My sweet revenge will be yours. di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)Sick little games ***
Capitolo 2: *** 2) Chaos in system. ***
Capitolo 3: *** 3) Why do I want him, now? ***
Capitolo 4: *** 4)Let's start a riot. (life is just a game, it's just an epic holiday) ***
Capitolo 5: *** 5)Shining dust. ***
Capitolo 6: *** 6)Let's start over? ***
Capitolo 7: *** 7)I never thought what could take me out was hiding down below. ***
Capitolo 8: *** 8)Lost the battle, win the war. ***
Capitolo 9: *** 9)Come on let me hold you, touch you, feel you. Always ***
Capitolo 10: *** 10)Take care of her. ***
Capitolo 11: *** 11) Ten years (wedding in Paris) ***
Capitolo 1 *** 1)Sick little games ***
1)Sick little games
Nella
vita ci sono periodi
duri, anche se sei la moglie di una celebrità.
Sono
duri soprattutto se
tuo marito ha abbandonato te e vostro figlio per la moglie –
sgualdrina – del
suo migliore amico e che tu non sopporti.
Sono
momenti in cui ti
illudi che siano un sogno, uno di quelli lunghi e realistici, ma poi ti
tocca
venire a patti con la realtà.
La
mia realtà – quella di
Skye Hoppus – è la parte di letto accanto alla mia
vuota, come ogni mattina
allungo la mano e ricevo la solita doccia gelata: Mark non
c’è.
Mark
è da Jennifer.
Me
l’ha annunciato una
settimana fa con una faccia contrita che all’inizio non mi
aveva fatto pensare
minimamente al tradimento. Pensavo che avesse finito uno dei miei
smalti senza
dirmelo, che si fosse comprato l’ennesima action figure dei
Simpson con i soldi
delle bollette.
Cose
così.
Cose
di routine se vivi
con un eterno bambino come Mark Hoppus.
MI
sono sbagliata, con
quella faccia ha sganciato la bomba che ha fatto in pezzi la mia vita.
“Skye,
mi sono innamorato
di Jen. Torno a San Diego per vivere con lei, tu puoi tenerti la casa a
Londra.”
Non
sono riuscita a dire
una parola, nemmeno quando se ne è andato con le sue valigie.
Solo
dopo mi sono
svegliata dal mio torpore e ho cominciato a fare a pezzi la mia
collezione di
candele e la sua di action figure. Ho spaccato il suo mitico basso rosa
– che
aveva lasciato qui – e ho lanciato i pezzi dalla finestra.
Poi
ho cominciato a
lanciare bassi interi fino a che il campanello non ha suonato e sulla
soglia
del mio appartamento si è presentato un gentile poliziotto
di quartiere che con
garbo mi ha invitato a smetterla, visto che mettevo a rischio la
viabilità
pedonale e la vita stessa di qualche innocente.
Si
è dimostrato gentile e
comprensivo sul motivo, ma irremovibile: o avrei smesso o sarebbe stato
costretto ad arrestarmi.
Ho
scelto di smettere.
Questo
è quello che mi
rimanda il mio cervello prima che la sveglia suoni. Da quando Mark se
ne è
andato, io – dormigliona cronica – non riesco
più a dormire.
La
sveglia suona e la
porta della mia camera matrimoniale si spalanca in contemporanea:
è Jack che si
butta sul letto senza
grazia.
“Mamma,
posso stare a casa
da scuola?”
“Perché?
Non stai bene?”
“No,
sono stanco che gli
altri mi prendano in giro.”
Io
prendo il suo piccolo
volto tra le mani e mi ritrovo a fissare due occhi azzurri come quelli
di Mark.
“LO
so che fa male, ma non
devi dare loro la soddisfazione di sapere che ti fanno stare mare.
Vai
a scuola e prosegui il
tuo cammino a testa alta, sii fiero di te stesso. Tu sei superiore a
loro.”
Bel
discorso, peccato che
venga da una che si è presa un mese di ferie da Mtv solo per
non sentire i
commenti dei colleghi e le frecciatine acide delle colleghe.
I
blink non sono più sulla
cresta dell’onda come band, ma ai tabloid non è
sfuggito questo inciucio e
visto che il principe Harry sembra stranamente tranquillo si sono
buttati come
iene su questo tradimento.
Un
paio di giorni si sono
persino appostati sotto casa mia, la prima volta ho chiamato la
polizia, al
terzo giorno vedendo che non capivano la lezione in modo civile ho
cominciato a
lanciare roba dalla finestra e se ne sono andati per non tornare mai
più.
Ovviamente
sono diventata
la cornuta inconsolabile e con qualche problema di nervi, ma preferisco
questo
al vivere sotto assedio a casa mia.
Jack
– visto che non
riesce a strapparmi quello che vuole – se ne va e lo sento
prepararsi, in
cucina ha una faccia mesta: quella del martire che deve salire
nell’arena per
combattere contro i leoni.
Io
mi preparo e lo
accompagno a scuola, gli do un bacio quando scende dalla macchina e poi
parto
sgommando: di solito prendevo un caffè con le mamme dei
compagni di classe di
Jack prima di andare al lavoro, ma ora non ho voglia di continuare
questa
abitudine.
Adesso
mi avventuro nei
sobborghi pakistani e faccio colazione lì, tra lo sconcerto
dei locali che non
vedono spesso una bianca dalle loro parti.
Oggi,
mentre faccio
colazione, una donna trova finalmente il coraggio di sedersi al mio
tavolo.
“Cosa
ci fa una signora
come te, qui?”
Mi
chiede in un inglese
stentato.
“Perché
qui nessuno mi
chiede come ci si sente a vedere il proprio marito fare
il compagno premuroso della moglie del
suo migliore amico.”
La
donna sorride.
“Passerà,
tornano tutti
prima o poi.”
Io
vorrei condividere la
sua certezza, non posso perché conosco esattamente che tipo
sia Jennifer
Jenkins: una finta timida che conquista tutti con i suoi occhio da
cerbiatto di
merda e poi li mette ai suoi ordini come tanti burattini.
L’ho
vista fare per anni
questo gioco con Tom, lui l’ama veramente, lei invece vive
tranquilla nel suo
amore cercando di sedurre sempre qualcuno, certa che mai lui la
scoprirà e
lascerà.
Ho
il sospetto che con
Mark abbia fatto un passo falso, quando e se tornerà da Tom
non so se lo
troverà disposto al perdono. Tende a essere uno zerbino, ma
quando è troppo è
troppo ed è un tipo che sa essere vendicativo.
Fossi
in Jen non dormirei
sonni tranquilli, ma se fossi stata quella vacca non mi sarei presa il
migliore
amico di mio marito, solo per un capriccio.
Mark, da buon romantico, crede che sia amore da parte di lei, invece
è solo un
piccolo capriccio che si è presa e uno sgambetto che ha
voluto fare a me visto
che non mi sopporta.
Io
ai suoi occhioni non ho
mai creduto, forse è per questo che non andiamo
d’accordo.
Non
ho mai sopportato le
persone false e maledicendola esco dal bar salutando il proprietario
del bar e
la donna che mi ha parlato.
Entro
in macchina e mi
immetto nel traffico massiccio verso la city sentendo un cd misto che
ho fatto
un po’ di tempo fa e quando arriva “Happy holiday
you bastard” canto con un
particolare energia – al limite della crisi di nervi
– il ritornello.
“And I hate, hate, hate your guts,
I hate, hate, hate your guts,
And I'll never talk to you again,
unless your dad will suck me off
I'll never talk to you again
unless your mom will touch my cock
I'll never talk to you again”
Sì,
odio da morire la
faccia tosta di quella stronza e anche se riavrò Mark mi
ingegnerò a renderle
la vita un inferno e sicuramente non le parlerò mai
più.
“Muori,
puttana!”
Urlo
a un semaforo poco
lontano da casa mia, abbassando il finestrino.
Arrivata
sotto il mio
appartamento parcheggio e dopo aver tirato fuori la borsa e il pane
apro il
portone e salgo a piedi le scale.
Ho
una vaga sensazione di
catastrofe imminente, come se qualcosa di strano o spiacevole dovesse
succedere
di lì a poco, ma non gli do troppo peso. Ultimamente ho
quasi sempre questa
sensazione.
Tiro
fuori le chiavi per
aprire la porta e la trovo già aperta.
Il
mio cuore salta un
battito, e se…?
Mi
lancio dentro il mio
appartamento aspettandomi di trovare un Mark contrito, che si scusa e
mi giura
amore eterno, Lo lascerei sulla corda per un po’ e lo
perdonerei, eccome se lo
perdonerei!
La
figura che siede sul
mio divano però non è Mark, è almeno
dieci centimetri più alta di lui e
imprigionata in jeans scuri e stretti e in un giubbotto di pelle: Tom
DeLonge.
Il
sacchetto del pane mi
cade di mano insieme alle chiave, che producono un rumore metallico
alla caduta
che suona come lo scoppio di una granata dentro la mia testa.
Cosa
ci fa qui?
È
l’ultima persona che mi
aspettavo di vedere, non mi sarei sorpresa così tanto se
avessi trovato Gandalf
nel mio salotto a chiedermi se volevo diventare parte della compagnia
dell’anello.
“T-Tom?”
“MI
chiamo così, ciao
Skye.”
“Cosa
ci fai qui?”
Ansimo
io, sconvolta,
andandomi a sedere su una poltrona del salotto.
Inizio
a odiare questo
salotto con i divani bianchi, il pavimento bianco e tutto questo
metallo, la
luce fredda della mattinata londinese lo fa sembrare più
parte di un ospedale
che di una casa.
“Credo
che io e te abbiamo
un problema in comune che vada risolto, non credi?”
“Tom,
per carità di Dio,
vammi a prendere un whisky!”
Lui
si alza dal divano,
apre qualche anta a caso finche non vede il mobile bar con i liquori e
mi porta
del whisky e un bicchiere.
Io
tracanno una lunga
sorsata direttamente dalla bottiglia, come le alcolizzate.
“Ok,
ora puoi parlare!”
“Dio
mio, Skye! Una
sorsata del genere a nemmeno metà mattina, devi essere messa
male!”
“Parla
quello con gli occhi
rossi come ai vecchi tempi, quante canne ti sei fatto Tom prima di
partire per
Londra?”
Lui
abbassa gli occhi.
“Le
cose vanno di merda a
tutti, vedo, ma ho una soluzione.”
Io
alzo un sopracciglio e
bevo un bicchierino di whisky.
“Prego?”
“Una
soluzione. Non fare
la stronza gelida che con me non attacca!
Ho
intenzione di
restituire loro pan per focaccia per ricondurli alla ragione o meglio
ricondurre Mark alla ragione, questa volta io da Jen ci divorzio
venisse pure
Cristo a dirmi di non farlo.”
“Qual
è, Tom?”
“Io
e te fingeremo di
stare insieme, ci faremo paparazzare da qualche fotografo e porteremo
avanti
questa commedia fino a che qualcuno dei due si farà
vivo.”
Io
lo guardo sconvolta.
“Tom
ti ricordo che tu hai
due figli e io uno. Come gliela spieghiamo questa trovata da
liceali?”
“Dicendo
loro la verità.”
“Sei
matto, DeLonge.
Troppi alieni o troppe canne ti hanno bruciato il cervello!”
Lui
ride e comincia a
passeggiare nervoso nel mio salotto.
“Hai
un’idea migliore,
Skye?
Sei
riuscita almeno a
parlare a Mark da quando lui è a San Diego?”
“No,
Jen non gli passa le
telefonate o le interrompe quando becco lui.”
“Ecco,
non riuscirai mai a
parlare a tuo marito e a farlo ragionare, serve una terapia
d’urto.
Jen
è orgogliosa, serve
qualcosa che la colpisca nell’orgoglio, la faccia agire e
allentare la presa su
Mark.”
“Parli
come un fine
stratega, Tom. Una volta eri la testa calda del gruppo.”
“Qualche
anno di
matrimonio con Jen mi ha cambiato, conosco quella donna e so batterla,
questa
volta ho intenzione di ripagarle con gli interessi tutte le corna che
mi ha
messo e di cui crede che io non sappia nulla.
Io
so, Skye e lei non sai
che so.
Ora
mi diverto io.
Ci
stai?”
Io
mi rigirò il bicchiere
tra le mani e osservo il movimento del liquido ambrato e soppeso i pro
i contro
di questa idea folle. Jack non la prenderà bene –
garantito al limone – odia
essere al centro dell’attenzione dei suoi compagni ed essere
oggetto di
chiacchiere.
Protesterà
di sicuro, però
se davvero Jen allentasse la presa su Mark io potrei parlarci e
ricondurlo alla
ragione o sedurlo se mi concederà un appuntamento.
Diamine,
le prime volte
che ci vedevamo mi trattava come una dea, era totalmente incredulo per
il fatto
che una ragazza bella e spiritosa si interessasse a un buffone come lui.
Dove
è finito quel
ragazzo?
Quello
che mi copriva di
attenzioni, come un gentiluomo di altri tempi, e mi trattava davvero da
principessa?
Deve
esserci ancora da
qualche parte e io devo entrare in contatto con lui. Urgentemente.
Che
altro posso fare per
togliere di mezzo Jen, considerato che omicidio e rapimento sono
illegali?
L’idea
di Tom – per quanto
stupida e infantile mi sembri – è
l’unica che mi rimane.
“Ok,
Tom.
Dove
sono i tuoi figli?”
“Dormono
nella camera
degli ospiti, erano abbastanza stanchi.”
“Sanno
qualcosa del tuo
piano?”
“Ava,
è troppo
intelligente quella ragazza. Ha detto che è un buon piano,
ma che rischia di
ritorcersi contro di me.”
“Sono
incredula, Tom! Hai
cresciuto una piccola Machiavelli.”
Lui
ride.
“Sono
un buon padre. Posso
essere un pessimo compagno di band, pessimo marito, pessimo amico, ma
ci tengo
a essere un buon padre.”
Io
sorrido.
“Sei
un bravo ragazzo. Tu
dove dormirai?”
Lui
mi guarda con il suo
famoso ghigno.
“In
camera tua, nel tuo
letto, honey!”
“Sta
bene, ma se allunghi
le zampine te le cionco, DeLonge, anche se è con quelle che
lavori.”
Lui
ride e si stende sul
divano, ha un’aria stanca.
“Hey,
è vero che hai
distrutto i bassi di Mark? Anche il mitico basso rosa?”
Io
annuisco.
“Verissimo,
li ho lanciati
dalla finestra fino a che il ghisa di quartiere mi ha detto di
smetterla se non
volevo essere arrestata per disturbo alla quiete pubblica e probabile
omicidio
preterintenzionale.”
“Hai
un’anima punk,
ragazza.
Io
ho dato fuoco al mio
letto e alle cose della troia.”
“Hai
fatto bene, avresti
potuto prenderti l’aids toccandoli.”
Lui
annuisce e si tira a
sedere. Io lo guardo curiosa, da una tasca del giubbotto tira fuori un
pacchetto di Marlboro e un pezzo di fumo. Apre meticolosamente la
sigaretta, fa
scaldare un po’ il fumo e poi mischia erba e tabacco in una
cartina.
Chiude
tutto mettendoci il
filtro: la sua canna è pronta.
La
accende e fa un lungo
tiro, è completamente rilassato. Un uomo di trentasei seduto
a gambe larghe e
con la testa appoggiata al divano fa molto di adolescenza ritardata.
“Vuoi
un tiro?
A
me fa dormire e tu hai
due occhiate che arrivano fino a terra.”
Io
la accetto e aspiro: il
sapore è gradevole, ma leggermente acre, quasi migliore
delle sigarette che
ogni tanto rubo a Mark.
“Uhmm.”
“Buona,
eh? Mi sembra di
tornare a quando i blink erano l’unica cos che contasse nella
mia vita.”
“A
me sembra di tornare al
college, avevo una compagna di stanza vegetariana e con i dread, la
tipica alternativa
si stocazzo e ce ne fumavamo un po’ allora.”
Gli
ripasso la canna.
Tiro
dopo tiro la canna
finisce, Tom butta via i resti mentre le mie palpebre si fanno pesanti
e gli
occhi si chiudono da soli.
Dopo
giorni di insonnia
finalmente dormo.
Vengo
svegliata dal rumore
di urla acute e prolungate.
Chi
diavolo stanno
uccidendo?
Mi
alzo molto rintronata e
mi accorgo che è Jack a urlare e sta insultando Tom in ogni
possibile modo.
“Ehi
ehi, che succede?”
“Che
succede lo chiedo io
a te!”
Mi
fa con una cattiveria
insolita per il bambino calmo ed educato che è.
Questo
agisce come una
frustata e mi sveglia del tutto.
“Jack,
mi spieghi cosa
c’è?”
“No,
tu mi devi spiegare
cosa c’è.
Cosa
ci fa lui qui? E cosa
significa il fatto che vuole fingere di stare con te?
Io
non ho bisogno di un
nuovo papà, mi basta il mio e poi io devo sposare Ava e se
lui diventa il mio
papà non posso sposarla.
Non
lo voglio!”
Detto
questo si rifugia in
camera sbattendo la porta.
“Che
significa che deve
sposare mia figlia?”
Mi
chiede interdetto Tom.
“Non
ne ho idea, adesso vado
a parlargli.”
Lascio
Tom in salotto a
chiedersi per quale oscuro motivo il mio unico figlio voglia diventare
suo
genero per vedermela con Jack.
Lui
sta piangendo sul
letto abbracciato al cuscino, una scena che mi stringe il cuore.
Mi
siedo accanto a lui che
si allontana, come se non gradisse il contatto con me.
“Jack…”
“Non
lo voglio un nuovo
papà.”
“Tom
non lo sarà, farà
solo finta, così il tuo papà torna da noi.
Non
rivuoi il papà?”
Lui
si asciuga le lacrime
con una manica.
“Certo
che lo rivoglio!
Ma
se lui non torna? E se
tu ti innamori di quello?”
IO
gli scompiglio la
zazzera, pensando che i bambini hanno tanta fantasia.
“Non
succederà.
Cosa
significa che vuoi
sposare Ava?”
Mi
guarda come se fossi
diventata scema all’improvviso e lui non se
l’aspettasse.
“Ma
l’hai vista???”
Ho
perfettamente presente
l’immagine di una bambina dai lunghi capelli castani che
somiglia in modo
incredibile a Tom, occhioni nocciola compresi.
“Sì.”
“Non
vedi quanto è bella e
forte?
Fa
skate, suona la
chitarra come me e non è piagnona come tutte le femmine, le piace anche il punk.
IO
me la sposo e non sarà
certo Tom ad impedirmelo! Quando sarò grande la
porterò in quella chiesa
gigantesca che c’è a Parigi, quella con i vetri
colorati e me la sposo!”
La
faccia di Jack è uguale
a quella di Mark quando si mette in testa qualcosa, non avrà
pace fino a che
non avrà attuato il suo piano o la cosa avrà
perso importanza per lui, meglio
non contraddirlo.
“Certo
che la sposerai, se
lei vuole e Tom non te lo impedirà.
Ce
la fai a reggere per un
po’ questa sceneggiata per riavere papà?
Anche
Ava è qui.”
Al
suo nome si illumina,
poi la sua faccina si fa pensosa e mi guarda serio.
“Va
bene, ma non voglio
vedervi baciare in casa.”
“Amore,
è solo una finta.
Se Tom provasse a baciarmi gli darei un manrovescio di quelli che
sai.”
Lui
si porta una mano alla
guancia con una smorfia sofferente stampata in faccia.
“Ahia.”
“Adesso
ti va di venire di
là a mangiare?”
Lui
si alza poco convinto.
“Sì,
ho una fame bestiale.”
Pericolo
rientrato, per
ora.
Jack
mangia tranquillo
insieme ad Ava e a Jonas, limitandosi a lanciare solo qualche occhiata
scettica
a Tom.
Finito
il pranzo va a
giocare con gli altri e io Tom rimaniamo da soli.
“Beh?
Cosa è preso a tuo
figlio?”
“Una
cotta per Ava.”
“Ava
non si deve
interessare ai ragazzi ancora per tanto tempo!”
Ringhia
lui, stringendo le
mani a pugno.
“Sembri
un padrino
siciliano, Tom!”
“Tuo
figlio le deve stare
alla larga, hai capito?”
Io
mi porto a pochi
centimetri da lui e gli punto minacciosamente un indice
all’altezza del naso.
“Non
ti azzardare a dire
qualcosa contro mio figlio, Thomas Matthew DeLonge
Junior o te ne torni a San Diego a calci e
fanculo l’accordo!”
Lui
mi guarda incredulo
per qualche secondo, poi capisce che faccio sul serio e deglutisce: non
si
aspettava una persona in grado di tenergli testa, probabilmente.
“E
tu sembri una madre
italiana!”
“Tu
non devo toccare mio
figlio, hai capito?”
Replico
ignorando le sue
parole, forse entrambi abbiamo dei discendenti italiani che ignoriamo.
“Ok,
Skye, scusa. Ho
esagerato.”
“Scuse
accettate, ma
ricordati quello che ti ho detto.”
“Va
bene.”
Il
resto del pomeriggio
trascorre tranquillamente, Tom suona per un po’, io sbrigo
del lavoro al
computer e alle tre urlo a Jack di fare i compiti.
Lui
si presenta con i
quaderni, i libri e l’astuccio e comincia a lavorare in
silenzio, non prima di
aver scrutato Tom che smette di suonare e si sdraia sul divano.
Il
picchiettare delle mie
dita sui tasti per scrivere risuona come una scarica di mitra continua
nel
silenzio pesante della stanza.
A
un certo punto Jack scaraventa
via un quaderno nervosamente e poi
si alza per raccoglierlo di nuovo, lo sistema alla bell’e
meglio e torna a
sedersi.
“Che
succede?”
Gli
chiedo preoccupata.
Lui
scuote la testa
imbronciato.
“Problemi
con matematica.”
Io
taccio, con la
matematica sono sempre stata una schiappa, era Mark – fitta
al cuore – a dargli
una mano, ma ora lui non c’è.
Lui
è a rotolare nel letto
di Jen, dimentico che ha a casa una moglie e un figlio che ha bisogno
di lui
per giocare e per risolvere i problemi di matematica.
Con
la voce più calma che
riesco a trovare gli propongo di chiedere aiuto a Tom, lui mi guarda
freddo –
tale e quale a suo padre quando è arrabbiato – e
scuote la testa.
Si
rimette a fare i
compiti e non cede nemmeno quando è ora di cena. Provo a
chiamarlo, ma lui dice
che non ha fame e che prima deve finire quei dannati compiti di
matematica.
Alle
dieci vado in camera
sua a vedere come sta e lo trovo addormentato alla scrivania, i compiti
non
ancora finiti. Sorrido, è testardo come suo padre, e con delicatezza lo
spoglio, gli metto il suo
pigiamino blu e lo metto a letto, poi prendo in mano il quaderno e
torno in
salotto.
Tom
sta guardando la tv
con i piedi appoggiati sul tavolo.
“La
tv inglese fa schifo.”
“Sì,
hai ragione. Tom,
posso chiederti un favore?
Potresti
dare un’occhiata
ai compiti di matematica di Jack?
Nonostante
la sua
testardaggine non li ha finiti.”
Lui
mi riserva il suo
sorriso storto, ma non prende in mano il quaderno.
“Mi
pare che lui non
voglia il mio aiuto.”
Io
lo fulmino.
“Tom,
la testardaggine di
un bambino che si ritrova a casa uno sconosciuto e non vuole che
sostituisca il
padre è comprensibile, la testardaggine di un adulto che fa
l’offeso con un decenne
per niente.”
Lui
sbuffa e prende il
mano il quaderno, dopo un’ora di riflessioni li ha finiti.
“Non
sono sicuro che siano
giusti, ma almeno sono fatti.
Ora
so perché il
matrimonio tra te e Mark è così ben
riuscito.”
Faccio
una strana smorfia.
“Era
così ben riuscito, mi
dimentico sempre di lei. Tu hai un pugno di velluto ed è
perfetto per un eterno
bambino come Mark.”
“Già.”
Rimaniamo
un attimo in
silenzio.
“E
così chiedi davvero il
divorzio da Jen.”
“sì.”
“Non
l’avrei mai detto.”
Lui
sbuffa.
“Non
doveva toccare il mio
migliore amico, mio fratello. D’accordo abbiamo litigato, ma
lui rimarrà sempre
questo per me e lei non doveva intromettersi, ho persino smesso di
parlare con
Anne per lei, questo è troppo.
Adesso
le restituisco
tutto con gli interessi, per prima cosa si scorda i bambini, seconda
cosa i
soldi.”
“Fai
bene, quella non
merita pietà.”
Mi
alzo dal divano.
“Dove
vai?”
“A
letto.”
“Vengo
anche io.”
Lo
squadro con
un’occhiataccia.
“Tieni
a posto le mani o
te le taglio, DeLonge, anche se con quelle ci vivi.”
Lui
alza le mani in segno
di resa e mi segue nella mia camera da letto come un’ombra e
a me fa strano che
l’uomo dietro di me non sia Mark.
Ormai
però ho accettato e
devo portare le cose fino in fondo.
Che
il piano abbia inizio!
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Capitolo 2 *** 2) Chaos in system. ***
2
La
mattina dopo mi sveglio
con una sensazione di calore alle spalle e per un attimo il mio
cervello si
illude che sia quello di Mark.
Mi
basta abbassare un
attimo gli occhi sul braccio che mi tiene abbracciata e che giace sulla
mia
pancia per capire che non è così. È un
braccio completamente tatuato ed è
quello di Tom, nel sonno si deve essere avvicinato a me fino ad
abbracciarmi.
Poco
dopo lo sento fare i
movimenti lenti e quasi impercettibili di chi si sveglia,
c’è un attimo di
incertezza e poi lo sento staccarsi da me come se gli avessi dato la
scossa.
Lui
si volta verso di me e
alza le mani.
“Io….
Scusa non so come
sia potuto succedere!”
“Non
preoccuparti, devi
esserti avvicinato nel sonno, piuttosto fa qualcosa per
quello…”
Gli
indico una potente
erezione che si intravvede dai boxer e
che lui osserva costernato.
“è
da anni che non avevo
un alzabandiera mattutino, cazzo!”
Scende
dal mio letto di
corsa imprecando e lo sento andare in bagno, io scoppio a ridere di
gusto e mi
sento di buon umore: sono ancora abbastanza sexy da dare erezioni
mattutine non
volute!
Lui
ritorna in camera,
ancora borbottando.
“Dai,non
è successo nulla.
Adesso mi alzo per preparare la colazione a Jack e portarlo a scuola,
vuoi
qualcosa?”
Lui
scuote la testa.
“Posso
venire anche io.”
“No,
troppo presto o
altrimenti rischiamo una rivolta da parte di Jack, però se
vuoi puoi venire con
me a fare colazione dopo che l’ho portato a scuola.”
“E
sia, dove?”
“Mistero!”
Con
calma esco dal letto e
vado a svegliare mio figlio, il quale – come al solito
– si attacca al
materasso pur di non alzarsi.
“Eddai,
Jack! Lo sai che
devi andare a scuola!”
“Nooooo!
Ti prego! Per
oggi fammi rimanere a giocare con Ava.”
“Ma
dorme ancora! Dai,
pigrone, esci!”
“NOOOOO”
Io
non so più che santo
chiamare quando sento una presenza appoggiata allo stipite della porta:
Tom.
“Lascialo
stare a casa per
un giorno, non essere così inflessibile! Sta passando un
brutto periodo e tu
scommetto che non gli hai fatto perdere nemmeno un giorno di
scuola!”
