A beast about to strike

di Sissi Bennett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Psycho killer ***
Capitolo 2: *** New York, 1977 ***
Capitolo 3: *** The agreement ***



Capitolo 1
*** Psycho killer ***


A beast about to strike

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Capitolo uno: Psycho killer.

“We are vain and we are blind.

I hate people when they're not polite.

Psycho Killer,

 Qu'est-ce que c'est

Far better. Run away”.

(Psycho Killer- Talking Heads).

 

La ragazza si strinse al braccio del suo accompagnatore, piuttosto soddisfatta della serata. Era stata inaspettatamente divertente.

« Avevi ragione » gli disse sorridendo. Non se lo sarebbe mai aspettata ma il film le era piaciuto davvero.

Aveva storto il naso la prima volta che lui le aveva proposto quell’appuntamento. Da poco era uscita quella nuova pellicola fantascientifica di cui tutti parlavano. Dicevano che sarebbe stata una vera rivoluzione all’interno dell’industria cinematografica, che avrebbe cambiato totalmente il metodo di approccio alla cinepresa.

L’idea all’inizio non l’allettava per niente: non era molto convita dall’idea di navicelle spaziali e spade laser; non rientravano nel suo genere.

Eppure con lo scorrere dei minuti, si era trovata ritta su quella poltrona, protesa verso lo schermo, completamente presa dalla storia, ad incitare Luke Skywalker affinché facesse saltare in aria quell’enorme palla nera.  Ci era pure rimasta male quando aveva scoperto che quel film faceva parte di una trilogia e che avrebbe dovuto aspettare almeno un anno prima di vedere il proseguo.

« Te l’avevo detto » si gongolò l’uomo felice di aver fatto centro.

« Era davvero bello » continuò lei.

« Vero? Sono contento che ti sia piaciuto ».

Lei ridacchiò « Sì. Grazie di avermi invitato ».

Dentro di sé, l’uomo esultò. Era stato il loro secondo appuntamento e tutto sembrava procedere a gonfie vele. Tentò un’altra volta la sua fortuna « Lo rifacciamo il prossimo weekend? »

« Se sei fortunato » lo stuzzicò. Aveva tutta l’intenzione di accettare, ma voleva flirtare un po’ prima di dargliela vinta, sebbene il suo interessamento fosse palese.

Una figura nell’ombra lo osservava ormai da un po’. Li aveva seguiti fino al cinema e aveva pazientemente aspettato che finisse il film, prima di riprendere a pedinarli. Avrebbe potuto attaccarli in qualsiasi momento, ma il brivido della caccia era di sicuro la parte migliore della serata e l’attesa non faceva altro che aumentare il suo piacere.

Alzò gli occhi, mentre li ascoltava parlare del film. Aveva sempre trovato molto stupida quella faccenda degli appuntamenti, con rose annesse e frasettine ammiccanti. Durante la sua vita umana, aveva considerato il corteggiamento un qualcosa di sensato, perché sarebbe stato seguito da un matrimonio.

Adesso, lo riteneva solo un modo come un altro d’ingannare gli altri, svuotato di ogni significato. Nessun uomo ormai corteggiava una donna con intenzioni serie. La maggior parte desiderava solo infilarsi tra le sue lenzuola.

Quel tipo non faceva la differenza. Si stava sforzando di impressionarla, di dimostrarsi brillante, forse per carenza di altri doti; ma si sarebbe rivelata tutta fatica sprecata perché quella donna aveva capito di avere tutto il potere e si stava divertendo troppo a tenerlo sulle spine.

Il vampiro si guardò intorno: erano finiti in una lunga via, tanto trafficata di giorno quanto desolata di notte. I bar attorno stavano chiudendo, le insegne stavano per spegnersi. In lontananza un allarme stava suonando. In strada non c’era nessuno a parte quei due. Non poteva chiedere occasione migliore.

Con un movimento fulmineo, si stese sul marciapiede, poco più avanti rispetto a dove camminavano loro, a pancia in giù con la testa voltata dall’altra parte, un braccio teso sopra la testa e l’altro piegato sulla schiena. Quel trucco era praticamente infallibile.

Udì i passi avvicinarsi e le risate cessare. La coppia trattenne il fiato, il vampiro ghignò.

« O mio Dio » boccheggiò lei « È … credi che sia morto? »

Fin troppo facile, ci cascavano sempre.

« Non lo so » disse lui. Aveva l’aria di voler essere da tutt’altra parte tranne che lì, ma era l’uomo e doveva mostrarsi coraggioso. Mosse qualche passo incerto verso il corpo.

« Resta lì » le ordinò.

Portò di nuovo lo sguardo sul marciapiede e lo trovò vuoto. In quel millesimo di secondo capì di essere spacciato.

Alle sue spalle un urlo e l’orrendo rumore di un collo spezzato glielo confermarono.

« O mio Dio » non riuscì a trattenere un’esclamazione non appena realizzò l’accaduto. Si voltò di scatto e constatò con impotenza che la donna era a terra, morta. Una grossa ferita sporca di sangue spiccava sul suo collo candido.

Si piegò su di lei inorridito. Il panico si faceva largo in lui. Una bottiglia rotolò sull’asfalto, istigandolo ad alzarsi sull’attenti.

Ma furono dei passi proveniente dall’altro senso che gli mandarono i brividi per tutta la colonna vertebrale.

Si girò per l’ennesima volta, come un preda braccata dal cacciatore.

Ed eccolo arrivare, con una camminata sicura e scanzonata, la maglietta imbrattata di sangue, così come la bocca.

Il cuore dell’uomo cominciò a battere furiosamente per la paura.

« Sei quel serial killer, vero? Il figlio di Sam ». Era destinato a morire, ma almeno voleva sapere l’identità del suo assassino.

Il vampiro guardò prima la donna a terra, poi riportò gli occhi su di lui. Non aveva mai incontrato questo fantomatico “figlio di Sam”, ma non era la prima volta che ne sentiva parlare. Prima o poi avrebbe dovuto ringraziarlo, perché ormai era diventato un’ottima copertura per i suoi crimini. Tutti sembravano incolpare quel povero omicida, che in paragone, era solo un agnellino.

« Figlio di Giuseppe » gli rispose con una smorfia annoiata « Ma ci sei andato vicino ».

Non gli lasciò il tempo di reagire. Gli si lanciò addosso, affondando i canini nella sua carne, e succhiò avidamente il liquido vermiglio.

Sentì una debole resistenza da parte dell’uomo, ma non durò molto. Lasciò cadere il corpo, ormai morto, vicino a quello della donna.

Si passò la lingua sulla labbra, godendo di quel sapore inebriante che non si era curato di pulire. Frugò nelle loro tasche in cerca dei documenti d’identità.

Li mise al sicuro nel suo giubbotto e, dopo aver gettato un’ultima occhiata ai cadaveri, si allontanò, molleggiando sulle ginocchia soddisfatto.

Canticchiò il motivetto di una canzone che aveva sentito qualche giorno prima alla radio. S’intitolava Psycho Killer o qualcosa di simile. Sembrava scritta apposta per lui.

Non era particolarmente tardi, ma si trovava in un quartiere residenziale e a quell’ora non si vedeva in giro molta gente. Probabilmente sarebbe passato parecchio tempo prima che qualcuno trovasse quei due corpi.

Will sarebbe stato contento della doppia vincita. Il vampiro si passò ancora una volta la lingua sui denti, pregustando già le vittime che avrebbe circuito e assaporato quella notte nel locale del suo amico.

Quando cacciava per procurarsi identità false, di solito eseguiva il lavoro molto velocemente per evitare di essere visto. Quando, invece, si dedicava al suo piacere, allora le cose diventavano molte più dolci, lente e terribilmente stimolanti.

Dipendeva dalle serate, poi. C’erano volte in cui preferiva prendersi il suo tempo, e altre in cui aveva solo voglia di giocare con le sue prede, spaventarle e finirle nel momento in cui la paura saliva alle stelle.

Come gli piaceva il suo potere!

Non poteva pensare ad un modo migliore d’iniziare la notte, ma fu presto smentito. Dall’altra parte della strada una ragazzina correva a perdifiato verso di lui.

