1)Sick little games
Nella
vita ci sono periodi
duri, anche se sei la moglie di una celebrità.
Sono
duri soprattutto se
tuo marito ha abbandonato te e vostro figlio per la moglie –
sgualdrina – del
suo migliore amico e che tu non sopporti.
Sono
momenti in cui ti
illudi che siano un sogno, uno di quelli lunghi e realistici, ma poi ti
tocca
venire a patti con la realtà.
La
mia realtà – quella di
Skye Hoppus – è la parte di letto accanto alla mia
vuota, come ogni mattina
allungo la mano e ricevo la solita doccia gelata: Mark non
c’è.
Mark
è da Jennifer.
Me
l’ha annunciato una
settimana fa con una faccia contrita che all’inizio non mi
aveva fatto pensare
minimamente al tradimento. Pensavo che avesse finito uno dei miei
smalti senza
dirmelo, che si fosse comprato l’ennesima action figure dei
Simpson con i soldi
delle bollette.
Cose
così.
Cose
di routine se vivi
con un eterno bambino come Mark Hoppus.
MI
sono sbagliata, con
quella faccia ha sganciato la bomba che ha fatto in pezzi la mia vita.
“Skye,
mi sono innamorato
di Jen. Torno a San Diego per vivere con lei, tu puoi tenerti la casa a
Londra.”
Non
sono riuscita a dire
una parola, nemmeno quando se ne è andato con le sue valigie.
Solo
dopo mi sono
svegliata dal mio torpore e ho cominciato a fare a pezzi la mia
collezione di
candele e la sua di action figure. Ho spaccato il suo mitico basso rosa
– che
aveva lasciato qui – e ho lanciato i pezzi dalla finestra.
Poi
ho cominciato a
lanciare bassi interi fino a che il campanello non ha suonato e sulla
soglia
del mio appartamento si è presentato un gentile poliziotto
di quartiere che con
garbo mi ha invitato a smetterla, visto che mettevo a rischio la
viabilità
pedonale e la vita stessa di qualche innocente.
Si
è dimostrato gentile e
comprensivo sul motivo, ma irremovibile: o avrei smesso o sarebbe stato
costretto ad arrestarmi.
Ho
scelto di smettere.
Questo
è quello che mi
rimanda il mio cervello prima che la sveglia suoni. Da quando Mark se
ne è
andato, io – dormigliona cronica – non riesco
più a dormire.
La
sveglia suona e la
porta della mia camera matrimoniale si spalanca in contemporanea:
è Jack che si
butta sul letto senza
grazia.
“Mamma,
posso stare a casa
da scuola?”
“Perché?
Non stai bene?”
“No,
sono stanco che gli
altri mi prendano in giro.”
Io
prendo il suo piccolo
volto tra le mani e mi ritrovo a fissare due occhi azzurri come quelli
di Mark.
“LO
so che fa male, ma non
devi dare loro la soddisfazione di sapere che ti fanno stare mare.
Vai
a scuola e prosegui il
tuo cammino a testa alta, sii fiero di te stesso. Tu sei superiore a
loro.”
Bel
discorso, peccato che
venga da una che si è presa un mese di ferie da Mtv solo per
non sentire i
commenti dei colleghi e le frecciatine acide delle colleghe.
I
blink non sono più sulla
cresta dell’onda come band, ma ai tabloid non è
sfuggito questo inciucio e
visto che il principe Harry sembra stranamente tranquillo si sono
buttati come
iene su questo tradimento.
Un
paio di giorni si sono
persino appostati sotto casa mia, la prima volta ho chiamato la
polizia, al
terzo giorno vedendo che non capivano la lezione in modo civile ho
cominciato a
lanciare roba dalla finestra e se ne sono andati per non tornare mai
più.
Ovviamente
sono diventata
la cornuta inconsolabile e con qualche problema di nervi, ma preferisco
questo
al vivere sotto assedio a casa mia.
Jack
– visto che non
riesce a strapparmi quello che vuole – se ne va e lo sento
prepararsi, in
cucina ha una faccia mesta: quella del martire che deve salire
nell’arena per
combattere contro i leoni.
