The strenght of the Guardians di pheiyu (/viewuser.php?uid=426555)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Moon ***
Capitolo 2: *** Guardians ***
Capitolo 3: *** Delicious Crisis ***
Capitolo 4: *** Halloween Trick ***
Capitolo 5: *** Nightmare Treat ***
Capitolo 6: *** Deadly whispers under the moonlight ***
Capitolo 7: *** Fright Night ***
Capitolo 8: *** Chains ***
Capitolo 9: *** Smells like Guardian Spirit ***
Capitolo 10: *** Awareness fade out ***
Capitolo 11: *** This is the end ***
Capitolo 12: *** New day ***
Capitolo 1 *** The Moon ***
PROLOGUE
Oh,
you've gotta live every single day
Like
it's the only one, what if tomorrow never comes?
Don't
let it slip away, could be our only one
You
know it's only just begun, every single day.
Maybe
our only one, what if tomorrow never comes?
Tomorrow
never comes.
Never gonna be
alone - Nickelback
Buio.
Non
c'era nient'altro.
Il
buio avvolgeva ogni cosa.
L'oscurità,
simile ad una nebbia opaca e impalpabile, ricopriva le superfici
scabrose delle rocce come una patina bluastra. Nemmeno un misero
brandello di luce riusciva a filtrare attraverso quella trama oscura,
intessuta di fuliggine e di polvere nera.
Dove
si trovava? Questo avrebbe dovuto saperlo…
Si
sforzò di ricordare, sapeva di poterlo fare, ma aveva
paura… paura di cosa sarebbe potuto riemergere da quella
polla - nera come lucida pece - che erano i suoi ricordi. Il buio
accresce la paura e lui se ne sentiva schiacciato, annientato dal suo
soverchiante peso.
Di
colpo stracci di memoria perduta, nient'altro che scomposti tasselli,
ritornarono convulsamente al loro posto. Le rocce erano franate; le
pareti della miniera collassate su sé stesse.
Buio
e carbone: ecco ciò che rimaneva alla fine. Nient'altro.
Un
volto e una promessa.
Lineamenti
familiari si tracciarono in forme sinuose dietro le sue palpebre
chiuse: capelli ruvidi, fronte perennemente aggrottata, una bocca
sottile, sorniona.
La
sua stessa bocca, solo dalla curva più dolce, e i suoi
stessi occhi, solo dallo sguardo più limpido.
–
Scusa se non potrò mantenere la mia promessa.–
sussurrò a voce bassa, quasi avesse paura di svegliare
qualcuno tra quelle tombe silenziose. – Mi sarebbe davvero
piaciuto mangiare qualcuno dei tuoi dolci un ultima volta,
sorellona…–
Si,
gli sarebbe piaciuto davvero.
Quello
fu il suo ultimo pensiero, poi le sue labbra si socchiusero e la testa
gli ricadde di lato.
Il
buio divenne più profondo e lui si sentì
trascinare verso il basso. Una docile calma lo pervase e il suo corpo
sembrò fluttuare nel vuoto più perfetto. Quella
sensazione gli tarpò i sensi e le emozioni; era come
dormire, solo più profondo, più definitivo.
Non
era bello, ma aveva una sua attrattiva: la paura, dovunque fosse
diretto, non sembrava in grado di seguirlo.
You're
never gonna be alone from this moment on
If
you ever feel like letting go, I won't let you fall
You're
never gonna be alone, I'll hold you
'til
the hurt is gone.
Never
gonna be alone - Nickelback
L'aria,
odorosa di notte e di pioggia, gli penetrò nei polmoni
indolenziti, aiutandolo a respirare con la stessa consapevolezza e con
la stessa fretta di una persona rimasta troppo tempo
sott'acqua. Il freddo della dura roccia a contatto con la sua
pelle gli staffilò le membra, lasciandolo con solo due cose
certe a cui aggrapparsi: il dolore e la consapevolezza di essere ancora
vivo.
Un
raggio di luce bianca colpì le sue palpebre chiuse e lui si
ritrovò a sbatterle, quasi infastidito dal fatto di non
poter morire in pace.
La
luce era cristallina, perfetta, ma non sembrava avere una qualche
provenienza.
Da
dove arrivava?
Si
trovava metri e metri sotto terra, sepolto vivo sotto ciò
che rimaneva della miniera di carbone appena fuori del villaggio. Non
poteva esserci luce lì sotto.
Ansimò
e il suo fiato si condensò poco distante dal suo volto.
Incredulo, allungò una mano verso l'alto e le sue dita
affusolate accarezzarono quel pulviscolo argentato, lasciando che i
suoi impalpabili fiocchi danzassero sul suo palmo. Una folata d'aria
s'insinuò sotto ai suoi vestiti, facendolo rabbrividire.
Vento?
Chiuse
gli occhi e ansimò di nuovo.
Sotto
le palpebre serrate, i suoi occhi si mossero
impercettibilmente. I riverberi della lontana - e quasi
dimenticata - paura tornarono ad affiorare nella sua mente, avvelenando
i suoi ricordi e i suoi pensieri.
Stava
sognando? O era solo un mero incubo quello da cui non riusciva a
svegliarsi?
I
suoi occhi fremettero appesantiti, le lunghe ciglia che cercavano
disperatamente di sollevarsi, mentre la paura gli risaliva le vene e
accelerava il suo battito cardiaco. Quando li riaprì,
però, la vide. Lei era lì; era sempre stata
lì.
La
luna.
Lo
osservava dall'alto, avvolta nei suoi pallidi raggi come se essi
fossero una candida veste, vellutata e leggera. Così grande
da coprire il suo intero campo visivo e così luminosa da
cacciare via tutta l'oscurità che lo circondava. Sorrise:
non aveva più paura. Si sentiva al sicuro.
Il
silenzio tutt'intorno a lui, all'improvviso, sembrava vasto e infinito
come il cielo sotto al quale si trovava.
L'erba
dietro la sua schiena frusciò mentre accoglieva il suo
corpo. Era fuori ed era libero.
Non
si chiese come fosse accaduto, ma sapeva di essere uscito in qualche
modo. Riconosceva lo spiazzo erboso poco distante dall'ingresso della
miniera, riconosceva gli alberi e il sentiero che conduceva al suo
villaggio. Riconosceva perfino i monti alle sue spalle e l'ampia
vallata che si stendeva davanti ai suoi occhi, simile ad un profondo
taglio in mezzo alla terra.
Respirò
forte, senza parole, e si tirò a sedere, puntellandosi sui
gomiti. Stava bene, nemmeno un taglio o una ferita. Con lentezza
provò a rialzarsi, facendo forza con i muscoli delle spalle
e delle gambe. Barcollò vistosamente e per poco non
inciampò nei suoi stessi piedi. Rise di quella sua
momentanea perdita di equilibrio e si appoggiò con una mano
al tronco di un albero.
Un
bagliore metallico attirò il suo sguardo: in mezzo all'erba,
poco distante da lui, c'era qualcosa.
Si
avvicinò con cautela e guardò, sorpreso, quella
che aveva tutta l'aria di essere una vecchia lanterna. Spigolosa,
consunta e graffiata, era attaccata con un gancio obliquo ad un bastone
di ferro della lunghezza di un braccio. Con l'alluce colpì
lievemente quel vecchio rottame, avendo ormai perso qualsiasi originale
interesse. Poi però si immobilizzò, guardingo,
chiedendosi se dentro ci fosse ancora qualche goccia di olio da poter
rubare. Avrebbero avuto di che accendere un fuoco e, magari, stare un
po' al caldo, lui e sua sorella.
Con
quei pensieri egoistici a frullargli dentro alla testa, si
chinò per raccoglierla, ma immediatamente
schioccò la lingua per la delusione. Era troppo leggera per
contenere anche solo il più piccolo rimasuglio del prezioso
liquido e, controllando lo sportellino laterale, scoprì che
non si era affatto sbagliato: era completamente a secco.
Sospirando
la sua delusione fece per ributtarla a terra ma un improvviso barlume
lo fece sussultare. Come evocata da un effimero sogno, una fiammella
delle dimensioni di un unghia comparve timidamente al centro della
malandata lanterna.
–
Ma che…? –
Avvicinò
il volto al piccolo lume e quest'ultimo si dileguò con una
risatina imbarazzata, così come era apparso.
Un
trucco,
ecco cos'è, si disse incominciando a studiare le nervature e
i riccioli in ferro battuto che decoravano la sommità
dell'oggetto.
Tenendola
tra le dita sporche e annerite, ricoperte da un velo così
sottile di carbone da sembrare finissima cipria, fece dondolare la
lanterna un po' a casaccio, senza il minimo riguardo, ansioso di
carpire il subdolo segreto di quel vecchio oggetto.
La
fiammella ricomparve, un po' scombussolata per gli scossoni, ma lui,
non contento, continuò a scrollarla con forza esigendone una
qualunque risposta.
A
quel punto la fiammella, indignata da quei modi villani, si
arrossò tutta e si ingigantì diventando
più grande persino di un uomo adulto; poi ruggì
come una belva inferocita all'interno del piccolo alloggio, gigante di
fuoco chiuso in una minuscola gabbia.
Il
ragazzo, preso completamente alla sprovvista, gridò e
ricadde all'indietro. La lanterna, sulla quale le sue dita persero la
presa, colpì il suolo con un clangore metallico, leggermente
soffocato dalla soffice terra. Il calore eccessivo delle fiamme
lambì l'erba e impresse su di essa una nera impronta
circolare, all'interno della quale rimasero solo steli bruciacchiati e
sassi arroventati.
Lui
indietreggiò ancora, scalciando con i piedi
nell'erba. La lanterna però, dopo tale esplosione,
rimase quieta e immobile.
La
sua mano corse al colletto della camicia logora per allentarlo, ma
trovandolo già sbottonato si risolse di grattarsi
distrattamente una guancia con un'emozione che univa
l'incredulità all'interesse più genuino.
–
Di tutte le cose strane che esistono al mondo, questa è la
più assurda.
–
Si
schiarì la voce con educazione e si inginocchiò
per riprendere la lanterna, questa volta avendo cura di afferrarla per
l'estremità del bastone di ferro. La fiammella
tornò a farsi vedere. Sembrava puntare il naso verso l'alto,
e due piccole lingue di fuoco rimanevano vagamente piegate ad
imitazione di due braccia conserte. Non era difficile capire quali
sentimenti alimentassero la sua essenza in quel momento: rabbia, stizza
e, in bocca, l'amaro di un'inaspettata offesa.
Corrugando
la fronte, lui si ritrovò a chiederle: – Sei
reale? –
La
fiammella borbottò qualcosa e si colorò di un
rosso cupo, quasi marrone.
–
Ehi, ehi, non ti arrabbiare! – si schernì agitando
le braccia. – Non l'ho detto con cattiveria! In
verità per essere una cosetta infuocata sei piuttosto
… uhm… particolare. –
Di
colpo il rosso sbiadì in rosa e i movimenti della fiamma
divennero più dolci e aggraziati, quasi si stesse
vezzeggiando davanti ad un folto pubblico.
La
fiammella, oltre che irascibile e permalosa, era anche piuttosto
vanitosa, constatò lui con un leggero sorriso sulle labbra.
–
Ho deciso! – disse, avvicinandosi dopo averla osservata
brevemente. – Verrai con me, a casa mia. Ci siamo solo io e
mia sorella, Satia, ma non si sta male. La casa è
piuttosto piccola ma per due è perfetta, e Satia fa dei
dolci che sono una meraviglia. Sono sicuro che ti piaceranno!
–
La
fiammella gongolò producendo qualche sbuffo di fumo e
danzò allegra in giro per tutta la lanterna dimostrando a
quel modo tutta la sua approvazione a quella proposta.
Lui
si rialzò e si appoggiò con cautela il bastone
sulla sua spalla, lasciando che la lanterna penzolasse dietro le sue
spalle, attaccata per il gancio. Soddisfatto, fece per incamminarsi
verso il sentiero ghiaioso che conduceva al suo villaggio ma una folata
di vento più forte e più calda delle altre si
incanalò in mezzo agli alberi. Una strada ombrosa, con braci
non del tutto spente sul bordo dello stregato sentiero, gli
indicò la via tracciando un passaggio in mezzo
alla nebbia e alla foschia della notte.
–
Sei stata tu?– chiese alla fiammella che rispose con una
danza frenetica di assenso.
–
Notevole. – le disse sinceramente ammirato, seppur la sua
tonalità di voce esprimesse quasi
sarcasmo. – Sai fare altro? –
La
fiammella, quasi smaniosa di mostrare di cosa era capace,
aumentò le braci intorno a loro. La terra vibrò
tutta, come scossa da un onda di marea, e di colpo si
sollevò.
–Ferma!
Ferma!!! FERMAAAAAAA…– gridò il ragazzo
a squarciagola, ma era troppo tardi.
L'onda
arrivò loro addosso e li travolse portandoli con
sé. Dopo un primo attimo di smarrimento, ritrovò
l'equilibrio e cercò di mantenerlo spostando continuamente i
piedi all'indietro, un po' a destra e un po' a sinistra: la terra
cambiava di continuo, girando e rivoltolandosi su sé stessa,
assomigliando sempre di più ad una ruota infernale che
avanzava lungo il pendio.
Lui
lanciò un rapidissimo sguardo all'indietro e vide che la
terra, una volta adempiuto al suo dovere, ritornava al suo posto.
Passato lo sconcerto iniziale arrivò l'euforia, e un urlo
liberatorio gli risalì dal petto fino alla bocca mentre
filavano spediti in mezzo agli alberi, più veloci dei
cerbiatti e delle lepri che incrociavano.
–
Ecco! Si, wow! Per di qua! Esatto! Seguì il sentiero! Tieni
la sinistra, oh, accidenti… attenta… Ahia!!
Maledette buche! Cerchiamo di evitarle la prossima volta!? Che dici?
Oh, ehi!, però aspetta… non dovremmo rallentare?
Prima del dirupo dobbiamo girare. Ci siamo quasi… No! Non
per … no!!!
–
La
fiammella ridacchiò e fece esattamente il contrario,
lanciando la massa di terra ruotante giù per il dirupo di
fronte a loro.
La
terra si scompattò e i piedi del ragazzo persero aderenza
con il suolo, divenne leggero come una piuma e i vestiti presero a
svolazzargli tutto intorno, finendogli negli occhi e in bocca. L'aria
prese ad ululargli con forza dentro alle orecchie, lasciandogliele
congelate e sorde ad ogni altro rumore. Le sue dita si strinsero
attorno al bastone di ferro, avvinghiandosi con forza alla sua levigata
superficie come se quel semplice gesto potesse impedire loro l'orrenda
fine che li attendeva di sotto.
La
lanterna reagì a quel tocco perché
sentì che era quello che doveva fare, perché era
ciò a cui era destinata. Sapeva cosa fare.
La
terra si innalzò sotto di loro - mattone di scomposto
terriccio vicino a mattone di zolla erbosa - formando un dolce
declivio, largo quel tanto che bastava ad accogliere due paia di piedi.
Su quella rampa - che il ragazzo adocchiò sgranando gli
occhi - atterrarono bellamente di faccia.
Rotolando
su sé stesso e sputacchiando qualche ciuffo d'erba,
ritornò in piedi e la stessa ruota di prima lo avvinse tra
le sue spire. Il bastone rollò dietro alla sua schiena
assorbendo l'urto, attaccato ad esso stava l'allegra lanterna e l'ancor
più allegra fiammella che sparò scintille tutta
emozionata mentre completava un ardito semicerchio in aria.
Ebbe
appena il tempo di rendersi conto di essere ancora tutto intero e di
rallegrarsene che un secondo imprevisto si piazzò
prontamente di fronte a loro, uscendo - secondo la sua oggettiva
opinione - assolutamente dal nulla.
–
Albero!!!
–
Se
qualcuno fosse stato presente e avesse assistito all'intera scena
avrebbe descritto - con tanto di voce narrante dai toni sognanti
- un paio di lunghe gambe roteare in aria, seguite da una
magnifica esplosione di terriccio, simile ad un elaborato fuoco
pirotecnico, che si concludeva con un eccitato lumino dorato che faceva
capolino da una lanterna rovesciata, incastrata tra i rami
più bassi dell'albero.
Ma
siccome nessuno fu tanto fortunato, l'intera vicenda passò
completamente inosservata. Solo una civetta candida stridette, ruotando
la testa, turbata da tutto quel frastuono.
Il
ragazzo, riaprendo gli occhi, si ritrovò a contemplare il
cielo trapunto di stelle che si stagliava nel bel mezzo delle sue gambe
aperte.
Si
rigirò su di un lato e il terriccio, sfaldandosi, scelse
proprio quel momento per ricominciare a cadere a grumi e a zolle
giù dai rami, umido e pastoso come neve tardiva. Coprendosi
con un braccio dai frammenti più grossi, il ragazzo si
rimise in piedi e trasse a sé la lanterna, dopo averla
recuperata frettolosamente.
–
Stai bene? – le chiese mentre si guardava intorno e
riconosceva, in mezzo alla vegetazione, un sentiero battuto a lui
familiare.
La
fiammella ritornò più infuocata che mai e arse
con convinzione, per nulla turbata da quanto era accaduto.
Il
ragazzo si mise a ridere e le indicò alcune luci poco
distanti, le quali occhieggiavano stancamente in mezzo agli alberi come
lucciole tremolanti.
–
Vedi? Quello è il mio villaggio! Siamo arrivati! –
Senza
pensarci due volte, prese a correre in quella direzione e nel farlo
sbatacchiò leggermente la lanterna; i suoi sbuffi di
protesta arrivarono puntuali e carichi di veemenza.
Il
ragazzo però era troppo intento a correre per farci caso, e
i suoi piedi coprirono in rapide falcate la distanza che lo separava
dai primi casolari. Una donna gli passò vicino e lui la
salutò agitando calorosamente la mano. Lei sembrò
non notarlo, ma la felicità era tale che non ci
badò troppo e continuò a correre fino alla strada
principale. Lì c'era più gente e tra i loro volti
iniziò a cercare quello di sua sorella. Era
preoccupata? Lo stava già cercando?
A
passo sicuro si diresse verso casa sua e salutò con un
sorriso tutti quelli che incrociava. Nessuno gli rispondeva o sembrava
accorgersi in qualche modo della sua presenza ma di sicuro era
perché erano troppo impegnati o concentrati su qualche altro
compito quotidiano.
All'improvviso
si fermò, accorgendosi di una cosa che, a dispetto di tutto
il resto, era per davvero parecchio strana: le strade erano diverse e
c'erano anche un paio di case che non aveva mai notato prima.
Come
era possibile? Che fosse capitato nel villaggio sbagliato?
Ed
infine notò pure la cosa più strana di tutte.
Tutti
avrebbero dovuto essere in subbuglio per la frana avvenuta dentro alla
miniera, ed invece regnavano la calma e la tranquillità
più complete, come se fosse solo un giorno come tanti altri.
Seppur
titubante, si avvicinò ad un estraneo che sembrava star
aspettando qualcuno.
–
Non ha saputo che è crollata la miniera? Bisogna mandare dei
soccorsi! Potrebbero esserci altri sopravvissuti! Mi ascolta? Ehi, ma
mi sta… –
All'improvviso
l'uomo sorrise e lo attraversò, andando incontro ad una
donna dall'aria affaticata, come se fosse stato niente più
che una presenza eterea, un fantasma.
–
Ma… ma lo hai visto anche tu!? – fece rivolgendosi
sconvolto alla fiammella. – Mi è passato oltre per
oltre! –
Si
tastò tutto, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non
andava nel suo corpo, e proprio quando stava accertandosi della
presenza o meno del suo ombelico - scoprendo che era assolutamente
situato al suo solito posto - un gruppo di ragazzini festosi gli
andò incontro di corsa e lo superò, continuando
indisturbato per la sua strada.
–
Che mi sta succedendo? – fece disperato, cercando di
togliersi dalla strada ma ottenendo solo che altre persone gli
passassero attraverso. La fiammella lo guardò preoccupata
mentre raggiungeva incespicando alcuni cespugli al limite della strada
polverosa.
–
Perché non mi vedono? –
Una
sottile rivelazione entrò prepotentemente dentro alla sua
testa. Era
morto? Era diventato un fantasma? Era per quello che non lo vedevano?
Fuggì,
dirigendosi senza saperlo in direzione della sua vecchia casa.
La
trovò disabitata. Il tetto cadeva a pezzi e l'edera si
abbarbicava sulla pareti fin sopra il comignolo, l'interno era
disordinato e mostrava chiaramente come quell'abitazione fosse stata
abbandonata ormai da molti anni.
–
Satia!!! – gridò entrando nella casa dopo aver
abbattuto con una spallata la porta. Di sua sorella non c'era nessuna
traccia. – Satia, dove sei??–
Uscì
di nuovo all'aperto, sbattendo i calcagni sulle tavole di legno marcite
e sull'uscio sgangherato; sferzò disperato con le mani le
piante selvatiche che crescevano un po' ovunque e alzò lo
sguardo verso la luna.
–
Che cosa mi hai fatto? –
La
luna non disse nulla, limitandosi a rilucere nel cielo come una placida
quanto irraggiungibile presenza.
–
Perché? Perché mi hai salvato? –
Di
nuovo aspettò invano.
–
Cosa dovrei fare ora, me lo dici? –
Strinse
i pugni e guardò la lanterna che aveva lasciato cadere per
terra poco prima di entrare. Tornò a riprenderla e la
ripulì con il retro della manica, scusandosi per averla
abbandonata. La fiammella ricomparve, scoppiettando adagio.
Cercò di risollevargli il morale mettendosi a testa in
giù e sputacchiando minuscoli lapilli.
–
Non fa nulla.– le disse lui, sorridendo appena. Poi
tornò a rivolgersi alla luna. – Dimmi qualcosa!
Una qualsiasi cosa! Non mi importa! Basta che mi parli! –
E
la luna parlò.
Fu
l'unica cosa che gli disse. E da lei non seppe mai altro.
–
Jack
O'Lantern...
–
Da
quel giorno passò molto, molto … ma molto tempo.
***
Le nubi nere e
rigonfie di pioggia, incombevano basse sul paesaggio, sfilacciandosi in
grigie spirali nebbiose intorno alla colline evanescenti poste sulla
linea dell'orizzonte. Ventate di pioggia gelida sferzavano una figura
alta e tetra che osservava dall'alto di un picco roccioso il boschetto
di querce ai suoi piedi, lasciando che i suoi occhi incavati, dalla
tonalità di un grigio perlaceo, traessero sommo
compiacimento da quella desolata visione.
In basso, in
mezzo ai centenari tronchi fasciati dalla nebbia, avvolta da un leggero
sentore di canditi e mandorle caramellate, sorgeva una casetta dal
tetto spiovente e dalle finestre leggermente socchiuse. Per
metà era incastonata come una gemma preziosa dentro alle
radici tentacolari di una delle grosse querce, e per l'altra
metà sporgeva come un balcone sopra ad un giardino mal
curato dove le piante rampicanti ed infestanti avevano preso il
sopravvento; solo una scaletta di legno malandata garantiva l'accesso a
quella che, senza ombra di dubbio, era la porta più sbilenca
che si fosse mai potuta costruire.
La sua pelle,
candida come quella di un cadavere, tesa sugli zigomi e sul mento
aguzzo, si contrasse quando le labbra gli si arcuarono in un sorriso
malevolo. Pitch Black, ombra tra le ombre, strisciò fino
alle pendici del costone di roccia non visto e non udito. La mostruosa
chioma di un albero che si proiettava a terra diventò il
nido in cui andò ad occultarsi, liquefacendosi come denso
petrolio nella sua linearità sfaccettata.
Intanto
all'interno della casetta una vecchina con le calze tutte rotte e il
vestito alla romana andava confezionando alcune calze ricolme di dolci
di varia natura. Non erano i dolci completi e pronti alla spedizione -
come era solita ribadire lei stessa con la sua voce gracchiante da
strega incallita - ma suoi personali esperimenti, alcuni dei quali non
molto ben riusciti, che servivano al solo scopo di selezionare in
ultima istanza le leccornie che poi sarebbero state mandate ai bambini
di tutto il mondo.
Tutti
ricordavano i suoi famosi "pan di zenzero al mirtillo birichino" e le
sue "torte alla polpa di pesca polposa": i primi che fuggivano non
appena si tentava di mangiarli e le seconde che si gonfiavano in bocca
diventando talmente succose da essere immangiabili. Piccoli incidenti
di percorso in una carriera altrimenti brillante, gorgogliava la
nonnetta senza cedere di un solo passo alle maldicenze di chi cercava
di screditarla.
La Befana, in
effetti, era famosa per tre cose: i suoi incredibili dolci, il
simpatico carbone che lasciava ai bambini che non si erano comportati
bene e la sua leggendaria rivalità con North che durava
ormai da secoli immemori. La maggior parte delle persone dotate di buon
senso preferiva invece ignorare, o ancor meglio dimenticare, la quarta
cosa per cui l'arzilla nonnina era conosciuta. La Befana amava il rock
in tutte le sue forme.
La sua voce
uggiolante quando cercava di cantare - cosa che succedeva puntualmente
quando cucinava o quando impastava qualcosa, ovvero sempre - era
tristemente famosa in tutta la foresta in cui abitava.
Anche in quel
momento, tanto per non smentirsi, batté il piede per terra
con ritmo, contando i secondi, mentre aspettava che il suo forno,
ricavato da un foro quadrato praticato nella solida pietra, finisse di
far lievitare la "pasta impastarella" . Poi spalancò la
bocca, roteò la testa e iniziò a gridare con
sentimento.
"La
Befana vien di notte, oh yeah...
con
le scarpe tutte rotte, si! Rotte!
con
la scopa di saggina, ina, ina: eeeeevv…
viva
viva la nonnina!
La
Befana vien di notte, oh no!
con
le calze tutte rotte, che snob!
un
ciuffone giallo, rosso e blu
fichi
e noci butta giu'. Tutti insieme!!
Ti
va bene se ci credi,
perché
troverai bei doni!
Ti
va male se la vedi
perché
troverai carboni!
La
Befana vien di notte, oh yeah …
con
le scarpe tutte rotte, si! Rotte!
il
vestito , wouh! trulla là, la Befana:
Eccomi
quà!!! Che ragazza!!!
Vien
dai monti a notte fonda, oh no!
Com'è
stanca! Poveraccia! La circonda
neve,
gelo e tramontana. Fate l'onda!
Viene,
viene la Befana! Befana!!! BEFANAAA!!!"
Orgogliosa
della sua performance canora, si lisciò le toppe sul suo
liso vestito nero e lanciò un'occhiata paziente all'orologio
che aveva due piccole scope al posto delle comuni lancette e
ventiquattro tipi di dolci al posto dei canonici dodici numeri. Stava
finalmente per sfornare i suoi omini alla cannella, quando un timido
bussare alla porta interruppe i suoi gloriosi propositi.
–
Chi è? – chiese con una voce roca, decisamente
irritata.
Fuori il
maltempo continuò ad imperversare ed il vento
fischiò rabbioso contro i battenti delle finestre.
Non avendo
ottenuto nessuna risposta si sistemò meglio il cinturone
borchiato in vita e si ravviò i capelli scompigliati sotto
la cuffietta nera, avviandosi di malumore verso l'ingresso.
Aprì
la porta senza tante cerimonie e sbraitò: – Adesso
sono occupata! Non accetto che mi si disturbi mentre sto creando!
Chiunque tu sia tornatene da dove sei venuto, maledetto
rompi…! –
Le ultime
parole però le morirono in gola con un singulto strozzato,
la lingua si rifiutò di continuare oltre.
Pitch Black le
rivolse uno dei suoi leziosi sorrisi e si portò un dito alle
labbra con fare noncurante.
–
Non faresti un eccezione per un vecchio amico? –
– Pitch! –
esclamò la Befana, arretrando spaventata. Con un movimento
che le parve repentino provò a richiudersi la porta alle
spalle, ma l'Uomo Nero la bloccò con facilità
artigliando la porta con le sue dita pallide ed affusolate.
–
Quanta maleducazione. Col tempo sei diventata una vecchia inacidita,
per caso? – Il suo sguardo si incupì e una
inquietante luce dorata illuminò il suo sguardo di genuino
divertimento. – O devo forse pensare che non sei contenta di
vedermi? –
–
Come hai fatto a tornare? –
–
Non ha importanza, ora. – disse Pitch liquidando la questione
con un gesto seccato dell'esile polso diafano, come se fosse un
argomento che gli risultava tedioso oltre ogni dire. – Sono
venuto qui per avere la mia vendetta. –
– La
tua vendetta? – ripeté sconvolta la Befana. Un
ciuffo tinto di blu le sfuggì da sotto la cuffietta,
donandole un aspetto ancora più sperduto e spaventato, e
Pitch glielo scostò dal volto con fare untuoso.
–
Oh, si. Cara Befanina. – disse annuendo come se la cosa gli
procurasse allo stesso tempo un grande dolore e una grande gioia.
– La mia vendetta contro i guardiani! Sarò
completamente appagato solo quando li avrò distrutti,
annientati … sconfitti. –
Sputò
le ultime tre parole con foga, ed accompagnò l'ultima con un
lento richiudersi della sue dita ricurve, come se esse rappresentassero
una morsa e i guardiani si trovassero tutti sul suo palmo, pronti per
essere schiacciati come insetti. Di colpo serrò la sua
stretta con rabbia e le sue labbra illividirono al semplice pensiero di
quale gioia sarebbe stato realizzare quel proposito.
Dietro le sue
spalle nere ci fu un improvviso movimento, e la Befana,
nonostante stesse tremando come una foglia - una foglia con un briciolo
di dignità, però, perché
cercò in tutti i modi di non dare a intendere a Pitch quanto
fosse terrorizzata - allungò il collo per cercare di vedere
meglio.
Una figura
minuta, dai capelli scompigliati e i vestiti dimessi, uscì
dalla tenebre quasi esitando, come se non sapesse bene
perché si trovasse lì in quel momento e per quale
motivo stesse facendo tutto quello. Pitch notò cosa la
Befana stesse guardando e sorrise all'esile figura che gli rimaneva
obbedientemente al fianco.
–
Ah, già, mi sono scordato un piccolo ma essenziale
dettaglio. Da oggi non ci sarà più bisogno dei
tuoi ripugnanti dolci, Befana. Ho trovato qualcuno che potrà
degnamente sostituirti. Ti piace la ragazza? Si chiama Satia e a quanto
pare è davvero brava con i dolci… –
La Befana
indietreggiò.
–
Che significa? – chiese, senza riuscire bene a
capire cosa Pitch intendesse con quelle parole. Una cosa
però la sapeva: doveva avvisare i guardiani. Ma come poteva
fare? Doveva pensare in fretta!
Pitch, del
tutto ignaro dei pensieri che le affollavano la testa,
continuò a parlare quasi con condiscendenza: –
Significa che ci sarà una nuova Epifania… Onde
per cui quella vecchia non ci serve più. –
La Befana lo
guardò con odio, senza però riuscire a far
scomparire del tutto dai suoi occhi le ultime e frammentarie tracce
della paura. Pitch la guardò quasi fosse rimasto ammaliato
da quel suo sguardo, rischiando di perdersi nei meandri ricolmi di
sentimenti così bui, violenti e perfetti.
– Ti
prego, non guardarmi con quello sguardo così intenso.
– rise, ritirandosi in un angolo buio e aumentando piano
piano di statura, godendosi fino in fondo l'espressione di pure orrore
della Befana. – O mi farai arrossire. –
Di colpo
tornò serio e sussurrò con finto rammarico:
– Ma ora basta con questa noia. Mi dispiace ma… devi
morire. – |
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Capitolo 2 *** Guardians ***
CAPITOLO
2
GUARDIANS
I’ll
be your keeper for life, as your guardian
I’ll
be your warrior of care, your first warden
I’ll
be your angel on call, I’ll be on demand
The
gratest honor of all, as your guardian
Guardian,
Alanis Morissette
La
Cavalcata delle Valchirie di Wagner si alternò alle folate
di vento gelido e ai mulinelli di neve nella desolata distesa
ghiacciata del polo nord, occludendo un qualsiasi panorama (che non
fosse quello del proprio naso) a chiunque si fosse avventurato in quei
luoghi impervi. Il cielo, grigio e plumbeo, opprimeva i crepacci e le
asperità con la sua cupa presenza; sconfinati deserti
bianchi che si univano sulla sottile linea dell'orizzonte velato.
Aggrappato ad
un prodigioso costone di ghiaccio e parzialmente nascosto da una nuvola
vagabonda , il laboratorio di North torreggiava su tutta la bianca
vallata sottostante, nella quale due yeti stavano camminando dondolando
le braccia pelose con evidente insofferenza.
In quelle
lande non succedeva mai nulla. E da quando era cominciato l'inverno non
si poteva più nemmeno contare su alcune moleste presenze -
una in particolare - che avevano smesso di gironzolare al Polo Nord,
per andare a lavorare alacremente dove c'è n'era
più bisogno.
Le palpebre di
uno dei due yeti calarono inesorabilmente verso il basso e nonostante
tutti i difficoltosi sforzi del loro proprietario, quelle non
accennarono a demordere e guadagnarono qualche altro millimetro.
L'altro yeti
lo guardò di traverso: addormentarsi sul posto di lavoro era
inconcepibile. Ma proprio quando si apprestava a premiarlo con un
manrovescio sulla nuca, i suoi occhi si posarono su un cumulo di neve
decisamente sospetto. Tirò i baffi del suo compagno,
svegliandolo almeno in parte, ed gli indicò la minuta
collinetta.
Entrambi si
grattarono la testa, stupiti e perplessi. Poi scrollarono le spalle ed
concordarono all'unisono: – Uachowa. –
Si diressero
verso la fatidica collinetta e di colpo tutta la sonnolenza che
potevano aver provato sparì di colpo. Sotto la neve,
seminascosta da quei freddi batuffoli, stava una figura semi congelata.
Il primo yeti
tolse il manto bianco che la ricopriva e il secondo l'alzo all'altezza dei suoi occhi
per poterla guardare meglio, il peloso cipiglio concentrato al massimo
in quell'arduo compito. Con una mano da gorilla, l'afferrò
per i piedi e la scrollò con forza. La figura emise un
debole fischiò tra i grossi denti sporgenti.
- Pi
… tch…»
I due yeti
tornarono a guardarsi ed annuirono con gravità. L'avevano
riconosciuta e sapevano chi era - non fosse bastato il nome che aveva
pronunciato, ad indicare chiaramente chi fosse - sarebbero venuti in
aiuto la sua bruna pelliccia e la morbida coda.
Groundhog Day,
per gli amici Candelora, mosse appena il muso dal quale pendeva una
generosa sfilza di ghiaccioli. I due yeti, ora attenti ed attivi,
caracollarono in tutta fretta verso l'ingresso del laboratorio di North.
***
Quando
Groundhog Day riprese conoscenza la prima
cosa che percepì fu il caldo, un tepore burroso che le
faceva pizzicare i muscoli e vibrare i lunghi baffi. Mosse piano la
testa e capì di avere il capo poggiato su qualcosa di
morbido - un cuscino, molto probabilmente - ed il corpo coperto da
qualcosa di soffice. Solo dopo aver assaporato appieno quella
sensazione di comodità e beatitudine, si azzardò
ad aprire una palpebra con circospezione.
Si trovava in
un'ampia stanza dalle decorazioni vermiglie e cupe, nell'angolo ardeva
un gigantesco caminetto e sul soffitto volava un aeroplanino alla cui
guida stava un elfo con occhiali da aviatore che la salutò a
mano tesa.
Corrugando lo
sguardo, sbatté le palpebre e guardò meglio: non
seppe capire se fosse una fortuna l'aver visto bene, o piuttosto una
sfortuna il sapere di star guardando qualcosa del tutto senza senso.
Due braccia muscolose e guizzanti con dei tribali che si intrecciavano
e si ripiegavano su sé stessi andando a formare le parole
"Naughty" e "Good", una per ciascun avambraccio, entrarono di colpo nel
suo campo visivo.
–
Lei sveglia! – Passò un lungo secondo - che si
sarebbe potuto interpretare come indecisione - poi la stessa poderosa
voce aggiunse: – Almeno io crede …–
–
No, North. New
York, settore dodici, primo premolare. Non vedi che
è ancora svenuta? Barcellona,
settore ventisette, canino sinistro.–
Uno stormo di
colibrì argentati svolazzò come impazzito intorno
ad una figura dalle piume azzurrine, che come un'ape operaia ronzava un
po' dove capitava indicando alle frenetiche compagne dove potevano
trovare il miele più dolce, o nel loro caso i dentini
più curati.
–
Che poi non capisco perché ci hai richiamati così
di fretta. Copenhagen,
settore due, incisivo laterale. Ho molto da fare e,
se Bunnymund fosse qui, ti direbbe che la tua pancia non può
essere infallibile. Tokio,
settore cinquanta, entrambi gli incisivi centrali.–
– Ma
Toothy! Lei farneticato nel sonno di Pitch! Mia pancia solo dato
conferma a miei dubbi! –
Grazie a quel
commento, Candelora all'improvviso si ricordò del
perché si era diretta come una tarantolata a casa di North,
ignorando il dolore e la stanchezza, e soprattutto, abbandonando le sue
accoglienti colline. Pitch!
La Befana!
E soprattutto la rabbia per quello che era
successo, così intensa da riuscire a scuoterla fin dal
profondo. Però, prima ancora che potesse aprir bocca per
dire come la pensava - esprimendo tutta la sua sincera opinione
sull'inutilità dei guardiani - arricciò il naso
delicato e starnutì. Con la coda dell'occhio vide della
sabbia simile a polvere dorata scostarsi a scatti, formando ampie onde
dietro la sua testa.
Sandman
ritrasse di colpo le sue mani da bambino e le rivolse un sorriso
statico, come se fosse stato appena preso con le mani nella marmellata.
–
Candelora? –
Il povero
spirito per un attimo pensò che fosse stato Sandman in
persona a parlarle, ma poi le bastò voltare la testa quel
tanto che occorreva per inquadrare il grosso omaccione che la fissava
con brillanti occhi blu, per realizzare che si era sbagliata. A quel
punto ricambiò il sorriso. Si alzò, puntellandosi
sui gomiti, ed esclamò, fischiando tra i grossi denti:
– Siete
un branco d'incapaci! Siete degli esseri assolutamente inutili! –
Toothiana,
North e Sandman la guardarono sbattendo le palpebre, senza saper bene
come reagire a quella definizione così poco garbata. Nessuno
si sarebbe aspettato quella reazione e per qualche istante
regnò il silenzio più assoluto
– Le
mie tane! Le mie amate tane! –
continuò Candelora con trasporto, iniziando a fischiare
ancora più forte, dando ampio spazio a tutto il suo
struggimento. – Distrutte! Perdute! Lui mi ha attaccato senza
preavviso e le ha distrutte! Voleva seppellirmici dentro! Viva! E voi
siete ancora qui a grattarvi le piume o la sabbia sulla testa, invece
di fare qualcosa! Sta attaccando tutti gli spiriti minori! E voi non
fate niente!? –
–
Lui? – s'informò North, accigliandosi
così profondamente che le sue sopracciglia nere quasi si
unirono in mezzo alla fronte. – Lui chi?
–
Lui! – esclamò esasperata Candelora, arruffando
tutto il pelo a sua disposizione. – Lui, stupidi ed inutili,
guardiani! Oh, le mie povere ed ignare gallerie! Fare quell'orribile
fine! Sono millenni che le perfeziono! Chi mi ripaga adesso del lavoro
perduto? Eh? Chi? –
Un'espressione
di assoluta gioia comparve sulla faccia rubiconda di North e la sua
mano corse soddisfatta a battersi sulla pancia.
– Lo
sapevo! Vedi, Toothy? – esclamò gongolando a
più non posso e riducendo Candelora ad una misera bocca
spalancata sopra ad un paio d'occhi increduli . – Istinto di
mia pancia non sbaglia: è più precisa di
Leprecauno con crune di aghi! –
La risposta fu
uno sbuffo e un ronzio di ali leggerissime dalle piume sgargianti che
battevano freneticamente. – Non ha mica detto che
sia stato Pitch. E poi, andiamo! Sarà stata una frana,
è più probabile. Dico bene? –
Sandman si
prese il mento tra le dita color girasole e assunse un'espressione
pensierosa. North roteò gli occhi verso l'alto e si
guardò intorno spazientito.
–
Mia pancia parla chiaro! Mia pancia non mente! Appena arriva Bunnymund
vi faccio vedere io chi ha ragione! –
Candelora, a
sentir nominare Bunnymund sobbalzò e nei suoi occhi
guizzò un lampo di un sentimento molto ben definito, al
contrario di Sandman che sorrise e iniziò a formare in
sequenza sopra la sua testa un uovo, un fiocco di neve, un bastone, un
boomerang, un turbine, concludendo la sequenza con una stravagante
immagine di un esplosione di neve. Alla fine annuì,
soddisfatto della sua eloquente spiegazione, scoprendo però
che nessuno l'aveva minimamente degnato dell'attenzione che meritava.
Incrociò le braccia costellate di pulviscolo finissimo,
mettendo il broncio, nell'esatto istante in cui North lisciava la sua
barba bianca esclamando: – Chissà poi
dov'è sono finiti quei due! Bel mistero! Mia pancia non ha
idea di dove siano. Molto strano… –
–
Non ti converrebbe smetterla di pensare con la pancia? –
suggerì Toothy, con garbo.
–
Pancia è per deduzioni, cervello è per giochi,
occhi è per meraviglia. Ad ognuno il suo. Se tu provassi a
volare con orecchie piumate non sarebbe lo stesso che volare con ali,
giusto? –
– LE
MIE TANE! – gridò Candelora, sovrastando tutti e
riuscendo a ritornare all'argomento principale, ottenendo
contemporaneamente che gli occhi di tutti si appuntassero su di lei
come tanti spilli. – Pitch le ha distrutte! E
voleva distruggere anche me! Per non
parlare di quello che ha già fatto a
quella…–
–
Pitch? – esclamò sconvolta Toothy, accelerando i
movimenti zigzaganti delle sue ali. – Ha detto proprio Pitch!
–
–
HAH! Si che lo ha detto! Rosica, Toothy! Mia pancia
è inafferrabile! –
–
… quella vecchia megera della Befana! Se non lo
fermiamo…. –
Sandman si
unì al coro formando sopra la sua testa una freccia che
indicava la porta con sorpresa. Tirò la manica di North che
continuava a ruggire la sua immensa approvazione per il suo arguto
stomaco, poi aumentò la presa ed infine lo scollò
con più forza.
North si
piegò in avanti e osservò attentamente le rapide
immagini sul cocuzzolo di Sandman.
–
Che succede, Sandy? Anche tu trovi che mia pancia sia fine di mondo?
–
–
… farà lo stesso al povero Leprecauno e
a tutti gli spiriti minori che … –
–
Credo che voglia dire qualcos'altro, North. »
–
… fino a quando non riuscirà a togliere di mezzo
tutti noi, grazie a quel suo nuovo potere! –
–
Secondo me sta dicendo … uhm… carota? Che dici,
Toothy? –
Sandy si
schiaffò una mano sulla fronte e, con una leggera vena
dorata che pulsava sulla tempia, indicò ad entrambi la porta
d'ingresso sulla quale erano comparse due figure ricoperte di neve: la
prima con un'espressione di pura delizia stampata sulle sottili labbra
cesellate, la seconda con un grugno da far spavento perfino al bambino
più smaliziato.
All'improvviso
un coro di sospiri e di gridolini eccitati provenne da una buona
metà delle Dente da Latte presenti; la metà
rimanente espresse il proprio parere con un folto susseguirsi di
leggeri tonfi, risultato dello svenimento di gruppo.
–
Oh, Bunnymund! Jack Frost! – tuonò North,
accarezzandosi la pancia come se fosse una miracolosa palla di
cristallo, di quelle usate per le divinazioni più difficili.
– Mia pancia predetto vostro arrivo.
Benvenuti! –
In seguito a
quel preciso istante accaddero molte cose contemporaneamente e nessuno
dei presenti fu mai troppo sicuro di come si svolsero esattamente i
fatti.
Toothy
sospirò, esasperata, ma non disdegnò di una
fugace e sognante occhiata la bocca di Jack, dietro la quale sapeva
celarsi un bianco quanto scintillante tesoro; North protese le braccia
per andare ad abbracciare i due nuovi venuti sfoggiando uno dei suoi
sorrisi paterni più riusciti, uno di quei pochi che non
riservava al suo stomaco prominente; Sandman annuì,
soddisfatto di essere finalmente riuscito a far capire agli altri
quello che intendeva; Jack, invece, si levò il cappuccio,
scrollandosi la neve dai capelli e mandando al tappeto le poche Dente
da Latte superstiti; Bunnymund annusò l'aria e i suoi occhi
acuti si fermarono su Candelora, esattamente un momento prima che sul
suo volto di coniglio si dipingesse un'espressione di puro orrore.
–
MARMOTTA! – gridò con quanto fiato aveva in corpo.
Candelora
ricadde priva di sensi al suolo con un boomerang piazzato in mezzo alla
fronte, prima ancora di poter vedere il movimento della zampa di
Bunnymund che correva alla sua fidata arma.
Lo sguardo
attonito di cinque guardiani si posò costernato sull'esanime
spirito minore, passando alternativamente dal coniglietto di pasqua a
Groundhog Day, ovvero Candelora, altresì detta: la Marmotta.
–
Che tu ha fatto? – esclamò North basito, cercando
di capacitarsi di quanto era successo.
***
Un elfo che
passava di lì per caso scoppiò a ridere,
crollando al suolo tenendosi la pancia e facendo trillare il campanello
sul suo capello appuntito allo stesso ritmo dei suoi scoppi
d'ilarità. Un secondo elfo - che aveva deciso di passare di
là per caso nello stesso istante - inciampò sul
primo e iniziò ad inveirgli contro agitando il minuscolo
pugno fasciato da natalizia stoffa rossa.
Jack Frost
rivolse uno sguardo in tralice agli elfi prima di ritornare a fissare
il corpo esanime che Toothy si era affrettata a soccorrere con premura.
– E
il castoro chi sarebbe? – chiese, avvicinandosi incuriosito e
indicando col bastone il corpo senza sensi che giaceva davanti ai suoi
piedi scalzi. – Una tua amica, Toothy? –
–
Non è un castoro, è un marmotta. – lo
corresse con calma la fata dei dentini, alzando i suoi occhi ad
incontrare quelli di Jack. Occhi gelidi, chiari come topazi purissimi e
velati da ciglia così folte e candide da sembrare neve
appena caduta, sovrastati da bianchi capelli serici come, forse, solo la
seta riusciva ad essere. Toothy osservò quegli occhi
mentre si assottigliavano in un'espressione di genuino
interesse e seguivano i contorni di Groundhog per posarsi,
infine, sul volto peloso della bruna marmotta.
– E
il suo nome è Candelora. – concluse con un
profondo sospiro. – E' famosa soprattutto negli Stati Uniti,
dove si dice che vederla annunci la fine dell'inverno e l'inizio della
primavera.–
Jack non le
rispose, limitandosi ad inginocchiarsi per studiare meglio colei che
aveva attirato il suo interesse. Sandman all'improvviso
annuì, creò qualche immagine sconnessa di fine
polvere dorata sopra ai suoi capelli - dritti come raggi del sole
estivo a mezzogiorno - e poi scosse la testa in senso di diniego.
–
Perché successo … questo? – fece
North, contrariato, rivolgendosi a Bunnymund e accompagnando l'ultima
parola con un ampio gesto delle braccia muscolose, quasi a voler
comprendere sia il boomerang che la fronte offesa della disgraziata
marmotta. – Perche lo hai fatto? –
–
Non sopporto la Marmotta... – rispose Bunnymund facendo
fremere il naso, circospetto. – L'ultima volta è
quasi riuscita a baciarmi. –
–
Oh, io non ricorda. – fece North togliendosi dei granelli di
polvere invisibili dai suoi avambracci muscolosi. – Ma ha senso.
–
Jack
alzò un sopracciglio finissimo e con uno sguardo che portava
con sé mille sottointesi, sorrise: – Solo "quasi",
Bunny bello? Ti facevo un tipo più intraprendente
… –
–
Vatti a creare qualche iceberg, molto lontano da qui, e vedi di
seppellirtici per qualche millennio. –
–
Ooh, sei così freddo con me, Bunny bello.
– sospirò Jack riuscendo al contempo ad assumere
un'espressione fintamente ferita e perfettamente ghignante.
North
s'intromise nella discussione prima che questa degenerasse e che
Bunnymund mettesse di nuovo mano al suo boomerang, ma lo fece solo
perché era dell'opinione che non servisse aggiungere altri
corpi esanimi al suo prezioso pavimento di legno rustico.
– So
che vorreste fare concorrenza a miei elfi per ridurre mia casa come
calze di Befana - piene di buchi e disastrosamente rattoppate - ma io
vi invito a riflettere prima di agire e di fare qualsiasi
sciocchezz… JACK! –
Jack Frost si
voltò lievemente sorpreso, smettendo di ammirare la statua
di ghiaccio perfettamente sagomata sulle forme di Bunnymund che ora si
trovava in mezzo alla stanza. Dietro il ghiaccio due occhi grigi
ammiccarono inferociti, promettendo violente e fantasiose
ripercussioni.
North
guardò Jack con rimprovero.
–
Che c'è? – fece il ragazzo alzando entrambe le
sopracciglia e riuscendo perfino ad inserire nella sua voce una
venatura irritata – Tu hai parlato di casa tua, non hai
minimamente accennato a conigli di qualsiasi tipo. –
–
Lasciamo perdere e concentriamoci su cose veramente importarti.
– decretò North, invitando Jack a far tornare
Bunnymund allo stato originale e venendo accontentato neanche tanto
presto e senza il benché minimo briciolo di entusiasmo.
–
Bene. – disse con approvazione quando le orecchie
del coniglio di pasqua si liberarono degli ultimi frammenti di
ghiaccio. – E ora… cosa fare noi con
Candelora? –
–
Aveva parlato della Befana, se non sbaglio. –
ricordò Toothy, cercando l'approvazione di qualche Dente da
Latte parecchio intontita che volava al suo fianco componendo
inconsciamente delle spirali a forma di cuore.
North strinse
i denti e incrociò le braccia, evidentemente stizzito dal
solo fatto di dover nominare quel nome sotto il suo sacro tetto.
–
Già. Befana. – disse laconicamente
– Quella strega! Crede che Epifania possa competere
con festa di Natale! Illusa di proporzioni epiche, nonché
bibliche. –
Per
sottolineare quanto quel concetto fosse assurdo scosse la testa e
Bunnymund gli rivolse un'occhiata di sottecchi.