Probabilmente non l’aveva nemmeno visto, perché quando si accorse della sua presenza era davvero troppo tardi. Si fermò un attimo prima di finirgli addosso e perse l’equilibrio, cadendo a terra.

Il vampiro la squadrò: mingherlina, non molto alta, con i capelli biondi, appena più lunghi di un caschetto, mossi e spettinati e due occhi color nocciola che si allargarono a dismisura nell’istante in cui si focalizzarono su di lui.

La giovane strisciò di un pelo indietro, intimorita. Alle sue spalle aveva problemi ben più grossi, ma quella bocca ancora sporca di sangue non era per niente rassicurante. Se non fosse stato per quel piccolo e macabro particolare, si sarebbe anche potuta innamorare all’istante. L’individuo di fronte a lei era di una bellezza devastante : era vestito in pieno stile anni ’70, con una giacca di pelle nera che si confondeva quasi con i suoi capelli altrettanto neri. Gli occhi color ghiaccio erano segnati da una riga di matita nera. Aveva sempre trovato ridicola la matita negli occhi dei ragazzi, sebbene andasse molto di moda in quel periodo, ma a lui donava particolarmente.

Purtroppo ogni tipo fascino veniva spazzato via da quella scia di sangue che scendeva lungo il suo collo fino ad allargarsi in una grossa macchia sulla maglia bianca.

Il vampiro sogghignò compiaciuto, pronto a sporcarsi nuovamente di rosso. Non ne ebbe il tempo: dei passi sopraggiunsero in lontananza.

Lei non si girò nemmeno, si alzò con uno scatto fulmineo e si nascose dietro il suo corpo, usandolo come scudo.

Lui corrugò la fronte. L’aveva fatto davvero? Gli stava davvero chiedendo protezione?

Il motivo di tutto il suo timore si rivelò dopo poco, entrando finalmente nel cono di luce del lampione più vicino: era un uomo, sulla cinquantina, di bell’aspetto nonostante l’aria dismessa. Aveva i pantaloni slacciati.

Ora la maglietta tutta stropicciata della ragazza acquistava un senso.

« Sul serio, amico? Potrebbe essere tua figlia » parlò per la prima volta il vampiro. Era un efferato assassino, senza scrupoli, ma un molestatore … quello gli dava veramente la nausea. Non aveva mai costretto una donna ad avere rapporti intimi; erano sempre state tutte accondiscendenti, merito della sua bella presenza. Le aveva soggiogate per il sangue, non per il sesso.

Si rendeva conto che detto da un assassino fosse quasi un controsenso, ma … Santo Cielo… amava così tanto le contraddizioni!

L’uomo non osò ribattere. Indicò con mano tremante la giovane, come a volerla reclamare e balbettò qualcosa d’incomprensibile.

Il vampiro alzò gli occhi al cielo, piuttosto irritato. Aveva cominciato la serata così bene, perché doveva essere rovinata da una tale seccatura.

Non gli capitava quasi mai di fare l’eroe, quasi faticava a ricordare l’ultima volta che si era comportato bene. Per una sera, però, poteva trasgredire alla regola.

L’uomo intese che non l’avrebbe mai scampata: quel pazzo di fronte a lui aveva la bocca piena di sangue, chissà quali altre atrocità era capace di commettere.

Il suo tentativo di fuga venne stroncato sul nascere: un minuto prima stava correndo via, il minuto dopo era a terra con il collo spezzato.

Il vampiro scavalcò il corpo e riportò la sua attenzione sulla ragazza che non si era mossa di un millimetro. Lo guardava impietrita.

Non aveva tentativo di fuggire, forse perché ne aveva compreso l’inutilità. Non indietreggiò nemmeno quando lui si avvicinò.

La squadrò a sua volta, indeciso sulla sua prossima mossa.

Considerò che quella biondina aveva già ricevuto la sua dose di guai per quel giorno. Era decisamente il tipo di ragazza con cui avrebbe voluto divertirsi e giocare, ma lei non era proprio nelle condizioni. Anche se l’avesse soggiogata, non sarebbe stata una grande compagnia, anzi probabilmente sarebbe finita, comunque, a piangere sulla sua spalla, lamentandosi di tutti i suoi problemi.

Non era precisamente l’idea di divertimento del vampiro.

Decise di lasciarla andare e levarsi da quell’impiccio il più presto possibile.

« Come ti chiami? » le chiese.

« C-charlie » rispose lei schiarendosi la gola seccata.

« Bene, Charlie » incominciò  influenzandola con il suo potere « Ecco cosa succerà: ora te ne andrai a casa e ti farai una bella dormita. Quando domani mattina ti sveglierai, non ti ricorderai né di me né di quello che è accaduto stanotte, intesi? ».

Lei si limitò ad annuire. Un momento dopo si trovò sola in mezzo alla strada.

Fissò un po’ scossa il corpo dell’uomo che l’aveva aggredita e tirò un sospiro di sollievo. Non l’avrebbe mai ucciso con le sue mani, ma non poteva dire di essere dispiaciuta della sua morte.

Quella creatura – vampiro o quel che era aveva ragione: doveva andarsene di lì e alla svelta. Non desiderava essere ricollegata a quell’omicidio, non aveva bisogno di altre rogne. Avrebbe fatto molto meglio a dimenticarsi tutto.

Prima di abbandonare il luogo del misfatto, si guardò in giro ancora un’altra volta nella speranza di scorgere il suo salvatore.

Solo in quell’istante si era resa conto di non avergli detto neanche grazie.

 

Paura.

Terrore.

Angoscia.

Panico.

Sofferenza.

Ecco cosa leggeva negli occhi di quell’uomo.

Ecco cosa leggeva negli occhi di tutti, a dire il vero.

Ogni volta si ripeteva la solita storia: dopo un attimo di sbigottimento, iniziavano a rivolgergli domande prepotenti, offese poco convincenti, gli intimavano di uscire da casa loro, lo intimidivano senza molti risultati. Afferravano la prima cosa che capitava a tiro e cercavano di spaventarlo come se in mano avessero un’arma potente e letale. Infine minacciavano di chiamare la polizia.

E a quel punto lui scoppiava a ridere. Una risata malvagia e perversa. Come se degli uomini in divisa potessero fare qualcosa, come se li potessero proteggere, come se potessero fermarlo!

Erano tutti degli stolti che credevano di avere a che fare con un comunissimo ladro o un assassino ma pur sempre umano .

Era proprio questo che lo faceva imbestialire più di tutto: venire scambiato per un lurido essere privo di potere. Nonostante fosse evidentemente più potente di un mortale qualunque, nonostante rappresentasse qualcosa al di fuori della normalità cui erano abituati, nonostante i suoi occhi fossero il ritratto di disgusto e odio, quegli sciocchi continuavano a considerarlo uno di loro.

Possibile che, anche in punto di morte, anche quando era così palese, si rifiutassero di credere che nel mondo esistesse un potere superiore?

Ovviamente no! Loro si reputavano i padroni del mondo, loro decidevano la sorte del pianeta, erano loro a comandare tutti; si sentivano la specie eletta.

Ma non avevano mai compreso che i viventi si dividevano sostanzialmente in due categorie: i forti e i deboli; e gli umani, con la loro mente ottusa e chiusa, appartenevano di certo alla seconda.

Loro, specie eletta e padroni del mondo, non contavano nulla, erano degli esseri inferiori.

L’uomo, rannicchiato in un angolo, parzialmente nascosto tra il divano e il muro, fece l’ultimo disperato tentativo di scacciare lo sconosciuto che lo stava terrorizzando con i suoi occhi iniettati di sangue. Si lanciò contro il suo avversario e cercò di colpirlo.

L’attacco andò a vuoto, in quanto il vampiro si spostò in tempo, ma riuscì comunque a graffiarlo di striscio su una guancia.

L’immortale portò la mano alla parte lesa tastandola e si guardò i polpastrelli: erano sporchi di sangue. Il suo sangue, puro e antico di un secolo, versato per colpa di un uomo che nemmeno poteva definirsi tale.

