Rosso sangue, azzurro cielo.

di Denisedecline_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo. ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo. ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo. ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo. ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo. ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo. ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo capitolo. ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo capitolo. ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo capitolo. ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo capitolo. ***
Capitolo 16: *** Avviso. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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Io sono così, aspetto sempre qualcosa o qualcuno che smuova la mia giornata, restando seduta nella penultima fila in fondo alla classe e passandomi una ciocca dei miei capelli ribelli cadutami sul viso.
Oggi iniziano i corsi.
E’ assurdo, tutto quanto.
E’ assurdo pensare che dovrò passare un anno identico a quello precedente, con di diverso solo il programma da studiare.
Osservo i miei compagni ‘’volare’’ da una parte all’altra del corridoio, c’è chi si ferma alle macchinette ancor prima dell’inizio delle lezioni e chi resta fuori, nel cortile, mentre altri ancora, si divertono a lanciare frecciatine a tutti, e soprattutto a me.
Eccolo lì: Tommaso Sparvieri.
Colui che sa tutto di tutti, ogni sua parola è legge qua dentro. Che gabbia di matti.
E’ con la schiena contro il muro, con una sigaretta tra due dita, la bocca carnosa e abbastanza rossa socchiusa e i suoi capelli neri scompigliati.
Parla con Marco Verdana e quell’altro genio di Gabriele Sferrato. Un trio perfetto, devo dire.
Dopo averlo osservato per un paio di minuti, avendo sperato vivamente che non mi abbia vista, gli passo davanti con la stessa speranza che non si fermi a punzecchiarmi come il suo solito: insomma, è solo il primo giorno di scuola, voglio passarlo in pace!
Cerco di autoconvincermi che non lo farà e invece..
- Ma guarda chi c’è! La regina delle ragazze anonime! – esclama mettendosi davanti a me.  Odioso, lui e il tono che ha usato per rivolgermi la parola. Odioso lui e il suo modo di fare. Odioso e basta!
- Vedo che non perdi tempo, Sparvieri. – rispondo seccata, mantenendo il suo sguardo.
- Nervosa di prima mattina, eh Lucrezi. – finta risata. Quella che usa per prendermi per il culo.
- E tu odioso come sempre. Se non ti dispiace stavo andando in classe, quindi scansati e fammi passare. – stringo i pugni lungo i fianchi. No, non sono nervosa, ma ha una faccia da prendere a pugni. Appena ne avrò l’occasione, lo farò volentieri.
- Madame. – fa un leggero inchino spostandosi di lato, ridendo come solo un imbecille come lui può fare.
‘’Idiota’’ penso tra me e me, ‘’è solo un grandissimo idiota’’.
Entro nell’aula, quasi l’ultima verso la fine del corridoio. 4 A. E’ semideserta, ‘’si riempirà solo dopo dieci minuti dopo la campanella che indica l’inizio delle lezioni.’’
Mi siedo nel posto che ho sempre adorato: nella penultima fila. Ne troppo al centro, ma neanche troppo indietro, insomma, a mio parere, il giusto.
Inizio a massaggiarmi le tempie con le dita, faccio piccoli movimenti circolari ‘’Come posso avere il mal di testa ancor prima dell’inizio di tutto?’’  sbuffo e mi lascio andare contro lo schienale.
La campanella è suonata, l’aula è del tutto piena, manca solo una persona: Mr. Odio.
Sorrido, pensando sollevata che magari abbia bigiato il primo giorno di scuola, ma la porta si apre improvvisamente durante l’appello e vederlo lì, con i capelli attaccati alla fronte e il petto che si alza e abbassa a ritmo irrefrenabile, mi rende agitata e inizio a muovermi sul posto.
Sussurra un: ‘’Mi scusi prof.’’ E va a sedersi nell’unico posto libero.
Quello vicino al mio.

Nota autrice: ed eccomi con la mia prima storia su EFP.  Adoro le storie con dentro ‘’odio e amore’’ per questo mi sono incuriosita così tanto da scriverne una tutta mia. Ditemi cosa ne pensate. Se è troppo scontato e banale come inizio o se vi ho messo un po’ di curiosità in corpo.

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Lei è Cristal.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


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Secondo Capitolo.

Le mie prime cinque ore di scuola sono passate in fretta, molto in fretta, devo ammetterlo.
Mi sono immaginata di tutto: venti pagine per il giorno seguente già dall’inizio dell’anno scolastico o chissà quale catastrofe, e invece niente di quello che avevo previsto è accaduto, solo qualche frecciatina e sguardo di troppo da parte di Mr . Odio .

Sto tornando a casa controvoglia, farei di tutto pur di non stare lì, di tutto pur di non vedere i miei genitori, ma devo farlo, devo tornarci, non posso scappare. Devo restare per Alex.


Alex è mio fratello e ha dieci anni,  è piccolo, troppo piccolo per capire i litigi dei nostri genitori e quando sente le loro urla, mi guarda con quei suoi occhi verdi cercando di scovare nei miei qualche spiegazione o rassicurazione, devo ancora capirlo.


Cerco di fargli passare meno tempo possibile in casa, ormai c’è un’aria così pesante  che se è insostenibile per una ragazza diciasettenne come me, non immagino pensare o anche solo provare a capire quale uragano ci sia nella testa di mio fratello.


Scaccio i pensieri e inizio a girare la chiave nella serratura. Uno. Due. Tre giri e la porta dell’inferno è aperta davanti a me.
Butto in malo modo lo zaino sul pavimento e vado in cucina.
Vedo la stessa scena che passa davanti ai miei occhi quasi ogni giorno: mia madre in lacrime, seduta in un angolo, con la testa poggiata sul tavolo e di mio padre nessuna traccia, solo il suo profumo. Quel profumo che amo tanto. Quel profumo che mi fa sentire protetta.
Mi siedo accanto a lei e le scosto i capelli dal viso.
Ha gli occhi gonfi, rossi e delle lacrime silenziose scorrono ancora sul suo viso.
Le faccio alzare il viso e punto i miei occhi nei suoi. Un misto di nero e marrone.  Le sorrido, quasi come per darle forza, quasi come per incoraggiarla e le sussurro: - E’ ora di tirarsi su, mamma. -
Lei non dice niente, non mi risponde, sostiene il mio sguardo e sorridendo mi chiede di intrecciarle i capelli.
Non ubbidisco subito al suo ‘’ordine’’, ma prendo un panno bagnato e lo faccio scivolare sul suo viso.
Voglio cacciare il mascara che le è colato sulle guance, voglio eliminare le prove del suo pianto, di un’altra giornata che potrebbe andare decisamente meglio.
Fatto questo, sfilo dalla tasca del mio giubbotto in pelle nera, non ancora tolto, un codino viola e inizio ad intrecciare piano i suoi capelli rossi.
Li ho sempre desiderati così e invece sono castani. I miei occhi sono un misto di grigio e azzurro messi insieme, come dice Carolina: pietrificanti.
Finita la treccia, guardo i capelli di mia madre soddisfatta e sorrido, mi tolgo il giubbotto e lo poggio su una delle quattro sedie intorno al tavolo.
Mia madre, Elisabeth, intanto si è alzata e mi sta guardando sorridendo, ma non è un sorriso qualunque, è uno di quei sorrisi che vuol dire solo una cosa: ‘’Vorrei capire cosa stai pensando.’’
Ricambio il sorriso.
- Cosa vuoi da mangiare, Cristal? – dice aprendo tutti i mobiletti che ci sono in cucina.
- Dici che è troppo tardi per delle lasagne, mamma? – si gira con le mani sui fianchi e ride.
- No piccola, non è mai troppo tardi per le lasagne. – risponde ridendo ancora.
Ha una risata contagiosa mia madre, una risata che fa ridere anche me senza motivo.
E’ una donna che ha sempre dato tutto per la sua famiglia, senza mai abbandonare le sue passioni. 
Mi ha sempre raccontato il perché dei nostri nomi inglesi, nonostante fossimo italiani e vivessimo a Milano.
‘’E’ una cosa che ho ereditato da tua nonna Marzia. ‘’ iniziava sempre così il discorso ‘’Le piacevano i nomi inglesi e hanno affascinato anche me. Il tuo però ha un particolare significato. Un qualcosa che ti dirò dopo, quando sarai abbastanza grande. ‘’
Le piaceva lasciarmi così, con l’amaro in bocca e una grande curiosità. Ma io mi chiedo, ho diciassette anni e se non sono grande abbastanza ora, quando me lo dirà?

Finisco di apparecchiare la tavola con questi pensieri e intanto mi dirigo al piano superiore della casa, in camera mia.

Mi passo una mano tra i capelli e sospiro, so già come andrà questa giornata.
Mi butto al centro del letto e respiro piano, chiudendo gli occhi. Vorrei piangere anche io, ma non lo faccio da quando ero piccola. E’ una promessa che ho fatto e che manterrò.
Stringo i pugni e mi alzo. Vado in bagno e mi guardo allo specchio.
Sorrido.
E’ una cosa strana, ma quando decido di essere forte un po’ per tutti, mi sento bella, quasi piena di vita. Quasi come un’eroina.
Mi sciacquo il viso e le mani.
Sento la voce di mia madre che mi chiama, probabilmente è pronto.

Penso che abbia fatto in fretta a cucinarle, ma non ci faccio caso, la fame è troppa davvero troppa.
Corro in cucina e mi siedo.
Passiamo il pranzo chiacchierando e alla fine le schiocco un bacio sulla guancia e la informo che sto per andare a prendere Alex al doposcuola.
Non è tanto distante la sua scuola, dieci minuti a piedi e cinque in macchina.


Faccio una passeggiata, tanto per cambiare e guardare quello che capita in giro.
Giro di poco il mio sguardo e vedo proprio chi non vorrei vedere. Tommaso.
Sembra che anche lui si sia accorto di me, e chissà per quale motivo, attraversa la strada e si mette a camminare al mio fianco.
Lo guardo come se volessi ucciderlo, ma lui non fa che sorridere.  Un sorriso strafottente, precisiamo.
- Dove vai tutta sola Lucrezi? – ha deciso di parlare? Ma bene. Di male in peggio.
- Non credo che siano affari tuoi, Sparvieri. – rispondo acida.
- Sai che sembri tanto una gattina? Non ti si può dire niente che sei pronta a graffiare. – mi fa notare il mio comportamento, come se già non sapessi come fossi fatta.
Mi giro e lo guardo negli occhi: - Allora perché continui a parlarmi? Nessuno ti ha chiesto niente. Nessuno vuole qualcosa da te.-
- Tu dici?- si avvicina – Eppure,tante ragazze,- calca le ultime due parole prima di proseguire – Vogliono qualcosa da me. – sorride beffardo.
Ricomincio a camminare, non voglio stargli troppo vicino.
- Mi dispiace per loro, allora, ma non credo che oltre a quello sapresti dare altro. – non oso guardarlo mentre sputo le mie parole  contenenti veleno.
- Tu non mi conosci e sembri tanto impaurita da me. – il suo tono di voce è cambiato. Sembra deluso.
- Non m’importa di conoscerti e non ho paura di niente, io. – mi giro verso l’edificio: la scuola di mio fratello.
- Comunque sia sono arrivata. – gli dico sostenendo finalmente il suo sguardo.
- Io invece proseguo. – risponde seccato – Ci vediamo in giro o a scuola. – riprende a camminare – Ciao. – conclude infine.
- Ciao. – rispondo con un sussurro flebile, solo da me udito.
Entro dentro e cerco con gli occhi la classe di  mio fratello.



Nota autrice: In questo capitolo ho preferito soffermarmi di più sulla vita di Cristal, notando che nel primo capitolo non ho detto molto su di lei che poi alla fin fine è la protagonista di questa storia.
Datemi un parere e ditemi pure se è stato un capitolo noioso oppure ‘’passabile’’ per così dire. Io non sono molto sicura. Spero comunque che vi sia piaciuto. Un bacio, la vostra Rossa.

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Dite ciao a Tommaso. (lalalalalalalala)

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo. ***


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Terzo capitolo.
Secondo giorno. Terza ora. Inglese.

Alla fine ho chiacchierato un po’ con Alex e, mi sono accorta di non saper molto su mio fratello.
Ha un mondo dentro, proprio come me, ma lo tiene ancora più nascosto.
Non lo espone ai raggi del sole, lo lascia al buio.
Sembra quasi che il suo cuore stia diventando di ghiaccio.
Come quando privi ad un fiore la luce.
Si secca.
Ieri, Alex, ha rifiutato una mia carezza e ogni qualvolta che provavo ad abbracciarlo, si scostava, quasi come se si fosse scottato o gli desse fastidio quella vicinanza.
Devo parlarci, ma ho paura.
Ho paura perché non so quello che prova e si isola dal mondo.
Parla con gli altri, certo, ma a casa sta zitto, finito di mangiare va via, in camera e resta lì dentro fino alla mattina seguente.
Sono stanca e ho bisogno di staccare da tutto.
E se portassi qualche giorno Alex alla casa al mare?
Gli farebbe bene. Mi farebbe bene. Ci farebbe bene.
Decisamente.

Per quanto riguarda Tommaso, colui che ho soprannominato Mr. Odio, beh, oggi non si è presentato a scuola.
Bella cosa fare un’assenza soltanto al secondo giorno.
Ci sono rimasta male per ieri, per le cose che ha detto.
No, ma ‘’rimasta male ‘’, non è il termine adatto, preferirei dire che mi ha confusa e spiazzata al tempo stesso.





Tu non mi conosci e sembri tanto impaurita da me. -
- Non mi importa di conoscerti e non ho paura di niente, io. -

Cerco di non ridere, mi ci manca solo la nota.
Io impaurita?  Da chi? Da lui?
Da Tommaso Sparvieri, il ragazzo che detta legge in un liceo classico della grande Milano.
Non scherziamo!
Di lui non avrebbe paura neanche una mosca. Esclusi i primini. Loro sono un caso a parte.
Basta che Sparvieri faccia un schiocco delle dita e loro gli ubbidiscono come se fossero cagnolini ai suoi porci comodi.
Mi chiedo se anche le ragazze che passano tra le sue lenzuola ogni notte, siano ‘’impaurite’’ da lui..
No, loro no.
Loro cercano solo una cosa: sesso.
Del sano sesso con lui.
Per vantarsene e per far spettegolare un po’ tutto l’istituto.
Devo ammettere che senza lui e il gruppetto di oche e ‘’bellocci’’ figli di papà che gli vanno dietro, ci sarebbe ben poco di cui parlare durante la ricreazione.

I miei pensieri vengono interrotti dalla mano di Carolina che mi da’ un buffetto sulla schiena da dietro.
Mi giro la guardo truce.
Le sussurro un: ‘’Che c’è?’’
E con il capo indica qualcosa davanti a me.
Il mio pensiero è solo uno: la professoressa, cazzo.
Deve essersi accorta che ero su un altro pianeta, probabilmente.
Ritorno seduta correttamente e dopo aver incassato l’occhiataccia mandatami da quest’ultima, riprendo i miei appunti da dove li avevo lasciati.

Alla fine delle lezioni, io e Car, decidiamo di evitare di tornare a casa e andare a mangiare qualcosa al ‘’Clementino ‘’ per poi concludere i compiti lì.
- Sei capitata come compagno di banco proprio con Tommaso. – scoppia a ridere ed io le riservo un’altra delle mie occhiate maligne.
Carolina parla troppo e questo è un fatto risaputo da tutti.
- Con questo che vorresti dire, scusa? – le domando scocciata mentre proseguiamo il nostro cammino.
- Ma niente, solo che ragazzo più figo e che ispira cose illegali da fare anche in luoghi pubblici, non lo potevi trovare.- continua a ridere mentre io rimango senza parole.
- Dimmi la verità, all’uscita hai fumato qualcosa ed io non me ne sono accorta. – la guardo fortemente convinta di quello che dico.
- Ma perché?! Che ci sarebbe di male nell’ammettere che è un gran pezzo di figlio di mamma?-
- Assolutamente niente, se togli il fatto che stiamo parlando di Sparvieri. – schiocco la lingua contro il palato.
- Io devo ancora capire perché vi odiate. -
Mi fermo un attimo per osservarla, posando poi il mio sguardo sull’insegna del ristorante.
‘’ O’ Clementino. ‘’ la scritta è sempre illuminata. A qualsiasi ora del giorno e della notte.

Entriamo dentro e ci sediamo al solito tavolo.
Viene a prendere le nostre ordinazioni Clemente, detto da tutti Clementino.
E’ napoletano fino al midollo e ha deciso di fare proprio al Nord carriera.

Appena finito di mangiare, prendiamo la saggia decisione di rimandare a più tardi ancora lo studio e fare due passi sulla spiaggia.
E’  ancora settembre e l’acqua non è poi freddissima, così mi tolgo le scarpe, arrotolo il jeans fino alle caviglie ad entrambe le gambe e lascio che l’acqua salata mi accarezzi i piedi, cullandoli.
Io e Carolina parliamo del più e del meno.
Degli amori estivi, della sua prima volta, della mia mai avvenuta e del fatto che secondo lei dovrei darmi una mossa.
Nah, lascio perdere i suoi ragionamenti e continuo ad essere convinta che fare l’amore sia un passo importante.
Per me mai niente sarà solo sesso.
Carolina mi lascia un bacio sulla guancia e si avvia verso casa.
No, oggi non è giornata di studio per nessuna delle due.
‘’E’ ancora troppo presto per i compiti!’’ ha esclamato prima al mio ennesimo tentativo di convincerla.
Molti miei compagni le farebbero la statua per le sue parole, ne sono certa.
Io, invece, continuo a camminare a passo lento lungo la riva e caccio fuori dalla tracolla il mio amato iPod.
Ripetizione casuale: attiva.
Lascio che le parole di Micaela mi trasportino in un’altra direzione e alzo le braccia a mo’ di aquila:

* ‘’Ho paura di non farcela,
ma c’è un qualcosa in me,
che è la forza dell’amore,
urlerò il tuo nome al cielo,
mi alzerò come un fiume in piena,
per sconfiggere il tuo addio. ,,

Stranamente mi ritrovo a pensare a quell’idiota e resto senza fiato, bloccando la mia voce che ormai si era liberata nell’aria.
Una mano mi sfiora la schiena ed io mi volto di scatto, spaventata.
Il grigio-azzurro dei miei occhi s’incatena ad un altro misto di nocciola e verde.