–
Che centra la Befana? È per questo che la M-marmotta
è qui? Per parlare della Befana? –
–
Speriamo stia bene. – fece Toothy apprensiva. – E'
una vecchina a posto, tutto sommato. –
– La
Befana? – si accodò Jack, l'unico dei guardiani a
non conoscere di persona la vetusta entità di cui si stava
parlando. – Sul serio? Quella che fa i dolci? –
–
Quella che caria i denti. –
rettificò Toothy, indugiando in quella che per lei era
un'emozione anomala: sdegno unito a puro risentimento. – Ma
almeno non lo fa ai livelli della festa di Halloween. Terribile! Tanti
bei dentini condotti sulla cattiva strada da quei reietti degli
zuccheri! –
Jack
preferì non indagare troppo in quella direzione, notando
quanto quell'argomento facesse infervorare la fatina; si
limitò quindi a constatare con una scrollata di spalle.
– Non credo di averla mai incontrata. Né lei,
né lo spirito di Halloween. –
–
Meglio così. Tu non ha perso nulla! –
asserì North con espressione dolorosa che deformava i suoi
tratti perennemente gioviali e sereni. – Le tue orecchie
possono dirsi ancora spensierate e illibate … a differenza
delle mie. Per quanto riguarda lo spirito di Halloween…
uhm… è tra una settimana sua festa, o sbaglio?
–
Le ali di
Toothy al solo sentir pronunciare quella festa ebbero un tremito d'ira
e di ribrezzo. North ridacchiò e sussurrò a fior
di labbra: – Proprio tu non riesce a concepire festa come
Halloween? –
L'occhiataccia
che gli scoccò Toothy sarebbe stata capace di incendiare
perfino il ghiaccio di Frost; su North, invece, ebbe l'effetto di un
sasso lanciato dentro un lago, la cui superficie torni immediatamente
liscia e lucente come se nulla fosse accaduto.
Nel frattempo,
Bunnymund non aveva ancora distolto gli occhi da Candelora per un solo
istante, l'angoscioso pensiero che potesse risvegliarsi da un momento
all'altro lo tormentava come un sassolino infilato nella scarpa o,
piuttosto, come un macigno posato sul tenero petto.
– Di
che stavate parlando prima che arrivassimo io e Jack? –
–
Sembra che centrassero Pitch e, in qualche modo, pure la Befana.
– ricordò North con aria severa, del tutto
insolita per lui ma che sembrava calzare a pennello con quella
situazione incresciosa. – Non si è capito bene. Si
è spiegata dannatamente male. –
Toothy, non
del tutto placata per il commento precedente, insinuò
dolcemente. – Perché non chiedi alla tua pancia
cosa volesse dire di tanto importante Candelora? –
North
sussultò, colpito negativamente da quella domanda, e
abbassò lo sguardo contrito sulla sua pancia. Jack si
limitò a battergli la mano sulla spalla con fraterna
comprensione.
–
Direi che facciamo prima ad andare a parlare con la Befana in persona.
– borbottò Bunnymund infilando la porta con una
fretta che sarebbe sembrata sospetta se non avesse palesato chiaramente
la sua intenzione di andare a conferire con la Befana.
Gli altri
guardiani se ne andarono, chi prima e chi dopo, ma alla fine North si
ritrovò da solo nel suo laboratorio. Poco prima di uscire a
sua volta, sussurrò con tenerezza, lo sguardo rivolto verso
il basso.
–
Non te la prendere, pancino mio. Non diceva sul serio. Tu resti sempre
il migliore.–
***
La fiammella
sprizzò qualche favilla infuocata e borbottò
sommessamente, osservando il formarsi di una ruga di malcelata
irritazione sulla fronte abbronzata del ragazzo che le stava di fianco.
–
Mio signore! – uggiolò una delle zucche - quella
che più di tutte stava mettendo a dura prova la
pazienza del giovane - iniziando a strisciare sul marmo di una tomba
antica e lasciando dietro di sé una scia di viscosa polpa
arancione – Non le troviamo! Vi ripeto che non le troviamo!
Abbiate pietà! Sono sparite! –
–
Come possono essere sparite? – chiese Jack O'Lantern
imponendosi di rimanere calmo. – Come fanno a sparire delle
dannate, maledette, stupide e gigantesche lapidi? –
Un acuto
mugolio e una scia ancora più abbondante di polpa furono la
risposta della umilissima zucca. A quel punto una seconda zucca, di
colore verde e con intagliato un sorriso da iena, prese coraggio e
considerò sommessamente: – Mio signore, sono
lapidi molto arzille. E dopo quasi un anno di inattività
devono sgranchirsi anche le pietre! –
– Se
dovessero badare solo a sé stesse, non ci sarebbe
problema… – disse una voce suadente alle spalle di
entrambi, cogliendo tutti di sorpresa. – Ma visto che fungono
da sigillo agli scheletri millenari che giacciono sotto di loro, non
possono decidere da sole quando e dove andarsene, dico bene,
Halley, o dovrei dire anch'io mio
signore?
–
Le ultime
parole furono riempite fino alla saturazione di stomachevole miele,
riuscendo in qualche strano modo a mantenere una nota, divertita. Il
signore di Halloween si voltò, pur conoscendo alla
perfezione il suo interlocutore e la sua insinuante voce. La sua fidata
fiammella si aggrappò allo sportellino della lanterna,
gonfiando con ardore il petto infuocato, quasi si sentisse in dovere di
proteggerlo da quello spettrale quanto affascinante individuo.
–
Dovresti pensare a metterle un cartello con su scritto "Attenzione.
Morde." – constatò lo sconosciuto, sembrando
considerare per davvero quell'ipotesi. Due occhi verdi - erba mattutina
appena tagliata, ancora grondante fresca rugiada - brillarono l'attimo
dopo divertiti. Le zucche lo osservarono irretite da tanta dolorosa
bellezza.
– E
ora che diavolo vuoi, Cassian? – chiese a denti stretti
Halley, diminutivo meno impegnativo del pomposo "Signore
di Halloween e di tutti gli spiriti dell'inferno e di tutti i morti
sopra e sotto terra. Signore della Lanterna: Jack O'Lantern.".
– E
Lumin non morde. – aggiunse, voltandosi completamente nella
direzione del demone più vanesio del sottomondo
–… a meno che non avverta cattive intenzioni in
chi mi sta vicino. –
Lumin arse con
orgoglio e lanciò a Cassian un'occhiata incendiaria.
– E
tu credi che io abbia cattive intenzioni, nei tuoi confronti, mio Halley? –
– Tu
ne hai sempre, di cattive intenzioni. – replicò
Halley col tono di chi stia facendo una mera constatazione –
E ti ripeto per l'ennesima volta che devi togliere il "mio" da davanti
al mio nome. –
–
Quindi non sei il mio Signore? –
travisò volutamente Cassian, lasciando che le ombre
sanguigne di alcuni focolari poco distanti danzassero sulla sua pelle
liscia e immacolata, quasi bramassero di divorarlo senza alcuna
pietà, solo per poter avere un vago contatto con il suo
corpo solido e snello.
Halley non
reagì a quella provocazione e tornò a rivolgersi
alla sue stupide zucche.
–
Avete cercato all'interno del Bosco Nero? E sotto al Ponte degli
Annegati? Dietro la Casa Infestata? –
Un coro di tre
"si" giunse dopo ogni fatidica domanda e Halley non seppe
più che mostri pigliare. Il branco di zucche che gli stava
di fronte, qualcuna con solo le gambe e altre con solo le braccia, o
con nessuna delle due o con entrambe, tremò visibilmente in
attesa del suo giudizio. Guardando quelle poverette, Halley
sentì un sentimento poco consono alla sua posizione, quale
era la compassione, farsi strada dentro di lui.
–
Non importa. – si ritrovò a dire, sventolando la
mano con pochezza, come se quello che stava lasciando perdere non fosse
affatto un affare della massima importanza. – In ogni caso
non vorranno perdersi il momento in cui si riapriranno le porte che
conducono al mondo degli umani, quindi si faranno rivedere prima o poi.
Intanto lasciamo pure che gli scheletri e gli spiriti vaghino un po'
dove gli pare. –
Mentre la sua
bocca era intenta a dire quelle esatte parole, però, il suo
cervello prendeva veloci appunti su dove e quando cercare quelle
ingombranti ed incredibilmente disperse lapidi.
Un mormorio
grato si levò dalle zucche.
–
Grazie mio signore! Troppo buono signore! –
–
Sparite. – intimò loro stancamente. –
Prima che decida di cambiare idea. –
Mai occhio
demoniaco vide tante zucche gialle, arancioni e verdi sparire in
così breve tempo.
Cassian, che
non si era perso nemmeno un attimo della scena, osservandola con la
testa leggermente reclinata di lato, osservò: –
Perché con me non sei mai così buono? –
Halley gli
lanciò un'occhiataccia, seconda per furia solo a quella di
Lumin, e se ne andò impettito. Cassian gli corse dietro e
tenne il suo passo senza problemi, complici le lunghe gambe dai muscoli
più agili di qualsiasi altro abitante del sottomondo.
– Se
non ti conoscessi direi che mi stai ignorando più del
solito. – ridacchiò velatamente Cassian.
– Ma visto che ti conosco posso tranquillamente dire che mi
stai evitando come la beata peste. –
Nessuno
avrebbe mai potuto sperare di seminare Cassian puntando sulla
velocità e Halley se ne rese conto quando si
ritrovò ad ansimare a pieni polmoni mentre il demone
incedeva tranquillamente e sobriamente al suo fianco, senza incorrere
nella minima fatica.
Si
fermò e scrutò i profondi occhi di Cassian,
appena velati da lucidi capelli neri come ossidiana. Poi, proprio
quando il suo adepto mostrò l'ardire di rilassarsi,
richiamò a sé il potere di Lumin e una ruota di
terra e braci ardenti si strappò dal suolo sotto ai suoi
piedi, andando ad accoglierlo nelle sue braccia cremisi.
Sfrecciò
lontano dalla città dei morti e dei demoni, i capelli che
sfrigolavano nelle sue orecchie per la folle velocità,
allontanandosi dalle luci fatue e dai suoi focolari, dirigendosi verso
il Bosco Nero che circondava come un ferro di cavallo l'intera collina
su cui sorgeva il suo regno. Nemmeno quando arrivò
all'imbocco dell'intrico di tronchi neri e rami protesi come
scheletriche mani verso il nulla, accennò a fermarsi,
limitandosi a falciare tutto quello che si trovava sul suo passaggio.
Solo quando sbucò in un spiazzo ombroso completamente sgombro, ricoperto da una
soffice erba argentata e illuminato dai pallidi raggi delle luna che
donava all'intero paesaggio un bicromatismo quasi fatato, si
azzardò a rallentare e a guardarsi alle spalle.
Di Cassian
neanche l'ombra.
Rallentò
fino a fermarsi e lasciò che la ruota si dissolvesse,
tornando con i piedi per terra.
Finalmente il
silenzio.
L'agognata
mancanza di suono che l'aveva assillato con la sua non presenza, ad un
tratto parve invece assalirlo e trascinarlo in fondo ad un pozzo senza
fondo dal quale non era possibile uscire, né tornare
indietro. La solitudine che da anni immemori gli gravava sul cuore,
nonostante fosse sempre in compagnia; la sua coscienza soltanto
infastidita e oltraggiata da tutta quella massa che ronzando e
sciamando si assembrava intorno a lui senza alcun profondo e valido
motivo.
Sospirò
e alzò gli occhi verso la luna, così bianca da
obbligare le palpebre a socchiudersi per non ferirsi.
La luna, sileziosa compagna di tutti quegli anni di vuoto e di
senso di perdita; la luna che non gli parlava; la luna che non lo
ascoltava. La luna che forse nemmeno lo guardava, limitandosi a voltare
la testa da un'altra parte quando la implorava con la gola in fiamme.
– Se
mi guardassi come stai guardando la luna in questo momento, potrei
morire di autocombustione. –
Le spalle di
Halley si irrigidirono appena, ma si costrinse a sciogliere
la tensione che provavano per non far intuire a Cassian quali pensieri
si agitavano nella sua testa. Il demone, a cui i raggi della luna
parevano donare tanto quanto un vestito fatto su misura, lo
occhieggiò, fingendo con tatto di non essersi accorto di
nulla.
Halley si
girò a fronteggiarlo e si chiese come mai, tra le diverse
decine di demoni che marciavano sotto il suo comando, solo Cassian
riuscisse a risultargli così insopportabile. Nemmeno alle
zucche - che pure se lo sarebbero meritato a pieni voti - era spettato
quel primato insolito.
–
Non puoi davvero aver creduto di avermi seminato. – fece
Cassian scrollando il capo e facendo arricciare qualche ciocca di
sottili capelli intorno ai lobi delle orecchie. – Sei veloce,
mio signore. Ma non così veloce… –
– Se
avessi voluto seminarti non avrei avuto problemi a farlo. –
rispose lievemente indispettito Halley – Contavo sul fatto
che dopo essermene andato tu avresti avuto il buon gusto di non
seguirmi. –
–
Centra quello che ti ha detto quel tizio in nero? –
Halley
riuscì a rimanere impassibile, la maschera perfetta
dell'indifferenza, e quasi si lodò per essere riuscito a
comportarsi in modo così mirabile quando …
esattamente l'istante dopo si ritrovò a distogliere lo
sguardo, senza capacitarsi di come fosse potuto succedere.
–
Quale tizio in nero? – chiese, fingendo noncuranza senza
troppo successo. – Qui il nero è un colore
parecchio gettonato se ci hai fatto caso. –
Cassian lo
scrutò a lungo, poi sospirò: – Sto
parlando di Pitch Black. Vi ho visto parlare. Aggiungi il fatto che ho
un buon udito e ottieni il resto. – Gli occhi di Cassian
divennero improvvisamente più profondi, più
tetri. – So che ti ha chiesto di unirti a lui. –
Halley
scrollò le spalle. – Quando vorrò che
uno dei miei sottoposti si preoccupi per me, te lo farò
sapere Cassian. –
Per un fugace
istante sembrò che il volto di Cassian si oscurasse con
un'ombra di dolore, ma il cambiamento fu talmente repentino che Halley
pensò di esserselo immaginato.
– E
so anche che tu hai rifiutato, mio signore. –
– Io
non mi schiero con nessuno. – ribatté Halley,
avvicinandosi inconsciamente a Lumin, quasi avesse bisogno del suo
calore per scaldarsi – Né con i buoni,
né con i cattivi. Lo sai anche tu: noi non ci facciamo
trascinare nelle beghe tra i Guardiani e gli spiriti minori. –
– Ha
detto di avere qualcosa che potrebbe interessarti…
–
– E
io, se ben ricordi… – lo interruppe Halley.
–.. gli ho detto che non potrà mai fare nulla che
mi convinca a scendere in campo dalla sua parte. –
Cassian
annuì, quasi stesse riassistendo a quella scena, svoltasi
proprio davanti ai suoi occhi. Il suo signore che parlava con quella
figura ammantata di nero sotto la diafana luce delle stelle, dolci e
lusinghiere parole sussurrate al suo orecchio per cercare di portarlo
dalla sua parte, suadenti mormorii e sospiri a fior di pelle volti a
spezzare la sua resistenza.
–
Qualsiasi cosa tu deciderai di fare, io resterò al tuo
fianco. – disse con semplicità.
Ed era vero.
Lo aveva
deciso nel momento stesso in cui l'Uomo nella Luna aveva scelto quello
strano ragazzo dai capelli scompigliati e dalla camicia logora per il
ruolo di Jack O'Lantern. Tra di loro quel nome era paragonabile a
quello di un Cesare o di un autorevole Comandante, e lui avrebbe
protetto il suo Signore a costo della vita.
Halley non
seppe bene come reagire a quella dichiarazione. Alla fine, tra le
molteplici emozioni prevalse l'ira e lui replicò:
– E' ovvio che lo farai. Sono il tuo signore, Cassian. Fare
altrimenti equivarrebbe ad alto tradimento. –
Cassian
sorrise, incrociando le braccia sul petto. – Che brutto
pensiero. Non sono poi così deplorevole. –
Lumin
divampò come un piccolo sole non appena Cassian fece cenno
di volersi avvicinare a Halley e il demone fu costretto ad una veloce
ritirata.
– Il
tuo lumino da guardia è un po' troppo iperprotettivo nei
tuoi confronti, non credi? –
– Te
lo detto: percepisce le cattive intenzioni nelle persone. –
ghignò Halley.
–
Touché. – fece Cassian, lasciando che un languido
sorriso gli inarcasse le labbra. – Anche se ho sempre avuto
un certo debole per i capelli chiari - così biondi da
sembrare quasi bianchi, oserei dire - non posso fare a meno di
concedermi qualche piccola eccezione. –
–
Oh, ti prego. – fece Halley con finta modestia. –
Non concedertela affatto. Sarebbe meglio per tutti. –
Cassian non si
scompose minimamente e anzi gli rivolse un sorriso in grado di far
arrossire i sassi.
–
Non appena sarò fuori di qui potrò avere tutte le
bionde e i biondi che desidero. In fondo Halloween è tra
soli cinque giorni: non dovrò nemmeno aspettare tanto.
Però come si dice, a volte bisogna pur fare qualcosa per
ingannare l'attesa. –
**************************************************************************
Anche se questa storia non la leggerà nessuno la continuerò - e la finirò - perché detesto lasciare le cose a metà. u.u
Per quelle poche - e tanto care - persone che invece l'hanno letta, vi ringrazio e vi mando un GRANDE bacione! *__*
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Capitolo 3 *** Delicious Crisis ***
CAPITOLO
3
DELICIOUS CRISIS
I am the "who" when you call, "Who's there?"
I
am the wind blowing through your hair
I
am the shadow on the moon at night
Filling
your dreams to the brin with fright
This is Halloween, Marilyn Manson
–
Credete che sia stato saggio lasciare Toothy con Candelora?–
Jack Frost
sedeva a gambe incrociate sul retro della slitta di North, il
bastone appoggiato sulla spalla e le labbra arcuate in una smorfia che
voleva sottolineare tutta la sua contrarietà a quella
decisione. Bunnymund, terreo in volto e aggrappato al bordo della
slitta come una cozza al suo scoglio, sembrò voler
polemizzare sia sulla sua insensata decisione di salire sul trabiccolo
tecnologico di North, sia rispondere sarcasticamente alla domanda di
Jack.
– E'
stata un'idea grandiosa, secondo me. Assolutamente.–
–
Non credo che tu al momento sia abbastanza lucido per poter rispondere
con cognizione di causa. –
Jack aveva
dato alla sua risposta il tono di un'affermazione ma Bunnymund la prese
volontariamente per una domanda alla quale rispose piccato.–
Sono lucidissimo, io. –
– Un
autentico specchio.– gli rinfacciò Jack facendo
scorrere il suo sguardo sulla fronte imperlata di sudore di Bunnymund e
osservando i pallidi luccichii che questa mandava durante le impennate
della slitta o le rocambolesche discese a picchiata. La slitta di North
vantava due nuovi alettoni posteriori di un rosso sgargiante che
avevano l'apparente scopo di migliorare la stabilità della
vettura ma suscitavano la sospetta impressione che non servissero
assolutamente a nulla, se non ad un mero scopo estetico.
Di colpo
North, seduto a cassetta con l'aria di chi stia rimuginando
intensamente su qualcosa di spiacevole, sferzò le livree
delle renne dando una brusca accelerata alla slitta. Bunnymund espresse
la sua opinione a riguardo con un urletto di terrore mentre Jack
lasciò passare qualche attimo prima di balzare sul sedile
anteriore, sedendosi di fianco a North, leggermente preoccupato.
–
Perché quest'aria poco natalizia?–
North
sbuffò, più nervoso che preoccupato. –
Folletti perso di nuovo la mia sfera-portale e, nonostante loro inutili
sforzi, non riescono più a ritrovarla. Ho chiesto anche a
yeti ma pure loro non ne cavano un ago dal buco... In più
noi avere compito ingrato, ovvero andare a trovare Befana - quella
vecchia capra! - e questo perché parole di spiritello di
marmotta non mi convincono. Infine barba mi si sta arricciando
per colpa dell'umidità di nuvole! Guarda che orrore! I miei
occhi hanno bisogno di vedere meraviglie e non brutture come
questa... –
Sottolineò
quel dettaglio di mostruosa importanza mostrando la sua barba:
stopposa, gonfia e scomposta. Immancabilmente gli occhi di Jack
scivolarono sulla causa dell'umidità e, quindi, del malumore
di North; massicci cumulonembi lambivano le fiancate della slitta e
correvano sopra le loro teste con linearità quasi ipnotica,
estrusioni di condensa e sculture di minute goccioline d'acqua
s'alternavano a scorci di boschi lussureggianti, confondendo
ciò che si guardava con quello che in realtà si
vedeva.
–
Pitch non può essere tornato. – fece Jack
alla fine, distogliendo lo sguardo da una imponente colonna nuvolosa
che troneggiava a pochi chilometri da loro e che ricordava - anche se
lontanamente - i lineamenti di colui che tormentava i loro pensieri,
nera e minacciosa sopra l'orizzonte. Il suo tono incerto si
scontrò con l'espressione assorta del signore del nord,
mentre da dietro riprendevano con vigore rinnovato i forti conati di
Bunnymund in preda all'ennesima delle sue crisi di mal-di-slitta.
–
Noi sconfitto lui. – asserì North dopo un paio di
minuti, aspettando che tornasse la calma nelle retrovie. –
Troppo presto per lui ritornare. Se realmente tornato vuol dire che
qualche nuovo trucco in suo lurido mantello nasconde. In ogni caso la
nostra guardia deve rimanere alta. –
– Ma
non ha senso. Cosa potrebbe avere in grado di danneggiarci? –
domandò Jack, aggrottando le fini sopracciglia. –
Lo abbiamo sconfitto una volta, e qualunque cosa si inventi per
batterci in futuro lo sconfiggeremo ancora. La paura non
potrà mai battere il coraggio e... ehi, che ti prende?
–
L'espressione
assorta di North si era tramutata in sgomenta così
repentinamente che Jack aveva subito pensato ad un improvviso malore.
Lo aveva scosso credendo che la vista dell'ennesimo ricciolo sulla sua
barba fosse stata una vista troppo ardua da sopportare ma ottenne in
cambio solo delle vive proteste.
–
Sto bene! Sto bene! Lascia stare! – North fece fare alla
slitta una brusca virata che venne approvata da un lungo ma solenne
apprezzamento di Bunnymund. North ignorò lui e il
suo commento ed indicò invece a Jack qualcosa sotto di loro.
– Befana deve aver sbagliato di nuovo sua ricetta oppure suo
forno esploso definitivamente. Guarda là. –
La foresta che
stavano sorvolando, rigogliosa e traboccante di alberi verdi, in un
punto era completamente evaporata, come se qualcuno avesse deciso che
nessuna forma di vita fosse più necessaria in quella
frazione di territorio. Affiancata ad un costone di roccia che
s'innalzava più avanti in una montagna con picchi e
pinnacoli, simile ad un'accidentata cattedrale di roccia, stava una
casetta annerita e contorta, dai contorni aspri e spezzati. L'albero
che avrebbe dovuto sostenerla era completamente sradicato dal terreno e
le sue radici fuoriuscivano dalla terra brulla protendendosi
verso il cielo come tante braccia in cerca di salvezza.
Bunnymund si
riebbe quel poco necessario a sporgersi e a lanciare un'occhiata veloce
tutto intorno a loro, il vento mulinò intorno ai suoi baffi
e le vertigini lo costrinsero a rincantucciarsi di nuovo all'interno
della slitta esclamando: – Perché ho il timore che
questo luogo dovrebbe avere un aspetto del tutto diverso che fosse
stato soltanto un forno ad essere andato in malora? –
North
grugnì senza voltarsi, poi manovrò le redini e
fece planare la slitta dolcemente verso il basso, quasi restio ad
ammettere che la desolazione che stava guardando fosse il posto che
ricordava. L'eterno aroma di cannella era stato sostituito da un olezzo
immondo ed un silenzio tombale avvolgeva le macerie, velando
di una nebbiolina grigiastra le asperità e i monconi di
legno tranciati di netto. Jack Frost atterrò per
primo, anticipando di pochi secondi l'atterraggio della slitta. I suoi
piedi produssero molteplici scricchiolii quando premettero sul terreno
secco e friabile, schiacciando foglie e frammenti sparsi un po'
ovunque. Gli unici elementi che ancora rimanevano testardamente eretti
erano il camino in pietra e il foro rettangolare, vestigia divelte e
ormai solo commemorative di ciò che rimaneva del magico
forno.
–
Che può essere successo? – chiese Jack quando
North e Bunnymund gli si affiancarono; emozioni contrastanti si
alternavano a velocità impossibili sui loro volti increduli.
Una sola
risposta salì alle loro labbra quasi in contemporanea:
"Pitch."
Solo lui
avrebbe potuto compiere un simile gesto e portare così tanta
distruzione in un luogo altrimenti tranquillo e pacifico. Nemmeno gli
uccellini s'azzardavano più a cantare e solo sparuti refoli
di vento parevano vogliosi di insinuarsi in mezzo a quel che rimaneva
della casetta della Befana. Le fronde degli alberi frusciavano
sconfortate di fronte a tanto scempio e devastazione.
–
Lei non simpatica, ma io non augurava lei questo. –
mugugnò North, lisciandosi disperatamente la barba, come se
quel gesto gli donasse il conforto di cui aveva bisogno. Dopo aver
opportunamente inclinato il bastone di lato, Jack appoggiò
la pianta di un piede sulla superficie legnosa e, lasciando l'altro
penzolare nel vuoto, assecondò il fluido movimento con cui
il bastone lo trasportò in un battito di ciglia sulla
sommità del camino. La pietra fredda a contatto con la sua
pelle dei suoi piedi gli rimandò una sensazione sgradevole,
come di morte precoce unita alla paura più profonda, in
sottofondo qualcos'altro di cui non capiva la provenienza.
–
Sentite anche voi questo strano odore? – chiese
levando il naso verso l'alto e socchiudendo gli occhi per aiutarsi ad
identificare quella che per ora sembrava più una suggestione
che non una percezione vera e propria. – Un odore
come di ... arance e limoni? –
– Io
non sento nulla! – esclamò Bunnymund con sicurezza
facendo fremere le narici e inspirando velocemente aria dentro e fuori
dai polmoni, il petto che si alzava e si abbassava a
velocità costante. – E te lo dice uno che
di naso ne ha uno bello potente!–
Senza darsi
per vinto, Jack appoggiò il bastone sul bordo del camino e
si sporse per guardare verso il basso, prima di arrischiarsi a scendere
aggrappandosi con le mani alle pietre levigate.
Un improvviso
dolore lo fece rabbrividire e immobilizzare a metà del
tragitto; incastrati dentro alle fenditure della roccia c'erano alcuni
ciottoli neri dai margini seghettati. Guardandosi i palmi
scoprì che le punte acuminate gli si erano infilate sotto
pelle, gli avevano punto la pelle delicata dei piedi o nei casi
peggiori, gli avevano trafitto i polpastrelli delle mani, ferendolo a
sangue. Osservò con interesse clinico la goccia di sangue
scuro che fuoriusciva dalla ferita e improvvisamente si
sentì strano, come se non fosse più del tutto
padrone del suo corpo.
Un repentino
giramento di testa gli fece allentare la presa, e capì di
essere precipitato al suolo solo quando la sua testa cozzò
contro qualcosa di duro, probabilmente il pavimento ricoperto di
frantume di vario genere, il corpo stranamente rigido per il freddo
nonostante fosse abituato a sopportare senza scomporsi perfino le
temperature artiche. Intontito e stordito, non ebbe nemmeno il tempo di
capire cosa stava succedendo che sentì da lontano giungere
le voci preoccupate di North e Bunnymund che chiamavano il suo nome,
più e più volte. Riuscì a
racimolare la forza per rispondere ma la sua voce uscì
lentamente, impastata e distante. Decisamente qualcosa non andava...
Voltò
la testa, più per mancanza di energie che per
volontà propria, e si ritrovò a fissare vicino
alla sua spalla una scheggia nera, simile a lucida onice dai riflessi
lunari, della grandezza di un pugno con gli stessi contorni seghettati,
affilati come coltelli, di quelle più piccole che lo avevano
ferito. Ci mise parecchio tempo per metterla a fuoco e ancora
più tempo per capire dove l'aveva già vista.
La
seconda volta che si era scontrato con Pitch, battaglia del bene contro
il male in mezzo all'oscurità e alle nevi perenni, il suo
ghiaccio unito agli incubi granulari di lui, avevano dato forma ad una
composizione statuaria dai riflessi dell'ossidiana e della durezza dei
lapislazzuli, mostruosa a vedersi e dalle forme agghiaccianti: Pitch ne
era rimasto estasiato, ma lui, Jack Frost, ne era rimasto orripilato.
Quelle pietre taglienti avevano la stessa consistenza e la stessa forma
di quella volta, esplosioni di oscurità e di paura
solidificata dal potere di uno spirito in grado di regalare a quel
sentimento un frammento dell'eternità. Aveva sempre pensato
di essere il solo in grado di rendere invincibile Pitch, ma L'Uomo Nero
non si faceva scrupoli... lui era in grado di piegare al suo volere
chiunque potesse tornare utile ai suoi scopi... ma chi aveva scelto
questa volta? Chi poteva avere il potere di cui Pitch andava
disperatamente in cerca? Chi?
North
raggiunse Jack, si piegò su di lui con aria preoccupata e lo
chiamò con forza, tentando in tutti i modi di rianimarlo. La
coscienza di Jack però vagava sperduta a metà tra
il consapevole e l'allucinazione di un sogno ad occhi aperti,
completamente immerso in pensieri dalla consistenza densa e lattea di
un fiocco di neve. Bunnymund fece per accorrere a sua volta ma North lo
redarguì.
–
Sta lontano! Queste pietre hanno qualcosa di molto strano! Io ho
stivali! Ma tu che hai zampe nude è meglio se non ti
avvicini! –
–
Che ha Jack? Che gli è successo? Stava bene fino a pochi
attimi fa! –
–
Lui ferito! Vedo sangue! – replicò North
passando le sue braccia possenti dietro le spalle e le gambe esili di
Jack e sollevandolo senza alcuna fatica. – Dobbiamo medicare
lui prima che sia troppo tardi! –
–
Torniamo al più presto al polo nord! –
esclamò Bunnymund, che per il timore di perdere un amico si
era pure scordato di quanta paura avesse di volare.
North
però scosse la testa con ansia crescente.
– Io
perso la sfera-portale! Ricordi? Non possiamo portarlo al polo nord
perché ci vorrebbe troppo tempo! –
Bunnymund
impallidì e stralunò gli occhi. – Che
facciamo? Che facciamo!? –
North corse in
direzione della slitta e adagiò il corpo esanime di Jack su
uno dei gradoni posteriori, affidando a Bunnymund la custodia e la
veglia del ragazzo.
–
Nostra unica possibilità è Mondo di Sotto,
territorio di Halloween. –
–
Che cosa!? – urlò Bunnymund, perdendo il
colore, se possibile, perfino dai suoi baffi. –
D'accordo che l'ingresso per il loro covo è qui vicino, ma
sarebbe come condannare Jack a morte certa! Halloween non aiuta
nessuno! –
–
Noi disperati ! E disperazione permette di fare molte cose impossibili,
o stupide, a seconda di punto di vista! –
– E
come credi di superare i loro cancelli? – chiese
Bunnymund mentre North avviava la slitta con rapidi comandi e tirate di
redini. – Rimangono segregati tutto l'anno
per volere dell'Uomo nella Luna, eccettuati i tre giorni che vengono
aperti per permettere agli spiriti maligni di imperversare sulla terra!
Trent'uno ottobre, uno e due novembre, rispettivamente
Halloween, Ognissanti e Festa dei morti! Noi non riusciremo mai a...
–
– So
nomi di festività, Bunnymund! –
esclamò North, interrompendo l'amico a metà
frase – Ma io già detto: noi disperati! E
i disperati fanno cose stupide! –
Bunnymund
avrebbe volentieri replicato ma la slitta diede una poderosa spinta in
avanti, azzittendo ogni sua possibile riposta.
***
Ostentando una
studiata indifferenza, Pitch Black osservò la minuta e
verdina figura dello spirito delle scarpe rinsecchirsi e avvizzirsi,
come una foglia secca ad autunno avanzato, sotto i suoi stessi occhi di
madreperla. Appariva noncurante nei suoi sobri abiti neri, vestito dei
drappi della meravigliosa e genuina paura che riusciva ad incutere nel
prossimo, quasi ritenesse una sottigliezza innegabile il mostrarsi
disinteressato di tutto mentre nel profondo si beava di sé
stesso. E la sua momentanea gioia poteva essere paragonata solo ad una
cosa: al suo sempiterno odio per i Guardiani. Si rallegrava di quel
nuovo stato di cose che gli permetteva di eliminare i suoi
nemici con un semplice ordine fuoriuscito dalle sue melliflue labbra.
Il Leprecauno,
il tirchio calzolaio fatato, gli rivolse uno sguardo di puro orrore
mentre i suoi palmi si screpolavano sotto ai suoi occhi, facendo
apparire gli smeraldini fasci di muscoli sottostanti. Gridare non
sembrava un'opzione quando il dolore era così acuto che la
mente faticava a razionalizzarlo. Stava marcendo dall'interno,
disfacendosi come una candela posta troppo vicina ad un fuoco;
frammenti di sottile pelle ustionata si staccavano dal suo corpo e
svolazzavano intorno a lui come tante falene, volteggiando e danzando
nel vento odoroso di agrumi che li trasportava lontano.
– La
vendetta non ha mai avuto un odore così
dolce. – mormorò Pitch, intrappolando tra
le sue scheletriche dita una fragile scaglia di pelle prima che essa
potesse allontanarsi. – Concordi con me,
vero? –
La ragazza al
suo fianco si limitò ad osservare con sguardo vacuo il corpo
deforme e irrigidito del calzolaio che si consumava su sé
stesso, senza che la minima emozione trasparisse dai suoi lineamenti
tirati e scarni.
–
Sai, credevo che il tuo mutismo fosse una cosa
affascinante. – sibilò Pitch, perdendo in
parte la sua pazienza. Le sue dita abbandonarono la scaglia e si
chiusero sui capelli neri della ragazza, costringendola a girare la
testa verso di lui con la forza bruta. – Ma ora stai
iniziando a diventare poco divertente. E sai quano io odi le persone
che non sanno come divertirsi, Satia. –
Lo sguardo di
Satia non si illuminò, né diede segno di aver
riconosciuto cosa i suoi occhi stessero guardando. Rimase immobile,
bambola rotta nelle mani di un troppo crudele burattinaio, a
concentrarsi su qualcosa di inesistente oltre la spalla di Pitch.
L'uomo Nero
rilasciò di scatto la sua morsa e sospirò in modo
eccessivo.
–
L'uomo nella luna deve avere sbagliato qualcosa con te, piccola mia.
–
Il suo naso
appuntito tornò a girarsi in direzione del Leprecauno
proprio mentre questi si afflosciava sulle ginocchia, e poi su di un
fianco, lanciando una serie di suoni inarticolati e sconnessi. A Pitch
piacevano le dimostrazioni di paura tanto quanto quelle di dolore, e
non seppe decidersi se quel suono conclusivo valesse tutti quelli
straziati che lo avevano preceduto.
No.
Si. Forse no.. aspetta, magari... no. Anzi si, assolutamente...
Il Leprecauno
aveva appena gridato, straziato dal dolore, quando Pitch decise
definitivamente che, si, quel momento li valeva tutti; infine si
guardò attorno, in cerca di ulteriore ispirazione o di
qualcos'altro che lo aiutasse a rendere ancora più
significativa quella lenta agonia. Le scarpe dello spirito
minore giacevano abbandonate tutt'intorno senza alcun ordine nonostante
gli innumerevoli scaffali allineati alle pareti. Tacchi a spillo,
babbucce, sandali, infradito, ballerine e scarpe da ginnastica
giacevano un po' dove capitava, gualcite, strappate e con le minute
cuciture irrimediabilmente rovinate. Quella deliziosa visione gli
rammentò le uova di Bunnymund quando i suoi incubi, dopo
esser entrati nella sua tana, le avevano distrutte una ad una, senza
alcuna pietà. Quello stralcio di passato però fu
subito seguito dal ricordo dalla sua sconfitta e dal volto del suo
fautore...
Jack Frost.
Immediatamente
sentì la gelida ira, fredda tanto quanto lo spirito che la
evocava, risalirgli lungo il corpo e colmargli la gola di un
retrogusto troppo aspro per poter essere sopportato.
Decise di
farla finita.
Allungò
la mano nella tasca del suo manto e ne trasse la sfera cristallina di
North, sussurrando all'orecchio di vetro di quest'ultima
sogghignanti parole. Subito, davanti a loro si aprì uno
squarcio circolare, nero e profondo come un pozzo, dal quale spiravano
venti pesanti e fumosi, i respiri mefitici di un mondo in cui nessuno
avrebbe mai voluto ritrovarsi nemmeno per sbaglio, il mondo della
paura. Un magma di buio condensato, simile a gelatinoso nerofumo, si
erse a mezza altezza inglobando al suo interno il corpo ormai quasi
senza vita del Leprecauno. Rapidamente quella sostanza ributtante si
solidificò attorno ad esso ed una stalagmite di dura pietra,
simile a lucida tormalina, congelò a morte le membra dello
sventurato spirito, non lasciando di lui nient'altro che
l'espressione di sofferenza e di afflizione impressa ad eterna memoria
sulla scabra superficie.
– Il
Mondo dell'incubo sarà una degna dimora per quell'insulso
ciabattino verde. – sibilò Pitch,
orgoglioso del suo operato mentre il portale si inspessiva per divorare
con le sue fauci la concrezione di ambra nera, prima di richiudersi con
uno schiocco.
Una leggera
risatina aleggiò sulla sua bocca e Pitch
se la coprì con una mano in un gesto lezioso: l'argomento
sul quale stava riflettendo doveva risultargli parecchio divertente.
Satia lo osservò con la coda dell'occhio e si chiese che
cosa mai potesse divertire L'Uomo Nero. Pitch Black, quasi le
avesse letto nella mente, pose fine ai suoi dubbi.
–
Con tutti quelli che l'hanno preceduto, il Leprecauno non
potrà nemmeno lamentarsi di non essere in buona compagnia.
Quella vecchia rattoppata della Befana ha un'espressione
così solitaria dentro la sua stalagmite che le
farà bene avere un vicino di roccia. Per non parlare poi di
Ferragosto e di Capodanno che sembrano delle giovani e avvenenti
sculture multicolori nel loro sonno centenario. –
L'ilarità
sembrò diventare insostenibile e Pitch si concesse una lunga
risata gutturale, quasi da attore consumato abituato a calcare e,
ovviamente a dominare, il palco nel bene e nel male.
– E
poi dicono che non so essere altruista! Uomo nella Luna! –
gridò alzando lo sguardo verso il cielo, dove una minuscola
luna brillava fiocamente. – Aspetta e vedrai! Presto
sarò di nuovo l'unico spirito a vegliare sopra al mondo
degli esseri umani! Torneranno i bei tempi! I tempi del buio, della
notte e della paura! –
Satia
osservò quel lugubre personaggio dalla pelle bigia e dai
lunghi abiti, fluidi come pece intorno al suo corpo magro, allontanarsi
riflettendo la sua essenza di ombra in ombra, silenzioso e minaccioso,
senza preoccuparsi che lei lo seguisse o meno. Sapeva già
quale tipo di lealtà aspettarsi da lei, e lei sapeva che
lealtà gli doveva: assoluta. Il patto che avevano
fatto glielo imponeva: un favore in cambio di un altro
favore, una cosa al posto di un'altra cosa, una vita
per una vita.
I piedi della
ragazza si mossero altrettanto silenziosi, piccoli fantasmini che si
muovevano veloci sull'erba resa argentata dalla notte, e in poco tempo
raggiunse le spalle dell'Uomo Nero senza però superarle.
Pitch Black non aveva ombra perché era egli stesso ombra, ma
Satia da quando era rinata sotto forma di spirito minore aveva capito
che sarebbe diventata lei la sua ombra.
I patti erano
patti. E lei rispettava sempre le sue promesse...
***
Due zucche si
stavano tranquillamente avviando, in compagnia del fantasma
del-natale-passato e del fantasma del-natale-futuro, in direzione delle
stanze private del loro Signore. Alcune lapidi erano tornate al loro
posto e altre invece si erano fermate a folleggiare insieme ad alcuni
scheletri dalle ossa sporgenti sotto la luce eterea della luna: la
notizia sembrava così buona che doveva essere un peccato non
riferirla al loro Signore. Si erano dunque incamminate con i migliori
propositi in direzione degli alloggi di Halley, ma arrivate di fronte
alla maestosa porta di legno non riuscirono nemmeno ad afferrare i
batacchi a forma di testa di lupo, guarnita di una più che
affilata fila di denti, per chiedere il permesso di entrare. Il motivo
di tanta reticenza era la conversazione che si poteva udire, senza
alcuna difficoltà, dall'interno delle stanze.
La zucca dalla
forma allungata ed un sorriso a due denti lanciò un'occhiata
angosciata alla zucca alla sua destra che vantava un sorriso a ben tre
denti e due occhi strabici davvero adorabili. I due fantasmi invece
oscillarono a mezz'aria, quasi stessero per svenire ma a
metà dell'operazione si fossero ricordati che non potevano
farlo. Dall'interno arrivò, come soffocata da alcune stoffe,
la voce del loro Signore.
–
Non così, aspetta. Mi stai facendo male, Cassian. Non
spingere...–
– Ma
se lo infilo lentamente potrebbe essere doloroso per te, mio Signore.
–
–
Non dire stupidaggini e fai piano. –
Passò
un secondo di silenzio e poi, come se ci avesse ripensato, Halley
aggiunse: – Per favore, Cassian... –
–
Magari se stessi fermo invece di agitarti sarebbe più
facile. –
Il tono
conteneva solo una venatura di impazienza, ma quest'ultima
bastò ad irritare Halley.
–
Non mi sto agitando, d'accordo? E smettila di usare questo tono
d'accondiscendenza: è solo che non ci sono abituato! E' da
quasi un anno che non lo faccio più!–
–
Proverò ad essere più gentile allora.–
La voce si era intenerita ed era diventata quasi un sussurro, tanto che
le zucche fremettero quando udirono la voce di Cassian chiedere
soavemente: – Così va meglio? –
Seguirono un
momento di assoluto silenzio inframmezzato da una serie di ansiti
concentrati. Poi ci fu un urlo.
– Ahi!!! Cassian!! E questo
lo chiami essere gentile!?–
–
Scusa, mio Halley. E che qui è davvero strettissimo! Mi
permetti di provare a forzare un po' ? Solo per cercare di allargare, e
forse...–
–
No! Non osare provarci! Con la tua forza spaccheresti tutto!–
– So
essere anche delicato. – Ci fu un leggero sbuffo, come se
Cassian avesse sorriso nel dirlo. – Lascia che ci provi
un'ultima volta. –
Una serie di
mugolii di protesta si alternò ai fruscii della stoffa sulla
pelle. Le due zucche iniziarono a perdere polpa da ogni poro, sudando
freddo, e i due fantasmi persero consistenza
diventando quasi invisibili.
–
Cassian, lascia perdere. –
–
No, lasciami fare, mio Halley. In queste cose ci so fare. –
–
Cassian, ti ho detto di togliere il mio da davanti il mio
nome! E poi stai spingendo troppo! –
–
Aspetta, ci sono quasi ti ho detto. Ecco! Sta entrando! Ecco, ancora
poco! –
–
Cassian, no. Cassian... mi fai male. –
Le zucche
avevano ormai gli occhi sgranati e i fantasmi erano morti per la
seconda volta dall'imbarazzo, quando una strega dal naso adunco col
brufolo rosso sulla sua sommità girò l'angolo
tutta trafelata e sudaticcia, annunciando a pieni polmoni:
– I cancelli sono stati violati! Una slitta ha
spaccato le porte di Sotto Mondo! Siamo sotto attacco! Tutti alle
proprie scope! Siate pronti a morire per il vostro Signore di
Halloween! –
Le zucche
saltarono sul posto e scapparono come era loro credenza che tutti i
bravi soldati dovessero fare in quelle occasioni, mentre i fantasmi
sparirono oltre le pareti più per eclissarsi che non per
andare a combattere. La strega invece, quasi del tutto sorda da un
orecchio, continuò a strillare e bussò
sonoramente alle massicce porte di legno, aprendole l'istante dopo
senza nemmeno aspettare il permesso per entrare. La visione che le si
parò davanti la pietrificò e le fece spalancare
occhi e bocca in contemporanea.
Il suo
Signore, completamente piegato di lato, si sorreggeva appoggiandosi a
Cassian con una mano, mentre quest'ultimo tentava di infilargli la
divisa ufficiale per la notte di Halloween: una stretta calzamaglia
nera, altamente infiammabile all'esterno ma ignifuga all'interno, che
Lumin avrebbe potuto infuocare ed accendere a sua scelta. L'apparizione
di Jack O'Lantern completamente avvolto dalle fiamme dell'inferno con
la lanterna del diavolo sulla spalla sinistra era una cosa molto
apprezzata dal popolo di Sotto Mondo.
La
sacralità di tale visione, anche escludendo il corpo mezzo
nudo di Halley, bastò a far balbettare la strega per il
resto della conversazione: – S-slitta! A-ai
ca-cancelli p-principali! S-sotto a-attacco! P-problemi! Mio S-signore,
io... io... –
La strega
perse del tutto il dono della parola e rimase, da sola in mezzo alla
stanza, a fissare il petto liscio e abbronzato del suo Signore.
Cassian, accorgendosene, porse la camicia ad Halley con un velo di
irritazione e una fitta fumera di approvazione da parte di Lumin; il
ragazzo, del tutto all'oscuro di quel gioco di occhiate assassine, la
indossò quasi con sollievo. Era incredibilmente larga, tanto
che insieme a lui avrebbero potuto strarci dentro tranquillamente altre
due persone, ma Halley la apprezzava come pochi altri capi di
abbigliamento.
–
Detesto quella robaccia attillata. – sospirò
quando la divisa fu finita al suolo e le sue gambe muscolose e magre
furono l'unica cosa ancora a disposizione di sguardi
indiscreti. – Non capisco perché devo indossarla
ogni anno. Non posso fare un'eccezione per questa volta? –
Lumin,
all'idea di non poter scorrazzare indisturbata per tutto il corpo di
Halley, scoppiettò tutta la sua riprovazione a quella
proposta e puntò i suoi occhi fiammeggianti dentro quelli di
Cassian.
– E'
la divisa ufficiale. – rispose il demone con una scrollata
delle flessuose spalle, evitando accuratamente di guardare in direzione
della fiammella. – Dare sicurezza al popolo è
compito di un sovrano. –
–
Fallo tu il sovrano dalla divisa attillata. –
replicò Halley iniziando ad infilarsi i pantaloni neri,
altrettanto larghi. – Ti cedo volentieri il posto. –
Gli occhi di
Cassian luccicarono divertiti. – Per quanto mi
alletti farlo, credo che per quest'anno e per i prossimi secoli a
venire rifiuterò con forza questa possibilità.
–
Lumin ne
sembrò rincuorata e la strega parve ricordarsi di
colpo del perché fosse giunta fin lì, avvenimento
del tutto scollegato con la completa vestizione di Halley.
–
Mio Signore, i cancelli principali sono stati assaliti da una slitta
natalizia! Sotto Mondo è letteralmente sotto sopra per
l'increscioso evento! E' richiesta la vostra presenza! –
– Che
cosa!?
– esclamò Halley, alterandosi per
quell'informazione tardiva. – Perché non me lo hai
detto subito? –
– In
verità... io... oh, non so... –
Sospirando e
afferrando Lumin all'ultimo istante, Halley si diresse verso la
finestra più vicina e la oltrepassò con
fluidità, lasciandosi cadere di sotto e atterrando sulla
morbida terra che si sagomò sotto di lui per accogliere nel
modo più confortevole possibile i suoi piedi. Cassian lo
seguì in modo meno scenografico ma altrettanto raffinato ed
elegante. Halley non lo aspettò e si diresse ad ampie
falcate verso i cancelli d'ingresso della sua
città. Quello che vide peggiorò di molto
il suo umore.
Tutti erano
arruffati, scompigliati, scarmigliati o agitati: streghe, orchi,
zombie, zucche, fantasmi e persino diversi dolci sgambettanti si davano
alla fuga in modo confusionario. Halley non ci mise troppo ad
individuare la causa di quel devastante soqquadro e si diresse,
furibondo, verso la slitta ed i suoi tre avventori.
–
Che diavolo siete venuti a fare qui? – chiese
avvicinandosi con Lumin alle sue spalle che inveiva lapilli e
ingiuriava faville. – Voi siete il Guardiano del
Natale e il Guardiano della Pasqua, e questo non è luogo per
voi! Andatevene subito! –
– Te
l'avevo detto che non ci avrebbero aiutato,
North... –
North
guardò Bunnymund e poi prese la parola, la barba che fremeva
per la paura. – Noi supplica te! Nostro amico è
grave! –
Halley lo
osservò, dubbioso, mentre Lumin gonfiava le sue
fiamme indignata.
– In
che senso grave? –
North prese in
braccio Jack e lo mostrò al Signore di Halloween con
espressione disperata. La pelle di Jack era più pallida del
normale e gli occhi, solitamente giocosi, erano serrati in una morsa di
sofferenza che gli rigava il volto contratto.
–
Lui avvelenato con qualcosa di sconosciuto. Tue streghe hanno a che
fare con ogni tipo di veleno esistente! Voi potete aiutarlo! Dovete
salvarlo! –
Cassian si
soffermò a lungo sui capelli color della neve più
pura che il ragazzo esibiva e un leggero interesse crebbe dentro alla
sua testa come un piccolo tarlo. Non disse ad Halley che gli sarebbe
piaciuto molto se avesse deciso di salvarlo, né
cercò di attirare in qualche modo la sua attenzione;
lasciò invece che prendesse da solo le decisioni che gli
spettavano, come era giusto che fosse. E Halley fece la cosa
più giusta.
Dopo qualche
istante annuì attirandosi gli sguardi increduli di molta
gente e le occhiate stupefatte dei mostri lì
presenti, poi ordinò: – Avvisate le
streghe migliori che c'è del lavoro da
svolgere. –
|
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Capitolo 4 *** Halloween Trick ***
CAPITOLO
4
HALLOWEEN TRICK
Masquerade,
masquerade
Grab
your mask and don't be late
Get
out, get out well disguised
Heat
and fever in the air tonight
Knock
on other people's door
Trick
or treat, they have the choice
Halloween, Kai Hansen
Jack Frost
aprì gli occhi con la sgradevole sensazione di essere
osservato.
