My sweet revenge will be yours.

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)Sick little games ***
Capitolo 2: *** 2) Chaos in system. ***
Capitolo 3: *** 3) Why do I want him, now? ***
Capitolo 4: *** 4)Let's start a riot. (life is just a game, it's just an epic holiday) ***
Capitolo 5: *** 5)Shining dust. ***
Capitolo 6: *** 6)Let's start over? ***
Capitolo 7: *** 7)I never thought what could take me out was hiding down below. ***
Capitolo 8: *** 8)Lost the battle, win the war. ***
Capitolo 9: *** 9)Come on let me hold you, touch you, feel you. Always ***
Capitolo 10: *** 10)Take care of her. ***
Capitolo 11: *** 11) Ten years (wedding in Paris) ***



Capitolo 1
*** 1)Sick little games ***


1)Sick little games

Nella vita ci sono periodi duri, anche se sei la moglie di una celebrità.

Sono duri soprattutto se tuo marito ha abbandonato te e vostro figlio per la moglie – sgualdrina – del suo migliore amico e che tu non sopporti.

Sono momenti in cui ti illudi che siano un sogno, uno di quelli lunghi e realistici, ma poi ti tocca venire a patti con la realtà.

La mia realtà – quella di Skye Hoppus – è la parte di letto accanto alla mia vuota, come ogni mattina allungo la mano e ricevo la solita doccia gelata: Mark non c’è.

Mark è da Jennifer.

Me l’ha annunciato una settimana fa con una faccia contrita che all’inizio non mi aveva fatto pensare minimamente al tradimento. Pensavo che avesse finito uno dei miei smalti senza dirmelo, che si fosse comprato l’ennesima action figure dei Simpson con i soldi delle bollette.

Cose così.

Cose di routine se vivi con un eterno bambino come Mark Hoppus.

MI sono sbagliata, con quella faccia ha sganciato la bomba che ha fatto in pezzi la mia vita.

“Skye, mi sono innamorato di Jen. Torno a San Diego per vivere con lei, tu puoi tenerti la casa a Londra.”

Non sono riuscita a dire una parola, nemmeno quando se ne è andato con le sue valigie.

Solo dopo mi sono svegliata dal mio torpore e ho cominciato a fare a pezzi la mia collezione di candele e la sua di action figure. Ho spaccato il suo mitico basso rosa – che aveva lasciato qui – e ho lanciato i pezzi dalla finestra.

Poi ho cominciato a lanciare bassi interi fino a che il campanello non ha suonato e sulla soglia del mio appartamento si è presentato un gentile poliziotto di quartiere che con garbo mi ha invitato a smetterla, visto che mettevo a rischio la viabilità pedonale e la vita stessa di qualche innocente.

Si è dimostrato gentile e comprensivo sul motivo, ma irremovibile: o avrei smesso o sarebbe stato costretto ad arrestarmi.

Ho scelto di smettere.

Questo è quello che mi rimanda il mio cervello prima che la sveglia suoni. Da quando Mark se ne è andato, io – dormigliona cronica – non riesco più a dormire.

La sveglia suona e la porta della mia camera matrimoniale si spalanca in contemporanea: è Jack che si butta sul letto  senza grazia.

“Mamma, posso stare a casa da scuola?”

“Perché? Non stai bene?”

“No, sono stanco che gli altri mi prendano in giro.”

Io prendo il suo piccolo volto tra le mani e mi ritrovo a fissare due occhi azzurri come quelli di Mark.

“LO so che fa male, ma non devi dare loro la soddisfazione di sapere che ti fanno stare mare.

Vai a scuola e prosegui il tuo cammino a testa alta, sii fiero di te stesso. Tu sei superiore a loro.”

Bel discorso, peccato che venga da una che si è presa un mese di ferie da Mtv solo per non sentire i commenti dei colleghi e le frecciatine acide delle colleghe.

I blink non sono più sulla cresta dell’onda come band, ma ai tabloid non è sfuggito questo inciucio e visto che il principe Harry sembra stranamente tranquillo si sono buttati come iene su questo tradimento.

Un paio di giorni si sono persino appostati sotto casa mia, la prima volta ho chiamato la polizia, al terzo giorno vedendo che non capivano la lezione in modo civile ho cominciato a lanciare roba dalla finestra e se ne sono andati per non tornare mai più.

Ovviamente sono diventata la cornuta inconsolabile e con qualche problema di nervi, ma preferisco questo al vivere sotto assedio a casa mia.

Jack – visto che non riesce a strapparmi quello che vuole – se ne va e lo sento prepararsi, in cucina ha una faccia mesta: quella del martire che deve salire nell’arena per combattere contro i leoni.

Io mi preparo e lo accompagno a scuola, gli do un bacio quando scende dalla macchina e poi parto sgommando: di solito prendevo un caffè con le mamme dei compagni di classe di Jack prima di andare al lavoro, ma ora non ho voglia di continuare questa abitudine.

Adesso mi avventuro nei sobborghi pakistani e faccio colazione lì, tra lo sconcerto dei locali che non vedono spesso una bianca dalle loro parti.

Oggi, mentre faccio colazione, una donna trova finalmente il coraggio di sedersi al mio tavolo.

“Cosa ci fa una signora come te, qui?”

Mi chiede in un inglese stentato.

“Perché qui nessuno mi chiede come ci si sente a vedere il proprio marito  fare il compagno premuroso della moglie del suo migliore amico.”

La donna sorride.

“Passerà, tornano tutti prima o poi.”

Io vorrei condividere la sua certezza, non posso perché conosco esattamente che tipo sia Jennifer Jenkins: una finta timida che conquista tutti con i suoi occhio da cerbiatto di merda e poi li mette ai suoi ordini come tanti burattini.

L’ho vista fare per anni questo gioco con Tom, lui l’ama veramente, lei invece vive tranquilla nel suo amore cercando di sedurre sempre qualcuno, certa che mai lui la scoprirà e lascerà.

Ho il sospetto che con Mark abbia fatto un passo falso, quando e se tornerà da Tom non so se lo troverà disposto al perdono. Tende a essere uno zerbino, ma quando è troppo è troppo ed è un tipo che sa essere vendicativo.

Fossi in Jen non dormirei sonni tranquilli, ma se fossi stata quella vacca non mi sarei presa il migliore amico di mio marito, solo per un capriccio.
Mark, da buon romantico, crede che sia amore da parte di lei, invece è solo un piccolo capriccio che si è presa e uno sgambetto che ha voluto fare a me visto che non mi sopporta.

Io ai suoi occhioni non ho mai creduto, forse è per questo che non andiamo d’accordo.

Non ho mai sopportato le persone false e maledicendola esco dal bar salutando il proprietario del bar e la donna che mi ha parlato.

Entro in macchina e mi immetto nel traffico massiccio verso la city sentendo un cd misto che ho fatto un po’ di tempo fa e quando arriva “Happy holiday you bastard” canto con un particolare energia – al limite della crisi di nervi – il ritornello.

“And I hate, hate, hate your guts,
I hate, hate, hate your guts,
And I'll never talk to you again,
unless your dad will suck me off
I'll never talk to you again
unless your mom will touch my cock
I'll never talk to you again”

Sì, odio da morire la faccia tosta di quella stronza e anche se riavrò Mark mi ingegnerò a renderle la vita un inferno e sicuramente non le parlerò mai più.

“Muori, puttana!”

Urlo a un semaforo poco lontano da casa mia, abbassando il finestrino.

Arrivata sotto il mio appartamento parcheggio e dopo aver tirato fuori la borsa e il pane apro il portone e salgo a piedi le scale.

Ho una vaga sensazione di catastrofe imminente, come se qualcosa di strano o spiacevole dovesse succedere di lì a poco, ma non gli do troppo peso. Ultimamente ho quasi sempre questa sensazione.

Tiro fuori le chiavi per aprire la porta e la trovo già aperta.

Il mio cuore salta un battito, e se…?

Mi lancio dentro il mio appartamento aspettandomi di trovare un Mark contrito, che si scusa e mi giura amore eterno, Lo lascerei sulla corda per un po’ e lo perdonerei, eccome se lo perdonerei!

La figura che siede sul mio divano però non è Mark, è almeno dieci centimetri più alta di lui e imprigionata in jeans scuri e stretti e in un giubbotto di pelle: Tom DeLonge.

Il sacchetto del pane mi cade di mano insieme alle chiave, che producono un rumore metallico alla caduta che suona come lo scoppio di una granata dentro la mia testa.

Cosa ci fa qui?

È l’ultima persona che mi aspettavo di vedere, non mi sarei sorpresa così tanto se avessi trovato Gandalf nel mio salotto a chiedermi se volevo diventare parte della compagnia dell’anello.

“T-Tom?”

“MI chiamo così, ciao Skye.”

“Cosa ci fai qui?”

Ansimo io, sconvolta, andandomi a sedere su una poltrona del salotto.

Inizio a odiare questo salotto con i divani bianchi, il pavimento bianco e tutto questo metallo, la luce fredda della mattinata londinese lo fa sembrare più parte di un ospedale che di una casa.

“Credo che io e te abbiamo un problema in comune che vada risolto, non credi?”

“Tom, per carità di Dio, vammi a prendere un whisky!”

Lui si alza dal divano, apre qualche anta a caso finche non vede il mobile bar con i liquori e mi porta del whisky e un bicchiere.

Io tracanno una lunga sorsata direttamente dalla bottiglia, come le alcolizzate.

“Ok, ora puoi parlare!”

“Dio mio, Skye! Una sorsata del genere a nemmeno metà mattina, devi essere messa male!”

“Parla quello con gli occhi rossi come ai vecchi tempi, quante canne ti sei fatto Tom prima di partire per Londra?”

Lui abbassa gli occhi.

“Le cose vanno di merda a tutti, vedo, ma ho una soluzione.”

Io alzo un sopracciglio e bevo un bicchierino di whisky.

“Prego?”

“Una soluzione. Non fare la stronza gelida che con me non attacca!

Ho intenzione di restituire loro pan per focaccia per ricondurli alla ragione o meglio ricondurre Mark alla ragione, questa volta io da Jen ci divorzio venisse pure Cristo a dirmi di non farlo.”

“Qual è, Tom?”

“Io e te fingeremo di stare insieme, ci faremo paparazzare da qualche fotografo e porteremo avanti questa commedia fino a che qualcuno dei due si farà vivo.”

Io lo guardo sconvolta.

“Tom ti ricordo che tu hai due figli e io uno. Come gliela spieghiamo questa trovata da liceali?”

“Dicendo loro la verità.”

“Sei matto, DeLonge. Troppi alieni o troppe canne ti hanno bruciato il cervello!”

Lui ride e comincia a passeggiare nervoso nel mio salotto.

“Hai un’idea migliore, Skye?

Sei riuscita almeno a parlare a Mark da quando lui è a San Diego?”

“No, Jen non gli passa le telefonate o le interrompe quando becco lui.”

“Ecco, non riuscirai mai a parlare a tuo marito e a farlo ragionare, serve una terapia d’urto.

Jen è orgogliosa, serve qualcosa che la colpisca nell’orgoglio, la faccia agire e allentare la presa su Mark.”

“Parli come un fine stratega, Tom. Una volta eri la testa calda del gruppo.”

“Qualche anno di matrimonio con Jen mi ha cambiato, conosco quella donna e so batterla, questa volta ho intenzione di ripagarle con gli interessi tutte le corna che mi ha messo e di cui crede che io non sappia nulla.

Io so, Skye e lei non sai che so.

Ora mi diverto io.

Ci stai?”

Io mi rigirò il bicchiere tra le mani e osservo il movimento del liquido ambrato e soppeso i pro i contro di questa idea folle. Jack non la prenderà bene – garantito al limone – odia essere al centro dell’attenzione dei suoi compagni ed essere oggetto di chiacchiere.

Protesterà di sicuro, però se davvero Jen allentasse la presa su Mark io potrei parlarci e ricondurlo alla ragione o sedurlo se mi concederà un appuntamento.

Diamine, le prime volte che ci vedevamo mi trattava come una dea, era totalmente incredulo per il fatto che una ragazza bella e spiritosa si interessasse a un buffone come lui.

Dove è finito quel ragazzo?

Quello che mi copriva di attenzioni, come un gentiluomo di altri tempi, e mi trattava davvero da principessa?

Deve esserci ancora da qualche parte e io devo entrare in contatto con lui. Urgentemente.

Che altro posso fare per togliere di mezzo Jen, considerato che omicidio e rapimento sono illegali?

L’idea di Tom – per quanto stupida e infantile mi sembri – è l’unica che mi rimane.

“Ok, Tom.

Dove sono i tuoi figli?”

“Dormono nella camera degli ospiti, erano abbastanza stanchi.”

“Sanno qualcosa del tuo piano?”

“Ava, è troppo intelligente quella ragazza. Ha detto che è un buon piano, ma che rischia di ritorcersi contro di me.”

“Sono incredula, Tom! Hai cresciuto una piccola Machiavelli.”

Lui ride.

“Sono un buon padre. Posso essere un pessimo compagno di band, pessimo marito, pessimo amico, ma ci tengo a essere un buon padre.”

Io sorrido.

“Sei un bravo ragazzo. Tu dove dormirai?”

Lui mi guarda con il suo famoso ghigno.

“In camera tua, nel tuo letto, honey!”

“Sta bene, ma se allunghi le zampine te le cionco, DeLonge, anche se è con quelle che lavori.”

Lui ride e si stende sul divano, ha un’aria stanca.

“Hey, è vero che hai distrutto i bassi di Mark? Anche il mitico basso rosa?”

Io annuisco.

“Verissimo, li ho lanciati dalla finestra fino a che il ghisa di quartiere mi ha detto di smetterla se non volevo essere arrestata per disturbo alla quiete pubblica e probabile omicidio preterintenzionale.”

“Hai un’anima punk, ragazza.

Io ho dato fuoco al mio letto e alle cose della troia.”

“Hai fatto bene, avresti potuto prenderti l’aids toccandoli.”

Lui annuisce e si tira a sedere. Io lo guardo curiosa, da una tasca del giubbotto tira fuori un pacchetto di Marlboro e un pezzo di fumo. Apre meticolosamente la sigaretta, fa scaldare un po’ il fumo e poi mischia erba e tabacco in una cartina.

Chiude tutto mettendoci il filtro: la sua canna è pronta.

La accende e fa un lungo tiro, è completamente rilassato. Un uomo di trentasei seduto a gambe larghe e con la testa appoggiata al divano fa molto di adolescenza ritardata.

“Vuoi un tiro?

A me fa dormire e tu hai due occhiate che arrivano fino a terra.”

Io la accetto e aspiro: il sapore è gradevole, ma leggermente acre, quasi migliore delle sigarette che ogni tanto rubo a Mark.

“Uhmm.”

“Buona, eh? Mi sembra di tornare a quando i blink erano l’unica cos che contasse nella mia vita.”

“A me sembra di tornare al college, avevo una compagna di stanza vegetariana e con i dread, la tipica alternativa si stocazzo e ce ne fumavamo un po’ allora.”

Gli ripasso la canna.

Tiro dopo tiro la canna finisce, Tom butta via i resti mentre le mie palpebre si fanno pesanti e gli occhi si chiudono da soli.

Dopo giorni di insonnia finalmente dormo.

 

Vengo svegliata dal rumore di urla acute e prolungate.

Chi diavolo stanno uccidendo?

Mi alzo molto rintronata e mi accorgo che è Jack a urlare e sta insultando Tom in ogni possibile modo.

“Ehi ehi, che succede?”

“Che succede lo chiedo io a te!”

Mi fa con una cattiveria insolita per il bambino calmo ed educato che è.

Questo agisce come una frustata e mi sveglia del tutto.

“Jack, mi spieghi cosa c’è?”

“No, tu mi devi spiegare cosa c’è.

Cosa ci fa lui qui? E cosa significa il fatto che vuole fingere di stare con te?

Io non ho bisogno di un nuovo papà, mi basta il mio e poi io devo sposare Ava e se lui diventa il mio papà non posso sposarla.

Non lo voglio!”

Detto questo si rifugia in camera sbattendo la porta.

“Che significa che deve sposare mia figlia?”

Mi chiede interdetto Tom.

“Non ne ho idea, adesso  vado a parlargli.”

Lascio Tom in salotto a chiedersi per quale oscuro motivo il mio unico figlio voglia diventare suo genero per vedermela con Jack.

Lui sta piangendo sul letto abbracciato al cuscino, una scena che mi stringe il cuore.

Mi siedo accanto a lui che si allontana, come se non gradisse il contatto con me.

“Jack…”

“Non lo voglio un nuovo papà.”

“Tom non lo sarà, farà solo finta, così il tuo papà torna da noi.

Non rivuoi il papà?”

Lui si asciuga le lacrime con una manica.

“Certo che lo rivoglio!

Ma se lui non torna? E se tu ti innamori di quello?”

IO gli scompiglio la zazzera, pensando che i bambini hanno tanta fantasia.

“Non succederà.

Cosa significa che vuoi sposare Ava?”

Mi guarda come se fossi diventata scema all’improvviso e lui non se l’aspettasse.

“Ma l’hai vista???”

Ho perfettamente presente l’immagine di una bambina dai lunghi capelli castani che somiglia in modo incredibile a Tom, occhioni nocciola compresi.

“Sì.”

“Non vedi quanto è bella e forte?

Fa skate, suona la chitarra come me e non è piagnona come tutte le femmine, le  piace anche il punk.

IO me la sposo e non sarà certo Tom ad impedirmelo! Quando sarò grande la porterò in quella chiesa gigantesca che c’è a Parigi, quella con i vetri colorati e me la sposo!”

La faccia di Jack è uguale a quella di Mark quando si mette in testa qualcosa, non avrà pace fino a che non avrà attuato il suo piano o la cosa avrà perso importanza per lui, meglio non contraddirlo.

“Certo che la sposerai, se lei vuole e Tom non te lo impedirà.

Ce la fai a reggere per un po’ questa sceneggiata per riavere papà?

Anche Ava è qui.”

Al suo nome si illumina, poi la sua faccina si fa pensosa e mi guarda serio.

“Va bene, ma non voglio vedervi baciare in casa.”

“Amore, è solo una finta. Se Tom provasse a baciarmi gli darei un manrovescio di quelli che sai.”

Lui si porta una mano alla guancia con una smorfia sofferente stampata in faccia.

“Ahia.”

“Adesso ti va di venire di là a mangiare?”

Lui si alza poco convinto.

“Sì, ho una fame bestiale.”

Pericolo rientrato, per ora.

Jack mangia tranquillo insieme ad Ava e a Jonas, limitandosi a lanciare solo qualche occhiata scettica a Tom.

Finito il pranzo va a giocare con gli altri e io Tom rimaniamo da soli.

“Beh? Cosa è preso a tuo figlio?”

“Una cotta per Ava.”

“Ava non si deve interessare ai ragazzi ancora per tanto tempo!”

Ringhia lui, stringendo le mani a pugno.

“Sembri un padrino siciliano, Tom!”

“Tuo figlio le deve stare alla larga, hai capito?”

Io mi porto a pochi centimetri da lui e gli punto minacciosamente un indice all’altezza del naso.

“Non ti azzardare a dire qualcosa contro mio figlio, Thomas Matthew DeLonge  Junior o te ne torni a San Diego a calci e fanculo l’accordo!”

Lui mi guarda incredulo per qualche secondo, poi capisce che faccio sul serio e deglutisce: non si aspettava una persona in grado di tenergli testa, probabilmente.

“E tu sembri una madre italiana!”

“Tu non devo toccare mio figlio, hai capito?”

Replico ignorando le sue parole, forse entrambi abbiamo dei discendenti italiani che ignoriamo.

“Ok, Skye, scusa. Ho esagerato.”

“Scuse accettate, ma ricordati quello che ti ho detto.”

“Va bene.”

Il resto del pomeriggio trascorre tranquillamente, Tom suona per un po’, io sbrigo del lavoro al computer e alle tre urlo a Jack di fare i compiti.

Lui si presenta con i quaderni, i libri e l’astuccio e comincia a lavorare in silenzio, non prima di aver scrutato Tom che smette di suonare e si sdraia sul divano.

Il picchiettare delle mie dita sui tasti per scrivere risuona come una scarica di mitra continua nel silenzio pesante della stanza.

A un certo punto Jack  scaraventa via un quaderno nervosamente e poi si alza per raccoglierlo di nuovo, lo sistema alla bell’e meglio e torna a sedersi.

“Che succede?”

Gli chiedo preoccupata.

Lui scuote la testa imbronciato.

“Problemi con matematica.”

Io taccio, con la matematica sono sempre stata una schiappa, era Mark – fitta al cuore – a dargli una mano, ma ora lui non c’è.

Lui è a rotolare nel letto di Jen, dimentico che ha a casa una moglie e un figlio che ha bisogno di lui per giocare e per risolvere i problemi di matematica.

Con la voce più calma che riesco a trovare gli propongo di chiedere aiuto a Tom, lui mi guarda freddo – tale e quale a suo padre quando è arrabbiato – e scuote la testa.

Si rimette a fare i compiti e non cede nemmeno quando è ora di cena. Provo a chiamarlo, ma lui dice che non ha fame e che prima deve finire quei dannati compiti di matematica.

Alle dieci vado in camera sua a vedere come sta e lo trovo addormentato alla scrivania, i compiti non ancora finiti. Sorrido, è testardo come suo padre, e  con delicatezza lo spoglio, gli metto il suo pigiamino blu e lo metto a letto, poi prendo in mano il quaderno e torno in salotto.

Tom sta guardando la tv con i piedi appoggiati sul tavolo.

“La tv inglese fa schifo.”

“Sì, hai ragione. Tom, posso chiederti un favore?

Potresti dare un’occhiata ai compiti di matematica di Jack?

Nonostante la sua testardaggine non li ha finiti.”

Lui mi riserva il suo sorriso storto, ma non prende in mano il quaderno.

“Mi pare che lui non voglia il mio aiuto.”

Io lo fulmino.

“Tom, la testardaggine di un bambino che si ritrova a casa uno sconosciuto e non vuole che sostituisca il padre è comprensibile, la testardaggine di un adulto che fa l’offeso con un decenne per niente.”

Lui sbuffa e prende il mano il quaderno, dopo un’ora di riflessioni li ha finiti.

“Non sono sicuro che siano giusti, ma almeno sono fatti.

Ora so perché il matrimonio tra te e Mark è così ben riuscito.”

Faccio una strana smorfia.

“Era così ben riuscito, mi dimentico sempre di lei. Tu hai un pugno di velluto ed è perfetto per un eterno bambino come Mark.”

“Già.”

Rimaniamo un attimo in silenzio.

“E così chiedi davvero il divorzio da Jen.”

“sì.”

“Non l’avrei mai detto.”

Lui sbuffa.

“Non doveva toccare il mio migliore amico, mio fratello. D’accordo abbiamo litigato, ma lui rimarrà sempre questo per me e lei non doveva intromettersi, ho persino smesso di parlare con Anne per lei, questo è troppo.

Adesso le restituisco tutto con gli interessi, per prima cosa si scorda i bambini, seconda cosa i soldi.”

“Fai bene, quella non merita pietà.”

Mi alzo dal divano.

“Dove vai?”

“A letto.”

“Vengo anche io.”

Lo squadro con un’occhiataccia.

“Tieni a posto le mani o te le taglio, DeLonge, anche se con quelle ci vivi.”

Lui alza le mani in segno di resa e mi segue nella mia camera da letto come un’ombra e a me fa strano che l’uomo dietro di me non sia Mark.

Ormai però ho accettato e devo portare le cose fino in fondo.

Che il piano abbia inizio!

 

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Capitolo 2
*** 2) Chaos in system. ***


2

 

La mattina dopo mi sveglio con una sensazione di calore alle spalle e per un attimo il mio cervello si illude che sia quello di Mark.

Mi basta abbassare un attimo gli occhi sul braccio che mi tiene abbracciata e che giace sulla mia pancia per capire che non è così. È un braccio completamente tatuato ed è quello di Tom, nel sonno si deve essere avvicinato a me fino ad abbracciarmi.

Poco dopo lo sento fare i movimenti lenti e quasi impercettibili di chi si sveglia, c’è un attimo di incertezza e poi lo sento staccarsi da me come se gli avessi dato la scossa.

Lui si volta verso di me e alza le mani.

“Io…. Scusa non so come sia potuto succedere!”

“Non preoccuparti, devi esserti avvicinato nel sonno, piuttosto fa qualcosa per quello…”

Gli indico una potente erezione che si intravvede dai boxer e  che lui osserva costernato.

“è da anni che non avevo un alzabandiera mattutino, cazzo!”

Scende dal mio letto di corsa imprecando e lo sento andare in bagno, io scoppio a ridere di gusto e mi sento di buon umore: sono ancora abbastanza sexy da dare erezioni mattutine non volute!

Lui ritorna in camera, ancora borbottando.

“Dai,non è successo nulla. Adesso mi alzo per preparare la colazione a Jack e portarlo a scuola, vuoi qualcosa?”

Lui scuote la testa.

“Posso venire anche io.”

“No, troppo presto o altrimenti rischiamo una rivolta da parte di Jack, però se vuoi puoi venire con me a fare colazione dopo che l’ho portato a scuola.”

“E sia, dove?”

“Mistero!”

Con calma esco dal letto e vado a svegliare mio figlio, il quale – come al solito – si attacca al materasso pur di non alzarsi.

“Eddai, Jack! Lo sai che devi andare a scuola!”

“Nooooo! Ti prego! Per oggi fammi rimanere a giocare con Ava.”

“Ma dorme ancora! Dai, pigrone, esci!”

“NOOOOO”

Io non so più che santo chiamare quando sento una presenza appoggiata allo stipite della porta: Tom.

“Lascialo stare a casa per un giorno, non essere così inflessibile! Sta passando un brutto periodo e tu scommetto che non gli hai fatto perdere nemmeno un giorno di scuola!”

Io lo guardo irritata, Jack con uno sguardo di pura gratitudine.

Mi sento accerchiata su due fronti – in una perfetta morsa a tenaglia – e quindi cedo: stacco le mani dalle sue spalle e gli concedo ancora qualche ora di sonno.

“Tom, accidenti!”

“No, accidenti a te Skye! Mostra un po’ di comprensione e di uguaglianza, ti sei concessa di fuggire dal lavoro per un mese e non concedi nemmeno un giorno di ferie a tuo figlio?”

