The Prophecy di Kristah (/viewuser.php?uid=168022)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII. ***
Capitolo 14: *** XIV. ***
Capitolo 15: *** XV. ***
Capitolo 16: *** XVI. ***
Capitolo 17: *** XVII. ***
Capitolo 18: *** XVIII. ***
Capitolo 19: *** XIX. ***
Capitolo 20: *** XX. ***
Capitolo 21: *** AVVISO: STORIA MOMENTANEAMENTE IN PAUSA. ***
Capitolo 1 *** I ***
Prophecy1
The Prophecy.
It's time to start again
Backwards to go forward
[...]
Your life is a flashback
A question, a photograph
A statement, a story, a struggle
A chance to laugh
(Soundtrack to your life, Ashley Parker Angel)
7 novembre, ore 7.15
Casa Farrell.
Un altro schifosissimo giorno è cominciato. E sono in ritardo per la
scuola, come sempre; mia madre dovrà accompagnarmi per
l'ennesima volta, e io sarò costretta sorbirmi le sue lamentele continue
sul mio patrigno, al quale rivolgo la parola soltanto per il
buongiorno giornaliero. Ci ignoriamo a vicenda per questo il nostro rapporto funziona così bene.
Chiunque abbia mai detto che l'adolescenza è il periodo migliore
della vita di un essere umano, deve aver vissuto la sua al Disneyland
Resort di Parigi, perché la mia adolescenza sta facendo schifo.
Chi sono io? Bene, vi rispondo volentieri: mi piace parlare di me.
Sono Quinn Evelyn Farrell, vivo nell'inutile cittadina di Albertville,
in Ohio. Dovrebbe bastarvi sapere che sono bionda, ho gli occhi azzurri
e sono una cheerleader; e che l'estate scorsa, mentre ero in vacanza
con la mia migliore amica Kit, sono stata notata da un manager, che mi
ha proposto di diventare una modella. Il lavoro è durato
soltanto tre settimane, però le mie foto sono finite su tutti i
giornali di moda.
Il mio futuro? Rose e fiori. Studierò recitazione
all'università, so ballare e so cantare. Insomma, sono la
ragazza perfetta.
Lo ero. Prima che nella mia scuola arrivasse Francesca. E' qui un anno
per studiare l'americano, viene dall'Italia ed è il mio opposto,
dal punto di vista fisico: con i capelli neri, la carnagione olivastra
e gli occhi marroni. Il suo punto di forza? Essere straniera. Se fosse
stata un'americana, sarebbe stata snobbata come tante altre.
Stesso giorno, ore 8.10
Scuola superiore di Albertville.
-Non sei felice?- mi chiede Kit, ingenua, come sempre.
-Tu proprio non riesci a capire, vero? Io ho bisogno di essere la star
della scuola, la ragazza di cui tutti parlano. Io devo essere nei sogni
di tutti i ragazzi!-
Lo ammetto, è solo novembre, e Frankie, come si fa chiamare lei,
è qui da tre mesi, quindi è normale che tutti siano
incuriositi da lei, ma solo perché è la novità.
-Quinn, non è importante, okay? Prima o poi il liceo
finirà!- Kit è così semplice e dolce: è
destinata a rimanere nell'ombra per tutta la sua vita, mentre io voglio
spopolare, sbarcare il lunario di Hollywood, fare l'attrice. Questo
è il mio sogno: recitare.
-No, Kit, per te non è importante. Per me lo è. Sono come
Campanellino, okay? Ho bisogno della gente che crede nelle fate per
vivere- frase copiata da qualche parte, che fa sempre effetto. E'
questo quello che faccio io.
Purtroppo la campanella trascina via i miei sogni di gloria,
perché devo frequentare la lezione del signor Terrance, il mio
insegnante di storia rinascimentale. La lezione, come al solito
è una noia, uno spreco di tempo. Certo, è vero, prendo
sempre degli ottimi voti, ma è solo perché voglio essere
la migliore; migliore in tutto quello che faccio.
Così mi è
stato insegnato: mia madre è una
cantante, ha inciso qualche disco che ha fatto successo e poi si
è ritirata, quando ha scoperto di essere incinta della
sottoscritta. Mio padre? Lui è scappato, come tutti gli uomini
che non si sanno prendere le loro responsabilità. Al suo posto
adesso c'è Robert, il mio patrigno, sposato con mia madre da
dodici anni, che ha avuto con lei quattro figli. Sì, la mia
famiglia è molto numerosa.
Fatto sta che Robert è il produttore di un'importante casa
cinematografica, e potrebbe risultarmi utile per il mio lavoro futuro,
per questo non sono ancora scappata di casa.
-Signorina Farrell, sta seguendo la lezione?- mi chiede Terrance e io
annuisco, da brava alunna diligente quale fingo di essere; non appena
lui si gira, sul mio banco appare un bigliettino; lo apro: è di
Will, il Quarterback della squadra di Football. E' destino che la
Cheerleader stia con il giocatore di Football, e noi non vogliamo
forzare il destino.
Prima di voltarmi e sorridergli, come faccio sempre, lo leggo, perché ho visto il nome di Frankie.
Frankie si è data da fare con Jack sabato sera. Avevo scommesso trecento dollari. Stasera a cena fuori?
Non gli rispondo nemmeno. Sono shockata da quello che ha osato fare quella sgualdrina italiana.
Chi è Jack? No, non è il
ragazzo per cui ho una cotta da quando avevo quattro anni.
Questo non è
un teen-drama. Purtroppo è la mia vita; stimolante, è vero, ma non ha
nulla di particolare. E' semplicemente la vita di un'adolescente comune
come tante altre, che sogna di fare l'attrice e di andare al ballo con
il ragazzo dei suoi sogni.
Jack è mio fratello. Fratellastro, a
dire il vero. Anzi, non abbiamo nemmeno un legame di sangue, a ben
guardare. E' il figlio di Robbie e della sua prima moglie Ingrid, e
dopo che lei si è trasferita in Russia con un imprenditore
edile, ha
abbandonato il figlio nelle mani del padre.
Potrò anche sembrarvi
una stronza superficiale, perché in effetti lo sono. Non mi prendo
nemmeno la briga di negarlo perché è evidente, ma ci tengo veramente a
Jack. Perché è come se fosse il mio fratello gemello. Abbiamo un
rapporto che tra le persone comuni non viene contemplato, o accettato.
Viviamo nella stessa casa, in simbiosi, quando si ammala una, si ammala
anche l'altro; non capita di rado che dormiamo nello stesso letto,
soprattutto se siamo tristi o robe simili.
La campanella suona di
nuovo, segnando la fine dell'ora di Storia: il professore ci assegna un
compito stupido, un tema su come vivessero gli italiani nel 1500.
Facile, elementare, basilare. Basta aver letto una volta il capitolo
che ci aveva assegnato per oggi, e il compito è fatto. Ma si sa, noi
siamo adolescenti e leggere non ci piace.
Agli altri adolescenti
non piace: io lo adoro. E' per questo che passo tutto il mio tempo
libero (che purtroppo per me è veramente poco) nella biblioteca di
Albertville.
Ore 10.25 Break di metà mattina
Cortile della scuola.
Sono
seduta tra Kit e Will: la prima sta ciarlando riguardo il suo ragazzo,
Rick, che sembra darle il tormento da giorni per una cosa insulsa che è
o non è accaduta sabato sera: non le presto ascolto. Il secondo, come
al solito, sta sempre sulle sue, in attesa di avvistare Jack; non ha
capito che non gli potrà saltare addosso per fargli i complimenti. Non
prima che la sottoscritta gli abbia fatto una bella ramanzina.
Ed
eccolo lì: lupus in fabula[1]; il mio fratellastro,
alto, biondo, con gli occhi azzurri, le spalle larghe, perfetto nel suo
modo di essere stronzo. Mi alzo prima che lui possa anche solo
azzardarsi a salutare una delle sue tante ammiratrici; lo prendo per un
braccio e lo trascino nel ripostiglio delle scope. Il luogo adatto per
deflorare vergini, ma anche per parlare.
-Jack Andrew Farrell!-
gli urlo: voglio sapere che cosa gli è saltato in mente. Lui assume la
sua solita faccina da cucciolo bastonato, quella che mi fa intenerire
sempre, ma non questa volta. Non quando riguarda Francesca.
-Ehi,
sorellina, come va? Mi sembri agitata. Lo sai che poi ti vengono le
rughe proprio qui?- mi chiede, mentre con un dito mi accarezza il
contorno degli occhi.
-Zitto. Sto parlando seriamente, Jack. Cosa ti è saltato in mente? Frankie? Proprio lei?-
-Ascolta.
Quell'italiana potrà anche sembrare una santa, ma fidati se ti dico che
non lo è sorellina. Quella sta puntando ad un pesce più grosso del
sottoscritto-
Il mio sguardo interrogativo deve fargli capire che non so di cosa sta parlando.
-Si
sarà anche data da fare con me, ma sta pensando a come spodestarti dal
tuo trono di reginetta super-sexy del liceo, mia cara. E sta puntando
al tuo amato e veramente poco innocente ragazzo-
Ammetto che, se non lo avessi visto con così tante ragazze, penserei che Jack sia un po' omosessuale.
-Ascoltami
bene, piccolo stronzetto che non sei altro. Forse non ti è ancora
passato il concetto che il trono da reginetta è mio. Lei non può
semplicemente trasferirsi qui e prenderlo-
Sembrerò anche una bambina viziata, ma è così che funzionano le cose qui, ad Albertville.
-Io
lo so bene, sorellina. Ma pare che a lei il concetto non sia "ancora
passato"- dice mimando le virgolette. Quando fa così lo odio, è
insopportabile nella sua mise da stronzo. Lui alla fine è un bravo
ragazzo, io lo so. Forse sono l'unica che lo vede per quello che è
veramente, come lui vede me per quella ragazza insicura che per essere
felice deve stare sulla bocca di tutti: io non sono così; Quinn è una
ragazza che vorrebbe essere vista in modo diverso, ma che semplicemente
non può.
Sono diventata quella che tutti credono io sia. E non è una semplice frase riportata: è la realtà.
Jack
non aspetta che io sbollisca la rabbia, mi concede un bacio sulla
guancia ed esce dallo sgabuzzino, direzione cortile della scuola, dove
può vantarsi del suo nuovo successo sessuale.
