The strenght of the Guardians

di pheiyu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Moon ***
Capitolo 2: *** Guardians ***
Capitolo 3: *** Delicious Crisis ***
Capitolo 4: *** Halloween Trick ***
Capitolo 5: *** Nightmare Treat ***
Capitolo 6: *** Deadly whispers under the moonlight ***
Capitolo 7: *** Fright Night ***
Capitolo 8: *** Chains ***
Capitolo 9: *** Smells like Guardian Spirit ***
Capitolo 10: *** Awareness fade out ***
Capitolo 11: *** This is the end ***
Capitolo 12: *** New day ***



Capitolo 1
*** The Moon ***



PROLOGUE


Oh, you've gotta live every single day
Like it's the only one, what if tomorrow never comes?
Don't let it slip away, could be our only one
You know it's only just begun, every single day.
Maybe our only one, what if tomorrow never comes?
Tomorrow never comes.

Never gonna be alone - Nickelback



Buio.
Non c'era nient'altro.
Il buio avvolgeva ogni cosa.
L'oscurità, simile ad una nebbia opaca e impalpabile, ricopriva le superfici scabrose delle rocce come una patina bluastra. Nemmeno un misero brandello di luce riusciva a filtrare attraverso quella trama oscura, intessuta di fuliggine e di polvere nera.
Dove si trovava? Questo avrebbe dovuto saperlo…
Si sforzò di ricordare, sapeva di poterlo fare, ma aveva paura… paura di cosa sarebbe potuto riemergere da quella polla - nera come lucida pece - che erano i suoi ricordi. Il buio accresce la paura e lui se ne sentiva schiacciato, annientato dal suo soverchiante peso.
Di colpo stracci di memoria perduta, nient'altro che scomposti tasselli, ritornarono convulsamente al loro posto. Le rocce erano franate; le pareti della miniera collassate su sé stesse.
Buio e carbone: ecco ciò che rimaneva alla fine. Nient'altro.
Un volto e una promessa.
Lineamenti familiari si tracciarono in forme sinuose dietro le sue palpebre chiuse: capelli ruvidi, fronte perennemente aggrottata, una bocca sottile, sorniona.
La sua stessa bocca, solo dalla curva più dolce, e i suoi stessi occhi, solo dallo sguardo più limpido.
– Scusa se non potrò mantenere la mia promessa.– sussurrò a voce bassa, quasi avesse paura di svegliare qualcuno tra quelle tombe silenziose. – Mi sarebbe davvero piaciuto mangiare qualcuno dei tuoi dolci un ultima volta, sorellona…–
Si, gli sarebbe piaciuto davvero.
Quello fu il suo ultimo pensiero, poi le sue labbra si socchiusero e la testa gli ricadde di lato.
Il buio divenne più profondo e lui si sentì trascinare verso il basso. Una docile calma lo pervase e il suo corpo sembrò fluttuare nel vuoto più perfetto. Quella sensazione gli tarpò i sensi e le emozioni; era come dormire, solo più profondo, più definitivo.
Non era bello, ma aveva una sua attrattiva: la paura, dovunque fosse diretto, non sembrava in grado di seguirlo.



***

CAPITOLO 1

THE MOON



You're never gonna be alone from this moment on
If you ever feel like letting go, I won't let you fall
You're never gonna be alone, I'll hold you
'til the hurt is gone.

Never gonna be alone - Nickelback


L'aria, odorosa di notte e di pioggia, gli penetrò nei polmoni indolenziti, aiutandolo a respirare con la stessa consapevolezza e con la stessa fretta di una persona rimasta troppo tempo sott'acqua.  Il freddo della dura roccia a contatto con la sua pelle gli staffilò le membra, lasciandolo con solo due cose certe a cui aggrapparsi: il dolore e la consapevolezza di essere ancora vivo.
Un raggio di luce bianca colpì le sue palpebre chiuse e lui si ritrovò a sbatterle, quasi infastidito dal fatto di non poter morire in pace.
La luce era cristallina, perfetta, ma non sembrava avere una qualche provenienza.
Da dove arrivava?
Si trovava metri e metri sotto terra, sepolto vivo sotto ciò che rimaneva della miniera di carbone appena fuori del villaggio. Non poteva esserci luce lì sotto.
Ansimò e il suo fiato si condensò poco distante dal suo volto. Incredulo, allungò una mano verso l'alto e le sue dita affusolate accarezzarono quel pulviscolo argentato, lasciando che i suoi impalpabili fiocchi danzassero sul suo palmo. Una folata d'aria s'insinuò sotto ai suoi vestiti, facendolo rabbrividire.  
Vento?
Chiuse gli occhi e ansimò di nuovo.
Sotto le palpebre serrate, i suoi occhi si mossero impercettibilmente.  I riverberi della lontana - e quasi dimenticata - paura tornarono ad affiorare nella sua mente, avvelenando i suoi ricordi e i suoi pensieri.
Stava sognando? O era solo un mero incubo quello da cui non riusciva a svegliarsi?
I suoi occhi fremettero appesantiti, le lunghe ciglia che cercavano disperatamente di sollevarsi, mentre la paura gli risaliva le vene e accelerava il suo battito cardiaco. Quando li riaprì, però, la vide. Lei era lì; era sempre stata lì.
La luna.
Lo osservava dall'alto, avvolta nei suoi pallidi raggi come se essi fossero una candida veste, vellutata e leggera. Così grande da coprire il suo intero campo visivo e così luminosa da cacciare via tutta l'oscurità che lo circondava. Sorrise: non aveva più paura. Si sentiva al sicuro.
Il silenzio tutt'intorno a lui, all'improvviso, sembrava vasto e infinito come il cielo sotto al quale si trovava.
L'erba dietro la sua schiena frusciò mentre accoglieva il suo corpo. Era fuori ed era libero.
Non si chiese come fosse accaduto, ma sapeva di essere uscito in qualche modo. Riconosceva lo spiazzo erboso poco distante dall'ingresso della miniera, riconosceva gli alberi e il sentiero che conduceva al suo villaggio. Riconosceva perfino i monti alle sue spalle e l'ampia vallata che si stendeva davanti ai suoi occhi, simile ad un profondo taglio in mezzo alla terra.
Respirò forte, senza parole, e si tirò a sedere, puntellandosi sui gomiti. Stava bene, nemmeno un taglio o una ferita. Con lentezza provò a rialzarsi, facendo forza con i muscoli delle spalle e delle gambe. Barcollò vistosamente e per poco non inciampò nei suoi stessi piedi. Rise di quella sua momentanea perdita di equilibrio e si appoggiò con una mano al tronco di un albero.
Un bagliore metallico attirò il suo sguardo: in mezzo all'erba, poco distante da lui, c'era qualcosa.
Si avvicinò con cautela e guardò, sorpreso, quella che aveva tutta l'aria di essere una vecchia lanterna. Spigolosa, consunta e graffiata, era attaccata con un gancio obliquo ad un bastone di ferro della lunghezza di un braccio. Con l'alluce colpì lievemente quel vecchio rottame, avendo ormai perso qualsiasi originale interesse. Poi però si immobilizzò, guardingo, chiedendosi se dentro ci fosse ancora qualche goccia di olio da poter rubare. Avrebbero avuto di che accendere un fuoco e, magari, stare un po' al caldo, lui e sua sorella.
Con quei pensieri egoistici a frullargli dentro alla testa, si chinò per raccoglierla, ma immediatamente  schioccò la lingua per la delusione. Era troppo leggera per contenere anche solo il più piccolo rimasuglio del prezioso liquido e, controllando lo sportellino laterale, scoprì che non si era affatto sbagliato: era completamente a secco.
Sospirando la sua delusione fece per ributtarla a terra ma un improvviso barlume lo fece sussultare. Come evocata da un effimero sogno, una fiammella delle dimensioni di un unghia comparve timidamente al centro della malandata lanterna.
– Ma che…? –
Avvicinò il volto al piccolo lume e quest'ultimo si dileguò con una risatina imbarazzata, così come era apparso.
Un trucco, ecco cos'è, si disse incominciando a studiare le nervature e i riccioli in ferro battuto che decoravano la sommità dell'oggetto.
Tenendola tra le dita sporche e annerite, ricoperte da un velo così sottile di carbone da sembrare finissima cipria, fece dondolare la lanterna un po' a casaccio, senza il minimo riguardo, ansioso di carpire il subdolo segreto di quel vecchio oggetto.
La fiammella ricomparve, un po' scombussolata per gli scossoni, ma lui, non contento, continuò a scrollarla con forza esigendone una qualunque risposta.
A quel punto la fiammella, indignata da quei modi villani, si arrossò tutta e si ingigantì diventando più grande persino di un uomo adulto; poi ruggì come una belva inferocita all'interno del piccolo alloggio, gigante di fuoco chiuso in una minuscola gabbia.
Il ragazzo, preso completamente alla sprovvista, gridò e ricadde all'indietro. La lanterna, sulla quale le sue dita persero la presa, colpì il suolo con un clangore metallico, leggermente soffocato dalla soffice terra. Il calore eccessivo delle fiamme lambì l'erba e impresse su di essa una nera impronta circolare, all'interno della quale rimasero solo steli bruciacchiati e sassi arroventati.
Lui indietreggiò ancora, scalciando con i piedi nell'erba.  La lanterna però, dopo tale esplosione, rimase quieta e immobile.
La sua mano corse al colletto della camicia logora per allentarlo, ma trovandolo già sbottonato si risolse di grattarsi distrattamente una guancia con un'emozione che univa l'incredulità all'interesse più genuino.
 – Di tutte le cose strane che esistono al mondo, questa è la più assurda. –
Si schiarì la voce con educazione e si inginocchiò per riprendere la lanterna, questa volta avendo cura di afferrarla per l'estremità del bastone di ferro. La fiammella tornò a farsi vedere. Sembrava puntare il naso verso l'alto, e due piccole lingue di fuoco rimanevano vagamente piegate ad imitazione di due braccia conserte. Non era difficile capire quali sentimenti alimentassero la sua essenza in quel momento: rabbia, stizza e,  in bocca, l'amaro di un'inaspettata offesa.
Corrugando la fronte, lui si ritrovò a chiederle: – Sei reale? –
La fiammella borbottò qualcosa e si colorò di un rosso cupo, quasi marrone.
– Ehi, ehi, non ti arrabbiare! – si schernì agitando le braccia. – Non l'ho detto con cattiveria!  In verità per essere una cosetta infuocata sei piuttosto … uhm… particolare. –
Di colpo il rosso sbiadì in rosa e i movimenti della fiamma divennero più dolci e aggraziati, quasi si stesse vezzeggiando davanti ad un folto pubblico.
La fiammella, oltre che irascibile e permalosa, era anche piuttosto vanitosa, constatò lui con un leggero sorriso sulle labbra.
– Ho deciso! – disse, avvicinandosi dopo averla osservata brevemente. – Verrai con me, a casa mia. Ci siamo solo io e mia sorella, Satia, ma non si sta male.  La casa è piuttosto piccola ma per due è perfetta, e Satia fa dei dolci che sono una meraviglia. Sono sicuro che ti piaceranno! –
La fiammella gongolò producendo qualche sbuffo di fumo e danzò allegra in giro per tutta la lanterna dimostrando a quel modo tutta la sua approvazione a quella proposta.
Lui si rialzò e si appoggiò con cautela il bastone sulla sua spalla, lasciando che la lanterna penzolasse dietro le sue spalle, attaccata per il gancio. Soddisfatto, fece per incamminarsi verso il sentiero ghiaioso che conduceva al suo villaggio ma una folata di vento più forte e più calda delle altre si incanalò in mezzo agli alberi. Una strada ombrosa, con braci non del tutto spente sul bordo dello stregato sentiero, gli indicò la via tracciando un  passaggio in mezzo alla nebbia e alla foschia della notte.
– Sei stata tu?– chiese alla fiammella che rispose con una danza frenetica di assenso.
– Notevole. – le disse sinceramente ammirato, seppur la sua tonalità di voce esprimesse quasi sarcasmo.   – Sai fare altro? –
La fiammella, quasi smaniosa di mostrare di cosa era capace, aumentò le braci intorno a loro. La terra vibrò tutta, come scossa da un onda di marea, e di colpo si sollevò.
–Ferma! Ferma!!! FERMAAAAAAA…– gridò il ragazzo a squarciagola, ma era troppo tardi.
L'onda arrivò loro addosso e li travolse portandoli con sé. Dopo un primo attimo di smarrimento, ritrovò l'equilibrio e cercò di mantenerlo spostando continuamente i piedi all'indietro, un po' a destra e un po' a sinistra: la terra cambiava di continuo, girando e rivoltolandosi su sé stessa, assomigliando sempre di più ad una ruota infernale che avanzava lungo il pendio.
Lui lanciò un rapidissimo sguardo all'indietro e vide che la terra, una volta adempiuto al suo dovere, ritornava al suo posto. Passato lo sconcerto iniziale arrivò l'euforia, e un urlo liberatorio gli risalì dal petto fino alla bocca mentre filavano spediti in mezzo agli alberi, più veloci dei cerbiatti e delle lepri che incrociavano.
– Ecco! Si, wow! Per di qua! Esatto! Seguì il sentiero! Tieni la sinistra, oh, accidenti… attenta… Ahia!! Maledette buche! Cerchiamo di evitarle la prossima volta!? Che dici? Oh, ehi!, però aspetta… non dovremmo rallentare? Prima del dirupo dobbiamo girare. Ci siamo quasi… No! Non per … no!!! –
La fiammella ridacchiò e fece esattamente il contrario, lanciando la massa di terra ruotante giù per il dirupo di fronte a loro.
La terra si scompattò e i piedi del ragazzo persero aderenza con il suolo, divenne leggero come una piuma e i vestiti presero a svolazzargli tutto intorno, finendogli negli occhi e in bocca. L'aria prese ad ululargli con forza dentro alle orecchie, lasciandogliele congelate e sorde ad ogni altro rumore. Le sue dita si strinsero attorno al bastone di ferro, avvinghiandosi con forza alla sua levigata superficie come se quel semplice gesto potesse impedire loro l'orrenda fine che li attendeva di sotto.
La lanterna reagì a quel tocco perché sentì che era quello che doveva fare, perché era ciò a cui era destinata. Sapeva cosa fare.
La terra si innalzò sotto di loro - mattone di scomposto terriccio vicino a mattone di zolla erbosa - formando un dolce declivio, largo quel tanto che bastava ad accogliere due paia di piedi. Su quella rampa - che il ragazzo adocchiò sgranando gli occhi - atterrarono bellamente di faccia.
Rotolando su sé stesso e sputacchiando qualche ciuffo d'erba, ritornò in piedi e la stessa ruota di prima lo avvinse tra le sue spire. Il bastone rollò dietro alla sua schiena assorbendo l'urto, attaccato ad esso stava l'allegra lanterna e l'ancor più allegra fiammella che sparò scintille tutta emozionata mentre completava un ardito semicerchio in aria.
Ebbe appena il tempo di rendersi conto di essere ancora tutto intero e di rallegrarsene che un secondo imprevisto si piazzò prontamente di fronte a loro, uscendo - secondo la sua oggettiva opinione - assolutamente dal nulla.
Albero!!!  –
Se qualcuno fosse stato presente e avesse assistito all'intera scena avrebbe descritto - con tanto di voce narrante dai toni sognanti -  un paio di lunghe gambe roteare in aria, seguite da una magnifica esplosione di terriccio, simile ad un elaborato fuoco pirotecnico, che si concludeva con un eccitato lumino dorato che faceva capolino da una lanterna rovesciata, incastrata tra i rami più bassi dell'albero.
Ma siccome nessuno fu tanto fortunato, l'intera vicenda passò completamente inosservata. Solo una civetta candida stridette, ruotando la testa,  turbata da tutto quel frastuono.
Il ragazzo, riaprendo gli occhi, si ritrovò a contemplare il cielo trapunto di stelle che si stagliava nel bel mezzo delle sue gambe aperte.
Si rigirò su di un lato e il terriccio, sfaldandosi, scelse proprio quel momento per ricominciare a cadere a grumi e a zolle giù dai rami, umido e pastoso come neve tardiva. Coprendosi con un braccio dai frammenti più grossi, il ragazzo si rimise in piedi e trasse a sé la lanterna, dopo averla recuperata frettolosamente.
– Stai bene? – le chiese mentre si guardava intorno e riconosceva, in mezzo alla vegetazione, un sentiero battuto a lui familiare.
La fiammella ritornò più infuocata che mai e arse con convinzione, per nulla turbata da quanto era accaduto.
Il ragazzo si mise a ridere e le indicò alcune luci poco distanti, le quali occhieggiavano stancamente in mezzo agli alberi come lucciole tremolanti.
– Vedi? Quello è il mio villaggio! Siamo arrivati! –
Senza pensarci due volte, prese a correre in quella direzione e nel farlo sbatacchiò leggermente la lanterna; i suoi sbuffi di protesta arrivarono puntuali e carichi di veemenza.
Il ragazzo però era troppo intento a correre per farci caso, e i suoi piedi coprirono in rapide falcate la distanza che lo separava dai primi casolari. Una donna gli passò vicino e lui la salutò agitando calorosamente la mano. Lei sembrò non notarlo, ma la felicità era tale che non ci badò troppo e continuò a correre fino alla strada principale. Lì c'era più gente e tra i loro volti iniziò a cercare quello di sua sorella. Era preoccupata? Lo stava già cercando?
A passo sicuro si diresse verso casa sua e salutò con un sorriso tutti quelli che incrociava. Nessuno gli rispondeva o sembrava accorgersi in qualche modo della sua presenza ma di sicuro era perché erano troppo impegnati o concentrati su qualche altro compito quotidiano.
All'improvviso si fermò, accorgendosi di una cosa che, a dispetto di tutto il resto, era per davvero parecchio strana: le strade erano diverse e c'erano anche un paio di case che non aveva mai notato prima.
Come era possibile? Che fosse capitato nel villaggio sbagliato?
Ed infine notò pure la cosa più strana di tutte.
Tutti avrebbero dovuto essere in subbuglio per la frana avvenuta dentro alla miniera, ed invece regnavano la calma e la tranquillità più complete, come se fosse solo un giorno come tanti altri.
Seppur titubante, si avvicinò ad un estraneo che sembrava star aspettando qualcuno.
– Non ha saputo che è crollata la miniera? Bisogna mandare dei soccorsi! Potrebbero esserci altri sopravvissuti! Mi ascolta? Ehi, ma mi sta… –
All'improvviso l'uomo sorrise e lo attraversò, andando incontro ad una donna dall'aria affaticata, come se fosse stato niente più che una presenza eterea, un fantasma.
– Ma… ma lo hai visto anche tu!? – fece rivolgendosi sconvolto alla fiammella. – Mi è passato oltre per oltre! –
Si tastò tutto, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non andava nel suo corpo, e proprio quando stava accertandosi della presenza o meno del suo ombelico - scoprendo che era assolutamente situato al suo solito posto - un gruppo di ragazzini festosi gli andò incontro di corsa e lo superò, continuando indisturbato per la sua strada.
– Che mi sta succedendo? – fece disperato, cercando di togliersi dalla strada ma ottenendo solo che altre persone gli passassero attraverso. La fiammella lo guardò preoccupata mentre raggiungeva incespicando alcuni cespugli al limite della strada polverosa.
– Perché non mi vedono? –
Una sottile rivelazione entrò prepotentemente dentro alla sua testa. Era morto? Era diventato un fantasma? Era per quello che non lo vedevano?
Fuggì, dirigendosi senza saperlo in direzione della sua vecchia casa.
La trovò disabitata. Il tetto cadeva a pezzi e l'edera si abbarbicava sulla pareti fin sopra il comignolo, l'interno era disordinato e mostrava chiaramente come quell'abitazione fosse stata abbandonata ormai da molti anni.
– Satia!!! – gridò entrando nella casa dopo aver abbattuto con una spallata la porta. Di sua sorella non c'era nessuna traccia.  – Satia, dove sei??–
Uscì di nuovo all'aperto, sbattendo i calcagni sulle tavole di legno marcite e sull'uscio sgangherato; sferzò disperato con le mani le piante selvatiche che crescevano un po' ovunque e alzò lo sguardo verso la luna.
– Che cosa mi hai fatto? –
La luna non disse nulla, limitandosi a rilucere nel cielo come una placida quanto irraggiungibile presenza.
– Perché? Perché mi hai salvato? –
Di nuovo aspettò invano.
– Cosa dovrei fare ora, me lo dici? –
Strinse i pugni e guardò la lanterna che aveva lasciato cadere per terra poco prima di entrare. Tornò a riprenderla e la ripulì con il retro della manica, scusandosi per averla abbandonata. La fiammella ricomparve, scoppiettando adagio. Cercò di risollevargli il morale mettendosi a testa in giù e sputacchiando minuscoli lapilli.
– Non fa nulla.– le disse lui, sorridendo appena. Poi tornò a rivolgersi alla luna. – Dimmi qualcosa! Una qualsiasi cosa! Non mi importa! Basta che mi parli! –
E la luna parlò.
Fu l'unica cosa che gli disse. E da lei non seppe mai altro.
Jack O'Lantern...

Da quel giorno passò molto, molto … ma molto tempo.

***

Le nubi nere e rigonfie di pioggia, incombevano basse sul paesaggio, sfilacciandosi in grigie spirali nebbiose intorno alla colline evanescenti poste sulla linea dell'orizzonte. Ventate di pioggia gelida sferzavano una figura alta e tetra che osservava dall'alto di un picco roccioso il boschetto di querce ai suoi piedi, lasciando che i suoi occhi incavati, dalla tonalità di un grigio perlaceo, traessero sommo compiacimento da quella desolata visione.
In basso, in mezzo ai centenari tronchi fasciati dalla nebbia, avvolta da un leggero sentore di canditi e mandorle caramellate, sorgeva una casetta dal tetto spiovente e dalle finestre leggermente socchiuse. Per metà era incastonata come una gemma preziosa dentro alle radici tentacolari di una delle grosse querce, e per l'altra metà sporgeva come un balcone sopra ad un giardino mal curato dove le piante rampicanti ed infestanti avevano preso il sopravvento; solo una scaletta di legno malandata garantiva l'accesso a quella che, senza ombra di dubbio, era la porta più sbilenca che si fosse mai potuta costruire.
La sua pelle, candida come quella di un cadavere, tesa sugli zigomi e sul mento aguzzo, si contrasse quando le labbra gli si arcuarono in un sorriso malevolo. Pitch Black, ombra tra le ombre, strisciò fino alle pendici del costone di roccia non visto e non udito. La mostruosa chioma di un albero che si proiettava a terra diventò il nido in cui andò ad occultarsi, liquefacendosi come denso petrolio nella sua linearità sfaccettata.
Intanto all'interno della casetta una vecchina con le calze tutte rotte e il vestito alla romana andava confezionando alcune calze ricolme di dolci di varia natura. Non erano i dolci completi e pronti alla spedizione - come era solita ribadire lei stessa con la sua voce gracchiante da strega incallita - ma suoi personali esperimenti, alcuni dei quali non molto ben riusciti, che servivano al solo scopo di selezionare in ultima istanza le leccornie che poi sarebbero state mandate ai bambini di tutto il mondo.
Tutti ricordavano i suoi famosi "pan di zenzero al mirtillo birichino" e le sue "torte alla polpa di pesca polposa": i primi che fuggivano non appena si tentava di mangiarli e le seconde che si gonfiavano in bocca diventando talmente succose da essere immangiabili. Piccoli incidenti di percorso in una carriera altrimenti brillante, gorgogliava la nonnetta senza cedere di un solo passo alle maldicenze di chi cercava di screditarla.
La Befana, in effetti, era famosa per tre cose: i suoi incredibili dolci, il simpatico carbone che lasciava ai bambini che non si erano comportati bene e la sua leggendaria rivalità con North che durava ormai da secoli immemori. La maggior parte delle persone dotate di buon senso preferiva invece ignorare, o ancor meglio dimenticare, la quarta cosa per cui l'arzilla nonnina era conosciuta. La Befana amava il rock in tutte le sue forme.  
La sua voce uggiolante quando cercava di cantare - cosa che succedeva puntualmente quando cucinava o quando impastava qualcosa, ovvero sempre - era tristemente famosa in tutta la foresta in cui abitava.
Anche in quel momento, tanto per non smentirsi, batté il piede per terra con ritmo, contando i secondi, mentre aspettava che il suo forno, ricavato da un foro quadrato praticato nella solida pietra, finisse di far lievitare la "pasta impastarella" . Poi spalancò la bocca, roteò la testa e iniziò a gridare con sentimento.

"La Befana vien di notte, oh yeah...
con le scarpe tutte rotte, si! Rotte!
con la scopa di saggina, ina, ina: eeeeevv…
viva viva la nonnina!

La Befana vien di notte, oh no!
con le calze tutte rotte, che snob!
un ciuffone giallo, rosso e blu
fichi e noci butta giu'. Tutti insieme!!

Ti va bene se ci credi,
perché troverai bei doni!
Ti va male se la vedi
perché troverai carboni!

La Befana vien di notte, oh yeah …
con le scarpe tutte rotte, si! Rotte!
il vestito , wouh! trulla là, la Befana:
Eccomi quà!!! Che ragazza!!!

Vien dai monti a notte fonda, oh no!
Com'è stanca! Poveraccia! La circonda
neve, gelo e tramontana. Fate l'onda!
Viene, viene la Befana! Befana!!! BEFANAAA!!!"

Orgogliosa della sua performance canora, si lisciò le toppe sul suo liso vestito nero e lanciò un'occhiata paziente all'orologio che aveva due piccole scope al posto delle comuni lancette e ventiquattro tipi di dolci al posto dei canonici dodici numeri. Stava finalmente per sfornare i suoi omini alla cannella, quando un timido bussare alla porta interruppe i suoi gloriosi propositi.
– Chi è? – chiese con una voce roca, decisamente irritata.
Fuori il maltempo continuò ad imperversare ed il vento fischiò rabbioso contro i battenti delle finestre.
Non avendo ottenuto nessuna risposta si sistemò meglio il cinturone borchiato in vita e si ravviò i capelli scompigliati sotto la cuffietta nera, avviandosi di malumore verso l'ingresso.
Aprì la porta senza tante cerimonie e sbraitò: – Adesso sono occupata! Non accetto che mi si disturbi mentre sto creando! Chiunque tu sia tornatene da dove sei venuto, maledetto rompi…! –
Le ultime parole però le morirono in gola con un singulto strozzato, la lingua si rifiutò di continuare oltre.
Pitch Black le rivolse uno dei suoi leziosi sorrisi e si portò un dito alle labbra con fare noncurante.
– Non faresti un eccezione per un vecchio amico? –
Pitch! – esclamò la Befana, arretrando spaventata. Con un movimento che le parve repentino provò a richiudersi la porta alle spalle, ma l'Uomo Nero la bloccò con facilità artigliando la porta con le sue dita pallide ed affusolate.
– Quanta maleducazione. Col tempo sei diventata una vecchia inacidita, per caso? – Il suo sguardo si incupì e una inquietante luce dorata illuminò il suo sguardo di genuino divertimento. – O devo forse pensare che non sei contenta di vedermi? –
– Come hai fatto a tornare? –
– Non ha importanza, ora. – disse Pitch liquidando la questione con un gesto seccato dell'esile polso diafano, come se fosse un argomento che gli risultava tedioso oltre ogni dire. – Sono venuto qui per avere la mia vendetta. –
– La tua vendetta? – ripeté sconvolta la Befana. Un ciuffo tinto di blu le sfuggì da sotto la cuffietta, donandole un aspetto ancora più sperduto e spaventato, e Pitch glielo scostò dal volto con fare untuoso.
– Oh, si. Cara Befanina. – disse annuendo come se la cosa gli procurasse allo stesso tempo un grande dolore e una grande gioia. – La mia vendetta contro i guardiani! Sarò completamente appagato solo quando li avrò distrutti, annientati …  sconfitti. –
Sputò le ultime tre parole con foga, ed accompagnò l'ultima con un lento richiudersi della sue dita ricurve, come se esse rappresentassero una morsa e i guardiani si trovassero tutti sul suo palmo, pronti per essere schiacciati come insetti. Di colpo serrò la sua stretta con rabbia e le sue labbra illividirono al semplice pensiero di quale gioia sarebbe stato realizzare quel proposito.
Dietro le sue spalle nere ci fu  un improvviso movimento, e la Befana, nonostante stesse tremando come una foglia - una foglia con un briciolo di dignità, però, perché cercò in tutti i modi di non dare a intendere a Pitch quanto fosse terrorizzata - allungò il collo per cercare di vedere meglio.
Una figura minuta, dai capelli scompigliati e i vestiti dimessi, uscì dalla tenebre quasi esitando, come se non sapesse bene perché si trovasse lì in quel momento e per quale motivo stesse facendo tutto quello. Pitch notò cosa la Befana stesse guardando e sorrise all'esile figura che gli rimaneva obbedientemente al fianco.
– Ah, già, mi sono scordato un piccolo ma essenziale dettaglio. Da oggi non ci sarà più bisogno dei tuoi ripugnanti dolci, Befana. Ho trovato qualcuno che potrà degnamente sostituirti. Ti piace la ragazza? Si chiama Satia e a quanto pare è davvero brava con i dolci… –
La Befana indietreggiò.
– Che significa? –  chiese, senza riuscire bene a capire cosa Pitch intendesse con quelle parole. Una cosa però la sapeva: doveva avvisare i guardiani. Ma come poteva fare? Doveva pensare in fretta!
Pitch, del tutto ignaro dei pensieri che le affollavano la testa, continuò a parlare quasi con condiscendenza: – Significa che ci sarà una nuova Epifania… Onde per cui quella vecchia non ci serve più. –
La Befana lo guardò con odio, senza però riuscire a far scomparire del tutto dai suoi occhi le ultime e frammentarie tracce della paura. Pitch la guardò quasi fosse rimasto ammaliato da quel suo sguardo, rischiando di perdersi nei meandri ricolmi di sentimenti così bui, violenti e perfetti.
– Ti prego, non guardarmi con quello sguardo così intenso. – rise, ritirandosi in un angolo buio e aumentando piano piano di statura, godendosi fino in fondo l'espressione di pure orrore della Befana.  – O mi farai arrossire. –
Di colpo tornò serio e sussurrò con finto rammarico: – Ma ora basta con questa noia. Mi dispiace ma… devi morire. –

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Capitolo 2
*** Guardians ***


CAPITOLO 2

GUARDIANS


I’ll be your keeper for life, as your guardian
I’ll be your warrior of care, your first warden
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand
The gratest honor of all, as your guardian

Guardian,  Alanis Morissette



 La Cavalcata delle Valchirie di Wagner si alternò alle folate di vento gelido e ai mulinelli di neve nella desolata distesa ghiacciata del polo nord, occludendo un qualsiasi panorama (che non fosse quello del proprio naso) a chiunque si fosse avventurato in quei luoghi impervi. Il cielo, grigio e plumbeo, opprimeva i crepacci e le asperità con la sua cupa presenza; sconfinati deserti bianchi che si univano sulla sottile linea dell'orizzonte velato.
Aggrappato ad un prodigioso costone di ghiaccio e parzialmente nascosto da una nuvola vagabonda , il laboratorio di North torreggiava su tutta la bianca vallata sottostante, nella quale due yeti stavano camminando dondolando le braccia pelose con evidente insofferenza.
In quelle lande non succedeva mai nulla. E da quando era cominciato l'inverno non si poteva più nemmeno contare su alcune moleste presenze - una in particolare - che avevano smesso di gironzolare al Polo Nord, per andare a lavorare alacremente dove c'è n'era più bisogno.
Le palpebre di uno dei due yeti calarono inesorabilmente verso il basso e nonostante tutti i difficoltosi sforzi del loro proprietario, quelle non accennarono a demordere e guadagnarono qualche altro millimetro.
L'altro yeti lo guardò di traverso: addormentarsi sul posto di lavoro era inconcepibile. Ma proprio quando si apprestava a premiarlo con un manrovescio sulla nuca, i suoi occhi si posarono su un cumulo di neve decisamente sospetto. Tirò i baffi del suo compagno, svegliandolo almeno in parte, ed gli indicò la minuta collinetta.
Entrambi si grattarono la testa, stupiti e perplessi. Poi scrollarono le spalle ed concordarono all'unisono: – Uachowa. –
Si diressero verso la fatidica collinetta e di colpo tutta la sonnolenza che potevano aver provato sparì di colpo. Sotto la neve, seminascosta da quei freddi batuffoli, stava una figura semi congelata.
Il primo yeti tolse il manto bianco che la ricopriva e il secondo l'alzo all'altezza dei suoi occhi per poterla guardare meglio, il peloso cipiglio concentrato al massimo in quell'arduo compito. Con una mano da gorilla, l'afferrò per i piedi e la scrollò con forza. La figura emise un debole fischiò tra i grossi denti sporgenti.
- Pi … tch…»
I due yeti tornarono a guardarsi ed annuirono con gravità. L'avevano riconosciuta e sapevano chi era - non fosse bastato il nome che aveva pronunciato, ad indicare chiaramente chi fosse - sarebbero venuti in aiuto la sua bruna pelliccia e la morbida coda.
Groundhog Day, per gli amici Candelora, mosse appena il muso dal quale pendeva una generosa sfilza di ghiaccioli. I due yeti, ora attenti ed attivi, caracollarono in tutta fretta verso l'ingresso del laboratorio di North.
***

Quando Groundhog Day riprese conoscenza la prima cosa che percepì fu il caldo, un tepore burroso che le faceva pizzicare i muscoli e vibrare i lunghi baffi. Mosse piano la testa e capì di avere il capo poggiato su qualcosa di morbido - un cuscino, molto probabilmente - ed il corpo coperto da qualcosa di soffice. Solo dopo aver assaporato appieno quella sensazione di comodità e beatitudine, si azzardò ad aprire una palpebra con circospezione.
Si trovava in un'ampia stanza dalle decorazioni vermiglie e cupe, nell'angolo ardeva un gigantesco caminetto e sul soffitto volava un aeroplanino alla cui guida stava un elfo con occhiali da aviatore che la salutò a mano tesa.
Corrugando lo sguardo, sbatté le palpebre e guardò meglio: non seppe capire se fosse una fortuna l'aver visto bene, o piuttosto una sfortuna il sapere di star guardando qualcosa del tutto senza senso. Due braccia muscolose e guizzanti con dei tribali che si intrecciavano e si ripiegavano su sé stessi andando a formare le parole "Naughty" e "Good", una per ciascun avambraccio, entrarono di colpo nel suo campo visivo.
– Lei sveglia! – Passò un lungo secondo - che si sarebbe potuto interpretare come indecisione - poi la stessa poderosa voce aggiunse: – Almeno io crede …–
– No, North. New York, settore dodici, primo premolare. Non vedi che è ancora svenuta? Barcellona, settore ventisette, canino sinistro.
Uno stormo di colibrì argentati svolazzò come impazzito intorno ad una figura dalle piume azzurrine, che come un'ape operaia ronzava un po' dove capitava indicando alle frenetiche compagne dove potevano trovare il miele più dolce, o nel loro caso i dentini più curati.
– Che poi non capisco perché ci hai richiamati così di fretta. Copenhagen, settore due, incisivo laterale. Ho molto da fare e, se Bunnymund fosse qui, ti direbbe che la tua pancia non può essere infallibile. Tokio, settore cinquanta, entrambi gli incisivi centrali.
– Ma Toothy! Lei farneticato nel sonno di Pitch! Mia pancia solo dato conferma a miei dubbi! –
Grazie a quel commento, Candelora all'improvviso si ricordò del perché si era diretta come una tarantolata a casa di North, ignorando il dolore e la stanchezza, e soprattutto, abbandonando le sue accoglienti colline. Pitch! La Befana! E soprattutto la rabbia per quello che era successo, così intensa da riuscire a scuoterla fin dal profondo. Però, prima ancora che potesse aprir bocca per dire come la pensava - esprimendo tutta la sua sincera opinione sull'inutilità dei guardiani - arricciò il naso delicato e starnutì. Con la coda dell'occhio vide della sabbia simile a polvere dorata scostarsi a scatti, formando ampie onde dietro la sua testa.
Sandman ritrasse di colpo le sue mani da bambino e le rivolse un sorriso statico, come se fosse stato appena preso con le mani nella marmellata.
– Candelora? –
Il povero spirito per un attimo pensò che fosse stato Sandman in persona a parlarle, ma poi le bastò voltare la testa quel tanto che occorreva per inquadrare il grosso omaccione che la fissava con brillanti occhi blu, per realizzare che si era sbagliata. A quel punto ricambiò il sorriso. Si alzò, puntellandosi sui gomiti, ed esclamò, fischiando tra i grossi denti: – Siete un branco d'incapaci! Siete degli esseri assolutamente inutili!
Toothiana, North e Sandman la guardarono sbattendo le palpebre, senza saper bene come reagire a quella definizione così poco garbata. Nessuno si sarebbe aspettato quella reazione e per qualche istante regnò il silenzio più assoluto
– Le mie tane! Le mie amate tane! – continuò Candelora con trasporto, iniziando a fischiare ancora più forte, dando ampio spazio a tutto il suo struggimento. – Distrutte! Perdute! Lui mi ha attaccato senza preavviso e le ha distrutte! Voleva seppellirmici dentro! Viva! E voi siete ancora qui a grattarvi le piume o la sabbia sulla testa, invece di fare qualcosa! Sta attaccando tutti gli spiriti minori! E voi non fate niente!? –
– Lui? – s'informò North, accigliandosi così profondamente che le sue sopracciglia nere quasi si unirono in mezzo alla fronte. – Lui chi?
– Lui! – esclamò esasperata Candelora, arruffando tutto il pelo a sua disposizione. – Lui, stupidi ed inutili, guardiani! Oh, le mie povere ed ignare gallerie! Fare quell'orribile fine! Sono millenni che le perfeziono! Chi mi ripaga adesso del lavoro perduto? Eh? Chi? –
Un'espressione di assoluta gioia comparve sulla faccia rubiconda di North e la sua mano corse soddisfatta a battersi sulla pancia.
– Lo sapevo! Vedi, Toothy? – esclamò gongolando a più non posso e riducendo Candelora ad una misera bocca spalancata sopra ad un paio d'occhi increduli . – Istinto di mia pancia non sbaglia: è più precisa di Leprecauno con crune di aghi! –
La risposta fu uno sbuffo e un ronzio di ali leggerissime dalle piume sgargianti che battevano freneticamente.
­– Non ha mica detto che sia stato Pitch. E poi, andiamo! Sarà stata una frana, è più probabile. Dico bene? –

Sandman si prese il mento tra le dita color girasole e assunse un'espressione pensierosa. North roteò gli occhi verso l'alto e si guardò intorno spazientito.
– Mia pancia parla chiaro! Mia pancia non mente! Appena arriva Bunnymund vi faccio vedere io chi ha ragione! –
Candelora, a sentir nominare Bunnymund sobbalzò e nei suoi occhi guizzò un lampo di un sentimento molto ben definito, al contrario di Sandman che sorrise e iniziò a formare in sequenza sopra la sua testa un uovo, un fiocco di neve, un bastone, un boomerang, un turbine, concludendo la sequenza con una stravagante immagine di un esplosione di neve. Alla fine annuì, soddisfatto della sua eloquente spiegazione, scoprendo però che nessuno l'aveva minimamente degnato dell'attenzione che meritava. Incrociò le braccia costellate di pulviscolo finissimo, mettendo il broncio, nell'esatto istante in cui North lisciava la sua barba bianca esclamando: – Chissà poi dov'è sono finiti quei due! Bel mistero! Mia pancia non ha idea di dove siano. Molto strano… –
– Non ti converrebbe smetterla di pensare con la pancia? – suggerì Toothy, con garbo.
– Pancia è per deduzioni, cervello è per giochi, occhi è per meraviglia. Ad ognuno il suo. Se tu provassi a volare con orecchie piumate non sarebbe lo stesso che volare con ali, giusto? –
– LE MIE TANE! – gridò Candelora, sovrastando tutti e riuscendo a ritornare all'argomento principale, ottenendo contemporaneamente che gli occhi di tutti si appuntassero su di lei come tanti spilli. – Pitch le ha distrutte! E voleva distruggere anche me!  Per non parlare di quello che ha già fatto a quella…–
– Pitch? – esclamò sconvolta Toothy, accelerando i movimenti zigzaganti delle sue ali. – Ha detto proprio Pitch! –
– HAH!  Si che lo ha detto! Rosica, Toothy! Mia pancia è inafferrabile! –
– … quella vecchia megera della Befana! Se non lo fermiamo…. –
Sandman si unì al coro formando sopra la sua testa una freccia che indicava la porta con sorpresa. Tirò la manica di North che continuava a ruggire la sua immensa approvazione per il suo arguto stomaco, poi aumentò la presa ed infine lo scollò con più forza.
North si piegò in avanti e osservò attentamente le rapide immagini sul cocuzzolo di Sandman.
– Che succede, Sandy? Anche tu trovi che mia pancia sia fine di mondo? –
– …  farà lo stesso al povero Leprecauno e a tutti gli spiriti minori che … –
– Credo che voglia dire qualcos'altro, North. »
–  … fino a quando non riuscirà a togliere di mezzo tutti noi, grazie a quel suo nuovo potere! –
– Secondo me sta dicendo … uhm… carota? Che dici, Toothy? –
Sandy si schiaffò una mano sulla fronte e, con una leggera vena dorata che pulsava sulla tempia, indicò ad entrambi la porta d'ingresso sulla quale erano comparse due figure ricoperte di neve: la prima con un'espressione di pura delizia stampata sulle sottili labbra cesellate, la seconda con un grugno da far spavento perfino al bambino più smaliziato.
All'improvviso un coro di sospiri e di gridolini eccitati provenne da una buona metà delle Dente da Latte presenti; la metà rimanente espresse il proprio parere con un folto susseguirsi di leggeri tonfi, risultato dello svenimento di gruppo.
– Oh, Bunnymund! Jack Frost! – tuonò North, accarezzandosi la pancia come se fosse una miracolosa palla di cristallo, di quelle usate per le divinazioni più difficili. – Mia pancia predetto vostro arrivo. Benvenuti! –
In seguito a quel preciso istante accaddero molte cose contemporaneamente e nessuno dei presenti fu mai troppo sicuro di come si svolsero esattamente i fatti.
Toothy sospirò, esasperata, ma non disdegnò di una fugace e sognante occhiata la bocca di Jack, dietro la quale sapeva celarsi un bianco quanto scintillante tesoro; North protese le braccia per andare ad abbracciare i due nuovi venuti sfoggiando uno dei suoi sorrisi paterni più riusciti, uno di quei pochi che non riservava al suo stomaco prominente; Sandman annuì, soddisfatto di essere finalmente riuscito a far capire agli altri quello che intendeva; Jack, invece, si levò il cappuccio, scrollandosi la neve dai capelli e mandando al tappeto le poche Dente da Latte superstiti; Bunnymund annusò l'aria e i suoi occhi acuti si fermarono su Candelora, esattamente un momento prima che sul suo volto di coniglio si dipingesse un'espressione di puro orrore.
– MARMOTTA! – gridò con quanto fiato aveva in corpo.
Candelora ricadde priva di sensi al suolo con un boomerang piazzato in mezzo alla fronte, prima ancora di poter vedere il movimento della zampa di Bunnymund che correva alla sua fidata arma.
Lo sguardo attonito di cinque guardiani si posò costernato sull'esanime spirito minore, passando alternativamente dal coniglietto di pasqua a Groundhog Day, ovvero Candelora, altresì detta: la Marmotta.
– Che tu ha fatto? – esclamò North basito, cercando di capacitarsi di quanto era successo.