Lui se ne va in salotto, grattandosi il sedere e lasciandomi in piedi accanto alla stanza di Jack come una fessa. È questo che mi sento in questo momento: una fessa mista a tiranna.

Lo raggiungo in salotto.

“Hai ragione, Tom.

Dai, prepariamoci che ti porto in un posto.”

Lui annuisce e dopo un quarto d’ora usciamo di casa, io sono martellata dalle domande di Tom, ma possibile che non sia capace di stare zitto un attimo?

“Tom, se non stai zitta ti gambizzo! Com’è vero che mi chiamo Skye Everly!”

Lui tace.

“Come fai con Mark?”

“Lui non è pressante come te! Sa quando è arrivato il momento di tacere se non vuole rischiare una rappresaglia.”

“Io sono Tom.”

La sua frase risuona come una fucilata nel mio cervello; è lui ad avermi gambizzato, non il contrario.

Il mio volto si fa scuro ed entriamo in macchina senza profferire parola, Tom ha un’espressione vagamente dispiaciuta in volto, forse si è reso conto di aver detto qualcosa che non doveva dire.

Metto in moto con stizza e partiamo a razzo, tanto che lui si aggrappa alla maniglia che c’è sopra il finestrino.

“Skye?”

“Che vuoi?”

“Scusarmi, forse ho detto qualcosa che non dovevo dire.”

“Hai solo detto la verità e la verità fa male.”

Lui non mi risponde e guarda fuori dal finestrino: stiamo uscendo dalla city per inoltrarci nella grande Londra.

“Dove cazzo stiamo andando?”

Mi chiede nervoso, quando nota che andiamo verso la periferia e per di più in una zona piena di musulmani.

“Skye!”

“E stai zitto! Non ti porto tra i terroristi!”

Alla fine parcheggio davanti al solito ed entro con un guardingo Tom alle spalle, mi siedo al solito tavolo e ordino il solito caffè e un dolce indiano.

Le brioches sono finite, mi dice un costernato cameriere che avrà sì e no quindici anni.

“Ah, e così è questa la tua tana.”

“Esattamente. Come vedi tutti si fanno i fatti loro e non mi chiedono nulla della mia vita.”

“ è un’ottima cosa”

Dice bevendo un sorso di cappuccino.

“E anche il cibo è buono, questo cappuccino ha qualcosa di diverso rispetto agli altri.”

“La cannella.”

Sentenzio io.

Poco dopo la stessa donna di ieri si avvicina al mio tavolo e guarda Tom.

“è lui quello che doveva tornare?”

Io scuoto la testa.

“Lui è il miglior amico di mio marito e il marito della donna con cui sono stata tradita.”

La donna – sui sessant’anni, con una pelle scura e dura come il cuoio e un piercing al naso – mi osserva. Con quella faccia e quella treccia di capelli neri e grigi che esce a tratti dal velo sembra il ritratto della vita vissuta fino in fondo: grandi gioie e dolori terribili.

“A volte due cuori spezzati possono creare un cuore nuovo che funzioni.”

Detto questo se ne va e io mi chiedo se dietro a queste parole oscure non si celi una profezia da cui Jack e Ava ci hanno in guardia: che tutto  ci si possa rivoltare contro e che finiremo per innamorarci sul serio.

Scaccio questi pensieri come mosche, ma ormai una goccia del veleno che hanno disseminato in me è entrato in circolo e sento salire in me una leggera angoscia.

 

Arriviamo a casa e troviamo i nostri pargoli vivi e attivi.

“Avete già fatto colazione?”

Chiedo io appendendo il cappotto sul gancio che c’è dietro alla porta.

“Sì, Jack mi ha fatto la colazione!”

Sorride Ava prima di riprendere a strimpellare su un basso acustico seguita a ruota da Jack che muove piano le dita sulla sua chitarra.

“Metti insieme un Hoppus e un DeLonge e li vedrai suonare immediatamente.”

Lui ride.

“Bravino, Jack. Non è da tanto che suona, vero?”

“No, solo qualche mese.”

“Anche Ava suona il basso solo da qualche mese. Credi che tuo figlio accetterebbe lezioni di chitarra da me?”

“Non hai che da chiederglielo. Mi spiace per Ava che rimarrà indietro.”

Lui mi guarda ghignando.

“Ma qui c’è una bassista!”

“Cosa? No, i bassi di Mark li ho distrutti tutti!”

“Ho detto che c’è una bassista e sei tu e so che il tuo basso è nascosto da qualche parte!”

Io arrossisco fino alla radice dei capelli.

È vero, io suonavo il basso all’università e tante volte durante i nostri primi appuntamenti io e Mark suonavamo insieme, ma non sapevo che Tom lo sapesse.

Quel basso è finito chissà dove e non so se ho voglia di tirarlo fuori di nuovo e ricordare tutte quelle volte Mark mi correggeva qualcosa e i brividi che provavo allora.

“Sì, lo è. Non so dove.”

Lui mi tende una mano.

“Vieni , ti aiuti a cercarlo.”

Io lo guardo un po’ esitante, ma alla fine accetto. È inutile scappare dai fantasmi del passato, per quanto lontano tu andrai loro ti seguiranno sempre perché sono creati e vivono nella tua testa.

Ci avventuriamo nel mio sgabuzzino: una stanzetta ingombra di cose e pericolosa.

Basta toccare uno scatolone per venire travolti da altra roba e finire sepolti – letteralmente – sotto i ricordi.

Muovendoci con calma, come degli sminatori, troviamo una scatolone lungo che può contenere dei bassi. Lo portiamo fuori dalla stanzetta e in effetti contiene proprio due bassi: un basso acustico con il segno della pace disegnato sopra e un basso elettrico rosso con gli adesivi dei blink e dei pistols.

“Pacifista?”

“No, me l’ha disegnato la mia compagna di stanza al college senza il mio permesso.”

Imbraccio lo strumento e lo accordo, al primo segno di una melodia bassa e triste vengo assalita da migliaia di ricordi e mi sembra quasi di sentire le mani si Mark sulle mie.

Tom intanto è andato in salotto, io lo guardo sedersi vicino a Jack che smette immediatamente di suonare.

“Ehi, ti va se ti do lezioni di chitarra?”

Il clima nella stanza si fa pensante, da una parte mio figlio vorrebbe rifiutare sdegnato, dall’altra sente la pressione di Ava che vuole che accetti.

Devo fare qualcosa.

“Che ne dite se andiamo al parco?”

Mio figlio mi guarda grato.

“Sì!! È una bella idea, ci sono le altalene, gli scivoli e si può dare skate!”

Ava annuisce, la proposta è accettata e il clima si scioglie. I due mettono a posto i loro strumenti e si preparano per uscire.

Venti minuti dopo siamo stretti nella mia utilitaria e diretti verso uno dei tanti parchi di Londra, nei sedili posteriori Ava, Jonas e Jack chiacchierano allegramente, io e Tom rimaniamo in silenzio.

“Non mi sembri felice di aver trovato il tuo basso.”

“Ci sono troppi ricordi che sono legati a quello strumento.”

Taglio corto io.

Arriviamo al parco e i due maschietti corrono verso le altalene, Ava invece si ferma un attimo da me.

“Ho sentito un basso prima, era il tuo?”

“Sì, suonavo il basso al liceo e al college.”

“Mi insegni?”

Io sorrido.

“Va bene.”

Lei rimane un attimo in silenzio.

“Tu pensi che mio papà sia un bell’uomo?”

Io arrossisco, che Tom sia un bell’uomo è assodato ed è anche sexy, ma come faccio a dirlo a una ragazzina?

“Beh, sì. Non lo trovi bello anche tu?”

“Sì, anche io.”

Butta lo skate per terra  e raggiunge Jack sulle altalene, gli dice qualcosa e lui scende dall’altalena, recupera il suo skate e si mette a fare acrobazie con Ava sotto lo sguardo vigile mio e di Tom.

“Sai cosa mi ha chiesto tua figlia?”

“Cosa?”

“Se ti trovavo bello.”

Lui gonfia il petto.

“Immagino le avrai detto di sì.”

Io scoppio a ridere.

“Non cambierai mai, eh?

Sì, le ho detto che sei bello. Jen è stata una fessa a lasciarti andare.”

“Jen voleva troppo.”

Lui stringe i pugni e guarda lontano con aria scura.

“Scusa, forse non dovevo nominarla.”

“No, è ok. Prima o poi dovrò parlare di lei ed è meglio che inizi ad allenarmi con te.”

Ci sediamo su una panchina, non ho mai visto jack così felice da quando abbiamo lasciato san Diego, la sua cotta per Ava deve essere davvero forte.

Trascorriamo una mattinata piacevole al parco, persino il sole decide di fare capolino tra le grigie nubi londinesi e questo mi mette di buon umore.

Mi manca la California, era Mark quello che voleva venire qui, io ho sempre amato il sole, il mare e le città di mare.

A mezzogiorno i pargoli tornano da noi vecchi e chiedono a gran voce cibo, Tom mi guarda e sogghigna.

“Mac Donald?”

“Sììì!”

“è cibo spazzatura!”

Lui scuote la testa.

“Skye, non la pensavi così quando eri in California.”

Io sospiro.

“D’accordo, ma non abituatevi al Mac, troppi hamburger fanno male!”

Usciamo dal parco e ritorniamo di nuovo nella mia utilitaria, alla ricerca del fast food più vicino.

Lo troviamo e Ava, JoJo e mio figlio si precipitano dentro senza nemmeno aspettarci.

“Che energia!”

“Sono così belli!”

Io e Tom raccogliamo le loro ordinazioni e ci mettiamo in fila, quando arriva il nostro turno il ragazzo al bancone guarda Tom come se fosse una visione paradisiaca.

“Ma tu sei Tom DeLonge!”

“Sì, sono io!”

“Ti prego, potresti firmarmi un autografo, per favore?

Sono anni che seguo le tua band.”

Tom sorride timido, non gli piace molto il contatto con il pubblico a differenza di Mark.

“Certo. Mi dai un pezzo di carta su cui scrivere e una penna?”

Mi chiede, io frugo per un po’ nella borsa e poi gli porgo un foglietto staccato da un block notes e una penna.

“Come ti chiami?”

“Lewis!”

“Bene.”

Tom firma l’autografo e noi ci spostiamo nella zona dove ci consegneranno i piatti.

“Odio essere famoso certe volte.”

“Non essere così snob, ti ha solo chiesto l’autografo e poi è male che hai voluto tu. Sei tu che hai sempre spinto i blink verso mete più alte.”

“Già, la maggioranza delle cose che mi fanno male sono cose che ho voluto io.”

Ci sediamo al tavolo, io non ho capito cosa abbia voluti dire con l’ultima frase. Rimpiange di aver creato i blink o di averli abbandonati?

Mentre distribuisco i vassoi la mia mano viene casualmente a contatto con quella di Tom e un brivido passa tra di noi, l’ha sentito anche Tom perché allontana quasi subito la mano e mi guarda interrogativo.

Io gli faccio un leggerissimo cenno di diniego, quello che è appena successo non significa nulla, non deve significare nulla.

Io amo ancora Mark e Tom è solo un amico con un solo difetto: essere troppo sexy.

Nella mia condizione di donna abbandonata e in astinenza sono semplicemente troppo sensibile a certi impulsi.

È Mark che rivoglio.

Mark.

Chiarito questo ai miei bassi istinto mangio con troppa voracità il mio panino.

“Fortuna che era cibo spazzatura, eh Skye?”

Mi prende in giro Tom.

“Oh, ma sta zitto!”

Lui ride, la sua risata inizia a provocarmi effetti schizofrenici: da una parte la odio, da una parte inizia a piacermi.

Usciamo dal Mac Donald e torniamo a casa.

Alle due telefono alla madre di un compagno di Jack e mi faccio dare i compiti – il signorino non ne ha voglia – e poi lo metto sotto.

È stato assente un giorno, deve recuperare.

Tom invece decide di portare Ava e Jonas a fare un giro per Londra, io non ho nulla da obbiettare perché ho bisogno di stare da sola con mio figlio e di pensare.

Chissà se Mark vuole davvero tornare da me?

Chissà che forse non stia meglio con Jen?

Poi torno rapidamente in me, Jen è una mangia uomini, Mark un romantico incallito: insieme non possono funzionare.

Mark non è disposto a essere trattato da zerbino, ma alla pari: Mark deve tornare da me e Jen se ne deve andare a fanculo.

Voglio vederla mendicare da qualche parte a San Diego, pentita delle sue azioni e senza la possibilità di porvi rimedio.

Ecco quello che voglio: Mark e un po’ di sana vendetta.

“Mamma?”

Jack mi distoglie dai miei pensieri, mi guarda con la penna a mezz’aria.

“Sì, piccolo?”

“Ma papà torna, vero?”

“Certo che torna!”

“Non è che ti innamori di Tom?”

“Mannò, piccolo!”

“Io ho questa sensazione e non voglio un nuovo papà!”

Inizio a temere di avere un figlio veggente, i brividi di stamattina mi indicano che qualcosa non sarà così semplice, che i miei istinti si sono risvegliati.

-Oh, andiamo Skye! Hai solo voglia di una scopata! Non ami Tom, scommetto che se ci scopassi insieme urleresti il nome di Mark quando vieni.-

La mia coscienza forse ha ragione, ma non sono molto sicura sull’ultima parte.

Dannazione, alle pessime idee di Tom!

Alle sei i DeLonge ritornano dal loro giro, Tom sembra stanco, Ava di pessimo umore, Jonas dorme tra le braccia di Tom.

“Beh, che è successo?”

“Ci ha portato a vedere quadri in un museo e non al millenium eye!”

Strilla Ava arrabbiata.

“Li hai portati alla Tate? Al loro secondo giorno e senza preparazione?

Tom…”

“Scusate, se volevo un po’ acculturarvi!”

IO mi metto a ridere e vado a preparare la cena, Ava mi segue.

“Skye?”

“Sì?”

“Ci porti stasera al millenni eye?”

“Certo!”

Cucino una pasta all’italiana, lavo i piatti e poi ordino a tutti di prepararsi, facendo l’occhiolino ad Ava che lancia un urletto di gioia.

In un quarto d’ora sono tutti pronti e saliamo nella mia macchinetta diretti verso il Tamigi, Tom sembra imbronciato.

“Dai, Tom, qualche errore capita a tutti!”

Lui sospira.

Parcheggio e scendiamo tutti, io ho una mano di Jack tra le mie, Tom ha sia Ava che Jonas per mano.  I bambini urlano eccitati e chiedono zucchero filato.

Richiesta accordata.

Con lo zucchero filato saliamo su una cabina e ci godiamo il panorama di Londra, Ava lo guarda incantata e anche JoJo sembra felice.

Jack invece è felice perché è con Ava, gli basta questo: beata gioventù.

Durante il giro sento molto spesso lo sguardo di Tom su di me e brucia, sto diventando ipersensibile e non va bene.

Non va per niente bene.

Scesi dalla cabina torniamo a casa e i bambini vanno a letto subito, noi invece rimaniamo in piedi ancora un po’ a guardare la tv.

Non ci interessa minimamente cosa trasmettano c’è un clima misto di disagio e attrazione.

Merda.

All’improvviso Tom spegne la tv.

“Skye, credo sia meglio che io dorma qui stanotte.”

“Lo credo anche io.”

Mi alzo e mi chiudo in camera mia, tirando un sospiro di sollievo, qui mi sento protetta.

Mi stendo e per la prima volta il letto matrimoniale non mi sembra né troppo grande, né troppo vuoto.

Mi sembra perfetto: in attesa di qualcuno come lo sono io.

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Capitolo 3
*** 3) Why do I want him, now? ***


3) Why do I want  him, now?

 

La mattina dopo è una mattinata tranquilla.
Jack si alza senza problemi e non sembra affatto agitato alla prospettiva di andare a scuola, anzi è iperattivo come un cocainomane dopo una sniffata: è incredibile che effetto gli faccia Ava.
Lo accompagno a scuola e poi mi rifugio nel mio solito bar indiano, pensando alle sensazioni che Tom mi ha dato ieri sera.
Dobbiamo procedere con cautela con il suo piano o rischiamo davvero che ci si rivolti contro e non è il massimo: Jack potrebbe decidere di vivere con il padre invece che con me.
Arrivata a casa, i figli di Tom dormono ancora lui invece è attaccato al telefono e rimane attaccato al telefono per tutta la mattina.
Anche quando Ava e JoJo si svegliano non lo molla per un secondo, io preparo la colazione ai suoi figli e poi metto il più piccolo sul divano a guardare la tv – un programma per bambini – raccomandando a Tom con un linguaggio di segni di tenerlo d’occhio.
Io invece vado in camera mia con Ava e come promesso cerco di darle qualche lezione di basso, non combiniamo granché, ma almeno ci divertiamo.
A mezzogiorno vado a preparare il pranzo aiutata da lei: penso di fare una cotoletta all’italiana e delle patatine fritte.
Io preparo le cotolette, lei sbuccia le patate e poi insieme le immergiamo nell’olio bollente.
Quando Jack arriva a casa vedendo Ava e il suo piatto preferito sorride e si mette a saltellare dalla gioia coinvolgendo Jonas nella sua danza.
Tom finalmente si stacca dal telefono e si massaggia la tempia con le dita, sembra reduce da un incontro di box.
A tavola gli chiedo a chi abbia telefonato.
“Uhm, allora andiamo con ordine.
Alla Macbeth per alcune cose, all’avvocato per dirgli di preparare i documenti per il divorzio da Jen e poi ho parlato con la segreteria della scuola di Jack per vedere cosa fare per iscriverci anche Ava e a un asilo per lo stesso motivo.”
Alla parola “scuola” la forchetta cade di mano ad Ava.
“Mi iscrivi a una scuola??? Io pensavo che questa fosse una vacanza.”
“No, tesoro. Rimarremo a Londra per un po’ e tu non puoi perdere l’anno. Domani vado alla scuola quindi verrò anche io con te e Jack.”
Jack sbuffa, io impallidisco: chissà cosa penseranno le altri madri!
Tom ci guarda con uno sguardo divertito.
“Suvvia, non prendetela con così, non è morto nessuno.”
Io mi chiedo se quest’uomo di trentasei anni sappia cosa siano capaci di fare un gruppo di donne affamate di pettegolezzi, di questo passo il nostro piano di mostrarci insieme subirà una brusca accelerazione!
Lo osservo un po’ meglio e mi rendo conto che lo sa benissimo e che l’ha fatto apposta, devo chiedergli perché,  ma non posso farlo davanti ai bambini!
Finito il pranzo spedisco Jack a fare i compiti e Ava e Jonas a giocare nella loro camera.
“Si può sapere cosa ti prende?”
“Cosa mi prende in che senso?”
Mi chiede Thomas facendo scorrere annoiato i canali della tv inglese.
“Perché hai voluto accelerare il piano?”
Lui mi guarda.
“Credi che non mi sia accorto che inizi a provare attrazione per me?
Quando Mark ritornerà non ti perdonerai di avere scopato con me, quindi prima iniziamo e prima finiamo e tu tornerai a sfogare i tuoi bollenti spiriti con tuo marito non con me!”
Io arrossisco fino alla radice dei capelli.
“Sei uno stronzo!”
“Sì, può darsi che io lo sia, me lo dicono in tanti, ma questa volta sai che ho ragione.”
Io scoppio improvvisamente a piangere e lui mi guarda incredulo, visto che non smetto si alza e mi abbraccia.
“Che ti succede?”
“Mi manca da morire e mi sento in colpa per provare qualcosa verso di te.
Vorrei che tu fossi un semplice amico, ma è vero, sento una forte attrazione verso di te e so che mi mancherai quando Mark tornerà.
Ho paura che il mio matrimonio andrà in pezzi lo stesso, Tom e che questa volta sarò io la causa di tutto quanto!”
Lui mi stringe di più senza dire nulla.
“Allora ho ragione, è meglio se ci sbrighiamo per tutti.”
Già, ha ragione.
Per il resto la giornata trascorre tranquilla, porto Ava e Jack a fare skate al parco e cucino la cena.
Alla sera Ava e Jack si chiudono in camera di Jack a guardare un film alla tv, Tom li guarda un po’ male, ma non dice nulla.
Alle dieci spedisco tutti a letto e come la notte precedente io dormo nel mio letto e Tom sul divano.
Deve essere scomodo dormire lì per lui, perché la mattina dopo è tutto curvo e lamenta dolori in tutto il corpo.
“Porca merda, non ho più vent’anni!”
Lo sento mormorare in bagno, credendo che nessuno lo senta.
Anche questa mattina Jack non fa storie per andare a scuola, sono io quella che vorrebbe bigiare: mi immagino già l’attacco a cui verrò sottoposta dalle altre mamme.
Tom però ha ragione: la famiglia DeLonge non è qui in vacanza e Ava non deve perdere giorni di scuola, anche se lei lo vorrebbe tanto.
Quella bambina somiglia a Tom in una maniera impressionante, sia nel fisico che nel carattere.
In ogni caso è troppo tardi per tirarsi indietro; io, Tom e Jack ci rechiamo a scuola, Jack corre subito dai suoi amici e Tom dalla preside.
Merda, sono stata lasciata da sola in mezzo alle iene!
Le vedo avvicinarsi con aria curiosa e la febbre da gossip a tremila, me le vedo spettegolare su come la povera  Skye abbia già trovato un sostituto del marito, e che sostituto!
Deglutisco e mi appiccico sul volto il sorriso più cordiale che riesco a trovare.
“Ciao Skye!”
Ecco la prima iena.
“Ciao!”
“Chi è quell’uomo che è sceso con te?”
“Un amico che vuole iscrivere sua figlia alla stessa scuola di Jack.”
Dico cauta,  lei mi batte una mano sulla spalla maliziosa. Gliela taglierei quella mano, chi cazzo ti credi di essere per comportarti così?
“Ma dai, l’abbiamo riconosciuto tutte: è Tom DeLonge.”
“Sì, e allora?
Non posso essere amica di Tom?”
Lei mi guarda maliziosa.
“Solo amica?”
Il tono eccessivamente confidenziale di questa sconosciuta mi dà ai nervi e spero di non spaccare qualche testa mentre Tom è impegnato nel colloquio con la preside.
Vedo già i titoli sui giornali: “Skye Hoppus ammazza un gruppo di donne in preda a un raptus di follia dopo il recente tradimento di suo marito.”
Calma Skye!
Per mezz’ora – mezz’ora! – continuano a farmi domande su Tom e a cercare di farmi ammettere che è il mio amante.
Quando finalmente lui esce da scuola, io le abbandono con sollievo e trascino Tom in macchina.
“Muoviti prima che le iene arrivino!”
Parto sgommando e rischiando di stampare la testa di Tom sul parabrezza della mia utilitaria.
“Di’ un po’, volevi uccidermi?”
“No, solo salvarci da quelle arpie!”
“E adesso dove andiamo?”
“Al solito posto!”
Rispondo stizzita.
“Dio solo sa quanto avrei bisogno di farmi una canna!”
“Ci sono i bambini a casa.”
“Lo so, dobbiamo trovare un altro posto!”
Lui ride e questa volta non protesta quando lo porto al mio solito bar gestito da indiani, anzi si gusta la colazione.
“Cosa ti ha detto la direttrice?”
“Che Ava potrà iniziare a frequentare dalla settimana prossima.”
“Perfetto, adesso Jack non avrà più problemi, vorrà sempre andare a scuola.”
Tom se la ride.
“Diventeremo cognati.”
“Così pare!”
Finita la colazione, camminiamo a piedi per il quartiere e individuiamo un parco: ci sono parecchi ragazzi in età scolare che cazzeggiano.
Io mi avvicino a uno di loro.
“Scusate, passa spesso la polizia di qui?”
“No, bianca. Perché?”
“Perché voleva sapere se c’era il tempo di farsi una canna senza finire in centrale.”
Risponde Tom al mio posto, il ragazzino sorride.
“Ok, basta che offri un tiro.”
Tom annuisce.
“Certo, amico. Bisogna essere generosi.”
Lui ci porta in una zona appartata del parco, caccia una coppietta riservando particolare energia alla ragazza e poi ci fa segno di sederci.
Tom inizia a preparare il tutto, mentre il ragazzo continua a borbottare.
“Cosa succede?” chiedo gentile.
“Quella era mia sorella! Se i miei genitori sapessero che frequenta un bianco la ammazzerebbero, è già stata promessa a un cugino di un cugino che viene dall’India per sposarla.”
“Penso che i tuoi genitori dovranno rassegnarsi al bianco.”
Lui sbuffa e mugugna qualcosa che somiglia a un: “ Lo so, lo so, ma che rottura di palle!”
La canna è pronta e l’argomento viene accantonato, parliamo d’altro finché non è finita.
Quando è finita Tom butta via i resti e mi aiuta ad alzarmi perché barcollo leggermente.
“Guido io.”
“Va bene!”
Torniamo alla macchina e seguendo le mie indicazioni a casa, non appena entro nel mio appartamento saluto i figli di Tom e mi butto a letto.
Ho bisogno di riposare.