Non perse tempo a torturarlo, non meritava ulteriori attenzioni; con un movimento veloce gli si gettò addosso, mordendolo con ferocia. Qualche urlo frantumò il silenzio, per poco,  e il corpo cadde a terra pesantemente.

Il martedì era il giorno di chiusura per il Billy’s e il vampiro si era dovuto arrangiare per procurarsi il suo cibo. Ormai entrare nelle case di sconosciuti era diventato così facile: bastava suonare e soggiogarli. Amava violare la sacralità delle loro dimore; la sentiva come una doppia vincita.

Fissò l’uomo privo di vita ancora per qualche secondo prima di uscire da quella casa infetta e sparire nelle vie deserte. Un occhio normale non lo avrebbe mai scorto. Lui poteva strisciare contro i muri e saltare tra i tetti; era veloce come un falco, felpato come un felino e letale come un serpente. I sensi sovrasviluppati e la forza inumana ne facevano un predatore perfetto, in perenne caccia, spinto dall’istinto.

New York a quell’ora appariva quasi disabitata. In molti avevano una concezione un po’ distorta della Grande Mela. Come la chiamavano? La città che non dorme mai.

La città dei desideri, la città dei grattaceli luminosi, la città dei negozi favolosi, della statua simbolo della libertà.

Quella era solo una parte di New York; la parte della luce, la patria del bene, degli uomini e delle donne convinti di poter vivere il sogno americano, dei poveri illusi che credevano ancora nelle favole. Ma quando calava il sole, arrivava anche la vera New York, quella che il vampiro preferiva. La New York del mistero e della trasgressione, dei segreti indicibili e del pericolo. La New York del buio più profondo, territorio dell’indomabile male.

Nessuno sano di mente si sarebbe mai addentrato negli anfratti scuri della City quando la luna era alta nel cielo; la notte non era un luogo rassicurante, fatta eccezione per gli ubriachi, per gli sprovveduti e gli squilibrati, e ovviamente per lui.

Non c’era più spazio per i buoni sentimenti, niente più giustizia, niente più compassione, niente più umanità. Non quando le paure aumentavano e la pazzia trovava spazio.

E il vampiro era ben contento dell’appellativo disumano, perché voleva essere considerato un qualcosa di superiore; uno spietato assassino, senza limiti, senza scrupoli; voleva incutere terrore con il suo comportamento inumano.

Si pulì la bocca dal sangue rivelando il suo viso diafano. Percorse tutta la via senza fretta, godendosi quei momenti in cui tutto sembrava fermarsi al suo passaggio.

Si era affermato per determinazione ed efferatezza, solo per raggiungere il suo obiettivo ultimo: conquistare il pieno potere e la totale indifferenza. Per questo adorava passeggiare per i vicoli immersi nelle tenebre e nel silenzio; perché quella era la New York che amava: malvagia, amorale, ambigua, sfacciata e disinibita; la New York che gli calzava a pennello, la New York della notte.

E lui, Damon Salvatore, ne era il padrone indiscusso.

 

Il mio spazio:

Salve a tutti!

Prima di tutto grazie di essere arrivati fin qui e di avermi dedicato un po’ del vostro tempo.

È da parecchio che volevo scrivere una fanfiction su TVD ma mancava sempre l’idea giusta. L’episodio 4x17 mi ha dato una bella scossa.

Come nasce questa storia? Da una crescente antipatia verso Elena Gilbert.

Non è mai stato il mio personaggio preferito, ma riuscivo ad apprezzarla durante le prime due stagioni. Dalla terza, invece, mi sembra sempre più vicina al suo corrispettivo cartaceo (in pratica una Mary Sue fatta e finita).

Mi dà un po’ fastidio che tutto giri sempre intorno a lei. Va bene che è la protagonista, ma a tutto c’è un limite. Insomma lei dice “Salta” e gli altri rispondono “Quanto in alto?”. Trovo che abbia bisogno di una ridimensionata, sia da parte degli autori, sia da parte degli altri personaggi.

E sono anche un po’ stufa vedere i fratelli Salvatore correre da una parte all’altra per salvarle la pelle e renderla contenta.

Non sono una grande fan della coppia Damon/Elena; lei non mi sembra la ragazza giusta e ho l’impressione che sarà lì sempre in bilico, sempre indecisa.

Per cui ho deciso di mandare a quel paese switch off, sire bonding, doppelgänger e Mystic Fall e scrivere del periodo “buio” di Damon a New York, durante gli anni settanta, quando era ben lontano da qualsiasi forma di Petrova.

Cercherò di essere più originale possibile e soprattutto molto accurata su quell’epoca. Se cambierò qualche data o cose simili per ragioni di trama, vi avvertirò nelle note.

So che ci sono molte storie Damon/Nuovo personaggio, quindi spero di darvi qualche motivo per continuare a leggere.

Vi do qualche informazione per chiarire il contesto: siamo intorno alla metà di luglio; Lexi se n’è andata da un mese e Damon ha deciso di restare a New York a spassarsela. La scena iniziale è la stessa dell’episodio. Mi piaceva molto e ho voluto inserirla; fate finta che sia successo dopo la partenza di Lexi e non prima del suo arrivo.

Il figlio di Sam è un serial killer realmente esistito, che in quello stesso periodo ha colpito diverse vittime a New York.

Il primo film di Star Wars è uscito nel maggio del 1977 (qui ho posticipato di un paio di mesi). Luke Skywalker è uno dei protagonisti.

Grande Mela è una definizione nata agli inizi del Novecento. Negli anni settanta è stata rilanciata in una campagna di promozione turistica.

La Statua della Libertà è stata costruita negli anni ’80 dell’Ottocento.

Psycho Killer è una canzone dei Talking Heads, tratto dall’album Talking Heads: 77, pubblicato sempre nel 1977.

 

Spero davvero di avervi almeno un po’ incuriosito. Se vi va, lasciatemi un commentino con le vostre prime impressioni =)

Il banner è di Bumbuni.

 

A questo punto, vi do la buona notte!

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Capitolo 2
*** New York, 1977 ***


A beast about to strike

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Capitolo due: New York, 1977.

 

“It comes down to reality
And it's fine with me 'cause I've let it slide
Don't care if it's Chinatown or on Riverside
I don't have any reasons
I've left them all behind
I'm in a New York state of mind”

(New York state of mind- Billy Joel).

 

Per molti quel giorno fu categoricamente da dimenticare.

Il 13 luglio del 1977, New York si svegliò sotto una cappa di afa soffocante. Il cielo era plumbeo e si confondeva con l’asfalto delle strade e con il metallo dei grattaceli. Il mare attorno a Manhattan era grigio e piatto, senza che un filo di vento andasse a muovere le sue dolci acque né a dare un attimo di sollievo agli abitanti della Grande Mela.

Non era un’estate felice per la città, vessata dai tagli da parte dell’amministrazione per via della dura crisi economica e terrorizzata da tal “Sam”, ancora non bene indentificato serial killer con una predilezione per le ragazze giovani.

La polizia brancolava nel buio più totale, i cittadini avevano paura ad uscire nelle ore più buie. La paranoia cominciava a diffondersi, un paio di lettere furono indirizzate a membri delle forze dell’ordine e ad alcuni giornali dallo stesso assassino. I testimoni sopravvissuti avevano dato solo identikit parziali e approssimativi; l’unica informazione valida fu la presenza fissa di una Volskwagen gialla sui luoghi degli omicidi.

La caccia all’auto fu instancabile, ma non servì a molto. Dopo quasi un anno, il pazzo non aveva né volto né nome. E tutti attendevano con terrore la prossima vittima.

Non fu un’estate di festa e la maggior parte della popolazione non vedeva l’ora che finisse; possibilmente con un uomo in più in prigione e con più soldi nelle tasche dei contribuenti.

Già dal mattino, quel 13 luglio si era prospettato un giorno particolarmente infausto e quando verso le dieci di sera la notte divenne ancora più scura, il panico dilagò.

New York senza luci era qualcosa di surreale: per le strade trafficate del centro si udivano solo i clacson delle macchine bloccate nel traffico; nei quartieri più periferici bande di teppisti si diedero al furto e al saccheggio.

