Lifetime: Wry Destinies

di A q u i l e g i a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destino beffardo ***
Capitolo 2: *** La terza fermata ***



Capitolo 1
*** Destino beffardo ***


Destino beffardo

Era sera. Il traffico scorreva lento lungo Takumi Road, una larga via del centro di Fiordoropoli. Ogni giorno era percorsa da migliaia di persone dirette verso Shihon Square, la piazza più importante della città.

 Ayden sedeva sulla poltrona, affacciato alla finestra. Il suo sguardo era perso nel vuoto, come se non stesse realmente guardando ciò che aveva davanti ai suoi occhi.

C'è qualcosa che ti turba?”, chiese una giovane donna osservando il ragazzo.

No, tranquilla mamma…”, rispose lui assente, senza distogliere lo sguardo dalla gente in strada.

Lo sai che ti conosco”, tentò di ribattere la donna, con le braccia conserte e con uno sguardo che aveva l’intenzione di essere persuasivo.

Davvero, sono a posto”, sbottò Ayden alzandosi e stiracchiandosi pigramente . “Vado a letto!”, aggiunse.

Il ragazzo, con un malizioso sorriso sulle labbra, si avvicinò alla porta e diede un'ultima occhiata alla madre, che ricambiò lo sguardo cercando di esprimere la propria preoccupazione. Ayden entrò in bagno e si lavò a fondo i denti.

Domani è il primo giorno, devo essere preparato!”, pensò il ragazzo guardandosi allo specchio. Nonostante cercasse di mantenere la calma, il riflesso dei suoi occhi tradiva comunque una certa emozione.

Via Skate, è ora di dormire”, disse allo Skitty di casa, comodamente accovacciato sul cuscino del suo letto. Il piccolo felino si alzò pigramente, ma venne preso in braccio da Ayden.

Tu ora vai in camera di mamma e papà”, lo rimbeccò divertito, mentre, con molta dolcezza, lo poneva su un cuscino del grande letto matrimoniale.

Ayden si coricò a letto, ancora pensieroso. Rifletteva sul domani, sull’arrivo di un nuovo giorno: normalmente non era mai stato un tipo particolarmente insicuro, ma un nuovo anno era sempre l’occasione perfetta per riscattarsi da quello precedente. Ayden, infatti, non era mai stato una cima a scuola e non era di certo popolare fra i ragazzi. Per questo motivo cambiare scuola era la cosa migliore che gli potesse succedere.

*

 “Ayden, svegliati. Farai tardi”, disse sbrigativo Kay, suo padre.

Quell’uomo era solito svegliarsi all’alba per andare al lavoro, e il semplice fatto che lo avesse svegliato era un evento che aveva dell’eccezionale. Ayden si preparò in poco tempo, lavandosi velocemente i denti e vestendosi in fretta e furia: era emozionato.

Perché non posso ancora andare a scuola?”, chiese sconfortata la piccola Akiko, sorella minore di Ayden.

A cinque anni i bambini non vanno a scuola, lo sai”, rispose amorevolmente sua madre versando nella ciotola della figlia i cereali e il latte.

Ayden entrò in cucina, dando da mangiare ad Herdier.

Oh, grazie figliolo, penso avesse fame.”, rispose il padre del ragazzo gettando un’occhiata all’orologio. “Scusate, adesso scappo”, disse l’uomo dirigendosi in fretta verso la porta e guardando per un istante suo figlio, prima di scendere giù per le scale del condominio.

Ricordati: cartella, pranzo e testa”, disse sorridendo Candice, madre di Ayden, mentre assumeva una finta aria pensierosa. “Accidenti, quest’ultima ti manca!”, lo prese amorevolmente in giro la donna.

Spiritosa! Ti voglio bene, a dopo!”, rispose un po’ seccato il ragazzo, che, sbadatamente, si dimenticò, per l'appunto, il pranzo. Sua madre aveva proprio ragione, un giorno sarebbe finito col dimenticare la testa sul cuscino.