 

Mi sveglio all’arrivo di Jack che urla un: “Buongiorno!” a tutto volume.
Merda, devo preparare il pranzo!
Con fatica mi alzo ed esco dalla camera, miracolosamente il tavolo è già apparecchiato e c’è una teglia di lasagne in mezzo.
“Hai cucinato tu?”
Sussurro a Tom.
“No, ho ordinato una teglia di lasagne a una gastronomia qui vicino, tu sembravi in coma.”
“Ho bisogno di riposare.”
Mi siedo a mangiare, Jack racconta ad Ava la sua giornata e lei gli racconta sua chiamandolo perdente per essere andato a scuola, mentre lei si è goduta una mattinata di videogiochi.
“Le cose stanno per cambiare, tesoro.”
L’espressione di Ava passa dalla felicità al puro terrore.
“Tra una settimana  andrai alla scuola di Jack.”
Lei sbuffa e riprende a mangiare svogliata, sul volto di mio figlio invece si fa largo un sorrisone luminosissimo. Sembra gli abbiano detto che Natale sarà domani e Babbo Natale gli porterà una marea di cose.
Dopo pranzo spedisco Jack a fare i compiti, io, Ava e Jonas invece ci vediamo un film, Tom esce senza dire a nessuno dove vada.
Finito il film Ava, Jack e Jonas mi chiedono di accompagnarli al parco. I due più grandi fanno skate, Jonas li guarda invidioso dalla sua altalena.
“Voglio uno skate anche io, ma papà dice che devo aspettare almeno altri due anni per averne uno.
Uffa!”
Io sorrido, anche Jonas somiglia un po’ a Tom in fondo.
Arriviamo a casa e troviamo Tom seduto al tavolo con delle carte: i documenti del divorzio suppongo.
“Ehi Tom.”
“Ehi Skye.”
“Senti, stasera dormo io sul divano, ok?”
Lui mi guarda stralunato.
“Ma è scomodo! Senza offesa, eh!”
Io sorrido.
“è per questo che ti cedo il letto per stasera.”
Lui si gratta il mento.
 “Potrei dormire nella camera dei bambini.”
“Io ho un letto in più, Ava potrebbe dormire da me, tu nel letto di mamma e mamma nel letto di Ava!”
Tom lo fulmina con un’occhiataccia, nonostante la gomitata che gli rifilo.
“Tu non dormirai con mia figlia, ragazzino!”
“Io non voglio farle del male!”
“Lo so io cosa vuoi farle!”
Tuona Tom, in perfetto stile da padrino siciliano.
“Cosa voglio farle?”
Tom apre la bocca un paio di volte senza dire nulla, poi diventa rosso come un peperone e non è più in grado di spiccicare una parola.
“Forza, Tom! Spiega a Jack cosa potrebbe fare ad Ava!”
Butto lì io ironica, poi guardo mio figlio.
“Con te dormirà Jonas, Tom in camera mia e io nella stanza di Ava.”
Jack sbuffa e se ne va in camera sua borbottando su quanto sia strano e rompicoglioni Tom, chissà dove l’avrà imparata quella parola!
Non lo riprendo solo perché al momento è quella più adatta a descrivere Tom.
“Di’ un po’! Cosa volevi fare prima, eh?
Spiegargli come nascono i bambini già che c’eri?”
“Per carità di Dio, voi donne esistete apposta per quello!”
Borbotta lui, uscendo in terrazza con una sigaretta dietro all’orecchio borbottando che questa è una casa di matti.
Io vado a cucinare la cena, costolette di agnello per tutti, di là invece preparano la tavola e litigano: a volte Tom è ancora un bambino.
Anche Mark lo era a volte e mi sale la tristezza, chissà se anche con Jen fa il bambino oppure fa solo il serio.
Finito di cucinare servo la cena che tutti apprezzano dato che in men che non si dica sono finite tutte. Come tutte le altre sere guardiamo un po’ la tv tutti insieme, poi i bambini vanno a letto e rimaniamo solo io e Tom.
Stanno dando un mieloso film d’amore che mi fa schifo e non vedo l’ora che si decida a cambiare canale.
“Dai cambia, Tom!”
“No, voglio vedere quando scopano, Skye!”
Io mi lancio su di lui per recuperare il telecomando – in fondo siamo in casa mia e decido io cosa vedere e cosa non – senza tener conto che l’effetto del suo corpo fa sul mio.
Ricevo una scossa e l’atmosfera cambia da giocosa a elettrica.
Pessima mossa, Skye.
Pessima pessima mossa.
Non ho il tempo per rimproverarmi che mi ritrovo le labbra di Tom che premono sulle mie, il mio corpo agisce da solo e le schiude, così che si possa approfondire questo bacio.
In un attimo siamo uno sopra sul divano a baciarci appassionatamente come due adolescenti alle loro prime esperienze.
È solo con fatica che riprendo il controllo di me e appoggio le mani sul suo petto per farlo smettere.
“Giusto, giusto.
Deve essere solo una finta, io vado a letto.”
“Anche io.”
Replico atona.
Quando entro nella cameretta Ava è ancora sveglia.
“Ciao Ava."
“Ciao Skye. Ti piace il mio papà, non è vero?”
Io mi metto in pigiama, rimuovo il bacio tra me e Tom e il rossore dalla mie guance e mi metto a letto.
“No, è solo un amico.”
“A me piaceresti come matrigna, ma non voglio che Jack sia mio fratello.”
Io la guardo incuriosita.
“Come mai?
Pensavo ti piacesse.”
Lei arrossisce vistosamente e si nasconde un po’ di più sotto le coperte.
“Certo che mi piace! È… è bello! Sa andare in skate e gli piace che anch’io sappia farlo, gli altri maschi mi hanno sempre detto che ero una schiappa quando lo facevo.
Gli piace il pop-punk e non mi chiama poser per questo, adoro il suo umorismo, beh, adoro tutto di lui.
Io non lo voglio come fratello, lo voglio come ragazzo e poi come marito.
I fratelli non si sposano.”
Se Tom sentisse queste parole inizierebbe a tirare testate al muro e poi correrebbe ad iscrivere sua figlia in un collegio retto da suore, io invece inizio a pensare che tra qualche anno dovrò davvero prenotare Notre Dame.
Mi conviene pensarci per tempo, visto che la lista di attesa per potersi sposare lì sarà lunga come non so cosa e poi dovrò pensare al vestito e fare un corso di yoga.
Non voglio tentare di annegare Jen nella Senna nel giorno del matrimonio del mio unico figlio!
“Skye?”
“Sì, Ava?”
“Non vuoi che sposi Jack?”
“No, mi va benissimo. Adesso però siete un po’ troppo piccoli, non credi?
Tra dieci anni potrete sposarvi, che ve ne pare?”
Lei incrocia.
“Dieci anni… Sono tanti dieci anni e ci saranno tante ragazze che ci proveranno con lui, ma lui è mio e io me lo riprenderò sempre.”
Ecco un lato di Ava che ricorda vagamente Jen in senso buono.
“Ava?”
“Sì?”
“Non ti manca tua madre?”
Lei sbuffa.
“No, lei non voleva farmi fare skate e suonare il basso, voleva vestirmi di rosa e iscrivermi a danza classica.”
Il tono in cui pronuncia “rosa” e “danza classica”è schifato al massimo.
“Io le odio queste cose e poi non voglio fare la cheerleader o la reginetta del liceo, io voglio solo essere Ava.”
Io sorrido.
“E sarai Ava, sarai quello che vorrai essere!”
Ava mi sorride e dopo qualche altro attimo di chiacchiere si addormenta sorridendo.
E così anche ad Ava piace Jack e se le cose andranno avanti così ce li ritroveremo davvero fidanzati, sposati e felici.
Beh, almeno loro saranno felici.
Io sono in una situazione di confusione terribile: da una parte amo Mark e lo rivoglio, dall’altra ho appena baciato Tom e mi è piaciuto da matti.
Non so se siano i miei ormoni in subbuglio e in astinenza o se sia altro, tipo una cotta.
Una cotta a trentasette anni per il miglior amico di tuo marito, roba da mettersi le mani nei capelli!
L’adolescenza l’ho passata da un pezzo eppure…
Eppure oggi mi sono fatta una canna come ai tempo del college e poi ho baciato un uomo sul divano con la stessa foga con cui lo facevo con il mio primo ragazzo.
C’era quella voglia di stare insieme e scoprirsi, mista alla paura di venire sgamati da qualcuno.
Mi tiro le coperte sopra la testa, ma non serve a molto così sguscio fuori dal mio letto, ben attenta a non svegliare Ava, controllo che Tom sia a letto – e lo è – e poi esco in terrazza.
Mi metto la mia giacca di pelle prima di uscire e poi una volta fuori mi accendo una sigaretta e aspiro avidamente il fumo.
Fuori si sente il rumore sottile della città, che non dorme mai, nemmeno di notte.
Questo mi calma, è come sentire un grande animale fare le fusa accanto a te, ti senti ridimensionato pensando a quanta gente viva e soffra nella tua stessa città.
Come la donna sdentata che mi ha detto che da due cuori spezzati se ne può creare uno nuovo.
Come il ragazzino che ha paura per sua sorella che frequenta un bianco.
Come gli altri ragazzini che oggi ci guardavano fumare e non commentavano la stranezza di due adulti che si fanno una canna.
Rientro e mi metto a letto e questa volta dormo.
Buonanotte, mondo.

Angolo di Layla

Ringrazio fraVIOLENCE e ValeDeLonge per le recensioni.

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Capitolo 4
*** 4)Let's start a riot. (life is just a game, it's just an epic holiday) ***


4)Let's start a riot. (life is just a game, it's just an epic holiday)

 

Il resto della settimana in cui Ava e JoJo non vanno a scuola e all’asilo trascorre tranquillamente.
È segnata da una piacevole routine in cui mi adagio grata, io e Tom manteniamo rapporti cordiali, ma non ci avviciniamo più di tanti.
Entrambi vogliamo rimuovere quel bacio e la sottile attrazione che c’è tra noi, è meglio fermarsi prima che la cosa ci sfugga di mano prima ancora che cominci il piano vero e proprio.
La sensazione che provo è che entrambi ci siamo avvicinati troppo a un fuoco e ci siamo scottati e nessuno dei due vuole ripetere l’esperienza.
I nostri figli invece vanno d’accordo, Ava e Jack soprattutto – io non ho mai detto a Tom che la cotta di mio figlio per Ava è ricambiata da lei – Jonas comincia a considerare mio figlio come un fratellone.
Ava ogni tanto la sera mi parla della sua vita a San Diego e del matrimonio dei suoi genitori. Jen aveva iniziato a plasmarla come una Barbie, ma ha trovato pane per i suoi denti: la ragazzina, nonostante i suoi dieci anni, ha la stessa testardaggine di Tom e non ha intenzione di farsi manovrare da nessuno.
Buon per lei.
Mi piace che qualcuno contrasti Jen, mi piace che la sua stessa figlia non sia caduta nella trappola dei suoi occhioni blu.
Le do anche qualche lezione di basso, ma alla fine conveniamo che sia meglio cercare qualcuno più esperto di me per dargliele. Io e lei ci facciamo delle gran risate, ma tecnicamente non progrediamo granché.
Jack ha iniziato a prendere lezioni di chitarra da Tom, ma è piuttosto riluttante, credo preferisca duecento volte suo padre che un mezzo estraneo.
Suo padre però è a san Diego  e si deve accontentare  a malincuore.
Domenica sera ordiniamo una pizza alla pizzeria d’asporto qui vicino e la mangiamo tutti insieme.
Jack sta descrivendo ad Ava la sua nuova scuola e lei non sembra particolarmente felice, come tutti i ragazzini prova un naturale fastidio per quell’argomento.
Tom invece sembra stranamente meditabondo, la cosa non mi piace.
A metà cena si decide ad aprire bocca.
“Sabato prossimo avrà inizio il piano.”
Mio figlio non dice nulla, ma si alza da tavola e lascia a metà la sua pizza preferita e la conversazione con Ava per chiudersi in camera sua.
No, non l’ha digerita e mi conviene lasciarlo sbollire un po’ prima di parlargli.
“Tom, hai un tatto da elefante.”
Sibilo, lui alza le spalle: non gliene frega nulla, è convinto che prima si inizi prima si finisca.
Finita la cena, chiedo ad Ava di caricare la lavastoviglie al mio posto e vado da Jack. Apro la porta e lo trovo abbracciato alla sua chitarra.
“Non voglio Tom come patrigno.”
Io mi siedo accanto a lui, deve mancargli molto Mark perché quella chitarra gliel’ha regalata lui per il suo decimo compleanno.
“Non lo avrai.”
Lui sbuffa.
“Non sono stupido, mi sono accorto che ti piace quel Tom.”
Dimenticavo che da Mark ha ereditato una discreta sensibilità e antenne acute per captare i sentimenti altrui.
“No, Jack.”
Lui sbuffa e lascia perdere la sua chitarra per preparare la cartella e poi prendere delle cose dall’armadio.
“Vado a lavarmi.”
Mi dice gelido.
“Stasera sono stanco e voglio andare a letto presto.”
Io sospiro e accuso il colpo, il vero messaggio dietro questo comportamento è questo: “Non credo a una parola di quello che mi dici, mi state prendendo per il culo e odio essere preso per il culo.
Sono incazzato e non mi va di vedervi.”
Torno di là e trovo sia Ava che Tom torvi, Jonas invece sta guardando la tv, io mi siedo accanto a lui.
“Ava ha detto a papà di smettere di far rimanere male Jack e lui non l’ha presa bene.”
Io non dico nulla, non voglio impicciarmi in questa lite, così guardo la tv con JoJo finché non arriva l’ora di andare a letto.
Alle dieci la casa è deserta e Ava questa sera non è in vena di confessioni.
Io mi addormento quasi subito e mi sveglio alle sette della mattina dopo, preparo la colazione per  tutti e poi prendo Ava e Jack – entrambi imbronciati – e li porta a scuola.
La figlia di Tom indossa un cappotto militare verde, un paio di jeans neri infilati dentro degli anfibi rossi che si aprono.
Ha voglia di far capire subito di che pasta è fatta.
Tom invece porta Jonas all’asilo.
Io me la cavo abbastanza alla svelta: ormai ho imparato a evitare le iene e poi a dirigermi verso il mio bar preferito.
Quando arrivo a casa la trovo deserta, perciò mi metto a lavorare su dei documenti che poi manderò a Mtv.
DeLonge fa ritorno un ‘ora dopo con una faccia totalmente stravolta, sembra abbia incontrato un gruppo di SS con una forte volontà di interrogarlo e farlo stare male.
Si siede sul divano e borbotta qualcosa come: “Finalmente mi sento al sicuro!”.
“Che ti succede?”
Lo guardo divertita da sopra i miei occhiali.
“Da quando porti gli occhiali, Skye?”
“Da quando sono presbite, l’età avanza. Non hai risposto alla mia domanda comunque!”
Lui sbuffa.
“Non hai idea di cosa mi sia successo, non ho fatto a tempo a  far entrare Jonas all’asilo che subito mi sono trovato accerchiato da una mandria di giovani mamme che volevano tutte il mio autografo, una foto, sapere perché il celebre Tom DeLonge era in quell’anonimo asilo londinese.
Era quello Jonas? Che bambino carino e blablabla.
Mi stava venendo un attacco di claustrofobia, non sapevo più come liberarmene!
Alla fine ho dovuto firmare un autografo a tutte e farmi fotografare con loro, che ansia!”
Io scoppio a ridere guadagnandomi una sua occhiataccia.
“Ma ti rendi conto di chi sei e di che lavoro fai?
Sei un chitarrista famoso, DeLonge e probabilmente tutte queste ragazze hanno passato la loro adolescenza sentendo i blink e sbavando su un tuo poster, sperando di incontrarti e che tu ti innamorassi di loro.”
Tom scuote la testa.
“Tom, ti ricordo che al tuo matrimonio quando hai visto i Jimmy Eat World hai pianto.”
“Va bene, hai ragione tu.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Come mai è andata a finire così male tra te e Jen?
Quando eravate fidanzati eravate sempre appiccicati ed eravate così carini.”
Lui va in cucina, prende una birra e si risdraia sul divano.
“Non ne ho idea.
Quando eravamo fidanzati era una persona dolcissima, diceva che non le importava che gli altri mi credessero gay, mi spronava con la band e non mi tradiva.
Subito dopo che ci siamo sposati è cambiata, era insofferente nei miei confronti, diceva che ero sempre via e che la trascuravo.
Beh, ero spesso in tour e lei sapeva che sarebbe successo e poi non la trascuravo. Da allora sono iniziate le corna, io sopportavo e fingevo di non sapere perche era incinta di Ava e poi non avrei mai potuto infliggere ai miei figli il dolore della separazione.
Credo di avere sbagliato su tutta la linea, dovevo mollarla anni fa, l’unica cosa per cui le sono grato sono Ava e Jonas: loro sono i miei tesori.”
Io sorrido.
“Sei un buon padre, Tom.”
“Spero di esserlo, spero anche solo di essere meglio di  mio padre.”
“Per me lo sei, si vede che ami i tuoi figli e che cerchi di essere sempre presente per loro anche quando magari sei in tour.”
Lui sorride.
“Grazie, Skye.
Mark ha fatto un grave errore a lasciarti andare.”
Già, ma ormai l’ha fatto.
Io lo raggiungo sul divano e mi siedo accanto a lui e poggio la testa sulla sua spalla.
“Da ragazzina volevo diventare la moglie di una rockstar. Ce l’ho fatta e si è risolto tutto in merda, la rockstar mi ha dimenticata e con me suo foglio.
Che schifo.”
Siamo pericolosamente vicini.
“Io invece mi sono fatto fregare dalla prima ragazza e poi è finito tutto in merda, anche alle rockstar va male di tanto in tanto.”
Siamo troppo vicini, ho il cuore che batte a mille egli ormoni in subbuglio.
Devo andarmene prima che succeda di nuovo.
Devo..
Tom mi bacia con passione e violenza, in men che no si dica siamo rovesciati sul divano. Ci baciamo e intanto ci spogliamo, lui scende sul mio collo e sul mio seno, ma non ci sta più di tanto.
Vuole arrivare più in basso, si toglie i pantaloni ei boxer e poi toglie le mie mutandine. Lui è già eccitato e quando un mio dito scende dal petto fino al suo pene lo sento irrigidirsi ancora di più.
Lui infila due dita nella mia femminilità e le ritira subito dopo soddisfatto e con un sorrisetto malizioso stampato in faccia.
In un attimo è dentro di me e spinge violentemente: fa male, ma è anche piacevole.
All’improvviso ribaltiamo le posizioni, sono io ad essere su di lui e le sue mani sui miei fianchi dettano il ritmo.
Non ho mai provato così tanto piacere come in questa scopata senza futuro, gemo e urlo e sento un calore fortissimo al basso ventre.
Calore che esplode regalandomi un orgasmo travolgente quando lui viene dentro di me e mi sento invasa da un fiotto caldo.
Crollo su di lui stremata, lui prende una coperta per coprirci e poi mi abbraccia.
“Alla fine non ce l’abbiamo fatta. Non sarebbe dovuto succedere.”
Dice lui con il fiatone e le mani che ancora giocano con i miei capelli.
“No, ma è stato bellissimo.”
“Adesso hai tradito anche tu Mark.”
Io non rispondo e gli lascio un bacio esitante sulla clavicola.
Sì, ho tradito Mark, ma anche lui ha tradito me.
Gli ho solo reso pan per focaccia.
Credo.

 

Con questo peso sul cuore sabato arriva fin troppo presto.
“Cosa cazzo mi metto?”
Urlo come un’invasata, nonostante abbia l’armadio pieno di vestiti per ogni occasione.
Sento Ava e Jack mormorare e infine mio figlio sussurrare: “Vai tu, sei una femmina! Tu queste cose le capisci, io no!”
Alla fine un’esitante Ava si fa viva sulla porta della mia camera.
“Tutto bene, Skye?”
“Non so che vestito mettermi!”
Urlo isterica.
“Ehm, quello lì azzurro con una manica sola?”
Lo guardo e non mi sembra male, ha gusto questa ragazzina!
E poi ha risolto le mie crisi esistenziali da adulta, devo essergliene grata.
“Bello, grazie Ava!”
Con il mio vestito corro a occupare il mio bagno: mi metto calze e vestito, mi trucco sapientemente e raccolgo i miei capelli biondi in un coda alta che mi sta particolarmente bene dato che mi sono fatta i boccoli prima.
Esco dal bagno e ricevo un fischio ammirato da Tom, Jack storce la bocca in una smorfia schifata.
Aspettiamo che arrivi la babysitter e poi ce ne andiamo, Tom ha prenotato in un ristorantino molto raffinato nella city.
Quando arriviamo veniamo accolti da un solerte cameriere che ci scorta al nostro tavolino appartato,decorato con dei fiori, una candela e con accanto il secchio del ghiaccio con una bottiglia già dentro.
“Sei sicuro che verrà qualcuno?”
Tom si siede.
“Sì, ne ho visti due appostati fuori dal ristorante e adesso diamo inizio alla sceneggiata.”
Sorridendo mi prende una mano.
“Ti piace il posto, tesoro.”
“Oh sì, Tom. È bellissimo.”
Mi sporgo verso di lui dandogli un lieve bacio sulla guancia, un contatto innocuo che mi fa già tremare le ginocchia.
Lui fa il suo sorrisino ironico.
“è solo un posto degno di te, diamo un’occhiata al menù. Che ne dici?”
“Va bene.”
Mi immergo nella lettura di un menù raccapricciante, per secondo ci sono persino lumache e rane, quando vorrei essere in un Mac!
Alla fine ordino del riso ai funghi per primo e della carne ai ferri per secondo, Tom ordina una pasta al pomodoro e carne anche lui.
Mentre aspettiamo da mangiare continuiamo a scambiarci tenerezze come una coppietta e adesso nel buio ho l’impressione che qualcuno ci spii.
Un paio di volte ho anche colto dei flash con la coda dell’occhio, quindi direi che il piano sta procedendo per ora.
Mangiamo e poi ce ne andiamo alla London Eye, una macchina ci segue a debita distanza e cercando di mimetizzarsi con il traffico cittadino.
Tom parcheggia sorridendo e con naturalezza – quando scendiamo – mi passa  un braccio intorno alla vita in un gesto di possesso.
Chiacchierando come dovrebbe fare una coppia ci dirigiamo verso la ruota e saliamo. La cabina mi sembra incredibilmente stretta senza i bambini a impedirmi di fare qualcosa di sciocco con Tom.
Decido di guardare fuori dalla vetrata e mi incanto nel vedere le mille luci della città e i loro scintillanti riflessi sul Tamigi: è meravigliosa.
Tom richiama la mia attenzione prendendo una mano tra le sue e iniziando a sussurrare sciocchezze sugli alieni, io ridacchio. Visti da fuori sembriamo due piccioncini.
Quando la cabina arriva in cima alla ruota mi prende il mento tra le dita e con dolcezza mi attira a sé e mi bacia.
Un bacio vero, non fingiamo e l’atmosfera ci fa un po’ esagerare visto che finiamo sdraiati sul sedile, lui sopra di me e io sotto.
Per un attimo al suo volto si sovrappone quello di Mark, ma poi torna solo e prepotentemente lui: Tom.
Scendiamo tenendoci per mano e così saliamo in macchina.
Durante il percorso non parliamo molto, io mi chiedo in quanto tempo usciranno quelle foto e come reagirà Jack.
Le risposte alle mie domande arrivano presto.
Il giorno dopo – domenica, la giornata dedicata al sacro riposo – vengo svegliata alle sette da Tom. Vorrei tirargli un vaso in testa non appena  lo vedo e non un vaso qualsiasi, un vaso da notte, mannaggia ai water!
“Che cazzo vuoi, Tom?”
Lui mi mostra delle riviste e noto che sono tabloid e che ci siamo noi in prima pagina: diamine, che rapidità!
“Bene, il piano è iniziato.”
Mugugno io, per poi tornare a letto.
Sono circa le dieci quando vengo svegliata da delle urla disumane provenienti dalla camera di Jack, scendo dal letto e trovo una Ava preoccupatissima in corridoio.
“Jack e papa stanno litigando!”
Io spalanco la porta.
“Io non ti voglio come maestro di chitarra, come padre, come coinquilino, come niente!
Vattene!”
Prende in mano la chitarra e la rompe sul pavimento della sua camera.
“Non fare l’amico con me, ti vuoi solo sbattere mia madre per vendicarti di tua moglie. Non sei degno di stare qui!
Sparisci!”
“JACK!”
“Mamma! Vedo che l’hai rimpiazzato bene papà!”
“Lo sai che non è vero, lo sai che è una montatura!”
Lui mi guarda con occhi di fuoco, io indietreggio: in questo momento mi ricorda talmente tanto Mark da farmi paura.
“Peccato che quel bacio sulla ruota panoramica con te conciata come… lasciamo perdere non sembri una montatura!
Io mi sono stufato di stare qui, io me ne vado!”
Esce dalla stanza e io lo prendo per un braccio strattonandolo.
“DOVE PENSI DI ANDARE?”
Lui mi guarda inespressivo.
“Da zia Anne.”
“Ma….”
“Io in questa casa non ci rimango.”
Io sospiro.
“Va bene, adesso chiamo Anne, prima però lasciami controllare i voli.”
Prendo il mio portatile e ne scovo uno per domani sera alle sette, lo prenoto, poi chiamo Anne e gli dico dell’imminente arrivo di suo nipote.
Lei non mi sembra particolarmente sorpresa.
“Che cazzo stai facendo, Skye?”
“Organizzo una montatura per far tornare a casa tuo fratello.”
“Stai giocando con il fuoco!”
Bene, anche lei sembra infuriata e a questo punto mi chiedo se abbia davvero fatto la cosa giusta accettando la proposta di Tom.
La domenica trascorre noiosa in un silenzio carico di tensione, io ho ripulito i resti della chitarra di Jack, consolato Ava per l’imminente partenza di mio figlio e ho evitato Tom.
Una giornata di merda in pratica, come non se ne vedevano da secolo e precisamente da quando ero adolescente e litigavo con i miei.
Vado a letto e cado subito in un sonno senza sogni, che viene interrotto alle quattro di mattina. Non ho la forza per alzarmi a rispondere, ma sento dei passi che vanno verso il salotto indice che qualcuno lo farà al mio posto.
Sono passi leggeri: Ava o Jack probabilmente.
Il telefono smette di squillare e poi i passi si dirigono verso la mia camera, un accigliato Jack mi  porge il cordless.
“è papa.”
Mi dice freddo.
Merda!
Prendo in mano il cordless e non appena me lo appoggio sento la voce di Mark che urla come un matto.
“Come ti sei permessa di tradirmi con TOM?”
“Tu vivi da Jen, da MESI!
MESI!”
Dall’altra parte sento un silenzio inquietante,
“Aspettami che arrivo.”
“Cosa cazzo vuol dire?”
L’unica risposta che mi arriva è il click della telefonata chiusa.
Merda!
Con un gesto istintivo di rabbia lancio il cordless contro il muro rompendolo in mille pezzi e svegliando tutta la casa.  I tre DeLonge dopo qualche secondo sono affacciati alla porta della mie camera e mi guardano perplessi.
“Beh? Da quando in qua si chiude una chiamata distruggendo il telefono?”
Azzarda Tom.
“Zitto DeLonge! Siamo nei guai!”
“è morto qualcuno? Qualcuno ci ha fatto causa?”
“Peggio! Sta per arrivare Mark, credo che prenderà il primo aereo per Londra!”
Tom impallidisce vistosamente per dei lunghi attimi , poi ritorna in sé.
“Vedi che il piano ha avuto successo?
Adesso dovete solo riconciliarvi.”
“Solo?
Solo?
Hai una vaga idea di come sia trattare con un Hoppus fuori di sé dalla rabbia? Guarda solo cosa ha fatto Jack stamattina!
Pensa a cosa farà Mark!”
Lui cerca di tranquillizzarmi, ma io lo caccio via con dei gesti nervosi.
Il sonno mi è passato e temo non tornerà tanto presto.

