Film > Le 5 Leggende
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Autore: pheiyu    12/05/2013    2 recensioni
Pitch è tornato, più spietato che mai, e vuole vendetta. Nella notte di Halloween riusciranno i cinque, più qualche strampalato aiuto, qualche vecchio amico e un nuovo combattuto spirito, a salvare sé stessi e i bambini?
Genere: Azione, Comico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Jack Frost, Jamie, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGUE


Oh, you've gotta live every single day
Like it's the only one, what if tomorrow never comes?
Don't let it slip away, could be our only one
You know it's only just begun, every single day.
Maybe our only one, what if tomorrow never comes?
Tomorrow never comes.

Never gonna be alone - Nickelback



Buio.
Non c'era nient'altro.
Il buio avvolgeva ogni cosa.
L'oscurità, simile ad una nebbia opaca e impalpabile, ricopriva le superfici scabrose delle rocce come una patina bluastra. Nemmeno un misero brandello di luce riusciva a filtrare attraverso quella trama oscura, intessuta di fuliggine e di polvere nera.
Dove si trovava? Questo avrebbe dovuto saperlo…
Si sforzò di ricordare, sapeva di poterlo fare, ma aveva paura… paura di cosa sarebbe potuto riemergere da quella polla - nera come lucida pece - che erano i suoi ricordi. Il buio accresce la paura e lui se ne sentiva schiacciato, annientato dal suo soverchiante peso.
Di colpo stracci di memoria perduta, nient'altro che scomposti tasselli, ritornarono convulsamente al loro posto. Le rocce erano franate; le pareti della miniera collassate su sé stesse.
Buio e carbone: ecco ciò che rimaneva alla fine. Nient'altro.
Un volto e una promessa.
Lineamenti familiari si tracciarono in forme sinuose dietro le sue palpebre chiuse: capelli ruvidi, fronte perennemente aggrottata, una bocca sottile, sorniona.
La sua stessa bocca, solo dalla curva più dolce, e i suoi stessi occhi, solo dallo sguardo più limpido.
– Scusa se non potrò mantenere la mia promessa.– sussurrò a voce bassa, quasi avesse paura di svegliare qualcuno tra quelle tombe silenziose. – Mi sarebbe davvero piaciuto mangiare qualcuno dei tuoi dolci un ultima volta, sorellona…–
Si, gli sarebbe piaciuto davvero.
Quello fu il suo ultimo pensiero, poi le sue labbra si socchiusero e la testa gli ricadde di lato.
Il buio divenne più profondo e lui si sentì trascinare verso il basso. Una docile calma lo pervase e il suo corpo sembrò fluttuare nel vuoto più perfetto. Quella sensazione gli tarpò i sensi e le emozioni; era come dormire, solo più profondo, più definitivo.
Non era bello, ma aveva una sua attrattiva: la paura, dovunque fosse diretto, non sembrava in grado di seguirlo.



***

CAPITOLO 1

THE MOON



You're never gonna be alone from this moment on
If you ever feel like letting go, I won't let you fall
You're never gonna be alone, I'll hold you
'til the hurt is gone.