Ho soltanto altre due ore; ormai sono diciottenne e posso andarmene quando voglio.
Esco dalla rimessa delle scope e mi dirigo verso il parcheggio; so già dove andare: biblioteca.
Ore 11.00
Biblioteca pubblica di Albertville.
-Ehi, Quinny, non dovresti essere a scuola?- lui lo sente
sempre. E' semplicemente così. Mi sente arrivare, non c'è
altra spiegazione.
-Sì, Albie, ma tanto passo più tempo qui con te che a scuola con gli insegnati-
Me lo ritrovo davanti e lo fisso minuziosamente. Albie è
così: alto, bello, con i capelli castani e gli occhi dello stesso colore dell'ossidiana[2]. La
sua unica imperfezione? Una cicatrice che taglia le labbra sottili in
due, sul lato sinistro della bocca.
-Quante volte ti ho detto che è solo Al?- mi chiede
scompigliandosi i capelli. Lui odia il suo nome. Ma a me piace, in
realtà, ma mi sono sempre guardata bene dal rivelarglielo.
-E io quante che è solo Quinn?-
Solo Albie ha il permesso di usare quello stupido nomignolo. Per gli
altri è vietato. Sono Quinn. E basta. Mai Quinny.
Albie sbuffa e riprende posto dietro al bancone; lo seguo e mi siedo di
fronte a lui. E' il mio passatempo preferito farlo arrabbiare.
Ha solo 24 anni, cinque in più di me, e sa già che la sua
vocazione è lavorare in biblioteca: lui ama i libri, sopra ogni
cosa. Tante persone pensano che lui sia un misantropo, invece per me
è un ragazzo dolce e gentile che mi ha sempre dato una mano con
i compiti difficili.
-Allora, hai qualcosa di nuovo per me?-
Lui scuote la testa e mi fissa negli occhi; non mi va a genio quando lo
fa, perché mi mette a disagio. E' una delle poche persone con le
quali non mi sento a mio agio. E' come se nella mia testa ci fosse una
lampadina che si accende rivelando la scritta: DANGER.
Ma Albie non è pericoloso, non lo è mai stato e mai lo sarà. E' buffo, allegro, solare, non pericoloso.
-Quinny... Non è arrivato niente del tuo genere- io amo leggere
i fantasy, e Albie lo sa bene, ma un qualche motivo sconosciuto, lui li
disprezza. Anzi, direi che li odia e se non venerasse i libri come
faccio io, gli darebbe fuoco.
-Dai, Albie...-
-Non farmi gli occhi dolci. Non c'è niente-
-Non capisco perché ti ostini tanto ad odiare il fantasy. Sono
così...- cerco le parole adatte, ma il mio amico interrompe la
mia ricerca.
-Stupidi e idioti? Sì, lo sono-
-Tu sei uno stupido idiota, Albus! I fantasy sono romantici e avventurosi allo stesso tempo!-
Aia. Nemmeno mi sono accorta di averlo chiamato per nome. Lui mi fissa,
ma poi fa roteare gli occhi e mi sorride: alla fine mi perdona sempre.
-Quindi... Quinny- dice
marcando bene il soprannome. -Io li odio perché parlano di cose
che non esistono. Non esistono i licantropi, i vampiri, i maghi, le
streghe, le fate...- lo vedo sospirare, come se dovesse convincere
più sé stesso che gli altri. -Non esistono. E' solo
invenzione-
-Ehi, senti, Al, io non leggo i fantasy perché penso che un
giorno o l'altro Edward Cullen, o Damon Salvatore, se Dio vuole,
busseranno alla mia porta. Non esiste nessun Samuel Roth di Shiver,
nessun Edward Cullen[3]... Lo so-
Mi sembra di parlare ad una persona rimasta senza fede in Dio. Una volta che l'hai persa, è difficile recuperarla.
-Molta gente ci diventa pazza con questa roba, Quinny (non se lo leva
proprio il soprannome dalla testa?). Le persone pensano che esistano.
Ma sono invenzioni-
-Mi delude in fatto che tu mi stia paragonando alla gente, alle
persone!- non è mia intenzione offenderlo, per questo pronuncio
questa frase con il più sincero dei miei sorrisi. L'unico che mi
vede per quella che sono veramente, oltre a Jack, è Albie.
-La sezione è tutta tua, principessa-
-Preferisco Quinny- dico rivolgendogli una pernacchia, prima di dirigermi verso il mio mondo incantato.
Non mi faccio più domande riguardanti quello che Albie pensa: alla fine sono solo gusti.
Ore 13.45
Casa Farrell.
-Allora, tesoro, com'è andata oggi a scuola?- mia madre, Robin
è sempre molto gentile, nonostante tutto. Ama i suoi figli (Jack
compreso) più di sé stessa. La domanda è rivolta a
me, mentre tutto il resto della famiglia è preso a mangiare; non
mi piace mangiare, però lo faccio per mantenermi in forma. E'
questo quello che ho imparato dopo essere uscita da un brutto periodo
di anoressia nervosa tra le scuole medie e le superiori. Mia madre ha
pensato che sarei stata ricoverata all'ospedale, ma il dottore ha ben
pensato che mi sarebbe passata. Ed è passata in effetti, ma non
grazie a lui. E' stato quello il periodo in cui io e Jack ci siamo
avvicinati tanto, prima il nostro rapporto era molto meno...
intimo.
-Mh... Al solito, sai- sì, è vero, mia madre è
gentile, ma io non ricambio la sua gentilezza, la maggior parte delle
volte. E quando lo faccio lei si stupisce: pensa che io non sia in
grado di provare dei sentimenti che riguardino qualcosa che non siano
scarpe e/o vestiti.
-Già, Quinny- interviene Jack con un sorriso sardonico sul
volto. Quando fa lo stronzo lo odio: -Non ti ho vista le ultime due ore
di lezione-
-Jackie- gli dico, odia il suo soprannome infantile tanto quanto io odi
il mio. -Questo perché non frequentiamo gli stessi corsi-
Robin e Bobbie si guardano e sorridono e mentre non sono vista da nessuno mimo con le labbra un "colpito e affondato".
-E tu, Jamie, com'è andata a scuola?-
Mio fratello James ha otto anni, ed è la peste di casa. E' la
fotocopia di Bobbie, capelli scuri, sempre scompigliati, occhi scuri e
sorriso beffardo (quello l'ha preso dal fratello). Gli risponde
borbottando (altra brutta abitudine copiata dal fratello). Nonostante
sia una peste, è adorabile. Lui è... non so come
definirlo. E' tenero nell'essere una peste.
Mamma capisce che non c'è niente da fare, e allora passa a
Teddy, che è molto più calmo e pacato. Ted ha undici
anni, e maledetta mia madre quando ha scelto i nomi dei suoi figli, sta
aspettando la lettera da Hogwarts. A nulla è valso dirgli che
Harry Potter ed Hogwarts non esistono: per lui noi siamo semplici
babbani. Ah, come lo capisco, anche io e Jack la aspettavamo con ansia,
quella lettera. Ma non è mai arrivata.
Teddy alza la testa dal piatto e sorride: -Bene. Oggi ho letto in classe il mio tema fantastico, ho preso A-
Sorrido e scuoto la testa, perché so di cosa parlava il tema di
Teds, visto che gli ho dato una mano una settimana fa. E' il mio
fratellino preferito, anche se non lo do a vedere.
Robbie alza lo sguardo, sorride al figlio e gli fa i complimenti, che non ascolto.
Io non sono cattiva, ma non riconosco in Robert la figura di mio padre,
ma sotto sotto gli voglio bene, anche se tratto lui e la mamma come
lucido da scarpe.
Poi ci sono le gemelle: Rose e Lily (sì, l'ho detto. Mia madre
ha scelto bene i nomi, eh?) hanno cinque anni ed hanno entrambe i capelli color miele (presi
dalla mamma) e gli occhi verdi (presi da chissà chi). Vanno
ancora all'asilo e sono anche loro convinte di essere streghe, per
questo girano per la casa urlando incantesimi che non esistono. Le
adoro. Sono deliziose, vestite uguali e con lo stesso tono di voce e da
brave gemelle si scambiano i ruoli. La pestilenza l'hanno presa da
Jamie, perché è l'unico a possedere questo gene.
Ricapitolando in famiglia siamo:
Mia madre Robin, Robert (detto Bobbie o Bob o Rob o Robbie, dipende
dalle situazioni), Jack (che di secondo nome fa Andrew, detto
amorevolmente Jackie se vuoi un pugno in uno occhio), io,
Ted Remus (sì, uguali e vedrete continuando l'elenco, chiamato
Teds o Teddy, ma anche Teddy-Bear), James Harry (e grazie a Dio non si
chiama James Sirius, detto Jamie) e poi le gemelle Rose Ginevra
(Ginny-Rose o anche solo Rosie) e Lily Luna (detta solo Lily)[4].
Otto. Rendetevi conto di come si può vivere in una casa popolata da otto individui, tutti pazzi, a modo loro.
Primo pomeriggio
Giardino di casa.
Io e le gemelle facciamo giardinaggio, perché ci rilassa. O
meglio: rilassa me e diverte loro. E' l'unico momento che abbiamo per
stare solo tra ragazze e un po' mi dispiace non vederle crescere. Ho
sempre appoggiato l'idea di mia madre di avere una famiglia numerosa,
perché non amo il silenzio in casa (tranne nei particolari casi
di studio estremo prima di un test).
-Quinn, posso farti una domanda?- mi chiede seria Rosie, con le mani sporche di terra. Annuisco, aspettando che vada avanti.
-A me e a Lily piace lo stesso bambino, che si diverte a prenderci in
giro perché siamo uguali- Rosie si ferma a prendere fiato, e io
penso che alla loro età non avevo problemi con i miei coetanei
dell'altro sesso. Perché loro sì?
-E questo bambino, che si chiama Larry- dice Lily, iniziando con la
sorella quello che io definisco "il discorso a quattro corde vocali".
-Ci ha detto che non può scegliere tra me e lei, perché
siamo uguali- esclama Rose, profondamente offesa da quest'ultima
affermazione.