Io
lo guardo irritata,
Jack con uno sguardo di pura gratitudine.
Mi
sento accerchiata su
due fronti – in una perfetta morsa a tenaglia – e
quindi cedo: stacco le mani
dalle sue spalle e gli concedo ancora qualche ora di sonno.
“Tom,
accidenti!”
“No,
accidenti a te Skye!
Mostra un po’ di comprensione e di uguaglianza, ti sei
concessa di fuggire dal
lavoro per un mese e non concedi nemmeno un giorno di ferie a tuo
figlio?”
Lui
se ne va in salotto,
grattandosi il sedere e lasciandomi in piedi accanto alla stanza di
Jack come
una fessa. È questo che mi sento in questo momento: una
fessa mista a tiranna.
Lo
raggiungo in salotto.
“Hai
ragione, Tom.
Dai,
prepariamoci che ti
porto in un posto.”
Lui
annuisce e dopo un
quarto d’ora usciamo di casa, io sono martellata dalle
domande di Tom, ma
possibile che non sia capace di stare zitto un attimo?
“Tom,
se non stai zitta ti
gambizzo! Com’è vero che mi chiamo Skye
Everly!”
Lui
tace.
“Come
fai con Mark?”
“Lui
non è pressante come
te! Sa quando è arrivato il momento di tacere se non vuole
rischiare una
rappresaglia.”
“Io
sono Tom.”
La
sua frase risuona come
una fucilata nel mio cervello; è lui ad avermi gambizzato,
non il contrario.
Il
mio volto si fa scuro
ed entriamo in macchina senza profferire parola, Tom ha
un’espressione
vagamente dispiaciuta in volto, forse si è reso conto di
aver detto qualcosa
che non doveva dire.
Metto
in moto con stizza e
partiamo a razzo, tanto che lui si aggrappa alla maniglia che
c’è sopra il
finestrino.
“Skye?”
“Che
vuoi?”
“Scusarmi,
forse ho detto
qualcosa che non dovevo dire.”
“Hai
solo detto la verità
e la verità fa male.”
Lui
non mi risponde e
guarda fuori dal finestrino: stiamo uscendo dalla city per inoltrarci
nella
grande Londra.
“Dove
cazzo stiamo
andando?”
Mi
chiede nervoso, quando
nota che andiamo verso la periferia e per di più in una zona
piena di
musulmani.
“Skye!”
“E
stai zitto! Non ti
porto tra i terroristi!”
Alla
fine parcheggio
davanti al solito ed entro con un guardingo Tom alle spalle, mi siedo
al solito
tavolo e ordino il solito caffè e un dolce indiano.
Le
brioches sono finite,
mi dice un costernato cameriere che avrà sì e no
quindici anni.
“Ah,
e così è questa la
tua tana.”
“Esattamente.
Come vedi
tutti si fanno i fatti loro e non mi chiedono nulla della mia
vita.”
“
è un’ottima cosa”
Dice
bevendo un sorso di
cappuccino.
“E
anche il cibo è buono,
questo cappuccino ha qualcosa di diverso rispetto agli altri.”
“La
cannella.”
Sentenzio
io.
Poco
dopo la stessa donna
di ieri si avvicina al mio tavolo e guarda Tom.
“è
lui quello che doveva
tornare?”
Io
scuoto la testa.
“Lui
è il miglior amico di
mio marito e il marito della donna con cui sono stata
tradita.”
La
donna – sui sessant’anni,
con una pelle scura e dura come il cuoio e un piercing al naso
– mi osserva.
Con quella faccia e quella treccia di capelli neri e grigi che esce a
tratti
dal velo sembra il ritratto della vita vissuta fino in fondo: grandi
gioie e
dolori terribili.
“A
volte due cuori
spezzati possono creare un cuore nuovo che funzioni.”
Detto
questo se ne va e io
mi chiedo se dietro a queste parole oscure non si celi una profezia da
cui Jack
e Ava ci hanno in guardia: che tutto
ci
si possa rivoltare contro e che finiremo per innamorarci sul serio.
Scaccio
questi pensieri
come mosche, ma ormai una goccia del veleno che hanno disseminato in me
è
entrato in circolo e sento salire in me una leggera angoscia.
Arriviamo
a casa e
troviamo i nostri pargoli vivi e attivi.
“Avete
già fatto
colazione?”
Chiedo
io appendendo il
cappotto sul gancio che c’è dietro alla porta.
“Sì,
Jack mi ha fatto la
colazione!”
Sorride
Ava prima di
riprendere a strimpellare su un basso acustico seguita a ruota da Jack
che
muove piano le dita sulla sua chitarra.
“Metti
insieme un Hoppus e
un DeLonge e li vedrai suonare immediatamente.”
Lui
ride.
“Bravino,
Jack. Non è da
tanto che suona, vero?”
“No,
solo qualche mese.”
“Anche
Ava suona il basso
solo da qualche mese. Credi che tuo figlio accetterebbe lezioni di
chitarra da
me?”
“Non
hai che da
chiederglielo. Mi spiace per Ava che rimarrà
indietro.”
Lui
mi guarda ghignando.
“Ma
qui c’è una bassista!”
“Cosa?
No, i bassi di Mark
li ho distrutti tutti!”
“Ho
detto che c’è una
bassista e sei tu e so che il tuo basso è nascosto da
qualche parte!”
Io
arrossisco fino alla
radice dei capelli.
È
vero, io suonavo il
basso all’università e tante volte durante i
nostri primi appuntamenti io e
Mark suonavamo insieme, ma non sapevo che Tom lo sapesse.
Quel
basso è finito chissà
dove e non so se ho voglia di tirarlo fuori di nuovo e ricordare tutte
quelle
volte Mark mi correggeva qualcosa e i brividi che provavo allora.
“Sì,
lo è. Non so dove.”
Lui
mi tende una mano.
“Vieni
, ti aiuti a
cercarlo.”
Io
lo guardo un po’ esitante,
ma alla fine accetto. È inutile scappare dai fantasmi del
passato, per quanto
lontano tu andrai loro ti seguiranno sempre perché sono
creati e vivono nella
tua testa.
Ci
avventuriamo nel mio
sgabuzzino: una stanzetta ingombra di cose e pericolosa.
Basta
toccare uno
scatolone per venire travolti da altra roba e finire sepolti
– letteralmente –
sotto i ricordi.
Muovendoci
con calma, come
degli sminatori, troviamo una scatolone lungo che può
contenere dei bassi. Lo
portiamo fuori dalla stanzetta e in effetti contiene proprio due bassi:
un
basso acustico con il segno della pace disegnato sopra e un basso
elettrico
rosso con gli adesivi dei blink e dei pistols.
“Pacifista?”
“No,
me l’ha disegnato la
mia compagna di stanza al college senza il mio permesso.”
Imbraccio
lo strumento e
lo accordo, al primo segno di una melodia bassa e triste vengo assalita
da
migliaia di ricordi e mi sembra quasi di sentire le mani si Mark sulle
mie.
Tom
intanto è andato in
salotto, io lo guardo sedersi vicino a Jack che smette immediatamente
di
suonare.
“Ehi,
ti va se ti do
lezioni di chitarra?”
Il
clima nella stanza si
fa pensante, da una parte mio figlio vorrebbe rifiutare sdegnato,
dall’altra
sente la pressione di Ava che vuole che accetti.
Devo
fare qualcosa.
“Che
ne dite se andiamo al
parco?”
Mio
figlio mi guarda
grato.
“Sì!!
È una bella idea, ci
sono le altalene, gli scivoli e si può dare skate!”
Ava
annuisce, la proposta
è accettata e il clima si scioglie. I due mettono a posto i
loro strumenti e si
preparano per uscire.
Venti
minuti dopo siamo
stretti nella mia utilitaria e diretti verso uno dei tanti parchi di
Londra,
nei sedili posteriori Ava, Jonas e Jack chiacchierano allegramente, io
e Tom
rimaniamo in silenzio.
“Non
mi sembri felice di
aver trovato il tuo basso.”
“Ci
sono troppi ricordi
che sono legati a quello strumento.”
Taglio
corto io.
Arriviamo
al parco e i due
maschietti corrono verso le altalene, Ava invece si ferma un attimo da
me.
“Ho
sentito un basso
prima, era il tuo?”
“Sì,
suonavo il basso al
liceo e al college.”
“Mi
insegni?”
Io
sorrido.
“Va
bene.”
Lei
rimane un attimo in
silenzio.
“Tu
pensi che mio papà sia
un bell’uomo?”
Io
arrossisco, che Tom sia
un bell’uomo è assodato ed è anche
sexy, ma come faccio a dirlo a una
ragazzina?
“Beh,
sì. Non lo trovi
bello anche tu?”
“Sì,
anche io.”
Butta
lo skate per
terra e raggiunge
Jack sulle altalene,
gli dice qualcosa e lui scende dall’altalena, recupera il suo
skate e si mette
a fare acrobazie con Ava sotto lo sguardo vigile mio e di Tom.
“Sai
cosa mi ha chiesto
tua figlia?”
“Cosa?”
“Se
ti trovavo bello.”
Lui
gonfia il petto.
“Immagino
le avrai detto
di sì.”
Io
scoppio a ridere.
“Non
cambierai mai, eh?
Sì,
le ho detto che sei
bello. Jen è stata una fessa a lasciarti andare.”
“Jen
voleva troppo.”
Lui
stringe i pugni e
guarda lontano con aria scura.
“Scusa,
forse non dovevo
nominarla.”
“No,
è ok. Prima o poi
dovrò parlare di lei ed è meglio che inizi ad
allenarmi con te.”
Ci
sediamo su una
panchina, non ho mai visto jack così felice da quando
abbiamo lasciato san
Diego, la sua cotta per Ava deve essere davvero forte.
Trascorriamo
una mattinata
piacevole al parco, persino il sole decide di fare capolino tra le
grigie nubi
londinesi e questo mi mette di buon umore.
Mi
manca la California, era
Mark quello che voleva venire qui, io ho sempre amato il sole, il mare
e le
città di mare.
A
mezzogiorno i pargoli
tornano da noi vecchi e chiedono a gran voce cibo, Tom mi guarda e
sogghigna.
“Mac
Donald?”
“Sììì!”
“è
cibo spazzatura!”
Lui
scuote la testa.
“Skye,
non la pensavi così
quando eri in California.”
Io
sospiro.
“D’accordo,
ma non
abituatevi al Mac, troppi hamburger fanno male!”
Usciamo
dal parco e
ritorniamo di nuovo nella mia utilitaria, alla ricerca del fast food
più
vicino.
Lo
troviamo e Ava, JoJo e
mio figlio si precipitano dentro senza nemmeno aspettarci.
“Che
energia!”
“Sono
così belli!”
Io
e Tom raccogliamo le
loro ordinazioni e ci mettiamo in fila, quando arriva il nostro turno
il
ragazzo al bancone guarda Tom come se fosse una visione paradisiaca.
“Ma
tu sei Tom DeLonge!”
“Sì,
sono io!”
“Ti
prego, potresti
firmarmi un autografo, per favore?
Sono
anni che seguo le tua
band.”
Tom
sorride timido, non
gli piace molto il contatto con il pubblico a differenza di Mark.
“Certo.
Mi dai un pezzo di
carta su cui scrivere e una penna?”
Mi
chiede, io frugo per un
po’ nella borsa e poi gli porgo un foglietto staccato da un
block notes e una
penna.
“Come
ti chiami?”
“Lewis!”
“Bene.”
Tom
firma l’autografo e
noi ci spostiamo nella zona dove ci consegneranno i piatti.
“Odio
essere famoso certe
volte.”
“Non
essere così snob, ti
ha solo chiesto l’autografo e poi è male che hai
voluto tu. Sei tu che hai
sempre spinto i blink verso mete più alte.”
“Già,
la maggioranza delle
cose che mi fanno male sono cose che ho voluto io.”
Ci
sediamo al tavolo, io
non ho capito cosa abbia voluti dire con l’ultima frase.
Rimpiange di aver
creato i blink o di averli abbandonati?
Mentre
distribuisco i
vassoi la mia mano viene casualmente a contatto con quella di Tom e un
brivido
passa tra di noi, l’ha sentito anche Tom perché
allontana quasi subito la mano
e mi guarda interrogativo.
Io
gli faccio un leggerissimo
cenno di diniego, quello che è appena successo non significa
nulla, non deve
significare nulla.
Io
amo ancora Mark e Tom è
solo un amico con un solo difetto: essere troppo sexy.
Nella
mia condizione di
donna abbandonata e in astinenza sono semplicemente troppo sensibile a
certi
impulsi.
È
Mark che rivoglio.
Mark.
Chiarito
questo ai miei
bassi istinto mangio con troppa voracità il mio panino.
“Fortuna
che era cibo
spazzatura, eh Skye?”
Mi
prende in giro Tom.
“Oh,
ma sta zitto!”
Lui
ride, la sua risata
inizia a provocarmi effetti schizofrenici: da una parte la odio, da una
parte
inizia a piacermi.
Usciamo
dal Mac Donald e
torniamo a casa.
Alle
due telefono alla
madre di un compagno di Jack e mi faccio dare i compiti – il
signorino non ne
ha voglia – e poi lo metto sotto.
È
stato assente un giorno,
deve recuperare.
Tom
invece decide di
portare Ava e Jonas a fare un giro per Londra, io non ho nulla da
obbiettare
perché ho bisogno di stare da sola con mio figlio e di
pensare.
Chissà
se Mark vuole
davvero tornare da me?
Chissà
che forse non stia
meglio con Jen?
Poi
torno rapidamente in
me, Jen è una mangia uomini, Mark un romantico incallito:
insieme non possono
funzionare.
Mark
non è disposto a
essere trattato da zerbino, ma alla pari: Mark deve tornare da me e Jen
se ne
deve andare a fanculo.
Voglio
vederla mendicare
da qualche parte a San Diego, pentita delle sue azioni e senza la
possibilità
di porvi rimedio.
Ecco
quello che voglio:
Mark e un po’ di sana vendetta.
“Mamma?”
Jack
mi distoglie dai miei
pensieri, mi guarda con la penna a mezz’aria.
“Sì,
piccolo?”
“Ma
papà torna, vero?”
“Certo
che torna!”
“Non
è che ti innamori di
Tom?”
“Mannò,
piccolo!”
“Io
ho questa sensazione e
non voglio un nuovo papà!”
Inizio
a temere di avere
un figlio veggente, i brividi di stamattina mi indicano che qualcosa
non sarà
così semplice, che i miei istinti si sono risvegliati.
-Oh,
andiamo Skye! Hai
solo voglia di una scopata! Non ami Tom, scommetto che se ci scopassi
insieme
urleresti il nome di Mark quando vieni.-
La
mia coscienza forse ha
ragione, ma non sono molto sicura sull’ultima parte.
Dannazione,
alle pessime
idee di Tom!
Alle
sei i DeLonge
ritornano dal loro giro, Tom sembra stanco, Ava di pessimo umore, Jonas
dorme
tra le braccia di Tom.
“Beh,
che è successo?”
“Ci
ha portato a vedere
quadri in un museo e non al millenium eye!”
Strilla
Ava arrabbiata.
“Li
hai portati alla Tate?
Al loro secondo giorno e senza preparazione?
Tom…”
“Scusate,
se volevo un po’
acculturarvi!”
IO
mi metto a ridere e
vado a preparare la cena, Ava mi segue.
“Skye?”
“Sì?”
“Ci
porti stasera al
millenni eye?”
“Certo!”
Cucino
una pasta
all’italiana, lavo i piatti e poi ordino a tutti di
prepararsi, facendo
l’occhiolino ad Ava che lancia un urletto di gioia.
In
un quarto d’ora sono
tutti pronti e saliamo nella mia macchinetta diretti verso il Tamigi,
Tom
sembra imbronciato.
“Dai,
Tom, qualche errore
capita a tutti!”
Lui
sospira.
Parcheggio
e scendiamo
tutti, io ho una mano di Jack tra le mie, Tom ha sia Ava che Jonas per
mano. I bambini
urlano eccitati e chiedono zucchero
filato.
Richiesta
accordata.
Con
lo zucchero filato
saliamo su una cabina e ci godiamo il panorama di Londra, Ava lo guarda
incantata e anche JoJo sembra felice.
Jack
invece è felice
perché è con Ava, gli basta questo: beata
gioventù.
Durante
il giro sento
molto spesso lo sguardo di Tom su di me e brucia, sto diventando
ipersensibile
e non va bene.
Non
va per niente bene.
Scesi
dalla cabina
torniamo a casa e i bambini vanno a letto subito, noi invece rimaniamo
in piedi
ancora un po’ a guardare la tv.
Non
ci interessa
minimamente cosa trasmettano c’è un clima misto di
disagio e attrazione.
Merda.
All’improvviso
Tom spegne
la tv.
“Skye,
credo sia meglio
che io dorma qui stanotte.”
“Lo
credo anche io.”
Mi
alzo e mi chiudo in
camera mia, tirando un sospiro di sollievo, qui mi sento protetta.
Mi
stendo e per la prima
volta il letto matrimoniale non mi sembra né troppo grande,
né troppo vuoto.
Mi
sembra perfetto: in
attesa di qualcuno come lo sono io.
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Capitolo 3 *** 3) Why do I want him, now? ***
3) Why do I want
him, now?
La
mattina dopo è una
mattinata tranquilla.
Jack si alza senza
problemi e non sembra affatto agitato alla prospettiva di andare a
scuola, anzi
è iperattivo come un cocainomane dopo una sniffata:
è incredibile che effetto
gli faccia Ava.
Lo accompagno a scuola e
poi mi rifugio nel mio solito bar indiano, pensando alle sensazioni che
Tom mi
ha dato ieri sera.
Dobbiamo procedere con cautela
con il suo piano o rischiamo davvero che ci si rivolti contro e non
è il
massimo: Jack potrebbe decidere di vivere con il padre invece che con
me.
Arrivata a casa, i figli
di Tom dormono ancora lui invece è attaccato al telefono e
rimane attaccato al
telefono per tutta la mattina.
Anche quando Ava e JoJo si
svegliano non lo molla per un secondo, io preparo la colazione ai suoi
figli e
poi metto il più piccolo sul divano a guardare la tv
– un programma per bambini
– raccomandando a Tom con un linguaggio di segni di tenerlo
d’occhio.
Io invece vado in camera
mia con Ava e come promesso cerco di darle qualche lezione di basso,
non
combiniamo granché, ma almeno ci divertiamo.
A mezzogiorno vado a
preparare il pranzo aiutata da lei: penso di fare una cotoletta
all’italiana e
delle patatine fritte.
Io preparo le cotolette,
lei sbuccia le patate e poi insieme le immergiamo nell’olio
bollente.
Quando Jack arriva a casa
vedendo Ava e il suo piatto preferito sorride e si mette a saltellare
dalla
gioia coinvolgendo Jonas nella sua danza.
Tom finalmente si stacca
dal telefono e si massaggia la tempia con le dita, sembra reduce da un
incontro
di box.
A tavola gli chiedo a chi
abbia telefonato.
“Uhm, allora andiamo con
ordine.
Alla Macbeth per alcune
cose, all’avvocato per dirgli di preparare i documenti per il
divorzio da Jen e
poi ho parlato con la segreteria della scuola di Jack per vedere cosa
fare per
iscriverci anche Ava e a un asilo per lo stesso motivo.”
Alla parola “scuola” la
forchetta cade di mano ad Ava.
“Mi iscrivi a una
scuola??? Io pensavo che questa fosse una vacanza.”
“No, tesoro. Rimarremo a
Londra per un po’ e tu non puoi perdere l’anno.
Domani vado alla scuola quindi
verrò anche io con te e Jack.”
Jack sbuffa, io
impallidisco: chissà cosa penseranno le altri madri!
Tom ci guarda con uno
sguardo divertito.
“Suvvia, non prendetela
con così, non è morto nessuno.”
Io mi chiedo se quest’uomo
di trentasei anni sappia cosa siano capaci di fare un gruppo di donne
affamate
di pettegolezzi, di questo passo il nostro piano di mostrarci insieme
subirà
una brusca accelerazione!
Lo osservo un po’ meglio e
mi rendo conto che lo sa benissimo e che l’ha fatto apposta,
devo chiedergli
perché, ma
non posso farlo davanti ai
bambini!
Finito il pranzo spedisco Jack
a fare i compiti e Ava e Jonas a giocare nella loro camera.
“Si può sapere cosa ti
prende?”
“Cosa mi prende in che
senso?”
Mi chiede Thomas facendo
scorrere annoiato i canali della tv inglese.
“Perché hai voluto
accelerare il piano?”
Lui mi guarda.
“Credi che non mi sia
accorto che inizi a provare attrazione per me?
Quando Mark ritornerà non
ti perdonerai di avere scopato con me, quindi prima iniziamo e prima
finiamo e
tu tornerai a sfogare i tuoi bollenti spiriti con tuo marito non con
me!”
Io arrossisco fino alla
radice dei capelli.
“Sei uno stronzo!”
“Sì, può darsi che io lo
sia, me lo dicono in tanti, ma questa volta sai che ho
ragione.”
Io scoppio improvvisamente
a piangere e lui mi guarda incredulo, visto che non smetto si alza e mi
abbraccia.
“Che ti succede?”
“Mi manca da morire e mi
sento in colpa per provare qualcosa verso di te.
Vorrei che tu fossi un
semplice amico, ma è vero, sento una forte attrazione verso
di te e so che mi
mancherai quando Mark tornerà.
Ho paura che il mio
matrimonio andrà in pezzi lo stesso, Tom e che questa volta
sarò io la causa di
tutto quanto!”
Lui mi stringe di più
senza dire nulla.
“Allora ho ragione, è
meglio se ci sbrighiamo per tutti.”
Già, ha ragione.
Per il resto la giornata
trascorre tranquilla, porto Ava e Jack a fare skate al parco e cucino
la cena.
Alla sera Ava e Jack si
chiudono in camera di Jack a guardare un film alla tv, Tom li guarda un
po’
male, ma non dice nulla.
Alle dieci spedisco tutti
a letto e come la notte precedente io dormo nel mio letto e Tom sul
divano.
Deve essere scomodo
dormire lì per lui, perché la mattina dopo
è tutto curvo e lamenta dolori in
tutto il corpo.
“Porca merda, non ho più
vent’anni!”
Lo sento mormorare in
bagno, credendo che nessuno lo senta.
Anche questa mattina Jack
non fa storie per andare a scuola, sono io quella che vorrebbe bigiare:
mi
immagino già l’attacco a cui verrò
sottoposta dalle altre mamme.
Tom però ha ragione: la
famiglia DeLonge non è qui in vacanza e Ava non deve perdere
giorni di scuola,
anche se lei lo vorrebbe tanto.
Quella bambina somiglia a
Tom in una maniera impressionante, sia nel fisico che nel carattere.
In ogni caso è troppo
tardi per tirarsi indietro; io, Tom e Jack ci rechiamo a scuola, Jack
corre
subito dai suoi amici e Tom dalla preside.
Merda, sono stata lasciata
da sola in mezzo alle iene!
Le vedo avvicinarsi con
aria curiosa e la febbre da gossip a tremila, me le vedo spettegolare
su come
la povera Skye
abbia già trovato un
sostituto del marito, e che sostituto!
Deglutisco e mi appiccico
sul volto il sorriso più cordiale che riesco a trovare.
“Ciao Skye!”
Ecco la prima iena.
“Ciao!”
“Chi è quell’uomo che è
sceso con te?”
“Un amico che vuole
iscrivere sua figlia alla stessa scuola di Jack.”
Dico cauta, lei mi
batte una mano sulla spalla maliziosa.
Gliela taglierei quella mano, chi cazzo ti credi di essere per
comportarti
così?
“Ma dai, l’abbiamo
riconosciuto tutte: è Tom DeLonge.”
“Sì, e allora?
Non posso essere amica di
Tom?”
Lei mi guarda maliziosa.
“Solo amica?”
Il tono eccessivamente confidenziale
di questa sconosciuta mi dà ai nervi e spero di non spaccare
qualche testa
mentre Tom è impegnato nel colloquio con la preside.
Vedo già i titoli sui
giornali: “Skye Hoppus ammazza un gruppo di donne in preda a
un raptus di
follia dopo il recente tradimento di suo marito.”
Calma Skye!
Per mezz’ora – mezz’ora! –
continuano a farmi domande su Tom e a cercare di farmi ammettere che
è il mio
amante.
Quando finalmente lui esce
da scuola, io le abbandono con sollievo e trascino Tom in macchina.
“Muoviti prima che le iene
arrivino!”
Parto sgommando e
rischiando di stampare la testa di Tom sul parabrezza della mia
utilitaria.
“Di’ un po’, volevi
uccidermi?”
“No, solo salvarci da
quelle arpie!”
“E adesso dove andiamo?”
“Al solito posto!”
Rispondo stizzita.
“Dio solo sa quanto avrei
bisogno di farmi una canna!”
“Ci sono i bambini a
casa.”
“Lo so, dobbiamo trovare
un altro posto!”
Lui ride e questa volta
non protesta quando lo porto al mio solito bar gestito da indiani, anzi
si
gusta la colazione.
“Cosa ti ha detto la
direttrice?”
“Che Ava potrà iniziare a
frequentare dalla settimana prossima.”
“Perfetto, adesso Jack non
avrà più problemi, vorrà sempre andare
a scuola.”
Tom se la ride.
“Diventeremo cognati.”
“Così pare!”
Finita la colazione,
camminiamo a piedi per il quartiere e individuiamo un parco: ci sono
parecchi
ragazzi in età scolare che cazzeggiano.
Io mi avvicino a uno di
loro.
“Scusate, passa spesso la
polizia di qui?”
“No, bianca. Perché?”
“Perché voleva sapere se
c’era il tempo di farsi una canna senza finire in
centrale.”
Risponde Tom al mio posto,
il ragazzino sorride.
“Ok, basta che offri un
tiro.”
Tom annuisce.
“Certo, amico. Bisogna
essere generosi.”
Lui ci porta in una zona
appartata del parco, caccia una coppietta riservando particolare
energia alla
ragazza e poi ci fa segno di sederci.
Tom inizia a preparare il
tutto, mentre il ragazzo continua a borbottare.
“Cosa succede?” chiedo
gentile.
“Quella era mia sorella!
Se i miei genitori sapessero che frequenta un bianco la ammazzerebbero,
è già
stata promessa a un cugino di un cugino che viene dall’India
per sposarla.”
“Penso che i tuoi genitori
dovranno rassegnarsi al bianco.”
Lui sbuffa e mugugna
qualcosa che somiglia a un: “ Lo so, lo so, ma che rottura di
palle!”
La canna è pronta e
l’argomento viene accantonato, parliamo d’altro
finché non è finita.
Quando è finita Tom butta
via i resti e mi aiuta ad alzarmi perché barcollo
leggermente.
“Guido io.”
“Va bene!”
Torniamo alla macchina e
seguendo le mie indicazioni a casa, non appena entro nel mio
appartamento
saluto i figli di Tom e mi butto a letto.
Ho bisogno di riposare.
Mi
sveglio all’arrivo di
Jack che urla un: “Buongiorno!” a tutto volume.
Merda, devo preparare il
pranzo!
Con fatica mi alzo ed esco
dalla camera, miracolosamente il tavolo è già
apparecchiato e c’è una teglia di
lasagne in mezzo.
“Hai cucinato tu?”
Sussurro a Tom.
“No, ho ordinato una
teglia di lasagne a una gastronomia qui vicino, tu sembravi in
coma.”
“Ho bisogno di riposare.”