                                                            

Angolo di Layla

Grazie a fraVIOLENCE  e a ValeDeLonge per le recensioni e scusate se non risposto personalmente. 

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Capitolo 5
*** 5)Shining dust. ***


5)Shining dust.

 

Ci sono certe giornate che iniziano male.
Questo lunedì inizia male, Jack non va a scuola e si prepara i bagagli da solo, sotto lo sguardo triste di Ava seduta sul suo letto.
È con dispiacere che la chiamo per andare a scuola – Tom mi ha chiesto di portare Ava a scuola e Jonas all’asilo – visto com’è degenerata la situazione.
Ho il sospetto che ci sia completamente sfuggita di mano e che nemmeno ce ne siamo accorti.
In ogni caso lascio i due figli di Tom rispettivamente alla scuola elementare e all’asilo a cui lui li ha iscritti, poi mi rifugio nel mio solito bar.
Questa mattina devo avere un aspetto davvero orribile perché il cameriere arriva con una doppia brioches e mi dice che è un regalo della casa.
Finito, gironzolo un po’ tra le bancarelle di Porto Bello e poi finalmente mi decido ad andare a casa. Ho una fifa blu, non voglio rivedere Mark quand’è arrabbiato.
Dovrei essere io ad essere arrabbiata con lui e non viceversa.
Arrivata al condominio elegante dove abito noto subito che c’è una cosa fuoriposto: un suv parcheggiato alla cazzo di cane davanti al portone.
Il proprietario aveva talmente fretta di uscire da aver lasciato addirittura la portiera aperta, con il presagio della sventura arrivo al mio appartamento e trovo la porta spalancata e sento dei rumori di lotta.
Rimango pietrificata: Mark è seduto a cavalcioni del suo amico di una vita e lo sta prendendo a pugni, Tom riesce a reagire con qualche difficoltà e riesce a ribaltare le posizione.
Ora è seduta sulla schiena di Mark e gli torce un braccio.
“Che cazzo state facendo?”
Urlo fuori di me, lasciando cadere in un solo colpo borsa e cappotto.
“Oh, nulla. Mark ha tentato di spaccarmi la faccia perché mi sono scopato sua moglie e ora gli sto ricordando che lui ha scopato la mia!”
“Bastardo, pezzo di merda! Lo sanno tutti che di Jen non ti importa nulla e che le lasci scopare chi vuole, perché non io?”
I miei occhi si riempiono di rabbia.
“Tom, tiralo in piedi .”
Lui esegue e io quando mi ritrovo la faccia di Mark a tiro, gli fracasso la guancia con un pugno.
“Perché tu, infimo bastardo, avevi una moglie e un figlio che dicevi di amare!
Ti ringrazio per avermi fatto sapere che ti andava di scopare un’altra per vedere se era più brava di me!”
Gli rifilo un altro pugno.
“Tom, buttalo fuori!”
“Questa è casa mia!”
“Non più.”
 Rispondo fredda.
“Ha smesso di esserlo quando te ne sei andato in California con Jen e adesso vattene e torna solo quando sarai in te!”
“Voglio vedere mo figlio.”
“No, adesso sei fuori di testa e comunque stasera alle sei ha un aereo per andare da tua sorella Anne.”
Tom lo butta fuori, mentre bestemmia come un matto e poi chiude la porta a chiave. Mark – dall’altra parte –  la tempesta di pugni.
Io lo ignoro e scoppio a piangere appoggiata alla porta di legno, fa un certo senso sentirsi dire da tuo marito l’epitaffio da apporre alla tomba del vostro matrimonio.
Tom mi abbraccia e io piango sulla sua spalla per un po’.
“Dov’è Jack?”
Gli chiedo tra i singhiozzi.
“Da una vicina, ce l’ho mandato appena ho visto la faccia di Mark.”
“Grazie per avergli risparmiato tutto questo.”
Piango ancora un po’, poi gli medico i lividi e insieme ci stendiamo sul divano: sono emotivamente ridotta a uno straccio e accolgo con gratitudine le sue carezze e le sue coccole.
“Era ubriaco.”
Mi sussurra a un certo punto Tom.
“Cambia qualcosa?”
“Non sapeva quello che diceva, dagli la possibilità di esprimersi da sobrio e vedrai che le cose andranno diversamente.”
Io scoppio di nuovo in singhiozzi.
“Non so se voglio sentirlo da sobrio.”
Rimango con Tom ancora un po’, poi mi asciugo le lacrime, sistemo quello che posso con il correttore e mi faccio dire da Tom il nome della vicina a cui ha spedito Jack.
Ritiro mio figlio che ha una faccia imbronciata.
“Volevo vedere papà!”
Io non rispondo e lo aiuto a finire le valige, lasciando che la rabbia verso Mark ribollisca dentro di me. Voleva provare a scopare con un'altra dopo un miliardo di dichiarazioni di fedeltà, il bastardo!
A mezzogiorno preparo da mangiare, Ava è piuttosto scontenta e ha un occhio nero.
“Cosa hai fatto?”
“Oh, ho chiuso la bocca a una che parlava un po’ troppo di mio padre senza conoscerlo!”
“Scommetto che ti sarai guadagnata una nota.”
La voce di Tom è venata da una sottile ironia.
“Sì.”
Risponde secca Ava, rifiutandosi di aggiungere altro.
Ricapitolando: i pargoli sono incazzati, io sono incazzata , Mark è fuori di sé e l’unico che ha una parvenza di normalità è Tom.
Dopo mangiato Jack e Ava si chiudono nella camera di mio figlio, parlano a lungo e quando lei esce ha le guance rigate di lacrime e si chiude in camera sua.
In quanto a me do un’occhiata all’orologio e mi rendo conto che è arrivata l’ora di portare mio figlio in aeroporto.
Busso in camera sua e lui esce con il suo trolley e anche lui con le guance rigate di lacrime, non guarda nessuno in particolare, si dirige solo verso la porta.
Io lo seguo, nemmeno in macchina ci diciamo molto, sembra sempre così arrabbiato e mi fa male sapere che sono io la causa della sua rabbia.
Dopo aver parcheggiato scendiamo e al gate delle partenze internazionali lo guardo.
“Posso abbracciarti?”
Lui annuisce e si lascia stringere, all’inizio sembra una marionetta, poi si attacca a me come una scimmietta e comincia a piangere.
“Non voglio che ti sposi con Tom!
Non voglio che papà soffra! Non voglio vederlo come oggi!”
Mi si stringe il cuore.
“Come l’hai visto?”
“Arrabbiato, Tom mi ha mandato da una vicina, ma non voglio più vederlo così arrabbiato.”
Io sospiro.
“Jack, quando tu fai qualcosa di sbagliato e vieni punito ti arrabbi giusto?”
Lui annuisce.
“Lo stesso fanno i grandi, lo stesso fa papà.
Adesso vai da zia Anne, fa il bravo e divertiti.”
Lui annuisce e si stacca da me un po’ riluttante, aspettiamo insieme fino a che non chiamano il suo volo, poi va verso i gate e a me si stringe di nuovo il cuore.
Ciao, piccolo mio.
Spero tu possa tornare presto.
 

Ormai sono due giorni che Jack è partito e mi manca da morire.
L’ultima scena che vedo nella mia mente è quella di lui che spacca quella chitarra a cui tiene da morire pur di non farla contaminare in qualche modo da Tom.
Ava è musona quanto me e Tom inizia a preoccuparsi sul serio per sua figlia e delle conseguenze del suo gesto sconsiderato.
Non è proprio rose e fiori come se lo immaginava.
Io non esco più di casa, non vado nemmeno al solito bar e non ho la voglia di alzarmi dal letto.
Alle due del pomeriggio suona il telefono, qualcuno va a rispondere e poi mi porta il cordless: è Tom e al telefono c’è Mark.
“Pronto?”
“Ciao Skye.”
“Oh, ciao Mark.”
“Quanto calore!”
Fa sarcastico lui.
“Tutto quello che ti meriti dopo avermi detto che ti andava di scopare con Jen e che non gradivi la legittima incazzatura di Tom.”
“Dobbiamo parlare.”
“E se non volessi sentirti?
E SE ADESSO FOSSI IO A NON VOLERTI SENTIRE?
TE NE SEI ANDATO E NON HAI PIU’ FATTO NEMMENO UNA TELEFONATA A TUO FIGLIO E SE ADESSO IO TI RIPAGASSI CON LA STESSA MONETA?”
Tronco la comunicazione e lancio di nuovo via il cordless, questa volta però atterra sul tappeto morbido e non si distrugge eccessivamente.
Tom arriva e lo raccoglie.
“Cosa voleva?”
“Vedermi.”
“Credo tu abbia rifiutato.
“Credo bene e adesso vado a fare qualcosa tipo lavorare o quelli di MTV crederanno che tu mi abbia uccisa.”
Mi alzo e mi metto al computer nel mio studio, dopo un’ora buona di lavoro celere sento delle urla provenienti dall’ingresso.
Tom sta impedendo a Mark di entrare.
“Cosa ci fai qui?”
Gli chiedo io fredda.
“Volevo parlarti, te l’ho detto.”
“Quale parte di: “Adesso sono io a non volerti parlare” non hai capito?”
“Dai, Skye, fallo almeno per il nostro matrimonio.”
Io metto l’indice e il pollice sotto il mento con aria pensosa.
“Il matrimonio, certo. Il matrimonio.
E dov’era il tuo pensiero sul matrimonio mentre ti scopavi Jen?”
Lui boccheggia un attimo.
“Ah, non ci pensavi e ora dimmi perché dovrei ascoltarti senza tirare in ballo Jack!”
Lui deglutisce e mi guarda spaventato.
“Io…. Io non lo so! Eravamo a un festa, quelle organizzate da Fuse tv, non avevo nemmeno voglia di andarci, ma alla fine ci sono andato lo stesso e ho incontrato lei.
Abbiamo iniziato a parlare, poi a ridere e scherzare e mi sembrava di tornare indietro di colpo di vent’anni, quando ero solo un ragazzo che pensava a scopare e non aveva una ragazza fissa.
Ci sono finito a letto e poi non so, davvero, non so.
In lei ho visto una persona speciale, una che mi faceva sentire leggero, senza responsabilità e mi sono detto che non volevo tenere il piede in due scarpe, tanto valeva che lo sapessi subito.
E ti ho chiamato e poi sono stato assorbito dalla nostra storia.”
Io rido sprezzante.
“Sembri un ragazzino e non un uomo adulto, un patetico ragazzino che frega la ragazza all’amico a cui si sente inferiore da una vita.
Lo sai che sembri questo, Mark?
Quante corna ti ha già messo Jen?”
Gli chiedo sarcastica.
“Nessuna!”
Risponde piccato lui.
“Dai, Mark! Smettila di fare il bambino! Lo sai che Jen Jenkins non è nota per la sua fedeltà, fossi in te controllerei il suo cellulare…Anzi, ho un’idea migliore!
Andiamo all’hotel dove alloggiate e sono sicura che il vostro letto non sarà vuoto.”
Mi metto un cappotto e con una spinta poco gentile butto Mark fuori casa.
Durante il tragitto cerca ancora di parlarmi, accampando scuse, richieste di perdono e dichiarazioni d’amore, solo che ora il mio orecchio è sordo per queste cose.
Arriviamo all’hotel e Mark sale nella sua camera, già nel corridoio si sentono gemiti femminili e grugnito più bassi, maschili.
Mark spalanca la porta e trova Jen intenta a farsi scopare da uno dei camerieri dell’albergo: la faccia di mio marito diventa livida, sul mio volto si distende un ghigno quasi satanico.
“Beh, divertiti!”
Gli picchio una mano sulla spalla e poi giro i tacchi, arrivata in fondo al corridoio sento delle urla e poco dopo il cameriere mi sorpassa correndo a velocità supersonica con la divisa messa in malo modo.
Guai in vista per i piccioncini e goduria assurda per me.
Mark ha voluto abbandonare una moglie fedele come me per una vacca come Jen?
Bene, è ora che impari a fare i conti con questa realtà e se davvero vuole riconquistarmi si deve impegnare, non ho intenzione di cedere facilmente.
-Anche perché Tom non ti è indifferente, alla fine sei caduta anche tu nella rete di Tom Delonge, cara la mia Skye!-
Sibila impietosa la mia coscienza e in questo c’è un fondo di verità: Tom non mi è affatto indifferente, ma se davvero finissi con lui rischierei di perdere Jack.
Che gran casino!
Arrivata a casa trovo Tom comodamente spaparanzato sul divano a fare zapping nella vana ricerca di un canale che gli vada a genio.
“Allora?”
“Abbiamo beccato Jen a letto con un cameriere.”
Lui ride.
“Classico. Mark come l’ha presa?”
“Si è messo a urlare come un matto, io poi me ne sono andata a mi ha raggiunto e superato correndo il cameriere.”
“Ah, Jen! Non cambierà mai, voglio proprio vedere come reagirà al divorzio!”
C’è un ghigno di soddisfazione maligna sul suo volto.
Finalmente trova un canale di suo gradimento – parla di fantasmi e case abbandonate e probabilmente possedute – e io mi sdraio accanto a lui.
Questo tipo di paranormale incuriosisce anche me, così ce lo guardiamo insieme.
Di là sento Ava suonare quel poco che sa da sola e colgo anche degli accenni a una melodia triste che somiglia a “I miss you.”, Jonas invece ci raggiunge poco  dopo, si raggomitola in una poltrona e comincia anche lui a seguire il programma.
Ogni tanto rabbrividisce, ma tutto sommato si rivela un bambino curioso, intelligente e aperto a ogni corrente di pensiero, non mi sorprenderebbe se anche lui un giorno si dovesse interessare agli ufo come suo padre.
Il suono del telefono spezza questo idillio e questa volta rispondo io: è Anne.
Parliamo un po’ del più e del meno e poi mi passa Jack.
“Come va? Ti stai divertendo?”
“Sì, mi era mancata la California, è tutta un’altra storia fare skate al sole e poi zia Anne mi ha promesso che mi insegna a surfare!”
C’è un attimo di silenzio.
“Mi manchi, mamma e mi manca anche Ava, la penso sempre. Diglielo quando la vedi, dille che i messaggi non sono abbastanza.”
“Va bene, piccolo.”
Chiacchieriamo un altro po’, poi la telefonata si chiude e mi lascia un senso di amaro in bocca.
Sospirando vado da Ava, è china sul basso e cerca di decifrare le tablature per suonare “I miss you,.”
“Ehi!”
Lei smette subito.
“Era Jack al telefono prima, mi ha detto che gli manchi e che i messaggi non sono mai abbastanza.”
Lei abbandona lo strumento e mi abbraccia in lacrime.
“Mi manca! Voglio rivederlo, Skype, i messaggini, niente è come averlo qui e suonare con lui, fare skate con lui.
Niente!”
Continua  a piangere e io mi unisco al suo pianto. Lei piange per l’amico lontano, io per il mio matrimonio che sta cadendo a pezzi. È come se qualcuno avesse sparato una pallottola in un meraviglioso vaso di cristallo, lasciando solo una polvere scintillante a testimonianza di quello che era stato.
Io e Mark siamo polvere, scintillante, ma comunque polvere.
Polvere di un amore probabilmente finito, nonostante tutti i tentativi che faremo per riportarlo in vita.
Polvere di un sogno morto.
Polvere di una famiglia distrutta.
Polvere di due persone che hanno sbagliato e distrutto tutto.
Polvere.
Nient’altro che polvere inutile e scintillante di promesse non mantenute, bugie, sogni infranti, tradimenti, fiducia evaporata.
Piango, ai funerali si piange sempre, no?
Alla sera il cordless suona ancora, è Tom a risponde e mi dice che è Mark, non demorde, accidenti a lui!
Per la prima volta in tanti anni la sua testardaggine inizia a starmi sul cazzo.
“Digli che non ci sono.”
“Potrebbe averti sentito.”
“Non mi importa, non ci voglio parlare.”
Sento Tom che parla con il suo amico e poi mette il cordless sulla forcella.
“Prima o poi ci dovrai parlare.”
La mia faccia si distorce in un ghigno poco entusiasta.
“Lo so, lo so.”
“Non vuoi salvare il tuo matrimonio?”
“A questo punto non lo so.”
Mi siedo a guardare la tv sentendomi lo sguardo di Tom addosso, probabilmente sta pensando che la batosta è stata dura se reagisco così e non ha tutti i torti.
Non mi aspettavo certo che Mark volesse un’altra e che se la prendesse una volta messo davanti alle responsabilità, probabilmente Tom ha ragione – era ubriaco – ma io non riesco a passarci sopra in alcun modo.
Non appena cerco di immaginarmi mentre lo perdono qualcosa mi si blocca in gola impedendomi di respirare, segno che non sono ancora pronta a perdonare.
Tom si siede accanto a me per un po’, poi si sdraia appoggiando la testa sul mio ventre e lasciando penzolare le sue gambe troppo lunghe dal divano.
“Sei proprio decisa a non sentirlo?”
“Non ora.”
Lui sospira.
“Devo dire che un po’mi dispiace per lui.”
“Naturale, è il tuo migliore amico.”
Lui si alza e mi guarda.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, hai solo detto la verità e io apprezzo le persone sincere.”
Lui torna a sdraiarsi e per un po’ continuiamo a vedere la tv, di là sento Ava e Jonas litigare per il bagno, ma poi tutto si risolve.
Si lavano tutti e due e prima JoJo e poi Ava vengono a reclamare il bacio della buonanotte dal padre, il bambino chiede anche una fiaba e Tom lo accontenta cos’ io rimango sola con Ava.
“Skye, mi dispiace che tuo marito ti faccia soffrire. Sei una brava persona e lui è uno stupido a trattarti male.”
Io ricaccio indietro le lacrime.
“Grazie, tesoro, ti voglio bene.
Adesso però vai a letto o domani mattina non ti svegli.”
Lei sorride, mi dà un bacio sulla guancia e poi va in camera sua, poco dopo torna anche Tom.
“Beh, i ragazzi sono tutti a letto.”
“Sì, ti va se andiamo a dormire insieme?”
Tom annuisce, ha un’aria stanca e preoccupata.
“Va bene, sono stanco!”
“è brutto fare i conti con  un matrimonio che va a pezzi, vero?”
“Bruttissimo, ma se ne esce.”
Ci alziamo e lui mi tende una mano, insieme raggiungiamo la camera matrimoniale e lui si spoglia rimanendo solo in boxer e una maglia, una vecchissima maglia della Hurley arancione.
“Ne hai una anche per me?”
Lui me ne lancia una blu che mi tranquillamente da camicia da notte.
Insieme ci mettiamo a letto e immediatamente vengo attirata sul suo petto e cullata dal battito del suo cuore e dal suo respiro mi addormento.
È stata una giornata infernale, un po’ di riposo me lo merito.

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Capitolo 6
*** 6)Let's start over? ***


6)Let's start over?

 

Due giorni dopo le cose iniziano a muoversi.
Per essere precisi casa mia viene inondata da rose di tutti i tipi – rosse, rosa, bianche, gialle – che provengono tutti dallo stesso mittente: Mark.
Visto che non voglio parlargli deve avere deciso che in qualche modo devo cambiare idea e ha deciso che le rosse possono essere un buon incentivo.
Come diceva la canzone: “She left me roses by stairs, surprise let me know she cares”?
Ora però è troppo, ogni volta che suona il campanello ho paura che sia un fattorino, ho esaurito i vasi e ormai distribuisco rose ai vicini pur di non averle intorno.
Quando al campanello è effettivamente il fattorino sento l’impulso di cacciarlo via e non lo faccio solo perché lui non c’entra nulla e fa solo il suo lavoro.
“Che rottura di palle!”
Esclamo, Tom mi guarda.
“Accetta di parlargli, così forse la finisce.”
Io sospiro.
“Mi sa che sarà l’unica cosa da fare.”
“Gli darai una possibilità?”
“Non lo so.”
Alla fine decido almeno di fissare un appuntamento con lui, cosa che lui sfrutta per ottenere una cena.
Va bene e cena sia.
La fissa per la sera stessa e io mi preparo svogliata
Ci troviamo in un costoso ristorante di Londra, elegantissimo come Mark, mentre io così vestita vado bene giusto per un fastfood.
“Wow.”
Mormoro piatta, la cosa non mi stupisce.
Sembra un ragazzino che vuole riconquistare la fidanzatina, ma il tempo delle mele è passato da un pezzo per noi.
“Dai entriamo.”
Mi fa strada, io sono piuttosto fredda, avrei preferito stare a casa mia.
Ci sediamo in un tavolo piuttosto riservato e lui mi serve subito il vino, io non alzo il bicchiere.
“Passiamo subito al dunque.”
Gli dico asciutta.
“Scusa Skye, non volevo… ferirti.
Era solo sesso e non avrei dovuto lasciare la famiglia,non ne valeva la pena, ecco.”
Io gli applaudo le mani sarcastica.
“E tutti questi bellissimi ragionamenti non li potevi fare prima di lasciarmi?
Non sei stupido, Mark.”
“Le crisi di mezza età rendono stupidi, a volte.”
Lo dice con una voce a malapena udibile, ma questa parziale ammissione di colpevolezza mi placa almeno un po’.
“Già.”
“Mi spiace per averti sputato in faccia che volevo farmi Jen.”
Io non dico nulla.
“Per favore, riproviamoci, almeno per Jack.”
Io lo guardo negli occhi, sono sinceri, io invece sono combattuta. C’è una parte di me che dice di perdonarlo e un’altra che mi dice che non potrò mai passare sopra a questa storia e far tornare tutto come prima, anche perché Tom mi piace.
Alla fine le mie due parti trovano un onorevole compromesso.
“Va bene, riproviamoci, ma a una condizione. Ci proveremo per un mese e Jack continuerà a stare da Anne.”
“Ti ho ferito tanto?”
“Più di quello che immagini e adesso lasciami chiamare Tom. Deve trovarsi un albergo o qualcosa del genere. Immagino che tu non lo voglia a casa, vero?”
“Vero.”
Dice a denti stretti, deve aver già capito che il nemico contro cui deve combattere non è solo il suo madornale errore, ma anche Tom.
In ogni caso lo chiamo e gli dico quello che è uscito dalla cena, Tom ha un tono strano mentre dice che si cercherà un albergo. Sembra quasi deluso o dispiaciuto, forse non sono l’unica che nasconde qualcosa, forse anche lui si è preso una sbandata per me.
Che bel casino!
Il resto della cena trascorre tranquillamente, mangiamo, ogni tanto lui tenta di prendermi la mano, ma io rifiuto e chiacchieriamo o meglio lui chiacchiera.
Racconta di tutto e di più per riempire il silenzio che c’è tra noi, un silenzio imbarazzato e mi torna in mente “Pulp fiction” e quella parte dove si parla del silenzio.
Com’era?
“I silenzi che mettono a disagio... Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate, per sentirci a nostro agio? E' solo allora che sai di aver trovato qualcuno di davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace.”
Ecco, con Tom ci riesco, con Mark ci riuscivo e ora non più. Ora lascio che lui riempia i silenzi quando tutto quello che vorrei è che stesse zitto, visto che non mi interessa una sola parola di quelle che gli escono dalla bocca.
Vorrei dirgli che se non ci fosse Jack di mezzo gli avrei già stampato l’impronta dei miei anfibi sul culo per sbatterlo fuori di casa, che un tradimento fatto per infilare il suo pene in un buco nuovo è inaccettabile da un quarantenne, visto che il limite massimo di età per cui l’avrei accettato era trent’anni.
È per Jack che voglio provare a salvare questo matrimonio in un mese, anche se una parte di me sa benissimo che sarà solo un’agonia, una terapia del dolore per accompagnare dolcemente alla fine qualcosa che è già morto.
Arrivati a casa la troviamo vuota e sul frigorifero c’è un biglietto di Tom che ci informa che per ora starà in un albergo.
Mark lo strappa rabbiosamente ed esclama: “Perché non torna a San Diego, il bastardo?”
Io lo fulmino e vado in camera mia, come si permette di chiamare Tom bastardo dopo quello che ha fatto lui?
Mi metto un pigiama anti stupro, uno di quelli brutti e molto coprenti che scoraggiano qualsiasi attacco e poi mi metto a letto.
Mark mi raggiunge poco dopo e tenta di allungare una mano, io lo scaccio infastidita: voglio dormire, non fare sesso o almeno non con lui.
Il solo pensiero che mi tocchi dopo aver toccato Jen mi provoca un conato di vomito.
Lui si ritira immediatamente e schiena contro schiena ci addormentiamo.
 