*

Ayden non amava percorrere la città. Così caotica, confusionaria, priva di logica. La nuova scuola non era poi più lontana del precedente istituto, ma le vie da percorrere erano più isolate e nessun autobus vi faceva direttamente sosta. In ogni caso Ayden preferiva la campagna, le zone prive di traffico. Era Azalina il suo posto, quello privo di rumori, dove era nata la sua mamma, dove regnava il silenzio. D’estate, ormai sempre più di rado, andava a trovare i nonni in una casa molto ampia nella periferia della città, prima del bosco. Ciononostante non gli dispiaceva del tutto nemmeno Fiordoropoli: infatti, ogni mattina, da quando ne aveva memoria, allungava la strada percorrendo Gendai Street, famosa per gli artisti di strada e le bancarelle piene di oggetti d’arte. Fin da piccolo quella strada era stata il suo chiodo fisso e l’aveva sempre amata. Navigando fra i pensieri riuscì a scorgere con lo sguardo la scuola. Questa era un modesto edificio nei pressi dell'incrocio di due delle vie principali della città. Non era di certo l’istituto più prestigioso del posto, ma era rinomato per essere l’unico angolo verde del centro. Se si escludeva il Parco Nazionale, infatti, Fiordoropoli non era mai stata una città verde, in quanto persino il verde privato era limitato alla sola periferia. Il ragazzo varcò l’ingresso della scuola, incontrando una marea di ragazzini che allegramente si rincontravano dopo una lunga estate. Ayden, al contrario, non conosceva nessuno, ritrovandosi immerso in un mare di anonimi. Timidamente entrò nel grande atrio, sommerso da una miriade di studenti. Dalla folla, all’improvviso, spuntò una ragazzina che lo fissava con un gran sorriso sul volto:

Ciao, sono Kim, so cosa si prova ad essere nuovi!”, gli disse avvicinandosi.

Sai, non mi piace essere fissato in questo modo”, commentò il ragazzo, leggermente infastidito.

Devi perdonarmi, ma mi hanno detto che sarebbe arrivato uno studente nuovo. Sei tu, non è vero?”, esclamò la giovane con un tono che aveva poco di interrogativo.

Perspicace!”, esclamò. “Comunque, sono Ayden”.

Piacere di conoscerti, Ayden!”, rispose regalandogli un altro sorriso e stringendo con vigore la mano del nuovo arrivato.

 

I due giovani raggiunsero la classe in poco tempo, ritrovandosi di fronte ad una grande aula popolata da altri ragazzini della loro età che ciarlavano del più e del meno.

Qual è il tuo Pokémon?”, chiese Ayden a Kim.

Non ho ancora un Pokémon.”, rispose sconfortata la ragazzina. “Non saprei come gestirlo e, dunque, non me lo sono ancora meritato, almeno secondo i miei genitori”.

Suvvia, sono sicuro che sapresti come trattarlo!”, obiettò Ayden.

Sì, forse; ma non posso farci niente”, ribatté la ragazza, leggermente avvilita.

 


 

Nel frattempo un uomo entrò distintamente nella classe affollata.

Buongiorno a tutti. Io sono il Professor Lewis e sono il vostro insegnante di matematica”, si presentò.

Ma professore, noi sappiamo chi è lei!”, ribatté una voce anonima proveniente dal fondo dell’aula.

Sì, certo! Spero ve lo ricordiate; ma noto che abbiamo una faccia nuova, qui”. L’uomo, alto e ben pasciuto, con abiti non troppo formali, si rivolse ad Ayden facendogli segno di venire da lui.

Allora, ragazzo. Presentati, su!”.

A-Allora", balbettò Ayden emozionato ,“io sono Ayden Emi, ho tredici anni e l’anno scorso ero alla Golden Hane Academy”.

Dalla Golden Hane, dunque. Capisco. Allora sarai abbastanza ben preparato, ottimo! Puoi andare a sederti”, rispose distrattamente il professore leggendo una circolare sul registro di classe. Ayden si sedette nel primo posto vuoto che trovò, accanto ad un ragazzo in prima fila. Vide Kim pochi banchi più in là, alla sua sinistra e la salutò con un debole cenno.

Allora,vorrei informarvi che i Tornei Provinciali di Lotte Pokémon cominceranno la prossima settimana nella palestra grande. Il vincitore potrà partecipare alle Gare Regionali, poi Nazionali, Internazionali e via dicendo”, disse il professore rivolgendosi ad alta voce alla classe.“L’incontro di ammissione sarà fra tre settimane, e sarà concesso l’uso di un solo Pokémon”.