Mi siedo a mangiare, Jack
racconta ad Ava la sua giornata e lei gli racconta sua chiamandolo
perdente per
essere andato a scuola, mentre lei si è goduta una mattinata
di videogiochi.
“Le cose stanno per
cambiare, tesoro.”
L’espressione di Ava passa
dalla felicità al puro terrore.
“Tra una settimana andrai
alla scuola di Jack.”
Lei sbuffa e riprende a
mangiare svogliata, sul volto di mio figlio invece si fa largo un
sorrisone
luminosissimo. Sembra gli abbiano detto che Natale sarà
domani e Babbo Natale
gli porterà una marea di cose.
Dopo pranzo spedisco Jack
a fare i compiti, io, Ava e Jonas invece ci vediamo un film, Tom esce
senza
dire a nessuno dove vada.
Finito il film Ava, Jack e
Jonas mi chiedono di accompagnarli al parco. I due più
grandi fanno skate,
Jonas li guarda invidioso dalla sua altalena.
“Voglio uno skate anche
io, ma papà dice che devo aspettare almeno altri due anni
per averne uno.
Uffa!”
Io sorrido, anche Jonas
somiglia un po’ a Tom in fondo.
Arriviamo a casa e
troviamo Tom seduto al tavolo con delle carte: i documenti del divorzio
suppongo.
“Ehi Tom.”
“Ehi Skye.”
“Senti, stasera dormo io
sul divano, ok?”
Lui mi guarda stralunato.
“Ma è scomodo! Senza
offesa, eh!”
Io sorrido.
“è per questo che ti cedo
il letto per stasera.”
Lui si gratta il mento.
“Potrei
dormire nella camera dei bambini.”
“Io ho un letto in più,
Ava potrebbe dormire da me, tu nel letto di mamma e mamma nel letto di
Ava!”
Tom lo fulmina con
un’occhiataccia, nonostante la gomitata che gli rifilo.
“Tu non dormirai con mia
figlia, ragazzino!”
“Io non voglio farle del
male!”
“Lo so io cosa vuoi
farle!”
Tuona Tom, in perfetto
stile da padrino siciliano.
“Cosa voglio farle?”
Tom apre la bocca un paio
di volte senza dire nulla, poi diventa rosso come un peperone e non
è più in
grado di spiccicare una parola.
“Forza, Tom! Spiega a Jack
cosa potrebbe fare ad Ava!”
Butto lì io ironica, poi
guardo mio figlio.
“Con te dormirà Jonas, Tom
in camera mia e io nella stanza di Ava.”
Jack sbuffa e se ne va in
camera sua borbottando su quanto sia strano e rompicoglioni Tom,
chissà dove
l’avrà imparata quella parola!
Non lo riprendo solo
perché al momento è quella più adatta
a descrivere Tom.
“Di’ un po’! Cosa volevi
fare prima, eh?
Spiegargli come nascono i
bambini già che c’eri?”
“Per carità di Dio, voi
donne esistete apposta per quello!”
Borbotta lui, uscendo in
terrazza con una sigaretta dietro all’orecchio borbottando
che questa è una
casa di matti.
Io vado a cucinare la
cena, costolette di agnello per tutti, di là invece
preparano la tavola e
litigano: a volte Tom è ancora un bambino.
Anche Mark lo era a volte
e mi sale la tristezza, chissà se anche con Jen fa il
bambino oppure fa solo il
serio.
Finito di cucinare servo
la cena che tutti apprezzano dato che in men che non si dica sono
finite tutte.
Come tutte le altre sere guardiamo un po’ la tv tutti
insieme, poi i bambini
vanno a letto e rimaniamo solo io e Tom.
Stanno dando un mieloso
film d’amore che mi fa schifo e non vedo l’ora che
si decida a cambiare canale.
“Dai cambia, Tom!”
“No, voglio vedere quando
scopano, Skye!”
Io mi lancio su di lui per
recuperare il telecomando – in fondo siamo in casa mia e
decido io cosa vedere
e cosa non – senza tener conto che l’effetto del
suo corpo fa sul mio.
Ricevo una scossa e
l’atmosfera cambia da giocosa a elettrica.
Pessima mossa, Skye.
Pessima pessima mossa.
Non ho il tempo per
rimproverarmi che mi ritrovo le labbra di Tom che premono sulle mie, il
mio
corpo agisce da solo e le schiude, così che si possa
approfondire questo bacio.
In un attimo siamo uno
sopra sul divano a baciarci appassionatamente come due adolescenti alle
loro
prime esperienze.
È solo con fatica che
riprendo il controllo di me e appoggio le mani sul suo petto per farlo
smettere.
“Giusto, giusto.
Deve essere solo una
finta, io vado a letto.”
“Anche io.”
Replico atona.
Quando entro nella
cameretta Ava è ancora sveglia.
“Ciao Ava."
“Ciao Skye. Ti piace il
mio papà, non è vero?”
Io mi metto in pigiama,
rimuovo il bacio tra me e Tom e il rossore dalla mie guance e mi metto
a letto.
“No, è solo un amico.”
“A me piaceresti come
matrigna, ma non voglio che Jack sia mio fratello.”
Io la guardo incuriosita.
“Come mai?
Pensavo ti piacesse.”
Lei arrossisce
vistosamente e si nasconde un po’ di più sotto le
coperte.
“Certo che mi piace! È… è
bello! Sa andare in skate e gli piace che anch’io sappia
farlo, gli altri
maschi mi hanno sempre detto che ero una schiappa quando lo facevo.
Gli piace il pop-punk e
non mi chiama poser per questo, adoro il suo umorismo, beh, adoro tutto
di lui.
Io non lo voglio come
fratello, lo voglio come ragazzo e poi come marito.
I fratelli non si
sposano.”
Se Tom sentisse queste
parole inizierebbe a tirare testate al muro e poi correrebbe ad
iscrivere sua
figlia in un collegio retto da suore, io invece inizio a pensare che
tra
qualche anno dovrò davvero prenotare Notre Dame.
Mi conviene pensarci per
tempo, visto che la lista di attesa per potersi sposare lì
sarà lunga come non
so cosa e poi dovrò pensare al vestito e fare un corso di
yoga.
Non voglio tentare di annegare
Jen nella Senna nel giorno del matrimonio del mio unico figlio!
“Skye?”
“Sì, Ava?”
“Non vuoi che sposi Jack?”
“No, mi va benissimo.
Adesso però siete un po’ troppo piccoli, non credi?
Tra dieci anni potrete
sposarvi, che ve ne pare?”
Lei incrocia.
“Dieci anni… Sono tanti
dieci anni e ci saranno tante ragazze che ci proveranno con lui, ma lui
è mio e
io me lo riprenderò sempre.”
Ecco un lato di Ava che
ricorda vagamente Jen in senso buono.
“Ava?”
“Sì?”
“Non ti manca tua madre?”
Lei sbuffa.
“No, lei non voleva farmi
fare skate e suonare il basso, voleva vestirmi di rosa e iscrivermi a
danza
classica.”
Il tono in cui pronuncia
“rosa” e “danza
classicaӏ schifato al massimo.
“Io le odio queste cose e
poi non voglio fare la cheerleader o la reginetta del liceo, io voglio
solo
essere Ava.”
Io sorrido.
“E sarai Ava, sarai quello
che vorrai essere!”
Ava mi sorride e dopo
qualche altro attimo di chiacchiere si addormenta sorridendo.
E così anche ad Ava piace
Jack e se le cose andranno avanti così ce li ritroveremo
davvero fidanzati,
sposati e felici.
Beh, almeno loro saranno
felici.
Io sono in una situazione
di confusione terribile: da una parte amo Mark e lo rivoglio,
dall’altra ho
appena baciato Tom e mi è piaciuto da matti.
Non so se siano i miei
ormoni in subbuglio e in astinenza o se sia altro, tipo una cotta.
Una cotta a trentasette
anni per il miglior amico di tuo marito, roba da mettersi le mani nei
capelli!
L’adolescenza l’ho passata
da un pezzo eppure…
Eppure oggi mi sono fatta
una canna come ai tempo del college e poi ho baciato un uomo sul divano
con la
stessa foga con cui lo facevo con il mio primo ragazzo.
C’era quella voglia di
stare insieme e scoprirsi, mista alla paura di venire sgamati da
qualcuno.
Mi tiro le coperte sopra
la testa, ma non serve a molto così sguscio fuori dal mio
letto, ben attenta a
non svegliare Ava, controllo che Tom sia a letto – e lo
è – e poi esco in
terrazza.
Mi metto la mia giacca di
pelle prima di uscire e poi una volta fuori mi accendo una sigaretta e
aspiro
avidamente il fumo.
Fuori si sente il rumore sottile
della città, che non dorme mai, nemmeno di notte.
Questo mi calma, è come
sentire un grande animale fare le fusa accanto a te, ti senti
ridimensionato
pensando a quanta gente viva e soffra nella tua stessa città.
Come la donna sdentata che
mi ha detto che da due cuori spezzati se ne può creare uno
nuovo.
Come il ragazzino che ha
paura per sua sorella che frequenta un bianco.
Come gli altri ragazzini
che oggi ci guardavano fumare e non commentavano la stranezza di due
adulti che
si fanno una canna.
Rientro e mi metto a letto
e questa volta dormo.
Buonanotte, mondo.
Angolo di Layla
Ringrazio fraVIOLENCE
e ValeDeLonge
per le recensioni.
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Capitolo 4 *** 4)Let's start a riot. (life is just a game, it's just an epic holiday) ***
4)Let's start a riot.
(life is just a game, it's just an epic holiday)
Il
resto della settimana
in cui Ava e JoJo non vanno a scuola e all’asilo trascorre
tranquillamente.
È segnata da una piacevole
routine in cui mi adagio grata, io e Tom manteniamo rapporti cordiali,
ma non
ci avviciniamo più di tanti.
Entrambi vogliamo
rimuovere quel bacio e la sottile attrazione che
c’è tra noi, è meglio fermarsi
prima che la cosa ci sfugga di mano prima ancora che cominci il piano
vero e
proprio.
La sensazione che provo è
che entrambi ci siamo avvicinati troppo a un fuoco e ci siamo scottati
e
nessuno dei due vuole ripetere l’esperienza.
I nostri figli invece
vanno d’accordo, Ava e Jack soprattutto – io non ho
mai detto a Tom che la
cotta di mio figlio per Ava è ricambiata da lei –
Jonas comincia a considerare
mio figlio come un fratellone.
Ava ogni tanto la sera mi
parla della sua vita a San Diego e del matrimonio dei suoi genitori.
Jen aveva
iniziato a plasmarla come una Barbie, ma ha trovato pane per i suoi
denti: la
ragazzina, nonostante i suoi dieci anni, ha la stessa testardaggine di
Tom e
non ha intenzione di farsi manovrare da nessuno.
Buon per lei.
Mi piace che qualcuno
contrasti Jen, mi piace che la sua stessa figlia non sia caduta nella
trappola
dei suoi occhioni blu.
Le do anche qualche
lezione di basso, ma alla fine conveniamo che sia meglio cercare
qualcuno più
esperto di me per dargliele. Io e lei ci facciamo delle gran risate, ma
tecnicamente non progrediamo granché.
Jack ha iniziato a
prendere lezioni di chitarra da Tom, ma è piuttosto
riluttante, credo
preferisca duecento volte suo padre che un mezzo estraneo.
Suo padre però è a san
Diego e si deve
accontentare a
malincuore.
Domenica sera ordiniamo
una pizza alla pizzeria d’asporto qui vicino e la mangiamo
tutti insieme.
Jack sta descrivendo ad
Ava la sua nuova scuola e lei non sembra particolarmente felice, come
tutti i
ragazzini prova un naturale fastidio per quell’argomento.
Tom invece sembra
stranamente meditabondo, la cosa non mi piace.
A metà cena si decide ad
aprire bocca.
“Sabato prossimo avrà
inizio il piano.”
Mio figlio non dice nulla,
ma si alza da tavola e lascia a metà la sua pizza preferita
e la conversazione
con Ava per chiudersi in camera sua.
No, non l’ha digerita e mi
conviene lasciarlo sbollire un po’ prima di parlargli.
“Tom, hai un tatto da
elefante.”
Sibilo, lui alza le
spalle: non gliene frega nulla, è convinto che prima si
inizi prima si finisca.
Finita la cena, chiedo ad
Ava di caricare la lavastoviglie al mio posto e vado da Jack. Apro la
porta e
lo trovo abbracciato alla sua chitarra.
“Non voglio Tom come
patrigno.”
Io mi siedo accanto a lui,
deve mancargli molto Mark perché quella chitarra
gliel’ha regalata lui per il
suo decimo compleanno.
“Non lo avrai.”
Lui sbuffa.
“Non sono stupido, mi sono
accorto che ti piace quel Tom.”
Dimenticavo che da Mark ha
ereditato una discreta sensibilità e antenne acute per
captare i sentimenti
altrui.
“No, Jack.”
Lui sbuffa e lascia
perdere la sua chitarra per preparare la cartella e poi prendere delle
cose
dall’armadio.
“Vado a lavarmi.”
Mi dice gelido.
“Stasera sono stanco e
voglio andare a letto presto.”
Io sospiro e accuso il colpo,
il vero messaggio dietro questo comportamento è questo:
“Non credo a una parola
di quello che mi dici, mi state prendendo per il culo e odio essere
preso per
il culo.
Sono incazzato e non mi va
di vedervi.”
Torno di là e trovo sia
Ava che Tom torvi, Jonas invece sta guardando la tv, io mi siedo
accanto a lui.
“Ava ha detto a papà di
smettere di far rimanere male Jack e lui non l’ha presa
bene.”
Io non dico nulla, non
voglio impicciarmi in questa lite, così guardo la tv con
JoJo finché non arriva
l’ora di andare a letto.
Alle dieci la casa è
deserta e Ava questa sera non è in vena di confessioni.
Io mi addormento quasi
subito e mi sveglio alle sette della mattina dopo, preparo la colazione
per tutti e poi
prendo Ava e Jack –
entrambi imbronciati – e li porta a scuola.
La figlia di Tom indossa
un cappotto militare verde, un paio di jeans neri infilati dentro degli
anfibi
rossi che si aprono.
Ha voglia di far capire
subito di che pasta è fatta.
Tom invece porta Jonas
all’asilo.
Io me la cavo abbastanza alla
svelta: ormai ho imparato a evitare le iene e poi a dirigermi verso il
mio bar
preferito.
Quando arrivo a casa la
trovo deserta, perciò mi metto a lavorare su dei documenti
che poi manderò a
Mtv.
DeLonge fa ritorno un ‘ora
dopo con una faccia totalmente stravolta, sembra abbia incontrato un
gruppo di
SS con una forte volontà di interrogarlo e farlo stare male.
Si siede sul divano e
borbotta qualcosa come: “Finalmente mi sento al
sicuro!”.
“Che ti succede?”
Lo guardo divertita da
sopra i miei occhiali.
“Da quando porti gli
occhiali, Skye?”
“Da quando sono presbite,
l’età avanza. Non hai risposto alla mia domanda
comunque!”
Lui sbuffa.
“Non hai idea di cosa mi
sia successo, non ho fatto a tempo a
far
entrare Jonas all’asilo che subito mi sono trovato
accerchiato da una mandria
di giovani mamme che volevano tutte il mio autografo, una foto, sapere
perché
il celebre Tom DeLonge era in quell’anonimo asilo londinese.
Era quello Jonas? Che
bambino carino e blablabla.
Mi stava venendo un
attacco di claustrofobia, non sapevo più come liberarmene!
Alla fine ho dovuto
firmare un autografo a tutte e farmi fotografare con loro, che
ansia!”
Io scoppio a ridere
guadagnandomi una sua occhiataccia.
“Ma ti rendi conto di chi
sei e di che lavoro fai?
Sei un chitarrista famoso,
DeLonge e probabilmente tutte queste ragazze hanno passato la loro
adolescenza
sentendo i blink e sbavando su un tuo poster, sperando di incontrarti e
che tu
ti innamorassi di loro.”
Tom scuote la testa.
“Tom, ti ricordo che al
tuo matrimonio quando hai visto i Jimmy Eat World hai pianto.”
“Va bene, hai ragione tu.”
Rimaniamo un attimo in
silenzio.
“Come mai è andata a
finire così male tra te e Jen?
Quando eravate fidanzati
eravate sempre appiccicati ed eravate così carini.”
Lui va in cucina, prende
una birra e si risdraia sul divano.
“Non ne ho idea.
Quando eravamo fidanzati
era una persona dolcissima, diceva che non le importava che gli altri
mi
credessero gay, mi spronava con la band e non mi tradiva.
Subito dopo che ci siamo
sposati è cambiata, era insofferente nei miei confronti,
diceva che ero sempre
via e che la trascuravo.
Beh, ero spesso in tour e
lei sapeva che sarebbe successo e poi non la trascuravo. Da allora sono
iniziate le corna, io sopportavo e fingevo di non sapere perche era
incinta di
Ava e poi non avrei mai potuto infliggere ai miei figli il dolore della
separazione.
Credo di avere sbagliato
su tutta la linea, dovevo mollarla anni fa, l’unica cosa per
cui le sono grato
sono Ava e Jonas: loro sono i miei tesori.”
Io sorrido.
“Sei un buon padre, Tom.”
“Spero di esserlo, spero
anche solo di essere meglio di mio padre.”
“Per me lo sei, si vede
che ami i tuoi figli e che cerchi di essere sempre presente per loro
anche
quando magari sei in tour.”
Lui sorride.
“Grazie, Skye.
Mark ha fatto un grave
errore a lasciarti andare.”
Già, ma ormai l’ha fatto.
Io lo raggiungo sul divano
e mi siedo accanto a lui e poggio la testa sulla sua spalla.
“Da ragazzina volevo
diventare la moglie di una rockstar. Ce l’ho fatta e si
è risolto tutto in
merda, la rockstar mi ha dimenticata e con me suo foglio.
Che schifo.”
Siamo pericolosamente
vicini.
“Io invece mi sono fatto
fregare dalla prima ragazza e poi è finito tutto in merda,
anche alle rockstar
va male di tanto in tanto.”
Siamo troppo vicini, ho il
cuore che batte a mille egli ormoni in subbuglio.
Devo andarmene prima che
succeda di nuovo.
Devo..
Tom mi bacia con passione
e violenza, in men che no si dica siamo rovesciati sul divano. Ci
baciamo e
intanto ci spogliamo, lui scende sul mio collo e sul mio seno, ma non
ci sta
più di tanto.
Vuole arrivare più in
basso, si toglie i pantaloni ei boxer e poi toglie le mie mutandine.
Lui è già
eccitato e quando un mio dito scende dal petto fino al suo pene lo
sento
irrigidirsi ancora di più.
Lui infila due dita nella
mia femminilità e le ritira subito dopo soddisfatto e con un
sorrisetto
malizioso stampato in faccia.
In un attimo è dentro di
me e spinge violentemente: fa male, ma è anche piacevole.
All’improvviso ribaltiamo
le posizioni, sono io ad essere su di lui e le sue mani sui miei
fianchi
dettano il ritmo.
Non ho mai provato così
tanto piacere come in questa scopata senza futuro, gemo e urlo e sento
un
calore fortissimo al basso ventre.
Calore che esplode
regalandomi un orgasmo travolgente quando lui viene dentro di me e mi
sento
invasa da un fiotto caldo.
Crollo su di lui stremata,
lui prende una coperta per coprirci e poi mi abbraccia.
“Alla fine non ce
l’abbiamo fatta. Non sarebbe dovuto succedere.”
Dice lui con il fiatone e
le mani che ancora giocano con i miei capelli.
“No, ma è stato
bellissimo.”
“Adesso hai tradito anche tu Mark.”
Io non rispondo e gli
lascio un bacio esitante sulla clavicola.
Sì, ho tradito Mark, ma
anche lui ha tradito me.
Gli ho solo reso pan per
focaccia.
Credo.
Con
questo peso sul cuore
sabato arriva fin troppo presto.
“Cosa cazzo mi metto?”
Urlo come un’invasata,
nonostante abbia l’armadio pieno di vestiti per ogni
occasione.
Sento Ava e Jack mormorare
e infine mio figlio sussurrare: “Vai tu, sei una femmina! Tu
queste cose le
capisci, io no!”
Alla fine un’esitante Ava
si fa viva sulla porta della mia camera.
“Tutto bene, Skye?”
“Non so che vestito
mettermi!”
Urlo isterica.
“Ehm, quello lì azzurro
con una manica sola?”
Lo guardo e non mi sembra
male, ha gusto questa ragazzina!
E poi ha risolto le mie
crisi esistenziali da adulta, devo essergliene grata.
“Bello, grazie Ava!”
Con il mio vestito corro a
occupare il mio bagno: mi metto calze e vestito, mi trucco
sapientemente e
raccolgo i miei capelli biondi in un coda alta che mi sta
particolarmente bene
dato che mi sono fatta i boccoli prima.
Esco dal bagno e ricevo un
fischio ammirato da Tom, Jack storce la bocca in una smorfia schifata.
Aspettiamo che arrivi la
babysitter e poi ce ne andiamo, Tom ha prenotato in un ristorantino
molto
raffinato nella city.
Quando arriviamo veniamo
accolti da un solerte cameriere che ci scorta al nostro tavolino
appartato,decorato con dei fiori, una candela e con accanto il secchio
del
ghiaccio con una bottiglia già dentro.
“Sei sicuro che verrà
qualcuno?”
Tom si siede.
“Sì, ne ho visti due
appostati fuori dal ristorante e adesso diamo inizio alla
sceneggiata.”
Sorridendo mi prende una
mano.
“Ti piace il posto,
tesoro.”
“Oh sì, Tom. È
bellissimo.”
Mi sporgo verso di lui
dandogli un lieve bacio sulla guancia, un contatto innocuo che mi fa
già
tremare le ginocchia.
Lui fa il suo sorrisino
ironico.
“è solo un posto degno di
te, diamo un’occhiata al menù. Che ne
dici?”
“Va bene.”
Mi immergo nella lettura
di un menù raccapricciante, per secondo ci sono persino
lumache e rane, quando
vorrei essere in un Mac!
Alla fine ordino del riso
ai funghi per primo e della carne ai ferri per secondo, Tom ordina una
pasta al
pomodoro e carne anche lui.
Mentre aspettiamo da
mangiare continuiamo a scambiarci tenerezze come una coppietta e adesso
nel
buio ho l’impressione che qualcuno ci spii.
Un paio di volte ho anche
colto dei flash con la coda dell’occhio, quindi direi che il
piano sta
procedendo per ora.
Mangiamo e poi ce ne
andiamo alla London Eye, una macchina ci segue a debita distanza e
cercando di
mimetizzarsi con il traffico cittadino.
Tom parcheggia sorridendo
e con naturalezza – quando scendiamo – mi passa
un braccio intorno alla vita in un gesto di possesso.
Chiacchierando come
dovrebbe fare una coppia ci dirigiamo verso la ruota e saliamo. La
cabina mi
sembra incredibilmente stretta senza i bambini a impedirmi di fare
qualcosa di
sciocco con Tom.
Decido di guardare fuori
dalla vetrata e mi incanto nel vedere le mille luci della
città e i loro
scintillanti riflessi sul Tamigi: è meravigliosa.
Tom richiama la mia
attenzione prendendo una mano tra le sue e iniziando a sussurrare
sciocchezze
sugli alieni, io ridacchio. Visti da fuori sembriamo due piccioncini.
Quando la cabina arriva in
cima alla ruota mi prende il mento tra le dita e con dolcezza mi attira
a sé e
mi bacia.
Un bacio vero, non
fingiamo e l’atmosfera ci fa un po’ esagerare visto
che finiamo sdraiati sul
sedile, lui sopra di me e io sotto.
Per un attimo al suo volto
si sovrappone quello di Mark, ma poi torna solo e prepotentemente lui:
Tom.
Scendiamo tenendoci per
mano e così saliamo in macchina.
Durante il percorso non
parliamo molto, io mi chiedo in quanto tempo usciranno quelle foto e
come
reagirà Jack.
Le risposte alle mie
domande arrivano presto.
Il giorno dopo – domenica,
la giornata dedicata al sacro riposo – vengo svegliata alle
sette da Tom.
Vorrei tirargli un vaso in testa non appena
lo vedo e non un vaso qualsiasi, un vaso da notte,
mannaggia ai water!
“Che cazzo vuoi, Tom?”
Lui mi mostra delle
riviste e noto che sono tabloid e che ci siamo noi in prima pagina:
diamine,
che rapidità!
“Bene, il piano è iniziato.”
Mugugno io, per poi
tornare a letto.
Sono circa le dieci quando
vengo svegliata da delle urla disumane provenienti dalla camera di
Jack, scendo
dal letto e trovo una Ava preoccupatissima in corridoio.
“Jack e papa stanno
litigando!”
Io spalanco la porta.
“Io non ti voglio come
maestro di chitarra, come padre, come coinquilino, come niente!
Vattene!”
Prende in mano la chitarra
e la rompe sul pavimento della sua camera.
“Non fare l’amico con me,
ti vuoi solo sbattere mia madre per vendicarti di tua moglie. Non sei
degno di
stare qui!
Sparisci!”
“JACK!”
“Mamma! Vedo che l’hai
rimpiazzato bene papà!”
“Lo sai che non è vero, lo
sai che è una montatura!”
Lui mi guarda con occhi di
fuoco, io indietreggio: in questo momento mi ricorda talmente tanto
Mark da
farmi paura.
“Peccato che quel bacio
sulla ruota panoramica con te conciata come… lasciamo
perdere non sembri una
montatura!
Io mi sono stufato di
stare qui, io me ne vado!”
Esce dalla stanza e io lo
prendo per un braccio strattonandolo.
“DOVE PENSI DI ANDARE?”
Lui mi guarda
inespressivo.
“Da zia Anne.”
“Ma….”
“Io in questa casa non ci
rimango.”
Io sospiro.
“Va bene, adesso chiamo
Anne, prima però lasciami controllare i voli.”
Prendo il mio portatile e
ne scovo uno per domani sera alle sette, lo prenoto, poi chiamo Anne e
gli dico
dell’imminente arrivo di suo nipote.
Lei non mi sembra
particolarmente sorpresa.
“Che cazzo stai facendo,
Skye?”
“Organizzo una montatura
per far tornare a casa tuo fratello.”
“Stai giocando con il
fuoco!”
Bene, anche lei sembra
infuriata e a questo punto mi chiedo se abbia davvero fatto la cosa
giusta
accettando la proposta di Tom.
La domenica trascorre
noiosa in un silenzio carico di tensione, io ho ripulito i resti della
chitarra
di Jack, consolato Ava per l’imminente partenza di mio figlio
e ho evitato Tom.
Una giornata di merda in
pratica, come non se ne vedevano da secolo e precisamente da quando ero
adolescente e litigavo con i miei.
Vado a letto e cado subito
in un sonno senza sogni, che viene interrotto alle quattro di mattina.
Non ho
la forza per alzarmi a rispondere, ma sento dei passi che vanno verso
il
salotto indice che qualcuno lo farà al mio posto.
Sono passi leggeri: Ava o
Jack probabilmente.
Il telefono smette di
squillare e poi i passi si dirigono verso la mia camera, un accigliato
Jack
mi porge il
cordless.
“è papa.”
Mi dice freddo.
Merda!
Prendo in mano il cordless
e non appena me lo appoggio sento la voce di Mark che urla come un
matto.
“Come ti sei permessa di
tradirmi con TOM?”
“Tu vivi da Jen, da MESI!
MESI!”
Dall’altra parte sento un
silenzio inquietante,
“Aspettami che arrivo.”
“Cosa cazzo vuol dire?”