Due occhi
lucidi di emozione su cui una massa di capelli corvini ricadeva con la
perfezione e la bellezza di un cammeo intagliato nel giaietto,
ricambiarono il suo sguardo. Di fianco ad essi un trio di streghe
attempate iniziarono a sghignazzare, congratulandosi tra di loro per
l’ottimo lavoro svolto. C’era anche qualcun altro,
ma prima ancora che Jack potesse capire chi fosse i due occhi che
l’avevano accolto al risveglio iniziarono ad avvicinarsi,
colmando il suo intero campo visivo.
–
Piacere di fare la tua conoscenza. Io sono Cassian Tristam Lanford,
primo figlio della casata dei Lanford ed unico erede attualmente in
vita. Ma tu, e ne sarei grandemente onorato, mi puoi chiamare solo
Cassian. –
Un sorriso
talmente abbagliante che rischiò di accecarlo lo raggiunse
come una stilettata, tanto bello e sensuale da risultare doloroso
… nonché quasi stomachevole. Jack si
guardò intorno, cercando di capire che cosa stesse
succedendo e soprattutto provando a capacitarsi del perché
quello strano tizio lo stesse osservando con un così vivo
interesse.
–
Devo avere una qualche specie di debolezza ereditaria per le persone
che si chiamano Jack. – riprese quello, apparentemente a suo
agio nel parlargli ad un soffio dal naso – Mia sorella, per
esempio, si chiamava Jack - diminutivo di Jacqueline - e non riuscivo
davvero a negarle nulla. –
–
Ahm…ci conosciamo? – chiese Jack, cercando di
allontanarsi con circospezione.
Tutti i suoi
tentativi risultarono vani nel momento stesso in cui Cassian si
avvicinò ulteriormente, piantandogli i suoi occhi
praticamente dentro l’anima.
–
Adesso si. – rispose questi, senza scomporsi. –
Però questo non significa che non mi piacerebbe molto
approfondire questa conoscenza. –
–
Magari un’altra volta. – propose Jack, voltando la
testa per sottrarsi a quello sguardo invasivo e cercando nel contempo
di prendere tempo.
Dov’erano
finiti tutti?
Aveva urgente
bisogno di vedere un viso familiare e non quello ghignante di tre
streghe, unito a quello altrettanto ghignante di quattro … zucche?
–
E’ sveglio! – esclamò la prima di queste
ultime, di un rosso aranciato su cui erano stati scavati due occhi
dalle orbite vuote, facendo sobbalzare Jack. – Guardate!
–
–
Si, è sveglio! – concordò la seconda,
verde e con uno storto sorriso da iena che partiva da un angolo in
alto, vicino al picciolo, e finiva in basso, perdendosi sotto di essa.
– Che bello! –
–
E’ proprio sveglio! – annuì una terza
che sembrava guardare il soffitto tanto era strabica.
–Dovremmo avvisare il nostro Signore! –
–
Che carino! – squittì la quarta, gialla e
allungata come una pera. – E’ sveglio per davvero!
–
Jack si
sollevò sui gomiti e si sentì praticamente in
dovere di scappare da quella gabbia di matti. Cercò con lo
sguardo la porta d’uscita ma un braccio gli venne passato
attorno alla vita mentre cercava di alzarsi, silenzioso e solido
sostegno, apparentemente per impedirgli di cadere e per prevenire un
giramento di testa.
–
Non dovresti farlo. – sussurrò Cassian con un vago
tono scherzoso, come se stesse parlando ad un bambino troppo
esuberante. –Non ti sei ancora pienamente rimesso. –
Jack si
divincolò, dando piena risposta a quel concentrato di
orgoglio e di amor proprio che era il suo carattere, il quale
decisamente non ammetteva nessun tipo di compassione o di aiuto; e
prontamente, quasi Cassian lo avesse predetto e si fosse preparato ad
intervenire non appena fosse successo, agguantò Jack per le
spalle e passò l’altra mano attorno alla sua vita
per evitare che crollasse rovinosamente al suolo.
–
Nel caso ti fosse sfuggito, te lo ripeto ragazzino: non ti sei ancora
rimesso. –
Jack
percepì nella voce dell’altro un sottofondo di
asprezza, e quel dettaglio lo infastidì ulteriormente.
–
Dove mi trovo? – chiese cercando di mantenere il livello di
strafottenza nel tono decisamente più elevato di quanto non
lo tenesse di solito.
–
Alcuni lo chiamano Mondo di Sotto, altri Sottomondo. Per chiunque
è semplicemente territorio di Halloween. –
Jack si
guardò intorno e notò che l’atmosfera
era effettivamente troppo lugubre per essere il laboratorio di Nicholas
St. North, troppo cupa per essere la tana di Aster Bunnymund e troppo
funerea per essere l’alveare di Toothiana.
–
Supponiamo che sia così. – acconsentì
con stizza. – Che ci faccio io qui? –
– Ti
ci hanno portato i tuoi amici. –
Jack si
voltò leggermente sorpreso.
A parlare non
era stato lo strano tipo dai contorni vagamente statuari ma una delle
streghe. Delle zucche, si rese conto appena in quel momento, non
c’era più nessuna traccia…
– I
tuoi amici. – ripeté la strega attirando la sua
attenzione con un movimento deliziato della mano rugosa. –
Quello grosso e quello peloso, tipetti tanto carini. Eri stato
avvelenato da alcuni frammenti di Petra Mors, la pietra della morte:
è molto rara e quindi ci abbiamo messo parecchio ad
estrarteli tutti dal corpo e a somministrarti una pozione di uova di
rana per tempo. –
–
Uova di rana? – s’informò Cassian,
corrugando la fronte. – E da quando servono a combattere gli
effetti della Petra Mors? –
–
Non servono, infatti. – confermò la più
bassa delle tre streghe. – Non credo servano a nulla ma
siccome ne avevamo un calderone pieno, te ne abbiamo somministrato
qualche ciotola tanto per tranquillizzare i tuoi amici. –
Jack chiuse
gli occhi, imponendosi di mantenere la calma.
–
Questa però non è la verità, non fino
in fondo. – s’intromise la terza strega, smilza e
con un cappello a punta che l’alzava ulteriormente di qualche
metro. – Ci serviva qualcuno a cui farla provare per sapere
se insieme ai semi di pianta carnivora era velenosa o meno: visto che
stai bene, direi che l’esperimento è stato un
successone! –
Le tre streghe
si diedero il cinque, commosse, mentre Jack perdeva la mascella da
qualche parte sul pavimento.
– Voi
cosa!?
– gemette.
–
Non fare il bisbetico. – lo azzittì la strega di
mezzo. – Se stai bene è solo merito
nostro! E ora…– sussurrò con
aria da cospirazione, tirando fuori da dietro la schiena una ciotola
contenente qualcosa di grigio che galleggiava dentro un liquido blu.
– … prova anche il fegato di troll affogato nelle
lacrime di sirena. Ci serve un’opinione esterna se
può essere usato o meno per la festa di Halloween!
–
– Io
continuo a dire che era meglio nelle unghie di fantasma sminuzzate,
quello stramaledetto fegato. – sottolineò la
strega smilza mentre la ciotola fumante veniva messa sotto al mento di
Jack, operazione seguita da Cassian con un’espressione di
puro interesse scientifico dipinta sul viso.
– Io
dico che è buona anche così. –
ribatté la strega bassa, allungando il naso dentro la
ciotola per dare un’ultima controllatina al preparato.
Solo
l’odore acre che proveniva dall’intruglio sarebbe
bastato a spedire Jack direttamente da Sandy per una sessione
straordinaria di sonno comatoso, senza che ci si mettesse anche la
vista di qualche pelo (evidentemente di troll) che galleggiava
placidamente sulla superficie dell’acqua.
Jack raccolse
tutte le sue forze e colpì la ciotola con entrambe le mani,
nel disperato tentativo di allontanarla, gridando: – Io non
berrò questa roba! –
Le tre streghe
lanciarono all’unisono un gemito costernato quando la ciotola
in questione si spaccò in mille pezzi al suolo, rovesciando
l’intero contenuto sul pavimento.
–
Guarda che hai fatto! – ululò la più
bassa mettendosi le mani nei capelli crespi.
Un alone
opalescente iniziò a levarsi laddove il liquido blu si era
riversato e ben presto, venne seguito da un pungente odore di bruciato
e da quattro bocche spalancate, compresa quella di Jack
perché quella di Cassian si arcuò solamente in un
sospiro di diletto.
Dove
l’intruglio aveva letteralmente corroso il pavimento si
apriva un modesto foro frastagliato che permetteva, a chi avesse avuto
la curiosa voglia di guardare cosa nascondesse il piano sottostante, di
poter constatare di persona i suoi misteri.
Jack
indicò il buco che l’alta acidità delle
lacrime di sirena aveva aperto nel solido legno del solaio. –
E voi volevate farmi bere quella roba? –
Due streghe
annuirono, perplesse più che contrite, mentre la terza si
limitò ad esclamare imbronciata.
– Io
l’avevo detto che erano meglio le unghie di fantasma. Ma mai
nessuno che dia ascolto alla strega smilza. –
***
Mancando solo
due giorni ad Halloween l’intero reparto speciale di zucche
era seriamente impegnato in azioni completamente inutili: seminavano
polpa come tante lumachine laboriose, costruivano castelli di ossa agli
angoli delle strade e lanciavano briciole di canditi ovunque passassero.
Nicholas St.
North guardò quell’affannarsi con una strana
sensazione di de
ja vu
che si faceva strada dentro la sua testa.
–
Davvero sono zucche a fare preparativi per Halloween? –
Halley
sospirò guardando due zucche aiutare una terza che si era
rovesciata, tartaruga spiaggiata su una riva odorosa
d’incenso votivo, a ritornare caracollando in piedi.
–
No. Glielo lasciamo solo credere. –
North
sentì un impeto d’improvvisa affinità
con lo spirito del ragazzo fuligginoso che gli stava di fronte.
– Tu sta me simpatico. Dovresti venirmi a trovare qualche
volta su a Polo Nord. – gli propose allargando sul suo
faccione rubicondo il più gaio dei sorrisi.
Per tutta
risposta Halley lo squadrò da capo a piedi.
–
Noi non possiamo uscire nel mondo degli umani se non durante i tre
giorni che ci sono concessi, o te lo sei scordato? –
North si
lisciò la barba, dubbioso. – Ma se io non ricorda
male tu puoi uscire durante tutto l’anno. O io sbaglia? Mi
pareva che spiriti come il tuo vagano anche sulla terra. –
Bunnymund,
fino a quel momento rimasto in silenzio, rizzò le orecchie.
– E dopo avremmo due Jack che “vagano”
indisturbati? Hah! No, grazie. –
Halley gli
ritornò lo sguardo sarcastico con un’aggiunta
decorativa di scoppiettii battaglieri da parte di Lumin. Una delle
scintille finì sul pelo tatuato di Bunnymund e Halley
alzò un sopracciglio con finto rammarico quando si rese
conto che la pelliccia stava fumando, blandita dalle fiamme dei carboni.
–
Voi non sentite puzza di bruciato? – buttò
lì con apparente noncuranza.
–
Qui sa tutto di bruciato, di fuliggine, di polvere, di incenso o di
terra umida. – replicò Bunnymund storcendo il
naso. – Le mie delicate narici protestano per tutto questo
guazzabuglio di odori! –
–
Lumin... – fece Halley, rivolgendosi alla sua fiammella con
un sorrisetto di scherno e piegando leggermente la testa di lato.
– Credo che ci sia qualcuno qui che in quanto a spirito
focoso non scherza affatto. –
In quel
momento non fu Bunnymund ad accorgersi delle fiamme che ormai si
alzavano alte dalla sua pelliccia ma North che, urlando come un
vichingo, lo afferrò e iniziò a colpirlo con
forza cercando di spegnere quelle lingue di fuoco.
Lumin si
sganasciò dal ridere e Halley lasciò che un lampo
dei suoi denti baluginasse in mezzo alle labbra socchiuse.
Come
facevano ad essere quelli i Guardiani? Gli spiriti maggiori che
avrebbero dovuto essere la protezione ed il sostegno dei bambini di
tutto il mondo? Non riusciva proprio ad accettarlo, né a
capire come avessero fatto a sconfiggere Pitch. Pura fortuna? Un attimo
in cui la dea bendata aveva puntato le sue dita affusolate su di loro
invece che sullo spirito della paura? In verità, visto che
Pitch era tornato non erano riusciti a fare bene nemmeno
quello…
–
Certo che avresti potuto avvisarmi! – abbaiò
Bunnymund, puntando il suo muso spelacchiato contro quello di Halley.
Improvvisamente
sovrastato dall’ombra del coniglio, Halley reclinò
lentamente la testa all’indietro per poterlo guardare negli
occhi. – Ti ho avvisato, mi pare. –
Voce tagliente
e sguardo noncurante furono due cose che Bunnymund non accolse affatto
bene.
– Ho
sempre saputo che né di te, né di quelli della
tua risma ci si poteva fidare! Jack è vivo per miracolo e,
ho il dubbio, nemmeno per merito tuo o della tua gente! –
–
Liberissimo di non fidarti di noi. – rispose Halley,
pacatamente. – E poi ognuno è libero di scegliere
a che cosa credere: se credi che non siamo degni della tua fiducia la
prossima volta non venire qui a chiedere il nostro aiuto. –
Bunnymund non
si lasciò sfuggire quell’occasione troppo ghiotta,
il ragazzo gliel’aveva praticamente servita su un piatto
d’argento e lui era ancora troppo arrabbiato ed umiliato
dall’ultimo fatto per riuscire a mettere un freno alla sua
lingua.
–
Si, siamo liberi di scegliere a che cosa credere. –
ripeté – E nessuno sceglie di credere in te o
nella tua gente. Sanno perfettamente che siete fatti della stessa pasta
di Pitch e dei suoi incub…–
– Aster
Bunnymund!
–
Era stato
North con la sua voce tonante a fermare quella frase prima che venisse
terminata, ma ormai Halley e anche chi stava loro intorno aveva potuto
sentire quanto bastava per trarne le dovute conclusioni.
–
Già. – fece Halley, cercando di controllare il
tremito delle mani; Lumin borbottò minacciosa al suo fianco.
– Nessuno crede a Jack O’Lantern - se non come ad
una leggenda o ad un personaggio magari veramente esistito ma ormai
morto e sepolto, è vero - e nessuno crede alle streghe, agli
orchi, alle zucche parlanti e a molte altre cose che fanno parte del
nostro mondo, però intanto la festa di Halloween esiste e
sono miliardi i bambini che ogni anno partecipano alla fiaccolata che
accompagna i morti dentro alle loro tombe o gli spiriti infestanti
dentro i loro pertugi. Non dimenticarlo, Bunnymund. –
Halley si
avvicinò ulteriormente, gli occhi fiammeggianti di una
rabbia repressa.
– Se
davvero credessero a noi, non ci sarebbe più bisogno di voi.
– sussurrò dentro alle lunghe orecchie
del coniglio – Quindi prega … prega che non
incomincino mai a credere anche minimamente alla nostra esistenza.
–
La velata
minaccia non sfuggì a Bunnymund che ridusse i suoi occhi ad
una fessura.
–
Qui tensione è diventata esagerata come le mutande con
alberelli che ho indosso! – esclamò North
all’improvviso con vigore ed un’allegria fasulli.
– Nessuno voleva dire quello che è stato detto, e
credo che tutti dobbiamo ricominciare daccapo nostra conversazione.
Quindi… davvero sono zucche a fare preparativi per
Halloween? –
Sia Halley che
Bunnymund lo ignorarono, e North abbassò le braccia lungo i
fianchi, sfinito. Riaprì la bocca per cercare di rimettere a
posto le cose per un’ultima volta ma le voci concitate di
alcuni scheletri interruppero il suo tentativo di conciliazione,
nonché le occhiate incendiarie che scorrevano come lava tra
Bunnymund e Halley.
–
Signore O’Lantern! Ci aiuti! I fantasmi! Tutti i fantasmi che
stavano allestendo la Casa Stregata si sono bloccati! Fermati! Perduti!
–
***
Seduta nemmeno
troppo comodamente sulla nuvola dorata di Sandman, Toothiana
guardò sospirando il cielo di fronte a loro: terso e
imbellettato dai primi rossori del sole al tramonto. La sua
preoccupazione era condivisa pienamente dalle sue Dente da Latte che
avevano insistito per accompagnarla nonostante tutte sapessero bene che
il posto in cui stavano andando non era per niente adatto a delle
piccolette come loro.
“Fare
onore alla divisa” era il loro motto, ma quando
c’era di mezzo Halloween, l’unico onore che veniva
in mente a Toothiana era quello conquistato in battaglia a suon di filo
interdentale e di dentifricio alle erbe, usati senza alcuna moderazione
contro il Signore della Carie, Principe della Parodontite e Sciagura
imberbe degli Odontoiatri.
–
Quanto manca ancora, Sandy? –
Sandman
formò sopra la sua testa una clessidra dorata e fece
scorrere la sabbia al suo interno con un sorriso paziente.
Mancava
poco. Finalmente…
Stranamente
taciturna, Candelora non aveva aperto bocca per tutto il viaggio ma - e
di questo Toothy ne era parecchio certa - mano a mano che si
avvicinavano ai cancelli di Sotto Mondo e, di conseguenza, anche a
Bunnymund, la Marmotta acquisiva tonalità che a ben vedere
si sposavano magnificamente con i raggi scarlatti del sole morente.
Ma se
Candelora pensava ad un batuffolo peloso in particolare, Toothy aveva
ben altri batuffoli per la testa, più freddi e decisamente
più fioccanti. Sospirando per l’ennesima volta e
beccandosi l’ennesima occhiata paziente di Sandman,
ritornò a poggiare il suo mento piumato sopra
un’ansa della nuvola, le ali impazienti ripiegate dietro la
sua schiena e le Dente da Latte che le si affollavano intorno.
Quando i
cancelli di ferro battuto di Sotto Mondo, lavorati come solido pizzo
nero, si stagliarono davanti a loro, in una spaccatura della roccia
poco distante da un tetro cimitero, Candelora fu la prima a saltare in
piedi, fischiando tra i suoi enormi denti.
–Ci
siamo! Ci siamo! –
Sandman le
lanciò un’occhiata penetrante, intimandole di
stare tranquilla, ma fu egli stesso a rimanere senza-figure sopra la
sua testa per la sorpresa.
I cancelli
erano piegati su loro stessi con un angolo innaturale, le punte di
alabarda sparse per terra come se ci fosse stato qualche monello che si
fosse divertito a toglierle una ad una, con pazienza certosina,
lasciando come ricordo al loro posto uno sci rotto di una slitta rossa
incastrato in mezzo a due sbarre.
–Jack…–
sussurrò Toothy, facendo fremere le ali dalla paura.
Avevano
ricevuto il messaggio di North attraverso il sistema di connessioni di
Halloween (nella fattispecie fantasmi di piccioni viaggiatori) e non
appena avevano saputo delle condizioni gravi in cui versava Jack Frost
si erano subito mobilitati per raggiungere i loro amici.
Dopo un giorno
di viaggio, molti sospiri e parecchie occhiate pazienti erano
finalmente arrivati.
Si
avvicinarono al cancello circospetti, con docili spirali della
nuvoletta dorata, e lo superarono col cuore in tumulto, il mondo di
Halloween che si spalancava di fronte a loro.
–Il
luogo della perdizione…– mormorò Toothy
a fior di labbra, occhieggiando ogni albero storto e ogni sinuosa curva
di acciottolato nero con ansia crescente. – Statemi vicine,
mie Dente da Latte, qui gli zuccheri tendono agguati dietro ogni angolo
buio. Non si sa mai quando e come ti possono aggredire. –
Le Dente da
Latte si strinsero attorno alla loro fata madre, trillando disperate.
Candelora le
ignorò e seguì con attenzione le manovre con cui
Sandy le portò vicino ad un folto raggruppamento di mostri
di ogni tipo: zombie, streghe, scheletri, zucche e persino qualche
impettito vampiro, tutti stavano sommessamente commentando qualcosa che
sembrava essere accaduto dentro ad una certa Casa Infestata.
Sandman si
avvicinò ulteriormente e i primi paesani cominciarono ad
accorgersi con stupore della loro presenza. Sembrava che troppi fatti
anormali si fossero succeduti in quel luogo, perfino per gente come
loro, abituata alla follia e all’atipico, per non essere
accolti col dovuto sgomento.
Toothy
però non badava a nessuno di loro, concentrando tutto il suo
sguardo su di un unico punto in mezzo alla folla in cui sostavano tre
figure a lei conosciute. North se ne stava in piedi dandole le spalle,
Bunnymund invece era di profilo e in mezzo a loro stava un esile
figura, appena visibile.
–Jack!
– gridò Toothy, sollevata nel vederlo
già in piedi.
Subito
sentì la gioia sprizzarle da ogni poro piumato e senza
aspettare né Candelora, né Sandman - lasciandosi
completamente guidare dalla felicità del momento - si
librò in aria, dirigendosi come una scheggia tra le braccia
di Jack, abbracciandolo forte e posandogli un lungo bacio sulla guancia.
–Oh,
Jack! Sapessi che paura ho avuto! – Poi si rivolse a North e
a Bunnymund, raggiante come se avesse appena visto spuntare il primo
dentino nella bocca di un bambino. –E voi come state?
–
L’espressione
pietrificata che accolse quella domanda la colse impreparata.
–Che
vi succede? – chiese confusa –
Sapevate che stavamo arrivando! –
Fu Bunnymund a
parlare e lo fece indicando con una zampa il ragazzo che stringeva tra
le braccia.
–Hai
preso il Jack sbagliato, Toothy. –
Toothy si
staccò leggermente dal collo del ragazzo, quel tanto che
bastava per guardarlo negli occhi.
Occhi neri come carboni e non azzurri come ghiaccio.
–Non
avrei mai creduto che tu potessi stare così in pena per me
… Toothiana. –
Pura
constatazione impreziosita di stucchevole sarcasmo che grondava da ogni
parola, denso come resina sopra un tronco e dolce come miele: questo
recepì Toothy prima di balzare all’indietro
strillando tutto il suo disgusto.
–TU!!!
Essere spregevole! Abominevole zolletta di zucchero! –
Halley
alzò un fine sopracciglio. –Nessuno è
certamente spregevole quanto me e le mie zollette, ma almeno abbi il
buon senso di non dirlo dopo essermi balzata addosso e avermi baciato
con tanto trasporto. –
–TU!!!
– ripeté Toothy, arrossendo perfino dove le piume
avrebbero dovuto avere una sfumatura smeraldina. – Non ti bacerei nemmeno se tu fossi l'ultimo spirito sulla faccia della terra ed io avessi a disposizione solo te ed una torta allo zucchero filato tra cui scegliere! –
Halley si
concesse un sorriso, anche se nelle sue labbra non c’era
alcun divertimento.
–
Questo mi pare fin troppo chiaro. Ora, se vuoi scusarmi, stiamo
cercando di capire che cosa stia succedendo nei miei domini. –
Toothy
cercò con lo sguardo North e Bunnymund che le risposero con
un’occhiata mesta.
–A
quanto pare Pitch è stato qui. – rivelò
North a mezza voce.
***
Sandman e
Candelora raggiunsero i compagni poco dopo, ma anche loro vennero
accolti con poco entusiasmo. Sandy chiese spiegazioni a North, ma
ottenne solo uno scuotere sconsolato della barba bianca; Candelora
lanciò sfuggevoli occhiate a Bunnymund, nonostante la
serietà di tutti i presenti scoraggiasse simili
comportamenti, e venne ricambiata da una serie di sobbalzi terrificati
ogni volta che i suoi occhi di marmotta incontravano il corpo tatuato
di lui.
Halley si era
staccato dal gruppo e stava esaminando il luogo del misfatto.
Davanti ai
presenti, dondolando a mezz’aria come gusci di noce su acque
leggermente mosse, stavano alcuni fantasmi congelati. Quello che li
bloccava però non sembrava essere il gelo delle nevi quanto
piuttosto una seconda morte, un irrigidimento che li faceva
assomigliare più a solida roccia che non a evanescenti
agglomerati gassosi. Per terra, North e Bunnymud avevano riconosciuto
le stesse scaglie nere che avevano trovato vicino alle macerie della
casa della Befana, le stesse che avevano avvelenato Jack. Per quello
nessuno si avvicinava - a parte Halley che ignorava bellamente ogni
possibile consiglio rivolto alla sua persona - e nessuno si azzardava
ad esprimere ad alta voce i suoi pensieri.
Il sapere che
Pitch Black era stato lì, a pochi passi da loro, sembrava
aver guastato lo spirito a tutti i mostri di Halloween che guardavano
in soggezione il loro Signore in attesa che lui dicesse o facesse
qualcosa.
L’unico
problema era che Halley non sapeva che cosa fare. Aveva rifiutato
l’offerta di Pitch e ora ne stava subendo le
ritorsioni.
Digrignò
i denti, dandosi dello stupido. Se l’Uomo Nero, usando quei
trucchetti, sperava di portarlo dalla sua parte si sbagliava di grosso.
Aveva già ordinato alle sue streghe di trovare il rimedio
per lo stato granitico dei fantasmi, così come avevano fatto
con Jack Frost, e se mai ci fossero stati altri incidenti avrebbe
risolto anche quelli. Halloween era alle porte e lui non avrebbe
permesso a nessuno di guastare gli unici tre giorni di
libertà che la sua gente poteva permettersi
nell’arco di un anno intero.
Mentre stava
rimuginando su cosa dire alla folla che lo guardava, come stordita,
colse un movimento ai lati del suo campo visivo: Cassian, accompagnato
da un Jack Frost molto traballante, costretto ad appoggiarsi al suo
bastone per non cadere, fendette la folla come un certo essere umano
dai poteri biblici.
Non ci fu
bisogno di spiegare niente a nessuno dei due: bastò uno
sguardo ai fantasmi, alle schegge nere sparse in terra e alla folla
silenziosa che come un corteo funebre vegliava la decina di statue
sospese nell’aria, e le molte altre presenti dentro alla Casa
Infestata.
Senza andare
troppo lontani dalla verità si sarebbe potuto dire che
Halley era un tipo dal carattere così solido che avrebbe
potuto sopportare di tutto senza scomporsi. Aveva sopportato lo sguardo
di puro odio che gli aveva rivolto Bunnymund, aveva sopportato la finta
esuberanza di North e aveva accettato con noncuranza la ripugnanza con
cui la Fata dei Denti gli aveva rivolto la parola. Non aveva mai dato
troppa importanza alle opinioni altrui. Così che in molti si
sarebbero potuti chiedere che cosa non riuscì a sopportare
nello sguardo di Cassian e quale sentimento lesse in quello di Jack
Frost che lo fece definitivamente crollare.
Lumin
avvertì quel cambio repentino e si sporse dalla lanterna con
una serie di lingue infuocate, rammaricandosi di non poter stare vicina
al suo Halley così come invece era da sempre stato suo
desiderio.
Sotto gli
sguardi attoniti di tutti, Halley richiamò la sua ruota
infuocata e si diede ad una fulminea fuga.
Non aveva una
metà precisa, sapeva solo di non poter più
restare in quel posto; ovunque ma non lì. E questo
perché si era reso appena conto che, forse, Bunnymund aveva
ragione.
Nessuno
sceglie di credere in te o nella tua gente perché tutti
sanno perfettamente che siete fatti della stessa pasta di Pitch e dei
suoi incubi.
Non aveva mai
dato troppa importanza alle opinioni altrui…
finché le sapeva lontane dalla verità.
Cassian sapeva
che aveva detto di no alle offerte di Pitch, ma allora
perché quello sguardo da “te lo avevo
detto”?
Ho
sempre saputo che né di te, né di quelli della
tua risma ci si poteva fidare!
Chi gioca con
la paura, rischia di rimanere imprigionato
nell’oscurità insieme ad essa. E lui aveva
giocato, gli aveva detto di no e l’oscurità ora si
vendicava sulla sua gente. Sarebbe riuscito veramente a rinnegarla
ancora quando Pitch si fosse presentato la volta successiva per
chiedere il conto?
Sei
un essere spregevole! Abominevole!
Se salvava la
sua gente diventava come tutti già credevano che fosse:
della stessa materia di cui erano fatti gli incubi. Se invece decideva
di dire di no a Pitch, abbandonando la sua gente, li condannava tutti a
una morte ben peggiore.
La differenza
era lui: Jack O’Lantern, l’essere spregevole, il
Signore della Lanterna.
Ma poteva una
singola luce fare la differenza quando ci si trovava nelle tenebre
più fitte?
***
Nessuno
seguì Halley.
La sua fuga
lasciava negli animi qualcosa di troppo simile al torbido retrogusto
del tradimento perché qualcuno della sua gente decidesse di
seguirlo; e per i Guardiani c’erano altri problemi,
più oscuri e più paurosi a cui pensare.
Jack Frost
osservò Cassian con sguardo interrogativo, credendo che
almeno lui l’avrebbe seguito ma il demone non mosse un solo
muscolo. Solo un guizzare degli occhi socchiusi rivelava il tumulto che
stava sconvolgendo il suo animo centenario.
–
Seguilo. – fu la sua neanche tanto velata richiesta.
– Per favore. –
Jack Frost
sorrise: in fondo gli importava, forse gli importava più di
quanto non fosse disposto ad ammettere con sé stesso.
–L’avrei
seguito in ogni caso. –gli rispose prima di richiamare a
sé i venti del grecale e della tramontana, freddi e potenti,
sollevandosi in aria come un singolo granello di polvere.
Lo
cercò a lungo ma come scoprì ben presto Halley
non era soggetto ai vincoli della sua gente e, se lo desiderava, poteva
anche inoltrarsi nel mondo degli esseri umani, persino in notti diverse
da quella di Halloween, di Ognissanti e dei Morti.
Lo
cercò sotto ai ponti, dentro ai cimiteri, dietro gli angoli
bui e sopra i tetti della case, sempre senza risultato. Poi una figura
solitaria in compagnia di un tenue lumino si sporse da dietro un camino
e lo guardò a lungo, prima di tornare ad eclissarsi
nell’alone di oscurità che il comignolo allargava
intorno a sé.
Jack
balzò in quella direzione e atterrando barcollò
lievemente, reduce da quell’intero giorno passato a dormire e
a ristabilirsi dagli effetti delle schegge mortali, non ancora del
tutto padrone dei muscoli del suo corpo.
–
Non credo che scappare sia stata una mossa granché
intelligente. – gli disse, allungando il collo per guardarlo.
Halley non lo ricambiò neppure e il triste lumicino di Lumin
fu l’unica cosa che brillò in risposta al suo
commento.
Jack mosse il
bastone e con leggerezza si sedette al fianco di Halley, incrociando le
gambe.
Da quel punto
si poteva vedere l’intera città e Jack
osservò per qualche secondo le luci delle case, i movimenti
delle ombre all’interno di esse e ascoltò le tenui
conversazioni che avvenivano lontano da loro.
All’improvviso
dentro alla sua testa fioccò un’idea e si
girò sorridendo verso Halley.
–Vieni,
ti devo mostrare una cosa. –
Finalmente
Halley si girò a guardarlo.
–Non
credo di volere la tua compassione. –
Jack
sentì il sorriso abbandonargli le labbra.
–Non
lo sto facendo per compassione. –
–Pietà?
– riprovò Halley, quasi che cambiando definizione
ottenesse in cambio anche una diversa risposta.
–Commiserazione? –
Jack
corrugò la fronte. –Una volta una persona per
niente saggia mi ha detto che dovevo capire qual era il mio Centro.
–
–Una
persona per niente saggia? – ripeté Halley, tanto
per sincerarsi di aver sentito bene. –Quindi mi stai dicendo
che devo trovare un qualcosa che uno stupido ti ha detto di trovare?
Quasi quasi mi domando perché non ti ho mai chiesto prima un
consiglio…–
–Non
ho detto che era stupida. – sottolineò Jack.
–Ho solo detto che ha un modo tutto suo di essere
intelligente. –
Il primo vero
sorriso che Jack gli avesse visto fare comparve sul volto di Halley.
– E quindi tu hai diligentemente trovato il tuo Centro,
proprio come quella persona diversamente intelligente ti aveva detto di
fare? –
–Più
o meno. – confessò Jack, scrollando le spalle.
–Il mio centro era ed è, il divertimento, lo
svago, i giochi e tutto ciò che ad esso è
collegato. –
–Come
lo hai scoperto? – chiese Halley, più
perché Lumin aveva mandato scintille
d’interessamento che non perché si sentisse
personalmente coinvolto nella faccenda.
–Capendo
chi ero, sono riuscito a scoprire chi sono. –
Halley
grugnì, quasi avesse represso a fatica una secca risata.
–Profondo
detto da uno spirito il cui centro è il divertimento.
–
Jack
ridacchiò e mosse le mani sul bastone con insistenza.
–Allora vieni? Si?? Bene, si parte!–
Una folata di
vento gelido sollevò entrambi, prima che Halley potesse
anche solo pensare ad una risposta, e li trascinò lontano,
sul tetto di una casa specifica che Jack ricordava di aver frequentato
con assiduità nemmeno qualche anno prima.
Halley
atterrò malamente sui coppi e la sua mano perse la presa sul
bastone che sosteneva la lanterna di Lumin. Gemendo si
rialzò più in fretta che poté ma Lumin
scomparve oltre la grondaia con un gridolino linguacciuto prima che
potesse riafferrarla.
–Lumin!
– gridò, gettandosi sul bordo del tetto con
slancio angosciato solo per scoprire che la lanterna se ne stava,
tranquilla e pacifica, appoggiata di lato sul davanzale della finestra
sottostante sul quale era caduta.
–Oh…–
fece sbattendo le palpebre di fronte alle vampate rosee di Lumin,
evidentemente lusingata che il suo custode si fosse quasi spaccato due
costole pur di riprenderla per tempo. Esaurito il momento di sorpresa,
Halley rivolse la sua rabbia su Jack. –Ma che ti salta in
mente? –
–Scusa.
– fece Jack, grattandosi la testa. –Ma mi pare che
stia bene, quindi non c’è nessun problema, no?
–
Halley lo
guardò mentre saltava a sua volta sul davanzale e
raddrizzava la lanterna di Lumin, beccandosi una danza frenetica di
infuocato ringraziamento. Halley pensò, prima di poterselo
impedire, che Cassian probabilmente non era l’unico ad avere
un debole per i ragazzi dai capelli bianchi.
–Su
entriamo. – disse Jack, ritornando a rivolgere il suo sguardo
verso l’alto, ad incontrare gli occhi neri di Halley.
–C’è un umano che voglio farti
conoscere. –
Halley stava
per commentare sarcasticamente che non ne aveva la benché
minima intenzione quando la temperatura calò di colpo e si
ritrovò a rabbrividire, scoprendo che non era stato il solo.
Jack si rialzò di scatto e si guardò intorno,
stringendo il bastone tra le sue dita con tale forza da far sbiancare
le nocche.
Riconosceva
quel gelo e quell’oscurità improvvisa, sapeva a
chi apparteneva eppure faticava ad accettarlo.
Un turbine
nero, simile ad un ciclone in miniatura composto di aria
così corposa e voluminosa da sembrare liquido in
ebollizione, si attorcigliò su sé stessa fino ad
andare a comporre i lineamenti pallidi e perfetti di Pitch.
–Spero
di non star interrompendo nulla. Mi dispiacerebbe molto.–
l’Uomo Nero sorrise maliziosamente e poi ritornò
di colpo serio. –No scherzo, non mi dispiacerebbe affatto.
Dunque … Jack, è un piacere rivederti! –
–Pitch! –
ringhiò Jack assumendo all’istante la posizione
d’attacco. Lanciò uno sguardo alle sue spalle per
sincerarsi che Halley stesse bene, ma Pitch riuscì a
prenderlo di sorpresa lo stesso.
–Oh,
non tu Jack Frost. Sto parlando col nostro amico in comune: Jack
O’Lantern… –
Sgranando gli
occhi Jack tornò a guardare Halley, ma scoprì con
ancora maggiore turbamento che il ragazzo non stava affatto guardando
Pitch ma qualcuno alle sue spalle.
–Satia…–
–Halley?
Che hai?–
–Jack…–
sussurrò Halley con un improvviso nodo alla gola.
–Quella è mia sorella. –
***************************************************************************
Eeeeeee meno
male che ho tagliato una parte del finale e soprattutto meno male che
avevo deciso di scrivere poco -.- ed invece, per non una ma
per ben due volte… SBAM! Papiro delle dimensioni di un
rotolo di carta igienica regina: più che lungo, smisurato!
Una montagna di baci a tutti quelli che hanno commentato, vi salut!
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Capitolo 5 *** Nightmare Treat ***
CAPITOLO 5
NIGHTMARE TREAT
I'm
a nightmare, you better run
I'm
back to hunt you down
Halloween,
in the death of the night, hear me scream
I'm
coming, I'm coming
Halloween,
is the fear that I fight in my dream
Keep
running, keep running
Halloween, Aqua
La convinzione
di aver capito male aleggiò sui pensieri di Jack Frost come
una dubbiosa nuvola che nasconda il sole più per dispetto
che per reale volontà. Qualcosa sicuramente doveva essergli
sfuggito perché dubitava che le sue orecchie avessero
compreso appieno ciò che era uscito dalle labbra di Halley.
–Tua
sorella? – ripeté, guardando incredulo prima la
grigia figura, esile e pallida, alle spalle di Pitch e poi lo spirito
di Halloween.
Lumin
scoppiettò preoccupata e lanciò qualche fiammata
d’avvertimento in direzione di Pitch, tanto per fargli capire
che non la intimoriva affatto.
–Satia.
– chiamò Halley, lo sguardo in tralice e perso in
ricordi che solo lui sembrava ricordare, poi gridò
più forte. –Satia! –
La ragazza
alzò lo sguardo e corrugò la fronte, non un solo
segno che anche lei avesse riconosciuto il fratello perduto.
–
Satia, sono io! Sono Jack! – chiamò di nuovo
Halley, la voce che si ostinava a non lasciar andare per sempre
l’ultima scintilla di speranza del suo cuore. –Sono
io, ricordi?! –
Un guizzo
affilò lo sguardo della ragazza ma non una sola emozione
fraterna attraversò i suoi occhi neri che rimasero
impassibili, come se quello su cui stavano vagando fosse solo un
estraneo come tanti altri.
All’improvviso
Pitch scoppiò in una lunga risata che del divertimento non
recava la minima traccia.
–Credo
che questa sia la cosa più stupida, più
divertente ed insieme più pietosa che abbia mai visto in
vita mia! – esclamò quando fu riuscito a calmarsi
almeno in parte. –Satiaa! Satiaa! –
gridò imitando Halley con una vocetta stridula che non gli
apparteneva. –Ma ti senti, Signore di Halloween? –
gli chiese tornando al suo solito tono di voce caldo e suadente
– Sembri un marmocchio che abbia appena perso la strada
nell’oscurità e non riesca a tornare indietro.
–
Halley lo
guardò davvero con uno sguardo perso, da bambino smarrito, e
Pitch non riuscì ad evitare di concedergli un bianco e
smagliante sorriso.
–Non
verrà da te. Lei è mia. Fa quello che le dico io
e mi obbedisce ciecamente. –
–Mia
sorella non farebbe mai una cosa simile! –
s’infervorò Halley, sempre più fuori di
sé, non riuscendo nemmeno a controllare la valanga di
emozioni che si era schiantata contro la misera diga del suo
autocontrollo. –Mia sorella è una persona buona!
Lei fa i dolci ai bambini! Lei si preoccupa delle persone anziane!
Porta fiori e frutta fresca sulle tombe dei morti, pregando per loro!
Lei non potrà mai essere una tua alleata! Diglielo Satia!
Digli che non è come dice lui! –
Qualcosa
luccicò nello sguardo di Satia ma nessun muscolo della sua
faccia si mosse. Lei rimaneva impassibile, quasi che fosse davvero
succube del signore degli incubi e della sua paura.
Jack Frost
registrò solo una parte delle parole di Halley.
Fiori
e frutta fresca sulle tombe dei morti.
Alla sua mente
ritornarono lo strano odore che aveva sentito poco prima di cadere
avvelenato per colpa delle schegge di Pitch: agrumi… un
aroma di arance e limoni.
Schegge di
Petra Mors, la pietra che si usa a Sotto Mondo per sigillare per
l’eternità gli spiriti infernali. La comprensione
arrivò all’improvviso, fulminea come una saetta,
ma inesorabilmente tardiva.
Si era
sbagliato. Non erano dell’Uomo Nero quelle schegge di morte.
Mia
sorella è una persona buona.
Forse una
volta sua sorella era diversa, forse una volta lo era stata davvero una
brava persona. Ma ora non lo era più, perché era
lei che aveva…
–Satia!–
pregò Halley un’ultima volta, sperando, credendo
fermamente che sua sorella si sarebbe risvegliata da un momento
all’altro e sarebbe corsa ad abbracciarlo, come faceva ogni
volta, come aveva sempre fatto.
Nessuna
reazione e nessuna emozione, però, sembrò animare
il corpo o l’anima della ragazza.
Halley
sentì la sua sicurezza venire calpestata come una lucciola
sul prato, oppressa fino a quando anche l’ultima scintilla di
luce non scompariva senza lasciare traccia.
Non poteva
essere lei.
Capelli
neri e lucidi che s’agitavano nel vento, in mezzo ad un prato
fiorito. Voci giocose che lo chiamavano e il volto sorridente di una
ragazza che gli porgeva una fetta di crostata di mele ancora calda,
appena sfornata. Lui e sua sorella di fronte alla tomba dei loro
genitori, lei che ogni anno portava alla loro memoria una fetta di
quella crostata e dei freschi fiori d’arancio per addolcire
la fredda, cruda terra.
Pitch si
ravviò i capelli come se non sapesse che farsene delle mani
e stesse gingillandosi con un passatempo che aveva perso ormai da tempo
tutta la sua attrattiva.
–Allora
Halloween? Hai finalmente capito da quale parte schierarti in questa
guerra tra spiriti? Hai capito a chi ti conviene donare la tua
fedeltà? –
La
pietra nera della lapide su cui erano incisi i nomi di mamma e
papà. Una pietra simile a quella che giaceva sotto ai
fantasmi pietrificati nella Casa Infestata. L’odore di agrumi
nell’aria…
Il
caldo sorriso che lo accoglieva ogni volta che tornava dalla miniera,
sporco di carbone e con la fronte solcata dai rivoli di sudore. Non
importava quanto piccolo eri, nelle miniere c’era sempre
posto. La costituzione minuta di un bambino permetteva di arrivare dove
un uomo adulto non sarebbe mai arrivato. Anche da ragazzo nulla era
cambiato. La miniera aveva sempre posti liberi.
–Non
ho tutto il giorno… o tutta la notte se vogliamo essere
precisi. Fai la tua scelta, piccolo spiritello, e vedi che sia la
scelta giusta. – ingiunse Pitch affilando lo sguardo, mentre
attorno a lui le ombre ribollivano di soffusa minaccia –
Altrimenti ti riserverò la stessa fine che ho riservato a
quegli altri stolti dei tuoi simili. –
Halley
improvvisamente capì ciò che l’Uomo
Nero gli stava dicendo in modo velato. Capì la sottile
ragnatela che gli aveva intessuto intorno senza che lui se ne
accorgesse. Ora sapeva che cosa possedeva di cosi importante, di
così prezioso; talmente caro al suo cuore da renderlo
incapace di rifiutare la sua offerta.
Un sentimento
di sconfitta gli incatenò la mente: non era mai stato in suo
potere cambiare le sorti della sua gente, non era mai stato lui a poter
fare la differenza. Era sempre stato Pitch, lui e soltanto lui, a poter
decidere.
Pitch Black lo
aveva sempre saputo. Perfidia che non perdona, malizia che non
dimentica e paura che non lascia sopravvissuti dove passa il suo manto
di distruzione.
Mani
calde che lo stringevano consolandolo. Nulla è per sempre,
diceva una voce serena e tranquillizzante al suo orecchio. Solo
l’amore è per sempre. E io sarò sempre
con te, anche quando non ci sarò più.
La
malattia che non perdona, che non distingue tra buoni e cattivi, aveva
deciso di prendere lei. Perché proprio lei?
Ricorda.
È per sempre.
Halley
rialzò lo sguardo su Satia, senza riuscire a ricordarsi
quando lo avesse abbassato.
–Avevi
detto che era per sempre! –
La sua voce
era spezzata e qualcosa di caldo gli inumidiva le guance. Si
ripulì le lacrime con furia, quasi strappandosele dagli
occhi.
–AVEVI
DETTO CHE ERA PER SEMPRE!!! –
Pitch
serrò la mascella.
–Risposta
sbagliata, Halloween. –
A differenza
di Halley, Jack Frost notò il movimento delle ombre,
scalpitanti come cavalli imbizzarriti, e vide il polso di Pitch Black
tendersi per evocare la sua falce d’ombra. Poi, prima che
tutto diventasse confusione e caos perpetrato dalla battaglia in atto,
vide il manto nero di Satia inspessirsi e un bastone adunco, da
traghettatrice, comparire nella sua mano minuta e pallida.
Balzò
sulla cima del tetto per proteggere Halley, ancora privo della sua
lanterna e dell’arma fiammeggiante di nome Lumin che essa
conteneva, e fu allora che sentì la voce distaccata,
assente, quasi vuota di una ragazza che gli sibilava
all’orecchio.
–Nulla
è per sempre.
Tranne la
morte. –
***
Candelora
stava fissando Bunnymund.
Fin qui niente
di strano visto che Candelora fissava sempre Bunnymund quando ne aveva
l’occasione.
Il dettaglio
che faceva presagire qualcosa di diverso, nonché di
potenzialmente pericoloso, era che Bunnymund teneva gli occhi chiusi, e
stava approfittando di quel momento di pace per schiacciare un pisolino
ristoratore.
Dopo
l’avvelenamento di Jack, Bunnymund non aveva chiuso occhio
per due notti di fila ed era riuscito a rilassarsi per davvero solo
quando aveva ricevuto la notizia che il ragazzo stava bene, oltre ad
averlo visto con i proprio occhi mentre li raggiungeva alla Casa
Infestata.
Fischiando in
mezzo ai dentoni sporgenti, Candelora si chinò ulteriormente
sopra il suo muscoloso coniglietto e arrossì fino alla punta
delle orecchie, bloccandosi.
–Non
posso farcela. Non posso farcela. – bisbigliò
mettendosi le mani sul volto e iniziando a borbottare tra sé
e sé rapide frasi, tutte sconnesse tra loro,
sull’essere un’incapace, una pusillanime e una
marmottina senza la benché minima briciola di coraggio.
Poi tolse le
mani e ritornò a guardare Bunnymund. Un respiro
più profondo degli altri la informò che lui stava
ancora dormendo tranquillamente, senza sospettare nulla.
Direttamente
dalle labbra dei mostri di Halloween, Nicholas St. North aveva sentito
alcune brutte voci che intessevano i racconti della scomparsa di
svariati spiriti negli ultimi tempi. I più informati tra le
schiere dei demoni avevano la ben nota abitudine di bazzicare le
bettole più infamanti e i luoghi più oscuri di
Sotto Mondo, così North aveva deciso di andare insieme a
Sandman a verificare la veridicità di quelle voci.
In attesa del
loro ritorno, Toothy si era data a delle suggestive lezioni
sull’uso del filo interdentale e degli effetti benefici del
fluoro sui denti, esposte ad un basito pubblico di zombie e di lupi
mannari che la seguivano sempre più impressionati dai suoi
consigli.
Candelora
invece si era data ad attività ben più
impegnative e di ben più alte prospettive: riuscire a
baciare Bunnymund.
Ritornò
col pensiero al Guardiano Addormentato che le stava di fronte e si
convinse che quella volta, sarebbe stata La
Volta.
Assolutamente decisa a non lasciarsi sconfiggere dalle sue paure, si
piegò su Bunnymund e poco per volta arcuò le
labbra a simulare un bacio a distanza.
“Ecco.
Non è difficile. Ora basta scendere mantenendo questa
posizione.”
Iniziò
a scendere mantenendo i muscoli della bocca rigidi e serrati, poi
fiduciosa sfiorò il labbro superiore di Bunnymund.
L’emozione
fu troppa e la testa iniziò a girarle, ma sapeva che non
poteva demordere. Doveva riuscire a trasformare il suo quasi bacio in
una bacio vero e proprio, anche per rendere giustizia a tutti i
quasi-baci che l’avevano preceduto.
Raccolse tutte
le energie che le erano rimaste e posò finalmente le sue
labbra su quelle di Bunnymund, o meglio… posò i
suoi denti sul labbro inferiore di Bunnymund.
Candelora
chiuse gli occhi e il coniglietto pasquale scelse proprio quel delicato
momento per svegliarsi.
***
Vorticando la
falce sopra la sua testa, Pitch Black abbatté tutta la sua
forza contro Jack Frost che piombò al suolo trascinando con
sé nella rovinosa caduta pure Halley.
Osservando
quella scena con la stessa emozione con cui una statua ricambia un
abbraccio, Satia seguì i movimenti rapidi e cristallini con
cui Jack si rialzò e sottrasse Halley all’ennesimo
attacco. Il ragazzo dai capelli fuligginosi non sembrava in grado di
reagire: ogni sua resistenza era stata spezzata sul nascere con una
violenza e una brutalità da cui era difficile, quasi
impossibile, riprendersi.
Eppure Satia
sopprimeva le emozioni che scalpitavano dentro di lei, più
furiose persino degli incubi di Pitch, con una forza che nessuno le
avrebbe attribuito. Doveva trattenersi perché non poteva
permettersi di mandare tutto all’aria proprio adesso. Proprio
non poteva…
Halley doveva
unirsi a Pitch, poi tutto gli sarebbe diventato più chiaro:
ne era certa.
All’improvviso
i suoi occhi grigi notarono il bagliore della lanterna - ancora
abbandonata sul davanzale della finestra - che le lanciava sguardi
occhieggianti di sfida.
Satia le si
avvicinò cavalcando i ribollenti spiriti neri e
lasciò che questi ultimi si insinuassero nelle case della
via, seminando la paura e l’oscurità in ogni
stanza, in ogni letto, in ogni anfratto che riuscirono a trovare.
–Tu
sei la lanterna di Halloween? – chiese con voce incolore.