Io
mi preparo e lo
accompagno a scuola, gli do un bacio quando scende dalla macchina e poi
parto
sgommando: di solito prendevo un caffè con le mamme dei
compagni di classe di
Jack prima di andare al lavoro, ma ora non ho voglia di continuare
questa
abitudine.
Adesso
mi avventuro nei
sobborghi pakistani e faccio colazione lì, tra lo sconcerto
dei locali che non
vedono spesso una bianca dalle loro parti.
Oggi,
mentre faccio
colazione, una donna trova finalmente il coraggio di sedersi al mio
tavolo.
“Cosa
ci fa una signora
come te, qui?”
Mi
chiede in un inglese
stentato.
“Perché
qui nessuno mi
chiede come ci si sente a vedere il proprio marito fare
il compagno premuroso della moglie del
suo migliore amico.”
La
donna sorride.
“Passerà,
tornano tutti
prima o poi.”
Io
vorrei condividere la
sua certezza, non posso perché conosco esattamente che tipo
sia Jennifer
Jenkins: una finta timida che conquista tutti con i suoi occhio da
cerbiatto di
merda e poi li mette ai suoi ordini come tanti burattini.
L’ho
vista fare per anni
questo gioco con Tom, lui l’ama veramente, lei invece vive
tranquilla nel suo
amore cercando di sedurre sempre qualcuno, certa che mai lui la
scoprirà e
lascerà.
Ho
il sospetto che con
Mark abbia fatto un passo falso, quando e se tornerà da Tom
non so se lo
troverà disposto al perdono. Tende a essere uno zerbino, ma
quando è troppo è
troppo ed è un tipo che sa essere vendicativo.
Fossi
in Jen non dormirei
sonni tranquilli, ma se fossi stata quella vacca non mi sarei presa il
migliore
amico di mio marito, solo per un capriccio.
Mark, da buon romantico, crede che sia amore da parte di lei, invece
è solo un
piccolo capriccio che si è presa e uno sgambetto che ha
voluto fare a me visto
che non mi sopporta.
Io
ai suoi occhioni non ho
mai creduto, forse è per questo che non andiamo
d’accordo.
Non
ho mai sopportato le
persone false e maledicendola esco dal bar salutando il proprietario
del bar e
la donna che mi ha parlato.
Entro
in macchina e mi
immetto nel traffico massiccio verso la city sentendo un cd misto che
ho fatto
un po’ di tempo fa e quando arriva “Happy holiday
you bastard” canto con un
particolare energia – al limite della crisi di nervi
– il ritornello.
“And I hate, hate, hate your guts,
I hate, hate, hate your guts,
And I'll never talk to you again,
unless your dad will suck me off
I'll never talk to you again
unless your mom will touch my cock
I'll never talk to you again”
Sì,
odio da morire la
faccia tosta di quella stronza e anche se riavrò Mark mi
ingegnerò a renderle
la vita un inferno e sicuramente non le parlerò mai
più.
“Muori,
puttana!”
Urlo
a un semaforo poco
lontano da casa mia, abbassando il finestrino.
Arrivata
sotto il mio
appartamento parcheggio e dopo aver tirato fuori la borsa e il pane
apro il
portone e salgo a piedi le scale.
Ho
una vaga sensazione di
catastrofe imminente, come se qualcosa di strano o spiacevole dovesse
succedere
di lì a poco, ma non gli do troppo peso. Ultimamente ho
quasi sempre questa
sensazione.
Tiro
fuori le chiavi per
aprire la porta e la trovo già aperta.
Il
mio cuore salta un
battito, e se…?
Mi
lancio dentro il mio
appartamento aspettandomi di trovare un Mark contrito, che si scusa e
mi giura
amore eterno, Lo lascerei sulla corda per un po’ e lo
perdonerei, eccome se lo
perdonerei!
La
figura che siede sul
mio divano però non è Mark, è almeno
dieci centimetri più alta di lui e
imprigionata in jeans scuri e stretti e in un giubbotto di pelle: Tom
DeLonge.
Il
sacchetto del pane mi
cade di mano insieme alle chiave, che producono un rumore metallico
alla caduta
che suona come lo scoppio di una granata dentro la mia testa.
Cosa
ci fa qui?