***

Un elfo che passava di lì per caso scoppiò a ridere, crollando al suolo tenendosi la pancia e facendo trillare il campanello sul suo capello appuntito allo stesso ritmo dei suoi scoppi d'ilarità. Un secondo elfo - che aveva deciso di passare di là per caso nello stesso istante - inciampò sul primo e iniziò ad inveirgli contro agitando il minuscolo pugno fasciato da natalizia stoffa rossa.
Jack Frost rivolse uno sguardo in tralice agli elfi prima di ritornare a fissare il corpo esanime che Toothy si era affrettata a soccorrere con premura.
– E il castoro chi sarebbe? – chiese, avvicinandosi incuriosito e indicando col bastone il corpo senza sensi che giaceva davanti ai suoi piedi scalzi. – Una tua amica, Toothy? –
– Non è un castoro, è un marmotta. – lo corresse con calma la fata dei dentini, alzando i suoi occhi ad incontrare quelli di Jack. Occhi gelidi, chiari come topazi purissimi e velati da ciglia così folte e candide da sembrare neve appena caduta, sovrastati da bianchi capelli serici come, forse, solo la seta riusciva ad essere. Toothy osservò quegli occhi mentre si assottigliavano in un'espressione di  genuino interesse e  seguivano i contorni di Groundhog per posarsi, infine, sul volto peloso della bruna marmotta.
– E il suo nome è Candelora. – concluse con un profondo sospiro. – E' famosa soprattutto negli Stati Uniti, dove si dice che vederla annunci la fine dell'inverno e l'inizio della primavera.–
Jack non le rispose, limitandosi ad inginocchiarsi per studiare meglio colei che aveva attirato il suo interesse. Sandman all'improvviso annuì, creò qualche immagine sconnessa di fine polvere dorata sopra ai suoi capelli - dritti come raggi del sole estivo a mezzogiorno - e poi scosse la testa in senso di diniego.
– Perché successo … questo? – fece North, contrariato, rivolgendosi a Bunnymund e accompagnando l'ultima parola con un ampio gesto delle braccia muscolose, quasi a voler comprendere sia il boomerang che la fronte offesa della disgraziata marmotta. – Perche lo hai fatto? –
­­– Non sopporto la Marmotta... – rispose Bunnymund facendo fremere il naso, circospetto. – L'ultima volta è quasi riuscita a baciarmi. –
– Oh, io non ricorda. – fece North togliendosi dei granelli di polvere invisibili dai suoi avambracci muscolosi. – Ma ha senso. –
Jack alzò un sopracciglio finissimo e con uno sguardo che portava con sé mille sottointesi, sorrise: – Solo "quasi", Bunny bello? Ti facevo un tipo più intraprendente … –
­– Vatti a creare qualche iceberg, molto lontano da qui, e vedi di seppellirtici per qualche millennio. –
– Ooh, sei così freddo con me, Bunny bello. – sospirò Jack riuscendo al contempo ad assumere un'espressione fintamente ferita e perfettamente ghignante.
North s'intromise nella discussione prima che questa degenerasse e che Bunnymund mettesse di nuovo mano al suo boomerang, ma lo fece solo perché era dell'opinione che non servisse aggiungere altri corpi esanimi al suo prezioso pavimento di legno rustico.
– So che vorreste fare concorrenza a miei elfi per ridurre mia casa come calze di Befana - piene di buchi e disastrosamente rattoppate - ma io vi invito a riflettere prima di agire e di fare qualsiasi sciocchezz… JACK! –
Jack Frost si voltò lievemente sorpreso, smettendo di ammirare la statua di ghiaccio perfettamente sagomata sulle forme di Bunnymund che ora si trovava in mezzo alla stanza. Dietro il ghiaccio due occhi grigi ammiccarono inferociti, promettendo violente e fantasiose ripercussioni.
North guardò Jack con rimprovero.
– Che c'è? – fece il ragazzo alzando entrambe le sopracciglia e riuscendo perfino ad inserire nella sua voce una venatura irritata – Tu hai parlato di casa tua, non hai minimamente accennato a conigli di qualsiasi tipo. –
– Lasciamo perdere e concentriamoci su cose veramente importarti. – decretò North, invitando Jack a far tornare Bunnymund allo stato originale e venendo accontentato neanche tanto presto e senza il benché minimo briciolo di entusiasmo.
– Bene. –  disse con approvazione quando le orecchie del coniglio di pasqua si liberarono degli ultimi frammenti di ghiaccio. –  E ora… cosa fare noi con Candelora? –
– Aveva parlato della Befana, se non sbaglio. – ricordò Toothy, cercando l'approvazione di qualche Dente da Latte parecchio intontita che volava al suo fianco componendo inconsciamente delle spirali a forma di cuore.
North strinse i denti e incrociò le braccia, evidentemente stizzito dal solo fatto di dover nominare quel nome sotto il suo sacro tetto.
– Già. Befana. –  disse laconicamente –  Quella strega! Crede che Epifania possa competere con festa di Natale! Illusa di proporzioni epiche, nonché bibliche. –
Per sottolineare quanto quel concetto fosse assurdo scosse la testa e Bunnymund gli rivolse un'occhiata di sottecchi.
– Che centra la Befana? È per questo che la M-marmotta è qui? Per parlare della Befana? –
– Speriamo stia bene. – fece Toothy apprensiva. – E' una vecchina a posto, tutto sommato. –
– La Befana? – si accodò Jack, l'unico dei guardiani a non conoscere di persona la vetusta entità di cui si stava parlando. – Sul serio? Quella che fa i dolci? –
– Quella che caria i denti. – rettificò Toothy, indugiando in quella che per lei era un'emozione anomala: sdegno unito a puro risentimento. – Ma almeno non lo fa ai livelli della festa di Halloween. Terribile! Tanti bei dentini condotti sulla cattiva strada da quei reietti degli zuccheri! –
Jack preferì non indagare troppo in quella direzione, notando quanto quell'argomento facesse infervorare la fatina; si limitò quindi a constatare con una scrollata di spalle. – Non credo di averla mai incontrata. Né lei, né lo spirito di Halloween. –
– Meglio così. Tu non ha perso nulla! – asserì North con espressione dolorosa che deformava i suoi tratti perennemente gioviali e sereni. – Le tue orecchie possono dirsi ancora spensierate e illibate … a differenza delle mie. Per quanto riguarda lo spirito di Halloween… uhm… è tra una settimana sua festa, o sbaglio? –
Le ali di Toothy al solo sentir pronunciare quella festa ebbero un tremito d'ira e di ribrezzo. North ridacchiò e sussurrò a fior di labbra: – Proprio tu non riesce a concepire festa come Halloween? –
L'occhiataccia che gli scoccò Toothy sarebbe stata capace di incendiare perfino il ghiaccio di Frost; su North, invece, ebbe l'effetto di un sasso lanciato dentro un lago, la cui superficie torni immediatamente liscia e lucente come se nulla fosse accaduto.
Nel frattempo, Bunnymund non aveva ancora distolto gli occhi da Candelora per un solo istante, l'angoscioso pensiero che potesse risvegliarsi da un momento all'altro lo tormentava come un sassolino infilato nella scarpa o, piuttosto, come un macigno posato sul tenero petto.
– Di che stavate parlando prima che arrivassimo io e Jack? –
– Sembra che centrassero Pitch e, in qualche modo, pure la Befana. – ricordò North con aria severa, del tutto insolita per lui ma che sembrava calzare a pennello con quella situazione incresciosa. – Non si è capito bene. Si è spiegata dannatamente male. –
Toothy, non del tutto placata per il commento precedente, insinuò dolcemente. – Perché non chiedi alla tua pancia cosa volesse dire di tanto importante Candelora? –
North sussultò, colpito negativamente da quella domanda, e abbassò lo sguardo contrito sulla sua pancia. Jack si limitò a battergli la mano sulla spalla con fraterna comprensione.
– Direi che facciamo prima ad andare a parlare con la Befana in persona. – borbottò Bunnymund infilando la porta con una fretta che sarebbe sembrata sospetta se non avesse palesato chiaramente la sua intenzione di andare a conferire con la Befana.
Gli altri guardiani se ne andarono, chi prima e chi dopo, ma alla fine North si ritrovò da solo nel suo laboratorio. Poco prima di uscire a sua volta, sussurrò con tenerezza, lo sguardo rivolto verso il basso.
– Non te la prendere, pancino mio. Non diceva sul serio. Tu resti sempre il migliore.–
 
***

La fiammella sprizzò qualche favilla infuocata e borbottò sommessamente, osservando il formarsi di una ruga di malcelata irritazione sulla fronte abbronzata del ragazzo che le stava di fianco.
 – Mio signore! – uggiolò una delle zucche - quella che più di tutte stava mettendo  a dura prova la pazienza del giovane - iniziando a strisciare sul marmo di una tomba antica e lasciando dietro di sé una scia di viscosa polpa arancione – Non le troviamo! Vi ripeto che non le troviamo! Abbiate pietà! Sono sparite! –
– Come possono essere sparite? – chiese Jack O'Lantern imponendosi di rimanere calmo. – Come fanno a sparire delle dannate, maledette, stupide e gigantesche lapidi? –
Un acuto mugolio e una scia ancora più abbondante di polpa furono la risposta della umilissima zucca. A quel punto una seconda zucca, di colore verde e con intagliato un sorriso da iena, prese coraggio e considerò sommessamente: – Mio signore, sono lapidi molto arzille. E dopo quasi un anno di inattività devono sgranchirsi anche le pietre! –
– Se dovessero badare solo a sé stesse, non ci sarebbe problema… – disse una voce suadente alle spalle di entrambi, cogliendo tutti di sorpresa. – Ma visto che fungono da sigillo agli scheletri millenari che giacciono sotto di loro, non possono decidere da sole quando e dove andarsene, dico bene, Halley,  o dovrei dire anch'io mio signore? –
Le ultime parole furono riempite fino alla saturazione di stomachevole miele, riuscendo in qualche strano modo a mantenere una nota, divertita. Il signore di Halloween si voltò, pur conoscendo alla perfezione il suo interlocutore e la sua insinuante voce. La sua fidata fiammella si aggrappò allo sportellino della lanterna, gonfiando con ardore il petto infuocato, quasi si sentisse in dovere di proteggerlo da quello spettrale quanto affascinante individuo.
– Dovresti pensare a metterle un cartello con su scritto "Attenzione. Morde." – constatò lo sconosciuto, sembrando considerare per davvero quell'ipotesi. Due occhi verdi - erba mattutina appena tagliata, ancora grondante fresca rugiada - brillarono l'attimo dopo divertiti. Le zucche lo osservarono irretite da tanta dolorosa bellezza.
– E ora che diavolo vuoi, Cassian? – chiese a denti stretti Halley, diminutivo meno impegnativo del pomposo "Signore di Halloween e di tutti gli spiriti dell'inferno e di tutti i morti sopra e sotto terra. Signore della Lanterna: Jack O'Lantern.".
– E Lumin non morde. – aggiunse, voltandosi completamente nella direzione del demone più vanesio del sottomondo –… a meno che non avverta cattive intenzioni in chi mi sta vicino. –
Lumin arse con orgoglio e lanciò a Cassian un'occhiata incendiaria.
– E tu credi che io abbia cattive intenzioni, nei tuoi confronti, mio Halley? –
– Tu ne hai sempre, di cattive intenzioni. – replicò Halley col tono di chi stia facendo una mera constatazione – E ti ripeto per l'ennesima volta che devi togliere il "mio" da davanti al mio nome. –
– Quindi non sei il mio Signore? – travisò volutamente Cassian, lasciando che le ombre sanguigne di alcuni focolari poco distanti danzassero sulla sua pelle liscia e immacolata, quasi bramassero di divorarlo senza alcuna pietà, solo per poter avere un vago contatto con il suo corpo solido e snello.
Halley non reagì a quella provocazione e tornò a rivolgersi alla sue stupide zucche.
– Avete cercato all'interno del Bosco Nero? E sotto al Ponte degli Annegati? Dietro la Casa Infestata? –
Un coro di tre "si" giunse dopo ogni fatidica domanda e Halley non seppe più che mostri pigliare. Il branco di zucche che gli stava di fronte, qualcuna con solo le gambe e altre con solo le braccia, o con nessuna delle due o con entrambe, tremò visibilmente in attesa del suo giudizio. Guardando quelle poverette, Halley sentì un sentimento poco consono alla sua posizione, quale era la compassione, farsi strada dentro di lui.
– Non importa. – si ritrovò a dire, sventolando la mano con pochezza, come se quello che stava lasciando perdere non fosse affatto un affare della massima importanza. – In ogni caso non vorranno perdersi il momento in cui si riapriranno le porte che conducono al mondo degli umani, quindi si faranno rivedere prima o poi. Intanto lasciamo pure che gli scheletri e gli spiriti vaghino un po' dove gli pare. –
Mentre la sua bocca era intenta a dire quelle esatte parole, però, il suo cervello prendeva veloci appunti su dove e quando cercare quelle ingombranti ed incredibilmente disperse lapidi.
Un mormorio grato si levò dalle zucche.
– Grazie mio signore! Troppo buono signore! –
– Sparite. – intimò loro stancamente. – Prima che decida di cambiare idea. –
Mai occhio demoniaco vide tante zucche gialle, arancioni e verdi sparire in così breve tempo.
Cassian, che non si era perso nemmeno un attimo della scena, osservandola con la testa leggermente reclinata di lato, osservò: – Perché con me non sei mai così buono? –
Halley gli lanciò un'occhiataccia, seconda per furia solo a quella di Lumin, e se ne andò impettito. Cassian gli corse dietro e tenne il suo passo senza problemi, complici le lunghe gambe dai muscoli più agili di qualsiasi altro abitante del sottomondo.
– Se non ti conoscessi direi che mi stai ignorando più del solito. – ridacchiò velatamente Cassian. – Ma visto che ti conosco posso tranquillamente dire che mi stai evitando come la beata peste. –
Nessuno avrebbe mai potuto sperare di seminare Cassian puntando sulla velocità e Halley se ne rese conto quando si ritrovò ad ansimare a pieni polmoni mentre il demone incedeva tranquillamente e sobriamente al suo fianco, senza incorrere nella minima fatica.
Si fermò e scrutò i profondi occhi di Cassian, appena velati da lucidi capelli neri come ossidiana. Poi, proprio quando il suo adepto mostrò l'ardire di rilassarsi, richiamò a sé il potere di Lumin e una ruota di terra e braci ardenti si strappò dal suolo sotto ai suoi piedi, andando ad accoglierlo nelle sue braccia cremisi.
Sfrecciò lontano dalla città dei morti e dei demoni, i capelli che sfrigolavano nelle sue orecchie per la folle velocità, allontanandosi dalle luci fatue e dai suoi focolari, dirigendosi verso il Bosco Nero che circondava come un ferro di cavallo l'intera collina su cui sorgeva il suo regno. Nemmeno quando arrivò all'imbocco dell'intrico di tronchi neri e rami protesi come scheletriche mani verso il nulla, accennò a fermarsi, limitandosi a falciare tutto quello che si trovava sul suo passaggio.
Solo quando sbucò in un spiazzo ombroso completamente sgombro, ricoperto da una soffice erba argentata e illuminato dai pallidi raggi delle luna che donava all'intero paesaggio un bicromatismo quasi fatato, si azzardò a rallentare e a guardarsi alle spalle.
Di Cassian neanche l'ombra.
Rallentò fino a fermarsi e lasciò che la ruota si dissolvesse, tornando con i piedi per terra.
Finalmente il silenzio.
L'agognata mancanza di suono che l'aveva assillato con la sua non presenza, ad un tratto parve invece assalirlo e trascinarlo in fondo ad un pozzo senza fondo dal quale non era possibile uscire, né tornare indietro. La solitudine che da anni immemori gli gravava sul cuore, nonostante fosse sempre in compagnia; la sua coscienza soltanto infastidita e oltraggiata da tutta quella massa che ronzando e sciamando si assembrava intorno a lui senza alcun profondo e valido motivo.
Sospirò e alzò gli occhi verso la luna, così bianca da obbligare le palpebre a socchiudersi per non ferirsi.
La luna, sileziosa compagna di tutti quegli anni di vuoto e di senso di perdita; la luna che non gli parlava; la luna che non lo ascoltava. La luna che forse nemmeno lo guardava, limitandosi a voltare la testa da un'altra parte quando la implorava con la gola in fiamme.
– Se mi guardassi come stai guardando la luna in questo momento, potrei morire di autocombustione. –
Le spalle di Halley si irrigidirono appena, ma si costrinse a  sciogliere la tensione che provavano per non far intuire a Cassian quali pensieri si agitavano nella sua testa. Il demone, a cui i raggi della luna parevano donare tanto quanto un vestito fatto su misura, lo occhieggiò, fingendo con tatto di non essersi accorto di nulla.
Halley si girò a fronteggiarlo e si chiese come mai, tra le diverse decine di demoni che marciavano sotto il suo comando, solo Cassian riuscisse a risultargli così insopportabile. Nemmeno alle zucche - che pure se lo sarebbero meritato a pieni voti - era spettato quel primato insolito.
– Non puoi davvero aver creduto di avermi seminato. – fece Cassian scrollando il capo e facendo arricciare qualche ciocca di sottili capelli intorno ai lobi delle orecchie. – Sei veloce, mio signore. Ma non così veloce… –
– Se avessi voluto seminarti non avrei avuto problemi a farlo. – rispose lievemente indispettito Halley – Contavo sul fatto che dopo essermene andato tu avresti avuto il buon gusto di non seguirmi. –
– Centra quello che ti ha detto quel tizio in nero? –
Halley riuscì a rimanere impassibile, la maschera perfetta dell'indifferenza, e quasi si lodò per essere riuscito a comportarsi in modo così mirabile quando … esattamente l'istante dopo si ritrovò a distogliere lo sguardo, senza capacitarsi di come fosse potuto succedere.
– Quale tizio in nero? – chiese, fingendo noncuranza senza troppo successo. – Qui il nero è un colore parecchio gettonato se ci hai fatto caso. –
Cassian lo scrutò a lungo, poi sospirò: – Sto parlando di Pitch Black. Vi ho visto parlare. Aggiungi il fatto che ho un buon udito e ottieni il resto. – Gli occhi di Cassian divennero improvvisamente più profondi, più tetri. – So che ti ha chiesto di unirti a lui. –
Halley scrollò le spalle. – Quando vorrò che uno dei miei sottoposti si preoccupi per me, te lo farò sapere Cassian. –
Per un fugace istante sembrò che il volto di Cassian si oscurasse con un'ombra di dolore, ma il cambiamento fu talmente repentino che Halley pensò di esserselo immaginato.
– E so anche che tu hai rifiutato, mio signore. –
– Io non mi schiero con nessuno. – ribatté Halley, avvicinandosi inconsciamente a Lumin, quasi avesse bisogno del suo calore per scaldarsi – Né con i buoni, né con i cattivi. Lo sai anche tu: noi non ci facciamo trascinare nelle beghe tra i Guardiani e gli spiriti minori. –
– Ha detto di avere qualcosa che potrebbe interessarti… –
– E io, se ben ricordi… – lo interruppe Halley. –.. gli ho detto che non potrà mai fare nulla che mi convinca a scendere in campo dalla sua parte. –
Cassian annuì, quasi stesse riassistendo a quella scena, svoltasi proprio davanti ai suoi occhi. Il suo signore che parlava con quella figura ammantata di nero sotto la diafana luce delle stelle, dolci e lusinghiere parole sussurrate al suo orecchio per cercare di portarlo dalla sua parte, suadenti mormorii e sospiri a fior di pelle volti a spezzare la sua resistenza.
 – Qualsiasi cosa tu deciderai di fare, io resterò al tuo fianco. – disse con semplicità.
Ed era vero.
Lo aveva deciso nel momento stesso in cui l'Uomo nella Luna aveva scelto quello strano ragazzo dai capelli scompigliati e dalla camicia logora per il ruolo di Jack O'Lantern. Tra di loro quel nome era paragonabile a quello di un Cesare o di un autorevole Comandante, e lui avrebbe protetto il suo Signore a costo della vita.
Halley non seppe bene come reagire a quella dichiarazione. Alla fine, tra le molteplici emozioni prevalse l'ira e lui replicò: – E' ovvio che lo farai. Sono il tuo signore, Cassian. Fare altrimenti equivarrebbe ad alto tradimento. –
Cassian sorrise, incrociando le braccia sul petto. – Che brutto pensiero. Non sono poi così deplorevole. –
Lumin divampò come un piccolo sole non appena Cassian fece cenno di volersi avvicinare a Halley e il demone fu costretto ad una veloce ritirata.
– Il tuo lumino da guardia è un po' troppo iperprotettivo nei tuoi confronti, non credi? –
– Te lo detto: percepisce le cattive intenzioni nelle persone. – ghignò Halley.
– Touché. – fece Cassian, lasciando che un languido sorriso gli inarcasse le labbra. – Anche se ho sempre avuto un certo debole per i capelli chiari - così biondi da sembrare quasi bianchi, oserei dire - non posso fare a meno di concedermi qualche piccola eccezione. –
– Oh, ti prego. – fece Halley con finta modestia. – Non concedertela affatto. Sarebbe meglio per tutti. –
Cassian non si scompose minimamente e anzi gli rivolse un sorriso in grado di far arrossire i sassi.
– Non appena sarò fuori di qui potrò avere tutte le bionde e i biondi che desidero. In fondo Halloween è tra soli cinque giorni: non dovrò nemmeno aspettare tanto. Però come si dice, a volte bisogna pur fare qualcosa per ingannare l'attesa. – 






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Anche se questa storia non la leggerà nessuno la continuerò - e la finirò - perché detesto lasciare le cose a metà. u.u
Per quelle poche - e tanto care - persone che invece l'hanno letta, vi ringrazio e vi mando un GRANDE bacione! *__*

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Capitolo 3
*** Delicious Crisis ***



CAPITOLO 3
 
DELICIOUS CRISIS
 

I am the "who" when you call, "Who's there?"

I am the wind blowing through your hair
I am the shadow on the moon at night
Filling your dreams to the brin with fright

                  This is Halloween, Marilyn Manson




– Credete che sia stato saggio lasciare Toothy con Candelora?–
Jack Frost sedeva a gambe incrociate sul retro della slitta di North,  il bastone appoggiato sulla spalla e le labbra arcuate in una smorfia che voleva sottolineare tutta la sua contrarietà a quella decisione. Bunnymund, terreo in volto e aggrappato al bordo della slitta come una cozza al suo scoglio, sembrò voler polemizzare sia sulla sua insensata decisione di salire sul trabiccolo tecnologico di North, sia rispondere sarcasticamente alla domanda di Jack.
– E' stata un'idea grandiosa, secondo me. Assolutamente.–
– Non credo che tu al momento sia abbastanza lucido per poter rispondere con cognizione di causa. –
Jack aveva dato alla sua risposta il tono di un'affermazione ma Bunnymund la prese volontariamente per una domanda alla quale rispose piccato.– Sono lucidissimo, io. –
– Un autentico specchio.– gli rinfacciò Jack facendo scorrere il suo sguardo sulla fronte imperlata di sudore di Bunnymund e osservando i pallidi luccichii che questa mandava durante le impennate della slitta o le rocambolesche discese a picchiata. La slitta di North vantava due nuovi alettoni posteriori di un rosso sgargiante che avevano l'apparente scopo di migliorare la stabilità della vettura ma suscitavano la sospetta impressione che non servissero assolutamente a nulla, se non ad un mero scopo estetico.
Di colpo North, seduto a cassetta con l'aria di chi stia rimuginando intensamente su qualcosa di spiacevole, sferzò le livree delle renne dando una brusca accelerata alla slitta. Bunnymund espresse la sua opinione a riguardo con un urletto di terrore mentre Jack lasciò passare qualche attimo prima di balzare sul sedile anteriore, sedendosi di fianco a North, leggermente preoccupato.
– Perché quest'aria poco natalizia?–
North sbuffò, più nervoso che preoccupato. – Folletti perso di nuovo la mia sfera-portale e, nonostante loro inutili sforzi, non riescono più a ritrovarla. Ho chiesto anche a yeti ma pure loro non ne cavano un ago dal buco... In più noi avere compito ingrato, ovvero andare a trovare Befana - quella vecchia capra! - e questo perché parole di spiritello di marmotta non mi convincono. Infine barba mi si sta arricciando per colpa dell'umidità di nuvole! Guarda che orrore! I miei occhi hanno bisogno di vedere meraviglie e non brutture come questa... –
Sottolineò quel dettaglio di mostruosa importanza mostrando la sua barba: stopposa, gonfia e scomposta. Immancabilmente gli occhi di Jack scivolarono sulla causa dell'umidità e, quindi, del malumore di North; massicci cumulonembi lambivano le fiancate della slitta e correvano sopra le loro teste con linearità quasi ipnotica, estrusioni di condensa e sculture di minute goccioline d'acqua s'alternavano a scorci di boschi lussureggianti, confondendo ciò che si guardava con quello che in realtà si vedeva.
– Pitch non può essere tornato. – fece Jack alla fine, distogliendo lo sguardo da una imponente colonna nuvolosa che troneggiava a pochi chilometri da loro e che ricordava - anche se lontanamente - i lineamenti di colui che tormentava i loro pensieri, nera e minacciosa sopra l'orizzonte. Il suo tono incerto si scontrò con l'espressione assorta del signore del nord, mentre da dietro riprendevano con vigore rinnovato i forti conati di Bunnymund in preda all'ennesima delle sue crisi di mal-di-slitta.
– Noi sconfitto lui. – asserì North dopo un paio di minuti, aspettando che tornasse la calma nelle retrovie. – Troppo presto per lui ritornare. Se realmente tornato vuol dire che qualche nuovo trucco in suo lurido mantello nasconde. In ogni caso la nostra guardia deve rimanere alta. –
– Ma non ha senso. Cosa potrebbe avere in grado di danneggiarci? – domandò Jack, aggrottando le fini sopracciglia. – Lo abbiamo sconfitto una volta, e qualunque cosa si inventi per batterci in futuro lo sconfiggeremo ancora. La paura non potrà mai battere il coraggio e... ehi, che ti prende? –
L'espressione assorta di North si era tramutata in sgomenta così repentinamente che Jack aveva subito pensato ad un improvviso malore. Lo aveva scosso credendo che la vista dell'ennesimo ricciolo sulla sua barba fosse stata una vista troppo ardua da sopportare ma ottenne in cambio solo delle vive proteste.
– Sto bene! Sto bene! Lascia stare! – North fece fare alla slitta una brusca virata che venne approvata da un lungo ma solenne apprezzamento di Bunnymund. North ignorò lui e il suo commento ed indicò invece a Jack qualcosa sotto di loro. – Befana deve aver sbagliato di nuovo sua ricetta oppure suo forno esploso definitivamente. Guarda là. –
La foresta che stavano sorvolando, rigogliosa e traboccante di alberi verdi, in un punto era completamente evaporata, come se qualcuno avesse deciso che nessuna forma di vita fosse più necessaria in quella frazione di territorio. Affiancata ad un costone di roccia che s'innalzava più avanti in una montagna con picchi e pinnacoli, simile ad un'accidentata cattedrale di roccia, stava una casetta annerita e contorta, dai contorni aspri e spezzati. L'albero che avrebbe dovuto sostenerla era completamente sradicato dal terreno e le sue radici fuoriuscivano dalla terra brulla protendendosi verso il cielo come tante braccia in cerca di salvezza.
Bunnymund si riebbe quel poco necessario a sporgersi e a lanciare un'occhiata veloce tutto intorno a loro, il vento mulinò intorno ai suoi baffi e le vertigini lo costrinsero a rincantucciarsi di nuovo all'interno della slitta esclamando: – Perché ho il timore che questo luogo dovrebbe avere un aspetto del tutto diverso che fosse stato soltanto un forno ad essere andato in malora? –
North grugnì senza voltarsi, poi manovrò le redini e fece planare la slitta dolcemente verso il basso, quasi restio ad ammettere che la desolazione che stava guardando fosse il posto che ricordava. L'eterno aroma di cannella era stato sostituito da un olezzo immondo ed un silenzio tombale avvolgeva  le macerie, velando di una nebbiolina grigiastra le asperità e i monconi di legno tranciati di netto. Jack Frost atterrò per primo, anticipando di pochi secondi l'atterraggio della slitta. I suoi piedi produssero molteplici scricchiolii quando premettero sul terreno secco e friabile, schiacciando foglie e frammenti sparsi un po' ovunque. Gli unici elementi che ancora rimanevano testardamente eretti erano il camino in pietra e il foro rettangolare, vestigia divelte e ormai solo commemorative di ciò che rimaneva del magico forno.
– Che può essere successo? – chiese Jack quando North e Bunnymund gli si affiancarono; emozioni contrastanti si alternavano a velocità impossibili sui loro volti increduli.
Una sola risposta salì alle loro labbra quasi in contemporanea: "Pitch."
Solo lui avrebbe potuto compiere un simile gesto e portare così tanta distruzione in un luogo altrimenti tranquillo e pacifico. Nemmeno gli uccellini s'azzardavano più a cantare e solo sparuti refoli di vento parevano vogliosi di insinuarsi in mezzo a quel che rimaneva della casetta della Befana. Le fronde degli alberi frusciavano sconfortate di fronte a tanto scempio e devastazione.
– Lei non simpatica, ma io non augurava lei questo. – mugugnò North, lisciandosi disperatamente la barba, come se quel gesto gli donasse il conforto di cui aveva bisogno. Dopo aver opportunamente inclinato il bastone di lato, Jack appoggiò la pianta di un piede sulla superficie legnosa e, lasciando l'altro penzolare nel vuoto, assecondò il fluido movimento con cui il bastone lo trasportò in un battito di ciglia sulla sommità del camino. La pietra fredda a contatto con la sua pelle dei suoi piedi gli rimandò una sensazione sgradevole, come di morte precoce unita alla paura più profonda, in sottofondo qualcos'altro di cui non capiva la provenienza.
– Sentite anche voi questo strano odore? – chiese levando il naso verso l'alto e socchiudendo gli occhi per aiutarsi ad identificare quella che per ora sembrava più una suggestione che non una percezione vera e propria. – Un odore come di ... arance e limoni? –
– Io non sento nulla! – esclamò Bunnymund con sicurezza facendo fremere le narici e inspirando velocemente aria dentro e fuori dai polmoni, il petto che si alzava e si abbassava a velocità costante. – E te lo dice uno che di naso ne ha uno bello potente!–
Senza darsi per vinto, Jack appoggiò il bastone sul bordo del camino e si sporse per guardare verso il basso, prima di arrischiarsi a scendere aggrappandosi con le mani alle pietre levigate.
Un improvviso dolore lo fece rabbrividire e immobilizzare a metà del tragitto; incastrati dentro alle fenditure della roccia c'erano alcuni ciottoli neri dai margini seghettati. Guardandosi i palmi scoprì che le punte acuminate gli si erano infilate sotto pelle, gli avevano punto la pelle delicata dei piedi o nei casi peggiori, gli avevano trafitto i polpastrelli delle mani, ferendolo a sangue. Osservò con interesse clinico la goccia di sangue scuro che fuoriusciva dalla ferita e improvvisamente si sentì strano, come se non fosse più del tutto padrone del suo corpo.
Un repentino giramento di testa gli fece allentare la presa, e capì di essere precipitato al suolo solo quando la sua testa cozzò contro qualcosa di duro, probabilmente il pavimento ricoperto di frantume di vario genere, il corpo stranamente rigido per il freddo nonostante fosse abituato a sopportare senza scomporsi perfino le temperature artiche. Intontito e stordito, non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stava succedendo che sentì da lontano giungere le voci preoccupate di North e Bunnymund che chiamavano il suo nome, più e più volte. Riuscì a racimolare la forza per rispondere ma la sua voce uscì lentamente, impastata e distante. Decisamente qualcosa non andava...
Voltò la testa, più per mancanza di energie che per volontà propria, e si ritrovò a fissare vicino alla sua spalla una scheggia nera, simile a lucida onice dai riflessi lunari, della grandezza di un pugno con gli stessi contorni seghettati, affilati come coltelli, di quelle più piccole che lo avevano ferito. Ci mise parecchio tempo per metterla a fuoco e ancora più tempo per capire dove l'aveva già vista.
La seconda volta che si era scontrato con Pitch, battaglia del bene contro il male in mezzo all'oscurità e alle nevi perenni, il suo ghiaccio unito agli incubi granulari di lui, avevano dato forma ad una composizione statuaria dai riflessi dell'ossidiana e della durezza dei lapislazzuli, mostruosa a vedersi e dalle forme agghiaccianti: Pitch ne era rimasto estasiato, ma lui, Jack Frost, ne era rimasto orripilato. Quelle pietre taglienti avevano la stessa consistenza e la stessa forma di quella volta, esplosioni di oscurità e di paura solidificata dal potere di uno spirito in grado di regalare a quel sentimento un frammento dell'eternità. Aveva sempre pensato di essere il solo in grado di rendere invincibile Pitch, ma L'Uomo Nero non si faceva scrupoli... lui era in grado di piegare al suo volere chiunque potesse tornare utile ai suoi scopi... ma chi aveva scelto questa volta? Chi poteva avere il potere di cui Pitch andava disperatamente in cerca? Chi?
North raggiunse Jack, si piegò su di lui con aria preoccupata e lo chiamò con forza, tentando in tutti i modi di rianimarlo. La coscienza di Jack però vagava sperduta a metà tra il consapevole e l'allucinazione di un sogno ad occhi aperti, completamente immerso in pensieri dalla consistenza densa e lattea di un fiocco di neve. Bunnymund fece per accorrere a sua volta ma North lo redarguì.
– Sta lontano! Queste pietre hanno qualcosa di molto strano! Io ho stivali! Ma tu che hai zampe nude è meglio se non ti avvicini! –
– Che ha Jack? Che gli è successo? Stava bene fino a pochi attimi fa! –
– Lui ferito! Vedo sangue! –  replicò North passando le sue braccia possenti dietro le spalle e le gambe esili di Jack e sollevandolo senza alcuna fatica. – Dobbiamo medicare lui prima che sia troppo tardi! –
– Torniamo al più presto al polo nord! – esclamò Bunnymund, che per il timore di perdere un amico si era pure scordato di quanta paura avesse di volare.
North però scosse la testa con ansia crescente.
– Io perso la sfera-portale! Ricordi? Non possiamo portarlo al polo nord perché ci vorrebbe troppo tempo! –
Bunnymund impallidì e stralunò gli occhi. – Che facciamo? Che facciamo!? –
North corse in direzione della slitta e adagiò il corpo esanime di Jack su uno dei gradoni posteriori, affidando a Bunnymund la custodia e la veglia del ragazzo.
– Nostra unica possibilità è Mondo di Sotto, territorio di Halloween. –
– Che cosa!? – urlò Bunnymund, perdendo il colore, se possibile, perfino dai suoi baffi. – D'accordo che l'ingresso per il loro covo è qui vicino, ma sarebbe come condannare Jack a morte certa! Halloween non aiuta nessuno! –
– Noi disperati ! E disperazione permette di fare molte cose impossibili, o stupide, a seconda di punto di vista! –
– E come credi di superare i loro cancelli?  – chiese Bunnymund mentre North avviava la slitta con rapidi comandi e tirate di redini. – Rimangono segregati tutto l'anno per volere dell'Uomo nella Luna, eccettuati i tre giorni che vengono aperti per permettere agli spiriti maligni di imperversare sulla terra!  Trent'uno ottobre, uno e due novembre, rispettivamente Halloween, Ognissanti e Festa dei morti! Noi non riusciremo mai a... –
– So nomi di festività, Bunnymund! – esclamò North, interrompendo l'amico a metà frase – Ma io già detto: noi disperati! E i disperati  fanno cose stupide! –
Bunnymund avrebbe volentieri replicato ma la slitta diede una poderosa spinta in avanti, azzittendo ogni sua possibile riposta.

***

Ostentando una studiata indifferenza, Pitch Black osservò la minuta e verdina figura dello spirito delle scarpe rinsecchirsi e avvizzirsi, come una foglia secca ad autunno avanzato, sotto i suoi stessi occhi di madreperla. Appariva noncurante nei suoi sobri abiti neri, vestito dei drappi della meravigliosa e genuina paura che riusciva ad incutere nel prossimo, quasi ritenesse una sottigliezza innegabile il mostrarsi disinteressato di tutto mentre nel profondo si beava di sé stesso. E la sua momentanea gioia poteva essere paragonata solo ad una cosa: al suo sempiterno odio per i Guardiani. Si rallegrava di quel nuovo stato di cose che gli permetteva di eliminare i suoi  nemici con un semplice ordine fuoriuscito dalle sue melliflue labbra.
Il Leprecauno, il tirchio calzolaio fatato, gli rivolse uno sguardo di puro orrore mentre i suoi palmi si screpolavano sotto ai suoi occhi, facendo apparire gli smeraldini fasci di muscoli sottostanti. Gridare non sembrava un'opzione quando il dolore era così acuto che la mente faticava a razionalizzarlo. Stava marcendo dall'interno, disfacendosi come una candela posta troppo vicina ad un fuoco; frammenti di sottile pelle ustionata si staccavano dal suo corpo e svolazzavano intorno a lui come tante falene, volteggiando e danzando nel vento odoroso di agrumi che li trasportava lontano.
– La vendetta non ha mai avuto un odore così dolce. – mormorò Pitch, intrappolando tra le sue scheletriche dita una fragile scaglia di pelle prima che essa potesse allontanarsi. – Concordi con me, vero? –
La ragazza al suo fianco si limitò ad osservare con sguardo vacuo il corpo deforme e irrigidito del calzolaio che si consumava su sé stesso, senza che la minima emozione trasparisse dai suoi lineamenti tirati e scarni.
– Sai, credevo che il tuo mutismo fosse una cosa affascinante. – sibilò Pitch, perdendo in parte la sua pazienza. Le sue dita abbandonarono la scaglia e si chiusero sui capelli neri della ragazza, costringendola a girare la testa verso di lui con la forza bruta. – Ma ora stai iniziando a diventare poco divertente. E sai quano io odi le persone che non sanno come divertirsi, Satia. –
Lo sguardo di Satia non si illuminò, né diede segno di aver riconosciuto cosa i suoi occhi stessero guardando. Rimase immobile, bambola rotta nelle mani di un troppo crudele burattinaio, a concentrarsi su qualcosa di inesistente oltre la spalla di Pitch.
L'uomo Nero rilasciò di scatto la sua morsa e sospirò in modo eccessivo.
– L'uomo nella luna deve avere sbagliato qualcosa con te, piccola mia. –
Il suo naso appuntito tornò a girarsi in direzione del Leprecauno proprio mentre questi si afflosciava sulle ginocchia, e poi su di un fianco, lanciando una serie di suoni inarticolati e sconnessi. A Pitch piacevano le dimostrazioni di paura tanto quanto quelle di dolore, e non seppe decidersi se quel suono conclusivo valesse tutti quelli straziati che lo avevano preceduto.
No. Si. Forse no.. aspetta, magari... no. Anzi si, assolutamente...
Il Leprecauno aveva appena gridato, straziato dal dolore, quando Pitch decise definitivamente che, si, quel momento li valeva tutti; infine si guardò attorno, in cerca di ulteriore ispirazione o di qualcos'altro che lo aiutasse a rendere ancora più significativa quella lenta agonia. Le scarpe dello spirito minore giacevano abbandonate tutt'intorno senza alcun ordine nonostante gli innumerevoli scaffali allineati alle pareti. Tacchi a spillo, babbucce, sandali, infradito, ballerine e scarpe da ginnastica giacevano un po' dove capitava, gualcite, strappate e con le minute cuciture irrimediabilmente rovinate. Quella deliziosa visione gli rammentò le uova di Bunnymund quando i suoi incubi, dopo esser entrati nella sua tana, le avevano distrutte una ad una, senza alcuna pietà. Quello stralcio di passato però fu subito seguito dal ricordo dalla sua sconfitta e dal volto del suo fautore...
Jack Frost.
Immediatamente sentì la gelida ira, fredda tanto quanto lo spirito che la evocava, risalirgli lungo il corpo e colmargli la gola di un retrogusto troppo aspro per poter essere sopportato.
Decise di farla finita.
Allungò la mano nella tasca del suo manto e ne trasse la sfera cristallina di North, sussurrando all'orecchio di vetro di quest'ultima sogghignanti parole. Subito, davanti a loro si aprì uno squarcio circolare, nero e profondo come un pozzo, dal quale spiravano venti pesanti e fumosi, i respiri mefitici di un mondo in cui nessuno avrebbe mai voluto ritrovarsi nemmeno per sbaglio, il mondo della paura. Un magma di buio condensato, simile a gelatinoso nerofumo, si erse a mezza altezza inglobando al suo interno il corpo ormai quasi senza vita del Leprecauno. Rapidamente quella sostanza ributtante si solidificò attorno ad esso ed una stalagmite di dura pietra, simile a lucida tormalina, congelò a morte le membra dello sventurato spirito, non lasciando di lui nient'altro che l'espressione di sofferenza e di afflizione impressa ad eterna memoria sulla scabra superficie.
– Il Mondo dell'incubo sarà una degna dimora per quell'insulso ciabattino verde. – sibilò Pitch, orgoglioso del suo operato mentre il portale si inspessiva per divorare con le sue fauci la concrezione di ambra nera, prima di richiudersi con uno schiocco.
Una leggera risatina aleggiò sulla sua bocca e Pitch se la coprì con una mano in un gesto lezioso: l'argomento sul quale stava riflettendo doveva risultargli parecchio divertente. Satia lo osservò con la coda dell'occhio e si chiese che cosa mai potesse divertire L'Uomo Nero. Pitch Black, quasi le avesse letto nella mente, pose fine ai suoi dubbi.
– Con tutti quelli che l'hanno preceduto, il Leprecauno non potrà nemmeno lamentarsi di non essere in buona compagnia. Quella vecchia rattoppata della Befana ha un'espressione così solitaria dentro la sua stalagmite che le farà bene avere un vicino di roccia. Per non parlare poi di Ferragosto e di Capodanno che sembrano delle giovani e avvenenti sculture multicolori nel loro sonno centenario.  –
L'ilarità sembrò diventare insostenibile e Pitch si concesse una lunga risata gutturale, quasi da attore consumato abituato a calcare e, ovviamente a dominare, il palco nel bene e nel male.
– E poi dicono che non so essere altruista! Uomo nella Luna! – gridò alzando lo sguardo verso il cielo, dove una minuscola luna brillava fiocamente. – Aspetta e vedrai! Presto sarò di nuovo l'unico spirito a vegliare sopra al mondo degli esseri umani! Torneranno i bei tempi! I tempi del buio, della notte e della paura! –
Satia osservò quel lugubre personaggio dalla pelle bigia e dai lunghi abiti, fluidi come pece intorno al suo corpo magro, allontanarsi riflettendo la sua essenza di ombra in ombra, silenzioso e minaccioso, senza preoccuparsi che lei lo seguisse o meno. Sapeva già quale tipo di lealtà aspettarsi da lei, e lei sapeva che lealtà gli doveva: assoluta. Il patto che avevano fatto glielo imponeva: un favore in cambio di un altro favore, una cosa al posto di un'altra cosa, una vita per una vita.
I piedi della ragazza si mossero altrettanto silenziosi, piccoli fantasmini che si muovevano veloci sull'erba resa argentata dalla notte, e in poco tempo raggiunse le spalle dell'Uomo Nero senza però superarle. Pitch Black non aveva ombra perché era egli stesso ombra, ma Satia da quando era rinata sotto forma di spirito minore aveva capito che sarebbe diventata lei la sua ombra.
I patti erano patti. E lei rispettava sempre le sue promesse...

***

Due zucche si stavano tranquillamente avviando, in compagnia del fantasma del-natale-passato e del fantasma del-natale-futuro, in direzione delle stanze private del loro Signore. Alcune lapidi erano tornate al loro posto e altre invece si erano fermate a folleggiare insieme ad alcuni scheletri dalle ossa sporgenti sotto la luce eterea della luna: la notizia sembrava così buona che doveva essere un peccato non riferirla al loro Signore. Si erano dunque incamminate con i migliori propositi in direzione degli alloggi di Halley, ma arrivate di fronte alla maestosa porta di legno non riuscirono nemmeno ad afferrare i batacchi a forma di testa di lupo, guarnita di una più che affilata fila di denti, per chiedere il permesso di entrare. Il motivo di tanta reticenza era la conversazione che si poteva udire, senza alcuna difficoltà, dall'interno delle stanze.
La zucca dalla forma allungata ed un sorriso a due denti lanciò un'occhiata angosciata alla zucca alla sua destra che vantava un sorriso a ben tre denti e due occhi strabici davvero adorabili. I due fantasmi invece oscillarono a mezz'aria, quasi stessero per svenire ma a metà dell'operazione si fossero ricordati che non potevano farlo. Dall'interno arrivò, come soffocata da alcune stoffe, la voce del loro Signore.
– Non così, aspetta. Mi stai facendo male, Cassian. Non spingere...–
– Ma se lo infilo lentamente potrebbe essere doloroso per te, mio Signore. –
– Non dire stupidaggini e fai piano. –
Passò un secondo di silenzio e poi, come se ci avesse ripensato, Halley aggiunse: – Per favore, Cassian... –
– Magari se stessi fermo invece di agitarti sarebbe più facile. –
Il tono conteneva solo una venatura di impazienza, ma quest'ultima bastò ad irritare Halley.
– Non mi sto agitando, d'accordo? E smettila di usare questo tono d'accondiscendenza: è solo che non ci sono abituato! E' da quasi un anno che non lo faccio più!–
– Proverò ad essere più gentile allora.– La voce si era intenerita ed era diventata quasi un sussurro, tanto che le zucche fremettero quando udirono la voce di Cassian chiedere soavemente: – Così va meglio? –
Seguirono un momento di assoluto silenzio inframmezzato da una serie di ansiti concentrati. Poi ci fu un urlo.
Ahi!!! Cassian!! E questo lo chiami essere gentile!?–
– Scusa, mio Halley. E che qui è davvero strettissimo! Mi permetti di provare a forzare un po' ? Solo per cercare di allargare, e forse...–
– No! Non osare provarci! Con la tua forza spaccheresti tutto!–
– So essere anche delicato. – Ci fu un leggero sbuffo, come se Cassian avesse sorriso nel dirlo. – Lascia che ci provi un'ultima volta. –
Una serie di mugolii di protesta si alternò ai fruscii della stoffa sulla pelle. Le due zucche iniziarono a perdere polpa da ogni poro, sudando freddo, e i due fantasmi  persero consistenza diventando quasi invisibili.
– Cassian, lascia perdere. –
– No, lasciami fare, mio Halley. In queste cose ci so fare. –
– Cassian, ti ho detto di togliere il mio da davanti il mio nome! E poi stai spingendo troppo! –
– Aspetta, ci sono quasi ti ho detto. Ecco! Sta entrando! Ecco, ancora poco! –
– Cassian, no. Cassian... mi fai male. –
Le zucche avevano ormai gli occhi sgranati e i fantasmi erano morti per la seconda volta dall'imbarazzo, quando una strega dal naso adunco col brufolo rosso sulla sua sommità girò l'angolo tutta trafelata e sudaticcia, annunciando a pieni polmoni:  – I cancelli sono stati violati! Una slitta ha spaccato le porte di Sotto Mondo! Siamo sotto attacco! Tutti alle proprie scope!  Siate pronti a morire per il vostro Signore di Halloween! –
Le zucche saltarono sul posto e scapparono come era loro credenza che tutti i bravi soldati dovessero fare in quelle occasioni, mentre i fantasmi sparirono oltre le pareti più per eclissarsi che non per andare a combattere. La strega invece, quasi del tutto sorda da un orecchio, continuò a strillare e bussò sonoramente alle massicce porte di legno, aprendole l'istante dopo senza nemmeno aspettare il permesso per entrare. La visione che le si parò davanti la pietrificò e le fece spalancare occhi e bocca in contemporanea.
Il suo Signore, completamente piegato di lato, si sorreggeva appoggiandosi a Cassian con una mano, mentre quest'ultimo tentava di infilargli la divisa ufficiale per la notte di Halloween: una stretta calzamaglia nera, altamente infiammabile all'esterno ma ignifuga all'interno, che Lumin avrebbe potuto infuocare ed accendere a sua scelta.
L'apparizione di Jack O'Lantern completamente avvolto dalle fiamme dell'inferno con la lanterna del diavolo sulla spalla sinistra era una cosa molto apprezzata dal popolo di Sotto Mondo.

La sacralità di tale visione, anche escludendo il corpo mezzo nudo di Halley, bastò a far balbettare la strega per il resto della conversazione: –  S-slitta! A-ai ca-cancelli p-principali! S-sotto a-attacco! P-problemi! Mio S-signore, io... io... –
La strega perse del tutto il dono della parola e rimase, da sola in mezzo alla stanza, a fissare il petto liscio e abbronzato del suo Signore. Cassian, accorgendosene, porse la camicia ad Halley con un velo di irritazione e una fitta fumera di approvazione da parte di Lumin; il ragazzo, del tutto all'oscuro di quel gioco di occhiate assassine, la indossò quasi con sollievo. Era incredibilmente larga, tanto che insieme a lui avrebbero potuto strarci dentro tranquillamente altre due persone, ma Halley la apprezzava come pochi altri capi di abbigliamento.
– Detesto quella robaccia attillata. – sospirò quando la divisa fu finita al suolo e le sue gambe muscolose e magre furono l'unica cosa ancora a  disposizione di sguardi indiscreti. – Non capisco perché devo indossarla ogni anno. Non posso fare un'eccezione per questa volta? –
Lumin, all'idea di non poter scorrazzare indisturbata per tutto il corpo di Halley, scoppiettò tutta la sua riprovazione a quella proposta e puntò i suoi occhi fiammeggianti dentro quelli di Cassian.
– E' la divisa ufficiale. – rispose il demone con una scrollata delle flessuose spalle, evitando accuratamente di guardare in direzione della fiammella. – Dare sicurezza al popolo è compito di un sovrano. –
– Fallo tu il sovrano dalla divisa attillata. – replicò Halley iniziando ad infilarsi i pantaloni neri, altrettanto larghi. – Ti cedo volentieri il posto. –
Gli occhi di Cassian  luccicarono divertiti. – Per quanto mi alletti farlo, credo che per quest'anno e per i prossimi secoli a venire rifiuterò con forza questa possibilità. –
Lumin ne sembrò rincuorata e la strega parve ricordarsi di colpo del perché fosse giunta fin lì, avvenimento del tutto scollegato con la completa vestizione di Halley.
– Mio Signore, i cancelli principali sono stati assaliti da una slitta natalizia! Sotto Mondo è letteralmente sotto sopra per l'increscioso evento! E' richiesta la vostra presenza! –
Che cosa!? – esclamò Halley, alterandosi per quell'informazione tardiva. – Perché non me lo hai detto subito? –
– In verità... io... oh, non so... –
Sospirando e afferrando Lumin all'ultimo istante, Halley si diresse verso la finestra più vicina e la oltrepassò con fluidità, lasciandosi cadere di sotto e atterrando sulla morbida terra che si sagomò sotto di lui per accogliere nel modo più confortevole possibile i suoi piedi. Cassian lo seguì in modo meno scenografico ma altrettanto raffinato ed elegante. Halley non lo aspettò e si diresse ad ampie falcate verso i cancelli d'ingresso della sua città. 
Quello che vide peggiorò di molto il suo umore.