La sua domanda
fu accolta con calore; nel senso che Lumin avvampò
ulteriormente - lambendo la superficie annerita della lanterna - e
agitò due lingue infuocate con fare minaccioso.
–Immagino
di si. – si rispose da sola Satia. –Lui deve diventare nostro
alleato. Mi dispiace che le cose stiano così, ma lui non
può evitarlo. Manca poco ad Halloween e al completamento del
nostro piano. Manca così poco…–
Le ultime
parole non sembravano riferirsi né alla
festività, né al successo dei loro propositi,
quanto a qualcosa che Satia stessa stentava a ricordare. Lumin
sputò una corposa fiammata come risposta alle sue
argomentazioni e lo sguardo della ragazza si adombrò.
–Non
dovresti fare così. Tutto ciò che faccio
è solo per il bene di …– si morse con
forza la lingua prima che essa rischiasse di rivelare troppo.
Non
poteva dirlo. Non poteva. Mantenere la promessa, ecco quello che doveva
fare. Tutto il resto era secondario. Tutto il resto sarebbe andato a
posto da solo. Doveva solo fare la sua parte, poi tutto sarebbe andato
per il meglio.
Satia
alzò lo sguardo verso la battaglia. Senza Halley a
manovrarla, Lumin era una semplice fiamma dentro ad una lanterna;
così come il bastone di Jack Frost, senza il suo guardiano
era solo un mero bastone.
–Piccola
fiammella. – disse Satia con voce dolce, quasi stesse dando
la buonanotte ad un bambino piccolo. –È ora di
dormire. Il sonno più dolce di tutti prima o poi raggiunge
ognuno di noi. –
Lumin si
contorse e iniziò a mandare un fumo nero, denso e malsano,
da tutte le sue fiamme, ora sottili e aranciate. Nonostante fosse
distante da lei, Jack O’Lantern lanciò un alto
grido, come se lo avessero colpito in un modo troppo doloroso per
essere descritto, un dolore che non colpiva al corpo ma
all’anima.
Rapido di
riflessi, Jack Frost creò una barriera di ghiaccio intorno
al ragazzo, ma prima di poterlo soccorrere Pitch Black si
materializzò di fronte a lui come una nera nuvola e lo
incalzò con nuovi attacchi. Jack non ebbe altra scelta se
non quella di rispondere a quell’offensiva, lasciando Halley
momentaneamente al sicuro, ma in totale balia del suo dolore.
Ridotta ad
piccolo grumo di braci rossastre ancora palpitanti, Lumin
lanciò uno sguardo preoccupato al suo custode e poi uno
carico d’odio a Satia . Quello sguardo, anche se non
suscitò nessun cambiamento sui tratti del volto a cui
apparteneva, ferì la ragazza. La sua mano cedette proprio
all’ultimo e Lumin rimase cenere sbuffante tra cui fredde e
lucide scaglie di pietra nera scavavano a fondo negli ultimi rimasugli
di vita.
Satia la
lasciò per librarsi fino al corpo senza sensi di Halley.
Era nascosto
dietro una pesante cupola di ghiaccio, le mani strette al cuore e le
gambe rannicchiate vicino al corpo. Non si muoveva, ma Satia poteva
percepire la vita dentro di lui, agitarsi strenuamente come la
fiammella che aveva appena ridotto in fin di vita.
Promesse
non mantenute mentre era in vita…
–Halley?
– chiamò appoggiando le sue dita sottili sulla
gelida superficie della cupola. –Halley, ti prego…
–
…che
ora si ritorcevano su di lei nella morte…
– So
che non puoi sentirmi, ma ti prego di perdonarmi. –
…e
quella promessa che avrebbe voluto mantenere …
–Ti
devo portare via con me. –
…
ma che le era sfuggita di mano, senza che riuscisse a trattenerla.
La sua mano
iniziò a perforare il ghiaccio, fondendolo come se i suoi
polpastrelli fossero bollenti invece che gelidi. Un alone giallognolo
si allargò sul ghiaccio; piccole crepe si allargarono come
la chioma di un albero senza foglie intorno alle sue dita, minando la
solidità dello scudo.
Tutto quello
per un patto fatto con il signore degli incubi. Patto che non era
nemmeno sicura che venisse rispettato, una volta che lei avesse
adempiuto alla sua parte.
Ma che altra
scelta aveva?
Non
c’erano scelte con Pitch Black, niente bivii… solo
strade diritte. L’unica speranza era trovare in fondo a
quella strada ciò che lui ti aveva promesso.
***
Jack Frost
vide con la coda dell’occhio la cinerea figura di Satia
avvicinarsi alla cupola che proteggeva Halley. Avrebbe dovuto fare
qualcosa ma Pitch non glielo avrebbe mai permesso.
–Jack…–
rise Pitch, questa volta rivolgendosi chiaramente a lui e non ad
Halley. –Davvero stai combattendo per salvare Halloween?
–
Un fendente
più possente degli altri fece tremare la presa delle dita di
Jack attorno al bastone. Subito lui la rinsaldò e
sferzò col suo duro ghiaccio la lama di Pitch, congelandola.
–Sei
sicuro che ne valga la pena? – sibilò Pitch
allontanandosi quel tanto che bastava per sciogliere il ghiaccio sulla
sua lama e tornare, poi, all’attacco. – Sei
così certo che lui non vi tradirà non appena ne
avrà l’occasione? –
A Jack, Halley
ricordava troppo il sé stesso del passato per poterlo
abbandonare; quando ancora non sapevano se fidarsi o meno di lui, gli
altri Guardiani nel momento del bisogno non gli avevano creduto. Aveva
sbagliato a non tornare nella tana di Bunnymund subito dopo aver messo
a dormire Sophie, ma non si era mai alleato con Pitch al contrario di
quello che tutti erano stati subito pronti a credere.
Lui non
avrebbe fatto quello sbaglio con Halley.
–Si,
mi fido di lui. – rispose, stringendo il bastone e deviando
con determinazione la lama d’incubo di Pitch. –Lui
non è come te! –
–Quanta
devozione per qualcuno che non ti deve nulla, Frost. –
Pitch
accumulò nel suo pugno destro una nera condensa collosa e
sferrò tramite quella un colpo diretto alla mascella di
Jack, senza stupirsi quando quest’ultimo venne evitato con
facilità.
Lo aveva
previsto. Lo aveva previsto e aveva atteso con pazienza il manifestarsi
di un’apertura nella difesa dell’avversario.
Con un
montante colpì Jack in mezzo all’addome,
utilizzando il retro della sua falce, e concluse con un diretto che
spedì il ragazzo direttamente in mezzo all’asfalto
della strada sottostante.
–Le
emozioni come l’altruismo e la generosità, rendono
deboli, Jack. – disse smaterializzandosi e ricomparendo sopra
il corpo del suo rivale. –Spero che tu te ne sia reso conto.
–
Jack non vide
Pitch incombere su di lui, sentì solo il peso di quella nera
figura schiacciarlo, premerlo contro la dura strada ed occludergli ogni
possibilità di fuga.
–È
la paura a rendere deboli. – ribatté Jack,
praticamente in faccia a Pitch. I loro volti si sfioravano, pallido e
gelido il suo, oscuro e spigoloso quello dell’Uomo Nero.
–E
tu hai paura Jack Frost… – sussurrò
Pitch, soffiandogli nelle orecchie, insinuando quella realtà
dentro la morbida seta dei suoi capelli di neve. –Lo sento.
–
–Si,
ho paura… – ammise Jack, cercando di far leva sui
muscoli della schiena ma venendo prontamente risbattuto a terra da un
divertito Pitch Black, la cui esultanza sul volto era fin troppo palese.
–
…ma non di te. – concluse.
–E
di cosa se non di me? – volle sapere Pitch, lasciando che le
sue ombre si unissero a quella naturale di Jack, costretta a giacere
prepotentemente sull’asfalto come il suo padrone.
–Ho
paura di perdere le persone a me care, ho paura di deludere quelli che
credono in me e ho paura di …–
–Onorevole,
Jack. Davvero onorevole. – lo sfotté Picth,
iniziando a far entrare le sue ombre a contatto con la pelle di Jack,
vezzeggiando quella superficie liscia e immacolata.
Il ragazzo
rabbrividì a quel contatto così intimo, ma
continuò imperterrito: –Solo la paura in
sé è pericolosa, ma la paura per qualcosa o per
qualcuno…
è uno dei sentimenti più alti che ci possano
essere. Vuol dire che ci tieni, che ti preoccupi, che non vuoi che
quella persona soffra. –
Pitch si
lasciò andare ad una risata limpida e cristallina e Jack
poté sentire l’alito fresco accarezzargli il volto
e il collo.
–Io
mi preoccupo solo di me stesso. – rivelò Pitch.
–Ma stando alla tua spiegazione, anche il mio è un
sentimento buono, un sentimento d’amore, quasi.
Amore per me
stesso. –
Le ultime
quattro parole vennero scandite ad un soffio dalle labbra di Jack, e le
ombre non si limitarono a danzare sulla sua pelle, ma si insinuarono
oltre i vestiti, percorrendolo tutto e esplorandolo in modo subdolo.
Jack
serrò la mascella e attraverso le fessure dei suoi occhi -
ghiaccio infuocato e fiamma gelida dell’inverno, sguardo duro
e fragile quanto un diamante - colse un movimento oltre le spalle di
Pitch Black.
Era grigio,
indistinto, molto grande. Subito pensò a Satia – e
ad Halley che forse era riuscita a rapire per condurlo con lei nei
mondi dell’Incubo – ma poi dovette ricredersi.
Decisi colpi
rossi si univano al grigiore e lampi verde smeraldo baluginavo alle
estremità unite a dorate architetture dalle forme
più fantasiose.
Pitch
scrutò lo sguardo di Jack e ne seguì il filo fin
oltre alla sua spalla. –Vedo che la cavalleria Natalifatata
sta infine arrivando. – Alzò la testa, pur senza
mollare la presa sul suo acerrimo rivale, e urlò a Satia.
–Pensaci tu, mia diletta! Io qui me la sto godendo troppo per
abbandonare il campo per colpa di qualche stupida intrusione.
–
Con una
sfuggevole espressione di disappunto che venne subito mascherata da una
facciata vacua e distante, Satia abbandonò la mano al suo
fianco e fece come le era stato ordinato. In quell’attimo
Jack, riuscì a ruotare la testa e vide che la sua cupola
aveva quasi del tutto ceduto ma non si era rotta; Halley era ancora
dentro, al sicuro.
Il cielo
all’improvviso si oscurò, facendo impallidire
perfino la notte più buia con le sue tenebre. Jack
sentì una paura genuina attanagliargli lo stomaco. Era una
paura profonda ed ancestrale, forse l’unica vera paura che
coglieva chiunque ad un certo punto della sua vita: la paura di morire.
–Perché
in fondo ciò che meglio si sposa con
l’oscurità non è il freddo, ma la morte. –
rifletté Pitch in un lieve sussurro, come se stesse
completando una frase che per lungo tempo aveva dominato i suoi
pensieri o come se stesse rispondendo ad una muta domanda di Jack.
–Credo
di averlo capito solo ora, Jack. Tu sei ciò che precede
l’oscurità, non ciò che la conclude e
la completa. –
Jack trattenne
il respiro e Pitch si sporse in avanti - capelli neri sopra capelli
bianchi, malizia sopra candore - e si poté udire lo
scricchiolio di alcune ossa.
–Non
riuscirai ad averla vinta! – ringhiò Jack,
ribellandosi a quella stretta micidiale, nonostante le ombre di Pitch
avessero ormai risalito tutto il suo corpo, arrivando a solleticargli
la gola con mortale dolcezza.
–Oh,
ma Jack! – rise Pitch come se avesse appena udito una
deliziosa battuta. –Ma io ho già ottenuto quello
per cui ero venuto! –
–Stai
mentendo. –
–Io
ho già vinto. –
Jack
cercò la menzogna negli occhi dell’Uomo Nero,
frugò quegli abissi di madreperla screziati
dell’oro più puro, rischiando di perdersi nella
loro furbizia senza però arrivare a trovare ciò
di cui andava in cerca.
Ed era questo
quello che Pitch voleva. Una volta ottenuta anche quella piccola
soddisfazione personale non ebbe più motivo di rimanere. Uno
dei suoi incubi lo avvinse dentro alle sue spire e sfilò
dall’interno del suo manto la sfera cristallina di North.
–Ricorda
Jack. Fidarti degli altri sarà la tua rovina. –
Con quelle
parole Pitch Black si accomiatò, portando con sé
anche le ombre evocate da Satia e la morte stessa.
***
Jack
lasciò che il sollievo di poter di nuovo respirare
liberamente si facesse strada dentro di lui.
Non seppe dire
quanto tempo fosse passato nell’attimo in cui
sentì delle forti braccia che lo sollevavano da terra con
rudezza. North lo guardò preoccupato ma Jack non
riuscì nemmeno ad ascoltare quello che usciva dalla labbra
di lui, provando solo una profonda confusione.
I Guardiani
stavano discutendo di come fosse possibile che quella strana donna
fosse sfuggita senza lasciare traccia, proprio di fronte a loro, e
soprattutto discutevano del perché Halley non avesse mosso
un solo dito per aiutare Jack.
–Ti
ha lasciato da solo a combattere Pitch! – esclamò
Bunnymund, livido in volto.
–Non
è così. – tentò Jack
–Lui…–
–Cosa
è successo? Tu racconta noi! – esclamò
North, altrettanto turbato. –Ora! –
Jack si rese
conto che erano stati tutti in pena per lui, si erano preoccupati e
vederlo in quelle condizioni, sovrastato dagli incubi ed in completa
balia di Pitch, doveva solo aver peggiorato i loro stati
d’animo.
Così,
mentre Sandman andava a portare soccorso anche ad Halley, Jack
raccontò brevemente come si erano svolti i fatti
–Dunque
è andata proprio così?
– richiese North alla fine, quasi a sincerarsi che Jack non
avesse omesso volutamente qualche dettaglio di sottile importanza.
–Si.
– ribadì Jack, iniziando a sentirsi stanco.
–Parola per parola. –
Toothy,
allontanatasi solo per un istante, ritornò riportando tra le
mani la lanterna e le grigie ceneri che essa conteneva.
L’espressione mesta che portava in volto era più
che sufficiente. L’appoggiò con cura vicino ad
Halley, disteso sulla nuvola dorata di Sandy, e per una volta non disse
niente che riguardasse ricorrenze e festività troppo
zuccherose per i suoi gusti.
Nemmeno
Bunnymund aprì bocca, eppure la postura rigida delle spalle
e la ruga di concentrazione in mezzo alla fronte tatuata erano
più che sufficienti per capire su cosa vertessero i suoi
pensieri.
North si
scambiò uno sguardo pieno si sottintesi con Sandy e
sospirò.
Jack si
accorse solo allora, e con somma incredulità, che i
Guardiani non sapevano come comportarsi o cosa dovevano pensare di
preciso … perché nessuno di loro si fidava ancora
di Halley. La loro diffidenza sembrava essersi addirittura accentuata
da quando aveva sentito che la donna bigia, Satia, era la sorella di
Halley.
Vedendo la
divisione, la diffidenza, il dolore e la frustrazione dei Guardiani,
nella mente di Jack aleggiarono le ultime parole di Pitch.
Io
ho già ottenuto quello per cui ero venuto.
Li aveva
divisi. Li aveva portati a sospettare di qualcuno che poteva e doveva
essere loro alleato.
Li aveva
ingannati fin dall’inizio.
Io
ho già vinto.
La risata di
Pitch, sfaccettata in mille echi, riverberò dentro alla sua
testa, assordandolo.
Subito si
premette le mani contro le orecchie cercando di farla smettere,
cercando di porre fine a quella tortura, ma quella risata non si
spense.
Continuò
ancora.
E ancora.
Io
ho già vinto.
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Capitolo 6 *** Deadly whispers under the moonlight ***
CAPITOLO
6
DEADLY WHISPERS UNDER THE MOONLIGHT
Of
all the wonders that I yet have heard
It
seems to me most strange that man should fear;
Seeing
that death, a necessary end,
Will
come when it will come.
Death, William Shakespeare
A Sotto Mondo non si era mai vista un’espressione
tanto amareggiata quanto quella che, in quel momento, stava infierendo sui lineamenti
altrimenti perfetti di Cassian.
–
Tra un giorno è Halloween. –
Una snella
figura annuì senza guardarlo, continuando a guardare fuori
dalla finestra qualcosa di invisibile voltandogli le spalle.
–
Tra poco più di ventiquattr’ore sarà
Halloween. – ripeté Cassian, la cui rituale
compostezza minacciava di abbandonarlo da un momento
all’altro.
La figura
questa volta non mosse nemmeno la testa.
–
Halley spogliati qui e subito, e poi baciami!! –
La risposta a
quella domanda fu così effimera che nessuno si sarebbe
tradito dicendo che, forse, non c’era nemmeno stata.
–
Mio Halley! – esalò Cassian sull’orlo di
una crisi di nervi. – Non fissare l’aria!!!
–
Questa volta
Halley si girò e lo guardò corrugando la fronte,
riccioli di capelli nerissimi caddero a coprirgli gli occhi vacui.
– Scusa, hai detto qualcosa? –
Cassian si
morse la lingua per evitare di inveire molto coloritamente.
Da quando era
tornato Halley non era stato più lo stesso. Si era fatto
spiegare nei dettagli che cosa era accaduto da un esausto Jack Frost ed
era riuscito a capire solo in parte quali pensieri ed emozioni potevano
agitarsi dentro alla testa del suo Signore.
– I
cancelli si apriranno all'alba. – mormorò
andandogli vicino e sfiorandogli una spalla per attirare la sua
attenzione. – Dovresti unirti ai festeggiamenti e non
startene qui da solo a rimuginare. –
Fuori, in
effetti, si potevano udire senza alcuna difficoltà i lamenti
dei mostri e gli strilli acuti delle streghe, solo in parte smorzati
dalla consapevolezza che la Casa Infestata era ancora silenziosa come
una tomba. I tonfi echeggianti delle zucche si univano ai passi
strascicati degli zombie; mentre i tamburi rollavano senza sosta
accanto a focolari accesi un po' ovunque, quasi a casaccio, dai
paesani.
I fuochi
fatui, impalpabili lune azzurre contro il cielo bluastro, volteggiavano al lento ritmo di una silenziosa danza, lasciandosi
trasportare mollemente dalla calda brezza che spirava tra le vie
affollate.
– Il
tuo è un buon consiglio. – fece Halley, monocorde.
– Perché non lo segui tu stesso? –
Era un invito
ad andarsene.
Le ombre che
sembravano aleggiare in quella stanza si incupirono quando Halley
ritornò a fissare un punto indeterminato oltre l'orizzonte,
dando il chiaro segnale che per lui la conversazione era conclusa.
Cassian,
però, ritentò con dolcezza.
–
Credo che quest'anno le streghe si siano impegnate più del
solito. Molti mostri giurano di aver provato liquori mortalmente buoni.–
Il silenzio si
allargò come una patina sottile, pronta a spezzarsi da un
momento all'altro. Le fibre però parvero resistere anche
oltre lo stremo, lasciando tra di loro solo la tensione feroce di due
volontà che non intendono retrocedere nemmeno di un millimetro
sulle loro decisioni.
–
Davvero…? – chiese Halley, la voce calma che
annunciava tempesta. – Vammi a prendere uno di questi
favolosi liquori allora. –
–
Non faresti prima venendo con me? – tentò Cassian.
– C'è ne sono molti tipi e non vorrei prenderne
uno che non sia di tuo gradimento. –
Gli occhi neri
di Halley vibrarono, braci non del tutto sopite che minacciavano di
risvegliarsi se non lasciate in pace.
–
Cassian. –
Una parola, un avvertimento.
Chiudendo
lentamente le mani a pugno, serrando la stoffa candida della camicia di
Halley dentro alla sua stretta disperata, Cassian sussurrò:
– Non farlo. –
Sapeva cosa
sarebbe successo non appena fosse uscito da quella stanza, chiudendosi
fuori dal mondo di Halley e dalle sue paure; sapeva che non appena gli
avesse voltato le spalle, l'unico filo che ancora tratteneva Jack
O'Lantern nel loro mondo si sarebbe spezzato…
…
per sempre.
–
Halley non... –
– Mi
pare di averti fatto una richiesta. –
Non
una domanda, ma un ordine.
Le dita di
Cassian persero la presa sulla stoffa e il braccio gli ricadde lungo il
fianco.
– Se
è questo quello che desideri. –
–
Si. – annuì Halley, irrigidendosi. –
È quello che desidero. –
Nessuno stava
più parlando dei liquori.
Chinando il
capo suo malgrado, Cassian uscì dalla porta e non appena
sentì il clangore del gancio che richiudeva l'uscio alle sue
spalle, i suoi sensi sviluppati captarono un movimento all'interno
della stanza. Poi più nulla.
–
Spero che non te ne pentirai, Halley. – sussurrò a
fior di labbra, senza riuscire a staccarsi da quella porta; quasi che
allontanandosi da quel freddo legno non potesse più
continuare ad ingannare sé stesso.
Si
appoggiò alla parete e rimase lì, il braccio
alzato sul volto e ripiegato sugli occhi a nascondere la sua
espressione di puro dolore, incapace di andare avanti e pure di tornare
indietro.
***
Toothiana
lasciò riposare per qualche attimo le sue ali, muovendole
con circospezione come si è soliti fare con una spalla
indolenzita.
–
Cosa facciamo ora? – chiese avvilita, – Le grotte
nere di Pitch erano vuote, il passaggio sotto al letto abbandonato da
tempo: non abbiamo più piste da seguire…
–
Quella
verità venne seguita da un silenzio unanime. Perfino Jack
Frost rimase in silenzio, in disparte, senza alcuna idea su quale
sarebbe dovuta essere la loro mossa successiva.
–
Non li troviamo perché usano la sfera di North per
spostarsi. – spiegò Bunnymund, limitandosi a
sottolineare ciò che ormai era diventato ovvio a tutti.
Candelora però annuì, fissandolo con fervente
ammirazione come se solo lui avesse potuto cogliere il punto della
situazione in modo così perspicace.
Non appena si
accorse di quel fatto, Bunnymund si ritrasse inconsciamente. Le sue
labbra recavano ancora un taglio netto, li dove i denti della
sciagurata si erano posati in quell'angoscioso bacio, e la ferita gli
bruciava tutt'ora con fastidiosa insistenza.
Con
espressione colma di dolore, Sandman formò alcune forme dai
lineamenti agitati sopra la sua testa e le indicò con
entrambi gli indici. Figure minute ed alate scomparvero nel pulviscolo
screziato insieme a bambinetti dal floscio cappello a punta.
–
Sandy ha ragione. – commentò North,
compito. – Sono spariti anche folletti del pane e fatine
delle foglie d'autunno: chi farà lievitare pagnotte ora? E
autunno scomparso definitivamente! –
–
Finora sono scomparsi…– fece Bunnymund contando
sulle zampe senza alcuna allegria. – … la Befana,
Capodanno, Ferragosto, Wookey Hole, Giovedì Grasso, May
Queen, Cupid Valentine, Marabbecca, i Folletti del Pane, il Leprecauno,
buona parte delle Corn Dolly e le fatine delle foglie...–
Sandy si
incupì ancora di più e nemmeno una figura dorata
apparve sopra la sua testa china.
Jack
contemplò i Guardiani capendo che Pitch, infido come un
serpente, aveva svelato la sua presenza solo quando era stato troppo
tardi per reagire, troppo tardi per sfuggire al letale veleno che aveva
iniettato loro insieme alle sue ombre.
"Io
ho già vinto."
Jack si
rifiutò di credere che fosse possibile: non poteva finire a
quel modo.
–
Dovremo chiamare a raccolta tutti gli spiriti minori rimasti ancora in
vita. –
Era stata
Toothy a parlare e tutti si voltarono verso di lei, increduli.
– Ma
come vuoi che li chiamiamo? – ribatté Bunnymund,
da sempre quello più pragmatico. – Non sono tenuti
a rispondere all'Aurora Boreale e la maggior parte di loro nemmeno ci
sopporta! –
Sandy divenne
ancora più triste, la sua testolina solare non poteva
nemmeno concepire l'idea che qualcuno potesse covare del rancore verso
di lui.
–
Dobbiamo provarci. – rimarcò Toothy. –
Non abbiamo scelta. Questa volta se vogliamo vincere avremo bisogno di
tutto l'aiuto possibile. – pronunciare l'ultima frase parve
costarle molta fatica, nonché un certo sforzo per non
inciampare sulle ultime sillabe. – Compreso l'aiuto di quello
schifos… heh!…di quel maled… hah! Di
Halloween! –
North
sollevò entrambe le sopracciglia, colpito da tanta buona
volontà, e nel medesimo istante una folata di vento gelido
scompigliò il pelo, i capelli e le ali di quattro guardiani.
Nessuno di
loro ci badò troppo.
– Se
Toothiana può arrivare a compromesso così
arduo…– commentò North
–… direi che anche voi non dovete essere da meno.
–
Simultaneamente
North si beccò quattro occhiate di traverso ma la sua
giovialità non subì il minimo danno,
più imperturbabile di un cielo terso e più
inattaccabile della sua stessa logica si limitò a sorridere
di rimando.
–
Sandy può andare a parlare con Flibbert Gibbert e Bunnymund
può andare a far visita a Tiddy Mun. Che ve ne pare?
–
– Tu
a chi farai visita,
North?
– volle sapere Bunnymund con un'espressione truce in volto.
Candelora fischiò tutta la sua approvazione a quella domanda.
–
Oh, io? – gongolò Nicholas St. North. –
Io farò guardia al quartier generale nel caso Manny cercasse
di contattarci. –
Soddisfatto
del programma batté dei colpetti affettuosi sul muso di
Bunnymund che ruggì imbestialito.
–
Non credo proprio! Perché noi dobbiamo beccarci gli spiriti
strambi mentre tu te ne starai in panciolle davanti al caminetto?
–
–
Perché? –
North
sembrò davvero confuso dalla domanda. Una nuvola di
concentrazione attraversò il suo volto barbuto
costringendolo ad aggrottare le sopracciglia, ma dopo un istante
tornò ad illuminarsi. – Ovvio! È
perché sono il capo! –
Di nuovo
quattro occhiate fulminarono North che incominciò a
lisciarsi la barba, compiaciuto dalla sua stessa intelligenza.
–
Aspettate…– fece Toothy, guardandosi intorno e
rendendosi lentamente conto di una cosa fondamentale.
–
Dov'è finito Jack? –
La ventata
gelida di prima soffiò nuovamente sulle loro teste, solo che
questa volta Jack Frost non era più nemmeno visibile
all'orizzonte.
***
Da sopra al
muro sul quale si era acquattata quasi un'ora prima, Will-o'-wisp si
stiracchiò come una gatta sonnacchiosa guardando con
soddisfazione i suoi piccoli fuochi fatui danzare nel vento caldo di
Halloween. Creavano una scia luminosa nel cielo, sospesa appena sopra
la cima degli alberi, come tante piccole perle cucite sulla seta nera
della notte, stentando a non oscurare per bellezza le stelle delle Via
Lattea.
I suoi occhi
grigi, perlacei come grafite finissima, oziarono su quel paesaggio a
lei così familiare: alberi ricurvi, rami adunchi e nere
nuvole stracciate dalla luna che brillava su tutto, quieta presenza
anche nelle notti più buie. Persino da dove si trovava,
vicino al confine col Bosco Nero, poteva udire distintamente le parole
della ballata che le zucche cantavano a squarciagola, nella piccola
piazza centrale dove era stato allestito il falò
più grande.
Pumpkin,
pumpkin on the ground…
…How’d
you get so big and round?
Le fumose
ventate, provenienti per lo più dai calderoni delle streghe
ululanti di felicità, fecero frusciare lievemente alcune
ciocche di sottili capelli celesti attorno alle sue gote pallide.
–
Piccolo spirito, che ci fai qui tutta sola? –
Will si
girò sorpresa, aspettandosi qualche scheletro o l'ennesimo
verme di terra, venuto a chiederle di ballare sulle note ritmiche dei
tamburi.
…Planted
as a seed so small…
Ma dietro di
lei non c'era nessuno.
–
Chi è la? – domandò rabbrividendo
nonostante il caldo soffuso che le lambiva la pelle.
–
Dovresti fare più attenzione. –
continuò la voce, profonda e strascicata. –
Potresti fare brutti incontri in una notte come questa. –
…Now
you are a great big ball…
–
Chi sei? Fatti vedere! – ordinò Will, scattando in
piedi, vigile, all'erta. I fuochi fatui fremettero nell'aria,
irrequieti quanto la loro padrona. Perché, poi, faceva
così freddo?
–
Fatti vedere!! –
– Lo
vorrei. Lo vorrei davvero. – mormorò la voce senza
volto, apparentemente intristita. – Ma poi tu scapperesti via
e non giocheresti più con me. –
Il tono col
quale erano state pronunciate quelle parole aveva un 'che di triste e
malinconico.
…Pumpkin,
pumpkin is coming to town…
Will
percepì distintamente un refolo di aria gelida insinuarsi
sotto i suoi capelli e soffiarle sulla nuca. Nuovamente si
voltò ma ne ricavò solo la netta impressione che
qualcuno, chiunque egli fosse, si stesse divertendo un mondo a giocare
con lei.
–
Non è vero. – promise, avventatamente. –
Vieni fuori. Non scapperò! –
– Ne
sei sicura? – domandò la voce speranzosa.
– Giocherai con me? –
…He’s
gonna find out…
–
No, non giocherò con te! Ho solo detto che non
scapperò. –
– Ma
così non è divertente. Ed io voglio divertirmi!
–
…Who
deserves tricks…
– Ne
ho abbastanza di tutto questo nascondersi. –
decretò Will, perdendo definitivamente la pazienza.
– Vieni fuori o giuro che me ne vado! –
–
Come desideri. –
…And
who deserves treats…
Una risata
bassa e buia, promessa di incubi e di notti insonni, prese forma in una
bocca livida e sottile. Uno sguardo malizioso e divertito si
materializzò in due occhi di madreperla screziati dell'oro
più puro e più ingannevole.
Will
spalancò gli occhi: aveva fatto un grosso errore.
–
Secondo te questa è una serata adatta a morire, piccolo
spirito? –
I fuochi fatui
intorno a Will iniziarono a ronzare e a crepitare, impazziti dalla
paura. Will invece rimase immobile, incapace persino di muoversi.
Un pensiero
inconscio si fece strada nella sua mente: doveva scappare, doveva
avvertire Halley.
–
Secondo me è perfetta. – sussurrò Pitch
Black con un sorriso sornione ad illuminargli il volto scarno.
Alzò l'elegante polso in un ordine perentorio, intonando tra
sé e sé le ultime sillabe della ballata delle
zucche di Halloween.
"…Great
Pumpkin is coming to town, little spirit!"
***
Jack Frost
planò nemmeno troppo discretamente al limitare di una
radura, frenando con i calcagni l'atterraggio troppo irruento e
allargando intorno alle sue gambe un turbine di foglie scure dai riflessi del metallo fuso. Il Bosco
Nero gli rimandò il suo immobile benvenuto.
Jack,
sorpreso, si bloccò aguzzando l'udito.
Il grido che
gli era parso di sentire si ripeté più forte di
prima per poi scemare in una serie di disperati singhiozzi, sovrastati
per potenza da una risata baritonale che ben conosceva. Sfruttando la
corrente ascensionale di una colonna d'aria, Jack s'innalzò
nuovamente in volo e come un chicco di grandine che abbia puntato la
sua preda si slanciò nella direzione della risata.
Individuò
le spalle nere di Pitch Black nell'istante in cui queste ultime
sparivano dentro ad un portale circolare delle dimensioni di un pozzo.
Dall'interno di quel nero buco provenivano dei sussurri variegati, voci
perdute appartenute agli spiriti che l'Uomo Nero aveva incatenato e
sospiri di morte sotto la luce della luna.
Fu un attimo.
Jack non ebbe nemmeno il tempo necessario a riflettere (non che, se ne
avesse avuto, lo avrebbe comunque sfruttato per pensare lucidamente
sulle sue azioni, s'intenda) perché l'istante prima stava
puntando verso Pitch e il secondo dopo verso il passaggio che conduceva
al nuovo nascondiglio dell'Uomo Nero. Aggrappandosi al suo bastone con
entrambe le mani, diede uno strattone ed accelerò.
Il portale si
restrinse e Jack, allungando le braccia davanti al suo volto per
acquistare maggior velocità, svicolò dentro agli
ultimi barlumi di oscurità prima che essa si richiudesse
come una pesante tenda di velluto alle sue spalle, senza lasciare
alcuna traccia del suo passaggio.
–
Eccone un'altra da aggiungere alla nostra magnifica collezione, Satia.
–
Jack
scattò in piedi, pronto a combattere, ma scoprì
che la battuta di Pitch Black non era riferita a lui. Proveniva da un
corridoio laterale rispetto all'ampio androne in cui si trovava e
rimbombava in mille echi, rimbalzando sulle strette pareti, dando solo
l'impressione che l'Uomo Nero fosse
vicino.
Jack strinse
il bastone così forte da conficcarci dentro le sue unghie e,
lesto, corse attraverso il porticato racchiuso tra due file di colonne
seguendo il suo istinto.
–
Manca poco. Così poco, mia diletta. Ma perché
quello sguardo? Qualcosa ti intristisce? –
Di colpo
l'angusto spazio si allargò e il soffitto svettò
verso l'alto, andando a perdersi da qualche parte nel buio sovrastante.
Jack appoggiò la mano alla scabra superficie di una delle
colonne per studiare il luogo ed ascoltare più agevolmente
la conversazione in atto, ma subito la ritrasse, inorridito.
Un vago calore
permeava alcuni grossi filamenti neri che sinuosi come tentacoli
percorrevano per l'intera lunghezza quella strana colonna.
Appoggiandoci nuovamente il palmo della mano scoprì che non
si era sbagliato: pulsavano come se fossero vivi.
Alzò
la testa per seguire con lo sguardo quei tortuosi sentieri in rilievo e
involontariamente si ritrovò a socchiudere le labbra per la
sorpresa.
La colonna
s'innalzava attraverso l'oscurità della stanza bucandola con
un sinistro lucore che emanava. E al suo interno c'era qualcuno.
Impallidendo,
indietreggiò ulteriormente, rischiando di uscire allo
scoperto.
–
Satia, mia dolce e piccola morte, potresti anche rispondere quando ti
faccio una domanda diretta, non credi? –
Jack
sobbalzò e ritornò con la sua attenzione alla
voce di Pitch, nonché al lungo sospiro che colmò
con la sua rassegnazione ogni anfratto dell'ambiente in cui si trovava.
–
Sei una ben misera compagnia e altrettanto misere sono le tue paure.
–
Jack si
avvicinò lentamente, tenendosi rasente il muro nel quale
erano incastonate come pietre preziose quelle strane stalagmiti che
della colonna avevano solo l'apparenza; con lo sguardo
continuò a cercare tra le ombre quella più scura
di Pitch Black.
–
Lui verrà. Non hai di che preoccuparti. –
Jack si
bloccò.
Lui
chi? Lo avevano scoperto? Sapevano che era lì?
–
Manterrai la tua promessa? –
Era una vocina
flebile quella che aveva parlato e Jack stentò a
riconoscerla per quella incolore della ragazza che ultimamente sembrava
essere diventata la nuova ombra di Pitch Black.
Addossandosi
nello spazio rimasto libero tra una stalagmite e il muro retrostante
finalmente riuscì ad avere una chiara visione del luogo in
cui si trovava.
Sembrava
l'interno di una vecchia cattedrale abbandonata; la navata centrale
racchiusa in una regolare fila di stalagmiti nere conduceva verso un
massiccio altare di pietra su cui era seduta con le gambe ciondoloni
una figuretta dalle spalle curve. Ai lati alcune piccole cappelle si
alternavano ad ampie vetrate, annerite dal tempo e dall'incuria; al
centro la cupola parzialmente crollata lasciava intravedere la luna,
unica fonte di luce che faceva piovere come finissima polvere un cono
di luce argentata sopra ad una seconda figura dai lisci capelli neri e
dalla pelle così bianca da sembrare immacolata.
Pitch Black si
voltò proprio in quel momento, l'accenno di un ghigno sulle
labbra, quasi avesse sentito di essere osservato segretamente da
qualcuno.
– Ma
certo, Satia. Ho promesso di non torcergli nemmeno un capello ed io
mantengo sempre le mie promesse. –
Furtivo, Jack
scivolò nel suo improvvisato riparo, sfuggendo almeno
apparentemente agli sguardi inquisitori che l'Uomo Nero lanciava
nell'oscurità.
Dalle navate
laterali si ergevano altre colonne nere, prigioni di altrettanti
spiriti racchiusi in tronchi d'ambra nera fitti come una foresta. Fu in
una di questa che Jack scorse incredulo alcune fatine dalle ali ocra o
fulve o color paglierino che sembrano pietrificate nell'atto
di volare via da un momento all'altro; poco distanti da loro
stava una seconda figura, bassa di statura, barbuta e vestita
interamente di verde.
Erano le
Fatine delle foglie e il Leprecauno, comprese Jack. Ecco dov'erano
finiti tutti gli spiriti scomparsi!
Maledicendo
mentalmente Pitch con tutto il calore che uno spirito del gelo
è in grado di manifestare, passò alla colonna
successiva, cercando febbrilmente un modo per poter liberare i
prigionieri intrappolati. Passandoli in rassegna con lo sguardo uno ad
uno riconobbe una ragazza dai lunghi capelli neri, stretti in una alta
coda che scendeva a lambirle le caviglie; un ometto di pietra dai
lineamenti spigolosi con il pugno ancora levato in una eterna ma vana
minaccia; un ragazzino magrolino e incredibilmente biondo, tanto da
dare l'impressione che una coroncina aurea di riccioli gli cingesse il
capo; ed, in lontananza, uno spirito che gli voltava le ampie spalle
impedendogli così di scorgere il suo volto. Aveva capelli
dalle fresche tonalità rosate ed un arco gigantesco in mano
con ancora la dragonne infilata attorno all'esile polso. Uno dei
flettenti dell'arco era spezzato e Jack sussultando, ricordò
quando Pitch aveva spezzato il suo bastone davanti ai suoi occhi o
quando, ancora più dolorosamente, Halley aveva rischiato di
perdere Lumin.
La rabbia
risalì dentro di lui, facendogli ribollire il ghiaccio nelle
vene. Non poteva permettere a Pitch di continuare a farla franca:
qualcuno doveva fermarlo.
Lui doveva
fermarlo.
Strinse con
furia il suo bastone di ghiaccio e legno, ma una voce che non avrebbe
mai creduto di sentir risuonare in quel posto, lo
destabilizzò con la sua presenza.
– Fatti
vedere, Pitch! –
Anche da
quella distanza Jack poté vedere le spalle di Satia
raddrizzarsi all'istante e l'espressione di esultanza che si
tratteggiò sui contorni dell'Uomo Nero.
–
Oh, sei arrivato quindi? Alla buon ora, mio prezioso alleato.
–
Incredulo,
Jack osservò quella spettrale figura dalla pelle abbronzata
e dagli occhi neri come carboni, incedere verso Pitch mentre una
lanterna spenta rollava dietro le sue spalle, cigolando nell'improvviso
silenzio che si era creato.
–
Però devo ammetterlo: mi hai sorpreso. Avrei giurato che ci
avresti messo molto di meno a decidere da che parte stare,
Halley…–
***
–
Trovare l'uomo della nebbia in mezzo ad un banco di densa nebbia, in
quello che credo sia il giorno più nebbioso di tutte le
lande del Lincolnshire…– esalò
Bunnymund, lasciandosi cadere al suolo – …suppongo
che sia quello che molti umani chiamano "trovare un pagliaio in un
ago". –
Candelora non
era del tutto sicura che il detto facesse esattamente così ma
l'idea di contraddire Bunnymund non la sfiorò neppure.
–
Proviamo a cercare più avanti. – propose
gentilmente. – Magari non abbiamo ancora guardato nei posti
giusti. –
– E
quali sarebbero i posti giusti? – s'informò
Bunnymund con acidità.
Candelora
cadde nell'insicurezza. – E-ecco, non saprei. –
Il paesaggio
tutt'intorno a loro, di un omogeneo biancore burroso, rimandava solo
qualche sporadico stridio di uccello e qualche fruscìo di
insetti sotto le loro zampe; null'altro.
–
Meglio se rimani in silenzio. Almeno con il tuo fastidioso fischiare
non spaventerai i poveretti che abitano in questi acquitrini.
–
Candelora si
rabbuiò ma rimase in silenzio; Bunnymund continuò
imperterrito, senza accorgersi del suo cambio di umore.
–
Già se la passano male, se anche infierisci non oso pensare
che cosa accadrebbe. –
Bunnymund
arruffò il pelo già in disordine per l'aria
gonfia di umidità che premeva verso il basso come una
calotta asfissiante e sospirò: – Ancora non
capisco perché non sei andata con Toothy e sei dovuta venire
a rompere le uova a me. –
Improvvisamente
una mano spuntò dalla nebbia e spinse Bunnymund da dietro,
dentro ad una polla di fanghiglia e muschio galleggiante. Ci fu un
tonfo bagnato, seguito da un rumore di denso liquido che si
unì allo strillo di sorpresa di Bunnymund.
Fischiando la
sua angoscia tra i dentoni sporgenti, Candelora si affrettò
a correre in aiuto del suo amato coniglietto.
–
S-stai bene? – chiese tendendogli una mano. Bunnymund la
rifiutò e si guardò intorno, irato, per poi
tornare a posare il suo sguardo su di lei.
–
Sei stata tu? –
–
NO! – fece Candelora con quello che assomigliava
più ad un grido inorridito che non ad una risposta ragionata.
– E
allora chi è stato? – chiese sarcasticamente
Bunnymund, rialzandosi e allargando le braccia da cui colava abbondante
melma verdastra. – Qui ci siamo solo tu ed io! –
Questa volta
dalla condensa più fitta comparve un piede che con
uno sgambetto mandò Bunnymund al suolo, con la schiena
dentro ad un odoroso strato di funghetti viscidi e marroncini.
Candelora
impallidì e i suoi baffi fremettero, agghiacciati.
Un uomo dal
corpo evanescente si condensò di fronte a lei e le fece
l'occhiolino. – Dipende da chi mi trovo di fronte ma in
genere non sopporto la maleducazione. –
–
T-tu sei…– balbettò Candelora stentando
a riprendersi dalla sorpresa. – S-sei Tiddy Mun? –
I contorni
dello spirito persero di nitidezza e rimase solo un sorriso a trentadue
denti davanti a lei.
–
Dipende da chi lo vuole sapere. –
Bunnymund
ringhiò e fece per avventarsi contro l'uomo delle nebbie,
ottenendo un risultato che nessuno avrebbe faticato ad immaginare.
Candelora lo osservò ad occhi sgranati mentre gli passava
palesemente attraverso ed andava a schiantarsi con tutto il suo impeto
contro il tronco deforme di un albero senza foglie.
Tiddy Mun, apparentemente divertito, ricomparve disteso su uno dei rami più storti dell'albero
in questione con le braccia abbandonate oltre la testa in una posizione
di assoluta rilassatezza. –
Che tipo! – ridacchiò, lanciando a Candelora un'occhiata complice.
Forse fu proprio per quell'occhiata che Candelora si decise a prendere
finalmente in mano le redini della situazione.
– Io
sono Grondhog Day, la marmotta della primavera, e lui è
Bunnymund, il coniglietto pasquale.– disse. – E ci
serve il tuo aiuto! –
–
Dipende da che cosa volete farci con il mio aiuto. –
ridacchiò Mun, allungandole un sorriso sornione ma
interessato.
–
Dobbiamo allearci per sconfiggere l'Uomo Nero. –
annunciò Candelora – Ci aiuterai? –
***
Flibbert
Gibbert era famosa per essere la donna con la parlantina più
sfrenata dell'intero mondo degli spiriti. North doveva avere un senso
dello humour davvero nordico per spedire Sandman, notoriamente lo
spirito meno espansivo tra tutti quelli esistenti, da colei che invece
rappresentava la loquacità fatta persona, o meglio, fatta
spirito.
Capelli rossi
e ricciuti, sopra ad una bocca piena dello stesso colore e a due occhi
dai riflessi ambrati: Flibbert Gibbert non era certamente una da
prendere sottogamba.
Fin da quando
l'aveva individuata ai bordi di un laghetto, intenta a parlare al suo
riflesso con tutta la perseveranza e l'insistenza che si riserva ad una
persona in carne ed ossa che non ti stia dando la dovuta attenzione,
Sandy aveva intuito che il suo non sarebbe stato un compito facile.
La sua
intuizione aveva trovato fondamento all'incirca quando Flibbert Gibbert
aveva esclamato con ineguagliabile sicurezza: – Non credo di
aver ben capito che cosa vuoi che faccia. Sono impegnata in una
discussione della massima importanza e non vedo perché
dovrei andarmene proprio ora che il soliloquio stava entrando nel vivo.
–
A risponderle
ci pensò il suo stesso riflesso che le rivolse un'occhiata
d'accondiscendenza. – Povera me. Andarmene ora
significherebbe dover prendere una decisione per nulla facile. Io che
farei al posto mio? –
Di nuovo a
prendere la parola ci pensò Flibbert, seduta su un masso
vicino a Sandy.
–
Dovrei davvero decidere una cosa così difficile in
così poco tempo? Ma non credo che lo farò in ogni
caso: si stava parlando di cose serie prima che qualcuno venisse a
interrompermi o sbaglio? –
– Oh
no, non sbaglio affatto! – rispose Gibbert, il riflesso di
Flibbert, sotto lo sguardo ormai disperato di Sandy. – Io non
sbaglio mai e il mio verbo è tra i più forbiti e
più elogiati da tutti gli spiriti. –
–
Vero. Vero. Non per nulla sono lo spirito della dialettica e della
facondia! –
–
Davvero un buon risultato. Ma ero arrivata a decidere del mio passato e
non ero ancora riuscita a discernere cosa era sogno e cosa era
realtà. –
–Voglio
davvero tornare su quel punto? –
–
Nemmeno tanto, ohibò. –
Sandy
strizzò le labbra in un'espressione che di solito si assume
nelle situazioni senza via di uscita, quelle estremamente orrende e
disgraziate.
Cercò
per l'ennesima volta di attirare l'attenzione di Flibbert, o di Gibbert
a seconda dei casi, creando delle sagome dorate sopra la sua testa
dorata.
Tutto invano.
Provò
a sbracciarsi e pure a smuovere l'acqua per far sparire quel molesto
riflesso di Flibbert, detto Gibbert, in modo che almeno una delle due -
che poi erano una sola - potesse ascoltarlo.
Sempre invano.
Alla fine si
arrese e decise di aspettare che Flibbert, o Gibbert, smettessero
almeno momentaneamente di parlare per potersi intromettere nella loro
inconcludente conversazione.
Non sapeva che
la sua attesa sarebbe durata quasi sette ore prima che Flibbert
accennasse a fermarsi per riflettere su una questione a suo dire molto
impegnativa. Il tempo di accorgersi che c'era silenzio, gioire di
felicità e incominciare ad alzare le mani per indicare le
figure che s'apprestava a creare sopra la sua testa furono esattamente
il lasso di tempo che Gibbert impiegò per stizzirsi e
reclamare la sua risposta da Flibbert. Quest'ultima riprese
immediatamente a parlare con rinnovato vigore.
Sandy
materializzò una minuscola spada e valutò quanto
avrebbe potuto essere rapida ed indolore una morte per harakiri.
***
–
Come sarebbe a dire che non c'è? –Toothy
lanciò un'occhiata sprezzante alla mandria di zucche che gli
stava di fronte. – So che è qui! Lasciatemi
entrare, maledizione! –
Un quartetto
ghignante di zucche serrò ulteriormente i ranghi prima di
proclamare: – Non puoi passare! No, non puoi! –
–
Non puoi! Fatti indietro! –
–
Nessuno disturba Jack O'Lantern. –
–
Nessuno, già! –
Seppur
irritata Toothy cercò di essere ragionevole.
–
Devo vederlo assolutamente, non sto scherzando. Abbiamo bisogno del suo
aiuto. – sospirò, chiudendo gli occhi.
– Noi…ehm…io ho davvero
bisogno del suo aiuto. –
Se una
settimana prima qualcuno le avesse detto che sarebbe andata da
Halloween ad implorare per la sua considerazione, si sarebbe fatta una
grassa risata e lo avrebbe spedito a raccogliere le dentiere degli
anziani senza pensarci due volte.
Troppe cose
erano cambiate nel giro di una sola settimana…
–
Per favore…– chiese ancora, cercando di imprimere
tutta la sua disperazione in quella supplica. – È
in gioco la stabilità dei nostri due mondi: quello degli
spiriti e di conseguenza quello dei bambini! –
Le zucche
sputarono polpa, quasi soffocandosi con le loro stesse secrezioni. In
verità erano troppo stupide per prendere un qualunque tipo
di decisione e l'unica cosa che erano brave a fare era eseguire ordini
- e nemmeno in quello brillavano troppo - così si limitarono
a ripetere di nuovo quello che era stato loro imposto di dire.
–
No, Jack O'Lantern non si disturba! –
–
Fatti indietro! Non puoi avvicinarti! –
– E
nemmeno passare! Nessuno può! –
–
Nessuno, già! –
Toothy
roteò gli occhi, cercando di decidere se impallinare a suon
di molari quelle quattro idiote o, più semplicemente, se
innalzarsi in volo e raggiungere in quel modo le stanze di Halley. Dopo
aver propeso decisamente per la prima opzione, si risolse a portare a
termine la seconda, promettendosi però di ritornare alla
prima non appena si fosse ripresentata l'occasione propizia.
Tra gli
uggiolii sorpresi e le esclamazioni di rabbia e di indignazione, si
involò verso la finestra al secondo piano del ragazzo
più ricercato delle ultime ore e sorridendo si disse che
qualche molare nel sedere lo avrebbe piazzato volentieri pure a quel
maledetto di Halloween.
Atterrò
sugli infissi e scrollandosi le ali da un velo di fuliggine che vi si
era depositata si posò nel bel mezzo della stanza. Era
completamente disadorna, con pareti di pietra e un pavimento austero di
legno scuro. Appoggiato al muro per il lato corto stava un ampio letto
dalle coperte così scure da sembrare nere.
–
Che atmosfera mostruosa. –
commentò Toothy, alzando un sopracciglio. Se Jack avesse
avuto una stanza tutta sua probabilmente ci sarebbe stata
più neve che spazio vitale, considerò guardandosi
intorno. Invece quella stanza era… era… non
avrebbe saputo come definirla, in verità. Spoglia, forse?