È
l’ultima persona che mi
aspettavo di vedere, non mi sarei sorpresa così tanto se
avessi trovato Gandalf
nel mio salotto a chiedermi se volevo diventare parte della compagnia
dell’anello.
“T-Tom?”
“MI
chiamo così, ciao
Skye.”
“Cosa
ci fai qui?”
Ansimo
io, sconvolta,
andandomi a sedere su una poltrona del salotto.
Inizio
a odiare questo
salotto con i divani bianchi, il pavimento bianco e tutto questo
metallo, la
luce fredda della mattinata londinese lo fa sembrare più
parte di un ospedale
che di una casa.
“Credo
che io e te abbiamo
un problema in comune che vada risolto, non credi?”
“Tom,
per carità di Dio,
vammi a prendere un whisky!”
Lui
si alza dal divano,
apre qualche anta a caso finche non vede il mobile bar con i liquori e
mi porta
del whisky e un bicchiere.
Io
tracanno una lunga
sorsata direttamente dalla bottiglia, come le alcolizzate.
“Ok,
ora puoi parlare!”
“Dio
mio, Skye! Una
sorsata del genere a nemmeno metà mattina, devi essere messa
male!”
“Parla
quello con gli occhi
rossi come ai vecchi tempi, quante canne ti sei fatto Tom prima di
partire per
Londra?”
Lui
abbassa gli occhi.
“Le
cose vanno di merda a
tutti, vedo, ma ho una soluzione.”
Io
alzo un sopracciglio e
bevo un bicchierino di whisky.
“Prego?”
“Una
soluzione. Non fare
la stronza gelida che con me non attacca!
Ho
intenzione di
restituire loro pan per focaccia per ricondurli alla ragione o meglio
ricondurre Mark alla ragione, questa volta io da Jen ci divorzio
venisse pure
Cristo a dirmi di non farlo.”
“Qual
è, Tom?”
“Io
e te fingeremo di
stare insieme, ci faremo paparazzare da qualche fotografo e porteremo
avanti
questa commedia fino a che qualcuno dei due si farà
vivo.”
Io
lo guardo sconvolta.
“Tom
ti ricordo che tu hai
due figli e io uno. Come gliela spieghiamo questa trovata da
liceali?”
“Dicendo
loro la verità.”
“Sei
matto, DeLonge.
Troppi alieni o troppe canne ti hanno bruciato il cervello!”
Lui
ride e comincia a
passeggiare nervoso nel mio salotto.
“Hai
un’idea migliore,
Skye?
Sei
riuscita almeno a
parlare a Mark da quando lui è a San Diego?”
“No,
Jen non gli passa le
telefonate o le interrompe quando becco lui.”
“Ecco,
non riuscirai mai a
parlare a tuo marito e a farlo ragionare, serve una terapia
d’urto.
Jen
è orgogliosa, serve
qualcosa che la colpisca nell’orgoglio, la faccia agire e
allentare la presa su
Mark.”
“Parli
come un fine
stratega, Tom. Una volta eri la testa calda del gruppo.”
“Qualche
anno di
matrimonio con Jen mi ha cambiato, conosco quella donna e so batterla,
questa
volta ho intenzione di ripagarle con gli interessi tutte le corna che
mi ha
messo e di cui crede che io non sappia nulla.
Io
so, Skye e lei non sai
che so.
Ora
mi diverto io.
Ci
stai?”
Io
mi rigirò il bicchiere
tra le mani e osservo il movimento del liquido ambrato e soppeso i pro
i contro
di questa idea folle. Jack non la prenderà bene –
garantito al limone – odia
essere al centro dell’attenzione dei suoi compagni ed essere
oggetto di
chiacchiere.
Protesterà
di sicuro, però
se davvero Jen allentasse la presa su Mark io potrei parlarci e
ricondurlo alla
ragione o sedurlo se mi concederà un appuntamento.
Diamine,
le prime volte
che ci vedevamo mi trattava come una dea, era totalmente incredulo per
il fatto
che una ragazza bella e spiritosa si interessasse a un buffone come lui.
Dove
è finito quel
ragazzo?
Quello
che mi copriva di
attenzioni, come un gentiluomo di altri tempi, e mi trattava davvero da
principessa?