L’unica risposta che mi
arriva è il click della telefonata chiusa.
Merda!
Con un gesto istintivo di
rabbia lancio il cordless contro il muro rompendolo in mille pezzi e
svegliando
tutta la casa. I
tre DeLonge dopo
qualche secondo sono affacciati alla porta della mie camera e mi
guardano perplessi.
“Beh? Da quando in qua si
chiude una chiamata distruggendo il telefono?”
Azzarda Tom.
“Zitto DeLonge! Siamo nei
guai!”
“è morto qualcuno?
Qualcuno ci ha fatto causa?”
“Peggio! Sta per arrivare
Mark, credo che prenderà il primo aereo per
Londra!”
Tom impallidisce
vistosamente per dei lunghi attimi , poi ritorna in sé.
“Vedi che il piano ha
avuto successo?
Adesso dovete solo
riconciliarvi.”
“Solo?
Solo?
Hai una vaga idea di come
sia trattare con un Hoppus fuori di sé dalla rabbia? Guarda
solo cosa ha fatto
Jack stamattina!
Pensa a cosa farà Mark!”
Lui cerca di
tranquillizzarmi, ma io lo caccio via con dei gesti nervosi.
Il sonno mi è passato e
temo non tornerà tanto presto.
Angolo
di Layla
Grazie
a fraVIOLENCE
e a
ValeDeLonge per le recensioni e scusate se non risposto
personalmente.
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Capitolo 5 *** 5)Shining dust. ***
5)Shining dust.
Ci
sono certe giornate che
iniziano male.
Questo lunedì inizia male,
Jack non va a scuola e si prepara i bagagli da solo, sotto lo sguardo
triste di
Ava seduta sul suo letto.
È con dispiacere che la
chiamo per andare a scuola – Tom mi ha chiesto di portare Ava
a scuola e Jonas
all’asilo – visto com’è
degenerata la situazione.
Ho il sospetto che ci sia
completamente sfuggita di mano e che nemmeno ce ne siamo accorti.
In ogni caso lascio i due
figli di Tom rispettivamente alla scuola elementare e
all’asilo a cui lui li ha
iscritti, poi mi rifugio nel mio solito bar.
Questa mattina devo avere
un aspetto davvero orribile perché il cameriere arriva con
una doppia brioches
e mi dice che è un regalo della casa.
Finito, gironzolo un po’
tra le bancarelle di Porto Bello e poi finalmente mi decido ad andare a
casa.
Ho una fifa blu, non voglio rivedere Mark quand’è
arrabbiato.
Dovrei essere io ad essere
arrabbiata con lui e non viceversa.
Arrivata al condominio
elegante dove abito noto subito che c’è una cosa
fuoriposto: un suv
parcheggiato alla cazzo di cane davanti al portone.
Il proprietario aveva
talmente fretta di uscire da aver lasciato addirittura la portiera
aperta, con
il presagio della sventura arrivo al mio appartamento e trovo la porta
spalancata
e sento dei rumori di lotta.
Rimango pietrificata: Mark
è seduto a cavalcioni del suo amico di una vita e lo sta
prendendo a pugni, Tom
riesce a reagire con qualche difficoltà e riesce a ribaltare
le posizione.
Ora è seduta sulla schiena
di Mark e gli torce un braccio.
“Che cazzo state facendo?”
Urlo fuori di me,
lasciando cadere in un solo colpo borsa e cappotto.
“Oh, nulla. Mark ha
tentato di spaccarmi la faccia perché mi sono scopato sua
moglie e ora gli sto
ricordando che lui ha scopato la mia!”
“Bastardo, pezzo di merda!
Lo sanno tutti che di Jen non ti importa nulla e che le lasci scopare
chi
vuole, perché non io?”
I miei occhi si riempiono
di rabbia.
“Tom, tiralo in piedi .”
Lui esegue e io quando mi
ritrovo la faccia di Mark a tiro, gli fracasso la guancia con un pugno.
“Perché tu, infimo bastardo,
avevi una moglie e un figlio che dicevi di amare!
Ti ringrazio per avermi
fatto sapere che ti andava di scopare un’altra per vedere se
era più brava di
me!”
Gli rifilo un altro pugno.
“Tom, buttalo fuori!”
“Questa è casa mia!”
“Non più.”
Rispondo fredda.
“Ha smesso di esserlo
quando te ne sei andato in California con Jen e adesso vattene e torna
solo
quando sarai in te!”
“Voglio vedere mo
figlio.”
“No, adesso sei fuori di
testa e comunque stasera alle sei ha un aereo per andare da tua sorella
Anne.”
Tom lo butta fuori, mentre
bestemmia come un matto e poi chiude la porta a chiave. Mark
– dall’altra parte
– la
tempesta di pugni.
Io lo ignoro e scoppio a
piangere appoggiata alla porta di legno, fa un certo senso sentirsi
dire da tuo
marito l’epitaffio da apporre alla tomba del vostro
matrimonio.
Tom mi abbraccia e io
piango sulla sua spalla per un po’.
“Dov’è Jack?”
Gli chiedo tra i
singhiozzi.
“Da una vicina, ce l’ho
mandato appena ho visto la faccia di Mark.”
“Grazie per avergli
risparmiato tutto questo.”
Piango ancora un po’, poi
gli medico i lividi e insieme ci stendiamo sul divano: sono
emotivamente
ridotta a uno straccio e accolgo con gratitudine le sue carezze e le
sue
coccole.
“Era ubriaco.”
Mi sussurra a un certo
punto Tom.
“Cambia qualcosa?”
“Non sapeva quello che
diceva, dagli la possibilità di esprimersi da sobrio e
vedrai che le cose
andranno diversamente.”
Io scoppio di nuovo in
singhiozzi.
“Non so se voglio sentirlo
da sobrio.”
Rimango con Tom ancora un
po’, poi mi asciugo le lacrime, sistemo quello che posso con
il correttore e mi
faccio dire da Tom il nome della vicina a cui ha spedito Jack.
Ritiro mio figlio che ha
una faccia imbronciata.
“Volevo vedere papà!”
Io non rispondo e lo aiuto
a finire le valige, lasciando che la rabbia verso Mark ribollisca
dentro di me.
Voleva provare a scopare con un'altra dopo un miliardo di dichiarazioni
di
fedeltà, il bastardo!
A mezzogiorno preparo da
mangiare, Ava è piuttosto scontenta e ha un occhio nero.
“Cosa hai fatto?”
“Oh, ho chiuso la bocca a una
che parlava un po’ troppo di mio padre senza
conoscerlo!”
“Scommetto che ti sarai
guadagnata una nota.”
La voce di Tom è venata da
una sottile ironia.
“Sì.”
Risponde secca Ava,
rifiutandosi di aggiungere altro.
Ricapitolando: i pargoli
sono incazzati, io sono incazzata , Mark è fuori di
sé e l’unico che ha una
parvenza di normalità è Tom.
Dopo mangiato Jack e Ava
si chiudono nella camera di mio figlio, parlano a lungo e quando lei
esce ha le
guance rigate di lacrime e si chiude in camera sua.
In quanto a me do
un’occhiata all’orologio e mi rendo conto che
è arrivata l’ora di portare mio
figlio in aeroporto.
Busso in camera sua e lui
esce con il suo trolley e anche lui con le guance rigate di lacrime,
non guarda
nessuno in particolare, si dirige solo verso la porta.
Io lo seguo, nemmeno in
macchina ci diciamo molto, sembra sempre così arrabbiato e
mi fa male sapere
che sono io la causa della sua rabbia.
Dopo aver parcheggiato
scendiamo e al gate delle partenze internazionali lo guardo.
“Posso abbracciarti?”
Lui annuisce e si lascia
stringere, all’inizio sembra una marionetta, poi si attacca a
me come una
scimmietta e comincia a piangere.
“Non voglio che ti sposi
con Tom!
Non voglio che papà
soffra! Non voglio vederlo come oggi!”
Mi si stringe il cuore.
“Come l’hai visto?”
“Arrabbiato, Tom mi ha
mandato da una vicina, ma non voglio più vederlo
così arrabbiato.”
Io sospiro.
“Jack, quando tu fai
qualcosa di sbagliato e vieni punito ti arrabbi giusto?”
Lui annuisce.
“Lo stesso fanno i grandi,
lo stesso fa papà.
Adesso vai da zia Anne, fa
il bravo e divertiti.”
Lui annuisce e si stacca
da me un po’ riluttante, aspettiamo insieme fino a che non
chiamano il suo
volo, poi va verso i gate e a me si stringe di nuovo il cuore.
Ciao, piccolo mio.
Spero tu possa tornare presto.
Ormai
sono due giorni che
Jack è partito e mi manca da morire.
L’ultima scena che vedo nella mia mente è
quella di lui che spacca quella chitarra a cui tiene da morire pur di
non farla
contaminare in qualche modo da Tom.
Ava è musona quanto me e
Tom inizia a preoccuparsi sul serio per sua figlia e delle conseguenze
del suo
gesto sconsiderato.
Non è proprio rose e fiori
come se lo immaginava.
Io non esco più di casa,
non vado nemmeno al solito bar e non ho la voglia di alzarmi dal letto.
Alle due del pomeriggio
suona il telefono, qualcuno va a rispondere e poi mi porta il cordless:
è Tom e
al telefono c’è Mark.
“Pronto?”
“Ciao Skye.”
“Oh, ciao Mark.”
“Quanto calore!”
Fa sarcastico lui.
“Tutto quello che ti
meriti dopo avermi detto che ti andava di scopare con Jen e che non
gradivi la
legittima incazzatura di Tom.”
“Dobbiamo parlare.”
“E se non volessi
sentirti?
E SE ADESSO FOSSI IO A NON
VOLERTI SENTIRE?
TE NE SEI ANDATO E NON HAI
PIU’ FATTO NEMMENO UNA TELEFONATA A TUO FIGLIO E SE ADESSO IO
TI RIPAGASSI CON
LA STESSA MONETA?”
Tronco la comunicazione e
lancio di nuovo via il cordless, questa volta però atterra
sul tappeto morbido
e non si distrugge eccessivamente.
Tom arriva e lo raccoglie.
“Cosa voleva?”
“Vedermi.”
“Credo tu abbia rifiutato.
“Credo bene e adesso vado
a fare qualcosa tipo lavorare o quelli di MTV crederanno che tu mi
abbia
uccisa.”
Mi alzo e mi metto al
computer nel mio studio, dopo un’ora buona di lavoro celere
sento delle urla
provenienti dall’ingresso.
Tom sta impedendo a Mark
di entrare.
“Cosa ci fai qui?”
Gli chiedo io fredda.
“Volevo parlarti, te l’ho
detto.”
“Quale parte di: “Adesso
sono io a non volerti parlare” non hai capito?”
“Dai, Skye, fallo almeno
per il nostro matrimonio.”
Io metto l’indice e il
pollice sotto il mento con aria pensosa.
“Il matrimonio, certo. Il
matrimonio.
E dov’era il tuo pensiero
sul matrimonio mentre ti scopavi Jen?”
Lui boccheggia un attimo.
“Ah, non ci pensavi e ora
dimmi perché dovrei ascoltarti senza tirare in ballo
Jack!”
Lui deglutisce e mi guarda
spaventato.
“Io…. Io non lo so!
Eravamo a un festa, quelle organizzate da Fuse tv, non avevo nemmeno
voglia di
andarci, ma alla fine ci sono andato lo stesso e ho incontrato lei.
Abbiamo iniziato a
parlare, poi a ridere e scherzare e mi sembrava di tornare indietro di
colpo di
vent’anni, quando ero solo un ragazzo che pensava a scopare e
non aveva una
ragazza fissa.
Ci sono finito a letto e
poi non so, davvero, non so.
In lei ho visto una
persona speciale, una che mi faceva sentire leggero, senza
responsabilità e mi
sono detto che non volevo tenere il piede in due scarpe, tanto valeva
che lo
sapessi subito.
E ti ho chiamato e poi
sono stato assorbito dalla nostra storia.”
Io rido sprezzante.
“Sembri un ragazzino e non
un uomo adulto, un patetico ragazzino che frega la ragazza
all’amico a cui si
sente inferiore da una vita.
Lo sai che sembri questo,
Mark?
Quante corna ti ha già
messo Jen?”
Gli chiedo sarcastica.
“Nessuna!”
Risponde piccato lui.
“Dai, Mark! Smettila di
fare il bambino! Lo sai che Jen Jenkins non è nota per la
sua fedeltà, fossi in
te controllerei il suo cellulare…Anzi, ho un’idea
migliore!
Andiamo all’hotel dove
alloggiate e sono sicura che il vostro letto non sarà
vuoto.”
Mi metto un cappotto e con
una spinta poco gentile butto Mark fuori casa.
Durante il tragitto cerca
ancora di parlarmi, accampando scuse, richieste di perdono e
dichiarazioni
d’amore, solo che ora il mio orecchio è sordo per
queste cose.
Arriviamo all’hotel e Mark
sale nella sua camera, già nel corridoio si sentono gemiti
femminili e grugnito
più bassi, maschili.
Mark spalanca la porta e
trova Jen intenta a farsi scopare da uno dei camerieri
dell’albergo: la faccia
di mio marito diventa livida, sul mio volto si distende un ghigno quasi
satanico.
“Beh, divertiti!”
Gli picchio una mano sulla
spalla e poi giro i tacchi, arrivata in fondo al corridoio sento delle
urla e
poco dopo il cameriere mi sorpassa correndo a velocità
supersonica con la
divisa messa in malo modo.
Guai in vista per i
piccioncini e goduria assurda per me.
Mark ha voluto abbandonare
una moglie fedele come me per una vacca come Jen?
Bene, è ora che impari a
fare i conti con questa realtà e se davvero vuole
riconquistarmi si deve
impegnare, non ho intenzione di cedere facilmente.
-Anche perché
Tom non ti è
indifferente, alla fine sei caduta anche tu nella rete di Tom Delonge,
cara la
mia Skye!-
Sibila impietosa la mia
coscienza e in questo c’è un fondo di
verità: Tom non mi è affatto
indifferente, ma se davvero finissi con lui rischierei di perdere Jack.
Che gran casino!
Arrivata a casa trovo Tom
comodamente spaparanzato sul divano a fare zapping nella vana ricerca
di un
canale che gli vada a genio.
“Allora?”
“Abbiamo beccato Jen a
letto con un cameriere.”
Lui ride.
“Classico. Mark come l’ha
presa?”
“Si è messo a urlare come
un matto, io poi me ne sono andata a mi ha raggiunto e superato
correndo il
cameriere.”
“Ah, Jen! Non cambierà
mai, voglio proprio vedere come reagirà al
divorzio!”
C’è un ghigno di
soddisfazione maligna sul suo volto.
Finalmente trova un canale
di suo gradimento – parla di fantasmi e case abbandonate e
probabilmente
possedute – e io mi sdraio accanto a lui.
Questo tipo di paranormale
incuriosisce anche me, così ce lo guardiamo insieme.
Di là sento Ava suonare
quel poco che sa da sola e colgo anche degli accenni a una melodia
triste che
somiglia a “I miss you.”, Jonas invece ci raggiunge
poco dopo, si
raggomitola in una poltrona e comincia anche lui a seguire il programma.
Ogni tanto rabbrividisce,
ma tutto sommato si rivela un bambino curioso, intelligente e aperto a
ogni
corrente di pensiero, non mi sorprenderebbe se anche lui un giorno si
dovesse
interessare agli ufo come suo padre.
Il suono del telefono
spezza questo idillio e questa volta rispondo io: è Anne.
Parliamo un po’ del più e
del meno e poi mi passa Jack.
“Come va? Ti stai
divertendo?”
“Sì, mi era mancata la
California, è tutta un’altra storia fare skate al
sole e poi zia Anne mi ha
promesso che mi insegna a surfare!”
C’è un attimo di silenzio.
“Mi manchi, mamma e mi
manca anche Ava, la penso sempre. Diglielo quando la vedi, dille che i
messaggi non sono abbastanza.”
“Va bene, piccolo.”
Chiacchieriamo un altro
po’, poi la telefonata si chiude e mi lascia un senso di
amaro in bocca.
Sospirando vado da Ava, è
china sul basso e cerca di decifrare le tablature per suonare
“I miss you,.”
“Ehi!”
Lei smette subito.
“Era Jack al telefono
prima, mi ha detto che gli manchi e che i messaggi non sono mai
abbastanza.”
Lei abbandona lo strumento
e mi abbraccia in lacrime.
“Mi manca! Voglio
rivederlo, Skype, i messaggini, niente è come averlo qui e
suonare con lui,
fare skate con lui.
Niente!”
Continua a piangere
e io mi unisco al suo pianto. Lei
piange per l’amico lontano, io per il mio matrimonio che sta
cadendo a pezzi. È
come se qualcuno avesse sparato una pallottola in un meraviglioso vaso
di
cristallo, lasciando solo una polvere scintillante a testimonianza di
quello
che era stato.
Io e Mark siamo polvere,
scintillante, ma comunque polvere.
Polvere di un amore
probabilmente finito, nonostante tutti i tentativi che faremo per
riportarlo in
vita.
Polvere di un sogno morto.
Polvere di una famiglia
distrutta.
Polvere di due persone che
hanno sbagliato e distrutto tutto.
Polvere.
Nient’altro che polvere
inutile e scintillante di promesse non mantenute, bugie, sogni
infranti,
tradimenti, fiducia evaporata.
Piango, ai funerali si
piange sempre, no?
Alla sera il cordless
suona ancora, è Tom a risponde e mi dice che è
Mark, non demorde, accidenti a
lui!
Per la prima volta in
tanti anni la sua testardaggine inizia a starmi sul cazzo.
“Digli che non ci sono.”
“Potrebbe averti sentito.”
“Non mi importa, non ci
voglio parlare.”
Sento Tom che parla con il
suo amico e poi mette il cordless sulla forcella.
“Prima o poi ci dovrai
parlare.”
La mia faccia si distorce
in un ghigno poco entusiasta.
“Lo so, lo so.”
“Non vuoi salvare il tuo
matrimonio?”
“A questo punto non lo
so.”
Mi siedo a guardare la tv
sentendomi lo sguardo di Tom addosso, probabilmente sta pensando che la
batosta
è stata dura se reagisco così e non ha tutti i
torti.
Non mi aspettavo certo che
Mark volesse un’altra e che se la prendesse una volta messo
davanti alle
responsabilità, probabilmente Tom ha ragione – era
ubriaco – ma io non riesco a
passarci sopra in alcun modo.
Non appena cerco di
immaginarmi mentre lo perdono qualcosa mi si blocca in gola impedendomi
di
respirare, segno che non sono ancora pronta a perdonare.
Tom si siede accanto a me
per un po’, poi si sdraia appoggiando la testa sul mio ventre
e lasciando
penzolare le sue gambe troppo lunghe dal divano.
“Sei proprio decisa a non
sentirlo?”
“Non ora.”
Lui sospira.
“Devo dire che un po’mi
dispiace per lui.”
“Naturale, è il tuo
migliore amico.”
Lui si alza e mi guarda.
“Ho detto qualcosa di
sbagliato?”
“No, hai solo detto la
verità e io apprezzo le persone sincere.”
Lui torna a sdraiarsi e
per un po’ continuiamo a vedere la tv, di là sento
Ava e Jonas litigare per il
bagno, ma poi tutto si risolve.
Si lavano tutti e due e
prima JoJo e poi Ava vengono a reclamare il bacio della buonanotte dal
padre,
il bambino chiede anche una fiaba e Tom lo accontenta cos’ io
rimango sola con
Ava.
“Skye, mi dispiace che tuo
marito ti faccia soffrire. Sei una brava persona e lui è uno
stupido a
trattarti male.”
Io ricaccio indietro le
lacrime.
“Grazie, tesoro, ti voglio
bene.
Adesso però vai a letto o
domani mattina non ti svegli.”
Lei sorride, mi dà un
bacio sulla guancia e poi va in camera sua, poco dopo torna anche Tom.
“Beh, i ragazzi sono tutti
a letto.”
“Sì, ti va se andiamo a
dormire insieme?”
Tom annuisce, ha un’aria
stanca e preoccupata.
“Va bene, sono stanco!”
“è brutto fare i conti
con un matrimonio
che va a pezzi, vero?”
“Bruttissimo, ma se ne
esce.”
Ci alziamo e lui mi tende
una mano, insieme raggiungiamo la camera matrimoniale e lui si spoglia
rimanendo solo in boxer e una maglia, una vecchissima maglia della
Hurley
arancione.
“Ne hai una anche per me?”
Lui me ne lancia una blu
che mi tranquillamente da camicia da notte.
Insieme ci mettiamo a
letto e immediatamente vengo attirata sul suo petto e cullata dal
battito del
suo cuore e dal suo respiro mi addormento.
È stata una giornata
infernale, un po’ di riposo me lo merito.
|
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Capitolo 6 *** 6)Let's start over? ***
6)Let's start over?
Due
giorni dopo le cose
iniziano a muoversi.
Per essere precisi casa
mia viene inondata da rose di tutti i tipi – rosse, rosa,
bianche, gialle – che
provengono tutti dallo stesso mittente: Mark.
Visto che non voglio
parlargli deve avere deciso che in qualche modo devo cambiare idea e ha
deciso
che le rosse possono essere un buon incentivo.
Come diceva la canzone: “She left me roses by stairs,
surprise let me
know she cares”?
Ora però è troppo, ogni
volta che suona il campanello ho paura che sia un fattorino, ho
esaurito i vasi
e ormai distribuisco rose ai vicini pur di non averle intorno.
Quando al campanello è
effettivamente il fattorino sento l’impulso di cacciarlo via
e non lo faccio
solo perché lui non c’entra nulla e fa solo il suo
lavoro.
“Che rottura di palle!”
Esclamo, Tom mi guarda.
“Accetta di parlargli,
così forse la finisce.”
Io sospiro.
“Mi sa che sarà l’unica
cosa da fare.”
“Gli darai una
possibilità?”
“Non lo so.”
Alla fine decido almeno di
fissare un appuntamento con lui, cosa che lui sfrutta per ottenere una
cena.
Va bene e cena sia.
La fissa per la sera
stessa e io mi preparo svogliata
Ci troviamo in un costoso
ristorante di Londra, elegantissimo come Mark, mentre io
così vestita vado bene
giusto per un fastfood.
“Wow.”
Mormoro piatta, la cosa
non mi stupisce.
Sembra un ragazzino che
vuole riconquistare la fidanzatina, ma il tempo delle mele è
passato da un
pezzo per noi.
“Dai entriamo.”
Mi fa strada, io sono
piuttosto fredda, avrei preferito stare a casa mia.
Ci sediamo in un tavolo
piuttosto riservato e lui mi serve subito il vino, io non alzo il
bicchiere.
“Passiamo subito al
dunque.”
Gli dico asciutta.
“Scusa Skye, non volevo…
ferirti.
Era solo sesso e non avrei
dovuto lasciare la famiglia,non ne valeva la pena, ecco.”
Io gli applaudo le mani
sarcastica.
“E tutti questi bellissimi
ragionamenti non li potevi fare prima di lasciarmi?
Non sei stupido, Mark.”
“Le crisi di mezza età
rendono stupidi, a volte.”
Lo dice con una voce a
malapena udibile, ma questa parziale ammissione di colpevolezza mi
placa almeno
un po’.
“Già.”
“Mi spiace per averti
sputato in faccia che volevo farmi Jen.”
Io non dico nulla.
“Per favore, riproviamoci,
almeno per Jack.”
Io lo guardo negli occhi,
sono sinceri, io invece sono combattuta. C’è una
parte di me che dice di
perdonarlo e un’altra che mi dice che non potrò
mai passare sopra a questa
storia e far tornare tutto come prima, anche perché Tom mi
piace.
Alla fine le mie due parti
trovano un onorevole compromesso.
“Va bene, riproviamoci, ma
a una condizione. Ci proveremo per un mese e Jack continuerà
a stare da Anne.”
“Ti ho ferito tanto?”
“Più di quello che
immagini e adesso lasciami chiamare Tom. Deve trovarsi un albergo o
qualcosa
del genere. Immagino che tu non lo voglia a casa, vero?”
“Vero.”
Dice a denti stretti, deve
aver già capito che il nemico contro cui deve combattere non
è solo il suo
madornale errore, ma anche Tom.
In ogni caso lo chiamo e
gli dico quello che è uscito dalla cena, Tom ha un tono
strano mentre dice che
si cercherà un albergo. Sembra quasi deluso o dispiaciuto,
forse non sono
l’unica che nasconde qualcosa, forse anche lui si
è preso una sbandata per me.
Che bel casino!
Il resto della cena
trascorre tranquillamente, mangiamo, ogni tanto lui tenta di prendermi
la mano,
ma io rifiuto e chiacchieriamo o meglio lui chiacchiera.
Racconta di tutto e di più
per riempire il silenzio che c’è tra noi, un
silenzio imbarazzato e mi torna in
mente “Pulp fiction” e quella parte dove si parla
del silenzio.
Com’era?
“I silenzi che mettono a
disagio... Perché sentiamo la necessità di
chiacchierare di puttanate, per
sentirci a nostro agio? E' solo allora che sai di aver trovato qualcuno
di
davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un
momento e
condividere il silenzio in santa pace.”
Ecco, con Tom ci riesco,
con Mark ci riuscivo e ora non più. Ora lascio che lui
riempia i silenzi quando
tutto quello che vorrei è che stesse zitto, visto che non mi
interessa una sola
parola di quelle che gli escono dalla bocca.
Vorrei dirgli che se non
ci fosse Jack di mezzo gli avrei già stampato
l’impronta dei miei anfibi sul
culo per sbatterlo fuori di casa, che un tradimento fatto per infilare
il suo
pene in un buco nuovo è inaccettabile da un quarantenne,
visto che il limite
massimo di età per cui l’avrei accettato era
trent’anni.
È per Jack che voglio
provare a salvare questo matrimonio in un mese, anche se una parte di
me sa
benissimo che sarà solo un’agonia, una terapia del
dolore per accompagnare
dolcemente alla fine qualcosa che è già morto.
Arrivati a casa la
troviamo vuota e sul frigorifero c’è un biglietto
di Tom che ci informa che per
ora starà in un albergo.
Mark lo strappa
rabbiosamente ed esclama: “Perché non torna a San
Diego, il bastardo?”
Io lo fulmino e vado in
camera mia, come si permette di chiamare Tom bastardo dopo quello che
ha fatto
lui?
Mi metto un pigiama anti
stupro, uno di quelli brutti e molto coprenti che scoraggiano qualsiasi
attacco
e poi mi metto a letto.
Mark mi raggiunge poco
dopo e tenta di allungare una mano, io lo scaccio infastidita: voglio
dormire,
non fare sesso o almeno non con lui.
Il solo pensiero che mi tocchi
dopo aver toccato Jen mi provoca un conato di vomito.
Lui si ritira
immediatamente e schiena contro schiena ci addormentiamo.
Il
giorno dopo il posto
accanto al mio è vuoto, per un attimo provo una sorta di
tristezza pensando che
Tom non c’è, poi mi chiedo dove sia finito Mark.
Mi alzo e lo trovo in
cucina che tenta di cucinare uova e bacon, probabilmente per farmi una
sorpresa, peccato che ora il locale sia in condizioni pessime.
Sembra che un reparto di
tedeschi l’abbia violentemente colonizzato senza sapere
nemmeno come si usa una
padella.
Sospiro e lui mi sente.
“Buongiorno, amore. Ho
provato a cucinarti la colazione.”
“Vedo.”
Sospirò sconsolata.