Ayden vide lo sguardo abbattuto di Kim. Si vedeva quanto le pesasse il fatto di non essere un’allenatrice.

Il foglio delle iscrizioni si trova qui. Chiunque sia interessato, può partecipare”, continuò il professore mostrando un foglio bianco, che appese con una puntina alla bacheca di classe.

Forse potrei partecipare”, pensò Ayden guardando la Poké Ball che stringeva tra le mani. Era sempre stato un ragazzo che aveva cieca fiducia nei suoi Pokémon, cosa che lo spinse a pensare di avere anche qualche possibilità di vincere. Si alzò di scatto e felicemente scrisse il suo nome sul foglio, incuriosendo alcuni suoi compagni.

Bene, ragazzi”, proseguì il professor Lewis, "ora siete liberi mentre compilo questi moduli in segreteria. Mi raccomando: niente...”, iniziò, venendo tuttavia interrotto da un coretto. “Niente urla, spintoni, grida, urla, effusioni, baci”, terminò la classe prendendo un po’ in giro il professore, che, con un sorriso soddisfatto, uscì dall’aula.

Con che Pokémon parteciperai?”, si sentì domandare Ayden da un ragazzo. “Sai, vorrei avere un degno rivale da affrontare e spero che tu non sia un brocco. Ah, a proposito, sono Den”.

Il ragazzo era abbastanza alto, con occhi rossi e capelli neri, con qualche rigatura di colore castano scuro.

Avrai modo di constatarlo tu stesso” , rispose Ayden, mantenendo volutamente un’aria misteriosa.

La campanella suonò alle tre del pomeriggio. Era stata una giornata leggera, di pura socializzazione, nulla di più. Ayden uscì fiero da scuola: sentiva che quell’anno sarebbe stato felice.

Ayden! Aspettami!”, urlò una voce da dietro di lui.

Oh, Kim, anche tu fai la mia strada?”, chiese Ayden alla ragazza, stanca per la corsa.

Scusami, ma odio tornare a casa da sola”, rispose lei con un sorriso molto dolce mentre cercava di riprendere fiato.

Aveva i capelli biondi un po’ arruffati e il sole le illuminava il volto a metà, esaltando i suoi bellissimi occhi blu mare.

Dove abiti?”, chiese Ayden, sapendo di avere una certa confidenza con Kim.

C-Chie Street”, rispose distrattamente la giovane, che faceva segno di svoltare all’angolo.

Davvero? Un gran bel quartiere! E io che mi accontento di un’amara Takumi Road! Sai, ci andavo da piccolo per il cinema... So che ci sono case davvero stupende, sei davvero fortunata! Ti invidio!”, rispose allegramente Ayden.

No, beh. Chie Street è davvero un gran bel posto, ma non è il caso di invidiarmi, fidati!”, proseguì la ragazza, nascondendo una piccola smorfia di tristezza.

Niente? Vorrai scherzare! Io abito sopra un centro estetico che si chiama "Strappa e non piangere” e lascio a te immaginare a cosa si riferisca!”.

Kim sorrise, ma distolse subito lo sguardo.“Ora devo svoltare! Sai, è stato davvero un piacere conoscerti, a domani!”.

Ah, d’accordo, a domani!”.

I due ragazzi si salutarono con un grande sorriso, ognuno prendendo la propria strada.

 “Caspita, ma perché devo continuare a mentire così?”, pensò amareggiata Kim mentre superava Chie Street.



 

 

Nido delle aquile

Sì, rieccomi! Avevo, già da tempo, fatto un pensierino su un'eventuale ripubblicazione di una mia vecchia long. La scrissi anni or sono, e la ripubblicai, convinta che fosse perfetta. No, faceva schifo, ma me ne sono accorta di recente. 
Spero che, almeno per una volta, riuscirò a completarla! La trama non sarà originale, e alla gente non piace leggere storie riguardanti OC (Original Character), ma io ci provo. Abbiate fiducia!

Perdonate le strane virgolette, ma per qualche arcano motivo non sono com'erano su OpenOffice. Bah.

Vedrò di aggiornare di domenica. {Ci provo}

Ci tengo, inoltre, a ringraziare Class Of 13 per il betaggio!
 