Deve
esserci ancora da
qualche parte e io devo entrare in contatto con lui. Urgentemente.
Che
altro posso fare per
togliere di mezzo Jen, considerato che omicidio e rapimento sono
illegali?
L’idea
di Tom – per quanto
stupida e infantile mi sembri – è
l’unica che mi rimane.
“Ok,
Tom.
Dove
sono i tuoi figli?”
“Dormono
nella camera
degli ospiti, erano abbastanza stanchi.”
“Sanno
qualcosa del tuo
piano?”
“Ava,
è troppo
intelligente quella ragazza. Ha detto che è un buon piano,
ma che rischia di
ritorcersi contro di me.”
“Sono
incredula, Tom! Hai
cresciuto una piccola Machiavelli.”
Lui
ride.
“Sono
un buon padre. Posso
essere un pessimo compagno di band, pessimo marito, pessimo amico, ma
ci tengo
a essere un buon padre.”
Io
sorrido.
“Sei
un bravo ragazzo. Tu
dove dormirai?”
Lui
mi guarda con il suo
famoso ghigno.
“In
camera tua, nel tuo
letto, honey!”
“Sta
bene, ma se allunghi
le zampine te le cionco, DeLonge, anche se è con quelle che
lavori.”
Lui
ride e si stende sul
divano, ha un’aria stanca.
“Hey,
è vero che hai
distrutto i bassi di Mark? Anche il mitico basso rosa?”
Io
annuisco.
“Verissimo,
li ho lanciati
dalla finestra fino a che il ghisa di quartiere mi ha detto di
smetterla se non
volevo essere arrestata per disturbo alla quiete pubblica e probabile
omicidio
preterintenzionale.”
“Hai
un’anima punk,
ragazza.
Io
ho dato fuoco al mio
letto e alle cose della troia.”
“Hai
fatto bene, avresti
potuto prenderti l’aids toccandoli.”
Lui
annuisce e si tira a
sedere. Io lo guardo curiosa, da una tasca del giubbotto tira fuori un
pacchetto di Marlboro e un pezzo di fumo. Apre meticolosamente la
sigaretta, fa
scaldare un po’ il fumo e poi mischia erba e tabacco in una
cartina.
Chiude
tutto mettendoci il
filtro: la sua canna è pronta.
La
accende e fa un lungo
tiro, è completamente rilassato. Un uomo di trentasei seduto
a gambe larghe e
con la testa appoggiata al divano fa molto di adolescenza ritardata.
“Vuoi
un tiro?
A
me fa dormire e tu hai
due occhiate che arrivano fino a terra.”
Io
la accetto e aspiro: il
sapore è gradevole, ma leggermente acre, quasi migliore
delle sigarette che
ogni tanto rubo a Mark.
“Uhmm.”
“Buona,
eh? Mi sembra di
tornare a quando i blink erano l’unica cos che contasse nella
mia vita.”
“A
me sembra di tornare al
college, avevo una compagna di stanza vegetariana e con i dread, la
tipica alternativa
si stocazzo e ce ne fumavamo un po’ allora.”
Gli
ripasso la canna.
Tiro
dopo tiro la canna
finisce, Tom butta via i resti mentre le mie palpebre si fanno pesanti
e gli
occhi si chiudono da soli.
Dopo
giorni di insonnia
finalmente dormo.
Vengo
svegliata dal rumore
di urla acute e prolungate.
Chi
diavolo stanno
uccidendo?
Mi
alzo molto rintronata e
mi accorgo che è Jack a urlare e sta insultando Tom in ogni
possibile modo.
“Ehi
ehi, che succede?”
“Che
succede lo chiedo io
a te!”
Mi
fa con una cattiveria
insolita per il bambino calmo ed educato che è.
Questo
agisce come una
frustata e mi sveglia del tutto.
“Jack,
mi spieghi cosa
c’è?”
“No,
tu mi devi spiegare
cosa c’è.
Cosa
ci fa lui qui? E cosa
significa il fatto che vuole fingere di stare con te?
Io
non ho bisogno di un
nuovo papà, mi basta il mio e poi io devo sposare Ava e se
lui diventa il mio
papà non posso sposarla.
Non
lo voglio!”
Detto
questo si rifugia in
camera sbattendo la porta.