Alla fine mangio delle
uova troppo cotte e del bacon mezzo bruciacchiato solo per farlo
contento, approfittando
della sua fumatina post colazione quotidiana
corro a vomitare tutto e poi lo raggiungo in terrazza per
fumare
insieme.
Tra di noi siamo freddi
come due estranei o meglio io sono fredda, non gli facilito affatto le
cose.
“Beh, hai da fare dopo?”
“Alcune cose per Mtv che
posso fare anche con il computer, ma penso di essere libera per le
dieci.”
“Ok.”
Lui si aggira per un po’
per la casa come se stesse cercando qualcosa.
“Ehi, Skye dove sono i
miei bassi?”
“In discarica.”
Rispondo distratta.
“COSA?”
Il suo urlo mi fa
trasalire.
“Hai detto che sono in
discarica??”
Io annuisco.
“Sì, sai è quel posto dove
la gente butta la roba che non serve più.”
“So cos’è una discarica!
Il punto è: cosa ci fanno lì?”
“Li ho buttati dalla
finestra.”
“Anche quello rosa?”
Io annuisco.
“Ma io…”
“Ci tenevi?
Forse te lo saresti dovuto
portare dietro o non andartene, perché, nel caso non te ne
fossi accorto, ci
sono un sacco di cose e persone a cui tenevi e che hai lasciato
indietro!”
Lui rimane in silenzio e
si piazza sul divano, per fortuna in tv danno una maratona mattutina
dei
Simpson e dei Griffith che lo tiene occupato fino alle dieci e mezza.
“Skye, hai finito?”
“Sì.”
“Andiamo a fare un giro.”
“Ok.”
Mi cambio e lascio le
chiavi della macchina a lui, che decide di portarmi a uno dei primi
parchi di
Londra che abbiamo visitato una volta arrivati qui.
Non c’è praticamente
nessuno, solo io e lui che tenta di prendermi per mano, io
però sono più furba
e corro verso le altalene. Incurante del fatto che siano coperte da un
leggero
strato di brina mi ci siedo sopra e comincio a spingere dando origine a
una
sinfonia di cigolii che probabilmente si sente a chilometri di distanza.
Lui mi raggiunge poco dopo
e si siede sull’altalena in parte alla mia che non regge il
suo peso facendolo
cadere si schianto nel fango sottostante.
Quando si rialza io
scoppio a ridere, sembra che se la si fatta sotto, in altri tempi lo
avrei
aiutato, ma oggi se la può cavare da solo.
Una volta ripulito in
qualche modo riprendiamo la passeggiata e lui mi indica una giostra
deserta e
paga due corse al giostraio che ci guarda come se fossimo picchiatelli,
io
indico Mark.
Questa scena ha il sapore
di qualcosa di già vissuto, lui la fatto la stessa cosa la
prima volta che
siamo venuti qui e allora avevo sorriso raggiante, oggi sorrido amara.
I replay non sono belli,
soprattutto se i protagonisti si riducono a essere la brutte copie di
sé
stessi: una volta eravamo la coppia perfetta, quasi da fiaba, sempre
allegri e
sorridenti, ora siamo una coppia in pezzi che cerca pateticamente di
rimettere
insieme i cocci.
Mentre la giostra gira e
diffonde una musica da carillon ottocentesco, sento anche
l’eco delle nostre
risate di qualche mese fa, lugubri fantasmi
dei bei tempi.
Il giro finisce e io e
Mark ce andiamo, Mark tenta ancora di prendermi la mano senza che io
glielo
permetta. Ha uno sguardo ferito, io mi sento vagamente in colpa, ma
ogni volta
che lui ci prova ci sono due pensieri che configgono nella mia testa
con la
forza di una bomba nucleare: quella è la stessa mano che ha
toccato e preso per
mano quella di quella troia di Jen e poi il mio desiderio che al suo
posto ci
fosse Tom.
Non va bene.
Prima pensavo che la mia
attrazione per Tom fosse solo voglia sessuale inappagata, ora inizio a
vederla
sotto un’altra luce. Mi manca lui e i suoi mille strambi
gesti quotidiani e mi
mancano Ava e JoJo e Mark di contro è quasi un estraneo.
Ho il sospetto che il mio
matrimonio non finirà solo perché lui ha avuto
una relazione con Jennifer, ma
anche perché io ho un altro nella testa e presto lui se ne
accorgerà.
Usciamo dal parco, lui ha
un’aria scura che raramente gli ho visto.
“Ho il sospetto che
andarmene da Jen sia stata la cazzata più grande della mia
vita, ho il sospetto
che la pagherò cara e che questo è solo
l’inizio.
Pensi davvero che qualcosa
possa cambiare in questo mese tra di noi?”
“Vuoi una risposta onesta?
Penso di no. Ogni volta
che ti avvicini penso che hai stretto, preso per mano, consolato e
baciato Jen
e provo un senso profondo di disgusto per questo.”
“In questo mese cercherò
di fartelo dimenticare e se non ce la farò sarai di
Tom.”
Io sgrano gli occhi.
“Come fai a saperlo?”
“Beh, mi sono accorta che
ogni tanto involontariamente lo cerchi e che ti mancano i suoi figli.
Alla fine
sarai l’ennesima ragazza che mi sono fatto fregare dal mio
migliore amico,
ammesso e non concesso che io possa chiamarlo ancora così.
Ma per te brucia di più,
perché non sei più un amore adolescenziale, sei
mia moglie, quella con cui
speravo di dividere la vecchiaia.”
“Mi dispiace, Mark.”
Lui alza le spalle.
“Magari ce la faccio a
convincerti, sono abbastanza persuasivo se voglio.”
Sì, lo sa essere e magari
finirà come dice lui, ma io sono un po’ scettica.
Saliamo in macchina senza
dirci nulla, Mark questa volta lascia che il silenzio cali senza
tentare di
riempirlo con una sola sillaba.
Entrambi abbiamo tanti pensieri
in testa, entrambi siamo preoccupati per il futuro.
Entrambi abbiamo giocato
con il fuoco e alla fine ci siamo scottati, come dei bambini
irresponsabili.
Sarà dura uscire da questa
situazione – sia che rimaniamo insieme, sia che divorziamo
– e molte persone
soffriranno. Purtroppo è così che va la vita, a
volte ti fa degli sgambetti
pazzeschi e a te non rimane altro che cadere e vedere cosa ci
sarà dopo.
Arrivati a casa preparo il
pranzo, Mark lo mangia senza problemi poi va a letto, dicendo di essere
stanco.
Non appena sento chiudersi
la porta della mia camera, prendo in mano il mio cellulare e un
pacchetto di
sigarette ed esco in terrazza.
Mi accendo una sigaretta e
chiamo Anne, il telefono suona un po’ a
vuoto poi sento la voce di Jack rispondermi.
“Ciao tesoro, come stai?”
“Ciao mamma” Sto bene!
Oggi zia Anne mi ha
portato alla spiaggia per fare surf e ho conosciuto un sacco di ragazzi
interessanti. Loro sono bravissimi a fare surf e io vorrei diventare
bravo come
loro, così stupirò Ava.
E poi mi sto abbronzando e
c’è il sole tutti i giorni!”
C’è una nota di autentico
stupore nell’ultima frase che mi strappa
un’autentici risata.
“Jack, vivevi in
California fino all’anno scorso, perché sei
così sorpreso?”
Di là c’è una pausa di
silenzio e scommetto che si sta grattando la testa.
“Beh, non lo so. So solo
che tutto questo sole mi piace di più della pioggia di
Londra.”
Eccolo, il mio piccolo
vero californiano.
Parliamo ancora un po’,
poi ci salutiamo e io rimango con il cellulare in mano e tanta
nostalgia nel
cuore, manca anche a me il sole della California e mi manca mio figlio.
Sinceramente Londra mi ha stancato, vorrei andarmene, ma se devo
provare a far
funzionare le cose con Mark devo reprimere questo desiderio
perché lui non ha
nessuna intenzione di tornare stabilmente a San Diego, al massimo a New
York.
Che palle!
Finito di lamentarmi
compongo un altro numero, quello di Tom, e aspetto che qualcuno mi
risponda.
Dopo qualche squillo è lui
a rispondermi.
“Ciao Tom, come va?”
“Bene, anche se la
battaglia per divorziare da Jen sarà piuttosto dura, intanto
il mio avvocato ha
chiamato il suo investigatore privato personale per raccogliete le
prove dei
tradimenti di Jen. Tu?”
“Male, sento come se Mark
fosse un estraneo.
Odio che mi abbracci, che
mi tocchi, che mi
baci o mi prenda per
mano perché subito mi ricordo che ha fatto tutte queste cose
con Jen e mi viene
il disgusto.
Temo che il nostro
matrimonio abbia poche speranze di uscire vivo da questa storia, Mark
ha
esagerato.”
Lo sento sospirare.
“Non riesci a passarci
sopra, vero?”
Io rimango un attimo in
silenzio.
“No, non ci riesco. Ci sto
provando, ma non ci riesco.”
Prendo una lunga pausa.
“E mi manchi.”
Dall’altra parte c’è un
lungo silenzio.
“Anche tu e questo non va
bene.”
“No, ma sta succedendo e
ho il sospetto che prima o poi dovremmo farci i conti.”
“Anche io, ma tu adesso
cerca di salvare il tuo matrimonio, almeno provaci.”
“Lo farò, lo devo a Jack.”
“Già, ciao Skye.”
“Ciao Tom.”
Chiudo la chiamata e
sospiro, poi torno dentro e mi sdraio sul divano, anche io sono stanca.
Vengo svegliata poco dopo
dal campanello, è la donna delle pulizie e la faccio entrare
insonnolita.
“Scusa, Namita ma mi sono
addormentata.”
Lei sorride.
“Perché non sei
andata a letto,
signora?”
“Perché è tornato il
signore.”
“Bello.”
Io non dico nulla e
acchiappata la giacca e la borsa esco, voglio fare un giro da sola per
Londra.
Prendo la macchina e
raggiungo il mercato di Porto Bello, lascio la giacca in macchina e mi
acciò
fra le bancarelle. Compro un paio di anfibi neri con dei fiori fucsia e
un
chiodo da punk, al primo angolo metto anfibi e chiodo e metto le mie
scarpe nel
sacchetto degli anfibi, con la mia gonna scozzese sto benissimo, mi
mancano
forse delle spille.
Mentre sto meditando se
prenderle o meno una voce mi chiama: è Ava.
“Ciao, Skye! Cosa fai
qui?”
“Niente, cerco di comprare
qualcosa.”
Lei guarda il mio chiodo e
gli anfibi e annuisce.
“Bella scelta! Ne ho
appena presi anche io un paio, solo che sono viola.
Doc Martens.”
“I Doc Martens mi
ricordano la mia adolescenza.”
“Come va con zio Mark?”
“Va.”
“Ti piace mio papà.”
Io non rispondo.
“Ti va se ci facciamo
questo giro insieme?”
Lei annuisce, da quando
non è più Jen a decidere il suo abbigliamento
sembra molto più Tom. Oggi
indossa un paio di pantaloni a tre quarti neri, degli anfibi neri, dei
calzini
a righe rosse e nere, una giacca dell’esercito tedesco aperte
da cui si
intravvede una felpa della Adidas gialla a righe verdi e un sacco di
braccialetti..
Gironzoliamo a lungo tra
le bancarelle, provando di tutto, dai cappelli con le piume e i boa di
struzzo,
alle cose da hippie. Alla fine lei si compra un paio di pantaloni
nepalesi a
righine e un maglione enorme a righe gialle, verdi e rosse. Io mi
prendo una
borsa di tela, un vecchio disco dei Sex Pistols
e una chitarra.
Ci salutiamo quando lei
sale sul suo pullman e io torno verso la macchina con i miei acquisti,
sono
abbastanza di buon umore.
Peccato che sia destinato
a svanire quando rientro a casa e trovo un Mark arrabbiato in salotto.
“Dov’eri?”
“Al mercatino di Porto
Bello.”
“Con chi?”
“Con Ava, l’ho incontrata
là.”
“Perché non hai risposto
alle mie chiamate?”
Io tiro fuori il cellulare
e mi accorgo che in effetti ci sono tre chiamate senza risposta con il
numero
di casa.
“Non le ho viste.”
“Perché non hai lasciato
un biglietto o hai detto a Namita dove andavi?”
“Non mi è venuto in
mente.”
Lui mi guarda, scuote
tristemente la testa e poi va in cucina.
In tempi normali avrei
avvisato, oggi non mi è nemmeno passato per la testa.
Questi non sono tempi
normali e se è vero che è dalle piccole cose che
si vede la solidità di un
rapporto, direi che il nostro è molto traballante.
Temo che il nostro
matrimonio non reggerà, anzi ne sono quasi sicura.
Angolo di Layla
Ringrazio fraVIOLENCE e
ValeDeLonge
per le recensioni.
|
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Capitolo 7 *** 7)I never thought what could take me out was hiding down below. ***
7)I
never thought what could take me out was hiding down below.
Da
quando Mark è tornato
di nuovo a casa sono passate due settimane.
Lui tenta in ogni modo di
farsi perdonare con rose e colazioni a letto, io sono piuttosto fredda,
lo
ringrazio e penso che Tom mi manca.
Mio marito mi corteggia e
il mio pensiero è rivolto quasi sempre a un altro, non va
bene.
Gli ho permesso di dormire
con me nel letto, ma stare abbracciata a lui più che un
leggero senso di
protezione e serenità non mi dà altro:
è come stare abbracciata al mio
migliore amico, fa piacere, ma non ispira sesso.
Anche questa mattina si
sveglia, mi dà un bacio dietro l’orecchio e mi
sussurra: “Buongiorno.”
“ ’giorno Mark.”
“Cosa facciamo oggi?”
“Io lavoro fino alle dieci
e tu dovresti preparare le valige, domani devi essere a New
York.”
Lo sento sospirare.
“Che palle.”
Si alza e io trattengo un
sospiro di sollievo, lo guardo andare in cucina in boxer, grattandosi
una
chiappa.
Gli voglio bene, ma non lo
amo più.
La rivelazione mi colpisce
come un fulmine e mi fa alzare di scatto dal letto.
Inseguo Mark e lo prendo
per un polso, lo faccio voltare verso di me e lo bacio.
Cerco di metterci tutta la
passione che posso, ma non ci riesco, non provo più nulla di
quello che provavo
prima: niente farfalle nello stomaco, niente amore, niente eccitazione.
Lo trascino a letto e lo
baciò fino a che non ho più fiato, poi scendo a
baciargli la mascella, il collo
e il petto, lui freme sotto i miei tocchi, io sono disperata.
Continuo a non sentire
nulla.
Lui ribalta le posizioni e
mi toglie il reggiseno, bacia e gioca con i miei seni, mi toglie le
mutande e
mi accarezza lì.
Ribalto di nuovo le
posizioni e gli tolgo i boxer. Gioco per un po’ con il suo
pene, poi finiti i
preliminari lui entra in me con una spinta violenta.
Sa di ripresa di possesso,
ma a me dà fastidio. Continua a spingere e io lo assecondo
fino a quando non
viene e crolla su di me.
Io lo sposto e lui scoppia
a piangere abbracciando il cuscino.
Io tento di toccarlo, ma
lui si sposta.
“Mark.”
“è finita Skye.”
Io mi stendo a guardare il
soffitto.
“Sì, è finita.”
Piango anche io.
“Come cazzo abbiamo fatto
a farla finire?
Perché non siamo stati
capaci di far ripartire il nostro matrimonio?”
Io sospiro.
“Perché abbiamo tentato di
far finta che non fosse successo niente e invece era successo tutto.
Mi hai tradita, hai
scopato un’altra donna e ti sei invaghito di lei e poi hai
detto di averlo
fatto per sesso.
Ti sei comportato come uno
di quegli uomini che vanno a puttane e dicono che è per
sesso, se ami una
persona non hai bisogno di tradirla né di andare con una
puttana.
Stai con lei, perché ti
basta lei. Ami lei e i suoi difetti, ami lei e il modo in cui fate
l’amore, non
cerchi un’altra.
Io mi fidavo di te, mi
sono sempre fidata di te, non ho mai avuto paura che tu mi tradissi
perché
sapevo che mi amavi. So che non avresti mai ceduto a nessuna avance da
parte di
una fan o ti saresti fatto una groupie, ora non so più nulla.
Ora non sento più fiducia
per te e non sento nemmeno di voler far l’amore con te,
quando mi abbracci non
sento le farfalle nello stomaco, solo un lieve senso di protezione,
quello che
ti può dare il tuo migliore amico.”
“Friendzoned dopo tanti
anni di matrimonio.”
Il suo sorriso è amaro.
“Scommetto che ti piace
Tom.”
Io rimango zitta, so
quanto ha sofferto quando era giovane per le sue ragazze che finivano
per
innamorarsi tutte di Tom.
“Skye, sii sincera, ti
prego.”
“Sì, Mark. Mi dispiace, ma
è quello che è accaduto. Lui era qui quando tu
non c’eri, ha asciugato le mie
lacrime, mi ha consolato e mi ha detto che tu saresti tornato.
Non ha mai detto nulla
contro di me, non ti ha mai insultato, è semplicemente stato
qui con me quando
avevo bisogno di qualcuno.”
Lui non dice niente,
continua a piangere e io mi alzo per mangiare qualcosa, è la
colazione più
triste della mia vita.
È la colazione di una
persona che ha perso la guerra e che sa di aver ferito una persona a
cui tiene,
mentre bevo il mio caffè scoppio a piangere.
Lacrime e caffè, che
strano miscuglio.
Sconfitta e forza insieme.
A
mezzogiorno preparo un
pranzo veloce e vado a chiamare Mark, si è addormentato come
un bambino
abbracciato al cuscino e con i segni delle lacrime sul volto.
Io lo scuoto leggermente.
“Ehi, se vuoi c’è il
pranzo pronto.”
“Non ho fame.”
Rimane un attimo in
silenzio.
“Skye, per favore stai qui
con me.”
“Vado a spegnere il forno
e arrivo.”
Detto fatto, quando torno
mi sdraio accanto a lui che subito mi attira in un abbraccio e appoggia
il suo
mento sulla mia spalla.
“Ti amo.”
Gli prendo una mano.
“Vorrei dirti “Anch’io”,
ma sarebbe una bugia.”
“Cosa diremo a Jack?”
Io faccio una risatina
stupida, che odio.
“Non ci sarà bisogno di
dirgli molto, capirà tutto da solo e chiederà di
stare con te.”
“Perché?”
“Perché ama Ava.”
Mark diventa rigido.
“A dieci anni non si ama.”
“Davvero? Tu a dieci anni
non amavi nessuno?”
Lo sento rilassarsi.
“Sì, una bambina che
viveva nella parte povera di Poway. Volevo sposarla, solo che poi lei
è… morta
e io non ho potuto fare nulla.”
“Come si chiamava?”
“Sally. Aveva i capelli
rossi, quando stava al sole sembrava che avesse un incendio in testa e poi era bravissima a
fare skate e a
trafficare con i motori e aveva una risata argentina.”
“Vedi che a dieci anni ci
si innamora, tu te la ricordi ancora dopo trent’anni e sono
certa che se Sally
fosse vissuta te la saresti sposata.”
Lui sospira.
“Probabilmente hai
ragione.”
“Com’è morta?”
“Suo padre un giorno è
impazzito e ha fatto fuori tutta la famiglia, poi con
l’ultimo colpo si è
sparato. Non è sopravvissuto nessuno.
Il giorno del suo memorial
a scuola ho pianto come una fontana, non potevo credere che la mia
Sally forse
morta, che non l’avrei più vista giocare, ridere,
ne avrei giocato con i suoi
capelli rossi.
Hai ragione, a dieci anni
ci si può innamorare e se proprio deve essere spero che Jack
sia felice con
Ava.”
“Anche io.”
Lui mi stringe più forte e
non dice più nulla, nella stanza si sente solo il rumore dei
nostri respiri:
sono calmi e pesanti.
Sento la tristezza e il
dolore di Mark avvolgermi come una morsa, la fine del nostro matrimonio
gli sta
facendo un male d’inferno e io vorrei poter tornare ad amarlo
come facevo una
volta.
Non posso, purtroppo.
Certi rapporti sono come
vasi, quando si rompono non possono essere ricomposti e rimessi
insieme,
mancheranno sempre dei pezzi che non potranno essere ritrovati.
Buffo.
Sembravamo così solidi,
invincibili e alla fine siamo caduti, non abbiamo retto e fa male.
Rimaniamo così tutto il
pomeriggio, la luce entra gradatamente sempre più fioca
nella stanza e le
nuvole si affollano sul cielo di Londra. Poco dopo scoppia un
temporale, ad
annunciarlo è un lampo che squarcia il cielo.
Sento che anche Mark lo
sta guardando.
“Anche la prima volta che
abbiamo fatto l’amore, poi si è scatenato un
temporale.”
Io non dico nulla, non ho
voglia di rimestare nel passato e non dovrebbe farlo nemmeno lui, si
soffre e
basta.
“Vado a scaldare la cena.”
Lo lascio a letto da solo
e mi reco in
cucina, accendo il forno in
cui avevo infilato due pizze e spero che non siano troppo secche o
immangiabili.
Poi prendo una sigaretta
ed esco a fumare sul terrazzo di casa mia, fuori si è
scatenato il diluvio
universale, la gente corre per le scale e si ripara come
può: qualcuno sotto le
terrazze, altri con il giornale o altro sulla testa.
Dicono che la pioggia
purifichi, dicono che lavi via il dolore e io spero sia così.
Spero lavi via il dolore di Mark e il mio senso di colpa.
Spero che ci liberi da
quella sensazione di oppressione che ci pesa sul cuore.
Non ho mai desiderato che
il mio matrimonio finisse – è successo e basta
– ma non credevo finisse così.
C’è troppo dolore, troppa tristezza, troppo senso
di colpa.
Mark mi raggiunge.
“è bella Londra.”
“Sì.”
“Non si se ci rimarrò.”
“Nemmeno io.”
Torniamo dentro.
“Pensi che Jack preferirà
rimanere qui o tornare in California?”
Io mi gratto il mento
pensosa.
“Forse tornare, dovresti
chiederglielo.”
“Lo farò tra quindici
giorni.”
Il tono è calmo e
misurato, quello che si usa tra estranei per essere cortesi
l’un l’altro e mi
causa una fitta al cuore.
Lo abbraccio e seppellisco
la testa nell’incavo del suo collo.
“Ti voglio bene, ti voglio
bene, mi dispiace.
Non hai idea di quanto mi
dispiaccia che tutto finisca così, non voglio che tu
soffra.”
Inizio a piangere come una
bambina, lui mi alza il mento.
“Se io non ti avessi mai
lasciato a quest’ora non saremmo in questa situazione, quindi
è anche colpa
mia.
Ti voglio bene anche io e
per quel che vale ora non rifarei quello che ho fatto, ma ormai
è tardi.
Io me ne sono andato e ti
ho lasciata indietro come se fossi una cosa di poco conto quando invece
non lo
eri. Sono stato stupido e supponente, pensavo che mi avresti perdonato
come se
niente fosse, non ti ho rispettata e ora ne pago le conseguenze. Spero
solo che
se diventerai la donna di Tom lui ti tratterà meglio di
me.”
Io faccio un sorriso amaro
– so quanto gli costi dire queste parole – e poi lo
abbraccio.
Ti voglio bene, Mark.
Ti voglio tanto bene e
spero che la prossima donna che incontrerai possa renderti
più felice di me.
Il
resto dei quindici
giorni trascorre tranquillamente.
Ormai il nodo è sciolto,
non ci sono più tentativi di corteggiamento, non ci sono
moine inutili, ci
siamo solo noi che conviviamo come due buoni amici.
L’ultima sera la
trascorriamo insieme vendendoci un horror, poi usciamo in terrazza e ci
sdraiamo su una coperta a guardare le stelle vicini.
Incredibilmente becchiamo
una serata non nuvolosa e Mark mi mostra le costellazioni una per una.
“Me l’ha insegnato a mio
padre quando ero un ragazzino, ora io spero di insegnarlo a
Jack.”
“Lo farai, sei un buon
padre.”
“Ma non sono stato un buon
marito.”
“E io una buona moglie,
siamo pari.”
Rimaniamo un attimo in
silenzio.
“Non hai paura?”
“Da morire, mi sento come
se stessi per lanciarmi in un’avventura assurda e pericolosa
e tutta la mia
razionalità mi dicesse di rimanere comoda a casa, che prima
o poi le cose si
perdonano perché il dolore perde forza.
Io, però, non voglio
rimanere lì, mi sento soffocare e a costo di cadere e farmi
male so che devo
andare.”
Mark fa un sorriso amaro.
“Conosco quella
sensazione, niente al mondo potrebbe trattenerti
dall’andartene da me, gli
errori si pagano.”
“Deduco che non tornerai
da Jen.”
“No, voglio una vera donna
al mio fianco, non una che fa gli occhi dolci a tutti.”
“Spero la troverai.”
“Sarà dura sostituirti.”
Io non dico nulla, il
senso di colpa sale lento a ondate e mi trascina via con sé.
Ci ho davvero provato fino
in fondo a salvare il mio matrimonio?
Ricordo l’ultima volta che
abbiamo fatto sesso e che io ho voluto e mi dico che ho fatto tutto
quello che
potevo, visto che tra noi non funzionava nemmeno il sesso e non era mai
successo a memoria d’uomo.
“Ehi, ti va un’ultima
canna fumata insieme?”
“Una volta non si
concedeva la sigaretta ai condannati?”
Lui ridacchia.
“I tempi sono cambiati.”
Io rido con lui ed evito
di dirgli che anche Tom ha ripreso con quella roba, credo che in questo
momento
non gli farebbe piacere sentire il suo nome.
Con calma Mark prende una
sigaretta e la apre, mette il tabacco su una cartina e poi ci mette
l’erba. In
fondo mette il filtro e poi chiude la canna
e la accende.
Dà un primo tiro e poi guarda
in alto, verso le stelle e le costellazioni, verso leggende inventate
secoli fa
per dare un nome e un disegno sensato al caos che ci sovrasta.
Sono solo leggende, ma,
finché esisterà gente come Mark che le
tramanderà al proprio figlio,
continueranno a vivere.
Che strani pensieri.
Mi passa la canna.
“Io e te non abbiamo mai
fumato insieme.”
“Mark, ti vergognavi a
dire che fumavi erba, come se io non lo sapessi e tu non sapessi che
anche io
l’ho fumata in passato e che quindi non potevo in alcun modo
condannarti.”
Lui ride.
“è vero, quanto sono stato
idiota.”
“Nah, pensavi che potessi
scappare probabilmente, ma…”
“Allora non lo avresti mai
fatto.”
“Esatto.”
Un sorriso amaro gli
increspa la bocca e in questo momento dimostra tutti i suoi quarantuno
anni,
non sembra un ragazzino, sembra un uomo vissuto a cui sono successe
parecchie
cose brutte nella vita.
“Sono un coglione, Skye.”
Io non dico nulla e do un
altro tiro alla canna.
“Ti ho sposato anche per
quello e continuo a volerti bene. Non è facile nemmeno per
me constatare che
quello che credevo un matrimonio solido è ceduto di
schianto.”
“C’è una sola differenza
tra me e te. Io domani dovrò continuare a fare i conti con
le macerie, tu te ne
andrai da Tom.”
“Non è detto che mi
voglia.”
Lui ride e non mi
risponde.
Forse sa qualcosa che io
non so, ma io non ho voglia di approfondire, che senso avrebbe?
Se riguarda Tom lo
scoprirò presto.
“Attenta a Jen.”