-E se quando siamo grandi come te, nessuno ci riconosce?-
-Oh, tesoro, ma non è possibile. Innanzitutto dovete lasciar
perdere Larry o come diavolo si chiama, perché siete piccole per
pensare a queste cose. Non bruciate le tappe prima del tempo. E poi
è impossibile non distinguervi, Lily- dico rivolta alla bimba
che ha lo stesso nome del giglio che sta piantando -e Rose- termino,
dando in mano a Rose una rosa rossa.
In un attimo mi ritrovo sepolta sotto l'abbraccio soffocante delle mie
sorelline, che mi stanno sporcando tutta di terriccio, ma quando sono
con loro non m'importa di essere perfetta, con i capelli in ordine e il
trucco non sbavato.
Jack si affaccia alla finestra della sua camera, che dà
sul giardino e ci fissa con un sorriso dolce: quell'espressione gliela
vedo solo quando siamo in famiglia.
Noi due viviamo con una doppia faccia: abbiamo una doppia vita. Jack
è il tipico adolescente stronzo, sadico e masochista a scuola e
in giro con gli amici, mentre a casa è il ragazzo dolce e
premuroso che sta sempre attento ai suoi fratelli; io, invece, sono
così come mi avete visto: fuori sono una stronza a cui non frega
di niente e nessuno, solo assetata di successo e potere, mentre a
casa... sono quella che sono.
Guardo Jack e lui ricambia, piegando leggermente la testa. Capisco
perché tutte le ragazze della scuola lo adorino: non si
può di certo negare che sia un bel ragazzo. Ma no, non mi piace.
Lo considero come mio fratello, come lui considera me come sua sorella.
Niente di più.
Ore 16.30
Campo di Football della scuola superiore.
Sono seduta sugli spalti a gambe incrociate, mentre guardo Kit e
un'altra mia compagna selezionare le probabili cheerleader. Non mi sono
mai piaciute le selezioni, è un dato di fatto che le persone che
ti stanno davanti ti etichettano senza sapere nulla di te. Io sono
stata fortunata ad entrate nelle cheers, tutto grazie alla mia tutor,
Rachel (la cui madre è amica della mia dai tempi del liceo,
hanno duettato insieme e io e Rachel ci siamo ritrovate ad essere
amiche). Abbiamo entrambe dei caratteri esuberanti e allegri, e siamo
andate subito d'accordo. Rachel ha avuto un occhio di riguardo per me,
quando al primo anno ho fatto le selezioni.
E ora io sto fissando da lontano quelle ragazzine impaurite dalle
coreografie che stavano eseguendo Kit e Macy (l'altra ragazza che si
è offerta come volontaria). Le adorabili ragazzine non sanno che
il capitano le sta osservando da lontano: per loro sono soltanto
una
studentessa che fissa le selezioni senza poter accedere.
Sento un profumo familiare di gelsomino: Will. Mi giro e lo guardo
negli occhi. Il mio ragazzo è un bel ragazzo: fisico statuario,
occhi azzurri (come quelli della sottoscritta), capelli color
cioccolato al latte con dei riflessi rossicci. Siamo la tipica coppia
stereotipata del liceo americano? Sì, lo siamo: il re e la
reginetta del liceo di Albertville. Eppure mi ritornano in mente le
parole che Jack mi ha detto questa mattina "il tuo amato e poco
innocente ragazzo", non che me ne importi poi molto; sì, okay,
il sesso tra me e Will è fantastico, andiamo d'accordo, ci
amiamo, ma sappiamo che non siamo destinati a stare insieme oltre il
liceo. Lui prenderà una borsa di studio sportiva, e io ne
prenderò una per il cheerleading o una per il canto: i miei
professori devono ancora decidere.
-Ehi, Quinn- mi sussurra all'orecchio, provocandomi brividi di piacere:
quando fa così mi viene voglia di tirargli uno schiaffo e poi di
baciarlo; solitamente faccio sempre e solo la seconda.
-Mm... Will- dico, voltandomi per baciarlo.
Non c'è niente da dire: è un bacio normale, poco casto, ma ormai ci conosciamo a memoria io e lui.
Will si stacca, cosa che fa raramente, visto che sembra in grado di andare in apnea per tre anni, quando prende a baciarmi.
-Quinn...- inizia, sedendosi accanto a me. Questi sono dolori,
suppongo. Io e lui parliamo spesso, ma mai si è comportato in
questo modo.
Lo guardo, ma non dico né faccio niente. Aspetto, semplicemente.
-Quinn, sai che sabato Frankie e Jack si sono dati da fare, no?-
annuisco. -E che io avevo scommesso trecento dollari che prima o poi
sarebbe successo?- annuisco confusa, senza capire dove il mio ragazzo
voglia andare a parare.
-Dove andiamo a mangiare stasera?- mi chiede con un sorriso beffardo.
Tiro un sospiro di sollievo, non mi ero nemmeno resa conto che stavo
trattenendo il fiato, e gli tiro un pugno sul braccio.
-Mi hai fatto preoccupare! Pensavo che stessi... che ne so, per
lasciarmi!- lui mi guarda terrorizzato: sembra abbia visto un fantasma:
-Honey, non potrei mai! Ti amo, lo sai. Voglio stare con te fino alla
fine del liceo-
Ecco perché stiamo bene insieme: sappiamo di non avere un futuro e non diamo problemi ai nostri genitori.
-Non lo so. Non ci sono molti posti in cui cenare... Però... uno mi ispira particolarmente-
Ore 20.50
Fuori da casa Farrell
La macchina di Will è nel vialetto e mentre io finisco di
prepararmi lui è giù nel seminterrato a parlare con Jack.
Dire che sono migliori amici, è dire poco: sono pappa e ciccia,
culo e camicia. Potrei anche quasi essere gelosa, se non sapessi che
Jack è mio fratello e Will il mio ragazzo.
Ed eccomi scendere dalle scale, mentre indosso il mio abito rosso
Valentino, con le mie decolté nere di vernice e il mio
coprispalle nero. Una semplice pochette con i brillantini che contiene
il mio telefono, il portafogli (non si sa mai) e i trucchi minimi
indispensabili.
Sappiamo tutti e sei (noi e i nostri genitori) come finirà la
serata, per questo quando scendo al piano inferiore per salutare i miei
adorabili fratellini, mia madre mi guarda seria e mi avverte di stare
attenta; Robbie, come al solito, si fa gli affari suoi: sta giocando ai
videogame con James; Rosie e Lily sono sdraiate sul tappeto e stanno
giocando con le loro bambole. L'unico che manca all'appello, oltre a
Jack, che ovviamente è ancora di sotto con Will, è Teddy,
che cerca sempre di evitarmi quando lo saluto: ormai dice di essere grande e
pensa che non dovrebbe essere salutato da me con un abbraccio e un
bacio sulla fronte, ma alla fine lo convinco sempre, perché lui
è il mio preferito come io sono la sua (alla fine ci scambiamo
anche i libri); lo cerco in cucina e lo trovo a leggere, per l'ennesima
volta, Harry Potter e i Doni della Morte.
-Teds, non lo sai a memoria ormai?- gli chiedo mentre mi avvicino a
lui. Si è accorto della mia presenza, ma fa finta di niente,
come al solito.
-Mi disturbi, Quinn- risponde atono.
-Ho il permesso di salutare il mio fratellino preferito?-
-Non sono più il tuo fratellino!- esclama. Ed ecco che ci risiamo. Non ho tempo per litigare e glielo dico.
-Ted, adesso non ho tempo-
Alla fine stacca gli occhi dal libro (e so che questo gli costa
fatica), si gira e spalanca la braccia; senza fare troppo rumore mi
avvicino e lo abbraccio; gli do un bacio leggero e mi avvio verso le
scale.
-Quinn...- inizia Teddy. Mi giro e lo guardo.
-Scusa- sorrido dolcemente.
-Non fa niente, Teddy, ci vediamo domani- lo saluto con un cenno della mano, mentre lui torna al suo amato libro.
Scendo le scale velocemente e trovo Will e Jack sdraiati sui due pouf
che ci sono nella taverna, quella che usiamo per le feste. Entrambi
spalancano la bocca. Eppure mi hanno vista centinaia di volte conciata
in quel modo. Soprattutto Jack.
-Se non fossi mia sorella ti vorrei nel mio letto- mi dice dopo il pin-up di Will, che è sempre poco galante.
-Fanculo stronzo, io non vorrei finire tra le tue lenzuola- ed ecco il
solito battibecco che facciamo per riprendere le nostre maschere e
iniziare la nostra recita. Will si alza e mi prende sottobraccio; prima
di tornare di sopra guardo Jack che mi fa l'occhiolino. Amo sentirmi
così in sintonia con lui.
-Sei bellissima- sussurra Will, dopo essere usciti di casa, appena sono nella sua macchina.
-Nemmeno tu sei male- gli dico sorridendo; alla fine nemmeno Will se la
prende se lo tratto male. Sembra una cosa normale, per lui.
Fa partire la macchina sgommando, e ci dirigiamo verso il centro della
cittadina. Sono curiosa di provare il nuovo ristorante orientale, anche
se Will è un po' nervoso all'idea.
-Ehi, tranquillo, Will. Non è che per forza devi mangiare con le
bacchette!- gli dico, facendolo ridere. Noto che è teso.
-C'è qualcosa che non va?- se deve comportarsi in modo strano tutta la sera, è meglio mandare tutto a monte.
-E' solo che... questo è il nostro ultimo anno, ti rendi conto?- mi chiede, con gli occhi puntati sulla strada.
Nonostante tutti gli stereotipi io non sono bionda e scema e lui non
è uno di quelli che cerca di allungare le mani alla prima
occasione e non presta attenzione alla strada.
-Sì, Will. Dopo ci sarà il diploma, l'università e...-
-La vita. Intendo, la vita vera. Fuori di qui- sembra spaventato all'idea.
-Hai paura del futuro?- lo trovo buffo, perché Will è uno di quei tipi che non sembra aver paura di niente.
-E' solo che ho paura di non farcela, Quinn. La borsa di studio significa aspettative...-
Non gli concedo il tempo di continuare: poso la mia mano sopra la sua e lo guardo.
-Ehi, Will, non c'è niente di male nell'essere spaventati, okay?