-Saku-

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Capitolo 2
*** La terza fermata ***


La terza fermata

 

 

«Ho detto di no!», disse amara una donna alta, bionda, con un grembiule legato alla vita. Dirglielo le costava più di quanto sua figlia potesse immaginare, ma non poteva fare altrimenti.

«Ma mamma! Ti prego, sarà solo per l’ammissione alle gare!», ribatté Kim, implorando la donna mentre questa tritava le cipolle.

«Kim, non pensare che sia io a non volerti prendere un Pokémon », rispose la madre, molto amareggiata. «Il problema sono e saranno sempre i soldi...».

«Ma l’iscrizione è gratuita!», tentò di ribattere la ragazza, impuntandosi.

«Ma da dove hai intenzione di prendere il tuo compagno? Dalla spazzatura?», rispose un po’ seccata.

«Però tu hai avuto il tuo primo Pokémon alla mia età!», obiettò seria la ragazza. «E Janice? Lei ha un Vulpix. E non lo ha preso per strada, glielo avete comprato voi!».

«Kim...», mormorò pentita Kenna mentre la figlia le voltava le spalle, rinchiudendosi in camera sua.

 

Erano passate due settimane dall’inizio della scuola e le iscrizioni al torneo stavano per concludersi. Kim, volendo partecipare, aveva continuato a fare pressioni su sua madre per tutto il tempo.

 

Kim si guardò intorno. La sua stanza era vuota; mancava qualcosa, o meglio, qualcuno.

La famiglia di Kim, gli Yasaga, non aveva mai avuto molti soldi. Tutti insieme vivevano in una casa nella periferia di Fiordoropoli, su Koryo Road. La zona, molto povera, era una degli aspetti più tristi della grande metropoli. Questa contava quasi cinque milioni di abitanti, pertanto era molto popolare e visitata. Vantava un storia secolare e numerose attrattive che incuriosivano turisti provenienti da ogni zona del mondo. Nessuno, però, visitava Koryo Road, né le altre zone come quella. Kim aveva sempre dovuto fingere, sin da quando si era trasferita. Sempre. Ormai era Chie Street il posto in cui tutti credevano vivesse. Nella sua vita non aveva mai potuto avere un’amicizia così forte da poter rompere quel muro di menzogne e aprire il suo cuore.

 La giovane, seduta sul letto, giocherellava con la sua collana. Le ricordava momenti felici. L’abbraccio di sua madre, le estati al mare e in montagna, sua nonna. Ma ormai quell’armonia era andata a farsi benedire.

«Mi manca Zafferanopoli», pensò cupa la ragazza. «Come vorrei tornare dov’eravamo», continuò a pensare, con gli occhi lucidi. «Mi manca la felicità», sussurrò a se stessa nel buio della stanza dalle persiane semichiuse.

 

Kim sentì improvvisamente aprire la porta. Si asciugò le lacrime e vide un Cleffa, quello di sua madre. Non sopportava vederla piangere. I Cleffa, si sa, hanno un animo dolce e gentile, e Py non era da meno.

 «Vieni, Py…», sollecitò Kim a bassa voce, col tono smorzato dalle lacrime.

Il piccoletto non se lo fece ripetere due volte e, come se volteggiasse nell’aria, si avvicinò alla ragazza saltandole in testa. Kim sorrise e cominciò a coccolare il Pokémon Stella come se non avesse altro amico al mondo.

 Malediceva il giorno in cui si era trasferita a Fiordoropoli, ma se non altro aveva trovato Py. Aveva sempre saputo che non le apparteneva e che il piccoletto amava con tutto il suo cuore Kenna, sua mamma, ma in fondo lo considerava suo.

 «Kim, la cena è pronta!», urlò la madre dalla cucina.

Kim prese in braccio Py e scese dal letto ancora un po’ giù di morale ma, appena chiuse la porta dietro di sé ed entrò in cucina, notò un uomo. Questo si girò di scatto. Aveva gli occhi di uno splendido color nocciola e il suo sguardo era uguale a quello di nessun altro. Kim non riuscì a mascherare la sua immensa felicità e con una gioia incontenibile mise giù Py, correndo ad abbracciare suo padre. L’uomo ricambiò, stringendola come mai prima di allora. La ragazza si lasciò scappare una lacrima dalla commozione.