Never gonna be alone - Nickelback


L'aria, odorosa di notte e di pioggia, gli penetrò nei polmoni indolenziti, aiutandolo a respirare con la stessa consapevolezza e con la stessa fretta di una persona rimasta troppo tempo sott'acqua.  Il freddo della dura roccia a contatto con la sua pelle gli staffilò le membra, lasciandolo con solo due cose certe a cui aggrapparsi: il dolore e la consapevolezza di essere ancora vivo.
Un raggio di luce bianca colpì le sue palpebre chiuse e lui si ritrovò a sbatterle, quasi infastidito dal fatto di non poter morire in pace.
La luce era cristallina, perfetta, ma non sembrava avere una qualche provenienza.
Da dove arrivava?
Si trovava metri e metri sotto terra, sepolto vivo sotto ciò che rimaneva della miniera di carbone appena fuori del villaggio. Non poteva esserci luce lì sotto.
Ansimò e il suo fiato si condensò poco distante dal suo volto. Incredulo, allungò una mano verso l'alto e le sue dita affusolate accarezzarono quel pulviscolo argentato, lasciando che i suoi impalpabili fiocchi danzassero sul suo palmo. Una folata d'aria s'insinuò sotto ai suoi vestiti, facendolo rabbrividire.  
Vento?
Chiuse gli occhi e ansimò di nuovo.
Sotto le palpebre serrate, i suoi occhi si mossero impercettibilmente.  I riverberi della lontana - e quasi dimenticata - paura tornarono ad affiorare nella sua mente, avvelenando i suoi ricordi e i suoi pensieri.
Stava sognando? O era solo un mero incubo quello da cui non riusciva a svegliarsi?
I suoi occhi fremettero appesantiti, le lunghe ciglia che cercavano disperatamente di sollevarsi, mentre la paura gli risaliva le vene e accelerava il suo battito cardiaco. Quando li riaprì, però, la vide. Lei era lì; era sempre stata lì.
La luna.
Lo osservava dall'alto, avvolta nei suoi pallidi raggi come se essi fossero una candida veste, vellutata e leggera. Così grande da coprire il suo intero campo visivo e così luminosa da cacciare via tutta l'oscurità che lo circondava. Sorrise: non aveva più paura. Si sentiva al sicuro.
Il silenzio tutt'intorno a lui, all'improvviso, sembrava vasto e infinito come il cielo sotto al quale si trovava.
L'erba dietro la sua schiena frusciò mentre accoglieva il suo corpo. Era fuori ed era libero.
Non si chiese come fosse accaduto, ma sapeva di essere uscito in qualche modo. Riconosceva lo spiazzo erboso poco distante dall'ingresso della miniera, riconosceva gli alberi e il sentiero che conduceva al suo villaggio. Riconosceva perfino i monti alle sue spalle e l'ampia vallata che si stendeva davanti ai suoi occhi, simile ad un profondo taglio in mezzo alla terra.
Respirò forte, senza parole, e si tirò a sedere, puntellandosi sui gomiti. Stava bene, nemmeno un taglio o una ferita. Con lentezza provò a rialzarsi, facendo forza con i muscoli delle spalle e delle gambe. Barcollò vistosamente e per poco non inciampò nei suoi stessi piedi. Rise di quella sua momentanea perdita di equilibrio e si appoggiò con una mano al tronco di un albero.
Un bagliore metallico attirò il suo sguardo: in mezzo all'erba, poco distante da lui, c'era qualcosa.
Si avvicinò con cautela e guardò, sorpreso, quella che aveva tutta l'aria di essere una vecchia lanterna. Spigolosa, consunta e graffiata, era attaccata con un gancio obliquo ad un bastone di ferro della lunghezza di un braccio. Con l'alluce colpì lievemente quel vecchio rottame, avendo ormai perso qualsiasi originale interesse. Poi però si immobilizzò, guardingo, chiedendosi se dentro ci fosse ancora qualche goccia di olio da poter rubare. Avrebbero avuto di che accendere un fuoco e, magari, stare un po' al caldo, lui e sua sorella.