Hai paura di deludere le aspettative? Beh, io ti dico solo questo: puoi
avere tutto quello che vuoi dalla vita. E quando i professori ti
concederanno la borsa di studio, sarà perché hai lavorato
sodo per averla-
Distoglie gli occhi dalla strada solo per un attimo, del resto,
è meglio non rischiare un incidente stradale per un
ringraziamento.
-Grazie, Quinn. E' per questo che sei la migliore. Sai sempre cosa dire-
Questa volta sono io che distolgo lo sguardo e lo rivolgo al cielo mentre penso che torto: torto marcio.
Quello che dico io sono le solite frasi che vengono ripetute nei film e
che leggo sui libri, niente di più. Non ho nessun super potere.
Sono semplicemente Quinn.
Note:
[1]: Lupus in fabula, detto latino, simile al nostro "Parli del diavolo e spuntano le corna".
[2]: Per evitarvi di aprire una pagina di google images, qui c'è l'ossidiana
[3]:
Non prendetevela male solo perché ho nominato un personaggio di
Twilight. Tra i vampiri che mi vengono in mente è il più
famoso. Se non sapete che cosa è Shiver, vi consgilio caldamente di leggerlo.
[4]:
Allora. Non so se si capisce che mi piace Harry Potter. Comunque i nomi
sono dettati dal fatto che stavo leggendo una FF che riguardava proprio
la new generation quando ho iniziato la mia. Pardon moi, perciò.
Angolino della scrittrice:
Salve ragazzuoli.
Lo so, vi
chiederete come mai questa storia rientra nell'area fantasy se non ci
sono né vampiri, né lupi mannari, né altro.
Dovrete aspettare.
Dobbiamo conoscere un po' meglio la nostra
protagonista, non credete?
Spero che vi affezionerete leggendo questa FF come io mi sto affezionata a scriverla.
Devo ancora decidere con quale frequenza pubblicare i capitoli... intanto spero che metterete la storia tra le seguite.
E' solo un
click, un piccolo e innocente click che mi renderebbe felice anche se
leggerete la storia in silenzio senza recensirla.
Un Bacio!
PS: Se dovessero
esserci errori di grammatica vi prego di perdonare la mia distrazione.
Fatemelo sapere e li correggerò al più presto!
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Capitolo 2 *** II ***
He come through with the money in the garter belts
I let him know we bout that cake straight up the gate uh
We independent women, some mistake us for whores
I'm sayin‘, why spend mine when I can spend yours
Disagree? Well that's you and I’m sorry
(Lady Marmalade, Moulin Rouge)
8 novembre
Ore 7.55
Sono
in terribile ritardo, ma ho deciso di non andare a scuola,
perché quando sono tornata a casa (più stamattina che
stanotte) vi ho trovato un macello. Jack e Jamie non stavano per niente
bene: avevano entrambi la febbre e quindi, per simbiosi, tra un paio di
giorni verrà a me, e anche perché questa notte ho
"dormito" con Jack.
Sono
in cucina, mentre saluto mia madre e le gemelle, prima che vadano
rispettivamente da qualche parte con Robbie e a scuola. Teddy è
già uscito, mezz'ora fa.
Chiudo
la porta e mi stendo sul divano: ho un gran mal di testa dettato dalla
notte brava che ho passato con Will. Sento dei passi e apro un occhio,
trovandomi di fronte Jamie, rosso come un peperone.
-Jamie!- gli dico, mettendomi a sedere e prendendolo in braccio. Febbre per febbre, almeno la prendo con stile.
-Quinn, ho freddo-
-Tesoro, è normale. Perché non sei rimasto a letto?-
-Volevo prendere qualcosa da mangiare. Io e Jack abbiamo fame-
Tipico di Jack: mandare in avanscoperta il piccolo James, che fa tenerezza a tutte.
-Fila di sopra. Vi preparo la colazione- gli dico, dandogli una piccola spintarella verso le scale.
Mi
fiondo in cucina e mi metto a cucinare, mentre canticchio una delle mie
canzoni preferite, Lady Marmalade. Ho una bella voce, perché non usarla?
Cucinare mi rilassa, preparo una striscia di bacon per ciascuno dei miei fratelli e quattro uova.
Salgo
le scale ed entro nella camera che per mamma e Bob è quella
degli ospiti, mentre noi la definiamo la stanza degli ammalati.
Vedo
Jack disteso sul letto in una posa inumana, con un libro di storia in
grembo, mi chiedo il perché, visto che Jack non è di
certo un tipo studioso.
Jamie,
invece sta guardando distrattamente fuori dalla finestra. Raramente
l'ho visto così calmo, solitamente è sempre in giro per
casa a rompere le scatole a Ted o a me. Oppure è in combutta con
il fratello maggiore per combinare qualcosa di losco.
-Jamie,
la colazione- dico, rivolgendomi ad entrambi. Il più piccolo fa
un cenno con la testa verso il letto occupato da suo fratello maggiore.
-Dorme,
Quinn- mi dice, mentre si scompiglia i capelli. Sorrido: mi sembra la
fotocopia di suo padre, con gli atteggiamenti da grand'uomo che ha Jack.
-Ci
penso io a svegliarlo- gli dico dolcemente, dandogli un bacio sulla
fronte e lasciandogli il vassoio con la colazione, sul quale si avventa
come un avvoltoio sulla carcassa di un animale.
Mi
avvicino al letto di Jack e gli sussurro dolcemente che è ora di
svegliarsi. Lui apre un occhio e mi fissa, con il suo solito sguardo
scocciato: quello che usa con le ragazze che non vuole più avere
intorno.
-Ehi,
Quinny...- inizia poi, riconoscendomi. È così
melodrammatico! Ieri notte ho passato tutto il tempo sveglia, a
carezzargli i capelli. Guardo bene il mio coetaneo, e noto che è
pallido, molto pallido.
-Jack,
ma stai bene?- gli chiedo preoccupata, mentre gli poso il palmo della
mia mano sulla fronte. Certo, la domanda è a dir poco idiota,
è ovvio che non stia bene.
Lui scuote la testa impercettibilmente.
-Tranquilla. Sono solo troppe donne-
-Eh, certo. Il tuo amichetto là sotto ha bisogno di riposo!- ci scherzo sù.
Del resto Jack è una delle poche persone dotate di auto-ironia che conosco.
Lui sorride, anche se è un sorriso molto tirato.
-Ieri sera? Divertita?-
Non
posso parlare davanti a Jamie, che con la sua faccina da angelo, in
realtà ha le corna e il tridente. Lui la sa lunga su certi
argomenti, contrariamente a Ted, che è veramente innocente.
-Mangia, Jackie-
Lui mi guarda riluttante e avvicina il vassoio a sé, io gli sorrido e gli scompiglio i capelli, come fosse James.
-Riposatevi,
uomini. Io sono al piano di sotto- entrambi mi fanno un cenno, uguale
nel loro modo di essere. Soffoco una risata e scendo al piano di sotto.
Ore 10.30
Casa Farrell, camera di Quinn
Ho
sistemato la mia camera, la casa, ho fatto il bucato e ho anche dato
un'occhiata a quello che c'è in frigorifero. Sono la perfetta
donna di casa, quando sono a casa (ho preso da mia madre, sono quasi sempre in giro, ma se per un miracolo dovessi stare a casa, dovrebbe essere tutto perfetto).
Il mio telefono segna l'arrivo di un messaggio: lo apro e leggo il suo contenuto.
Vado su tutte le furie. Frankie è andata in giro a dire che Jack è gay.
Trattengo a stento un urlo e salgo di corsa le scale.
Entro nella camera dei malati e guardo Jack che dorme.
Mi
scappa un sorriso: quando dorme è totalmente innocente, come la
peste che ha vicino. Mi viene voglia di abbracciarlo e mi infilo sotto
le sue coperte.
Jack apre un occhio e mi fissa: -Qualche dramma adolescenziale, Linny?-
Scuoto la testa e mi accoccolo sul suo petto. Inspiro a fondo: Jack sa di bucato appena fatto e di dopobarba.
Lui capisce che c'è qualcosa che non va e mi stringe forte.
-Linny, dimmi tutto-
-Frankie...- inizio titubante. Meglio che lo scopra da me piuttosto che da qualcun altro.
-Ha detto a tutti che sei gay- sussurro per non svegliare Jamie.
-Pff.
Capirai che danno. Sono stato con tutte le ragazze della scuola ad
eccezione di te, Linny, per motivi apparenti. Tutte possono
testimoniare che non sgranocchio cetrioli- sussurra anche lui,
spostandomi i capelli dietro l'orecchio.
Ridacchio sottovoce e lo guardo, mentre lui guarda me. È questo che facciamo noi. Ci fissiamo e basta.
-Linny...- inizia lui, poi fa un cenno verso Jamie -La peste dorme. Com'è andata ieri sera?-
Faccio spallucce e sorrido: -È andata bene, Drew-
Raramente
usiamo i nostri secondi nomi come soprannomi, ma poi cediamo alla
tenerezza. Ci fanno sentire tranquilli, come se fossimo ancora bambini.
-Mi piace essere malato- mi dice, sorridendo sornione.
-Si, perché ci sono io a farti da balia in continuazione-
-Io la faccio per te- ribatte, fingendosi offeso.
-Touché!- dico sulla sua maglietta.
-Vuoi dormire?- mi chiede Jack e io scuoto leggermente la testa.
-No. Voglio solo stare qui. Solo per un po'-
-D'accordo- mi sussurra sui capelli.
Tengo gli occhi aperti e guardo fuori dalla finestra distrattamente, pensando al niente più assoluto.
Ore 14.30
Prendo la mia borsa ed esco,dopo aver sistemato Jack e James per bene.
Guido
fino alla biblioteca ed entro. Albie mi sorride sgargiante, anche se
noto che anche lui è un po' pallido. O forse sono io che ho le
cataratte e vedo la gente pallida come un cencio.
-Albie!-
gli dico tutta solare. Non mi va di parlare tanto, oggi, perché
sono stremata dal su e giù che mi hanno fatto fare i doppia J.
-Ehi,
Quinny. Guarda un po' qui!- mi dice allungando sul tavolo un volume
dall'aria antica, ben rilegato; leggo il titolo: Lupi mannari, le
modifiche dall'antichità ad oggi.