Il suo sguardo
ritornò sul letto e lì rimase. Chissà
su che tipo di letto dormiva un tipo come Halloween? Duro, morbido? Vi
si accostò e ci si sedette sopra a puro scopo scientifico.
Oh,
morbido…
Non si accorse
della porta che si apriva alle sue spalle e dell'espressione speranzosa
di Cassian che si affievoliva fino a scomparire del tutto.
– Tu
che ci fai qui? –
Toothy si
voltò e balzò in aria, riprendendo a sbattere le
ali con più frenesia del solito. – Dunque,
io… si… devo parlare con quello scem…
ehm… con Halloween! –
Le vecchie
abitudini erano dure a morire, nonostante tutto.
–
Lui non c'è. – rispose laconico Cassian,
appoggiandosi allo stipite della porta col fianco.
Toothy
roteò gli occhi. – Lo so: non vuole vedere nessuno
e via dicendo ma io devo …–
–
No, lui non c'è. – ribadì Cassian con
durezza. – Se ne andato e non tornerà
più. –
–
Che cosa!? Ma tra un paio d'ore inizierà la sua
festività! Che cosa gli passa per quella testa bacata?
–
–
Amore fraterno. – rispose Cassian, abbassando il tono di voce
fino a ridurlo ad un sussurro.
–
Amore fraterno? – ripeté Toothy, senza capire
affatto.
Il volto di
Cassian era un'unica lastra di incorruttibile marmo, dura ed
impassibile.
–
Halley si è unito a Pitch. –
********************************************************************************
Ebbene si,
nuovi personaggi e nuovi casini, perché il disastro
disastrato che avevo già combinato non mi sembrava
abbastanza disastroso… :3
E "dulcis in
fundo" verso metà (quindi neanche tanto "in fundo"
ç_ç) mi è venuto un crampo al pollice
destro … -.- così mi imparo a scrivere capitoli
sovradimensionati. XD |
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Capitolo 7 *** Fright Night ***
CAPITOLO
7
FRIGHT NIGHT
Sleep
walking in the dead of night,
Black
cat crosses your path,
Knock
knock on the door three times,
And
you knock knock on the door!
I
used to talk to demons but not anymore
On
fright night, you tuck me in.
Fright Night, Ariel Pink’s Haunted Graffiti
Assomigliando
ad un ricciolo di panna che troneggia sulla cima di una torta
biancheggiante di nebbia, Tiddy Mun soppesò Candelora.
"Dobbiamo
allearci per sconfiggere l'Uomo Nero. Ci aiuterai?"
–
Voi volete che mi unisca ai Guardiani? –
Mun si
passò la punta del mignolo dentro all'orecchio e con
ostentazione tornò a sporgersi verso Candelora. –
Credo dipenda dal mio udito un po' annebbiato, ma non sono sicuro di
aver sentito bene. Ripeti un po'. –
–
No, hai sentito benissimo. – fece Candelora, alzando il
mento. – Abbiamo bisogno del tuo aiuto. –
Mun rimase
immobile, poi si morse pensosamente l'interno della guancia, infine
prese a ridacchiare, sussultando come se stesse subendo un violento
attacco di singhiozzo.
–
Ecco da che cosa dipende! Che stupido! Ci stavo per cascare!
È da talmente tanto tempo che non mi addenso che temo il mio
senso dell'umorismo si sia perso da qualche parte sulle Alpi!
–
Candelora si
apprestò a ribattere ma si bloccò di colpo,
sbattendo le palpebre.
Un boomerang
era spuntato minacciosamente a pochi millimetri dalla gola di Mun e la
zampa di Bunnymund che lo stringeva con perizia - per quanto ancora
sporca di fango - non mostrò la minima esitazione.
Il silenzio
calò improvvisamente tra di loro come una gelida mannaia.
–
Quando tornerò indietro ammazzerò North, ma
magari ammazzerò prima te... – Bunnymund
sogghignò – …tanto per pareggiare i
conti. –
Se avesse
accusato quella minaccia Mun non lo diede a vedere, limitandosi a
mantenere un'espressione vagamente divertita sul volto opalescente.
Candelora
strinse i pugni ed esalò: – Smettetela! Dobbiamo
collaborare! Non minacciarci a vicenda! –
– Io
per ora non ho ancora minacciato nessuno. – fece notare Mun
scrollando le soffici spalle con uno sbuffo caliginoso. – E
credo di non sbagliarmi se dico che l'irascibilità del
nostro amico melmoso qui dietro dipenda esclusivamente dal fatto che
non si lavi abbastanza. – Mun materializzò la
propria mano ad un soffio dal naso e la agitò con
indignazione. – Anch'io sarei intrattabile se puzzassi come
un uovo marcio. –
Il boomerang
per tutta risposta si appoggiò contro la pelle iridescente
di Mun e il ghigno di Bunnymund si trasformò in una smorfia
d'ira.
–
Attento, spumino. Fossi in te non scherzerei così tanto.
–
–
L'umorismo sottile di una battuta dipende dai punti di vista, non
credi? –
–
No, non credo. E smettila di mettere "dipende" in ogni dannata frase.
–
–
Questo dipenderà dalla tua propensione o meno ad abbassare
in breve tempo questa tua irritante arma. –
Candelora si
pigiò le mani sugli occhi e batté spazientita un
piede per terra, cercando di reprimere il prurito che sentiva alle
mani. Non avrebbe mai colpito Bunnymund - era impossibile per il suo
cuoricino sopportare di imprimere una tale offesa al corpo del suo
amato - ma si rese ben presto conto di non poter alzare nemmeno un dito
pure su Tiddy Mun, visto che erano andati lì appositamente
per chiedere il suo aiuto.
Era un
situazione senza via d'uscita.
Intanto
Bunnymund e Tiddy Mun continuarono a squadrarsi come due cani randagi
intenti a decidere chi dei due avesse il pelo più ritto. La
nebbia si mosse a disagio, serpeggiando intorno a loro, e li
accerchiò più fittamente, simile ad uno stretto
anello di impenetrabile barriera.
–
Bunnymund, abbassa quel boomerang! – esclamò
Candelora con forza, cercando di salvare il salvabile.
–
Ascolta il saggio consiglio della tua amica. – le fece eco
Mun, dissolvendosi come d'incanto in ampie volute bianche. –
Anche perché hai già avuto modo di constatare che
con me il tuo boomerang non funziona. –
Guardandosi
intorno, Bunnymund serrò la presa sulla sua arma ma non
ritornò in posizione d'attacco. Candelora si
ritrovò a sperare che lui dicesse qualcosa sul fatto che lei
non fosse veramente una sua amica - magari specificando che era
qualcosa di più - ma non accadde nulla di simile.
–
Non sperare che finisca qui. – decretò invece
Bunnymund, riuscendo per una volta a risultare quasi ragionevole.
– Chiariremo questa faccenda a tempo debito. Nel frattempo,
però, per quanto mi secchi ammetterlo, Candelora ha ragione.
Siamo qui per chiedere il tuo aiuto non per combatterti. –
Per dimostrare
quanto le sue parole fossero veritiere rinfoderò il
boomerang e alzò le mani disarmate in segno di buona fede.
– I
Guardiani non chiedono aiuto. – commentò la voce
di Mun, sgorgando da una bocca pallida comparsa sarcasticamente a
mezz'aria. – I Guardiani lavorano da soli. La motivazione di
ciò dipenderà mica dal vostro ego smisurato?
–
Prima che
Bunnymund potesse replicare, Candelora gli pestò un piede -
pur se a malincuore - e rispose al posto suo: – Io non sono
un Guardiano, eppure collaboro con loro. Si tratta di unire le nostre
forze in nome di un ideale più alto. –
Lei non la
pensava esattamente così, ma aveva una mezza idea che quelle
fossero le parole adatte a convincere un tipo come Mun. Capì
di avere catturato almeno in parte il suo interesse quando lui sorrise,
facendo comparire anche il naso e un paio di occhi velati sopra alla
bocca.
– La
mia risposta dipende univocamente dal tipo di ideale proposto.
–
Candelora
rifletté velocemente.
–
Più nebbia per tutti…? –
Finalmente
comparve anche il corpo longilineo dalle tonalità biancastre
di Mun, che con una elegante capriola atterrò proprio di
fronte a Candelora.
–
Avrete il mio aiuto. – dichiarò solennemente,
facendo vibrare la nebbia attorno al suo corpo di genuina eccitazione.
– Quando si parte? –
Candelora ebbe
la curiosa impressione di ritrovarsi al centro di una nuvola tale era
la concentrazione di vapore acqueo intorno a lei; Bunnymund invece si
limitò a biascicare: – Vedi di darti una calmata.
Qui non si vede più nulla. –
Mun gli
rispose con un tono d'accondiscendenza, come se stesse parlando ad un
emerito cretino.
– Se
i tuoi occhi funzionassero a dovere vedresti che c'è nebbia.
–
–
Hah! Davvero molto spiritoso. – lo sfotté
Bunnymund.
– Lo
so. – replicò Mun, pacatamente. – Ma
guarda il lato positivo della faccenda. Grazie alla mia nebbia nessuno
sarà costretto a vedere il tuo brutto muso. –
Candelora
alzò gli occhi al cielo: il viaggio di ritorno al Polo Nord
sarebbe stato molto, ma molto lungo.
***
Lasciando una
scia di sabbia dorata dietro di sé, Sandman salì
le scale che portavano al laboratorio di North con aria esausta.
Portare
Flibbert Gibbert al Polo Nord si era rivelata un'impresa
incredibilmente stancante, o quantomeno logorroica. Infatti, dopo
qualche ora passata a fare speculazioni sulle possibili catastrofi che
si sarebbero abbattute se lei avesse lasciato il suo adorato lago con
l'inseparabile Gibbert al suo interno, Flibbert si era lanciata in
addolorati pianti su quanto fosse affezionata alla sua immagine
speculare e sull'impossibilità di abbandonarla da sola senza
nessuno a farle da adeguata compagnia.
Sandman dopo
qualche minuto passato con un fazzoletto dorato in mano a tentare di
consolare l'inconsolabile Flibbert, aveva avuto una brillante idea.
Brillante in tutti i sensi.
Aveva
materializzato di fianco a sé uno specchio gigantesco dalla
forma ovale, splendente come un sole e dalle decorazioni finissime a
motivi floreali, e lo aveva posto di fronte a Flibbert.
La ragazza
aveva sussultato in preda ad una commozione indescrivibile e aveva
abbracciato lo specchio con trasporto, facendo ondeggiare i suoi ricci
ambrati nell'aria mattutina. Dallo specchio, l'immagine di Gibbert le
aveva sorriso di rimando, eseguendo lo stesso identico movimento.
Sandman aveva
sospirato, sollevato, e Flibbert Gibbert aveva decantato per ore la sua
totale devozione, nonché la sua completa intenzione, di
seguire il Guardiano ovunque egli l'avesse voluta portare, donandosi
alla sua causa anima e corpo.
Anche mentre
erano in viaggio sulla sua nuvola dorata, Flibbert Gibbert non aveva
chiuso bocca nemmeno per un attimo, divagando su così tanti
argomenti e discutendo imperterrita su così diversificate e
svariate opinioni che Sandman aveva, ormai, solo che confusi ricordi a
riguardo.
–
Quando ero ancora in vita avevo un nome diverso. Non ricordo quale,
però. Tu si, Gibbert? Oh, nemmeno tu ricordi…?
Non importa. Però so per certo che ero molto bella e pure
che avevo diversi pretendenti. Occhi di miele, era uno dei miei epiteti
preferiti. Un giorno - da molti definito sventurato ma che io ricordo
con particolare calore, anche tu, vero Gibbert? - mi sono specchiata in
quel magnifico lago. E che cosa vi ho visto? La donna più
bella e più intelligente dell'intero creato! Oh, sublime
visione, si! , eri proprio tu Gibbert! Siamo diventate inseparabili,
migliori amiche per la vita e per sempre! Hanno tentato di separarmi da
me stessa, dalla mia dolce metà, - oh, se ci hanno provato!
- ma io ho resistito! Pur di non dargliela vinta mi sono affogata in
quello stesso lago per non dovermi separare da te Gibbert! E adesso
guardaci! Unite per l'eternità!
Pensa,
Guardiano! Ero così desiderosa di non separarmi mai dalla
mia immagine che certe malelingue dicevano che me ne fossi innamorata!
Quanta malvagità! Ma come si possono pensare certe
cattiverie? –
Sandman a quel
punto aveva una sfocata immagine di Gibbert che annuiva con occhi umidi
di dolci lacrime e poi il ronzio della voce di Flibbert che ripartiva,
cantilenante come sempre.
– Da
allora vivo vicino a Gibbert e lei vive vicino a me. Siamo l'una lo
specchio dell'altra. L'una la salvezza dell'altra. Se non ci fosse
Gibbert, io morirei dal dolore! E se fossi io a mancare sarebbe lei a
…–
Sandman
scacciò quei ricordi scuotendo la testa e varcò
stancamente la porta del laboratorio di North, trovando quest'ultimo
intento ad intagliare una nave pirata da un ceppo di ghiaccio.
–
Oh, Sandy! Tu fatto presto! Come è andata con Flibbert
Gibbert, eh? –
Sandman non
gli rispose nemmeno. Puntò la poltrona di velluto rosso
nell'angolo e vi ci si lasciò cadere, addormentandosi quasi
istantaneamente su uno dei braccioli.
Al piano di
sotto la voce di Flibbert Gibbert prese a riempire le orecchie degli
yeti e dei folletti con il suo interminabile cicaleccio.
***
Jack Frost
rimase immobile mentre lo spirito di Halloween copriva lentamente la
distanza che lo separava da Pitch Black, fermandosi di fronte
all'abside al cui centro s'innalzava l'altare di pietra.
–
Sono qui, Pitch. – annunciò con voce incolore,
nonostante i suoi occhi spenti rimanessero fissi sulla figuretta al
fianco dell'Uomo Nero. – Ora sei felice? –
–
Piccolo Halley! – ridacchiò quest'ultimo.
– Mio piccolo e dolce Halley! Mi chiedi davvero se sono
felice? –
Pitch Black si
portò una mano alle labbra, mordendosi la nocca quasi
volesse evitare di ridere. Le sue ombre, al suo impercettibile comando,
strisciarono sulle pareti come tanti serpenti, frusciarono come mille
ali di insetti molesti e zampettarono rapide come ragni sul pavimento
di marmo.
–
No, non sono felice. – ghignò con voce untuosa,
mentre un pericoloso riflesso dorato si manifestava nelle sue iridi,
colmandolo con la sua presenza. – Non vedi, caro Halley, che
sono raggiante? Grazie a te
compirò la mia vendetta! –
–
Come ti pare, non mi interessa. – La voce solo all'apparenza
manifestava sicurezza; nel profondo Halley tremava. – Ora
però lascia andare mia sorella. –
–
Tua sorella..? – Il sorriso di Pitch si accentuò
fino a diventare null'altro che una superficiale smorfia statica.
– La sai una cosa, Halley? Io rispetto molto la
stupidità tutta umana di voi piccoli spiriti. È
una delle poche cose che mi regali un'idea genuina di
eternità. – (*)
Halley
serrò tra le sue dita il corto bastone della lanterna ma
Lumin, quasi del tutto spenta, sbuffò solo un flebile fumo
malsano.
–
Che cosa vuoi dire? –
Pitch smise di
sorridere e le ombre si mossero tutte all'unisono - mostruosa orchestra
nelle mani di uno spettrale direttore - riversandosi dall'alto,
lanciandosi dai lati ed ergendosi dai lustri marmi, accerchiando ed
imprigionando Halley in una morsa.
Sentendo i
suoi piedi staccarsi da terra e le braccia venire bloccate strettamente
lungo i fianchi, Halley gemette. Subito Satia scattò in
piedi ad occhi spalancati.
–
Fermati! Aspetta! Avevi promesso di non torcergli un solo capello!
–
–
Oh, davvero!? – chiese Pitch, sinceramente sorpreso.
– L'ho fatto? –
Halley si
dimenò nella stretta delle ombre senza riuscire a liberarsi.
Riversa sul pavimento, Lumin era ancora troppo debole per riuscire a
reagire o ad aiutare il suo protetto. Pulsando piccoli lembi infuocati
disse a Pitch tutto quello che pensava di lui: fu davvero un peccato
che nessuno dei presenti fosse in grado di capire il fuochese.
–
L'hai promesso. – esclamò Satia di nuovo,
aggrappandosi con entrambe le mani al manto di Pitch ed alzando i suoi
occhi grigi ad incontrare quelli impassibili di lui.
– Si, hai dato la tua parola! –
–
D'accordo, mia diletta. –
Pitch
sospirò e mosse il mento in un silenzioso ordine ad una
delle sue ombre. Questa si avvicinò ad Halley ed
allungò una sinuosa estremità sulla testa del
ragazzo, afferrando e strappando un singolo capello.
–
Ecco. – fece Pitch con semplicità quando quel
capello venne depositato nella sua elegante mano pallida, mostrandolo a
Satia – Questo è il capello che non gli
torcerò. Ora possiamo procedere. –
A nulla
valsero le proteste della ragazza, subito allontanata dalle ombre di
Pitch. Halley sentì la propria testa venire spinta verso il
basso e vide le braci di Lumin brillare agonizzando ai suoi piedi,
accendendosi e spegnendosi come una lucciola in preda ad un malore.
Qualcosa di pesante gli venne calato sulla nuca, stringendosi attorno
al suo collo fin quasi a soffocarlo. La morsa però non si
intensificò e una volta lasciato cadere al suolo dalle ombre
che avevano adempiuto al loro dovere, Halley scoprì di avere
una specie di morsetto attorno alla gola, un semplice cerchio nero,
opaco e rigido.
–
Grazie a quello non potrai scappare, né tradirmi.
– fece Pitch, parco di spiegazioni. – Se farai una
qualsiasi cosa che possa danneggiarmi, sarà tua sorella a
pagarne le conseguenze. –
Quasi a
sottolineare quel dettaglio, un'ombra più densa delle altre
si allargò fino ad assumere le dimensioni di un maestoso
serpente bluastro che, sibilando, si attorcigliò intorno a
Satia.
– E
per te, mia diletta, vale lo stesso ragionamento. Prova a fare qualcosa
di stupido, come ad esempio fuggire o contrastarmi, e il piccolo
giochetto al collo del tuo amato fratellino farà in modo di
strangolarlo del tutto. Se non vuoi che soffra, rimanitene buona, senza
fiatare. –
–
Maledetto! – gridò Satia, lanciando un'occhiata
afflitta ad Halley e facendo decadere le schegge nere - che aveva
prontamente creato - dritte al suolo.
Con
un'esclamazione colorita Jack Frost finì in quel preciso
istante di aprire una crepa in una delle colonne di stalagmite grazie
alle basse temperature del suo ghiaccio: la concrezione si
sbilanciò, inclinandosi di lato, e si spaccò con
un devastante boato, sollevando nugoli di polvere e di detriti neri,
per poi precipitare esattamente sopra all'altare dove si trovava Pitch.
***
Le ombre
sciamarono eccitate nella baraonda improvvisa che si era venuta a
creare, muovendosi disordinatamente e nutrendosi della paura che
aleggiava nell'aria come un polline velenoso. Halley gridò
tossendo il nome di Satia e Jack vide i capelli rosati dello spirito
che aveva liberato sollevarsi oltre la nuvola di scorie nerastre. Pitch
riemerse con furia dai detriti che gli erano franati addosso e i suoi
occhi metallici si incontrarono con quelli di Jack Frost, esattamente
dall'altra parte della navata. I loro sguardi si compenetrarono e si
riconobbero; quello di Pitch si socchiuse d'ira e quello di Jack
brillò di minaccioso avvertimento.
Prima di
partire all'attacco, le parole di Pitch risuonarono come un rombo di
tuono dentro alla cattedrale nera.
– Mie
ombre! Prendeteli! –
Sorgendo dal
pavimento, un'onda di mareggiata composta da ombre e da buio si
sollevò nell'aria, dirigendosi verso Jack e lo spirito dai
capelli color confetto. Uno stuolo di neri guerrieri si armò
di lance e picche, oscuri destrieri purosangue nitrirono fiato caldo
dalle narici dilatate; il serpente gigantesco che aveva catturato Satia
strusciò il suo corpo squamato contro le spesse pareti di
pietra, spalancando le fauci dai lunghi denti, brillanti come onice ed
acuminati come vetri spezzati. La testa del rettile scattò
verso il basso ed immediatamente il grido della ragazza
risuonò contro ogni parete.
Halley
raccolse al volo la lanterna di Lumin e si slanciò nella
direzione del grido, correndo a perdifiato, totalmente dimentico di
ogni altra cosa. Sopra la sua testa, nell'incavo della cupola, sotto la
luce impietosa della luna, le saette di lapislazzuli di Jack si
scontravano con le falci nere di Pitch. Halley evitò uno di
quegli attacchi che rimbalzando contro la parete rischiò di
colpirlo; l'onda d'urto lo spedì al suolo e con lui anche lo
spirito liberato perse l'equilibrio.
Lumin
lanciò qualche baluginio preoccupato, ma riaprendo gli
occhi, arrossati dalla polvere in sospensione nell'aria, Halley si
ritrovò a fissare un corpo riverso.
–
Will!? –
La stalagmite
che la imprigionava era stata spaccata per metà e lei era
caduta al suolo, i capelli azzurrini le si allargavano scomposti
intorno al volto come tante cascatelle d'acqua limpida. Una delle falci
di Pitch l'aveva mancata per pochi millimetri e sulla sua guancia c'era
solo un sottile taglio rosso ad evidenza di quel fatto. Halley
posò Lumin vicino alla spalla di Will, affinché
la tenesse d'occhio.
–
Aspettami qui, Lumin. Io torno subito. –
A nulla
valsero le faville angosciate della lanterna perché Halley
si rialzò e scomparve inghiottito dall'oscurità.
Dall'altra
parte della navata lo spirito dai capelli rosati si guardò
intorno, l'arco rotto ancora stretto nella mano. Con un ruggito le ombre si gettarono su di lui da ogni lato. Scintille argentate
brillarono intorno all'arco. Poi accadde l'impensabile.
Sopra al tetto
della cattedrale, tra guglie e pinnacoli, gli attacchi di Pitch e Jack
stavano dando vita ad un'architettura di scheletriche protuberanze e di
dissennate simmetrie. Le alte grida d'attacco e i bassi mugugni di
parata, si alternavano agli scoppi di ghiaccio e di buio dei due
contendenti. Ben presto il peso divenne eccessivo persino per i
contrafforti della solenne struttura e Jack si accorse di quel
particolare quando ormai era troppo tardi per porvi rimedio.
Con un lungo
gemito tutta un'ala laterale si contorse su sé stessa,
collassando sulle proprie pareti tinteggiate di ombra e di gelo,
trascinando con sé anche Jack e Pitch.
I massi di
granito caddero nella navata sottostante, schiacciando ogni cosa si
trovasse sul loro percorso.
Halley
udì solo il rombo di qualcosa che si sgretolava alle sue
spalle e poi venne investito da un vento di pietrisco e macerie che lo
sbatté contro il muro opposto. Lumin sputò
scintille e cercò col suo potere di proteggere Will, mentre
le ombre venivano colpite dalle pietre, sgretolandosi in tanti mucchi
di sabbia nera. Un barlume argentato si innalzò a protezione
di un giovane spirito, facendogli da scudo e al contempo da riparo.
Tirandosi in
piedi, Jack rimase in equilibrio sopra ad una roccia appuntita e si
guardò intorno freneticamente.
La voce di
Pitch risuonò di colpo alle sue spalle, nitida e melensa.
–
Oh, JACK! Da quanto non mi divertivo così! –
Jack Frost si
voltò giusto in tempo per parare un bolide di densa
oscurità; Pitch si materializzò di fronte a lui e
lo colpì al volto.
Con rabbia
ripresero a combattersi: due scie luminose che danzavano in un folle
ballo all'ultimo respiro.
***
Satia
guardò con occhi velati il serpente che incombeva su di lei.
Era stanca, esausta. Le sue schegge non servivano contro qualcosa che
non era vivo, che era solo mera ombra scolpita in una forma congeniale
all'Uomo Nero.
Il serpente
spezzò in quell'istante le tenaglie di pietra nera che lei
gli aveva formato intorno al muso per tenerlo lontano e renderlo
inerme. Il sibilo irritato le dimostrò solo che aveva
ottenuto di farlo arrabbiare ancora di più, nient'altro.
Con un colpo
della possente coda, il rettile la mandò contro il muro
retrostante. La spalla sulla quale tutto il suo peso si premette per un
critico istante prese a pulsare in modo doloroso; il volto
bruciò come se fosse stato ustionato.
Arrendersi,
smettere di combattere: ecco cosa voleva. Il dolore era troppo per
continuare a sfidarlo e sperare che non esigesse qualcosa in cambio.
–
Sorellona! –
Al suono di
quella voce Satia si voltò. Dall'altra parte della stanza,
appena oltre la porta che il serpente aveva appena finito di spaccare
con la sua mole, c'era Halley. Di colpo tutta la paura che poteva aver
provato si sollevò come un drappo di seta dal suo animo ed
il dolore la abbandonò come se non fosse mai esistito. Lui
era lì. Ed era vivo. Stava bene. Capelli neri gli
solleticavano le orecchie in morbidi riccioli, occhi profondi e
preoccupati la fissavano in ansia. Satia lo ricambiò,
sentendo i suoi occhi colmarsi di speranza e di gioia. Troppo tardi si
accorse che lei non era la sola ad aver notato la presenza del ragazzo.
Il serpente
stridette, un sibilo agghiacciante che perforò i timpani dei
due fratelli, prima di gettarsi su Halley. Il ragazzo
sobbalzò, preso alla sprovvista e non riuscì a
muovere più le gambe. Ombre sibilline gliele tenevano
bloccate, saldamente ancorate alla liscia pietra.
–
Scappa!! – gli urlò Satia con più fiato
di quanto i suoi polmoni potessero sostenere.
Corse nella
sua direzione, una corsa disperata contro il tempo Manovrò
le sue schegge a formare una barriera semisferica che diede protezione
al ragazzo ma non a lei. Il serpente morse con le sue fauci la
barriera, mandandola in mille frastagliati pezzi. Alcune schegge
schizzarono verso di lei e le si conficcarono in profondità
nelle carne. Sangue cremisi stillò dalle ferite - delicata
rosa nei cui petali crudeli spine si erano divertite ad infierire - e
Satia sentì le ginocchia cedere sotto il suo stesso peso.
Halley
aggirò i frammenti più grossi impiantati nel
pavimento e si affrettò ad andare in suo aiuto.
Stupido.
Vattene. Non venire qui!
Satia vide il
serpente ripartire all'attacco e Halley, di spalle, non accorgersi di
niente.
Si costrinse a
rialzarsi e, con ogni muscolo teso nello sforzo, decretò il
suo ultimo gesto…
L'
amor che move il sole e l'altre stelle. (**)
Il serpente
spalancò la sua mascella e le schegge nere di Satia,
opportunamente sagomate a formare una mano dalle lunghe dita, presero
Halley, togliendolo dalla traiettoria del rettile.
Il secondo
dopo era troppo tardi per scappare o per salvarsi a sua volta.
Satia chiuse
gli occhi e sussurrò: – Ricorda, Halley.
È per sempre. –
La mano tesa
di Halley nella sua direzione, il grido muto che lesse sulle sue
labbra, implorante, e poi la bocca del serpente si chiuse intorno a lei.
Un dolore
lancinante la trafisse nel corpo, eppure un retrogusto dolce permeava
sulla sua bocca da cui un rivolo di sangue scendeva delicatamente.
Respirare in
ogni caso non era più necessario.
Non
è la morte ad essere eterna.
Ricorda Halley.
Solo
l'amore è per sempre.
***
Un grido di
puro dolore risuonò nell'aria. Sia Jack che Pitch si
bloccarono, ascoltando quel richiamo di disperazione. Per
quanto stravolta dal pianto, però, Jack Frost riconobbe
quella voce.
Halley.
Pitch sorrise
e facendosi risucchiare dal suo vento nero, si diresse verso il luogo
dal quale era arrivato quell'urlo, costringendo Jack a seguirlo.
Il terreno era
sconquassato dalla battaglia ed entrambi videro senza
difficoltà Halley, accucciato con la fronte sulle ginocchia
in mezzo ad una stanza dal tetto divelto, le mani premute sulla testa.
Non appena
vide Pitch la rabbia alterò tutti i lineamenti del volto di
Halley, rendendolo irriconoscibile. Jack sussultò a quella
vista: che ne era stato del ragazzo burbero ma gentile che ricordava?
Il serpente
sibilò e chinò il capo in segno di sottomissione
all'Uomo Nero, senza muovere più un solo muscolo.
–
Mio piccolo Halley! – esclamò Pitch, ricevendo in
cambio un'occhiata di odio cristallizzato.
Halley, senza
nemmeno riflettere partì all'attacco, e Pitch intuendo lo
svolgersi dei fatti neanche fosse stato presente, gli sorrise
falsamente.
–
Non credo che ti convenga attaccarmi se vuoi rivedere tua sorella.
–
Halley si
bloccò, come fulminato sul posto.
– Tu
menti! –
– Io
non mento mai, Halley. Dovresti saperlo ormai. –
I pugni chiusi
del ragazzo che tremavano di folle ira entrarono in contrasto con i
suoi occhi sperduti.
– Tu
menti sempre! –
– Se
anche fosse…hai una scelta, piccolo spirito? –
Halley
sentì il morso al suo collo farsi più insistente
e i suoi occhi scattarono sulla snella figura di Jack Frost, quasi
cercasse un sostegno esterno a sé stesso.
–
Preferisci non rivederla mai più? –
insisté Pitch. – Oppure vorresti possedere una
seppur pallida speranza di riabbracciarla? –
–
Non ascoltarlo! – gli gridò Jack, avanzando di
qualche passo. – Non starlo a sentire! –
– Io
non... – fece Halley, scuotendo la testa. – Mi
dispiace, io…–
Pitch
continuò inesorabile, la voce dolce e suadente: –
Cosa possono darti i Guardiani? Niente. Cosa posso darti io invece? Tua
sorell…–
–
È colpa tua se lei è morta! – lo
interruppe straziato Halley, diviso tra vendetta e speranza, accecato
dal dolore. Incapace
di distinguere il cancro che lo corrodeva dall'interno dalla carne sana
che cercava in tutti i modi sopravvivere.
–
È solo colpa tua, Pitch! –
–
No, Halley. Pensaci bene. Non mentire a te stesso. –
Il
silenzio così denso che sembrava essere in grado di
soffocare con la sua sola presenza. La voce dell'Uomo Nero per una
volta tanto - questa tra tutte le altre - non necessitava di una
menzogna per sussurrare la verità.
– Se
è morta è stato solo merito tuo. –
Halley
sussultò e arretrò.
Quando
la verità ferisce più delle bugie, a cosa
è meglio credere?
–
No, io… io non…–
–
Oh, Halley. – disse Pitch, scuotendo la testa. –
Che cosa le hai fatto? –
–
Non ascoltarlo! – esclamò Jack. – Non
sei stato tu! –
La risata di
Pitch si sollevò alta nel cielo stellato, sotto la luna che
stendeva i suoi raggi uniformemente su tutte le superfici.
– Ma
lui sa che è colpa sua! –
Halley
abbassò lo sguardo, tremando a causa di qualcosa che non era
il freddo che sentiva sulla pelle intirizzita, e Jack capì
di averlo perduto. Dalle macerie si innalzò una fiamma
potente, rossa e abbacinante, manifestazione della furia di Halley in
quella che era la sua anima estrusa dal suo corpo: Lumin. Pitch
alzò le mani, ruggendo la sua approvazione, come una diva
dalla maestria consumata per dare il benvenuto ad una rinata lanterna,
più infuocata che mai.
–
Jack, perdonami. –
–
Halley, cosa...? –
Il pugno
colossale di Lumin si abbatté nel punto dove un istante
prima si trovava Jack Frost. I due ragazzi si osservarono a lungo e
Jack colse la richiesta nella sguardo dell'altro.
Non
restare qui.
Annuendo, si
levò in volo, atterrando dove si trovava Will e, poco
distante, anche lo spirito dai capelli rosa.
Pitch
ghignò e allungò una mano nella direzione di
Halley.
–
Sai che cosa voglio. –
Vendetta.
Halley
annuì: non servì nemmeno che guardasse nella
direzione di Lumin perché lei eseguisse il suo muto ordine.
Jack si
librò in volo portando con sé i due spiriti privi
di sensi. Lumin, come un titano del fuoco s'innalzò tra
loro, bloccandogli il passo; Jack però trasse di tasca la
palla sferica di North e, dopo l'esclamazione di sconcerto di Pitch,
sparì dentro al varco a spirale.
L'Uomo Nero si
tastò il manto scoprendo in ritardo che Jack Frost aveva
appena vinto quella battaglia, ma di sicuro non la guerra.
Lumin
sbuffò fiamme dalla bocca come un autentico drago e
guardò Halley in attesa di ordini. Halley ripeté
la stessa operazione solo voltandosi verso Pitch.
–
Non importa. – disse Pitch, accompagnando quelle parole con
un gesto noncurante del polso. – Avremo altre occasioni per
schiacciare, non solo Jack Frost, ma tutti i Guardiani. –
Dagli occhi
vacui di Halley non trasparì la minima emozione. Solo un
breve scintillio vi si materializzò quando il serpente nero
avvolse le proprie spire attorno a Pitch con fare vezzoso.
Pitch vi si
sedette come se il corpo del serpente fosse il suo trono, appoggiandoci
la schiena e allungando le esili braccia dietro la testa spigolosa.
–
Tra pochi minuti sarà Halloween! – fece l'Uomo
Nero – E io ho a disposizione un intero esercito. L'esercito
di mostri che tu comandi, Halley, d'ora in poi si muoverà
secondo i miei desideri, spargendo terrore ovunque io lo ritenga
necessario. Quando si apriranno i cancelli, scateneremo l'inferno.
–
Il ghigno dei
suoi denti apparve tra le sue labbra scarne, più bianco
persino della luce argentata della luna.
– La
notte della vera paura è appena cominciata. –
********************************************************************************
Pah! Citazioni
nel testo:
(*) Voltaire
(**) Dante, La
divina commedia
Questa volta
l'angolo delle mie cretinate verrò sostituito da un
più che doveroso angolo dei ringraziamenti. U.U
Ringrazio
AmyMassa96 e blackfwolf che hanno messo questa fic nelle loro preferite
e che sostengono questa mina vagante della mia storia con una solerzia
che è commovente *l'autora si asciuga il fiume di lacrime
che inonda i suoi occhi sbrilluccicosi* ringrazio Chihiro, Kaity e
_Gufetta che l'hanno messa nelle storie da ricordare. E soprattutto
ringrazio DarkshielD che sta seguendo fin dalla nascita questo sclero
personale che ho l'ardire di chiamare ff!
Un bacio a
tutti!
Salut!
|
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Capitolo 8 *** Chains ***
CAPITOLO
8
CHAINS
You’ve
got me dying for you
It's
you that I’m living through,
You’ve
got me praying to you
Saying
to you anything you want me to.
You’ve
got me reaching for you
My
soul’s beseeching me too,
You’ve
got me singing to you
Bringing
to you anything you ask me to.
In chains, Depeche Mode
Un urlo
disumano trapassò le pareti del laboratorio di North,
perdendosi nel biancore del Polo Nord.
– Come
osi, maledetto!? –
Tiddy Mun si
osservò con interesse clinico le nocche della mano, poi se
le rigirò per contemplare anche il biancore immacolato delle
unghie.
–
Non dipende mica da me. – disse tranquillamente, richiudendo
la mano a pugno. – È un problema tuo se non riesci
a vederti nello specchio. Brutta come sei poi non dev'essere neanche
tutta questa perdita –
Flibbert emise
un suono strozzato e, poco distante da lei, Gibbert seppur persa nella
densa nebbia, la imitò con somma indignazione.
– Tu
- denso fascio di nuvola marcescente! - ti aggiri per le stanze
privandomi della vista più sublime -
la mia!
- con il tuo olezzo biancastro e hai anche l'ardire di…
–
– Si
chiama nebbia. – disse Mun con il massimo contegno.
– E, per inciso, odora di fresco. –
–
Odora di fresco quanto un uovo marcio! – ribatté
Flibbert, che se avesse potuto vedere qualcos'altro oltre alla punta
dei propri piedi avrebbe certamente notato il cenno di approvazione di
Bunnymund, incastrato nell'angolo tra due pareti.
Mun
grugnì, alzando il mento in atteggiamento di sfida.
– Mi sono lavato nell'impasto per dolci di North: questo
dovrebbe farti capire che non...Oh, aspetta, invece questo spiega molte
cose! –
Gli elfi
tintinnarono offesi e presero a scontrarsi tra loro a causa del loro
scarso senso dell'orientamento. Due cominciarono a picchiarsi
sonoramente e un terzo affrontò con sommo coraggio il muro
della stanza, prendendolo a pugni col massimo impegno.
Seduta su una
poltroncina addossata al muro, Candelora sospirò e
sentì dei piccoli colpetti batterle sulla spalla.
Immaginando che Sandy le stesse sorridendo, affabile come suo solito,
sospirò di nuovo. Niente sembrava andare per il verso
giusto. Il laboratorio di North poteva vantare una delle più
grandi concentrazioni di spiriti degli ultimi trecento anni, ma nessuno
sembrava approfittarne se non insultandosi abbondantemente a vicenda.
–
Essere amorfo! Privo di spina dorsale o di qualsiasi solido attributo!
–
– I
miei nebbiosi attributi sono tutti al loro posto! Li vuoi vedere per
accertarti della loro presenza, vanesia narcisista!? –
–
Per questa volta ringrazio la tua nebbia che mi risparmia tale orrida
visione! –
Sopra alle
voci dei due litiganti, s'imbucò quasi per errore il
commento sarcastico di Bunnymund.
–
Manca solo Toothy che da della pralina a quel mocciosetto di Halley e
siamo a posto. –
Candelora si
torturò le dita delle mani e domandò: –
Sai dove sia finita a proposito? Toothiana, intendo. –
–
Oh, lei dovrebbe... –
–
Alitosi biancastra! Vai ad infestare qualche cimitero di infimo ordine!
–
–
Perché non ci vai tu, invece? Una banshee urlatrice
può sempre far comodo tra una lapide e l'altra! –
–
Toothy dovrebbe essere qui a momenti. – rispose finalmente
Bunnymund, sistemando meglio la schiena contro il muro, senza essere
del tutto consapevole se quel gesto servisse a sostenere sé
stesso o piuttosto il muro che minacciava di collassare da un momento
all'altro, sconquassato dalla voce tonante di North che
berciava nella stanza accanto insulti in russo stretto.
Perfino
attraverso lo spesso strato divisorio della parete, la sua voce
riusciva a sovrastare le frasi di ricercata galanteria che si
scambiavano Mun e Flibbert.
– Шлюха! Дерьмо! Проклятие! –
–
L'ultimo che voleva dire? – s'informò Candelora.
–
Qualcosa a che fare con certe donne di malaffare. – La voce
roca e leggermente attutita dai vapori di Bunnymund suonò
incerta. – Non ne sono sicuro. –
Candelora
sentì Sandy al suo fianco irrigidirsi per l'ennesimo epiteto
poco ortodosso di North e, pochi istanti dopo, letteralmente
paralizzarsi per una frase pronunciata da Flibbert che sembrava mettere
in discussione i natali di Mun paragonandoli al peto odoroso di un
maiale grassoccio.
–
Credete che North riuscirà a far ragionare quei tre?
– chiese Candelora, questa volta a nessuno in particolare.
– Ne
dubito fortemente. – fece Bunnymund, scrollando le spalle.
– Non conosco Will-o-wisp, ma Jack Frost e Cupid Valentine
sono due teste calde … o meglio due teste fredde, a seconda
di come la si voglia porre. –
Passò
un attimo di silenzio, in seguito al quale Bunnymund
rettificò: – … o più
semplicemente due teste vuote. –
Il ruggito di
North mise fine ad una discussione agguerrita che sembrava portare solo
sconfitti e nessun vincitore. Perfino Mun e Flibbert si concessero un
attimo di tregua per ascoltare basiti la voce acuta di North che
riverberò fino alla punta estrema del polo nord.
–
No, no e soprattutto no! Voi e vostre idee
scellerate! Neanche miei elfi sono così idioti! E tu levati
frecce dalla testa! Niente frecce! Nada! Nisba! Ничего! Neanche
ghiaccio! O fuochi freddi! Intesi? Intesi!?–
Il suono secco
di un dardo venne seguito da un calo della temperatura per niente
confortante.
Candelora
rabbrividì nel gelo improvviso.
–
Sapete com'è quel detto? – chiese Bunnymund come
trovando l'ispirazione tutto ad un tratto. – "L'amor
non ha ragione e, se ragione ha, amor non è"? In Cupid Valentine
credo che si sia materializzato sotto forma di persona. Oppure, cosa
peraltro assai probabile, è stato lui stesso a dare vita al
proverbio. –
***
Una bocca
rosea e una spolverata di lentiggini si agitarono sotto ad una massa
informe di capelli in una tenue tonalità confetto. Muscoli
tesi e nervosi insieme ad una mascella serrata e decisa, sembravano
quasi note stonate nell'armonia che rappresentava l'aspetto di Cupid
Valentine. Eppure colui che reca amore e dolore in ugual misura, in
quel drammatico momento aveva più l'apparenza di un elfo
appena uscito dall'asciugatrice di North che del solito focoso
adolescente conosciuto da tutti.
Jack Frost
dovette sollevare leggermente il mento per guardarlo negli occhi
lavanda mentre questi esclamava con somma soddisfazione: –
Potete baciarmi le mie fantastiche chiappe nell'attesa! Io non mi
alleerò mai con i Guardiani! Riempirò Pitch di
frecce fino a quando non assomiglierà ad un
porcospino e lo farò da solo! –
–
Šostakovič! – La voce di North proruppe
nell'ennesima esclamazione di disperazione. – Valentine,
ascolta! Tu già stato sconfitto una volta; cosa impedisce a
Pitch di sconfiggerti di nuovo? –
–
Pitch non mi ha sconfitto, mi ha solo preso di spalle! –
replicò con incrollabile sicurezza Valentine. – La
prossima volta che lo vedo gli tiro una freccia dritta nel…
–
–
Жалость! Per pietà! –
–
…così si innamorerà del suo augusto
posteriore così a fondo da volerlo baciare con passione!
–
North
guardò Jack in cerca di sostegno, ma trovò solo
due occhi impenetrabili come lastre di ghiaccio a ricambiarlo.
Will-o-wisp non fu da meno e incrociò le braccia sul petto
magro per sottolineare la sua posizione.
– Io
cosa deve fare con voi tre? – gemette North alla fine.
– Non posso lasciarvi andare allo sbaraglio! E nessuno vuole
unire forze per combattere Pitch. –
Indignandosi
per quello che l'ultima frase di North sembrava sottintendere, Will
esclamò : – E sarebbe questa la tanto decantata
forza dei Guardiani? Dovreste essere i cinque spiriti più
potenti del mondo ed invece sembra che senza di noi non riusciate
nemmeno a tenere a bada Pitch non appena diventa un po' più
forte del dovuto! –
–
Non è così semplice! – fece
North, massaggiandosi le tempie. – Noi manteniamo equilibrio
tra mondi! Noi dobbiamo occuparci di bambini, di feste, di regali, e
non abbiamo tempo per … –
–
… per occuparvi del resto? –
–
Si! – esclamò North sollevando le sopracciglia e
poi tornando ad aggrottarle. – Cioè no! Non volevo
dire questo! –
–
Abbiamo già battuto Pitch una volta. – fece notare
Jack, sentendo sorgere dentro di sé l'improbabile dovere di
difendere i Guardiani visto che ne faceva parte. – E senza il
vostro aiuto, vi ricordo. –
Will e
Valentine si scambiarono un'occhiata eloquente.
– E
nel farlo avete quasi mandato il mondo a rotoli…–
disse Will in un turbinio di capelli dai barlumi azzurrini.
–
… i bambini avevano smesso di credere in
voi…– aggiunse Valentine con sussiego.
–
…avevate perso quasi del tutto i vostri poteri…
–
–
… e se non fosse stato per Sandman non avreste nemmeno avuto
la meglio contro Pitch…–
–
… senza contare che eravate cinque contro
uno…–
–
…davvero una bella prova! – concluse Valentine
battendo le mani ad un immaginario pubblico. – Ora che siete
cinque contro due, dovete chiedere l'aiuto ad altri venti spiriti per
sentirvi al sicuro? –
–
Veramente saremmo tre contro cinque. –
Will
osservò North col sopracciglio alzato fino a quando lui non
ebbe la decenza di arrossire. La sua voce, anche se flebile flebile,
arrivò comunque all'orecchio di tutti i presenti.
–
Cinque contro tre, da … dunque, si…. da quando
Halley si è unito a Pitch. –
Jack
sentì il suo sguardo scurirsi mentre correggeva North.
–
Cinque contro due. La sorella di Halley
è…–
Nessuno se la
sentì di completare quella frase e fu Will a riprendere la
parola pur di spezzare quell'odioso silenzio.
– Io
la penso come Valentine. Vorrei andare da Pitch e riempirlo di pugni
fino a spezzarmi le nocche, e poi liberare tutti gli spiriti che ha
imprigionato. – fece una pausa e poi riprese: –
Però la penso anche come North e come Jack: da sola non ci
riuscirei mai. Quindi non diventerò una vostra alleata ma vi
darò comunque il mio totale supporto e aiuto, per quanto mi
sarà possibile.–
Valentine le
rivolse uno sguardo esterrefatto: a suo parere l'unica persona che
ancora ragionava in quella stanza era spensieratamente impazzita a sua
volta.
–
Per voi avrei bisogno di qualche fantastilione di frecce
dell'intelligenza. – sospirò abbattuto.
– Altro che dardi dell'amore. –
Jack Frost
assunse un'aria pensierosa e si prese il mento tra l'indice e il
pollice per aiutare le proprie idee a schiarirsi ulteriormente. A che
cosa stesse pensando nessuno avrebbe mai potuto nemmeno immaginarlo.
Will lo
guardò con interesse, notando inconsciamente il modo
delicato con cui i sottili capelli argentati di lui cadevano scomposti
sulle tempie e sulla fronte, ombreggiandogli gli occhi azzurri velati
da ciglia finissime.
I pensieri di
Jack, intanto, vagarono fino alla nuova tana di Pitch e ad Halley.
Ricorda
Jack. Fidarti degli altri sarà la tua rovina. Questo gli aveva
detto l'Uomo Nero e lui, Jack, si era fidato lo stesso. Halley
però non aveva tradito per sua volontà, era stato
costretto; la sua volontà spezzata con l'inganno dagli
strali dell'astuzia di Pitch. Anche messa in quel modo,
però, la sostanza della cose non cambiava: presto o tardi
avrebbero dovuto combattere contro Halley. E quando fosse giunto il
momento sarebbero riusciti ad eliminarlo, così come si
proponevano di eliminare Pitch?
Questo Jack
Frost ancora non lo sapeva.
***
I
know you know what you’re doing to me
I
know my hands will never be free
I
know what it’s like to be
In
chains
In chains, Depeche Mode
Il sonno,
soave balsamo ristoratore delle fatiche compiute durante la giornata,
serrava con attente e benevole dita gli occhi dei bambini, avvolti
nell'ombra delle loro calde coperte. La sabbia dorata che allontanava
la coscienza e induceva al salvifico oblio del riposo aveva
già visitato le case di Burgess quando una figura indistinta
ascoltò in doloroso raccoglimento i rintocchi della
mezzanotte allungarsi nell'aria come il pianto di una novella sposa,
abbandonata sull'altare.
Le nuvole
stracciate corsero nel cielo stellato, incalzate da raffiche di vento
gelido, celando la luce della luna come una maschera dissimula le
espressioni del volto.
L'ultimo
rintocco si spense in lontananza e tutto tornò a tacere.
Il perfetto
silenzio della città quando si placa, il suo tornare a
bisbigliare dopo aver tanto gridato, parlò alle orecchie
della figura fuligginosa con dolcezza.
"È
l'ora di Halloween."
E la figura
sorrise in quell'attimo privo di tempo e di spazio che è
l'istante prima della tempesta.
Per
le cose profonde a che serve il linguaggio?
Se
chi è vivo per caso o per volontà - chi
nonostante tutto si ostina a vivere, chi non sa più per che
cosa o per chi vivere - ancora non sa parlare delle profonde esperienze
che la vita gli ha inflitto…
Halley smise
di sorridere e volse lo sguardo all'orizzonte, dove (anche senza
vederli) sapeva che i cancelli neri si stavano aprendo cigolando,
riversando nel mondo degli umani i mostri che durante tutto l'anno
rimanevano segregati..
…perché
dopo tutto questo ci si stupisce ancora se i morti non parlano della
loro morte?
Di tutte le
case solo una aveva ancora la luce accesa. Una casa che ad Halley
riportò alle mente memorie così lontane eppure
così vicine alla sua anima slabbrata da sentirsene
ulteriormente ferito: Jack Frost voleva mostrargli qualcosa in quel
posto, voleva fargli conoscere qualcuno.
Lumin si
limitò ad uscire dalla porticina laterale della lanterna e
ad arrampicarsi lungo il bastone di ghisa, fin sopra la spalla di
Halley. Una lieve favilla, come un tenero buffetto, sfiorò
quella guancia liscia con tenerezza, asciugando una lacrima che lui non
sapeva nemmeno di aver versato.
Il
loro silenzio avrà spiegazioni solo quando li avremo
raggiunti.
–
Andiamo, Lumin. –
Halley sorrise
di nuovo, sforzandosi di mostrare un'allegria che non provava.
– Prima che inizi voglio accertarmi di una cosa. –
Un rombo cupo
di protesta si alzò dalle nuvole che s'andavano ingrossando
in gonfi agglomerati di vapore acqueo sopra i tetti della
città. Lumin condusse Halley al davanzale di quella stanza
illuminata e lanciò qualche lenta spirale infuocata per
controllare attentamente l'interno.
Un letto, un
mobile e una scrivania erano tutto quello che quella camera conteneva,
insieme ad alcuni buffi disegni dove un ragazzino sfrecciava sopra ad
uno slittino in mezzo alla neve. Dopo l'approvazione di Lumin, Halley
aprì la finestra e fece scivolare i piedi all'interno,
posandoli sopra ad un tappeto a motivi geometrici. La luce proveniva da
una lampadina a faretto poco distante dal letto, dimenticata accesa.