Con quei pensieri egoistici a frullargli dentro alla testa, si chinò per raccoglierla, ma immediatamente  schioccò la lingua per la delusione. Era troppo leggera per contenere anche solo il più piccolo rimasuglio del prezioso liquido e, controllando lo sportellino laterale, scoprì che non si era affatto sbagliato: era completamente a secco.
Sospirando la sua delusione fece per ributtarla a terra ma un improvviso barlume lo fece sussultare. Come evocata da un effimero sogno, una fiammella delle dimensioni di un unghia comparve timidamente al centro della malandata lanterna.
– Ma che…? –
Avvicinò il volto al piccolo lume e quest'ultimo si dileguò con una risatina imbarazzata, così come era apparso.
Un trucco, ecco cos'è, si disse incominciando a studiare le nervature e i riccioli in ferro battuto che decoravano la sommità dell'oggetto.
Tenendola tra le dita sporche e annerite, ricoperte da un velo così sottile di carbone da sembrare finissima cipria, fece dondolare la lanterna un po' a casaccio, senza il minimo riguardo, ansioso di carpire il subdolo segreto di quel vecchio oggetto.
La fiammella ricomparve, un po' scombussolata per gli scossoni, ma lui, non contento, continuò a scrollarla con forza esigendone una qualunque risposta.
A quel punto la fiammella, indignata da quei modi villani, si arrossò tutta e si ingigantì diventando più grande persino di un uomo adulto; poi ruggì come una belva inferocita all'interno del piccolo alloggio, gigante di fuoco chiuso in una minuscola gabbia.
Il ragazzo, preso completamente alla sprovvista, gridò e ricadde all'indietro. La lanterna, sulla quale le sue dita persero la presa, colpì il suolo con un clangore metallico, leggermente soffocato dalla soffice terra. Il calore eccessivo delle fiamme lambì l'erba e impresse su di essa una nera impronta circolare, all'interno della quale rimasero solo steli bruciacchiati e sassi arroventati.
Lui indietreggiò ancora, scalciando con i piedi nell'erba.  La lanterna però, dopo tale esplosione, rimase quieta e immobile.
La sua mano corse al colletto della camicia logora per allentarlo, ma trovandolo già sbottonato si risolse di grattarsi distrattamente una guancia con un'emozione che univa l'incredulità all'interesse più genuino.
 – Di tutte le cose strane che esistono al mondo, questa è la più assurda. –
Si schiarì la voce con educazione e si inginocchiò per riprendere la lanterna, questa volta avendo cura di afferrarla per l'estremità del bastone di ferro. La fiammella tornò a farsi vedere. Sembrava puntare il naso verso l'alto, e due piccole lingue di fuoco rimanevano vagamente piegate ad imitazione di due braccia conserte. Non era difficile capire quali sentimenti alimentassero la sua essenza in quel momento: rabbia, stizza e,  in bocca, l'amaro di un'inaspettata offesa.
Corrugando la fronte, lui si ritrovò a chiederle: – Sei reale? –
La fiammella borbottò qualcosa e si colorò di un rosso cupo, quasi marrone.
– Ehi, ehi, non ti arrabbiare! – si schernì agitando le braccia. – Non l'ho detto con cattiveria!  In verità per essere una cosetta infuocata sei piuttosto … uhm… particolare. –