Tutti erano arruffati, scompigliati, scarmigliati o agitati: streghe, orchi, zombie, zucche, fantasmi e persino diversi dolci sgambettanti si davano alla fuga in modo confusionario.  Halley non ci mise troppo ad individuare la causa di quel devastante soqquadro e si diresse, furibondo, verso la slitta ed i suoi tre avventori.
– Che diavolo siete venuti a fare qui? – chiese avvicinandosi con Lumin alle sue spalle che inveiva lapilli e ingiuriava faville. – Voi siete il Guardiano del Natale e il Guardiano della Pasqua, e questo non è luogo per voi! Andatevene subito! –
– Te l'avevo detto che non ci avrebbero aiutato, North... –
North guardò Bunnymund e poi prese la parola, la barba che fremeva per la paura. – Noi supplica te! Nostro amico è grave! –
Halley lo osservò, dubbioso, mentre Lumin gonfiava  le sue fiamme indignata.
– In che senso grave? –
North prese in braccio Jack e lo mostrò al Signore di Halloween con espressione disperata. La pelle di Jack era più pallida del normale e gli occhi, solitamente giocosi, erano serrati in una morsa di sofferenza che gli rigava il volto contratto.
– Lui avvelenato con qualcosa di sconosciuto. Tue streghe hanno a che fare con ogni tipo di veleno esistente! Voi potete aiutarlo! Dovete salvarlo! –
Cassian si soffermò a lungo sui capelli color della neve più pura che il ragazzo esibiva e un leggero interesse crebbe dentro alla sua testa come un piccolo tarlo. Non disse ad Halley che gli sarebbe piaciuto molto se avesse deciso di salvarlo, né cercò di attirare in qualche modo la sua attenzione; lasciò invece che prendesse da solo le decisioni che gli spettavano, come era giusto che fosse.  E Halley fece la cosa più giusta.
Dopo qualche istante annuì attirandosi gli sguardi increduli di molta gente e le occhiate stupefatte dei mostri  lì presenti, poi ordinò: – Avvisate le streghe migliori che c'è del lavoro da svolgere. –






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Capitolo 4
*** Halloween Trick ***



CAPITOLO 4

HALLOWEEN TRICK


Masquerade, masquerade
Grab your mask and don't be late
Get out, get out well disguised

Heat and fever in the air tonight
Knock on other people's door
Trick or treat, they have the choice

                Halloween, Kai Hansen



Jack Frost aprì gli occhi con la sgradevole sensazione di essere osservato.
Due occhi lucidi di emozione su cui una massa di capelli corvini ricadeva con la perfezione e la bellezza di un cammeo intagliato nel giaietto, ricambiarono il suo sguardo. Di fianco ad essi un trio di streghe attempate iniziarono a sghignazzare, congratulandosi tra di loro per l’ottimo lavoro svolto. C’era anche qualcun altro, ma prima ancora che Jack potesse capire chi fosse i due occhi che l’avevano accolto al risveglio iniziarono ad avvicinarsi, colmando il suo intero campo visivo.
– Piacere di fare la tua conoscenza. Io sono Cassian Tristam Lanford, primo figlio della casata dei Lanford ed unico erede attualmente in vita. Ma tu, e ne sarei grandemente onorato, mi puoi chiamare solo Cassian. –
Un sorriso talmente abbagliante che rischiò di accecarlo lo raggiunse come una stilettata, tanto bello e sensuale da risultare doloroso … nonché quasi stomachevole. Jack si guardò intorno, cercando di capire che cosa stesse succedendo e soprattutto provando a capacitarsi del perché quello strano tizio lo stesse osservando con un così vivo interesse.
– Devo avere una qualche specie di debolezza ereditaria per le persone che si chiamano Jack. – riprese quello, apparentemente a suo agio nel parlargli ad un soffio dal naso – Mia sorella, per esempio, si chiamava Jack - diminutivo di Jacqueline - e non riuscivo davvero a negarle nulla. –
– Ahm…ci conosciamo? – chiese Jack, cercando di allontanarsi  con circospezione.
Tutti i suoi tentativi risultarono vani nel momento stesso in cui Cassian si avvicinò ulteriormente, piantandogli i suoi occhi praticamente dentro l’anima.
– Adesso si. – rispose questi, senza scomporsi. – Però questo non significa che non mi piacerebbe molto approfondire questa conoscenza. –
– Magari un’altra volta. – propose Jack, voltando la testa per sottrarsi a quello sguardo invasivo e cercando nel contempo di prendere tempo.
Dov’erano finiti tutti?
Aveva urgente bisogno di vedere un viso familiare e non quello ghignante di tre streghe, unito a quello altrettanto ghignante di quattro … zucche?
– E’ sveglio! – esclamò la prima di queste ultime, di un rosso aranciato su cui erano stati scavati due occhi dalle orbite vuote, facendo sobbalzare Jack. – Guardate! –
– Si, è sveglio! – concordò la seconda, verde e con uno storto sorriso da iena che partiva da un angolo in alto, vicino al picciolo, e finiva in basso, perdendosi sotto di essa. – Che bello! –
– E’ proprio sveglio! – annuì una terza che sembrava guardare il soffitto tanto era strabica. –Dovremmo avvisare il nostro Signore! –
– Che carino! – squittì la quarta, gialla e allungata come una pera. – E’ sveglio per davvero! –
Jack si sollevò sui gomiti e si sentì praticamente in dovere di scappare da quella gabbia di matti. Cercò con lo sguardo la porta d’uscita ma un braccio gli venne passato attorno alla vita mentre cercava di alzarsi, silenzioso e solido sostegno, apparentemente per impedirgli di cadere e per prevenire un giramento di testa.
– Non dovresti farlo. – sussurrò Cassian con un vago tono scherzoso, come se stesse parlando ad un bambino troppo esuberante. –Non ti sei ancora pienamente rimesso. –
Jack si divincolò, dando piena risposta a quel concentrato di orgoglio e di amor proprio che era il suo carattere, il quale decisamente non ammetteva nessun tipo di compassione o di aiuto; e prontamente, quasi Cassian lo avesse predetto e si fosse preparato ad intervenire non appena fosse successo, agguantò Jack per le spalle e passò l’altra mano attorno alla sua vita per evitare che crollasse rovinosamente al suolo.
– Nel caso ti fosse sfuggito, te lo ripeto ragazzino: non ti sei ancora rimesso. –
Jack percepì nella voce dell’altro un sottofondo di asprezza, e quel dettaglio lo infastidì ulteriormente.
– Dove mi trovo? – chiese cercando di mantenere il livello di strafottenza nel tono decisamente più elevato di quanto non lo tenesse di solito.
– Alcuni lo chiamano Mondo di Sotto, altri Sottomondo. Per chiunque è semplicemente territorio di Halloween. –
Jack si guardò intorno e notò che l’atmosfera era effettivamente troppo lugubre per essere il laboratorio di Nicholas St. North, troppo cupa per essere la tana di Aster Bunnymund e troppo funerea per essere l’alveare di Toothiana.
– Supponiamo che sia così. – acconsentì con stizza. – Che ci faccio io qui? –
– Ti ci hanno portato i tuoi amici. –
Jack si voltò leggermente sorpreso.
A parlare non era stato lo strano tipo dai contorni vagamente statuari ma una delle streghe. Delle zucche, si rese conto appena in quel momento, non c’era più nessuna traccia…
– I tuoi amici. – ripeté la strega attirando la sua attenzione con un movimento deliziato della mano rugosa. – Quello grosso e quello peloso, tipetti tanto carini. Eri stato avvelenato da alcuni frammenti di Petra Mors, la pietra della morte: è molto rara e quindi ci abbiamo messo parecchio ad estrarteli tutti dal corpo e a somministrarti una pozione di uova di rana per tempo. –
– Uova di rana? – s’informò Cassian, corrugando la fronte. – E da quando servono a combattere gli effetti della Petra Mors? –
– Non servono, infatti. – confermò la più bassa delle tre streghe. – Non credo servano a nulla ma siccome ne avevamo un calderone pieno, te ne abbiamo somministrato qualche ciotola tanto per tranquillizzare i tuoi amici. –
Jack chiuse gli occhi, imponendosi di mantenere la calma.
– Questa però non è la verità, non fino in fondo. – s’intromise la terza strega, smilza e con un cappello a punta che l’alzava ulteriormente di qualche metro. – Ci serviva qualcuno a cui farla provare per sapere se insieme ai semi di pianta carnivora era velenosa o meno: visto che stai bene, direi che l’esperimento è stato un successone! –
Le tre streghe si diedero il cinque, commosse, mentre Jack perdeva la mascella da qualche parte sul pavimento.
Voi cosa!? – gemette.
– Non fare il bisbetico. – lo azzittì la strega di mezzo. – Se stai bene è solo merito nostro!  E ora…– sussurrò con aria da cospirazione, tirando fuori da dietro la schiena una ciotola contenente qualcosa di grigio che galleggiava dentro un liquido blu. – … prova anche il fegato di troll affogato nelle lacrime di sirena. Ci serve un’opinione esterna se può essere usato o meno per la festa di Halloween! –
– Io continuo a dire che era meglio nelle unghie di fantasma sminuzzate, quello stramaledetto fegato. – sottolineò la strega smilza mentre la ciotola fumante veniva messa sotto al mento di Jack, operazione seguita da Cassian con un’espressione di puro interesse scientifico dipinta sul viso.
– Io dico che è buona anche così. – ribatté la strega bassa, allungando il naso dentro la ciotola per dare un’ultima controllatina al preparato.
Solo l’odore acre che proveniva dall’intruglio sarebbe bastato a spedire Jack direttamente da Sandy per una sessione straordinaria di sonno comatoso, senza che ci si mettesse anche la vista di qualche pelo (evidentemente di troll) che galleggiava placidamente sulla superficie dell’acqua.
Jack raccolse tutte le sue forze e colpì la ciotola con entrambe le mani, nel disperato tentativo di allontanarla, gridando: – Io non berrò questa roba! –
Le tre streghe lanciarono all’unisono un gemito costernato quando la ciotola in questione si spaccò in mille pezzi al suolo, rovesciando l’intero contenuto sul pavimento.
– Guarda che hai fatto! – ululò la più bassa mettendosi le mani nei capelli crespi.
Un alone opalescente iniziò a levarsi laddove il liquido blu si era riversato e ben presto, venne seguito da un pungente odore di bruciato e da quattro bocche spalancate, compresa quella di Jack perché quella di Cassian si arcuò solamente in un sospiro di diletto.
Dove l’intruglio aveva letteralmente corroso il pavimento si apriva un modesto foro frastagliato che permetteva, a chi avesse avuto la curiosa voglia di guardare cosa nascondesse il piano sottostante, di poter constatare di persona i suoi misteri.
Jack indicò il buco che l’alta acidità delle lacrime di sirena aveva aperto nel solido legno del solaio. – E voi volevate farmi bere quella roba? –
Due streghe annuirono, perplesse più che contrite, mentre la terza si limitò ad esclamare imbronciata.
– Io l’avevo detto che erano meglio le unghie di fantasma. Ma mai nessuno che dia ascolto alla strega smilza. –

***

Mancando solo due giorni ad Halloween l’intero reparto speciale di zucche era seriamente impegnato in azioni completamente inutili: seminavano polpa come tante lumachine laboriose, costruivano castelli di ossa agli angoli delle strade e lanciavano briciole di canditi ovunque passassero.
Nicholas St. North guardò quell’affannarsi con una strana sensazione di de ja vu che si faceva strada dentro la sua testa.
– Davvero sono zucche a fare preparativi per Halloween? –
Halley sospirò guardando due zucche aiutare una terza che si era rovesciata, tartaruga spiaggiata su una riva odorosa d’incenso votivo, a ritornare caracollando in piedi.
– No. Glielo lasciamo solo credere. –
North sentì un impeto d’improvvisa affinità con lo spirito del ragazzo fuligginoso che gli stava di fronte. – Tu sta me simpatico. Dovresti venirmi a trovare qualche volta su a Polo Nord. – gli propose allargando sul suo faccione rubicondo il più gaio dei sorrisi.
Per tutta risposta Halley lo squadrò da capo a piedi.
– Noi non possiamo uscire nel mondo degli umani se non durante i tre giorni che ci sono concessi, o te lo sei scordato? –
North si lisciò la barba, dubbioso. – Ma se io non ricorda male tu puoi uscire durante tutto l’anno. O io sbaglia? Mi pareva che spiriti come il tuo vagano anche sulla terra. –
Bunnymund, fino a quel momento rimasto in silenzio, rizzò le orecchie. – E dopo avremmo due Jack che “vagano” indisturbati? Hah! No, grazie. –
Halley gli ritornò lo sguardo sarcastico con un’aggiunta decorativa di scoppiettii battaglieri da parte di Lumin. Una delle scintille finì sul pelo tatuato di Bunnymund e Halley alzò un sopracciglio con finto rammarico quando si rese conto che la pelliccia stava fumando, blandita dalle fiamme dei carboni.
– Voi non sentite puzza di bruciato? – buttò lì con apparente noncuranza.
– Qui sa tutto di bruciato, di fuliggine, di polvere, di incenso o di terra umida. – replicò Bunnymund storcendo il naso. – Le mie delicate narici protestano per tutto questo guazzabuglio di odori! –
– Lumin... – fece Halley, rivolgendosi alla sua fiammella con un sorrisetto di scherno e piegando leggermente la testa di lato. – Credo che ci sia qualcuno qui che in quanto a spirito focoso non scherza affatto. –
In quel momento non fu Bunnymund ad accorgersi delle fiamme che ormai si alzavano alte dalla sua pelliccia ma North che, urlando come un vichingo, lo afferrò e iniziò a colpirlo con forza cercando di spegnere quelle lingue di fuoco.
Lumin si sganasciò dal ridere e Halley lasciò che un lampo dei suoi denti baluginasse in mezzo alle labbra socchiuse.
Come facevano ad essere quelli i Guardiani? Gli spiriti maggiori che avrebbero dovuto essere la protezione ed il sostegno dei bambini di tutto il mondo? Non riusciva proprio ad accettarlo, né a capire come avessero fatto a sconfiggere Pitch. Pura fortuna? Un attimo in cui la dea bendata aveva puntato le sue dita affusolate su di loro invece che sullo spirito della paura? In verità, visto che Pitch era tornato non erano riusciti a fare bene nemmeno quello…
– Certo che avresti potuto avvisarmi! – abbaiò Bunnymund, puntando il suo muso spelacchiato contro quello di Halley.
Improvvisamente sovrastato dall’ombra del coniglio, Halley reclinò lentamente la testa all’indietro per poterlo guardare negli occhi. – Ti ho avvisato, mi pare. –
Voce tagliente e sguardo noncurante furono due cose che Bunnymund non accolse affatto bene.
– Ho sempre saputo che né di te, né di quelli della tua risma ci si poteva fidare! Jack è vivo per miracolo e, ho il dubbio, nemmeno per merito tuo o della tua gente! –
– Liberissimo di non fidarti di noi. – rispose Halley, pacatamente. – E poi ognuno è libero di scegliere a che cosa credere: se credi che non siamo degni della tua fiducia la prossima volta non venire qui a chiedere il nostro aiuto. –
Bunnymund non si lasciò sfuggire quell’occasione troppo ghiotta, il ragazzo gliel’aveva praticamente servita su un piatto d’argento e lui era ancora troppo arrabbiato ed umiliato dall’ultimo fatto per riuscire a mettere un freno alla sua lingua.
– Si, siamo liberi di scegliere a che cosa credere. – ripeté – E nessuno sceglie di credere in te o nella tua gente. Sanno perfettamente che siete fatti della stessa pasta di Pitch e dei suoi incub…–
Aster Bunnymund!
Era stato North con la sua voce tonante a fermare quella frase prima che venisse terminata, ma ormai Halley e anche chi stava loro intorno aveva potuto sentire quanto bastava per trarne le dovute conclusioni.
– Già. – fece Halley, cercando di controllare il tremito delle mani; Lumin borbottò minacciosa al suo fianco. – Nessuno crede a Jack O’Lantern - se non come ad una leggenda o ad un personaggio magari veramente esistito ma ormai morto e sepolto, è vero - e nessuno crede alle streghe, agli orchi, alle zucche parlanti e a molte altre cose che fanno parte del nostro mondo, però intanto la festa di Halloween esiste e sono miliardi i bambini che ogni anno partecipano alla fiaccolata che accompagna i morti dentro alle loro tombe o gli spiriti infestanti dentro i loro pertugi. Non dimenticarlo, Bunnymund. –
Halley si avvicinò ulteriormente, gli occhi fiammeggianti di una rabbia repressa.
– Se davvero credessero a noi, non ci sarebbe più bisogno di voi. –  sussurrò dentro alle lunghe orecchie del coniglio – Quindi prega … prega che non incomincino mai a credere anche minimamente alla nostra esistenza. –
La velata minaccia non sfuggì a Bunnymund che ridusse i suoi occhi ad una fessura.
– Qui tensione è diventata esagerata come le mutande con alberelli che ho indosso! – esclamò North all’improvviso con vigore ed un’allegria fasulli. – Nessuno voleva dire quello che è stato detto, e credo che tutti dobbiamo ricominciare daccapo nostra conversazione. Quindi… davvero sono zucche a fare preparativi per Halloween? –
Sia Halley che Bunnymund lo ignorarono, e North abbassò le braccia lungo i fianchi, sfinito. Riaprì la bocca per cercare di rimettere a posto le cose per un’ultima volta ma le voci concitate di alcuni scheletri interruppero il suo tentativo di conciliazione, nonché le occhiate incendiarie che scorrevano come lava tra Bunnymund e Halley.
– Signore O’Lantern! Ci aiuti! I fantasmi! Tutti i fantasmi che stavano allestendo la Casa Stregata si sono bloccati! Fermati! Perduti! –

***

Seduta nemmeno troppo comodamente sulla nuvola dorata di Sandman, Toothiana guardò sospirando il cielo di fronte a loro: terso e imbellettato dai primi rossori del sole al tramonto. La sua preoccupazione era condivisa pienamente dalle sue Dente da Latte che avevano insistito per accompagnarla nonostante tutte sapessero bene che il posto in cui stavano andando non era per niente adatto a delle piccolette come loro.
“Fare onore alla divisa” era il loro motto, ma quando c’era di mezzo Halloween, l’unico onore che veniva in mente a Toothiana era quello conquistato in battaglia a suon di filo interdentale e di dentifricio alle erbe, usati senza alcuna moderazione contro il Signore della Carie, Principe della Parodontite e Sciagura imberbe degli Odontoiatri.
– Quanto manca ancora, Sandy? –
Sandman formò sopra la sua testa una clessidra dorata e fece scorrere la sabbia al suo interno con un sorriso paziente.
Mancava poco. Finalmente…
Stranamente taciturna, Candelora non aveva aperto bocca per tutto il viaggio ma - e di questo Toothy ne era parecchio certa - mano a mano che si avvicinavano ai cancelli di Sotto Mondo e, di conseguenza, anche a Bunnymund, la Marmotta acquisiva tonalità che a ben vedere si sposavano magnificamente con i raggi scarlatti del sole morente.
Ma se Candelora pensava ad un batuffolo peloso in particolare, Toothy aveva ben altri batuffoli per la testa, più freddi e decisamente più fioccanti. Sospirando per l’ennesima volta e beccandosi l’ennesima occhiata paziente di Sandman, ritornò a poggiare il suo mento piumato sopra un’ansa della nuvola, le ali impazienti ripiegate dietro la sua schiena e le Dente da Latte che le si affollavano intorno.
Quando i cancelli di ferro battuto di Sotto Mondo, lavorati come solido pizzo nero, si stagliarono davanti a loro, in una spaccatura della roccia poco distante da un tetro cimitero, Candelora fu la prima a saltare in piedi, fischiando tra i suoi enormi denti.
–Ci siamo! Ci siamo! –
Sandman le lanciò un’occhiata penetrante, intimandole di stare tranquilla, ma fu egli stesso a rimanere senza-figure sopra la sua testa per la sorpresa.
I cancelli erano piegati su loro stessi con un angolo innaturale, le punte di alabarda sparse per terra come se ci fosse stato qualche monello che si fosse divertito a toglierle una ad una, con pazienza certosina, lasciando come ricordo al loro posto uno sci rotto di una slitta rossa incastrato in mezzo a due sbarre.
–Jack…– sussurrò Toothy, facendo fremere le ali dalla paura.
Avevano ricevuto il messaggio di North attraverso il sistema di connessioni di Halloween (nella fattispecie fantasmi di piccioni viaggiatori) e non appena avevano saputo delle condizioni gravi in cui versava Jack Frost si erano subito mobilitati per raggiungere i loro amici.
Dopo un giorno di viaggio, molti sospiri e parecchie occhiate pazienti erano finalmente arrivati.
Si avvicinarono al cancello circospetti, con docili spirali della nuvoletta dorata, e lo superarono col cuore in tumulto, il mondo di Halloween che si spalancava di fronte a loro.
–Il luogo della perdizione…– mormorò Toothy a fior di labbra, occhieggiando ogni albero storto e ogni sinuosa curva di acciottolato nero con ansia crescente. – Statemi vicine, mie Dente da Latte, qui gli zuccheri tendono agguati dietro ogni angolo buio. Non si sa mai quando e come ti possono aggredire. –
Le Dente da Latte si strinsero attorno alla loro fata madre, trillando disperate.
Candelora le ignorò e seguì con attenzione le manovre con cui Sandy le portò vicino ad un folto raggruppamento di mostri di ogni tipo: zombie, streghe, scheletri, zucche e persino qualche impettito vampiro, tutti stavano sommessamente commentando qualcosa che sembrava essere accaduto dentro ad una certa Casa Infestata.
Sandman si avvicinò ulteriormente e i primi paesani cominciarono ad accorgersi con stupore della loro presenza. Sembrava che troppi fatti anormali si fossero succeduti in quel luogo, perfino per gente come loro, abituata alla follia e all’atipico, per non essere accolti col dovuto sgomento.
Toothy però non badava a nessuno di loro, concentrando tutto il suo sguardo su di un unico punto in mezzo alla folla in cui sostavano tre figure a lei conosciute. North se ne stava in piedi dandole le spalle, Bunnymund invece era di profilo e in mezzo a loro stava un esile figura, appena visibile.
–Jack! – gridò Toothy, sollevata nel vederlo già in piedi.
Subito sentì la gioia sprizzarle da ogni poro piumato e senza aspettare né Candelora, né Sandman - lasciandosi completamente guidare dalla felicità del momento - si librò in aria, dirigendosi come una scheggia tra le braccia di Jack, abbracciandolo forte e posandogli un lungo bacio sulla guancia.
–Oh, Jack! Sapessi che paura ho avuto! – Poi si rivolse a North e a Bunnymund, raggiante come se avesse appena visto spuntare il primo dentino nella bocca di un bambino. –E voi come state? –
L’espressione pietrificata che accolse quella domanda la colse impreparata.
–Che vi succede? –  chiese confusa –  Sapevate che stavamo arrivando! –
Fu Bunnymund a parlare e lo fece indicando con una zampa il ragazzo che stringeva tra le braccia.
–Hai preso il Jack sbagliato, Toothy. –
Toothy si staccò leggermente dal collo del ragazzo, quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
Occhi neri come carboni e non azzurri come ghiaccio.

–Non avrei mai creduto che tu potessi stare così in pena per me … Toothiana. –
Pura constatazione impreziosita di stucchevole sarcasmo che grondava da ogni parola, denso come resina sopra un tronco e dolce come miele: questo recepì Toothy prima di balzare all’indietro strillando tutto il suo disgusto.
–TU!!! Essere spregevole! Abominevole zolletta di zucchero! –
Halley alzò un fine sopracciglio. –Nessuno è certamente spregevole quanto me e le mie zollette, ma almeno abbi il buon senso di non dirlo dopo essermi balzata addosso e avermi baciato con tanto trasporto. –
–TU!!! – ripeté Toothy, arrossendo perfino dove le piume avrebbero dovuto avere una sfumatura smeraldina. – Non ti bacerei nemmeno se tu fossi l'ultimo spirito sulla faccia della terra ed io avessi a disposizione solo te ed una torta allo zucchero filato tra cui scegliere! –
Halley si concesse un sorriso, anche se nelle sue labbra non c’era alcun divertimento.
– Questo mi pare fin troppo chiaro. Ora, se vuoi scusarmi, stiamo cercando di capire che cosa stia succedendo nei miei domini. –
Toothy cercò con lo sguardo North e Bunnymund che le risposero con un’occhiata mesta.
–A quanto pare Pitch è stato qui. – rivelò North a mezza voce.

***

Sandman e Candelora raggiunsero i compagni poco dopo, ma anche loro vennero accolti con poco entusiasmo. Sandy chiese spiegazioni a North, ma ottenne solo uno scuotere sconsolato della barba bianca; Candelora lanciò sfuggevoli occhiate a Bunnymund, nonostante la serietà di tutti i presenti scoraggiasse simili comportamenti, e venne ricambiata da una serie di sobbalzi terrificati ogni volta che i suoi occhi di marmotta incontravano il corpo tatuato di lui.
Halley si era staccato dal gruppo e stava esaminando il luogo del misfatto.
Davanti ai presenti, dondolando a mezz’aria come gusci di noce su acque leggermente mosse, stavano alcuni fantasmi congelati. Quello che li bloccava però non sembrava essere il gelo delle nevi quanto piuttosto una seconda morte, un irrigidimento che li faceva assomigliare più a solida roccia che non a evanescenti agglomerati gassosi. Per terra, North e Bunnymud avevano riconosciuto le stesse scaglie nere che avevano trovato vicino alle macerie della casa della Befana, le stesse che avevano avvelenato Jack. Per quello nessuno si avvicinava - a parte Halley che ignorava bellamente ogni possibile consiglio rivolto alla sua persona - e nessuno si azzardava ad esprimere ad alta voce i suoi pensieri.
Il sapere che Pitch Black era stato lì, a pochi passi da loro, sembrava aver guastato lo spirito a tutti i mostri di Halloween che guardavano in soggezione il loro Signore in attesa che lui dicesse o facesse qualcosa.
L’unico problema era che Halley non sapeva che cosa fare. Aveva rifiutato l’offerta di Pitch e ora ne stava subendo  le ritorsioni.
Digrignò i denti, dandosi dello stupido. Se l’Uomo Nero, usando quei trucchetti, sperava di portarlo dalla sua parte si sbagliava di grosso. Aveva già ordinato alle sue streghe di trovare il rimedio per lo stato granitico dei fantasmi, così come avevano fatto con Jack Frost, e se mai ci fossero stati altri incidenti avrebbe risolto anche quelli. Halloween era alle porte e lui non avrebbe permesso a nessuno di guastare gli unici tre giorni di libertà che la sua gente poteva permettersi nell’arco di un anno intero.
Mentre stava rimuginando su cosa dire alla folla che lo guardava, come stordita, colse un movimento ai lati del suo campo visivo: Cassian, accompagnato da un Jack Frost molto traballante, costretto ad appoggiarsi al suo bastone per non cadere, fendette la folla come un certo essere umano dai poteri biblici.
Non ci fu bisogno di spiegare niente a nessuno dei due: bastò uno sguardo ai fantasmi, alle schegge nere sparse in terra e alla folla silenziosa che come un corteo funebre vegliava la decina di statue sospese nell’aria, e le molte altre presenti dentro alla Casa Infestata.
Senza andare troppo lontani dalla verità si sarebbe potuto dire che Halley era un tipo dal carattere così solido che avrebbe potuto sopportare di tutto senza scomporsi. Aveva sopportato lo sguardo di puro odio che gli aveva rivolto Bunnymund, aveva sopportato la finta esuberanza di North e aveva accettato con noncuranza la ripugnanza con cui la Fata dei Denti gli aveva rivolto la parola. Non aveva mai dato troppa importanza alle opinioni altrui. Così che in molti si sarebbero potuti chiedere che cosa non riuscì a sopportare nello sguardo di Cassian e quale sentimento lesse in quello di Jack Frost che lo fece definitivamente crollare.
Lumin avvertì quel cambio repentino e si sporse dalla lanterna con una serie di lingue infuocate, rammaricandosi di non poter stare vicina al suo Halley così come invece era da sempre stato suo desiderio.
Sotto gli sguardi attoniti di tutti, Halley richiamò la sua ruota infuocata e si diede ad una fulminea fuga.
Non aveva una metà precisa, sapeva solo di non poter più restare in quel posto; ovunque ma non lì. E questo perché si era reso appena conto che, forse, Bunnymund aveva ragione.
Nessuno sceglie di credere in te o nella tua gente perché tutti sanno perfettamente che siete fatti della stessa pasta di Pitch e dei suoi incubi.
Non aveva mai dato troppa importanza alle opinioni altrui… finché le sapeva lontane dalla verità.
Cassian sapeva che aveva detto di no alle offerte di Pitch, ma allora perché quello sguardo da “te lo avevo detto”?
Ho sempre saputo che né di te, né di quelli della tua risma ci si poteva fidare!
Chi gioca con la paura, rischia di rimanere imprigionato nell’oscurità insieme ad essa. E lui aveva giocato, gli aveva detto di no e l’oscurità ora si vendicava sulla sua gente. Sarebbe riuscito veramente a rinnegarla ancora quando Pitch si fosse presentato la volta successiva per chiedere il conto?
Sei un essere spregevole! Abominevole!
Se salvava la sua gente diventava come tutti già credevano che fosse: della stessa materia di cui erano fatti gli incubi. Se invece decideva di dire di no a Pitch, abbandonando la sua gente, li condannava tutti a una morte ben peggiore.
La differenza era lui: Jack O’Lantern, l’essere spregevole, il Signore della Lanterna.
Ma poteva una singola luce fare la differenza quando ci si trovava nelle tenebre più fitte?

***
Nessuno seguì Halley.
La sua fuga lasciava negli animi qualcosa di troppo simile al torbido retrogusto del tradimento perché qualcuno della sua gente decidesse di seguirlo; e per i Guardiani c’erano altri problemi, più oscuri e più paurosi a cui pensare.
Jack Frost osservò Cassian con sguardo interrogativo, credendo che almeno lui l’avrebbe seguito ma il demone non mosse un solo muscolo. Solo un guizzare degli occhi socchiusi rivelava il tumulto che stava sconvolgendo il suo animo centenario.
– Seguilo. – fu la sua neanche tanto velata richiesta. – Per favore. –
Jack Frost sorrise: in fondo gli importava, forse gli importava più di quanto non fosse disposto ad ammettere con sé stesso.
–L’avrei seguito in ogni caso. –gli rispose prima di richiamare a sé i venti del grecale e della tramontana, freddi e potenti, sollevandosi in aria come un singolo granello di polvere.
Lo cercò a lungo ma come scoprì ben presto Halley non era soggetto ai vincoli della sua gente e, se lo desiderava, poteva anche inoltrarsi nel mondo degli esseri umani, persino in notti diverse da quella di Halloween, di Ognissanti e dei Morti.
Lo cercò sotto ai ponti, dentro ai cimiteri, dietro gli angoli bui e sopra i tetti della case, sempre senza risultato. Poi una figura solitaria in compagnia di un tenue lumino si sporse da dietro un camino e lo guardò a lungo, prima di tornare ad eclissarsi nell’alone di oscurità che il comignolo allargava intorno a sé.
Jack balzò in quella direzione e atterrando barcollò lievemente, reduce da quell’intero giorno passato a dormire e a ristabilirsi dagli effetti delle schegge mortali, non ancora del tutto padrone dei muscoli del suo corpo.
– Non credo che scappare sia stata una mossa granché intelligente. – gli disse, allungando il collo per guardarlo. Halley non lo ricambiò neppure e il triste lumicino di Lumin fu l’unica cosa che brillò in risposta al suo commento.
Jack mosse il bastone e con leggerezza si sedette al fianco di Halley, incrociando le gambe.
Da quel punto si poteva vedere l’intera città e Jack osservò per qualche secondo le luci delle case, i movimenti delle ombre all’interno di esse e ascoltò le tenui conversazioni che avvenivano lontano da loro.
All’improvviso dentro alla sua testa fioccò un’idea e si girò sorridendo verso Halley.
–Vieni, ti devo mostrare una cosa. –
Finalmente Halley si girò a guardarlo.
–Non credo di volere la tua compassione. –
Jack sentì il sorriso abbandonargli le labbra.
–Non lo sto facendo per compassione. –
–Pietà? – riprovò Halley, quasi che cambiando definizione ottenesse in cambio anche una diversa risposta. –Commiserazione? –
Jack corrugò la fronte. –Una volta una persona per niente saggia mi ha detto che dovevo capire qual era il mio Centro. –
–Una persona per niente saggia? – ripeté Halley, tanto per sincerarsi di aver sentito bene. –Quindi mi stai dicendo che devo trovare un qualcosa che uno stupido ti ha detto di trovare? Quasi quasi mi domando perché non ti ho mai chiesto prima un consiglio…–
–Non ho detto che era stupida. – sottolineò Jack. –Ho solo detto che ha un modo tutto suo di essere intelligente. –
Il primo vero sorriso che Jack gli avesse visto fare comparve sul volto di Halley. – E quindi tu hai diligentemente trovato il tuo Centro, proprio come quella persona diversamente intelligente ti aveva detto di fare? –
–Più o meno. – confessò Jack, scrollando le spalle. –Il mio centro era ed è, il divertimento, lo svago, i giochi e tutto ciò che ad esso è collegato. –
–Come lo hai scoperto? – chiese Halley, più perché Lumin aveva mandato scintille d’interessamento che non perché si sentisse personalmente coinvolto nella faccenda.
–Capendo chi ero, sono riuscito a scoprire chi sono. –
Halley grugnì, quasi avesse represso a fatica una secca risata.
–Profondo detto da uno spirito il cui centro è il divertimento. –
Jack ridacchiò e mosse le mani sul bastone con insistenza. –Allora vieni? Si?? Bene, si parte!–
Una folata di vento gelido sollevò entrambi, prima che Halley potesse anche solo pensare ad una risposta, e li trascinò lontano, sul tetto di una casa specifica che Jack ricordava di aver frequentato con assiduità nemmeno qualche anno prima.
Halley atterrò malamente sui coppi e la sua mano perse la presa sul bastone che sosteneva la lanterna di Lumin. Gemendo si rialzò più in fretta che poté ma Lumin scomparve oltre la grondaia con un gridolino linguacciuto prima che potesse riafferrarla.
–Lumin! – gridò, gettandosi sul bordo del tetto con slancio angosciato solo per scoprire che la lanterna se ne stava, tranquilla e pacifica, appoggiata di lato sul davanzale della finestra sottostante sul quale era caduta.
–Oh…– fece sbattendo le palpebre di fronte alle vampate rosee di Lumin, evidentemente lusingata che il suo custode si fosse quasi spaccato due costole pur di riprenderla per tempo. Esaurito il momento di sorpresa, Halley rivolse la sua rabbia su Jack. –Ma che ti salta in mente? –
–Scusa. – fece Jack, grattandosi la testa. –Ma mi pare che stia bene, quindi non c’è nessun problema, no? –
Halley lo guardò mentre saltava a sua volta sul davanzale e raddrizzava la lanterna di Lumin, beccandosi una danza frenetica di infuocato ringraziamento. Halley pensò, prima di poterselo impedire, che Cassian probabilmente non era l’unico ad avere un debole per i ragazzi dai capelli bianchi.
–Su entriamo. – disse Jack, ritornando a rivolgere il suo sguardo verso l’alto, ad incontrare gli occhi neri di Halley. –C’è un umano che voglio farti conoscere. –
Halley stava per commentare sarcasticamente che non ne aveva la benché minima intenzione quando la temperatura calò di colpo e si ritrovò a rabbrividire, scoprendo che non era stato il solo. Jack si rialzò di scatto e si guardò intorno, stringendo il bastone tra le sue dita con tale forza da far sbiancare le nocche.
Riconosceva quel gelo e quell’oscurità improvvisa, sapeva a chi apparteneva eppure faticava ad accettarlo.
Un turbine nero, simile ad un ciclone in miniatura composto di aria così corposa e voluminosa da sembrare liquido in ebollizione, si attorcigliò su sé stessa fino ad andare a comporre i lineamenti pallidi e perfetti di Pitch.
–Spero di non star interrompendo nulla. Mi dispiacerebbe molto.– l’Uomo Nero sorrise maliziosamente e poi ritornò di colpo serio. –No scherzo, non mi dispiacerebbe affatto. Dunque … Jack, è un piacere rivederti! –
Pitch! – ringhiò Jack assumendo all’istante la posizione d’attacco. Lanciò uno sguardo alle sue spalle per sincerarsi che Halley stesse bene, ma Pitch riuscì a prenderlo di sorpresa lo stesso.
–Oh, non tu Jack Frost. Sto parlando col nostro amico in comune: Jack O’Lantern… –
Sgranando gli occhi Jack tornò a guardare Halley, ma scoprì con ancora maggiore turbamento che il ragazzo non stava affatto guardando Pitch ma qualcuno alle sue spalle.
–Satia…–
–Halley? Che hai?–
–Jack…– sussurrò Halley con un improvviso nodo alla gola. –Quella è mia sorella. –




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Eeeeeee meno male che ho tagliato una parte del finale e soprattutto meno male che avevo deciso di scrivere poco -.-  ed invece, per non una ma per ben due volte… SBAM! Papiro delle dimensioni di un rotolo di carta igienica regina: più che lungo, smisurato!
Una montagna di baci a tutti quelli che hanno commentato, vi salut!

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Capitolo 5
*** Nightmare Treat ***



CAPITOLO 5

NIGHTMARE TREAT


I'm a nightmare, you better run
I'm back to hunt you down

Halloween, in the death of the night, hear me scream
I'm coming, I'm coming
Halloween, is the fear that I fight in my dream
Keep running, keep running

                                           Halloween, Aqua


La convinzione di aver capito male aleggiò sui pensieri di Jack Frost come una dubbiosa nuvola che nasconda il sole più per dispetto che per reale volontà. Qualcosa sicuramente doveva essergli sfuggito perché dubitava che le sue orecchie avessero compreso appieno ciò che era uscito dalle labbra di Halley.
–Tua sorella? – ripeté, guardando incredulo prima la grigia figura, esile e pallida, alle spalle di Pitch e poi lo spirito di Halloween.
Lumin scoppiettò preoccupata e lanciò qualche fiammata d’avvertimento in direzione di Pitch, tanto per fargli capire che non la intimoriva affatto.
–Satia. – chiamò Halley, lo sguardo in tralice e perso in ricordi che solo lui sembrava ricordare, poi gridò più forte. –Satia! –
La ragazza alzò lo sguardo e corrugò la fronte, non un solo segno che anche lei avesse riconosciuto il fratello perduto.
– Satia, sono io! Sono Jack! – chiamò di nuovo Halley, la voce che si ostinava a non lasciar andare per sempre l’ultima scintilla di speranza del suo cuore. –Sono io, ricordi?! –
Un guizzo affilò lo sguardo della ragazza ma non una sola emozione fraterna attraversò i suoi occhi neri che rimasero impassibili, come se quello su cui stavano vagando fosse solo un estraneo come tanti altri.
All’improvviso Pitch scoppiò in una lunga risata che del divertimento non recava la minima traccia.
–Credo che questa sia la cosa più stupida, più divertente ed insieme più pietosa che abbia mai visto in vita mia! – esclamò quando fu riuscito a calmarsi almeno in parte. –Satiaa! Satiaa! – gridò imitando Halley con una vocetta stridula che non gli apparteneva. –Ma ti senti, Signore di Halloween? – gli chiese tornando al suo solito tono di voce caldo e suadente – Sembri un marmocchio che abbia appena perso la strada nell’oscurità e non riesca a tornare indietro. –
Halley lo guardò davvero con uno sguardo perso, da bambino smarrito, e Pitch non riuscì ad evitare di concedergli un bianco e smagliante sorriso.
–Non verrà da te. Lei è mia. Fa quello che le dico io e mi obbedisce ciecamente. –
–Mia sorella non farebbe mai una cosa simile! – s’infervorò Halley, sempre più fuori di sé, non riuscendo nemmeno a controllare la valanga di emozioni che si era schiantata contro la misera diga del suo autocontrollo. –Mia sorella è una persona buona! Lei fa i dolci ai bambini! Lei si preoccupa delle persone anziane! Porta fiori e frutta fresca sulle tombe dei morti, pregando per loro! Lei non potrà mai essere una tua alleata! Diglielo Satia! Digli che non è come dice lui! –
Qualcosa luccicò nello sguardo di Satia ma nessun muscolo della sua faccia si mosse. Lei rimaneva impassibile, quasi che fosse davvero succube del signore degli incubi e della sua paura.
Jack Frost registrò solo una parte delle parole di Halley.
Fiori e frutta fresca sulle tombe dei morti.
Alla sua mente ritornarono lo strano odore che aveva sentito poco prima di cadere avvelenato per colpa delle schegge di Pitch: agrumi… un aroma di arance e limoni.
Schegge di Petra Mors, la pietra che si usa a Sotto Mondo per sigillare per l’eternità gli spiriti infernali. La comprensione arrivò all’improvviso, fulminea come una saetta, ma inesorabilmente tardiva.
Si era sbagliato. Non erano dell’Uomo Nero quelle schegge di morte.
Mia sorella è una persona buona.
Forse una volta sua sorella era diversa, forse una volta lo era stata davvero una brava persona. Ma ora non lo era più, perché era lei che aveva…
–Satia!– pregò Halley un’ultima volta, sperando, credendo fermamente che sua sorella si sarebbe risvegliata da un momento all’altro e sarebbe corsa ad abbracciarlo, come faceva ogni volta, come aveva sempre fatto.
Nessuna reazione e nessuna emozione, però, sembrò animare il corpo o l’anima della ragazza.
Halley sentì la sua sicurezza venire calpestata come una lucciola sul prato, oppressa fino a quando anche l’ultima scintilla di luce non scompariva senza lasciare traccia.
Non poteva essere lei.
Capelli neri e lucidi che s’agitavano nel vento, in mezzo ad un prato fiorito. Voci giocose che lo chiamavano e il volto sorridente di una ragazza che gli porgeva una fetta di crostata di mele ancora calda, appena sfornata. Lui e sua sorella di fronte alla tomba dei loro genitori, lei che ogni anno portava alla loro memoria una fetta di quella crostata e dei freschi fiori d’arancio per addolcire la fredda, cruda terra.
Pitch si ravviò i capelli come se non sapesse che farsene delle mani e stesse gingillandosi con un passatempo che aveva perso ormai da tempo tutta la sua attrattiva.
–Allora Halloween? Hai finalmente capito da quale parte schierarti in questa guerra tra spiriti? Hai capito a chi ti conviene donare la tua fedeltà? –
La pietra nera della lapide su cui erano incisi i nomi di mamma e papà. Una pietra simile a quella che giaceva sotto ai fantasmi pietrificati nella Casa Infestata. L’odore di agrumi nell’aria…
Il caldo sorriso che lo accoglieva ogni volta che tornava dalla miniera, sporco di carbone e con la fronte solcata dai rivoli di sudore. Non importava quanto piccolo eri, nelle miniere c’era sempre posto. La costituzione minuta di un bambino permetteva di arrivare dove un uomo adulto non sarebbe mai arrivato. Anche da ragazzo nulla era cambiato. La miniera aveva sempre posti liberi.
–Non ho tutto il giorno… o tutta la notte se vogliamo essere precisi. Fai la tua scelta, piccolo spiritello, e vedi che sia la scelta giusta. – ingiunse Pitch affilando lo sguardo, mentre attorno a lui le ombre ribollivano di soffusa minaccia – Altrimenti ti riserverò la stessa fine che ho riservato a quegli altri stolti dei tuoi simili. –
Halley improvvisamente capì ciò che l’Uomo Nero gli stava dicendo in modo velato. Capì la sottile ragnatela che gli aveva intessuto intorno senza che lui se ne accorgesse. Ora sapeva che cosa possedeva di cosi importante, di così prezioso; talmente caro al suo cuore da renderlo incapace di rifiutare la sua offerta.
Un sentimento di sconfitta gli incatenò la mente: non era mai stato in suo potere cambiare le sorti della sua gente, non era mai stato lui a poter fare la differenza. Era sempre stato Pitch, lui e soltanto lui, a poter decidere.
Pitch Black lo aveva sempre saputo. Perfidia che non perdona, malizia che non dimentica e paura che non lascia sopravvissuti dove passa il suo manto di distruzione.
Mani calde che lo stringevano consolandolo. Nulla è per sempre, diceva una voce serena e tranquillizzante al suo orecchio. Solo l’amore è per sempre. E io sarò sempre con te, anche quando non ci sarò più.
La malattia che non perdona, che non distingue tra buoni e cattivi, aveva deciso di prendere lei. Perché proprio lei?
Ricorda. È per sempre.
Halley rialzò lo sguardo su Satia, senza riuscire a ricordarsi quando lo avesse abbassato.
–Avevi detto che era per sempre! –
La sua voce era spezzata e qualcosa di caldo gli inumidiva le guance. Si ripulì le lacrime con furia, quasi strappandosele dagli occhi.
–AVEVI DETTO CHE ERA PER SEMPRE!!! –
Pitch serrò la mascella.
–Risposta sbagliata, Halloween. –
A differenza di Halley, Jack Frost notò il movimento delle ombre, scalpitanti come cavalli imbizzarriti, e vide il polso di Pitch Black tendersi per evocare la sua falce d’ombra. Poi, prima che tutto diventasse confusione e caos perpetrato dalla battaglia in atto, vide il manto nero di Satia inspessirsi e un bastone adunco, da traghettatrice, comparire nella sua mano minuta e pallida.
Balzò sulla cima del tetto per proteggere Halley, ancora privo della sua lanterna e dell’arma fiammeggiante di nome Lumin che essa conteneva, e fu allora che sentì la voce distaccata, assente, quasi vuota di una ragazza che gli sibilava all’orecchio.
–Nulla è per sempre.
Tranne la morte. –

***

Candelora stava fissando Bunnymund.
Fin qui niente di strano visto che Candelora fissava sempre Bunnymund quando ne aveva l’occasione.
Il dettaglio che faceva presagire qualcosa di diverso, nonché di potenzialmente pericoloso, era che Bunnymund teneva gli occhi chiusi, e stava approfittando di quel momento di pace per schiacciare un pisolino ristoratore.
Dopo l’avvelenamento di Jack, Bunnymund non aveva chiuso occhio per due notti di fila ed era riuscito a rilassarsi per davvero solo quando aveva ricevuto la notizia che il ragazzo stava bene, oltre ad averlo visto con i proprio occhi mentre li raggiungeva alla Casa Infestata.
Fischiando in mezzo ai dentoni sporgenti, Candelora si chinò ulteriormente sopra il suo muscoloso coniglietto e arrossì fino alla punta delle orecchie, bloccandosi.
–Non posso farcela. Non posso farcela. – bisbigliò mettendosi le mani sul volto e iniziando a borbottare tra sé e sé rapide frasi, tutte sconnesse tra loro, sull’essere un’incapace, una pusillanime e una marmottina senza la benché minima briciola di coraggio.
Poi tolse le mani e ritornò a guardare Bunnymund. Un respiro più profondo degli altri la informò che lui stava ancora dormendo tranquillamente, senza sospettare nulla.
Direttamente dalle labbra dei mostri di Halloween, Nicholas St. North aveva sentito alcune brutte voci che intessevano i racconti della scomparsa di svariati spiriti negli ultimi tempi. I più informati tra le schiere dei demoni avevano la ben nota abitudine di bazzicare le bettole più infamanti e i luoghi più oscuri di Sotto Mondo, così North aveva deciso di andare insieme a Sandman a verificare la veridicità di quelle voci.
In attesa del loro ritorno, Toothy si era data a delle suggestive lezioni sull’uso del filo interdentale e degli effetti benefici del fluoro sui denti, esposte ad un basito pubblico di zombie e di lupi mannari che la seguivano sempre più impressionati dai suoi consigli.
Candelora invece si era data ad attività ben più impegnative e di ben più alte prospettive: riuscire a baciare Bunnymund.
Ritornò col pensiero al Guardiano Addormentato che le stava di fronte e si convinse che quella volta, sarebbe stata La Volta. Assolutamente decisa a non lasciarsi sconfiggere dalle sue paure, si piegò su Bunnymund e poco per volta arcuò le labbra a simulare un bacio a distanza.
“Ecco. Non è difficile. Ora basta scendere mantenendo questa posizione.”
Iniziò a scendere mantenendo i muscoli della bocca rigidi e serrati, poi fiduciosa sfiorò il labbro superiore di Bunnymund.
L’emozione fu troppa e la testa iniziò a girarle, ma sapeva che non poteva demordere. Doveva riuscire a trasformare il suo quasi bacio in una bacio vero e proprio, anche per rendere giustizia a tutti i quasi-baci che l’avevano preceduto.
Raccolse tutte le energie che le erano rimaste e posò finalmente le sue labbra su quelle di Bunnymund, o meglio… posò i suoi denti sul labbro inferiore di Bunnymund.
Candelora chiuse gli occhi e il coniglietto pasquale scelse proprio quel delicato momento per svegliarsi.