“Lo so, tirerò fuori gli
artigli e la farò pentire di essersi messa contro di me, mi
stava già sul cazzo
prima.”
Lui ride triste.
“Scommetto che avevi
capito subito che tipo era.”
“Sì, di solito le donne
capiscono quasi subito che tipo di persona hanno davanti, gli uomini
invece si
fanno abbindolare facilmente.”
“Hai ragione.”
“Mark ho sonno.”
Lui annuisce e finisce la
canna, poi entra e butta via i resti nella spazzatura, dopo di che esce
ancora
e mi prende in braccio.
Con delicatezza mi
deposita sul letto, mi toglie i pantaloni da casa e le ciabatte, poi mi
mette
sotto le coperte e se ne va.
Vedo la luce del bagno
accendersi e sento l’acqua che scorre, probabilmente si sta
lavando i denti.
Do un’occhiata alla
stanza, quelle valige messe in un angolo mi mettono tristezza,
è incredibile
come in quattro cose di metallo e plastica ci si possano infilare anni
di vita,
persone e rapporti.
In quei quattro trolley
dimessi e un po’ rovinati ci sono i miei anni di matrimonio
con Mark e il mio
amore per lui, nostro figlio e i nostri desideri di trascorrere la
vecchiaia
insieme.
In quattro fottuti
trolley.
Lui torna dal bagno, si
toglie pantaloni, calzini e ciabatte e poi si sdraia dietro di me e mi
abbraccia, appoggiando il mento sulla mia spalla.
“Che merda, domani dovrò
fare l’allegro quando mi sento a lutto.”
“Mi dispiace, ma pensa che
poi puoi andare a trovare Jack da tua sorella, sarà felice
di vederti e…
portagli una nuova chitarra.”
“Perché? Cosa è successo
alla vecchia?”
“Piuttosto che farsi dare
lezioni da Tom, l’ha rotta.”
Lo sento ridacchiare,
mezzo fatto e mezzo isterico.
“Tutto suo padre, è
proprio tutto suo padre!”
“Dovresti esserne
orgoglioso.”
“Lo sono.”
Sorridendo mi addormento.
Piombo in un sonno senza
sogni che dura sino al suono della sveglia di Mark. È
arrivato il momento più
difficile: lasciarlo andare e mettere davvero una pietra sopra a noi.
Ho il cuore stretto in una
morsa di tristezza e so che per lui è lo stesso, se non
peggio; deve essere
dura andarsene sapendo di avere una parte importante nella piega che
hanno
preso gli eventi.
“Beh, è arrivato il
momento.”
“Sì, è arrivato, Mark.”
Io prendo un lungo
respiro.
“Sappi che ti voglio un
mondo di bene e che quando starai meglio potrai sempre contare su di me
e che
non pensavo assolutamente finisse così.
Sappi che sei il mio
migliore amico e che farò
in modo che
per Jack non sia un trauma questa separazione.”
Lui mi abbraccia in
silenzio.
“Sappi che ti amo e che ti
amerò ancora per un po’. Se le cose con Tom non
dovessero andare ci sono io.”
Io scuoto la testa e lo
guardo fisso negli occhi blu.
“No, tu ti meriti una
persona che ti ami, non una minestra riscaldata.”
Ci abbracciamo ancora a
lungo, è un discorso senza parole in cui ci diciamo tutto
quello che è
necessario dirci e che non riusciamo a fare a voce.
Lui poi si stacca e uno ad
uno porta i suoi trolley fuori dalla porta, mi dà un ultimo
bacio e poi se ne
va.
Io rimango da sola seduta
sul divano inebetita.
Scoppio a piangere e
abbraccio un cuscino.
Poco dopo smetto, non sono
da sola, ora devo solo trovare il coraggio di richiamare Tom.
So che lo farò e spero che
lui mi risponda e mi dica cosa provi per me prima o poi.
La vita non è finita, la
vita è solo all’inizio.
Fa male viverla senza
Mark, ma fingere per anni sarebbe stato peggio.
È con questi pensieri in
testa che mi riaddormento.
Ce la posso fare.
Angolo
di Layla
Ringrazio
ValeDeLonge
per la recensione.
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Capitolo 8 *** 8)Lost the battle, win the war. ***
8)Lost the battle, win the
war.
Dicono
che dopo la
tempesta esca sempre il sole, non so se sia vero per le persone e i
rapporti,
ma di certo vale per Londra.
Dopo il tremendo
acquazzone di ieri adesso splende un bel sole e mi sembra di buon
auspicio. È
mezzogiorno e mi sono appena svegliata, salutare per sempre Mark non
è stato
facile, ma ce l’ho fatta, ora ho bisogno di sentire Tom.
Non ci sentiamo
decentemente da quando ho provato a far funzionare di nuovo il mio
matrimonio e
mi manca disperatamente.
Compongo il numero e mi
risponde subito.
“Pronto?”
“Ciao Tom, sono Skye!”
“Dio, ti ringrazio!”
Sento dei rumori di lotta
e un: “Vai via, cagna! Non ti voglio! E rivestiti, per Dio,
che mi fai schifo!”
Poi c’è la voce suadente,
si fa per dire di Jen, e il rumore di qualcuno che viene scaraventato
fuori
dalla stanza con tanto di porta sbattuta.
“Tom?”
“Sì?”
“Cosa diavolo stava
succedendo da te?
Ti ho interrotto mentre
stavi scopando?”
Pongo quest’ultima domanda
con il cuore in gola, se mi dicesse di sì esploderebbe in
mille pezzi all’idea
che lui sia stato toccato da mani estranee.
“Mi hai appena salvato da
un tentativo di stupro da parte di Jen, ti devo la vita.
Come mai mi hai chiamato?”
“Perché mi mancavi e
volevo vederti.”
Decido che la sincerità è
la tattica migliore.
“E con Mark?”
“Non è andata.”
Lui sospira.
“Lo immaginavo. Va bene
vediamoci a pranzo al mio hotel e …. Mi sei mancata anche
tu.”
Io sorrido come una
quindicenne alla prima cotta e sempre con questo sorriso addosso mi
preparo e
poi esco godendomi il sole londinese.
Che bella giornata!
Arrivo al suo hotel e lo
trovo nella hall: indossa un paio di jeans scuri, una camicia a quadri
e delle
Macbeth, io sono vestita più o meno come l’altro
giorno, solo con un trucco più
scuro.
“Stai benissimo, sembri
una ragazzina!”
“Grazie, tu come stai?”
Lui sbuffa.
“Male, Jen mi tampina. Da
quando Mark l’ha mollata si è ricordato che ha un
marito e mi sta tampinando.
Peccato che a me di lei
non interessi nulla.”
Io sorrido
involontariamente.
“E quel sorriso?”
“Quale sorriso?”
“Lascia perdere, come mai
non è andata con Mark?”
Io sospiro.
“Perché mi sono accorta
che non lo amo più.
Gli voglio infinitamente
bene, come se fosse mio fratello, il mio migliore amico, ma non
c’è più
l’amore.
Credo di stare iniziando a
provare questo sentimento per un’altra persona, ma ho paura
che non ricambi e
temo il giudizio della gente.”
Sto procedendo in punta di
fioretto, ma credo che Tom abbia già intuito qualcosa
perché la sua espressione
muta impercettibilmente.
“Dei giudizi della gente
dovresti fregartene, loro non conoscono la tua situazione e se non
dirai mai
nulla a lui non saprai mai se ti ricambierà.”
“Hai ragione.”
Rimango un attimo in
silenzio.
“E se quella persona fossi
tu?”
“Ne sarei felice perché ho
una cotta per te da tantissimo tempo.”
“Da-davvero?”
Lui annuisce con gli occhi
puntati a terra.
“Sì, lo sa anche Mark e mi
sembra un miracolo che tu possa ricambiare.”
Io rimango senza parole,
in tutto questo tempo non ho mai capito nulla, Tom è bravo a
mascherare i suoi
sentimenti e poi in fondo deve tenerci a Mark se non ci ha mai provato
con me.
“Anche a me sembra tutto
troppo bello, dove sono le rogne?”
Faccio mezza seria e mezza
ironica.
Lui ride.
“La rogna sarà Jen, ma
forse possiamo superarla insieme se vogliamo.”
“E questo cos’è? Un “Voglio
uscire con te, Skye Hoppus.”?”
Lui mi guarda serio.
“Sì, è esattamente questo.
Vuoi uscire con me?
Vogliamo provarci seriamente con la consapevolezza che solleveremo un
casino
immane?”
Io deglutisco, penso per
un attimo a Jack e ai figli di Tom, ma
poi lascio che sia il cuore a prendere il sopravvento.
“Sì, ci voglio provare.
Lo devo a me stessa e al
mio divorzio.”
Lui sorride e mi prende
per mano, conducendomi verso la sala da pranzo poco gremita
dell’albergo.
“Allora iniziamo da questo
pranzo.”
“Ava e JoJo dove sono?”
“Ava è da un’amica, JoJo
all’asilo ha la mensa, quindi siamo soli. Mancano le candele
e tutto il resto,
fa niente?”
Io rido.
“Fa niente, quelle le
riserviamo per un’uscita serale, cosa ne dici?”
Lui annuisce.
“Mi sembra una buona
idea.”
“Tom, come farai con i
tuoi figli?”
Lui si gratta il mento.
“Ava ti ha già accettata e
anche a JoJo sembri stare simpatica, dovremo stare attenti a Jen. Non
vorrei
che lo manipolasse, Ava è a posto.”
“Ava ti somiglia molto,
dubito che qualsiasi cosa le proponga sua madre la accetti.”
“Hai perfettamente
ragione, litigavano già molto prima che lei ci lasciasse per
Mark, in qualche
modo sapeva anche delle altre storie di Jen.
Ha le orecchie lunghe
quella bambina.”
“Un po’ come te.”
Lui mi riserva uno dei
suoi sorrisi teneri e annuisce, deve amare molto sua figlia.
“Mi piace come ami i tuoi
figli, sei una brava persona.
Un uomo che ama i propri
figli è una brava persona.”
Il
pranzo trascorre
tranquillamente, la vera sorpresa arriva dopo.
Dopo infatti decidiamo di
fare un giro per Londra, i nostri progetti vanno però in
fumo non appena
vediamo una massa di giornalisti fuori dall’albergo.
Deve averli chiamati Jen,
quella carogna, così noi siamo asserragliati senza via di
fuga e di pessimo
umore, o almeno io lo sono.
Non che mi dispiaccia
stare con Tom, non mi è piaciuto il comportamento di quella
vacca che ha subito
chiamato i giornalisti e che presto – ne sono certa
– reciterà la parte della
vittima, della povera moglie tradita, cosa che non è affatto.
Non è una vittima, né una
moglie tradita, è solo una stronza qualunque a cui il
destino sta restituendo
il male che ha seminato durante gli anni.
Non provo un briciolo di
compassione per lei, solo odio. Prima mi ruba il marito, poi lo molla e
cerca
di riprendersi il suo solo perché ora sta uscendo con me.
Puttana da quattro soldi.
“Quanto la odio!”
Ringhio guardando dalla
camera di Tom la folla di giornalisti e operatori che
c’è sotto di noi.
“Questo è ancora niente.”
Mi dice cupo lui, io mi
siedo sul letto e gli faccio appoggiare la testa sulla mia spalla.
“Come hai fatto a
sposarla?”
“Questa è una bella
domanda, ma non so rispondere. Immagino mi abbia preso
all’amo con il suo
sguardo da cucciolo, quando lo fa pochi uomini sulla faccia della Terra
sono in
grado di resisterle.”
Io sbuffo.
Al diavolo lei e il suo
maledetto sguardo.
“Sai che da quando siamo
qui non ci hai provato nemmeno una volta?”
Lui ride di gusto.
“Con te voglio andarci
piano perché mi piaci davvero.”
Io sorrido.
“E voglio uscire di qui
perché mi manca l’aria.”
“E come?”
“Spogliati e mettiti
questi.”
Mi porge dei suoi
vestiti, in cui io sto larghissima, io eseguo e poi usciamo dalla sua
stanza.
“Cosa hai in mente?”
Lui non mi risponde e
ferma un cameriere.
“Ehi, mi dai la tua
uniforme?”
Il cameriere è un ragazzo
di vent’anni al massimo e sgrana agli davanti a quella strana
richiesta.
“Non voglio farci niente,
non è un avance, io ho bisogno di uscire e con la tua divisa
posso.”
Lui deglutisce.
“Sì, signor DeLonge. In
cambio mi farebbe un autografo?”
Lui annuisce e firma un
pezzo di carta, poi torniamo in camera per cambiarci. Lui indossa la
divisa e
poi finalmente possiamo uscire.
Nessuno fa caso a un
cameriere e a quello che sembra un ragazzino.
Saliamo in macchina.
“Ce l’abbiamo fatta!”
Vestiti così ci dirigiamo
verso il parco, finalmente siamo liberi!!
Arrivati al primo bar ci
cambiamo di nuovo – da brava persona previdente mi sono
portata dietro i nostri
vestiti – e ora possiamo goderci la pace di questo spazio
verde.
È naturale prenderci per
mano e comportarci come una coppietta: ridiamo e ci scambiamo battute
stupide.
Mi piace il sorriso che
c’è sul suo volto, mi piacciono le fossette che si
formano, gli di vedono gli
zigomi e fanno venire voglia di pizzicargli le guance.
Una volta non resisto alla
tentazione e gliele pizzico, lui fa una smorfia buffa, ma non dice
nulla.
“Scusa, sono irresistibili!”
Butto lì a mo’ di
spiegazione, facendolo ridere.
“Sei l’unica che si è
accorta delle fossette.”
Io arrossisco di botto.
“Ah! Ti ho fatta
arrossire!”
“Mannò!”
Io arrossisco ancora di
più e lui mi bacia a tradimento, io sorrido e rispondo con
tanta passione.
“Tiramele più spesso le
guance.”
“Ogni volta che sorridi se
necessario.”
Lui ride e mi trascina
verso un chiosco dove vendono delle crepes, non sono buone come quelle
francesi, ma non sono nemmeno male.
Ci sediamo su un panchina
vicino alla pista da skate e osserviamo pigramente le evoluzioni delle
persone
che la frequentano.
“Quanto mi piacerebbe
tornare a fare skate.”
“Torna.”
“Devo stare attento alla
schiena e poi mi sentirei a disagio con ragazzi che hanno la
metà dei miei
anni.”
“Non sembra che tu abbia
trentasette anni.”
Lui sorride.
“Nemmeno tu, sembra che
per te il tempo si sia fermato a venticinque anni.”
“Sei troppo buono, ho
anche io le rughe e poco prima che Mark mi lasciasse ho trovato il mio
primo
capello bianco.”
“Per me sei sempre bellissima.”
Lui apre le braccia e le
appoggia alla panchina, io ne approfitto per appoggiarmi
nell’incavo delle
ascelle: comodo.
“Quel ragazzo è bravo.”
“Per me sono tutti bravi,
non sono capace di
stare in piedi su una
tavola da skate, Mark ha provato ad insegnarmi, ma alla fine si
è arreso.”
Lui scuote la testa
divertito, forse si sta immaginando la scena: io che provo ad andare e
che cado
regolarmente. Deve essere comico visto dall’esterno, io
invece ricordo le
ginocchia sbucciate della settimana dopo e rido un po’ di
meno. I miei colleghi
mi hanno presa in giro tutto il tempo, a proposito di colleghi, questa
settimana scade la mia aspettativa, tra poco li rivedrò.
Che palle!
Sbuffo involontariamente e
Tom mi guarda curioso.
“Niente, pensavo che tra
poco rivedrò i miei colleghi.”
“Saranno tutti gelosi del
tuo nuovo fidanzato.”
“O mi considereranno una
puttana.”
Lui mi passa un braccio
attorno ai fianchi.
“Non lo sei, non lo sei
mai stata.
Hai cercato di fare
funzionare le cose fino alla fine, ma non ci sei riuscita. La maggior
parte
delle persone si ferma prima o inscena una pietosa commedia per i figli
che non
inganna nessuno.
I figli si accorgono di
quando va male tra i genitori e stanno male il doppio, penso sia meglio
un
taglio netto a volte.”
“Sei cresciuto dal ragazzo
di stay together for the kids.”
Lui guarda lontano.
“La vita ti fa crescere
certe volte.”
Poi all’improvviso si
volta e mi bacia
appassionatamente.
“Mi chiedo se stiamo
facendo la cosa giusta.”
“Me lo chiedo anche io, a
volte.”
“ E cosa ti rispondi?”
“Che quando sto con te mi
sento bene, protetta, me stessa.
Mi sembra di tornare a
respirare dopo una lunga apnea.”
Lui sorride
impercettibilmente.
“Dovrei essere io il poeta
della situazione, ma mi hai battuto. Io mi sento esattamente allo
stesso modo,
nonostante le tonnellate di senso di colpa che provo verso Mark e il
pensiero
che forse i miei figli non gradiranno questo cambiamento.”
“Anche io mi sento in
colpa verso Mark e Jack, ma forse portare avanti una commedia sarebbe
stato
peggio, per Jack soprattutto.
Ho pensato un sacco in
queste due settimane, ho analizzato tutte le possibilità e
mi sono accorta che
non sarei riuscita a fingere.”
Lui rimane un attimo in
silenzio.
“Anche io ho pensato molto
e mi sono accorto che da quando avevamo provato a vivere come una
coppia non
sarei più riuscito a pensare ad altro se non a te, a
noi.”
Io gli prendo una mano –
grande, callosa, rassicurante – tra le mie.
“Ce la faremo, uniti ce la
faremo.”
Lui annuisce e io mi sento
meglio. È inspiegabile come certe persone ci mettano
così poco a entrare nel
tuo cuore e a occuparlo tutto in silenzio, quasi fossero nate per stare
lì nei
tuo affetti e nei tuoi amori.
Tom è uno di loro, se
anche solo un anno fa mi avessero detto che avrei lasciato Mark per
Tom, dopo
che lui mi aveva tradita sarei scoppiata a ridere, ora queste
è la mia realtà.
La vita ha scompigliato e
rimesso tutto a posto con un’abilità incredibile,
la più grande prestigiatrice
del mondo.
Rimaniamo un altro po’
così, poi un’occhiata all’orologio di
Tom ci fa capire che è arrivato il
momento di andare a prendere Jonas.
Usciamo dal parco e
saliamo sulla mia macchina, chiacchierando del più e del
meno nel percorso che
porta all’asilo.
Non è molto lontano, ma
quando ci arriviamo ci troviamo davanti a una scena spiacevole, Jen sta
tentando di portare via suo figlio, mentre lui si oppone con tutte le
sue
forze: piange, scalcia, urla, ma a lei non sembra interessare
granché.
La faccia di Tom diventa
una maschera di rabbia – credo di non averlo mai visto in
quello stato – poi si
lancia verso la moglie e prende JoJo in braccio, il bambino sorride tra
le
lacrime e lo abbraccia convulsamente.
“Cosa pensavi di fare,
eh?”
L’urlo di Tom fa voltare
parecchie madri.
“Volevo solo vedere mio
figlio.”
“Peccato che lui non
voglia vederti! Dovevi pensarci prima di andartene e mandare a puttane
la tua
famiglia!”
“Oh, e vuole solo te e la
tua troia?”
Lo schiaffo di Tom risuona
come una fucilata nel cortile dell’edificio.
“Non osare chiamarla
troia, l’unica troia in questa storia sei tu e non farti
più vedere qui o
potrei dire al mio avvocato di fare in modo di non farti più
vedere né Ava né
Jonas.”
Detto questo, gira i
tacchi e se ne va tenendo
il figlio in
braccio e prendendo poi me per mano.
In macchina è ancora schiumante
di rabbia, ha lo sguardo scuro e stringe con troppa energia il volante
– le sue
nocche sono ormai bianche – Jonas invece continua a piangere
tra le mie
braccia.
“Non voglio vedere la
mamma, la mamma è cattiva!
La mamma ci ha
abbandonato!”
“E non la vedrai più fuori
dal tuo asilo, campione!”
La voce di Tom è
mortifera, prevedo tempi duri per Jen e un divorzio per nulla facile:
questa
volta la cara Jenkins ha oltrepassato i limiti della pazienza di Tom e
non
poco.
Il mio nuovo compagno
guida rabbioso tra le strade
di Londra
fino a giungere in una lunga via fatta di case tutte uguali, le tipiche
case
con la porta dipinta di rosso e due o tre scalini che portano
all’ingresso.
Parcheggia e ci fa segno
di scendere. Io eseguo con Jonas che piange ancora sulla mia spalla,
Tom
intanto suona un campanello. La porta si apre e saliamo fino al secondo
piano
della casa, lì troviamo una porta dipinta di nero e Ava
sulla soglia che ci
aspetta.
Ci guarda confusa.
“Cosa ci fate qui e come
mai JoJo piange?”
“Siamo venuti a prenderti
e Jonas piange perché mamma è venuta a prenderlo
fuori dall’asilo.”
La ragazzina impallidisce
vistosamente, torna dentro e poco dopo esce con la zaino e la giacca in
mano.
Torniamo di nuovo in
macchina e Tom ci porta a casa mia, lì si ferma e ci fa
scendere.
“Vado in hotel a prendere
le nostre cose, anche a costo di abbattere quei maledetti giornalisti
uno per
uno.”
Parte sgommando, io lo
guardo e poi con i bambini salgo fino al mio appartamento.
Jonas sembra essersi
calmato, ma decido che comunque una cioccolata in queste condizioni non
può che
fare bene a tutti e tre.
La preparo e la porto in
tavola, entrambi sono molto felici della mia idea, io invece ho un
dubbio che
mi pesa sul cuore.
“Ava, perché ti sei
spaventata tanto quando tuo padre ha detto che Jen è venuta
a scuola a prendere
Jonas?”
“Perché non voleva
prenderlo, voleva rapirlo e portalo in California per toglierlo a
papà.”
Non ci credo, non può
davvero fare quello che ha detto Ava.
“JoJo, cosa ti ha detto la
mamma?”
“Che mi avrebbe portato a
casa, in California.”
La risposta nel bambino mi
fa gelare il sangue nelle vene, che donna terribile!
Non solo abbandona la
famiglia per niente, ma pretende anche di riprendersela al suo comando!
Poco dopo arriva Tom, lo
aiuto a portare le valigie e poi a mettere via le sue cose e quelle dei
bambini. È in quel momento che decido di tirare fuori la
questione.
“Ava mi ha detto che Jen
voleva rapire Jonas.”
“Ava ha ragione. Il piano
di Jennifer era esattamente questo, fortunatamente le ho rotto le uova
nel
paniere.”
“è una donna terribile.”
“Lo è, ma questa volta
darò battaglia e troverà pane per i suoi
denti.”
Io rimango un attimo in
silenzio, seduta sul letto della camera di Ava.
“Non avresti dovuto darle
quello schiaffo, anche se se lo meritava.”
“No, non avrei dovuto, lo
userà contro di me, ma ho perso la pazienza.
Non sono riuscito a controllarmi all’idea che potesse
togliermi mio figlio, per
cosa poi?
Per darlo probabilmente in
mano a una serie infinità di baby sitter e tate, non
è molto brava con i
bambini e poi di sicuro ora deve cercarsi un altro uomo che la
mantenga.”
Io annuisco.
Questa sera è un po’
agrodolce, iniziano già i primi problemi, ma sono sicura che
insieme ce la
faremo.
Dopotutto è questo che
fanno le coppie, no?
Risolvere insieme i
problemi e cercare di essere felici, nonostante gli ostacoli.
Angolo di Layla
Ringrazio fraVIOLENCE
per la recensione.
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Capitolo 9 *** 9)Come on let me hold you, touch you, feel you. Always ***
9)Come
on let me hold you, touch you, feel you.
Always
La
mattina dopo vengo
svegliata dal suono del telefono.
Dall’altra parte del filo
c’è Jack, lo sento felice e di conseguenza, anche
se mi manca molto, mi sento
felice anche io.
“Ciao mamma!”
“Ciao amore! Come stai?”
“Bene, sto imparando a
fare surf e poi è venuto papà da zia Anne. Ha
detto che si comprerà una cosa
qui vicino e così potremo vivere insieme.”
“Sono felice, tesoro.
Probabilmente anche io tornerò negli Stati Uniti, non posso
stare troppo
lontana dal mio ometto.”
“Papà mi ha detto tutto,
stai con Tom, ora?”
“Io… sì.”
“Va bene. Passami Ava, per
favore.”
Io lo accontento e chiamo
la ragazzina, rimangono un po’ a parlottare tra di loro e poi
lei mette giù il
telefono sorridendo.
Cosa si siano detti rimane
un mistero, ma dal sorriso di Ava deduco che abbiano tubato, se
così si può
dire per dei ragazzini di dieci anni.
Tom guarda sua figlia
leggermente perplesso, immagino stia pensando a cosa fare con lei e a
come
valutare questa cotta che lei ha per Jack.
“Fra dieci anni mi
ritroverò tuo figlio come genero.”
Borbotta alla fine,
facendomi scoppiare a ridere.
Facciamo colazione tutti
insieme e poi portiamo i bambini
a
scuola, solo per un miracolo di una non ben specificata
divinità riusciamo a
fuggire dalla massa di mamme curiose.
Quelle della scuola
elementare vogliono davvero sapere se sto con Tom, se è vero
che io e Mark ci
siamo lasciati e dove è Jack.
Quelle dell’asilo invece
sono affamate di pettegolezzi su quello che è successo il
giorno prima e
vogliono sapere chi fosse quella donna. Solo una ragazza madre mostra
un po’ di
comprensione e forse ci riconosce perché distrae le altre
arpie abbastanza a
lungo da lasciarci il tempo di scappare.
Una volta arrivati in
macchina ci sentiamo sicuri e ci dirigiamo verso il nostro solito bar,
il
barista ci sorride. Forse si è preoccupato perché
non ci ha visto per così
tanti giorni o forse era solo felice di avere dei clienti.
In ogni caso al nostro
tavolo arriva anche la donna sdentata.
“Due cuori spezzati ne
hanno formato uno nuovo?”
Io sorrido.
“Sì.”
“E lui è tornato?”
“Sì, è tornato, ma non era
più lui la metà giusta del mio cuore.”
Lei sospira.
“Succede. Lasci un attimo
la mano del tuo amore e quello si volta dall’altra parte e se
ne va. La vita è
mutevole. Vi auguro tanta felicità.”
“Grazie mille.”
Le rispondiamo in coro mentre arrivano le nostre ordinazioni.
Per fortuna c’è almeno una
persona che non ci giudica a questo mondo.
Il cappuccino e le
brioches sono buone come le ricordavo, fuori dal bar la ragazzina
indiana e il
ragazzo che avevamo visto baciarsi di nascosto al parco camminano
tranquilli
mano nella mano, segno che forse i genitori di lei non
l’hanno né ammazzata né
spedita in India.
Non posso fare a meno di
sorridere, questo mi sembra l’inizio di una buona giornata.
È un presentimento giusto,
la mattina trascorre tranquilla, a mezzogiorno mi metto a cucinare
guardata a
vista da vista da Tom che ha stampato in faccia un sorrisetto
inesplicabile.
“Stasera mettiti carina,
che ti porto fuori.”
“Oh, è un invito a cena
ufficiale?”
Lui ride grattandosi la
testa.
“Uhm, devo corteggiarti,
no?”
“Sì, penso proprio che
dovresti corteggiarmi.”
“Perfetto, allora
aspettati di essere corteggiata da me e presto.”
Io sorrido e tra me e me
mi dico che non ha alcun bisogno di corteggiarmi, mi ha già
– sono qui con lui
e non con Mark – ma mi piace che mi dedichi attenzioni, mi fa
sentire bene.