Lo guardo sorpresa.
-Dove lo hai trovato?- sono veramente sorpresa, perché il libro sembra antico, e prezioso. Soprattutto prezioso.
-Inventario...- mi dice lui vago. Tiro un urletto di gioia e lo prendo tra le mani.
-Posso...?- gli chiedo. Lui fa di sì con la testa.
Mi immergo nella lettura.
Ore 17.15
Biblioteca di Albertville.
Ho
letto fino ad ora ed è arrivato il momento di salutare Albie.
Gli chiedo se posso tenere il libro per un po', ci ho trovato cose
interessanti e lui annuisce deciso. Lo vedo ancora pallido: forse sto
impazzendo veramente.
Scuoto
la testa mentre guido verso casa; parcheggio nel vialetto e rientro:
trovo Jack sdraiato sul divano e James che giocava con la sua adorata
X-box sdraiato sul divano.
-Ehi, Linny, dove sei stata?- mi chiede Jack, spostando lo sguardo dal libro di storia che aveva dalla mattina.
-Biblioteca- rispondo io, mostrandogli il libro che lui fissa con uno sguardo perplesso.
-Di cosa parla?-
Non voglio essere presa in giro da Jack, che pensa,come Albie che il fantasy sia roba da spostati mentali.
-Roba...-
-Okay.
Niente domande. Me lo dirà Teddy appena gliene parlerai- sta
parlando con me ma assume la sua espressione da stronzo, sorrido e
glielo faccio notare.
-Jack, ti stai comportando come se fossi Frankie-
James
ferma il suo gioco e mi fissa: -Prima Jack mi ha detto che tu la odi-
rivolgo uno sguardo sprezzante al mio fratello-comare e poi rispondo a
James: -Non la odio. È solo che...- Jack mi
ferma, perché non avrei saputo cosa dire.
-Sta cercando di soffiarle Will-
James adora Will, lo venera quasi. È un modello: il suo modello di migliore amico.
Purtroppo a Jack non piace che Jamie gli stia intorno e quando viene Will si chiudono nel seminterrato e lui ci resta male.
-Ah. Che troia- dice, mettendosi in bocca una caramella.
Io
e Jack ci guardiamo e lo riprendiamo: -James Harry Farrell!- diciamo in
coro, poi Jack mi guarda e prende le redini del discorso, facendo il
fratello maggiore.
-James,
anche se io e Quinn le diciamo sempre, tu non le puoi usare. Anche se
Robin e papà non ci sono- il tono che usa Jack è calmo.
Nonostante tutto, lui non riconosce Robin come sua madre come io non
riconosco Robbie come mio padre.
-Ma tu le usi quando sei al telefono!- esclama James.
Jack mi guarda: -Devo imparare a chiudere la porta quando parlo con i ragazzi- sorride e poi torna serio su James.
-Jamie...- gli dico io: -Non devi usarle. Potrai farlo quando sarai grande come me e Jack-
-Ma devo aspettare!- scuoto la testa e sorrido. È una peste.
Ore 19.00
Casa Farrell, ora di cena.
-Tesoro,
mi passi le patate?- chiede Robin a Bob. A cena regna il silenzio
più totale, perché tre di noi non sono andati a scuola.
Appena finita la cena, penso, devo andare a fare il compito di storia.
-Allora Teddy...- inizia mia madre, ma il ragazzino la anticipa: -No, non è successo niente di che-
-Oh,
okay- Robin non smette mai sorridere e si rivolge alle gemelle che le
rispondono in coro che la loro giornata è stata fantastica.
-Quinn, come ti senti? Sembri pallida-
Io alzo lo sguardo dal piatto e faccio un cenno verso Jack.
-Sai com'è se si ammala lui, mi ammalo anche io... Proprietà transitiva- alzo leggermente le spalle.
Colgo
lo sguardo di Robbie che sembra dire "se non dormiste sempre insieme".
A lui non è mai andato bene il nostro rapporto. È molto
più che fraterno, ma tutti sanno che non ci siamo e che non ci
vedremo mai in quel modo. È semplicemente assurdo.
La cena termina tra le chiacchiere più insulse.
Salgo in camera e avvicino la porta, non si sa mai chi potrebbe bussare in questa gabbia di matti.
Ore 00.40
Camera di Quinn Farrell
Sto dormendo quando sento la porta cigolare, accendo la mia abat-jour e fisso la figura che sta di fronte al mio letto.
-Linny... Posso... posso dormire con te?- chiede una vocina con un tono basso.
Fatico a riconoscere chi è, perché sono ancora nel mondo dei sogni.
Batto
una mano sul letto e sento dei passi leggeri avvicinarsi, guardo il
visino tenero di mio fratello Teddy, ancora tra il bambino e il ragazzo.
-Teddy, certo che puoi- gli dico, mentre lo stringo tra le braccia e lo sento tremare un po'.
-Incubo?- gli chiedo mentre gli strofino un po' la maglia del pigiama.
Lui annuisce leggermente e si infila sotto le coperte con me.
-Linny, ho paura-
-Teddy, era solo un sogno. Me lo vuoi raccontare?- gli chiedo tranquilla.
Lui scuote la testa e indica la mia immensa libreria. -Possiamo leggere qualcosa?-
Annuisco
ed esco dal letto, prendendo l'unico libro che è in grado di
calmare il mio fratellino: Harry Potter, ovviamente.
Lo guardo sorridere mentre si appoggia lentamente ai cuscini e poi si accoccola a me.
Leggo un paio di capitoli, quelli che riguardano Teddy e poi il mio fratellino riesce a prendere sonno, accoccolato a me.
Mi soffermo un attimo a guardarlo dormire: lui è un angelo, sveglio o addormentato.
Spengo
la luce e mi immergo nell'oscurità e nelle coperte. Del resto
è novembre e la brezza si insinua tra gli spifferi delle
finestre.
Abbraccio Teddy e mi addormento.
Angolino della scrittrice:
Eccomi di nuovo qui. Allora... Mi dite dove sono le recensioni?!?
Intanto ringrazio (forse dovresi prostarmi a lei) la mia recensitrice di fiducia: Anya_20!
Come farei senza le tue recensioni?
Comunque...
So già che vi state stufando di questa storia, però...
dovrete patire ancora un po'. Solo un pochino.
Poco poco, ve lo
prometto sulla testolina di Teddy.
Mh... Non so, una recensioncina me la lasciate? Dai, in fondo in questo capitolo so che non è successo nulla.
Ma qualcosa di grosso accadrà in un momento.
E spero vivamente di poterlo descrivere come me lo immagino nel mio piccolo cervellino.
PS: Come la volta scorsa, se c'è qualcosa ditemelo e lo
correggerò.
A breve suppongo che darò un volto ai personaggi principali, per
principio. (Non è sicuro. Prima li devo trovare).
Quindi, se qualcuno ha idee...
Me lo faccia sapere, insomma!
Baci!
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Capitolo 3 *** III ***
9 novembre
Ore 10.15
Cucina di casa.
Come mi pare ovvio, io mi sono presa la febbre e anche Teddy,
perché ha dormito nel mio letto. Siamo a casa in quattro su sei,
ma mia madre e Bob sanno che non c'è da preoccuparsi, alla fine
a casa ci siamo sia io che Jack e nonostante tutto siamo due persone
molto responsabili per quanto riguarda i nostri fratelli minori.
Sto dando una mano a Teddy a fare i compiti, mentre gli altri due sono ancora immersi nel mondo dei sogni.
-Linny- mi dice Teddy, schioccandomi le dita davanti al viso; sorrido e piego leggermente la testa.
-E' tanto brutto se una persona ti dice che sei un misantropo?- mi
dice, indicando un paragrafo del libro che sta leggendo; lo guardo
accigliata a confusa: un bambino di undici anni non dovrebbe leggere
dei libri che parlano di persone poco socievoli. Osservo la pagina del
libro e mi rendo conto che non è il libro che deve leggere per
scuola, ma il libro sui licantropi che mi ha prestato Albie.
-Vuol dire che sei una persona asociale, Teddy. E adesso mi devi delle
spiegazioni- gli dico, prendendo in mano il libro e chiudendolo.
-Il libro che devo leggere per la signorina Prynn l'ho finito da due giorni!- si lagna lui.
-Te lo ha dato una settimana fa!- mi lamento io: so quanto può
costare ad una persona che ama leggere essere costretto a farlo piano.
Guardo il mio fratellino, che ha proprio i miei geni da topo da
biblioteca.
-Sì, lo so! Ma... l'ho finito. E ho trovato quello- dice indicando il libro che ho tra le mani: -Questa mattina in giro-
-Non era in giro, io non sono tuo fratello che lascia sparse per casa le sue cose. Era poggiato sulla mia scrivania. Sopra al libro di storia-
Ho una memoria di ferro e Teddy non può cercare di fregarmi, nemmeno facendomi gli occhi dolci.
-D'accordo- dice infine, sbuffando: -Potrei anche averlo preso in prestito dalla tua scrivania senza il tuo permesso. Però... devo ammettere che è interessante-
Scuoto la testa. E' sempre un grande impiccione.
Sto per aprire la bocca quando sento Jamie urlare a Jack di smetterla: gli sta facendo il solletico.
Io e Teddy ci guardiamo; ogni tanto mi scordo che lui ha già
undici anni e che tra poco diventerà un perfetto adolescente
tutto brufoli e testosterone. Voglio tenermelo così carino e
coccoloso! Non voglio vederlo crescere!
Ore 12.15
Io e Jack stiamo facendo i compiti, mentre James e Ted sono al piano di
sopra a fare qualcosa di misterioso; Jack alza gli occhi dal suo libro
(ancora quello di storia di ieri) e mi guarda.
Non alzo lo sguardo, perché sono concentrata ma percepisco che deve dirmi qualcosa; rassegnata, sbuffo: -Jack?-
Non lo vedo sorridere ma me lo immagino: -Perché usi questo tono?-
-Che cosa c'è pasticcino al miele?- gli chiedo fingendomi una delle tante oche che gli muore dietro.