***

Vorticando la falce sopra la sua testa, Pitch Black abbatté tutta la sua forza contro Jack Frost che piombò al suolo trascinando con sé nella rovinosa caduta pure Halley.
Osservando quella scena con la stessa emozione con cui una statua ricambia un abbraccio, Satia seguì i movimenti rapidi e cristallini con cui Jack si rialzò e sottrasse Halley all’ennesimo attacco. Il ragazzo dai capelli fuligginosi non sembrava in grado di reagire: ogni sua resistenza era stata spezzata sul nascere con una violenza e una brutalità da cui era difficile, quasi impossibile, riprendersi.
Eppure Satia sopprimeva le emozioni che scalpitavano dentro di lei, più furiose persino degli incubi di Pitch, con una forza che nessuno le avrebbe attribuito. Doveva trattenersi perché non poteva permettersi di mandare tutto all’aria proprio adesso. Proprio non poteva…
Halley doveva unirsi a Pitch, poi tutto gli sarebbe diventato più chiaro: ne era certa.
All’improvviso i suoi occhi grigi notarono il bagliore della lanterna - ancora abbandonata sul davanzale della finestra - che le lanciava sguardi occhieggianti di sfida.
Satia le si avvicinò cavalcando i ribollenti spiriti neri e lasciò che questi ultimi si insinuassero nelle case della via, seminando la paura e l’oscurità in ogni stanza, in ogni letto, in ogni anfratto che riuscirono a trovare.
–Tu sei la lanterna di Halloween? – chiese con voce incolore.
La sua domanda fu accolta con calore; nel senso che Lumin avvampò ulteriormente - lambendo la superficie annerita della lanterna - e agitò due lingue infuocate con fare minaccioso.
–Immagino di si. – si rispose da sola Satia. –Lui deve diventare nostro alleato. Mi dispiace che le cose stiano così, ma lui non può evitarlo. Manca poco ad Halloween e al completamento del nostro piano. Manca così poco…–
Le ultime parole non sembravano riferirsi né alla festività, né al successo dei loro propositi, quanto a qualcosa che Satia stessa stentava a ricordare. Lumin sputò una corposa fiammata come risposta alle sue argomentazioni e lo sguardo della ragazza si adombrò.
–Non dovresti fare così. Tutto ciò che faccio è solo per il bene di …– si morse con forza la lingua prima che essa rischiasse di rivelare troppo.
Non poteva dirlo. Non poteva. Mantenere la promessa, ecco quello che doveva fare. Tutto il resto era secondario. Tutto il resto sarebbe andato a posto da solo. Doveva solo fare la sua parte, poi tutto sarebbe andato per il meglio.
Satia alzò lo sguardo verso la battaglia. Senza Halley a manovrarla, Lumin era una semplice fiamma dentro ad una lanterna; così come il bastone di Jack Frost, senza il suo guardiano era solo un mero bastone.
–Piccola fiammella. – disse Satia con voce dolce, quasi stesse dando la buonanotte ad un bambino piccolo. –È ora di dormire. Il sonno più dolce di tutti prima o poi raggiunge ognuno di noi. –
Lumin si contorse e iniziò a mandare un fumo nero, denso e malsano, da tutte le sue fiamme, ora sottili e aranciate. Nonostante fosse distante da lei, Jack O’Lantern lanciò un alto grido, come se lo avessero colpito in un modo troppo doloroso per essere descritto, un dolore che non colpiva al corpo ma all’anima.
Rapido di riflessi, Jack Frost creò una barriera di ghiaccio intorno al ragazzo, ma prima di poterlo soccorrere Pitch Black si materializzò di fronte a lui come una nera nuvola e lo incalzò con nuovi attacchi. Jack non ebbe altra scelta se non quella di rispondere a quell’offensiva, lasciando Halley momentaneamente al sicuro, ma in totale balia del suo dolore.
Ridotta ad piccolo grumo di braci rossastre ancora palpitanti, Lumin lanciò uno sguardo preoccupato al suo custode e poi uno carico d’odio a Satia . Quello sguardo, anche se non suscitò nessun cambiamento sui tratti del volto a cui apparteneva, ferì la ragazza. La sua mano cedette proprio all’ultimo e Lumin rimase cenere sbuffante tra cui fredde e lucide scaglie di pietra nera scavavano a fondo negli ultimi rimasugli di vita.
Satia la lasciò per librarsi fino al corpo senza sensi di Halley.
Era nascosto dietro una pesante cupola di ghiaccio, le mani strette al cuore e le gambe rannicchiate vicino al corpo. Non si muoveva, ma Satia poteva percepire la vita dentro di lui, agitarsi strenuamente come la fiammella che aveva appena ridotto in fin di vita.
Promesse non mantenute mentre era in vita…
–Halley? – chiamò appoggiando le sue dita sottili sulla gelida superficie della cupola. –Halley, ti prego… –
…che ora si ritorcevano su di lei nella morte…
– So che non puoi sentirmi, ma ti prego di perdonarmi. –
…e quella promessa che avrebbe voluto mantenere …
–Ti devo portare via con me. –
… ma che le era sfuggita di mano, senza che riuscisse a trattenerla.
La sua mano iniziò a perforare il ghiaccio, fondendolo come se i suoi polpastrelli fossero bollenti invece che gelidi. Un alone giallognolo si allargò sul ghiaccio; piccole crepe si allargarono come la chioma di un albero senza foglie intorno alle sue dita, minando la solidità dello scudo.
Tutto quello per un patto fatto con il signore degli incubi. Patto che non era nemmeno sicura che venisse rispettato, una volta che lei avesse adempiuto alla sua parte.
Ma che altra scelta aveva?
Non c’erano scelte con Pitch Black, niente bivii… solo strade diritte. L’unica speranza era trovare in fondo a quella strada ciò che lui ti aveva promesso.

***

Jack Frost vide con la coda dell’occhio la cinerea figura di Satia avvicinarsi alla cupola che proteggeva Halley. Avrebbe dovuto fare qualcosa ma Pitch non glielo avrebbe mai permesso.
–Jack…– rise Pitch, questa volta rivolgendosi chiaramente a lui e non ad Halley. –Davvero stai combattendo per salvare Halloween? –
Un fendente più possente degli altri fece tremare la presa delle dita di Jack attorno al bastone. Subito lui la rinsaldò e sferzò col suo duro ghiaccio la lama di Pitch, congelandola.
–Sei sicuro che ne valga la pena? – sibilò Pitch allontanandosi quel tanto che bastava per sciogliere il ghiaccio sulla sua lama e tornare, poi, all’attacco. – Sei così certo che lui non vi tradirà non appena ne avrà l’occasione? –
A Jack, Halley ricordava troppo il sé stesso del passato per poterlo abbandonare; quando ancora non sapevano se fidarsi o meno di lui, gli altri Guardiani nel momento del bisogno non gli avevano creduto. Aveva sbagliato a non tornare nella tana di Bunnymund subito dopo aver messo a dormire Sophie, ma non si era mai alleato con Pitch al contrario di quello che tutti erano stati subito pronti a credere.
Lui non avrebbe fatto quello sbaglio con Halley.
–Si, mi fido di lui. – rispose, stringendo il bastone e deviando con determinazione la lama d’incubo di Pitch. –Lui non è come te! –
–Quanta devozione per qualcuno che non ti deve nulla, Frost. –
Pitch accumulò nel suo pugno destro una nera condensa collosa e sferrò tramite quella un colpo diretto alla mascella di Jack, senza stupirsi quando quest’ultimo venne evitato con facilità.
Lo aveva previsto. Lo aveva previsto e aveva atteso con pazienza il manifestarsi di un’apertura nella difesa dell’avversario.
Con un montante colpì Jack in mezzo all’addome, utilizzando il retro della sua falce, e concluse con un diretto che spedì il ragazzo direttamente in mezzo all’asfalto della strada sottostante.
–Le emozioni come l’altruismo e la generosità, rendono deboli, Jack. – disse smaterializzandosi e ricomparendo sopra il corpo del suo rivale. –Spero che tu te ne sia reso conto. –
Jack non vide Pitch incombere su di lui, sentì solo il peso di quella nera figura schiacciarlo, premerlo contro la dura strada ed occludergli ogni possibilità di fuga.
–È la paura a rendere deboli. – ribatté Jack, praticamente in faccia a Pitch. I loro volti si sfioravano, pallido e gelido il suo, oscuro e spigoloso quello dell’Uomo Nero.
–E tu hai paura Jack Frost… – sussurrò Pitch, soffiandogli nelle orecchie, insinuando quella realtà dentro la morbida seta dei suoi capelli di neve. –Lo sento. –
–Si, ho paura… – ammise Jack, cercando di far leva sui muscoli della schiena ma venendo prontamente risbattuto a terra da un divertito Pitch Black, la cui esultanza sul volto era fin troppo palese.
– …ma non di te. – concluse.
–E di cosa se non di me? – volle sapere Pitch, lasciando che le sue ombre si unissero a quella naturale di Jack, costretta a giacere prepotentemente sull’asfalto come il suo padrone.
–Ho paura di perdere le persone a me care, ho paura di deludere quelli che credono in me e ho paura di …–
–Onorevole, Jack. Davvero onorevole. – lo sfotté Picth, iniziando a far entrare le sue ombre a contatto con la pelle di Jack, vezzeggiando quella superficie liscia e immacolata.
Il ragazzo rabbrividì a quel contatto così intimo, ma continuò imperterrito: –Solo la paura in sé è pericolosa, ma la paura per qualcosa o per qualcuno… è uno dei sentimenti più alti che ci possano essere. Vuol dire che ci tieni, che ti preoccupi, che non vuoi che quella persona soffra. –
Pitch si lasciò andare ad una risata limpida e cristallina e Jack poté sentire l’alito fresco accarezzargli il volto e il collo.
–Io mi preoccupo solo di me stesso. – rivelò Pitch. –Ma stando alla tua spiegazione, anche il mio è un sentimento buono, un sentimento d’amore, quasi.
Amore per me stesso. –
Le ultime quattro parole vennero scandite ad un soffio dalle labbra di Jack, e le ombre non si limitarono a danzare sulla sua pelle, ma si insinuarono oltre i vestiti, percorrendolo tutto e esplorandolo in modo subdolo.
Jack serrò la mascella e attraverso le fessure dei suoi occhi - ghiaccio infuocato e fiamma gelida dell’inverno, sguardo duro e fragile quanto un diamante - colse un movimento oltre le spalle di Pitch Black.
Era grigio, indistinto, molto grande. Subito pensò a Satia – e ad Halley che forse era riuscita a rapire per condurlo con lei nei mondi dell’Incubo – ma poi dovette ricredersi.
Decisi colpi rossi si univano al grigiore e lampi verde smeraldo baluginavo alle estremità unite a dorate architetture dalle forme più fantasiose.
Pitch scrutò lo sguardo di Jack e ne seguì il filo fin oltre alla sua spalla. –Vedo che la cavalleria Natalifatata sta infine arrivando. – Alzò la testa, pur senza mollare la presa sul suo acerrimo rivale, e urlò a Satia. –Pensaci tu, mia diletta! Io qui me la sto godendo troppo per abbandonare il campo per colpa di qualche stupida intrusione. –
Con una sfuggevole espressione di disappunto che venne subito mascherata da una facciata vacua e distante, Satia abbandonò la mano al suo fianco e fece come le era stato ordinato. In quell’attimo Jack, riuscì a ruotare la testa e vide che la sua cupola aveva quasi del tutto ceduto ma non si era rotta; Halley era ancora dentro, al sicuro.
Il cielo all’improvviso si oscurò, facendo impallidire perfino la notte più buia con le sue tenebre. Jack sentì una paura genuina attanagliargli lo stomaco. Era una paura profonda ed ancestrale, forse l’unica vera paura che coglieva chiunque ad un certo punto della sua vita: la paura di morire.
Perché in fondo ciò che meglio si sposa con l’oscurità non è il freddo, ma la morte. – rifletté Pitch in un lieve sussurro, come se stesse completando una frase che per lungo tempo aveva dominato i suoi pensieri o come se stesse rispondendo ad una muta domanda di Jack.
–Credo di averlo capito solo ora, Jack. Tu sei ciò che precede l’oscurità, non ciò che la conclude e la completa. –
Jack trattenne il respiro e Pitch si sporse in avanti - capelli neri sopra capelli bianchi, malizia sopra candore - e si poté udire lo scricchiolio di alcune ossa.
–Non riuscirai ad averla vinta! – ringhiò Jack, ribellandosi a quella stretta micidiale, nonostante le ombre di Pitch avessero ormai risalito tutto il suo corpo, arrivando a solleticargli la gola con mortale dolcezza.
–Oh, ma Jack! – rise Pitch come se avesse appena udito una deliziosa battuta. –Ma io ho già ottenuto quello per cui ero venuto! –
–Stai mentendo. –
–Io ho già vinto. –
Jack cercò la menzogna negli occhi dell’Uomo Nero, frugò quegli abissi di madreperla screziati dell’oro più puro, rischiando di perdersi nella loro furbizia senza però arrivare a trovare ciò di cui andava in cerca.
Ed era questo quello che Pitch voleva. Una volta ottenuta anche quella piccola soddisfazione personale non ebbe più motivo di rimanere. Uno dei suoi incubi lo avvinse dentro alle sue spire e sfilò dall’interno del suo manto la sfera cristallina di North.
–Ricorda Jack. Fidarti degli altri sarà la tua rovina. –
Con quelle parole Pitch Black si accomiatò, portando con sé anche le ombre evocate da Satia e la morte stessa.

***

Jack lasciò che il sollievo di poter di nuovo respirare liberamente si facesse strada dentro di lui.
Non seppe dire quanto tempo fosse passato nell’attimo in cui sentì delle forti braccia che lo sollevavano da terra con rudezza. North lo guardò preoccupato ma Jack non riuscì nemmeno ad ascoltare quello che usciva dalla labbra di lui, provando solo una profonda confusione.
I Guardiani stavano discutendo di come fosse possibile che quella strana donna fosse sfuggita senza lasciare traccia, proprio di fronte a loro, e soprattutto discutevano del perché Halley non avesse mosso un solo dito per aiutare Jack.
–Ti ha lasciato da solo a combattere Pitch! – esclamò Bunnymund, livido in volto.
–Non è così. – tentò Jack –Lui…–
–Cosa è successo? Tu racconta noi! – esclamò North, altrettanto turbato. –Ora! –
Jack si rese conto che erano stati tutti in pena per lui, si erano preoccupati e vederlo in quelle condizioni, sovrastato dagli incubi ed in completa balia di Pitch, doveva solo aver peggiorato i loro stati d’animo.
Così, mentre Sandman andava a portare soccorso anche ad Halley, Jack raccontò brevemente come si erano svolti i fatti
–Dunque è andata proprio così? – richiese North alla fine, quasi a sincerarsi che Jack non avesse omesso volutamente qualche dettaglio di sottile importanza.
–Si. – ribadì Jack, iniziando a sentirsi stanco. –Parola per parola. –
Toothy, allontanatasi solo per un istante, ritornò riportando tra le mani la lanterna e le grigie ceneri che essa conteneva. L’espressione mesta che portava in volto era più che sufficiente. L’appoggiò con cura vicino ad Halley, disteso sulla nuvola dorata di Sandy, e per una volta non disse niente che riguardasse ricorrenze e festività troppo zuccherose per i suoi gusti.
Nemmeno Bunnymund aprì bocca, eppure la postura rigida delle spalle e la ruga di concentrazione in mezzo alla fronte tatuata erano più che sufficienti per capire su cosa vertessero i suoi pensieri.
North si scambiò uno sguardo pieno si sottintesi con Sandy e sospirò.
Jack si accorse solo allora, e con somma incredulità, che i Guardiani non sapevano come comportarsi o cosa dovevano pensare di preciso … perché nessuno di loro si fidava ancora di Halley. La loro diffidenza sembrava essersi addirittura accentuata da quando aveva sentito che la donna bigia, Satia, era la sorella di Halley.
Vedendo la divisione, la diffidenza, il dolore e la frustrazione dei Guardiani, nella mente di Jack aleggiarono le ultime parole di Pitch.
Io ho già ottenuto quello per cui ero venuto.
Li aveva divisi. Li aveva portati a sospettare di qualcuno che poteva e doveva essere loro alleato.
Li aveva ingannati fin dall’inizio.
Io ho già vinto.
La risata di Pitch, sfaccettata in mille echi, riverberò dentro alla sua testa, assordandolo.
Subito si premette le mani contro le orecchie cercando di farla smettere, cercando di porre fine a quella tortura, ma quella risata non si spense.
Continuò ancora.
E ancora.
Io ho già vinto.



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Capitolo 6
*** Deadly whispers under the moonlight ***



CAPITOLO 6

DEADLY WHISPERS UNDER THE MOONLIGHT



Of all the wonders that I yet have heard
It seems to me most strange that man should fear;
Seeing that death, a necessary end,
Will come when it will come.

                     Death, William Shakespeare


A Sotto Mondo non si era mai vista un’espressione tanto amareggiata quanto quella che, in quel momento, stava infierendo sui lineamenti altrimenti perfetti di Cassian.
– Tra un giorno è Halloween. –
Una snella figura annuì senza guardarlo, continuando a guardare fuori dalla finestra qualcosa di invisibile voltandogli le spalle.
– Tra poco più di ventiquattr’ore sarà Halloween. – ripeté Cassian, la cui rituale compostezza minacciava di abbandonarlo da un momento all’altro.
La figura questa volta non mosse nemmeno la testa.
– Halley spogliati qui e subito, e poi baciami!! –
La risposta a quella domanda fu così effimera che nessuno si sarebbe tradito dicendo che, forse, non c’era nemmeno stata.
– Mio Halley! – esalò Cassian sull’orlo di una crisi di nervi. – Non fissare l’aria!!! –
Questa volta Halley si girò e lo guardò corrugando la fronte, riccioli di capelli nerissimi caddero a coprirgli gli occhi vacui. – Scusa, hai detto qualcosa? –
Cassian si morse la lingua per evitare di inveire molto coloritamente.
Da quando era tornato Halley non era stato più lo stesso. Si era fatto spiegare nei dettagli che cosa era accaduto da un esausto Jack Frost ed era riuscito a capire solo in parte quali pensieri ed emozioni potevano agitarsi dentro alla testa del suo Signore.
– I cancelli si apriranno all'alba. – mormorò andandogli vicino e sfiorandogli una spalla per attirare la sua attenzione. – Dovresti unirti ai festeggiamenti e non startene qui da solo a rimuginare. –
Fuori, in effetti, si potevano udire senza alcuna difficoltà i lamenti dei mostri e gli strilli acuti delle streghe, solo in parte smorzati dalla consapevolezza che la Casa Infestata era ancora silenziosa come una tomba. I tonfi echeggianti delle zucche si univano ai passi strascicati degli zombie; mentre i tamburi rollavano senza sosta accanto a focolari accesi un po' ovunque, quasi a casaccio, dai paesani.
I fuochi fatui, impalpabili lune azzurre contro il cielo bluastro, volteggiavano al lento ritmo di una silenziosa danza, lasciandosi trasportare mollemente dalla calda brezza che spirava tra le vie affollate.
– Il tuo è un buon consiglio. – fece Halley, monocorde. – Perché non lo segui tu stesso? –
Era un invito ad andarsene.
Le ombre che sembravano aleggiare in quella stanza si incupirono quando Halley ritornò a fissare un punto indeterminato oltre l'orizzonte, dando il chiaro segnale che per lui la conversazione era conclusa.
Cassian, però, ritentò con dolcezza.
– Credo che quest'anno le streghe si siano impegnate più del solito. Molti mostri giurano di aver provato liquori mortalmente buoni.–
Il silenzio si allargò come una patina sottile, pronta a spezzarsi da un momento all'altro. Le fibre però parvero resistere anche oltre lo stremo, lasciando tra di loro solo la tensione feroce di due volontà che non intendono retrocedere nemmeno di un millimetro sulle loro decisioni.
– Davvero…? – chiese Halley, la voce calma che annunciava tempesta. – Vammi a prendere uno di questi favolosi liquori allora. –
– Non faresti prima venendo con me? – tentò Cassian. – C'è ne sono molti tipi e non vorrei prenderne uno che non sia di tuo gradimento. –
Gli occhi neri di Halley vibrarono, braci non del tutto sopite che minacciavano di risvegliarsi se non lasciate in pace.
– Cassian. –
Una parola, un avvertimento.
Chiudendo lentamente le mani a pugno, serrando la stoffa candida della camicia di Halley dentro alla sua stretta disperata, Cassian sussurrò: – Non farlo. –
Sapeva cosa sarebbe successo non appena fosse uscito da quella stanza, chiudendosi fuori dal mondo di Halley e dalle sue paure; sapeva che non appena gli avesse voltato le spalle, l'unico filo che ancora tratteneva Jack O'Lantern nel loro mondo si sarebbe spezzato…
… per sempre.
– Halley non... –
– Mi pare di averti fatto una richiesta. –
Non una domanda, ma un ordine.
Le dita di Cassian persero la presa sulla stoffa e il braccio gli ricadde lungo il fianco.
– Se è questo quello che desideri. –
– Si. – annuì Halley, irrigidendosi. – È quello che desidero. –
Nessuno stava più parlando dei liquori.
Chinando il capo suo malgrado, Cassian uscì dalla porta e non appena sentì il clangore del gancio che richiudeva l'uscio alle sue spalle, i suoi sensi sviluppati captarono un movimento all'interno della stanza. Poi più nulla.
– Spero che non te ne pentirai, Halley. – sussurrò a fior di labbra, senza riuscire a staccarsi da quella porta; quasi che allontanandosi da quel freddo legno non potesse più continuare ad ingannare sé stesso.
Si appoggiò alla parete e rimase lì, il braccio alzato sul volto e ripiegato sugli occhi a nascondere la sua espressione di puro dolore, incapace di andare avanti e pure di tornare indietro.

***

Toothiana lasciò riposare per qualche attimo le sue ali, muovendole con circospezione come si è soliti fare con una spalla indolenzita.
– Cosa facciamo ora? – chiese avvilita, – Le grotte nere di Pitch erano vuote, il passaggio sotto al letto abbandonato da tempo: non abbiamo più piste da seguire… –
Quella verità venne seguita da un silenzio unanime. Perfino Jack Frost rimase in silenzio, in disparte, senza alcuna idea su quale sarebbe dovuta essere la loro mossa successiva.
– Non li troviamo perché usano la sfera di North per spostarsi. – spiegò Bunnymund, limitandosi a sottolineare ciò che ormai era diventato ovvio a tutti. Candelora però annuì, fissandolo con fervente ammirazione come se solo lui avesse potuto cogliere il punto della situazione in modo così perspicace.
Non appena si accorse di quel fatto, Bunnymund si ritrasse inconsciamente. Le sue labbra recavano ancora un taglio netto, li dove i denti della sciagurata si erano posati in quell'angoscioso bacio, e la ferita gli bruciava tutt'ora con fastidiosa insistenza.
Con espressione colma di dolore, Sandman formò alcune forme dai lineamenti agitati sopra la sua testa e le indicò con entrambi gli indici. Figure minute ed alate scomparvero nel pulviscolo screziato insieme a bambinetti dal floscio cappello a punta.
– Sandy  ha ragione. – commentò North, compito. – Sono spariti anche folletti del pane e fatine delle foglie d'autunno: chi farà lievitare pagnotte ora? E autunno scomparso definitivamente! –
– Finora sono scomparsi…– fece Bunnymund contando sulle zampe senza alcuna allegria. – … la Befana, Capodanno, Ferragosto, Wookey Hole, Giovedì Grasso, May Queen, Cupid Valentine, Marabbecca, i Folletti del Pane, il Leprecauno, buona parte delle Corn Dolly e le fatine delle foglie...–
Sandy si incupì ancora di più e nemmeno una figura dorata apparve sopra la sua testa china.
Jack contemplò i Guardiani capendo che Pitch, infido come un serpente, aveva svelato la sua presenza solo quando era stato troppo tardi per reagire, troppo tardi per sfuggire al letale veleno che aveva iniettato loro insieme alle sue ombre.
"Io ho già vinto."
Jack si rifiutò di credere che fosse possibile: non poteva finire a quel modo.
– Dovremo chiamare a raccolta tutti gli spiriti minori rimasti ancora in vita. –
Era stata Toothy a parlare e tutti si voltarono verso di lei, increduli.
– Ma come vuoi che li chiamiamo? – ribatté Bunnymund, da sempre quello più pragmatico. – Non sono tenuti a rispondere all'Aurora Boreale e la maggior parte di loro nemmeno ci sopporta! –
Sandy divenne ancora più triste, la sua testolina solare non poteva nemmeno concepire l'idea che qualcuno potesse covare del rancore verso di lui.
– Dobbiamo provarci. – rimarcò Toothy. – Non abbiamo scelta. Questa volta se vogliamo vincere avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile. – pronunciare l'ultima frase parve costarle molta fatica, nonché un certo sforzo per non inciampare sulle ultime sillabe. – Compreso l'aiuto di quello schifos… heh!…di quel maled… hah! Di Halloween! –
North sollevò entrambe le sopracciglia, colpito da tanta buona volontà, e nel medesimo istante una folata di vento gelido scompigliò il pelo, i capelli e le ali di quattro guardiani.
Nessuno di loro ci badò troppo.
– Se Toothiana può arrivare a compromesso così arduo…– commentò North –… direi che anche voi non dovete essere da meno. –
Simultaneamente North si beccò quattro occhiate di traverso ma la sua giovialità non subì il minimo danno, più imperturbabile di un cielo terso e più inattaccabile della sua stessa logica si limitò a sorridere di rimando.
– Sandy può andare a parlare con Flibbert Gibbert e Bunnymund può andare a far visita a Tiddy Mun. Che ve ne pare? –
– Tu a chi farai visita, North? – volle sapere Bunnymund con un'espressione truce in volto. Candelora fischiò tutta la sua approvazione a quella domanda.
– Oh, io? – gongolò Nicholas St. North. – Io farò guardia al quartier generale nel caso Manny cercasse di contattarci. –
Soddisfatto del programma batté dei colpetti affettuosi sul muso di Bunnymund che ruggì imbestialito.
– Non credo proprio! Perché noi dobbiamo beccarci gli spiriti strambi mentre tu te ne starai in panciolle davanti al caminetto? –
– Perché? –
North sembrò davvero confuso dalla domanda. Una nuvola di concentrazione attraversò il suo volto barbuto costringendolo ad aggrottare le sopracciglia, ma dopo un istante tornò ad illuminarsi. – Ovvio! È perché sono il capo! –
Di nuovo quattro occhiate fulminarono North che incominciò a lisciarsi la barba, compiaciuto dalla sua stessa intelligenza.
– Aspettate…– fece Toothy, guardandosi intorno e rendendosi lentamente conto di una cosa fondamentale.
– Dov'è finito Jack? –
La ventata gelida di prima soffiò nuovamente sulle loro teste, solo che questa volta Jack Frost non era più nemmeno visibile all'orizzonte.

***

Da sopra al muro sul quale si era acquattata quasi un'ora prima, Will-o'-wisp si stiracchiò come una gatta sonnacchiosa guardando con soddisfazione i suoi piccoli fuochi fatui danzare nel vento caldo di Halloween. Creavano una scia luminosa nel cielo, sospesa appena sopra la cima degli alberi, come tante piccole perle cucite sulla seta nera della notte, stentando a non oscurare per bellezza le stelle delle Via Lattea.
I suoi occhi grigi, perlacei come grafite finissima, oziarono su quel paesaggio a lei così familiare: alberi ricurvi, rami adunchi e nere nuvole stracciate dalla luna che brillava su tutto, quieta presenza anche nelle notti più buie. Persino da dove si trovava, vicino al confine col Bosco Nero, poteva udire distintamente le parole della ballata che le zucche cantavano a squarciagola, nella piccola piazza centrale dove era stato allestito il falò più grande.
Pumpkin, pumpkin on the ground…
…How’d you get so big and round?
Le fumose ventate, provenienti per lo più dai calderoni delle streghe ululanti di felicità, fecero frusciare lievemente alcune ciocche di sottili capelli celesti attorno alle sue gote pallide.
– Piccolo spirito, che ci fai qui tutta sola? –
Will si girò sorpresa, aspettandosi qualche scheletro o l'ennesimo verme di terra, venuto a chiederle di ballare sulle note ritmiche dei tamburi.
…Planted as a seed so small…
Ma dietro di lei non c'era nessuno.
– Chi è la? – domandò rabbrividendo nonostante il caldo soffuso che le lambiva la pelle.
– Dovresti fare più attenzione. – continuò la voce, profonda e strascicata. – Potresti fare brutti incontri in una notte come questa. –
…Now you are a great big ball…
– Chi sei? Fatti vedere! – ordinò Will, scattando in piedi, vigile, all'erta. I fuochi fatui fremettero nell'aria, irrequieti quanto la loro padrona. Perché, poi, faceva così freddo?
– Fatti vedere!! –
– Lo vorrei. Lo vorrei davvero. – mormorò la voce senza volto, apparentemente intristita. – Ma poi tu scapperesti via e non giocheresti più con me. –
Il tono col quale erano state pronunciate quelle parole aveva un 'che di triste e malinconico.
…Pumpkin, pumpkin is coming to town…
Will percepì distintamente un refolo di aria gelida insinuarsi sotto i suoi capelli e soffiarle sulla nuca. Nuovamente si voltò ma ne ricavò solo la netta impressione che qualcuno, chiunque egli fosse, si stesse divertendo un mondo a giocare con lei.
– Non è vero. – promise, avventatamente. – Vieni fuori. Non scapperò! –
– Ne sei sicura? – domandò la voce speranzosa. – Giocherai con me? –
…He’s gonna find out…
– No, non giocherò con te! Ho solo detto che non scapperò. –
– Ma così non è divertente. Ed io voglio divertirmi! –
…Who deserves tricks…
– Ne ho abbastanza di tutto questo nascondersi. – decretò Will, perdendo definitivamente la pazienza. – Vieni fuori o giuro che me ne vado! –
– Come desideri. –
 …And who deserves treats…
Una risata bassa e buia, promessa di incubi e di notti insonni, prese forma in una bocca livida e sottile. Uno sguardo malizioso e divertito si materializzò in due occhi di madreperla screziati dell'oro più puro e più ingannevole.
Will spalancò gli occhi: aveva fatto un grosso errore.
– Secondo te questa è una serata adatta a morire, piccolo spirito? –
I fuochi fatui intorno a Will iniziarono a ronzare e a crepitare, impazziti dalla paura. Will invece rimase immobile, incapace persino di muoversi.
Un pensiero inconscio si fece strada nella sua mente: doveva scappare, doveva avvertire Halley.
– Secondo me è perfetta. – sussurrò Pitch Black con un sorriso sornione ad illuminargli il volto scarno. Alzò l'elegante polso in un ordine perentorio, intonando tra sé e sé le ultime sillabe della ballata delle zucche di Halloween.
"…Great Pumpkin is coming to town, little spirit!"

***

Jack Frost planò nemmeno troppo discretamente al limitare di una radura, frenando con i calcagni l'atterraggio troppo irruento e allargando intorno alle sue gambe un turbine di foglie scure dai riflessi del metallo fuso. Il Bosco Nero gli rimandò il suo immobile benvenuto.
Jack, sorpreso, si bloccò aguzzando l'udito.
Il grido che gli era parso di sentire si ripeté più forte di prima per poi scemare in una serie di disperati singhiozzi, sovrastati per potenza da una risata baritonale che ben conosceva. Sfruttando la corrente ascensionale di una colonna d'aria, Jack s'innalzò nuovamente in volo e come un chicco di grandine che abbia puntato la sua preda si slanciò nella direzione della risata.
Individuò le spalle nere di Pitch Black nell'istante in cui queste ultime sparivano dentro ad un portale circolare delle dimensioni di un pozzo. Dall'interno di quel nero buco provenivano dei sussurri variegati, voci perdute appartenute agli spiriti che l'Uomo Nero aveva incatenato e sospiri di morte sotto la luce della luna.
Fu un attimo. Jack non ebbe nemmeno il tempo necessario a riflettere (non che, se ne avesse avuto, lo avrebbe comunque sfruttato per pensare lucidamente sulle sue azioni, s'intenda) perché l'istante prima stava puntando verso Pitch e il secondo dopo verso il passaggio che conduceva al nuovo nascondiglio dell'Uomo Nero. Aggrappandosi al suo bastone con entrambe le mani, diede uno strattone ed accelerò.
Il portale si restrinse e Jack, allungando le braccia davanti al suo volto per acquistare maggior velocità, svicolò dentro agli ultimi barlumi di oscurità prima che essa si richiudesse come una pesante tenda di velluto alle sue spalle, senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio.
– Eccone un'altra da aggiungere alla nostra magnifica collezione, Satia. –
Jack scattò in piedi, pronto a combattere, ma scoprì che la battuta di Pitch Black non era riferita a lui. Proveniva da un corridoio laterale rispetto all'ampio androne in cui si trovava e rimbombava in mille echi, rimbalzando sulle strette pareti, dando solo l'impressione che l'Uomo Nero fosse vicino.
Jack strinse il bastone così forte da conficcarci dentro le sue unghie e, lesto, corse attraverso il porticato racchiuso tra due file di colonne seguendo il suo istinto.
– Manca poco. Così poco, mia diletta. Ma perché quello sguardo? Qualcosa ti intristisce? –
Di colpo l'angusto spazio si allargò e il soffitto svettò verso l'alto, andando a perdersi da qualche parte nel buio sovrastante. Jack appoggiò la mano alla scabra superficie di una delle colonne per studiare il luogo ed ascoltare più agevolmente la conversazione in atto, ma subito la ritrasse, inorridito.
Un vago calore permeava alcuni grossi filamenti neri che sinuosi come tentacoli percorrevano per l'intera lunghezza quella strana colonna. Appoggiandoci nuovamente il palmo della mano scoprì che non si era sbagliato: pulsavano come se fossero vivi.
Alzò la testa per seguire con lo sguardo quei tortuosi sentieri in rilievo e involontariamente si ritrovò a socchiudere le labbra per la sorpresa.
La colonna s'innalzava attraverso l'oscurità della stanza bucandola con un sinistro lucore che emanava. E al suo interno c'era qualcuno.
Impallidendo, indietreggiò ulteriormente, rischiando di uscire allo scoperto.
– Satia, mia dolce e piccola morte, potresti anche rispondere quando ti faccio una domanda diretta, non credi? –
Jack sobbalzò e ritornò con la sua attenzione alla voce di Pitch, nonché al lungo sospiro che colmò con la sua rassegnazione ogni anfratto dell'ambiente in cui si trovava.
– Sei una ben misera compagnia e altrettanto misere sono le tue paure. –
Jack si avvicinò lentamente, tenendosi rasente il muro nel quale erano incastonate come pietre preziose quelle strane stalagmiti che della colonna avevano solo l'apparenza; con lo sguardo continuò a cercare tra le ombre quella più scura di Pitch Black.  
– Lui verrà. Non hai di che preoccuparti. –
Jack si bloccò.
Lui chi? Lo avevano scoperto? Sapevano che era lì?
– Manterrai la tua promessa? –
Era una vocina flebile quella che aveva parlato e Jack stentò a riconoscerla per quella incolore della ragazza che ultimamente sembrava essere diventata la nuova ombra di Pitch Black.
Addossandosi nello spazio rimasto libero tra una stalagmite e il muro retrostante finalmente riuscì ad avere una chiara visione del luogo in cui si trovava.
Sembrava l'interno di una vecchia cattedrale abbandonata; la navata centrale racchiusa in una regolare fila di stalagmiti nere conduceva verso un massiccio altare di pietra su cui era seduta con le gambe ciondoloni una figuretta dalle spalle curve. Ai lati alcune piccole cappelle si alternavano ad ampie vetrate, annerite dal tempo e dall'incuria; al centro la cupola parzialmente crollata lasciava intravedere la luna, unica fonte di luce che faceva piovere come finissima polvere un cono di luce argentata sopra ad una seconda figura dai lisci capelli neri e dalla pelle così bianca da sembrare immacolata.
Pitch Black si voltò proprio in quel momento, l'accenno di un ghigno sulle labbra, quasi avesse sentito di essere osservato segretamente da qualcuno.
– Ma certo, Satia. Ho promesso di non torcergli nemmeno un capello ed io mantengo sempre le mie promesse. –
Furtivo, Jack scivolò nel suo improvvisato riparo, sfuggendo almeno apparentemente agli sguardi inquisitori che l'Uomo Nero lanciava nell'oscurità.
Dalle navate laterali si ergevano altre colonne nere, prigioni di altrettanti spiriti racchiusi in tronchi d'ambra nera fitti come una foresta. Fu in una di questa che Jack scorse incredulo alcune fatine dalle ali ocra o fulve o color paglierino che sembrano pietrificate nell'atto di  volare via da un momento all'altro; poco distanti da loro stava una seconda figura, bassa di statura, barbuta e vestita interamente di verde.
Erano le Fatine delle foglie e il Leprecauno, comprese Jack. Ecco dov'erano finiti tutti gli spiriti scomparsi!
Maledicendo mentalmente Pitch con tutto il calore che uno spirito del gelo è in grado di manifestare, passò alla colonna successiva, cercando febbrilmente un modo per poter liberare i prigionieri intrappolati. Passandoli in rassegna con lo sguardo uno ad uno riconobbe una ragazza dai lunghi capelli neri, stretti in una alta coda che scendeva a lambirle le caviglie; un ometto di pietra dai lineamenti spigolosi con il pugno ancora levato in una eterna ma vana minaccia; un ragazzino magrolino e incredibilmente biondo, tanto da dare l'impressione che una coroncina aurea di riccioli gli cingesse il capo; ed, in lontananza, uno spirito che gli voltava le ampie spalle impedendogli così di scorgere il suo volto. Aveva capelli dalle fresche tonalità rosate ed un arco gigantesco in mano con ancora la dragonne infilata attorno all'esile polso. Uno dei flettenti dell'arco era spezzato e Jack sussultando, ricordò quando Pitch aveva spezzato il suo bastone davanti ai suoi occhi o quando, ancora più dolorosamente, Halley aveva rischiato di perdere Lumin.
La rabbia risalì dentro di lui, facendogli ribollire il ghiaccio nelle vene. Non poteva permettere a Pitch di continuare a farla franca: qualcuno doveva fermarlo.
Lui doveva fermarlo.
Strinse con furia il suo bastone di ghiaccio e legno, ma una voce che non avrebbe mai creduto di sentir risuonare in quel posto, lo destabilizzò con la sua presenza.
Fatti vedere, Pitch!
Anche da quella distanza Jack poté vedere le spalle di Satia raddrizzarsi all'istante e l'espressione di esultanza che si tratteggiò sui contorni dell'Uomo Nero.
 – Oh, sei arrivato quindi? Alla buon ora, mio prezioso alleato. –
Incredulo, Jack osservò quella spettrale figura dalla pelle abbronzata e dagli occhi neri come carboni, incedere verso Pitch mentre una lanterna spenta rollava dietro le sue spalle, cigolando nell'improvviso silenzio che si era creato.
– Però devo ammetterlo: mi hai sorpreso. Avrei giurato che ci avresti messo molto di meno a decidere da che parte stare, Halley…–

***

– Trovare l'uomo della nebbia in mezzo ad un banco di densa nebbia, in quello che credo sia il giorno più nebbioso di tutte le lande del Lincolnshire…– esalò Bunnymund, lasciandosi cadere al suolo – …suppongo che sia quello che molti umani chiamano "trovare un pagliaio in un ago". –
Candelora non era del tutto sicura che il detto facesse esattamente così ma l'idea di contraddire Bunnymund non la sfiorò neppure.
– Proviamo a cercare più avanti. – propose gentilmente. – Magari non abbiamo ancora guardato nei posti giusti. –
– E quali sarebbero i posti giusti? – s'informò Bunnymund con acidità.
Candelora cadde nell'insicurezza. – E-ecco, non saprei. –
Il paesaggio tutt'intorno a loro, di un omogeneo biancore burroso, rimandava solo qualche sporadico stridio di uccello e qualche fruscìo di insetti sotto le loro zampe; null'altro.
– Meglio se rimani in silenzio. Almeno con il tuo fastidioso fischiare non spaventerai i poveretti che abitano in questi acquitrini. –
Candelora si rabbuiò ma rimase in silenzio; Bunnymund continuò imperterrito, senza accorgersi del suo cambio di umore.
– Già se la passano male, se anche infierisci non oso pensare che cosa accadrebbe. –
Bunnymund arruffò il pelo già in disordine per l'aria gonfia di umidità che premeva verso il basso come una calotta asfissiante e sospirò: – Ancora non capisco perché non sei andata con Toothy e sei dovuta venire a rompere le uova a me. –
Improvvisamente una mano spuntò dalla nebbia e spinse Bunnymund da dietro, dentro ad una polla di fanghiglia e muschio galleggiante. Ci fu un tonfo bagnato, seguito da un rumore di denso liquido che si unì allo strillo di sorpresa di Bunnymund.
Fischiando la sua angoscia tra i dentoni sporgenti, Candelora si affrettò a correre in aiuto del suo amato coniglietto.
– S-stai bene? – chiese tendendogli una mano. Bunnymund la rifiutò e si guardò intorno, irato, per poi tornare a posare il suo sguardo su di lei.
– Sei stata tu? –
– NO! – fece Candelora con quello che assomigliava più ad un grido inorridito che non ad una risposta ragionata.
– E allora chi è stato? – chiese sarcasticamente Bunnymund, rialzandosi e allargando le braccia da cui colava abbondante melma verdastra. – Qui ci siamo solo tu ed io! –
Questa volta dalla condensa più fitta  comparve un piede che con uno sgambetto mandò Bunnymund al suolo, con la schiena dentro ad un odoroso strato di funghetti viscidi e marroncini.
Candelora impallidì e i suoi baffi fremettero, agghiacciati.
Un uomo dal corpo evanescente si condensò di fronte a lei e le fece l'occhiolino. – Dipende da chi mi trovo di fronte ma in genere non sopporto la maleducazione. –
– T-tu sei…– balbettò Candelora stentando a riprendersi dalla sorpresa. – S-sei Tiddy Mun? –
I contorni dello spirito persero di nitidezza e rimase solo un sorriso a trentadue denti davanti a lei.
– Dipende da chi lo vuole sapere. –
Bunnymund ringhiò e fece per avventarsi contro l'uomo delle nebbie, ottenendo un risultato che nessuno avrebbe faticato ad immaginare. Candelora lo osservò ad occhi sgranati mentre gli passava palesemente attraverso ed andava a schiantarsi con tutto il suo impeto contro il tronco deforme di un albero senza foglie.
Tiddy Mun, apparentemente divertito, ricomparve disteso su uno dei rami più storti dell'albero in questione con le braccia abbandonate oltre la testa in una posizione di assoluta rilassatezza.
– Che tipo! – ridacchiò, lanciando a Candelora un'occhiata complice.

Forse fu proprio per quell'occhiata che Candelora si decise a prendere finalmente in mano le redini della situazione.
– Io sono Grondhog Day, la marmotta della primavera, e lui è Bunnymund, il coniglietto pasquale.– disse. – E ci serve il tuo aiuto! –
– Dipende da che cosa volete farci con il mio aiuto. – ridacchiò Mun, allungandole un sorriso sornione ma interessato.
– Dobbiamo allearci per sconfiggere l'Uomo Nero. – annunciò Candelora – Ci aiuterai? –

***

Flibbert Gibbert era famosa per essere la donna con la parlantina più sfrenata dell'intero mondo degli spiriti. North doveva avere un senso dello humour davvero nordico per spedire Sandman, notoriamente lo spirito meno espansivo tra tutti quelli esistenti, da colei che invece rappresentava la loquacità fatta persona, o meglio, fatta spirito.
Capelli rossi e ricciuti, sopra ad una bocca piena dello stesso colore e a due occhi dai riflessi ambrati: Flibbert Gibbert non era certamente una da prendere sottogamba.
Fin da quando l'aveva individuata ai bordi di un laghetto, intenta a parlare al suo riflesso con tutta la perseveranza e l'insistenza che si riserva ad una persona in carne ed ossa che non ti stia dando la dovuta attenzione, Sandy aveva intuito che il suo non sarebbe stato un compito facile.
La sua intuizione aveva trovato fondamento all'incirca quando Flibbert Gibbert aveva esclamato con ineguagliabile sicurezza: – Non credo di aver ben capito che cosa vuoi che faccia. Sono impegnata in una discussione della massima importanza e non vedo perché dovrei andarmene proprio ora che il soliloquio stava entrando nel vivo. –
A risponderle ci pensò il suo stesso riflesso che le rivolse un'occhiata d'accondiscendenza. – Povera me. Andarmene ora significherebbe dover prendere una decisione per nulla facile. Io che farei al posto mio? –
Di nuovo a prendere la parola ci pensò Flibbert, seduta su un masso vicino a Sandy.
– Dovrei davvero decidere una cosa così difficile in così poco tempo? Ma non credo che lo farò in ogni caso: si stava parlando di cose serie prima che qualcuno venisse a interrompermi o sbaglio? –
– Oh no, non sbaglio affatto! – rispose Gibbert, il riflesso di Flibbert, sotto lo sguardo ormai disperato di Sandy. – Io non sbaglio mai e il mio verbo è tra i più forbiti e più elogiati da tutti gli spiriti. –
– Vero. Vero. Non per nulla sono lo spirito della dialettica e della facondia! –
– Davvero un buon risultato. Ma ero arrivata a decidere del mio passato e non ero ancora riuscita a discernere cosa era sogno e cosa era realtà. –
–Voglio davvero tornare su quel punto? –
– Nemmeno tanto, ohibò. –
Sandy strizzò le labbra in un'espressione che di solito si assume nelle situazioni senza via di uscita, quelle estremamente orrende e disgraziate.
Cercò per l'ennesima volta di attirare l'attenzione di Flibbert, o di Gibbert a seconda dei casi, creando delle sagome dorate sopra la sua testa dorata.
Tutto invano.
Provò a sbracciarsi e pure a smuovere l'acqua per far sparire quel molesto riflesso di Flibbert, detto Gibbert, in modo che almeno una delle due - che poi erano una sola - potesse ascoltarlo.
Sempre invano.
Alla fine si arrese e decise di aspettare che Flibbert, o Gibbert, smettessero almeno momentaneamente di parlare per potersi intromettere nella loro inconcludente conversazione.
Non sapeva che la sua attesa sarebbe durata quasi sette ore prima che Flibbert accennasse a fermarsi per riflettere su una questione a suo dire molto impegnativa. Il tempo di accorgersi che c'era silenzio, gioire di felicità e incominciare ad alzare le mani per indicare le figure che s'apprestava a creare sopra la sua testa furono esattamente il lasso di tempo che Gibbert impiegò per stizzirsi e reclamare la sua risposta da Flibbert. Quest'ultima riprese immediatamente a parlare con rinnovato vigore.
Sandy materializzò una minuscola spada e valutò quanto avrebbe potuto essere rapida ed indolore una morte per harakiri.

***

– Come sarebbe a dire che non c'è? –Toothy lanciò un'occhiata sprezzante alla mandria di zucche che gli stava di fronte. – So che è qui! Lasciatemi entrare, maledizione! –
Un quartetto ghignante di zucche serrò ulteriormente i ranghi prima di proclamare: – Non puoi passare! No, non puoi! –
– Non puoi! Fatti indietro! –
– Nessuno disturba Jack O'Lantern. –
– Nessuno, già! –
Seppur irritata Toothy cercò di essere ragionevole.
– Devo vederlo assolutamente, non sto scherzando. Abbiamo bisogno del suo aiuto. –  sospirò, chiudendo gli occhi. –  Noi…ehm…io ho davvero bisogno del suo aiuto. –
Se una settimana prima qualcuno le avesse detto che sarebbe andata da Halloween ad implorare per la sua considerazione, si sarebbe fatta una grassa risata e lo avrebbe spedito a raccogliere le dentiere degli anziani senza pensarci due volte.
Troppe cose erano cambiate nel giro di una sola settimana…
 – Per favore…– chiese ancora, cercando di imprimere tutta la sua disperazione in quella supplica. – È in gioco la stabilità dei nostri due mondi: quello degli spiriti e di conseguenza quello dei bambini! –
Le zucche sputarono polpa, quasi soffocandosi con le loro stesse secrezioni. In verità erano troppo stupide per prendere un qualunque tipo di decisione e l'unica cosa che erano brave a fare era eseguire ordini - e nemmeno in quello brillavano troppo - così si limitarono a ripetere di nuovo quello che era stato loro imposto di dire.
– No, Jack O'Lantern non si disturba! –
– Fatti indietro! Non puoi avvicinarti! –
– E nemmeno passare! Nessuno può! –
– Nessuno, già! –
Toothy roteò gli occhi, cercando di decidere se impallinare a suon di molari quelle quattro idiote o, più semplicemente, se innalzarsi in volo e raggiungere in quel modo le stanze di Halley. Dopo aver propeso decisamente per la prima opzione, si risolse a portare a termine la seconda, promettendosi però di ritornare alla prima non appena si fosse ripresentata l'occasione propizia.
Tra gli uggiolii sorpresi e le esclamazioni di rabbia e di indignazione, si involò verso la finestra al secondo piano del ragazzo più ricercato delle ultime ore e sorridendo si disse che qualche molare nel sedere lo avrebbe piazzato volentieri pure a quel maledetto di Halloween.
Atterrò sugli infissi e scrollandosi le ali da un velo di fuliggine che vi si era depositata si posò nel bel mezzo della stanza. Era completamente disadorna, con pareti di pietra e un pavimento austero di legno scuro. Appoggiato al muro per il lato corto stava un ampio letto dalle coperte così scure da sembrare nere.
– Che atmosfera mostruosa. – commentò Toothy, alzando un sopracciglio. Se Jack avesse avuto una stanza tutta sua probabilmente ci sarebbe stata più neve che spazio vitale, considerò guardandosi intorno. Invece quella stanza era… era… non avrebbe saputo come definirla, in verità. Spoglia, forse?
Il suo sguardo ritornò sul letto e lì rimase. Chissà su che tipo di letto dormiva un tipo come Halloween? Duro, morbido? Vi si accostò e ci si sedette sopra a puro scopo scientifico.
Oh, morbido…
Non si accorse della porta che si apriva alle sue spalle e dell'espressione speranzosa di Cassian che si affievoliva fino a scomparire del tutto.
– Tu che ci fai qui? –
Toothy si voltò e balzò in aria, riprendendo a sbattere le ali con più frenesia del solito. – Dunque, io… si… devo parlare con quello scem… ehm… con Halloween! –
Le vecchie abitudini erano dure a morire, nonostante tutto.
– Lui non c'è. – rispose laconico Cassian, appoggiandosi allo stipite della porta col fianco.
Toothy roteò gli occhi. – Lo so: non vuole vedere nessuno e via dicendo ma io devo …–
– No, lui non c'è. – ribadì Cassian con durezza. – Se ne andato e non tornerà più. –
– Che cosa!? Ma tra un paio d'ore inizierà la sua festività! Che cosa gli passa per quella testa bacata? –
– Amore fraterno. – rispose Cassian, abbassando il tono di voce fino a ridurlo ad un sussurro.
– Amore fraterno? – ripeté Toothy, senza capire affatto.
Il volto di Cassian era un'unica lastra di incorruttibile marmo, dura ed impassibile.
– Halley si è unito a Pitch. –




********************************************************************************
Ebbene si, nuovi personaggi e nuovi casini, perché il disastro disastrato che avevo già combinato non mi sembrava abbastanza disastroso… :3
E "dulcis in fundo" verso metà (quindi neanche tanto "in fundo" ç_ç) mi è venuto un crampo al pollice destro … -.- così mi imparo a scrivere capitoli sovradimensionati. XD

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Capitolo 7
*** Fright Night ***


CAPITOLO 7

FRIGHT NIGHT


Sleep walking in the dead of night,
Black cat crosses your path,
Knock knock on the door three times,
And you knock knock on the door!
I used to talk to demons but not anymore
On fright night, you tuck me in.