I più fifoni si rintanarono in casa, gli altri uscirono offrendo il loro aiuto ad anziani e sventurati bloccati in ascensori; la polizia fu particolarmente ligia a distribuire arresti.

Tra la confusione, le urla, la rabbia e i problemi che ne conseguirono, ci fu qualcuno che accolse con gioia quel piccolo imprevisto.

Privato del suo solito divertimento serale, Damon Salvatore aveva abbandonato Will e i suoi impicci con l’impianto elettrico, e aveva deciso di farsi un giro per la città.

Aveva approfittato un po’ del caos per nutrirsi indisturbato in mezzo alla strada, ma il chiasso si era fatto insopportabile.

A Manhattan la situazione era decisamente più sotto controllo; nessuno si era sognato di spaccare vetrine e derubare negozi, men che meno di compiere atti vandalici. In ogni caso, le persone faticavano a mantenere la calma: il blackout aveva interrotto bruscamente il ritmo frenetico della città e i Newyorkesi non poteva accettarlo.

Damon provava pena per loro, perché non riuscivano a percepire l’unicità di quel momento; erano troppo abituati a viaggiare a cento all’ora per fermarsi un attimo a contemplare la bellezza di quel buio. Le loro orecchie erano sorde alla vera voce della città. Quella voce non urlava solo “dovere”, ma anche divertimento e magia.

L’essenza di New York stava lì sotto i loro occhi e quegli stolti preferivano girarsi dall’altra parte.

Possedere l’immortalità aveva indubbiamente i suoi vantaggi, permetteva di apprezzare aspetti che non tutti avrebbero colto in condizioni normali. Purtroppo a volte diventava particolarmente noioso, se il mondo intorno si rifiutava di fare silenzio.

Damon, normalmente, amava la confusione, ma il chiasso del 13 luglio rimarcava soltanto ottusità e ignoranza, disfattismo; stava lentamente risvegliando il suo istinto più violento.

Credeva che non avrebbe più trovato ciò che stava cercando, finché non arrivò nei pressi di Greenwich Village.

Finalmente lo spirito di New York gli si aprì davanti agli occhi: decine di ragazzi erano in strada a festeggiare. In una mano tenevano candele per illuminare l’oscurità, mentre le radio riempivano l’aria di musica.

Greenwich era un quartiere residenziale, benestante. La gente non aveva paura ad andarsene in giro, perché nessun serial killer si sarebbe mai inoltrato là e, nonostante il blackout, non c’era il rischio di saccheggi. Il livello di sicurezza era davvero alto.

La serata del vampiro improvvisamente si animò di nuova euforia. Era ora di godersi il buio, di andare a caccia.   

Aveva un’ampia scelta davanti a sé. L’atmosfera era perfetta. Le fiammelle delle candele irradiavano una tenue e tremolante luce; andavano a illuminare solo il viso delle persone. Il resto era avvolto nella penombra.

Damon poteva muoversi indisturbato, studiare le sue prede e designare la sua vittima. Nessuno faceva caso a lui. Festeggiavano con troppo entusiasmo per accorgersi di ciò che stava accadendo accanto a loro.

Erano anni di ribellione, di cambiamento e anche di paura. I giovani volevano far sentire la propria voce. Abbattersi non era una possibilità.

Nei momenti più bui, bisognava accendere la luce. New York aveva tutto quello. Nonostante la crisi, il pericolo nelle strade, lo stallo nell’amministrazione, la città trovava la voglia di appoggiarsi al lato più positivo.

Damon individuò una figura snella, sotto a un lampione. Distingueva perfettamente le gambe lunghe, coperte da una gonna di jeans molto stretta.

La giovane stava parlando con due suoi coetanei, ma presto li salutò e si mosse tra la folla, forse in cerca di qualcun altro.

Non si accorse assolutamente di essere seguita. Il vampiro la studiò, tenendosi a distanza. Voleva valutare bene le condizioni prima di attaccare: sembrava un po’ alticcia, ma era abbastanza lucida da camminare senza perdere l’equilibrio. Quello era già un punto a suo favore; Damon odiava avere tra le mani ragazze ubriache, perché diventavano insopportabili e davvero poco attraenti.

Un leggero stato di ubriachezza era perfetto: dava a lui la possibilità di agire come più preferiva e scioglieva i nervi alle sue vittime.

La giovane improvvisamente si fermò e si voltò. Aveva l’impressione che qualcuno la stesse guardando, ma non c’era nessuno dietro di lei.

Quando riportò gli occhi davanti a sé, vi trovò un bellissimo uomo dai capelli corvini e gli occhi color ghiaccio.

Damon capì di averla già in un pugno dal sorrisino curioso che si disegnò sulle labbra della rossa. A volte credeva che fosse davvero tutto troppo semplice. Nessuna donna sapeva dirgli di no; rimanevano talmente affascinate dal suo bell’aspetto che staccavano ogni connessione con la ragione.

Certo, quando scoprivano il suo lato meno umano, normalmente si pentivano della loro scelta, ma quella era un’altra storia.

« Ciao » sorrise lei.

Le labbra di Damon si piegarono all’insù. Era troppo facile a volte.

« È un po’ tardi per andare in giro da sola » le fece notare.

« È pieno di gente qui » rispose la ragazza, guardandosi intorno.

« Forse troppa » buttò lì Damon « Stai aspettando qualcuno? »

« L’ho trovato ora ».

Davvero troppo semplice.

Il vampiro le passò un braccio intorno alla vita e la condusse tra la massa di giovani. Quella povera ragazza credeva di aver vinto alla lotteria. Si lasciò guidare in una stradina un po’ lontana dal chiasso, tra due edifici molto eleganti.

Damon restò piacevolmente sorpreso: si aspettava almeno un minimo di resistenza. Di quei tempi la gente era molto sulla difensiva, non permetteva a un estraneo di avvicinarsi con tanta facilità.

Quella ragazza probabilmente abitava nei dintorni; sembrava di buona famiglia, non era abituata a serial killer o pericoli. Quella zona era tranquilla e sicura. Almeno fino a quel momento.

Non capitava spesso che Damon girasse per quartieri così eleganti; li trovava troppo snob e assolutamente poco divertenti. Aveva trascorso tutta la sua vita umana circondato da ricchi e nobili, a destreggiarsi tra balli e buone maniere.

Da quando era diventato vampiro, aveva imparato ad apprezzare anche l’altro lato del mondo, quello più sfacciato. Era stato piuttosto difficile lasciare i panni del borghese bene educato. Ricordava ancora gli anni in cui si portava sempre dietro un fazzolettino per pulirsi; il sangue gli faceva ribrezzo e lui si affrettava a finire le sue vittime, abbandonando i corpi in mezzo alla strada, troppo cieco per capire il piacere che avrebbe potuto trarne. Questo almeno finché non era arrivata Sage; da allora la sua vita era cambiata radicalmente.

« Mi piace questa giacca » osservò la ragazza sfiorandogli il giubbotto di pelle « In questo quartiere nessuno le indossa, troppo underground ».

« Mi trovi underground ? » ghignò Damon.

« Adoro i ribelli » rispose la rossa. Un secondo dopo aveva attaccato le labbra a quelle del vampiro e lo aveva spinto contro al muro.

Damon la lasciò fare; era una di quelle sere in cui aveva solo voglia di prendersela con calma e gustarsi il momento.  Aveva sempre avuto una preferenza per le ragazze intraprendenti. Rendevano la caccia molto più eccitante. Gli ricordavano Katherine in qualche modo, deliziosamente bella in tutta la sua irriverenza.

Avvertì una mano della giovane scivolare sul suo petto e più in basso, fino all’orlo dei pantaloni. Li slacciò e s’intrufolò per accarezzarlo.

Damon interruppe il bacio e le prese il viso tra le dita « Non urlare » le ordinò, soggiogandola per farla stare tranquilla. Lei fermò i movimenti della sua mano.

Il vampiro s’imbronciò « Continua pure » la incitò.