Ho bisogno di qualcuno che
mi faccia sentire bene dopo tutto il dolore di questo periodo e, anche
se non
pensavo che sarebbe stato lui quello che l’avrebbe dato, mi
sento felice anche
solo al pensiero della nostra cena insieme.
I miracoli dell’amore!
Come se avesse sentito i
miei pensieri Tom si avvicina e mi abbraccia, baciandomi dolcemente il
collo.
“Cosa stai preparando?”
“Pasta al pesto.”
“Il pesto sarebbe la roba
verde?”
Indica scettica il
pentolino in cui il pesto sta cuocendo tranquillo.
“Sì, è una ricetta
italiana.”
“è buono?”
“Oh, sì!”
Lui sembra poco convinto,
io lo bacio a tradimento e la questione pesto viene accantonata per il
nostro
bacio. Questa volta non c’è nulla di aggressivo,
c’è solo dolcezza, in fondo ci
conosciamo già e sappiamo che possiamo funzionare.
Mi stacco di malavoglia
per controllare il cibo, fortunatamente lo faccio perché
poco dopo arriva Ava.
“Sono a casa! Cosa c’è di
buono?”
Urla dalla soglia.
“è tua figlia Tom.”
Lui ride.
“Sì. Pasta al pesto,
tesoro!”
“Buona!”
Ava fa capolino in cucina
e annusa l’aria come un cagnolino.
“Sì, ha un buon odore. Non
è come quella che tentava di fare la mamma senza riuscirci,
vado a preparare la
tavola!”
Dice sorridendo, io invece
scolo la pasta e preparo tre piatti, Tom decide di aiutare Ava e presto
siamo a
tavola tutti insieme.
Questo pranzo sa
stranamente di famiglia e non di rovina famiglie, Ava mi ha accettato
in pieno
e subito. Jen deve essere stata una pessima madre, forse farcela non
è poi così
impossibile!
Il
pomeriggio trascorre
tranquillo se non per la mia ansia.
Non so cosa mettermi, mi
sento impacciata come una ragazzina al primo appuntamento, voglio che
Tom mi
trovi attraente anche se non penso di avere bisogno di un bel vestito
per
quello.
In fondo mi ha visto in
lacrime e con il trucco sfatto e non se ne è andato, al
contrario è rimasto al
mio fianco per asciugarmi le lacrime.
L’unica cosa da fare è
rimanere calma.
Keep calm e andrà tutto
bene, Skye!
Mi dico mentre respiro
profondamente dopo aver fatto la doccia davanti al mio armadio
straripante di
vestiti, ma non di quello che io considero giusto.
Alla fine scelgo un tubino
nero di seta senza maniche, molto semplice.
Mi lego i capelli in una
semplice coda alta con i capelli che mi ricadono lisci sulle spalle e
poi mi
trucco. Scelgo un trucco smokey piuttosto elegante, ma con un
po’ di
personalità e alla fine un paio di scarpe a tacco altissimo
con il cinturino e
una pochette che contiene giusto le mie sigarette.
Quando esco Tom mi lancia
un fischio di ammirazione.
“Stai benissimo!”
Anche lui sta benissimo
nella sua semplice camicia bianca, nei sui jeans scuri e nelle Macbeth
scure,
anzi è perfetto.
Ava mi guarda e alza un
pollice subito imitata da suo fratello.
“Allora, adesso vi
portiamo da Alice e ci vediamo domani mattina, fate i bravi e non
fatela
arrabbiare!”
La voce di Tom è pacata,
ma vagamente minacciosa, i suoi figli annuiscono. Alice è
una compagna di
classe di Ava che li ha invitati a dormire a casa sua, coincidenza
assolutamente perfetta.
Usciamo tutti e quattro
allegri e vocianti e saliamo in macchina, la prima tappa è
la casa della
ragazzina. Io e Tom scendiamo e accompagniamo i ragazzi, Tom raccomanda
alla
madre di non aprire a una donna dai capelli castani che dice di non
essere la
madre dei ragazzi.
La donna annuisce e noi ci
rechiamo a un’elegante ristorante giapponese della city, una
donna in chimono
ci scorta fino al nostro tavolo nascosto alla vista degli altri da
un’elegante
separé di carta bianca con disegni di sakura in fiore.
Ordiamo del ramen e della
carne alla piastra, la cameriera sorride e con un leggero inchino se ne
va.
“Ti piace?”
“è bellissimo, è così di
classe.”
“Per te solo il meglio o
almeno quello che io penso sia il meglio.”
Io sorrido.
Mentre aspettiamo la cena
lui mi racconta del divorzio dei suoi e di come lo abbia segnato, gli
dispiace
imporre lo stesso dolore ai suoi figli, ma purtroppo ci è
stato costretto.
Io gli racconto dei miei,
il loro matrimonio resiste, ma non è un segreto per nessuno
che mio padre abbia
un’amante da anni. Mamma sopporta e dice che va bene
così, che l’importante è
che lui non la lasci da sola nella vecchiaia.
Forse è per questo che io
ho voluto lasciare subito Mark, ho visto troppe recite inutili nella
mia
adolescenza e non mi andava di riviverle in prima persona da adulta.
Quando arriva il ramen le
chiacchiere lasciano posto al cibo, che è decisamente buono!
“Buonissimo!”
“Vero? L’ho scoperto la
seconda sera dopo che me ne sono andato da casa tua e mi sono
innamorato della
cucina e del posto.”
“Hai abitudini costose.”
“Per ora posso permettermele!”
Dice lui ridacchiando.
Finito il primo la
cameriera di prima ci prepara la griglia per la carne e poi ce ne
lascia un
quantitativo generoso. La mangiamo tutta con gusto, è
buonissima anche questa,
la serata sta procedendo da dio e io mi sento leggera e felice.
Finita la cena mi porta a
vedere un horror, inutile dire che gli sto attaccata tutto il tempo,
con la
testa seppellita nell’incavo delle sue spalle. È
un posto comodo e
confortevole, perché mettere la testa fuori e trovarsi di
fronte al perverso
serial killer che sullo schermo sta mietendo vittime?
Finito il film passeggiamo
lungo il Tamigi con le luci di Londra a farci compagnia e il rumore
della città
di sottofondo, chiatte pigre passano lungo il fiume.
Tra di noi c’è un silenzio
complice e le nostre mani sono intrecciate, ogni tanto mi fa qualche
carezza
timida sul dorso quasi avesse paura di esagerare.
Dopo la nostra passeggiata
torniamo a casa e non appena mi chiudo la porta alle spalle mi porto
davanti a
lui sorridendo.
“Grazie della meravigliosa
serata!”
Lui sorride e mi attira a
sé baciandomi.
Le nostre gambe si muovono
da sole verso la camera da letto mentre ci baciamo e lasciamo una scia
con i
nostri vestiti. Il gancetto del reggiseno risulta particolarmente
difficile da
sganciare per lui, così ci penso io poco prima di stendermi
sul letto.
Lui mi raggiunge
immediatamente – in intimo – e continua a baciarmi
e ad accarezzarmi,
ricambiato da me. Traccio i contorni dei suoi pettorali e delle sua
pancetta
appena accennata, facendolo sospirare.
Lui scende piano dalla
bocca lungo il collo fino ad arrivare al seno e baciarlo, le mie mani
finiscono
nei suoi capelli e dettano il ritmo.
Lo sento sorridere
malizioso e poi scende ancora un po’, fino al confine segnato
dalle mie
mutandine, che volano via subito dopo.
Poi ci sono solo le sue
mani e la sua bocca a farmi gemere, sospirare e urlare quando tocca
certi
punti. Il primo orgasmo arriva come una scarica elettrica e mi lascia
senza
fiato per almeno un minuto, nel frattempo qualcosa preme contro le mie
cosce.
Io mi riprendo e comincio
ad accarezzarlo e a prendere in mano la sua situazione, ben presto
è lui che
geme e grida il mio nome. Quando smetto ho solo il tempo di sorridere
perché
lui entra subito in me con spinte lunghe e dolci. Continuiamo
così – spinta
dopo spinta, gemito dopo gemito – fino a quando arriviamo
all’orgasmo che ci
lascia senza fiato uno sopra l’altra.
“Ti amo, Skye!”
Sussurra contro le mie
spalle.
“Ti amo, Thomas.”
Sorridendo, ci fumiamo una
sigaretta insieme e continuiamo a parlare di varie cose, delle nostre
visioni
politiche, degli alieni, del perché Atlantide dovrebbe
trovarsi vicino alla
Sicilia, dei tour e delle città che abbiamo visto.
Alla fine gli occhi ci si
chiudono da soli e ci addormentiamo abbracciati.
La serata è stata
perfetta.
La mattina dopo sono io la
prima a svegliarmi, i timidi raggi del sole mattutino mi hanno
infastidito al
punto da costringermi ad aprire gli occhi.
Lui dorme ancora, le
coperte sono tutte arrotolate e incasinate e i nostri vestiti tracciano
un
chiaro percorso dalla porta alla camera da letto facendomi sorridere.
Piano mi sposto e scendo
dal letto, prendo le mie mutande e le sua camicia e vado in cucina a
preparare
la colazione.
Uova, bacon e pancakes.
Preparo tutto e poi lo
metto su un vassoio, quando rientro Tom dorme ancora abbracciato al
cuscino.
Che tenerezza!
“Ehi, bell’addormentato!
La colazione è pronta!”
Lui si sveglia e mette a
fuoco me e poi il vassoio, infine sorride e si tira a sedere.
“Bacon e pancakes, sei tu
la donna della mia vita!”
Io rido e mi siedo accanto
a lui, c’è anche del caffelatte per me e
c’è dello sciroppo d’acero.
“Non abituarti, non sarà
sempre così.
Oggi è così perché è una
giornata speciale.”
Lui sorride serafico
mettendosi in bocca una generosa quantità di cibo.
“Lo so, ma so anche che tu
ti prenderai sempre cura di me.”
Io arrossisco come una
ragazzina.
“Certo.”
Finito di mangiare
rendiamo di nuovo la casa presentabile in modo da non dar adito a
domande da
parte dei pargoli, essendo i figli di Tom penso che siano piuttosto
svegli
sull’argomento.
Ci rechiamo a casa di
Alice e la madre ci riconsegna Ava e Jonas, quando stiamo uscendo Jen
si lancia
verso di noi con una faccia da pazza.
Tom mi fa cenno di entrare
in macchina con i bambini e li guardiamo litigare dai vetri della
macchina.
Questa donna sarà un
problema.
Il
temuto lunedì in cui
devo tornare al lavoro arriva.
La mattina mi sveglio di
pessimo umore e brontolo tutto il tempo come una pentola di fagioli,
non ho
voglia di rivedere i miei colleghi, di sicuro vorranno sapere se
è vero che ho
divorziato da Mark e se sto con Tom e se non mi sento una groupie.
E se…Che palle!
Arrivo in ufficio e sulla
mia scrivania c’è una bella montagna di carte, che
bello tornare al lavoro!
“Bentornata, Hoppus! O dobbiamo
chiamarti DeLonge?”
Mi chiede Doris, una delle
colleghe che più mi sta antipatica.
“Chiamami Everly, così
risolvi il problema alla base!”
Sputo acida prima di
mettermi a lavorare.
Fortunatamente mi lasciano
in pace tutta la mattina e qualcuno torna alla carica solo durante la
pausa
pranzo.
Che noia!
“Sentite, non lo ripeterò
due volte. Mi sono separata da Mark Hoppus e adesso sto con Tom
DeLonge. Se
volete chiamarmi puttana siete liberi di farlo, ma smettetela di
chiedermi
dettagli su quello che è successo perché non ho
voglia di parlarne e non sono
fatti vostri, comunque!”
La mia predica spegne ogni
desiderio di chiacchiere da parte dei colleghi, nessuno chiede
più nulla,
ognuno bisbiglia la versione che vuole.
In una sono una puttana,
nell’altra una donna.
Io mi sento solo Skye.
Lavoro fino alle cinque e
mezza e poi mi immetto nel traffico della city, direzione casa mia e
affetti
che lì risiedono.
Quando arrivo Ava sta
facendo i compiti sul tavolo, alternando il fare matematica con il
messaggiare
con qualcuno, io butto un’ occhiata distratta e mi accorgo
che il mittente è
mio figlio.
Jonas invece guarda la tv
con Tom, che sonnecchia, la testa che ciondola di qua e di
là.
“Buonasera a tutti!”
“Buonasera Skye, come è
andata al lavorio?”
Mi chiede Tom stiracchiandosi.
“Bene, li ho zittiti
tutti.
Quanto pensi di rimanere
ancora?”
“Non so, perché?”
Io mi siedo accanto a lui,
scalciando via gli stivali e mettendo i piedi sul tavolino basso del
salotto.
“Oggi il mio capo mi ha
detto che c’è un posto vagante a Mtv America, sede
di Los Angeles/San Diego e
vuole sapere se sono interessata, data la mia situazione.”
“In effetti mi piacerebbe
tornare a San Diego, anche perché le udienze per il divorzio
si terranno lì.”
“Anche a me manca San
Diego, potremmo rimanere qui ancora un mese e partire quando quel posto
sarà
libero.”
“Mi sembra una buona
idea.”
“Mi manca Jack, spero che
questo mese passi in fretta così rivedrò il mio
ometto. Scommetto che sarà
cresciuto e sarà abbronzato.”
“Spero non mi odi più così
tanto.”
Io non dico nulla perché
non ho idea di come mio figlio potrebbe accogliere Tom, è un
tipo imprevedibile
come suo padre.
Subito dopo mi alzo per
preparare la cena, Ava è ancora immersa nei suoi compiti di
mate quando le
chiedo gentilmente se può sgombrarmi il tavolo visto che
devo apparecchiare, lei annuisce.
“Devo chiedere a papà un
mano, non ci capisco niente di questa roba.”
Borbotta, fortuna che non
l’ha chiesta a me perché anche io non ci capisco
niente di questa roba.
Io apparecchio e poi
chiamo tutti a cena, anche se oggi ho cucinato solo un minestrone pare
che
nessuno lo insulti e dica che faccia schifo.
Dopo cena Tom aiuta Ava
con i compiti e in qualche modo li finiscono, poi ci guardiamo un
po’ di tv
tutti insieme fino alle dieci.
A quell’ora spediamo tassativamente
a letto i pargoli e poi ci godiamo il silenzio della casa, io esco a
fumare una
sigaretta e Tom mi fa compagnia, sedendosi comodamente su una delle
sedie del
terrazzo.
Fuori Londra parla per
noi, c’è il rumore incessante del traffico,
qualche colpo di clacson, gente che
urla, gente che chiacchiera e qualche sirena lontana.
Dopo tutto non è una
brutta città, ci sono un sacco di musei, di quartieri
interessanti e di
negozietti bellini; ma manca di una cosa: il sole.
Il sole che batte amico su
tutto e dirada le ombre si vede poco e per due californiani come noi
è quasi un
trauma, da qui il desiderio di tornare a casa.
“Un po’ mi mancherà questa
città.”
Commenta Tom.
“Anche a me, ma non vedo
l’ora di tornare a casa, qui mi sono sempre sentita solo come
un’ospite di
passaggio, non so se capisci.”
Lui annuisce.
“Sì, anche io. E poi a
casa mia ci sono gli Ava e i blink.”
“E il sole.”
“E il sole, effettivamente
qui si vede molto poco.”
“Ci puoi giurare!”
Dopo questo scambio di
battute rientriamo in casa e ci ficchiamo a letto, io mi fiondo subito
tra le
sue braccia.
Tra di noi cala il
silenzio, ma Tom è pensieroso, sembra stia covando qualcosa
nel suo cervellino.
“Vuoi davvero andartene da
Londra o lo fai per compiacermi?”
“Voglio davvero andarmene,
Tom. Io qui non ho più nulla, voi ve ne tornerete in
California e Jack vive già
là, non ha senso rimanere qui.
E poi davvero qui mi sono
sempre sentita come un’ospite, certo un’ospite
trattata in modo meraviglioso,
ma pur sempre un’estranea.”
Lui annuisce e chiude gli
occhi sorridendo, la questione è chiusa e ora si
può dormire.
Sono abbastanza stanca da
crollare subito tra le braccia di Morfeo.
Buonanotte a tutti.
Buonanotte Londra, un po’
mi mancherai, ma nulla può battere la mia California sul
piano affettivo.
Buonanotte, Tom.
Angolo di Layla
Ringrazio fraVIOLENCE
per la recensione. Tra due capitoli sarà finita.
|
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Capitolo 10 *** 10)Take care of her. ***
10)Take care of
her.
Il
mese che dobbiamo
trascorrere a Londra passa velocemente.
Senza nemmeno rendercene
conto arriva la vigilia della partenza e siamo tutti incasinati con i
bagagli,
l’appartamento sembra un campo di battaglia e si sentono urla
selvagge ogni
tanto.
Tom che chiama Ava, Ava
che chiama Tom, io che vengo chiamata da quei due, Jonas che scoppia a
piangere
perché non vuole lasciare questa casa.
È un manicomio e domani
abbiamo l’aereo piuttosto presto, Tom si è
occupato di affittare la casa e
spero che abbia scelto qualcosa di adatto, non una catapecchia, ma
nemmeno una
reggia.
Alla fine a mezzanotte è
tutto pronto, peccato che la sveglia suoni alle sei e noi abbiamo
pochissimo
tempo per dormire.
Io crollo sfinita a letto,
sento a malapena la braccia di Tom che mi abbracciano.
La sveglia delle sei
invece la sento benissimo, il rumore riempie il mio cervello come una
deflagrazione, con una spinta la spengo e me ne frego del fatto che sia
caduta
per terra.
Scuoto Tom che è ancora
più addormentato di me e poi corro a svegliare i suoi figli,
con un po’ di
difficoltà ci raduniamo tutti al tavolo della cucina.
Hanno tutti la faccia
stanca e gli occhi gonfi di sonno, dormiremo sull’aereo forse.
Con qualche difficoltà
carichiamo tutto in macchina e ci dirigiamo all’aeroporto,
mentre io faccio la
coda per l’imbarco, Tom consegna la macchina al noleggio
vicino all’aeroporto.
Alle otto precise parte il
nostro volo con destinazione San Diego, mentre ci alziamo guardo
un’ultima
volta Londra dall’alto.
L’ultima volta che l’ho
vista così ero mano nella mano con Mark, eccitata come una
bambina all’idea di
vivere in una città così cosmopolita ed elegante.
Ora invece ho la testa di
Tom appoggiata alla mia spalla e mi sento come se finalmente iniziassi
di nuovo
a vivere dopo un lungo sonno.
Do un ultimo addio al Big
Ben e al Tamigi che si srotola come un tappeto azzurro per la
città, poi
ci sono solo nuvole: candide nuvole che
sembrano fatte di panna.
Cullata dal respiro di Tom
mi addormento e mi sveglio soltanto quando sento qualcuno che muove
delicatamente la mia spalla: Tom.
È arrivata la hostess con
il pranzo, io mangio dell’insalata e un po’ di
carne domandandomi come mai i
pranzi in aereo siano sempre così squallidi e poco invitanti.
Non vedo l’ora di arrivare
a San Diego e fare una puntata a un certo ristorante italiano che
conosco e di
portarci anche Tom e famiglia. Sono sicura che apprezzerebbero.
Mi volto verso il sedile
dei ragazzi e noto che hanno entrambi la mia stessa espressione
schifata.
Il resto del volo
trascorre tranquillo, quando finalmente sbarchiamo
c’è un sole accecante
e fa caldo rispetto a Londra. Ci togliamo i
cappotti e li buttiamo sopra le valigie non appena le abbiamo ritirate.
Bentornata in California,
Skye!
“Ah, finalmente il vero
sole!”
Urla Tom, facendomi
ridere.
“Sì, puoi dirlo forte.
Metaforicamente, ovvio.
Cosa ne dici se cerchiamo
un taxi?”
Lui annuisce e spingiamo i
carrelli verso la zona dove ci sono i taxi, ne troviamo uno libero e
carichiamo
tutto nel baule. Tom è costretto a salire vicino
all’autista a cui dà
l’indirizzo e partiamo.
L’uomo è indiano e durante
il tragitto ci racconta la sua storia e della moglie che lo aspetta in
India
insieme ai figli e soprattutto del fatto che non riesce e farli
arrivare negli
Stati Uniti.
Noi ascoltiamo pazienti,
ma accogliamo con un certo sollievo il fatto che ormai siano arrivati
alla
villetta che Tom ha preso.
È molto graziosa, in stile
spagnolo, con un grande giardino e una piscina.
“Complimenti Tom, è
davvero carina.”
“Me l’ha consigliata Anne.
Posso parlare con Anne, vero?”
Io scoppio a ridere.
“Sì, puoi parlare con chi
vuoi.”
Portiamo le valigie in
casa, i bambini si guardano intorno un po’ spaesati, Jonas
soprattutto, credo
stia pensando che ha cambiato fin troppe case per la sua età.
“Papà siamo stanchi,
possiamo dormire?”
La richiesta arriva da una
sbadigliante Ava, Tom annuisce e li accompagna al piano superiore, io
invece mi
guardo attorno e poi controllo che siano allacciati l’acqua e
l’elettricità, la
casa sembra pulita.
C’è un biglietto sul
frigo, è di Anne, dice che è passata a dare una
sistematina alla casa in attesa
del nostro arrivo e poi mi prega di chiamare non appena siamo arrivati
che Jack
vuole vedermi.
Io sorrido, lo chiamerò
non appena avrò sistemato le valigie, almeno se
vorrà venirmi a trovare troverà
una parvenza d’ordine.
Quando torna Tom mi aiuta
a portare di sopra le valigie e a sistemarle, poi si butta sul letto,
io invece
mi attacco al telefono.
“Pronto, Jack?”
“Ciao mamma!”
“Tesoro, siamo appena
arrivati.”
Sento dei rumori, come di
esultanza, di sottofondo.
“Arrivo subito, chiedo
alla zia se mi porta.”
“Sì, Jack. Ti aspetto!”
Finita la chiamata mi
sdraio accanto a Tom con un sorrisone sul volto.
“Tra poco arriva mio
figlio.”
“Spero non mi prenda a
pugni.”
“Dai, ha solo dieci anni.
Un uomo grande e grosso come te non dovrebbe averne paura.”
“Ho paura di incasinarti
la vita.”
Io mi alzo sui gomiti, mi
allungo leggermente e gli lascio un bacio delicato sulla bocca.
“L’hai già fatto e va bene
così.”
Lui sospira.
“Dai, andiamo o tuo figlio
chissà cosa penserà.”
Scendiamo in salotto e
nemmeno cinque minuti dopo suona il campanello, io vado al cancello per
aprirgli personalmente e lo trovo in compagnia di Anne.
“Ciao, SKye.”
“Ciao, Anne.”
“Ti lascio tuo figlio, lo
verrà a prendere mio fratello.
Ciao, campione!
Divertiti!”
“Ciao zia.”
Lui si volta verso di me e
mi abbraccia, sembra molto felice di vedermi, io lo trovo
più alto, più magro e
più muscoloso. Ha anche un bel colorito dorato, praticamente
il ritratto della
salute.
Entriamo in casa
chiacchierando, si ferma non appena vede Tom, poi lo raggiunge e gli si
piazza
davanti a gambe larghe, come il pistolero di un western.
“Tratta male mia madre e
te la vedrai con me.”
La scena sembrerebbe
comica se non per il volto incredibilmente serio di mio figlio, Tom lo
guarda e
poi annuisce come se stesse parlando a un uomo adulto.
“Non la farò soffrire, mi
prenderò cura di lei, te lo prometto.”
“Sarà meglio per te.
Mamma, c’è Ava?”
Io scuoto la testa.
“Sta dormendo, era
stanca.”
“Non fa niente, la vedrò
un’altra volta. Me la puoi salutare?”
“Certo, ora cosa vuoi
fare?”
“Un bagno in piscina.”
Io annuisco, usciamo
insieme nel sole splendente della California.
Mi
mancava trascorrere un
intero pomeriggio in compagnia della mia piccola peste.
Jack tuffa, mi schizza,
gioca a palla con me fino a sfinirmi; solo quando il sole è
quasi al tramonto
esce e corre a farsi una doccia.
Poco dopo me la faccio
anche io, cercando di togliermi sia il cloro che la stanchezza. Finito,
lo
trovo dabbasso, i suoi capelli ancora bagnati hanno lo stesso ciuffo di
Mark.
Tra poco lo rivedrò e
spero non sarà troppo strano. Non ho il tempo di rifletterci
a sufficienza che
il campanello suona e il mio ex marito fa la sua apparizione nel vano
della
porta.
Sembra dimagrito e porta
gli occhiali scuri, non li toglie nemmeno in casa, Tom lo guarda
intimidito.
“Ciao, papà!”
“Ciao, campione. Divertito
dalla mamma?”
Lui annuisce, Mark si
volta verso Tom.
“Trattamela bene o questa
è la volta buona che ti riempio di pugni quella faccia da
impunito che ti
ritrovi.”
Tom deglutisce e poi
annuisce.
“Non ho nessuna intenzione
di farla soffrire.”
“Buon per te. Forza Jack,
andiamo!
Saluta la mamma!”
Lui mi abbraccia, mi dà un
bacio sulla guancia e poi se ne va con il padre.
Tom li guarda leggermente
stranito, penso sia la prima volta che viene minacciato da due membri
della
stessa famiglia in meno di un giorno.
“Accidenti, meglio che ti
tratti bene o quelli noleggiano un sicario e mi fanno secco.”
Io rido.
“Vado a cucinare
qualcosa.”
“Va bene.”
Poco dopo sento del
vociare in sala e Ava arriva in cucina, si piazza su una sedia e mi
guarda
imbronciata.
“Perché non mi hai
chiamato quando c’era Jack?”
“Perché stavi dormendo e
non volevo disturbarti.”
“Uffa, chissà quando lo
vedo adesso.”
Io sorrido e assaggio il
mio sugo di pomodoro e tonno.
“Secondo me molto presto,
ha due buoni ragioni per essere spesso qui.”
Ava arrossisce fino alla
punta dei capelli e tace.
“Cosa stai cucinando?”
“Pasta al sugo e tonno.”
“Sembra buona.”
“Lo è, è il piatto
preferiti di Jack.”
I suoi occhi si
illuminano.
“Un giorno mi passerai la
ricetta.”
Io annuisco, sorridendo
divertita.
Ava è già una piccola
donna che vuole prendere il suo piccolo uomo per la gola e se ha anche
solo un
grammo della testardaggine di Tom a vent’anni quei due si
sposeranno sul serio.
Porto la pasta in tavola e
viene apprezzata da tutti, sia Ava che Tom chiedono il bis, Jonas
invece mi
sembra triste.
“Cosa c’è?”
Gli chiedo dopo aver
ficcato tutti i piatti sporchi in lavastoviglie.
“Mi manca Londra, a me
piaceva.”
Io gli scompiglio i
capelli.
“Magari ci torniamo
quest’estate in vacanza.”
Lui sorride flebilmente e
non dice nulla, però si fa abbracciare. Credo che non sia
Londra a mancargli,
ma una famiglia stabile.
Per sopperire a questa
mancanza decido che stasera ci guarderemo un film tutti insieme e per
la
precisione il suo preferito: il Re Leone.
Questo sembra rallegrarlo
e distrarlo momentaneamente dalle sue malinconie perché ride
come un matto e si
appassiona alla storia come se non la conoscesse.
Tom mi lancia un’occhiata
grata, probabilmente non ci sarebbe mai arrivato da solo, serve la mano
di una
donna per queste cose.