Di colpo il rosso sbiadì in rosa e i movimenti della fiamma divennero più dolci e aggraziati, quasi si stesse vezzeggiando davanti ad un folto pubblico.
La fiammella, oltre che irascibile e permalosa, era anche piuttosto vanitosa, constatò lui con un leggero sorriso sulle labbra.
– Ho deciso! – disse, avvicinandosi dopo averla osservata brevemente. – Verrai con me, a casa mia. Ci siamo solo io e mia sorella, Satia, ma non si sta male.  La casa è piuttosto piccola ma per due è perfetta, e Satia fa dei dolci che sono una meraviglia. Sono sicuro che ti piaceranno! –
La fiammella gongolò producendo qualche sbuffo di fumo e danzò allegra in giro per tutta la lanterna dimostrando a quel modo tutta la sua approvazione a quella proposta.
Lui si rialzò e si appoggiò con cautela il bastone sulla sua spalla, lasciando che la lanterna penzolasse dietro le sue spalle, attaccata per il gancio. Soddisfatto, fece per incamminarsi verso il sentiero ghiaioso che conduceva al suo villaggio ma una folata di vento più forte e più calda delle altre si incanalò in mezzo agli alberi. Una strada ombrosa, con braci non del tutto spente sul bordo dello stregato sentiero, gli indicò la via tracciando un  passaggio in mezzo alla nebbia e alla foschia della notte.
– Sei stata tu?– chiese alla fiammella che rispose con una danza frenetica di assenso.
– Notevole. – le disse sinceramente ammirato, seppur la sua tonalità di voce esprimesse quasi sarcasmo.   – Sai fare altro? –
La fiammella, quasi smaniosa di mostrare di cosa era capace, aumentò le braci intorno a loro. La terra vibrò tutta, come scossa da un onda di marea, e di colpo si sollevò.
–Ferma! Ferma!!! FERMAAAAAAA…– gridò il ragazzo a squarciagola, ma era troppo tardi.
L'onda arrivò loro addosso e li travolse portandoli con sé. Dopo un primo attimo di smarrimento, ritrovò l'equilibrio e cercò di mantenerlo spostando continuamente i piedi all'indietro, un po' a destra e un po' a sinistra: la terra cambiava di continuo, girando e rivoltolandosi su sé stessa, assomigliando sempre di più ad una ruota infernale che avanzava lungo il pendio.
Lui lanciò un rapidissimo sguardo all'indietro e vide che la terra, una volta adempiuto al suo dovere, ritornava al suo posto. Passato lo sconcerto iniziale arrivò l'euforia, e un urlo liberatorio gli risalì dal petto fino alla bocca mentre filavano spediti in mezzo agli alberi, più veloci dei cerbiatti e delle lepri che incrociavano.
– Ecco! Si, wow! Per di qua! Esatto! Seguì il sentiero! Tieni la sinistra, oh, accidenti… attenta… Ahia!! Maledette buche! Cerchiamo di evitarle la prossima volta!? Che dici? Oh, ehi!, però aspetta… non dovremmo rallentare? Prima del dirupo dobbiamo girare. Ci siamo quasi… No! Non per … no!!! –
La fiammella ridacchiò e fece esattamente il contrario, lanciando la massa di terra ruotante giù per il dirupo di fronte a loro.
La terra si scompattò e i piedi del ragazzo persero aderenza con il suolo, divenne leggero come una piuma e i vestiti presero a svolazzargli tutto intorno, finendogli negli occhi e in bocca. L'aria prese ad ululargli con forza dentro alle orecchie, lasciandogliele congelate e sorde ad ogni altro rumore. Le sue dita si strinsero attorno al bastone di ferro, avvinghiandosi con forza alla sua levigata superficie come se quel semplice gesto potesse impedire loro l'orrenda fine che li attendeva di sotto.