- Lucrezi. – sussurra, con voce calda. Maledizione! Oltre allo spavento anche questo tono deve usare? Il mio cuore si butterà dal sesto piano, mi sa’.
Riacquisto la mia lucidità mentale persa per pochi secondi e rispondo fintamente seccata:
- Sparvieri. -
- Che ci fai qui? – mi chiede sorridendo. Ohw, pure i fatti miei ti devo raccontare ora, bamboccio?
- La spiaggia è pubblica o sbaglio? -
- Come non detto. – alza le spalle e si gira, ricomincia a camminare nella direzione opposta alla mia.
Le mie mani, dotate di una propria volontà, lo afferrano per il giubbino e lo costringono a fermarsi.
Lo faccio voltare piano.
- Aspetta. – abbasso lo sguardo e mi mordo la guancia come se sentissi di star sbagliando.
Mi alza il viso con le dita:
- Che c’è, micia? – avrei giurato di aver visto qualcosa di diverso nei suoi occhi.
Mi do della stupida mentalmente, devo essermi sbagliata.
- No, niente.. – sussurro – Ti andrebbe di fare una passeggiata? -
Mi guarda spiazzato: - Non ti arrabbi per il nomignolo e mi chiedi anche di camminare con te?! – scoppia a ridere.
Mi prende per il culo?! ‘Fanculo, lui e il suo essere idiota.
- No. – stringo i denti e i pugni lungo i fianchi – Mi è passata la voglia. -
Provo a superarlo, ma mi blocca.
E’ troppo, davvero troppo alto.
Scuote la testa ridendo e mi prende la mano – Stupida. – continua a camminare.
Stavolta non rispondo, mi limito a gonfiare le guance come se fossi un pesce palla e a seguirlo riponendo il mio salvatore (l’iPod.) nella tasca.


* Micaela – Fuoco e Cenere.

Nota autrice: Ebbene si, sono per la terza volta qui.
Si, lo so, son passati solo due giorni da quando ho postato l’ultimo capitolo, ma da domani sarò impegnata e non penso di esserci per una ventina di giorni, quindi aggiorno ora.
Che ne dite? Vi piace?
E’ un’idea che mi è venuta mangiando gelato alle due di notte canticchiando appunto la canzone di Micaela.
Spero che vi sia piaciuto.
Recensite.
Un bacio,Rossa.

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo. ***


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Quarto capitolo.

Camminiamo.
Non so per quanto e non so nemmeno il luogo in cui arriviamo.
Le dita delle nostre mani sono intrecciate, me ne accorgo solo ora.
Abbiamo smesso da parlare da parecchio, esattamente da quando gli insulti verso il prof di latino e greco son finiti.
Sento il suo sguardo addosso, ma non oso voltarmi. Mi scotterei, e forse, si scotterebbe anche lui.
In quattro anni che lo conosco, non ho ancora capito che tipo è Tommaso Sparvieri.

Sono stanca del silenzio, ritraggo la mano e lo guardo.
- Quindi ora che si fa? – gli chiedo immaginandomi una risposta del tipo: ‘’Tu torni a casa per i fatti tuoi, ed io faccio lo stesso.’’
- Niente. Ci sediamo qua e aspettiamo. – stavolta punta anche lui il suo sguardo su di me.
- Aspettare cosa? -
- Gli altri, Lucrezi, gli altri. –
- Gli altri chi? –
- Dio, quante domande, se non vuoi aspettare con me, puoi andartene, nessuno ti ferma. -

Si siede sulla sabbia e inizia a fissare il mare.
- Non ti darò mai questa soddisfazione. – rispondo seccata, sedendomi e incrociando le gambe all’indiana.
- Magari prima o poi mi darai altro. – scoppia a ridere mentre io lo guardo sbigottita.
- Tu sei un grandissimo coglione! – lui ride ancora, mentre io raccolgo la tracolla da terra e mi alzo, cercando con gli occhi una strada per tornare indietro.
- E’ inutile, micia, tra poco arriveranno, dove credi di andare? – mi guarda dal basso.
- Devo ancora capire chi arriva e cosa c’entro io! – se gli sguardi potessero uccidere, lui sarebbe già nella tomba.
- Potresti non c’entrare niente, così come potresti essermi da aiuto, e le persone che arrivano, sono amici miei, puoi star tranquilla. – scoppio in una risata isterica.
- Con te c’è poco da star tranquilli, Sparvieri. –
Non risponde, mi prende un polso e mi costringe a rimettermi seduta accanto a lui.

Due ore.  Son passate due ore.
In pratica sono rimasta per mezza giornata con un idiota. Magnifico, no?
Non abbiamo chiacchierato molto, anzi, quasi per niente, io ho tenuto sempre le cuffiette nelle orecchie e lui lo sguardo rivolto verso il cielo.
Mi son chiesta più volte a cosa stesse pensando, ma non gliel’ho mai chiesto, sarebbe stata una cosa inutile.

Si sentono delle moto in lontananza e vedo Tommaso alzarsi e far cadere la mia faccia, che prima era poggiata sulla sua spalla, nella sabbia.
Atterraggio morbido, certo, ma lui la delicatezza l’ha lasciata a casa!
Credo che se la vendessero al supermercato, gliene comprerei un po’ e gliela farei mangiare.
- Dai, alzati. – darmi una mano no eh, stronzo.
Mi alzo e lo fisso.
- Che c’è?!- chiede piuttosto scocciato.
- Allora, non solo mi costringi ad aspettare due ore con te delle persone che nemmeno conosco, ma oltretutto mi tratti male e mi non mi spieghi che succede?! No, ma dico, sei scemo o ti fingi?- cerco di respirare e di non farmi travolgere da un’altra ondata di parole dettate dalla rabbia.
- Sei buffa. Hai le guance gonfie come quelle di un pesce palla. – ride ed io mi fermo a guardarlo.  Sembra un bambino. I capelli scompigliati da quel poco vento che tira e le braccia incrociate al petto come una persona che vuole sempre avere ragione.
Scuoto la testa e mi rendo conto che durante la nostra breve discussione, è arrivato un gruppo di ragazzi.
Sembra accorgersene anche il mio simpatico, si fa per dire, compagno di classe che a passo spedito si dirige verso di loro.
Lo seguo e mi mordo lingua e labbra per non far uscire fuori tutti gli insulti che vorrei dirgli.
Saluta la maggior parte di quei ragazzi con una pacca sulla spalla, io invece li scanso uno per uno come se fossero la peste e mi fiondo vicino a lui attaccandomi al suo braccio.
Ho uno strano senso di paura. Sarà l’orario. Sarà il buio. Sarà che sono con un cretino, ma ho paura.
Si avvicina a me e mi sussurra all’orecchio: - Vieni, ti faccio vedere la mia piccolina.- e così dicendo, mi porta verso una moto nera.
Sposto il mio sguardo dalla sua Lei a lui.
- Lei è la tua piccolina? -
- Si! Lei e solo lei! – non mi trattengo dal ridere e lui mi riserva uno sguardo cattivo.
- Che hai da ridere?!- mi chiede seccato prima di continuare – Lei è il mio grande amore! -
Rido più forte – Sei matto, Sparvieri, matto. -
Stranamente non mi risponde più. Il suo sguardo è posato altrove. Mi volto.
Davanti a me c’è un uomo grosso, sulla cinquantina probabilmente, vestito in un modo troppo bizzarro per i miei gusti.
Ha i capelli lunghi fino al collo, bianchi, pantaloni in pelle nera così come il suo giacchetto infine gli stivali con le borchie.
Il tipo non mi guarda nemmeno, dice soltanto una frase. Frase che non comprendo:
- Lei è quella che gareggia con te? – gareggiare? Gareggiare a cosa, per cosa e con cosa?
- Si. – un ‘’si’’ secco, uscito dalle labbra di Tommaso.
Mi giro. Lo guardo. Mi guarda e entrambi i nostri occhi cercano di darsi una risposta.
Aspettiamo che la persona che potrebbe essere mio nonno vada via e fatico da non strangolarlo ora.
- Io gareggiare?! A cosa?! Tu sei malato! Pazzo! Fuori di testa! Da rinchiudere in un manicomio! – urlo.
- Shh! Per la miseria Cristal non urlare! Cazzo..-
Appoggia le mani sulle mie spalle e respira, piano.
- Fidati. Per una sola volta, fidati. – passa lentamente le mani sulle mie braccia, quasi come tranquillizzarmi.
- Spiegami che devo fare prima. -
- Attaccarti dietro di me con una cintura qualsiasi e reggerti bene.- fa qualche passo avanti avvicinandosi pericolosamente a me – Devo vincere. E’ un favore. Ricambierò, promesso. – soffia l’ultima frase vicino alle mie labbra per poi rimettere una distanza fra di noi, lasciandomi il freddo dentro.

Nota autrice: Eccomi di nuovo qui. Pensavo di non riuscire a pubblicare più capitoli in questo mese e invece.
E’ stata una faticaccia. Le idee mi avevano abbandonata e ho avuto parecchi blocchi durante la scrittura.
Spero sia uscito bene lo stesso. Ditemi cosa ne pensate.
Baci, Rossa.

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo. ***


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Quinto capitolo.

Lo guardo. Deve essere più pazzo di quanto io abbia mai creduto se pensa davvero che io faccia quello che mi ha appena chiesto.
Parla con dei ragazzi, suoi amici probabilmente.
Non voglio farlo. Non voglio rischiare la mia vita per una stupidissima gara.
Non voglio far parte delle sue pazzie.
Non credo di riuscirci.

Mi avvicino e lo prendo per un braccio.
Non sembra accorgersene, quindi aumento la stretta.
Si gira, mi vede e sorride.
Un sorriso normale, senza cattiveria, un sorriso che vuol dire solo: ‘Sei qui!’.
- Non parteciperò. – fredda, distaccata, secca.
- Eh? A cosa? – colto di sorpresa, a quanto pare.
- Alla gara. Non mi attaccherò dietro a te. Non farò una cosa così spericolata. Non ci riesco, mi spiace. – non guardarlo negli occhi Cristal, tieni lo sguardo basso, non farti ingannare.
Mi prende entrambe le mani e si allontana, dai suoi amici, quanto basta per non farci sentire.
- Stai scherzando, vero?! – i suoi occhi se potessero uscirebbero di fuori, ne son sicura.
- No, non scherzo. -
- Si, invece, deve essere uno scherzo e di cattivo gusto anche. – si passa una mano tra i capelli, nervoso.
- Ti ripeto che non scherzo. Ho troppa paura per partecipare ad una cosa del genere e mi chiedo, ma anche tu, che cazzo fumi per fare gare di ‘sto tipo?! Hai perso la testa, per caso?! -
- Io partecipo per sentirmi libero, Lucrezi! A casa mia non si respira e questo è l’unico modo per star bene. -
- E allora scusami tanto se non condivido il tuo modo di star bene, Sparvieri!- evviva i cognomi contenenti odio.

Mi volto. Non voglio star qui un secondo di più, un modo per tornare a casa lo troverò, no?
Tommaso non mi raggiunge.
Mi lascia andar via.
Meglio così, non avrei sopportato il fatto di parlarci ancora.
 

Cammino per un po’, verso una direzione sconosciuta, su una strada che molto sicuramente non porta a casa mia.
Mi siedo su una panchina, prendo il cellulare e illumino il display.
Ora 23.30.

Come ci sono finita in questa situazione?
E perché gli ho detto di no? Avrei potuto provare.
Non dovrei sentirmi in colpa.
E’ lui che mi ha cacciata in questo casino senza chiedermi il permesso ed io me ne son dovuta tirar fuori passando per la stronza, egoista, che non vuole mai rischiare niente o aiutare gli altri.
Eccerto!
Respiro piano. Mi sembra tutto fottutamente assurdo.
Non devo pensarci. Fatti suoi se si fa male, se cade, se sbatte la testa sull’asfalto e perde i sensi o una quantità industriale di sangue.
No, non è vero, non penso tutto questo, a me importa se si fa male, perché cazzo, ora il pensiero di lui mezzo morto in un posto di cui non so  neanche il nome, mi fa sentire una merda.

Mi alzo e ricomincio a camminare.
Voglio tornare a casa, voglio chiudere gli occhi e risvegliarmi domattina.
Ho le gambe fragili, la testa pesante, gli occhi che si chiudono da soli.
Non è sonno.
E’ buio.
Non vedo.
Non vedo più.
Sento qualcosa come delle pietre attaccate alla schiena e dopo il nulla.
Sonno profondo.

 
Apro gli occhi, mi alzo di scatto.
Ancora qualche macchia nera, finché la vista non torna perfetta.
Mi guardo intorno.
C’è un profumo non mio, in questa stanza.
Le pareti colorate da un blu scuro, quasi simile al colore delle coperte del letto su cui sono sdraiata.
Non è la mia camera.
Scosto le coperte da sopra il mio corpo e poggio i piedi sul pavimento.
Sento il freddo penetrarmi fin dentro le ossa.
Cerco la borsa e la trovo vicino al comodino, affianco al letto.
Mi accorgo che c’è un specchio e vado a guardare le mie condizioni.
Sembro un panda e mi vien da ridere.
La porta si apre improvvisamente ed io distolgo lo sguardo dalla mia immagine, per riportarlo su un’altra.
Tommaso Sparvieri.
- Tu che ci fai qui?! – ah, è stupito anche lui?!
- Razza di idiota, piuttosto tu perché sei qui! -
- Magari, e dico magari, questa è casa mia e tu sei nella camera di mio fratello.-  mi guarda male.
- Camera di tuo fratello?- il mio è  quasi un sussurro.
- Già. – lo guardo negli occhi e ci vedo un qualcosa di indecifrabile.
Alla nostra ‘’discussione’’ si aggiunge un altro ragazzo, appena entrato nella stanza.
- Si può sapere perché urlate così? –
Occhi verdi, capelli biondi, alto e col corpo scolpito proprio come Sparvieri. Immagino sia il fratello.
- Parlavamo soltanto. Tra tutte quelle che potevi avere proprio una della mia classe dovevi scegliere, Filì? Dopo averle fatte urlare di piacere tutte, mi avrebbe fatto piacere fare qualche lavoretto anche Cristal. – mi giro verso colui che ha parlato adesso. Tommaso. Fa una risata isterica, mentre io continuo a fissarlo.
Il fratello ci guarda scioccato.
- Eh?! – esclama il biondino vicino a noi.
Io non rispondo, prendo la mia borsa ed esco da quella porta, dirigendomi verso l’uscita di quella casa. Delusa.


Nota scrittrice: Questo capitolo è molto inferiore a quelli che ho scritto in precedenza, anzi, ma le idee sembra che si siano buttate dall’ultimo piano di un grattacielo. A parte questo, volevo ringraziare chi mi segue e chi recensisce. Assdfhglsjd, mi fate felice.
Baci, Rossa.

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo. ***


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Sesto capitolo.

Uscita da quella casa, sento come se dal mio petto se ne andasse via un peso enorme.
Io mi chiedo solo se quel ragazzo prima di parlare si fermi a pensare alle parole che dice, che poi, dir ‘’parole’’ è poco, le sue son lame conficcate nello stomaco.
Il fratello sembra più carino, più simpatico, più dolce. Insomma, l’opposto di quell’opossum che cerca sempre di far puntare i riflettori della vita degli altri addosso a lui.
Tiro fuori dalla borsa il cellulare.
Cinque chiamate perse: mamma.
Due chiamate perse: papà.
Una chiamata persa: Carolina.
Tutti preoccupati per la mia scomparsa misteriosa, probabilmente. Dovrebbero ringraziare solo ed esclusivamente Tommaso Sparvieri.
Idiota, idiota, è soltanto un idiota.
Un egoista.
Un cretino che pensa solo alle sue gare e a fare battutine con l’intento di ferire a morte le persone.
Mi servirebbero due cuori. Uno crudele come quello di Sparvieri e l’altro sensibile, capace d’amare, cosa che purtroppo non so fare.

Torno a casa mia. Voglio vedere Alex, abbracciarlo, dirgli che non ho mai sentito la sua mancanza così tanto in tutta la mia vita, anche se probabilmente adesso non c'è.
Mio fratello è bravo a consolare e coccolare le persone che stanno male.
Ha parole buone per tutti, lui.
Ha un sorriso che illumina il cielo di notte, anche se lo nasconde, ed è dolce.

Entro dentro. Mi dirigo in cucina e poggio la borsa sul tavolo.
Cerco di non far rumore e verso dell’acqua in un bicchiere. Ho la gola e la bocca secche come il deserto.
Le labbra sono anche screpolate e dolenti. Le ho morse troppo.
Bevo piano e provo sollievo sentendo quel liquido fresco che mi attraversa.
Alzo lo sguardo verso l’orologio appeso sopra la porta della cucina: le otto e mezza.
Potrei sempre entrare alla seconda ora a scuola, ma ormai non credo di fare più in tempo e se devo essere sincera, affrontare una giornata tra gli sguardi dei miei compagni, le occhiatacce con Tommaso e le domande di Carolina, non mi va.
Appoggio il bicchiere nel lavandino e salgo al piano superiore della casa.

Apro piano la porta della stanza dei miei.
Mamma è sotto le lenzuola.
Dorme o forse fa finta di non sentirmi, come facevo io da piccola.
Fingevo di addormentarmi pur di non fare le faccende di casa insieme a lei.
Me ne pento.
Chissà, magari adesso avrei un rapporto migliore anche con lei e quelli sarebbero ricordi belli.
Fatti di risate, di sgridate.
Mi avvicino a lei, le lascio un leggero bacio sulla guancia destra e una carezza sui capelli in disordine.
Apro il suo armadio e prendo un vestito ricoperto di fiori colorati.
Lei non lo mette da tempo.
Mia madre dice che le cose vecchie si sciupano e alla fine tu non puoi farci niente se si rovinano: ‘’Mica tornano al loro posto.’’, ripete sempre lei.
Invece a me quell’abito piace. Lo guardo per un po’.
Lui non è rovinato.
I segni del tempo non li porta addosso.
E’ stato usato poco.
Non ha avuto un contatto lungo col corpo di mia madre.