Il giorno dopo il posto accanto al mio è vuoto, per un attimo provo una sorta di tristezza pensando che Tom non c’è, poi mi chiedo dove sia finito Mark.
Mi alzo e lo trovo in cucina che tenta di cucinare uova e bacon, probabilmente per farmi una sorpresa, peccato che ora il locale sia in condizioni pessime.
Sembra che un reparto di tedeschi l’abbia violentemente colonizzato senza sapere nemmeno come si usa una padella.
Sospiro e lui mi sente.
“Buongiorno, amore. Ho provato a cucinarti la colazione.”
“Vedo.”
Sospirò sconsolata.
Alla fine mangio delle uova troppo cotte e del bacon mezzo bruciacchiato solo per farlo contento, approfittando della sua fumatina post colazione quotidiana  corro a vomitare tutto e poi lo raggiungo in terrazza per fumare insieme.
Tra di noi siamo freddi come due estranei o meglio io sono fredda, non gli facilito affatto le cose.
“Beh, hai da fare dopo?”
“Alcune cose per Mtv che posso fare anche con il computer, ma penso di essere libera per le dieci.”
“Ok.”
Lui si aggira per un po’ per la casa come se stesse cercando qualcosa.
“Ehi, Skye dove sono i miei bassi?”
“In discarica.”
Rispondo distratta.
“COSA?”
Il suo urlo mi fa trasalire.
“Hai detto che sono in discarica??”
Io annuisco.
“Sì, sai è quel posto dove la gente butta la roba che non serve più.”
“So cos’è una discarica! Il punto è: cosa ci fanno lì?”
“Li ho buttati dalla finestra.”
“Anche quello rosa?”
Io annuisco.
“Ma io…”
“Ci tenevi?
Forse te lo saresti dovuto portare dietro o non andartene, perché, nel caso non te ne fossi accorto, ci sono un sacco di cose e persone a cui tenevi e che hai lasciato indietro!”
Lui rimane in silenzio e si piazza sul divano, per fortuna in tv danno una maratona mattutina dei Simpson e dei Griffith che lo tiene occupato fino alle dieci e mezza.
“Skye, hai finito?”
“Sì.”
“Andiamo a fare un giro.”
“Ok.”
Mi cambio e lascio le chiavi della macchina a lui, che decide di portarmi a uno dei primi parchi di Londra che abbiamo visitato una volta arrivati qui.
Non c’è praticamente nessuno, solo io e lui che tenta di prendermi per mano, io però sono più furba e corro verso le altalene. Incurante del fatto che siano coperte da un leggero strato di brina mi ci siedo sopra e comincio a spingere dando origine a una sinfonia di cigolii che probabilmente si sente a chilometri di distanza.
Lui mi raggiunge poco dopo e si siede sull’altalena in parte alla mia che non regge il suo peso facendolo cadere si schianto nel fango sottostante.
Quando si rialza io scoppio a ridere, sembra che se la si fatta sotto, in altri tempi lo avrei aiutato, ma oggi se la può cavare da solo.
Una volta ripulito in qualche modo riprendiamo la passeggiata e lui mi indica una giostra deserta e paga due corse al giostraio che ci guarda come se fossimo picchiatelli, io indico Mark.
Questa scena ha il sapore di qualcosa di già vissuto, lui la fatto la stessa cosa la prima volta che siamo venuti qui e allora avevo sorriso raggiante, oggi sorrido amara.
I replay non sono belli, soprattutto se i protagonisti si riducono a essere la brutte copie di sé stessi: una volta eravamo la coppia perfetta, quasi da fiaba, sempre allegri e sorridenti, ora siamo una coppia in pezzi che cerca pateticamente di rimettere insieme i cocci.
Mentre la giostra gira e diffonde una musica da carillon ottocentesco, sento anche l’eco delle nostre risate di qualche mese fa, lugubri fantasmi  dei bei tempi.
Il giro finisce e io e Mark ce andiamo, Mark tenta ancora di prendermi la mano senza che io glielo permetta. Ha uno sguardo ferito, io mi sento vagamente in colpa, ma ogni volta che lui ci prova ci sono due pensieri che configgono nella mia testa con la forza di una bomba nucleare: quella è la stessa mano che ha toccato e preso per mano quella di quella troia di Jen e poi il mio desiderio che al suo posto ci fosse Tom.
Non va bene.
Prima pensavo che la mia attrazione per Tom fosse solo voglia sessuale inappagata, ora inizio a vederla sotto un’altra luce. Mi manca lui e i suoi mille strambi gesti quotidiani e mi mancano Ava e JoJo e Mark di contro è quasi un estraneo.
Ho il sospetto che il mio matrimonio non finirà solo perché lui ha avuto una relazione con Jennifer, ma anche perché io ho un altro nella testa e presto lui se ne accorgerà.
Usciamo dal parco, lui ha un’aria scura che raramente gli ho visto.
“Ho il sospetto che andarmene da Jen sia stata la cazzata più grande della mia vita, ho il sospetto che la pagherò cara e che questo è solo l’inizio.
Pensi davvero che qualcosa possa cambiare in questo mese tra di noi?”
“Vuoi una risposta onesta?
Penso di no. Ogni volta che ti avvicini penso che hai stretto, preso per mano, consolato e baciato Jen e provo un senso profondo di disgusto per questo.”
“In questo mese cercherò di fartelo dimenticare e se non ce la farò sarai di Tom.”
Io sgrano gli occhi.
“Come fai a saperlo?”
“Beh, mi sono accorta che ogni tanto involontariamente lo cerchi e che ti mancano i suoi figli. Alla fine sarai l’ennesima ragazza che mi sono fatto fregare dal mio migliore amico, ammesso e non concesso che io possa chiamarlo ancora così.
Ma per te brucia di più, perché non sei più un amore adolescenziale, sei mia moglie, quella con cui speravo di dividere la vecchiaia.”
“Mi dispiace, Mark.”
Lui alza le spalle.
“Magari ce la faccio a convincerti, sono abbastanza persuasivo se voglio.”
Sì, lo sa essere e magari finirà come dice lui, ma io sono un po’ scettica.
Saliamo in macchina senza dirci nulla, Mark questa volta lascia che il silenzio cali senza tentare di riempirlo con una sola sillaba.
Entrambi abbiamo tanti pensieri in testa, entrambi siamo preoccupati per il futuro.
Entrambi abbiamo giocato con il fuoco e alla fine ci siamo scottati, come dei bambini irresponsabili.
Sarà dura uscire da questa situazione – sia che rimaniamo insieme, sia che divorziamo – e molte persone soffriranno. Purtroppo è così che va la vita, a volte ti fa degli sgambetti pazzeschi e a te non rimane altro che cadere e vedere cosa ci sarà dopo.
Arrivati a casa preparo il pranzo, Mark lo mangia senza problemi poi va a letto, dicendo di essere stanco.
Non appena sento chiudersi la porta della mia camera, prendo in mano il mio cellulare e un pacchetto di sigarette ed esco in terrazza.
Mi accendo una sigaretta e chiamo Anne, il telefono suona un po’ a  vuoto poi sento la voce di Jack rispondermi.
“Ciao tesoro, come stai?”
“Ciao mamma” Sto bene!
Oggi zia Anne mi ha portato alla spiaggia per fare surf e ho conosciuto un sacco di ragazzi interessanti. Loro sono bravissimi a fare surf e io vorrei diventare bravo come loro, così stupirò Ava.
E poi mi sto abbronzando e c’è il sole tutti i giorni!”
C’è una nota di autentico stupore nell’ultima frase che mi strappa un’autentici risata.
“Jack, vivevi in California fino all’anno scorso, perché sei così sorpreso?”
Di là c’è una pausa di silenzio e scommetto che si sta grattando la testa.
“Beh, non lo so. So solo che tutto questo sole mi piace di più della pioggia di Londra.”
Eccolo, il mio piccolo vero californiano.
Parliamo ancora un po’, poi ci salutiamo e io rimango con il cellulare in mano e tanta nostalgia nel cuore, manca anche a me il sole della California e mi manca mio figlio. Sinceramente Londra mi ha stancato, vorrei andarmene, ma se devo provare a far funzionare le cose con Mark devo reprimere questo desiderio perché lui non ha nessuna intenzione di tornare stabilmente a San Diego, al massimo a New York.
Che palle!
Finito di lamentarmi compongo un altro numero, quello di Tom, e aspetto che qualcuno mi risponda.
Dopo qualche squillo è lui a rispondermi.
“Ciao Tom, come va?”
“Bene, anche se la battaglia per divorziare da Jen sarà piuttosto dura, intanto il mio avvocato ha chiamato il suo investigatore privato personale per raccogliete le prove dei tradimenti di Jen. Tu?”
“Male, sento come se Mark fosse un estraneo.
Odio che mi abbracci, che mi  tocchi, che mi baci o mi prenda per mano perché subito mi ricordo che ha fatto tutte queste cose con Jen e mi viene il disgusto.
Temo che il nostro matrimonio abbia poche speranze di uscire vivo da questa storia, Mark ha esagerato.”
Lo sento sospirare.
“Non riesci a passarci sopra, vero?”
Io rimango un attimo in silenzio.
“No, non ci riesco. Ci sto provando, ma non ci riesco.”
Prendo una lunga pausa.
“E mi manchi.”
Dall’altra parte c’è un lungo silenzio.
“Anche tu e questo non va bene.”
“No, ma sta succedendo e ho il sospetto che prima o poi dovremmo farci i conti.”
“Anche io, ma tu adesso cerca di salvare il tuo matrimonio, almeno provaci.”
“Lo farò, lo devo a Jack.”
“Già, ciao Skye.”
“Ciao Tom.”
Chiudo la chiamata e sospiro, poi torno dentro e mi sdraio sul divano, anche io sono stanca.
Vengo svegliata poco dopo dal campanello, è la donna delle pulizie e la faccio entrare insonnolita.
“Scusa, Namita ma mi sono addormentata.”
Lei sorride.
“Perché non sei andata  a letto, signora?”
“Perché è tornato il signore.”
“Bello.”
Io non dico nulla e acchiappata la giacca e la borsa esco, voglio fare un giro da sola per Londra.
Prendo la macchina e raggiungo il mercato di Porto Bello, lascio la giacca in macchina e mi acciò fra le bancarelle. Compro un paio di anfibi neri con dei fiori fucsia e un chiodo da punk, al primo angolo metto anfibi e chiodo e metto le mie scarpe nel sacchetto degli anfibi, con la mia gonna scozzese sto benissimo, mi mancano forse delle spille.
Mentre sto meditando se prenderle o meno una voce mi chiama: è Ava.
“Ciao, Skye! Cosa fai qui?”
“Niente, cerco di comprare qualcosa.”
Lei guarda il mio chiodo e gli anfibi e annuisce.
“Bella scelta! Ne ho appena presi anche io un paio, solo che sono viola.
Doc Martens.”
“I Doc Martens mi ricordano la mia adolescenza.”
“Come va con zio Mark?”
“Va.”
“Ti piace mio papà.”
Io non rispondo.
“Ti va se ci facciamo questo giro insieme?”
Lei annuisce, da quando non è più Jen a decidere il suo abbigliamento sembra molto più Tom. Oggi indossa un paio di pantaloni a tre quarti neri, degli anfibi neri, dei calzini a righe rosse e nere, una giacca dell’esercito tedesco aperte da cui si intravvede una felpa della Adidas gialla a righe verdi e un sacco di braccialetti..
Gironzoliamo a lungo tra le bancarelle, provando di tutto, dai cappelli con le piume e i boa di struzzo, alle cose da hippie. Alla fine lei si compra un paio di pantaloni nepalesi a righine e un maglione enorme a righe gialle, verdi e rosse. Io mi prendo una borsa di tela, un vecchio disco dei Sex Pistols  e una chitarra.
Ci salutiamo quando lei sale sul suo pullman e io torno verso la macchina con i miei acquisti, sono abbastanza di buon umore.
Peccato che sia destinato a svanire quando rientro a casa e trovo un Mark arrabbiato in salotto.
“Dov’eri?”
“Al mercatino di Porto Bello.”
“Con chi?”
“Con Ava, l’ho incontrata là.”
“Perché non hai risposto alle mie chiamate?”
Io tiro fuori il cellulare e mi accorgo che in effetti ci sono tre chiamate senza risposta con il numero di casa.
“Non le ho viste.”
“Perché non hai lasciato un biglietto o hai detto a Namita dove andavi?”
“Non mi è venuto in mente.”
Lui mi guarda, scuote tristemente la testa e poi va in cucina.
In tempi normali avrei avvisato, oggi non mi è nemmeno passato per la testa.
Questi non sono tempi normali e se è vero che è dalle piccole cose che si vede la solidità di un rapporto, direi che il nostro è molto traballante.
Temo che il nostro matrimonio non reggerà, anzi ne sono quasi sicura.

Angolo di Layla

Ringrazio fraVIOLENCE e ValeDeLonge per le recensioni.

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Capitolo 7
*** 7)I never thought what could take me out was hiding down below. ***


7)I never thought what could take me out was hiding down below.

 

Da quando Mark è tornato di nuovo a casa sono passate due settimane.
Lui tenta in ogni modo di farsi perdonare con rose e colazioni a letto, io sono piuttosto fredda, lo ringrazio e penso che Tom mi manca.
Mio marito mi corteggia e il mio pensiero è rivolto quasi sempre a un altro, non va bene.
Gli ho permesso di dormire con me nel letto, ma stare abbracciata a lui più che un leggero senso di protezione e serenità  non mi dà altro: è come stare abbracciata al mio migliore amico, fa piacere, ma non ispira sesso.
Anche questa mattina si sveglia, mi dà un bacio dietro l’orecchio e mi sussurra: “Buongiorno.”
“ ’giorno Mark.”
“Cosa facciamo oggi?”
“Io lavoro fino alle dieci e tu dovresti preparare le valige, domani devi essere a New York.”
Lo sento sospirare.
“Che palle.”
Si alza e io trattengo un sospiro di sollievo, lo guardo andare in cucina in boxer, grattandosi una chiappa.
Gli voglio bene, ma non lo amo più.
La rivelazione mi colpisce come un fulmine e mi fa alzare di scatto dal letto.
Inseguo Mark e lo prendo per un polso, lo faccio voltare verso di me e lo bacio.
Cerco di metterci tutta la passione che posso, ma non ci riesco, non provo più nulla di quello che provavo prima: niente farfalle nello stomaco, niente amore, niente eccitazione.
Lo trascino a letto e lo baciò fino a che non ho più fiato, poi scendo a baciargli la mascella, il collo e il petto, lui freme sotto i miei tocchi, io sono disperata.
Continuo a non sentire nulla.
Lui ribalta le posizioni e mi toglie il reggiseno, bacia e gioca con i miei seni, mi toglie le mutande e mi accarezza lì.
Ribalto di nuovo le posizioni e gli tolgo i boxer. Gioco per un po’ con il suo pene, poi finiti i preliminari lui entra in me con una spinta violenta.
Sa di ripresa di possesso, ma a me dà fastidio. Continua a spingere e io lo assecondo fino a quando non viene e crolla su di me.
Io lo sposto e lui scoppia a piangere abbracciando il cuscino.
Io tento di toccarlo, ma lui si sposta.
“Mark.”
“è finita Skye.”
Io mi stendo a guardare il soffitto.
“Sì, è finita.”
Piango anche io.
“Come cazzo abbiamo fatto a farla finire?
Perché non siamo stati capaci di far ripartire il nostro matrimonio?”
Io sospiro.
“Perché abbiamo tentato di far finta che non fosse successo niente e invece era successo tutto.
Mi hai tradita, hai scopato un’altra donna e ti sei invaghito di lei e poi hai detto di averlo fatto per sesso.
Ti sei comportato come uno di quegli uomini che vanno a puttane e dicono che è per sesso, se ami una persona non hai bisogno di tradirla né di andare con una puttana.
Stai con lei, perché ti basta lei. Ami lei e i suoi difetti, ami lei e il modo in cui fate l’amore, non cerchi un’altra.
Io mi fidavo di te, mi sono sempre fidata di te, non ho mai avuto paura che tu mi tradissi perché sapevo che mi amavi. So che non avresti mai ceduto a nessuna avance da parte di una fan o ti saresti fatto una groupie, ora non so più nulla.
Ora non sento più fiducia per te e non sento nemmeno di voler far l’amore con te, quando mi abbracci non sento le farfalle nello stomaco, solo un lieve senso di protezione, quello che ti può dare il tuo migliore amico.”
“Friendzoned dopo tanti anni di matrimonio.”
Il suo sorriso è amaro.
“Scommetto che ti piace Tom.”
Io rimango zitta, so quanto ha sofferto quando era giovane per le sue ragazze che finivano per innamorarsi tutte di Tom.
“Skye, sii sincera, ti prego.”
“Sì, Mark. Mi dispiace, ma è quello che è accaduto. Lui era qui quando tu non c’eri, ha asciugato le mie lacrime, mi ha consolato e mi ha detto che tu saresti tornato.
Non ha mai detto nulla contro di me, non ti ha mai insultato, è semplicemente stato qui con me quando avevo bisogno di qualcuno.”
Lui non dice niente, continua a piangere e io mi alzo per mangiare qualcosa, è la colazione più triste della mia vita.
È la colazione di una persona che ha perso la guerra e che sa di aver ferito una persona a cui tiene, mentre bevo il mio caffè scoppio a piangere.
Lacrime e caffè, che strano miscuglio.
Sconfitta e forza insieme.
 

A mezzogiorno preparo un pranzo veloce e vado a chiamare Mark, si è addormentato come un bambino abbracciato al cuscino e con i segni delle lacrime sul volto.
Io lo scuoto leggermente.
“Ehi, se vuoi c’è il pranzo pronto.”
“Non ho fame.”
Rimane un attimo in silenzio.
“Skye, per favore stai qui con me.”
“Vado a spegnere il forno e arrivo.”
Detto fatto, quando torno mi sdraio accanto a lui che subito mi attira in un abbraccio e appoggia il suo mento sulla mia spalla.
“Ti amo.”
Gli prendo una mano.
“Vorrei dirti “Anch’io”, ma sarebbe una bugia.”
“Cosa diremo a Jack?”
Io faccio una risatina stupida, che odio.
“Non ci sarà bisogno di dirgli molto, capirà tutto da solo e chiederà di stare con te.”
“Perché?”
“Perché ama Ava.”
Mark diventa rigido.
“A dieci anni non si ama.”
“Davvero? Tu a dieci anni non amavi nessuno?”
Lo sento rilassarsi.
“Sì, una bambina che viveva nella parte povera di Poway. Volevo sposarla, solo che poi lei è… morta e io non ho potuto fare nulla.”
“Come si chiamava?”
“Sally. Aveva i capelli rossi, quando stava al sole sembrava che avesse un incendio in testa  e poi era bravissima a fare skate e a trafficare con i motori e aveva una risata argentina.”
“Vedi che a dieci anni ci si innamora, tu te la ricordi ancora dopo trent’anni e sono certa che se Sally fosse vissuta te la saresti sposata.”
Lui sospira.
“Probabilmente hai ragione.”
“Com’è morta?”
“Suo padre un giorno è impazzito e ha fatto fuori tutta la famiglia, poi con l’ultimo colpo si è sparato. Non è sopravvissuto nessuno.
Il giorno del suo memorial a scuola ho pianto come una fontana, non potevo credere che la mia Sally forse morta, che non l’avrei più vista giocare, ridere, ne avrei giocato con i suoi capelli rossi.
Hai ragione, a dieci anni ci si può innamorare e se proprio deve essere spero che Jack sia felice con Ava.”
“Anche io.”
Lui mi stringe più forte e non dice più nulla, nella stanza si sente solo il rumore dei nostri respiri: sono calmi e pesanti.
Sento la tristezza e il dolore di Mark avvolgermi come una morsa, la fine del nostro matrimonio gli sta facendo un male d’inferno e io vorrei poter tornare ad amarlo come facevo una volta.
Non posso, purtroppo.
Certi rapporti sono come vasi, quando si rompono non possono essere ricomposti e rimessi insieme, mancheranno sempre dei pezzi che non potranno essere ritrovati.
Buffo.
Sembravamo così solidi, invincibili e alla fine siamo caduti, non abbiamo retto e fa male.
Rimaniamo così tutto il pomeriggio, la luce entra gradatamente sempre più fioca nella stanza e le nuvole si affollano sul cielo di Londra. Poco dopo scoppia un temporale, ad annunciarlo è un lampo che squarcia il cielo.
Sento che anche Mark lo sta guardando.
“Anche la prima volta che abbiamo fatto l’amore, poi si è scatenato un temporale.”
Io non dico nulla, non ho voglia di rimestare nel passato e non dovrebbe farlo nemmeno lui, si soffre e basta.
“Vado a scaldare la cena.”
Lo lascio a letto da solo e  mi reco in cucina, accendo il forno in cui avevo infilato due pizze e spero che non siano troppo secche o immangiabili.
Poi prendo una sigaretta ed esco a fumare sul terrazzo di casa mia, fuori si è scatenato il diluvio universale, la gente corre per le scale e si ripara come può: qualcuno sotto le terrazze, altri con il giornale o altro sulla testa.
Dicono che la pioggia purifichi, dicono che lavi via il dolore e io spero sia così.
Spero lavi via il dolore di Mark e il mio senso di colpa.
Spero che ci liberi da quella sensazione di oppressione che ci pesa sul cuore.
Non ho mai desiderato che il mio matrimonio finisse – è successo e basta – ma non credevo finisse così. C’è troppo dolore, troppa tristezza, troppo senso di colpa.
Mark mi raggiunge.
“è bella Londra.”
“Sì.”
“Non si se ci rimarrò.”
“Nemmeno io.”
Torniamo dentro.
“Pensi che Jack preferirà rimanere qui o tornare in California?”
Io mi gratto il mento pensosa.
“Forse tornare, dovresti chiederglielo.”
“Lo farò tra quindici giorni.”
Il tono è calmo e misurato, quello che si usa tra estranei per essere cortesi l’un l’altro e mi causa una fitta al cuore.
Lo abbraccio e seppellisco la testa nell’incavo del suo collo.
“Ti voglio bene, ti voglio bene, mi  dispiace.
Non hai idea di quanto mi dispiaccia che tutto finisca così, non voglio che tu soffra.”
Inizio a piangere come una bambina, lui mi alza il mento.
“Se io non ti avessi mai lasciato a quest’ora non saremmo in questa situazione, quindi è anche colpa mia.
Ti voglio bene anche io e per quel che vale ora non rifarei quello che ho fatto, ma ormai è tardi.
Io me ne sono andato e ti ho lasciata indietro come se fossi una cosa di poco conto quando invece non lo eri. Sono stato stupido e supponente, pensavo che mi avresti perdonato come se niente fosse, non ti ho rispettata e ora ne pago le conseguenze. Spero solo che se diventerai la donna di Tom lui ti tratterà meglio di me.”
Io faccio un sorriso amaro – so quanto gli costi dire queste parole – e poi lo abbraccio.
Ti voglio bene, Mark.
Ti voglio tanto bene e spero che la prossima donna che incontrerai possa renderti più felice di me.

 

Il resto dei quindici giorni trascorre tranquillamente.
Ormai il nodo è sciolto, non ci sono più tentativi di corteggiamento, non ci sono moine inutili, ci siamo solo noi che conviviamo come due buoni amici.
L’ultima sera la trascorriamo insieme vendendoci un horror, poi usciamo in terrazza e ci sdraiamo su una coperta a guardare le stelle vicini.
Incredibilmente becchiamo una serata non nuvolosa e Mark mi mostra le costellazioni una per una.
“Me l’ha insegnato a mio padre quando ero un ragazzino, ora io spero di insegnarlo a Jack.”
“Lo farai, sei un buon padre.”
“Ma non sono stato un buon marito.”
“E io una buona moglie, siamo pari.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Non hai paura?”
“Da morire, mi sento come se stessi per lanciarmi in un’avventura assurda e pericolosa e tutta la mia razionalità mi dicesse di rimanere comoda a casa, che prima o poi le cose si perdonano perché il dolore perde forza.
Io, però, non voglio rimanere lì, mi sento soffocare e a costo di cadere e farmi male so  che devo andare.”
Mark fa un sorriso amaro.
“Conosco quella sensazione, niente al mondo potrebbe trattenerti dall’andartene da me, gli errori si pagano.”
“Deduco che non tornerai da Jen.”
“No, voglio una vera donna al mio fianco, non una che fa gli occhi dolci a tutti.”
“Spero la troverai.”
“Sarà dura sostituirti.”
Io non dico nulla, il senso di colpa sale lento a ondate e mi trascina via con sé.
Ci ho davvero provato fino in fondo a salvare il mio matrimonio?
Ricordo l’ultima volta che abbiamo fatto sesso e che io ho voluto e mi dico che ho fatto tutto quello che potevo, visto che tra noi non funzionava nemmeno il sesso e non era mai successo a memoria d’uomo.
“Ehi, ti va un’ultima canna fumata insieme?”
“Una volta non si concedeva la sigaretta ai condannati?”
Lui ridacchia.
“I tempi sono cambiati.”
Io rido con lui ed evito di dirgli che anche Tom ha ripreso con quella roba, credo che in questo momento non gli farebbe piacere sentire il suo nome.
Con calma Mark prende una sigaretta e la apre, mette il tabacco su una cartina e poi ci mette l’erba. In fondo mette il filtro e poi chiude la canna  e la accende.
Dà un primo tiro e poi guarda in alto, verso le stelle e le costellazioni, verso leggende inventate secoli fa per dare un nome e un disegno sensato al caos che ci sovrasta.
Sono solo leggende, ma, finché esisterà gente come Mark che le tramanderà al proprio figlio, continueranno a vivere.
Che strani pensieri.
Mi passa la canna.
“Io e te non abbiamo mai fumato insieme.”
“Mark, ti vergognavi a dire che fumavi erba, come se io non lo sapessi e tu non sapessi che anche io l’ho fumata in passato e che quindi non potevo in alcun modo condannarti.”
Lui ride.
“è vero, quanto sono stato idiota.”
“Nah, pensavi che potessi scappare probabilmente, ma…”
“Allora non lo avresti mai fatto.”
“Esatto.”
Un sorriso amaro gli increspa la bocca e in questo momento dimostra tutti i suoi quarantuno anni, non sembra un ragazzino, sembra un uomo vissuto a cui sono successe parecchie cose brutte nella vita.
“Sono un coglione, Skye.”
Io non dico nulla e do un altro tiro alla canna.
“Ti ho sposato anche per quello e continuo a volerti bene. Non è facile nemmeno per me constatare che quello che credevo un matrimonio solido è ceduto di schianto.”
“C’è una sola differenza tra me e te. Io domani dovrò continuare a fare i conti con le macerie, tu te ne andrai da Tom.”
“Non è detto che mi voglia.”
Lui ride e non mi risponde.
Forse sa qualcosa che io non so, ma io non ho voglia di approfondire, che senso avrebbe?
Se riguarda Tom lo scoprirò presto.
“Attenta a Jen.”
“Lo so, tirerò fuori gli artigli e la farò pentire di essersi messa contro di me, mi stava già sul cazzo prima.”
Lui ride triste.
“Scommetto che avevi capito subito che tipo era.”
“Sì, di solito le donne capiscono quasi subito che tipo di persona hanno davanti, gli uomini invece si fanno abbindolare facilmente.”
“Hai ragione.”
“Mark ho sonno.”
Lui annuisce e finisce la canna, poi entra e butta via i resti nella spazzatura, dopo di che esce ancora e mi prende in braccio.
Con delicatezza mi deposita sul letto, mi toglie i pantaloni da casa e le ciabatte, poi mi mette sotto le coperte e se ne va.
Vedo la luce del bagno accendersi e sento l’acqua che scorre, probabilmente si sta lavando i denti.
Do un’occhiata alla stanza, quelle valige messe in un angolo mi mettono tristezza, è incredibile come in quattro cose di metallo e plastica ci si possano infilare anni di vita, persone e rapporti.
In quei quattro trolley dimessi e un po’ rovinati ci sono i miei anni di matrimonio con Mark e il mio amore per lui, nostro figlio e i nostri desideri di trascorrere la vecchiaia insieme.
In quattro fottuti trolley.
Lui torna dal bagno, si toglie pantaloni, calzini e ciabatte e poi si sdraia dietro di me e mi abbraccia, appoggiando il mento sulla mia spalla.
“Che merda, domani dovrò fare l’allegro quando mi sento a lutto.”
“Mi dispiace, ma pensa che poi puoi andare a trovare Jack da tua sorella, sarà felice di vederti e… portagli una nuova chitarra.”
“Perché? Cosa è successo alla vecchia?”
“Piuttosto che farsi dare lezioni da Tom, l’ha rotta.”
Lo sento ridacchiare, mezzo fatto e mezzo isterico.
“Tutto suo padre, è proprio tutto suo padre!”
“Dovresti esserne orgoglioso.”
“Lo sono.”
Sorridendo mi addormento.
Piombo in un sonno senza sogni che dura sino al suono della sveglia di Mark. È arrivato il momento più difficile: lasciarlo andare e mettere davvero una pietra sopra a noi.
Ho il cuore stretto in una morsa di tristezza e so che per lui è lo stesso, se non peggio; deve essere dura andarsene sapendo di avere una parte importante nella piega che hanno preso gli eventi.
“Beh, è arrivato il momento.”
“Sì, è arrivato, Mark.”
Io prendo un lungo respiro.
“Sappi che ti voglio un mondo di bene e che quando starai meglio potrai sempre contare su di me e che non pensavo assolutamente finisse così.
Sappi che sei il mio migliore amico e che  farò in modo che per Jack non sia un trauma questa separazione.”
Lui mi abbraccia in silenzio.
“Sappi che ti amo e che ti amerò ancora per un po’. Se le cose con Tom non dovessero andare ci sono io.”
Io scuoto la testa e lo guardo fisso negli occhi blu.
“No, tu ti meriti una persona che ti ami, non una minestra riscaldata.”
Ci abbracciamo ancora a lungo, è un discorso senza parole in cui ci diciamo tutto quello che è necessario dirci e che non riusciamo a fare a voce.
Lui poi si stacca e uno ad uno porta i suoi trolley fuori dalla porta, mi dà un ultimo bacio e poi se ne va.
Io rimango da sola seduta sul divano inebetita.
Scoppio a piangere e abbraccio un cuscino.
Poco dopo smetto, non sono da sola, ora devo solo trovare il coraggio di richiamare Tom.
So che lo farò e spero che lui mi risponda e mi dica cosa provi per me prima o poi.
La vita non è finita, la vita è solo all’inizio.
Fa male viverla senza Mark, ma fingere per anni sarebbe stato peggio.
È con questi pensieri in testa che mi riaddormento.
Ce la posso fare.