           Fright Night, Ariel Pink’s Haunted Graffiti


Assomigliando ad un ricciolo di panna che troneggia sulla cima di una torta biancheggiante di nebbia, Tiddy Mun soppesò Candelora.
"Dobbiamo allearci per sconfiggere l'Uomo Nero. Ci aiuterai?"
– Voi volete che mi unisca ai Guardiani? –
Mun si passò la punta del mignolo dentro all'orecchio e con ostentazione tornò a sporgersi verso Candelora. – Credo dipenda dal mio udito un po' annebbiato, ma non sono sicuro di aver sentito bene. Ripeti un po'. –
– No, hai sentito benissimo. – fece Candelora, alzando il mento. – Abbiamo bisogno del tuo aiuto. –
Mun rimase immobile, poi si morse pensosamente l'interno della guancia, infine prese a ridacchiare, sussultando come se stesse subendo un violento attacco di singhiozzo.
– Ecco da che cosa dipende! Che stupido! Ci stavo per cascare! È da talmente tanto tempo che non mi addenso che temo il mio senso dell'umorismo si sia perso da qualche parte sulle Alpi! –
Candelora si apprestò a ribattere ma si bloccò di colpo, sbattendo le palpebre.
Un boomerang era spuntato minacciosamente a pochi millimetri dalla gola di Mun e la zampa di Bunnymund che lo stringeva con perizia - per quanto ancora sporca di fango - non mostrò la minima esitazione.
Il silenzio calò improvvisamente tra di loro come una gelida mannaia.
– Quando tornerò indietro ammazzerò North, ma magari ammazzerò prima te... – Bunnymund sogghignò – …tanto per pareggiare i conti. –
Se avesse accusato quella minaccia Mun non lo diede a vedere, limitandosi a mantenere un'espressione vagamente divertita sul volto opalescente.
Candelora strinse i pugni ed esalò: – Smettetela! Dobbiamo collaborare! Non minacciarci a vicenda! –
– Io per ora non ho ancora minacciato nessuno. – fece notare Mun scrollando le soffici spalle con uno sbuffo caliginoso. – E credo di non sbagliarmi se dico che l'irascibilità del nostro amico melmoso qui dietro dipenda esclusivamente dal fatto che non si lavi abbastanza. – Mun materializzò la propria mano ad un soffio dal naso e la agitò con indignazione. – Anch'io sarei intrattabile se puzzassi come un uovo marcio. –
Il boomerang per tutta risposta si appoggiò contro la pelle iridescente di Mun e il ghigno di Bunnymund si trasformò in una smorfia d'ira.
– Attento, spumino. Fossi in te non scherzerei così tanto. –
– L'umorismo sottile di una battuta dipende dai punti di vista, non credi?  –
– No, non credo. E smettila di mettere "dipende" in ogni dannata frase. –
– Questo dipenderà dalla tua propensione o meno ad abbassare in breve tempo questa tua irritante arma. –
Candelora si pigiò le mani sugli occhi e batté spazientita un piede per terra, cercando di reprimere il prurito che sentiva alle mani. Non avrebbe mai colpito Bunnymund - era impossibile per il suo cuoricino sopportare di imprimere una tale offesa al corpo del suo amato - ma si rese ben presto conto di non poter alzare nemmeno un dito pure su Tiddy Mun, visto che erano andati lì appositamente per chiedere il suo aiuto.
Era un situazione senza via d'uscita.
Intanto Bunnymund e Tiddy Mun continuarono a squadrarsi come due cani randagi intenti a decidere chi dei due avesse il pelo più ritto. La nebbia si mosse a disagio, serpeggiando intorno a loro, e li accerchiò più fittamente, simile ad uno stretto anello di impenetrabile barriera.
– Bunnymund, abbassa quel boomerang! – esclamò Candelora con forza, cercando di salvare il salvabile.
– Ascolta il saggio consiglio della tua amica. – le fece eco Mun, dissolvendosi come d'incanto in ampie volute bianche. – Anche perché hai già avuto modo di constatare che con me il tuo boomerang non funziona. –
Guardandosi intorno, Bunnymund serrò la presa sulla sua arma ma non ritornò in posizione d'attacco. Candelora si ritrovò a sperare che lui dicesse qualcosa sul fatto che lei non fosse veramente una sua amica - magari specificando che era qualcosa di più - ma non accadde nulla di simile.
– Non sperare che finisca qui. – decretò invece Bunnymund, riuscendo per una volta a risultare quasi ragionevole. – Chiariremo questa faccenda a tempo debito. Nel frattempo, però, per quanto mi secchi ammetterlo, Candelora ha ragione. Siamo qui per chiedere il tuo aiuto non per combatterti. –
Per dimostrare quanto le sue parole fossero veritiere rinfoderò il boomerang e alzò le mani disarmate in segno di buona fede.
– I Guardiani non chiedono aiuto. – commentò la voce di Mun, sgorgando da una bocca pallida comparsa sarcasticamente a mezz'aria. – I Guardiani lavorano da soli. La motivazione di ciò dipenderà mica dal vostro ego smisurato? –
Prima che Bunnymund potesse replicare, Candelora gli pestò un piede - pur se a malincuore - e rispose al posto suo: – Io non sono un Guardiano, eppure collaboro con loro. Si tratta di unire le nostre forze in  nome di un ideale più alto. –
Lei non la pensava esattamente così, ma aveva una mezza idea che quelle fossero le parole adatte a convincere un tipo come Mun. Capì di avere catturato almeno in parte il suo interesse quando lui sorrise, facendo comparire anche il naso e un paio di occhi velati sopra alla bocca.
– La mia risposta dipende univocamente dal tipo di ideale proposto. –
Candelora rifletté velocemente.
– Più nebbia per tutti…? –
Finalmente comparve anche il corpo longilineo dalle tonalità biancastre di Mun, che con una elegante capriola atterrò proprio di fronte a Candelora.
– Avrete il mio aiuto. – dichiarò solennemente, facendo vibrare la nebbia attorno al suo corpo di genuina eccitazione. – Quando si parte? –
Candelora ebbe la curiosa impressione di ritrovarsi al centro di una nuvola tale era la concentrazione di vapore acqueo intorno a lei; Bunnymund invece si limitò a biascicare: – Vedi di darti una calmata. Qui non si vede più nulla. –
Mun gli rispose con un tono d'accondiscendenza, come se stesse parlando ad un emerito cretino.
– Se i tuoi occhi funzionassero a dovere vedresti che c'è nebbia. –
– Hah! Davvero molto spiritoso. – lo sfotté Bunnymund.
– Lo so. – replicò Mun, pacatamente. – Ma guarda il lato positivo della faccenda. Grazie alla mia nebbia nessuno sarà costretto a vedere il tuo brutto muso. –
Candelora alzò gli occhi al cielo: il viaggio di ritorno al Polo Nord sarebbe stato molto, ma molto lungo.

***

Lasciando una scia di sabbia dorata dietro di sé, Sandman salì le scale che portavano al laboratorio di North con aria esausta.
Portare Flibbert Gibbert al Polo Nord si era rivelata un'impresa incredibilmente stancante, o quantomeno logorroica. Infatti, dopo qualche ora passata a fare speculazioni sulle possibili catastrofi che si sarebbero abbattute se lei avesse lasciato il suo adorato lago con l'inseparabile Gibbert al suo interno, Flibbert si era lanciata in addolorati pianti su quanto fosse affezionata alla sua immagine speculare e sull'impossibilità di abbandonarla da sola senza nessuno a farle da adeguata compagnia.
Sandman dopo qualche minuto passato con un fazzoletto dorato in mano a tentare di consolare l'inconsolabile Flibbert, aveva avuto una brillante idea. Brillante in tutti i sensi.
Aveva materializzato di fianco a sé uno specchio gigantesco dalla forma ovale, splendente come un sole e dalle decorazioni finissime a motivi floreali, e lo aveva posto di fronte a Flibbert.
La ragazza aveva sussultato in preda ad una commozione indescrivibile e aveva abbracciato lo specchio con trasporto, facendo ondeggiare i suoi ricci ambrati nell'aria mattutina. Dallo specchio, l'immagine di Gibbert le aveva sorriso di rimando, eseguendo lo stesso identico movimento.
Sandman aveva sospirato, sollevato, e Flibbert Gibbert aveva decantato per ore la sua totale devozione, nonché la sua completa intenzione, di seguire il Guardiano ovunque egli l'avesse voluta portare, donandosi alla sua causa anima e corpo.
Anche mentre erano in viaggio sulla sua nuvola dorata, Flibbert Gibbert non aveva chiuso bocca nemmeno per un attimo, divagando su così tanti argomenti e discutendo imperterrita su così diversificate e svariate opinioni che Sandman aveva, ormai, solo che confusi ricordi a riguardo.
– Quando ero ancora in vita avevo un nome diverso. Non ricordo quale, però. Tu si, Gibbert? Oh, nemmeno tu ricordi…? Non importa. Però so per certo che ero molto bella e pure che avevo diversi pretendenti. Occhi di miele, era uno dei miei epiteti preferiti. Un giorno - da molti definito sventurato ma che io ricordo con particolare calore, anche tu, vero Gibbert? - mi sono specchiata in quel magnifico lago. E che cosa vi ho visto? La donna più bella e più intelligente dell'intero creato! Oh, sublime visione, si! , eri proprio tu Gibbert! Siamo diventate inseparabili, migliori amiche per la vita e per sempre! Hanno tentato di separarmi da me stessa, dalla mia dolce metà, - oh, se ci hanno provato! - ma io ho resistito! Pur di non dargliela vinta mi sono affogata in quello stesso lago per non dovermi separare da te Gibbert! E adesso guardaci! Unite per l'eternità!
Pensa, Guardiano! Ero così desiderosa di non separarmi mai dalla mia immagine che certe malelingue dicevano che me ne fossi innamorata! Quanta malvagità! Ma come si possono pensare certe cattiverie? –
Sandman a quel punto aveva una sfocata immagine di Gibbert che annuiva con occhi umidi di dolci lacrime e poi il ronzio della voce di Flibbert che ripartiva, cantilenante come sempre.
– Da allora vivo vicino a Gibbert e lei vive vicino a me. Siamo l'una lo specchio dell'altra. L'una la salvezza dell'altra. Se non ci fosse Gibbert, io morirei dal dolore! E se fossi io a mancare sarebbe lei a …–
Sandman scacciò quei ricordi scuotendo la testa e varcò stancamente la porta del laboratorio di North, trovando quest'ultimo intento ad intagliare una nave pirata da un ceppo di ghiaccio.
– Oh, Sandy! Tu fatto presto! Come è andata con Flibbert Gibbert, eh? –
Sandman non gli rispose nemmeno. Puntò la poltrona di velluto rosso nell'angolo e vi ci si lasciò cadere, addormentandosi quasi istantaneamente su uno dei braccioli.
Al piano di sotto la voce di Flibbert Gibbert prese a riempire le orecchie degli yeti e dei folletti con il suo interminabile cicaleccio.

***

Jack Frost rimase immobile mentre lo spirito di Halloween copriva lentamente la distanza che lo separava da Pitch Black, fermandosi di fronte all'abside al cui centro s'innalzava l'altare di pietra.
– Sono qui, Pitch. – annunciò con voce incolore, nonostante i suoi occhi spenti rimanessero fissi sulla figuretta al fianco dell'Uomo Nero. – Ora sei felice? –
– Piccolo Halley! – ridacchiò quest'ultimo. – Mio piccolo e dolce Halley! Mi chiedi davvero se sono felice? –
Pitch Black si portò una mano alle labbra, mordendosi la nocca quasi volesse evitare di ridere. Le sue ombre, al suo impercettibile comando, strisciarono sulle pareti come tanti serpenti, frusciarono come mille ali di insetti molesti e zampettarono rapide come ragni sul pavimento di marmo.
– No, non sono felice. – ghignò con voce untuosa, mentre un pericoloso riflesso dorato si manifestava nelle sue iridi, colmandolo con la sua presenza. – Non vedi, caro Halley, che sono raggiante? Grazie a te compirò la mia vendetta! –
– Come ti pare, non mi interessa. – La voce solo all'apparenza manifestava sicurezza; nel profondo Halley tremava. – Ora però lascia andare mia sorella. –
– Tua sorella..? – Il sorriso di Pitch si accentuò fino a diventare null'altro che una superficiale smorfia statica. – La sai una cosa, Halley? Io rispetto molto la stupidità tutta umana di voi piccoli spiriti. È una delle poche cose che mi regali un'idea genuina di eternità. –  (*)
Halley serrò tra le sue dita il corto bastone della lanterna ma Lumin, quasi del tutto spenta, sbuffò solo un flebile fumo malsano.
– Che cosa vuoi dire? –
Pitch smise di sorridere e le ombre si mossero tutte all'unisono - mostruosa orchestra nelle mani di uno spettrale direttore - riversandosi dall'alto, lanciandosi dai lati ed ergendosi dai lustri marmi, accerchiando ed imprigionando Halley in una morsa.
Sentendo i suoi piedi staccarsi da terra e le braccia venire bloccate strettamente lungo i fianchi, Halley gemette. Subito Satia scattò in piedi ad occhi spalancati.
– Fermati! Aspetta! Avevi promesso di non torcergli un solo capello! –
– Oh, davvero!? – chiese Pitch, sinceramente sorpreso. – L'ho fatto? –
Halley si dimenò nella stretta delle ombre senza riuscire a liberarsi. Riversa sul pavimento, Lumin era ancora troppo debole per riuscire a reagire o ad aiutare il suo protetto. Pulsando piccoli lembi infuocati disse a Pitch tutto quello che pensava di lui: fu davvero un peccato che nessuno dei presenti fosse in grado di capire il fuochese.
– L'hai promesso. – esclamò Satia di nuovo, aggrappandosi con entrambe le mani al manto di Pitch ed alzando i suoi occhi grigi ad incontrare quelli  impassibili di lui. – Si, hai dato la tua parola! –
– D'accordo, mia diletta. –
Pitch sospirò e mosse il mento in un silenzioso ordine ad una delle sue ombre. Questa si avvicinò ad Halley ed allungò una sinuosa estremità sulla testa del ragazzo, afferrando e strappando un singolo capello.
– Ecco. – fece Pitch con semplicità quando quel capello venne depositato nella sua elegante mano pallida, mostrandolo a Satia – Questo è il capello che non gli torcerò. Ora possiamo procedere. –
A nulla valsero le proteste della ragazza, subito allontanata dalle ombre di Pitch. Halley sentì la propria testa venire spinta verso il basso e vide le braci di Lumin brillare agonizzando ai suoi piedi, accendendosi e spegnendosi come una lucciola in preda ad un malore. Qualcosa di pesante gli venne calato sulla nuca, stringendosi attorno al suo collo fin quasi a soffocarlo. La morsa però non si intensificò e una volta lasciato cadere al suolo dalle ombre che avevano adempiuto al loro dovere, Halley scoprì di avere una specie di morsetto attorno alla gola, un semplice cerchio nero, opaco e rigido.
– Grazie a quello non potrai scappare, né tradirmi. – fece Pitch, parco di spiegazioni. – Se farai una qualsiasi cosa che possa danneggiarmi, sarà tua sorella a pagarne le conseguenze. –
Quasi a sottolineare quel dettaglio, un'ombra più densa delle altre si allargò fino ad assumere le dimensioni di un maestoso serpente bluastro che, sibilando, si attorcigliò intorno a Satia.
– E per te, mia diletta, vale lo stesso ragionamento. Prova a fare qualcosa di stupido, come ad esempio fuggire o contrastarmi, e il piccolo giochetto al collo del tuo amato fratellino farà in modo di strangolarlo del tutto. Se non vuoi che soffra, rimanitene buona, senza fiatare. –
– Maledetto! – gridò Satia, lanciando un'occhiata afflitta ad Halley e facendo decadere le schegge nere - che aveva prontamente creato - dritte al suolo.
Con un'esclamazione colorita Jack Frost finì in quel preciso istante di aprire una crepa in una delle colonne di stalagmite grazie alle basse temperature del suo ghiaccio: la concrezione si sbilanciò, inclinandosi di lato, e si spaccò con un devastante boato, sollevando nugoli di polvere e di detriti neri, per poi precipitare esattamente sopra all'altare dove si trovava Pitch.

***

Le ombre sciamarono eccitate nella baraonda improvvisa che si era venuta a creare, muovendosi disordinatamente e nutrendosi della paura che aleggiava nell'aria come un polline velenoso. Halley gridò tossendo il nome di Satia e Jack vide i capelli rosati dello spirito che aveva liberato sollevarsi oltre la nuvola di scorie nerastre. Pitch riemerse con furia dai detriti che gli erano franati addosso e i suoi occhi metallici si incontrarono con quelli di Jack Frost, esattamente dall'altra parte della navata. I loro sguardi si compenetrarono e si riconobbero; quello di Pitch si socchiuse d'ira e quello di Jack brillò di minaccioso avvertimento.
Prima di partire all'attacco, le parole di Pitch risuonarono come un rombo di tuono dentro alla cattedrale nera.
Mie ombre! Prendeteli!
Sorgendo dal pavimento, un'onda di mareggiata composta da ombre e da buio si sollevò nell'aria, dirigendosi verso Jack e lo spirito dai capelli color confetto. Uno stuolo di neri guerrieri si armò di lance e picche, oscuri destrieri purosangue nitrirono fiato caldo dalle narici dilatate; il serpente gigantesco che aveva catturato Satia strusciò il suo corpo squamato contro le spesse pareti di pietra, spalancando le fauci dai lunghi denti, brillanti come onice ed acuminati come vetri spezzati. La testa del rettile scattò verso il basso ed immediatamente il grido della ragazza risuonò contro ogni parete.
Halley raccolse al volo la lanterna di Lumin e si slanciò nella direzione del grido, correndo a perdifiato, totalmente dimentico di ogni altra cosa. Sopra la sua testa, nell'incavo della cupola, sotto la luce impietosa della luna, le saette di lapislazzuli di Jack si scontravano con le falci nere di Pitch. Halley evitò uno di quegli attacchi che rimbalzando contro la parete rischiò di colpirlo; l'onda d'urto lo spedì al suolo e con lui anche lo spirito liberato perse l'equilibrio.
Lumin lanciò qualche baluginio preoccupato, ma riaprendo gli occhi, arrossati dalla polvere in sospensione nell'aria, Halley si ritrovò a fissare un corpo riverso.
– Will!? –
La stalagmite che la imprigionava era stata spaccata per metà e lei era caduta al suolo, i capelli azzurrini le si allargavano scomposti intorno al volto come tante cascatelle d'acqua limpida. Una delle falci di Pitch l'aveva mancata per pochi millimetri e sulla sua guancia c'era solo un sottile taglio rosso ad evidenza di quel fatto. Halley posò Lumin vicino alla spalla di Will, affinché la tenesse d'occhio.
– Aspettami qui, Lumin. Io torno subito. –
A nulla valsero le faville angosciate della lanterna perché Halley si rialzò e scomparve inghiottito dall'oscurità.
Dall'altra parte della navata lo spirito dai capelli rosati si guardò intorno, l'arco rotto ancora stretto nella mano. Con un ruggito le ombre si gettarono su di lui da ogni lato. Scintille argentate brillarono intorno all'arco. Poi accadde l'impensabile.
Sopra al tetto della cattedrale, tra guglie e pinnacoli, gli attacchi di Pitch e Jack stavano dando vita ad un'architettura di scheletriche protuberanze e di dissennate simmetrie. Le alte grida d'attacco e i bassi mugugni di parata, si alternavano agli scoppi di ghiaccio e di buio dei due contendenti. Ben presto il peso divenne eccessivo persino per i contrafforti della solenne struttura e Jack si accorse di quel particolare quando ormai era troppo tardi per porvi rimedio.
Con un lungo gemito tutta un'ala laterale si contorse su sé stessa, collassando sulle proprie pareti tinteggiate di ombra e di gelo, trascinando con sé anche Jack e Pitch.
I massi di granito caddero nella navata sottostante, schiacciando ogni cosa si trovasse sul loro percorso.
Halley udì solo il rombo di qualcosa che si sgretolava alle sue spalle e poi venne investito da un vento di pietrisco e macerie che lo sbatté contro il muro opposto. Lumin sputò scintille e cercò col suo potere di proteggere Will, mentre le ombre venivano colpite dalle pietre, sgretolandosi in tanti mucchi di sabbia nera. Un barlume argentato si innalzò a protezione di un giovane spirito, facendogli da scudo e al contempo da riparo.
Tirandosi in piedi, Jack rimase in equilibrio sopra ad una roccia appuntita e si guardò intorno freneticamente. 
La voce di Pitch risuonò di colpo alle sue spalle, nitida e melensa.
– Oh, JACK! Da quanto non mi divertivo così! –
Jack Frost si voltò giusto in tempo per parare un bolide di densa oscurità; Pitch si materializzò di fronte a lui e lo colpì al volto.
Con rabbia ripresero a combattersi: due scie luminose che danzavano in un folle ballo all'ultimo respiro.

***

Satia guardò con occhi velati il serpente che incombeva su di lei. Era stanca, esausta. Le sue schegge non servivano contro qualcosa che non era vivo, che era solo mera ombra scolpita in una forma congeniale all'Uomo Nero.
Il serpente spezzò in quell'istante le tenaglie di pietra nera che lei gli aveva formato intorno al muso per tenerlo lontano e renderlo inerme. Il sibilo irritato le dimostrò solo che aveva ottenuto di farlo arrabbiare ancora di più, nient'altro.
Con un colpo della possente coda, il rettile la mandò contro il muro retrostante. La spalla sulla quale tutto il suo peso si premette per un critico istante prese a pulsare in modo doloroso; il volto bruciò come se fosse stato ustionato.
Arrendersi, smettere di combattere: ecco cosa voleva. Il dolore era troppo per continuare a sfidarlo e sperare che non esigesse qualcosa in cambio.
– Sorellona! –
Al suono di quella voce Satia si voltò. Dall'altra parte della stanza, appena oltre la porta che il serpente aveva appena finito di spaccare con la sua mole, c'era Halley. Di colpo tutta la paura che poteva aver provato si sollevò come un drappo di seta dal suo animo ed il dolore la abbandonò come se non fosse mai esistito. Lui era lì. Ed era vivo. Stava bene. Capelli neri gli solleticavano le orecchie in morbidi riccioli, occhi profondi e preoccupati la fissavano in ansia. Satia lo ricambiò, sentendo i suoi occhi colmarsi di speranza e di gioia. Troppo tardi si accorse che lei non era la sola ad aver notato la presenza del ragazzo.
Il serpente stridette, un sibilo agghiacciante che perforò i timpani dei due fratelli, prima di gettarsi su Halley. Il ragazzo sobbalzò, preso alla sprovvista e non riuscì a muovere più le gambe. Ombre sibilline gliele tenevano bloccate, saldamente ancorate alla liscia pietra.
– Scappa!! – gli urlò Satia con più fiato di quanto i suoi polmoni potessero sostenere.
Corse nella sua direzione, una corsa disperata contro il tempo Manovrò le sue schegge a formare una barriera semisferica che diede protezione al ragazzo ma non a lei. Il serpente morse con le sue fauci la barriera, mandandola in mille frastagliati pezzi. Alcune schegge schizzarono verso di lei e le si conficcarono in profondità nelle carne. Sangue cremisi stillò dalle ferite - delicata rosa nei cui petali crudeli spine si erano divertite ad infierire - e Satia sentì le ginocchia cedere sotto il suo stesso peso.
Halley aggirò i frammenti più grossi impiantati nel pavimento e si affrettò ad andare in suo aiuto.
Stupido. Vattene. Non venire qui!
Satia vide il serpente ripartire all'attacco e Halley, di spalle, non accorgersi di niente.
Si costrinse a rialzarsi e, con ogni muscolo teso nello sforzo, decretò il suo ultimo gesto…
L' amor che move il sole e l'altre stelle. (**)
Il serpente spalancò la sua mascella e le schegge nere di Satia, opportunamente sagomate a formare una mano dalle lunghe dita, presero Halley, togliendolo dalla traiettoria del rettile.
Il secondo dopo era troppo tardi per scappare o per salvarsi a sua volta.
Satia chiuse gli occhi e sussurrò: – Ricorda, Halley. È per sempre.  –
La mano tesa di Halley nella sua direzione, il grido muto che lesse sulle sue labbra, implorante, e poi la bocca del serpente si chiuse intorno a lei.
Un dolore lancinante la trafisse nel corpo, eppure un retrogusto dolce permeava sulla sua bocca da cui un rivolo di sangue scendeva delicatamente.
Respirare in ogni caso non era più necessario.
Non è la morte ad essere eterna.
Ricorda Halley.
Solo l'amore è per sempre.

***

Un grido di puro dolore risuonò nell'aria. Sia Jack che Pitch si bloccarono, ascoltando quel richiamo di disperazione. Per quanto stravolta dal pianto, però, Jack Frost riconobbe quella voce.
Halley.
Pitch sorrise e facendosi risucchiare dal suo vento nero, si diresse verso il luogo dal quale era arrivato quell'urlo, costringendo Jack a seguirlo.
Il terreno era sconquassato dalla battaglia ed entrambi videro senza difficoltà Halley, accucciato con la fronte sulle ginocchia in mezzo ad una stanza dal tetto divelto, le mani premute sulla testa.
Non appena vide Pitch la rabbia alterò tutti i lineamenti del volto di Halley, rendendolo irriconoscibile. Jack sussultò a quella vista: che ne era stato del ragazzo burbero ma gentile che ricordava?
Il serpente sibilò e chinò il capo in segno di sottomissione all'Uomo Nero, senza muovere più un solo muscolo.
– Mio piccolo Halley! – esclamò Pitch, ricevendo in cambio un'occhiata di odio cristallizzato.
Halley, senza nemmeno riflettere partì all'attacco, e Pitch intuendo lo svolgersi dei fatti neanche fosse stato presente, gli sorrise falsamente.
– Non credo che ti convenga attaccarmi se vuoi rivedere tua sorella. –
Halley si bloccò, come fulminato sul posto.
– Tu menti! –
– Io non mento mai, Halley. Dovresti saperlo ormai. –
I pugni chiusi del ragazzo che tremavano di folle ira entrarono in contrasto con i suoi occhi sperduti.
– Tu menti sempre! –
– Se anche fosse…hai una scelta, piccolo spirito? –
Halley sentì il morso al suo collo farsi più insistente e i suoi occhi scattarono sulla snella figura di Jack Frost, quasi cercasse un sostegno esterno a sé stesso.
– Preferisci non rivederla mai più? – insisté Pitch. – Oppure vorresti possedere una seppur pallida speranza di riabbracciarla? –
– Non ascoltarlo! – gli gridò Jack, avanzando di qualche passo. – Non starlo a sentire! –
– Io non... – fece Halley, scuotendo la testa. – Mi dispiace, io…–
Pitch continuò inesorabile, la voce dolce e suadente: – Cosa possono darti i Guardiani? Niente. Cosa posso darti io invece? Tua sorell…–
– È colpa tua se lei è morta! – lo interruppe straziato Halley, diviso tra vendetta e speranza, accecato dal dolore. Incapace di distinguere il cancro che lo corrodeva dall'interno dalla carne sana che cercava in tutti i modi sopravvivere.
 – È solo colpa tua, Pitch! –
– No, Halley. Pensaci bene. Non mentire a te stesso. –
Il silenzio così denso che sembrava essere in grado di soffocare con la sua sola presenza. La voce dell'Uomo Nero per una volta tanto - questa tra tutte le altre - non necessitava di una menzogna per sussurrare la verità.
– Se è morta è stato solo merito tuo. –
Halley sussultò e arretrò.
Quando la verità ferisce più delle bugie, a cosa è meglio credere?
– No, io… io non…–
– Oh, Halley. – disse Pitch, scuotendo la testa. – Che cosa le hai fatto? –
– Non ascoltarlo! – esclamò Jack. – Non sei stato tu! –
La risata di Pitch si sollevò alta nel cielo stellato, sotto la luna che stendeva i suoi raggi uniformemente su tutte le superfici.
– Ma lui sa che è colpa sua! –
Halley abbassò lo sguardo, tremando a causa di qualcosa che non era il freddo che sentiva sulla pelle intirizzita, e Jack capì di averlo perduto. Dalle macerie si innalzò una fiamma potente, rossa e abbacinante, manifestazione della furia di Halley in quella che era la sua anima estrusa dal suo corpo: Lumin. Pitch alzò le mani, ruggendo la sua approvazione, come una diva dalla maestria consumata per dare il benvenuto ad una rinata lanterna, più infuocata che mai.
– Jack, perdonami. –
– Halley, cosa...? –
Il pugno colossale di Lumin si abbatté nel punto dove un istante prima si trovava Jack Frost. I due ragazzi si osservarono a lungo e Jack colse la richiesta nella sguardo dell'altro.
Non restare qui.
Annuendo, si levò in volo, atterrando dove si trovava Will e, poco distante, anche lo spirito dai capelli rosa.
Pitch ghignò e allungò una mano nella direzione di Halley.
– Sai che cosa voglio. –
Vendetta.
Halley annuì: non servì nemmeno che guardasse nella direzione di Lumin perché lei eseguisse il suo muto ordine.
Jack si librò in volo portando con sé i due spiriti privi di sensi. Lumin, come un titano del fuoco s'innalzò tra loro, bloccandogli il passo; Jack però trasse di tasca la palla sferica di North e, dopo l'esclamazione di sconcerto di Pitch, sparì dentro al varco a spirale.
L'Uomo Nero si tastò il manto scoprendo in ritardo che Jack Frost aveva appena vinto quella battaglia, ma di sicuro non la guerra.
Lumin sbuffò fiamme dalla bocca come un autentico drago e guardò Halley in attesa di ordini. Halley ripeté la stessa operazione solo voltandosi verso Pitch.
– Non importa. – disse Pitch, accompagnando quelle parole con un gesto noncurante del polso. – Avremo altre occasioni per schiacciare, non solo Jack Frost, ma tutti i Guardiani. –
Dagli occhi vacui di Halley non trasparì la minima emozione. Solo un breve scintillio vi si materializzò quando il serpente nero avvolse le proprie spire attorno a Pitch con fare vezzoso.
Pitch vi si sedette come se il corpo del serpente fosse il suo trono, appoggiandoci la schiena e allungando le esili braccia dietro la testa spigolosa.
– Tra pochi minuti sarà Halloween! – fece l'Uomo Nero – E io ho a disposizione un intero esercito. L'esercito di mostri che tu comandi, Halley, d'ora in poi si muoverà secondo i miei desideri, spargendo terrore ovunque io lo ritenga necessario. Quando si apriranno i cancelli, scateneremo l'inferno. –
Il ghigno dei suoi denti apparve tra le sue labbra scarne, più bianco persino della luce argentata della luna.
– La notte della vera paura è appena cominciata. –




********************************************************************************
Pah! Citazioni nel testo:
(*) Voltaire
(**) Dante, La divina commedia

Questa volta l'angolo delle mie cretinate verrò sostituito da un più che doveroso angolo dei ringraziamenti. U.U
Ringrazio AmyMassa96 e blackfwolf che hanno messo questa fic nelle loro preferite e che sostengono questa mina vagante della mia storia con una solerzia che è commovente *l'autora si asciuga il fiume di lacrime che inonda i suoi occhi sbrilluccicosi* ringrazio Chihiro, Kaity e _Gufetta che l'hanno messa nelle storie da ricordare. E soprattutto ringrazio DarkshielD che sta seguendo fin dalla nascita questo sclero personale che ho l'ardire di chiamare ff!
Un bacio a tutti!
Salut!

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Capitolo 8
*** Chains ***



CAPITOLO 8

CHAINS


You’ve got me dying for you
It's you that I’m living through,
You’ve got me praying to you
Saying to you anything you want me to.

You’ve got me reaching for you
My soul’s beseeching me too,
You’ve got me singing to you
Bringing to you anything you ask me to.

                        In chains, Depeche Mode


Un urlo disumano trapassò le pareti del laboratorio di North, perdendosi nel biancore del Polo Nord.
Come osi, maledetto!? –
Tiddy Mun si osservò con interesse clinico le nocche della mano, poi se le rigirò per contemplare anche il biancore immacolato delle unghie.
– Non dipende mica da me. – disse tranquillamente, richiudendo la mano a pugno. – È un problema tuo se non riesci a vederti nello specchio. Brutta come sei poi non dev'essere neanche tutta questa perdita –
Flibbert emise un suono strozzato e, poco distante da lei, Gibbert seppur persa nella densa nebbia, la imitò con somma indignazione.
– Tu - denso fascio di nuvola marcescente! - ti aggiri per le stanze privandomi della vista più sublime - la mia! - con il tuo olezzo biancastro e hai anche l'ardire di… –
– Si chiama nebbia. – disse Mun con il massimo contegno. – E, per inciso, odora di fresco. –
– Odora di fresco quanto un uovo marcio! – ribatté Flibbert, che se avesse potuto vedere qualcos'altro oltre alla punta dei propri piedi avrebbe certamente notato il cenno di approvazione di Bunnymund, incastrato nell'angolo tra due pareti.
Mun grugnì, alzando il mento in atteggiamento di sfida. – Mi sono lavato nell'impasto per dolci di North: questo dovrebbe farti capire che non...Oh, aspetta, invece questo spiega molte cose! –
Gli elfi tintinnarono offesi e presero a scontrarsi tra loro a causa del loro scarso senso dell'orientamento. Due cominciarono a picchiarsi sonoramente e un terzo affrontò con sommo coraggio il muro della stanza, prendendolo a pugni col massimo impegno.
Seduta su una poltroncina addossata al muro, Candelora sospirò e sentì dei piccoli colpetti batterle sulla spalla. Immaginando che Sandy le stesse sorridendo, affabile come suo solito, sospirò di nuovo. Niente sembrava andare per il verso giusto. Il laboratorio di North poteva vantare una delle più grandi concentrazioni di spiriti degli ultimi trecento anni, ma nessuno sembrava approfittarne se non insultandosi abbondantemente a vicenda.
– Essere amorfo! Privo di spina dorsale o di qualsiasi solido attributo! –
– I miei nebbiosi attributi sono tutti al loro posto! Li vuoi vedere per accertarti della loro presenza, vanesia narcisista!? –
– Per questa volta ringrazio la tua nebbia che mi risparmia tale orrida visione! –
Sopra alle voci dei due litiganti, s'imbucò quasi per errore il commento sarcastico di Bunnymund.
– Manca solo Toothy che da della pralina a quel mocciosetto di Halley e siamo a posto. –
Candelora si torturò le dita delle mani e domandò: – Sai dove sia finita a proposito? Toothiana, intendo. –
– Oh, lei dovrebbe... –
– Alitosi biancastra! Vai ad infestare qualche cimitero di infimo ordine! –
– Perché non ci vai tu, invece? Una banshee urlatrice può sempre far comodo tra una lapide e l'altra! –
– Toothy dovrebbe essere qui a momenti. – rispose finalmente Bunnymund, sistemando meglio la schiena contro il muro, senza essere del tutto consapevole se quel gesto servisse a sostenere sé stesso o piuttosto il muro che minacciava di collassare da un momento all'altro, sconquassato dalla voce tonante di  North che berciava nella stanza accanto insulti in russo stretto.
Perfino attraverso lo spesso strato divisorio della parete, la sua voce riusciva a sovrastare le frasi di ricercata galanteria che si scambiavano Mun e Flibbert.
  – Шлюха! Дерьмо! Проклятие! –
– L'ultimo che voleva dire? – s'informò Candelora.
– Qualcosa a che fare con certe donne di malaffare. – La voce roca e leggermente attutita dai vapori di Bunnymund suonò incerta. – Non ne sono sicuro. –
Candelora sentì Sandy al suo fianco irrigidirsi per l'ennesimo epiteto poco ortodosso di North e, pochi istanti dopo, letteralmente paralizzarsi per una frase pronunciata da Flibbert che sembrava mettere in discussione i natali di Mun paragonandoli al peto odoroso di un maiale grassoccio.
– Credete che North riuscirà a far ragionare quei tre? – chiese Candelora, questa volta a nessuno in particolare.
– Ne dubito fortemente. – fece Bunnymund, scrollando le spalle. – Non conosco Will-o-wisp, ma Jack Frost e Cupid Valentine sono due teste calde … o meglio due teste fredde, a seconda di come la si voglia porre. –
Passò un attimo di silenzio, in seguito al quale Bunnymund rettificò: – … o più semplicemente due teste vuote. –
Il ruggito di North mise fine ad una discussione agguerrita che sembrava portare solo sconfitti e nessun vincitore. Perfino Mun e Flibbert si concessero un attimo di tregua per ascoltare basiti la voce acuta di North che riverberò fino alla punta estrema del polo nord.
– No, no e soprattutto no! Voi e vostre idee scellerate! Neanche miei elfi sono così idioti! E tu levati frecce dalla testa! Niente frecce! Nada! Nisba! Ничего! Neanche ghiaccio! O fuochi freddi! Intesi? Intesi!?
Il suono secco di un dardo venne seguito da un calo della temperatura per niente confortante.
Candelora rabbrividì nel gelo improvviso.
– Sapete com'è quel detto? – chiese Bunnymund come trovando l'ispirazione tutto ad un tratto. – "L'amor non ha ragione e, se ragione ha, amor non è"? In Cupid Valentine credo che si sia materializzato sotto forma di persona. Oppure, cosa peraltro assai probabile, è stato lui stesso a dare vita al proverbio. –

***

Una bocca rosea e una spolverata di lentiggini si agitarono sotto ad una massa informe di capelli in una tenue tonalità confetto. Muscoli tesi e nervosi insieme ad una mascella serrata e decisa, sembravano quasi note stonate nell'armonia che rappresentava l'aspetto di Cupid Valentine. Eppure colui che reca amore e dolore in ugual misura, in quel drammatico momento aveva più l'apparenza di un elfo appena uscito dall'asciugatrice di North che del solito focoso adolescente conosciuto da tutti.
Jack Frost dovette sollevare leggermente il mento per guardarlo negli occhi lavanda mentre questi esclamava con somma soddisfazione: – Potete baciarmi le mie fantastiche chiappe nell'attesa! Io non mi alleerò mai con i Guardiani! Riempirò Pitch di frecce fino a quando non assomiglierà ad un  porcospino e lo farò da solo! –
– Šostakovič! – La voce di North proruppe nell'ennesima esclamazione di disperazione. – Valentine, ascolta! Tu già stato sconfitto una volta; cosa impedisce a Pitch di sconfiggerti di nuovo? –
– Pitch non mi ha sconfitto, mi ha solo preso di spalle! – replicò con incrollabile sicurezza Valentine. – La prossima volta che lo vedo gli tiro una freccia dritta nel… –
– Жалость! Per pietà! –
– …così si innamorerà del suo augusto posteriore così a fondo da volerlo baciare con passione! –
North guardò Jack in cerca di sostegno, ma trovò solo due occhi impenetrabili come lastre di ghiaccio a ricambiarlo. Will-o-wisp non fu da meno e incrociò le braccia sul petto magro per sottolineare la sua posizione.
– Io cosa deve fare con voi tre? – gemette North alla fine. – Non posso lasciarvi andare allo sbaraglio! E nessuno vuole unire forze per combattere Pitch. –
Indignandosi per quello che l'ultima frase di North sembrava sottintendere, Will esclamò : – E sarebbe questa la tanto decantata forza dei Guardiani? Dovreste essere i cinque spiriti più potenti del mondo ed invece sembra che senza di noi non riusciate nemmeno a tenere a bada Pitch non appena diventa un po' più forte del dovuto! –
– Non è così semplice! –  fece North, massaggiandosi le tempie. – Noi manteniamo equilibrio tra mondi! Noi dobbiamo occuparci di bambini, di feste, di regali, e non abbiamo tempo per … –
– … per occuparvi del resto? –
– Si! – esclamò North sollevando le sopracciglia e poi tornando ad aggrottarle. – Cioè no! Non volevo dire questo! –
– Abbiamo già battuto Pitch una volta. – fece notare Jack, sentendo sorgere dentro di sé l'improbabile dovere di difendere i Guardiani visto che ne faceva parte. – E senza il vostro aiuto, vi ricordo. –
Will e Valentine si scambiarono un'occhiata eloquente.
– E nel farlo avete quasi mandato il mondo a rotoli…– disse Will in un turbinio di capelli dai barlumi azzurrini.
– … i bambini avevano smesso di credere in voi…– aggiunse Valentine con sussiego.
– …avevate perso quasi del tutto i vostri poteri… –
– … e se non fosse stato per Sandman non avreste nemmeno avuto la meglio contro Pitch…–
– … senza contare che eravate cinque contro uno…–
– …davvero una bella prova! – concluse Valentine battendo le mani ad un immaginario pubblico. – Ora che siete cinque contro due, dovete chiedere l'aiuto ad altri venti spiriti per sentirvi al sicuro? –
– Veramente saremmo tre contro cinque. –
Will osservò North col sopracciglio alzato fino a quando lui non ebbe la decenza di arrossire. La sua voce, anche se flebile flebile, arrivò comunque all'orecchio di tutti i presenti.
– Cinque contro tre, da … dunque, si…. da quando Halley si è unito a Pitch. –
Jack sentì il suo sguardo scurirsi mentre correggeva North.
– Cinque contro due. La sorella di Halley è…–
Nessuno se la sentì di completare quella frase e fu Will a riprendere la parola pur di spezzare quell'odioso silenzio.
– Io la penso come Valentine. Vorrei andare da Pitch e riempirlo di pugni fino a spezzarmi le nocche, e poi liberare tutti gli spiriti che ha imprigionato. – fece una pausa e poi riprese: – Però la penso anche come North e come Jack: da sola non ci riuscirei mai. Quindi non diventerò una vostra alleata ma vi darò comunque il mio totale supporto e aiuto, per quanto mi sarà possibile.–
Valentine le rivolse uno sguardo esterrefatto: a suo parere l'unica persona che ancora ragionava in quella stanza era spensieratamente impazzita a sua volta.
– Per voi avrei bisogno di qualche fantastilione di frecce dell'intelligenza. – sospirò abbattuto. ­– Altro che dardi dell'amore. –
Jack Frost assunse un'aria pensierosa e si prese il mento tra l'indice e il pollice per aiutare le proprie idee a schiarirsi ulteriormente. A che cosa stesse pensando nessuno avrebbe mai potuto nemmeno immaginarlo.
Will lo guardò con interesse, notando inconsciamente il modo delicato con cui i sottili capelli argentati di lui cadevano scomposti sulle tempie e sulla fronte, ombreggiandogli gli occhi azzurri velati da ciglia finissime.
I pensieri di Jack, intanto, vagarono fino alla nuova tana di Pitch e ad Halley.
Ricorda Jack. Fidarti degli altri sarà la tua rovina. Questo gli aveva detto l'Uomo Nero e lui, Jack, si era fidato lo stesso. Halley però non aveva tradito per sua volontà, era stato costretto; la sua volontà spezzata con l'inganno dagli strali dell'astuzia di Pitch. Anche messa in quel modo, però, la sostanza della cose non cambiava: presto o tardi avrebbero dovuto combattere contro Halley. E quando fosse giunto il momento sarebbero riusciti ad eliminarlo, così come si proponevano di eliminare Pitch?
Questo Jack Frost ancora non lo sapeva.