La lanterna reagì a quel tocco perché sentì che era quello che doveva fare, perché era ciò a cui era destinata. Sapeva cosa fare.
La terra si innalzò sotto di loro - mattone di scomposto terriccio vicino a mattone di zolla erbosa - formando un dolce declivio, largo quel tanto che bastava ad accogliere due paia di piedi. Su quella rampa - che il ragazzo adocchiò sgranando gli occhi - atterrarono bellamente di faccia.
Rotolando su sé stesso e sputacchiando qualche ciuffo d'erba, ritornò in piedi e la stessa ruota di prima lo avvinse tra le sue spire. Il bastone rollò dietro alla sua schiena assorbendo l'urto, attaccato ad esso stava l'allegra lanterna e l'ancor più allegra fiammella che sparò scintille tutta emozionata mentre completava un ardito semicerchio in aria.
Ebbe appena il tempo di rendersi conto di essere ancora tutto intero e di rallegrarsene che un secondo imprevisto si piazzò prontamente di fronte a loro, uscendo - secondo la sua oggettiva opinione - assolutamente dal nulla.
Albero!!!  –
Se qualcuno fosse stato presente e avesse assistito all'intera scena avrebbe descritto - con tanto di voce narrante dai toni sognanti -  un paio di lunghe gambe roteare in aria, seguite da una magnifica esplosione di terriccio, simile ad un elaborato fuoco pirotecnico, che si concludeva con un eccitato lumino dorato che faceva capolino da una lanterna rovesciata, incastrata tra i rami più bassi dell'albero.
Ma siccome nessuno fu tanto fortunato, l'intera vicenda passò completamente inosservata. Solo una civetta candida stridette, ruotando la testa,  turbata da tutto quel frastuono.
Il ragazzo, riaprendo gli occhi, si ritrovò a contemplare il cielo trapunto di stelle che si stagliava nel bel mezzo delle sue gambe aperte.
Si rigirò su di un lato e il terriccio, sfaldandosi, scelse proprio quel momento per ricominciare a cadere a grumi e a zolle giù dai rami, umido e pastoso come neve tardiva. Coprendosi con un braccio dai frammenti più grossi, il ragazzo si rimise in piedi e trasse a sé la lanterna, dopo averla recuperata frettolosamente.
– Stai bene? – le chiese mentre si guardava intorno e riconosceva, in mezzo alla vegetazione, un sentiero battuto a lui familiare.
La fiammella ritornò più infuocata che mai e arse con convinzione, per nulla turbata da quanto era accaduto.
Il ragazzo si mise a ridere e le indicò alcune luci poco distanti, le quali occhieggiavano stancamente in mezzo agli alberi come lucciole tremolanti.
– Vedi? Quello è il mio villaggio! Siamo arrivati! –
Senza pensarci due volte, prese a correre in quella direzione e nel farlo sbatacchiò leggermente la lanterna; i suoi sbuffi di protesta arrivarono puntuali e carichi di veemenza.
Il ragazzo però era troppo intento a correre per farci caso, e i suoi piedi coprirono in rapide falcate la distanza che lo separava dai primi casolari. Una donna gli passò vicino e lui la salutò agitando calorosamente la mano. Lei sembrò non notarlo, ma la felicità era tale che non ci badò troppo e continuò a correre fino alla strada principale. Lì c'era più gente e tra i loro volti iniziò a cercare quello di sua sorella. Era preoccupata? Lo stava già cercando?
A passo sicuro si diresse verso casa sua e salutò con un sorriso tutti quelli che incrociava. Nessuno gli rispondeva o sembrava accorgersi in qualche modo della sua presenza ma di sicuro era perché erano troppo impegnati o concentrati su qualche altro compito quotidiano.