Rivolgo un ultimo sguardo a mia madre e poi fuori, al giardino.
Scuoto la testa, anche quello racchiude troppi ricordi.
Vado in camera mia, prendo la biancheria pulita e una delle mie tante spazzole per capelli.
Voglio farmi una doccia, voglio cacciare dalla mia pelle il profumo che han lasciato le mani di Tommaso.
Voglio lasciar scivolare via con l’acqua il peso che le sue braccia, che stringendomi, avevano cacciato via, e poi allontanandosi, fatto tornare.
Mi spoglio strada facendo fino al bagno e senza pensarci troppo, mi butto sotto il getto, dapprima freddo, e dopo caldo.
Lascio andare lontano le paure, le richieste d’aiuto mai ascoltate, i ‘’fermami’’ sussurrati e non sentiti.

Raccolgo i capelli bagnati in una coda alta e avvolgo il mio corpo in un asciugamano prima di farlo passare nel mio adorato vestitino.
Infilo le ballerine color nocciola che si intonano col giallo chiaro del vestito e un copri spalle.
Ho voglia di uscire, di cambiare, di provare a non pensare e di divertirmi.
Cambiare abito, vestirmi come non faccio di solito, legare i capelli e lasciarli asciugare dal flebile sole di quasi metà Settembre, mi aiuterà.

Son le dieci.
Esco di casa, camminando piano.
Mi guardo intorno e penso alle parole di quel coglione: ‘’Tra tutte quelle che potevi avere proprio una della mia classe dovevi scegliere, Filì? Dopo averle fatte urlare di piacere tutte, mi avrebbe fatto piacere fare qualche lavoretto anche Cristal. ’’
E mentre penso sciolgo i capelli, li affido al vento, mossi per come sono, mossi con dentro i nodi che sembrano trappole.
- Lucrezi. – il mio cognome, sussurrato da una voce alle mie spalle.
Sorrido per un misero secondo e poi ritorno in me.
Mi volto e guardo Tommaso Sparvieri in modo truce.
L’odio che stava cercando di mandar via ieri pomeriggio è tornato tale e quale a com’era quattro anni fa.
Vivo e attivo, cattivo, perfido, con un qualcosa di nascosto che ancora mi vien difficile da capire.
- Ciao. – un saluto, niente in più.
- Dove devi andare vestita così?- chiede guardandomi dalla testa ai piedi.
- Non credo che siano fatti tuoi e poi, non dovresti essere a scuola? – rispondo pensando che invece non devo andare da nessuno e da nessuna parte.
- No, non dovrei essere a scuola e comunque, sul serio tu dici che non siano affari miei? – lo dice e non mi accorgo che si avvicina.
- Si, non sono cose che ti riguardano. – due passi indietro al suo avanzare in avanti.
- Ti allontani, micia?– di nuovo quel nomignolo.
- Micia chiami tua sorella e mi allontano quanto voglio, per come la penso io da stamani non abbiano niente da dirci, io e te. – calco bene le ultime parole. Voglio che capisca. Voglio che si senta in colpa. Giocattoli son le altre, non io. Puttane son le altre, io no.
- Credimi, delle coccole più approfondite con me ti farebbero bene, saresti più rilassata, sicuramente. – ride, ed è la sua solita risata, quella che precede il suo stupido ghigno fuori posto.
- Se dovrò fare delle coccole approfondite con qualcuno, – mimo le virgolette alte con le dita – quella persona puoi star sicuro che non sarai tu.. – rispondo distaccata, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.
- Ah no? Non sarei io? – chiede avvicinandosi.
- No. – e dicendo questo, faccio l’incredibile sbaglio di guardare quei pozzi verdi che si ritrova.
E’ un attimo, ed il mio corpo è intrappolato tra la ringhiera e il corpo del mio compagno di banco.
- Quindi, devo dedurre che ti lasceresti guardare come sto facendo io ora, da un altro? – appoggia le mani sui miei fianchi ed io vorrei solo trovarmi dall’altra parte, all’interno del giardino della casa davanti alle quale siamo.
- Si. – premo le mie mani sulle sue, cercando di liberarmi dalla sua stretta.
Si avvicina al mio viso, alle mie labbra e mi chiedo se ha sentito il mio cuore smettere di battere, così come il mio respiro bloccato.
- E smetteresti di respirare anche con la vicinanza di un altro? I miei occhi non ti dicono niente, Lucrezi? Le mie mani ancorate alle tue che cercano di mandarmi via, non ti provocano nessuna sensazione? – un altro centimetro di distanza annullato.
- Non provo niente stando vicino ad uno come te, che si preoccupa solo di fare urlare tutte le ragazze dell’istituto invece di farne contenta una. Non provo niente guardando i tuoi occhi, perché loro sono come il padrone. Guardano ed amano per una giornata, un pomeriggio, una misera notte. Questo e niente più. – cerco di riprendere a respirare – Non sento niente perché tu, Sparvieri, non ami e non vuoi essere amato.-
Si allontana, e non vorrei.
Fa cinque passi indietro, e mi pento delle mie parole.
Mi guarda come se volesse sotterrarsi, e lo guardo anche io, come se volessi salvarlo.
- Hai ragione tu, da oggi io e te non abbiamo più niente da dirci. – e dicendo così se ne va, lasciandomi attaccata a questa ringhiera bianca. Da sola.
In fondo era questo che volevo, no?
No.
Nota autrice: Ed eccomi qui.
Spero sul serio che questo capitolo sia stato più convincente, emozionante e ben scritto dell’altro.
C’ho messo tutta me stessa e spero che si sia visto.
Ringrazio nuovamente tutte le persone che mi seguono.
Le anime silenziose e quelle che mi fanno sapere cosa ne pensano.
Ditemi cosa ne pensate.
Baci, Rossa.

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo. ***


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Settimo capitolo.

Non ci parliamo da quel venti settembre ed oggi è dieci novembre.
Un mese e mezzo.
Vorrei chiederti come stai, venire da te, staccarti da quella ragazza che ti sei portato dietro, ma sono momentaneamente seduta al bancone del bar insieme a tuo fratello.  E’ lui che mi ha portata a casa vostra quando sono svenuta, quella notte.
Tu sei qualche tavolo più indietro, troppo impegnato a farti ficcare la lingua di quella in gola. E’ lei quella che è salita sulla moto, con te, al posto mio?
Vi alzate, la prendi per i fianchi, le sorridi e la fai riavvicinare a te.
Ha il seno schiacciato contro il tuo petto e ti sorride.
Lei sa che sapore hanno le tue labbra, tu sai che sapore hanno le sue.
Vaniglia, cioccolato o caffè?
Poco m’importa.
Mi alzo anch’io, non aspetto Filippo, non ci riesco.
Prendo la borsa e rimetto dentro il cellulare.
Non ho più voglia del cappuccino.
Strappo un pezzo di carta dal mio diario e prendo la penna: “Scusa, non riesco a rimanere. Ti chiamo stasera, lo giuro.
A dopo.
Cristal.”
Infilo il biglietto nella tasca del suo giubbotto e penso che sembra la scena di un film.
Una di quella dove i due protagonisti hanno finito di fare sesso da qualche ora, lui si alza e attacca un post-it al frigo dicendo che richiamerà da lì a breve e alla fine non richiama mai.
Vi passo davanti, mentre lei ti morde le labbra.
Non mi volto. Non voglio saperlo se mi hai vista o no, se il mio profumo ti è entrato dentro come un pugno o se ho sfiorato col gomito la tua schiena strizzata in quella camicia.


Corro per tutto il marciapiede.
Non c’è anima viva.
Mi nascondo dietro una panchina, l’acqua inizia a scendere.
Milano vuole mascherare le mie fitte al cuore con la sua pioggia.
Hai notato che anche il cielo sta dalla mia parte mentre tu mi eviti?
Non dovevo allontanarti quel giorno.
Staresti accarezzando me.
Le tue mani sarebbero sui miei fianchi.
La tua fronte sarebbe appoggiata sulla mia.
Sorrido e chiudo gli occhi, mi lascio andare contro la ringhiera e lascio scivolare le mani sul ferro bagnato.
Sento il telefono che vibra, voglio vedere chi è, voglio sperare che sia tu.
Speranze inutili e inadatte contro il mio odio verso di te.
Non sei tu, logico.
Carolina.
Rifiuto la chiamata.
Per favore, Carol, perdonami, non è la giornata giusta, il luogo adatto e non ho la mente abbastanza lucida per ascoltare i tuoi discorsi su scarpe e vestiti.
Magari sei di nuovo in crisi con Lorenzo, ma a consolare, io, ora, non ci riesco.

Tolgo la vibrazione e metto il silenzioso.
Vorrei alzarmi e andare a casa.
Vorrei aiutare mamma a cucinare il piatto preferito di Alex e chiamare papà.
Dirgli di fare il possibile per venire, di passare una serata con noi, di lasciare perdere il lavoro.
Non è tutto.
Invece resto ferma, perché ti vedo dall’altra parte del marciapiede, bagnato come me, seduto come me, e solo come me.
Mi guardi anche tu, ti alzi e ti avvicini. Piano. Con lentezza. Una lentezza stancante e snervante.
Ti fermi non molto lontano da me.
Conto i passi e son cinque.
Che ti costa farli e sederti qui vicino?
Perché devi essere sempre così stronzo?
E’ assurdo, basta, cammina e vieni.

Non lo fai, non ti avvicini.
Mi alzo io con l’intento di andarmene.
Stare in silenzio, a guardarci, con la nebbia che si alza e la pioggia che cade sui nostri corpi, non era il mio progetto per questa giornata.
A dire il vero non volevo vederti.
Pensarti e fissarti durante le lezioni basta a quell’esserino racchiuso nel mio petto, per morire.
Ti accorgi dei miei movimenti e mi precedi.
M’incastri tra il tuo corpo da dio greco e la panchina.
Quasi cadiamo.
Se sbatto la testa e muoio, resuscito solo per farti morire a mia volta e ritornare nella tomba.
- Che ci facevi in quel bar, con mio fratello? – chiedi ed è così tanto che non si rivolgi a me che mi si ferma il respiro.
- Esistono i saluti.- sono fredda e lo sai, non ti aspetti altro, la dolcezza nel mio vocabolario non esiste e hai capito anche questo.
- Non me ne importa un cazzo di salutarti. Vuoi che ti chieda come stai? Bene, dopo lo farò, ma ora dimmi perché eri lì con lui. – sei nervoso, lo vedo e lo sento, ti trema la voce.
- Mi ha portata tuo fratello a casa quella sera, quando sono svenuta e oggi voleva vedermi e parlarmi, ma comunque, non sono affari tuoi. – ti guardo e non mi muovo. Ci sto bene tra le tue braccia, anche se ti dimostro odio.
- Si che sono affari miei! Sei svenuta, perché non me l’hai detto?! Perché mi hai allontanato?! Perché devi sempre complicare tutto?! – mi urli contro e appoggio le mani sul tuo petto.
- Calmati. – sussurro – Tu hai sul serio creduto che io abbia fatto sesso con tuo fratello, Tommaso? Tu sul serio mi credi capace di andare col primo che capita? Quella sera ero in pensiero per te, è colpa tua se mi è venuta l’ansia, è solo colpa tua. -
- No. Io ti ho pregato quella sera, te l’ho chiesto di stare con me, di farmi quel fottutissimo favore e invece niente, te ne sei andata. Non sarei andato veloce come vado di solito, non ti avrei fatto salire il sangue al cervello, non ti avrei fatta morire di paura. Volevo gareggiare, volevo vincere, ma se tu fossi stata dietro di me e ci fosse stato qualche pericolo, sta’ sicura che mi sarei fermato e avrei perso i soldi. – la tua stressa contro la mia schiena s’intensifica.
- Tanto hai fatto amicizia. – una smorfia e tu sembri capire che mi riferisco alla ragazza che prima era con te.
- Ti riferisci a Bianca? E’ una buona amica, fa bene i suoi lavori e bacia bene, tutto qui. – ah, beh.
- E allora che ci stai a fare qui? Vai via e lasciami in pace. Scopati chi vuoi, ma sparisci. – cerco di liberarmi, come due mesi fa e non ci riesco.
- Tu stavolta resti qua e non fai storie. – mi trattieni, sei forte tu.
- Che vuoi ancora da me? Torna ad evitarmi, per favore. – lo dico e non mi credo neanche io, è una bugia.
Non rispondi, mi soffi sulle labbra e sento il tuo respiro caldo su di me.
Profumi di fumo e di un altro odore che non riesco ad identificare. Dolci, forse.
Il tuo naso sfiora il mio, sento il tuo pollice che disegna cerchi immaginari su tutta la mia schiena.
Appoggi le tue labbra sulla mia guancia e scendi piano verso il mento.
Fai la stessa cosa con la guancia sinistra e giungi all’angolo della mia bocca.
Non riesco a trattenermi e sorrido.
Mi dai un leggero bacio su quella parte, prima di porre fine alla tua tortura e di far unire le nostre labbra.
E’ un bacio a stampo, alzi lo sguardo, fai incontrare i nostri occhi.
Cerchi consenso.
Ti accarezzo il viso e , questa volta, ti bacio io.
Mi lecchi le labbra e le schiudo, lascio che la tua lingua incontri la mia, si rincorrono come se fossero due bambini che fanno a gara per chi arriva prima al pacchetto di caramelle.
Ti allontani e ti siedi sulla panchina. Mi siedo affianco a te.
- Baci bene. – dici e scoppio a ridere.
- Anche tu. -


Nota autrice: Ed eccomi qui, di nuovo!
Ho cambiato un po’ il mio modo di scrivere, spero che questo non dispiaccia a nessuno e che, anzi, il capitolo sia migliore di tutti gli altri.
Che ne pensate? Tommaso e Cristal alla fine stanno facendo passi avanti, grandi passi avanti.
Fatemi sapere se vi è piaciuto o se devo cambiare qualcosa.
Baci, Rossa.

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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo. ***


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Ottavo capitolo.

E dopo quel bacio abbiamo preso strade diverse.
Tu sei andato verso casa tua ed io verso la mia.
Mi sei sembrato distante o, forse, lo eri per davvero.
Pensavi a non so cosa.
Io non ti capisco.
Non ci riuscirò mai.
Son tre giorni che non ti vedo, maledetta febbre, maledetto tempo del cazzo che ha fatto piovere, maledetta nebbia che ha nascosto le nostre lingue che giocavano.
Solo le nuvole hanno assistito al nostro bacio.
Solo loro sono testimoni e non mi sembra giusto, io in quel momento ero felice e dovevano vederlo tutti, chiunque stesse passando in quel misero secondo, anche se prima non c’era uno scheletro.
Non vengo a scuola, perché non mi cerchi?
Giochi a far lo stronzo?
Solo ora ricordo che devo ancora chiamare tuo fratello.
Dovrei scusarmi.
E se lo frequentassi, che faresti?
Saresti geloso? Anzi no, la domanda vera è: tu potrai mai essere geloso di una come me?
Hai rivisto Bianca?  Mi torturo le mani da non so quanto pensandoci.
L’hai baciata ancora avendo il mio sapore in bocca? Sono ragionamenti che non dovrei fare, sei libero di incontrare chi vuoi, di sbatterti chi vuoi e di vivere una storia con chi vuoi.
Eppure no, non è vero. Non puoi vedere chi vuoi, non puoi fare quello che ti pare.
I baci sono giuramenti lenti e sussurrati col linguaggio del corpo.
“Io ti bacio per sapere di cosa sa la tua bocca e lo vorrò fare ancora, perché se la voglia m’è venuta una volta, non tarderà ad arrivare una seconda.’’
In teoria dovrebbe essere così, in pratica solo il mio cervello pensa questo.
I baci volano.
Si danno per divertimento come quando si fa sesso.
Nei baci unisci le lingue, nel sesso tutto il corpo.

Chiamo Carolina, non ci riesco più a stare in casa.
- Pronto?! – la sua voce squillante mi perfora i timpani.
- Carol, sono io. – rispondo con voce flebile.
- Oh, mon amour! Come stai? -
- Come una che ha il ciclo e, adesso, pochi decimi di febbre. – rispondo seccata – Tu? -
- Brutta cosa, tesoro, comunque io è da un po’ che discuto parecchio con Lorenzo.. – sento il suo tono di voce calare, capisco la tristezza e la raccolgo, me la metto in tasca.
- Vieni a casa mia? Magari ne parliamo da vicino, ti va? – le chiedo. Voglio farla star bene.
- A patto che non mi passi quel poco di febbre che hai. – sorrido.
- Tranquilla. E poi anche io ho parecchie cose da raccontarti. – rido e riattacco prima che possa rispondere, deve rimanere tutto costudito dentro queste quattro mura e raccontare quello che ci è successo ad un telefono sarebbe banale.