***

I know you know what you’re doing to me
I know my hands will never be free
I know what it’s like to be
In chains
                          In chains, Depeche Mode


Il sonno, soave balsamo ristoratore delle fatiche compiute durante la giornata, serrava con attente e benevole dita gli occhi dei bambini, avvolti nell'ombra delle loro calde coperte. La sabbia dorata che allontanava la coscienza e induceva al salvifico oblio del riposo aveva già visitato le case di Burgess quando una figura indistinta ascoltò in doloroso raccoglimento i rintocchi della mezzanotte allungarsi nell'aria come il pianto di una novella sposa, abbandonata sull'altare.
Le nuvole stracciate corsero nel cielo stellato, incalzate da raffiche di vento gelido, celando la luce della luna come una maschera dissimula le espressioni del volto.
L'ultimo rintocco si spense in lontananza e tutto tornò a tacere.
Il perfetto silenzio della città quando si placa, il suo tornare a bisbigliare dopo aver tanto gridato, parlò alle orecchie della figura fuligginosa con dolcezza.
"È l'ora di Halloween."
E la figura sorrise in quell'attimo privo di tempo e di spazio che è l'istante prima della tempesta.
Per le cose profonde a che serve il linguaggio?
Se chi è vivo per caso o per volontà - chi nonostante tutto si ostina a vivere, chi non sa più per che cosa o per chi vivere - ancora non sa parlare delle profonde esperienze che la vita gli ha inflitto…
Halley smise di sorridere e volse lo sguardo all'orizzonte, dove (anche senza vederli) sapeva che i cancelli neri si stavano aprendo cigolando, riversando nel mondo degli umani i mostri che durante tutto l'anno rimanevano segregati..
…perché dopo tutto questo ci si stupisce ancora se i morti non parlano della loro morte?
Di tutte le case solo una aveva ancora la luce accesa. Una casa che ad Halley riportò alle mente memorie così lontane eppure così vicine alla sua anima slabbrata da sentirsene ulteriormente ferito: Jack Frost voleva mostrargli qualcosa in quel posto, voleva fargli conoscere qualcuno.
Lumin si limitò ad uscire dalla porticina laterale della lanterna e ad arrampicarsi lungo il bastone di ghisa, fin sopra la spalla di Halley. Una lieve favilla, come un tenero buffetto, sfiorò quella guancia liscia con tenerezza, asciugando una lacrima che lui non sapeva nemmeno di aver versato.
Il loro silenzio avrà spiegazioni solo quando li avremo raggiunti.
– Andiamo, Lumin. –
Halley sorrise di nuovo, sforzandosi di mostrare un'allegria che non provava. – Prima che inizi voglio accertarmi di una cosa. –
Un rombo cupo di protesta si alzò dalle nuvole che s'andavano ingrossando in gonfi agglomerati di vapore acqueo sopra i tetti della città. Lumin condusse Halley al davanzale di quella stanza illuminata e lanciò qualche lenta spirale infuocata per controllare attentamente l'interno.
Un letto, un mobile e una scrivania erano tutto quello che quella camera conteneva, insieme ad alcuni buffi disegni dove un ragazzino sfrecciava sopra ad uno slittino in mezzo alla neve. Dopo l'approvazione di Lumin, Halley aprì la finestra e fece scivolare i piedi all'interno, posandoli sopra ad un tappeto a motivi geometrici. La luce proveniva da una lampadina a faretto poco distante dal letto, dimenticata accesa.
La folata d'aria che penetrò dalla finestra scompigliò i capelli castani di un bambino addormentato e Halley si accucciò per poterlo guardare in volto. Lentiggini e un naso a patata, sopra ad una bocca spalancata in un sorriso divertito. Il suo doveva essere proprio un bel sogno, pensò Halley, senza distogliere lo sguardo. Il bambino, quasi avvertendo di essere osservato, richiuse la bocca di scatto e strofinò il viso contro il cuscino, arrossandosi le guance.
Con fare materno Lumin borbottò sommessamente e Halley dovette alzarsi per rimettere a posto le coperte che si erano scostate dalle spalle dell'addormentato.
Quel gesto però svegliò definitivamente il bambino e due occhi assonnati, scuri come miele di castagno, fissarono Halley in una muta domanda.
– Jack…? –
Per un incredibile attimo Halley pensò che il bambino potesse vederlo, che stesse parlando proprio con lui, ma poi realizzò che stava parlando di qualcun altro. Jack Frost.
– Jack, sei tu? –
Strofinandosi gli occhi con entrambe le mani si tirò a sedere e fu in quell'attimo che Halley vide la scritta a lettere multicolori che capeggiava eternamente sotto ad alcuni disegni dal tratto infantile, simile ad una firma.
Jamie. – lesse Halley e poi tornò a guardare il bambino.
– Jack, dove sei? – chiese ancora il bambino, alzandosi dal letto e andando a chiudere la finestra con passo incerto. – La finestra è aperta, quindi lo so che ci sei. Non cercare di spaventarmi come l'ultima volta perché non è affatto divertente come credi. –
Halley si rese conto di aver fatto un errore. Il viso poteva essere ancora fanciullesco, ma quello che gli stava di fronte non era più un bambino. Poteva avere circa undici o dodici anni. E Halley ricordò con rabbia che lui a quell'età lavorava già nella miniera.
Stava per rovesciare la sedia della scrivania con un involontario ed innocente calcio, quando la porta si spalancò su una cosetta bionda e urlante che sfrecciò tra le braccia di Jamie, piangendo.
– Sophie? Che succede? – chiese Jamie preoccupato.
Tra i singhiozzi e le lacrime, si distinsero solo le parole " cewa moosto" e "neesta"
– Hai visto un mostro fuori dalla finestra? – tradusse subito Jamie, con tale prontezza da stupire persino Lumin che scoppiettò allibita. – Sarà stato solo un incubo, torna a dormire e vedrai che Sandy tornerà con uno dei suoi sogni più belli. –
Sophie scuotè la testa con vigore, facendo ondeggiare intorno al suo viso la massa di capelli dorati che le scendeva fluentemente fin quasi a metà schiena.
Jamie sospirò e si sedette sul letto, facendo accomodare la sorellina sulle ginocchia prima di abbracciarla per rincuorarla. Halley perse del tutto la sua voglia di rompere la sedia vedendo quella scena, o meglio di rompere soltanto la sedia. Perché in quel maledetto istante avrebbe voluto dire a Lumin di mandare al rogo l'intera città pur di non dover assistere ulteriormente a quel quadretto familiare, pur di non dover più vedere quello che lui aveva perduto - non per la prima ma addirittura per la seconda volta - e che mai più avrebbe potuto avere indietro.
– Ho visto abbastanza. – disse a Lumin, cercando di dare alla sua voce un tono che risultasse saldo almeno alle sue orecchie. – Andiamo via. –
La voce di Jamie però lo colse del tutto impreparato.
– E dai Sophie, basta piangere. Ormai sei grande e, poi, domani è Halloween! Non vorrai mica che la mamma non ci lasci andare a fare "dolcetto o scherzetto" insieme agli altri? –
Davanti alla possibilità di non vedere nemmeno un dolce Sophie sembrò dimenticare persino cosa l'avesse spaventata e tirò su col naso con fare dignitoso.
– Ecco, così non va meglio? –
– Domani verranno anche … Jack e Bunny? –
– Non saprei. –
Halley osservò una linea dubbiosa delinearsi in mezzo alla fronte di Jamie e di nuovo i suoi occhi frugarono la stanza alla ricerca di quel qualcosa o qualcuno che sospettava essere entrato di soppiatto nella sua stanza.
– È già da un po' che non li vedo, in effetti. –
Durante quell'operazione gli occhi di Jamie si posarono sull'orologio e un sorriso genuino gli si dipinse sul volto.
– Anzi, guarda un po' lì, Sophie! È già Halloween! –
Con un'esuberanza invidiabile, Sophie balzò in piedi e iniziò a saltare sul letto di Jamie a piedi uniti, arrivando un poco più in alto ad ogni balzo che faceva.
– Voglio mettere il mio vestito da strega! Voglio mettere il mio fantastico vestito da strega! –
Jamie ridacchiò piano, sperando con tutto il cuore che i suoi genitori continuassero a dormire, ignari.
Halley invece percepì distintamente la sua mascella serrarsi e fuori dalla finestra le prime gocce di pioggia cadere con un ticchettio inesorabile contro il vetro di quella stanza illuminata contro la notte più nera.
– Volete Halloween? – disse così piano che persino Lumin stentò a sentirlo. – E Halloween avrete. –
La sua mano corse alla finestra, spalancandola con un solo movimento e facendo sussultare sia Jamie che Sophie dalla sorpresa. La pioggia cominciò ad entrare, bagnando il tappeto, ma ad Halley non importava. Perché avrebbe dovuto, poi?
Incurante degli sbuffi di protesta di Lumin che mal sopportava l'acqua si slanciò di sotto, atterrando nel bel mezzo della strada, sotto al cono di luce di un lampione teso verso il marciapiede.
Rovesciò il capo all'indietro, accogliendo con gioia i sottili aghi che infierivano sulla sua pelle. Chiuse gli occhi e incominciò a correre, sentendo il  vento corrergli sul corpo e gettargli i capelli dietro le spalle. Gli spruzzi di fango che alzava gli insozzarono i pantaloni e andarono a macchiare la sua maglia bianca, ormai attaccata al suo torso congelato.
Ma a lui non importava. Niente importava più.
Dall'alto del campanile, dal tetto che sovrastava tutti gli altri sfidando le altezze più vertiginose, Pitch Black aveva osservato divertito l'intera scena. Con una lieve torsione del candido polso richiamò alcuni incubi, ordinando loro di riportargli quella pecorella smarrita.
– Oh, Halley… Halley… che cosa devo fare con te? Ti ostini a cercare di dare un senso alla tua esistenza, di trovare un destino al quale assurgere. –
L'espressione di affettato rammarico non sparì dal volto scarno di Pitch, nemmeno quando vide i suoi incubi accerchiare quella fuligginosa figura, persa sotto la pioggia che inondava Burgess, per riportarla al cospetto del suo padrone.
– La risposta è facile, Halley. La razza umana non ha alcun rispetto di sé stessa perché tutto sommato sa che il suo è un destino di morte e di distruzione;  pertanto sa che vivendo in un universo illogico, non vale la pena di costruire una logica che giustifichi le sue azioni. –

***

I know you knew on the day you were born
I know somehow I should’ve been warned
I know I walk every midnight to dawn
In Chains
                            In chains, Depeche Mode

Cercare di controllare il respiro affannoso non sembrava portare ad alcun successo: le ali battevano producendo fugaci brillii smeraldini e le piume arruffate combattevano contro la pioggia che si era improvvisamente abbattuta su tutta la terra, pioggia nera e affilata, minuscoli spilli di oscurità che s'insinuavano sotto pelle assieme al gelo della notte.
Toothiana aveva assistito all'apertura dei cancelli neri tra le grida di gioia dei mostri di Halloween, urla di esultanza e di liberazione che si intrecciavano tra loro a formare una cacofonia mostruosa, con una bellezza che aveva qualcosa del delirio e della pazzia.
Chi usciva però mutava... cambiava per non tornare più sé stesso.
L'influenza di Halloween sembrava imporre un sigillo sulle menti dei suoi adepti. Un marchio che impediva loro di andare dove volevano e che li costringeva a dirigersi tutti verso un unico punto: la tana di Pitch.
Essi erano semplici burattini nelle mani di Halley che esercitava su di loro il controllo più puro che potesse esistere. Il controllo dell'anima che li legava al loro Signore con un patto inscindibile di devozione e totale sottomissione. Tale espediente era stato pensato per evitare che i mostri potessero fuggire o ribellarsi, compiendo guerre e massacri come nei secoli bui, ma alla fine questo stratagemma si era rivelato solo l'ennesima arma a doppio taglio, capace di ferire a morte entrambe le parti.
Toothiana doveva avvisare gli altri che la battaglia non era più tra i Cinque e Pitch, e non era nemmeno tra loro più qualche spirito minore contro Pitch e i suoi alleati. Era una guerra vera e propria.
Gli spiriti di Halloween era tanti, troppi per poter pensare di affrontarli senza adeguato supporto: un autentico esercito che si stava muovendo per le vie non battute della terra per raggiungere le ombre di Pitch e, poi - di questo Toothy ne era sicura - marciare come un'unica grande armata verso il Polo Pord.
Tra le dita irrigidite per il freddo stringeva due piccoli cofanetti dorati, alle cui estremità spiccavano in rilievo due rotondi volti scolpiti nel metallo e poi decorati con i colori cangianti delle fate.
Capelli neri, occhi come carboni ed incarnato pallido.
Halley e Satia quando erano ancora bambini; quando ancora umani avevano perduto i dentini da latte ed atteso con ansia fino a quando le fatine non erano venute a prenderli per portare loro in cambio qualche soldo.
Toothy sentì che i suoi occhi, di solito lucenti come ametiste intagliate, si riempivano di qualcosa che non era solo pioggia. Acqua salata come il mare e amara come la fiele.
Un piccolo bambino fuligginoso che per avere più soldi - necessari a pagare il cibo a lui e a sua sorella - si lanciava a testa bassa contro il tronco di un albero, riuscendo a spaccarsi cinque denti in una volta. La ragazza più grande di soli quattro anni che offriva il suo aiuto nelle case, per cucinare o per pulire.
Lei riusciva a vedere i ricordi contenuti nei denti dei quali era la Guardiana. I ricordi più vividi e più forti, i più belli ma anche i più dolorosi. Serrando gli occhi con forza scacciò le lacrime e guardò verso il basso dove Cassian stava correndo sulle rocce rese scivolose dalla pioggia con velocità inumana, sfruttando fino allo stremo le sue già ampie falcate. Quest'ultimo doveva combattere una estenuante battaglia interiore per impedire che il volere di Halloween si manifestasse anche dentro al suo spirito, annullando completamente la sua volontà. Toothy lo vedeva dai suoi occhi verdi sofferenti e socchiusi in una smorfia di dolore che nulla aveva di fisico; lo vedeva dalle spalle curve e dalla bocca serrata.
La ragazza che nonostante avesse freddo, dava tutta la sua coperta al fratellino più piccolo, abbracciandolo da dietro per evitare che quel poco calore che possedevano si disperdesse nell'aria. I genitori che andandosene avevano lasciato un buco più profondo e più indelebile dei semplici debiti di gioco e degli arretrati dell'affitto.
Toothy si diede per l'ennesima volta dell'idiota.
Non aveva capito niente di Halley.
Niente.
Davanti a sé vide ancora quel sorrisetto di scherno e quegli occhi scuri che osservavano tutto e tutti col disincanto di un adulto; occhi di chi era cresciuto troppo in fretta, occhi di chi non era mai stato un bambino.
Ed ecco perché Halloween non piaceva ai Guardiani, a coloro che erano abituati a fare la gioia dei bambini. La loro era la semplice incapacità di accettare qualcuno che bambino non era mai stato o erano solamente restii ad ammettere che il loro grande potere era in realtà molto limitato?
Se nessuno crede in loro, i Guardiani non esistono.
Quella che viene richiesta è qualcosa di più forte dell'umana fiducia, di più salda della fede religiosa, e di più incrollabile del tempo o dello spazio stessi: bisogna credere e basta.
Credere per credere.
Credere per vedere.
Credere per esistere.
Credi con tutto te stesso a qualcosa e quel qualcosa, presto o tardi, diventerà realtà.
Solo allora nasceva un Guardiano.
E, da ciò che era stato umano, prendeva vita una Leggenda.
Toothy sbatté le ali con rinnovata furia, dirigendosi verso il polo nord con la speranza di  riuscire ad arrivare per tempo, di avvertire tutti del pericolo che incombeva su di loro.








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Cit nel testo (in corsivo, escluse le Lyrics d'incipit):
John Keats (poesia);
Edgar Lee Master (poesia);
Carl William Brown (aforisma)

Nel caso vi steste domandando perché alcune battute di North sono in russo e altre no, è perché le parti non tradotte sono nomi di persone. Šostakovič, tanto per fare un esempio, è Dmitrij Šostakovič uno tra i più importanti compositori e pianisti sovietici ed è, tra l'altro, anche il nome che North ripete quando deve imprecare ( insieme a Korsakov, anche lui super famoso compositore russo) . XD
Nel caso non ve lo foste domandato, fate come niente fosse. *fischietta andandosene*
Ah, già… *fa inversione ad u*
Qui sotto troverete una Side Story. * indica di sotto con l'indice* è diversa dalla extra-story perché racconta fatti o cose che nella storia vera e propria non accadrebbero mai: ovvero immaginatevi Pitch che beve un cappuccino al bar all'angolo conversando amabilmente con vostra nonna. Ecco appunto, cose di non quasi ordinaria amministrazione. :3
E credo che metterò anche l'avvertimento [Het/Yaoi] per queste piccole SiS. U.u
#DONNA/UOMO AVVISATA/O MEZZA/O SALVATA/O#

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- SIDE STORY -

Stuck in the moment,
Caught in an istant,
Seconds are eternity
But filled with nothing but pleasure.

           Make love to me, Luke James


Halley sorseggiò svogliatamente la tequila direttamente dalla bottiglia che teneva in mano e si lasciò cadere su una delle sedie ai lati del set di registrazione. Cassian si accomodò sul posto accanto al suo con studiata noncuranza .
– Che stanchezza! Mi fanno male le spalle. – si lamentò massaggiandosele con esuberanza.
– Ma se ultimamente non ti si vede nemmeno nella storia. – disse Halley, continuando a guardare davanti a sé. – Sei a malapena comparso per due misere righine dopo ben due capitoli di assenza! –
– Si, non ho molte parti da protagonista di recente ma ho altri modi per tenermi occupato.–
– Tipo rovinare il tuo personaggio con battute così pessime che fanno solo dubitare della tua virilità? –
– No. – rispose prontamente Cassian. – Tipo chiedermi perché con la camicia bianca strappata tu sia così maledettamente sexy. –
Halley si girò a guardarlo soltanto per potergli scoccare per intero la sua occhiata di sufficienza con tanto di sopracciglio alzato.
– Ti offendi se ti dico che sei noiosamente scontato? –
– Niente affatto. – ammise Cassian. – Però ad essere sinceri da te mi farei offendere senza problemi. Magari mentre siamo entrambi a letto, completamente nudi ed eccitati, ed io sto per…–
Fa' silenzio. –
Un addetto ai costumi finì in quel momento di riattaccare alcune piume colorate  al copricapo di Toothiana e una delle sceneggiatrici diede ulteriori indicazioni su dove e come posizionare alcuni cespugli ai lati del landscape. La scena successiva sarebbe stata quella del combattimento, ovvero quella clou di tutta la trama, e tutto doveva essere in ordine.
Capendo che le riprese non sarebbero ricominciate prima di qualche ora, Halley si alzò svogliatamente e si diresse verso la propria roulotte. Mollò la bottiglia su uno dei tavoli disposti all'esterno e salì i tre gradini che portavano alla porticina d'ingresso. Non ricordava che quegli scalini fossero così traballanti e sbuffò accaldato non appena si fu richiuso la porta alle spalle.
Il desiderio di stendersi, unito alla piacevole sensazione di liberazione che avrebbe accompagnato quell'elementare gesto, lo guidò dritto verso il letto.
Nell'esatto istante in cui la sensazione di frescura delle lenzuola gli blandì la liscia pelle un sospiro di sollievo uscì dalle sue labbra socchiuse. Perfino il lieve ronzio che fino a pochi attimi primi vibrava dietro le sue palpebre serrate sembrò diminuire fino a sparire del tutto. Nel silenzio dell'angusto spazio il suo respiro gli arrivò alle orecchie leggermente accelerato: doveva davvero aver bevuto qualche sorso di troppo.
Non ebbe tempo di gingillarsi con quelle magnanime sensazioni perché sentì distintamente la porta riaprirsi per qualche momento e poi richiudersi in tutta fretta. Maledicendosi per la propria sconsideratezza si alzò sui gomiti ad incontrare gli occhi chiari di Cassian ed il suo corpo snello.
– Non voglio essere disturbato. – decretò tornando a distendersi sulle coltri. – Esci subito dalla mia roulotte. –
– Dal tuo atteggiamento direi però che tu stia facendo di tutto per invogliarmi a disturbarti. –
–Anche fosse non osare avvicinarti. –
– D'accordo. –
– Ti stai avvicinando. –
– No. –
– Si, invece! Sei sempre più vicino! –
– Niente affatto. –
– E questo come lo chiami, di grazia!? –
Cassian finì di sdraiarsi sopra Halley e con un luccichio divertito negli occhi, verdi come l'erba appena tagliata, rispose candidamente: – Fare di necessità, virtù. –
– E da quando starmi così vicino è una necessità? –
– Da quando la tua virtù è a rischio. –
– Ma non dire fesseri…–
Il resto della frase venne cancellato dalle labbra di Cassian premute sulle sue. Il peso di quel corpo solido che si sovrapponeva lentamente al suo, schiacciandolo contro il materasso.
– Ferm…!–
Questa volta a premere contro le sue labbra fu la lingua di Cassian, umida e calda, che prepotentemente si aprì un varco, costringendolo ad assecondare quell'assalto che niente aveva di dolce e delicato.
– Fa' silenzio. – soffiò Cassian, con l'accenno di un sorriso sulle labbra, ripetendo le stesse esatte parole che Halley gli aveva rivolto poco prima, prima di tornare ad intaccare le difese del ragazzo. – … e resta buono. –
Nonostante la mente annebbiata dall'alcool Halley percepì distintamente la mano di Cassian scivolare verso il basso, tracciando sul suo fianco una scia di velata pressione che univa il desiderio alla possessività.
Le dita incontrarono la sua cintura e il pollice si incastrò all'interno dei pantaloni tirandoli lievemente con fare giocoso. Halley allungò le sue mani sul petto di Cassian per respingerlo, per evitare che quel contatto si prolungasse oltre. Capì troppo tardi di aver fatto un errore. La solidità del petto di Cassian contro i suoi palmi gli fece comprendere di non poter evitare quel che stava per accadere.
– Cassian, per favore, fermati. – implorò sentendo i suoi muscoli cedere sotto la spinta dell'altro.
In risposta alle sue preghiere la lingua di Cassian si intrecciò alla sua, ghermendola e trascinandola in vorticose danze a fior di labbra. Alle sue orecchie ovattate arrivò un suono metallico e poi una sensazione di oppressione: le abili dita di Cassian lo stavano liberando della presenza protettiva dei pantaloni e premevano dolcemente sul suo inguine, cercando di risvegliarne la passione. Di colpo Halley si sentì le guance in fiamme e serrò la gola, deglutendo più volte, per evitare che qualche suono vergognoso - o peggio, di approvazione - gli uscisse dalle labbra sulle quale Cassian sembrava deciso a lasciare tracce di lievi morsi e di baci così irruenti da mozzare il respiro.
– F-fermati o non ti perdonerò! –
Cassian si allontanò con sguardo vacuo, ma prima che Halley, ansimando sonoramente, potesse cantare vittoria la sua maglietta venne afferrata con decisione e tirata fin sopra la sua testa, dove venne rigirata con abilità. Ritrovandosi con le braccia bloccate dietro la nuca e il petto liscio ed abbronzato completamente a disposizione degli sguardi famelici di Cassian, Halley si dimenò cercando di evitare quella posizione imbarazzante.
Incurante di quei goffi tentativi, Cassian si abbassò voluttuosamente per baciare e accerchiare con le sue labbra uno dei capezzoli di Halley che lanciò un basso gemito. In quella la porta si aprì nuovamente lasciando entrare Toothiana, (o Thia, come era più conosciuta sul set) la quale non indossava l'abituale costume di piume ma teneva i capelli - neri con le meches verde shocking - sciolti sulle spalle sopra ad una maglietta nera dei Guns N' Roses.
Subito i suoi occhi viola si posarono allucinati su Halley e Cassian, mentre la sua bocca si apriva a formare una "o" decisa.
– Che diavolo state facendo? –
– Non si capisce? – chiese Cassian, evidentemente seccato.
Halley lanciò un'occhiata di pura disperazione a Thia e lei piegò di lato la testa, quasi godendosi con sadico divertimento quel momento di indecenza.
– Oh, si che si capisce. – mormorò portando un dito alle labbra. – Basta guardarvi per capire tutto quello che c'è da capire e che le lettrici si sono sempre chieste. –
– Eh, già. – annuì Cassian , beccandosi un'occhiata da obitorio da parte di Halley. – Hai visto come siamo dolci insieme? –
Thia roteò gli occhi per quell'allusione al suo personaggio e sospirò: – Già. Certo. Così dolci che mi verrà il diabete… –

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Capitolo 9
*** Smells like Guardian Spirit ***



CAPITOLO 9

SMELLS LIKE GUARDIAN SPIRIT


There is no greater love than this.
There is no greater gift that can ever be given.
To be willing to die, so another might live…
There is no greater love than this

                               Steve Curtis Chapman


La vita era fatta di scelte e questo Will-o'-wisp lo aveva imparato molto presto. Scelte a cui un giorno si sarebbe dovuto dare un senso, uno scopo, se non si voleva che risultassero del tutto inutili. In vita aveva voluto essere invisibile, cercando quasi ossessivamente la pace dei sensi e la calma della solitudine; sperando di dimenticare i torti subiti, le angherie e le vessazioni che avevano portato il suo corpo alla morte.
L'Uomo nella Luna le aveva donato tutte e tre queste cose, più una quarta che riassumeva la sua stesse essenza: il fuoco fatuo.
Di fatua bellezza era stata persino la sua morte perché negli ultimi istanti della sua esistenza, lei aveva volato. Fuori dalle finestre di una delle torri del suo sgargiante castello, ma aveva volato. Per poi schiantarsi con la prepotenza del fuoco contro il selciato.
Suo marito, di quasi quarant'anni più vecchio e con altre cinquanta mogli al seguito, al mattino aveva pianto teneramente la sua dipartita. La falsa voce che fosse semplicemente scivolata nel vuoto aveva fatto cadere nel disinteresse la sua vera storia. L'Oriente, con le sue spezie  e le sue notti infinite, l'aveva presto dimenticata. La Luna invece l'aveva accolta a braccia aperte dandole l'imperativo del fuoco e della leggerezza.
– Stai dormendo? –
Senza riuscire a ricordare quando li avesse chiusi, Will riaprì i suoi occhi e il largo sorriso di Jack Frost l'accolse come una fresca ventata settembrina. Così limpido e puro, così diverso dal sorriso che Halley le aveva rivolto quando l'aveva vista varcare i suoi cancelli per la prima volta, notando in lei nient'altro che un ipotetico spirito delle donne morte suicide. Un sorriso sarcastico e ironico che l'aveva fatta sentire subito a casa, perché insieme ad esso era arrivata la consapevolezza che altri credevano - come in fondo anche lei - che la loro vita fosse stata solo un triste scherzo del destino a cui non erano stati in grado di sottrarsi se non fuggendo nelle braccia di una fredda bara.
La vita era fatta di scelte.
– Non  stavo dormendo. – rispose meccanicamente Will. – Stavo pensando. –
– A che cosa? –
– Al perché dell'esistenza. – rispose Will, quasi sfidando Jack a ridere di lei. Invece lo sguardo sorpreso ed incuriosito - pur senza risultare in alcun modo invadente - di Jack la invitò a continuare.
– Pensavo al perché esistono spiriti come me, come Valentine o come Halley. Noi non aiutiamo i bambini e non portiamo loro nulla. O addirittura, come nel caso di Pitch, cerchiamo di spegnere la scintilla che li anima. Perché credi che l'Uomo nella Luna ci riporti in vita, dandoci una seconda possibilità? –
– Forse perché sa che prima una possibilità non l'avete mai avuta? –
Gli occhi di Will si allargarono sorpresi e poi tornarono a chiudersi, l'ombra di un sorriso che aleggiava sulle sue labbra cerulee. Jack Frost era davvero un tipo sottovalutato da molti.
La voce del ragazzo le arrivò di nuovo alle orecchie ma questa volta le sembrò preoccupata. Un refolo di vento, le disse che lui era balzato al suo fianco, sopra alla balaustra del terrazzino sul quale lei si era seduta cercando un po' di solitudine.
– Non mi piace questo cielo. –
Will guardò a sua volta. C'era qualcosa di errato nella colorazione rossastra del cielo, come se le nuvole avessero lasciato dietro di sé scie di sangue dopo esser state ferite a morte dall'alba che incombeva.
– Nemmeno a me. – concordò Will, cercando di reprimere l'ennesima fitta di dolore.  Da quando si era svegliata quella mattina un richiamo sordo al petto si era acceso in lei e, in qualche modo, la avvisava che qualcosa di molto brutto stava per accadere. Non sapeva cosa però, né riusciva ad immaginarlo.
– Stai bene? –
La mano delicata di Jack si posò sulla sua fronte e Will si voltò di scatto, sentendosi avvampare.
– Si, sto bene. – rispose, scostandosi ulteriormente. – Sai nulla di Valentine? –
Il sorriso di Jack le riscaldò ulteriormente il cuore e, con rammarico, si ritrovò a domandarsi perché non avesse potuto incontrare un ragazzo come lui quando era in vita.
– A quanto pare ha deciso che può scoccare frecce anche al fianco dei Guardiani, se promettiamo di non intralciarlo troppo nella sua vendetta. È riuscito persino a riparare l'arco. Ma da quando è successo, stranamente North ha iniziato a parlare di amore osservando deliziato uno dei suoi yeti più barbuti. –
Will ridacchiò piano e questa volta il dolore arrivò così prepotentemente da coglierla di sorpresa. Si ripiegò su sé stessa e represse un grido, sentendo le braccia di Jack cingerla l'attimo dopo per impedirle di cadere di sotto.
– Tu non stai affatto bene. – dichiarò lui deciso, senza accennare a mollarla. Will fece per ribattere che senza dubbio sarebbe migliorata a momenti, ma il secondo capogiro la costrinse a pigiarsi le mani sulle tempie con forza.
– È H-halloween. – spiegò con voce rotta dalla sofferenza. – L-lui mi sta chiamando. È da mezzanotte che…–
– Halley? – chiese Jack cercando di guardarla in faccia. – Che significa che ti sta chiamando? –
– N-non era mai successo prima. Non dovrebbe nemmeno accadere: è strano, f-fa male. –
Jack richiamò il vento e portò Will con sé, passandole una mano dietro le ginocchia e l'altra dietro le spalle. Subito si stupì dell'assenza di peso che tratteneva tra le braccia: era leggera, maledizione se era leggera. E di certo il suo colorito azzurrino non l'aiutava a sembrare una persona in salute.
– Ti porto dentro. – annunciò spalancando le porte del terrazzo con una folata impetuosa, per poi varcarle con un balzo.
– Halley… lui vuole che io lo raggiunga. –
– Tu non ti muoverai di un solo millimetro, invece. – ordinò Jack, depositandola su uno dei divani in pelle bordeaux di North. Fece per richiudere le porte di vetro dietro di sé, ma uno sfarfallio smeraldino, chiaro come la giada più pura, costrinse i suoi occhi a socchiudersi.
La voce acuta di Toothy arrivò poco dopo, ancora indistinta, alle sue orecchie.

***

Ali come schegge di zoisite, multicolori e frenetiche, si stagliarono contro i bordi bruniti delle nuvole. In lontananza il primo lampo, illuminò la terra di una luce violenta e fulminea, e la prima goccia nera cadde come tetro ammonimento contro il vetro del terrazzino. Jack osservò la scia grigiastra che quel frammento di tenebra tracciò con lentezza su quella superficie trasparente scivolando verso il basso, prima di notare l'ombra scura che aveva preso possesso del balcone.
La punta del suo bastone ricurvo si puntò contro di essa per puro riflesso istintivo. Solo quando l'ombra alzò le mani in segno di resa, si rese conto di chi si trovava di fronte.
– Jack! No! – gridò Toothy. – È con noi! –
Cassian riabbassò le mani e per un attimo la stessa espressione spezzata di Will comparve anche sul suo volto.
– Diventa sempre più difficile resistere a questa maledetta voce. – disse avanzando verso Jack. – Pitch deve aver fatto qualcosa ad Halley. –
Nessuno, né Toothiana, né Cassian, sapeva ancora quello che era successo nella tana di Pitch.
Quella consapevolezza colpì Jack come un pugno allo stomaco e la sua voce risultò tesa come un filo in procinto di spezzarsi quando cercò di parlare.
– In verità Halley si è … lui si è unito a Pitch. –
– Si, lo sappiamo. – fu la semplice risposta. Così limpida e chiara da spiazzare Jack. – Siamo qui per questo. –
Con qualche sobbalzo dovuto alla stanchezza, Toothy atterrò a sua volta sul terrazzino e Cassian l'afferrò prima che cadesse sul pavimento.
– Come… come lo sapete? –
Lo sguardo di Cassian si oscurò, palesando un sentimento che rasentava la colpevolezza e, a tratti, il risentimento, ma quel momento passò in fretta e lui si affrettò a portare dentro Toothy, richiudendo dietro di loro la porta-finestra per evitare che le sempre più frequenti gocce nere potessero entrare.
– C'è una cosa che vi dobbiamo mostrare. – disse Toothy, mostrando a tutti i due cofanetti cilindrici che fino a quel momento aveva stretto al suo petto ansimante, proteggendoli dalle intemperie con la fermezza di una madre che ripari i propri piccoli. Da sotto uno dei cofanetti, uscirono due Dente da Latte che si scrollarono le piume, starnutendo in un tenue pigolio.
Will si alzò sui gomiti e indicò incredula quegli oggettini dorati: – Sono quello che penso io? Sono… i ricordi di Halley? –
– Di Halley e di sua sorella. – annuì Toothy. – Come ho già detto c'è una cosa che vi dobbiamo mostrare. Io e Cassian l'abbiamo già visto, ma anche voi dovete sapere. –
Una delle due fatine alate corse da Jack ad abbracciarlo e lui sorrise suo malgrado.
– Ma i ricordi non possono essere visti solo dai diretti interessati? – chiese, spostando la piccola Dente la Latte sulla sua spalla, dove presto andò a posarsi anche l'altra compagna. – Quando ci ho guardato dentro io ho visto solo i miei ricordi. –
Quel tremendo giorno in cui credeva di aver perduto tutto quello per cui aveva lottato. Quel giorno dove, se non fosse stato per il sé stesso del passato, avrebbe perduto il sé stesso del presente. L'importanza dei ricordi perduti che gli aveva fatto comprendere qual era la giusta via, e chi era che voleva diventare veramente. Un Guardiano.
– Io sono la Guardiana dei Ricordi. – mormorò Toothy lentamente, quasi volesse accertarsi che nessuno perdesse nemmeno una delle sue parola. – Posso accedere quando voglio a tutti i ricordi contenuti nei denti. –
– Non ha più senso ormai. – rispose Jack, scuotendo la testa. – Satia è morta. –
– Gli spiriti non muoiono. – esclamò Cassian con gli occhi verdi accesi di una luce sinistra. – Gli spiriti sono tali perché sono già morti. Possono venire sconfitti, segregati, distrutti… ma non possono morire di nuovo. –
– Finché qualcuno crederà in loro potranno rinascere... –  comprese Jack.
Rivedere e rivivere la morte di Sandman. Il sacrificio che tutti credevano lui avesse compiuto per non dare la soddisfazione della vittoria a Pitch, pur di lasciare dietro di sé una risacca di speranza e di sogni che, anche senza il loro Guardiano, avrebbero continuato a vivere di vita propria.
Il mare che continua nel suo incessante sciabordio nonostante qualcuno cerchi di fermarlo calciando la spuma delle onde. L'infinita profondità degli abissi della mente, i recessi che anche Toothiana era in grado di esplorare a suo piacimento.
– Satia non era un guardiano. – fece notare Will. – Nessuno credeva in lei prima e nessuno crederà in lei dopo. –
Parole che come vetri rotti feriscono la pelle, lasciando una linea slabbrata, sanguigna e dolorosa, dove prima c'era solo la liscia uniformità dell'epidermide.
– Ed è qui che ti sbagli! – esclamò Toothy, le guance pallide accese da un accenno di colore. – Quando Pitch dice che può riportare indietro Satia dice la verità.  Nessuno di voi conosce la vera storia della nascita di Pitch. –
Cassian serrò i pugni e Will lo guardò con sguardo interrogativo, ricevendo però in cambio solo un'occhiata vuota, spenta. Toothy si voltò verso Jack e gli mise i due cofanetti nella mani.
– Tu che Guardiano credi essere? Il quinto, giusto? –
Jack alzò i sui occhi, mare in tempesta dove una minuscola barca - la sua coscienza - cercava di sopravvivere nonostante i cavalloni la insidiassero da ogni lato.
– Non sono il quinto? –
– Sei il sesto. Pitch è stato il primo. Il primo Guardiano mai creato dall'Uomo nella Luna. –

***
Ora, lasciatemi...
Ora, abituatevi senza di me.

Non capiva dove si trovava. Alzò gli occhi eppure il paesaggio non sembrò mutare in alcun modo: alberi dalle chiome maestose contro il cielo di velluto nero, deturpato da pennellate furiose di nuvole, barriera invalicabile che per qualche ragione sapeva di non poter attraversare. Il mondo stesso non capiva il perché della sua esistenza, irretito e stupito da quella che credeva - sperava - essere una sua creatura.
Lei non ricordava nemmeno perché si trovava lì. Vagare nell'oscurità era ciò che aveva sempre fatto, o no?
Non lo sapeva. Il non saperlo, però, aveva davvero importanza?
L'erba contro la sua guancia odorava di buono, la terra morbida si era sagomata intorno al suo corpo snello e l'accoglieva in un abbraccio confortevole dal quale non si voleva distaccare. Terra umida che allungava le sue dita sopra le sue caviglie, le sue spalle e la sua vita, trascinandola verso il basso. Ingurgitandola come l'ennesima mostruosità partorita da un sogno che nessuno vuole rivivere: un incubo.
Qual era il suo nome?
Troppe domande senza risposta. Risposte che, divertite, le sfuggivano, sogghignando tra loro della sua incapacità di afferrarle.
Qual è il mio nome?
Fiori di pesco le crebbero tra i capelli mischiando il loro musicale odore a quello putrescente della morte; margherite bianche, morbide perle sulla sua gola, adornarono il suo collo come una collana di terribile bellezza.
Il proprio nome non ha importanza nella morte.
Quella convinzione dava, nonostante tutto, adito ad un'altra domanda.
Sono morta, dunque?
Domande, sempre e solo domande. Domande senza alcuna importanza.
I morti non domandano nulla, non desiderano nulla.
Ma se lei non fosse stata morta, se lei avesse avuto ancora un briciolo di vita dentro il suo petto magro, cosa avrebbe desiderato?
Soffice terra si spalancò sotto di lei, si allargò e la ricoprì completamente, come pioggia che dal cielo lavi via ogni impurità.
Nella morte c'è chi trova sé stesso.
Lei, quindi, chi era?
Qual è il mio nome?
La luna non le rispose, ma le diede un'altra domanda: cosa desideri ?

Io chiuderò gli occhi
E voglio solo cinque cose,
...

    Chiedo silenzio, Pablo Neruda

***

– Pitch è stato il primo? – Jack Frost osservò attentamente Toothiana. – Ma la pietra nella sala del globo non porta alcuna traccia del simbolo di Pitch: ci siamo solo noi cinque. –
– Esistono due globi, Jack. – disse Toothy, le dita esili che scorrevano leggere sopra i due contenitori dorati quasi richiamando alla memoria ricordi così lontani da essere andati quasi perduti. – E una volta esistevano solo due Guardiani: Pitch e North. Ombra e luce. Paura e meraviglia.
Non sono stati creati insieme, quello no. Prima è venuto Pitch, coi tempi bui e il suo regno fatto di oscurità, e poi è venuto North. Ed è così che l'uomo quando non conosce qualcosa, prima ne ha paura e solo dopo ne rimane meravigliato. Il terzo ad essere creato è stato Sandy: il giusto equilibrio tra i due, colui che si oppone agli incubi e che fomenta la meraviglia, creando i sogni.
Solo molto tempo dopo è arrivata la memoria. – Toothy sorrise e piegò la testa di lato, avvicinandola alla spalla. – La memoria: cioè io. La capacità dell'uomo di ricordare fatti passati, di ricordare le paure, di ricordare le cose meravigliose e i sogni chiusi dentro all'anima. Tu e Bunnymund siete i più giovani per così dire. Speranza e gioia: ultime, certo, ma non per questo meno importanti. –
Con mani tremanti, Jack abbassò lo sguardo. – Pitch quindi è un Guardiano, come te  e come me? –
Toothy annuì.
– Pitch può riportare in vita Satia. Almeno su questo non ha mentito. Non del tutto. –
Gli occhi di Will e di Cassian si appuntarono su Toothy, su Jack e poi di nuovo su Toothy.
– Che vuoi dire? –
– Lui ha taciuto parte della verità. Ovvero che anche noi Guardiani siamo in grado di riportare indietro Satia, ma per farlo abbiamo bisogno dell'aiuto dei bambini, esattamente come Pitch. –
– Pitch spaventa i bambini, mica chiede il loro aiuto. – fece notare Will, senza che c'è ne fosse alcun bisogno.
– Infatti su questo ha mentito. Potrebbe farlo perché ne è capace. Ma non lo farà. –
– Tu che cosa proponi, quindi? – s'informò Cassian, stufo di tutti quei giri di parole e con un'espressione sempre più dolorante in volto. – Non abbiamo più tutto questo tempo. –
Toothy si alzò e guardò tutti i presenti negli occhi, poi parlò: – Dico che dovremo essere noi a riportare indietro per primi Satia. Sapendola in salvo Halley avrà un legame in meno che lo collega a Pitch e sarà anche meno complicato per noi spezzare il patto che lo vincola all'Uomo Nero. –
– E come intendi chiedere aiuto ai bambini? – chiese sarcastico Cassian. – In questo momento saranno troppo intenti a fare incubi per colpa di Pitch o a spaventare la gente per colpa di Halloween. –
– Non servirà l'aiuto dei bambini reali. Basteranno questi. – Toothy mostrò i due cofanetti e sorrise. – Ho bisogno di un volontario che venga con me. –
Per qualche strano motivo tutti gli occhi si puntarono su Jack Frost, nonostante lui non avesse mosso nemmeno un muscolo. Il bianco dei suoi denti si allargò sul suo volto, illuminandolo di una nuova emozione.
– Conta su di me, Toothy. –
– Molto bene. Dopo di te. – disse lei, allargando una mano con gesto galante.  – Ti ricordi come si fa per entrare, vero? –
Sia Will che Cassian rotearono gli occhi, ma entrambi si ritrovarono loro malgrado ad osservare con attenzione i movimenti con cui Jack si tese verso il cofanetto di Satia, ed i suoi occhi di limpido ghiaccio portarsi proprio sopra i minuscoli scompartimenti dove erano alloggiati i dentini. Una debole luce si irradiò da ciascuno di essi, crescendo ed intensificandosi man mano che aumentava la concentrazione del ragazzo.
Poi un fascio bianco esplose di fronte a loro, inghiottendo le coscienze di Jack  e di Toothy. I loro corpi si afflosciarono al suolo e Will lanciò un grido di allarme.
– Che gli è preso? Che è successo? –
– Nulla. – rispose serafico Cassian. – Sono solo entrati nei ricordi di Satia. –

***

La prima cosa che Jack Frost capì al suo risveglio fu che c'era agitazione. Molta gente correva, urlava, spintonava. Nessuno che si premurava del prossimo: l'intera massa di persone era intenta a convogliare  verso un unico punto. Al suo fianco, Toothy si massaggiò qualche piuma che si era curvata durante il brusco atterraggio.
– Tu la vedi? –
Jack non ebbe bisogno che gli dicesse chi cercare; subito i suoi occhi scandagliarono la folla alla ricerca di quel volto pallido e spigoloso. Viaggiare nei ricordi altrui però era diverso che ripercorrere i propri, e lentamente se ne accorse. I volti erano indistinti, come se l'autore di quelle memorie non ci avesse prestato molta attenzione, al pari di uno sbadato pittore che avesse dimenticato di disegnare le facce a tutti i personaggi del suo quadro, tranne che ad uno soltanto di loro.
Una figura magra e cenciosa lo sorpassò passandogli attraverso e Jack ritornò per un terribile istante al momento del suo risveglio. Quando nessuno lo vedeva, quando nessuno credeva in lui.
– Jack! Non imbambolarti! –
Voltandosi, scoprì che Toothy era andata avanti, seguendo gli abitanti del villaggio giù per un pendio boscoso. I ricordi stavano scomparendo, avvolti in una nebbia grigiastra che era la non-conoscenza. Satia doveva essere andata già avanti se nei suoi ricordi mancava il villaggio da quel momento in poi.
– Arrivo! Toothy aspet…–
Jack trattenne il fiato.
Vicino ad un grumo di alberi, alti e neri, una ragazza pallida e dal volto fuligginoso si guardava intorno smarrita, persa. Ma non poteva essere Satia se quelli erano i suoi ricordi… Non potevano esserci due Satie!
Scacciando quell'immagine dai suoi occhi si affrettò a raggiungere Toothy, e così facendo non si accorse che quel grigio miraggio lo aveva notato e che silenziosamente aveva iniziato a seguirlo, avanzando sopra l'erba come sospinto dal vento, nonostante i suoi piedi lerci e pieni di tagli non sfiorassero neppure gli steli secchi e incrostati di ghiaccio.
– Toothy, ma dove stanno andando? –
Jack oltrepassò qualche corpo senza che il proprietario si degnasse di accorgersene e si affiancò a Toothy, badando a non perdere il suo bastone in mezzo a tutte quelle persone.
– Ascoltali e capirai. – rispose lei, accelerando il battito delle ali.
Le sue orecchie si sforzarono di trarre un senso compiuto dalla cacofonia di grida e di schiamazzi che stavano udendo, e finalmente riuscì a distinguere due parole sopra le altre. "Miniera" e "crollata".
– Halley lavorava nella miniera. – lo anticipò Toothy, levandosi in cielo e oltrepassando le cime di alcuni alberi. La scelta di risalire il pendio in linea d'aria, abbandonando le vie tortuose dei sentieri ghiaiosi, si rivelò assai proficua, ed entrambi arrivarono insieme ai primi soccorsi davanti ad un foro circolare.
L'ingresso della miniera, praticato ai piedi della montagna, era crollato per metà e la massiccia architrave di legno era collassata su sé stessa, spezzandosi a metà come un qualunque, esile fuscello.
La luna spandeva impietosa i suoi raggi argentati sull'erba e sui massi circostanti. Le urla divennero più forti.
– Toothy, tu hai detto che Halley lavorava nella miniera…–
Tremando lievemente Jack si voltò a fronteggiarla, i muscoli che non sembravano più appartenergli per il modo goffo con cui rispondevano ai suoi ordini.
– … si, lavorava qui. – concluse Toothy per lui, apparendo quasi diafana sotto la fioca luce delle torce che sbucavano dai boschi ad ondate di cinque o sei persone.
 – Ed è qui che è morto. –
Impotente, Jack tornò a fissare la miniera e la voce di Toothy gli giunse distante, come attutita da uno spesso panno.
– Ho guardato anche i ricordi di Halley. Tutti. Fino in fondo. – Una solitaria lacrima le rigò la guancia, seguendo il percorso di quelle che già l'avevano preceduta. – Sono rimasta con lui nei suoi ultimi momenti di vita. Non l'ho abbandonato. Mi ripeto che è così che avrebbe fatto un vero Guardiano, solo che … solo che un vero Guardiano dovrebbe vegliare sulla vita e non sulla morte dei bambini e dei ragazzi. O perlomeno non solo su quest'ultima.–
– Tu hai fatto tutto il possibile. –
– Non è stato abbastanza.  –
– Ma, Toothy. Non puoi incolpare te stessa per quello che è successo. –
– Lo so. Infatti incolpo me stessa per quello che è accaduto dopo. –
– Dopo? –
Un grido sovrastò all'improvviso tutti gli altri e una ragazza minuta si gettò oltre la folla, fendendola con la forza della propria disperazione.
– Lasciatemi andare! Lasciatemi, vi ho detto! Lui è dentro! Lui è lì dentro! Devo salvarlo! –
– Satia, ferma! –
– Qualcuno la tenga ferma! Non può entrare! –
– C'è la possibilità che ci siano ulteriori frane! È un suicidio entrare adesso! –
– Ma lui è ancora dentro! Potrebbe essere vivo! –
– Satia, smettila! –
– Mio fratello! Lasciatemi vi supplico! Jacky!! –
Con uno spintone più forte degli altri, quel corpicino minuto riuscì ad avere la meglio sui muscoli degli uomini che lo trattenevano, slanciandosi verso il minuscolo foro d'entrata rimasto tra l'architrave e il muro della montagna.
Molte mani si protesero per impedirle di avanzare ma lei fu più veloce e riuscì a guadagnare l'angusto ingresso, gettandovicisi a capofitto.
– Quella pazza! –
– Qualcuno entri e la fermi! –
– No, nessuno si muova! Bisogna prima organizzare una squadra di soccorso! –
– Bisogna far brillare le rocce che bloccano l'ingresso! –
Toothy impallidì ancora di più ma rifiutò con decisione l'aiuto di Jack quando lui glielo offrì.
– Tu mi hai chiesto che cosa è successo dopo…– disse infine. – … è successo che io ho odiato Halley per molto tempo e gli ho… ho detto delle cose orribili. Cose che solo ora ho capito cosa significassero veramente per lui e quanto lo avessero ferito in realtà. –
Jack non la interruppe,  lasciandola continuare, e lei gliene fu grata.
– Dopo aver visto i suoi ricordi, ho capito. Ora so perché Halley è lo spirito di Halloween. Ora so perché bussa di casa in casa chiedendo dei dolci. Ora so perché vaga solitario, sempre alla ricerca di quel qualcosa che non troverà mai.  Per lui i dolci rappresentano sua sorella, e lui vaga alla ricerca di quello spirito a lui complementare che non troverà mai. Nella leggenda Jack O'Lantern vaga nel purgatorio perché ha ingannato la morte per ben tre volte grazie alla sua astuzia. Ma non è lui ad aver ingannato la morte, è stata Satia ad averlo fatto. –

***

Io chiuderò gli occhi,
e voglio solo cinque cose,
cinque radici preferite.
Una è l'amore senza fine.