 

Angolo di Layla

Ringrazio ValeDeLonge per la recensione. 

 

 

 

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Capitolo 8
*** 8)Lost the battle, win the war. ***


8)Lost the battle, win the war.

 

Dicono che dopo la tempesta esca sempre il sole, non so se sia vero per le persone e i rapporti, ma di certo vale per Londra.
Dopo il tremendo acquazzone di ieri adesso splende un bel sole e mi sembra di buon auspicio. È mezzogiorno e mi sono appena svegliata, salutare per sempre Mark non è stato facile, ma ce l’ho fatta, ora ho bisogno di sentire Tom.
Non ci sentiamo decentemente da quando ho provato a far funzionare di nuovo il mio matrimonio e mi manca disperatamente.
Compongo il numero e mi risponde subito.
“Pronto?”
“Ciao Tom, sono Skye!”
“Dio, ti ringrazio!”
Sento dei rumori di lotta e un: “Vai via, cagna! Non ti voglio! E rivestiti, per Dio, che mi fai schifo!”
Poi c’è la voce suadente, si fa per dire di Jen, e il rumore di qualcuno che viene scaraventato fuori dalla stanza con tanto di porta sbattuta.
“Tom?”
“Sì?”
“Cosa diavolo stava succedendo da te?
Ti ho interrotto mentre stavi scopando?”
Pongo quest’ultima domanda con il cuore in gola, se mi dicesse di sì esploderebbe in mille pezzi all’idea che lui sia stato toccato da mani estranee.
“Mi hai appena salvato da un tentativo di stupro da parte di Jen, ti devo la vita.
Come mai mi hai chiamato?”
“Perché mi mancavi e volevo vederti.”
Decido che la sincerità è la tattica migliore.
“E con Mark?”
“Non è andata.”
Lui sospira.
“Lo immaginavo. Va bene vediamoci a pranzo al mio hotel e …. Mi sei mancata anche tu.”
Io sorrido come una quindicenne alla prima cotta e sempre con questo sorriso addosso mi preparo e poi esco godendomi il sole londinese.
Che bella giornata!
Arrivo al suo hotel e lo trovo nella hall: indossa un paio di jeans scuri, una camicia a quadri e delle Macbeth, io sono vestita più o meno come l’altro giorno, solo con un trucco più scuro.
“Stai benissimo, sembri una ragazzina!”
“Grazie, tu come stai?”
Lui sbuffa.
“Male, Jen mi tampina. Da quando Mark l’ha mollata si è ricordato che ha un marito e mi sta tampinando.
Peccato che a me di lei non interessi nulla.”
Io sorrido involontariamente.
“E quel sorriso?”
“Quale sorriso?”
“Lascia perdere, come mai non è andata con Mark?”
Io sospiro.
“Perché mi sono accorta che non lo amo più.
Gli voglio infinitamente bene, come se fosse mio fratello, il mio migliore amico, ma non c’è più l’amore.
Credo di stare iniziando a provare questo sentimento per un’altra persona, ma ho paura che non ricambi e temo il giudizio della gente.”
Sto procedendo in punta di fioretto, ma credo che Tom abbia già intuito qualcosa perché la sua espressione muta impercettibilmente.
“Dei giudizi della gente dovresti fregartene, loro non conoscono la tua situazione e se non dirai mai nulla a lui non saprai mai se ti ricambierà.”
“Hai ragione.”
Rimango un attimo in silenzio.
“E se quella persona fossi tu?”
“Ne sarei felice perché ho una cotta per te da tantissimo tempo.”
“Da-davvero?”
Lui annuisce con gli occhi puntati a terra.
“Sì, lo sa anche Mark e mi sembra un miracolo che tu possa ricambiare.”
Io rimango senza parole, in tutto questo tempo non ho mai capito nulla, Tom è bravo a mascherare i suoi sentimenti e poi in fondo deve tenerci a Mark se non ci ha mai provato con me.
“Anche a me sembra tutto troppo bello, dove sono le rogne?”
Faccio mezza seria e mezza ironica.
Lui ride.
“La rogna sarà Jen, ma forse possiamo superarla insieme se vogliamo.”
“E questo cos’è? Un “Voglio uscire con te, Skye Hoppus.”?”
Lui mi guarda serio.
“Sì, è esattamente questo.
Vuoi uscire con me? Vogliamo provarci seriamente con la consapevolezza che solleveremo un casino immane?”
Io deglutisco, penso per un attimo a Jack e ai figli di Tom, ma  poi lascio che sia il cuore a prendere il sopravvento.
“Sì, ci voglio provare.
Lo devo a me stessa e al mio divorzio.”
Lui sorride e mi prende per mano, conducendomi verso la sala da pranzo poco gremita dell’albergo.
“Allora iniziamo da questo pranzo.”
“Ava e JoJo dove sono?”
“Ava è da un’amica, JoJo all’asilo ha la mensa, quindi siamo soli. Mancano le candele e tutto il resto, fa niente?”
Io rido.
“Fa niente, quelle le riserviamo per un’uscita serale, cosa ne dici?”
Lui annuisce.
“Mi sembra una buona idea.”
“Tom, come farai con i tuoi figli?”
Lui si gratta il mento.
“Ava ti ha già accettata e anche a JoJo sembri stare simpatica, dovremo stare attenti a Jen. Non vorrei che lo manipolasse, Ava è a posto.”
“Ava ti somiglia molto, dubito che qualsiasi cosa le proponga sua madre la accetti.”
“Hai perfettamente ragione, litigavano già molto prima che lei ci lasciasse per Mark, in qualche modo sapeva anche delle altre storie di Jen.
Ha le orecchie lunghe quella bambina.”
“Un po’ come te.”
Lui mi riserva uno dei suoi sorrisi teneri e annuisce, deve amare molto sua figlia.
“Mi piace come ami i tuoi figli, sei una brava persona.
Un uomo che ama i propri figli è una brava persona.”

 

Il pranzo trascorre tranquillamente, la vera sorpresa arriva dopo.
Dopo infatti decidiamo di fare un giro per Londra, i nostri progetti vanno però in fumo non appena vediamo una massa di giornalisti fuori dall’albergo.
Deve averli chiamati Jen, quella carogna, così noi siamo asserragliati senza via di fuga e di pessimo umore, o almeno io lo sono.
Non che mi dispiaccia stare con Tom, non mi è piaciuto il comportamento di quella vacca che ha subito chiamato i giornalisti e che presto – ne sono certa – reciterà la parte della vittima, della povera moglie tradita, cosa che non è affatto.
Non è una vittima, né una moglie tradita, è solo una stronza qualunque a cui il destino sta restituendo il male che ha seminato durante gli anni.
Non provo un briciolo di compassione per lei, solo odio. Prima mi ruba il marito, poi lo molla e cerca di riprendersi il suo solo perché ora sta uscendo con me.
Puttana da quattro soldi.
“Quanto la odio!”
Ringhio guardando dalla camera di Tom la folla di giornalisti e operatori che c’è sotto di noi.
“Questo è ancora niente.”
Mi dice cupo lui, io mi siedo sul letto e gli faccio appoggiare la testa sulla mia spalla.
“Come hai fatto a sposarla?”
“Questa è una bella domanda, ma non so rispondere. Immagino mi abbia preso all’amo con il suo sguardo da cucciolo, quando lo fa pochi uomini sulla faccia della Terra sono in grado di resisterle.”
Io sbuffo.
Al diavolo lei e il suo maledetto sguardo.
“Sai che da quando siamo qui non ci hai provato nemmeno una volta?”
Lui ride di gusto.
“Con te voglio andarci piano perché mi piaci davvero.”
Io sorrido.
“E voglio uscire di qui perché mi manca l’aria.”
“E come?”
“Spogliati e mettiti questi.”
Mi porge dei suoi vestiti, in cui io sto larghissima, io eseguo e poi usciamo dalla sua stanza.
“Cosa hai in mente?”
Lui non mi risponde e ferma un cameriere.
“Ehi, mi dai la tua uniforme?”
Il cameriere è un ragazzo di vent’anni al massimo e sgrana agli davanti a quella strana richiesta.
“Non voglio farci niente, non è un avance, io ho bisogno di uscire e con la tua divisa posso.”
Lui deglutisce.
“Sì, signor DeLonge. In cambio mi farebbe un autografo?”
Lui annuisce e firma un pezzo di carta, poi torniamo in camera per cambiarci. Lui indossa la divisa e poi finalmente possiamo uscire.
Nessuno fa caso a un cameriere e a quello che sembra un ragazzino.
Saliamo in macchina.
“Ce l’abbiamo fatta!”
Vestiti così ci dirigiamo verso il parco, finalmente siamo liberi!!
Arrivati al primo bar ci cambiamo di nuovo – da brava persona previdente mi sono portata dietro i nostri vestiti – e ora possiamo goderci la pace di questo spazio verde.
È naturale prenderci per mano e comportarci come una coppietta: ridiamo e ci scambiamo battute stupide.
Mi piace il sorriso che c’è sul suo volto, mi piacciono le fossette che si formano, gli di vedono gli zigomi e fanno venire voglia di pizzicargli le guance.
Una volta non resisto alla tentazione e gliele pizzico, lui fa una smorfia buffa, ma non dice nulla.
“Scusa, sono irresistibili!”
Butto lì a mo’ di spiegazione, facendolo ridere.
“Sei l’unica che si è accorta delle fossette.”
Io arrossisco di botto.
“Ah! Ti ho fatta arrossire!”
“Mannò!”
Io arrossisco ancora di più e lui mi bacia a tradimento, io sorrido e rispondo con tanta passione.
“Tiramele più spesso le guance.”
“Ogni volta che sorridi se necessario.”
Lui ride e mi trascina verso un chiosco dove vendono delle crepes, non sono buone come quelle francesi, ma non sono nemmeno male.
Ci sediamo su un panchina vicino alla pista da skate e osserviamo pigramente le evoluzioni delle persone che la frequentano.
“Quanto mi piacerebbe tornare a fare skate.”
“Torna.”
“Devo stare attento alla schiena e poi mi sentirei a disagio con ragazzi che hanno la metà dei miei anni.”
“Non sembra che tu abbia trentasette anni.”
Lui sorride.
“Nemmeno tu, sembra che per te il tempo si sia fermato a venticinque anni.”
“Sei troppo buono, ho anche io le rughe e poco prima che Mark mi lasciasse ho trovato il mio primo capello bianco.”
“Per me sei sempre bellissima.”
Lui apre le braccia e le appoggia alla panchina, io ne approfitto per appoggiarmi nell’incavo delle ascelle: comodo.
“Quel ragazzo è bravo.”
“Per me sono tutti bravi, non  sono capace di stare in piedi su una tavola da skate, Mark ha provato ad insegnarmi, ma alla fine si è arreso.”
Lui scuote la testa divertito, forse si sta immaginando la scena: io che provo ad andare e che cado regolarmente. Deve essere comico visto dall’esterno, io invece ricordo le ginocchia sbucciate della settimana dopo e rido un po’ di meno. I miei colleghi mi hanno presa in giro tutto il tempo, a proposito di colleghi, questa settimana scade la mia aspettativa, tra poco li rivedrò.
Che palle!
Sbuffo involontariamente e Tom mi guarda curioso.
“Niente, pensavo che tra poco rivedrò i miei colleghi.”
“Saranno tutti gelosi del tuo nuovo fidanzato.”
“O mi considereranno una puttana.”
Lui mi passa un braccio attorno ai fianchi.
“Non lo sei, non lo sei mai stata.
Hai cercato di fare funzionare le cose fino alla fine, ma non ci sei riuscita. La maggior parte delle persone si ferma prima o inscena una pietosa commedia per i figli che non inganna nessuno.
I figli si accorgono di quando va male tra i genitori e stanno male il doppio, penso sia meglio un taglio netto a volte.”
“Sei cresciuto dal ragazzo di stay together for the kids.”
Lui guarda lontano.
“La vita ti fa crescere certe volte.”
Poi all’improvviso si volta e mi  bacia appassionatamente.
“Mi chiedo se stiamo facendo la cosa giusta.”
“Me lo chiedo anche io, a volte.”
“ E cosa ti rispondi?”
“Che quando sto con te mi sento bene, protetta, me stessa.
Mi sembra di tornare a respirare dopo una lunga apnea.”
Lui sorride impercettibilmente.
“Dovrei essere io il poeta della situazione, ma mi hai battuto. Io mi sento esattamente allo stesso modo, nonostante le tonnellate di senso di colpa che provo verso Mark e il pensiero che forse i miei figli non gradiranno questo cambiamento.”
“Anche io mi sento in colpa verso Mark e Jack, ma forse portare avanti una commedia sarebbe stato peggio, per Jack soprattutto.
Ho pensato un sacco in queste due settimane, ho analizzato tutte le possibilità e mi sono accorta che non sarei riuscita a fingere.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Anche io ho pensato molto e mi sono accorto che da quando avevamo provato a vivere come una coppia non sarei più riuscito a pensare ad altro se non a te, a noi.”
Io gli prendo una mano – grande, callosa, rassicurante – tra le mie.
“Ce la faremo, uniti ce la faremo.”
Lui annuisce e io mi sento meglio. È inspiegabile come certe persone ci mettano così poco a entrare nel tuo cuore e a occuparlo tutto in silenzio, quasi fossero nate per stare lì nei tuo affetti e nei tuoi amori.
Tom è uno di loro, se anche solo un anno fa mi avessero detto che avrei lasciato Mark per Tom, dopo che lui mi aveva tradita sarei scoppiata a ridere, ora queste è la mia realtà.
La vita ha scompigliato e rimesso tutto a posto con un’abilità incredibile, la più grande prestigiatrice del mondo.
Rimaniamo un altro po’ così, poi un’occhiata all’orologio di Tom ci fa capire che è arrivato il momento di andare a prendere Jonas.
Usciamo dal parco e saliamo sulla mia macchina, chiacchierando del più e del meno nel percorso che porta all’asilo.
Non è molto lontano, ma quando ci arriviamo ci troviamo davanti a una scena spiacevole, Jen sta tentando di portare via suo figlio, mentre lui si oppone con tutte le sue forze: piange, scalcia, urla, ma a lei non sembra interessare granché.
La faccia di Tom diventa una maschera di rabbia – credo di non averlo mai visto in quello stato – poi si lancia verso la moglie e prende JoJo in braccio, il bambino sorride tra le lacrime e lo abbraccia convulsamente.
“Cosa pensavi di fare, eh?”
L’urlo di Tom fa voltare parecchie madri.
“Volevo solo vedere mio figlio.”
“Peccato che lui non voglia vederti! Dovevi pensarci prima di andartene e mandare a puttane la tua famiglia!”
“Oh, e vuole solo te e la tua troia?”
Lo schiaffo di Tom risuona come una fucilata nel cortile dell’edificio.
“Non osare chiamarla troia, l’unica troia in questa storia sei tu e non farti più vedere qui o potrei dire al mio avvocato di fare in modo di non farti più vedere né Ava né Jonas.”
Detto questo, gira i tacchi e se ne va  tenendo il figlio in braccio e prendendo poi me per mano.
In macchina è ancora schiumante di rabbia, ha lo sguardo scuro e stringe con troppa energia il volante – le sue nocche sono ormai bianche – Jonas invece continua a piangere tra le mie braccia.
“Non voglio vedere la mamma, la mamma è cattiva!
La mamma ci ha abbandonato!”
“E non la vedrai più fuori dal tuo asilo, campione!”
La voce di Tom è mortifera, prevedo tempi duri per Jen e un divorzio per nulla facile: questa volta la cara Jenkins ha oltrepassato i limiti della pazienza di Tom e non poco.
Il mio nuovo compagno guida rabbioso tra le  strade di Londra fino a giungere in una lunga via fatta di case tutte uguali, le tipiche case con la porta dipinta di rosso e due o tre scalini che portano all’ingresso.
Parcheggia e ci fa segno di scendere. Io eseguo con Jonas che piange ancora sulla mia spalla, Tom intanto suona un campanello. La porta si apre e saliamo fino al secondo piano della casa, lì troviamo una porta dipinta di nero e Ava sulla soglia che ci aspetta.
Ci guarda confusa.
“Cosa ci fate qui e come mai JoJo piange?”
“Siamo venuti a prenderti e Jonas piange perché mamma è venuta a prenderlo fuori dall’asilo.”
La ragazzina impallidisce vistosamente, torna dentro e poco dopo esce con la zaino e la giacca in mano.
Torniamo di nuovo in macchina e Tom ci porta a casa mia, lì si ferma e ci fa scendere.
“Vado in hotel a prendere le nostre cose, anche a costo di abbattere quei maledetti giornalisti uno per uno.”
Parte sgommando, io lo guardo e poi con i bambini salgo fino al mio appartamento.
Jonas sembra essersi calmato, ma decido che comunque una cioccolata in queste condizioni non può che fare bene a tutti e  tre.
La preparo e la porto in tavola, entrambi sono molto felici della mia idea, io invece ho un dubbio che mi pesa sul cuore.
“Ava, perché ti sei spaventata tanto quando tuo padre ha detto che Jen è venuta a scuola a prendere Jonas?”
“Perché non voleva prenderlo, voleva rapirlo e portalo in California per toglierlo a papà.”
Non ci credo, non può davvero fare quello che ha detto Ava.
“JoJo, cosa ti ha detto la mamma?”
“Che mi avrebbe portato a casa, in California.”
La risposta nel bambino mi fa gelare il sangue nelle vene, che donna terribile!
Non solo abbandona la famiglia per niente, ma pretende anche di riprendersela al suo comando!
Poco dopo arriva Tom, lo aiuto a portare le valigie e poi a mettere via le sue cose e quelle dei bambini. È in quel momento che decido di tirare fuori la questione.
“Ava mi ha detto che Jen voleva rapire Jonas.”
“Ava ha ragione. Il piano di Jennifer era esattamente questo, fortunatamente le ho rotto le uova nel paniere.”
“è una donna terribile.”
“Lo è, ma questa volta darò battaglia e troverà pane per i suoi denti.”
Io rimango un attimo in silenzio, seduta sul letto della camera di Ava.
“Non avresti dovuto darle quello schiaffo, anche se se lo meritava.”
“No, non avrei dovuto, lo userà contro di me, ma ho perso la pazienza.
Non sono riuscito a controllarmi all’idea che potesse togliermi mio figlio, per cosa poi?
Per darlo probabilmente in mano a una serie infinità di baby sitter e tate, non è molto brava con i bambini e poi di sicuro ora deve cercarsi un altro uomo che la mantenga.”
Io annuisco.
Questa sera è un po’ agrodolce, iniziano già i primi problemi, ma sono sicura che insieme ce la faremo.
Dopotutto è questo che fanno le coppie, no?
Risolvere insieme i problemi e cercare di essere felici, nonostante gli ostacoli.

Angolo di Layla

Ringrazio fraVIOLENCE per la recensione.

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Capitolo 9
*** 9)Come on let me hold you, touch you, feel you. Always ***


9)Come on let me hold you, touch you, feel you. Always

 

La mattina dopo vengo svegliata dal suono del telefono.
Dall’altra parte del filo c’è Jack, lo sento felice e di conseguenza, anche se mi manca molto, mi sento felice anche io.
“Ciao mamma!”
“Ciao amore! Come stai?”
“Bene, sto imparando a fare surf e poi è venuto papà da zia Anne. Ha detto che si comprerà una cosa qui vicino e così potremo vivere insieme.”
“Sono felice, tesoro. Probabilmente anche io tornerò negli Stati Uniti, non posso stare troppo lontana dal mio ometto.”
“Papà mi ha detto tutto, stai con Tom, ora?”
“Io… sì.”
“Va bene. Passami Ava, per favore.”
Io lo accontento e chiamo la ragazzina, rimangono un po’ a parlottare tra di loro e poi lei mette giù il telefono sorridendo.
Cosa si siano detti rimane un mistero, ma dal sorriso di Ava deduco che abbiano tubato, se così si può dire per dei ragazzini di dieci anni.
Tom guarda sua figlia leggermente perplesso, immagino stia pensando a cosa fare con lei e a come valutare questa cotta che lei ha per Jack.
“Fra dieci anni mi ritroverò tuo figlio come genero.”
Borbotta alla fine, facendomi scoppiare a ridere.
Facciamo colazione tutti insieme e poi portiamo i  bambini a scuola, solo per un miracolo di una non ben specificata divinità riusciamo a fuggire dalla massa di mamme curiose.
Quelle della scuola elementare vogliono davvero sapere se sto con Tom, se è vero che io e Mark ci siamo lasciati e dove è Jack.
Quelle dell’asilo invece sono affamate di pettegolezzi su quello che è successo il giorno prima e vogliono sapere chi fosse quella donna. Solo una ragazza madre mostra un po’ di comprensione e forse ci riconosce perché distrae le altre arpie abbastanza a lungo da lasciarci il tempo di scappare.
Una volta arrivati in macchina ci sentiamo sicuri e ci dirigiamo verso il nostro solito bar, il barista ci sorride. Forse si è preoccupato perché non ci ha visto per così tanti giorni o forse era solo felice di avere dei clienti.
In ogni caso al nostro tavolo arriva anche la donna sdentata.
“Due cuori spezzati ne hanno formato uno nuovo?”
Io sorrido.
“Sì.”
“E lui è tornato?”
“Sì, è tornato, ma non era più lui la metà giusta del mio cuore.”
Lei sospira.
“Succede. Lasci un attimo la mano del tuo amore e quello si volta dall’altra parte e se ne va. La vita è mutevole. Vi auguro tanta felicità.”
“Grazie mille.”
Le rispondiamo in coro mentre arrivano le nostre ordinazioni.
Per fortuna c’è almeno una persona che non ci giudica a questo mondo.
Il cappuccino e le brioches sono buone come le ricordavo, fuori dal bar la ragazzina indiana e il ragazzo che avevamo visto baciarsi di nascosto al parco camminano tranquilli mano nella mano, segno che forse i genitori di lei non l’hanno né ammazzata né spedita in India.
Non posso fare a meno di sorridere, questo mi sembra l’inizio di una buona giornata.
È un presentimento giusto, la mattina trascorre tranquilla, a mezzogiorno mi metto a cucinare guardata a vista da vista da Tom che ha stampato in faccia un sorrisetto inesplicabile.
“Stasera mettiti carina, che ti porto fuori.”
“Oh, è un invito a cena ufficiale?”
Lui ride grattandosi la testa.
“Uhm, devo corteggiarti, no?”
“Sì, penso proprio che dovresti corteggiarmi.”
“Perfetto, allora aspettati di essere corteggiata da me e presto.”
Io sorrido e tra me e me mi dico che non ha alcun bisogno di corteggiarmi, mi ha già – sono qui con lui e non con Mark – ma mi piace che mi dedichi attenzioni, mi fa sentire bene.
Ho bisogno di qualcuno che mi faccia sentire bene dopo tutto il dolore di questo periodo e, anche se non pensavo che sarebbe stato lui quello che l’avrebbe dato, mi sento felice anche solo al pensiero della nostra cena insieme.
I miracoli dell’amore!
Come se avesse sentito i miei pensieri Tom si avvicina e mi abbraccia, baciandomi dolcemente il collo.
“Cosa stai preparando?”
“Pasta al pesto.”
“Il pesto sarebbe la roba verde?”
Indica scettica il pentolino in cui il pesto sta cuocendo tranquillo.
“Sì, è una ricetta italiana.”
“è buono?”
“Oh, sì!”
Lui sembra poco convinto, io lo bacio a tradimento e la questione pesto viene accantonata per il nostro bacio. Questa volta non c’è nulla di aggressivo, c’è solo dolcezza, in fondo ci conosciamo già e sappiamo che possiamo funzionare.
Mi stacco di malavoglia per controllare il cibo, fortunatamente lo faccio perché poco dopo arriva Ava.
“Sono a casa! Cosa c’è di buono?”
Urla dalla soglia.
“è tua figlia Tom.”
Lui ride.
“Sì. Pasta al pesto, tesoro!”
“Buona!”
Ava fa capolino in cucina e annusa l’aria come un cagnolino.
“Sì, ha un buon odore. Non è come quella che tentava di fare la mamma senza riuscirci, vado a preparare la tavola!”
Dice sorridendo, io invece scolo la pasta e preparo tre piatti, Tom decide di aiutare Ava e presto siamo a tavola tutti insieme.
Questo pranzo sa stranamente di famiglia e non di rovina famiglie, Ava mi ha accettato in pieno e subito. Jen deve essere stata una pessima madre, forse farcela non è poi così impossibile!