Dopo neanche dieci minuti mi ritrovo Carolina sotto casa, che suona ripetutamente al citofono.
Le apro e apro anche la porta di casa mia.
Mi accoccolo sul divano, aspettando che arrivi e continuo a mangiare i miei biscotti preferiti.
- Oddio! – la sento chiudere la porta ed entrare con quattro buste colorate, che poggia sulla poltrona rosso acceso affianco al divano, – che hai combinato alla faccia, e hai capelli, e al tuo corpo? Quale demone del male anti – moda ti ha conciata così? -
Rido divertita – Il demone del male si chiama febbre a quaranta per tre giorni, Carol. -
- Mi toccherà fare la dottoressa, ho capito. Alla faccia dei pochi decimi. – ride anche lei e scuoto la testa. E’ pazza, incredibilmente pazza.
- Che c’è in quelle buste? – le indico con un cenno della testo, curiosa.
- Uh, ora vedrai! – esclama prendendo la prima busta ed estraendone fuori dei vestitini.
- Li ho comprati ieri! La tristezza mi stava divorando.. – gli occhi le si inumidiscono ed io la guardo incapace di dire qualcosa. Si riprende subito – Allora, che ne dici? -
Inizia a lasciarli sul tavolino ed io ad osservarli bene.
- Uhm, quello blu a fiori gialli è carino, il verde sarebbe migliore con una fascia marrone intonata e quello bianco in pizzo devi regalarmelo. – dico e noto che passa il suo sguardo da quei poveri abiti a me.
- Lo sai che se avessero vita, ti ammazzerebbero? – ride, – A parte questo, il terzo è tuo. – e me lo passa sorridendo.
- Grazie! – le regalo un sorriso e poi lo poggio affianco a me sul divano.
- Beh, che fai? Non lo provi? – chiede stupita.
- Mi scoccia togliere la tuta. – rispondo seccata.
- Alzati e non rompere, Cristal, di febbre ormai ne hai poco o niente, scoprirti un po’, pur rimanendo a casa non ti farà male. – afferma cocciuta più di una bambina.
- Ma non ho voglia, Carol. – piagnucolo e penso che non ho voglia davvero, o meglio, che quello che ha appena detto lei non ha senso.
Non risponde e mi guarda con uno sguardo che significa solo: ‘’muoviti’’, porgendomi il vestito.
Sbuffo e mi alzo , prendendo quel benedetto vestito e portandolo in camera mia con me.
Socchiudo la porta e inizio a sfilarmi gli adorati pantaloni a cavallo basso della mia adorata tuta.
Sento che Carolina parla al telefono con qualcuno, ma non mi interrogo tanto su chi possa essere.
Infilo l’abito e faccio fatica ad allacciarlo.
Da benedetto passa a maledetto.
Dopo dieci minuti buoni riesco finalmente ad allacciarlo, mi dirigo in salotto e vedo che la mia amica si è accomodata sulla piccola poltroncina.
- Allora, come mi sta? – le chiedo facendola voltare verso di me.
- Ohoh! Fai una giravolta. – dice sorridendo e poggiando i gomiti sulle cosce, guardandomi.
Faccio come ha detto lei e poi la guardo senza proferir parola.
- Sei magnifica, prova ad abbinarci il charleston nero. – continua a guardarmi ed io continuo a torturarmi la guancia.
- Dovrei tornare in camera?! – le lancio uno sguardo che di pacifico ha ben poco.
- Tanto dovresti tornarci lo stesso per togliertelo, quindi.
Stringo i pungi e ritorno al piano superiore della casa.
Suonano al campanello e non faccio in tempo ad allacciare i tacchi.
Sento Carol che urla un ‘’Vado io, fai con calma tu!’’ e non mi preoccupo più di tanto, ritorno ad esser calma.

La mia serenità svanisce quando scendendo le scale vedo appoggiato alla porta d’ingresso Tommaso.
- Vedi?! Coi tacchi va molto meglio! – esclama Carolina, ma non l’ascolto, sono in uno stato ipnotico dettato dagli occhi di Sparvieri che passa il suo sguardo su tutto il mio corpo, incendiandomi.
Deglutisco e scendo piano le scale, ho quasi paura ad avvicinarmi e sono a casa mia.
- Cris, scusa se non ti ho avvertito del fatto che sarebbero stati qui, ma ho ricevuto una chiamata poco fa da Lorenzo e..-
- No, tranquilla Car, va benissimo così. – le sorrido e non le faccio pesare la cosa, non voglio – Ciao Lorenzo, ciao.. Tommaso. – regalo un sorriso ad entrambi. Il primo vero, il secondo falso.
Ricambiano il saluto e intanto ci sediamo sul divano.
Cerco di tenere le distanze da quella sottospecie d’essere umano che ragiona come un alieno.
Lorenzo e Carolina si guardano, lui le ha dato la mano, lei ha accavallato le gambe.
Stanno cercando di rimettere al loro posto le cose, anche se sanno che è difficile, dopo tradimenti vari da parte di lui e sfuriate con sguardi quasi maniacali da parte di lei.
Io, per il canto mio, non mi sono mai messa in mezzo.
Penso che l’amore non faccia per me o magari io non faccio per lui, ma ogni tentativo fatto per avvicinarmi a questo tipo di sentimento è sempre andato in fumo.
Sposto il mio sguardo su Tommaso.
Vorrei chiedergli: ‘’Ma ti sono mancata?” e intanto mi do della stupida per averci anche lontanamente pensato.
Lui mantiene i suoi occhi fissi sulle mie gambe, facendoli risalire piano verso la pancia, il seno, il collo e infine li incatena ai miei.
Ho caldo e penso che il freddo provato per la febbre in questi giorni è completamente svanito.
Dio, basta con quello sguardo affamato, sembra che voglia stuprarmi.
Non ha mai visto una ragazza con le spalle e le gambe scoperte?!
L’odio ricomincia a salire.
- Scusatemi, devo andare a controllare una cosa. – rompo il silenzio mentre Lorenzo annuisce e Carolina lo imita.
Non guardo come reagisce lui, mi dirigo verso la fine del corridoio e mi rifugio nella camera dei miei.

Mi siedo sul letto e riprendo il respiro.
Sciolgo i capelli dal mio tupè e li lascio liberi lungo tutta la schiena. Dovrei lavarli.
- Perché non sei venuta a scuola? – non mi sono accorta della sua presenza e sussulto sentendo la sua voce.
- Che ci fai tu qui? – chiedo poggiando una mano sul petto per lo spavento preso.
- Ti ho seguito e tu non hai risposto. – ribatte scocciato e guardandosi intorno.
- Ho avuto la febbre alta, tutto qui. – lo vedo avvicinarsi.
- Stai meglio? – sembra preoccupato e pensandoci mi viene solo da ridere, perché lui non potrà mai essere veramente preoccupato per me, per Cristal Lucrezi.
- Si, abbastanza, grazie. – rispondo alzandomi e notando che è più vicino di quanto pensassi – Beh, io andrei. – affermo mentre cerco di scansarlo.
Lui in tutta risposta si rimette davanti alla porta bloccandomi il passaggio, ancora.
- Se non ti spiace, dovrei passare. – incrocio le braccia al petto e aspetto che sia lui a fare la prossima mossa.
- Se non ti spiace, vorrei parlare. – risponde guardandomi  serio come non lo era stato mai.
- Io non credo d’aver bisogno di dirti qualcosa. – ed è vero, non ho niente da dirgli.
- Ah no? Neanche parlare di quello che è successo? – so già a cosa si riferisce, ma voglio giocare un po’.
- Perché, è successo qualcosa, Tomasso? – calco bene il suo nome e mi diverto a vederlo così scuro in volto.
Fa qualche passo e in un attimo è vicino a me, con le nocche delle dita che sfiorano la mia guancia.
- Il bacio, Cristal, il bacio. – cerco di trattenere il sorriso. Perché dopo tre giorni viene a casa mia col suo amichetto e vuole parlare del bacio? Poteva chiamarmi, oppure fermarmi per parlarne quella sera stessa.
- Che dovremmo dirci sul bacio che c’è stato? – guardo i suoi occhi verdi e credo che sia un grosso sbaglio.
- Non lo so, dimmi tu. – appoggia la mano sulla mia spalla facendola scorrere su tutta la lunghezza del mio braccio.
- Io ti odio come prima. – rispondo seccata e scostandomi; non voglio riceverle le sue carezze.
- Mi odi e allo stesso tempo sei gelosa di Bianca? – sulle sue labbra compare il suo solito ghigno divertito ed io scuoto la testa.
- Non sono gelosa di nessuno. – la mia voce esce più ferma di quanto avrei mai potuto immaginare.
- Davvero? – avvicina le sue labbra al mio orecchio, - quindi se ti dico che, oltre a baciare bene, è brava anche a fare altro, non te la prendi? – sorride, ne son sicura, e so perfettamente a quale altro si riferisce.
- E perché dovrei? Non sei fidanzato di certo con me. Piuttosto dovrebbe preoccuparsi la tua puttana di turno. – sento che si irrigidisce, leva la mano e mi guarda negli occhi.
- Alla mia puttana di turno – ripete le mie stesse parole, lo stronzo – va bene così. -
Rido isterica – Meglio per lei. -
Ora che abbiam messo le distanze riesco a superarlo velocemente e a raggiungere gli altri in salotto.

Trovo Carolina e Lorenzo che si baciano e mi viene il disgusto.
Basta amoreggiare in casa mia, anzi, basta con l’amore e punto.
Mi lascio andare contro lo schienale del secondo divano e chiudo gli occhi.
Spero che tutti e tre se ne vadano presto da casa mia.


Nota autrice: Ed è arrivato anche l’ottavo capitolo!
Che ve ne sembra? Forse è piuttosto sciocco e ricambiare di nuovo può scombussolare qualcuno, solo che con l’altro alla fin fine non mi son trovata poi tanto bene.
Beh, io spero che vi piaccia come sempre e che la lettura sia scorrevole e piacevole.
Un bacio a tutti, Rossa.

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Capitolo 9
*** Nono capitolo. ***


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Nono capitolo.

Io e Tommaso abbiamo lasciato le cose al pomeriggio di due giorni fa.
Ieri si è assentato, non so per quale motivo, ma poco m’importa saperlo.
Mento, mento anche a me stessa, ma sono certa che non sia venuto per noia o per una semplice febbre.
Potrei avergliela passata io, quando è venuto in camera dei miei, quando si è avvicinato a me, quando mi ha sussurrato all’orecchio quelle parole.

- Perché? E’ successo qualcosa, Tommaso? -
- Il bacio, Cristal, il bacio.


Il bacio, Tommaso, il bacio.
Non lo capirà mai quanto mi mancano le sue labbra.
Due minuti in cui hanno danzato con le mie e già sono dipendenza.


Tutto gira intorno a lui, e allora basta, decido di staccare.
Salgo sul pullman, mi siedo nell’ultima fila di sedili, in fondo, metto le cuffiette e lascio che ‘’on fire’’ mi culli, infilando le mani nelle tasche laterali del mio giubbotto in pelle.
Mi guardo intorno. Una volta fuori dal finestrino, l’altra osservo come un ragazzo si alzi sbuffando, lasciando il posto ad una vecchietta, o due ragazzi innamorati, seduti poco più avanti di me, a destra, che si stringono le mani e giocano l’una con il pollice dell’altro.
Son belli.
Mi piace l’amore.
Quello vissuto, quello che ti passa, trapassa, sorpassa e poi si ferma, torna indietro oppure gli corri appresso come quando perdi l’autobus e sai che il ritardo non puoi permettertelo, non oggi, perché hai quella stronza della Desio, prof di lettere, alla prima ora e lei come minimo ti mette nota sul registro e ti lascio fuori dalla porta, al gelo perché il bidello deve tenere necessariamente le finestre aperte, anche d’inverno, e come un coglione, a guardare chi passeggia per il corridoio avendo già noia dopo appena dieci minuti di lezione.
Mi piace l’amore, ma a volte lo odio, perché mi manda in tilt il cervello quando vedo Tommaso, anche se cerco di convincermi che sia solo un’infatuazione, perché io non posso e non devo essere innamorata di uno come lui.
Vogliono solo una cosa i ragazzi così.
Quelli prepotenti, scontrosi, abbastanza vulnerabili, che ti girano la frittata durante una discussione e che ti rinfacciano tutto.
Vogliono solo l’affetto, ma io non credo d’essere la persona adatta per dare affetto a quel cavernicolo.
Non sarò mai in grado di farlo sentire amato, protetto come una madre protegge un figlio e cullato dalle carezze.
E lui non farà sentire amata me.
Ha Bianca, le tipe del primo che gli sbavano dietro come delle piccole cagnoline in calore e  poi quelle del secondo, del terzo, alcune del quarto e, infine, tutta la mia classe, esclusi maschi e Carolina, che lo considera un ‘’carciofo’’, come dice lei.

Sono immersa nei miei pensieri e non mi accorgo che accanto a me c’è qualcuno fin quando non sento scivolar via dall’orecchio destro la cuffietta.
Mi volto quasi spaventata e sono sollevata nel sapere che è solo Carol.
- Dio, ancora con ‘sta roba, Crì? – mi domanda sbuffando.
- Si, Car, ancora con ‘sta roba, che a me piace. – alzo di poco il viso e noto che davanti a noi son salite Elisa e Caterina.
Troia uno e troia due. In pratica.
Elisa sta con Marco Verdana e Caterina con Gabriele Sferrato, mentre io mi chiedo chi sia più cornuto dell’altro.
- Ma guarda chi c’è, la ragazza dei sogni. – mi ‘’saluta’’ con un sorrisetto ironico Caterina.
- Ma guarda chi c’è, la tipetta che ce l’ha larga. – ribatto. Io l’ho sempre detto che di prima mattina nessuno, e dico nessuno, deve rivolgermi la parola.
- Siamo scontrose, eh? – domanda Elisa.
- Fin troppo. – ride l’oca affianco a lei – dovremmo darci una calmata, non è vero Crì  crì?-
- Crì crì ci chiami tua nonna e la calmata te la do io, a suon di pali in testa, ‘ché da altre parti ci pensa il tuo ragazzo. – mi alzo nervosa da quel sedile e lancio un’occhiata a Carolina che mi guarda sbigottita.
Le faccio cenno di seguirmi e scendiamo non appena l’autobus si ferma.


Attraversiamo il cancello della scuola e ci affrettiamo ad entrare.
A furia di correre su e giù per i piani di questo immenso edificio son sicura che qualche chilo lo perdo.
Entriamo in classe ed io noto che in mezzo a tutti i miei compagni che si lanciano palline o che giocano seduti sui banchi, lui non c’è.
Assente, anche oggi.
Sospiro e faccio lo slalom tra i banchi, mi siedo al solito posto e chiedo a Carol di sedersi vicino  a me.
- Mi vuoi dire che ti è preso? – mi sussurra appena entra in classe la prof.
- Niente, sono nervosa oggi. – arriccio il naso e caccio fuori i libri.
- Nervosa è dir poco. Avanti, che hai? – mi domanda continuando a fissarmi.
- Ho detto niente. – rispondo scocciata – sai per caso che fine ha fatto Sparvieri? – mi mordo immediatamente la lingua, pensando che forse non avrei dovuto chiedere niente.
- Seriamente non lo sai, broccola? – mi guarda stupido.
Smetto di disegnare la copertina plastificata del libro di latino e la guardo – Sapere cosa? -
- Tommaso ha fatto un incidente, dopo essersene andato da casa sua. -
Rimango pietrificata.
Non rispondo.
Lascio che il respiro si blocchi e stringo la penna tra le dita.
- Oh? Cristal, ci sei? – mi sventola una mano davanti gli occhi, togliendola subito per non farsi beccare.
- Io.. io.. Tommaso..  in quale ospedale è? – mi mordo forte le labbra, trattengo le lacrime. Semplice febbre un cazzo!
- Quello a due passi dal Mc. – mi guarda preoccupata – che c’è? Che hai? Sembra che hai visto un alieno. -
Faccio un respiro profondo e scuoto la testa.
- Andrò a trovarlo.-
Chiudiamo così il discorso, non riprendendolo più per le seguenti quattro ore.


Ore 13. 10
Sono fuori da un’ora e da esattamente un’ora mi torturo le mani.
Ci vado o non ci vado?
Forse scoppierei a piangere, quindi meglio evitare.. ma sarei una stronza. Devo andarci. Devo vederlo. Devo dirglielo quant’è coglione e quante vite ho perso per colpa sua, manco fossi un gatto.
Mi alzo e rimetto il giubbotto, stringo i pugni lungo i fianchi e m’incammino verso l’ospedale.


C’arrivo dopo poco e dopo una fila quasi interminabile chiedo all’infermiera in quale stanza si trova il mio ‘’compagno di banco’’, facendo nome e cognome.
- Lei è un parente? Altrimenti non può entrare. -
- Sono la sorella. – e bugia più idiota non potevo dirla.
M’accompagna fino alla sua stanza e apre la porta per poi andarsene con un: ‘’vi lascio soli.’’
Mi avvicino piano al letto e lo vedo.
E’ lì, davanti a me, che dorme come un bambino, beato e con la testa fra mille sogni.
Poggio la tracolla a terra e mi siedo su una poltroncina lì vicina.
Gli scosto i capelli scompigliati e sudati dal viso e sorrido.
- Guarda Tommaso, guarda che idiota sei per ritrovarti in un lettino d’ospedale ridotto così. – sussurro e abbasso la testa, lasciando scivolare lenta una lacrima sulla guancia.
Svaniscono subito però, le lacrime, il cuore che batte piano. Sento la sua voce chiamarmi.
- Lucrezi? – domanda e, per la prima volta, penso che il mio cognome sia fantastico. Alzo il viso e lo guardo, gli sorrido.
- Che ci fai tu qui? -  chiede ancora sistemandosi per bene sul letto.
- Sono venuta a vedere come te la passi, rompipalle.- giro gli occhi per non incontrare i suoi.
- Ma fanno entrare solo i parenti o sbaglio? – mi guarda confuso – Mica ti sei passata per mia madre o per mia zia? -
- No, per tua sorella. – lo guardo truce. – La botta in testa devi averla presa davvero forte.
Scoppia a ridere.
- Per mia sorella?!- ride ancora – Davvero?!-
- Smettila! Dovevo vederti. – confesso e sento le guance in fiamme.
- Come mai? -
- Perché mi sono preoccupata, imbecille! Che cazzo hai fatto uscito da casa mia? Quanti cannoni ti sei buttato giù? Quante birre hai bevuto?! – mi verrebbe da dargli un pugno in faccia. Non dovrebbe essere qui.
- Cristal, calmati. – mi prende una mano e intreccia le sue dita con le mie.
- Come faccio a calmarmi?!- rispondo esasperata, lasciandomi andare al mio pianto isterico, già previsto – Non dovresti starci qua! -
- Basta, ok? Sdraiati affianco a me e sta’ un po’ zitta. – stringe le sue dita con le mie.
Faccio quanto mi è stato detto e non c’è sensazione più bella che sentirsi abbracciati da lui.
- Sei un idiota, Sparvieri. – strofino il mio viso contro il palmo della sua mano, come un gatto che fa le fusa.
- E tu una paranoica, Lucrezi. – ride fra i miei capelli ed io chiudo gli occhi, mi volto e gli lascio un tenero bacio sulle labbra.
- Cos’era questo? – mi domanda.
- Non lo so, dimmelo tu.
- Uhm, un miscuglio tra miele e pastina d’ospedale. – ride ed io lo bacio ancora.
- Ripeto che sei un idiota.- dico scuotendo la testa.
- E tu sai di buono. – risponde passando due dita sui miei occhi.