Il suo respiro si condensava davanti alla sua faccia, invisibile se non per la sensazione di gelo che le trasmetteva al volto. Circondata dall'oscurità, avanzava a tentoni, sperando di non inciampare e di non incontrare ostacoli troppo grandi da non poter essere aggirati.
Era entrata dentro alla miniera per trovarlo. Sapeva che era vivo. Doveva essere vivo.
Dietro di lei un miraggio grigio - specchio speculare della sua anima - la osservava ripercorrere il suo passato con passo incerto, claudicante quasi. I ricordi assomigliano più ad una superficie scabra e butterata, che non ad una liscia distesa immacolata. Essi recano la traccia della nostra vita e ne riassumono i momenti più importanti. Non i più belli o i più brutti, semplicemente quelli più importanti.
La seconda è vedere l'autunno.
Non posso vivere senza che le foglie
Volino e tornino a terra.
Suo fratello però non sarebbe diventato un ricordo, non ancora, non in quel modo.
"Non ora" continuava a pregare nel buio che l'ascoltava in religioso silenzio. I suoi ansiti di fatica mentre discendeva all'interno della montagna si mischiarono al dolore dei muscoli in tensione, e al bruciore crescente che le serrava la gola.
Suo fratello avrebbe visto l'autunno. E l'inverno… l'inverno con la sua bellissima neve.
La terza è il grave inverno,
la pioggia che ho amato, la carezza
del fuoco nel freddo silvestre.
La neve che scendeva elegante dal cielo, dando anche ai paesaggi più brutti l'apparenza di una dama albina appena risvegliatasi dal suo sonno apatico ed indolente. Bellissima nel suoi drappi fioccanti di pizzo ghiacciato e nei suoi veli di bora gelida, altera nel suo portamento distaccato.
Satia non voleva che quella fosse la fine. Avevano ancora così tanto da vedere, così tanto da mostrare a quel piccolo mostriciattolo fuligginoso di suo fratello.
La quarta cosa è l'estate
Rotonda come un'anguria.
Inciampò e cadde per terra. Il suo gemito di dolore riecheggiò di parete in parete, ritornandole il suo dolore in mille echi diversi. E poi lo vide. Un raggio di luna penetrava attraverso le macerie, illuminando il suo volto riverso di lato.
Sorrideva.
Perfino la morte sembrava adorarlo nel suo ultimo abbandono.
"Scusa se non potrò mantenere la mia promessa. Ma mi sarebbe davvero piaciuto mangiare qualcuno dei tuoi dolci un ultima volta …"
Un masso gigantesco lo aveva tranciato a metà, dividendo in due il suo corpo snello, con la stessa precisione di un macellaio inesperto. Sangue cremisi sgorgava dalla ferita mortale e scendeva in sottili rivoli lungo le superfici circostanti, creando tante piccole diramazioni quanti erano i rami in un albero.
Lei gridò. O perlomeno credette di averlo fatto, visto il fuoco che le riarse  la gola, gli occhi, il cuore, bruciando tutto senza ritegno.
La quinta cosa sono i tuoi occhi.
Non voglio dormire senza i tuoi occhi,
non voglio esistere senza che tu mi guardi:
io muto la primavera
perché tu continui a guardarmi.
Sangue sulle mani mentre lo stringeva. Sangue sul volto mentre cercava di svegliarlo. La luce della luna che assisteva, impassibile: le vicende umane non la toccano, non la sfiorano, lei si limita ad osservare.
– Non lui!!! Prendi me!!!–
Il rombo di tuono dentro alle sue orecchie. E la seconda scossa di assestamento che scuote le fondamenta della montagna, facendo franare definitivamente la miniera. "Non lui. Prendi me. "
Questo è ciò che voglio.
È quasi nulla e quasi tutto.
Il pietrisco che le entra nei polmoni. Il sasso sotto il quale è imprigionato il corpo di suo fratello che si sposta, martoriando quelle membra troppo giovani anche dopo la morte. Il sangue che bagna i volti di entrambi ed i massi che cadono dal soffitto, schiacciandola, uccidendola. Ma a lei non importa.
Il miraggio argentato versa una lacrima, ora ricorda. Ricorda tutto.
Ora se volete andatevene.
Ma perché chiedo silenzio…
Satia è fuori. E tra le mani stringe il corpo senza vita di suo fratello. Non sa come ci sia riuscita, ma è fuori. Piange lacrime amare ma la luna le sorride.
"Non lui. Prendi me."
A volte perfino le vicende umane riescono a sfiorare la lontana presenza della luna e la luna se ne lascia intenerire.
…Non crediate che io muoia:
mi accade tutto il contrario,
accade che sto per vivere.
Il miraggio guarda quella scena e sa che è già successa. È tutto già accaduto molto tempo prima.
È lei quella che sta osservando, lei che come in uno specchio ripete i suoi stessi movimenti, le sue stesse azioni. Lei e Satia sono la stessa persona. Ora sa chi è. Sa quello è il suo nome e che cosa deve fare.
In alto sopra di loro, due Guardiani osservano affranti la scena senza intervenire. Anche loro sanno che è già successo; comprendono che quello che stanno guardando è solo un ricordo. Non possono fare nulla.
Accade che sono e che continuo.
La luna ha fatto la sua scelta: il guardiano che accompagnerà i bambini e i ragazzi nella morte...
Ora, come sempre è presto.
La luce vola via con le sue api.
Lasciatemi solo con il giorno.

Chiedo il permesso di nascere.
E la luna rispose:
Concesso. –





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Cit. Pablo Neruda.

Non ho letto i libri da cui è stato tratto il film quindi spero con la mia versione dei fatti di non aver sconvolto i fan dell'opera originale. E poi…. oh shit, parlare del passato dei personaggi mi intristisce… ç___ç e quindi, nonostante abbia fatto una fatica boia a scriverlo, questo intero capitolo mi fa tenerezza … ç.ç!
Salut!
*corre ad abbracciare qualcuno*

Qui sotto troverete la side-story per risollevarvi il morale dopo codesto tripudio di lacrime. ç______ç Tenete presente che Cassian è il tipico ragazzo con la rabbia dentro, repressa o tenuta nascosta a tutti. Oppure (più semplicemente) è idiota a livelli perpetui. Opterò per la seconda. u.u

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- SIDE STORY -

Yeah, I've been feeling everything
From hate to love
From love to lust
From lust to truth
I guess that's how I know you

                       Kiss me, Ed Sheeran

– Propongo un gioco di gruppo! –
Jack sollevò il suo volto spossato ad incontrare quello raggiante di Cassian.
– Non ne ho molta voglia, Cass. È tutto il capitolo che corro come un disgraziato. –
– Ma Jack! Sarà un gioco divertente. –
Sospirando, Jack Frost si costrinse ad alzarsi dal verde prato sul quale si era disteso e, con sommo sforzo, perfino a stiracchiarsi. Il sole splendeva alto e l'aria priva di vento dava la stessa fastidiosa sensazione di una pellicola applicata sulla pelle, una canicola dalla quale era difficile fuggire.
– Ma tu non ti stanchi mai? –
– Di rado. – confessò Cassian, indicando qualcosa alle sue spalle. – E dai vieni, manchi solo tu. Ci sono anche tutti gli altri. –
Jack si sporse di lato e lanciò uno sguardo poco convinto al piazzale antistante il set di registrazione. Will e Halley stavano parlando fittamente all'ombra di un albero frondoso, Toothiana rideva per qualcosa che aveva detto Bunnymund indicandosi il costume da coniglio abbassato fino sotto la cintola, lasciando un corpo tonico e snello libero di ricevere occhiate di apprezzamento da parte della Befana; la quale non sembrava più raccapezzarsi nella difficoltosa scelta tra lui e Valentine, che se ne stava tranquillamente a torso nudo col fianco appoggiato al tronco con ancora indosso il costume di scena.
Senza alcun preavviso, Cassian afferrò Jack per il braccio e lo trascinò di peso dove si erano riuniti gli altri.
– Molto bene. Ora che ci siamo tutti possiamo cominciare. – esclamò deliziato. – Si, dunque… ecco qui. –
Il gruppetto smise di parlare e si ritrovò a fissare con le fronti corrugate otto bastoncini bianchi disposti a ventaglio nelle mani di Cassian.
– Halley non serve che ti allontani: non mordo mica. – commentò Cassian con un sorrisetto sulle labbra, prima di riprendere la spiegazione. – Bene, questi qui sono otto spiedi da carne. Si, Thia, lo so che lo sapevi già, ma abbi un po' di pazienza. Le estremità di questi bastoncini sono state colorati con quattro colori differenti, due per ogni tipo. E serviranno a formare le coppie con cui si svolgerà la caccia al tesoro. No, Bunny, niente gare di corsa: alla fine abbiamo deciso (con la collaborazione dello staff) di organizzare una caccia al tesoro. Ehm… dov'ero? Ah, si. A turno si pescherà un bastoncino dal mazzo: chi risulterà avere colori uguali sarà in squadra assieme. Lo scopo sarà trovare per primi il tesoro che è già stato nascosto su quella collina boscosa, proprio quell… –
– Tu continui a parlare di un tesoro. – s'intromise Thia, incrociando le braccia. – Ma come sarebbe fatto questo tesoro? E come facciamo a sapere che quando pescheremo il bastoncino tu non abbia già in qualche modo truccato i risultati? –
– Pescherò per ultimo se proprio vuoi. – fece Cassian, lievemente offeso. – E, no, non ricorrerei mai a simili mezzi per stare in squadra con Halley. In ogni caso il tesoro nemmeno io so cosa sia. A quanto pare è una sorpresa dello staff, ma hanno detto che quando ce lo ritroveremo davanti capiremo all'istante di averlo trovato. Altre domande? –
Tutti tacquero ad eccezione di Halley che impallidendo si limitò a borbottare qualcosa a bassa voce.
– Se nessuno ha nulla in contrario, incomincio io. – si offrì Valentine, avanzando di qualche passo e sfilando dalle mani di Cassian il primo stecchetto.
– Rosso. – disse mostrandolo a tutti – Colore appropriato direi. –
– Il prossimo sono io. – decretò Bunnymund, pescando un bastoncino azzurro.
– Ora tocca a me. – disse Will, togliendo con un unico fluido movimento lo stecchetto all'estrema destra. – Oh, Giallo. –
La Befana si fece avanti e pescò tenendo gli occhi chiusi, poi con un sorriso da iena da un orecchio all'altro sventolò il suo colore in faccia a Valentine.
– Ehi! La vecchia ha barato! –
– No, Val. – disse Cassian. – Ha pescato correttamente. Siete in squadra assieme. –
L'allegra vecchina lanciò uno sguardo lascivo a Valentine che rabbrividì e guardò ostentatamente altrove. Intanto Jack nel disinteresse generale finì di pescare.
– Giallo! – constatò, confrontando il suo colore con quello di Will.
La ragazza sobbalzò lievemente e un colorito rosato le comparve sulle guance.
– Hai caldo, Will? – s'informò Cassian ricevendo in cambio un'occhiataccia degna di Thia di fronte ad un dolce. – Cielo! C'è qualcuno che oggi non abbia la luna storta? Comunque è il tuo turno, Halley. –
– Verde. – disse quest'ultimo, capendo solo in quell'istante che per lui si stava mettendo molto male. – Ci sono ancora due stecchi: chi manca? –
Thia alzò la mano e Halley guardò prima lei e poi Cassian. Se Thia avesse pescato verde sarebbero stati loro due in squadra assieme, altrimenti…
Cassian sollevò entrambe le sopracciglia di scatto, riabbassandole l'istante dopo, e si passò lentamente la punta della lingua sul labbro superiore accertandosi che Halley non si perdesse nemmeno un secondo di quell'esibizione.
– THIA! – gridò subito Halley con occhi stralunati, attaccandosi al braccio della ragazza come una cozza. – Non fare cretinate e pesca il verde!  È un ordine! –
– E mi dici come minchia faccio? E poi chi ti dice che voglia stare in coppia con te? – ribatté lei per nulla toccata dalle vicende shakespeariane dei due ragazzi. – E non slambrecciarmi la t-shirt! –
Halley si pigiò le mani sugli occhi. – Non voglio vedere! Uomo nella luna, se esisti è il momento giusto per darmi un segno! –
Thia afferrò con decisione il bastoncino alla destra e …
… lo fissò alzando un sopracciglio. –  Ops. –
Cassian schioccò la lingua e senza spostare le mani dal volto, Halley lanciò un grido assumendo per qualche terribile momento le sembianze dell'Urlo di Munch.
– Che diavolo gridi a fare? – berciò Thia piazzandogli il bastoncino che aveva appena preso in mezzo agli occhi. – Guarda! Verde! –
Nuovamente Cassian schioccò la lingua, mentre il suo sguardo vacuo si spostava su Bunnymund. – A quanto pare saremo in squadra assieme, palestrato dei miei stivali. –
– E non ti sta bene? –
Il sorriso di Cassian, falso e stucchevole, fece sobbalzare tutti tranne Bunnymund.
Tu che dici…?

(continua)

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Capitolo 10
*** Awareness fade out ***



CAPITOLO 10

AWARENESS FADE OUT

It's in your eyes, a colour fade out,
Looks like a new transition.
The starting up and shaking your ground,
Turning your head to see a new day calling.

                               Witchcraft, Pendulum


Nell'oscurità della tana di Pitch, un serpente si contorse in modo orribile: scatti nervosi del corpo flessuoso si unirono a rantoli animaleschi e a sibili acuti. Bubboni e bolle crebbero sopra la sua pelle liscia, deturpandola e deformandola. La schiena si arcuò di colpo, andando a cozzare contro le pareti e gli alti muri della cattedrale. Pietre scheggiate e vetri rotti si sommarono alle macerie già presenti sul pavimento.
Le immote stalagmiti assistettero a quello spettacolo brillando tenuamente; gli spiriti al loro interno, congelati nell'ultimo istante della loro veglia, osservarono con occhi vacui quella lenta e brutale agonia.
Di colpo il serpente si immobilizzò, le fauci spalancate verso il cielo trapunto di stelle e la gola palpitante offerta alla luna nel suo ultimo respiro, poi con un fragore assordante ricadde su sé stesso, attorcigliandosi ed ammassandosi sulle sue stesse spire.
Il silenzio ammantò ogni cosa, stendendo un drappo su quel luogo oscuro, abbandonato dal suo padrone e dal suo guardiano.
Un suono vischioso e ovattato provenne dalla tonda pancia del rettile, infine una protuberanza tese le squame opaline fino a strapparle, bucandole dall'interno. Una ferita sanguinolenta si allargò sulla pancia del serpente, squarciando la perfezione della pelle e tracciando una scia di denso liquido appiccicoso sul pavimento marmoreo. Una mano pallida uscì dalla carne e la luna ne accarezzò le dita sottili e l'incavo del polso.
Dall'incubo privo di vita, emersero successivamente anche il braccio, la spalla, ed infine il resto del corpo. Con gambe tremanti, Satia si rialzò e si guardò intorno.
Nella sua mano si materializzò con forza il bastone da traghettatrice, diritto come un fuso ma con un estremità più larga dell'altra.
Nei suoi occhi ardeva una scintilla tutta nuova, pericolosa: una fiamma che non si sarebbe placata se non con la sconfitta di Pitch.  Si avvicinò ad una delle colonne nere e ne accarezzò la patina esterna: erano sue creazioni, e come tali potevano venire distrutte da un suo semplice comando.
Alzò il mento e osservò attentamente uno per uno tutti gli spiriti incatenati al loro interno.
La luna ammiccò e osservò il suo nuovo Guardiano con l'orgoglio di un genitore.
Era giunto il momento.
***

Una neve grigia e pesante fioccava su tutto il Polo Nord. Era solo da poche ore che le rigide temperature di quei luoghi avevano trovato nuovi picchi a cui aggrapparsi strenuamente, godendo dei brividi di freddo e delle dita congelate che provocavano negli avventori di quelle zone impervie. La nera pioggia, incessante, aveva smesso di scorrere a rivoletti lungo i vetri delle finestre e aveva lasciato il posto a minuti accumuli di neve, che andavano ingrossandosi man mano che il tempo scorreva inesorabile. In lontananza una massa scura, turbolenta e scalpitante, si univa sulla linea dell'orizzonte in una spessa traccia scura , nitida contro le nuvole che incombevano sull'immacolata superficie dei ghiacciai.
Gli incubi avanzavano a passi pesanti e ansimanti, sbuffi di stizza e di impazienza, domati all'apparenza da quella che era in realtà solo un affettata premura del loro padrone. In mezzo a loro, celati in mezzo a quella marmaglia di orrenda fattura, si mescolavano i mostri e gli spiriti infernali di Halloween. I loro occhi, spenti ed indifferenti, non rispondevano al minimo richiamo e si limitavano ed eseguire l'unico ordine che era stato loro impartito all'uscita dai cancelli con una solerzia degna di un soldato senz'anima, senza coscienza. Nient'altro che miti fantocci sotto al freddo e distaccato comando del loro Signore, rotto e spezzato, che  si sarebbero trasformati senza alcun indugio un una mandria assetata, la cui sete di sangue non aspettava altro che di essere saziata.
Lumin osservava tutto questo con occhi ardenti e lanciava lapilli preoccupati in direzione di colui che era anche il suo Signore. A nulla sembravano valere i suoi sputacchi di lava e i timidi tentativi di farlo sorridere: Halley sembrava ancora più vuoto dei mostri che comandava.
Poterlo toccare, consolare magari, era molto al di fuori delle sue possibilità, così Lumin si limitò a rivolgergli il suo impareggiabile sorriso a trentadue carboni e a sperare che ciò che stava facendo non avrebbe definitivamente mandato in frantumi i pochi cocci rimasti integri della sua anima.
Pitch non era con loro, ma le sue fiamme si ripromettevano ormai da molte ore che gli avrebbero appiccato fuoco a quel suo ridicolo manto nero, non appena si fosse presentata loro l'occasione adatta. Ma per ora Lumin doveva rimanere calma; Pitch era rimasto in città, a comandare gli incubi e i mostri che dovevano infestare le strade, le case e le camere dei bambini. Solo quei piccoli frugoletti riuscivano a vederli, ma tanto bastava perché la loro presenza desse il tipico brivido di disagio lungo la spina dorsale anche dei tanto smaliziati adulti.
Incubi nella notte. E chi non ne aveva mai fatti?
Diversi, forse. Ma anche ai più grandi capitava di svegliarsi nel cuore della notte col cuore palpitante di paura incongrua. Movimenti nel buio che ricordavano vagamente quello di una alta figura, massiccia eppure silenziosa. Occhi che dall'oscurità più fitta ti scrutano e ti osservano, bisbigli dall'interno dell'armadio e risatine da sotto il letto. Smettere di crederci, ignorare l'esistenza di qualcosa o di qualcuno, non significava che la sua automatica scomparsa.
Ciò che tormentava Halley erano ben altri incubi. A riprova del fatto che anche ai mostri peggiori può capitare di risvegliarsi boccheggianti nel caldo crepuscolo, chiedendosi che cosa li spaventi tanto.
Di che cosa hanno paura gli incubi?
***

North lanciò uno sguardo carico di tensione fuori dalla finestra, osservando la linea nera dell'orizzonte che pian piano si inspessiva, poi passò in rassegna tutti i presenti.
– Bunnymund andato a controllare situazione in città capitali. Non appena ritorna dirà noi cosa visto, ma in ogni caso globo parla chiaro. –
Jack Frost distolse l'attenzione dal globo luminoso, dove alcune luci tremolavano incerte ed altre incominciavano a perdere del tutto la loro lucentezza, e serrò la mascella. Al suo fianco Toothy e Will annuirono con volti contriti.
– Luci si spengono. E noi non sapere perché… Toothiana detto noi che esercito di mostri è diretto qui, a Polo Nord. Ma noi venderemo cara nostra pellaccia. –
Candelora approvò, ma Valentine roteò gli occhi con fare narcisistico.
– Se voi volete morire fate pure. Io sconfiggerò senza problemi quell'insulsa armata; anche da solo, se necessario. –
Mun invece ebbe un diverso tipo di precisazione: – Io non ho pelliccia. Sono glabro come una nuvoletta appena nata. Quindi, vale lo stesso se vendo cara la mia nebbia? –
– … e poi la mia pelle è troppo bella per essere venduta. – fece Valentine, togliendosi un invisibile granello di polvere da uno dei suoi bicipiti scolpiti. – Vi pare che cotanta bellezza debba andare svenduta? –
Will sbatté le palpebre - evidentemente cercando una risposta soddisfacente a quella spinosa domanda - infine corrugò la fronte. Jack la guardò sorpreso ma Will si voltò di colpo, iniziando a fissare ostentatamente il cappello a punta di uno degli elfi.
Toothy invece non fu altrettanto lesta e Jack la sorprese che fissava la clavicola e la soda porzione di petto che s'intravedeva sotto alla leggera tunica di Valentine.
Arrossendo, Toothy si schiarì la voce: – North, ehm… non dovresti dire qualcosa di più incentivante? Dal tuo modo di impostare il discorso sembra che moriremo in ogni caso. –
Flibbert e Gibbert, stranamente silenziose, si abbracciarono più strette e guardarono ad occhi sgranati Sandman.
Quest'ultimo esortò North a dire qualcosa di rassicurante.
– E io che deve dire voi? Io ho due sciabole, non due cervelli! – si lamentò North. – Ma in compenso io ora ha piano! Noi uscire, combattere e uscire vittoriosi! –Sorrise a tutti gli spiriti che si erano riuniti nella sala del globo, con occhi brillanti e guance arrossate, poi annuì contento. – Che ve ne pare? –
Jack e Sandy si scambiarono un'occhiata divertita, Will scrollò le spalle. – È il piano migliore che abbia sentito finora… pensa come sarebbe se dovesse pure funzionare. –
– Una meraviglia! – replicò North raggiante.
Dal basso provenne uno scampanellio accorato da parte di qualche elfo che, però, venne prontamente ignorato.
Invece il commento di Valentine, non passò inosservato.
– Questo piano fa schifo, e ve lo dice uno che di vere meraviglie se ne intende. –
– Ma tu non sei il guardiano della Meraviglia. – gli fece notare Jack.
– No, ma mi guardo spesso allo specchio. – rispose Valentine, lanciandogli un'occhiata di sottecchi. – E tanto basta. –
– Basta così! – berciò Toothy, interrompendo Jack prima che potesse replicare. – Io ho un altro piano, statemi a sentire! Faremo così…–
Gli spiriti ascoltarono con attenzione e North, a spiegazione conclusa, brontolò cupamente: – Potrebbe e dico potrebbe essere migliore di mia idea. –
– È molto migliore! È assai migliore! È di sicuro migliore! Non ci sono dubbi! – esclamarono ad alternanza Flibbert e Gibbert.
Sandy materializzò un punto esclamativo sulla sua testa dorata e Will sorrise. – Concordo col tipetto che sembra aver preso la scossa da una presa elettrica. –
Jack Frost annuì e battè la punta del suo bastone per terra. – Se non avete nulla in contrario, io vorrei rimanere qui. –
– Qui? Ma secondo piano di Toothy, tu…–
– Lo so, ma… vorrei essere io a confrontarmi con Halley. –
North si arricciò un baffo con un gesto nervoso, e scambiò un occhiata con tutti i presenti.
– E sia. Andrà Mun al posto tuo. –
***

When I'm falling down
Will you pick me up again?
When I'm too far gone
Dead in the eyes of my friends…

                 Watercolor, Pendulum

I bambini rimanevano chiusi in casa, urlavano di aver visto l'Uomo Nero. Mai le strade delle città erano rimaste così deserte la notte di Halloween. Nell'aria si respirava un ansito di attesa, un istante cristallizzato di tempo in cui la paura regna sovrana, incontrastata.
Pitch Black inspirò quell'aroma di pericolo, paura e angoscia socchiudendo le palpebre in un gesto di pura delizia. Si rimboccò le maniche e iniziò a tracciare nel nulla veloci movimenti del polso, ritmici svolazzi delle dita e sapienti giravolte dei palmi. Stava dirigendo la sua musica, la sua orchestra di ributtanti musicisti, e non troppo lontano da lui si udì riecheggiare il primo urlo di bambino, sorpreso nella sua camera dal colui che attaccava quando meno te lo aspetti.
Burgess non aveva nulla di particolare. Era solo una città come tante, eppure era li che tutto era cominciato.
Ricordi pesanti come macigni premevano contro la sua memoria, spingendo per uscire, ritornare a galla.
Pitch scosse la testa e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi con espressione oziosa. I suoi capelli si incresparono nel vento serale e accarezzarono i suoi zigomi alti e la sua mascella spigolosa. L'Uomo Nero non ha incubi, non ha sentimenti, non ha ricordi.
– C'era una volta un bambino molto solo… – disse tra sé e sé, il tono di voce a malapena sussurrato. – Un bambino che viveva nella paura, ma che nonostante tutto si faceva coraggio. Quel bambino è cresciuto ed è diventato un ragazzo, solo e deriso da tutti. –
Un altro urlo si alzò da una casa lontana, e subito dopo un'altra voce si unì a quella precedente. Ad esse ne fecero eco molte altre, la pura dilagava, allargandosi come una macchia di unto su un capo ricamato dalla seta più fine e pregiata, slegandone la trama e rovinandone il prezioso tessuto.
– Un bambino che è diventato grande solo all'apparenza. Un ragazzo che mantiene dentro di sé le paure più profonde, perché sa che rivelandole non avrebbe fatto altro che far aumentare la paura che lo circondava. –
Le labbra di Pitch si ridussero ad un mero taglio sul volto. – Un bambino così solo. Solo in vita, solo nella morte. Ma che della paura non teme altro che la sua stessa presenza. –
Temere la paura in sé.
Non riuscire a combattere, a muoversi, a ricordare, perché è la paura stessa a impedirlo.
– Cosa deve fare un bambino così? –
Pitch levò la testa verso il cielo. La luna però era nascosta dalle nuvole, irraggiungibile anche dall'occhio più acuto.
– Parco di spiegazioni, come tuo solito? Ma si, fa nulla… non mi aspettavo certo che questa volta fosse diverso…–
Lo sguardo di Pitch si indurì. I suoi occhi grigi si affilarono e assunsero la lucentezza del metallo appena battuto dalle mani di un abile fabbro.
– Oh, ma qualcuno si è finalmente fatto vivo…–
Da uno dei vicoli si staccò un'ombra. Con rapidi balzi quest'ultima raggiunse il tetto su cui Pitch aveva trovato il suo improbabile palco per il suo scenografico spettacolo.
– …temevo di dover continuare a fare tutto da solo, Guardiano. –
– Ho mandato un uovo messaggero dagli altri Guardiani. Non la farai franca ancora per molto. –
Due boomerang partirono in direzione di Pitch, scattanti e silenziosi se non per il lieve fischio che preannunciava di poco il loro arrivo.
Una falce tranciò uno dei boomerang e ne deviò la traiettoria dell'altro.
– Vuoi combattere, Guardiano? –
Bunnymund estrasse alcune bombe incendiarie e le lanciò in direzione del suo avversario.
– Combattiamo allora. –
***

Will you, take me out of here?
When I'm staring down the barrel
When I'm blinded by the lights
When I can't see your face

                    Watercolor, Pendulum

Jack guardò la slitta sparire dentro al varco creato da una delle sfere di North e poi chiuse gli occhi. Toothy, Sandman, Flibbert Gibbert, Mun, Valentine e North se ne erano andati, lasciandolo padrone del campo. Will, di fianco a lui, lo osservò senza dire una parola, finché un'esclamazione, fischiata tra due grossi dentoni, ruppe quello strano silenzio.
– Cassian, fermo! –
Will e Jack si voltarono all'unisono e videro il ragazzo osservare strenuamente il globo di North, come cercandovi qualcosa, prima di aggrapparsi alla ringhiera, quasi che essa rappresentasse la sua ultima salvezza.
– Cassian! –
Candelora spuntò subito dopo e guardò affaticata sia Will che Jack. – Dice che sta arrivando e che deve andare da lui! Ma ormai non riesce nemmeno a reggersi in piedi! –
Jack osservò prima l'armata che incedeva verso di loro e poi gli occhi supplicanti di Cassian. – Non fargli del male. –
Will impallidì e si abbracciò le spalle, come sentendo di colpo freddo. Jack guardò entrambi e all'improvviso capì cosa gli stava chiedendo Cassian.
– Promettimelo. – sussurrò ancora il ragazzo, puntando i suoi occhi verdi dentro quelli cristallini di Jack.
– Lo riporterò dalla nostra parte, Cassian, io… –
– No! Devi promettermi che non gli farai del male. Né a lui né a Will. –
Jack corrugò la fronte. – Will? –
Un sibilo sferzò l'aria e il suono del cotone stracciato preannunciò di poco l'attacco di una lama, sottile ed affilata come uno stiletto. Con un fischio squillante Candelora si gettò su Jack mandandolo al tappeto, poco prima che il secondo attacco, quello decisivo, lo raggiungesse alla schiena.
Tremando, Will osservò con orrore la propria mano stringere il fuoco fatuo, appuntito e allungato fino a formare l'arma con cui stava per colpire Jack.
– Io non volevo. È Halley, lui… lui… è vicino. Troppo vicino perché …–
Qualcosa negli occhi chiari della ragazza si scurì e la sua mano di mosse di volontà propria, abbassandosi a colpire senza la minima esitazione. Jack rotolò di lato, spingendo via Candelora.
La punta della lama, lambita da fiamme gelide come il ghiaccio, si infisse dentro ad una delle lastre del pavimento, scheggiandola. La fronte di Will si distese e i suoi occhi persero del tutto qualsiasi tonalità o espressione, rimanendo semplicemente fissi su qualcosa di lontano.
L'istante dopo attaccò e non fu solo lei a farlo. Jack portò velocemente il proprio bastone davanti a sé per proteggere sé stesso e Candelora, ma il colpo trovò un ostacolo sul suo cammino.
Jack spostò di poco lo sguardo e vide la zampa di uno degli yeti tenere saldamente la lama, anche se il pelo cominciava a bruciare lievemente, consumato da un freddo così profondo da risultare mortale.
– Avverti tutti quanti! – gridò Jack a Candelora, che annuì prima di correre ai piani bassi fischiando come una trombettista della cavalleria.
Will liberò la propria arma dalla presa dello yeti e si riportò in posizione d'attacco, ma prima che Jack potesse dare man forte in quello scontro, un basso ringhio giunse alle sue orecchie costringendolo a voltarsi con uno scatto, prima che le mascelle di Cassian si chiudessero sulla sua spalla.
– Non farle del male! – gridò allo yeti, prima di allontanare Cassian con un getto ben assestato di ghiaccio istantaneo, spedendolo contro la parete e congelando nell'attacco anche metà di quest'ultima. – Non sanno quello che stanno facendo, sono controllati da Halley. –
Il lamento dello yeti sembrava avere a che fare con le palle di Natale e gli attributi che rassomigliavano; nonostante tutto, Jack poté notare che  cercava di evitare di ferire gravemente Will, puntando piuttosto ad immobilizzarla.
Con uno strattone Cassian si liberò dai blocchi di ghiaccio e Jack imprecò, lanciando un altro attacco di blu, profondo e saettante, verso il démone.
Fuori dalla finestra, attraverso la bianca landa arricchita da mucchi di neve, grigia e sporca, si allargò un suono basso e prolungato che fece bloccare tutti i contendenti per un singolo istante.
***

All I believe, and all I've known
Are being taken from me back at home.
Yeah, do your worst, when worlds collide
Let their fear collapse, bring no surprise.

                               Watercolor, Pendulum

Jamie prese per mano Sophie e corse fuori di casa, senza ascoltare le grida dei suoi genitori che gli intimavano di tornare indietro.
Rimanere non era qualcosa che potevano fare. Non quando dietro le spalle dei loro genitori, il mostro li stava ancora fissando con occhietti porcini, senza vita, e le fauci spalancate, grondanti di bava.
Sophie indicò qualcosa in alto, nel cielo, e Jamie individuò un boomerang che cozzava violentemente contro una figura intrisa dell'oscurità più profonda.
Una figura che conoscevano e che avevano sconfitto, credendo di non vederla più tornare.
La polizia si fermò con le sirene spalancate sul marciapiede, tagliando loro la strada. Non erano i soli che stavano cercando di scappare: bambini di tutti il mondo stavano vivendo i propri incubi, gli occhi ben aperti e il sonno del tutto lontano dai loro pensieri.
Ombre che si materializzano in cucina mentre stai cenando, occhi neri che ti fissano da sotto i divani sopra sorrisi dai denti aguzzi e brillanti, scale che cigolano mentre illusioni opalescenti le attraversano ululando.
Gli adulti non vedevano, gli adulti non sapevano. Eppure anche loro avevano paura. Paura come tutti.
E l'ombra più scura di tutte gridò la sua contentezza.
– La paura non è mai stata così forte! –
Un attacco, lo schiocco di una falce nell'aria, e Bunnymund ricadde violentemente contro il marciapiede, dopo aver urtato il tettuccio dell'autovettura con il fianco.
– Che diavolo è stato!? – gridò uno dei due agenti, distogliendo l'attenzione dai bambini e indicando con foga il tetto della macchina completamente distrutto, le lamiere rientranti e i profili convessi.
L'altro agente scosse la testa, pallido come uno spettro, la fronte imperlata di un velo di sudore.
Jamie ne approfittò per trascinare via Sophie, ma lei si agitò fino a liberarsi dalla stretta.
– Sophie! No! –
Ma lei non lo stava ascoltando, impegnata com'era a correre da Bunnymund. Lo abbracciò stretto, scrollandolo per risvegliarlo.
– Bene, bene… bene. – ridacchiò Pitch, atterrando in uno svolazzo di buio e afferrando Sophie per il colletto della maglietta, sollevandola come se fosse solo un recalcitrante quanto buffo animaletto. – Che cosa abbiamo qui? –
La voce strascicata di Pitch Black fece sobbalzare Jamie ed improvvisamente i due adulti collassarono, perdendo conoscenza. Pitch mosse elegantemente il polso e richiamò il fantasma che aveva posseduto i loro corpi per qualche istante. – Ben fatto, piccolo mio. Ma ora va' a compiere altrove il tuo dovere. –
Il fantasma annuì e silenzioso si diresse verso la casa successiva. Dietro di lui si stendeva una scia tratteggiata di corpi privi di sensi.
Adulti che credevano di essere al sicuro da ciò che non potevano vedere.
– Tu non vincerai, Pitch! – esclamò Jamie, raccogliendo tutto il coraggio che poteva contenere il suo petto.
– Ne sei sicuro? –
Pitch allungò le sue ombre verso il ragazzo e sogghignò. Quelle dita pallide e soffuse di oscurità si tesero fino a sfiorare le scarpe di Jamie che indietreggiò, subito pentendosene.
– Io non ho paura di te. – decretò arrestandosi, e alzando il mento in un chiaro segno di sfida.
L'instante successivo capì di aver fatto un grosso errore.
Le ombre lo avvolsero dentro alle loro spire e lo strinsero con forza, sollevandolo da terra. I lembi di oscurità , così liscia da sembrare seta e così morbida da risultare impalpabile solo all'apparenza, risalirono lungo il suo corpo fino ad inglobarlo.
– Dovresti invece. – disse Pitch, apprestandosi a infliggere il colpo di grazia.
Jamie sbuffò, cercando inutilmente di immettere aria dentro ai suoi polmoni compressi. Sophie urlò e si agitò dentro alla presa ferrea dell'Uomo Nero, senza riuscire a liberarsi. Pitch sorrise e strinse il pugno in un gesto definitivo.
Le ombre gli obbedirono senza indugio.
***

Feed the fire, break your vision
Throw your fists up, come on with me
Take me out of here
Take me out of here

                      Watercolor, Pendulum

Il cielo venne squarciato da una bolla iridescente, una sfera di bianca perfezione si espanse nel cielo e dalle sue viscere luminose comparve la slitta di North con il suo proprietario a cassetta, il colbacco di pelliccia pigiato sulla fronte e le sciabole sguainate.
Dietro di lui, Toothy e Sandman lanciarono sguardi per nulla rassicuranti in direzione dei mostri che imperversavano in giro per la città. Con una virata stretta Toothy scese in picchiata verso un gruppetto di troll che stava accerchiando una granula di bambini, mentre Sandman materializzò il suo aeroplano di sabbia dorata e indossò gli occhiali da aviatore con gesto sicuro, prima di planare con uno slanciato avvitamento dritto su alcuni mostri sottostanti, riempiendoli di pallottole dorate ma letali.
Valentine si passò una mano tra i capelli dalle sfumature lavanda, spettinandoseli ad arte, prima di incoccare una freccia nel suo arco e di tendere la corda, dura e spessa come un cavo di metallo, mirando ad alcuni lupi mannari sopra i tetti, intenti ad ululare alla luna assente la loro fame; Flibbert Gibbert si slanciò fuori dalla slitta, atterrando con grazia su uno dei tetti; Mun si smaterializzò e ricomparve dietro Pitch, risucchiando Sophie dentro alle proprie nebbie, e allungando i suoi bracci nebulosi attraverso tutte le vie di Burgess.
La grigiastra caligine si posò su ogni cosa, sfocandone in contorni e alternandone le proporzioni.
L'Uomo Nero però non sembrò curarsene e rise, completamente a suo agio.
– Finalmente, Guardiani! E vedo che avete portato pure le scorte!  Ma non vi serviranno a molto perché... –
Con un balzo repentino Pitch dovette interrompersi per togliere il proprio volto dalla traiettoria di un boomerang, e una smorfia comparve sulle sue labbra tirate e scarne. Jamie cadde al suolo con un tonfo, di nuovo libero.
Un trillo di felicità annunciò a tutti che Bunnymund si era ripreso e che Sophie ne era più che deliziata.
– Non avrai creduto che bastasse così poco a mettermi fuori gioco? – ironizzò Bunnymund, nonostante avesse il muso pesto e qualche baffo spiegazzato. – Ho parecchi conti in sospeso con te: compreso il fatto di aver cercato di far del male alla mia piccola amica ! –
– I Guardiani al completo! – esclamò Pitch, che per delizia sembrava non essere secondo nemmeno a Sophie. – Anzi, no, mi correggo: dove avete lasciato il vostro ragazzo di ghiaccio? –
 – Non ti riguarda! – esclamò Bunnymund ripartendo all'attacco, sotto le costanti e pressanti incitazioni di Sophie che tifava per lui a tutto spiano.
Jamie venne recuperato da uno dei drappi di nebbia di Mun e posato di fianco a sua sorella. –Restate qui. – disse Mun prima di dissolversi del tutto e di addensare la foschia intorno ad un unico punto, innalzando quella che aveva tutta l'aria di esserre una barriera protettiva.
– Serrate i banchi! – esclamò pomposamente, mentre Bunnymund gli sfrecciava affianco, cercando di prendere Pitch alla sprovvista.
– Si dice "ranghi"!– lo corresse quest'ultimo a denti stretti.
– E da quando di grazia? – s'informò Mun, riuscendo a dare alla sua voce una sfumatura d'indignazione.
– Ah, già, voi siete inglesi! Dovete sempre distinguervi in qualche modo. –
Mun berciò qualcosa sugli attributi degli australiani, e si mosse in modo da aiutare Flibbert Gibbert che se la stava prendendo con alcune zucche, colpendole forte con il suo specchio.
Toothy, insieme al suo sciame di Dente da Latte, si mise in formazione d'attacco e come uno stormo ben sincronizzato, attaccò a raffica alcuni mostri sulla via principale. L'aeroplano di Sandy diede il suo contributo sganciando alcune bombe dorate su qualcuno di quelli più recidivi.
Ma per quanti ne riducessero all'incoscienza o all'impossibilità di ribattere, il loro numero non sembrava in alcun modo diminuire. Anzi, sembrava aumentare di minuto in minuto.
North ebbe un commento che riassumeva perfettamente la brutta situazione in cui si trovavano:
– Quel gran figlio di… di Šostakovič!!! –
***

Just stay where you are.
Let your fear subside
Just stay where you are
If there's nothing to hide

               Watercolor, Pendulum

Jack Frost osservò gli yeti, accorsi numerosi per dare man forte, finire di rinchiudere Cassian e Will dentro ad una stanza vuota. La porta venne saldamente sigillata, così come anche le pareti, da un abbondante strato di ghiaccio.
– Ma non avranno freddo? – chiese apprensiva Candelora.
– Non credo. –
Jack si terse la fronte con la manica e si voltò verso il folto gruppo di yeti e di folletti che guardavano verso di lui come in attesa di suoi ordini.
Fuori  l'esercito era ormai visibilissimo e i primi incubi cominciavano ad affollarsi sotto al costone di permafrost sul quale il laboratorio di North poggiava.
Non avevano più tempo.
Alla loro guida c'era un ragazzo dai riccioli scuri e lo sguardo ormai spento, sulla cui spalla rollava una lanterna accesa di un fuoco più vivido del solito.
Non.
Quel ragazzo alzò lo sguardo verso di loro e Jack poté quasi sentire i suoi occhi oltrepassare le finestre di vetro e inchiodarsi su di lui. Lo avvisava che non avrebbero aspettato e che se necessario sarebbero venuti a prenderli di persona.
Avevano.
Halley riportò la sua attenzione all'esercito dietro le sue spalle, abbandonando per un istante la visione di quello che una volta aveva considerato se non un amico, per lo meno un suo alleato. Lo strano spirito scanzonato dai capelli bianchi, le spalle diritte e dagli occhi, profondi, così chiari e freddi, da confonderlo e da fargli pensare che in fondo lui tutto quello non lo aveva mai voluto.
Più.
Due spiriti affini, ma dai destini così diversi. Due spiriti che ora avrebbero dovuto affrontarsi. E solo uno tra loro ne sarebbe uscito vincitore.
Tempo.
Tutto sembrò dilatarsi, persino l'istante che Halley impiegò al alzare il braccio e poi ad abbassarlo con uno scatto, dando il segnale di iniziare la battaglia, sembrò durare un eternità. Ma anche l'eternità giunge al termine, dopo averla vissuta.



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Scusate il ritardo. Le vacanze estive mi hanno sconvolto i programmi. XD
E con questo siamo al penultimo capitolo. Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito fin qui.
Una valanga di bacioni!
Salut!

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- SIDE STORY -

We'll play hide and seek
To turn this around
And all I want is the taste
That your lips allow

       Give me love, Ed Sheeran

I grilli frinivano nel silenzio del bosco illuminato dal caldo sole pomeridiano. Un ansimare deciso proveniva da una grotta nascosta in mezzo al verde dove due corpi premevano l'uno contro quello dell'altra cercando di riprendersi dallo spavento appena avuto.
– Chi è che ha avuto la brillante idea di vedere se per caso dentro a questa grotta non avessero nascosto il tesoro? –
– Tu, se non ricordo male. –
– Oh, vero. Però tu avresti potuto fermarmi. Quindi è colpa tua lo stesso. –
Nel buio della grotta, Halley sbuffò e il suo alito caldo si perse dentro ai capelli di Thia.
– E non alitarmi in faccia, genio. –
– Potrei dire lo stesso a te, dolcezza. –
– DOLCEZZA!? Ma che avete tutti contro il mio dannato personaggio per…! no, va bene, calma. Ritorniamo ragionevoli. Come usciamo da qui, … Halley? –
La frescura della roccia contro la loro pelle nuda infilava aghi di gelo fino dove a poco prima aveva spadroneggiato il torrido sole e la pesante umidità estiva.
– Dovremmo risalire la roccia. – rifletté lui ad alta voce, ancora bloccato sotto al peso di Thia. – Tu ce la fai? –
– Qui è troppo stretto. – constatò la ragazza, muovendosi piano e provocando un gemito da parte di Halley. – Ehi, che ti è preso? –
Un altro suono roco e poi Halley riuscì ad articolare: – Stai premendo proprio sulle mie …–
–  Non volevo! –
Thia arrossì fino alla punta dei capelli e fu felice a circondarla ci fosse solo l'oscurità più fitta.
Si spostò per quanto possibile e le sue ginocchia toccarono la scabra roccia per la prima volta da quando erano caduti in quell'infausto buco verticale, poco dopo l'ingresso della grotta.
– Va meglio? –
– Si. Decisamente. –
Con sua stessa sorpresa la voce gutturale di Halley le fece battere il cuore (molto curioso!) ma fu letteralmente un altro il motivo che mandò il suo volto in fiamme (molto meno curioso). Ovvero la posizione nella quale si trovavano. Thia realizzò solo in quell'istante come i loro corpi si erano disposti, complice il buio: si trovava a cavalcioni di lui, il seno ad un soffio dal suo petto e le labbra che si sfioravano. Le gambe piegate di Halley premevano contro le sue cosce aperte in modo così poco dignitoso che ringraziò la se stessa di quella mattina che aveva scelto di indossare dei pantaloni.
– Ehm… H-Halley… non per allarmarti… ma abbiamo un discreto problema da… affrontare.–
L'incredulo silenzio che ricevette in risposta sarebbe stato più che sufficiente, ma Halley si sentì in dovere di esclamare con rigidità.
– Thia! Non dirmi che ora è il tuo fondoschiena a premere sul mio…! –
In quello stesso istante, dall'altra parte della collina, Will allungò le sue braccia oltre il collo di Jack, abbracciandolo da dietro e portando la sua fronte a contatto con i suoi capelli, ancora tinti di candido bianco.
– Sicura che non vuoi che torniamo indietro? – le chiese di nuovo il ragazzo, passando le sue mani sulle cosce fino ad allacciarle dietro al suo sedere per sollevarla più agilmente.
– No, sto bene. – annuì Will, umettandosi le labbra di colpo molto secche. – La caviglia non fa poi così tanto male. –
– E dire che ti avevo anche detto di fare attenzione a quella radice sporgente. – sospirò Jack, dando però alla voce un tono scherzoso. – A che stavi pensando? –
Will serrò la mascella. – A nulla. –
Non poteva mica dirgli che si era persa a guardare come le ombre delle foglie giocassero sulla sua pelle d'alabastro…
– Vediamo di trovare questo maledetto tesoro così posso tornare a dormire. – bofonchiò Jack, riprendendo a camminare giù per il declivio. Will si strinse un po' più forte attorno a lui, assaporandone il calore e la fluidità dei muscoli.
Odorava di buono,si ritrovò a pensare, e la sua vicinanza le dava una sensazione di sicurezza che non credeva di poter provare. Aprì la bocca e poi la richiuse. Che poteva dirgli? Innanzitutto doveva ringraziarlo, si disse. Si, doveva farlo.
Fece per riaprire la bocca e dare voce ai suoi pensieri ma, di colpo, un grido angosciato ruppe la monotonia dei cinguettii delle cinciallegre e dei merli, nascosti nelle folte fronde degli alberi.
– Non era la voce di Valentine, quella? – chiese Jack, stupito, fermandosi e tendendo le orecchie.
– Non saprei. – rispose Will. – A me sembrava più una voce bianca. Valentine ha un tono di voce più profondo. –
Anche se a qualche chilometro di distanza, lo stesso problema se lo posero altre due persone: Cassian e Bunnymund però giunsero ad una conclusione totalmente diversa.
– Quella non poteva essere la voce di Halley. Non può giusto? Oh, Dio, ti prego fa che non fosse Halley! Bunny, secondo te era la voce di Halley? Dimmi di no…–
– Può essere, Cassian. Thia fa la ragazza timida solo all'apparenza, ma in realtà è una parecchio sfrontata. –
– AH! LO SAPEVO!! Quella donnaccia di malaffare!! Se osa sfiorare Halley anche solo con un dito, io… io…–
– Tu cosa? –
– Le rubo tutte le mutande! – esclamò Cassian come trovando l'ispirazione necessaria in quel preciso istante. – E poi gliele spargo in giro per tutto il set. –
– Sei proprio malvagio. Fai un baffo a Pitch. – disse Bunnymund con tono strascicato, alzando un sopracciglio. – Comunque io non mi preoccuperei troppo. Halley è uno che sa difendersi. –
Halley, in effetti, si stava difendendo molto bene in quel momento. E Thia avrebbe potuto confermarlo.
– Aspetta, non muoverti troppo in fretta…–
– Va bene. Però qui è troppo buio, non vedo nulla. Così va meglio? –
– Oh, si. Vai un po' più a destra! –
– Meglio? –
– Si, ma… ahi! Mi stai disfando il sedere! Perché devi fare tutto con irruenza? –
Halley accomodò la testa in mezzo alle gambe di Thia e la ragazza sobbalzò.
– Halley…– sospirò, cercando di non arrossire. – Riesci ad alzarti sulle punte dei piedi? –
Lui obbedì e rinsaldò la presa sulle cosce della ragazza.
– Secondo te quell'urlo era di Valentine? –
– Sicuro, cretino. La Befana avrà tentato di allungare le mani nel momento sbagliato, ci scommetto. –
– Non lo invidio. –
Per mantenere meglio l'equilibrio, Halley si appoggiò alla parete e sentì le dita di lei aggrapparsi ai suoi capelli.
– Riesci a vedere l'uscita? –
Thia, a cavalcioni delle sue spalle, sporse la testa e annuì. – Dovremmo farcela. Però non so se ti conviene uscire. –
– Perché? –
– Vedo Cassian. E sta venendo da questa parte. –
– LUI COSA!? –
Sconvolto, Halley perse l'equilibrio ed entrambi finirono di nuovo in terra, ad abbracciare il pavimento.
Fuori dalla grotta, giunse chiara e distinta una voce preoccupata.
– E questa, invece? Secondo te questa era la voce di Halley? Oh, Dio, ti prego fa che non fosse Halley! Bunny, non può essere lui, giusto? Dimmi di no…–
– Maledizione, smettila! Mica ogni grido, rumore, o mugolio che senti deve per forza essere Halley ad emetterlo! –