Le carezze ripresero e lui scese sempre più smanioso verso il suo collo. La schiacciò maggiormente contro al muro e annusò l’odore della sua pelle. I suoi canini si allungarono e scalfirono appena la carne della ragazza. Uscirono poche gocce di sangue; Damon le raccolse con le labbra. Stava aspettando il momento giusto per mordere. Voleva arrivare al limite prima di assaporare il suo sangue, voleva sentire il piacere esplodere.

La rossa muoveva il polso sempre più velocemente, con l’altra mano gli aveva arpionato il collo. Spostò il volto per cercare un altro bacio e incontrò la sguardo trasformato del vampiro. Era sotto ipnosi e non gridò, non si dimenò. Era semplicemente elettrizzata dal brivido che le trasmettevano quegli occhi.

Fu obbligata a piegare nuovamente il capo. Damon era pronto e lasciò i suoi canini penetrarle la pelle, cominciando a succhiare con sorsi lenti.

Quel liquido denso e rosso era delizioso. Si premurò di non prelevarne troppo. Quella ragazza lo intrigava da impazzire e progettava già di tenersela tutta la notte.

Proprio sul più bello, appena prima del culmine, Damon percepì un fastidioso formicolio alla nuca. Alzò il viso dal collo della ragazza e fece scorrere lo sguardo lungo la stradina fino allo sbocco nella grande via, occupato da una figura minuta che lo fissava con occhi sbarrati e parecchio imbarazzati.

Charlie Hastings si maledisse. Non era sua intenzione diventare la testimone di un momento così intimo. Paradossalmente sembrava lei quella colta in flagrante.

Non era il tipo da girovagare spesso a Greenwich Village; la sua zona si trovava da tutt’altra parte, oltre il ponte, a Brooklyn.

Si era diretta in centro solo perché i suoi amici avevano insistito. Nonostante la città fosse nel caos più totale, il passaparola non si era fermato e presto si era diffusa la notizia di una fantastica festa tra le strade di quel quartiere residenziale.

Si era trascinata con fatica fino a Manhattan, ma la stanchezza aveva quasi subito preso il sopravvento. Aveva lavorato tutto il giorno e il suo unico desiderio era tornare a casa a dormire. Sul punto di salutare i suoi amici, però, aveva notato un’ombra familiare.

Si era allontanata dal suo gruppo per seguirlo. Non si era rivelato facile; il vampiro serpeggiava tra la folla senza farsi notare, ma lei gli aveva puntato gli occhi addosso e non lo lasciava un secondo. Lo aveva scorto parlare con una ragazza e allontanarsi.

Forse era stata azzardata; non era da tutti i giorni incontrare un mostro del genere e scamparla senza un graffio; avrebbe fatto decisamente meglio a dimenticarlo, come le aveva suggerito lui.

La sua mente testarda si era impuntata: voleva ringraziarlo, perché l’aveva salvata.

Solo arrivata all’inizio di quella viuzza, si era resa conto di quanto fosse stupida la sua idea. Li aveva beccati avvinghiati uno all’altro, talmente stretti da non distinguere le due forme.

Non aveva neanche fatto tempo a distogliere lo sguardo che l’uomo aveva alzato la testa dal collo della ragazza.

Charlie ora era pietrificata. Non si mosse perché sapeva che non sarebbe servito a molto. L’avrebbe riacciuffata in un istante.

Lo osservò staccarsi dalla giovane e sussurrarle qualcosa e lei annuì apatica.

Il vampiro tirò su la zip dei pantaloni e rivolse infine tutta la sua attenzione verso Charlie. In un secondo le fu davanti, con un sorrisino beffardo « Non ti facevo una guardona ».

Charlie arrossì vistosamente « Non era mia intenz- … non volevo, insomma » iniziò a balbettare « Non credevo di rivederti così presto » confessò.

Damon alzò le sopracciglia divertito e non replicò.

« Ti ho visto poco fa e ti ho seguito ».

« Questo è evidente » commentò lui.

« Grazie » pronunciò di getto Charlie  « Grazie. È questo che ti volevo dire. Grazie per esserti sbarazzato di quell’uomo e … avermi lasciata andare».

Era strano da dire. Grazie di non avermi ucciso, quello era il senso.  

Damon addolcì lo sguardo « Questo è davvero tenero, tu sei molto tenera » precisò « È così triste che tu debba morire così. Se solo mi avessi ascoltato … » cambiò tono talmente in fretta che il sorriso di Charlie non fece nemmeno in tempo a sparire.

Il vampiro l’afferrò prepotentemente per le spalle e la trascinò nel buio della stradina alle sue spalle, sottraendola alla vista delle altre persone.

L’aveva soggiogata a dimenticarlo e non aveva funzionato. Chiaramente la ragazza assumeva della verbena o la stava indossando; era a conoscenza dell’esistenza dei vampiri e doveva essere eliminata per proteggere il segreto.

Damon le esaminò il collo, le braccia e le mani. Fu molto deluso di non trovare nessuno gioiello; avrebbe tanto voluto assaggiare il suo sangue, ma a quel punto doveva supporre che fosse pieno di veleno.

L’avrebbe uccisa alla vecchia maniera. Le si avvicinò minaccioso.

Lei alzò le mani come se volesse fermarlo « Sono una prostituta » annunciò.

« Non sono uno schizzinoso » le assicurò continuando ad avvicinarsi.

« Lo faccio per mia sorella, non per me » proseguì « Ha solo dieci anni. Frequenta una scuola privata, è molto costosa e noi siamo state adottate ».

Un attimo prima faceva fatica a sillabare la parola ‘grazie’ e ora gli raccontava tutta la sua vita, con una parlantina a macchinetta.

« Non sono interessato » le comunicò, decisamente infastidito.

« Senza di me non potrebbe pagare la retta » spiegò Charlie, bloccandolo di nuovo « La sto aiutando, ha bisogno di me. Io non posso morire ».

Il vampiro frenò il suo attacco. Non era la prima volta che una della sue prede lo implorava di lasciarla in vita adducendo i nomi dei propri familiari. Nella maggior parte dei casi, erano solo spaventati dalla morte e cercavano di far leva sul suo senso di pietà per salvarsi la pelle.

Questa ragazza, invece, brillava di sincerità. Non parlava per lei, parlava davvero per il bene della sorella. Era terrorizzata al solo pensiero di abbandonarla.

Damon sapeva che cosa si provava ad avere il peso di un fratello sulle spalle; l’immagine di Stefan che scappava dopo aver perso nuovamente il controllo nel 1912 ancora lo tormentava. Era una sensazione fastidiosa che spesso ignorava, ma non se ne andava mai; riposava in fondo al suo cuore, pronta a saltare fuori in momenti come quello.

Squadrò un’altra volta la biondina che attendeva impaziente una risposta: aveva l’aria di chi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rimanere con sua sorella e aiutarla.

Lentamente un’idea cominciò a stuzzicare la mentre del vampiro. In tutti quegli anni si era nutrito secondo due precise modalità: o ipnotizzava le sue vittime o le colpiva senza pietà. Non aveva mai bevuto da un essere umano consenziente.

Aveva  avuto molte schiavette del sangue, ma erano come bambole svuotate, che lui poteva zittire e manipolare a suo piacimento. Cosa che, se all’inizio lo aveva eccitato, adesso lo annoiava e basta.

Si chiese come potesse essere servirsi per una volta di una ragazza nel pieno delle sue facoltà, che pensava con la sua testa, con la sua personalità. Magari qualcuno un po’ difficile da piegare, che rappresentasse una piccola sfida.

« Da quanto prendi la verbena? » le domandò senza darle altre spiegazioni.

« Cosa? » si stupì lei, esibendo un’espressione confusa.

« Possiamo eliminare la parte in cui fingi di non sapere niente e arrivare direttamente al motivo per cui sei a conoscenza dell’esistenza dei vampiri? Sei imparentata con le streghe? Qualche fanatico del soprannaturale? ».

« Quindi non mi uccidi? » ne dedusse Charlie, sorpresa.