All'improvviso si fermò, accorgendosi di una cosa che, a dispetto di tutto il resto, era per davvero parecchio strana: le strade erano diverse e c'erano anche un paio di case che non aveva mai notato prima.
Come era possibile? Che fosse capitato nel villaggio sbagliato?
Ed infine notò pure la cosa più strana di tutte.
Tutti avrebbero dovuto essere in subbuglio per la frana avvenuta dentro alla miniera, ed invece regnavano la calma e la tranquillità più complete, come se fosse solo un giorno come tanti altri.
Seppur titubante, si avvicinò ad un estraneo che sembrava star aspettando qualcuno.
– Non ha saputo che è crollata la miniera? Bisogna mandare dei soccorsi! Potrebbero esserci altri sopravvissuti! Mi ascolta? Ehi, ma mi sta… –
All'improvviso l'uomo sorrise e lo attraversò, andando incontro ad una donna dall'aria affaticata, come se fosse stato niente più che una presenza eterea, un fantasma.
– Ma… ma lo hai visto anche tu!? – fece rivolgendosi sconvolto alla fiammella. – Mi è passato oltre per oltre! –
Si tastò tutto, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non andava nel suo corpo, e proprio quando stava accertandosi della presenza o meno del suo ombelico - scoprendo che era assolutamente situato al suo solito posto - un gruppo di ragazzini festosi gli andò incontro di corsa e lo superò, continuando indisturbato per la sua strada.
– Che mi sta succedendo? – fece disperato, cercando di togliersi dalla strada ma ottenendo solo che altre persone gli passassero attraverso. La fiammella lo guardò preoccupata mentre raggiungeva incespicando alcuni cespugli al limite della strada polverosa.
– Perché non mi vedono? –
Una sottile rivelazione entrò prepotentemente dentro alla sua testa. Era morto? Era diventato un fantasma? Era per quello che non lo vedevano?
Fuggì, dirigendosi senza saperlo in direzione della sua vecchia casa.
La trovò disabitata. Il tetto cadeva a pezzi e l'edera si abbarbicava sulla pareti fin sopra il comignolo, l'interno era disordinato e mostrava chiaramente come quell'abitazione fosse stata abbandonata ormai da molti anni.
– Satia!!! – gridò entrando nella casa dopo aver abbattuto con una spallata la porta. Di sua sorella non c'era nessuna traccia.  – Satia, dove sei??–
Uscì di nuovo all'aperto, sbattendo i calcagni sulle tavole di legno marcite e sull'uscio sgangherato; sferzò disperato con le mani le piante selvatiche che crescevano un po' ovunque e alzò lo sguardo verso la luna.
– Che cosa mi hai fatto? –
La luna non disse nulla, limitandosi a rilucere nel cielo come una placida quanto irraggiungibile presenza.
– Perché? Perché mi hai salvato? –
Di nuovo aspettò invano.
– Cosa dovrei fare ora, me lo dici? –
Strinse i pugni e guardò la lanterna che aveva lasciato cadere per terra poco prima di entrare. Tornò a riprenderla e la ripulì con il retro della manica, scusandosi per averla abbandonata. La fiammella ricomparve, scoppiettando adagio. Cercò di risollevargli il morale mettendosi a testa in giù e sputacchiando minuscoli lapilli.
– Non fa nulla.– le disse lui, sorridendo appena. Poi tornò a rivolgersi alla luna. – Dimmi qualcosa! Una qualsiasi cosa! Non mi importa! Basta che mi parli! –
E la luna parlò.
Fu l'unica cosa che gli disse. E da lei non seppe mai altro.
Jack O'Lantern...