-Volevo solo chiederti cosa faremo... Insomma tra pochissimo ci sarà la festa nel Creepy Wood-
Alzo gli occhi al cielo e poi fisso mio fratello: la festa in quello
spiazzo di boscaglia che chiamano bosco, me lo ero quasi scordata. E'
l'evento al quale tutti partecipano e si ubriacano e finiscono a letto
con qualcuno che non è il proprio partner. Ma non capisco dove
voglia arrivare Jack.
-Okay... Il Creep... e quindi?-
Lui mi fissa come se mi stesse dando della tonta, ma fingo di non accorgermene: -Frankie- scolla dal palato.
Sorrido: -Se non la vuoi basta che glielo dici!- esclamò, prendendolo in giro.
-Non è di me che sono preoccupato, okay? Qui c'è di mezzo Will, ne sono sicuro!-
-Jack, Will ormai è grande. Ha diciotto anni, proprio come noi. Non ci sono problemi!-
Non voglio essere cattiva, ma è quello che penso: se Frankie
vuole Will che se lo prenda; alla mia reazione ci penseranno entrambi a
tempo debito, del resto... la vendetta è un piatto che va
servito freddo.
-Non... E' così che la pensi?- sembra quasi shockato.
-Jack...- inizio seria; so quanto lui ci tenga a Will: -Io e Will
sappiamo entrambi che il nostro rapporto non avrà un futuro
usciti dal liceo. Se vuole tradirmi, faccia pure-
-Non lo farebbe mai, Quinn! Cazzo, lui ti ama!-
Apro la bocca stupita, perché Jack solitamente non impreca quando ci
sono i nostri fratelli: -Lo so. E anche io lo amo. Ma è
così. E' la vita[1], Jack-
Teddy scende le scale in fretta e furia e mi si lancia contro; sembra terrorizzato dal fratello minore.
La conversazione tra me e Jack è finita, ma so che lui non vuole demordere. E' molto testardo.
Ore 15.35
Divano nel soggiorno di casa Farrell.
Seduta, o meglio, sdraiata sul divano, sto sfogliando svogliatamente il
libro sui lupi mannari; ha un suo perché, questo libro. Mi
attrae: è molto misterioso, e sembra uno di quei libri che si
trovano nelle biblioteche prima di scoprire che tutto quello che si
è letto è reale.
Scuoto la testa per levarmi quei pensieri.
Fortunatamente ho dissuaso Teddy dal divulgare il contenuto del libro a
Jack, perché mi prenderebbe a dir poco in giro. Gli ho anche
promesso che glielo avrei fatto leggere, prima di riportarlo ad Albie.
Mi sono incantata su un'immagine che raffigura un lupo mannaro su due
zampe che ulula alla Luna piena; lo trovo inquietante, soprattutto
perché sembra reale.
Sento qualcuno scendere le scale, mi volto e vedo James, molto più in forma di quanto non fosse stato ieri.
-Quinn, posso giocare?- mi chiede, indicando la TV. Io annuisco e lo
guardo mentre si sdraia sul tappeto e, tutto indaffarato, accende la
sua X-Box.
Decido di chiudere il libro e mandare un messaggio a Kit, che questa
mattina mi ha chiesto come mai non mi ero fatta vedere, e che avevano
bisogno di me per i risultati delle selezioni.
Le scrivo che ho la febbre alta e che per le selezioni dovranno
mettersi d'accordo loro; lei mi risponde subito, probabilmente mi stava
aspettando.
Scuoto la testa sovrappensiero dopo averlo letto: non vogliono
scegliere la squadra senza di me; ed è buffo, perché alla
fine io scelgo sempre quelle che mi sembrano le più capaci, ma
che non sempre si rivelano tali. Sono solo brave attrici, come la
sottoscritta.
La nostra conversazione continua fino a quando non la convinco a
prendere il comando: è una cosa che in realtà mi scoccia,
e non poco, perché non cedo molto volentieri il mio trono (anche
se solo per un breve periodo) con facilità.
Guardo James giocare, tutto preso a sconfiggere qualcosa che sembrano, manco a farlo apposta, lupi mannari.
-A che cosa giochi?-
Non mi aspetto una sua risposta articolata, invece, andando contro le
mie aspettative, mette in pausa il videogame e mi guarda, con il
controller ancora in mano.
-Si chiama Werewolves versus Human[2]. Devi impersonarti in un cacciatore
di creature magiche e sconfiggere i lupi mannari, per poter salvare
l'intera umanità con il tuo sacrificio-
Lo guardo stupita: -Che senso ha completare un gioco se poi devo
uccidermi?- gli chiedo. Quando si tratta di spiegare qualcosa che gli
interessa, James è un portento.
-Ti fa capire che non puoi avere la vittoria e la vita. Alla fine devi
scegliere: o lasciare l'ultimo lupo mannaro vivo, o ucciderlo e morire
anche tu-
-Wow- dico soltanto, però lo penso davvero. E' complesso.
Vedo James che tira fuori il secondo controller, quello che usa quando ci sono i suoi amici; me lo porge.
-Quinn, ti va di giocare?-
Afferro il controller e mi siedo sul tappeto, con la schiena appoggiata al divano, e cominciamo una partita in due.
Un paio d'ore più tardi...
Jack scende le scale, seguito da Teddy, ma io e James siamo troppo
occupati a scegliere se dovremmo uccidere il capo dei lupi e morire o
se restare in vita.
-Guarda che non dobbiamo per forza ucciderlo!- dico io, indicando con il controller il televisore.
-Quinn, dobbiamo. Insomma! E' l'ultimo lupo mannaro!- rimbecca lui,
guardandomi e non rendendosi conto dei due fratelli che hanno occupato
entrambi gli stipiti della porta.
-Dai, ma poverino! E poi, vuoi morire? Uccidi lui e uccidi anche noi!-
-Capita...- inizia a dire lui, con il suo fare da uomo di mondo; per un
attimo mi rendo conto che ha solo otto anni, e che stiamo facendo un
discorso serio: il primo, da quando ci ha onorato con la sua presenza
in questa casa.
Jack si schiarisce la voce e ci giriamo entrambi a guardarlo; Teddy ha quello sguardo dipinto negli occhi: è lo sguardo di quando James viene prima di lui, cosa che capita con non poca frequenza.
E' sempre stato così, per Ted, destinato a stare nel mezzo; in
famiglia abbiamo tutti qualcosa di particolare: Rosie e Lily sono
gemelle, io e Jack viviamo in simbiosi fraterna, James si accontenta di
infastidire tutti, mentre Ted... è sempre stato il ragazzino
studioso, con la testa sulle spalle.
Quando Teddy mi rivolge quello sguardo mi sento in colpa da morire; proprio come adesso.
E' una fortuna che Jack se ne accorga e lo prende di peso, portandolo
sul divano: -Allora, state decidendo che pizza mangiare?- ci chiede
beffardo; Jack, invece, ha sempre la solita faccia da schiaffi.
James si gira e vedo il fumetto che si forma sulla sua testa: altri due pareri ci sarebbero utili.
Indica con il controller la tv e inizia: -Questo è l'ultimo lupo
mannaro rimasto sulla terra, il resto è stato ucciso- usa il suo
tono saccente da professore universitario. -Se uccidiamo questo,
salviamo il mondo ma ci rimettiamo la pellaccia- mi chiedo dove abbia
imparato certi termini antiquati.
-Se lo salviamo- prendo il controllo io, evitando i commenti di mio fratello, molto di parte: -ci salviamo anche noi-
James guarda Jack in cerca di manforte: -Cosa dobbiamo fare?-, questa
volta lo vedo guardare anche Ted; non hanno mai avuto un bel rapporto,
considerando che sono lo Yin e lo Yang.
-Ucciderlo, mi pare ovvio- dice Jack, facendomi l'occhiolino. Tre paia
di occhi curiosi guardano Teddy, che si alza e in preda ad un attacco
d'ira urla: -E' SOLO UNO STUPIDISSIMO VIDEOGIOCO!-
Sale di corsa le scale e sentiamo una porta (probabilmente quella della sua camera) sbattere con violenza.
Jack mi fissa con il suo sguardo da cucciolo, pregandomi di andargli a parlare.
Annuisco, più a me stessa che a mio fratello, e lascio il
controller nelle mani di Jack; rivolgo un sorriso tirato ad entrambi,
che si rimettono a giocare.
Busso alla porta: -Teddy, sono io, apri, dai-, so che la porta non
è chiusa a chiave, ma non mi piacerebbe se uno dei miei numerosi
fratelli piombasse in camera mentre sono in preda ad una crisi
pre-mestruo, per fare un esempio.
Sento i passi leggeri del mio fratellino e vedo la maniglia abbassarsi:
non sta aprendo la porta completamente, ma guarda attraverso uno
spiraglio. Noto l'occhio rosso e mi viene una immensa voglia di
abbracciarlo e di sussurrargli che io ci sarò sempre, qualsiasi
cosa dovesse accadere. Perché lui è il mio Ted Remus, il
mio piccolo fratellino con i capelli tra il biondo miele delle gemelle
e il castano scuro di James, l'orsacchiotto che tenevo in braccio
quando avevo sette anni, e che portavo in giro come fosse un
giocattolo. Fisso ancora un po' quell'occhietto azzurro cielo, come il
mio, tutto arrossato dal pianto e vedo una lacrima cadere.
Mi siedo di fronte alla sua porta, come faccio sempre quando mi rivolge il suo sguardo.
-Ted...- inizio io, pronta a fargli uno dei miei discorsi filosofici.
-Io lo so che questo non te lo puoi ricordare perché eri
piccolo, ma ormai lo hai sentito tante di quelle volte. Quando sei
nato, mamma e...- no, non riesco proprio a dirlo: -Mamma e Robbie si
erano sposati soltanto da un anno; e io e Jack non ci sopportavamo. Ci
tiravamo i capelli, ci urlavamo contro... E poi, puff, sei nato tu.
Avevo sette anni quando ti presi in braccio, e penso che quello sia
stato il giorno più felice della mia vita. Ho convinto io la
mamma a chiamarti Remus, e a Jack è venuto in mente Ted: Ted
Remus. Un nome speciale, per un bambino speciale. Ti ho portato in giro
come se fossi un trofeo da esibire con le mie amiche. Mi svegliavo io
alle quattro di notte per controllare se stavi bene, ero io quella che
ti portava al parco giochi fregandosene dei compiti. Sono passati
undici anni, e tu sei diventato, anzi no, sei sempre stato il mio
fratello preferito come Jack è quello di James...-
Non sapevo più cosa dire; era un discorso senza senso, che
riportava alla mente vari ricordi di una vita fa, letteralmente
parlando.