Finito il film, andiamo
tutti a letto stanchi e un po’ rintronati per il jet-lag, io
fatico ad
addormentarmi e anche Tom.
“L’avresti mai detto che
sarebbe finita così?”
Mi chiede.
“Sinceramente no, quando
ho accettato il patto rivolevo a tutti
i costi Mark. Il destino però ha messo te sulla mia strada e
io non ho
resistito alla tentazione.”
“Sono un uomo pericoloso.”
Ridacchia.
“Sì, sei proprio un uomo
pericoloso!”
Sbadiglio io.
Ho sonno e domani sarà una
giornata impegnativa: firmerò il divorzio da Mark e Jack
sarà affidato a lui.
Mi manca già, ma lui è
stato irremovibile, vuole vivere da suo padre per quanto bene mi voglia.
Mi addormento avvolta in
un velo di leggera tristezza, che ritrovo al mio risveglio insieme a
Tom che
dorme beato.
Scendo in cucina e mi
faccio un caffè, fa caldo e sento il canto degli uccellini.
È buffo porre fine
a un matrimonio in una giornata come questa, sarebbe meglio fare un
picnic o
una gita alla spiaggia.
Finito il caffè, mi faccio
una doccia e mi vesto, poi sveglio Tom.
Lui mi sorride e mi dà una
carezza sui capelli, apprezzo la sua delicatezza nel non dirmi nulla.
Prendo un taxi e vado al
tribunale, Mark è già arrivato e indossa una
t-shirt bianca con un polipo
azzurro, sorride quando mi vede.
“E così è arrivato il
giorno fatidico.”
“Sì, mi dispiace che sia finita
così.”
Lui sospira.
“Io ho fatto
un errore terribile e perderti fa parte
del prezzo da pagare.”
Io non dico nulla, ho un
groppo alla gola: ho paura che mio figlio smetta di volermi bene e si
dimentichi di me e che Mark mi odi.
“Non mi odi, vero?”
“No, sei stata sincera.”
“Jack mi perdonerà mai?”
“Credo di sì. Una volta
che ti vede felice per lui va bene e poi grazie
a te ha la scusa per vedere quando vuole Ava.”
Io rido, stavo per
dimenticarmi di questa cotta.
Poco dopo arriva il
giudice che si occupa del nostro caso, i nostri avvocati leggono le
proposte,
noi le accettiamo e il giudice mette a verbale.
Alla fine firmiamo un
documento e siamo ufficialmente divorziati, sulle scale del tribunale
mi
abbraccia e mi augura buona fortuna.
Io faccio lo stesso e lo
guardo andare via con una punta di tristezza. Ha le spalle incurvate
– come
quando i blink non esistevano più – la vita gli ha
fatto uno scherzo troppo
crudele e io mi sento in colpa.
Forse se fossi riuscita a
passarci sopra sarebbe stato meglio per tutti, ma io non ci sono
riuscita, ho
preferito troncare subito e correre da Tom.
Spero che il mio non si
riveli un catastrofico errore perché difficilmente me lo
perdonerei, aver
distrutto una famiglia per niente è la peggior cosa che si
possa fare.
Che brutti pensieri!
La paura mi sta giocando
dei bruttissimi scherzi, meglio che vada a casa, almeno mi
tranquillizzo.
Salgo in macchina e cerco
di sgombrare la mente cantando a squarciagola una canzone che stanno
trasmettendo: The only exception dei Paramore.
Arrivata a casa la trovo
animata, sono arrivati gli altri membri degli Ava e Tom sta componendo
qualcosa
con loro. Ava, Jonas e Jack sono in piscina e si stanno divertendo da
morire,
Ava mi invita a unirmi a loro e io accetto.
Sto salendo al piano di
sopra quando mi intercetta Tom e mi abbraccia.
“Com’è andata?”
“Triste, ma spero che la
tristezza passerà ora che i pargoli sono in piscina.
Tu?”
“Ho chiamato i ragazzi per
scaricare la tensione, spero non ti dispiaccia.”
Io sorrido.
“No, stai tranquillo.
Salutameli.”
Lui mi lascia andare e io
salgo al piano di sopra per mettermi in cucina. Quando scendo Tom alza
una mano
in segno di saluto e David – davanti a lui – si
volta e alza un timido cenno di
saluto che io ricambio.
In piscina i piccoletti
stanno giocando a palla e io vengo messa in squadra con Ava, che mi fa
l’occhiolino.
“Pronta schiacciarli,
Skye?”
“Pronta!”
Giochiamo fino a quando
Tom esce dicendoci che è quasi mezzogiorno e che ha ordinato
pizza per tutti,
membri degli AvA compresi.
Io mi siedo a bordo
piscina e sorrido, un po’ della tristezza se ne sta andando e
se ne va più
velocemente quando Jack si siede accanto a me.
“Ho scelto di stare con
papà perché è quello che ha
più bisogno di aiuto, ma ti voglio bene, mamma.”
Io gli scompiglio i
capelli trattenendo le lacrime.
“Anche io ti voglio bene,
Jack. Ti voglio un mondo di bene!”
Lui sorride felice e un
peso se ne va dal mio cuore.
A pranzo faccio la
conoscenza dei membri della band di Tom, solo Matt è un tipo
chiacchierone,
David e Ilan sono timidi, Ilan è addirittura timidissimo e
stenta a rivolgere
la parola a qualcuno.
In ogni caso mi sento
accettata, nessuno mi fa pesare la mia condizione di nuova compagna di
Tom.
Alla fine del pranzo
rimango per caso sola con David, lui mi sorride.
“Fallo felice, se lo
merita e poi lui ti ama da tanto tempo.”
Io sorrido a mia volta.
“Cercherò di fare del mio
meglio.”
E in questa semplice frase
è racchiusa la mia volontà per il futuro: essere
felice con Tom, affrontando
con lui i problemi della vita e dei pargoli diventati adolescenti.
Sono all’altezza del
compito.
Angolo di Layla
Siamo al penultimo capitolo e
ringrazio fraVIOLENCE
per la recensione.
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Capitolo 11 *** 11) Ten years (wedding in Paris) ***
11) Ten years
(wedding in Paris)
Sono
passati dieci anni da
quando sono diventata la compagna di Tom.
Alcuni anni sono stati
facili, altri un po’ meno ad esempio quelli in cui ci sono
state le udienze per
la separazione di Tom. Jen è stata un osso duro, ha tentato
in ogni modo di
dimostrare che era Tom il fedifrago e che mi frequentava prima che lei
si
mettesse con Mark arrivando a fabbricare delle prove false.
Questo non ha colpito
favorevolmente il giudice insieme ai tentativi mai riusciti di mettere
i suoi
figli contro di me.
Alla fine ha strappato una
quota di alimenti bassa e la possibilità di vedere i figli
per il week-end, per
sua somma rabbia. Non è nemmeno riuscita ad attirare
l’opinione pubblica né i
fan dei blink dalla sua parte. Questo l’ha resa ancora
più furiosa, ama fare la
vittima e non assumersi le sue responsabilità.
Con l’adolescenza solo
Jonas ha continuato a frequentarla tutti i week end, verso i sedici
anni Ava ha
detto di non volerci più andare e alla fine
l’abbiamo accontentata.
Ogni volta che tornava
dalle visite a Jen era di pessimo umore e perennemente arrabbiata con
lei, a
Jen non piaceva il suo look e la gente che frequentava Ava.
Non le piacevano i punk e
gli skater, non le piaceva l’unico dread che si era fatta la
figlia o il
piercing al labbro, non le piaceva Jack.
Sì, quei due si sono messi
insieme a sedici anni e a Tom è venuto un mezzo infarto.
Lui era dell’idea che sua
figlia non si dovesse interessare ai ragazzi fino ai
diciott’anni e quando Ava
si è presentata mano nella mano con mio figlio urlando:
“Ehi, vi presento il
mio ragazzo!” , lui è svenuto.
Ci sono voluti i tentativi
congiunti miei e di Ava per farlo tornare cosciente e quando
è tornato in sé ha
urlato un “no!” udibile a chilometri di distanza.
Ava l’ha guardato male e
hanno iniziato a litigare, è stata una litigata epica, tanto
che io e Jack
abbiamo lasciato la stanza per non venire coinvolti.
Anche dalla cucina si
sentiva comunque il rumore delle cose che volavano, hanno fracassato
tutte mie
statuine a tema marino, ma non me ne importava molto, in fondo si
potevano
rimpiazzare e anche a me stavano stufando.
Rimasta sola con mio
figlio l’ho guardato negli occhi per un po’ e poi
gli ho posto la fatidica
domanda: “Sei sicuro, Jack?”
Lui ha annuito.
“La amo, mamma.
L’ho sempre amata e mi
dispiace che a Tom non vada a genio questo fatto, però si
deve rassegnare
perché io non ho intenzione di lasciarla.”
Nei suoi occhi blu ho
letto la stessa determinazione di Mark e questo mi ha portato
istantaneamente
dalla loro parte.
Non avevano fatto nulla di
male, non c’era ragione per reagire così.
Con calma ho cercato di
far ragionare Tom dopo il litigio e ce l’ho fatta, ha
concesso una possibilità
ai ragazzi con la clausola che Ava fosse sempre a casa entro la
mezzanotte.
Sua figlia ha sbuffato, ma
alla fine ha accettato.
Questo accadeva quattro
anni fa e per quattro anni c’è stata abbastanza
calma.
Tom ha imparato piano ad apprezzare
mio figlio come ragazzo di sua figlia e a pensare che in fondo non
erano male.
Il giorno che Ava ha
annunciato che si sarebbe sposata con Jack ha di nuovo cambiato idea e
questa
volta tutte le mie statuine messicane sono andate al creatore.
Che palle! Quelle mi
piacevano.
Alla fine Tom ha dovuto
cedere e accettare di avere Jack come genero, si è solo
lamentato un po’ per la
location del matrimonio: Parigi.
Esatto, mio figlio si è
ricordato di Notre Dame e hanno prenotato il matrimonio lì.
Ha la memoria lunga mio
figlio e quello che promette mantiene, esattamente come suo padre.
“Skyyyyyeeee!”
L’urlo belluino di Ava mi
distrae dai miei pensieri.
Quella che una volta era
una bambina ora è una ragazza dai lunghi capelli tinti di
blu che indossa un abito
da sposa senza spalle.
“Cosa c’è, Ava?”
“Il corsetto! Non riesco a
chiuderlo!
Cristo, non posso essere
ingrassata, mi sono trattenuta un sacco per entrare in questa tortura a
forma
di abito!”
Io sospiro e la faccio
voltare, la cerniera del corsetto si è semplicemente
incastrata nel tessuto del
vestito e disincastrato quello sale senza intoppi.
Sento Ava sospirare di
sollievo.
“Fortuna che mi entra!”
“Sei preoccupata, tesoro?”
Lei si volta verso di me.
“Sì, domani mi sposo e se
Jack non mi volesse?”
Io faccio fatica a
trattenere le risate, Jack la ama, pende dalle sue labbra e se lei
glielo
chiedesse probabilmente si butterebbe anche nel fuoco per lei.
“Ti vuole, Ava.
Ti vuole.
Ha iniziato a volerti e a
pianificare questo matrimonio quando aveva dieci anni, stai
tranquilla.”
Lei sorride.
“Sai cosa disse a tuo
padre quando mi propose di fingere di essere la sua nuova fiamma?
Che non voleva un nuovo
padre e che soprattutto non voleva il padre di Ava perché
saresti diventata una
specie di sorella e lui voleva sposarti.”
Gli occhi della non più
piccola DeLonge si fanno lucidi e si porta una mano alla bocca.
“Oh, Jack! Lo amo, quanto
lo amo!”
Io sorrido, questo
matrimonio promette bene.
“Tesoro, domani ti devi
svegliare presto e non ti sei ancora ripresa dai festeggiamenti di ieri
sera,
che ne dici di andare a letto?”
“Sì, Skye, hai ragione.
Adesso mi tolgo questa tortura e poi vado.”
In effetti poco dopo è in
pigiama e si infila a letto, io invece esco in terrazza e mi fumo una
sigaretta.
Domani rivedrò Mark e la
sua nuova compagna, mi farà strano di sicuro. Non che lei
sia cattiva,
tutt’altro, è un’italoamericana di nome
Maria e andiamo d’accordo, solo sarà
semplicemente strano.
Lui non ha sollevato
particolari obiezioni a questo matrimonio, credo che ormai si sia
abituato al
fatto che – volente o nolente – il suo destino
sarà sempre intrecciato a quello
dei DeLonge.
Finita la sigaretta chiamo
Tom, è nella stanza accanto con Jack e mi risponde subito.
“Ciao, come va?”
“Ciao, tesoro. Tutto bene,
Jack è appena andato a letto, tuo figlio beve come una
spugna, oggi era ridotto
male.”
Io rido.
“Com’è andata con Mark
ieri sera?”
“Bene, non ci siamo
pestati.”
“Sarebbe stato ridicolo
pestarvi,dai! C’è Jen?”
“No, Ava non l’ha invitata
al matrimonio e ho detto ai bodyguard di non farla entrare caso mai si
presentasse.”
“Bene!”
Sbadiglio.
“Adesso vado a letto, ci
vediamo domani. Mi raccomando metti la sveglia, Ava potrebbe ucciderti
se
arrivi in ritardo.”
Lo sento sbuffare, odia
mettere la sveglia.
“Va bene, amore. A domani.”
“A domani.”
Mi schiocca un bacio via
telefono e io ricambio. Dopo questo piccolo rito mi metto a letto,
domani sarà
una giornata lunga.
La
sveglia suona alle
otto, Ava la spegne con un colpo di mano e una bestemmia.
Con la verve di una mummia
si fa una doccia, poi la faccio io e le chiedo se vuole fare colazione,
acconsente e la ordiniamo.
Non ci va di scendere
dabbasso e poi non abbiamo tempo. Arrivato il cibo io mangio
normalmente, lei
invece spilucca solo, ha solo stomaco chiuso per l’emozione,
quando mi sono
sposata con Mark ero nelle sue stesse condizioni.
“Beh, adesso inizio a
prepararmi.”
Con calma, leggermente
tremante, si alza dal letto e si mette il suo bel vestito: corpetto
senza
maniche e una gonna larga con del pizzo.
È bellissima e né i
capelli blu né i tatuaggi e i piercing stonano.
“Adesso mettiamo le cose
extra.”
“Sarebbe?”
“Se vuoi un matrimonio
fortunato ti servono: una cosa blu, una cosa nuova, una cosa vecchia,
una cosa
prestata e una cosa regalata.
Per la cosa blu, puoi
metterti il tuo braccialetto blu, per la cosa nuova ti metti gli
orecchini che
hai preso ieri.
Una cosa vecchia: lì c’è
l’anello di mia madre.
Per la cosa regalata ti
regalo questa collana e per la cosa prestata ti presto il mio anello
con il
diamantino.”
Ava mi guarda perplessa,
ma alla fine mette il suo braccialetto con i turchesi, gli orecchini a
cerchio
che ha preso ieri, l’anello di mamma e il mio, e poi la mia
collana di perle
nere.
Sta benissimo e mi sembra
già leggermente commossa.
Poco dopo bussano alla porta:
è Tom ancora mezzo addormentato.
“Allora come…”
Si ferma quando vede Ave,
la sua bocca passa dalla sorpresa al sorriso e i suoi occhi si fanno
lucidi.
“La mia bambina si sposa e
sta benissimo.
Amore, sei bellissima!”
“Grazie papà!”
Lei è rossissima, si
solito veste come una punk, è raro vederla
vestita elegante.
“Cosa manca?”
“Cosa manca, Tom?
La parrucchiera e la
truccatrice che spero arrivino subito!”
“Per me può sposarsi anche
così, è una meraviglia.”
Ava scuote la testa, non
si vede bellissima, quindi aspetta anche lei con trepidazione
l’arrivo delle
due donne.
La parrucchiera arriva
subito dopo Tom, le arriccia i capelli e poi li raccoglie in un
elegante
chignon da cui lascia fuoriuscire qualche ciocca davanti in modo
sapientemente
disordinato.
Ava è raggiante e fatica a
riconoscersi, pagata e ringraziata la parrucchiera arriva la
truccatrice che le
fa un trucco smockey, richiesto espressamente da lei. Non riesce
proprio ad
abbandonare il suo amato trucco nero.
Sbrigata anche questa
incombenza si mette le scarpe, uno scialle e prende il mazzo, io prendo
la
borsa in cui ha messo i cambi.
“Sentite, io prendo un
taxi e vado in chiesa, voi partite tra quindici minuti, ok?”
I due DeLonge annuiscono,
io mi infilo nel primo taxi che incontro e arrivo in chiesa trovandola
già
gremita, mi infilo nel parco dei parenti tra Mark e Anne.
Jack è sull’altare –
visibilmente in ansia – ed è bellissimo nel suo
completo scuro e nella sua
cresta, in parte a lui ci sono Landon e Josh, un altro suo amico,
dall’altra parte
ci sono Alabama e Miranda, la figlia di Anne.
“Il mio campione si
sposa!”
Esclama Mark con un velo
di commozione, io annuisco.
“È bellissimo e sembra
tanto felice.”
“Sarà più felice quando
arriverà Ava, sta impazzendo.”
Un ventina di minuti dopo la
porta della chiesa si apre, l’organo inizia a suonare la
marcia nuziale e Ava
avanza al braccio di suo padre sorridendo radiosa.
Jack si illumina e sembra
non vedere altro che lei, la ragazza che ha sempre amato.
Ava si mette al posto
stabilito e la cerimonia ha inizio, una cosa che va a ritmo lentissimo
fino al
momento fatale.
“Vuoi tu Ava Elisabeth
DeLonge prendere il qui presente Jack Hoppus come tuo legittimo sposo,
amandolo
e onorandolo nella gioia e nel dolore, nel benessere e nella
malattia?”
“Sì, lo voglio!”
Un “No” rimbomba come una
fucilata lasciando tutto straniti: Jen si è intrufolata
nella cerimonia e
avanza lungo la navata.
“Questo ragazzo non è
adatto a te, ti vieto di sposarlo!”
“Lei chi sarebbe, scusi?”
Chiede il prete.
“La madre.”
Il prete guarda Ava che è
scocciata.
“Per te ha qualche
importanza la sua opinione?”
“No, padre. Avevo dato
disposizioni perche lei non fosse presente, quindi gradirei che se ne
andasse.”
Due robusti bodyguard
prendono Jen per le spalle e la trascinano fuori.
“Sono tua madre, Ava. Avrà
pure alcun valore!”
“Dovevi pensarci prima!
Possiamo riprendere?”
Il prete annuisce, mentre
Jennifer sta ancora urlando. Mi sembrava strano che non intervenisse a
disturbare tutti.
“Vuoi tu Jack Hoppus
prendere la qui presente Ava Elisabeth DeLonge come tua legittima sposa
amandola e onorandola
nella gioia e nel dolore, nel benessere e nella malattia?”
“Sì, lo voglio.”
“In nome del signore e
dall’autorità conferitomi dallo stato americano vi
dichiaro marito e moglie.
Lo sposo può baciare la
sposa.”
Jack sorride e bacia Ava
con passione, tutti applaudiscono e la marcia trionfale inizia a
suonare,
percorrono insieme – mano nella mano – la navata.
Fuori vengono bersagliati
dal riso e poi c’è il fatidico lancio del bouquet.
Chissà a chi finirà?
Incredibilmente finisce
tra le mie mani, Ava mi fa l’occhiolino e indica con un cenno
impercettibile
suo padre, sia io che lui rimaniamo sbalorditi.
Io in particolare rimango
ferma come una statua di sale con i fiori in mano, solo il tocco
gentile di Tom
mi fa muovere.
“Che ne dici, Skye?”
“Tra due anni, organizzare
un matrimonio è molto stressante.”
“Quindi mi sposeresti?”
Io lo guardo stralunata.
“Certo che sì!”
Lui per tutta risposta mi
solleva e mi fa fare un giro completo in braccio a lui.
“Mi hai dato una notizia
bellissima, tesoro!”
Io lo abbraccio
sorridendo.
“Sono felice, ma adesso ci
aspetta il pranzo, sei pronto?”
“Oh, sì! In macchina ho
dei comodi shorts e una comoda maglietta per evitare cose che
tirino!”
“Perfetto, allora
andiamo!”
Adesso arriva la parte
migliore dei matrimoni: il pranzo
Visto
che a nessuno piace
particolarmente la cucina francese abbiamo prenotato in un ristorante
italiano
che cucina divinamente.
Almeno avremo pasta,
lasagne, cotolette e scaloppine a volontà.
Arriviamo al ristorante
chiacchierando tranquillamente, la tensione del matrimonio si
è in parte
sciolta, Ava e Jack sorridono e si tengono teneramente per mano.
“Come sono belli, eh Tom?”
Urla Mark.
“Certo che sono belli, Ava
è mia figlia ed è bella come me!”
“Pff! Sei il solito
megalomane! Sono belli perché c’è anche
Jack e lui è bello come me e io sono
più bello di te!”
“Ma non diciamo
assurdità!”
“Zitto, ciccione. Lo so
che aspetti il pranzo per poteri strafogare!”
“Come se tu non facessi lo
stesso!”
Tom tira un poco caritatevole
pugno nella pancia del suo amico, che si piega,
“Sei rimasto il solito
stronzo altezzoso, non cambierai mai!”
Mark si siede nel tavolo
riservato ai parenti vicino a Tom.
Iniziano a servire gli
antipasti – salumi, bruschette, pasta frolla ripiena di crema
di funghi – Tom,
come previsto si serve porzioni piuttosto generose.
“Mh, dove andate in
viaggio di nozze?”
Chiede Mark.
“Non ci avete detto niente
a riguardo.”
“Giamaica!”
Risponde Ava sognante.
“Bel clima, belle spiagge.
Tornerò abbronzata!”
“Fai tante belle foto!”
Mio figlio ghigna.
“Papà, sei sicuro di voler
sorbirti il lunghissimo filmino delle vacanze pieno di cose a cui
solitamente
non frega niente a nessuno?”
Mark impallidisce e mangia
l’ultima bruschetta, guadagnandosi un’occhiataccia
da parte di Tom.
“Effettivamente non è che
muoia dalla voglia.”
Jack ride.
Dopo gli antipasti
arrivano i primi, pasta al ragù, lasagne e riso ai quattro
formaggi, misti.
“Buona la roba qui!”
“Certo che è buona,
Hoppus! L’ho provata io prima di decidere di venire
qui!”
“Beh, non ti tiri mai
indietro davanti a un ristorante.”
“Zitto, che anche tu mi
sembri ingrassato!
La cucina italiana è
buona, vero Mark?”
Lui fa una faccia
stranissima, come quella di chi ha parlato troppo.
“Certo che è buona,
DeLonge!
Insinui che la mia cucina
non sia buona?”
Interviene Maria.
“Non insinuo nulla, solo
che anche Mark ha la pancia quindi posso prenderlo in giro anche io,
come lui
fa con me.”
Dice candidamente,
sfoderando il suo celebre sorriso ironico.
“Sei il solito impunito,
Tom!”
Interviene per la prima
volta Trav, alzando il naso dal suo piatto di lasagne alle verdure,
pasta
al pesto e riso ai
formaggi.
“Dote naturale!”
“Ehi, Jack! Ricordati che
tua moglie ha metà dei geni di questo individuo!”
Lo mette scherzosamente in
guardia il batterista, Jack sorride.
“Lo so e mi piace.”
“E ci mancherebbe altro e
adesso mangiate!”
Ci ordina minacciosa la
neo signora Hoppus.
Ubbidiamo tutti, Ava
sembra particolarmente decisa a troncare il discorso.
I piatti intanto si
svuotano un po’ meno rapidamente, la fame di tutti si sta
placando, Tom si
picchia soddisfatto una mano sulla pancia.
Adesso dovrebbe esserci un
po’ di tregua e poi il secondo, al tavolo l’umore
è buono e si chiacchiera
cordialmente, Tom con la sua maglia e i suoi pantaloncini sembra
capitato lì
per caso, nessuno direbbe che è il padre della sposa.
Visto che il secondo non
arriva qualcuno inizia a urlare: “Discorso” e Tom
si alza.
“Allora, qualcuno chiede
il discorso. Innanzitutto mi dispiace di non aver fatto colpo su Jack
per
distoglierlo da mia figlia, il mio fascino sta piangendo da qualche
parte!”
Io gli tiro una pedata.
“Skye, amore, perdonami!”
Ridono tutti.
“Adesso sono serio. Ho
visto questi due ragazzi crescere e sono contento di come siano
cresciuti e di
come il loro fidanzamento sia andato così bene.
Magari avrebbero potuto
aspettare un anno o due prima di sposarsi, ma si sa l’amore
fa fare queste
cose.
Spero che Jack tratti la
mia Ava con amore e rispetto, altrimenti sarei costretto a ucciderlo e
non mi
va di trascorrere la mia vecchiaia nelle patrie galere.
Skye, ti prego, non darmi
un altro calcio.
Vi faccio e miei migliori
auguri e mi raccomando non abbiate fretta per i nipotini!
C’è sempre tempo!
A Jack e Ava!”
Dopo il discorso di Tom
arrivano i secondi e tutti sono troppo impegnati a far fuori il misto
di
arrosto, scaloppine al limone e cotolette (strano, lo so) per parlare.
Adesso verrà il turno di
Mark, chissà cosa diavolo dirà, speriamo nulla di
imbarazzante, anche se
conoscendolo è una pia speranza!
In ogni caso il cibo è
delizioso, tutta la tavolata lo sta apprezzando, anche Trav. Per lui
c’è del
seitan al limone e una grigliata mista di pesce che gli piace a
giudicare dal
sorriso.
Lui è sempre rimasto
quello che parla di meno, ma che comunque si fa capire, è un
tesoro di uomo e
questa volta sembra avere trovato la donna giusta in una donna
comunissima che
lavora in banca e ha già due figli anche lei.
Finito il secondo si alza
Mark.
“Beh, non so cosa dire, se
non che la mia famiglia sembra legata a doppio filo con quella dei
DeLonge. Non
ho ancora capito se sia una maledizione o una benedizione, ma
tant’è.
Faccio i miei più sinceri
auguri a Jack e Ava e… Ragazzi, andateci piano con i nipoti,
non so così
vecchio da fare il nonno, capito?”
Ridono tutti, compresi i
due novelli sposi, in attesa del dolce io esco a fumarmi una sigaretta,
poco
dopo mi raggiunge Tom.
“Finalmente è quasi
finita.”
“Pensa a quando toccherà a
noi.”
Rido io buttando fuori il
fumo.
“Oh, sarà una semplice
cerimonia civile!”
“Ma ci sarà?”
Chiedo a lui speranzosa,
lui mi sorride e mi abbraccia.
“Certo che ci sarà, molto
presto sarai la signora DeLonge!”
Signora DeLonge ha un
suono bellissimo e pensare che tutto questo è iniziato per
scherzo. A volte il
destino adotta delle vie strane per condurti dalla persona che ti ama
veramente
e che è destinata a rimanere con te fino alla fine.
Io non posso che essere
contenta di questo perché mi ha regalato dieci anni di
felicità e probabilmente
me ne regalerà altri dieci, fino a che la morte non ci
separerà.
Che bella la vita!
Angolo di Layla
Siamo giunti all'ultimo capitolo
di questa storia.
Già, psero vi piaccia.
Ringrazio fraVIOLENCE
per le recensioni lasciate.
Ringrazio Destroyer Cactus
per averla messa tra le preferite.
Ringrazio ach119. LostinStereo3, NiyraV per
averla messa tra le seguite.
Alla prossima.
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