, a dispetto del nostro essere amici, Remus in segreto non mi detestasse. Ovviamente non avevo mai esplicitato la cosa, ma ora mi sentivo stranamente commosso al pensiero che gli importasse così tanto di me.

“Senti, non… non fare così. Diavolo, Moony, non è necessario. Non sto morendo ora”.

 Era imbarazzante, per me. Avevo sempre fatto schifo a consolare la gente. Quando i genitori di James erano morti non avevo saputo che dire, eppure avrei voluto con tutte le mie forze farlo smettere di piangere. Adesso, perlomeno, ero riuscito a mettere insieme una frase, il che forse poteva considerarsi un segno del fatto che ero cresciuto, anche Remus sarebbe riuscito a mettere in discussione anche quel dato di fatto. Lui ci riusciva con tutto ciò che dicevo, ed era per quello che aveva cominciato a darmi sui nervi, quando ci eravamo appena conosciuti. Eppure, non avevo mai messo in discussione il fatto che fosse mio amico, né avrei mai permesso che qualcuno lo facesse. Mi ero attaccato a lui in maniera contorta ed inconscia, e anche se alle volte non facevamo altro che beccarci, facendo quasi concorrenza a James e Lily prima che si mettessero insieme, per me lui doveva esserci, sempre. Doveva prendere parte ad ogni dettaglio della mia vita. Era una cosa che non aveva senso, una cosa in cui mi ero buttato senza neanche pensarci, ma forse aveva ragione lui, doveva andare così. In tutti gli anni precedenti non avevo mai capito, neppure in prigione ci ero riuscito, ma ora comprendevo benissimo che cosa mi rendesse così attaccato a lui.

Mentre pensavo, lui si sciolse dal mio abbraccio. Si inginocchiò di fronte a me, mi prese il viso tra le mani e mi baciò, per la seconda volta. Fu il bacio più delicato e più carico di sentimento che avessi mai dato.

 

 

Did I say that I loathe you,

Did I say that I want to

Leave it all behind?

(Damien Rice, “The Blower’s Daughter”)

 

 

Nota di fine capitolo: il titolo è un verso della canzone “Make This Go On Forever” degli Snow Patrol.

Mi scuso profondamente per aver aggiornato così tardi. Per questa fic è stato un periodo critico, lo ammetto, dovuto al fatto che in estate ho dovuto studiare come una pazza per superare il test d’ammissione all’università e poi, dopo aver cominciato, mi sono ritrovata con pochissimo tempo libero. Ho finito per perdere di vista la storia e mi è dispiaciuto un sacco. Il desiderio di vederla completata era sempre rimasto grande come una casa – non perché non ne potessi più, ma per potermi confrontare con il prodotto finito e anche per farmi perdonare da chi la seguiva. Non ho mai avuto alcuna intenzione di lasciarla incompiuta, solo che trovare il tempo per terminarla mi è risultato profondamente difficile. Mi mancava quel qualcosa che permettesse alla trama di arrivare dove volevo, non riuscivo a venirne fuori e non volevo buttar giù qualcosa di banale solo per terminare la storia. Ho avuto il lampo di genio poco tempo fa, dopo aver letto un articolo che promulgava ipotesi sulla possibilità che Remus si fosse avvicinato ai Mangiamorte rompendo con i Malandrini – ipotesi assurda, ma che tirava in ballo anche il fatto che, al momento della morte di Sirius, Remus reagisce con una rassegnazione che, all’autore dell’articolo, sembrava quasi distacco. Ed è vero, l’ho sempre notato anch’io. Poi ho pensato a tutte le profezie dell’Ufficio Misteri, e con un paio di voli di fantasia ho costruito una spiegazione che mi soddisfacesse per rendere l'idea che, in un certo senso, Remus se l'aspettasse, di perdere Sirius di nuovo. Alla fine mi rendo conto che la trama di questa fanfiction è un bel po’ confusionaria e forse troppo piena di spunti, ma essendo la mia prima storia su questa coppia mi ha fatto comunque bene sperimentare. Tutta questa lunga nota solo per dire che sono contenta di essere tornata a scrivere di loro :)

Rispondo alle recensioni per l’ultimo capitolo. I miei ringraziamenti più sinceri a tutti quelli che hanno commentato perché facevo davvero fatica a credere di aver ricevuto delle recensioni del genere.

x ivy_: mi dispiace di non aver potuto aggiornare presto. Ti ringrazio comunque per i complimenti, mi hanno fatto molto piacere.