«Papà...», disse lei con una felicità incontenibile. «Mi sei mancato da morire!».

 

Erano più di quattro anni che Kim non vedeva suo padre. Harris, così si chiamava, era stato impegnato al fronte per un periodo molto lungo e nella sua vita aveva visto le sue figlie esclusivamente nella prima infanzia.

 «Hai finito di combattere, papà?», continuò a chiedere Kim al padre, ancora incatenato alla figlia, che piangeva dalla gioia. L’uomo la guardò negli occhi e il suo sguardo si fece serio.

«No, piccola mia. Purtroppo non è ancora finita».

Kim venne colta da un brivido di tristezza che le percorse la schiena. In un attimo divenne furiosa. Non sapeva se ce l'avesse con il padre o con la guerra che logorava il mondo da tempo immemore. In un istante si staccò dal padre e con rabbia e precipitò fuori di casa, uscendo in strada.

 Non riusciva a crederci. Era furiosa, con tutto il mondo e l’universo. Come poteva non avere il diritto di stare con suo padre? Chi era quell’essere maligno, che la privava della gioia di avere una vita normale? Chi era ad impedirle di essere felice?

Queste domande la tormentavano. Era in preda ad una rabbia terribile che la fece perdere tra le strade della città. Eppure non le importava, non voleva tornare in quella casa. Non voleva più tornare a soffrire.

 

Sentiva il bisogno di sfogarsi, di poter piangere senza nascondere il viso in un cuscino e poter urlare, se solo lo avesse voluto. Aveva bisogno di un vero amico.

Si diresse verso la stazione metropolitana più vicina: voleva prendere il primo treno che le capitasse a tiro e scendere in un luogo qualsiasi, senza nemmeno dare un’occhiata alla mappa delle linee.

Senza nemmeno curarsi del biglietto, salì sulla carrozza senza pensare a niente.

Seconda fermata, poi a sinistra. Scendi. Terza fermata e poi prendi l’uscita.” «Non so dove arriverò, ma è la che devo andare!», pensò Kim mentre guardava assente fuori dal finestrino. Lo spettacolo era mozzafiato. Il vagone viaggiava sui binari come sospeso nell’aria: era come volare. Tutte le luci della città rendevano l’atmosfera particolare. I grattacieli, che costellavano il centro, davano un tocco di classe alla città. Nella sua mente ripeteva come un mantra il percorso da seguire e si ritrovò all’uscita della fantomatica “terza fermata”.

Non sapeva dove fosse, né tantomeno dove si stesse dirigendo. Ma non era a casa sua e questo le bastava.

Uscì dalla stazione. Sentì una lieve brezza accarezzarle il viso. Percorse il sentiero asfaltato che l’avrebbe condotta verso un nuovo, sconosciuto, destino. È vero, forse questo sfogo l’aveva allontanata semplicemente da casa, ma chissà cosa la stesse in quella strada.

 Kim lesse il cartello che indicava la via: “Takumi Road” .

Il nome tuonò nella sua mente, come se lo avesse già udito in precedenza. Forse alla televisione, eppure sapeva che non poteva essere così. Percorse la strada affollata di persone. Erano tutte dirette verso il centro e le sembrava di risalire un fiume controcorrente. In un breve istante i suoi occhi caddero sulla curiosa insegna di un locale “Strappa e non piangere”. «Penso si riferisca alla ceretta, ma se fosse mio il negozio, mi vergognerei!», pensò Kim trattenendo una risata. Poi capì perché l’insegna non le risultasse nuova. Non l’aveva mai vista, ma ne aveva sentito parlare. Non aveva neanche in mente chi fosse stato, ma sapeva solo che abitava là.

Attraversò in fretta la strada, schivando con agilità le macchine e procurandosi le imprecazioni degli autisti. Però lei non se ne curò: era più importante raggiungere l’altro lato della strada. Guardò il citofono dell’edificio sopra il centro estetico e lesse tutti i cognomi sui campanelli. Nessuno dei cognomi scritti le pareva familiare. Decise quindi di andare alla cieca. Ne premette uno a caso: se era destino avrebbe premuto quello giusto.