Nota autrice: sono tornata, dopo un po’, ma sono qui! Alla fine sono riuscita a pubblicare prima della fine del mese, fortunatamente.
Mi dispiace per l’assenza, ma tra la scuola iniziata tre giorni fa e già le relazioni scritte che devo fare, è un casino e il tempo per aggiornare spesso non basta.
Ringrazio quelli che mi seguono in silenzio e quelli che commentano sempre.
Siete le mie piccole anime, a parer mio, bellissime.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Alla prossima.
Baci, Rossa!

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Capitolo 10
*** Decimo capitolo. ***


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Decimo capitolo.

E’ la terza ora, che passo a scuola, del 23 novembre.
Tommaso è uscito dall’ospedale più o meno una settimana fa.
Abbiamo passato questi giorni a ridere e scherzare come due persone civili, durante le lezioni, perché fuori diventavamo due sconosciuti.
Non ci siam mai salutati fuori dalla scuola. Ne’ un ‘’ciao’’, e neanche un cenno con la testa.
Niente mani che sventolano per aria come quando aspetti la persona che ami all’aeroporto e per farti notare alzi entrambe le braccia, muovendo energicamente le mani.
Non riesco a capire che razza di rapporto abbiamo, tanto meno cosa pensi lui di me.
Per me rimane un idiota, o almeno, questo è quello che lascio credere agli altri.
Ha due occhi che incanterebbero chiunque, e amo la sua voce quando sussurra il mio nome.
Mi passo una mano tra i capelli dandomi della stupida, da quando faccio discorsi così banali e idioti, scontati e poco ragionevoli?
..da quando sei innamorata, ripete una vocina insistente dentro la mia testa. Innamorata. Io. Cristal Lucrezi.
Per l’amor di Dio, non scherziamo. E’ solo una cotta, che va avanti da quasi due mesi, si, ma solo una cotta passeggera.
Quando arriva il tuo aereo, così prendi il volo e sparisci, mettendo nelle tue valige anche il volto di Sparvieri, insieme alle sue labbra, ai suoi capelli arruffati e al suo broncio tenero come quello di un bambino quando non ottiene qualcosa?
Un bambino, appunto.
Cristal, capiscilo, non fa per te.
Sbuffo e alzo gli occhi dal pavimento, guardando Carolina che da più di dieci minuti cerca con lo sguardo Lorenzo.
Parla, cazzo, parla Carol!
Parlo io, ho capito, soluzione trovata, - L’hai trovato? – domando guardandola perplessa.
- No.- alza le spalle sbuffando – aveva detto di incontrarci davanti ai bagni, ci siamo passate tre volte là davanti e lui non c’è! – esclama esasperata.
- Più quattro giri per il corridoio, una corsa giù per le scale. Ci manca solo il cortile e poi puoi fare i cartelloni con scritto: Lorenzo Carvelli perso tra le aule della scuola oppure scappato dalla finestra durante l’ora della Desio? – la sfotto ridendole anche in faccia.
Mi riserva uno sguardo maligno – Smettila di ridere tu, io sono preoccupata. – incrocia le braccia al petto - ..proviamo a vedere se è in infermeria?  Magari si è..-
- Si è cosa? Rotto una gamba durante una verifica di inglese oppure buttato giù durante l’ora di Gandalf? – la guardo scuotendo la testa – Ascoltami, lo incontreremo all’uscita dalla scuola, perché non può essere scappato davvero, per ora facciamo un ultimo giro giù nel cortile, prima che suoni la campanella segnando altre due ore che potrebbero portarci al suicidio. – Carolina prova a ribattere, ma le prendo una mano e la tiro via da quel via vai che c’è vicino le macchinette, scendendo velocemente le scale verdi di una scuola all’esterno bianca e all’interno marrone.
Usciamo fuori e riempio i polmoni d’aria fresca e pungente, probabilmente a breve pioverà e sentendo freddo cerco di avvolgermi il più possibile dentro il mio maglioncino blu, rigorosamente largo e soffice al tatto.
- Che non ho mai ottenuto abbastanza e se mando un bacio al cielo, lui non me lo rimanda..* – canticchia Carol.
- Che non ho mai ottenuto abbastanza, se penso a quello che volevo io in verità. – continuo al posto suo sorridendo.
Mi sorride anche lei e vedo i suoi occhi illuminarsi non appena davanti a noi si presenta la figura di Lorenzo che scherza coi suoi amici. Tommaso incluso, s’intende.
Si rabbuia subito, però e mi sussurra un: - Da quando ridere con loro è più importante di incontrare e passare dieci minuti con me? – la guardo e la vedo delusa.
- Amore! – sentiamo una voce nella nostra direzione e logicamente è del cretino numero due.
Carolina sposta lo sguardo da me a lui e stringe forte i denti per non sputargli fuori un sacco di insulti, e so per certo che si sta trattenendo tanto quanto me, solo che io lo prenderei a calci in culo, facendogli ballare salsa, baciata, cha-cha-cha e tango a suon di bastonate in testa, lei il massimo che potrebbe fare è prenderlo a parole, sputtanarlo davanti a tutti, passando però per la stupida e tornandolo a baciare dopo neanche tre minuti.
Meglio la mia idea, si, molto meglio.
- Amore dici? – risponde lei. Che la mia previsione si stia avverando?
Lorenzo sembra capire al volo perché ci corre in contro e appoggia le mani sulle spalle di lei: - Scusami. – sussurra prima di baciarla, - Volevo avvisarti, ma non me ne hanno lasciato il tempo e il modo – continua il suo patetico discorso indicando, in fine, Marco Vergata, Gabriele Sferrato, Tommaso e un altro biondino che non avevo mai visto nel loro gruppo.
- Si, certo. – risponde Carol, facendo un respiro profondo e ritrovando la calma – Prova a non farti trovare un’altra volta, e a farmi passare le pene dell’inferno come oggi, e giuro che finisci male.
- A causa mia. – m’intrometto nel discorso – Inseguendo la tua ragazza e facendomi il giro di tutto l’istituto, avrò perso almeno dieci chili, quindi stai attento, molto attento, perché finisci in ospedale e sai che non scherzo. – lo guardo male portandomi le mani sui fianchi.
- Gentile come uno spillo nel culo, Crì. – ride, per poi schioccarmi un sonoro bacio sulla guancia.
- Ringrazia tutti i santi, perché oggi ti è andata proprio bene. – scuoto la testa sorridendo.
- Ok, avete finito voi due? – domanda la mia amica affianco a me.
- Sei gelosa? – le domanda Lorenzo e riprendono molto velocemente a baciarsi.
Io, da parte mia, sto rimanendo disgustata.
- Smettetela, traumatizzate i primini! – urla un Marco arrogante, che mi fa anche ridere.
Noto che Tommaso non è più con loro. Non do molto peso alla cosa, m’incammino soltanto verso un albero di pino poco distante, per sedermi a terra e guardare la vita degli altri che scorre veloce sotto i miei occhi.
Arrivo, ma non trovo la tranquillità che cercavo.
Vedo uno Sparvieri che venera le labbra della ragazza del bar, Bianca, e per venerare intendo dire che ci da proprio dentro tra leccate, morsi e poi un continuo del tutto dolce.
Lascio che la scena passi velocemente davanti a me per poi memorizzarla ed incastrarla nella memoria.
La ragazza si stacca per riprendere fiato e lui appoggia la sua fronte sulla sua.
Bianca si accorge di me e con un finto colpo di tosse fa girare anche lui nella mia direzione.
- Non volevo interrompere niente, scusatemi. – è un sussurro così flebile il mio che ho quasi paura che la mia voce non sia arrivata anche a loro.
Mi volto velocemente e faccio la strada precedente, andando a sbattere contro qualcuno.
Sollevo la testa e chiedo scusa al biondino che ho intravisto prima.
- Scusa. – faccio un piccolo sorriso, pronta a continuare la mia marcia.
Purtroppo per me il biondo mi trattiene per un braccio – Ti sei fatta male? – scuoto la testa energicamente come risposta alla sua domanda – Va bene, io comunque sono Mattia. – un altro piccolo sorriso e poi l’urlo della campanella che segna l’inizio delle ultime due ore.
- Cristal! – urlo liberandomi dalla sua stretta  e correndo verso l’entrata.
Corro velocemente verso l’ora di religione. Corro e scappo dallo sguardo insistente di Tommaso sulla mia schiena.
Entro dentro e salgo le scale con estrema fretta, arrivando davanti la mia classe e dirigendomi al mio posto senza fiatare.


Pov Tommaso.

Ho sentito il sangue ribollire nelle vene quando Mattia  l’ha presa per un braccio, per non parlare di quando lei gli ha sorriso.
E l’ho vista sparire velocemente dalla mia visuale.
Correva via, e so per certo che lei dopo lo strillo della campana si prende almeno altri cinque minuti prima di rientrare nell’aula.
Dio, ma perché deve arrivare sempre nei momenti meno opportuni? E perché ho provato quella strana sensazione al centro dello stomaco quando si è fermata per parlare con  Mattia? Bruciava forte, cazzo. Lei ha occhi gentili per tutti e un sorriso capace di devastare chiunque, ma i suoi occhi e il suo sorriso devono essere solo per me.
Merda, ancora.
Quando ha sussurrato le sue scuse e ha puntato il suo sguardo verso di me, ho visto attraversare quel verde acceso un sentimento non ancora identificato. Sembrava ferita e delusa, ma tutto ciò non è possibile, perché lei non prova niente per me. Cristal non può provare niente per me.
Insomma, mi sembra così idiota anche pensarlo.
Siamo incompatibili, però avrei voluto fermarla, avrei voluto darle spiegazioni, ed invece è stata più veloce di non so che, è scomparsa letteralmente dal mio campo visivo ed io non ho potuto farci niente.
Rientro in classe anche io e la vedo.
E’ lì, seduta al suo banco, che alla fin fine è quello affianco al mio, e sorrido, perché anche se ora come ora son certo che mi disgusta, posso averla vicina, almeno così.
- Vuole sedersi, Sparvieri, o preferisce ascoltare la lezione in piedi? – mi chiede falsamente gentile il professore di religione.
- Scusi, prof. – mi accorgo solo ora di esser rimasto con lo sguardo posato su di lei e vado a sedermi.
Passo metà lezione a fissarla, mentre lei non mi rivolge nemmeno uno sguardo.
Uno. Mi basterebbe, anzi, cercherei di farmelo bastare.
Mi mordo l’interno della guancia ascoltando distrattamente la lettura del prof Petrelli e, guardando davanti a me, poggio una mano sulla sua coscia.
La vedo sussultare e alzare di scatto la testa dal libro.
Cerco di trattenere il sorriso sghembo che vuole prendere spazio sul mio volto ed inizio ad accarezzarla piano.
Punto due dita e le faccio camminare sulla sua gamba, come se fossero un piccolo soldatino in marcia.
Osservo le sue labbra piegarsi verso i denti e poi sento le sue unghie sulla mia mano.
Si conficcano dentro ed escono poco dopo, lasciando che le sue dita levino malamente le mie dita.
Scuoto la testa e ricomincio a ‘’seguire’’ la lezione, passando in questo stato anche l’ultima.
All’ultimo vedo Cristal che prepara velocemente lo zaino, per svanire via come un paio d’ore prima.
Fortunatamente per me, ho abbastanza velocità nelle gambe, così tanto che riesco a raggiungerla all’uscita e a fermarla prima che entri nell’autobus.
- Possiamo parlare? – le domando attirandola a me.
- Non mi sembra ci sia qualcosa da dire. – cerca di liberarsi inutilmente e allora mollo io la presa, lasciandola andare via.
Domani parleremo. Ne puoi star sicura, Lucrezi.


Nota autrice: Decimo capitolo! Ci sono arrivata, piano, molto piano, ma sto qua.
Avete anche visto il punto di vista del nostro caro Sparvieri e spero che non sia stato deludente.
Spero che la lettura sia scorrevole ed emozionante, in qualche modo.
Alla prossima, Rossa.

*Briga - In rotta per perdere te.

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Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo. ***


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Undicesimo capitolo.

Stronzo, menefreghista, egoista, presuntuoso, arrogante,  egocentrico e maledettamente bello.
Sono seduta, sul mio letto dalle coperte bianche e circondata da mura azzurre, da più o meno un’ora e ciò che riesco a pensare è solo e semplicemente il volto di quel coglione.
Mi compare ad ogni pagina che giro.
Neanche la Carcasi, e il suo romanzo ‘’Ma le stelle quante sono ‘’, riescono a salvarmi.
Neanche Carlo e Alice sono capaci di portarmi in tutt’altra dimensione, loro, che l’amore l’hanno respirato a pieni polmoni, ogni giorno, per cinque anni, senza accorgersene, per poi ritrovarsi insieme, a diplomarsi e ad andare nella stessa università.
Vorrei trasformarmi in un’Alice e far comparire davanti a me Tommaso in versione Carlo, e invece mi chiamo Cristal, sono emotivamente instabile e Sparvieri soffre di personalità multipla.
Mi passo una mano tra i capelli, riavviandoli, e mi chiedo: ma come ci riesce ad essere così coinvolto con me, quando mi bacia, quando mi guarda, quando sembra che voglia leggermi l’anima attraverso uno sguardo e poi baciare lei, così, come se niente fosse?
Che doppiogiochista sei, Tommaso Sparvieri? E quante altre volte vorrai fare così?
Mi mordo le labbra nervosamente e apro l’armadio, devo cambiarmi.
Devo togliermi questi vestiti, questi jeans che hanno sentito la sua mano posarsi sopra di loro e questo maglione che ha sentito la presa dura e decisa di lui quando cercavo di scappare, confondendomi tra la folla.
Afferro una felpa grigia con varie scritte bianche sparse qua e là  e i pantaloni di una tuta a cavallo basso neri, raccolgo i capelli in una coda, oltre tutto uscita male, e infilo delle scarpette da ginnastica.
Tracolla sulla spalla destra, occhiali da sole per coprire i miei occhi gonfi dalla flebile luce del sole, caratteristica di Novembre, e una passata di burro cacao classico sulle labbra.
Scendo velocemente le scale del condominio in cui vivo, spento pure lui, situato al centro di una grande città come Milano, che potrebbe sembrare un qualcosa di fantastico, un posto pieno di possibilità e invece  rivelarsi un’insulsa e patetica gabbia di matti, dove vivere è più complicato di quanto possa mai immaginare chiunque.
Sento il freddo entrarmi fin dentro le ossa, chiudo le mani a pugno e penso che forse prendere una sciarpa sarebbe stato opportuno, ma non ci sto troppo su con la testa e cerco di guardare il lato ‘’positivo’’ della cosa: almeno se prendo la febbre avrò la scusa per non incontrarlo a scuola, per non avercelo accanto durante le lezioni e ritrovarmelo davanti alla macchinette con i suoi amici, più o meno idioti come lui. Ok, senza il più o meno.
Parli del diavolo e spuntano le corna, dice il detto, ed è proprio così, solo che di fronte a me ho due diavoli, amici del ‘’diavolo superiore’’.
- Ma allora esci anche tu di casa, Lucrezi! – mi saluta in un modo tutt’altro che carino un Marco, impegnato a fumare una sigaretta mezza spenta a causa del vento che soffia.
- Dovrei per caso restare a casa, Verdana? – ribatto incrociando le braccia al petto.
- No no, anzi, mi diverte vederti in giro. – butta la cicca a terra e butta fuori quel poco fumo trattenuto.
- Ma dai, davvero ti diverte?  Uhm, fammi pensare, dovrei chiederti come mai, ma
sinceramente poco m’importa. – faccio una finta faccia dispiaciuta.
- Dovresti imparare a cogliere le battute. – dice mentre mi riserve un sorriso sadico.
- Quella la chiami battuta? Non ha fatto ridere nessuno, neanche il tuo amico qui affianco, e quello che dovrebbe imparare a fare qualcosa qui sei tu. -
- Cioè cosa? – domanda con lo sguardo di chi lancia una sfida.
Mi avvicino a lui e mi compiaccio vedendo che il mio gesto lo stupisce, e non poco.
- Per esempio a tacere, Verdana. La mamma non te l’ha mai detto che è poco educato rivolgersi come fai tu ad una signorina? – gli sussurro le parole in un orecchio, poggiando le mani sulle sue braccia, per poi iniziare a camminare velocemente, trattenendo a stento un sorriso vittorioso che cerca di comparire sulle labbra.
Mi sembra strano che Gabriele Sferrato sia rimasto a gustarsi la scena vedendo il suo migliore amico in netta difficoltà, ma forse, pensandoci bene, quest’ultimo dei tre è il più giusto, per così dire.
In ogni caso, Cristal 1, coglioni 0.