“Che
significa che deve
sposare mia figlia?”
Mi
chiede interdetto Tom.
“Non
ne ho idea, adesso vado
a parlargli.”
Lascio
Tom in salotto a
chiedersi per quale oscuro motivo il mio unico figlio voglia diventare
suo
genero per vedermela con Jack.
Lui
sta piangendo sul
letto abbracciato al cuscino, una scena che mi stringe il cuore.
Mi
siedo accanto a lui che
si allontana, come se non gradisse il contatto con me.
“Jack…”
“Non
lo voglio un nuovo
papà.”
“Tom
non lo sarà, farà
solo finta, così il tuo papà torna da noi.
Non
rivuoi il papà?”
Lui
si asciuga le lacrime
con una manica.
“Certo
che lo rivoglio!
Ma
se lui non torna? E se
tu ti innamori di quello?”
IO
gli scompiglio la
zazzera, pensando che i bambini hanno tanta fantasia.
“Non
succederà.
Cosa
significa che vuoi
sposare Ava?”
Mi
guarda come se fossi
diventata scema all’improvviso e lui non se
l’aspettasse.
“Ma
l’hai vista???”
Ho
perfettamente presente
l’immagine di una bambina dai lunghi capelli castani che
somiglia in modo
incredibile a Tom, occhioni nocciola compresi.
“Sì.”
“Non
vedi quanto è bella e
forte?
Fa
skate, suona la
chitarra come me e non è piagnona come tutte le femmine, le piace anche il punk.
IO
me la sposo e non sarà
certo Tom ad impedirmelo! Quando sarò grande la
porterò in quella chiesa
gigantesca che c’è a Parigi, quella con i vetri
colorati e me la sposo!”
La
faccia di Jack è uguale
a quella di Mark quando si mette in testa qualcosa, non avrà
pace fino a che
non avrà attuato il suo piano o la cosa avrà
perso importanza per lui, meglio
non contraddirlo.
“Certo
che la sposerai, se
lei vuole e Tom non te lo impedirà.
Ce
la fai a reggere per un
po’ questa sceneggiata per riavere papà?
Anche
Ava è qui.”
Al
suo nome si illumina,
poi la sua faccina si fa pensosa e mi guarda serio.
“Va
bene, ma non voglio
vedervi baciare in casa.”
“Amore,
è solo una finta.
Se Tom provasse a baciarmi gli darei un manrovescio di quelli che
sai.”
Lui
si porta una mano alla
guancia con una smorfia sofferente stampata in faccia.
“Ahia.”
“Adesso
ti va di venire di
là a mangiare?”
Lui
si alza poco convinto.
“Sì,
ho una fame bestiale.”
Pericolo
rientrato, per
ora.
Jack
mangia tranquillo
insieme ad Ava e a Jonas, limitandosi a lanciare solo qualche occhiata
scettica
a Tom.
Finito
il pranzo va a
giocare con gli altri e io Tom rimaniamo da soli.
“Beh?
Cosa è preso a tuo
figlio?”
“Una
cotta per Ava.”
“Ava
non si deve
interessare ai ragazzi ancora per tanto tempo!”
Ringhia
lui, stringendo le
mani a pugno.
“Sembri
un padrino
siciliano, Tom!”
“Tuo
figlio le deve stare
alla larga, hai capito?”
Io
mi porto a pochi
centimetri da lui e gli punto minacciosamente un indice
all’altezza del naso.
“Non
ti azzardare a dire
qualcosa contro mio figlio, Thomas Matthew DeLonge
Junior o te ne torni a San Diego a calci e
fanculo l’accordo!”
Lui
mi guarda incredulo
per qualche secondo, poi capisce che faccio sul serio e deglutisce: non
si
aspettava una persona in grado di tenergli testa, probabilmente.
“E
tu sembri una madre
italiana!”
“Tu
non devo toccare mio
figlio, hai capito?”
Replico
ignorando le sue
parole, forse entrambi abbiamo dei discendenti italiani che ignoriamo.
“Ok,
Skye, scusa. Ho
esagerato.”
“Scuse
accettate, ma
ricordati quello che ti ho detto.”
“Va
bene.”