-Quinn-
Ecco cosa dice lui: il mio nome. Nient'altro; fa sempre così,
quando è arrabbiato. Mi aspetta uno dei suoi discorsi maturi,
adesso. -Io mi ricordo che quando avevo sette anni, ti ho chiesto in
prestito un libro da leggere per esercitarmi e tu mi hai dato in mano
Harry Potter e la Pietra Filosofale; praticamente sconosciuto a me.
Inizio a leggerlo e mi piace; finisco i libri che hai nella tua
libreria, perché mi piace leggere e la mamma capisce che ho
preso da te. Poi una sera, quando tu sei fuori a divertirti, io mi
metto a piangere perché ho avuto un incubo e tu non ci sei. La
mamma arriva in camera mia e mi dice che quando io ero piccolo tu ti
mettevi di fianco alla mia culla e cominciavi a leggermi Harry Potter.
Tutti voi lo sapete qual è il mio problema: mi sottovalutate; io
mi sottovaluto da solo. Ma poi ti vedo e mi ricordo che ho sempre un
posto speciale nel tuo cuore. Io ti voglio
bene. Ma forse è arrivato il momento di crescere-
Ai, ai, ai. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato; mi alzo e mi
dirigo verso le scale, mentre Teddy, ormai solo Ted, chiude la porta
della sua camera.
Scendo al piano di sotto e trovo gli altri due fratelli che giocano felici.
Mi sento come Mary Poppins quando capisce che il suo lavoro è
finito; dovrei prendere un ombrello e volare via, ma io non ce l'ho un
ombrello.
Salgo al piano di sopra, recupero il telefono e chiamo Kit: mi servono
pettegolezzi freschi; ormai i sintomi della febbre sembrano essere
passati.
Dopo cena,
Camera di Quinn Farrell.
Mi preparo perché Kit venga qui un paio d'ore: i suoi genitori
sono avvocati e la lasciano spesso sola a casa. Kit è... non lo
so, è una mia amica, certo, forse la mia migliore amica, ma il
fatto è che non sento nessun legame speciale tra me e lei. Mi
sono anche abituata a trattarla un male, a dire la verità; la
tratto di certo meglio di alcune altre persone, però... boh,
è un mistero.
Questa sera inoltre mamma, Robbie e le gemelle sono andati ad una prova
del saggio di danza che ci sarà tra un settimana. Nostra madre
ha raccomandato a me e Jack di tenerci liberi, perché sarebbe
una grande delusione per le gemelle non vederci alla loro recita.
Ho appena finito di prepararmi e suonano alla porta; scendo le scale di
fretta, ma c'è già Ted all'ingresso: da oggi non ci siamo
più rivolti la parola.
-Kit- dice soltanto, lasciandola entrare: non gli è mai andata
troppo a genio, infatti la tratta sempre con una certa freddezza.
-Ehi, Ted!- dice lei, scompigliandogli i capelli (cosa che mio fratello odia profondamente).
Kit mi vede e mi squadra, da lontano; poi vede Jack, che ovviamente ha
pensato di sfoggiare la sua mise migliore: un paio di pantaloni da
ginnastica e nessuna canotta e/o t-shirt; ha anche appena finito con il
suo amato sacco da boxe, in camera sua.
La mia amica diventa rossa fino alla punta delle orecchie e saluta mio
fratello con uno squittio: -Ciao Jack!- poi mi prende sottobraccio e mi
trascina di sopra; chiudo la porta della mia camera e lei si butta sul
letto.
-E' stata una giornata spossante!- dice, estraendo dalla sua monospalla
una cartellina professionale rosa pastello e porgendomela.
-No, alla fine non abbiamo scelto. Non senza il nostro capitano!-
afferma, mentre esamino le foto. Forse è per questo che andiamo
d'accordo. Io voglio il trono, e lo posseggo, lei... a lei va bene
stare dietro le quinte.
Guardo i volti delle ragazzine del primo e del secondo sorridenti,
sotto ci sono i loro nomi, molto professionale, considerando che
vengono dai file criptati della scuola, che riusciamo ogni anno a
decriptare, per avere informazioni riguardanti le aspiranti cheerleader.
-Rebecca Johnson...- dico, guardando una ragazzina con una montatura
degli occhiali grande quanto quella di Patty e l'apparecchio ai denti.
-Direi di no-
Kit inizia ad annuire, da bravo cagnolino.
Qualcuno bussa alla porta della mia camera, rischiando di scardinarla,
e mi rendo conto che è Jack, che è venuto a fare lo
spaccone.
Apro e infatti mi si presenta in tutta la sua... figaggine.
-Quinn- mi dice odioso.
-Jack. Qual buon vento ti porta nella mia camera?-
Lui accenna a Kit, che intanto è tornata paonazza: -La tua amica-
-Sparisci Jack-
-Dai, Quinn... non ti chiedo molto!- si lagna
-Non è una vittima sacrificale!- esclamo chiudendogli la porta
sul grugno, poi mi volto verso Kit: -Scusami, mio fratello-
Analizziamo, anzi, analizzo le foto, ancora un po', poi io e Kit ci mettiamo a parlare della scuola, ovvero di Frankie.
-Non capisco proprio come...- fingo io, riferendomi a quanto lei sia cattiva.
-E' stato davvero un trauma. Lo ha fatto scrivere sul blog della
scuola. E... guarda qui- mi dice porgendomi il suo telefono, sul quale
appare la schermata del blog scolastico: -E' stato aggiornato cinque
minuti fa- mi dice, tristemente.
Sembra davvero... dispiaciuta, per questo mi metto a leggere di fretta, scorrendo i nomi che appaiono.
-Quinn Evelyn Farrell, nostra amata reginetta del ballo dello scorso
anno, ha trovato pane per i suoi denti, con l'italiana Francesca Poggi.
Complice il fatto che la cara ragazza d'oltreoceano si sia data da fare
con il fratellino di Quinn, l'adorato Jack?
Guai in famiglia Farrell o
questa è solo la quiete prima della
tempesta vera e propria? Del resto, ci siamo accorti tutti di
come Quinn abbia trascinato il suo dolce e caro fratello biondo e
dagli
occhi azzurri nello sgabuzzino delle scope... Una sveltina, Farrell's
Brothers o soltanto una lavata di capo per il povero Jack?
Fatto sta che Frankie ha fatto centro al primo colpo; che il punto debole della reginetta sia il fratellino?-
Vorrei smettere di leggere, ma non ci riesco, perché vedo tirato in ballo anche il nome di Will.
-Abbiamo scoperto quale problema assilla la nostra reginetta, che da un
paio di giorni non si fa vedere a scuola. E intanto il dolce William
Hummell, il principino dell'Inghilterra dell'Albertville HS, evita
sguardi indiscreti mentre si chiude con una bella mora (probabilmente
Frankie) nello spogliatoio della palestra.
Occhio reali della scuola, il vostro trono sembra essere appoggiato
sulle menzogne, e lo sappiamo, le bugie hanno le gambe corte!-
Kit cerca di
leggere da dietro la mia spalla e io le rendo il telefono: non do mai
troppo credito a quello che scrivono; non hanno capito che scrivendo di
me, mi eviteranno di finire nel dimenticatoio.
La mia amica, al contrario di me, rimane sbalordita: -Ma come osano? E
poi... Will che se la fa con Frankie? Ma siamo pazzi? Will ti ama,
Quinn, credimi!- dice, prendendomi la mano.
Ore 23.15,
Casa Farrell.
Io e Kit ci salutiamo, perché lei deve ritornare a casa per dare
da mangiare al suo cane. E' tardi e ormai ho deciso di saltare la
scuola anche domani; Ted è già andato a letto, senza
salutarmi perché sa quanto mi dia fastidio farmi vedere carina
con i miei fratelli di fronte ai miei amici, però mi dispiace
non avergli augurato la buonanotte. Forse lui ha ragione, è
arrivato il momento di crescere e di staccarsi da me. Certo, ha solo undici anni, ma si comporta come se ne avesse venti[3], e per me sarà sempre e comunque il mio fratellino.
Mi metto sotto la doccia, sperando di non infastidire nessuno, ma tanto
mamma e Rob non sono ancora tornati; mi chiedo se domani ci saranno a
casa anche le gemelle.
La febbre, stranamente, mi è passata molto in fretta,
però sono ancora un po' confusa, per via delle medicine che ho
preso oggi. Mi sono appena rivestita quando qualcuno bussa alla porta
della mia camera, e non mi sarei mai aspettata di vedere Jack con
l'aria da cane bastonato: non sta per niente bene.
-Jack!- esclamo, andandogli incontro, lui mi scansa e si siede di
fronte al mio computer (perennemente in stand-by), accende il monitor e
mi mostra l'ultimo post del blog, che è stato ancora aggiornato
mentre io e Kit stavamo parlando.
-Linny, non ce la faccio! Questo è troppo, okay?- mi chiede, alzandosi dalla sedia e guardandomi serio.
Non volgo nemmeno lo sguardo al PC e prendo le mani di Jack tra le mie, e noto che sono stranamente ghiacciate.
-E'.. è solo un blog, Drew, d'accordo?-
Fa un cenno verso la scrivania: -Leggi, prima di dire che è solo
un blog. Potrebbe anche costarti l'ammissione all'università,
per come la vedo io-
Divento rossa dalla rabbia: nessuno mi può toccare l'ammissione
alla Juilliard; è la scuola d'arte più prestigiosa del
mondo, e io devo entrarci. Assolutamente.
Mi precipita leggere quelle che sembrano lettere marchiate a fuoco nella mia mente.
-I fratelli Farrell sotto favoritismi! Occhio, ragazzi dell'Albertville
HS, qui Jack e Quinn vi stanno soffiando tutte le borse di studio! Ci
sono giunte delle voci dall'alto che rivelano che al caro fratellino
sia stata assegnata una borsa di studio per lo sport agonistico, che
verrà divisa in parti uguali con il suo migliore amico (e
fidanzato di Quinn) Will. Come l'ha presa doppia V? Qui sotto è
riportata la conversazione telefonica che abbiamo avuto con lui-
Ascolto di fretta la conversazione, dove la voce dell'interlocutore
è stata modificata. Will si lamenta del fatto che a Jack sia
stata conferita la borsa di studio che avrebbe dovuto portarlo al
college e pagare la maggior parte delle spese[4].