 

Il pomeriggio trascorre tranquillo se non per la mia ansia.
Non so cosa mettermi, mi sento impacciata come una ragazzina al primo appuntamento, voglio che Tom mi trovi attraente anche se non penso di avere bisogno di un bel vestito per quello.
In fondo mi ha visto in lacrime e con il trucco sfatto e non se ne è andato, al contrario è rimasto al mio fianco per asciugarmi le lacrime.
L’unica cosa da fare è rimanere calma.
Keep calm e andrà tutto bene, Skye!
Mi dico mentre respiro profondamente dopo aver fatto la doccia davanti al mio armadio straripante di vestiti, ma non di quello che io considero giusto.
Alla fine scelgo un tubino nero di seta senza maniche, molto semplice.
Mi lego i capelli in una semplice coda alta con i capelli che mi ricadono lisci sulle spalle e poi mi trucco. Scelgo un trucco smokey piuttosto elegante, ma con un po’ di personalità e alla fine un paio di scarpe a tacco altissimo con il cinturino e una pochette che contiene giusto le mie sigarette.
Quando esco Tom mi lancia un fischio di ammirazione.
“Stai benissimo!”
Anche lui sta benissimo nella sua semplice camicia bianca, nei sui jeans scuri e nelle Macbeth scure, anzi è perfetto.
Ava mi guarda e alza un pollice subito imitata da suo fratello.
“Allora, adesso vi portiamo da Alice e ci vediamo domani mattina, fate i bravi e non fatela arrabbiare!”
La voce di Tom è pacata, ma vagamente minacciosa, i suoi figli annuiscono. Alice è una compagna di classe di Ava che li ha invitati a dormire a casa sua, coincidenza assolutamente perfetta.
Usciamo tutti e quattro allegri e vocianti e saliamo in macchina, la prima tappa è la casa della ragazzina. Io e Tom scendiamo e accompagniamo i ragazzi, Tom raccomanda alla madre di non aprire a una donna dai capelli castani che dice di non essere la madre dei ragazzi.
La donna annuisce e noi ci rechiamo a un’elegante ristorante giapponese della city, una donna in chimono ci scorta fino al nostro tavolo nascosto alla vista degli altri da un’elegante separé di carta bianca con disegni di sakura in fiore.
Ordiamo del ramen e della carne alla piastra, la cameriera sorride e con un leggero inchino se ne va.
“Ti piace?”
“è bellissimo, è così di classe.”
“Per te solo il meglio o almeno quello che io penso sia il meglio.”
Io sorrido.
Mentre aspettiamo la cena lui mi racconta del divorzio dei suoi e di come lo abbia segnato, gli dispiace imporre lo stesso dolore ai suoi figli, ma purtroppo ci è stato costretto.
Io gli racconto dei miei, il loro matrimonio resiste, ma non è un segreto per nessuno che mio padre abbia un’amante da anni. Mamma sopporta e dice che va bene così, che l’importante è che lui non la lasci da sola nella vecchiaia.
Forse è per questo che io ho voluto lasciare subito Mark, ho visto troppe recite inutili nella mia adolescenza e non mi andava di riviverle in prima persona da adulta.
Quando arriva il ramen le chiacchiere lasciano posto al cibo, che è decisamente buono!
“Buonissimo!”
“Vero? L’ho scoperto la seconda sera dopo che me ne sono andato da casa tua e mi sono innamorato della cucina e del posto.”
“Hai abitudini costose.”
“Per ora posso permettermele!”
Dice lui ridacchiando.
Finito il primo la cameriera di prima ci prepara la griglia per la carne e poi ce ne lascia un quantitativo generoso. La mangiamo tutta con gusto, è buonissima anche questa, la serata sta procedendo da dio e io mi sento leggera e felice.
Finita la cena mi porta a vedere un horror, inutile dire che gli sto attaccata tutto il tempo, con la testa seppellita nell’incavo delle sue spalle. È un posto comodo e confortevole, perché mettere la testa fuori e trovarsi di fronte al perverso serial killer che sullo schermo sta mietendo vittime?
Finito il film passeggiamo lungo il Tamigi con le luci di Londra a farci compagnia e il rumore della città di sottofondo, chiatte pigre passano lungo il fiume.
Tra di noi c’è un silenzio complice e le nostre mani sono intrecciate, ogni tanto mi fa qualche carezza timida sul dorso quasi avesse paura di esagerare.
Dopo la nostra passeggiata torniamo a casa e non appena mi chiudo la porta alle spalle mi porto davanti a lui sorridendo.
“Grazie della meravigliosa serata!”
Lui sorride e mi attira a sé baciandomi.
Le nostre gambe si muovono da sole verso la camera da letto mentre ci baciamo e lasciamo una scia con i nostri vestiti. Il gancetto del reggiseno risulta particolarmente difficile da sganciare per lui, così ci penso io poco prima di stendermi sul letto.
Lui mi raggiunge immediatamente – in intimo – e continua a baciarmi e ad accarezzarmi, ricambiato da me. Traccio i contorni dei suoi pettorali e delle sua pancetta appena accennata, facendolo sospirare.
Lui scende piano dalla bocca lungo il collo fino ad arrivare al seno e baciarlo, le mie mani finiscono nei suoi capelli e dettano il ritmo.
Lo sento sorridere malizioso e poi scende ancora un po’, fino al confine segnato dalle mie mutandine, che volano via subito dopo.
Poi ci sono solo le sue mani e la sua bocca a farmi gemere, sospirare e urlare quando tocca certi punti. Il primo orgasmo arriva come una scarica elettrica e mi lascia senza fiato per almeno un minuto, nel frattempo qualcosa preme contro le mie cosce.
Io mi riprendo e comincio ad accarezzarlo e a prendere in mano la sua situazione, ben presto è lui che geme e grida il mio nome. Quando smetto ho solo il tempo di sorridere perché lui entra subito in me con spinte lunghe e dolci. Continuiamo così – spinta dopo spinta, gemito dopo gemito – fino a quando arriviamo all’orgasmo che ci lascia senza fiato uno sopra l’altra.
“Ti amo, Skye!”
Sussurra contro le mie spalle.
“Ti amo, Thomas.”
Sorridendo, ci fumiamo una sigaretta insieme e continuiamo a parlare di varie cose, delle nostre visioni politiche, degli alieni, del perché Atlantide dovrebbe trovarsi vicino alla Sicilia, dei tour e delle città che abbiamo visto.
Alla fine gli occhi ci si chiudono da soli e ci addormentiamo abbracciati.
La serata è stata perfetta.
La mattina dopo sono io la prima a svegliarmi, i timidi raggi del sole mattutino mi hanno infastidito al punto da costringermi ad aprire gli occhi.
Lui dorme ancora, le coperte sono tutte arrotolate e incasinate e i nostri vestiti tracciano un chiaro percorso dalla porta alla camera da letto facendomi sorridere.
Piano mi sposto e scendo dal letto, prendo le mie mutande e le sua camicia e vado in cucina a preparare la colazione.
Uova, bacon e pancakes.
Preparo tutto e poi lo metto su un vassoio, quando rientro Tom dorme ancora abbracciato al cuscino. Che tenerezza!
“Ehi, bell’addormentato! La colazione è pronta!”
Lui si sveglia e mette a fuoco me e poi il vassoio, infine sorride e si tira a sedere.
“Bacon e pancakes, sei tu la donna della mia vita!”
Io rido e mi siedo accanto a lui, c’è anche del caffelatte per me e c’è dello sciroppo d’acero.
“Non abituarti, non sarà sempre così.
Oggi è così perché è una giornata speciale.”
Lui sorride serafico mettendosi in bocca una generosa quantità di cibo.
“Lo so, ma so anche che tu ti prenderai sempre cura di me.”
Io arrossisco come una ragazzina.
“Certo.”
Finito di mangiare rendiamo di nuovo la casa presentabile in modo da non dar adito a domande da parte dei pargoli, essendo i figli di Tom penso che siano piuttosto svegli sull’argomento.
Ci rechiamo a casa di Alice e la madre ci riconsegna Ava e Jonas, quando stiamo uscendo Jen si lancia verso di noi con una faccia da pazza.
Tom mi fa cenno di entrare in macchina con i bambini e li guardiamo litigare dai vetri della macchina.
Questa donna sarà un problema. 

Il temuto lunedì in cui devo tornare al lavoro arriva.
La mattina mi sveglio di pessimo umore e brontolo tutto il tempo come una pentola di fagioli, non ho voglia di rivedere i miei colleghi, di sicuro vorranno sapere se è vero che ho divorziato da Mark e se sto con Tom e se non mi sento una groupie.
E se…Che palle!
Arrivo in ufficio e sulla mia scrivania c’è una bella montagna di carte, che bello tornare al lavoro!
“Bentornata, Hoppus! O dobbiamo chiamarti DeLonge?”
Mi chiede Doris, una delle colleghe che più mi sta antipatica.
“Chiamami Everly, così risolvi il problema alla base!”
Sputo acida prima di mettermi a lavorare.
Fortunatamente mi lasciano in pace tutta la mattina e qualcuno torna alla carica solo durante la pausa pranzo.
Che noia!
“Sentite, non lo ripeterò due volte. Mi sono separata da Mark Hoppus e adesso sto con Tom DeLonge. Se volete chiamarmi puttana siete liberi di farlo, ma smettetela di chiedermi dettagli su quello che è successo perché non ho voglia di parlarne e non sono fatti vostri, comunque!”
La mia predica spegne ogni desiderio di chiacchiere da parte dei colleghi, nessuno chiede più nulla, ognuno bisbiglia la versione che vuole.
In una sono una puttana, nell’altra una donna.
Io mi sento solo Skye.
Lavoro fino alle cinque e mezza e poi mi immetto nel traffico della city, direzione casa mia e affetti che lì risiedono.
Quando arrivo Ava sta facendo i compiti sul tavolo, alternando il fare matematica con il messaggiare con qualcuno, io butto un’ occhiata distratta e mi accorgo che il mittente è mio figlio.
Jonas invece guarda la tv con Tom, che sonnecchia, la testa che ciondola di qua e di là.
“Buonasera a tutti!”
“Buonasera Skye, come è andata al lavorio?”
Mi chiede Tom stiracchiandosi.
“Bene, li ho zittiti tutti.
Quanto pensi di rimanere ancora?”
“Non so, perché?”
Io mi siedo accanto a lui, scalciando via gli stivali e mettendo i piedi sul tavolino basso del salotto.
“Oggi il mio capo mi ha detto che c’è un posto vagante a Mtv America, sede di Los Angeles/San Diego e vuole sapere se sono interessata, data la mia situazione.”
“In effetti mi piacerebbe tornare a San Diego, anche perché le udienze per il divorzio si terranno lì.”
“Anche a me manca San Diego, potremmo rimanere qui ancora un mese e partire quando quel posto sarà libero.”
“Mi sembra una buona idea.”
“Mi manca Jack, spero che questo mese passi in fretta così rivedrò il mio ometto. Scommetto che sarà cresciuto e sarà abbronzato.”
“Spero non mi odi più così tanto.”
Io non dico nulla perché non ho idea di come mio figlio potrebbe accogliere Tom, è un tipo imprevedibile come suo padre.
Subito dopo mi alzo per preparare la cena, Ava è ancora immersa nei suoi compiti di mate quando le chiedo gentilmente se può sgombrarmi il tavolo visto che devo apparecchiare, lei annuisce.
“Devo chiedere a papà un mano, non ci capisco niente di questa roba.”
Borbotta, fortuna che non l’ha chiesta a me perché anche io non ci capisco niente di questa roba.
Io apparecchio e poi chiamo tutti a cena, anche se oggi ho cucinato solo un minestrone pare che nessuno lo insulti e dica che faccia schifo.
Dopo cena Tom aiuta Ava con i compiti e in qualche modo li finiscono, poi ci guardiamo un po’ di tv tutti insieme fino alle dieci.
A quell’ora spediamo tassativamente a letto i pargoli e poi ci godiamo il silenzio della casa, io esco a fumare una sigaretta e Tom mi fa compagnia, sedendosi comodamente su una delle sedie del terrazzo.
Fuori Londra parla per noi, c’è il rumore incessante del traffico, qualche colpo di clacson, gente che urla, gente che chiacchiera e qualche sirena lontana.
Dopo tutto non è una brutta città, ci sono un sacco di musei, di quartieri interessanti e di negozietti bellini; ma manca di una cosa: il sole.
Il sole che batte amico su tutto e dirada le ombre si vede poco e per due californiani come noi è quasi un trauma, da qui il desiderio di tornare a casa.
“Un po’ mi mancherà questa città.”
Commenta Tom.
“Anche a me, ma non vedo l’ora di tornare a casa, qui mi sono sempre sentita solo come un’ospite di passaggio, non so se capisci.”
Lui annuisce.
“Sì, anche io. E poi a casa mia ci sono gli Ava e i blink.”
“E il sole.”
“E il sole, effettivamente qui si vede molto poco.”
“Ci puoi giurare!”
Dopo questo scambio di battute rientriamo in casa e ci ficchiamo a letto, io mi fiondo subito tra le sue braccia.
Tra di noi cala il silenzio, ma Tom è pensieroso, sembra stia covando qualcosa nel suo cervellino.
“Vuoi davvero andartene da Londra o lo fai per compiacermi?”
“Voglio davvero andarmene, Tom. Io qui non ho più nulla, voi ve ne tornerete in California e Jack vive già là, non ha senso rimanere qui.
E poi davvero qui mi sono sempre sentita come un’ospite, certo un’ospite trattata in modo meraviglioso, ma pur sempre un’estranea.”
Lui annuisce e chiude gli occhi sorridendo, la questione è chiusa e ora si può dormire.
Sono abbastanza stanca da crollare subito tra le braccia di Morfeo.
Buonanotte a tutti.
Buonanotte Londra, un po’ mi mancherai, ma nulla può battere la mia California sul piano affettivo.
Buonanotte, Tom.

Angolo di Layla

Ringrazio fraVIOLENCE  per la recensione. Tra due capitoli sarà finita.

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Capitolo 10
*** 10)Take care of her. ***


10)Take care of  her.

 

Il mese che dobbiamo trascorrere a Londra passa velocemente.
Senza nemmeno rendercene conto arriva la vigilia della partenza e siamo tutti incasinati con i bagagli, l’appartamento sembra un campo di battaglia e si sentono urla selvagge ogni tanto.
Tom che chiama Ava, Ava che chiama Tom, io che vengo chiamata da quei due, Jonas che scoppia a piangere perché non vuole lasciare questa casa.
È un manicomio e domani abbiamo l’aereo piuttosto presto, Tom si è occupato di affittare la casa e spero che abbia scelto qualcosa di adatto, non una catapecchia, ma nemmeno una reggia.
Alla fine a mezzanotte è tutto pronto, peccato che la sveglia suoni alle sei e noi abbiamo pochissimo tempo per dormire.
Io crollo sfinita a letto, sento a malapena la braccia di Tom che mi abbracciano.
La sveglia delle sei invece la sento benissimo, il rumore riempie il mio cervello come una deflagrazione, con una spinta la spengo e me ne frego del fatto che sia caduta per terra.
Scuoto Tom che è ancora più addormentato di me e poi corro a svegliare i suoi figli, con un po’ di difficoltà ci raduniamo tutti al tavolo della cucina.
Hanno tutti la faccia stanca e gli occhi gonfi di sonno, dormiremo sull’aereo forse.
Con qualche difficoltà carichiamo tutto in macchina e ci dirigiamo all’aeroporto, mentre io faccio la coda per l’imbarco, Tom consegna la macchina al noleggio vicino all’aeroporto.
Alle otto precise parte il nostro volo con destinazione San Diego, mentre ci alziamo guardo un’ultima volta Londra dall’alto.
L’ultima volta che l’ho vista così ero mano nella mano con Mark, eccitata come una bambina all’idea di vivere in una città così cosmopolita ed elegante.
Ora invece ho la testa di Tom appoggiata alla mia spalla e mi sento come se finalmente iniziassi di nuovo a vivere dopo un lungo sonno.
Do un ultimo addio al Big Ben e al Tamigi che si srotola come un tappeto azzurro per la città,  poi ci sono solo nuvole: candide nuvole che sembrano fatte di panna.
Cullata dal respiro di Tom mi addormento e mi sveglio soltanto quando sento qualcuno che muove delicatamente la mia spalla: Tom.
È arrivata la hostess con il pranzo, io mangio dell’insalata e un po’ di carne domandandomi come mai i pranzi in aereo siano sempre così squallidi e poco invitanti.
Non vedo l’ora di arrivare a San Diego e fare una puntata a un certo ristorante italiano che conosco e di portarci anche Tom e famiglia. Sono sicura che apprezzerebbero.
Mi volto verso il sedile dei ragazzi e noto che hanno entrambi la mia stessa espressione schifata.
Il resto del volo trascorre tranquillo, quando finalmente sbarchiamo c’è un sole accecante  e fa caldo rispetto a Londra. Ci togliamo i cappotti e li buttiamo sopra le valigie non appena le abbiamo ritirate.
Bentornata in California, Skye!
“Ah, finalmente il vero sole!”
Urla Tom, facendomi ridere.
“Sì, puoi dirlo forte. Metaforicamente, ovvio.
Cosa ne dici se cerchiamo un taxi?”
Lui annuisce e spingiamo i carrelli verso la zona dove ci sono i taxi, ne troviamo uno libero e carichiamo tutto nel baule. Tom è costretto a salire vicino all’autista a cui dà l’indirizzo e partiamo.
L’uomo è indiano e durante il tragitto ci racconta la sua storia e della moglie che lo aspetta in India insieme ai figli e soprattutto del fatto che non riesce e farli arrivare negli Stati Uniti.
Noi ascoltiamo pazienti, ma accogliamo con un certo sollievo il fatto che ormai siano arrivati alla villetta che Tom ha preso.
È molto graziosa, in stile spagnolo, con un grande giardino e una piscina.
“Complimenti Tom, è davvero carina.”
“Me l’ha consigliata Anne. Posso parlare con Anne, vero?”
Io scoppio  a ridere.
“Sì, puoi parlare con chi vuoi.”
Portiamo le valigie in casa, i bambini si guardano intorno un po’ spaesati, Jonas soprattutto, credo stia pensando che ha cambiato fin troppe case per la sua età.
“Papà siamo stanchi, possiamo dormire?”
La richiesta arriva da una sbadigliante Ava, Tom annuisce e li accompagna al piano superiore, io invece mi guardo attorno e poi controllo che siano allacciati l’acqua e l’elettricità, la casa sembra pulita.
C’è un biglietto sul frigo, è di Anne, dice che è passata a dare una sistematina alla casa in attesa del nostro arrivo e poi mi prega di chiamare non appena siamo arrivati che Jack vuole vedermi.
Io sorrido, lo chiamerò non appena avrò sistemato le valigie, almeno se vorrà venirmi a trovare troverà una parvenza d’ordine.
Quando torna Tom mi aiuta a portare di sopra le valigie e a sistemarle, poi si butta sul letto, io invece mi attacco al telefono.
“Pronto, Jack?”
“Ciao mamma!”
“Tesoro, siamo appena arrivati.”
Sento dei rumori, come di esultanza, di sottofondo.
“Arrivo subito, chiedo alla zia se mi porta.”
“Sì, Jack. Ti aspetto!”
Finita la chiamata mi sdraio accanto a Tom con un sorrisone sul volto.
“Tra poco arriva mio figlio.”
“Spero non mi prenda a pugni.”
“Dai, ha solo dieci anni. Un uomo grande e grosso come te non dovrebbe averne paura.”
“Ho paura di incasinarti la vita.”
Io mi alzo sui gomiti, mi allungo leggermente e gli lascio un bacio delicato sulla bocca.
“L’hai già fatto e va bene così.”
Lui sospira.
“Dai, andiamo o tuo figlio chissà cosa penserà.”
Scendiamo in salotto e nemmeno cinque minuti dopo suona il campanello, io vado al cancello per aprirgli personalmente e lo trovo in compagnia di Anne.
“Ciao, SKye.”
“Ciao, Anne.”
“Ti lascio tuo figlio, lo verrà a prendere mio fratello.
Ciao, campione! Divertiti!”
“Ciao zia.”
Lui si volta verso di me e mi abbraccia, sembra molto felice di vedermi, io lo trovo più alto, più magro e più muscoloso. Ha anche un bel colorito dorato, praticamente il ritratto della salute.
Entriamo in casa chiacchierando, si ferma non appena vede Tom, poi lo raggiunge e gli si piazza davanti a gambe larghe, come il pistolero di un western.
“Tratta male mia madre e te la vedrai con me.”
La scena sembrerebbe comica se non per il volto incredibilmente serio di mio figlio, Tom lo guarda e poi annuisce come se stesse parlando a un uomo adulto.
“Non la farò soffrire, mi prenderò cura di lei, te lo prometto.”
“Sarà meglio per te.
Mamma, c’è Ava?”
Io scuoto la testa.
“Sta dormendo, era stanca.”
“Non fa niente, la vedrò un’altra volta. Me la puoi salutare?”
“Certo, ora cosa vuoi fare?”
“Un bagno in piscina.”
Io annuisco, usciamo insieme nel sole splendente della California.