« Cerchiamo di non saltare alle conclusioni prima di aver chiarito la situazione » la smorzò Damon « Focalizziamoci di nuovo sul punto importante: perché hai preso della verbena? »

« Io, giuro, non so di che parli. Non ho mai visto un vampiro prima d’ora, a parte al cinema; non ero neanche sicura che tu lo fossi. Potevi anche essere un cannibale o che so! E che diamine è la verbena? »

Cannibale? Lo aveva appena paragonato a un cannibale?

« La verbena è un’erba. Ora rispondi alla domanda: com’è possibile che sia nel tuo sangue? »

« Non lo so! La mia amica Audrey va matta per le tisane; forse mi ha fatto bere un tè o qualcosa di simile. Ero da lei quella sera, prima d’incontrarti».

Damon scosse la testa allibito. Tutto quel casino era stato sollevato da una fanatica degli infusi. La cosa cominciava a rasentare la banalità più deprimente.

« Che cosa fa questa verbena? Perché pensi che io l’abbia presa? » chiese Charlie.

Damon non si curò di risponderle. Se davvero quella ragazza era all’oscuro come sosteneva, non desiderava certo rivelarle tutte le sue vulnerabilità.

« Supponiamo che io non ti uccida, saresti disposta a fare tutto quello che ti chiedo, quando te lo chiedo e come te lo chiedo, senza remore e senza opposizioni? » le domandò piegandosi verso di lei « Tieni presente che se la tua risposta è negativa, sarò costretto a sbarazzarmi di te ».

Arte della persuasione. Non tutti ne erano in possesso; lui sì.

« Mi dai la tua parola che non mi ucciderai? »

« Dubiti dell’onestà di un vampiro? » sogghignò Damon « Presentati tra due giorni al Billy’s, è un locale, si trova a Brooklyn. Concluderemo il nostro patto. E non bere più tè alla verbena » le ordinò puntandole un dito contro.

Esattamente come la prima volta in cui si erano incontrati, Charlie rimase sola nel vicolo. Rilasciò quasi inconsapevolmente un lungo sospiro, mentre i suoi nervi si sciolsero lentamente scaricando la tensione accumulata.

Si mise a correre, via da quella strada, via da Greenwich Village. Aveva appena scoperto l’esistenza del regno sovrannaturale, ma poteva già immaginarsi in che casino si fosse cacciata.

Da lontano, due occhi azzurri non si persero neppure un movimento. Damon non poté trattenere un moto di soddisfazione per la sua nuova conquista.

Quel 13 luglio del 1977 non fu un giorno funesto proprio per tutti.

 

Il mio spazio:

È arrivato infine il secondo capitolo. Purtroppo ci metto sempre qualche settimana ad aggiornare. Ho altre storie in corso e tra un mesetto cominceranno gli esami e sarà un delirio. Scusatemi in anticipo per i disastrosi ritardi.

Avete il secondo incontro tra Damon e Charlie! Spero davvero di non essere andata fuori personaggio con Damon.

Può sembrare che si sia subito addolcito, ma vi prometto che non è così. Charlie lo incuriosisce, niente di più. È stato smosso dal pensiero di Stefan, questo sì. Lo trovo verosimile dato che nella serie tv hanno ribadito più e più volte quanto Damon tenga al fratello.

Di Charlie non sappiamo ancora niente. Inizieremo a scoprire di più dal prossimo capitolo; vi avviso, però, che la troverete molto più normale di quanto sia apparsa fino ad ora. Spero che non rimarrete deluse.

Il blackout del 13 luglio 1977 è un fatto realmente accaduto. Ci sono stati davvero saccheggi nei quartieri più periferici e a Greenwich Village si è festeggiato tutta notte.

Anche le informazioni che ho dato sul figlio di Sam sono vere, ma non entrerò più così nei dettagli. Non vorrei diventasse troppo macabro.

La canzone è New York State of Mind di Billy Joel, apparsa per la prima volta nell’album Turnstiles nel 1976.

Se non sbaglio, nella puntata 4x17 non viene detto dove si trova precisamente il bar di Will. Ho ipotizzato che si trovasse a Brooklyn, un po’ per questione di comodità dato che anche Charlie vive lì, un po’ perché mi sembrava il distretto più adatto al tipo di locale.

Ringrazio infinitamente le ragazze che hanno commentato il primo capitolo e tutti coloro che hanno letto e inserito la storia tra i preferiti e seguiti!

Mi auguro che vi sia piaciuto questo capitolo. Lasciatemi un commentino e mi farete molto felice!

Alla prossima,

Fran;)

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Capitolo 3
*** The agreement ***


A beast about to strike

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Capitolo tre: The agreement

 

“When I'm drivin' in my car
And that man comes on the radio
He's tellin' me more and more
About some useless information
Supposed to fire my imagination
I can't get no, oh no, no, no
Hey hey hey, that's what I say
I can't get no satisfaction
I can't get no satisfaction
'Cause I try and I try and I try and I try
I can't get no, I can't get no”

(Satisfaction- The Rolling Stones).

 

Radio Caroline aveva cominciato le sue trasmissioni la domenica di Pasqua del 1964 con Satisfaction dei Rolling Stones.

Da quel momento in poi i rapporti con il potere erano decisamente cambiati. Le radio avevano portato la prima grande rivoluzione culturale del ventesimo secolo, ma in ben pochi ne avevano compreso il potenziale prima dell’avvento delle radio pirata.

Finalmente si percepiva aria di libertà, di evasione, a volte di trasgressione. Le regole iniziavano a stare strette, la gente sentiva il bisogno di nuovi riferimenti, di una spinta nel futuro. Per Damon era stato come respirare per la prima volta dopo tanto tempo a pieni polmoni. Delle sua vita umana poteva ricordare solo dovere e rigore;  l’etichetta era alla base della vita sociale ed era anche qualcosa di vincolante.

Diventare un vampiro aveva solo peggiorato la situazione: Damon non aveva idea di come comportarsi, a volte l’istinto comandava e poi la sua coscienza lo puniva. Sage gli aveva dato la prima vera scossa, gli aveva insegnato a godersi la vita, ma tra le due guerre non era stato facile trovare qualcosa di cui gioire.

Gli anni sessanta e le radio pirata avevano segnato una rivoluzione. Il potere non era più nelle mani di chi aveva creduto di detenerlo fino a quel momento, il potere era lentamente scivolato verso il basso, verso tutti.

Damon aveva visto le gonne accorciarsi e i capelli allungarsi, aveva assistito al radicale cambiamento delle abitudini dei giovani. Nessuno era più disposto a starsene zitto. La felicità doveva essere conquistata e creata su misura.

E New York era diventata il centro del sogno di rivincita. Tutto grazie a quella canzone che un decennio dopo continuava a suonare, a far sentire la propria voce.

Una canzone che Damon Salvatore aveva assunto come inno personale. I tempi in cui tutti potevano comandarlo a bacchettata erano finiti. Si trovava nella sua città, nella sua epoca e niente poteva andare storto.

Non ricordava di aver vissuto un periodo più felice di quello; tralasciando la parentesi Lexi, gli eventi dell’ultimo anni si erano rivelati più che vantaggiosi e quelli degli ultimi giorni a dir poco incredibili.

Aveva tenuto d’occhio quella ragazzina dai capelli biondi che sembrava adorare il pericolo. Abitava sul serio a Brooklyn, in un palazzo un po’ dismesso, ma non così desolante come se l’era immaginato. Niente a che vedere con gli edifici di Greenwich Village, naturalmente.

L’aveva seguita e spiata, ma non aveva trovato nessuna falla nel suo racconto. Era stata sincera: sua sorella alloggiava e studiava in un prestigioso collegio a pochi passi da Madison Square Guarden; entrambe erano state adottate alla morte della madre dal patrigno. Il vero padre sembrava scomparso nel nulla.

Frequentava l’ultimo anno del liceo; lavorava in un negozio di dischi. Damon non aveva potuto appurare se fosse davvero una prostituta, ma il suo istinto gli suggeriva di no. Probabilmente gliel’aveva detto solo per impietosirlo.

La cosa comunque non lo infastidiva. Si sarebbe incazzato sul serio se la storia sulla sorella si fosse rivelata falsa, quello sì.

Era il motivo per cui l’aveva lasciata in vita e non poteva accettare di venire preso per il culo proprio su quello.