Mi siedo su una panchina piazzata al centro del parco e incrocio le gambe all’indiana su essa.
Davanti a me c’è il laghetto delle anatre e delle papere, sorrido. Ricordo benissimo quando papà mi portava in giro, di domenica, con la bicicletta, e attaccata al manubrio aveva una busta piena di pezzi di pane duro che sarebbero finiti, inevitabilmente, nella pancia già gonfia di quegli animali che avevo sempre considerato strani e che, per certi versi, mi incutevano terrore la maggior parte delle volte.
Al posto mio, che adesso ho diciassette anni, a giocare con le papere ci stanno altre bambine e altri papà che non sanno veramente cosa li aspetta e, magari, non capiranno mai le vere difficoltà del crescere una famiglia, con tutti i problemi possibili e immaginabili.
Mi vien da pensare alla mia, di famiglia.
A mia madre, che cucinava ogni sabato, come se fosse un rito, le lasagne e a mio fratello, che correva giù dalle scale, spesse volte rischiando di farsi male.
Al mio, di papà, che anche se assente quasi sempre, lascia la sua scia di profumo per la casa e mi regala le sue camice vecchie, quelle con cui mi piace dormire, quelle che mi abbracciano nelle notti d’inverno, quando mi sento troppo sola e triste anche per fare sorrisi falsi, quelle che mi accolgono e stringono il mio corpo insieme alle coperte, prendendo il posto di qualcun altro.
Amo la mia famiglia, nonostante sia divisa e non più unita come prima, nonostante corra ogni giorno verso una meta indefinita, e ancora, amo la mia famiglia, perché riesce a cavarsela, in un modo o in un altro, con tutti i ‘’se’’, i ‘’ma’’, i ‘’però’’, i ‘’lasciamo stare’’ e i ‘’rinunciamo  a questo’’ che ci possano essere e che ci sono.
Sorrido amaramente e sento il retrogusto cattivo dei ricordi farsi strada dentro di me.
Guardo una bambina che sta a terra, appena caduta, che osserva le piccole manine piene di sassi e che se li scrolla di dosso come niente, iniziando a piangere, però, appena nota il sangue che scorre fuori dal suo ginocchio.
Prendo la borsa e mi avvicino lentamente, perché appena alza lo sguardo per incontrare i miei occhi vedo la paura attraversarli. La paura degli sconosciuti che tutti i genitori fanno crescere nelle anime innocenti e ingenue dei loro figli.
‘’Arriverà il lupo nero e ti mangerà!’’, ed inizi ad aver paura del buio.
‘’Quel bimbo non vuole giocare con te perché è uno stupidino’’, ma solo dopo capirai che oltre ad essere stupido, quel bambino, è stato anche stronzo con te.
Slego i capelli e sposto una ciocca dietro l’orecchio, le porgo la mano:
- Il mio nome è Cristal. – le sorrido dolcemente e la sua fronte si rilassa, allontanando la paura momentanea.
- Io mi chiamo Sofia! – esclama la bimba pimpante e afferrando la mia mano con una velocità assurda.
Le sorrido nuovamente, - Ti sei fatta male, Sofia? – le chiedo fissando il suo ginocchio insanguinato.
- Un pochino si. – il suo sguardo s’incupisce di nuovo – ma solo un pochino, sono una bambina forte io! – afferma facendo rituffare i suoi occhi nei miei e parandomi davanti le sue dita piccole che segnano il suo livello di dolore.
- Forse è meglio cercare di pulire la ferita, almeno un po’ – sorrido – non sei d’accordo? -
- Si, ma come facciamo? La mamma non c’è e il mio fratellone è scomparso. Non ci sono neanche i cerotti con gli orsacchiotti! – esclama piegando le labbra in modo strano, scatenando in me una risata.
La prendo in braccio e la poggio piano sulla panchina dove poco prima sedevo io.
- Facciamo così, io provo a far diventare il mio fazzoletto in un cerotto magico – dico estraendone uno dal pacchetto di fazzoletti che si trovava dentro la tracolla – lo bagno un po’ e poi lo metto sulla bua, va bene? – passo un pollice sul suo viso e sorrido non appena vedo che fa un segno positivo con la testa.
Mi incammino verso una fontanella lì vicino, bagno il pezzetto di carta quanto basta e lo stringo tra le mani tornando da Sofia.
Le tampono la ferita facendo ben attenzione a non farle male e ci soffio sopra.
Chiude gli occhi istintivamente e stringe le sue mani, creando due piccoli pugni dalle nocche bianche.
Mi siedo affianco a lei mettendole un altro fazzoletto asciutto sulla gamba e lancio quello sporco di sangue nel cestino, facendo canestro.
La bambina si appoggia a me, con la testa sulle mie gambe e penso che è anche lei ingenua come la sottoscritta.
Si sta fidando subito. Forse non dovrebbe.
I bambini si affezionano subito e vedendo delle persone che si allontanano da loro ci rimangono male, non sapendo però che la gente farà così per tutta la vita.
- Adesso aspettiamo qui tuo fratello. – le sussurro baciandole la tempia.
- Dici che arriva? – mi chiede strofinando il viso sul pantalone della tuta.
- Certo che sì, piccola. – sorrido e le faccio una treccia sul lato destro della testa.
Chiude gli occhi, ma è costretta a riaprirli poco dopo sentendosi chiamare:
- Sofia! Sofia, maledizione, dove sei?! – la voce sembra arrivare da lontano, ma è chiara e fin troppo famigliare a me.
Deglutisco e guardo la bambina alzarsi e correre veloce verso una figura maschile, probabilmente è il fratello, mentre io rimango immobile, stringendo le assi di legno della panchina tra le mani.
- Dov’eri?! Ti ho cercata per tutto il parco, lo sai che non devi allontanarti! – ora è lui che la tiene stretta tra le braccia, forti e muscolose.
- Scusa.. – sussurra la bambina e mi stupisco perfino d’averla sentita.
- La prossima volta chiedi prima di allontanarti. – la rimprovera ancora.
Sofia annuisce e poi si indica la gamba – Sono caduta e ho sporcato il vestitino! – mette il broncio.
Tommaso, colui che non avrei voluto più vedere, passa le sue dita grandi sulla sbucciatura della sorella e poi le sorride: - Ora passa. Dopo ti compro le caramelle. – le bacia la guancia e guardo quel gesto rapita.
- E’ già passato, quella ragazza lì ha fatto la magia! – saltella la bimba indicandomi.
No, no, no, cazzo!
Mi alzo e raccolgo frettolosamente il pacchetto di fazzoletti vicino a me, insieme alla tracolla. Ho intenzione di andarmene quanto più prima possibile.
- Cristal? – domanda Tommaso stupito.
Arresto la mia corsa, rilasso le spalle, chiudo gli occhi, conto fino a tre e faccio respiri profondi.
Riapro i miei fondali verdi e mi perdo in quelli suoi, che in meno di un secondo mi si è parato davanti.
- Ciao. – fredda e secca, riesco ancora a mantenere il suo sguardo.
- Ciao..- è in evidente imbarazzo e, inevitabilmente, sorrido – Grazie per.. ehm.. per aver aiutato mia sorella. – si gratta la testa con la mano destra mentre con l’altra continua a tenere stretta a sé Sofia.
- Figurati, l’avrei fatto per qualunque bambina in difficoltà. – mi mordo l’interno della guancia.
- Si, beh, grazie ancora. – mi sorride e nei suoi occhi, stranamente, non passa nessuna emozione. Né imbarazzo o timidezza, né malizia o desiderio. Niente.
- Tranquillo. – sorrido a mia volta in modo falso e mi abbasso tanto quanto basta per essere all’altezza della bimba – Ci si vede, piccola fata. – le stampo un bacio sulla guancia, per poi alzarmi, stringermi dentro la mia felpa extralarge e voltarmi, iniziando a camminare.
Nessun saluto per lui, non se lo meritava prima, non se lo merita neanche ora.
Cerco di camminare più velocemente possibile e arrivo in breve tempo al cancelletto che separa il parco dalla strada, ma sento qualcosa, o meglio qualcuno, che si aggrappa prepotentemente al pantalone della mia tuta.
- Cristal, Cristal! – mi volto spaventata e rimango, a dir poco, basita nel vedere la bambina, dai capelli ricci e color oro, che mezz’ora fa avevo soccorso trattenermi per impedirmi di andar via.
- Il mio fratellone vuole chiederti qualcosa! – faccio roteare i miei occhi su Tommaso e alzo un sopracciglio mentre lui sussurra un: ‘’shh, shh’’ e Sofia ride.
- Devi dirmi qualcosa? Altrimenti io avrei da fare ed ho anche una certa fretta. – stringo i denti.
- No.. o meglio, si. – mi sorride, ancora. Vuoi farmi morire, stronzo?, – ti andrebbe di venire a casa nostra? Cioè,  prima di venir qui io e Sofia abbiamo preparato dei dolci e per noi son buoni, ma volevamo capire se anche per gli altri lo sono. – sono io o è rosso come un peperone?  Per poco non scoppio a ridere.
- Non saprei.. – sussurro, però, tra lo stupita e la paura di star sbagliando nel volergli dir sì, senza pormi poi tanti limiti.
- Per favore! – piagnucola la bambinetta affianco a me, sfoderando due occhioni grandi grandi, che mi fanno una tenerezza assurda.
- Vengo solo per mangiare un dolce e poi vado via, va bene? – le sposto i capelli dal viso.
- D’accordo! – saltella come un canguro tornando affianco al fratello.
- D’accordo. – esce fuori dalla bocca di Tommaso, ma in un sussurro così flebile che si perde con il vento arrogante.


 
Nota autrice: Ok, posso capirvi se questo capitolo vi ha annoiate, ma diciamo che è più un capitolo di passaggio, che precede però parecchie cose, che probabilmente lasceranno le idee più chiare sul nostro Tommaso, almeno un po’.
Se ha annoiato, deluso o non è stato molto scorrevole, posso solo dire che mi dispiace e sarei comunque felice di sapere cosa ne pensate. (una piccola recensione non fa mai male, potrei sempre migliorarmi).
Detto questo, mando tanti baci a tutte le anime silenziose che mi sostengono e anche a quelle che ogni volta mi fanno sapere cosa posso migliorare e che quindi sono di grande aiuto.
Ringrazio anche chi ha aggiunto la mia storia tra le preferite, seguite e ricordate.
Mi fate felice.
Ora vi lascio.
Alla prossima, Rossa. <3

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Capitolo 12
*** Dodicesimo capitolo. ***


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Dodicesimo capitolo.

Quattro giri di chiave, due sospiri, tre saltelli di Sofia, uno sbuffo di Tommaso, dieci mie dita rosicchiate, una tracolla torturata e sono dentro la casa Della famiglia Sparvieri.
La scorsa volta, correndo giù per le scale, scappando sia da Tommaso che da Filippo, non mi ero accorta di quanto essa fosse realmente grande.
Un lungo corridoio, parquet bianco, mura bianche e lucide con qualche fiore sparso qua e là colorato di nero e tante piccole lampadine incastrate nel soffitto che illuminano, bene o male, tutto il nostro percorso, fino al salotto.
Stupidamente, abituata a farlo a casa mia, lascio che la tracolla scivoli dalla mia spalla al pavimento e mi guardo intorno come se fossi magicamente finita en ‘’Alice nel paese delle meraviglie’’.
Sento lo sbuffo di una risata provenire da Tommaso e, riprendendomi e sentendo le guance colorarsi e andare in fiamme, sposto una ciocca di capelli sfuggita alla coda.
- Sembra che tu non abbia mai visto una villa in vita tua. – Sparvieri rompe il silenzio raccogliendo da terra la mia tracolla e poggiandola su una poltrona, rigorosamente rossa, lì vicino.
- A dire il vero ne ho viste tante, ma il salotto di tutte le altre era la metà della metà del tuo. – rispondo ancora sbalordita per ciò che vedo.
Un altro risolino.
- Tu sei qui per mangiare i muffin! – mi ricorda la voce squillante di un’altra Sparvieri, solo un po’ più piccola.
- Giusto. – le sorrido abbassandomi alla sua altezza e dandole un colpetto sul naso col dito indice.
Sofia mi prende la mano e mi porta in quella che dovrebbe essere una cucina, e quindi dovrebbe anche essere più piccola del salotto, anche se in realtà è esattamente la stessa.
- Sofia, non toccare il forno, potrebbe essere ancora caldo. – ordina Tommaso alla piccola e mi vien da chiedere: da quando il menefreghista Sparvieri è responsabile?
Lo guardo abbassarsi vicino al forno e sfiorarne con il naso il vetro appannato, mentre cerca di appoggiarci sopra la mano per capire se brucia ancora.
Afferro due presine lì vicine al volo e gliele lancio.
- Parli tanto per tua sorella, ma quello che dovrebbe stare attento a non scottarsi, sei tu. – sorrido.
- O, magari, tu. – risponde volgendomi uno sguardo che non comprendo, anzi, che faccio finta di non comprendere, e il sorriso mi muore sulle labbra.
Infila le presine e toglie fuori da quel buco rovente almeno una ventina di muffin al cacao.
- Siamo usciti solo una quarantina di minuti fa e volevamo che restassero caldi per il nostro ritorno. – spiega poggiando tutto sul tavolo, stranamente nero, chiudendo il forno con un calcio, alla faccia della delicatezza, e prendendo quattro piattini colorati: uno verde che posiziona davanti a me, uno rosa scuro davanti alla sorella e uno azzurro per lui.
- Perché quattro? Siamo solo noi tre. – gli faccio notare mentre l’idea che un Filippo in tuta da ginnastica possa scendere dal piano superiore della casa e pararsi qua inizia a circolarmi in testa, facendomi gelare il sangue.
- Abbiamo preparato anche delle salsine dolci. – ride grattandosi il capo.
- Vedrai, sarà tutto buonissimo! – urla battendo le mani la piccola – Merenda! – continua saltellando sulla sedia e prolungando di molto l’”a” finale.
- Sulla prima non ci conterei molto, ma se proprio volete mangiare..- indugia il fratello maggiore – mangiamo! – conclude per scoppiare in una risata che contagia anche me e Sofia.
Prendo un muffin, titubante, e poggio le mie labbra sul rigonfiamento del dolce per poi morderlo.
Mando giù un morso, e poi un altro, cercando di non ridere quando Sofia da’ un colpetto al fratello sussurrandogli: - Te l’avevo detto che le sarebbero piaciuti. –
- Sono buoni. – è la mia uscita finale accompagnata da un sorriso sincero.
- E tu sei sporca. – ride, Tommaso, passandomi un fazzoletto all’angolo del labbro inferiore.
Nuovamente il mio sorriso svanisce.
E’ così delicato e attento in un unico gesto, che mi paralizza.
- Grazie. – abbozzo un sorriso, slegandomi i capelli.
Passiamo dieci minuti buoni in silenzio tombale, nei quali Tommaso si è impegnato a fissarmi e a farmi sentire a disagio più del dovuto.
Sofia si è addormentata con la faccia sul tavolo e la bocca semiaperta.
E’ così dolce, lei, che mi chiedo come faccia ad essere la sorella del diavolo affianco a me.
Tommaso si schiarisce rumorosamente la voce, incrocia le dita delle mani e si alza:
- Ti va di vedere il resto della casa? – domanda, quasi timoroso.
- Si, mi piacerebbe. –
Prende in braccio sua sorella e inizia a salire le scale, facendomi segno di seguirlo.
La porta della prima stanza, saranno almeno dieci, del piano si apre e una cameretta rosa con bambole, lego, letto delle principesse, colori e astucci qua e là mi si para davanti.
Rido, anche io amavo tutto questo da piccola.
Sparvieri mi guarda.
- Potresti aprirle il letto, per favore? Così la infilo direttamente sotto le coperte. – mi sorride e accarezza il viso di sua sorella.
- Si. – sorrido anch’io, facendo ciò che mi è stato chiesto.
La bambina scivola silenziosamente tra le coperte e continua il suo sogno beata.
- Mettile un cerotto e disinfetta per bene la ferita, quando si sveglia. – gli ricordo richiudendo la porta alle nostre spalle.
- Lo farò. –dice riaprendo la porta – Devo sentirla se si sveglia, a volte cade dal letto e scoppia a piangere.- lo sento parlare ma fisso solamente le sue labbra, è abbastanza alto da sovrastarmi e farmi rimanere bloccata tra la porta e lui, col suo respiro sulle labbra.
Deglutisco.
Per scansarlo dovrei poggiare le mani sul suo petto e, adesso, proprio non mi va di risentire la pelle lasciata nuda dall’inizio della camicia sotto il mio tocco.
- Forse dovresti spostarti..- sussurro non avendo neanche il coraggio di guardarlo negli occhi.
- Forse sì.- risponde, appoggiando un dito sotto il mento, costringendo i nostri occhi a farsi incontrare.
Maledetto.
Passa il pollice sul mio labbro superiore e sospira.
Si scansa e sento improvvisamente freddo.
Pensavo che mi baciasse e invece.. e invece non dovrei lamentarmi, diamine!
Io non lo volevo quel bacio, no.
Lo guardo ancora mentre mi da’ le spalle e penso che forse a me stessa non dovrei mentire.
Sbuffo e gli chiedo di farmi vedere tutto.
Dopo venti minuti buoni, ci troviamo all’undicesima stanza, avevo anche contato male.
Si ferma davanti la porta di quest’ultima e ci appoggia la fronte contro.
- Possiamo saltarla, questa? – domanda girandosi verso di me.
- Che c’è dentro? – rispondo alla domanda con un’altra domanda e so che è maleducazione, ma proprio non resisto.
Poggio la mano sulla maniglia, anche se vengo fulminata da uno sguardo di Tommaso che, velocemente, mi scosta le piccole dita da quel ferro freddo.
- Niente. – sibila.
- Va bene. – rispondo mantenendo il suo sguardo, abbassandolo, però, subito dopo.
Lo supero e scendo velocemente le scale.
Che c’è, ora non si fida nemmeno? ‘Fanculo!
Recupero la tracolla, il giubbotto, ma appena sento un corpo caldo premersi contro il mio, mi paralizzo.
- Resta ancora un po’.- il diavolo Sparvieri annusa i miei capelli, mi stringe possessivamente a lui e sentirlo così vicino è destabilizzante.
- Credo che si sia fatto troppo tardi. – mormoro cercando di schiarirmi la voce, improvvisamente diventata cupa – Devo andare.-
Fa ancora più pressione sui miei fianchi, - Non è vero, sei solo incazzata perché non ti ho fatto vedere quella stanza.- deposita un piccolo bacio sul mio collo e la mia pelle si trasforma in tanti piccoli puntini che potrebbero formare un disegno, se solo fossero uniti.
- Devo tornare da mio fratello.- allungo le mani all’indietro perché, detta come va detta, non resisto più e il bisogno di sentire i suoi capelli tra le mie dita è molto più forte di quanto pensassi.
Mi fa roteare e ci troviamo petto contro petto, respiro contro respiro, mani intrecciate e occhi persi negli occhi.
- Resta qui. – sussurra ancora, sfiorando le sue labbra con le mie in quello che sembra un castissimo bacio a stampo, ma che di casto ne ha davvero ben poco.
- Smettila, Sparvieri, non puoi fare sempre così. – mi mordo il labbro inconsapevolmente.
- E tu non puoi fare così! – sbotta irritato.
Mi prende il viso tra le mani e preme le sue labbra contro le mie.
Stringo le ciocche dei suoi capelli tra due dita e sento che succhia le mie labbra come se fossero il latte materno che una madre da al figlio neonato.
Mi bacia come se gli fossi mancata e mi stringe a sé come se non ne avesse ancora abbastanza, neanche per farmi respirare.
Mi scosto leggermente per riprender fiato e lui appoggia la sua guancia contro la mia, depositando lievi baci vicino all’orecchio, all’angolo della bocca, sul mento e poi lungo il collo.
Ci ritroviamo, non so come, sdraiati entrambi sul divano ad isola del salotto e le sue mani sono ovunque.
Chiudo gli occhi.
Che sta succedendo, o meglio, che stiamo facendo?
- Lo sapevo che eravate fidanzati! – esclama la vocina trillante di Sofia.
Sento Tommaso irrigidirsi e le sue mani stringere con troppa forza il divano, per uno che dovrebbe esser calmo.
I respiri ancora accelerati, il mio sguardo verso la bambina di cui fino a due minuti fa mi ero dimenticata l’esistenza e Tommaso che si alza come se fosse stato scottato dalla voce della sorellina.
- Noi non.. non stiamo insieme, Sofia. – sbuffa quest’ultimo appoggiandosi con la schiena al divano, col capo rivolto al soffitto e una mano che riavvia i capelli.
- E allora perché vi baciavate?- insiste la piccola, mentre io mando giù un bel po’ di saliva, Mi alzo e mi avvicino a Sofia.
Lo sguardo del fratello mi perfora come se volesse incatenarmi a quel divano.
- Sof, io devo andare, ci rivediamo presto. – le sorrido e le lascio una carezza sul viso.
- Io ti aspetto. – sorride anche lei di rimando.
- D’accordo. -
Prendo per la seconda volta la tracolla e mi giro verso Tommaso.
- Grazie per i dolcetti e..- respiro profondo – La compagnia. – conclusione più banale non potevo proprio dirla, eh.
Mi volto velocemente e corro fuori da quella casa.