Il
resto del pomeriggio
trascorre tranquillamente, Tom suona per un po’, io sbrigo
del lavoro al
computer e alle tre urlo a Jack di fare i compiti.
Lui
si presenta con i
quaderni, i libri e l’astuccio e comincia a lavorare in
silenzio, non prima di
aver scrutato Tom che smette di suonare e si sdraia sul divano.
Il
picchiettare delle mie
dita sui tasti per scrivere risuona come una scarica di mitra continua
nel
silenzio pesante della stanza.
A
un certo punto Jack scaraventa
via un quaderno nervosamente e poi
si alza per raccoglierlo di nuovo, lo sistema alla bell’e
meglio e torna a
sedersi.
“Che
succede?”
Gli
chiedo preoccupata.
Lui
scuote la testa
imbronciato.
“Problemi
con matematica.”
Io
taccio, con la
matematica sono sempre stata una schiappa, era Mark – fitta
al cuore – a dargli
una mano, ma ora lui non c’è.
Lui
è a rotolare nel letto
di Jen, dimentico che ha a casa una moglie e un figlio che ha bisogno
di lui
per giocare e per risolvere i problemi di matematica.
Con
la voce più calma che
riesco a trovare gli propongo di chiedere aiuto a Tom, lui mi guarda
freddo –
tale e quale a suo padre quando è arrabbiato – e
scuote la testa.
Si
rimette a fare i
compiti e non cede nemmeno quando è ora di cena. Provo a
chiamarlo, ma lui dice
che non ha fame e che prima deve finire quei dannati compiti di
matematica.
Alle
dieci vado in camera
sua a vedere come sta e lo trovo addormentato alla scrivania, i compiti
non
ancora finiti. Sorrido, è testardo come suo padre, e con delicatezza lo
spoglio, gli metto il suo
pigiamino blu e lo metto a letto, poi prendo in mano il quaderno e
torno in
salotto.
Tom
sta guardando la tv
con i piedi appoggiati sul tavolo.
“La
tv inglese fa schifo.”
“Sì,
hai ragione. Tom,
posso chiederti un favore?
Potresti
dare un’occhiata
ai compiti di matematica di Jack?
Nonostante
la sua
testardaggine non li ha finiti.”
Lui
mi riserva il suo
sorriso storto, ma non prende in mano il quaderno.
“Mi
pare che lui non
voglia il mio aiuto.”
Io
lo fulmino.
“Tom,
la testardaggine di
un bambino che si ritrova a casa uno sconosciuto e non vuole che
sostituisca il
padre è comprensibile, la testardaggine di un adulto che fa
l’offeso con un decenne
per niente.”
Lui
sbuffa e prende il
mano il quaderno, dopo un’ora di riflessioni li ha finiti.
“Non
sono sicuro che siano
giusti, ma almeno sono fatti.
Ora
so perché il
matrimonio tra te e Mark è così ben
riuscito.”
Faccio
una strana smorfia.
“Era
così ben riuscito, mi
dimentico sempre di lei. Tu hai un pugno di velluto ed è
perfetto per un eterno
bambino come Mark.”
“Già.”
Rimaniamo
un attimo in
silenzio.
“E
così chiedi davvero il
divorzio da Jen.”
“sì.”
“Non
l’avrei mai detto.”
Lui
sbuffa.
“Non
doveva toccare il mio
migliore amico, mio fratello. D’accordo abbiamo litigato, ma
lui rimarrà sempre
questo per me e lei non doveva intromettersi, ho persino smesso di
parlare con
Anne per lei, questo è troppo.
Adesso
le restituisco
tutto con gli interessi, per prima cosa si scorda i bambini, seconda
cosa i
soldi.”
“Fai
bene, quella non
merita pietà.”
Mi
alzo dal divano.
“Dove
vai?”
“A
letto.”
“Vengo
anche io.”
Lo
squadro con
un’occhiataccia.
“Tieni
a posto le mani o
te le taglio, DeLonge, anche se con quelle ci vivi.”
Lui
alza le mani in segno
di resa e mi segue nella mia camera da letto come un’ombra e
a me fa strano che
l’uomo dietro di me non sia Mark.
Ormai
però ho accettato e
devo portare le cose fino in fondo.
Che
il piano abbia inizio!