La folata
d'aria che penetrò dalla finestra scompigliò i
capelli castani di un bambino addormentato e Halley si
accucciò per poterlo guardare in volto. Lentiggini e un naso
a patata, sopra ad una bocca spalancata in un sorriso divertito. Il suo
doveva essere proprio un bel sogno, pensò Halley, senza
distogliere lo sguardo. Il bambino, quasi avvertendo di essere
osservato, richiuse la bocca di scatto e strofinò il viso
contro il cuscino, arrossandosi le guance.
Con fare materno Lumin
borbottò sommessamente e Halley dovette alzarsi
per rimettere a posto le coperte che si erano scostate dalle spalle
dell'addormentato.
Quel gesto
però svegliò definitivamente il bambino e due occhi assonnati, scuri come miele di castagno, fissarono Halley in una muta domanda.
–
Jack…? –
Per un incredibile attimo
Halley pensò che il bambino potesse vederlo, che stesse
parlando proprio con lui, ma poi realizzò che stava parlando
di qualcun altro. Jack Frost.
–
Jack, sei tu? –
Strofinandosi
gli occhi con entrambe le mani si tirò a sedere e
fu in quell'attimo che Halley vide la scritta a lettere multicolori che
capeggiava eternamente sotto ad alcuni disegni dal tratto infantile,
simile ad una firma.
– Jamie. – lesse
Halley e poi tornò a guardare il bambino.
–
Jack, dove sei? – chiese ancora il bambino, alzandosi dal
letto e andando a chiudere la finestra con passo incerto. –
La finestra è aperta, quindi lo so che ci sei. Non cercare
di spaventarmi come l'ultima volta perché non è
affatto divertente come credi. –
Halley si rese
conto di aver fatto un errore. Il viso poteva essere ancora
fanciullesco, ma quello che gli stava di fronte non era più
un bambino. Poteva avere circa undici o dodici anni. E Halley
ricordò con rabbia che lui a quell'età lavorava
già nella miniera.
Stava per
rovesciare la sedia della scrivania con un involontario ed innocente
calcio, quando la porta si spalancò su una cosetta bionda e
urlante che sfrecciò tra le braccia di Jamie, piangendo.
–
Sophie? Che succede? – chiese Jamie preoccupato.
Tra i
singhiozzi e le lacrime, si distinsero solo le parole " cewa moosto" e
"neesta"
–
Hai visto un mostro fuori dalla finestra? – tradusse subito
Jamie, con tale prontezza da stupire persino Lumin che
scoppiettò allibita. – Sarà stato solo
un incubo, torna a dormire e vedrai che Sandy tornerà con
uno dei suoi sogni più belli. –
Sophie
scuotè la testa con vigore, facendo ondeggiare intorno al
suo viso la massa di capelli dorati che le scendeva fluentemente fin
quasi a metà schiena.
Jamie
sospirò e si sedette sul letto, facendo accomodare la
sorellina sulle ginocchia prima di abbracciarla per rincuorarla. Halley
perse del tutto la sua voglia di rompere la sedia vedendo quella scena,
o meglio di rompere soltanto la sedia.
Perché in quel maledetto istante avrebbe voluto dire a Lumin
di mandare al rogo l'intera città pur di non dover assistere
ulteriormente a quel quadretto familiare, pur di non dover
più vedere quello che lui aveva perduto - non per la prima
ma addirittura per la seconda volta - e che mai più avrebbe
potuto avere indietro.
– Ho
visto abbastanza. – disse a Lumin, cercando di dare alla sua
voce un tono che risultasse saldo almeno alle sue orecchie. –
Andiamo via. –
La voce di
Jamie però lo colse del tutto impreparato.
– E
dai Sophie, basta piangere. Ormai sei grande e, poi, domani
è Halloween! Non vorrai mica che la mamma non ci lasci
andare a fare "dolcetto o scherzetto" insieme agli altri? –
Davanti alla
possibilità di non vedere nemmeno un dolce Sophie
sembrò dimenticare persino cosa l'avesse spaventata e
tirò su col naso con fare dignitoso.
–
Ecco, così non va meglio? –
–
Domani verranno anche … Jack e Bunny? –
–
Non saprei. –
Halley
osservò una linea dubbiosa delinearsi in mezzo alla fronte
di Jamie e di nuovo i suoi occhi frugarono la stanza alla ricerca di
quel qualcosa o qualcuno che sospettava essere entrato di soppiatto
nella sua stanza.
–
È già da un po' che non li vedo, in effetti.
–
Durante
quell'operazione gli occhi di Jamie si posarono sull'orologio e un
sorriso genuino gli si dipinse sul volto.
–
Anzi, guarda un po' lì, Sophie! È già Halloween! –
Con un'esuberanza invidiabile, Sophie
balzò in piedi e
iniziò a saltare sul letto di Jamie a piedi uniti, arrivando
un poco più in alto ad ogni balzo che faceva.
–
Voglio mettere il mio vestito da strega! Voglio mettere il mio fantastico vestito da strega!
–
Jamie
ridacchiò piano, sperando con tutto il cuore che i suoi
genitori continuassero a dormire, ignari.
Halley invece
percepì distintamente la sua mascella serrarsi e fuori dalla
finestra le prime gocce di pioggia cadere con un ticchettio
inesorabile contro il vetro di quella stanza illuminata contro la notte
più nera.
–
Volete Halloween? – disse così piano che persino
Lumin stentò a sentirlo. – E Halloween avrete.
–
La sua mano
corse alla finestra, spalancandola con un solo movimento e facendo
sussultare sia Jamie che Sophie dalla sorpresa. La pioggia
cominciò ad entrare, bagnando il tappeto, ma ad Halley non
importava. Perché avrebbe dovuto, poi?
Incurante
degli sbuffi di protesta di Lumin che mal sopportava l'acqua si
slanciò di sotto, atterrando nel bel mezzo della strada,
sotto al cono di luce di un lampione teso verso il marciapiede.
Rovesciò il capo all'indietro, accogliendo con gioia i
sottili aghi che infierivano sulla sua pelle. Chiuse gli occhi e
incominciò a correre, sentendo il vento corrergli
sul corpo e gettargli i capelli dietro le spalle. Gli spruzzi di fango
che alzava gli insozzarono i pantaloni e andarono a macchiare la sua
maglia bianca, ormai attaccata al suo torso congelato.
Ma a lui non
importava. Niente importava più.
Dall'alto del
campanile, dal tetto che sovrastava tutti gli altri sfidando le altezze
più vertiginose, Pitch Black aveva osservato divertito
l'intera scena. Con una lieve torsione del candido polso
richiamò alcuni incubi, ordinando loro di riportargli quella
pecorella smarrita.
–
Oh, Halley… Halley… che cosa devo fare con te? Ti
ostini a cercare di dare un senso alla tua esistenza, di trovare un
destino al quale assurgere. –
L'espressione
di affettato rammarico non sparì dal volto scarno di Pitch,
nemmeno quando vide i suoi incubi accerchiare quella fuligginosa
figura, persa sotto la pioggia che inondava Burgess, per riportarla al
cospetto del suo padrone.
– La
risposta è facile, Halley. La
razza umana non ha alcun rispetto di sé stessa
perché tutto sommato sa che il suo è un destino
di morte e di distruzione; pertanto sa che vivendo in un
universo illogico, non vale la pena di costruire una logica che
giustifichi le sue azioni. –
***
I
know you knew on the day you were born
I
know somehow I should’ve been warned
I
know I walk every midnight to dawn
In
Chains
In
chains, Depeche Mode
Cercare di
controllare il respiro affannoso non sembrava portare ad alcun
successo: le ali battevano producendo fugaci brillii smeraldini e le
piume arruffate combattevano contro la pioggia che si era
improvvisamente abbattuta su tutta la terra, pioggia nera e affilata,
minuscoli spilli di oscurità che s'insinuavano sotto pelle
assieme al gelo della notte.
Toothiana
aveva assistito all'apertura dei cancelli neri tra le grida di gioia
dei mostri di Halloween, urla di esultanza e di liberazione che si
intrecciavano tra loro a formare una cacofonia mostruosa, con una
bellezza che aveva qualcosa del delirio e della pazzia.
Chi usciva
però mutava... cambiava per non tornare più
sé stesso.
L'influenza di
Halloween sembrava imporre un sigillo sulle menti dei suoi adepti. Un
marchio che impediva loro di andare dove volevano e che li costringeva
a dirigersi tutti verso un unico punto: la tana di Pitch.
Essi erano
semplici burattini nelle mani di Halley che esercitava su di loro il
controllo più puro che potesse esistere. Il controllo
dell'anima che li legava al loro Signore con un patto inscindibile di
devozione e totale sottomissione. Tale espediente era stato pensato per
evitare che i mostri potessero fuggire o ribellarsi, compiendo guerre e
massacri come nei secoli bui, ma alla fine questo stratagemma si era
rivelato solo l'ennesima arma a doppio taglio, capace di ferire a morte
entrambe le parti.
Toothiana
doveva avvisare gli altri che la battaglia non era più tra i
Cinque e Pitch, e non era nemmeno tra loro più qualche
spirito minore contro Pitch e i suoi alleati. Era una guerra vera e
propria.
Gli spiriti di
Halloween era tanti, troppi per poter pensare di affrontarli senza
adeguato supporto: un autentico esercito che si stava muovendo per le
vie non battute della terra per raggiungere le ombre di Pitch e, poi -
di questo Toothy ne era sicura - marciare come un'unica grande armata
verso il Polo Pord.
Tra le dita
irrigidite per il freddo stringeva due piccoli cofanetti dorati, alle
cui estremità spiccavano in rilievo due rotondi volti
scolpiti nel metallo e poi decorati con i colori cangianti delle fate.
Capelli
neri, occhi come carboni ed incarnato pallido.
Halley e Satia
quando erano ancora bambini; quando ancora umani avevano perduto i
dentini da latte ed atteso con ansia fino a quando le fatine non erano
venute a prenderli per portare loro in cambio qualche soldo.
Toothy
sentì che i suoi occhi, di solito lucenti come ametiste
intagliate, si riempivano di qualcosa che non era solo pioggia. Acqua
salata come il mare e amara come la fiele.
Un
piccolo bambino fuligginoso che per avere più soldi -
necessari a pagare il cibo a lui e a sua sorella - si lanciava a testa
bassa contro il tronco di un albero, riuscendo a spaccarsi cinque denti
in una volta. La ragazza più grande di soli quattro anni che
offriva il suo aiuto nelle case, per cucinare o per pulire.
Lei riusciva a
vedere i ricordi contenuti nei denti dei quali era la Guardiana. I
ricordi più vividi e più forti, i più
belli ma anche i più dolorosi. Serrando gli occhi con forza
scacciò le lacrime e guardò verso il basso dove
Cassian stava correndo sulle rocce rese scivolose dalla pioggia con
velocità inumana, sfruttando fino allo stremo le sue
già ampie falcate. Quest'ultimo doveva combattere una
estenuante battaglia interiore per impedire che il volere di Halloween
si manifestasse anche dentro al suo spirito, annullando completamente
la sua volontà. Toothy lo vedeva dai suoi occhi verdi
sofferenti e socchiusi in una smorfia di dolore che nulla aveva di
fisico; lo vedeva dalle spalle curve e dalla bocca serrata.
La
ragazza che nonostante avesse freddo, dava tutta la sua coperta al
fratellino più piccolo, abbracciandolo da dietro per evitare
che quel poco calore che possedevano si disperdesse nell'aria. I
genitori che andandosene avevano lasciato un buco più
profondo e più indelebile dei semplici debiti di gioco e
degli arretrati dell'affitto.
Toothy si
diede per l'ennesima volta dell'idiota.
Non aveva
capito niente di Halley.
Niente.
Davanti a
sé vide ancora quel sorrisetto di scherno e quegli occhi
scuri che osservavano tutto e tutti col disincanto di un adulto; occhi
di chi era cresciuto troppo in fretta, occhi di chi non era mai stato
un bambino.
Ed ecco
perché Halloween non piaceva ai Guardiani, a coloro che
erano abituati a fare la gioia dei bambini. La loro era la semplice
incapacità di accettare qualcuno che bambino non era mai
stato o erano solamente restii ad ammettere che il loro grande potere
era in realtà molto limitato?
Se
nessuno crede in loro, i Guardiani non esistono.
Quella che
viene richiesta è qualcosa di più forte
dell'umana fiducia, di più salda della fede religiosa, e di
più incrollabile del tempo o dello spazio stessi: bisogna
credere e basta.
Credere
per credere.
Credere
per vedere.
Credere
per esistere.
Credi con
tutto te stesso a qualcosa e quel qualcosa, presto o tardi,
diventerà realtà.
Solo
allora nasceva un Guardiano.
E,
da ciò che era stato umano, prendeva vita una Leggenda.
Toothy
sbatté le ali con rinnovata furia, dirigendosi verso il polo
nord con la speranza di riuscire ad arrivare per tempo, di
avvertire tutti del pericolo che incombeva su di loro.
*****************************************************************
Cit nel testo
(in corsivo, escluse le Lyrics d'incipit):
John Keats
(poesia);
Edgar Lee
Master (poesia);
Carl William
Brown (aforisma)
Nel caso vi
steste domandando perché alcune battute di North sono in
russo e altre no, è perché le parti non tradotte
sono nomi di persone. Šostakovič, tanto per fare un esempio,
è Dmitrij Šostakovič uno tra i più
importanti compositori e pianisti sovietici ed è, tra
l'altro, anche il nome che North ripete quando deve imprecare ( insieme
a Korsakov, anche lui super famoso compositore russo) . XD
Nel caso non
ve lo foste domandato, fate come niente fosse. *fischietta andandosene*
Ah,
già… *fa inversione ad u*
Qui sotto
troverete una Side Story. * indica di sotto con l'indice* è
diversa dalla extra-story perché racconta fatti o cose che
nella storia vera e propria non accadrebbero mai: ovvero immaginatevi
Pitch che beve un cappuccino al bar all'angolo conversando amabilmente
con vostra nonna. Ecco appunto, cose di non quasi ordinaria
amministrazione. :3
E credo che
metterò anche l'avvertimento [Het/Yaoi] per queste piccole
SiS. U.u
#DONNA/UOMO
AVVISATA/O MEZZA/O SALVATA/O#
********************************************************************
- SIDE STORY -
Stuck
in the moment,
Caught
in an istant,
Seconds
are eternity
But
filled with nothing but pleasure.
Make love to me, Luke James
Halley
sorseggiò svogliatamente la tequila direttamente dalla
bottiglia che teneva in mano e si lasciò cadere su una delle
sedie ai lati del set di registrazione. Cassian si accomodò
sul posto accanto al suo con studiata noncuranza .
–
Che stanchezza! Mi fanno male le spalle. – si
lamentò massaggiandosele con esuberanza.
– Ma
se ultimamente non ti si vede nemmeno nella storia. – disse
Halley, continuando a guardare davanti a sé. – Sei
a malapena comparso per due misere righine dopo ben due capitoli di
assenza! –
–
Si, non ho molte parti da protagonista di recente ma ho altri modi per
tenermi occupato.–
–
Tipo rovinare il tuo personaggio con battute così pessime
che fanno solo dubitare della tua virilità? –
–
No. – rispose prontamente Cassian. – Tipo chiedermi
perché con la camicia bianca strappata tu sia
così maledettamente sexy. –
Halley si
girò a guardarlo soltanto per potergli scoccare per intero
la sua occhiata di sufficienza con tanto di sopracciglio alzato.
– Ti
offendi se ti dico che sei noiosamente scontato? –
–
Niente affatto. – ammise Cassian. – Però
ad essere sinceri da te mi farei offendere senza problemi. Magari
mentre siamo entrambi a letto, completamente nudi ed eccitati, ed io
sto per…–
– Fa'
silenzio.
–
Un addetto ai
costumi finì in quel momento di riattaccare alcune piume
colorate al copricapo di Toothiana e una delle sceneggiatrici
diede ulteriori indicazioni su dove e come posizionare alcuni cespugli
ai lati del landscape. La scena successiva sarebbe stata quella del
combattimento, ovvero quella clou di tutta la trama, e tutto doveva
essere in ordine.
Capendo che le
riprese non sarebbero ricominciate prima di qualche ora, Halley si
alzò svogliatamente e si diresse verso la propria roulotte.
Mollò la bottiglia su uno dei tavoli disposti all'esterno e
salì i tre gradini che portavano alla porticina d'ingresso.
Non ricordava che quegli scalini fossero così traballanti e
sbuffò accaldato non appena si fu richiuso la porta alle
spalle.
Il desiderio
di stendersi, unito alla piacevole sensazione di liberazione che
avrebbe accompagnato quell'elementare gesto, lo guidò dritto
verso il letto.
Nell'esatto
istante in cui la sensazione di frescura delle lenzuola gli
blandì la liscia pelle un sospiro di sollievo
uscì dalle sue labbra socchiuse. Perfino il lieve ronzio che
fino a pochi attimi primi vibrava dietro le sue palpebre serrate
sembrò diminuire fino a sparire del tutto. Nel silenzio
dell'angusto spazio il suo respiro gli arrivò alle orecchie
leggermente accelerato: doveva davvero aver bevuto qualche sorso di
troppo.
Non ebbe tempo
di gingillarsi con quelle magnanime sensazioni perché
sentì distintamente la porta riaprirsi per qualche momento e
poi richiudersi in tutta fretta. Maledicendosi per la propria
sconsideratezza si alzò sui gomiti ad incontrare gli occhi
chiari di Cassian ed il suo corpo snello.
–
Non voglio essere disturbato. – decretò tornando a
distendersi sulle coltri. – Esci subito dalla mia roulotte.
–
–
Dal tuo atteggiamento direi però che tu stia facendo di
tutto per invogliarmi a disturbarti. –
–Anche
fosse non osare avvicinarti. –
–
D'accordo. –
– Ti
stai avvicinando. –
–
No. –
–
Si, invece! Sei sempre più vicino! –
–
Niente affatto. –
– E
questo come lo chiami, di grazia!? –
Cassian
finì di sdraiarsi sopra Halley e con un luccichio divertito negli
occhi, verdi come l'erba appena tagliata, rispose candidamente:
– Fare di necessità, virtù. –
– E
da quando starmi così vicino è una
necessità? –
– Da
quando la tua virtù è a rischio. –
– Ma
non dire fesseri…–
Il resto della
frase venne cancellato dalle labbra di Cassian premute sulle sue. Il
peso di quel corpo solido che si sovrapponeva lentamente al suo,
schiacciandolo contro il materasso.
–
Ferm…!–
Questa volta a
premere contro le sue labbra fu la lingua di Cassian, umida e calda,
che prepotentemente si aprì un varco, costringendolo ad
assecondare quell'assalto che niente aveva di dolce e delicato.
–
Fa' silenzio. – soffiò Cassian, con l'accenno di
un sorriso sulle labbra, ripetendo le stesse esatte parole che Halley
gli aveva rivolto poco prima, prima di tornare ad intaccare le difese
del ragazzo. – … e resta buono. –
Nonostante la
mente annebbiata dall'alcool Halley percepì distintamente la
mano di Cassian scivolare verso il basso, tracciando sul suo fianco una
scia di velata pressione che univa il desiderio alla
possessività.
Le dita
incontrarono la sua cintura e il pollice si incastrò
all'interno dei pantaloni tirandoli lievemente con fare giocoso. Halley
allungò le sue mani sul petto di Cassian per respingerlo,
per evitare che quel contatto si prolungasse oltre. Capì
troppo tardi di aver fatto un errore. La solidità del petto
di Cassian contro i suoi palmi gli fece comprendere di non poter
evitare quel che stava per accadere.
–
Cassian, per favore, fermati. – implorò sentendo i
suoi muscoli cedere sotto la spinta dell'altro.
In risposta
alle sue preghiere la lingua di Cassian si intrecciò alla
sua, ghermendola e trascinandola in vorticose danze a fior di labbra.
Alle sue orecchie ovattate arrivò un suono metallico e poi
una sensazione di oppressione: le abili dita di Cassian lo stavano
liberando della presenza protettiva dei pantaloni e premevano
dolcemente sul suo inguine, cercando di risvegliarne la passione. Di
colpo Halley si sentì le guance in fiamme e serrò
la gola, deglutendo più volte, per evitare che qualche suono
vergognoso - o peggio, di approvazione - gli uscisse dalle labbra sulle
quale Cassian sembrava deciso a lasciare tracce di lievi morsi e di
baci così irruenti da mozzare il respiro.
–
F-fermati o non ti perdonerò! –
Cassian si
allontanò con sguardo vacuo, ma prima che Halley, ansimando
sonoramente, potesse cantare vittoria la sua maglietta venne afferrata
con decisione e tirata fin sopra la sua testa, dove venne rigirata con
abilità. Ritrovandosi con le braccia bloccate dietro la nuca
e il petto liscio ed abbronzato completamente a disposizione degli
sguardi famelici di Cassian, Halley si dimenò cercando di
evitare quella posizione imbarazzante.
Incurante di quei goffi tentativi, Cassian si abbassò
voluttuosamente per baciare e accerchiare con le sue labbra uno dei
capezzoli di Halley che lanciò un basso gemito. In quella
la porta si aprì nuovamente lasciando
entrare Toothiana, (o Thia, come era più conosciuta sul set)
la quale non indossava l'abituale costume di piume ma teneva i capelli - neri con le meches verde shocking - sciolti sulle spalle sopra ad una
maglietta nera dei Guns N' Roses.
Subito i suoi
occhi viola si posarono allucinati su Halley e Cassian, mentre la sua
bocca si apriva a formare una "o" decisa.
–
Che diavolo state facendo? –
–
Non si capisce? – chiese Cassian, evidentemente seccato.
Halley
lanciò un'occhiata di pura disperazione a Thia e lei
piegò di lato la testa, quasi godendosi con sadico
divertimento quel momento di indecenza.
–
Oh, si che si capisce. – mormorò portando un dito
alle labbra. – Basta guardarvi per capire tutto quello che
c'è da capire e che le lettrici si sono sempre chieste.
–
–
Eh, già. – annuì Cassian , beccandosi
un'occhiata da obitorio da parte di Halley. – Hai visto come
siamo dolci insieme? –
Thia
roteò gli occhi per quell'allusione al suo personaggio e
sospirò: – Già. Certo. Così
dolci che mi verrà il diabete… –
|
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Capitolo 9 *** Smells like Guardian Spirit ***
CAPITOLO
9
SMELLS LIKE GUARDIAN SPIRIT
There
is no greater love than this.
There
is no greater gift that can ever be given.
To
be willing to die, so another might live…
There
is no greater love than this
Steve Curtis Chapman
La vita era
fatta di scelte e questo Will-o'-wisp lo aveva imparato molto presto.
Scelte a cui un giorno si sarebbe dovuto dare un senso, uno scopo, se
non si voleva che risultassero del tutto inutili. In vita aveva voluto
essere invisibile, cercando quasi ossessivamente la pace dei sensi e la
calma della solitudine; sperando di dimenticare i torti subiti, le
angherie e le vessazioni che avevano portato il suo corpo alla morte.
L'Uomo nella
Luna le aveva donato tutte e tre queste cose, più una quarta
che riassumeva la sua stesse essenza: il fuoco fatuo.
Di fatua
bellezza era stata persino la sua morte perché negli ultimi
istanti della sua esistenza, lei aveva volato. Fuori dalle finestre di
una delle torri del suo sgargiante castello, ma aveva volato. Per poi
schiantarsi con la prepotenza del fuoco contro il selciato.
Suo marito, di
quasi quarant'anni più vecchio e con altre cinquanta mogli
al seguito, al mattino aveva pianto teneramente la sua dipartita. La
falsa voce che fosse semplicemente scivolata nel vuoto aveva fatto
cadere nel disinteresse la sua vera storia. L'Oriente, con le sue
spezie e le sue notti infinite, l'aveva presto dimenticata.
La Luna invece l'aveva accolta a braccia aperte dandole l'imperativo
del fuoco e della leggerezza.
–
Stai dormendo? –
Senza riuscire
a ricordare quando li avesse chiusi, Will riaprì i suoi
occhi e il largo sorriso di Jack Frost l'accolse come una fresca
ventata settembrina. Così limpido e puro, così
diverso dal sorriso che Halley le aveva rivolto quando l'aveva vista
varcare i suoi cancelli per la prima volta, notando in lei nient'altro
che un ipotetico spirito delle donne morte suicide. Un sorriso
sarcastico e ironico che l'aveva fatta sentire subito a casa,
perché insieme ad esso era arrivata la consapevolezza che
altri credevano - come in fondo anche lei - che la loro vita fosse
stata solo un triste scherzo del destino a cui non erano stati in grado
di sottrarsi se non fuggendo nelle braccia di una fredda bara.
La vita era
fatta di scelte.
–
Non stavo dormendo. – rispose meccanicamente Will.
– Stavo pensando. –
– A
che cosa? –
– Al
perché dell'esistenza. – rispose Will, quasi
sfidando Jack a ridere di lei. Invece lo sguardo sorpreso ed
incuriosito - pur senza risultare in alcun modo invadente - di Jack la
invitò a continuare.
–
Pensavo al perché esistono spiriti come me, come Valentine o
come Halley. Noi non aiutiamo i bambini e non portiamo loro nulla. O
addirittura, come nel caso di Pitch, cerchiamo di spegnere la scintilla
che li anima. Perché credi che l'Uomo nella Luna ci riporti
in vita, dandoci una seconda possibilità? –
–
Forse perché sa che prima una possibilità non
l'avete mai avuta? –
Gli occhi di
Will si allargarono sorpresi e poi tornarono a chiudersi, l'ombra di un
sorriso che aleggiava sulle sue labbra cerulee. Jack Frost era davvero
un tipo sottovalutato da molti.
La voce del
ragazzo le arrivò di nuovo alle orecchie ma questa volta le
sembrò preoccupata. Un refolo di vento, le disse che lui era
balzato al suo fianco, sopra alla balaustra del terrazzino sul quale
lei si era seduta cercando un po' di solitudine.
–
Non mi piace questo cielo. –
Will
guardò a sua volta. C'era qualcosa di errato nella
colorazione rossastra del cielo, come se le nuvole avessero lasciato
dietro di sé scie di sangue dopo esser state ferite a morte
dall'alba che incombeva.
–
Nemmeno a me. – concordò Will, cercando di
reprimere l'ennesima fitta di dolore. Da quando si era
svegliata quella mattina un richiamo sordo al petto si era acceso in
lei e, in qualche modo, la avvisava che qualcosa di molto brutto stava
per accadere. Non sapeva cosa però, né riusciva
ad immaginarlo.
–
Stai bene? –
La mano
delicata di Jack si posò sulla sua fronte e Will si
voltò di scatto, sentendosi avvampare.
–
Si, sto bene. – rispose, scostandosi ulteriormente.
– Sai nulla di Valentine? –
Il sorriso di
Jack le riscaldò ulteriormente il cuore e, con rammarico, si
ritrovò a domandarsi perché non avesse potuto
incontrare un ragazzo come lui quando era in vita.
– A
quanto pare ha deciso che può scoccare frecce anche al
fianco dei Guardiani, se promettiamo di non intralciarlo troppo nella
sua vendetta. È riuscito persino a riparare l'arco. Ma da
quando è successo, stranamente North ha iniziato a parlare
di amore osservando deliziato uno dei suoi yeti più barbuti.
–
Will
ridacchiò piano e questa volta il dolore arrivò
così prepotentemente da coglierla di sorpresa. Si
ripiegò su sé stessa e represse un grido,
sentendo le braccia di Jack cingerla l'attimo dopo per impedirle di
cadere di sotto.
– Tu
non stai affatto bene. – dichiarò lui deciso,
senza accennare a mollarla. Will fece per ribattere che senza dubbio
sarebbe migliorata a momenti, ma il secondo capogiro la costrinse a
pigiarsi le mani sulle tempie con forza.
–
È H-halloween. – spiegò con voce rotta
dalla sofferenza. – L-lui mi sta chiamando. È da
mezzanotte che…–
–
Halley? – chiese Jack cercando di guardarla in faccia.
– Che significa che ti sta chiamando? –
–
N-non era mai successo prima. Non dovrebbe nemmeno accadere:
è strano, f-fa male. –
Jack
richiamò il vento e portò Will con sé,
passandole una mano dietro le ginocchia e l'altra dietro le spalle.
Subito si stupì dell'assenza di peso che tratteneva tra le
braccia: era leggera, maledizione se era leggera. E di certo il suo
colorito azzurrino non l'aiutava a sembrare una persona in salute.
– Ti
porto dentro. – annunciò spalancando le porte del
terrazzo con una folata impetuosa, per poi varcarle con un balzo.
–
Halley… lui vuole che io lo raggiunga. –
– Tu
non ti muoverai di un solo millimetro, invece. –
ordinò Jack, depositandola su uno dei divani in pelle
bordeaux di North. Fece per richiudere le porte di vetro dietro di
sé, ma uno sfarfallio smeraldino, chiaro come la giada
più pura, costrinse i suoi occhi a socchiudersi.
La voce acuta
di Toothy arrivò poco dopo, ancora indistinta, alle sue
orecchie.
***
Ali come
schegge di zoisite, multicolori e frenetiche, si stagliarono contro i
bordi bruniti delle nuvole. In lontananza il primo lampo,
illuminò la terra di una luce violenta e fulminea, e la
prima goccia nera cadde come tetro ammonimento contro il vetro del
terrazzino. Jack osservò la scia grigiastra che quel
frammento di tenebra tracciò con lentezza su quella
superficie trasparente scivolando verso il basso, prima di notare
l'ombra scura che aveva preso possesso del balcone.
La punta del
suo bastone ricurvo si puntò contro di essa per puro
riflesso istintivo. Solo quando l'ombra alzò le mani in
segno di resa, si rese conto di chi si trovava di fronte.
–
Jack! No! – gridò Toothy. – È
con noi! –
Cassian
riabbassò le mani e per un attimo la stessa espressione
spezzata di Will comparve anche sul suo volto.
–
Diventa sempre più difficile resistere a questa maledetta
voce. – disse avanzando verso Jack. – Pitch deve
aver fatto qualcosa ad Halley. –
Nessuno,
né Toothiana, né Cassian, sapeva ancora quello
che era successo nella tana di Pitch.
Quella
consapevolezza colpì Jack come un pugno allo stomaco e la
sua voce risultò tesa come un filo in procinto di spezzarsi
quando cercò di parlare.
– In
verità Halley si è … lui si
è unito a Pitch. –
–
Si, lo sappiamo. – fu la semplice risposta. Così
limpida e chiara da spiazzare Jack. – Siamo qui per questo.
–
Con qualche
sobbalzo dovuto alla stanchezza, Toothy atterrò a sua volta
sul terrazzino e Cassian l'afferrò prima che cadesse sul
pavimento.
–
Come… come lo sapete? –
Lo sguardo di
Cassian si oscurò, palesando un sentimento che rasentava la
colpevolezza e, a tratti, il risentimento, ma quel momento
passò in fretta e lui si affrettò a portare
dentro Toothy, richiudendo dietro di loro la porta-finestra per
evitare che le sempre più frequenti gocce nere potessero
entrare.
–
C'è una cosa che vi dobbiamo mostrare. – disse
Toothy, mostrando a tutti i due cofanetti cilindrici che fino a quel
momento aveva stretto al suo petto ansimante, proteggendoli dalle
intemperie con la fermezza di una madre che ripari i propri piccoli. Da
sotto uno dei cofanetti, uscirono due Dente da Latte che si scrollarono
le piume, starnutendo in un tenue pigolio.
Will si
alzò sui gomiti e indicò incredula quegli
oggettini dorati: – Sono quello che penso io?
Sono… i ricordi di Halley? –
– Di
Halley e di sua sorella. – annuì Toothy.
– Come ho già detto c'è una cosa che vi
dobbiamo mostrare. Io e Cassian l'abbiamo già visto, ma
anche voi dovete sapere. –
Una delle due
fatine alate corse da Jack ad abbracciarlo e lui sorrise suo malgrado.
– Ma
i ricordi non possono essere visti solo dai diretti interessati?
– chiese, spostando la piccola Dente la Latte sulla sua
spalla, dove presto andò a posarsi anche l'altra compagna.
– Quando ci ho guardato dentro io ho visto solo i miei
ricordi. –
Quel
tremendo giorno in cui credeva di aver perduto tutto quello per cui
aveva lottato. Quel giorno dove, se non fosse stato per il
sé stesso del passato, avrebbe perduto il sé
stesso del presente. L'importanza dei ricordi perduti che gli aveva
fatto comprendere qual era la giusta via, e chi era che voleva
diventare veramente. Un Guardiano.
– Io
sono la Guardiana dei Ricordi. – mormorò Toothy
lentamente, quasi volesse accertarsi che nessuno perdesse nemmeno una
delle sue parola. – Posso accedere quando voglio a tutti i
ricordi contenuti nei denti. –
–
Non ha più senso ormai. – rispose Jack, scuotendo
la testa. – Satia è morta. –
–
Gli spiriti non muoiono. – esclamò Cassian con gli
occhi verdi accesi di una luce sinistra. – Gli spiriti sono
tali perché sono già morti. Possono venire
sconfitti, segregati, distrutti… ma non possono morire di
nuovo. –
–
Finché qualcuno crederà in loro potranno
rinascere... – comprese Jack.
Rivedere
e rivivere la morte di Sandman. Il sacrificio che tutti credevano lui
avesse compiuto per non dare la soddisfazione della vittoria a Pitch,
pur di lasciare dietro di sé una risacca di speranza e di
sogni che, anche senza il loro Guardiano, avrebbero continuato a vivere
di vita propria.
Il
mare che continua nel suo incessante sciabordio nonostante qualcuno
cerchi di fermarlo calciando la spuma delle onde. L'infinita
profondità degli abissi della mente, i recessi che anche
Toothiana era in grado di esplorare a suo piacimento.
–
Satia non era un guardiano. – fece notare Will. –
Nessuno credeva in lei prima e nessuno crederà in lei dopo.
–
Parole
che come vetri rotti feriscono la pelle, lasciando una linea slabbrata,
sanguigna e dolorosa, dove prima c'era solo la liscia
uniformità dell'epidermide.
– Ed
è qui che ti sbagli! – esclamò Toothy,
le guance pallide accese da un accenno di colore. – Quando
Pitch dice che può riportare indietro Satia dice la
verità. Nessuno di voi conosce la vera storia
della nascita di Pitch. –
Cassian
serrò i pugni e Will lo guardò con sguardo
interrogativo, ricevendo però in cambio solo un'occhiata
vuota, spenta. Toothy si voltò verso Jack e gli mise i due
cofanetti nella mani.
– Tu
che Guardiano credi essere? Il quinto, giusto? –
Jack
alzò i sui occhi, mare in tempesta dove una minuscola barca
- la sua coscienza - cercava di sopravvivere nonostante i cavalloni la
insidiassero da ogni lato.
–
Non sono il quinto? –
–
Sei il sesto. Pitch è stato il primo. Il primo Guardiano mai
creato dall'Uomo nella Luna. –
***
Ora,
lasciatemi...
Ora,
abituatevi senza di me.
Non capiva
dove si trovava. Alzò gli occhi eppure il paesaggio non
sembrò mutare in alcun modo: alberi dalle chiome maestose
contro il cielo di velluto nero, deturpato da pennellate furiose di
nuvole, barriera invalicabile che per qualche ragione sapeva di non
poter attraversare. Il mondo stesso non capiva il perché
della sua esistenza, irretito e stupito da quella che credeva - sperava
- essere una sua creatura.
Lei non
ricordava nemmeno perché si trovava lì. Vagare
nell'oscurità era ciò che aveva sempre fatto, o
no?
Non lo sapeva.
Il non saperlo, però, aveva davvero importanza?
L'erba contro
la sua guancia odorava di buono, la terra morbida si era sagomata
intorno al suo corpo snello e l'accoglieva in un abbraccio confortevole
dal quale non si voleva distaccare. Terra umida che allungava le sue
dita sopra le sue caviglie, le sue spalle e la sua vita, trascinandola
verso il basso. Ingurgitandola come l'ennesima mostruosità
partorita da un sogno che nessuno vuole rivivere: un incubo.
Qual era il
suo nome?
Troppe domande
senza risposta. Risposte che, divertite, le sfuggivano, sogghignando
tra loro della sua incapacità di afferrarle.
Qual
è il mio nome?
Fiori di pesco
le crebbero tra i capelli mischiando il loro musicale odore a quello
putrescente della morte; margherite bianche, morbide perle sulla sua
gola, adornarono il suo collo come una collana di terribile bellezza.
Il
proprio nome non ha importanza nella morte.
Quella
convinzione dava, nonostante tutto, adito ad un'altra domanda.
Sono
morta, dunque?
Domande,
sempre e solo domande. Domande senza alcuna importanza.
I morti non
domandano nulla, non desiderano nulla.
Ma se lei non
fosse stata morta, se lei avesse avuto ancora un briciolo di vita
dentro il suo petto magro, cosa avrebbe desiderato?
Soffice terra
si spalancò sotto di lei, si allargò e la
ricoprì completamente, come pioggia che dal cielo lavi via
ogni impurità.
Nella morte
c'è chi trova sé stesso.
Lei, quindi,
chi era?
Qual
è il mio nome?
La luna non le
rispose, ma le diede un'altra domanda: cosa desideri ?
Io
chiuderò gli occhi
E
voglio solo cinque cose,
...
Chiedo silenzio, Pablo Neruda
***
–
Pitch è stato il primo? – Jack Frost
osservò attentamente Toothiana. – Ma la pietra
nella sala del globo non porta alcuna traccia del simbolo di Pitch: ci
siamo solo noi cinque. –
–
Esistono due globi, Jack. – disse Toothy, le dita esili che
scorrevano leggere sopra i due contenitori dorati quasi richiamando
alla memoria ricordi così lontani da essere andati quasi
perduti. – E una volta esistevano solo due Guardiani: Pitch e
North. Ombra e luce. Paura e meraviglia.
Non sono stati
creati insieme, quello no. Prima è venuto Pitch, coi tempi
bui e il suo regno fatto di oscurità, e poi è
venuto North. Ed è così che l'uomo quando non
conosce qualcosa, prima ne ha paura e solo dopo ne rimane meravigliato.
Il terzo ad essere creato è stato Sandy: il giusto
equilibrio tra i due, colui che si oppone agli incubi e che fomenta la
meraviglia, creando i sogni.
Solo molto
tempo dopo è arrivata la memoria. – Toothy sorrise
e piegò la testa di lato, avvicinandola alla spalla.
– La memoria: cioè io. La capacità
dell'uomo di ricordare fatti passati, di ricordare le paure, di
ricordare le cose meravigliose e i sogni chiusi dentro all'anima. Tu e
Bunnymund siete i più giovani per così dire.
Speranza e gioia: ultime, certo, ma non per questo meno importanti.
–
Con mani
tremanti, Jack abbassò lo sguardo. – Pitch quindi
è un Guardiano, come te e come me? –
Toothy
annuì.
–
Pitch può riportare in vita Satia. Almeno su questo non ha
mentito. Non del tutto. –
Gli occhi di
Will e di Cassian si appuntarono su Toothy, su Jack e poi di nuovo su
Toothy.
–
Che vuoi dire? –
–
Lui ha taciuto parte della verità. Ovvero che anche noi
Guardiani siamo in grado di riportare indietro Satia, ma per farlo
abbiamo bisogno dell'aiuto dei bambini, esattamente come Pitch.
–
–
Pitch spaventa i bambini, mica chiede il loro aiuto. – fece
notare Will, senza che c'è ne fosse alcun bisogno.
–
Infatti su questo ha mentito. Potrebbe farlo
perché ne è capace. Ma non lo farà.
–
– Tu
che cosa proponi, quindi? – s'informò Cassian,
stufo di tutti quei giri di parole e con un'espressione sempre
più dolorante in volto. – Non abbiamo
più tutto questo tempo. –
Toothy si
alzò e guardò tutti i presenti negli occhi, poi
parlò: – Dico che dovremo essere noi a riportare
indietro per primi Satia. Sapendola in salvo Halley avrà un
legame in meno che lo collega a Pitch e sarà anche meno
complicato per noi spezzare il patto che lo vincola all'Uomo Nero.
–
– E
come intendi chiedere aiuto ai bambini? – chiese sarcastico
Cassian. – In questo momento saranno troppo intenti a fare
incubi per colpa di Pitch o a spaventare la gente per colpa di
Halloween. –
–
Non servirà l'aiuto dei bambini reali. Basteranno questi.
– Toothy mostrò i due cofanetti e sorrise.
– Ho bisogno di un volontario che venga con me. –
Per qualche
strano motivo tutti gli occhi si puntarono su Jack Frost, nonostante
lui non avesse mosso nemmeno un muscolo. Il bianco dei suoi denti si
allargò sul suo volto, illuminandolo di una nuova emozione.
–
Conta su di me, Toothy. –
–
Molto bene. Dopo di te. – disse lei, allargando una mano con
gesto galante. – Ti ricordi come si fa per entrare,
vero? –
Sia Will che
Cassian rotearono gli occhi, ma entrambi si ritrovarono loro malgrado
ad osservare con attenzione i movimenti con cui Jack si tese verso il
cofanetto di Satia, ed i suoi occhi di limpido ghiaccio portarsi
proprio sopra i minuscoli scompartimenti dove erano alloggiati i
dentini. Una debole luce si irradiò da ciascuno di essi,
crescendo ed intensificandosi man mano che aumentava la concentrazione
del ragazzo.
Poi un fascio
bianco esplose di fronte a loro, inghiottendo le coscienze di
Jack e di Toothy. I loro corpi si afflosciarono al suolo e
Will lanciò un grido di allarme.
–
Che gli è preso? Che è successo? –
–
Nulla. – rispose serafico Cassian. – Sono solo
entrati nei ricordi di Satia. –
***
La prima cosa
che Jack Frost capì al suo risveglio fu che c'era
agitazione. Molta gente correva, urlava, spintonava. Nessuno che si
premurava del prossimo: l'intera massa di persone era intenta a
convogliare verso un unico punto. Al suo fianco, Toothy si
massaggiò qualche piuma che si era curvata durante il brusco
atterraggio.
– Tu
la vedi? –
Jack non ebbe
bisogno che gli dicesse chi cercare; subito i suoi occhi scandagliarono
la folla alla ricerca di quel volto pallido e spigoloso. Viaggiare nei
ricordi altrui però era diverso che ripercorrere i propri, e
lentamente se ne accorse. I volti erano indistinti, come se l'autore di
quelle memorie non ci avesse prestato molta attenzione, al pari di uno
sbadato pittore che avesse dimenticato di disegnare le facce a tutti i
personaggi del suo quadro, tranne che ad uno soltanto di loro.
Una figura
magra e cenciosa lo sorpassò passandogli attraverso e Jack
ritornò per un terribile istante al momento del suo
risveglio.
Quando nessuno lo vedeva, quando nessuno credeva in lui.
–
Jack! Non imbambolarti! –
Voltandosi,
scoprì che Toothy era andata avanti, seguendo gli abitanti
del villaggio giù per un pendio boscoso. I ricordi stavano
scomparendo, avvolti in una nebbia grigiastra che era la
non-conoscenza. Satia doveva essere andata già avanti se nei
suoi ricordi mancava il villaggio da quel momento in poi.
–
Arrivo! Toothy aspet…–
Jack trattenne
il fiato.
Vicino ad un
grumo di alberi, alti e neri, una ragazza pallida e dal volto
fuligginoso si guardava intorno smarrita, persa. Ma non poteva essere
Satia se quelli erano i suoi ricordi… Non potevano esserci
due Satie!
Scacciando
quell'immagine dai suoi occhi si affrettò a raggiungere
Toothy, e così facendo non si accorse che quel grigio
miraggio lo aveva notato e che silenziosamente aveva iniziato a
seguirlo, avanzando sopra l'erba come sospinto dal vento, nonostante i
suoi piedi lerci e pieni di tagli non sfiorassero neppure gli steli
secchi e incrostati di ghiaccio.
–
Toothy, ma dove stanno andando? –
Jack
oltrepassò qualche corpo senza che il proprietario si
degnasse di accorgersene e si affiancò a Toothy, badando a
non perdere il suo bastone in mezzo a tutte quelle persone.
–
Ascoltali e capirai. – rispose lei, accelerando il battito
delle ali.
Le sue
orecchie si sforzarono di trarre un senso compiuto dalla cacofonia di
grida e di schiamazzi che stavano udendo, e finalmente
riuscì a distinguere due parole sopra le altre. "Miniera" e
"crollata".
–
Halley lavorava nella miniera. – lo anticipò
Toothy, levandosi in cielo e oltrepassando le cime di alcuni alberi. La
scelta di risalire il pendio in linea d'aria, abbandonando le vie
tortuose dei sentieri ghiaiosi, si rivelò assai proficua, ed
entrambi arrivarono insieme ai primi soccorsi davanti ad un foro
circolare.
L'ingresso
della miniera, praticato ai piedi della montagna, era crollato per
metà e la massiccia architrave di legno era collassata su
sé stessa, spezzandosi a metà come un qualunque,
esile fuscello.
La luna
spandeva impietosa i suoi raggi argentati sull'erba e sui massi
circostanti. Le urla divennero più forti.
–
Toothy, tu hai detto che Halley lavorava nella
miniera…–
Tremando
lievemente Jack si voltò a fronteggiarla, i muscoli che non
sembravano più appartenergli per il modo goffo con cui
rispondevano ai suoi ordini.
–
… si, lavorava qui. – concluse Toothy per lui,
apparendo quasi diafana sotto la fioca luce delle torce che sbucavano
dai boschi ad ondate di cinque o sei persone.
–
Ed è qui che è morto. –
Impotente,
Jack tornò a fissare la miniera e la voce di Toothy gli
giunse distante, come attutita da uno spesso panno.
– Ho
guardato anche i ricordi di Halley. Tutti. Fino in fondo. –
Una solitaria lacrima le rigò la guancia, seguendo il
percorso di quelle che già l'avevano preceduta. –
Sono rimasta con lui nei suoi ultimi momenti di vita. Non l'ho
abbandonato. Mi ripeto che è così che avrebbe
fatto un vero Guardiano, solo che … solo che un vero
Guardiano dovrebbe vegliare sulla vita e non sulla morte dei bambini e
dei ragazzi. O perlomeno non solo su quest'ultima.–
– Tu
hai fatto tutto il possibile. –
–
Non è stato abbastanza. –
–
Ma, Toothy. Non puoi incolpare te stessa per quello che è
successo. –
– Lo
so. Infatti incolpo me stessa per quello che è accaduto
dopo. –
–
Dopo? –
Un grido
sovrastò all'improvviso tutti gli altri e una ragazza minuta
si gettò oltre la folla, fendendola con la forza della
propria disperazione.
–
Lasciatemi andare! Lasciatemi, vi ho detto! Lui è dentro!
Lui è lì dentro! Devo salvarlo! –
–
Satia, ferma! –
–
Qualcuno la tenga ferma! Non può entrare! –
–
C'è la possibilità che ci siano ulteriori frane!
È un suicidio entrare adesso! –
– Ma
lui è ancora dentro! Potrebbe essere vivo! –
–
Satia, smettila! –
–
Mio fratello! Lasciatemi vi supplico! Jacky!! –
Con uno
spintone più forte degli altri, quel corpicino minuto
riuscì ad avere la meglio sui muscoli degli uomini che lo
trattenevano, slanciandosi verso il minuscolo foro d'entrata rimasto
tra l'architrave e il muro della montagna.
Molte mani si
protesero per impedirle di avanzare ma lei fu più veloce e
riuscì a guadagnare l'angusto ingresso, gettandovicisi a
capofitto.
–
Quella pazza! –
–
Qualcuno entri e la fermi! –
–
No, nessuno si muova! Bisogna prima organizzare una squadra di
soccorso! –
–
Bisogna far brillare le rocce che bloccano l'ingresso! –
Toothy
impallidì ancora di più ma rifiutò con
decisione l'aiuto di Jack quando lui glielo offrì.
– Tu
mi hai chiesto che cosa è successo
dopo…– disse infine. – …
è successo che io ho odiato Halley per molto tempo e gli
ho… ho detto delle cose orribili. Cose che solo ora ho
capito cosa significassero veramente per lui e quanto lo avessero
ferito in realtà. –
Jack non la
interruppe, lasciandola continuare, e lei gliene fu grata.
–
Dopo aver visto i suoi ricordi, ho capito. Ora so perché
Halley è lo spirito di Halloween. Ora so perché
bussa di casa in casa chiedendo dei dolci. Ora so perché
vaga solitario, sempre alla ricerca di quel qualcosa che non
troverà mai. Per lui i dolci rappresentano sua
sorella, e lui vaga alla ricerca di quello spirito a lui complementare
che non troverà mai. Nella leggenda Jack O'Lantern vaga nel
purgatorio perché ha ingannato la morte per ben tre volte
grazie alla sua astuzia. Ma non è lui ad aver ingannato la
morte, è stata Satia ad averlo fatto. –
***
Io
chiuderò gli occhi,
e
voglio solo cinque cose,
cinque
radici preferite.
Una
è l'amore senza fine.
Il suo respiro
si condensava davanti alla sua faccia, invisibile se non per la sensazione
di gelo che le trasmetteva al volto. Circondata
dall'oscurità, avanzava a tentoni, sperando di non
inciampare e di non incontrare ostacoli troppo grandi da non poter
essere aggirati.
Era entrata
dentro alla miniera per trovarlo. Sapeva che era vivo. Doveva essere
vivo.
Dietro di lei
un miraggio grigio - specchio speculare della sua anima - la osservava
ripercorrere il suo passato con passo incerto, claudicante quasi. I
ricordi assomigliano più ad una superficie scabra e
butterata, che non ad una liscia distesa immacolata. Essi recano la
traccia della nostra vita e ne riassumono i momenti più
importanti. Non i più belli o i più brutti,
semplicemente quelli più importanti.
La
seconda è vedere l'autunno.
Non
posso vivere senza che le foglie
Volino
e tornino a terra.
Suo fratello
però non sarebbe diventato un ricordo, non ancora, non in
quel modo.
"Non ora"
continuava a pregare nel buio che l'ascoltava in religioso silenzio. I
suoi ansiti di fatica mentre discendeva all'interno della montagna si
mischiarono al dolore dei muscoli in tensione, e al bruciore crescente
che le serrava la gola.
Suo fratello
avrebbe visto l'autunno. E l'inverno… l'inverno con la sua
bellissima neve.
La
terza è il grave inverno,
la
pioggia che ho amato, la carezza
del
fuoco nel freddo silvestre.