Da quel giorno passò molto, molto … ma molto tempo.

***

Le nubi nere e rigonfie di pioggia, incombevano basse sul paesaggio, sfilacciandosi in grigie spirali nebbiose intorno alla colline evanescenti poste sulla linea dell'orizzonte. Ventate di pioggia gelida sferzavano una figura alta e tetra che osservava dall'alto di un picco roccioso il boschetto di querce ai suoi piedi, lasciando che i suoi occhi incavati, dalla tonalità di un grigio perlaceo, traessero sommo compiacimento da quella desolata visione.
In basso, in mezzo ai centenari tronchi fasciati dalla nebbia, avvolta da un leggero sentore di canditi e mandorle caramellate, sorgeva una casetta dal tetto spiovente e dalle finestre leggermente socchiuse. Per metà era incastonata come una gemma preziosa dentro alle radici tentacolari di una delle grosse querce, e per l'altra metà sporgeva come un balcone sopra ad un giardino mal curato dove le piante rampicanti ed infestanti avevano preso il sopravvento; solo una scaletta di legno malandata garantiva l'accesso a quella che, senza ombra di dubbio, era la porta più sbilenca che si fosse mai potuta costruire.
La sua pelle, candida come quella di un cadavere, tesa sugli zigomi e sul mento aguzzo, si contrasse quando le labbra gli si arcuarono in un sorriso malevolo. Pitch Black, ombra tra le ombre, strisciò fino alle pendici del costone di roccia non visto e non udito. La mostruosa chioma di un albero che si proiettava a terra diventò il nido in cui andò ad occultarsi, liquefacendosi come denso petrolio nella sua linearità sfaccettata.
Intanto all'interno della casetta una vecchina con le calze tutte rotte e il vestito alla romana andava confezionando alcune calze ricolme di dolci di varia natura. Non erano i dolci completi e pronti alla spedizione - come era solita ribadire lei stessa con la sua voce gracchiante da strega incallita - ma suoi personali esperimenti, alcuni dei quali non molto ben riusciti, che servivano al solo scopo di selezionare in ultima istanza le leccornie che poi sarebbero state mandate ai bambini di tutto il mondo.
Tutti ricordavano i suoi famosi "pan di zenzero al mirtillo birichino" e le sue "torte alla polpa di pesca polposa": i primi che fuggivano non appena si tentava di mangiarli e le seconde che si gonfiavano in bocca diventando talmente succose da essere immangiabili. Piccoli incidenti di percorso in una carriera altrimenti brillante, gorgogliava la nonnetta senza cedere di un solo passo alle maldicenze di chi cercava di screditarla.
La Befana, in effetti, era famosa per tre cose: i suoi incredibili dolci, il simpatico carbone che lasciava ai bambini che non si erano comportati bene e la sua leggendaria rivalità con North che durava ormai da secoli immemori. La maggior parte delle persone dotate di buon senso preferiva invece ignorare, o ancor meglio dimenticare, la quarta cosa per cui l'arzilla nonnina era conosciuta. La Befana amava il rock in tutte le sue forme.  
La sua voce uggiolante quando cercava di cantare - cosa che succedeva puntualmente quando cucinava o quando impastava qualcosa, ovvero sempre - era tristemente famosa in tutta la foresta in cui abitava.
Anche in quel momento, tanto per non smentirsi, batté il piede per terra con ritmo, contando i secondi, mentre aspettava che il suo forno, ricavato da un foro quadrato praticato nella solida pietra, finisse di far lievitare la "pasta impastarella" . Poi spalancò la bocca, roteò la testa e iniziò a gridare con sentimento.