In un istante si rese conto di quanto fosse ridicola quella situazione. Incosapevolmente aveva ingigantito la cosa e aveva reputato quella sua breve fuga in città come una vera e propria evasione. Così si ritrovò a ripudiare la sua idea di correre verso il destino: era stata così sciocca.

Alzò il dito da uno dei campanelli su cui stava per premere. Si voltò e si sedette sul rialzo in marmo dell’edificio, portandosi la testa fra le mani.

 «Kim?», domandò una voce familiare. «Kim, sei proprio tu?».

La ragazza alzò lo sguardo voltandosi, convinta che fosse stata la sua immaginazione a parlare. Le lacrime le scendevano dagli occhi. Vide sfocata una figura maschile alta, bella.

 

«Kim, ma che...», continuò la voce.

La ragazza mise a fuoco e riconobbe Ayden davanti a sé. Non si era mai sentita così in imbarazzo. Non le era mai capitato di piangere di fronte ad una suo amica, figuriamoci davanti ad uno maschio! Però non ce la faceva più, ne aveva bisogno: cominciò a piangere e abbracciò con foga Ayden, facendolo indietreggiare per via del peso. Nel pianto Kim confessò tutto all’amico: di dove abitasse, del perché non avesse un Pokémon, del perché mentisse. Ayden si sentì commosso. La guardò negli occhi e, come se fosse un’amica di vecchia data, la invitò ad entrare. Kim si sentì tremendamente in imbarazzo di fronte alla persona sul quale aveva riversato anni di sentimenti repressi, ma nello stesso tempo si sentiva come se avesse impedito ad una bomba ad orologeria di esplodere nel suo cuore.

 

Ayden le offrì una cioccolata e si sedette accanto a lei sul divano.

«E i tuoi non ci sono?», domandò innocentemente Kim al ragazzo che stava per prendere il telecomando della televisione.

«No, sono andati a Violapoli per far visita a mio zio Chad. Forse è un bene che io non sia andato con loro, no?», insinuò lui, guardandola con un sorriso. La ragazza annuì dolcemente e cominciò a bere con una velocità impressionante la cioccolata.

 «Sì... Io la bevo così!» rispose sorridendo Kim notando l’espressione sconvolta di Ayden. «So di sembrare un po’ troppo altezzosa, ma è solo apparenza, fidati!».

 Ayden sorrise. «I tuoi saranno preoccupati...».

«Sì, hai ragione. Prima, però, voglio andare a fare una passeggiata notturna» , affermò la ragazza, indicando al ragazzo che s’erano fatte le undici.

Ayden allora annuì e le aprì la porta per uscire.

 

I dodici rintocchi dell’orologio segnarono l’arrivo della mezzanotte.

«Non credi sia ora di rincasare?», domandò Ayden alla ragazza.

«Forse. Ormai c’è poca gente in strada e i negozi che mi interessano sono chiusi...», rispose lei un po’ malinconica.

«Beh, ma il sexy-shop è aperto ventiquattro ore su ventiquattro! Siamo davvero fortunati!», scherzò Ayden ammiccando.

Kim, in tutta risposta, rise, dando un'amichevole gomitata all'amico.

 

D’un tratto però, in una silenziosa via del centro solitamente poco frequentata nelle ore notturne, un gemito simile ad un lamento si fece strada nell’ombra.

«Hai sentito?», domandò Kim sottovoce.

«In queste vie può succedere di tutto, non puoi neanche immaginarlo...», ribatté lui.

«No. Sono sicura che si tratti di un Pokémon. Sembra in pericolo! Ne sono certa!», obiettò allarmata.

Si addentrò nelle tenebre e sentì i lamenti intensificarsi, diventare sempre più forti e violenti, prima di essere smorzati da un rumore ancora più assordante.

 Kim ed Ayden si guardarono per un istante. Il ragazzo capì immediatamente la situazione e sibilò: «Bracconieri!».
 


 Nido delle aquile

Beh, a causa di numerosi problemi legati alla scuola, allo studio, al tempo e altre morbosità, non mi sarà permesso di aggiornare, almeno per un po' di tempo. Ahimè così è la vita, che devo farci, io? Ringrazio di cuore la cara e vecchia (ora vedi che mi picchia (?)) Class, sempre buona e paziente con me ♥

Dunque mi dileguo, sperando di poter portare a termine questa long :)

 

BaiBai!

-Saku-

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