La neve che
scendeva elegante dal cielo, dando anche ai paesaggi più
brutti l'apparenza di una dama albina appena risvegliatasi dal suo
sonno apatico ed indolente. Bellissima nel suoi drappi fioccanti di
pizzo ghiacciato e nei suoi veli di bora gelida, altera nel suo
portamento distaccato.
Satia non
voleva che quella fosse la fine. Avevano ancora così tanto
da vedere, così tanto da mostrare a quel piccolo
mostriciattolo fuligginoso di suo fratello.
La
quarta cosa è l'estate
Rotonda
come un'anguria.
Inciampò
e cadde per terra. Il suo gemito di dolore riecheggiò di
parete in parete, ritornandole il suo dolore in mille echi diversi. E
poi lo vide. Un raggio di luna penetrava attraverso le macerie,
illuminando il suo volto riverso di lato.
Sorrideva.
Perfino la
morte sembrava adorarlo nel suo ultimo abbandono.
"Scusa se non
potrò mantenere la mia promessa. Ma mi sarebbe davvero
piaciuto mangiare qualcuno dei tuoi dolci un ultima volta …"
Un masso
gigantesco lo aveva tranciato a metà, dividendo in due il
suo corpo snello, con la stessa precisione di un macellaio inesperto.
Sangue cremisi sgorgava dalla ferita mortale e scendeva in sottili
rivoli lungo le superfici circostanti, creando tante piccole
diramazioni quanti erano i rami in un albero.
Lei
gridò. O perlomeno credette di averlo fatto, visto il fuoco
che le riarse la gola, gli occhi, il cuore, bruciando tutto
senza ritegno.
La
quinta cosa sono i tuoi occhi.
Non
voglio dormire senza i tuoi occhi,
non
voglio esistere senza che tu mi guardi:
io
muto la primavera
perché
tu continui a guardarmi.
Sangue sulle
mani mentre lo stringeva. Sangue sul volto mentre cercava di
svegliarlo. La luce della luna che assisteva, impassibile: le vicende
umane non la toccano, non la sfiorano, lei si limita ad osservare.
–
Non lui!!! Prendi me!!!–
Il rombo di
tuono dentro alle sue orecchie. E la seconda scossa di assestamento che
scuote le fondamenta della montagna, facendo franare definitivamente la
miniera. "Non lui. Prendi me. "
Questo
è ciò che voglio.
È
quasi nulla e quasi tutto.
Il pietrisco
che le entra nei polmoni. Il sasso sotto il quale è
imprigionato il corpo di suo fratello che si sposta, martoriando quelle
membra troppo giovani anche dopo la morte. Il sangue che bagna i volti
di entrambi ed i massi che cadono dal soffitto, schiacciandola,
uccidendola. Ma a lei non importa.
Il miraggio
argentato versa una lacrima, ora ricorda. Ricorda tutto.
Ora
se volete andatevene.
Ma
perché chiedo silenzio…
Satia
è fuori. E tra le mani stringe il corpo senza vita di suo
fratello. Non sa come ci sia riuscita, ma è fuori. Piange
lacrime amare ma la luna le sorride.
"Non lui.
Prendi me."
A volte
perfino le vicende umane riescono a sfiorare la lontana presenza della
luna e la luna se ne lascia intenerire.
…Non
crediate che io muoia:
mi
accade tutto il contrario,
accade
che sto per vivere.
Il miraggio
guarda quella scena e sa che è già successa.
È tutto già accaduto molto tempo prima.
È
lei quella che sta osservando, lei che come in uno specchio ripete i
suoi stessi movimenti, le sue stesse azioni. Lei e Satia sono la stessa
persona. Ora sa chi è. Sa quello è il suo nome e
che cosa deve fare.
In alto sopra
di loro, due Guardiani osservano affranti la scena senza intervenire.
Anche loro sanno che è già successo; comprendono
che quello che stanno guardando è solo un ricordo. Non
possono fare nulla.
Accade
che sono e che continuo.
La luna ha
fatto la sua scelta: il guardiano che accompagnerà i bambini
e i ragazzi nella morte...
Ora,
come sempre è presto.
La
luce vola via con le sue api.
Lasciatemi
solo con il giorno.
Chiedo
il permesso di nascere.
E la luna
rispose:
– Concesso. –
****************************************
Cit. Pablo
Neruda.
Non ho letto i
libri da cui è stato tratto il film quindi spero con la mia
versione dei fatti di non aver sconvolto i fan dell'opera originale. E
poi…. oh shit, parlare del passato dei personaggi mi
intristisce… ç___ç e quindi,
nonostante abbia fatto una fatica boia a scriverlo, questo intero
capitolo mi fa tenerezza … ç.ç!
Salut!
*corre ad
abbracciare qualcuno*
Qui sotto
troverete la side-story per risollevarvi il morale dopo codesto
tripudio di lacrime. ç______ç Tenete presente che
Cassian è il tipico ragazzo con la rabbia dentro, repressa o
tenuta
nascosta a tutti. Oppure (più semplicemente) è
idiota a livelli perpetui.
Opterò per la seconda. u.u
********************************************************
- SIDE STORY -
Yeah,
I've been feeling everything
From
hate to love
From
love to lust
From
lust to truth
I
guess that's how I know you
Kiss me, Ed Sheeran
–
Propongo un gioco di gruppo! –
Jack
sollevò il suo volto spossato ad incontrare quello raggiante
di Cassian.
–
Non ne ho molta voglia, Cass. È tutto il capitolo che corro
come un disgraziato. –
– Ma
Jack! Sarà un gioco divertente. –
Sospirando,
Jack Frost si costrinse ad alzarsi dal verde prato sul quale si era
disteso e, con sommo sforzo, perfino a stiracchiarsi. Il sole splendeva
alto e l'aria priva di vento dava la stessa fastidiosa sensazione di
una pellicola applicata sulla pelle, una canicola dalla quale era
difficile fuggire.
– Ma
tu non ti stanchi mai? –
– Di
rado. –
confessò Cassian, indicando qualcosa alle sue spalle.
– E dai vieni,
manchi solo tu. Ci sono anche tutti gli altri. –
Jack si sporse
di
lato e lanciò uno sguardo poco convinto al piazzale
antistante il set
di registrazione. Will e Halley stavano parlando fittamente all'ombra
di un albero frondoso, Toothiana rideva per qualcosa che aveva detto
Bunnymund indicandosi il costume da coniglio abbassato fino sotto la
cintola, lasciando un corpo tonico e snello libero di ricevere occhiate
di apprezzamento da parte della Befana; la quale non sembrava
più
raccapezzarsi nella difficoltosa scelta tra lui e Valentine, che se ne
stava tranquillamente a torso nudo col fianco appoggiato al tronco con ancora indosso il costume di scena.
Senza alcun
preavviso, Cassian afferrò Jack per il braccio e lo
trascinò di peso dove si erano riuniti gli
altri.
–
Molto bene. Ora che ci siamo tutti possiamo cominciare. –
esclamò deliziato. – Si, dunque… ecco
qui. –
Il
gruppetto smise di parlare e si ritrovò a fissare con le
fronti
corrugate otto bastoncini bianchi disposti a ventaglio nelle mani di
Cassian.
–
Halley non serve che ti allontani: non mordo mica. –
commentò Cassian con un sorrisetto sulle labbra, prima di
riprendere la
spiegazione. – Bene, questi qui sono otto spiedi da carne.
Si, Thia, lo
so che lo sapevi già, ma abbi un po' di pazienza. Le
estremità di
questi bastoncini sono state colorati con quattro colori differenti,
due per ogni tipo. E serviranno a formare le coppie con cui si
svolgerà
la caccia al tesoro. No, Bunny, niente gare di corsa: alla fine abbiamo
deciso (con la collaborazione dello staff) di organizzare una caccia al
tesoro. Ehm… dov'ero? Ah, si. A turno si pescherà
un bastoncino dal
mazzo: chi risulterà avere colori uguali sarà in
squadra assieme. Lo
scopo sarà trovare per primi il tesoro che è
già stato nascosto su
quella collina boscosa, proprio quell… –
– Tu
continui a parlare di
un tesoro. – s'intromise Thia, incrociando le braccia.
– Ma come
sarebbe fatto questo tesoro? E come facciamo a sapere che quando
pescheremo il bastoncino tu non abbia già in qualche modo
truccato i
risultati? –
–
Pescherò per ultimo se proprio vuoi. – fece
Cassian,
lievemente offeso. – E, no, non ricorrerei mai a simili mezzi
per stare
in squadra con Halley. In ogni caso il tesoro nemmeno io so cosa sia. A
quanto pare è una sorpresa dello staff, ma hanno detto che
quando ce lo
ritroveremo davanti capiremo all'istante di averlo trovato. Altre
domande? –
Tutti tacquero
ad eccezione di Halley che impallidendo si limitò a
borbottare qualcosa a bassa voce.
–
Se nessuno ha nulla in contrario, incomincio io. – si
offrì Valentine,
avanzando di qualche passo e sfilando dalle mani di Cassian il primo
stecchetto.
–
Rosso. – disse mostrandolo a tutti – Colore
appropriato direi. –
– Il
prossimo sono io. – decretò Bunnymund, pescando un
bastoncino azzurro.
–
Ora tocca a me. – disse Will, togliendo con un unico fluido
movimento lo stecchetto all'estrema destra. – Oh, Giallo.
–
La
Befana si fece avanti e pescò tenendo gli occhi chiusi, poi
con un
sorriso da iena da un orecchio all'altro sventolò il suo
colore in
faccia a Valentine.
–
Ehi! La vecchia ha barato! –
–
No, Val. – disse Cassian. – Ha pescato
correttamente. Siete in squadra assieme. –
L'allegra
vecchina lanciò uno sguardo lascivo a Valentine che
rabbrividì e guardò
ostentatamente altrove. Intanto Jack nel disinteresse generale
finì di
pescare.
–
Giallo! – constatò, confrontando il suo colore con
quello di Will.
La ragazza
sobbalzò lievemente e un colorito rosato le comparve sulle
guance.
–
Hai caldo, Will? – s'informò Cassian ricevendo in
cambio
un'occhiataccia degna di Thia di fronte ad un dolce. – Cielo!
C'è
qualcuno che oggi non abbia la luna storta? Comunque è il
tuo turno,
Halley. –
–
Verde. – disse quest'ultimo, capendo solo in
quell'istante che per lui si stava mettendo molto male. – Ci
sono
ancora due stecchi: chi manca? –
Thia
alzò la mano e Halley guardò
prima lei e poi Cassian. Se Thia avesse pescato verde sarebbero stati
loro due in squadra assieme, altrimenti…
Cassian
sollevò entrambe le
sopracciglia di scatto, riabbassandole l'istante dopo, e si
passò
lentamente la punta della lingua sul labbro superiore accertandosi che
Halley non si perdesse nemmeno un secondo di quell'esibizione.
–
THIA! – gridò subito Halley con occhi stralunati,
attaccandosi al
braccio della ragazza come una cozza. – Non fare cretinate e
pesca il
verde! È un ordine! –
– E
mi dici come minchia faccio? E poi chi ti
dice che voglia stare in coppia con te? – ribatté
lei per nulla toccata
dalle vicende shakespeariane dei due ragazzi. – E non
slambrecciarmi la
t-shirt! –
Halley si
pigiò le mani sugli occhi. – Non voglio vedere!
Uomo nella luna, se esisti è il momento giusto per darmi un
segno! –
Thia
afferrò con decisione il bastoncino alla destra e
…
…
lo fissò alzando un sopracciglio. – Ops.
–
Cassian
schioccò la lingua e senza spostare le mani dal volto,
Halley lanciò un
grido assumendo per qualche terribile momento le sembianze dell'Urlo
di
Munch.
–
Che diavolo gridi a fare? – berciò Thia
piazzandogli il
bastoncino che aveva appena preso in mezzo agli occhi. –
Guarda! Verde!
–
Nuovamente
Cassian schioccò la lingua, mentre il suo sguardo vacuo
si spostava su Bunnymund. – A quanto pare saremo in squadra
assieme,
palestrato dei miei stivali. –
– E
non ti sta bene? –
Il sorriso di
Cassian, falso e stucchevole, fece sobbalzare tutti tranne Bunnymund.
– Tu
che dici…? –
(continua)
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Capitolo 10 *** Awareness fade out ***
CAPITOLO
10
AWARENESS FADE OUT
It's
in your eyes, a colour fade out,
Looks
like a new transition.
The
starting up and shaking your ground,
Turning
your head to see a new day calling.
Witchcraft, Pendulum
Nell'oscurità
della tana di Pitch, un serpente si contorse in modo orribile: scatti
nervosi del corpo flessuoso si unirono a rantoli animaleschi e a sibili
acuti. Bubboni e bolle crebbero sopra la sua pelle liscia, deturpandola
e deformandola. La schiena si arcuò di colpo, andando a
cozzare contro le pareti e gli alti muri della cattedrale. Pietre
scheggiate e vetri rotti si sommarono alle macerie già
presenti sul pavimento.
Le immote
stalagmiti assistettero a quello spettacolo brillando tenuamente; gli
spiriti al loro interno, congelati nell'ultimo istante della loro
veglia, osservarono con occhi vacui quella lenta e brutale agonia.
Di colpo il
serpente si immobilizzò, le fauci spalancate verso il cielo
trapunto di stelle e la gola palpitante offerta alla luna nel suo
ultimo respiro, poi con un fragore assordante ricadde su sé
stesso, attorcigliandosi ed ammassandosi sulle sue stesse spire.
Il silenzio
ammantò ogni cosa, stendendo un drappo su quel luogo oscuro,
abbandonato dal suo padrone e dal suo guardiano.
Un suono
vischioso e ovattato provenne dalla tonda pancia del rettile, infine
una protuberanza tese le squame opaline fino a strapparle, bucandole
dall'interno. Una ferita sanguinolenta si allargò sulla
pancia del serpente, squarciando la perfezione della pelle e tracciando
una scia di denso liquido appiccicoso sul pavimento marmoreo. Una mano
pallida uscì dalla carne e la luna ne accarezzò
le dita sottili e l'incavo del polso.
Dall'incubo
privo di vita, emersero successivamente anche il braccio, la spalla, ed
infine il resto del corpo. Con gambe tremanti, Satia si
rialzò e si guardò intorno.
Nella sua mano
si materializzò con forza il bastone da traghettatrice,
diritto come un fuso ma con un estremità più
larga dell'altra.
Nei suoi occhi
ardeva una scintilla tutta nuova, pericolosa: una fiamma che non si
sarebbe placata se non con la sconfitta di Pitch. Si
avvicinò ad una delle colonne nere e ne accarezzò
la patina esterna: erano sue creazioni, e come tali potevano venire
distrutte da un suo semplice comando.
Alzò
il mento e osservò attentamente uno per uno tutti gli
spiriti incatenati al loro interno.
La luna
ammiccò e osservò il suo nuovo Guardiano con
l'orgoglio di un genitore.
Era giunto il
momento.
***
Una neve
grigia e pesante fioccava su tutto il Polo Nord. Era solo da poche ore
che le rigide temperature di quei luoghi avevano trovato nuovi picchi a
cui aggrapparsi strenuamente, godendo dei brividi di freddo e delle
dita congelate che provocavano negli avventori di quelle zone impervie.
La nera pioggia, incessante, aveva smesso di scorrere a rivoletti lungo
i vetri delle finestre e aveva lasciato il posto a minuti accumuli di
neve, che andavano ingrossandosi man mano che il tempo scorreva
inesorabile. In lontananza una massa scura, turbolenta e scalpitante,
si univa sulla linea dell'orizzonte in una spessa traccia scura ,
nitida contro le nuvole che incombevano sull'immacolata superficie dei
ghiacciai.
Gli incubi
avanzavano a passi pesanti e ansimanti, sbuffi di stizza e di
impazienza, domati all'apparenza da quella che era in realtà
solo un affettata premura del loro padrone. In mezzo a loro, celati in
mezzo a quella marmaglia di orrenda fattura, si mescolavano i mostri e
gli spiriti infernali di Halloween. I loro occhi, spenti ed
indifferenti, non rispondevano al minimo richiamo e si limitavano ed
eseguire l'unico ordine che era stato loro impartito all'uscita dai
cancelli con una solerzia degna di un soldato senz'anima, senza
coscienza. Nient'altro che miti fantocci sotto al freddo e distaccato
comando del loro Signore, rotto e spezzato, che si sarebbero
trasformati senza alcun indugio un una mandria assetata, la cui sete di
sangue non aspettava altro che di essere saziata.
Lumin
osservava tutto questo con occhi ardenti e lanciava lapilli preoccupati
in direzione di colui che era anche il suo Signore. A nulla sembravano
valere i suoi sputacchi di lava e i timidi tentativi di farlo
sorridere: Halley sembrava ancora più vuoto dei mostri che
comandava.
Poterlo
toccare, consolare magari, era molto al di fuori delle sue
possibilità, così Lumin si limitò a
rivolgergli il suo impareggiabile sorriso a trentadue carboni e a
sperare che ciò che stava facendo non avrebbe
definitivamente mandato in frantumi i pochi cocci rimasti integri della
sua anima.
Pitch non era
con loro, ma le sue fiamme si ripromettevano ormai da molte ore che gli
avrebbero appiccato fuoco a quel suo ridicolo manto nero, non appena si
fosse presentata loro l'occasione adatta. Ma per ora Lumin doveva
rimanere calma; Pitch era rimasto in città, a comandare gli
incubi e i mostri che dovevano infestare le strade, le case e le camere
dei bambini. Solo quei piccoli frugoletti riuscivano a vederli, ma
tanto bastava perché la loro presenza desse il tipico
brivido di disagio lungo la spina dorsale anche dei tanto smaliziati
adulti.
Incubi
nella notte. E chi non ne aveva mai fatti?
Diversi,
forse. Ma anche ai più grandi capitava di svegliarsi nel
cuore della notte col cuore palpitante di paura incongrua. Movimenti
nel buio che ricordavano vagamente quello di una alta figura, massiccia
eppure silenziosa. Occhi che dall'oscurità più
fitta ti scrutano e ti osservano, bisbigli dall'interno dell'armadio e
risatine da sotto il letto. Smettere di crederci, ignorare l'esistenza
di qualcosa o di qualcuno, non significava che la sua automatica
scomparsa.
Ciò
che tormentava Halley erano ben altri incubi. A riprova del fatto che
anche ai mostri peggiori può capitare di risvegliarsi
boccheggianti nel caldo crepuscolo, chiedendosi che cosa li spaventi
tanto.
Di che cosa
hanno paura gli incubi?
***
North
lanciò uno sguardo carico di tensione fuori dalla finestra,
osservando la linea nera dell'orizzonte che pian piano si inspessiva,
poi passò in rassegna tutti i presenti.
–
Bunnymund andato a controllare situazione in città capitali.
Non appena ritorna dirà noi cosa visto, ma in ogni caso
globo parla chiaro. –
Jack Frost
distolse l'attenzione dal globo luminoso, dove alcune luci tremolavano
incerte ed altre incominciavano a perdere del tutto la loro lucentezza,
e serrò la mascella. Al suo fianco Toothy e Will annuirono
con volti contriti.
–
Luci si spengono. E noi non sapere perché…
Toothiana detto noi che esercito di mostri è diretto qui, a
Polo Nord. Ma noi venderemo cara nostra pellaccia. –
Candelora
approvò, ma Valentine roteò gli occhi con fare
narcisistico.
– Se
voi volete morire fate pure. Io sconfiggerò senza problemi
quell'insulsa armata; anche da solo, se necessario. –
Mun invece
ebbe un diverso tipo di precisazione: – Io non ho pelliccia.
Sono glabro come una nuvoletta appena nata. Quindi, vale lo stesso se
vendo cara la mia nebbia? –
–
… e poi la mia pelle è troppo bella per essere
venduta. – fece Valentine, togliendosi un invisibile granello
di polvere da uno dei suoi bicipiti scolpiti. – Vi pare che
cotanta bellezza debba andare svenduta? –
Will
sbatté le palpebre - evidentemente cercando una risposta
soddisfacente a quella spinosa domanda - infine corrugò la
fronte. Jack la guardò sorpreso ma Will si voltò
di colpo, iniziando a fissare ostentatamente il cappello a punta di uno
degli elfi.
Toothy invece
non fu altrettanto lesta e Jack la sorprese che fissava la clavicola e
la soda porzione di petto che s'intravedeva sotto alla leggera tunica
di Valentine.
Arrossendo,
Toothy si schiarì la voce: – North,
ehm… non dovresti dire qualcosa di più
incentivante? Dal tuo modo di impostare il discorso sembra che moriremo
in ogni caso. –
Flibbert e
Gibbert, stranamente silenziose, si abbracciarono più
strette e guardarono ad occhi sgranati Sandman.
Quest'ultimo
esortò North a dire qualcosa di rassicurante.
– E
io che deve dire voi? Io ho due sciabole, non due cervelli! –
si lamentò North. – Ma in compenso io ora ha
piano! Noi uscire, combattere e uscire vittoriosi! –Sorrise a
tutti gli spiriti che si erano riuniti nella sala del globo, con occhi
brillanti e guance arrossate, poi annuì contento.
– Che ve ne pare? –
Jack e Sandy
si scambiarono un'occhiata divertita, Will scrollò le
spalle. – È il piano migliore che abbia sentito
finora… pensa come sarebbe se dovesse pure funzionare.
–
–
Una meraviglia! – replicò North raggiante.
Dal basso
provenne uno scampanellio accorato da parte di qualche elfo che,
però, venne prontamente ignorato.
Invece il
commento di Valentine, non passò inosservato.
–
Questo piano fa schifo, e ve lo dice uno che di vere meraviglie se ne
intende. –
– Ma
tu non sei il guardiano della Meraviglia. – gli fece notare
Jack.
–
No, ma mi guardo spesso allo specchio. – rispose Valentine,
lanciandogli un'occhiata di sottecchi. – E tanto basta.
–
–
Basta così! – berciò Toothy,
interrompendo Jack prima che potesse replicare. – Io ho un
altro piano, statemi a sentire! Faremo
così…–
Gli spiriti
ascoltarono con attenzione e North, a spiegazione conclusa,
brontolò cupamente: – Potrebbe e dico potrebbe
essere migliore di mia idea. –
–
È molto migliore! È assai migliore! È
di sicuro migliore! Non ci sono dubbi! – esclamarono ad
alternanza Flibbert e Gibbert.
Sandy
materializzò un punto esclamativo sulla sua testa dorata e
Will sorrise. – Concordo col tipetto che sembra aver preso la
scossa da una presa elettrica. –
Jack Frost
annuì e battè la punta del suo bastone per terra.
– Se non avete nulla in contrario, io vorrei rimanere qui.
–
–
Qui? Ma secondo piano di Toothy, tu…–
– Lo
so, ma… vorrei essere io a confrontarmi con Halley.
–
North si
arricciò un baffo con un gesto nervoso, e scambiò
un occhiata con tutti i presenti.
– E
sia. Andrà Mun al posto tuo. –
***
When
I'm falling down
Will
you pick me up again?
When
I'm too far gone
Dead
in the eyes of my friends…
Watercolor, Pendulum
I bambini
rimanevano chiusi in casa, urlavano di aver visto l'Uomo Nero. Mai le
strade delle città erano rimaste così deserte la
notte di Halloween. Nell'aria si respirava un ansito di attesa, un
istante cristallizzato di tempo in cui la paura regna sovrana,
incontrastata.
Pitch Black
inspirò quell'aroma di pericolo, paura e angoscia
socchiudendo le palpebre in un gesto di pura delizia. Si
rimboccò le maniche e iniziò a tracciare nel
nulla veloci movimenti del polso, ritmici svolazzi delle dita e
sapienti giravolte dei palmi. Stava dirigendo la sua musica, la sua
orchestra di ributtanti musicisti, e non troppo lontano da lui si
udì riecheggiare il primo urlo di bambino, sorpreso nella
sua camera dal colui che attaccava quando meno te lo aspetti.
Burgess non
aveva nulla di particolare. Era solo una città come tante,
eppure era li che tutto era cominciato.
Ricordi
pesanti come macigni premevano contro la sua memoria, spingendo per
uscire, ritornare a galla.
Pitch scosse
la testa e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi con
espressione oziosa. I suoi capelli si incresparono nel vento serale e
accarezzarono i suoi zigomi alti e la sua mascella spigolosa. L'Uomo
Nero non ha incubi, non ha sentimenti, non ha ricordi.
–
C'era una volta un bambino molto solo… – disse tra
sé e sé, il tono di voce a malapena sussurrato.
– Un bambino che viveva nella paura, ma che nonostante tutto
si faceva coraggio. Quel bambino è cresciuto ed è
diventato un ragazzo, solo e deriso da tutti. –
Un altro urlo
si alzò da una casa lontana, e subito dopo un'altra voce si
unì a quella precedente. Ad esse ne fecero eco molte altre,
la pura dilagava, allargandosi come una macchia di unto su un capo
ricamato dalla seta più fine e pregiata, slegandone la trama
e rovinandone il prezioso tessuto.
– Un
bambino che è diventato grande solo all'apparenza. Un
ragazzo che mantiene dentro di sé le paure più
profonde, perché sa che rivelandole non avrebbe fatto altro
che far aumentare la paura che lo circondava. –
Le labbra di
Pitch si ridussero ad un mero taglio sul volto. – Un bambino
così solo. Solo in vita, solo nella morte. Ma che della
paura non teme altro che la sua stessa presenza. –
Temere
la paura in sé.
Non
riuscire a combattere, a muoversi, a ricordare, perché
è la paura stessa a impedirlo.
–
Cosa deve fare un bambino così? –
Pitch
levò la testa verso il cielo. La luna però era
nascosta dalle nuvole, irraggiungibile anche dall'occhio più
acuto.
–
Parco di spiegazioni, come tuo solito? Ma si, fa nulla… non
mi aspettavo certo che questa volta fosse diverso…–
Lo sguardo di
Pitch si indurì. I suoi occhi grigi si affilarono e
assunsero la lucentezza del metallo appena battuto dalle mani di un
abile fabbro.
–
Oh, ma qualcuno si è finalmente fatto
vivo…–
Da uno dei
vicoli si staccò un'ombra. Con rapidi balzi quest'ultima
raggiunse il tetto su cui Pitch aveva trovato il suo improbabile palco
per il suo scenografico spettacolo.
–
…temevo di dover continuare a fare tutto da solo, Guardiano.
–
– Ho
mandato un uovo messaggero dagli altri Guardiani. Non la farai franca
ancora per molto. –
Due boomerang
partirono in direzione di Pitch, scattanti e silenziosi se non per il
lieve fischio che preannunciava di poco il loro arrivo.
Una falce
tranciò uno dei boomerang e ne deviò la
traiettoria dell'altro.
–
Vuoi combattere, Guardiano? –
Bunnymund
estrasse alcune bombe incendiarie e le lanciò in direzione
del suo avversario.
–
Combattiamo allora. –
***
Will
you, take me out of here?
When
I'm staring down the barrel
When
I'm blinded by the lights
When
I can't see your face
Watercolor, Pendulum
Jack
guardò la slitta sparire dentro al varco creato da una delle
sfere di North e poi chiuse gli occhi. Toothy, Sandman, Flibbert
Gibbert, Mun, Valentine e North se ne erano andati, lasciandolo padrone
del campo. Will, di fianco a lui, lo osservò senza dire una
parola, finché un'esclamazione, fischiata tra due grossi
dentoni, ruppe quello strano silenzio.
–
Cassian, fermo! –
Will e Jack si
voltarono all'unisono e videro il ragazzo osservare strenuamente il
globo di North, come cercandovi qualcosa, prima di aggrapparsi alla
ringhiera, quasi che essa rappresentasse la sua ultima salvezza.
–
Cassian! –
Candelora
spuntò subito dopo e guardò affaticata sia Will
che Jack. – Dice che sta arrivando e che deve andare da lui!
Ma ormai non riesce nemmeno a reggersi in piedi! –
Jack
osservò prima l'armata che incedeva verso di loro e poi gli
occhi supplicanti di Cassian. – Non fargli del male.
–
Will
impallidì e si abbracciò le spalle, come sentendo
di colpo freddo. Jack guardò entrambi e all'improvviso
capì cosa gli stava chiedendo Cassian.
–
Promettimelo. – sussurrò ancora il ragazzo,
puntando i suoi occhi verdi dentro quelli cristallini di Jack.
– Lo
riporterò dalla nostra parte, Cassian, io…
–
–
No! Devi promettermi che non gli farai del male. Né a lui
né a Will. –
Jack
corrugò la fronte. – Will? –
Un sibilo
sferzò l'aria e il suono del cotone stracciato
preannunciò di poco l'attacco di una lama, sottile ed
affilata come uno stiletto. Con un fischio squillante Candelora si
gettò su Jack mandandolo al tappeto, poco prima che il
secondo attacco, quello decisivo, lo raggiungesse alla schiena.
Tremando, Will
osservò con orrore la propria mano stringere il fuoco fatuo,
appuntito e allungato fino a formare l'arma con cui stava per colpire
Jack.
– Io
non volevo. È Halley, lui… lui…
è vicino. Troppo vicino perché
…–
Qualcosa negli
occhi chiari della ragazza si scurì e la sua mano di mosse
di volontà propria, abbassandosi a colpire senza la minima
esitazione. Jack rotolò di lato, spingendo via Candelora.
La punta della
lama, lambita da fiamme gelide come il ghiaccio, si infisse dentro ad
una delle lastre del pavimento, scheggiandola. La fronte di Will si
distese e i suoi occhi persero del tutto qualsiasi tonalità
o espressione, rimanendo semplicemente fissi su qualcosa di lontano.
L'istante dopo
attaccò e non fu solo lei a farlo. Jack portò
velocemente il proprio bastone davanti a sé per proteggere
sé stesso e Candelora, ma il colpo trovò un
ostacolo sul suo cammino.
Jack
spostò di poco lo sguardo e vide la zampa di uno degli yeti
tenere saldamente la lama, anche se il pelo cominciava a bruciare
lievemente, consumato da un freddo così profondo da
risultare mortale.
–
Avverti tutti quanti! – gridò Jack a Candelora,
che annuì prima di correre ai piani bassi fischiando come
una trombettista della cavalleria.
Will
liberò la propria arma dalla presa dello yeti e si
riportò in posizione d'attacco, ma prima che Jack potesse
dare man forte in quello scontro, un basso ringhio giunse alle sue
orecchie costringendolo a voltarsi con uno scatto, prima che le
mascelle di Cassian si chiudessero sulla sua spalla.
–
Non farle del male! – gridò allo yeti, prima di
allontanare Cassian con un getto ben assestato di ghiaccio istantaneo,
spedendolo contro la parete e congelando nell'attacco anche
metà di quest'ultima. – Non sanno quello che
stanno facendo, sono controllati da Halley. –
Il lamento
dello yeti sembrava avere a che fare con le palle di Natale e gli
attributi che rassomigliavano; nonostante tutto, Jack poté
notare che cercava di evitare di ferire gravemente Will,
puntando piuttosto ad immobilizzarla.
Con uno
strattone Cassian si liberò dai blocchi di ghiaccio e Jack
imprecò, lanciando un altro attacco di blu, profondo e
saettante, verso il démone.
Fuori dalla
finestra, attraverso la bianca landa arricchita da mucchi di neve,
grigia e sporca, si allargò un suono basso e prolungato che
fece bloccare tutti i contendenti per un singolo istante.
***
All
I believe, and all I've known
Are
being taken from me back at home.
Yeah,
do your worst, when worlds collide
Let
their fear collapse, bring no surprise.
Watercolor, Pendulum
Jamie prese
per mano Sophie e corse fuori di casa, senza ascoltare le grida dei
suoi genitori che gli intimavano di tornare indietro.
Rimanere
non era qualcosa che potevano fare. Non quando dietro le spalle dei
loro genitori, il mostro li stava ancora fissando con occhietti
porcini, senza vita, e le fauci spalancate, grondanti di bava.
Sophie
indicò qualcosa in alto, nel cielo, e Jamie
individuò un boomerang che cozzava violentemente contro una
figura intrisa dell'oscurità più profonda.
Una
figura che conoscevano e che avevano sconfitto, credendo di non vederla
più tornare.
La polizia si
fermò con le sirene spalancate sul marciapiede, tagliando
loro la strada. Non erano i soli che stavano cercando di scappare:
bambini di tutti il mondo stavano vivendo i propri incubi, gli occhi
ben aperti e il sonno del tutto lontano dai loro pensieri.
Ombre
che si materializzano in cucina mentre stai cenando, occhi neri che ti
fissano da sotto i divani sopra sorrisi dai denti aguzzi e brillanti,
scale che cigolano mentre illusioni opalescenti le attraversano
ululando.
Gli adulti non
vedevano, gli adulti non sapevano. Eppure anche loro avevano paura.
Paura come tutti.
E l'ombra
più scura di tutte gridò la sua contentezza.
– La
paura non è mai stata così forte! –
Un attacco, lo
schiocco di una falce nell'aria, e Bunnymund ricadde violentemente
contro il marciapiede, dopo aver urtato il tettuccio dell'autovettura
con il fianco.
–
Che diavolo è stato!? – gridò uno dei
due agenti, distogliendo l'attenzione dai bambini e indicando con foga
il tetto della macchina completamente distrutto, le lamiere rientranti
e i profili convessi.
L'altro agente
scosse la testa, pallido come uno spettro, la fronte imperlata di un
velo di sudore.
Jamie ne
approfittò per trascinare via Sophie, ma lei si
agitò fino a liberarsi dalla stretta.
–
Sophie! No! –
Ma lei non lo
stava ascoltando, impegnata com'era a correre da Bunnymund. Lo
abbracciò stretto, scrollandolo per risvegliarlo.
–
Bene, bene… bene. – ridacchiò Pitch,
atterrando in uno svolazzo di buio e afferrando Sophie per il colletto
della maglietta, sollevandola come se fosse solo un recalcitrante
quanto buffo animaletto. – Che cosa abbiamo qui? –
La voce
strascicata di Pitch Black fece sobbalzare Jamie ed improvvisamente i
due adulti collassarono, perdendo conoscenza. Pitch mosse elegantemente
il polso e richiamò il fantasma che aveva posseduto i loro
corpi per qualche istante. – Ben fatto, piccolo mio. Ma ora
va' a compiere altrove il tuo dovere. –
Il fantasma
annuì e silenzioso si diresse verso la casa successiva.
Dietro di lui si stendeva una scia tratteggiata di corpi privi di
sensi.
Adulti
che credevano di essere al sicuro da ciò che non potevano
vedere.
– Tu
non vincerai, Pitch! – esclamò Jamie, raccogliendo
tutto il coraggio che poteva contenere il suo petto.
– Ne
sei sicuro? –
Pitch
allungò le sue ombre verso il ragazzo e
sogghignò. Quelle dita pallide e soffuse di
oscurità si tesero fino a sfiorare le scarpe di Jamie che
indietreggiò, subito pentendosene.
– Io
non ho paura di te. – decretò arrestandosi, e
alzando il mento in un chiaro segno di sfida.
L'instante
successivo capì di aver fatto un grosso errore.
Le ombre lo
avvolsero dentro alle loro spire e lo strinsero con forza, sollevandolo
da terra. I lembi di oscurità , così liscia da
sembrare seta e così morbida da risultare impalpabile solo
all'apparenza, risalirono lungo il suo corpo fino ad inglobarlo.
–
Dovresti invece. – disse Pitch, apprestandosi a infliggere il
colpo di grazia.
Jamie
sbuffò, cercando inutilmente di immettere aria dentro ai
suoi polmoni compressi. Sophie urlò e si agitò
dentro alla presa ferrea dell'Uomo Nero, senza riuscire a liberarsi.
Pitch sorrise e strinse il pugno in un gesto definitivo.
Le ombre gli
obbedirono senza indugio.
***
Feed
the fire, break your vision
Throw
your fists up, come on with me
Take
me out of here
Take
me out of here
Watercolor, Pendulum
Il cielo venne
squarciato da una bolla iridescente, una sfera di bianca perfezione si
espanse nel cielo e dalle sue viscere luminose comparve la slitta di
North con il suo proprietario a cassetta, il colbacco di pelliccia
pigiato sulla fronte e le sciabole sguainate.
Dietro di lui,
Toothy e Sandman lanciarono sguardi per nulla rassicuranti in direzione
dei mostri che imperversavano in giro per la città. Con una
virata stretta Toothy scese in picchiata verso un gruppetto di troll
che stava accerchiando una granula di bambini, mentre Sandman
materializzò il suo aeroplano di sabbia dorata e
indossò gli occhiali da aviatore con gesto sicuro, prima di
planare con uno slanciato avvitamento dritto su alcuni mostri
sottostanti, riempiendoli di pallottole dorate ma letali.
Valentine si
passò una mano tra i capelli dalle sfumature lavanda,
spettinandoseli ad arte, prima di incoccare una freccia nel suo arco e
di tendere la corda, dura e spessa come un cavo di metallo, mirando ad
alcuni lupi mannari sopra i tetti, intenti ad ululare alla luna assente
la loro fame; Flibbert Gibbert si slanciò fuori dalla
slitta, atterrando con grazia su uno dei tetti; Mun si
smaterializzò e ricomparve dietro Pitch, risucchiando Sophie
dentro alle proprie nebbie, e allungando i suoi bracci nebulosi
attraverso tutte le vie di Burgess.
La grigiastra
caligine si posò su ogni cosa, sfocandone in contorni e
alternandone le proporzioni.
L'Uomo Nero
però non sembrò curarsene e rise, completamente a
suo agio.
–
Finalmente, Guardiani! E vedo che avete portato pure le
scorte! Ma non vi serviranno a molto perché...
–
Con un balzo
repentino Pitch dovette interrompersi per togliere il proprio volto
dalla traiettoria di un boomerang, e una smorfia comparve sulle sue
labbra tirate e scarne. Jamie cadde al suolo con un tonfo, di nuovo
libero.
Un trillo di
felicità annunciò a tutti che Bunnymund si era
ripreso e che Sophie ne era più che deliziata.
–
Non avrai creduto che bastasse così poco a mettermi fuori
gioco? – ironizzò Bunnymund, nonostante avesse il
muso pesto e qualche baffo spiegazzato. – Ho parecchi conti
in sospeso con te: compreso il fatto di aver cercato di far del male
alla mia piccola amica ! –
– I
Guardiani al completo! – esclamò Pitch, che per
delizia sembrava non essere secondo nemmeno a Sophie. – Anzi,
no, mi correggo: dove avete lasciato il vostro ragazzo di ghiaccio?
–
–
Non ti riguarda! – esclamò Bunnymund ripartendo
all'attacco, sotto le costanti e pressanti incitazioni di Sophie che
tifava per lui a tutto spiano.
Jamie venne
recuperato da uno dei drappi di nebbia di Mun e posato di fianco a sua
sorella. –Restate qui. – disse Mun prima di
dissolversi del tutto e di addensare la foschia intorno ad un unico
punto, innalzando quella che aveva tutta l'aria di esserre una barriera
protettiva.
–
Serrate i banchi! – esclamò pomposamente, mentre
Bunnymund gli sfrecciava affianco, cercando di prendere Pitch alla
sprovvista.
– Si
dice "ranghi"!– lo corresse quest'ultimo a denti stretti.
– E
da quando di grazia? – s'informò Mun, riuscendo a
dare alla sua voce una sfumatura d'indignazione.
–
Ah, già, voi siete inglesi! Dovete sempre distinguervi in
qualche modo. –
Mun
berciò qualcosa sugli attributi degli australiani, e si
mosse in modo da aiutare Flibbert Gibbert che se la stava prendendo con
alcune zucche, colpendole forte con il suo specchio.
Toothy,
insieme al suo sciame di Dente da Latte, si mise in formazione
d'attacco e come uno stormo ben sincronizzato, attaccò a
raffica alcuni mostri sulla via principale. L'aeroplano di Sandy diede
il suo contributo sganciando alcune bombe dorate su qualcuno di quelli
più recidivi.
Ma per quanti
ne riducessero all'incoscienza o all'impossibilità di
ribattere, il loro numero non sembrava in alcun modo diminuire. Anzi,
sembrava aumentare di minuto in minuto.
North ebbe un
commento che riassumeva perfettamente la brutta situazione in cui si
trovavano:
–
Quel gran figlio di… di Šostakovič!!! –
***
Just
stay where you are.
Let
your fear subside
Just
stay where you are
If
there's nothing to hide
Watercolor, Pendulum
Jack Frost
osservò gli yeti, accorsi numerosi per dare man forte,
finire di rinchiudere Cassian e Will dentro ad una stanza vuota. La
porta venne saldamente sigillata, così come anche le pareti,
da un abbondante strato di ghiaccio.
– Ma
non avranno freddo? – chiese apprensiva Candelora.
–
Non credo. –
Jack si terse
la fronte con la manica e si voltò verso il folto gruppo di
yeti e di folletti che guardavano verso di lui come in attesa di suoi
ordini.
Fuori
l'esercito era ormai visibilissimo e i primi incubi cominciavano ad
affollarsi sotto al costone di permafrost sul quale il laboratorio di
North poggiava.
Non
avevano più tempo.
Alla loro
guida c'era un ragazzo dai riccioli scuri e lo sguardo ormai spento,
sulla cui spalla rollava una lanterna accesa di un fuoco più
vivido del solito.
Non.
Quel ragazzo
alzò lo sguardo verso di loro e Jack poté quasi
sentire i suoi occhi oltrepassare le finestre di vetro e inchiodarsi su
di lui. Lo avvisava che non avrebbero aspettato e che se necessario
sarebbero venuti a prenderli di persona.
Avevano.
Halley
riportò la sua attenzione all'esercito dietro le sue spalle,
abbandonando per un istante la visione di quello che una volta aveva
considerato se non un amico, per lo meno un suo alleato. Lo strano
spirito scanzonato dai capelli bianchi, le spalle diritte e dagli
occhi, profondi, così chiari e freddi, da confonderlo e da
fargli pensare che in fondo lui tutto quello non lo aveva mai voluto.
Più.
Due spiriti
affini, ma dai destini così diversi. Due spiriti che ora
avrebbero dovuto affrontarsi. E solo uno tra loro ne sarebbe uscito
vincitore.
Tempo.
Tutto
sembrò dilatarsi, persino l'istante che Halley
impiegò al alzare il braccio e poi ad abbassarlo con uno
scatto, dando il segnale di iniziare la battaglia, sembrò
durare un eternità. Ma anche l'eternità giunge al
termine, dopo averla vissuta.
******************************************************
Scusate il
ritardo. Le vacanze estive mi hanno sconvolto i programmi. XD
E con questo
siamo al penultimo capitolo. Ringrazio tutti quelli che mi hanno
seguito fin qui.
Una valanga di
bacioni!
Salut!
*********************************************************
- SIDE STORY -
We'll
play hide and seek
To
turn this around
And
all I want is the taste
That
your lips allow
Give me love, Ed Sheeran
I grilli
frinivano nel silenzio del bosco illuminato dal caldo sole pomeridiano.
Un ansimare deciso proveniva da una grotta nascosta in mezzo al verde
dove due corpi premevano l'uno contro quello dell'altra cercando di
riprendersi dallo spavento appena avuto.
–
Chi è che ha avuto la brillante idea di vedere se per caso
dentro a questa grotta non avessero nascosto il tesoro? –
–
Tu, se non ricordo male. –
–
Oh, vero. Però tu avresti potuto fermarmi. Quindi
è colpa tua lo stesso. –
Nel buio della
grotta, Halley sbuffò e il suo alito caldo si perse dentro
ai capelli di Thia.
– E
non alitarmi in faccia, genio. –
–
Potrei dire lo stesso a te, dolcezza. –
–
DOLCEZZA!? Ma che avete tutti contro il mio dannato personaggio
per…! no, va bene, calma. Ritorniamo ragionevoli. Come
usciamo da qui, … Halley? –
La frescura
della roccia contro la loro pelle nuda infilava aghi di gelo fino dove
a poco prima aveva spadroneggiato il torrido sole e la pesante
umidità estiva.
–
Dovremmo risalire la roccia. – rifletté lui ad
alta voce, ancora bloccato sotto al peso di Thia. – Tu ce la
fai? –
–
Qui è troppo stretto. – constatò la
ragazza, muovendosi piano e provocando un gemito da parte di Halley.
– Ehi, che ti è preso? –
Un altro suono
roco e poi Halley riuscì ad articolare: – Stai
premendo proprio sulle mie …–
–
Non volevo! –
Thia
arrossì fino alla punta dei capelli e fu felice a
circondarla ci fosse solo l'oscurità più fitta.
Si
spostò per quanto possibile e le sue ginocchia toccarono la
scabra roccia per la prima volta da quando erano caduti in
quell'infausto buco verticale, poco dopo l'ingresso della grotta.
– Va
meglio? –
–
Si. Decisamente. –
Con sua stessa
sorpresa la voce gutturale di Halley le fece battere il cuore (molto
curioso!) ma fu letteralmente un altro il motivo che mandò
il suo volto in fiamme (molto meno curioso). Ovvero la posizione nella
quale si trovavano. Thia realizzò solo in quell'istante come
i loro corpi si erano disposti, complice il buio: si trovava a
cavalcioni di lui, il seno ad un soffio dal suo petto e le labbra che
si sfioravano. Le gambe piegate di Halley premevano contro le sue cosce
aperte in modo così poco dignitoso che ringraziò
la se stessa di quella mattina che aveva scelto di indossare dei
pantaloni.
–
Ehm… H-Halley… non per allarmarti… ma
abbiamo un discreto problema da… affrontare.–
L'incredulo
silenzio che ricevette in risposta sarebbe stato più che
sufficiente, ma Halley si sentì in dovere di esclamare con
rigidità.
–
Thia! Non dirmi che ora è il tuo fondoschiena a premere sul
mio…! –
In quello
stesso istante, dall'altra parte della collina, Will allungò
le sue braccia oltre il collo di Jack, abbracciandolo da dietro e
portando la sua fronte a contatto con i suoi capelli, ancora tinti di
candido bianco.
–
Sicura che non vuoi che torniamo indietro? – le chiese di
nuovo il ragazzo, passando le sue mani sulle cosce fino ad allacciarle
dietro al suo sedere per sollevarla più agilmente.
–
No, sto bene. – annuì Will, umettandosi le labbra
di colpo molto secche. – La caviglia non fa poi
così tanto male. –
– E
dire che ti avevo anche detto di fare attenzione a quella radice
sporgente. – sospirò Jack, dando però
alla voce un tono scherzoso. – A che stavi pensando?
–
Will
serrò la mascella. – A nulla. –
Non poteva
mica dirgli che si era persa a guardare come le ombre delle foglie
giocassero sulla sua pelle d'alabastro…
–
Vediamo di trovare questo maledetto tesoro così posso
tornare a dormire. – bofonchiò Jack, riprendendo a
camminare giù per il declivio. Will si strinse un po'
più forte attorno a lui, assaporandone il calore e la
fluidità dei muscoli.
Odorava di
buono,si ritrovò a pensare, e la sua vicinanza le dava una
sensazione di sicurezza che non credeva di poter provare.
Aprì la bocca e poi la richiuse. Che poteva dirgli?
Innanzitutto doveva ringraziarlo, si disse. Si, doveva farlo.
Fece per
riaprire la bocca e dare voce ai suoi pensieri ma, di colpo, un grido
angosciato ruppe la monotonia dei cinguettii delle cinciallegre e dei
merli, nascosti nelle folte fronde degli alberi.
–
Non era la voce di Valentine, quella? – chiese Jack, stupito,
fermandosi e tendendo le orecchie.
–
Non saprei. – rispose Will. – A me sembrava
più una voce bianca. Valentine ha un tono di voce
più profondo. –
Anche se a
qualche chilometro di distanza, lo stesso problema se lo posero altre
due persone: Cassian e Bunnymund però giunsero ad una
conclusione totalmente diversa.
–
Quella non poteva essere la voce di Halley. Non può giusto?
Oh, Dio, ti prego fa che non fosse Halley! Bunny, secondo te era la
voce di Halley? Dimmi di no…–
–
Può essere, Cassian. Thia fa la ragazza timida solo
all'apparenza, ma in realtà è una parecchio
sfrontata. –
–
AH! LO SAPEVO!! Quella donnaccia di malaffare!! Se osa sfiorare Halley
anche solo con un dito, io… io…–
– Tu
cosa? –
– Le
rubo tutte le mutande! – esclamò Cassian come
trovando l'ispirazione necessaria in quel preciso istante. –
E poi gliele spargo in giro per tutto il set. –
–
Sei proprio malvagio. Fai un baffo a Pitch. – disse Bunnymund
con tono strascicato, alzando un sopracciglio. – Comunque io
non mi preoccuperei troppo. Halley è uno che sa difendersi.
–
Halley, in
effetti, si stava difendendo molto bene in quel momento. E Thia avrebbe
potuto confermarlo.
–
Aspetta, non muoverti troppo in fretta…–
– Va
bene. Però qui è troppo buio, non vedo nulla.
Così va meglio? –
–
Oh, si. Vai un po' più a destra! –
–
Meglio? –
–
Si, ma… ahi! Mi stai disfando il sedere! Perché
devi fare tutto con irruenza? –
Halley
accomodò la testa in mezzo alle gambe di Thia e la ragazza
sobbalzò.
–
Halley…– sospirò, cercando di non
arrossire. – Riesci ad alzarti sulle punte dei piedi?
–
Lui
obbedì e rinsaldò la presa sulle cosce della
ragazza.
–
Secondo te quell'urlo era di Valentine? –
–
Sicuro, cretino. La Befana avrà tentato di allungare le mani
nel momento sbagliato, ci scommetto. –
–
Non lo invidio. –
Per mantenere
meglio l'equilibrio, Halley si appoggiò alla parete e
sentì le dita di lei aggrapparsi ai suoi capelli.
–
Riesci a vedere l'uscita? –
Thia, a
cavalcioni delle sue spalle, sporse la testa e annuì.
– Dovremmo farcela. Però non so se ti conviene
uscire. –
–
Perché? –
–
Vedo Cassian. E sta venendo da questa parte. –
–
LUI COSA!? –
Sconvolto,
Halley perse l'equilibrio ed entrambi finirono di nuovo in terra, ad
abbracciare il pavimento.
Fuori dalla
grotta, giunse chiara e distinta una voce preoccupata.