 

Quando Charlie fece il suo ingresso al Billy’s, non poteva credere di aver accettato per davvero quell’assurdo patto.

La sua vita non era mai stata come quelle delle altre ragazze. Ricordava un periodo felice, quando sua madre era ancora viva, ma dopo la sua morte tutto era peggiorato.

Il secondo marito di sua madre aveva preso lei e sua sorella in affidamento, ma presto si era rivelato totalmente inadatto a svolgere il ruolo del padre.

Era entrato in depressione dopo la morte di sua moglie; aveva incominciato a bere e aveva perso in lavoro. Senza l’assegno mensile seguito all’adozione, non sarebbero mai sopravvissuti. Si erano trasferiti in un appartamento più piccolo e più brutto.

Charlie aveva imparato in fretta a cavarsela da sola. Lavorava tre giorni a settimana in un negozio di musica e ogni tanto dava una mano nel bar di una delle sue amiche.

David, il loro patrigno, aveva trovato un altro lavoro, sebbene non ben retribuito come il precedente. Meglio di niente comunque.

Sua sorella a otto anni era stata accettata in una prestigiosa scuola. Le avevano offerto una borsa di studio per coprire parte delle spese; il piccolo stipendio di Charlie pagava il resto delle retta. Era una cifra irrisoria rispetto al totale, ma nell’economia della famiglia aveva un peso non indifferente.

Non aveva mai fatto la prostituta, nemmeno ci aveva mai pensato. Aveva mentito per impressionare il vampiro, nella speranza di smuovere in lui ciò che lo aveva indotto a lasciarla libera la volta prima, qualunque cosa fosse. Non aveva funzionato.

Alla fine si era trovata costretta ad acconsentire a quella folla idea di diventare la sua schiavetta consenziente. Già nella definizione c’era qualcosa che non quadrava.

Non avrebbe voluto presentarsi. Più di una volta, in quei pochi giorni, aveva pensato di tenersi ben lontano da quel locale. Magari il vampiro se ne sarebbe dimenticato.

Il rischio, però, che sua sorella ci andasse di mezzo era troppo grande. Così quella sera, Charlie si era fatta coraggio e si era diretta al Billy’s.

Non era molto spaventata, non per se stessa almeno. L’idea di abbandonare sua sorella la intimoriva più della sua stessa morte.

D’altra parte, una strana sorta di curiosità si era fatta strada nel suo animo. Per anni era stata la ragazza sfortunata, quella un po’ anonima, che non riceveva mai attenzioni. Non le era mai successo niente di eclatante, nemmeno di bello.

Faticava a rammentare un momento davvero felice.

Non che trasformarsi nella servetta di un vampiro omicida la rendesse particolarmente contenta, ma la sua parte più sconsiderata e impulsiva la spingeva a buttarsi nella prima, vera avventura della sua vita.

Il Billy’s era un locale piuttosto piccolo, ma gremito di gente. Un lungo bancone occupava un’intera parete, proprio accanto al palco. Si stava già esibendo un gruppo, nonostante fosse abbastanza presto.

Charlie non sapeva a che ora sarebbe arrivato il vampiro, perciò si era recata lì poco dopo l’apertura.

Si guardò un po’ intorno, spaesata. Sembravano tutti più grandi di lei; era perfino sorpresa che non avessero controllato la sua età prima di lasciarla entrare.

Non che quello fosse un posto normale. Già il fatto che un vampiro lo frequentasse regolarmente, lo rendeva più unico che raro.

Si avvicinò al bancone per ordinare. Sarebbe stata l’unica a prendere qualcosa di analcolico. Eppure un po’ di alcol le avrebbe fatto bene, per allentare i nervi.

Dopo due ore la coca cola era ancora intatta. Aveva lo stomaco ribaltato per l’agitazione. Centoventi minuti sembravano un tempo infinito, eppure le passarono in un attimo.

Il proprietario del locale, un certo Will, le aveva tenuto compagnia per un po’. Era rimasto piuttosto stupito di trovare una ragazzina in un posto come quello, ma non l’aveva cacciata fuori. Girava gente ben peggiore.

Charlie non gli aveva rivelato la sua vera età; Will l’aveva capito comunque; per quanto fosse spigliata, emanava lo stesso un’aura d’innocenza propria di una quasi diciottenne.

L’uomo non ci mise molto a capire che fosse una delle tante vittime di Damon, perciò provò a intrattenerla quanto poté. Quando infine adocchiò il vampiro all’ingresso del locale, si accinse a servire gli altri clienti. Aveva svolto il suo compito: si era assicurato che non se ne andasse, ora erano fatti di Damon.

Charlie si sistemò meglio sullo sgabello e gettò un’occhiata all’orologio appeso al muro, segnava quadi le undici. Non era molto tardi e David normalmente neanche si accorgeva della sua presenza, ma lei il giorno dopo aveva scuola.

Se ci arrivo a scuola. Considerò tra sé e sé. Non sapeva che cosa le sarebbe accaduto quella sera. Damon le aveva promesso di tenerla in vita, o almeno così le era parso. Doveva fidarsi della parola di un vampiro?

«Ti prego non dirmi che sei una di quelle brave ragazze». Apparve dal nulla e per poco Charlie non gli rovesciò tutta la coca addosso.

Damon alzò le sopracciglia e le tolse il bicchiere di mano. «Non sei in un locale convenzionale, sai? E hai ordinato lo stesso una coca cola» osservò «Spero proprio che tu possa essere un po’ più divertente di così» la stuzzicò.

«Non volevo cacciarmi in altri guai» si giustificò.

«Ah sì? Forse avresti dovuto pensarci due volte prima di venirmi a cercare per ringraziarmi della mia buona azione. Non sei divertente e neanche sveglia. Non mi stai impressionando molto».

«Io non sono noiosa» ribatté lei «E neppure stupida». Mandava avanti da anni la sua famiglia; non avrebbe permesso a un vampiro qualunque di sminuirla in quel modo.

Damon la guardò dall’altro al basso, poi la prese per un braccio e la spinse giù dallo sgabello «Andiamo, adesso sono io che ho sete».

Percorsero tutta la sala, fino a una porta secondaria. Uscirono in un piccolo cortiletto sul retro, vuoto a eccezione di alcuni cassonetti della spazzatura.

Romantico. Pensò lei.

Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. Perché l’aveva portata lì? Voleva ucciderla senza testimoni presenti?

«Ho fatto una ricerca nella biblioteca della mia scuola. È una piccola scuola di quartiere e vanno matti per le leggende metropolitane. C’è un’intera sezione dedicata al sovrannaturale. La verbena è velenosa per voi vampiri. Vi stordisce e neutralizza i vostri Poteri, vero?»

«Stai pensando di correggere il mio bourbon?» le chiese Damon, nascondendo un certo divertimento per quella pallida intimidazione.

«No, volevo solo sapere se avevo trovato le informazioni giuste».

Damon poté appurare che fosse un’ottima dissimulatrice. Se il suo cuore non l’avesse tradita con quel battito impazzito, non sarebbe apparsa per niente spaventata.

Un punto a suo favore, perché lui non ne poteva più di tutte quelle ragazzine che lo pregavano quasi in ginocchio di lasciarle libere.

Charlie aveva una tattica tutta sua. Ugualmente inutile, ma almeno era qualcosa di diverso.

«Hai fatto bene i compiti» le concesse «Non ti sognare, però, di minacciarmi. Potrei romperti il collo in meno di un secondo».

La giovane incassò e distolse lo sguardo. «Adesso che succede?»

«Noi vampiri abbiamo Poteri speciali, l’hai detto tu stessa. Possiamo influenzare la mente umana, indurla a fare quello che vogliamo. Usiamo spesso questo controllo quando ci nutriamo, per evitare che le nostre vittime urlino e si contorcano. A volte non le uccidiamo, a volte le induciamo a dimenticare. Quello che ho provato con te» specificò «È una routine che comincia a stufarmi. Quando privi una ragazza delle propria volontà, lei diventa un irritante robot».

«Ti vuoi nutrire di me?» gli chiese.

Damon annuì «E non ho nessuna intenzione di soggiogarti. Voglio provare un po’ di carne fresca».