Nota autrice: Vi do l’autorizzazione di uccidermi per il ritardo e per come ho concluso questo capitolo.
Non ho giustificazioni per l’assenza, ma la voglia di scrivere mi moriva ogni qualvolta che guardavo la schermata bianca di Word.
Spero che voi ci siate ancora e che continuiate a dirmi cosa ne pensate dei capitoli.
Magari anche qualche personcina in più..
Alla prossima.
Baci, Rossa.

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Capitolo 13
*** Tredicesimo capitolo. ***


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Tredicesimo capitolo.
Pov Tommaso.

Due giorni.
Due giorni che non la sento, che non risponde alle mie chiamate o ai miei messaggi.
Sabato e domenica passati così, ad autoconvincermi che non si è pentita mentre, invece, sento la paura gelarmi il sangue nelle vene.
Sofia non fa altro che parlarne: “ma Cristal non viene a trovarci più?”, “perché nemmeno chiama?”, “secondo te è per i dolcetti?” ed io non so come dirglielo che non è per i dolcetti, che non so nemmeno io perché non richiama e tantomeno per quale cristo di motivo non risponde.
So che si arrabbierebbe e mi terrebbe il muso, come solo mia sorella è in grado di fare, se le dicessi che probabilmente la causa di tutto sono io.
Probabilmente, Tom?
Al diavolo, vai al diavolo, vocina del cazzo!
Ha deciso di evitarmi? Peggio per lei, non sono mai arrivato a fare così per nessuna, non inizierò adesso.
Mi alzo svogliatamente dal divano e salgo le scale, andando verso la camera di Sofia.
Apro la porta e la vedo.
Dorme tranquilla alla faccia del mondo che va a puttane intorno a lei.
Le deposito un bacio sulla tempia e le faccio continuare i sogni.
Infilo le Vans ed il giubbotto di pelle nera, grido a mio fratello di star attento nostra sorella e di controllar che non cada dal letto.
Portafogli, sigarette, cellulare e fuori i pensieri e, almeno per stasera, fuori anche Cristal.

Entro nel locale, il fumo mi stordisce, la musica è più alta del solito, gente che balla, ragazze sui cubi e ragazzi che non capiscono più niente in tutti gli angoli.
Non so come e nemmeno per quale miracolo, ma riesco a trovare con gli occhi Fabio, Gabriele e Marco.
Mi avvicino e faccio un sorriso grande quanto una casa e, probabilmente, il più falso che io abbia mai fatto.
- Alleluja, amico! Da quanto non ci vediamo? – urla Marco per farsi sentire.
- Da venerdì, idiota. – Gabriele ride, Fabio alza gli occhi al cielo e Marco fa una smorfia – Sei un manico di scopa pure con gli amici, adesso? – fa un cenno al tizio dietro al bancone – Il primo giro te lo offro io, così ti sciogli un po’.- mentre lui si allontana per ballare con qualcuna e rendere ancora di più cornuta Elisa.
Detto fatto, mi arriva il primo drink che butto giù mentre sento la gola bruciare.
Gabriele mi si avvicina, mentre osserviamo entrambi Marco darsi da fare.
- E’ sempre lo stesso, eh? – mi domanda trattenendo un sorrisino.
- Da Roma a Milano, diverse compagnie, diversi locali, ma sì, è sempre lo stesso. – ordino un altro alcolico e mi godo la scena di un paio di galline che si avvicinano al mio amico.
- Che c’hai, Tomma’? – non credo di averglielo mai detto, ma odio quando Gabriele riesce a capirmi attraverso gli sguardi.
- Nulla, ora passa. – stringo i denti, avevo detto di voler lasciare il mondo fuori, cazzo.
- A suon di alcool? Da quando li risolvi così i problemi? – mi guarda stupito e so cosa intende, mai e poi mai mi ha visto così.
- Gabrie’, pensa un po’ a te. – e giù un altro bicchiere.
Gabriele si allontana.
Non volevo rispondergli male, ma contribuire a farmi pensare ai casini, non è la cosa più giusta.

Mezz’ora dopo,  non ho più il controllo del mio corpo.
I bicchierini sono diventati tre bottiglie di birra e la testa mi gira spaventosamente.
- Dimmi che almeno non ti sei fatto le canne. – rido, Gabriele è tornato ancora?
- Lasciami stare. – mi passo una mano tra i capelli e mi accorgo che sono fottutamente sudati.
- Razza di un coglione, appoggiati, ti porto via. – Sferrato mi prende per le spalle e mi porta con la forza fuori dal locale.
Non riesco neanche a tenermi in piedi.
Mi lascia sul muretto vicino al locale.
- Vomita, se devi farlo. – mi dice.
- Si vomitano i sentimenti, Ga’? – mi lascio scivolare a terra e mi prendo la testa tra le mani, alzando poi lo sguardo verso il cielo.
- E’ per la Lucrezi? – il cuore mi si rivolta nel petto e sputo fuori una risata amara.
- Quando è stata capace di ridurmi così? – domando più a me stesso che a colui che ho affianco.
- Quando ha iniziato ad importartene. – non sono voltato verso di lui, ma son sicuro che sorride.
- Mi interessa più delle altre troie che mi son portato a letto, mi importa più di Bianca, mi fa andare fuori di testa. – stringo i pugni.
- Lo so. – lo dice e mi sento ancora più coglione.
- Beato te, che non sei nella mia stessa situazione. – alzo il volto, cercando di non vomitare.
- E chi te lo dice? – ride.
Mi giro verso di lui, guardandolo con curiosità.
- Come, scusa? –
Sbuffa – Forse mi interessa qualcuna. – risponde, mentre il mio sguardo rimane puntato verso di lui.
- Forse? – sembro una pettegola, ma ne voglio sentire ancora.
- Che rompipalle che sei, oh. – rido, ride e ci guardiamo ancora.
- E’ la Toglieri. – inizio a tossire convulsivamente.
- Chi?! – dir che sono spiazzato è dir poco.
- Si, hai capito, mi son preso una cotta per l’amichetta della Lucrezi. – a risentire il suo cognome, scuoto la testa.
- Ma non è fidanzata? E tu non sei fidanzato? – domando confuso.
- Si, ad entrambe. – risponde secco.
- Stiamo messi male. – mi tolgo il giubbotto, nonostante il freddo.
- Ora peggio. – risponde Sferrato, guardando davanti a lui.
Rivolgo lo sguardo nella sua stessa posizione e trattengo il fiato.
No, non adesso.



Pov Cristal.


Non è lui.
Quello seduto a terra, vicino a Sferrato, non può essere lui.
Mi cade la tracolla di jeans dalle spalle, il vento soffia e le ossa vengono scosse dal freddo di  inizio Gennaio.
- Crì, stai bene? – mi domanda Carolina, al mio fianco.
No, non sto bene, Carol.
- Si. – annuisco poco convinta e mi volto verso di lei. – Tu, piuttosto? – abbassa lo sguardo senza dire nulla.
- Potremmo andare a salutarli..- propone e la fulmino con lo sguardo.
- E con che faccia? – il mio è un flebile sussurro – Come ci vado vicino a Sparvieri sapendo di averlo evitato come se fosse la peste dopo averci, quasi, dato dentro sul divano di casa sua? – Carolina sbuffa. So perché vorrebbe andare lì, e so che è uno sbaglio.
- Car. – le tocco una spalla, ma lei mi rivolge uno sguardo supplichevole e senza dire altro, si avvia verso Gabriele e Tommaso.
La raggiungo imprecando.
- Ehi. – la mia amica traditrice saluta con un sorriso il ragazzo che mi sta rendendo la vita un inferno e il suo compagno d’avventure.
- Carolina. – Gabriele sorride e si alza veloce, scrollandosi i sassolini dai jeans e dalle mani. – Posso offrirti qualcosa? – le domanda gentile come mai lo avevo visto prima.
- Certo! – si affretta a dir lei, prima di scusarsi e andare dentro il locale alla nostra destra insieme a Sferrato.
Li guardo e sento il cuore stringermi, facendo ricongiungere il mio sguardo a quello di Sparvieri.
- Allora sei viva. – afferma secco e con lo sguardo incazzato.
- Così sembra. – mi guardo le mani intorpidite dal freddo.
Lo sento alzarsi velocemente e fulminarmi, ancora, con lo sguardo.
- Tieni. – mi porge il suo giubbotto, facendomi rimanere interdetta.
- Non ne ho bisogno, grazie lo stesso. – allontanati, Cristal, fallo ora.
- Proprio ora cerchi di mettere le distanze? – nella sua voce c’è l’ira che non avrei mai voluto affrontare, perché non son pronta – Non credi che sia tardi per cercare di scappare? Per quanto mi eviterai ancora facendo la vigliacca? – lo so a cosa si riferisce e non riesco a trovare parole adatte per giustificarmi, perché in realtà non ho scuse.
- Mi spiace, ma noi non siamo amici, siamo solo compagni di classe e di banco. – so che neanche questo è vero e che credermi adesso è difficile.
- Non siamo nulla? – ed ecco il suo ghigno del cazzo – Non la pensavi così sul divano di casa mia. -
Lo guardo truce, sperando di aver sentito male.
- Ti ripeto che non sapevo quel che facevo. – stringo i pugni.
- Quindi tu stai per far l’amore senza saperlo?! – il suo tono si alza di un’ottava.
Ha detto ‘’far l’amore’’, non ‘’sesso’’ o ‘’scopata’’ o ‘’sveltina’’, ma ‘’far l’amore’’.
Fisso i miei occhi nei suoi, cercando di trovar qualche traccia di bugia nel suo sguardo.
Mi avvicino di un passo e noto il suo petto alzarsi più velocemente rispetto a prima.
- Tommaso, io.. – gli sfioro il petto con le dita.
- Non farlo, Cris. – ha gli occhi chiusi e le labbra dischiuse – Non toccarmi, non saprei più controllarmi. -
Contrariamente a quanto mi ha chiesto, poggio entrambe le mani su di lui.
Sono davvero così contraddittoria? Dio mio, che qualcuno mi tiri un ciaffone, ora.
Le sue braccia stringono la mia vita e penso che la frase che avevo letto poco prima su un muro, è assolutamente vera.
La mia vita è nelle sue mani.
Riapre gli occhi e poggia le labbra sulla mia fronte.
- Perché non hai risposto?- sembrava essersi calmato, ma non credo che sia totalmente in grado di capire.
- Non ci riuscivo. – ammetto, sentendomi una merda.
- Quindi è vero. – molla la presa sui miei fianchi e mi guarda sbalordito. – Quello che ho sempre pensato, è vero. -
- C-cosa? – non riesco a seguire il suo discorso.
- Ti sei pentita. – abbassa lo sguardo e fa respiri profondi.
- Che?! – lo guardo mentre fa dei passi indietro – Tommaso, no! – ma lui è già lontano, corre verso la sua moto.
- Tommaso, non è vero.. – e questa volta quella che può sentirmi sono solo io e le lacrime che scorrono silenziose fino agli angoli della bocca.

Nota autrice: Mi preparo a ricevere proiettili da tutte le lettrici di questa storia.
Ho avuto un blocco dello scrittore piuttosto lungo e ho rimandato la scrittura del capitolo per parecchio tempo. Chiedo scusa, ma ora, habemus capitulum!
Non so cosa dire, ho inserito il punto di vista di Tommaso per far capire come si sente.
Se siete arrivate fin qui, vi prego di aiutare questa povera scrittrice e di inviare una recensione nella casella in alto.
Ma, facendo le serie, vi auguro un buon anno in ritardo di dodici giorni e vi abbraccio tutte.

 

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo capitolo. ***


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Quattordicesimo capitolo.

Mi sento un’aquila bendata, privata della luce, della vista delle cose belle.
Tommaso è questo, una cosa bella ed io stasera l’ho visto, ma non ho guardato solo la bellezza, ho guardo tutto, ho cercato nel complesso qualcosa che stonasse, che non tornasse, che macchiasse ciò che amo davvero ed ho capito che non c’è.
Mi ha guardato con quegli occhi grandi, tanto grandi da poterci annegare dentro, ed io mi sono sentita svanire.
Mi sono sentita scomparire come se fossi una scritta a matita e una gomma si poggiasse su di me, all’apparenza in modo leggero e delicato, ma dentro distruttivo e forzato.
L’ho guardato andar via con la consapevolezza che, forse, avrei dovuto fermarlo.
L’ho guardato correre verso l’unica cosa che potesse portarlo via da me, anche fisicamente, e ho capito che le persone ti lasciano davvero, nonostante io non abbia ancora capito se sia stata io a lasciare lui, a tirare troppo la corda, a farlo uscire fuori di testa e quindi a portarlo a questo.
Una persona va via nel momento in cui non sta più bene e non sono vere tutte quelle cazzate del ‘’se ci tieni, tienimi” o “se mi avesse accettata, sarebbe rimasto”, perché a volte le persone si ritrovano costrette ad andare, prendere un’altra strada e scappare.
E, intanto, anche io scappo e anche io vado via da me.
Cammino per le strade di una grande città come Milano e mi chiedo come sia possibile che non mi venga in mente nemmeno un posto dove cercarlo, perché, se fosse per me, andrei ora da lui a prenderlo a schiaffi per come mi sta facendo sentire e poi a baciarlo, ma non un bacio piccolo e casto, un bacio in cui si trasmette tutto senza togliersi i vestiti, un bacio dove ci si unisce senza usare altro se non le labbra.
Se fosse davanti a me, non avrebbe scampo.
Gli urlerei in faccia tutte le cose che mi sto tenendo dentro e poi tutto finirebbe con me, con le mie mani piccole nei suoi capelli e il sorriso sulle labbra al sapor di miele, e con lui, che mi sembra così grande da poter calpestare il mondo e, allo stesso tempo, trattar con cura un fiore.

- Cristal! – una voce mi ferma e il rumore di alcuni passi mi immobilizza il cuore. Sento una voce così delicata e angelica che mi chiedo se non son svenuta un’altra volta.
- Cristal, Cristal! – la risento, e va avanti così per altre tre volte, finché dei piccoli piedi non si mettono di fronte a me, con un solo cancelletto a separarci, insieme al viso di Sofia.
- Ehi. – sorrido debolmente, mentre mi mordo le labbra per non chiederle del fratello – come mai sveglia a quest’ora? E’ tardi, piccola. – senza che me ne accorga, il cancello si apre e una manina si stringe intorno alla mia e pff, sono nel giardino dei fratelli Sparvieri.
- Lo so, non sgridarmi come faceva mamma! – mi risponde mettendo il broncio, la piccola di casa – solo che Tommaso non arriva, Filippo è a lavoro e la tata dorme. -
La guardo perplessa, incapace di dirle qualcosa, mi sono fermata a:  “Tommaso non arriva”.
Mi riscuoto dai miei pensieri le lascio una carezza sulla spalla – Tu vai a dormire lo stesso, va bene? Torneranno tutti. – le rivolgo un altro sorriso e sono pronta a rivarcare il cancello, se Sofia non mi fermasse nuovamente.
- Aspetta! – mi tira per la manica del vestitino – mi metti tu a letto? – dejavù, ritorno con la mente a tre pomeriggi prima, quando Tommaso mi aveva chiesto di accompagnarlo a mettere la sorella minore nella sua stanza – così mi racconti la favola della notte ed io mi addormento felice! – mi rivolge uno sguardo pieno di aspettativa pronta a scoppiare in felicità, che io proprio non ci riesco ad ignorarla e a deluderla.
Le stringo la mano e apro del tutto la porta di casa sua, rimasta socchiusa, mentre con l’altra mi tolgo i tacchi per non far rumore e, quindi, svegliar la tata addormentata sul divano. Sembra aver l’aria stravolta, di chi ha amato tanto ed ora ha bisogno di riposo.
Poggio i tacchi all’inizio della grande scala a chioccia e lascio lì anche la borsa, tanto non mi chiamerà nessuno.
Prendo in braccio Sofia e le accarezzo piano i capelli, cercando di trasmetterle quella tranquillità che io non ho e che mi sembra di non aver mai avuto.