– E
questa, invece? Secondo te questa era la voce di Halley? Oh, Dio, ti
prego fa che non fosse Halley! Bunny, non può essere lui,
giusto? Dimmi di no…–
–
Maledizione, smettila! Mica ogni grido, rumore, o mugolio che senti
deve per forza essere Halley ad emetterlo! –
|
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Capitolo 11 *** This is the end ***
CAPITOLO
11
THIS IS THE END
This
is the end
Hold
your breath and count to ten,
Feel
the earth move and then
Hear
my heart burst again
For
this is the end,
I've
drowned and dreamt this moment
Skyfall, Adele
St. Nicholas
North si rese conto di due cose contemporaneamente: stavano perdendo e
non sarebbero riusciti a mettere in pratica il piano di Toothy.
Non
sarebbero riusciti a rinchiudere per sempre Pitch nella
realtà alternativa che si era creato, nel suo rifugio
spazio-temporale in cui le ombre imperversavano al pari del mondo di
Halloween, incontrastate e padrone di fare quello che volevano, alla
semplice condizione di rinunciare per sempre alla loro
libertà.
Non ci
sarebbero riusciti per il semplice fatto che stavano soccombendo. Erano
riusciti a mettere in salvo un gruppo di ragazzini ma la lotta si stava
facendo sempre più serrata, e i numeri non propendevano
certo dalla loro parte.
–
Non credevo che Halloween potesse vantare così tanti mostri!
– esalò Bunnymund prima di scartavetrare la faccia
con una degna zampata ad uno di questi ultimi. – Sembrano non
finire mai! –
Toothy
finì di dare indicazioni alle sue Dente da Latte su come
sconfiggere un troll le cui braccia sembravano i tronchi di un
massiccio albero, e poi s'involò per raggiungere qualche
pixie malevola che stava tirando le orecchie ai bambini così
forte da rischiare di strappargliele.
Jamie e Sophie
stavano dando una mano a loro volta, azzoppando a colpi di bastoni e di
canditi, diverse zucche non molto sveglie, che continuavano a
scontrarsi tra di loro senza riuscire a scappare.
Ben diversa
era la situazione con Flibbert Gibbert che si disperava per la perdita
di una delle sue preziose unghie laccate, guardandola con orrore
incommensurabile.
–
Rovinate, Flibbert! –
–
Oh, Gibbert! Spezzata per sempre! –
Scavalcando
qualche corpo riverso a terra, Valentine corse vicino a North e schiena
contro schiena cominciarono ad affrontare i démoni e gli
incubi più forti, riuscendo per qualche tempo a tenergli
testa, ma dovendo, poi, decidersi ad indietreggiare perché
non riuscivano a domare i loro assalti. A nulla sembravano valere le
frecce siluranti e le sciabole affilate contro quelle pelli
inconsistenti di fumo e zolfo o, al contrario, talmente resistenti da
non venire nemmeno scalfite dalle lame e dai dardi appuntiti.
Una frusta di
luce colpì sul muso un lupo mannaro poco prima che riuscisse
ad azzannare uno sparuto gruppo di bambine in pigiamini azzurri e rosa.
Sandman sorrise rassicurante nella loro direzione e le trasse sulla sua
nuvola dorata, sollevandosi in cielo giusto in tempo.
La nebbia di
Mun si riversò come un onda in ogni strada, ogni vicolo ed
ogni angolo, dando l'impressione di stare aiutando sia i
Guardiani che i mostri, che si celavano al loro interno. Il loro
padrone però sapeva bene come sfruttare il loro potere e
più volte si poterono vedere gambe e braccia fare sgambetti
o tirare pugni come capitava agli sventurati che osavano addentrarsi
dentro quelle basse foschie.
Eppure gli
sgambetti non sembravano essere mai abbastanza, e i Guardiani si resero
lentamente conto che non c'è l'avrebbero mai fatta.
Pitch
osservò tutto questo con un ghigno sul volto pallido,
l'accenno di un sorriso sulle labbra.
–
Che sublime visione… –
***
Let
the sky fall,
when
it crumbles.
We
will stand tall
And
face it all together
At
skyfall
Skyfall, Adele
Occhi prima
limpidi come acque cristalline si scurirono fino ad assumere le
tonalità e la ferocia del mare in tempesta, grigi come
nuvole minacciose che si staglino nel cielo, promessa sicura di
pioggia. Jack Frost lì vide così i propri occhi,
riflessi in quelli dell'avversario. Occhi così scuri da
rassomigliare pozzi senza fondo, che inghiottano la luce senza lasciare
alcuna traccia di essa, due occhi rabbiosi e irati che del fuoco non
ricordavano altro che la traccia ustionante.
Halley
rinforzò la presa sull'impugnatura della lanterna, il fuoco
di Lumin divampò fondendo il ghiaccio di Jack con la stessa
velocità con cui il Guardiano lo creava.
Intorno
a loro si srotolava il caos, nelle sue forme più pure e
genuine, ma era come se fossero soli. Gli yeti ruggivano durante la
battaglia, gli elfi trillavano come impazziti e le pareti del
laboratorio di North, prese d'assalto, tremavano sulle loro stesse
fondamenta. Candelora era da qualche parte, anche lei impegnata nella
battaglia.
Ma
era come se fossero soli…
Solo
loro due, e niente altro.
–
Jack, arrenditi! Per favore! Non costringermi a farlo! –
Anche Jack
Frost serrò con più forza il bastone, spingendo i
suoi poteri fino al limite inimmaginabile. Barlumi di neve fioccante
scesero danzando dal cielo, coprendo indistintamente entrambi gli
schieramenti. I piedi affondarono nel soffice nevischio che si era
depositato al suolo, scivolando e scrocchiando sotto il loro peso.
–
Non sono io quello che si deve arrendere, Halley. –
–
Pitch può riportare in vita mia sorella. Se
solo…–
–
Lui non farà mai ciò che ti
ha promesso. Svegliati una buona volta! –
Divincolarono
le loro armi e un rombo sordo venne seguito dal rumore di qualche tuono
in lotananza. Jack si sollevò in aria, lanciandosi dentro ad
un turbine gelido che lo trascinò con sé tra le
nuvole. Halley non poteva seguirlo ma aveva ben altri metodi per
combattere a distanza.
–
Lumin, pensaci tu. –
La lanterna
cigolò piano e la fiamma al suo interno annuì,
ingrossandosi e lambendo con lingue di fuoco i vetri fuligginosi del
suo cimelio. La testa fuoriuscì e si ingrossò
fino a diventare più alta di Halley, fino a sovrastare tutto
e tutti come una guglia e poi dalla bocca parti un ruggito di fuoco.
Una colonna eruttiva di gas, ceneri e lapilli che si innalzò
nel cielo per chilometri sopra al campo di battaglia.
Solo quando la
spinta dei gas e delle lave si fu esaurita, la colonna
sembrò sbocciare al pari di un fiore a mezz'aria e colpire
le nuvole con un'onda d'urto così possente da spazzarle via,
i detriti ricaddero su ogni cristallo di ghiaccio e su ogni superficie
sotto forma di nube ardente, inglobando e divorando tutto quello che
trovavano sul loro cammino.
Lumin protesse
Halley e le fiamme che sfiorarono la sua pelle abbronzata non furono
nulla di più di una carezza. Al di contrario, fuori da
quella calda protezione, per diversi metri intorno ad Halley si era
creato il nulla.
La calma
irreale, il silenzio dello stupore, venne spezzato dall'urlo di
disperazione di Jack.
Corpi
carbonizzati. Anime andate perdute. Amici morti per cercare di
preservare la pace che la follia di uno singolo spirito cercava di
intaccare. Soddisfazioni personali che nulla avevano a che fare con la
quiete che tutti cercavano di vivere.
Il
contrattacco di Jack non fu razionale. Il bastone sembrò
piegarsi da solo nelle sua mani, angolarsi in modo da raggiungere la
massima efficacia. Neve e ghiaccio fuoriuscirono come un lampo dalla
sua fedele arma, diretti verso il terreno riarso dalle fiamme. Metallo
liquido che si sagomò attorno a forme impossibili, mercurio
ad ebollizione che riuscì a solidificarsi solo a contatto
con le pietre brillanti che precipitando a valle con la potenza del
tuono calarono su Halley come un'autentica valanga di ghiaccio.
Gli ansiti del
respiro di Jack si sommarono alle lacrime che, come piccole gemme,
solcarono lentamente le sue guancie.
Tutto quello
non aveva senso.
***
Skyfall
is where we start
A
thousand miles and poles apart
Where
worlds collide and days are dark
You
may have my number, You can take my name
But
you'll never have my heart
Skyfall, Adele
Pitch Black
esultava: la vittoria non era mai stata così vicina. Poteva
sentirla sui suoi palmi, accarezzarne i contorni con tenere dita e
palpare quel senso di autocompiacimento con una soddisfazione che non
credeva di poter provare.
Provare
ancora.
La
capacità di far vibrare la paura come una corda di violino,
tesa appositamente per produrre il suono più melodioso e
cristallino, era qualcosa che credeva di aver perduto per sempre.
Qualcosa
a cui aveva rinunciato. Qualcosa che, però, una volta, era
stato suo.
I Guardiani
stavano perdendo, anzi, avevano già perso. E lui non avrebbe
avuto alcuna pietà, esattamente come loro non ne avevano
avuta per lui.
Cosa
è giusto e cosa è sbagliato lo determinano i
vincitori della guerra, non gli sconfitti.
Incubi, incubi
ovunque. E il sapore agrodolce del dolore, quello speziato della
disperazione e quello dolce come miele della paura, proprio
lì: sulla punta della lingua.
Un
aroma inconfondibile per chi, come lui, tante volte lo aveva odorato e
assaggiato.
North
alzò lo sguardo, affaticato dopo tanto combattere, e
incontrò il sorriso di scherno di Pitch.
–
Noi messi male, gente. Ma noi non ci arrenderemo! –
Sguardi
convinti e determinati risposero a quelle sue parole.
– In
fondo lo avevamo già detto che avremo venduto cara la nostra
pelle. – sorrise Toothy, mentre le Dente da Latte le
sfarfallavano intorno come tante vespe minacciose.
Sandy
annuì e materializzò un pugno stretto sopra la
sua testa. Uno per tutti, tutti per uno.
Dietro di lui
Mun e Bunnymund, sorrisero, quasi fossero accumunati dal senso
sarcastico che la vita aveva voluto dare alla loro esistenza.
– In
fondo non mi dispiacerà morire fianco a fianco con un
inglese. –
–
Anche io ho rivalutato molto gli australiani, di recente. Tipi tosti,
quelli. –
Mun e
Bunnymund scrollarono le spalle: quella era la loro versione di una
riappacificazione con le contro-uova.
Flibbert
Gibbert annuì. – Sarà un onore morire
al tuo fianco. Be'… al fianco di tutti voi. –
– Ma
quale onore? – berciò Valentine, balzando sopra ad
un tetto. – L'onore è stato conoscervi. E detto
questo, ci rivediamo sul Lato Oscuro della Luna, imbecilli. –
Tutti gli
spiriti e i Guardiani serrarono le loro fila e si strinsero,
preparandosi all'attacco finale.
Di colpo una
luce accecante comparve in mezzo alla loro formazione, illuminando ogni
cosa nel raggio di metri come il sole a mezzogiorno. Sophie
sgranò gli occhi, assumendo un aria mortificata, e Jamie la
guardò incredulo.
–
Che diavolo hai fatto, Sophie? –
***
Bunnymund
allargò la sua bocca e rimase, incredulo, a fissare - al
pari di tutti gli altri spiriti - coloro che come tanti ricami colorati
stavano uscendo dalla sfera-portale di North.
–
Guardians, Drugs and Rock'nRoll! –
ululò con sentimento una vecchina a cavalcioni di una scopa
a razzo, puntando verso il cielo come una forsennata e lasciando dietro
di sé una scia di fumo grigiastro e scoppiettante. Dietro di
lei, fece capolino la faccia di un ragazzino con i capelli fini come
oro fuso e dalle guance arrossate. Atterrò con una piroetta
accanto a Sophie che sgranò gli occhi. Lui le sorrise
facendole un piccolo ma composto inchino, e Sophie percepì
chiaramente il suo cuore perdere qualche colpo, anche se non quanti ne
perdeva la scopa della Befana in quel momento.
– Io
sono Ferragosto, piacere di con... –
–
Si, si…certo! – lo interruppe Bunnymund con
maniere che descrivere come spicce sarebbe stato un puro eufemismo.
– Abbiamo capito, non importunare la mia piccola Sophie!
–
Ferragosto si
mise un dito sulle rosee labbra cesellate e sorrise ancora. I suoi
occhi, così chiari da sembrare oro bianco, mandarono lampi
di genuino divertimento. La sua schiena venne urtata dalle mani di un
grosso omone che cercava in tutti i modi di uscire dal varco di luce,
senza però riuscirci, bloccando per intero il passaggio.
–
Giovedì Grasso! – lo salutò North con
enfasi da vecchio quanto consumato amico. – Quanto tempo!
–
Con un ultimo
spintone l'omone sembrò riuscire nella sua impresa,
scrollandosi dai larghi fianchi lo stretto passaggio e franando al
suolo come un sacco di patate. Sopra di lui ricaddero altri due spiriti
che evidentemente lo stavano aiutando ad uscire spingendolo da dietro.
Un uomo solido, dai tratti muscolosi e scolpiti, sollevò
senza alcuna difficoltà quei due spiritelli, rivelando che
si trattava di due ragazze.
Una con i
capelli rossi e inanellati di riccioli così fitti da
sembrare una cascata di fuoco e l'altra buffamente ricoperta da una
moltitudine cacofonica di colori e di fiori, forme e dimensioni
così scostanti tra loro da far quasi male alla vista nel
vederle tutte insieme. Toothy sorrise e si avvicinò, pronta
a dar loro il benvenuto, ma mentre stava per abbracciare la prima
ragazza questa arrossì, prese fuoco e si consumò
su sé stessa nel giro di pochi istanti.
–
Hah! Capodanno è sempre la stessa! –
commentò Bunnymund, incrociando le zampe sul petto.
– Speriamo che si sbrighi a rinascere dalle sue ceneri.
–
–
May Queen! Wookey Hole! – salutò invece Toothy
dopo l'attimo d'iniziale sorpresa. – Vi vedo alla grande!
–
May
ridacchiò, facendo agitare la testa infiorellata e con garbo
si lisciò qualche margheritina sul seno, mentre Wookey la
osservava rapito, gonfiando il petto in modo sospetto.
***
Una folla di
marmocchi con i calzari e i berretti a punta uscì dal varco,
seguiti a ruota da uno sciame di fatine non più grandi di un
pollice. Il Leprecauno uscì subito dopo di loro lamentandosi
di alcune bimbette tutte arancioni che schiamazzavano intorno a lui,
con risolini e cinguettii di divertimento.
Valentine
allungò il collo come cercando di vedere se ci fosse ancora
qualcuno, e sporse il labbro in fuori per la delusione.
–
Stai cercando qualcuno? – chiese Flibbert in un raro slancio
di altruismo.
–
Sono usciti i Folletti del pane, le Fatine delle Foglie, le Corn Dolly
e anche il Leprecauno… però non
vedo…ah! Vecchia ciabatta!!! Finalmente! –
L'esclamazione
di gioia di Valentine fece sobbalzare l'esile corpicino di una ragazza
che stava uscendo timidamente dal foro di luce - proprio pochi istanti
prima che quest'ultimo si richiudesse dietro di lei e un'altra figura,
facendola saltare dalla paura una seconda volta.
L'aspetto
tetro e malinconico si accompagnava perfettamente agli occhi cerchiati,
alle guance livide e ai capelli neri come l'inchiostro, racchiusi in
una alta coda da cui sfuggivano diverse ciocche. Valentine le balzo
addosso e l'abbracciò, rischiando di far collassare
definitivamente la poveretta dallo spavento.
–
Marabbecca! Di' la verità che non vedevi l'ora di vedere il
magnifico sottoscritto, eh! –
Marabbecca
impallidì e cercò di sfuggire alle grinfie di
Valentine come se questi avesse una qualche malattia molto contagiosa.
Come
risvegliate da quella voce tenorile le Corn Dolly e le Fatine delle
Foglie si agitarono intorno a Valentine trillando di giubilo e
vezzeggiando il ragazzo con mille complimenti, strusciandosi contro i
suoi pettorali e infilandosi come schegge birichine sotto i suoi
vestiti.
– Va
bene, bellezze. Basta così! Wow… non
lì sotto… ehi, ho detto… ferme!
–
Marabbecca
roteò gli occhi foschi e come sempre dagli ultimi
quattrocento non disse una sola parola. Sandy saltellò
felice e la ragazza ebbe, forse, il primo barlume di sorriso che le si
fosse mai visto sul suo volto cupo. I due sembravano capirsi al volo e
Valentine si sentì sconvolgere più da quel fatto
che non per il giorno in cui era diventato uno spirito.
Riafferrò
Marebbecca con malagrazia e minacciò Sandy con la punta di
una delle sue frecce. – Bada ai fatti tuoi se non vuoi
ritrovartela in posti non battuti dal sole, Guardiano! –
Sandy,
indignato, fece evaporare del fumo dorato dalle sue orecchie, ma smise
di colpo quando notò chi era l'ultima figura; l'ultimo
spirito uscito dal varco.
North e
Bunnymund, anche loro a bocca aperta, guardarono Toothy che era l'unica
che stava sorridendo.
***
Dall'alto
della sua postazione, Pitch Black aveva seguito tutta la scena,
impassibile. Solo un lieve tremore delle mani e una vena pulsante sulla
tempia rivelavano il suo vero stato d'animo. Gli incubi, confusi e
storditi da tutta quella luce, non si azzardavano a fare nemmeno un
passo e Pitch temeva che quanto aveva predetto, quanto avesse sperato
di veder realizzato fosse stato solo l'ennesimo sogno ad occhi aperti.
Non
poteva finire così.
–
Incubi! Attaccate! Voi dovete…– ma la voce gli
morì in gola. L'ultimo spirito si voltò verso di
lui e Pitch lo riconobbe.
Lei
però avrebbe dovuto essere morta.
La voce
uscì stranamente chiara e distaccata, nonostante il
turbamento che provava.
–
Chi non muore si rivede, Satia. –
***
Where
you go I go
What
you see I see
I
know I'd never be me without the security
Are
your loving arms keeping me from harm
Put
your hand in my hand and we'll stand
At
skyfall.
Skyfall, Adele
Jack si tenne
il braccio ferito e scartò di lato, evitando che l'attacco
di Halley lo riducesse in cenere finissima. Lumin borbottò
il suo disappunto e si preparò a sparare la seconda
fiammata, ma Halley la scosse spostandola bruscamente di lato per
toglierla dal raggio d'azione del ghiaccio di Jack.
Avrebbero
potuto continuare in eterno. I loro poteri si equivalevano.
La
loro battaglia non avrebbe mai visto fine, se non quando uno dei due
avesse deciso di arrendersi.
Entrambi
i ragazzi però erano ben decisi a vincere e nessuna ragione
avrebbe mai potuto convincerli che la loro motivazione era meno che
giusta. Il primo combatteva per il bene, per la convinzione che il
giusto che alla fine deve trionfare su ogni cosa, e il secondo
combatteva in nome di un ricordo, per qualcosa che il male non sembrava
in grado di intaccare nonostante i suoi lunghi e infidi tentativi.
Jack si
accorse che il braccio con cui Halley teneva Lumin tremava vistosamente.
–
Halley basta! Stai usando troppo potere! Ti sfinirai! –
–
Non mi importa! –
Un colpo basso
e luminoso, lava imbruttita da densa sostanza viscosa,
s'avvicinò pericolosamente a Jack, senza tuttavia colpirlo.
–
Così morirai! Fermati, stupido!–
Halley
chinò il capo e fece partire un terzo, un quarto e un quinto
colpo. All'ultimo riuscì a colpire Jack ad una gamba e il
ragazzo cadde a terra con un alto gemito di dolore.
–
Non mi importa… Dovresti averlo capito ormai. –
Halley
camminò fino a portarsi vicino a Jack e a precludergli
qualsiasi altro movimento, puntandogli il manico della lanterna alla
gola esposta.
La felpa era
lacerata in più punti e lì dove il colpo aveva
centrato il bersaglio si allargava una grossa ustione, la carne della
gamba viva e sanguinolenta.
– Se
morirò, andrà bene lo stesso. –
Dalla lanterna
si irradiò una luce cremisi, segno che l'attacco successivo
si stava preparando. E Jack sapeva che ad una distanza così
ravvicinata non avrebbe avuto scampo. Sarebbe morto…
–
Tua sorella è viva. –
–
Non mentire! –
Il bastone
aumentò la sua pressione e Jack deglutì,
spostando lo sguardo da Halley alla sua arma, e poi di nuovo ad Halley,
che scuoteva la testa facendo arricciare ancora di più i
suoi capelli, intorno alla fronte e al collo.
–
Non mentire. Lo fanno tutti. Non mentirmi anche tu. –
Jack
sgranò gli occhi e comprese: – Tu sai che Pitch
non ti darà indietro tua sorella… allora
perché lo fai? –
–
Non ho scelta. –
–
Invece si ha sempre una scelta. –
Halley
sorrise, anche se non c'era divertimento nel suo sguardo. –
Allora sappi che in un altro contesto e in un'altra vita la mia scelta
sarebbe stata diversa… –
La luce crebbe
d'intensità e Jack pensò che, in fondo, la sua
fine era arrivata.
***
Toothy
ebbe un moto d'orgoglio perché il suo piano - seppur solo
grazie al contributo di Sophie - aveva funzionato sul serio. Avrebbero
dovuto eleggerla a nuova leader dei guardiani, o perlomeno avrebbero
dovuto darle un ruolo primario nelle operazioni future. In fondo era
sempre stata brava anche ad organizzare e a dirigere le sue Dente da
Latte quando più serviva, e dopo qualche secolo o
più, ci si impratichisce che lo si voglia a meno. A questo e
ad altre cose pensava mentre colpiva a testa bassa l'ultimo
mostriciattolo dalla pelle squamosa che si era ritrovato
sventuratamente sul suo cammino.
Sul tetto di
una casa, poco distante da lei, Pitch e Satia avevano dato vita ad uno
scontro dalle mosse basse e dai sotterfugi sibillini. Se uno colpiva a
tradimento, l'altra rispondeva con un contrattacco degno di una regina
degli inganni. Nessuna mossa veniva risparmiata, e i barlumi fluidi
della falce si alternavano perfettamente a quelli secchi del bastone.
Ad un occhiata più attenta, però, ci si sarebbe
accorti che i colpi della falce, seppur in modo irrisorio, diminuivano
di forza e di potenza ad ogni assalto, mentre quelli del bastone non
accennavano a trovar pace o riposo.
I cristalli di
Satia avevano iniziato ad intaccare il manto Pitch e stavano ricoprendo
con infernale pazienza anche le mani, gli eleganti polsi e gli
avambracci dell'Uomo Nero.
Pitch
sorrideva ancora, ma il suo era un sorriso falso, dietro il quale si
nascondeva la sua crescente incertezza.
Con un
frullò potente delle ali, Toothy si alzò in volo
per controllare il campo di battaglia dall'alto.
Vicino ad un
supermercato, May Queen stava facendo crescere sottili ma resistenti
rampicanti attorno alle pareti e ai piedi dei mostri, tenendoli
saldamente legati, mentre Wookey Hoole li stendeva con devastanti pugni
prima che potessero anche solo capire che cosa li avesse colpiti. La
Befana riusciva ad intossicare più avversari col fumo della
sua scopa che non Mun con la sua nebbia, anche se anche il secondo
stava facendo un ottimale lavoro di squadra con Bunnymund. Entrambi si
guardavano con un cenno del capo e se il primo li attirava dentro alla
nebbia l'altro li stordiva col boomerang.
Dall'altra
parte della città, Ferragosto, Sophie e Jamie sembravano
avere una sincronia tutta loro, al contrario dei Folletti del Pane che
attaccavano un po' come capitava, lanciando focaccine e panini in
faccia a chi si metteva sulla loro strada. Le Corn Dolly e le Fatine
delle Foglie sembravano possedere una spiccata predilezione per le
spalle di Valentine, dalle quale lanciavano chicchi di mais, veloci
come proiettili, attraverso cerbottane fatte di foglie arrotolate.
Giovedì
Grasso si limitava a caracollare sopra ai nemici, cadendogli sopra e
schiacciandoli con suo spropositato peso; invece, con solerzia tutta
particolare, il Leprecauno tirava stivali chiodati al comando
squillante della voce di Flibbert Gibbert.
Poco distante
da Toothy, Capodanno, North e Sandy non erano assolutamente da meno
rispetto a tutti gli altri.
Marabbecca
sembrava l'unica in difficoltà: essendo la donna dei pozzi,
il suo potere principale era l'acqua. Ma dopo che aveva bagnato un
mostro, questi si ritrovava solo più zuppo di prima e
decisamene più arrabbiato.
Proprio mentre
stava per fiondarsi su quei mostri per aiutarla, Toothy udì
un gridò.
–
Prenditela con qualcuno della tua oscena taglia, lurido mostro!
–
Con un
aggraziato movimento, Valentine balzò di fianco a Marabbecca
e con un calcio ben assestato ribaltò il mostro gambe
all'aria.
Sobbalzando
come se quella appena colpita fosse stata lei, Marabbecca
impallidì, mentre Valentine, del tutto ignaro
dell'impressione che le aveva appena suscitato, le rivolse il
più smagliante dei sorrisi, ottenendo di farla impallidire
ancora di più. Toothy ricordò di colpo le parole
di Valentine - "non mi hanno sconfitto, mi hanno solo preso di spalle"
- e capì improvvisamente per colpa di chi
Valentine si era fatto prendere alla sprovvista.
Infatti , in
quel momento, lo Spirito dell'Amore si stava solo pavoneggiando davanti
a Marabbecca, del tutto dimentico della battaglia in corso.
***
Con
un alto urlo, Pitch saltò all'indietro, sottraendosi al
secondo attacco. Aveva il corpo ormai quasi completamente ricoperto di
schegge, ma sembrava non curarsene.
Satia, con un
abile gioco di mani, lo costrinse ad arretrare ulteriormente,
bloccandolo contro la parete dell'alto campanile, la punta del suo
bastone, premuta sul pomo d'adamo.
Il vento che
spirava sul tetto dell'edificio, fece ondeggiare i capelli intorno ai
loro volti, poi Pitch sorrise serafico.
–
Non mi uccidi? –
Era
tranquillo, perfettamente a suo agio.
– Se
devi farlo, ti consiglio di sbrigarti… ma ricorda che il tuo
caro fratellino è ancora in mio potere. –
Gli occhi di
Satia si socchiusero leggermente, e Pitch soggiunse, quasi sottovoce:
– E se io muoio, muore anche lui… –
–
Stai mentendo. –
–
Può darsi di si. Oppure può essere che io sia
maledettamente serio. –
Pitch
scrollò le spalle. – Chi lo sa. La scelta
è tua. –
************************************
Ed invece mi
servirà ancora un capitolo per concludere, ho cantato
vittoria troppo presto… -.-
Una pioggia di
abbracci e di baci a te che stai leggendo!
Grazie a tutti
quelli che leggeranno!
E grazie
soprattutto a coloro che mi hanno sostenuto fin dall'inizio in questo,
seppur breve, viaggio all'interno delle 5 Leggende. Ancora un poco di
pazienza…XD
************************************
- SIDE STORY -
And
that I find my corner
Maybe
tonight I'll call you
After
my blood, turns into alcohol
No,
I just wanna hold you.
Give me love, Ed Sheeran
Valentine
guardò la Befana ad occhi socchiusi sperando di riuscire a
risultare doverosamente minaccioso.
–
Non. Rifarlo. Mai. Più. –
–
Che cosa? – chiese la donna lanciando al ragazzo un'occhiata
basita quanto innocente.
– Lo
sai che cosa. – ribatté Valentine, serrando le
mani in due pugni lungo i fianchi. – Passi quello che fanno
le attrici che impersonano le Fatine, passi anche le lunghe dita delle
Corn Dolly ma questo era davvero…un po' troppo. –
La vecchina
annuì e poi allargò gli occhi con incredula
sorpresa. – Oh, che ci fai qui, Marabbecca? –
Valentine
lanciò un grido e si voltò di colpo iniziando a
gesticolare.
–
Io… non… cosa…
aspettav…–
Alle sue
spalle, la Befana incominciò a ridere come una iena,
scoppiando in quella che sarebbe stata ricordata come la più
grossa e grassa risata di tutti i tempi.
–
Molto divertente, racchia dei miei stivali. –
–
Suvvia, è palese che ti piace la piccola Mara. –
– E
chi mette in giro certe fandonie? Il favoloso me con quella cupa
ciabatta? Non so neanche come possiate inventarvele certe cose. Ci
vuole un'immaginazione molto fervida, e … decisamente
fervida.–
La Befana
annuì e riprese a camminare, divertita dalla scelta di
Valentine di rimanere qualche passo indietro a lei, tanto per sicurezza.
Nella loro
stessa direzione, anche se ancora non lo sapevano, avanzavano anche
Cassian e Bunnymund, entrambi decisamente di malumore.
–
Rivoglio Halley… e lo voglio subito. –
–
Smettila di frignare. Halley non ti vuole. –
– Ed
invece si. È solo questione di tempo e cadrà ai
miei piedi. –
–
Si, morto stecchito. –
–
… sei ingiusto. –
–
Sono realistico. –
– La
tua realtà, allora, non mi piace. –
–
C'è qualcosa che ti vada mai bene? –
sbottò infine Bunnymund, altamente seccato. – No,
anzi, non rispondere, basta che fai finalmente silenzio e chiudi quella
stramaledetta bocca. –
Cassian
sembrò rifletterci a lungo, prendendosi tutto il tempo
necessario, poi si bloccò, sbiancando di colpo. –
Oddio…–
–
Che ti succede ora? –
–
È terribile…–
–
Ehi…– fece Bunnymund notando l'improvviso pallore
dell'altro. – Che hai? Sicuro di stare bene? –
– No
che non sto bene! Non mi ricordo se stamattina Halley ha indossato le
mutande nere o quelle bianche! È una cosa della massima
importanza! –
Bunnymund
soffocò un ruggito, riuscendoci nemmeno troppo bene, e
saltò al collo di Cassian. Entrambi persero l'equilibrio e
rotolarono giù per il pendio, fino a quando un tronco
sbilenco non mise fine alla loro caduta rovinosa.
Bunnymund
alzò un mano, tastandosi la testa, e berciò un
insulto sugli attributi del Padronostro che, se fosse stata presente,
avrebbe fatto impallidire la Madonna, costringendola a farsi
più volte il segno della croce.
Cassian gli
batté dei colpetti increduli sulla spalla e
sussurrò: – Guarda un po' là!
–
– E
adesso che stradiavolo vuoi!?? –
Bunnymund si tirò a sedere e rimase a sua volta a bocca
aperta. – Ci stanno prendendo per i co…!–
Il secondo
ringhiò di Bunnymund raggiunse le orecchie di Will
e di Jack, ormai quasi in cima alla collina, che si guardarono intorno,
preoccupati.
–
Sicuro che non ci siano leoni qui, Jack? –
–
A queste latitudini sono più probabili gli orsi.
–
–
Orsi? – saltò Will, trovando un'ottima scusa per
stringersi ancora più strettamente al collo di Jack.
– Che genere di orsi? –
–
Orsi dalle lunghe orecchie a punta. – ghignò Jack.
Will non
capì a chi si stesse riferendo e squittì ancora
più spaventata di prima. – Ma è
terribile! –
Chi invece non
era per nulla spaventata era Thia che stava trascinando Halley su per
un ripido sentiero, sovrastante un piccolo rigagnolo d'acqua,
slambrecciandogli la maglia, ormai ridotta ad un tessuto informe.
– Mi
vuoi mollare, Thia? –
–
Non ho intenzione di finire in un altro buco. Quindi no. –
– Ma
che centra questo con la mia povera maglia? E poi, ti ricordo, che
siamo finiti in quel buco per colpa tua! –
–
Non dire fesserie! –
Thia si
voltò di scatto ma il suo fu un grave errore. Mise un piede
in fallo e si sbilanciò verso il basso, gridando di
sorpresa. Mani salde corsero attorno alla sua vita per sorreggerla ed
impedirle di cadere dentro all'acqua, e Thia si aggrappò ad
esse senza riflettere.
Quando si rese
conto di non star più cadendo, erano già passati
diversi istanti: tutti passati letteralmente aggrappata ad Halley, le unghie piantate profondamente nella carne dei
suoi avambracci.
–
S-scusa…– staccandosi di colpo da lui, come se ne
fosse rimasta ustionata. – S-sono scivolata. Non
succederà più. –
Si diede
dell'idiota e riprese a camminare con più foga di prima,
lasciando Halley indietro.
–
Thia, non te la prendere ma oggi sei più strana del solito.
– fece lui, raggiungendola in poche, rapide falcate.
–
Bah! – replicò Thia, sembrando una vecchia
inacidita dall'età.
–
Davvero sexy. – ribatté Halley, alzando un
sopracciglio. – Il tuo sex-appeal sarebbe in grado di
stendere anche i sassi. Parola mia. –
–
Già. Perfino i sassi ma non te! –
berciò Thia con tono da scaricatore di porto. –
Gran bella soddisfazione! –
Solo quando si
accorse delle sopracciglia levate di Halley, si rese conto di quello
che aveva appena detto.
– La
frase mi è uscita male! Non è quello che sembra
che io abbia detto, anche se in realtà non volevo affatto
dirlo! –
Sempre
più divertito, Halley si portò una mano alla
bocca e Thia si accorse con orrore che stava soffocando una risata.
–
TU! NON OSARE RIDERE! STUPIDO, CRETINO, IMBECILLE,
RIN…–
Le labbra di
Halley misero una nota d'arresto a quella sequela di languidi
complimenti e Thia poté solo mugolare tutto il suo
disappunto per essere stata interrotta sull'insulto più
appropriato. I suoi ansiti di protesta, però, non durarono a
lungo, e prima di poterselo impedire gli aveva già passato
le braccia sul petto, poi sulle spalle, ed infine dietro la nuca,
facendo aderire completamente i loro corpi.
Le mani di
Halley le circondarono la vita, attirandola ancora di più
contro di sé. La sua lingua si insinuò dentro la
sua bocca, e con lentezza sapiente si mosse fino a procurarle
un alto sospiro. La sua testa smise di girare e questo le
confermò che fino a quel momento si era dimenticata di
respirare.
Lasciando che le
sue dita si inanellassero nei riccioli di lui, si alzò sulla
punta dei piedi per avere un accesso migliore alle sue labbra, perfette
nella loro morbidezza e sericità. Poi, con lentezza
esasperante, si rese conto di quello che stava facendo.
Si
scostò violentemente da lui e con uno schiocco deciso gli
mollò un manrovescio.
Halley si
ritrovò a fissare il tronco di un albero, la faccia
completamente girata di lato mentre il pizzicore dello schiaffo
prendeva ad arrossargli la guancia formando una rosa di cinque nitide
dita.
– Ma
che…–
–
NON SAI AFFATTO BACIARE!! –
Thia
girò sui tacchi, il mento rivolto verso l'alto e le spalle
dritte come fusi, e camminò decisa nella direzione opposta.
La
verità era l'esatto opposto: baciava in modo assolutamente …perfetto.
Ma questo lo avrebbe saputo soltanto lei.
Lei
e forse Cassian…
Quel semplice
pensiero bastò a farle capire che anche quel dannato
damerino avrebbe presto avuto un incontro ravvicinato con le sue cinque
dita.
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Capitolo 12 *** New day ***
CAPITOLO
12
NEW DAY
Imagine
there's no heaven
It's
easy if you try
No
hell below us
Above
us only sky
Imagine
all the people living for today.
Imagine, John Lennon
Jack Frost
sbatté le palpebre e guardò il collo di Halley
con stupore. Un tiepido tintinnio rivelò la caduta di alcuni
frammenti neri verso il suolo nevoso.
Ciò
che rimaneva del collare nero, prima stretto intorno alla gola di
Halley, se ne stava ora come abbandonato in mezzo al ghiaccio,
rilucendo flebilmente fino a sopirsi del tutto.
Di colpo tutti
i mostri si arrestarono, bloccando la loro avanzata e guardandosi
intorno, sorpresi, come risvegliandosi da un brutto sogno e non
raccapezzandosi più sul dove si trovassero e come,
soprattutto, fossero giunti fino a lì senza accorgersene.
Lumin smise di
brillare minacciosamente e si voltò verso Halley, il quale
si stava tastando con lentezza il collo, ora libero. La sete di sangue
si era placata e anche il desiderio di continuare a combattere aveva
perso del tutto il suo significato originale.
–
Sei libero…– Jack Frost ancora non capiva come
fosse stato possibile, poi la verità gli si
presentò con chiarezza quanto mai cristallina. –
Pitch… è stato sconfitto. –
Halley si
lasciò cadere al suolo, le gambe che improvvisamente non lo
sorreggevano più.
–
Scusa. – fece rivolgendosi a Jack con tono strozzato.
– Sai che non lo avrei mai fatto se non… se io
non…–
– Lo
so. –
Jack
mollò il bastone e velocemente afferrò Halley
prima che cadesse riverso nella neve, privo di sensi.
Aveva
usato davvero troppo il suo potere. Se avesse sferrato quell'attacco
finale, sarebbero stati in due a morire. Uno consumato dal
fuoco e l'altro corroso dal suo stesso potere.
Sostenendolo,
si guardò intorno. Yeti e mostri si guardavano straniti,
elfi e zucche sembravano ancora in conflitto con sé stessi
mentre si scrutavano l'un con l'altro, indecisi sul da farsi.
–
Jaaaack! –
Candelora
stava correndo verso di lui. Il muso sporco di sangue e alcune unghie
scheggiate durante la battaglia.
Jack avrebbe
voluto alzarsi ma la ferita alla gamba gli faceva troppo male.
Aspettò dunque che l'amica lo raggiungesse per chiedere a
lei l'aiuto necessario.
***
Imagine
there's no countries
It
isn't hard to do
Nothing
to kill or die for
And
no religion too
Imagine
all the people living life in peace.
Imagine, John Lennon
Satia
osservò la stalagmite che svettava di fronte a lei, nella
quale Pitch Black era stato incatenato per sempre.
Aveva
mentito. Aveva sempre mentito. E anche nell'ultimo istante di vita,
l'Uomo Nero era rimasto fedele a sé stesso.
Il dubbio
che potesse essersi sbagliata l'abbandonò solo in
quel momento. Osservando le pieghe dei cristalli e le escrescenze dei
minerali che fuoriuscivano dalla sua costruzione cilindrica, si chiese
che cosa avrebbe fatto che si fosse sbagliata. Se invece di mentire,
l'Uomo Nero le avesse detto la verità per la prima volta
nella sua vità.
Dietro di lei,
grida di giubilo e di gioia, i ruggiti di North uniti ai trilli felici
delle Fatine delle Foglie, insieme ad una bailamme di molte altre voci.
Avevano
vinto. E quella dolce, incredibile verità era una cosa lenta
da digerire. Più che non la sconfitta…
Toothy si
alzò in volo, fiondandosi a capofitto verso di lei per
abbracciarla con tutta la forza di cui le sue esili braccia erano
capaci. Uno sciame di Dente da Latte le piroettò intorno,
congratulandosi con lei a forza di cinguettii convinti.
Gli incubi
invece si affollarono come bestie fameliche intorno a Pitch, odorandone
la morte e apprezzando sui loro palati il sapore della ritrovata
libertà.
–
Dobbiamo aprire il varco per il Mondo degli Incubi per farli tornare a
casa. – disse Satia, indicando alcuni destrieri neri con un
cenno preoccupato del capo. – Qui non possono rimanere.
–
A quello ci
pensò North, aprendo con la sua sfera-portale il passaggio
necessario a ricondurli nel loro mondo di appartenenza.
Bunnymund
sfrecciò a rapidi balzi verso Sophie, tirando un sospiro di
sollievo quando la vide perfettamente illesa, subito seguito da un
ruggito d'indignazione quando notò la mano di Ferragosto
posata delicatamente sulla sua testolina bionda.
Coprendosi la
bocca con una mano, Sandman si avvicinò a Satia, ma dietro
quella manina si nascondeva il più ampio
più sincero dei sorrisi. Lo sguardo del Guardino, dorato e
sereno, sembrava ringraziare la ragazza di quanto aveva fatto e lei
ricambiò facendo un piccolo inchino, chinando il capo.
I tre si
voltarono verso i portale giusto in tempo per vedere North cacciarvi
dentro l'ultimo incubo.
–
Che ne facciamo di Pitch? – domandò questi,
indicando col pollice la colonna nera alle sue spalle.
–
Anche lui dovrebbe dormire insieme ai suoi incubi. – rispose
Satia. Levando la mano, fece levitare la sua estrusione fino al varco e
lasciò che la luce la inghiottisse per sempre, sapendo che
dall'altra parte l'aspettava l'oscurità più
profonda e duratura.
Era
finita.
Il portale si
richiuse con un tremolio acuto e le voci di tutti si levarono alte per
festeggiare quel momento.
I
bambini avrebbero dormito sonni tranquilli per molto tempo.
***
You,
you may say
I'm
a dreamer, but I'm not the only one
I
hope someday you'll join us
And
the world will live as one.
Imagine, John
Lennon
Era passato un
mese esatto dalla sconfitta di Pitch.
Seduta in
mezzo ad un giardino, la schiena appoggiata al tronco nodoso di una
quercia, Satia osservò l'autunno prendere possesso delle
chiome degli alberi e dei prati sferzati dal vento, le Fatine delle
Foglie che tingevano coi loro secchielli rossi, gialli e castani, le
foglie e gli steli d'erba. Le sue dita sfioravano i riccioli di una
testa abbandonata mollemente sulle sue gambe.
Halley dormiva
profondamente e da quando aveva ripreso conoscenza, a battaglia
conclusa, non ne aveva voluto sapere di lasciare il suo fianco. Ora
però il momento era giunto. Lei avrebbe dovuto costruire il
suo palazzo al pari di North, di Toothiana, di Sandman e di Bunnymund,
mentre lui sarebbe dovuto tornare al suo mondo, il mondo di Halloween.
Si sarebbero
potuti vedere ancora, ma Satia non sapeva ancora quando questo sarebbe
successo.
Bunnymund
corse nella sua direzione con passo trafelato, comparendo come dal
nulla da dietro una macchia di vegetazione.
– Mi
serve un nascondiglio! Ora e subito! Candelora mi insegue! –
–
Per di là. – disse Satia indicando uno spiazzo
erboso. – Se vai diritto troverai un posto perfetto.
–
–
Magnifico. E se lei te lo chiede: tu non mi hai visto! –
Senza nemmeno
ringraziarla Bunnymund scattò nella direzione indicata.
Poco dopo,
Candelora si avvicinò con passo felpato e, notando Satia, le
domandò in un veloce sussurro: – Hai visto
Bunnymund, per caso? –
–
Oh, si…– Satia si guardò intorno, e
indicò con l'indice l'esatta posizione in cui le orecchie di
Bunnymund si erano allontanate, in preda all'ansia più nera.
– … è andato per di là. L'ho
mandato dritto verso un vicolo cieco, però sbrigati lo
stesso. –
–
Grazie! – fece Candelora, mettendosi subito sulle tracce di
Bunnymund.
Satia
riabbassò lo sguardo su Halley e vide che lui la fissava con
un occhio socchiuso. – Sei davvero perfida. –
–
Oppure molto buona. Dipende dai punti di vista. –
–
Parli come quel matto di Mun…–
ridacchiò Halley, accomodando meglio la nuca in grembo a
Satia.
–
È tornato a casa, no? Nel Linconshire. –
–
Già. –
–
Per somma gioia di Bunnymund, scommetto. –
–
Bunnymund, oltre a Candelora e a Mun , ha un altro grattacapo per la
testa. –
Satia riprese
ad accarezzare i capelli di Halley, pensosamente. – Ti
riferisci a Ferragosto? –
–
Già. –
–
Quel ragazzino ultimamente gironzola sempre intorno a Sophie, come un
ape col miele. Assomiglia a Valentine con Marabbecca. –
– Il
primo ha qualche speranza, mentre il secondo è un caso
perso. –
–
Non dire così, Valentine è carino. –
Halley rivolse
a sua sorella la più lunga delle occhiate. –
Valentine? Quel Valentine? Il signor "son il più bello del
reame, guardatemi con occhi adoranti, per favore" ?
–
Satia
arrossì e cercò di spiegarsi. – Non
è una persona malvagia. –
– Se
lo dici tu. – sbuffò Halley. – Di sicuro
non può essere peggio di Flibbert Gibbert. Quella
è capace di darti il mal di testa, solo ad osservarla.
–
Satia sorrise
e decise di cambiare argomento. – Come stanno Cassian e Will?
–
–
Cassian è sempre il solito. Mentre Will… non so,
ha qualcosa di diverso. Sbatte contro le porte, ha spesso lo sguardo
perso nel vuoto e l'altro giorno l'ho beccata con una margherita in
mano intenta a strappare i petali uno alla volta… –
–
Credo sia colpa di Jack Frost. – fece Satia con una risatina.
–
Che centra Jack? –
– Ho
questo presentimento. –
–
Jack ha aumentato il numero di ammiratrici in questo periodo. Corn
Dolly, Fatine delle Foglie, Dente da Latte e persino Capodanno fanno a
gara per stare con lui o per svenire al suo passaggio. –
– Ti
da fastidio? –
Halley
scrollò le spalle. – Affatto. Meglio lui che me,
come si suol dire. –
Satia fece per
rispondere, ma l'urlo isterico della Befana che sfrecciava nel cielo,
lasciando dietro di sé una scia grigiastra di fumo, glielo
impedì.
In fondo nulla
era cambiato. Tutti gli spiriti erano tornati alla loro solita routine,
come se nulla fosse accaduto.
Sandman
portava i sogni, Toothy i ricordi, Bunnymund la speranza e North la
meraviglia a tutti i bambini del mondo.
E poi c'era
lei, adesso, che vegliava sui bambini anche dopo la loro morte,
perché non rimanessero mai soli.
Una ventata
più gelida delle altre annunciò l'arrivo di Jack
Frost, e anche Halley alzò lo sguardo per vederlo volare
alto sopra le rade nuvole del cielo. Colui che portava la gioia, fece
sbocciare un sorriso perfino sul volto imbronciato di Halley. E Satia
s'intenerì.
Forse
qualcosa, in effetti, era davvero cambiato.
***********************************
Ebbene si,
gente. Questa è la fine. Spero che la storia vi sia piaciuta
e che vi abbia fatto emozionare almeno una volta.
Ringrazio
ancora tutti quanti, belli e brutti.
Vi auguro
buone vacanze e tanto sole! XD
Un bacio
grande grande.
Salut!
************************************
- SIDE STORY -
Love
is real, real is love
Love
is feeling, feeling love
Love
is wanting to be loved
…
Love
is you, you and me
Love
is knowing
We
can be
Love, John Lennon
Thia e Halley
ritornarono al campo base, dove le registrazioni e le preparazioni
erano quasi concluse, praticamente correndo: la prima cercando invano
di seminare il secondo.
–
Stammi lontano, Halley! –
–
Niente affatto! Prima devi spiegarmi perché lo hai fatto!
–
–
Invece sei tu che devi spiegarmi perché hai
fatto… quello che hai fatto! –
–
Non mi sembrava che ti dispiacesse, fino a quando non hai deciso di
tirarmi quello schiaffo! –
– Ed
invece mi è dispiaciuto! Mi è dispiaciuto di non
averti tirato quello schiaffo ancora più forte! –
Thia si
bloccò di colpo e Halley rischiò quasi di finirle
addosso.
–
Perché ti fermi? –
Thia
indicò alcune sedie e Halley seguì il filo del
suo sguardo fino alle figure che erano tranquillamente stravaccate su
di esse. Jack stava fasciando il piede stortato di Will; Valentine
lanciava di tanto in tanto qualche sguardo speranzoso in giro per il
set, come cercando qualcuno, mentre la Befana lo guardava divertita;
Bunny e Cassian stavano litigando come loro solito.
Thia riprese a
camminare e si diresse furibonda verso di loro.
–
Non dovevamo cercare il tesoro? –
–
L'abbiamo trovato, il tesoro! – berciò Bunnymund a
denti stretti. – Appeso su un ramo di un dannato albero!
– E così dicendo mostrò una targa in
ottone con su scritto a lettere minute le esatte parole "Questo
è il TESORO. Perché il vero valore delle cose non
sta nella cose in sé, ma nelle prove che si affrontano per
ottenerle."
Thia perse la
mandibola da qualche parte sul terreno, Halley sgranò gli
occhi e Bunnymund sbuffò.
–
Appunto, una completa perdita di tempo! –
Jack
guardò Will che arrossì vistosamente, prima di
annuire timidamente. – Assolutamente. Mai perso
così tanto tempo in vita mia in modo
più… inutile. –
Will
ricambiò quello sguardo e Jack sorrise: il tempo, almeno per
quello che la riguardava era stato speso nel modo più
fruttuoso possibile.
Valentine
grugnì una rispostaccia e la Befana prese a ridere
sguaiatamente.
Thia e Halley
invece si scambiarono un veloce quanto esiguo cenno del capo, poi Thia
si schiarì la voce e mormorò: – Che
cosa da idioti! –
Cassian si
alzò e mugugnò: – L'unica cosa che ha
fatto questa caccia al tesoro è stata separarmi dal mio
Halley! –
Il ragazzo in
questione si tirò un po' indietro, quasi cercando di
nascondersi dietro Thia che era più bassa di lui di qualche
spanna.
–
Dobbiamo recuperare il tempo perduto, Halley caro! –
–
Anche no!? –esclamò Halley, riuscendo in qualche
modo a risultare sarcastico anche se in realtà stava
già controllando le possibili vie di fuga intorno a
sé.
Affilando lo
sguardo, Thia incrociò le braccia sul petto. – Non
ci pensare nemmeno, Cass. –
Tutti di colpo
di voltarono verso di lei e Thia staffilò ciascuno dei
presenti con i suoi occhi violetti, invitandoli a farsi avanti se ne
avevano coraggio.
–
Halley è già occupato. –
precisò, ritornando a guardare Cassian. – Quindi
osa avvicinarti a lui e ti ritrovi il culo a strisce e pois! –
Detto questo,
afferrò la mano di Halley e se lo tirò dietro
mentre si dirigeva vittoriosamente verso la propria roulotte.
Quando si fu
richiusa la porta alle spalle, lasciandosi cadere sul divanetto vicino
all'ingresso, Halley la stava ancora fissando, interrogativo.
–
Be' , che hai? Non guardarmi con occhi da pesce lesso! –
Halley
sbatté le palpebre, poi sorrise.
– Va
bene. –
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