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Capitolo 11
*** This is the end ***



CAPITOLO 11

THIS IS THE END


This is the end
Hold your breath and count to ten,
Feel the earth move and then
Hear my heart burst again
For this is the end,
I've drowned and dreamt this moment

                                   Skyfall, Adele


St. Nicholas North si rese conto di due cose contemporaneamente: stavano perdendo e non sarebbero riusciti a mettere in pratica il piano di Toothy.
Non sarebbero riusciti a rinchiudere per sempre Pitch nella realtà alternativa che si era creato, nel suo rifugio spazio-temporale in cui le ombre imperversavano al pari del mondo di Halloween, incontrastate e padrone di fare quello che volevano, alla semplice condizione di rinunciare per sempre alla loro libertà.
Non ci sarebbero riusciti per il semplice fatto che stavano soccombendo. Erano riusciti a mettere in salvo un gruppo di ragazzini ma la lotta si stava facendo sempre più serrata, e i numeri non propendevano certo dalla loro parte.
– Non credevo che Halloween potesse vantare così tanti mostri! – esalò Bunnymund prima di scartavetrare la faccia con una degna zampata ad uno di questi ultimi. – Sembrano non finire mai! –
Toothy finì di dare indicazioni alle sue Dente da Latte su come sconfiggere un troll le cui braccia sembravano i tronchi di un massiccio albero, e poi s'involò per raggiungere qualche pixie malevola che stava tirando le orecchie ai bambini così forte da rischiare di strappargliele.
Jamie e Sophie stavano dando una mano a loro volta, azzoppando a colpi di bastoni e di canditi, diverse zucche non molto sveglie, che continuavano a scontrarsi tra di loro senza riuscire a scappare.
Ben diversa era la situazione con Flibbert Gibbert che si disperava per la perdita di una delle sue preziose unghie laccate, guardandola con orrore incommensurabile.
– Rovinate, Flibbert! –
– Oh, Gibbert! Spezzata per sempre! –
Scavalcando qualche corpo riverso a terra, Valentine corse vicino a North e schiena contro schiena cominciarono ad affrontare i démoni e gli incubi più forti, riuscendo per qualche tempo a tenergli testa, ma dovendo, poi, decidersi ad indietreggiare perché non riuscivano a domare i loro assalti. A nulla sembravano valere le frecce siluranti e le sciabole affilate contro quelle pelli inconsistenti di fumo e zolfo o, al contrario, talmente resistenti da non venire nemmeno scalfite dalle lame e dai dardi appuntiti.
Una frusta di luce colpì sul muso un lupo mannaro poco prima che riuscisse ad azzannare uno sparuto gruppo di bambine in pigiamini azzurri e rosa. Sandman sorrise rassicurante nella loro direzione e le trasse sulla sua nuvola dorata, sollevandosi in cielo giusto in tempo.
La nebbia di Mun si riversò come un onda in ogni strada, ogni vicolo ed ogni angolo, dando l'impressione di  stare aiutando sia i Guardiani che i mostri, che si celavano al loro interno. Il loro padrone però sapeva bene come sfruttare il loro potere e più volte si poterono vedere gambe e braccia fare sgambetti o tirare pugni come capitava agli sventurati che osavano addentrarsi dentro quelle basse foschie.
Eppure gli sgambetti non sembravano essere mai abbastanza, e i Guardiani si resero lentamente conto che non c'è l'avrebbero mai fatta.
Pitch osservò tutto questo con un ghigno sul volto pallido, l'accenno di un sorriso sulle labbra.
– Che sublime visione… –
***

Let the sky fall,
when it crumbles.
We will stand tall
And face it all together
At skyfall

                    Skyfall, Adele

Occhi prima limpidi come acque cristalline si scurirono fino ad assumere le tonalità e la ferocia del mare in tempesta, grigi come nuvole minacciose che si staglino nel cielo, promessa sicura di pioggia. Jack Frost lì vide così i propri occhi, riflessi in quelli dell'avversario. Occhi così scuri da rassomigliare pozzi senza fondo, che inghiottano la luce senza lasciare alcuna traccia di essa, due occhi rabbiosi e irati che del fuoco non ricordavano altro che la traccia ustionante.
Halley rinforzò la presa sull'impugnatura della lanterna, il fuoco di Lumin divampò fondendo il ghiaccio di Jack con la stessa velocità con cui il Guardiano lo creava.
Intorno a loro si srotolava il caos, nelle sue forme più pure e genuine, ma era come se fossero soli. Gli yeti ruggivano durante la battaglia, gli elfi trillavano come impazziti e le pareti del laboratorio di North, prese d'assalto, tremavano sulle loro stesse fondamenta. Candelora era da qualche parte, anche lei impegnata nella battaglia.
Ma era come se fossero soli…
Solo loro due, e niente altro.
– Jack, arrenditi! Per favore! Non costringermi a farlo! –
Anche Jack Frost serrò con più forza il bastone, spingendo i suoi poteri fino al limite inimmaginabile. Barlumi di neve fioccante scesero danzando dal cielo, coprendo indistintamente entrambi gli schieramenti. I piedi affondarono nel soffice nevischio che si era depositato al suolo, scivolando e scrocchiando sotto il loro peso.
– Non sono io quello che si deve arrendere, Halley. –
– Pitch può riportare in vita mia sorella. Se solo…–
– Lui non farà mai ciò che ti ha promesso. Svegliati una buona volta! –
Divincolarono le loro armi e un rombo sordo venne seguito dal rumore di qualche tuono in lotananza. Jack si sollevò in aria, lanciandosi dentro ad un turbine gelido che lo trascinò con sé tra le nuvole. Halley non poteva seguirlo ma aveva ben altri metodi per combattere a distanza.
– Lumin, pensaci tu. –
La lanterna cigolò piano e la fiamma al suo interno annuì, ingrossandosi e lambendo con lingue di fuoco i vetri fuligginosi del suo cimelio. La testa fuoriuscì e si ingrossò fino a diventare più alta di Halley, fino a sovrastare tutto e tutti come una guglia e poi dalla bocca parti un ruggito di fuoco. Una colonna eruttiva di gas, ceneri e lapilli che si innalzò nel cielo per chilometri sopra al campo di battaglia.
Solo quando la spinta dei gas e delle lave si fu esaurita, la colonna sembrò sbocciare al pari di un fiore a mezz'aria e colpire le nuvole con un'onda d'urto così possente da spazzarle via, i detriti ricaddero su ogni cristallo di ghiaccio e su ogni superficie sotto forma di nube ardente, inglobando e divorando tutto quello che trovavano sul loro cammino.
Lumin protesse Halley e le fiamme che sfiorarono la sua pelle abbronzata non furono nulla di più di una carezza. Al di contrario, fuori da quella calda protezione, per diversi metri intorno ad Halley si era creato il nulla.
La calma irreale, il silenzio dello stupore, venne spezzato dall'urlo di disperazione di Jack.
Corpi carbonizzati. Anime andate perdute. Amici morti per cercare di preservare la pace che la follia di uno singolo spirito cercava di intaccare. Soddisfazioni personali che nulla avevano a che fare con la quiete che tutti cercavano di vivere.
Il contrattacco di Jack non fu razionale. Il bastone sembrò piegarsi da solo nelle sua mani, angolarsi in modo da raggiungere la massima efficacia. Neve e ghiaccio fuoriuscirono come un lampo dalla sua fedele arma, diretti verso il terreno riarso dalle fiamme. Metallo liquido che si sagomò attorno a forme impossibili, mercurio ad ebollizione che riuscì a solidificarsi solo a contatto con le pietre brillanti che precipitando a valle con la potenza del tuono calarono su Halley come un'autentica valanga di ghiaccio.
Gli ansiti del respiro di Jack si sommarono alle lacrime che, come piccole gemme, solcarono lentamente le sue guancie.
Tutto quello non aveva senso.
***

Skyfall is where we start
A thousand miles and poles apart
Where worlds collide and days are dark
You may have my number, You can take my name
But you'll never have my heart

                                                     Skyfall, Adele

Pitch Black esultava: la vittoria non era mai stata così vicina. Poteva sentirla sui suoi palmi, accarezzarne i contorni con tenere dita e palpare quel senso di autocompiacimento con una soddisfazione che non credeva di poter provare.
Provare ancora.
La capacità di far vibrare la paura come una corda di violino, tesa appositamente per produrre il suono più melodioso e cristallino, era qualcosa che credeva di aver perduto per sempre.
Qualcosa a cui aveva rinunciato. Qualcosa che, però, una volta, era stato suo.
I Guardiani stavano perdendo, anzi, avevano già perso. E lui non avrebbe avuto alcuna pietà, esattamente come loro non ne avevano avuta per lui.
Cosa è giusto e cosa è sbagliato lo determinano i vincitori della guerra, non gli sconfitti.
Incubi, incubi ovunque. E il sapore agrodolce del dolore, quello speziato della disperazione e quello dolce come miele della paura, proprio lì: sulla punta della lingua.
Un aroma inconfondibile per chi, come lui, tante volte lo aveva odorato e assaggiato.
North alzò lo sguardo, affaticato dopo tanto combattere, e incontrò il sorriso di scherno di Pitch.
– Noi messi male, gente. Ma noi non ci arrenderemo! –
Sguardi convinti e determinati risposero a quelle sue parole.
– In fondo lo avevamo già detto che avremo venduto cara la nostra pelle. – sorrise Toothy, mentre le Dente da Latte le sfarfallavano intorno come tante vespe minacciose.
Sandy annuì e materializzò un pugno stretto sopra la sua testa. Uno per tutti, tutti per uno.
Dietro di lui Mun e Bunnymund, sorrisero, quasi fossero accumunati dal senso sarcastico che la vita aveva voluto dare alla loro esistenza.
– In fondo non mi dispiacerà morire fianco a fianco con un inglese. –
– Anche io ho rivalutato molto gli australiani, di recente. Tipi tosti, quelli. –
Mun e Bunnymund scrollarono le spalle: quella era la loro versione di una riappacificazione con le contro-uova.
Flibbert Gibbert annuì. – Sarà un onore morire al tuo fianco. Be'… al fianco di tutti voi. –
– Ma quale onore? – berciò Valentine, balzando sopra ad un tetto. – L'onore è stato conoscervi. E detto questo, ci rivediamo sul Lato Oscuro della Luna, imbecilli. –
Tutti gli spiriti e i Guardiani serrarono le loro fila e si strinsero, preparandosi all'attacco finale.
Di colpo una luce accecante comparve in mezzo alla loro formazione, illuminando ogni cosa nel raggio di metri come il sole a mezzogiorno. Sophie sgranò gli occhi, assumendo un aria mortificata, e Jamie la guardò incredulo.
– Che diavolo hai fatto, Sophie? –
***

Bunnymund allargò la sua bocca e rimase, incredulo, a fissare - al pari di tutti gli altri spiriti - coloro che come tanti ricami colorati stavano uscendo dalla sfera-portale di North.
Guardians, Drugs and Rock'nRoll! – ululò con sentimento una vecchina a cavalcioni di una scopa a razzo, puntando verso il cielo come una forsennata e lasciando dietro di sé una scia di fumo grigiastro e scoppiettante. Dietro di lei, fece capolino la faccia di un ragazzino con i capelli fini come oro fuso e dalle guance arrossate. Atterrò con una piroetta accanto a Sophie che sgranò gli occhi. Lui le sorrise facendole un piccolo ma composto inchino, e Sophie percepì chiaramente il suo cuore perdere qualche colpo, anche se non quanti ne perdeva la scopa della Befana in quel momento.
– Io sono Ferragosto, piacere di con... –
– Si, si…certo! – lo interruppe Bunnymund con maniere che descrivere come spicce sarebbe stato un puro eufemismo. – Abbiamo capito, non importunare la mia piccola Sophie! –
Ferragosto si mise un dito sulle rosee labbra cesellate e sorrise ancora. I suoi occhi, così chiari da sembrare oro bianco, mandarono lampi di genuino divertimento. La sua schiena venne urtata dalle mani di un grosso omone che cercava in tutti i modi di uscire dal varco di luce, senza però riuscirci, bloccando per intero il passaggio.
– Giovedì Grasso! – lo salutò North con enfasi da vecchio quanto consumato amico. – Quanto tempo! –
Con un ultimo spintone l'omone sembrò riuscire nella sua impresa, scrollandosi dai larghi fianchi lo stretto passaggio e franando al suolo come un sacco di patate. Sopra di lui ricaddero altri due spiriti che evidentemente lo stavano aiutando ad uscire spingendolo da dietro. Un uomo solido, dai tratti muscolosi e scolpiti, sollevò senza alcuna difficoltà quei due spiritelli, rivelando che si trattava di due ragazze.
Una con i capelli rossi e inanellati di riccioli così fitti da sembrare una cascata di fuoco e l'altra buffamente ricoperta da una moltitudine cacofonica di colori e di fiori, forme e dimensioni così scostanti tra loro da far quasi male alla vista nel vederle tutte insieme. Toothy sorrise e si avvicinò, pronta a dar loro il benvenuto, ma mentre stava per abbracciare la prima ragazza questa arrossì, prese fuoco e si consumò su sé stessa nel giro di pochi istanti.
– Hah! Capodanno è sempre la stessa! – commentò Bunnymund, incrociando le zampe sul petto. – Speriamo che si sbrighi a rinascere dalle sue ceneri. –
– May Queen! Wookey Hole! – salutò invece Toothy dopo l'attimo d'iniziale sorpresa. – Vi vedo alla grande! –
May ridacchiò, facendo agitare la testa infiorellata e con garbo si lisciò qualche margheritina sul seno, mentre Wookey la osservava rapito, gonfiando il petto in modo sospetto.
***

Una folla di marmocchi con i calzari e i berretti a punta uscì dal varco, seguiti a ruota da uno sciame di fatine non più grandi di un pollice. Il Leprecauno uscì subito dopo di loro lamentandosi di alcune bimbette tutte arancioni che schiamazzavano intorno a lui, con risolini e cinguettii di divertimento.
Valentine allungò il collo come cercando di vedere se ci fosse ancora qualcuno, e sporse il labbro in fuori per la delusione.
– Stai cercando qualcuno? – chiese Flibbert in un raro slancio di altruismo.
– Sono usciti i Folletti del pane, le Fatine delle Foglie, le Corn Dolly e anche il Leprecauno… però non vedo…ah! Vecchia ciabatta!!! Finalmente! –
L'esclamazione di gioia di Valentine fece sobbalzare l'esile corpicino di una ragazza che stava uscendo timidamente dal foro di luce - proprio pochi istanti prima che quest'ultimo si richiudesse dietro di lei e un'altra figura, facendola saltare dalla paura una seconda volta.
L'aspetto tetro e malinconico si accompagnava perfettamente agli occhi cerchiati, alle guance livide e ai capelli neri come l'inchiostro, racchiusi in una alta coda da cui sfuggivano diverse ciocche. Valentine le balzo addosso e l'abbracciò, rischiando di far collassare definitivamente la poveretta dallo spavento.
– Marabbecca! Di' la verità che non vedevi l'ora di vedere il magnifico sottoscritto, eh! –
Marabbecca impallidì e cercò di sfuggire alle grinfie di Valentine come se questi avesse una qualche malattia molto contagiosa.
Come risvegliate da quella voce tenorile le Corn Dolly e le Fatine delle Foglie si agitarono intorno a Valentine trillando di giubilo e vezzeggiando il ragazzo con mille complimenti, strusciandosi contro i suoi pettorali e infilandosi come schegge birichine sotto i suoi vestiti.
– Va bene, bellezze. Basta così! Wow… non lì sotto… ehi, ho detto… ferme! –
Marabbecca roteò gli occhi foschi e come sempre dagli ultimi quattrocento non disse una sola parola. Sandy saltellò felice e la ragazza ebbe, forse, il primo barlume di sorriso che le si fosse mai visto sul suo volto cupo. I due sembravano capirsi al volo e Valentine si sentì sconvolgere più da quel fatto che non per il giorno in cui era diventato uno spirito.
Riafferrò Marebbecca con malagrazia e minacciò Sandy con la punta di una delle sue frecce. – Bada ai fatti tuoi se non vuoi ritrovartela in posti non battuti dal sole, Guardiano! –
Sandy, indignato, fece evaporare del fumo dorato dalle sue orecchie, ma smise di colpo quando notò chi era l'ultima figura; l'ultimo spirito uscito dal varco.
North e Bunnymund, anche loro a bocca aperta, guardarono Toothy che era l'unica che stava sorridendo.
***

Dall'alto della sua postazione, Pitch Black aveva seguito tutta la scena, impassibile. Solo un lieve tremore delle mani e una vena pulsante sulla tempia rivelavano il suo vero stato d'animo. Gli incubi, confusi e storditi da tutta quella luce, non si azzardavano a fare nemmeno un passo e Pitch temeva che quanto aveva predetto, quanto avesse sperato di veder realizzato fosse stato solo l'ennesimo sogno ad occhi aperti.
Non poteva finire così.
– Incubi! Attaccate! Voi dovete…– ma la voce gli morì in gola. L'ultimo spirito si voltò verso di lui e Pitch lo riconobbe.
Lei però avrebbe dovuto essere morta.
La voce uscì stranamente chiara e distaccata, nonostante il turbamento che provava.
– Chi non muore si rivede, Satia. –

***

Where you go I go
What you see I see
I know I'd never be me without the security
Are your loving arms keeping me from harm
Put your hand in my hand and we'll stand
At skyfall.

                                             Skyfall, Adele

Jack si tenne il braccio ferito e scartò di lato, evitando che l'attacco di Halley lo riducesse in cenere finissima. Lumin borbottò il suo disappunto e si preparò a sparare la seconda fiammata, ma Halley la scosse spostandola bruscamente di lato per toglierla dal raggio d'azione del ghiaccio di Jack.
Avrebbero potuto continuare in eterno. I loro poteri si equivalevano.
La loro battaglia non avrebbe mai visto fine, se non quando uno dei due avesse deciso di arrendersi.
Entrambi i ragazzi però erano ben decisi a vincere e nessuna ragione avrebbe mai potuto convincerli che la loro motivazione era meno che giusta. Il primo combatteva per il bene, per la convinzione che il giusto che alla fine deve trionfare su ogni cosa, e il secondo combatteva in nome di un ricordo, per qualcosa che il male non sembrava in grado di intaccare nonostante i suoi lunghi e infidi tentativi.
Jack si accorse che il braccio con cui Halley teneva Lumin tremava vistosamente.
– Halley basta! Stai usando troppo potere! Ti sfinirai! –
– Non mi importa! –
Un colpo basso e luminoso, lava imbruttita da densa sostanza viscosa, s'avvicinò pericolosamente a Jack, senza tuttavia colpirlo.
– Così morirai! Fermati, stupido!–
Halley chinò il capo e fece partire un terzo, un quarto e un quinto colpo. All'ultimo riuscì a colpire Jack ad una gamba e il ragazzo cadde a terra con un alto gemito di dolore.
– Non mi importa… Dovresti averlo capito ormai. –
Halley camminò fino a portarsi vicino a Jack e a precludergli qualsiasi altro movimento, puntandogli il manico della lanterna alla gola esposta.
La felpa era lacerata in più punti e lì dove il colpo aveva centrato il bersaglio si allargava una grossa ustione, la carne della gamba viva e sanguinolenta.
– Se morirò, andrà bene lo stesso. –
Dalla lanterna si irradiò una luce cremisi, segno che l'attacco successivo si stava preparando. E Jack sapeva che ad una distanza così ravvicinata non avrebbe avuto scampo. Sarebbe morto…
– Tua sorella è viva. –
– Non mentire! –
Il bastone aumentò la sua pressione e Jack deglutì, spostando lo sguardo da Halley alla sua arma, e poi di nuovo ad Halley, che scuoteva la testa facendo arricciare ancora di più i suoi capelli, intorno alla fronte e al collo.
– Non mentire. Lo fanno tutti. Non mentirmi anche tu. –
Jack sgranò gli occhi e comprese: – Tu sai che Pitch non ti darà indietro tua sorella… allora perché lo fai? –
– Non ho scelta. –
– Invece si ha sempre una scelta. –
Halley sorrise, anche se non c'era divertimento nel suo sguardo. – Allora sappi che in un altro contesto e in un'altra vita la mia scelta sarebbe stata diversa… –
La luce crebbe d'intensità e Jack pensò che, in fondo, la sua fine era arrivata.

***
Toothy ebbe un moto d'orgoglio perché il suo piano - seppur solo grazie al contributo di Sophie - aveva funzionato sul serio. Avrebbero dovuto eleggerla a nuova leader dei guardiani, o perlomeno avrebbero dovuto darle un ruolo primario nelle operazioni future. In fondo era sempre stata brava anche ad organizzare e a dirigere le sue Dente da Latte quando più serviva, e dopo qualche secolo o più, ci si impratichisce che lo si voglia a meno. A questo e ad altre cose pensava mentre colpiva a testa bassa l'ultimo mostriciattolo dalla pelle squamosa che si era ritrovato sventuratamente sul suo cammino.
Sul tetto di una casa, poco distante da lei, Pitch e Satia avevano dato vita ad uno scontro dalle mosse basse e dai sotterfugi sibillini. Se uno colpiva a tradimento, l'altra rispondeva con un contrattacco degno di una regina degli inganni. Nessuna mossa veniva risparmiata, e i barlumi fluidi della falce si alternavano perfettamente a quelli secchi del bastone. Ad un occhiata più attenta, però, ci si sarebbe accorti che i colpi della falce, seppur in modo irrisorio, diminuivano di forza e di potenza ad ogni assalto, mentre quelli del bastone non accennavano a trovar pace o riposo.
I cristalli di Satia avevano iniziato ad intaccare il manto Pitch e stavano ricoprendo con infernale pazienza anche le mani, gli eleganti polsi e gli avambracci dell'Uomo Nero.
Pitch sorrideva ancora, ma il suo era un sorriso falso, dietro il quale si nascondeva la sua crescente incertezza.
Con un frullò potente delle ali, Toothy si alzò in volo per controllare il campo di battaglia dall'alto.
Vicino ad un supermercato, May Queen stava facendo crescere sottili ma resistenti rampicanti attorno alle pareti e ai piedi dei mostri, tenendoli saldamente legati, mentre Wookey Hoole li stendeva con devastanti pugni prima che potessero anche solo capire che cosa li avesse colpiti. La Befana riusciva ad intossicare più avversari col fumo della sua scopa che non Mun con la sua nebbia, anche se anche il secondo stava facendo un ottimale lavoro di squadra con Bunnymund. Entrambi si guardavano con un cenno del capo e se il primo li attirava dentro alla nebbia l'altro li stordiva col boomerang.
Dall'altra parte della città, Ferragosto, Sophie e Jamie sembravano avere una sincronia tutta loro, al contrario dei Folletti del Pane che attaccavano un po' come capitava, lanciando focaccine e panini in faccia a chi si metteva sulla loro strada. Le Corn Dolly e le Fatine delle Foglie sembravano possedere una spiccata predilezione per le spalle di Valentine, dalle quale lanciavano chicchi di mais, veloci come proiettili, attraverso cerbottane fatte di foglie arrotolate.
Giovedì Grasso si limitava a caracollare sopra ai nemici, cadendogli sopra e schiacciandoli con suo spropositato peso; invece, con solerzia tutta particolare, il Leprecauno tirava stivali chiodati al comando squillante della voce di Flibbert Gibbert.
Poco distante da Toothy, Capodanno, North e Sandy non erano assolutamente da meno rispetto a tutti gli altri.
Marabbecca sembrava l'unica in difficoltà: essendo la donna dei pozzi, il suo potere principale era l'acqua. Ma dopo che aveva bagnato un mostro, questi si ritrovava solo più zuppo di prima e decisamene più arrabbiato.
Proprio mentre stava per fiondarsi su quei mostri per aiutarla, Toothy udì un gridò.
– Prenditela con qualcuno della tua oscena taglia, lurido mostro! –
Con un aggraziato movimento, Valentine balzò di fianco a Marabbecca e con un calcio ben assestato ribaltò il mostro gambe all'aria.
Sobbalzando come se quella appena colpita fosse stata lei, Marabbecca impallidì, mentre Valentine, del tutto ignaro dell'impressione che le aveva appena suscitato, le rivolse il più smagliante dei sorrisi, ottenendo di farla impallidire ancora di più. Toothy ricordò di colpo le parole di Valentine - "non mi hanno sconfitto, mi hanno solo preso di spalle" -  e capì improvvisamente per colpa di chi Valentine si era fatto prendere alla sprovvista.
Infatti , in quel momento, lo Spirito dell'Amore si stava solo pavoneggiando davanti a Marabbecca, del tutto dimentico della battaglia in corso.

***
Con un alto urlo, Pitch saltò all'indietro, sottraendosi al secondo attacco. Aveva il corpo ormai quasi completamente ricoperto di schegge, ma sembrava non curarsene.
Satia, con un abile gioco di mani, lo costrinse ad arretrare ulteriormente, bloccandolo contro la parete dell'alto campanile, la punta del suo bastone, premuta sul pomo d'adamo.
Il vento che spirava sul tetto dell'edificio, fece ondeggiare i capelli intorno ai loro volti, poi Pitch sorrise serafico.
– Non mi uccidi? –
Era tranquillo, perfettamente a suo agio.
– Se devi farlo, ti consiglio di sbrigarti… ma ricorda che il tuo caro fratellino è ancora in mio potere. –
Gli occhi di Satia si socchiusero leggermente, e Pitch soggiunse, quasi sottovoce: – E se io muoio, muore anche lui… –
– Stai mentendo. –
– Può darsi di si. Oppure può essere che io sia maledettamente serio. –
Pitch scrollò le spalle. – Chi lo sa. La scelta è tua. –



************************************
Ed invece mi servirà ancora un capitolo per concludere, ho cantato vittoria troppo presto… -.-  
Una pioggia di abbracci e di baci a te che stai leggendo!
Grazie a tutti quelli che leggeranno!
E grazie soprattutto a coloro che mi hanno sostenuto fin dall'inizio in questo, seppur breve, viaggio all'interno delle 5 Leggende. Ancora un poco di pazienza…XD

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- SIDE STORY -

And that I find my corner
Maybe tonight I'll call you
After my blood, turns into alcohol
No, I just wanna hold you.

       Give me love, Ed Sheeran

Valentine guardò la Befana ad occhi socchiusi sperando di riuscire a risultare doverosamente minaccioso.
– Non. Rifarlo. Mai. Più. –
– Che cosa? – chiese la donna lanciando al ragazzo un'occhiata basita quanto innocente.
– Lo sai che cosa. – ribatté Valentine, serrando le mani in due pugni lungo i fianchi. – Passi quello che fanno le attrici che impersonano le Fatine, passi anche le lunghe dita delle Corn Dolly ma questo era davvero…un po' troppo. –
La vecchina annuì e poi allargò gli occhi con incredula sorpresa. – Oh, che ci fai qui, Marabbecca? –
Valentine lanciò un grido e si voltò di colpo iniziando a gesticolare.
– Io… non… cosa… aspettav…–
Alle sue spalle, la Befana incominciò a ridere come una iena, scoppiando in quella che sarebbe stata ricordata come la più grossa e grassa risata di tutti i tempi.
– Molto divertente, racchia dei miei stivali. –
– Suvvia, è palese che ti piace la piccola Mara. –
– E chi mette in giro certe fandonie? Il favoloso me con quella cupa ciabatta? Non so neanche come possiate inventarvele certe cose. Ci vuole un'immaginazione molto fervida, e … decisamente fervida.–
La Befana annuì e riprese a camminare, divertita dalla scelta di Valentine di rimanere qualche passo indietro a lei, tanto per sicurezza.
Nella loro stessa direzione, anche se ancora non lo sapevano, avanzavano anche Cassian e Bunnymund, entrambi decisamente di malumore.
– Rivoglio Halley… e lo voglio subito. –
– Smettila di frignare. Halley non ti vuole. –
– Ed invece si. È solo questione di tempo e cadrà ai miei piedi. –
– Si, morto stecchito. –
– … sei ingiusto. –
– Sono realistico. –
– La tua realtà, allora, non mi piace. –
– C'è qualcosa che ti vada mai bene? – sbottò infine Bunnymund, altamente seccato. – No, anzi, non rispondere, basta che fai finalmente silenzio e chiudi quella stramaledetta bocca. –
Cassian sembrò rifletterci a lungo, prendendosi tutto il tempo necessario, poi si bloccò, sbiancando di colpo. – Oddio…–
– Che ti succede ora? –
– È terribile…–
– Ehi…– fece Bunnymund notando l'improvviso pallore dell'altro. – Che hai? Sicuro di stare bene? –
– No che non sto bene! Non mi ricordo se stamattina Halley ha indossato le mutande nere o quelle bianche! È una cosa della massima importanza!  –
Bunnymund soffocò un ruggito, riuscendoci nemmeno troppo bene, e saltò al collo di Cassian. Entrambi persero l'equilibrio e rotolarono giù per il pendio, fino a quando un tronco sbilenco non mise fine alla loro caduta rovinosa.
Bunnymund alzò un mano, tastandosi la testa, e berciò un insulto sugli attributi del Padronostro che, se fosse stata presente, avrebbe fatto impallidire la Madonna, costringendola a farsi più volte il segno della croce.
Cassian gli batté dei colpetti increduli sulla spalla e sussurrò: – Guarda un po' là! –
– E adesso che stradiavolo vuoi!?? – Bunnymund si tirò a sedere e rimase a sua volta a bocca aperta. – Ci stanno prendendo per i co…!–
Il secondo ringhiò di Bunnymund  raggiunse le orecchie di Will e di Jack, ormai quasi in cima alla collina, che si guardarono intorno, preoccupati.
– Sicuro che non ci siano leoni qui, Jack? –
– A queste latitudini sono più probabili gli orsi. –
– Orsi? – saltò Will, trovando un'ottima scusa per stringersi ancora più strettamente al collo di Jack. – Che genere di orsi? –
– Orsi dalle lunghe orecchie a punta. – ghignò Jack.
Will non capì a chi si stesse riferendo e squittì ancora più spaventata di prima. – Ma è terribile! –
Chi invece non era per nulla spaventata era Thia che stava trascinando Halley su per un ripido sentiero, sovrastante un piccolo rigagnolo d'acqua, slambrecciandogli la maglia, ormai ridotta ad un tessuto informe.
– Mi vuoi mollare, Thia? –
– Non ho intenzione di finire in un altro buco. Quindi no. –
– Ma che centra questo con la mia povera maglia? E poi, ti ricordo, che siamo finiti in quel buco per colpa tua! –
– Non dire fesserie! –
Thia si voltò di scatto ma il suo fu un grave errore. Mise un piede in fallo e si sbilanciò verso il basso, gridando di sorpresa. Mani salde corsero attorno alla sua vita per sorreggerla ed impedirle di cadere dentro all'acqua, e Thia si aggrappò ad esse senza riflettere.
Quando si rese conto di non star più cadendo, erano già passati diversi istanti: tutti passati letteralmente aggrappata ad Halley, le unghie piantate profondamente nella carne dei suoi avambracci.
– S-scusa…– staccandosi di colpo da lui, come se ne fosse rimasta ustionata. – S-sono scivolata. Non succederà più. –
Si diede dell'idiota e riprese a camminare con più foga di prima, lasciando Halley indietro.
– Thia, non te la prendere ma oggi sei più strana del solito. – fece lui, raggiungendola in poche, rapide falcate.
– Bah! – replicò Thia, sembrando una vecchia inacidita dall'età.
– Davvero sexy. – ribatté Halley, alzando un sopracciglio. – Il tuo sex-appeal sarebbe in grado di stendere anche i sassi. Parola mia. –
– Già. Perfino i sassi ma non te! – berciò Thia con tono da scaricatore di porto. – Gran bella soddisfazione! –
Solo quando si accorse delle sopracciglia levate di Halley, si rese conto di quello che aveva appena detto.
– La frase mi è uscita male! Non è quello che sembra che io abbia detto, anche se in realtà non volevo affatto dirlo! –
Sempre più divertito, Halley si portò una mano alla bocca e Thia si accorse con orrore che stava soffocando una risata.
– TU! NON OSARE RIDERE! STUPIDO, CRETINO, IMBECILLE, RIN…–
Le labbra di Halley misero una nota d'arresto a quella sequela di languidi complimenti e Thia poté solo mugolare tutto il suo disappunto per essere stata interrotta sull'insulto più appropriato. I suoi ansiti di protesta, però, non durarono a lungo, e prima di poterselo impedire gli aveva già passato le braccia sul petto, poi sulle spalle, ed infine dietro la nuca, facendo aderire completamente i loro corpi.
Le mani di Halley le circondarono la vita, attirandola ancora di più contro di sé. La sua lingua si insinuò dentro la sua bocca, e con lentezza sapiente si mosse fino a procurarle  un alto sospiro. La sua testa smise di girare e questo le confermò che fino a quel momento si era dimenticata di respirare.
Lasciando che le sue dita si inanellassero nei riccioli di lui, si alzò sulla punta dei piedi per avere un accesso migliore alle sue labbra, perfette nella loro morbidezza e sericità. Poi, con lentezza esasperante, si rese conto di quello che stava facendo.
Si scostò violentemente da lui e con uno schiocco deciso gli mollò un manrovescio.
Halley si ritrovò a fissare il tronco di un albero, la faccia completamente girata di lato mentre il pizzicore dello schiaffo prendeva ad arrossargli la guancia formando una rosa di cinque nitide dita.
– Ma che…–
– NON SAI AFFATTO BACIARE!! –
Thia girò sui tacchi, il mento rivolto verso l'alto e le spalle dritte come fusi, e camminò decisa nella direzione opposta.
La verità era l'esatto opposto: baciava in modo assolutamente …perfetto. Ma questo lo avrebbe saputo soltanto lei.
Lei e forse Cassian…
Quel semplice pensiero bastò a farle capire che anche quel dannato damerino avrebbe presto avuto un incontro ravvicinato con le sue cinque dita.

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Capitolo 12
*** New day ***


CAPITOLO 12

NEW DAY


Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people living for today.

                           Imagine, John Lennon


Jack Frost sbatté le palpebre e guardò il collo di Halley con stupore. Un tiepido tintinnio rivelò la caduta di alcuni frammenti neri verso il suolo nevoso.
Ciò che rimaneva del collare nero, prima stretto intorno alla gola di Halley, se ne stava ora come abbandonato in mezzo al ghiaccio, rilucendo flebilmente fino a sopirsi del tutto.
Di colpo tutti i mostri si arrestarono, bloccando la loro avanzata e guardandosi intorno, sorpresi, come risvegliandosi da un brutto sogno e non raccapezzandosi più sul dove si trovassero e come, soprattutto, fossero giunti fino a lì senza accorgersene.
Lumin smise di brillare minacciosamente e si voltò verso Halley, il quale si stava tastando con lentezza il collo, ora libero. La sete di sangue si era placata e anche il desiderio di continuare a combattere aveva perso del tutto il suo significato originale.
– Sei libero…– Jack Frost ancora non capiva come fosse stato possibile, poi la verità gli si presentò con chiarezza quanto mai cristallina. – Pitch… è stato sconfitto. –
Halley si lasciò cadere al suolo, le gambe che improvvisamente non lo sorreggevano più.
– Scusa. – fece rivolgendosi a Jack con tono strozzato. – Sai che non lo avrei mai fatto se non… se io non…–
– Lo so. –
Jack mollò il bastone e velocemente afferrò Halley prima che cadesse riverso nella neve, privo di sensi.
Aveva usato davvero troppo il suo potere. Se avesse sferrato quell'attacco finale, sarebbero stati in due a  morire. Uno consumato dal fuoco e l'altro corroso dal suo stesso potere.
Sostenendolo, si guardò intorno. Yeti e mostri si guardavano straniti, elfi e zucche sembravano ancora in conflitto con sé stessi mentre si scrutavano l'un con l'altro, indecisi sul da farsi.
– Jaaaack! –
Candelora stava correndo verso di lui. Il muso sporco di sangue e alcune unghie scheggiate durante la battaglia.
Jack avrebbe voluto alzarsi ma la ferita alla gamba gli faceva troppo male. Aspettò dunque che l'amica lo raggiungesse per chiedere a lei l'aiuto necessario.

***

Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people living life in peace.

                               Imagine, John Lennon

Satia osservò la stalagmite che svettava di fronte a lei, nella quale Pitch Black era stato incatenato per sempre.
Aveva mentito. Aveva sempre mentito. E anche nell'ultimo istante di vita, l'Uomo Nero era rimasto fedele a sé stesso.
Il dubbio che  potesse essersi sbagliata l'abbandonò solo in quel momento. Osservando le pieghe dei cristalli e le escrescenze dei minerali che fuoriuscivano dalla sua costruzione cilindrica, si chiese che cosa avrebbe fatto che si fosse sbagliata. Se invece di mentire, l'Uomo Nero le avesse detto la verità per la prima volta nella sua vità.
Dietro di lei, grida di giubilo e di gioia, i ruggiti di North uniti ai trilli felici delle Fatine delle Foglie, insieme ad una bailamme di molte altre voci.
Avevano vinto. E quella dolce, incredibile verità era una cosa lenta da digerire. Più che non la sconfitta…
Toothy si alzò in volo, fiondandosi a capofitto verso di lei per abbracciarla con tutta la forza di cui le sue esili braccia erano capaci. Uno sciame di Dente da Latte le piroettò intorno, congratulandosi con lei a forza di cinguettii convinti.
Gli incubi invece si affollarono come bestie fameliche intorno a Pitch, odorandone la morte e apprezzando sui loro palati il sapore della ritrovata libertà.
– Dobbiamo aprire il varco per il Mondo degli Incubi per farli tornare a casa. – disse Satia, indicando alcuni destrieri neri con un cenno preoccupato del capo. – Qui non possono rimanere. –
A quello ci pensò North, aprendo con la sua sfera-portale il passaggio necessario a ricondurli nel loro mondo di appartenenza.
Bunnymund sfrecciò a rapidi balzi verso Sophie, tirando un sospiro di sollievo quando la vide perfettamente illesa, subito seguito da un ruggito d'indignazione quando notò la mano di Ferragosto posata delicatamente sulla sua testolina bionda.
Coprendosi la bocca con una mano, Sandman si avvicinò a Satia, ma dietro quella manina si nascondeva il più ampio  più sincero dei sorrisi. Lo sguardo del Guardino, dorato e sereno, sembrava ringraziare la ragazza di quanto aveva fatto e lei ricambiò facendo un piccolo inchino, chinando il capo.
I tre si voltarono verso i portale giusto in tempo per vedere North cacciarvi dentro l'ultimo incubo.
– Che ne facciamo di Pitch? – domandò questi, indicando col pollice la colonna nera alle sue spalle.
– Anche lui dovrebbe dormire insieme ai suoi incubi. – rispose Satia. Levando la mano, fece levitare la sua estrusione fino al varco e lasciò che la luce la inghiottisse per sempre, sapendo che dall'altra parte l'aspettava l'oscurità più profonda e duratura.
Era finita.
Il portale si richiuse con un tremolio acuto e le voci di tutti si levarono alte per festeggiare quel momento.
I bambini avrebbero dormito sonni tranquilli per molto tempo.

***

You, you may say
I'm a dreamer, but I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will live as one.

                       Imagine, John Lennon

Era passato un mese esatto dalla sconfitta di Pitch.
Seduta in mezzo ad un giardino, la schiena appoggiata al tronco nodoso di una quercia, Satia osservò l'autunno prendere possesso delle chiome degli alberi e dei prati sferzati dal vento, le Fatine delle Foglie che tingevano coi loro secchielli rossi, gialli e castani, le foglie e gli steli d'erba. Le sue dita sfioravano i riccioli di una testa abbandonata mollemente sulle sue gambe.
Halley dormiva profondamente e da quando aveva ripreso conoscenza, a battaglia conclusa, non ne aveva voluto sapere di lasciare il suo fianco. Ora però il momento era giunto. Lei avrebbe dovuto costruire il suo palazzo al pari di North, di Toothiana, di Sandman e di Bunnymund, mentre lui sarebbe dovuto tornare al suo mondo, il mondo di Halloween.
Si sarebbero potuti vedere ancora, ma Satia non sapeva ancora quando questo sarebbe successo.
Bunnymund corse nella sua direzione con passo trafelato, comparendo come dal nulla da dietro una macchia di vegetazione.
– Mi serve un nascondiglio! Ora e subito! Candelora mi insegue! –
– Per di là. – disse Satia indicando uno spiazzo erboso. – Se vai diritto troverai un posto perfetto. –
– Magnifico. E se lei te lo chiede: tu non mi hai visto! –
Senza nemmeno ringraziarla Bunnymund scattò nella direzione indicata.
Poco dopo, Candelora si avvicinò con passo felpato e, notando Satia, le domandò in un veloce sussurro: – Hai visto Bunnymund, per caso? –
– Oh, si…– Satia si guardò intorno, e indicò con l'indice l'esatta posizione in cui le orecchie di Bunnymund si erano allontanate, in preda all'ansia più nera. – … è andato per di là. L'ho mandato dritto verso un vicolo cieco, però sbrigati lo stesso. –
– Grazie! – fece Candelora, mettendosi subito sulle tracce di Bunnymund.
Satia riabbassò lo sguardo su Halley e vide che lui la fissava con un occhio socchiuso. – Sei davvero perfida. –
– Oppure molto buona. Dipende dai punti di vista. –
– Parli come quel matto di Mun…– ridacchiò Halley, accomodando meglio la nuca in grembo a Satia.
– È tornato a casa, no? Nel Linconshire. –
– Già. –
– Per somma gioia di Bunnymund, scommetto. –
– Bunnymund, oltre a Candelora e a Mun , ha un altro grattacapo per la testa. –
Satia riprese ad accarezzare i capelli di Halley, pensosamente. – Ti riferisci a Ferragosto? –
– Già. –
– Quel ragazzino ultimamente gironzola sempre intorno a Sophie, come un ape col miele. Assomiglia a Valentine con Marabbecca. –
– Il primo ha qualche speranza, mentre il secondo è un caso perso. –
– Non dire così, Valentine è carino. –
Halley rivolse a sua sorella la più lunga delle occhiate. – Valentine? Quel Valentine? Il signor "son il più bello del reame, guardatemi con occhi adoranti, per favore" ?  –
Satia arrossì e cercò di spiegarsi. – Non è una persona malvagia. –
– Se lo dici tu. – sbuffò Halley. – Di sicuro non può essere peggio di Flibbert Gibbert. Quella è capace di darti il mal di testa, solo ad osservarla. –
Satia sorrise e decise di cambiare argomento. – Come stanno Cassian e Will? –
– Cassian è sempre il solito. Mentre Will… non so, ha qualcosa di diverso. Sbatte contro le porte, ha spesso lo sguardo perso nel vuoto e l'altro giorno l'ho beccata con una margherita in mano intenta a strappare i petali uno alla volta… –
– Credo sia colpa di Jack Frost. – fece Satia con una risatina.
– Che centra Jack? –
– Ho questo presentimento. –
– Jack ha aumentato il numero di ammiratrici in questo periodo. Corn Dolly, Fatine delle Foglie, Dente da Latte e persino Capodanno fanno a gara per stare con lui o per svenire al suo passaggio. –
– Ti da fastidio? –
Halley scrollò le spalle. – Affatto. Meglio lui che me, come si suol dire. –
Satia fece per rispondere, ma l'urlo isterico della Befana che sfrecciava nel cielo, lasciando dietro di sé una scia grigiastra di fumo, glielo impedì.
In fondo nulla era cambiato. Tutti gli spiriti erano tornati alla loro solita routine, come se nulla fosse accaduto.
Sandman portava i sogni, Toothy i ricordi, Bunnymund la speranza e North la meraviglia a tutti i bambini del mondo.
E poi c'era lei, adesso, che vegliava sui bambini anche dopo la loro morte, perché non rimanessero mai soli.
Una ventata più gelida delle altre annunciò l'arrivo di Jack Frost, e anche Halley alzò lo sguardo per vederlo volare alto sopra le rade nuvole del cielo. Colui che portava la gioia, fece sbocciare un sorriso perfino sul volto imbronciato di Halley. E Satia s'intenerì.
Forse qualcosa, in effetti, era davvero cambiato.

testo


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Ebbene si, gente. Questa è la fine. Spero che la storia vi sia piaciuta e che vi abbia fatto emozionare almeno una volta.
Ringrazio ancora tutti quanti, belli e brutti.
Vi auguro buone vacanze e tanto sole! XD
Un bacio grande grande.
Salut!
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- SIDE STORY -

Love is real, real is love
Love is feeling, feeling love
Love is wanting to be loved

Love is you, you and me
Love is knowing
We can be
                                Love, John Lennon

Thia e Halley ritornarono al campo base, dove le registrazioni e le preparazioni erano quasi concluse, praticamente correndo: la prima cercando invano di seminare il secondo.
– Stammi lontano, Halley! –
– Niente affatto! Prima devi spiegarmi perché lo hai fatto! –
– Invece sei tu che devi spiegarmi perché hai fatto… quello che hai fatto! –
– Non mi sembrava che ti dispiacesse, fino a quando non hai deciso di tirarmi quello schiaffo! –
– Ed invece mi è dispiaciuto! Mi è dispiaciuto di non averti tirato quello schiaffo ancora più forte! –
Thia si bloccò di colpo e Halley rischiò quasi di finirle addosso.
– Perché ti fermi? –
Thia indicò alcune sedie e Halley seguì il filo del suo sguardo fino alle figure che erano tranquillamente stravaccate su di esse. Jack stava fasciando il piede stortato di Will; Valentine lanciava di tanto in tanto qualche sguardo speranzoso in giro per il set, come cercando qualcuno, mentre la Befana lo guardava divertita; Bunny e Cassian stavano litigando come loro solito.
Thia riprese a camminare e si diresse furibonda verso di loro.
– Non dovevamo cercare il tesoro? –
– L'abbiamo trovato, il tesoro! – berciò Bunnymund a denti stretti. – Appeso su un ramo di un dannato albero! – E così dicendo mostrò una targa in ottone con su scritto a lettere minute le esatte parole "Questo è il TESORO. Perché il vero valore delle cose non sta nella cose in sé, ma nelle prove che si affrontano per ottenerle."
Thia perse la mandibola da qualche parte sul terreno, Halley sgranò gli occhi e Bunnymund sbuffò.
– Appunto, una completa perdita di tempo! –
Jack guardò Will che arrossì vistosamente, prima di annuire timidamente. – Assolutamente. Mai perso così tanto tempo in vita mia in modo più… inutile. –
Will ricambiò quello sguardo e Jack sorrise: il tempo, almeno per quello che la riguardava era stato speso nel modo più fruttuoso possibile.
Valentine grugnì una rispostaccia e la Befana prese a ridere sguaiatamente.
Thia e Halley invece si scambiarono un veloce quanto esiguo cenno del capo, poi Thia si schiarì la voce e mormorò: – Che cosa da idioti! –
Cassian si alzò e mugugnò: – L'unica cosa che ha fatto questa caccia al tesoro è stata separarmi dal mio Halley! –
Il ragazzo in questione si tirò un po' indietro, quasi cercando di nascondersi dietro Thia che era più bassa di lui di qualche spanna.
– Dobbiamo recuperare il tempo perduto, Halley caro! –
– Anche no!? –esclamò Halley, riuscendo in qualche modo a risultare sarcastico anche se in realtà stava già controllando le possibili vie di fuga intorno a sé.
Affilando lo sguardo, Thia incrociò le braccia sul petto. – Non ci pensare nemmeno, Cass. –
Tutti di colpo di voltarono verso di lei e Thia staffilò ciascuno dei presenti con i suoi occhi violetti, invitandoli a farsi avanti se ne avevano coraggio.
– Halley è già occupato. – precisò, ritornando a guardare Cassian. – Quindi osa avvicinarti a lui e ti ritrovi il culo a strisce e pois! –
Detto questo, afferrò la mano di Halley e se lo tirò dietro mentre si dirigeva vittoriosamente verso la propria roulotte.
Quando si fu richiusa la porta alle spalle, lasciandosi cadere sul divanetto vicino all'ingresso, Halley la stava ancora fissando, interrogativo.
– Be' , che hai? Non guardarmi con occhi da pesce lesso! –
Halley sbatté le palpebre, poi sorrise.
– Va bene. –

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