«Tutto qui?» si stupì Charlie «E poi sono libera di tornarmene a casa?» si aspettava di venire rinchiusa in qualche scantinato, solo per alimentare le sue riserve di sangue o peggio, per dover soddisfare i suoi più bassi istinti.

«Puoi tornartene a casa» le permise «Almeno finché non avrò ancora voglia di te».

«È l’unica cosa che mi chiedi? Per il resto posso continuare con la mia vita?»

«Stai contrattando?»

«Sto cercando di capire i termini del patto».

«Sono io che decido quali sono i termini e quando cambiarli» la stroncò Damon «Per adesso le mie esigenze coincidono con le tue».

Charlie si mordicchiò il labbro e si mise le mani in tasca. Non poteva dire di aver vinto alla lotteria, ma stava andando meglio di quanto avesse mai sperato.

«Va bene. Allora possiamo fare presto? Domani devo svegliarmi presto per andare a scuola» disse.

Damon piegò leggermente un angolo della bocca all’insù. Era strano sentire la parola “scuola”. Era una dimensione così umana, diversa e lontana dalla concezione che aveva lui del mondo.

Quella ragazza stava per diventare il pasto di un vampiro e la sua prima preoccupazione era la scuola.

«Vieni qui. Posso finire in un attimo» le fece cenno con un dito.

«Come funziona?»

«Sei oltremodo curiosa» constatò Damon «Niente di straordinario. Tu pieghi il collo, io mordo, succhio, tu ti prendi un po’ del mio sangue, il morso sparisce e siamo tutti felici e contenti».

«Aspetta, io dovrei bere il tuo sangue?» si stranì Charlie.

«Sì, se vuoi che la ferita si rimargini».

«Io non lo bevo, che schifo!» storse il naso lei «Non possiamo saltare quella parte? Morirò dissanguata se non prendo il tuo sangue?»

«No, non sono un macellaio» la tranquillizzò «Ma ti resterà il segno».

«Metterò un cerotto o qualcosa di simile».

«Funzionerà per qualche volta, ma cerca di abituarti all’idea. Non posso farti andare in giro con i segni sul collo; prima o poi qualcuno li noterà».

«Fa male?» si preoccupò Charlie.

«Solo se non lo vuoi» spiegò Damon.

«Non so se lo voglio» mormorò la ragazza. Non era andata lì di sua spontanea volontà. Aveva accettato solo per salvarsi la pelle.  Come poteva sapere se al momento del morso la sua mente si sarebbe rifiutata oppure lo avrebbe accolto senza problemi?

«Ti conviene fartelo piacere» le consigliò Damon «Ora piega la tua graziosa testolina di lato». Le si avvicinò e allungò una mano per accarezzarle i capelli.

Charlie si trovò inchiodata dalle iridi di ghiaccio del vampiro. Già la prima volta che lo aveva incontrato era rimasta incantata dal suo fascino. In condizioni normali, sarebbe caduta ai suoi piedi.

Questo, però, non era un ragazzo conosciuto una sera in un bar. Era un vampiro che desiderava il suo sangue. Quegli occhi non la attraevano più, la intimidivano.

Chiuse i suoi, per non guardare. Strinse i pugni. Non sapeva che tipo di male aspettarsi e quello la rendeva molto nervosa.

Damon strofinò la punta del naso per tutta la lunghezza del collo. Charlie avvertì un brivido. Non servì a calmarla, ma almeno ora era concentrata sulla piacevole sensazione di essere stretta da quelle  braccia.

Damon inspirò forte. Il profumo del sangue si faceva sempre più forte a ogni battito accelerato del cuore. Aprì leggermente la bocca, permettendo ai suoi canini di allungarsi. Sfiorarono la pelle sottile e lentamente la penetrarono.

Non fu il dolore lancinante che Charlie si era aspettata, ma ammise di aver provato esperienze molto più piacevoli. Fece del suo meglio per rimanere ferma, finché non riuscì più a trattenersi.

Si scostò leggermente e il suo viso si contrasse in una smorfia.

La presa di Damon sui suoi fianchi si era fatta più salda e i canini scendevano sempre più in profondità a ogni sorso. Sorsi che non accennavano a smettere, anzi divenivano sempre più lunghi.

Il vampiro per un attimo valutò di fermarsi, ma presto risolse di proseguire. Era vero, le aveva promesso che non l’avrebbe uccisa. Gliene importava qualcosa?

Non molto.

Il suo sangue era delizioso, ricco di adrenalina pompata dalla paura. Damon mandò tutto al diavolo e continuò  bere. Ne avrebbe trovata un’altra.

All’improvviso sentì un male acuto appena sotto le costole. Sciolse la stretta e Charlie sgusciò via.

«Te l’ho detto che ho fatto le mie ricerche» disse lei.

Il vampiro spostò lo sguardo sul suo torace e vide un piccolo paletto di legno spuntare dalla sua maglia. Lo tirò via con forza, trattenendo un grugnito. Si girò verso la giovane.

Charlie questa volta non abbassò gli occhi. Si era recata in quel locale preparata. Non si fidava di lui e aveva avuto ragione.

«Stavi per infrangere la tua promessa» lo accusò.

Damon si pulì la bocca con una mano e alzò le spalle «Incidenti che capitano».

«Non posso morire. Devo badare a mia sorella» affermò Charlie «Non ho nessun problema a concederti un po’ del mio sangue se ne hai bisogno, ma impara a controllarti o questo patto si conclude qui».

Damon ghignò «Vedi, il fatto è che non spetta a te dare ordini. Non ho mai detto che saresti stata intoccabile e salva per sempre. Ti ho concesso altro tempo per vivere, ma ho intenzione di riprendermelo quando vorrò. E delle stupide chiacchiere su una sorellina sola e abbandonata non invertiranno i ruoli. Non sono io lo schiavetto qui».

Charlie ingoiò il rospo. Avrebbe tanto desiderato prendere a schiaffi quel bel visino, ma aveva tirato già troppo la corda.

«So dove abiti Charlie e so in che collegio alloggia tua sorella. Non tentarmi» l’avvisò «Ora va’ a dormire o sarai troppo stanca per la scuola» la schernì. Rientrò nel locale dileguandosi, piantando in asso la ragazza.

Aveva finto di essere arrabbiato; in realtà era rimasto piuttosto compiaciuto dalla tenacia della sua giovane preda. Si era dimostrata furba e non tutti avrebbero avuto il coraggio di fronteggiare un vampiro con i canini scoperti.

Forse si era sbagliato; forse Charlie Hastings non era né noiosa né stupida.

 

Il mio spazio:

Sono sparita per un sacco di tempo! Scusatemi tantissimo.

Tra esami, tesi e le mie altre due storie non trovavo mai il tempo di mettermi a scrivere questa.

È un capitolo che si concentra più su Charlie, dato che negli altri due non le è stato dato molto spazio. È un tipetto un po’ particolare; ammetto che possa sembrare una pazza.

Giuro che cercherò di entrare il più possibile nella sua personalità e nella sua storia. Per ora forse è ancora tutto un po’ confuso ma siamo solo all’inizio.

Volevo avvertivi, poi, che purtroppo non aggiornerò più fino a settembre. È una nuova fanfiction per me, in un fandom in cui non ho mai scritto, quindi vorrei mettere giù un piano per scriverla al meglio.

Ringrazio infinitamente chi ha commentato e chi ha solo letto in silenzio. Anche chi l’ha messa tra le seguite/preferite/ricordate.

Radio Caroline iniziò davvero le sue trasmissioni il giorno di Pasqua del ’64. Su un sito avevo letto che la prima canzone mandata in onda fu Satisfaction del Rolling Stones ma le date non coincidono perché questo brano fu pubblicato per la prima volta nel 1965. Prendete quindi le notizie date a inizio capitolo come una mia “licenza poetica” ai fini della storia.

Ringrazio ancora bumbuni per il fantastico banner!

Lasciatemi un commentino, please! Sono ben accette critiche, così correggerò il tiro per la prossima stesura!

Auguro buone vacanze a tutte!!

Fran;)

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