x Ginny W: ti ringrazio molto ^^ il seguito è arrivato tardi, ma l’importante per me è che sia finalmente riuscita a sbloccarmi, anche se mi dispiace per i miei lettori. A presto!

x sanzina89: hai steso proprio un’analisi accurata, non c’è che dire. I problemi erano esattamente quelli che hai elencato: il risentimento che ancora covava tra i due, e l’incapacità di Remus di aprirsi. Ora che gli è tornato in mente tutto questo, però, è riuscito a fare uno sforzo. Grazie ancora per il bel commento ^^

x Kaya86: mi sento davvero onorata per averti fatto tornare la voglia di commentare una Sirius/Remus… non l’avrei mai creduto, dato che è la prima che scrivo. Il sarcasmo è pane per i miei denti e mi fa piacere che l’apprezzi, e anche che il modo in cui hai sempre immaginato il rapporto tra i personaggi coincida con il mio… per me come autrice non c’è cosa più bella. Grazie ancora.

x suni: chissà se leggerai mai questa mia risposta, o il capitolo stesso… cara, ricevere i tuoi complimenti mi ha ovviamente fatto un immenso piacere. Non mi stancherò mai di ripetere che adoro le tue storie. Se la seconda parte ti era sembrata campata in aria lo capisco, ma per me partiva così: prima i fatti, poi le spiegazioni. Ora che ho scritto anche questa parte, il quadro dovrebbe risultare completo. Ti ringrazio tanto per il tuo sostegno.

x Sibil: grazie per il giudizio positivo al capitolo, e grazie anche per i complimenti allo stile… ci tengo a non scadere, cavoli, dopo 5 anni di liceo classico…! Magari riuscirò ad apprezzare Charlie, un giorno o l’altro, non ti preoccupare ^^ a presto.

x LCasssieP: spiacente, per quanto mi riguarda niente scene hot ^^ la storia è shonen-ai, e non yaoi, non a caso… sia perché sono alle prime armi, sia perché la fanfic è prevalentemente basata sui sentimenti di Sirius e Remus, e non sentivo il bisogno di tirare in ballo altro. Grazie comunque per i complimenti, come vedi la situazione migliora e spero ti faccia piacere ^^ a presto.

x twinkle: grazie mille… e hai ragione, son proprio destinati a stare insieme.

x Chu: non sai quanto mi abbia fatto piacere ricevere la tua recensione. Davvero, è stato bello sapere che nonostante la tua lontananza da EFP e il tuo semi abbandono del fandom la storia ti sia piaciuta così tanto… ho apprezzato ogni singolo complimento che mi hai fatto, soprattutto perché hai colto ognuno degli aspetti che mi è caro di questa storia, ed è anche questo che mi ha dato la spintarella necessaria per rimettermici al lavoro. Mi dispiace averti fatto aspettare, e lo dico sinceramente; ho detestato il mio blocco per giorni e giorni, quindi ora sono più che mai felice di avercela fatta. Sicuramente continuerò a scrivere sulla coppia, ormai li amo alla follia; spero dunque di risentirti presto. Grazie ancora, di cuore.

x  magnolia: sai che ho letteralmente adorato la frase che mi hai scritto? Che ha centrato alla perfezione il rapporto fra loro due, fatto di cose dette e non dette, di paura, ansia e smarrimento, ma anche di un sentimento che non si riesce a definire nella sua complessità, fra affetto e sensi di colpa e timore e rimpianto. È bellissima. Davvero. Io stessa non avrei saputo dirlo meglio. Sono contenta di averti fatto amare la coppia, e ti sono grata per i complimenti.

x Evan88: ti piace “Lei non è una di noi”… io la adoro. Ho gustato ogni virgola di quella fanfic. Mi fa strapiacere che andiamo d’accordo per il modo di vedere Sirius e Remus, io come te non sopporto quel genere di fanfic. Davvero, non per lanciarmi in un’invettiva, ma che hanno di dolce? Sirius è la persona più caustica e Remus quella più chiusa di questo mondo, dovrebbero lanciargli un Imperius per far uscire dalle loro bocche frasi stucchevoli… detto questo, recupero il mio contegno e ti dico che i tuoi complimenti mi han fatto venire i lucciconi. Sono contentissima di aver soddisfatto i tuoi gusti, è una delle cose che più mi riesce a render fiera di ciò che scrivo. Grazie, grazie davvero.

 

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