- Infialiamo il pigiama, come prima cosa. -  sussurro alla piccola mentre lei sta seduta con le gambe a penzoloni sul letto.
Apro tutti i cassetti, ma niente, non lo trovo.
- Primo cassettone a destra. – ride lei. Mi volto alzandomi e metto le mani sui fianchi.
- Mi prendi in giro, eh?! – lei continua a ridere ed io la guardo divertita, cercando di trattenere un sorriso.
- Ohoh, subirai l’ira di donna Cristal! – mi butto su di lei iniziando a farle il solletico, mentre si dimena e urla un qualcosa che non comprendo.
Smetto di torturarla e la lascio riprender fiato, nel frattempo prendo il pigiama e mi stupisco di vedere che ne avevo uno molto simile.
Le alzo le coperte e la invito ad accucciarsi dentro al letto, mentre mi siedo affianco a lei carezzandole la fronte.
Sceglie la favola e ci trasportiamo entrambe in un posto dove c’è solo pura fantasia, tranquillità: un posto in cui posso realmente stare serena, anche se per poco.
Sofia sbadiglia e lo prendo come l’avviso che sta per essere travolta dai sogni.
Provo ad alzarmi, ma mi trattiene vicino a sé e mi invita a stendermi accanto a lei, rivolgendomi un sorriso colmo di stanchezza.
- Sai..- inizia incerta cercando di sfilarmi l’anello che mi ha regalato Alex al mio compleanno – prima mi hai ricordato la mia mamma.- è la seconda volta che la nomina e, per la seconda volta, mi si stringe il cuore.
- Vedrai, tornerà anche lei. – le sussurro, provando ad indovinare per quale ragione quella donna non sia al posto mio, a coccolare sua figlia.
- No.-  Sofia mi regala un altro sorriso – lei è tra gli angeli. – e la serenità svanisce in questo istante, per entrambe.
Non le rispondo perché non trovo parole e, credo che nemmeno ci siano, mi limito a lasciarle una carezza sul viso.
- Dormi qui, Cris. – mi bacia la guancia ed infine chiude gli occhi, abbandonandomi alla solitudine.
Alla fine spengo le luci e mi lascio andare anche io al paese delle meraviglie dove, ne son sicura, un’Alice frizzante e felice mi porterà in giro, non facendomi pensare.
Prima mi addormentarmi, però, sento una leggera pressione sul letto e un qualcosa, dapprima fresco e dopo caldo, avvolgermi il corpo ed una voce, che sento così lontana da confonderla con quella che vorrei realmente sentire.
- Grazie, Cristal. – qualcosa di ruvido sulla guancia e poi il nulla.
Alice mi ha rapita.




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Nota autrice:
Bidibibodibibù! Son tornata, contrariamente a quanto pensavo, ho aggiornato prima del previsto (lo so che per voi è passato un mucchio di tempo, ma per me collaudare bene le idee è realmente difficile in questo periodo).
In questo capitolo non si vede la figura di Tommaso, almeno non fisicamente, se non in un pezzo che avrete sicuramente individuato da sole/i (nell’incertezza che anche qualche ragazzo legga la mia storia, anche se la vedo difficile).
Avrei voglia di sentire altri e tanti pareri, perché, a volte, mi sento davvero come se stessi scrivendo un qualcosa di troppo banale e non avvincente e coinvolgente come vorrei.
Spero, quindi, di poter leggere qualche altra recensione che mi aiuti a migliorarmi, e ringrazio coloro che mi hanno sostenuta e  aiutata negli altri capitoli.
Infine, visto che sono particolarmente felice, auguro tanta tanta felicità anche a voi e vi aspetto nel prossimo capitolo!
Baci, Rossa.

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Capitolo 15
*** Quindicesimo capitolo. ***


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Quindicesimo capitolo.


A Chiara, che mi regala sorrisi.



La flebile luce del sole oltrepassa le finestre e le tende con le principesse Disney nella cameretta di Sofia.
Sono sveglia da una mezz’ora o poco più, ma la voglia di lasciare questo nido d’ingenuità deve avermi abbandonata nell’esatto momento in cui ho varcato la soglia della camera, ieri sera.
La piccola Sparvieri dorme serena, sono ancora le sette del mattino, ed io la osservo navigare in quel mondo che troppo presto mi ha rispedita su quello vero, il mondo dei sogni.
Alla fine, nei miei, non c’è stata nessuna Alice piena di vita pronta a tendermi la mano per portarmi con lei, nessun coniglio bianco mi ha illusa di essere in un posto meraviglioso e nessuna regina ha provato a dichiararmi guerra.
Sono rimasta semplicemente nel mio piccolo guscio di calma apparente, mi sono addormentata sperando di poter vivere, almeno nel mondo di Morfeo, un’avventura fantastica e mi sono svegliata pensando al mare, quel mare che tanto amo, burrascoso e arrabbiato come me, la maggior parte delle volte.
Sposto gli occhi sul soffitto, le stelle che stanotte lo illuminavano, quelle fluorescenti, si sono spente sotto il risveglio di un’altra luce.
Siamo un po’ tutti così.
Ci ritroviamo a brillare di luce propria per una sera o per un giorno, per un pomeriggio o una notte, e poi veniamo colpiti da un’altra fonte luminosa e ci spegniamo, piano, come se non ci fosse fretta e volessimo restare ad emanare luce per altre sette notti o per tutta una vita.
Poggio i piedi scalzi sul pavimento freddo e faccio una coda alta, per evitare di ritrovarmi i capelli sulla faccia ad ogni movimento.
Volto lo sguardo sul comodino, accendo la abat-jour solo per osservarmi meglio davanti al grande specchio davanti a me e non rimango stupida nel constatare che il trucco è leggermente colato e il vestito spiegazzato.
Affianco al libro delle favole, quello che avevo usato la sera precedente per trovare una storia che andasse bene a Sofia, c’è un piccolo bigliettino che deve aver sicuramente vissuto tempi migliori.
Lo prendo per semplice curiosità e lo giro tra le dita, sorridendo per aver avuto ragione: qualcuno, due sere prima, deve essere andato al cinema e questo è il biglietto d’entrata.
Il film in questione è: Tutta colpa di Freud, quello uscito da poco, che non so bene di cosa tratti e, affianco al titolo, rimango basita nel leggere anche il mio nome che arriva a ripetersi anche sul retro del biglietto.
Una grafia sicura ed elegante accompagna una serie di frasi che mi fanno rimanere ancora più stupita: “Cristal, spero che tu nota questo insulso biglietto. Chiamami appena ti svegli, per favore, Filippo.”
Deglutisco a vuoto e scuoto la testa, mentre rileggo la frase.
Filippo, devo chiamare Filippo.
Rido, cercando qualche indizio che mi scagioni e che quindi mi lasci libera di non dover chiamare nessuno e stringo i denti quando mi accorgo che questo, evidentemente, non c’è.
Lascio un bacio sulla guancia di Sofia e striscio i piedi per non far rumore, guardandomi intorno una volta fuori dalla stanza.
So che dovrei trattenermi e non pensare troppo a Tommaso, ma sono in casa sua, che sembra tanto silenziosa quanto deserta e, quindi, in conclusione, vedere se lui è tornato, non sarà poi un male.
Attraverso il lungo corridoio e apro prima una, poi due, tre ed infine quattro porte, ma di lui non c’è traccia.
Alla fine mi ritrovo ad aprirle tutte, tranne l’ultima, che Tommaso non mi ha voluto far vedere, e riesco a capire che, molto probabilmente, non è tornato a casa stanotte.
Conficco le unghie nei palmi delle mani e scendo frettolosamente le mani.
Pensarlo con un’altra è a dir poco fastidioso.
Con chi sarà stato? Con una Bianca o forse una Giulia? Con una Fabiola o un’Elena?
Mi mordo le labbra tanto forte da poter sentire il gusto del sangue scivolarmi dentro la bocca e chiudo gli occhi, cercando di spostare i pensieri su un qualcosa di decisamente più utile, come trovare le mie scarpe e la mia borsa, che alla fine della scala non ci stanno più.
Giro intorno al tavolino posizionato al centro del salotto e sposto le poltrone, ma di loro non c’è nemmeno l’ombra.
Cammino verso la cucina, rassegnata all’idea che, a questo punto, l’unico posto dove io possa realmente trovarle, sia esso.
L’odore di pancake mi invade le narici e volgo il mio sguardo verso il tavolo, ricolmo di tutte le squisitezze che io abbia mai visto.
Marmellata di ciliegie, di albicocche, il burro, la nutella che campeggia al centro della tavola e che guardo come se fosse acqua nel deserto, biscotti, fette biscottate e almeno dieci pancake uno sopra l’altro.
Li osservo come se non vedessi dei dolci da tempo e sento una voce divertita, alle mie spalle, interrompere i miei pensieri.
- E’ il tipico modo di sdebitarsi dei fratelli Sparvieri, ma, stavolta, credo che quella che debba sdebitarsi, sia anche io. – una voce femminile e, all’apparenza, non più molto giovane, mi colpisce alle spalle, mentre mi volto colta alla sprovvista.
Rivolgo un’occhiata curiosa alla donna che mi sta davanti, pensando di averla già vista, ma non riuscendo a fare mente locale per arrivare alle mie conclusioni.
- Ti starai chiedendo se ci conosciamo, probabilmente, – mi sorride rivolgendo poi il suo sguardo ad un’altra serie di pancake in padella – la verità è che io ieri sera mi sono fatta travolgere dal sonno e tu ti sei presa cura di Sofia al posto mio. – ed ora capisco, finalmente, dove l’avevo vista.
E’ la donna che la più piccola della famiglia Sparvieri chiama tata e che ieri sera giaceva sonnecchiante sul divano.
- Sofia mi ha parlato di te, dice che sei la tata. – sorrido, mentre mi guardo intorno.
- Preferirei che mi chiamasse zia Anna, perché ci conosciamo davvero da parecchio tempo, ma ha ragione lei, sono la tata. – ricambia il mio sorriso, prestando attenzione a ciò che sta cucinando.
- Per chi sta preparando tutto questo? – domando, badando poco a ciò che ha detto prima e dando voce alla mia voglia di sapere.
- Per te, per Sofia e anche per me. Te l’ho già detto prima, questo è il tipico modo della famiglia Sparvieri di sdebitarsi. – mi ripete, poggiando su un secondo piatto i dolci fumanti.
- Non credo che ci sia qualcosa per cui la famiglia Sparvieri debba sdebitarsi, non con me, almeno. – arriccio il naso, osservando pigra, nuovamente, tutto ciò che mi circonda.
- Io, Filippo, Sofia e Tommaso ti siamo debitori di parecchie cose. -  Anna sposta lo sguardo su di me, riprendendo a parlare – Io e Filippo, per come ti stai occupando di quelle due pesti scalmanate dei più piccoli di questa casa – afferma e mi ritrovo a pensare che Tommaso sia tutto, tranne che piccolo – E, proprio quest’ultime, per le emozioni e per come curi loro le ferite lasciate dal tempo. -
Abbasso lo sguardo sulle mie mani e scrocchio le dita lentamente; è una cosa che mi ha sempre aiutata a mandare via l’ansia e il fiotto di nervosismo dalle vene.
- Ci tieni tanto a lui? – domanda ancora la tata di Sofia.
- Quanto basta per sapere che perderlo equivarrebbe ad un malessere interno senza precedenti. – rispondo di getto, senza pensare a ciò che in realtà sto dicendo. Ho appena ammesso la mia più grande paura.
- Sei una brava ragazza. – è tutto quello che risponde Anna, lasciandomi una carezza sui capelli e un sorriso a metà.



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Ho telefonato Filippo due minuti dopo aver vestito Sofia e mangiato la colazione.
Proprio Sofia, ora, è con me, in attesa che il primo dei suoi fratelli esca da una riunione e venga a pranzare con noi in un piccolo locale vicino al liceo classico che frequento io.
Nel frattempo ho avvisato Carolina e mia madre, che mi avevano chiamata almeno cento volte entrambe.
- Ma Fili quando viene? – ripete sbuffando una piccola Sofia che guarda con aria sognante il cibo che esce dalle cucine del locale.
- Tra un po’, credo. – le sorrido mettendola sulle mie cosce, mentre lei si diverte a tirarmi una ciocca di capelli.
- Speriamo presto, mi brontola il pancino. – sussurra, facendomi scoppiare in una risata.
Un Filippo in forma smagliante entra mezz’ora dopo nel ristorante.
Capelli scompigliati dal vento leggero, camicia, giacca e cravatta.
- Ed ecco le mie signorine! – annuncia aprendo le braccia e accogliendo in un abbraccio caloroso la sorella, mentre si sporge in avanti per dare due baci sulle guance a me.
Mentre Sofia continua a fargli le feste, Filippo mi lancia un’occhiata preoccupata che non capisco e non so definire.
- Che c’è? – domando mentre l’ansia ricomincia a farsi spazio dentro me.
- Sofia, che ne dici di andare un po’ fuori insieme a me e Cristal?  Ci sono i giochi. – le sorride debolmente e mi fa cenno d’alzarmi prima ancora che la sorella risponda.
- Va bene! – esclama quest’ultima, mentre usciamo nel giardino del locale.
Osserviamo entrambi la piccola correre verso lo scivolo e, inevitabilmente, penso al giorno in cui l’ho incontrata al parco per la prima volta.
- Ti ho chiesto di venire qui per un motivo ben preciso. – Filippo decide di rompere il silenzio.
- E quale sarebbe? – lo guardo perplessa.
- Dobbiamo parlare di mio fratello. – sospira, passandosi una mano sul viso come qualcuno che è sul punto di dire qualcosa, ma non lo fa per paura.
- Non c’è molto da dire, su Tommaso. – passo le mani sul collo e chiudo gli occhi, sentendo una fitta al petto.
- E’ stato più traumatico per lui, sai, – inizia, mal celando un sorriso spento – superare la morte di nostra madre e fare i conti con una vita senza lei. – deglutisce ed io seguo con lo sguardo il suo pomo d’Adamo, consapevole che quello che sentirò da qui a breve mi piacerà ben poco.
- Era abituato a starle accanto sempre, in ogni momento, ogni qualvolta che lei avesse bisogno, lui era lì, pronta a sostenerla. Era una donna forte, ma anche le rocce si frantumano. E’ una cosa che mi ripeto da quando lei non c’è, che anche le rocce si sgretolano sotto l’effetto dell’acqua. Mia madre era stata colpita dalle peggiori delle piogge. Un tumore al fegato aveva deciso di irrompere in lei in maniera così decisa da non lasciarle scampo. – alza lo sguardo, socchiudendo gli occhi e facendosi baciare la pelle dal sole – Fui il primo a saperlo, seguito da Tommaso, che ricevette la notizia qualche giorno dopo di me. Ricordo che quel pomeriggio tornò a casa furente di rabbia, con le lacrime agli occhi, spaccò tutto ed incominciò ad inveire contro chiunque gli venisse a tiro. Non venne a scuola per una settimana – mi volto vero Filippo sbigottita, ricollegando la settimana in cui Sparvieri, due anni prima, era mancato da scuola. Lo ricordo perché ritornò a scuola non curandosi di niente e di nessuno, allontanando gli amici e rispondendo con un tono più altezzoso del solito ai prof – e passò il resto dei giorni della vita di mia madre, a prendersene cura, come se fosse lui il genitore e lei la figlia. Sofia aveva due anni, da quando mamma aveva ricevuto la notizia che le restava poco tempo, iniziò ogni sera a raccontarle favole e a registrarsi, in modo che mia sorella non si dimenticasse mai il suono della sua voce. Io e Tommaso facciamo sentire quelle registrazioni a nostra sorella una sera sì e l’altra no, cercando di non piangere e coccolandola. – un sorriso gli si disegna sul volto, che prima s’era tramutato in una maschera di cera – Non so dirti perché ti sto raccontando tutto questo, molto probabilmente solo per arrivare a dirti che sei la prima che lui fa avvicinare in modo così prepotente e parla di te con un modo così protettivo, Cristal, che io ti chiedo solo di non fargli male. -
- Non.. non voglio fargli male, Filippo, credo che tu abbia capito cosa provo. – la voce rotta dall’emozione mi gioca brutti scherzi e qualche lacrima sfugge al mio controllo.
Filippo mi abbraccia e passa una mano sulla mia schiena, accarezzandomi delicatamente i capelli con l'altra.
- So che non vuoi fargli male, so che quella che tra i due si sta facendo calpestare dal suo carattere autodistruttivo sei tu, ma, ascoltami, aiutalo. – sussurra piano, con voce tremante, allontanandosi di poco da me – Tommaso è un bambino, a volte è egoista, menefreghista e poco affidabile, ma tu prenditi cura di lui. Trattalo come se fosse la cosa migliore che possiedi, - un sospiro – accudiscilo come se non lo amassi da pochi mesi, ma da tutta una vita.- e detto questo, Filippo si stacca definitivamente da me, avvicinandosi alla sorella e portandola dentro, rivolgendomi poi un piccolo sorriso e prendendomi la mano, conducendomi nuovamente dentro il locale e poi al nostro tavolo, mentre prendo la mia decisione.
Avrò cura di Tommaso come ne avevo da piccola per la mia bambola preferita, lo asseconderò nelle buone scelte e mi incazzerò quando sbaglierà.
Non deve perdermi, non voglio perderlo.



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Nota autrice: Sbang! Sono di nuovo qua, bella gente! So che è passato parecchio tempo dall’ultimo aggiornamento, ma nella mia famiglia ci sono un po’ di problemi, quindi colgo l’occasione per chiedere scusa anche a voi per l’assenza.
In questo capitolo la figura di Tommaso non compare, per la seconda volta, sì, ma viene nominato spesso e questo avviene anche per spiegare a voi cosa lo spinge ad essere così chiuso, freddo e distaccato.
Non so cosa aggiungere, dal momento che ho messo anima e corpo nel capitolo, vi prego solo di dirmi davvero cosa ne pensate, perché ho bisogno di leggere qualcosa di costruttivo, che mi aiuti ad arrivare quasi fino in fondo alla vostra anima, in modo da legare un legame forte, seppur attraverso un computer ed una storia.
Spero che il capitolo non vi sia dispiaciuto.
Voglio bene a tutte le anime che mi leggono.
Un abbraccio,
Rossa.


 



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Capitolo 16
*** Avviso. ***


La storia è sospesa fino a data da destinarsi..
Potrebbero essere tre mesi, così come una settimana o due giorni.
Mi scuso per l'assenza, per non aggiornare spesso, per avervi tenuti sul filo del rasoio fino ad adesso.
La verità è che Tommaso e Cristal mi trasmettono poco, e se trasmettono poco a me, che sono la scrittrice, posso solo immaginare cosa trasmettano a voi.
Una cosa importante da dire, però, è che se continuo la storia, molto sicuramente ci sarà un seguito (:
Intanto, se qualcuno è interessato, sul mio profilo c'è il prologo di Alchimia. 
Ringrazio tutti dell'attenzione e dell'appoggio.
A presto,
Rossa.

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