 

Mi mancava trascorrere un intero pomeriggio in compagnia della mia piccola peste.
Jack tuffa, mi schizza, gioca a palla con me fino a sfinirmi; solo quando il sole è quasi al tramonto esce e corre a farsi una doccia.
Poco dopo me la faccio anche io, cercando di togliermi sia il cloro che la stanchezza. Finito, lo trovo dabbasso, i suoi capelli ancora bagnati hanno lo stesso ciuffo di Mark.
Tra poco lo rivedrò e spero non sarà troppo strano. Non ho il tempo di rifletterci a sufficienza che il campanello suona e il mio ex marito fa la sua apparizione nel vano della porta.
Sembra dimagrito e porta gli occhiali scuri, non li toglie nemmeno in casa, Tom lo guarda intimidito.
“Ciao, papà!”
“Ciao, campione. Divertito dalla mamma?”
Lui annuisce, Mark si volta verso Tom.
“Trattamela bene o questa è la volta buona che ti riempio di pugni quella faccia da impunito che ti ritrovi.”
Tom deglutisce e poi annuisce.
“Non ho nessuna intenzione di farla soffrire.”
“Buon per te. Forza Jack, andiamo!
Saluta la mamma!”
Lui mi abbraccia, mi dà un bacio sulla guancia e poi se ne va con il padre.
Tom li guarda leggermente stranito, penso sia la prima volta che viene minacciato da due membri della stessa famiglia in meno di un giorno.
“Accidenti, meglio che ti tratti bene o quelli noleggiano un sicario e mi fanno secco.”
Io rido.
“Vado a cucinare qualcosa.”
“Va bene.”
Poco dopo sento del vociare in sala e Ava arriva in cucina, si piazza su una sedia e mi guarda imbronciata.
“Perché non mi hai chiamato quando c’era Jack?”
“Perché stavi dormendo e non volevo disturbarti.”
“Uffa, chissà quando lo vedo adesso.”
Io sorrido e assaggio il mio sugo di pomodoro e tonno.
“Secondo me molto presto, ha due buoni ragioni per essere spesso qui.”
Ava arrossisce fino alla punta dei capelli e tace.
“Cosa stai cucinando?”
“Pasta al sugo e tonno.”
“Sembra buona.”
“Lo è, è il piatto preferiti di Jack.”
I suoi occhi si illuminano.
“Un giorno mi passerai la ricetta.”
Io annuisco, sorridendo divertita.
Ava è già una piccola donna che vuole prendere il suo piccolo uomo per la gola e se ha anche solo un grammo della testardaggine di Tom a vent’anni quei due si sposeranno sul serio.
Porto la pasta in tavola e viene apprezzata da tutti, sia Ava che Tom chiedono il bis, Jonas invece mi sembra triste.
“Cosa c’è?”
Gli chiedo dopo aver ficcato tutti i piatti sporchi in lavastoviglie.
“Mi manca Londra, a me piaceva.”
Io gli scompiglio i capelli.
“Magari ci torniamo quest’estate in vacanza.”
Lui sorride flebilmente e non dice nulla, però si fa abbracciare. Credo che non sia Londra a mancargli, ma una famiglia stabile.
Per sopperire a questa mancanza decido che stasera ci guarderemo un film tutti insieme e per la precisione il suo preferito: il Re Leone.
Questo sembra rallegrarlo e distrarlo momentaneamente dalle sue malinconie perché ride come un matto e si appassiona alla storia come se non la conoscesse.
Tom mi lancia un’occhiata grata, probabilmente non ci sarebbe mai arrivato da solo, serve la mano di una donna per queste cose.
Finito il film, andiamo tutti a letto stanchi e un po’ rintronati per il jet-lag, io fatico ad addormentarmi e anche Tom.
“L’avresti mai detto che sarebbe finita così?”
Mi chiede.
“Sinceramente no,  quando ho accettato il patto rivolevo a tutti i costi Mark. Il destino però ha messo te sulla mia strada e io non ho resistito alla tentazione.”
“Sono un uomo pericoloso.”
Ridacchia.
“Sì, sei proprio un uomo pericoloso!”
Sbadiglio io.
Ho sonno e domani sarà una giornata impegnativa: firmerò il divorzio da Mark e Jack sarà affidato a lui.
Mi manca già, ma lui è stato irremovibile, vuole vivere da suo padre per quanto bene mi voglia.
Mi addormento avvolta in un velo di leggera tristezza, che ritrovo al mio risveglio insieme a Tom che dorme beato.
Scendo in cucina e mi faccio un caffè, fa caldo e sento il canto degli uccellini. È buffo porre fine a un matrimonio in una giornata come questa, sarebbe meglio fare un picnic o una gita alla spiaggia.
Finito il caffè, mi faccio una doccia e mi vesto, poi sveglio Tom.
Lui mi sorride e mi dà una carezza sui capelli, apprezzo la sua delicatezza nel non dirmi nulla.
Prendo un taxi e vado al tribunale, Mark è già arrivato e indossa una t-shirt bianca con un polipo azzurro, sorride quando mi vede.
“E così è arrivato il giorno fatidico.”
“Sì, mi dispiace che sia finita così.”
Lui sospira.
“Io ho  fatto un errore terribile e perderti fa parte del prezzo da pagare.”
Io non dico nulla, ho un groppo alla gola: ho paura che mio figlio smetta di volermi bene e si dimentichi di me e che Mark mi odi.
“Non mi odi, vero?”
“No, sei stata sincera.”
“Jack mi perdonerà mai?”
“Credo di sì. Una volta che ti vede felice per lui va bene e poi grazie a te ha la scusa per vedere quando vuole Ava.”
Io rido, stavo per dimenticarmi di questa cotta.
Poco dopo arriva il giudice che si occupa del nostro caso, i nostri avvocati leggono le proposte, noi le accettiamo e il giudice mette a verbale.
Alla fine firmiamo un documento e siamo ufficialmente divorziati, sulle scale del tribunale mi abbraccia e mi augura buona fortuna.
Io faccio lo stesso e lo guardo andare via con una punta di tristezza. Ha le spalle incurvate – come quando i blink non esistevano più – la vita gli ha fatto uno scherzo troppo crudele e io mi sento in colpa.
Forse se fossi riuscita a passarci sopra sarebbe stato meglio per tutti, ma io non ci sono riuscita, ho preferito troncare subito e correre da Tom.
Spero che il mio non si riveli un catastrofico errore perché difficilmente me lo perdonerei, aver distrutto una famiglia per niente è la peggior cosa che si possa fare.
Che brutti pensieri!
La paura mi sta giocando dei bruttissimi scherzi, meglio che vada a casa, almeno mi tranquillizzo.
Salgo in macchina e cerco di sgombrare la mente cantando a squarciagola una canzone che stanno trasmettendo: The only exception dei Paramore.
Arrivata a casa la trovo animata, sono arrivati gli altri membri degli Ava e Tom sta componendo qualcosa con loro. Ava, Jonas e Jack sono in piscina e si stanno divertendo da morire, Ava mi invita a unirmi a loro e io accetto.
Sto salendo al piano di sopra quando mi intercetta Tom e mi abbraccia.
“Com’è andata?”
“Triste, ma spero che la tristezza passerà ora che i pargoli sono in piscina. Tu?”
“Ho chiamato i ragazzi per scaricare la tensione, spero non ti dispiaccia.”
Io sorrido.
“No, stai tranquillo. Salutameli.”
Lui mi lascia andare e io salgo al piano di sopra per mettermi in cucina. Quando scendo Tom alza una mano in segno di saluto e David – davanti a lui – si volta e alza un timido cenno di saluto che io ricambio.
In piscina i piccoletti stanno giocando a palla e io vengo messa in squadra con Ava, che mi fa l’occhiolino.
“Pronta schiacciarli, Skye?”
“Pronta!”
Giochiamo fino a quando Tom esce dicendoci che è quasi mezzogiorno e che ha ordinato pizza per tutti, membri degli AvA compresi.
Io mi siedo a bordo piscina e sorrido, un po’ della tristezza se ne sta andando e se ne va più velocemente quando Jack si siede accanto a me.
“Ho scelto di stare con papà perché è quello che ha più bisogno di aiuto, ma ti voglio bene, mamma.”
Io gli scompiglio i capelli trattenendo le lacrime.
“Anche io ti voglio bene, Jack. Ti voglio un mondo di bene!”
Lui sorride felice e un peso se ne va dal mio cuore.
A pranzo faccio la conoscenza dei membri della band di Tom, solo Matt è un tipo chiacchierone, David e Ilan sono timidi, Ilan è addirittura timidissimo e stenta a rivolgere la parola a qualcuno.
In ogni caso mi sento accettata, nessuno mi fa pesare la mia condizione di nuova compagna di Tom.
Alla fine del pranzo rimango per caso sola con David, lui mi sorride.
“Fallo felice, se lo merita e poi lui ti ama da tanto tempo.”
Io sorrido a mia volta.
“Cercherò di fare del mio meglio.”
E in questa semplice frase è racchiusa la mia volontà per il futuro: essere felice con Tom, affrontando con lui i problemi della vita e dei pargoli diventati adolescenti.
Sono all’altezza del compito.

Angolo di Layla

Siamo al penultimo capitolo e ringrazio fraVIOLENCE per la recensione.

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Capitolo 11
*** 11) Ten years (wedding in Paris) ***


 

11) Ten  years (wedding in Paris)

 

Sono passati dieci anni da quando sono diventata la compagna di Tom.
Alcuni anni sono stati facili, altri un po’ meno ad esempio quelli in cui ci sono state le udienze per la separazione di Tom. Jen è stata un osso duro, ha tentato in ogni modo di dimostrare che era Tom il fedifrago e che mi frequentava prima che lei si mettesse con Mark arrivando a fabbricare delle prove false.
Questo non ha colpito favorevolmente il giudice insieme ai tentativi mai riusciti di mettere i suoi figli contro di me.
Alla fine ha strappato una quota di alimenti bassa e la possibilità di vedere i figli per il week-end, per sua somma rabbia. Non è nemmeno riuscita ad attirare l’opinione pubblica né i fan dei blink dalla sua parte. Questo l’ha resa ancora più furiosa, ama fare la vittima e non assumersi le sue responsabilità.
Con l’adolescenza solo Jonas ha continuato a frequentarla tutti i week end, verso i sedici anni Ava ha detto di non volerci più andare e alla fine l’abbiamo accontentata.
Ogni volta che tornava dalle visite a Jen era di pessimo umore e perennemente arrabbiata con lei, a Jen non piaceva il suo look e la gente che frequentava Ava.
Non le piacevano i punk e gli skater, non le piaceva l’unico dread che si era fatta la figlia o il piercing al labbro, non le piaceva Jack.
Sì, quei due si sono messi insieme a sedici anni e a Tom è venuto un mezzo infarto.
Lui era dell’idea che sua figlia non si dovesse interessare ai ragazzi fino ai diciott’anni e quando Ava si è presentata mano nella mano con mio figlio urlando: “Ehi, vi presento il mio ragazzo!” , lui è svenuto.
Ci sono voluti i tentativi congiunti miei e di Ava per farlo tornare cosciente e quando è tornato in sé ha urlato un “no!” udibile a chilometri di distanza.
Ava l’ha guardato male e hanno iniziato a litigare, è stata una litigata epica, tanto che io e Jack abbiamo lasciato la stanza per non venire coinvolti.
Anche dalla cucina si sentiva comunque il rumore delle cose che volavano, hanno fracassato tutte mie statuine a tema marino, ma non me ne importava molto, in fondo si potevano rimpiazzare e anche a me stavano stufando.
Rimasta sola con mio figlio l’ho guardato negli occhi per un po’ e poi gli ho posto la fatidica domanda: “Sei sicuro, Jack?”
Lui ha annuito.
“La amo, mamma.
L’ho sempre amata e mi dispiace che a Tom non vada a genio questo fatto, però si deve rassegnare perché io non ho intenzione di lasciarla.”
Nei suoi occhi blu ho letto la stessa determinazione di Mark e questo mi ha portato istantaneamente dalla loro parte.
Non avevano fatto nulla di male, non c’era ragione per reagire così.
Con calma ho cercato di far ragionare Tom dopo il litigio e ce l’ho fatta, ha concesso una possibilità ai ragazzi con la clausola che Ava fosse sempre a casa entro la mezzanotte.
Sua figlia ha sbuffato, ma alla fine ha accettato.
Questo accadeva quattro anni fa e per quattro anni c’è stata abbastanza calma.
Tom ha imparato piano ad apprezzare mio figlio come ragazzo di sua figlia e a pensare che in fondo non erano male.
Il giorno che Ava ha annunciato che si sarebbe sposata con Jack ha di nuovo cambiato idea e questa volta tutte le mie statuine messicane sono andate al creatore.
Che palle! Quelle mi piacevano.
Alla fine Tom ha dovuto cedere e accettare di avere Jack come genero, si è solo lamentato un po’ per la location del matrimonio: Parigi.
Esatto, mio figlio si è ricordato di Notre Dame e hanno prenotato il matrimonio lì.
Ha la memoria lunga mio figlio e quello che promette mantiene, esattamente come suo padre.
“Skyyyyyeeee!”
L’urlo belluino di Ava mi distrae dai miei pensieri.
Quella che una volta era una bambina ora è una ragazza dai lunghi capelli tinti di blu che indossa un abito da sposa senza spalle.
“Cosa c’è, Ava?”
“Il corsetto! Non riesco a chiuderlo!
Cristo, non posso essere ingrassata, mi sono trattenuta un sacco per entrare in questa tortura a forma di abito!”
Io sospiro e la faccio voltare, la cerniera del corsetto si è semplicemente incastrata nel tessuto del vestito e disincastrato quello sale senza intoppi.
Sento Ava sospirare di sollievo.
“Fortuna che mi entra!”
“Sei preoccupata, tesoro?”
Lei si volta verso di me.
“Sì, domani mi sposo e se Jack non mi volesse?”
Io faccio fatica a trattenere le risate, Jack la ama, pende dalle sue labbra e se lei glielo chiedesse probabilmente si butterebbe anche nel fuoco per lei.
“Ti vuole, Ava.
Ti vuole.
Ha iniziato a volerti e a pianificare questo matrimonio quando aveva dieci anni, stai tranquilla.”
Lei sorride.
“Sai cosa disse a tuo padre quando mi propose di fingere di essere la sua nuova fiamma?
Che non voleva un nuovo padre e che soprattutto non voleva il padre di Ava perché saresti diventata una specie di sorella e lui voleva sposarti.”
Gli occhi della non più piccola DeLonge si fanno lucidi e si porta una mano alla bocca.
“Oh, Jack! Lo amo, quanto lo amo!”
Io sorrido, questo matrimonio promette bene.
“Tesoro, domani ti devi svegliare presto e non ti sei ancora ripresa dai festeggiamenti di ieri sera, che ne dici di andare a letto?”
“Sì, Skye, hai ragione. Adesso mi tolgo questa tortura e poi vado.”
In effetti poco dopo è in pigiama e si infila a letto, io invece esco in terrazza e mi fumo una sigaretta.
Domani rivedrò Mark e la sua nuova compagna, mi farà strano di sicuro. Non che lei sia cattiva, tutt’altro, è un’italoamericana di nome Maria e andiamo d’accordo, solo sarà semplicemente strano.
Lui non ha sollevato particolari obiezioni a questo matrimonio, credo che ormai si sia abituato al fatto che – volente o nolente – il suo destino sarà sempre intrecciato a quello dei DeLonge.
Finita la sigaretta chiamo Tom, è nella stanza accanto con Jack e mi risponde subito.
“Ciao, come va?”
“Ciao, tesoro. Tutto bene, Jack è appena andato a letto, tuo figlio beve come una spugna, oggi era ridotto male.”
Io rido.
“Com’è andata con Mark ieri sera?”
“Bene, non ci siamo pestati.”
“Sarebbe stato ridicolo pestarvi,dai! C’è Jen?”
“No, Ava non l’ha invitata al matrimonio e ho detto ai bodyguard di non farla entrare caso mai si presentasse.”
“Bene!”
Sbadiglio.
“Adesso vado a letto, ci vediamo domani. Mi raccomando metti la sveglia, Ava potrebbe ucciderti se arrivi in ritardo.”
Lo sento sbuffare, odia mettere la sveglia.
“Va bene, amore. A domani.”
“A domani.”
Mi schiocca un bacio via telefono e io ricambio. Dopo questo piccolo rito mi metto a letto, domani sarà una giornata lunga.

 

La sveglia suona alle otto, Ava la spegne con un colpo di mano e una bestemmia.
Con la verve di una mummia si fa una doccia, poi la faccio io e le chiedo se vuole fare colazione, acconsente e la ordiniamo.
Non ci va di scendere dabbasso e poi non abbiamo tempo. Arrivato il cibo io mangio normalmente, lei invece spilucca solo, ha solo stomaco chiuso per l’emozione, quando mi sono sposata con Mark ero nelle sue stesse condizioni.
“Beh, adesso inizio a prepararmi.”
Con calma, leggermente tremante, si alza dal letto e si mette il suo bel vestito: corpetto senza maniche e una gonna larga con del pizzo.
È bellissima e né i capelli blu né i tatuaggi e i piercing stonano.
“Adesso mettiamo le cose extra.”
“Sarebbe?”
“Se vuoi un matrimonio fortunato ti servono: una cosa blu, una cosa nuova, una cosa vecchia, una cosa prestata e una cosa regalata.
Per la cosa blu, puoi metterti il tuo braccialetto blu, per la cosa nuova ti metti gli orecchini che hai preso ieri.
Una cosa vecchia: lì c’è l’anello di mia madre.
Per la cosa regalata ti regalo questa collana e per la cosa prestata ti presto il mio anello con il diamantino.”
Ava mi guarda perplessa, ma alla fine mette il suo braccialetto con i turchesi, gli orecchini a cerchio che ha preso ieri, l’anello di mamma e il mio, e poi la mia collana di perle nere.
Sta benissimo e mi sembra già leggermente commossa.
Poco dopo bussano alla porta: è Tom ancora mezzo addormentato.
“Allora come…”
Si ferma quando vede Ave, la sua bocca passa dalla sorpresa al sorriso e i suoi occhi si fanno lucidi.
“La mia bambina si sposa e sta benissimo.
Amore, sei bellissima!”
“Grazie papà!”
Lei è rossissima, si solito veste come una punk, è raro vederla  vestita elegante.
“Cosa manca?”
“Cosa manca, Tom?
La parrucchiera e la truccatrice che spero arrivino subito!”
“Per me può sposarsi anche così, è una meraviglia.”
Ava scuote la testa, non si vede bellissima, quindi aspetta anche lei con trepidazione l’arrivo delle due donne.
La parrucchiera arriva subito dopo Tom, le arriccia i capelli e poi li raccoglie in un elegante chignon da cui lascia fuoriuscire qualche ciocca davanti in modo sapientemente disordinato.
Ava è raggiante e fatica a riconoscersi, pagata e ringraziata la parrucchiera arriva la truccatrice che le fa un trucco smockey, richiesto espressamente da lei. Non riesce proprio ad abbandonare il suo amato trucco nero.
Sbrigata anche questa incombenza si mette le scarpe, uno scialle e prende il mazzo, io prendo la borsa in cui ha messo i cambi.
“Sentite, io prendo un taxi e vado in chiesa, voi partite tra quindici minuti, ok?”
I due DeLonge annuiscono, io mi infilo nel primo taxi che incontro e arrivo in chiesa trovandola già gremita, mi infilo nel parco dei parenti tra Mark e Anne.
Jack è sull’altare – visibilmente in ansia – ed è bellissimo nel suo completo scuro e nella sua cresta, in parte a lui ci sono Landon e Josh, un altro suo amico, dall’altra parte ci sono Alabama e Miranda, la figlia di Anne.
“Il mio campione si sposa!”
Esclama Mark con un velo di commozione, io annuisco.
“È bellissimo e sembra tanto felice.”
“Sarà più felice quando arriverà Ava, sta impazzendo.”
Un ventina di  minuti dopo la porta della chiesa si apre, l’organo inizia a suonare la marcia nuziale e Ava avanza al braccio di suo padre sorridendo radiosa.
Jack si illumina e sembra non vedere altro che lei, la ragazza che ha sempre amato.
Ava si mette al posto stabilito e la cerimonia ha inizio, una cosa che va a ritmo lentissimo fino al momento fatale.
“Vuoi tu Ava Elisabeth DeLonge prendere il qui presente Jack Hoppus come tuo legittimo sposo, amandolo e onorandolo nella gioia e nel dolore, nel benessere e nella malattia?”
“Sì, lo voglio!”
Un “No” rimbomba come una fucilata lasciando tutto straniti: Jen si è intrufolata nella cerimonia e avanza lungo la navata.
“Questo ragazzo non è adatto a te, ti vieto di sposarlo!”
“Lei chi sarebbe, scusi?”
Chiede il prete.
“La madre.”
Il prete guarda Ava che è scocciata.
“Per te ha qualche importanza la sua opinione?”
“No, padre. Avevo dato disposizioni perche lei non fosse presente, quindi gradirei che se ne andasse.”
Due robusti bodyguard prendono Jen per le spalle e la trascinano fuori.
“Sono tua madre, Ava. Avrà pure alcun valore!”
“Dovevi pensarci prima! Possiamo riprendere?”
Il prete annuisce, mentre Jennifer sta ancora urlando. Mi sembrava strano che non intervenisse a disturbare tutti.
“Vuoi tu Jack Hoppus prendere la qui presente Ava Elisabeth DeLonge come tua legittima sposa
amandola e onorandola nella gioia e nel dolore, nel benessere e nella malattia?”
“Sì, lo voglio.”
“In nome del signore e dall’autorità conferitomi dallo stato americano vi dichiaro marito e moglie.
Lo sposo può baciare la sposa.”
Jack sorride e bacia Ava con passione, tutti applaudiscono e la marcia trionfale inizia a suonare, percorrono insieme – mano nella mano – la navata.
Fuori vengono bersagliati dal riso e poi c’è il fatidico lancio del bouquet. Chissà a chi finirà?
Incredibilmente finisce tra le mie mani, Ava mi fa l’occhiolino e indica con un cenno impercettibile suo padre, sia io che lui rimaniamo sbalorditi.
Io in particolare rimango ferma come una statua di sale con i fiori in mano, solo il tocco gentile di Tom mi fa muovere.
“Che ne dici, Skye?”
“Tra due anni, organizzare un matrimonio è molto stressante.”
“Quindi mi sposeresti?”
Io lo guardo stralunata.
“Certo che sì!”
Lui per tutta risposta mi solleva e mi fa fare un giro completo in braccio a lui.
“Mi hai dato una notizia bellissima, tesoro!”
Io lo abbraccio sorridendo.
“Sono felice, ma adesso ci aspetta il pranzo, sei pronto?”
“Oh, sì! In macchina ho dei comodi shorts e una comoda maglietta per evitare cose che tirino!”
“Perfetto, allora andiamo!”
Adesso arriva la parte migliore dei matrimoni: il pranzo

 

Visto che a nessuno piace particolarmente la cucina francese abbiamo prenotato in un ristorante italiano che cucina divinamente.
Almeno avremo pasta, lasagne, cotolette e scaloppine a volontà.
Arriviamo al ristorante chiacchierando tranquillamente, la tensione del matrimonio si è in parte sciolta, Ava e Jack sorridono e si tengono teneramente per mano.
“Come sono belli, eh Tom?”
Urla Mark.
“Certo che sono belli, Ava è mia figlia ed è bella come me!”
“Pff! Sei il solito megalomane! Sono belli perché c’è anche Jack e lui è bello come me e io sono più bello di te!”
“Ma non diciamo assurdità!”
“Zitto, ciccione. Lo so che aspetti il pranzo per poteri strafogare!”
“Come se tu non facessi lo stesso!”
Tom tira un poco caritatevole pugno nella pancia del suo amico, che si piega,
“Sei rimasto il solito stronzo altezzoso, non cambierai mai!”
Mark si siede nel tavolo riservato ai parenti vicino a Tom.
Iniziano a servire gli antipasti – salumi, bruschette, pasta frolla ripiena di crema di funghi – Tom, come previsto si serve porzioni piuttosto generose.
“Mh, dove andate in viaggio di nozze?”
Chiede Mark.
“Non ci avete detto niente a riguardo.”
“Giamaica!”
Risponde Ava sognante.
“Bel clima, belle spiagge. Tornerò abbronzata!”
“Fai tante belle foto!”
Mio figlio ghigna.
“Papà, sei sicuro di voler sorbirti il lunghissimo filmino delle vacanze pieno di cose a cui solitamente non frega niente a nessuno?”
Mark impallidisce e mangia l’ultima bruschetta, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Tom.
“Effettivamente non è che muoia dalla voglia.”
Jack ride.
Dopo gli antipasti arrivano i primi, pasta al ragù, lasagne e riso ai quattro formaggi, misti.
“Buona la roba qui!”
“Certo che è buona, Hoppus! L’ho provata io prima di decidere di venire qui!”
“Beh, non ti tiri mai indietro davanti a un ristorante.”
“Zitto, che anche tu mi sembri ingrassato!
La cucina italiana è buona, vero Mark?”
Lui fa una faccia stranissima, come quella di chi ha parlato troppo.
“Certo che è buona, DeLonge!
Insinui che la mia cucina non sia buona?”
Interviene Maria.
“Non insinuo nulla, solo che anche Mark ha la pancia quindi posso prenderlo in giro anche io, come lui fa con me.”
Dice candidamente, sfoderando il suo celebre sorriso ironico.
“Sei il solito impunito, Tom!”
Interviene per la prima volta Trav, alzando il naso dal suo piatto di lasagne alle verdure, pasta al  pesto e riso ai formaggi.
“Dote naturale!”
“Ehi, Jack! Ricordati che tua moglie ha metà dei geni di questo individuo!”
Lo mette scherzosamente in guardia il batterista, Jack sorride.
“Lo so e mi piace.”
“E ci mancherebbe altro e adesso mangiate!”
Ci ordina minacciosa la neo signora Hoppus.
Ubbidiamo tutti, Ava sembra particolarmente decisa a troncare il discorso.
I piatti intanto si svuotano un po’ meno rapidamente, la fame di tutti si sta placando, Tom si picchia soddisfatto una mano sulla pancia.
Adesso dovrebbe esserci un po’ di tregua e poi il secondo, al tavolo l’umore è buono e si chiacchiera cordialmente, Tom con la sua maglia e i suoi pantaloncini sembra capitato lì per caso, nessuno direbbe che è il padre della sposa.
Visto che il secondo non arriva qualcuno inizia a urlare: “Discorso” e Tom si alza.
“Allora, qualcuno chiede il discorso. Innanzitutto mi dispiace di non aver fatto colpo su Jack per distoglierlo da mia figlia, il mio fascino sta piangendo da qualche parte!”
Io gli tiro una pedata.
“Skye, amore, perdonami!”
Ridono tutti.
“Adesso sono serio. Ho visto questi due ragazzi crescere e sono contento di come siano cresciuti e di come il loro fidanzamento sia andato così bene.
Magari avrebbero potuto aspettare un anno o due prima di sposarsi, ma si sa l’amore fa fare queste cose.
Spero che Jack tratti la mia Ava con amore e rispetto, altrimenti sarei costretto a ucciderlo e non mi va di trascorrere la mia vecchiaia nelle patrie galere.
Skye, ti prego, non darmi un altro calcio.
Vi faccio e miei migliori auguri e mi raccomando non abbiate fretta per i nipotini! C’è sempre tempo!
A Jack e Ava!”
Dopo il discorso di Tom arrivano i secondi e tutti sono troppo impegnati a far fuori il misto di arrosto, scaloppine al limone e cotolette (strano, lo so) per parlare.
Adesso verrà il turno di Mark, chissà cosa diavolo dirà, speriamo nulla di imbarazzante, anche se conoscendolo è una pia speranza!
In ogni caso il cibo è delizioso, tutta la tavolata lo sta apprezzando, anche Trav. Per lui c’è del seitan al limone e una grigliata mista di pesce che gli piace a giudicare dal sorriso.
Lui è sempre rimasto quello che parla di meno, ma che comunque si fa capire, è un tesoro di uomo e questa volta sembra avere trovato la donna giusta in una donna comunissima che lavora in banca e ha già due figli anche lei.
Finito il secondo si alza Mark.
“Beh, non so cosa dire, se non che la mia famiglia sembra legata a doppio filo con quella dei DeLonge. Non ho ancora capito se sia una maledizione o una benedizione, ma tant’è.
Faccio i miei più sinceri auguri a Jack e Ava e… Ragazzi, andateci piano con i nipoti, non so così vecchio da fare il nonno, capito?”
Ridono tutti, compresi i due novelli sposi, in attesa del dolce io esco a fumarmi una sigaretta, poco dopo mi raggiunge Tom.
“Finalmente è quasi finita.”
“Pensa a quando toccherà a noi.”
Rido io buttando fuori il fumo.
“Oh, sarà una semplice cerimonia civile!”
“Ma ci sarà?”
Chiedo a lui speranzosa, lui mi sorride e mi abbraccia.
“Certo che ci sarà, molto presto sarai la signora DeLonge!”
Signora DeLonge ha un suono bellissimo e pensare che tutto questo è iniziato per scherzo. A volte il destino adotta delle vie strane per condurti dalla persona che ti ama veramente e che è destinata a rimanere con te fino alla fine.
Io non posso che essere contenta di questo perché mi ha regalato dieci anni di felicità e probabilmente me ne regalerà altri dieci, fino a che la morte non ci separerà.
Che bella la vita!

Angolo di Layla

Siamo giunti all'ultimo capitolo di questa storia. 

Già, psero vi piaccia.

Ringrazio fraVIOLENCE per le recensioni lasciate.

Ringrazio Destroyer Cactus per averla messa tra le preferite.

Ringrazio ach119. LostinStereo3NiyraV per averla messa tra le seguite.

Alla prossima.

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