"La Befana vien di notte, oh yeah...
con le scarpe tutte rotte, si! Rotte!
con la scopa di saggina, ina, ina: eeeeevv…
viva viva la nonnina!

La Befana vien di notte, oh no!
con le calze tutte rotte, che snob!
un ciuffone giallo, rosso e blu
fichi e noci butta giu'. Tutti insieme!!

Ti va bene se ci credi,
perché troverai bei doni!
Ti va male se la vedi
perché troverai carboni!

La Befana vien di notte, oh yeah …
con le scarpe tutte rotte, si! Rotte!
il vestito , wouh! trulla là, la Befana:
Eccomi quà!!! Che ragazza!!!

Vien dai monti a notte fonda, oh no!
Com'è stanca! Poveraccia! La circonda
neve, gelo e tramontana. Fate l'onda!
Viene, viene la Befana! Befana!!! BEFANAAA!!!"

Orgogliosa della sua performance canora, si lisciò le toppe sul suo liso vestito nero e lanciò un'occhiata paziente all'orologio che aveva due piccole scope al posto delle comuni lancette e ventiquattro tipi di dolci al posto dei canonici dodici numeri. Stava finalmente per sfornare i suoi omini alla cannella, quando un timido bussare alla porta interruppe i suoi gloriosi propositi.
– Chi è? – chiese con una voce roca, decisamente irritata.
Fuori il maltempo continuò ad imperversare ed il vento fischiò rabbioso contro i battenti delle finestre.
Non avendo ottenuto nessuna risposta si sistemò meglio il cinturone borchiato in vita e si ravviò i capelli scompigliati sotto la cuffietta nera, avviandosi di malumore verso l'ingresso.
Aprì la porta senza tante cerimonie e sbraitò: – Adesso sono occupata! Non accetto che mi si disturbi mentre sto creando! Chiunque tu sia tornatene da dove sei venuto, maledetto rompi…! –
Le ultime parole però le morirono in gola con un singulto strozzato, la lingua si rifiutò di continuare oltre.
Pitch Black le rivolse uno dei suoi leziosi sorrisi e si portò un dito alle labbra con fare noncurante.
– Non faresti un eccezione per un vecchio amico? –
Pitch! – esclamò la Befana, arretrando spaventata. Con un movimento che le parve repentino provò a richiudersi la porta alle spalle, ma l'Uomo Nero la bloccò con facilità artigliando la porta con le sue dita pallide ed affusolate.
– Quanta maleducazione. Col tempo sei diventata una vecchia inacidita, per caso? – Il suo sguardo si incupì e una inquietante luce dorata illuminò il suo sguardo di genuino divertimento. – O devo forse pensare che non sei contenta di vedermi? –
– Come hai fatto a tornare? –
– Non ha importanza, ora. – disse Pitch liquidando la questione con un gesto seccato dell'esile polso diafano, come se fosse un argomento che gli risultava tedioso oltre ogni dire. – Sono venuto qui per avere la mia vendetta. –
– La tua vendetta? – ripeté sconvolta la Befana. Un ciuffo tinto di blu le sfuggì da sotto la cuffietta, donandole un aspetto ancora più sperduto e spaventato, e Pitch glielo scostò dal volto con fare untuoso.
– Oh, si. Cara Befanina. – disse annuendo come se la cosa gli procurasse allo stesso tempo un grande dolore e una grande gioia. – La mia vendetta contro i guardiani! Sarò completamente appagato solo quando li avrò distrutti, annientati …  sconfitti. –
Sputò le ultime tre parole con foga, ed accompagnò l'ultima con un lento richiudersi della sue dita ricurve, come se esse rappresentassero una morsa e i guardiani si trovassero tutti sul suo palmo, pronti per essere schiacciati come insetti. Di colpo serrò la sua stretta con rabbia e le sue labbra illividirono al semplice pensiero di quale gioia sarebbe stato realizzare quel proposito.
Dietro le sue spalle nere ci fu  un improvviso movimento, e la Befana, nonostante stesse tremando come una foglia - una foglia con un briciolo di dignità, però, perché cercò in tutti i modi di non dare a intendere a Pitch quanto fosse terrorizzata - allungò il collo per cercare di vedere meglio.
Una figura minuta, dai capelli scompigliati e i vestiti dimessi, uscì dalla tenebre quasi esitando, come se non sapesse bene perché si trovasse lì in quel momento e per quale motivo stesse facendo tutto quello. Pitch notò cosa la Befana stesse guardando e sorrise all'esile figura che gli rimaneva obbedientemente al fianco.
– Ah, già, mi sono scordato un piccolo ma essenziale dettaglio. Da oggi non ci sarà più bisogno dei tuoi ripugnanti dolci, Befana. Ho trovato qualcuno che potrà degnamente sostituirti. Ti piace la ragazza? Si chiama Satia e a quanto pare è davvero brava con i dolci… –
La Befana indietreggiò.
– Che significa? –  chiese, senza riuscire bene a capire cosa Pitch intendesse con quelle parole. Una cosa però la sapeva: doveva avvisare i guardiani. Ma come poteva fare? Doveva pensare in fretta!
Pitch, del tutto ignaro dei pensieri che le affollavano la testa, continuò a parlare quasi con condiscendenza: – Significa che ci sarà una nuova Epifania… Onde per cui quella vecchia non ci serve più. –
La Befana lo guardò con odio, senza però riuscire a far scomparire del tutto dai suoi occhi le ultime e frammentarie tracce della paura. Pitch la guardò quasi fosse rimasto ammaliato da quel suo sguardo, rischiando di perdersi nei meandri ricolmi di sentimenti così bui, violenti e perfetti.
– Ti prego, non guardarmi con quello sguardo così intenso. – rise, ritirandosi in un angolo buio e aumentando piano piano di statura, godendosi fino in fondo l'espressione di pure orrore della Befana.  – O mi farai arrossire. –
Di colpo tornò serio e sussurrò con finto rammarico: – Ma ora basta con questa noia. Mi dispiace ma… devi morire. –
  
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