Ma non è ovviamente finito, c'è un secondo capitolo che
è tutto per me, anche se, per la prima volta in tutta la mia
vita, non vorrei che si parlasse di me.
-Quinn Farrell, al contrario ha ricevuto la bellezza di due borse di
studio, in esclusiva, per la prima volta in assoluto al liceo di
Albertville[5]. Nemmeno Rachel Nixon ha avuto questo onore! La nostra
bella reginetta abbia conquistato perfino il cuore degli insegnanti!
Come avranno reagito le ragazze che aspiravano (almeno) alla borsa di
studio di canto? Le sentiamo qui di seguito-
Ascolto i commenti acidi delle ragazze che fanno parte del coro della
scuola con me, una sottospecie di glee club. Sono tutte convinte che io
non mi merito quella borsa di studio perché canto male e non
sono abbastanza, per loro.
Tsè! Abbastanza? Io devo passare il provino della Juilliard, non
il loro e di certo i docenti non si baseranno sulla simpatia che i miei
compagni provano per me.
Procedo nella lettura e scopro che il blog ha inviato una mail alla
Juilliard fingendosi me, dove richiedono di annullare la mia
iscrizione, per poter dare il posto a qualcuno con "migliori
capacità di socializzazione".
Sono furente, la mia testa sta andando in fumo e ho le guance in fiamme.
Se quella mail viene male interpretata, il mio intero futuro è a rischio.
Mi trattengo per non urlare e spaccare tutto; domani mi
precipiterò nell'ufficio del preside e lo metterò a
conoscenza di questo insulso blog che tenta di rovinarmi la vita.
Scorro i commenti che sono stati lasciati e vedo gente che scherza
riguardo alla mail, e qualcuno che suggerisce che dovrebbe subire anche
Jack lo stesso destino.
Sento gli occhi pizzicare e Jack che si siede sul mio letto; mi alzo e
mi rintano nel suo soffocante abbraccio. Vorrei tanto che la terra si
spalancasse e mi inghiottisse.
Note:
[1]:
Non sarà l'ultima volta che sentiremo questa frase. Dovrete
mettervela nell'orecchio. E'... il cavallo di battaglia di Quinn.
[2]:
Mi sono documentata: questo videogioco non è reale. Purtroppo
per me. Ne ho cercato uno in giro nei vari forum, dal quale prendere
spunto, ma in tutti ti devi immedesimare nel lupo mannaro. E non giova
alla mia causa, così me lo sono inventata. Licenza poetica, la
chiamano.
[3]:
Il comportamento di Teddy il fratellino di Quinn è simile in
tutto e per tutto (per come lo vedo io) a quello di Ted Lupin di Harry
Potter. Non linciatemi, perché lo tiro fuori ogni due per tre.
[4]:
Come ci propinano da decenni ogni telefilm americano che si rispetti
(da Dawson's Creek a Gossip Girl) le università in America sono
estremamente care, e molti ragazzi abbandonano gli studi dopo il liceo
per questo motivo. Non sono certa due persone possano ricevere la
stessa borsa di studio, ma era necessario per motivi di trama
(più o meno). Licenza poetica, un'altra volta.
[5]:
Come non sono certa che una borsa di studio si possa dividere in due,
non sono certa che una persona possa ricevere due borse di studio. Vi
prego di farmele passare.
Angolino della scrittrice:
Ave, o Cesare.
No, nessun Cesare. Scherzavo. Dai, bei lettori, perché non mi lasciate un commentino?
Vi faccio anche andare su i punti di EFP! Non volete diventare dei grandi recensitori?(?)
Lasciatemi un commentino. Per favooore!
Intanto,
vi posso dire che nel sesto capitolo avverrà qualcosa di Kaboom
*prende Katherine Pierce, le fa dire "Kaboom" e poi la manda via*
Un grazie a Kath.
*si eclissa nella nebbia di Albertville*
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Capitolo 4 *** IV. ***
You kick up the leaves and the magic is lost
They tell me your blue skies fade to grey
They tell me your passion's gone away
And I don't need no carryin' on.
(Daniel Powter, Bad day)
10 novembre,
ore 9.10
Scuola superiore di Albertville,
su una sedia di plastica rossa, di fronte all'ufficio del preside Murray.
-Quinn Farrell- dice la segretaria, che finge di non conoscermi. Ho gli
occhi gonfi e sono infagottata nel mio cappotto nero preferito; mia
madre mi accompagna nell'ufficio; per questa mattina, niente lavoro per lei.
So quanto le costi caro: fa l'insegnante di canto privata e, oltre a
guadagnare un sacco di soldi, ha anche una miriade di clienti che
difficilmente riesce a far smuovere dalla loro lezione.
Ringrazio il cielo silenziosamente perché lei è qui con me: ho bisogno di supporto morale.
Entro nell'ufficio e il preside mi sorride, come d'abitudine: pensa che
io sia lì per ricevere i complimenti per le borse di studio.
Ho stampato una copia della mail che hanno inviato alla Juilliard e la
sto torturando da quando sono salita sulla macchina di mia madre.
-Quinn- mi dice con il suo accento texano e quel suo tono di voce mellifluo.
Lo fermo all'istante, mettendogli davanti agli occhi la mail: -Non sono
qui per ricevere i suoi complimenti, preside Murray. Devo denunciare un
fatto-
Lui mi guarda sorpreso e con le sopracciglia aggrottate: -Un... fatto?-
-Sì, un fatto. Questa mail- dico indicandola -è stata
spedita ieri sera dal blog che spettegola fatti non veri sugli alunni
di questa scuola. E non mi voglio lamentare per tutte le volte che
hanno detto qualcosa contro di me: non sono quel genere di persona e
lei lo sa bene. Ma questa e-mail mette in gioco il mio futuro
scolastico e professionale. Dal modo in cui l'università
Juilliard prenderà questa mail, io sarò accettata o
rifiutata-, parlo velocemente, a manetta, perché so di avere
ragione.
Il preside prende in mano il foglio e lo ispeziona dietro ai suoi
occhiali da lettura; è un bell'uomo e probabilmente è
stato anche un bel ragazzo: sguardo di un misterioso color marrone e
folti capelli castani.
-Signorina Farrell...- inizia lui, e io so che vorrà
persuadermi: -Questa è una grave accusa da rivolgere a qualcuno.
Cosa pensa che potrei fare, io?-;
calca molto il tono sull'io finale e so che lo fa perché
preferirebbe non essere tirato in mezzo; del resto, sta pensando che
sia roba da ragazzi, uno stupido scherzo.
-Contattare immediatamente la Juilliard di New York- interviene mia madre, come se fosse shockata dalla domanda del preside.
-Signora Farrell...- non cambia tono di voce, lusinghiero e che ti scivola addosso come un'anguilla viscida: -Non ho il potere per fare una cosa del genere-
-Non mi interessa!- sbotta mia madre; io la stimo, perché
è sempre sicura di sé e di quello che vuole. Voleva una
famiglia numerosa, e l'ha ottenuta; aveva messo gli occhi su Rob, e
l'ha ottenuto.
-Il futuro di mia figlia è stato messo in gioco da questa
lettera insulsa e scritta forse senza pensare- mia madre non urla. Si limita a cambiare il modo di parlare. Si sta rivolgendo
al preside come se fosse davanti al presidente degli Stati Uniti, per
farlo sentire piccolo e allo stesso tempo importante.
-L'università le ha scritto qualcosa?- domanda sospettoso,
fissando l'orologio posto alle nostre spalle. Sta pensando che sono
solo le nove e la scuola potrebbe non avere ancora controllato tutte le
mail.
Tempismo perfetto: il mio telefono si mette a squillare. Guardo il
numero e riconosco che è quello stampato sul retro dell'opuscolo
della Juilliard; rispondo, incerta. -Signorina Farrell?- domanda una
voce maschile, molto gentile dall'altra parte del telefono.
-Sì?- sono ansiosa; molto ansiosa.
-Salve, sono Frederick McLaine, uno dei docenti della Juilliard e mi
stavo chiedendo come mai avesse deciso di ritirare la sua richiesta di
iscrizione, mentre noi le stavamo mandando la nostra lettera che le
avrebbe dato l'esito di finalista. Ci è piaciuto il suo numero e
avevamo intenzione di ammirarla dal vivo-
Sto per sciogliermi, la mano libera trema un pochino: la Juilliard mi
ha accettato ai suoi corsi e con largo anticipo rispetto ai tempi
comuni!
-Ehm... E' una storia strana. Quella lettera non l'ho scritta io. E'
stata una... bravata di un paio dei miei compagni di scuola-
L'uomo, il professor McLaine, a quanto pare, sospira: -Capisco. Beh,
capita molto spesso che studenti gelosi si fingano aspiranti allievi di
questa scuola-
Sento un distruggi-documenti che viene messo in funzione: qualcosa ci finisce dentro.
-Riceverà la nostra lettera entro il più breve tempo
possibile, signorina Farrell. Mi dispiace averle rovinato la sorpresa:
buona giornata-
-Anche a lei, professore- dico, ignorando completamente le altre due persone che sono nella stanza.
Scuoto la testa e riprendo la mail che il preside aveva posato sulla sua scrivania.
-Signorina Farrell?- mi chiede ansioso.
-La Juilliard mi considerava come una delle aspiranti allieve.
Purtroppo non grazie a questa, preside Murray- dico, accartocciando il
foglio di carta.
-Saranno presi provvedimenti per questo comportamento. Non appena
scopriremo i colpevoli, saranno severamente puniti- dice a mia madre,
prima che ci congedassimo.
Poco dopo la conclusione del colloquio,
macchina di Robin Farrell.
-Ti hanno accettata?- chiede mia madre, in preda all'eccitazione più totale.
-Mamma... mi hanno solo detto che mi considerano degna di essere
"ammirata dal vivo"- dico, riportando le parole del professor McLaine.
-Questo te lo hanno detto solo per non dirti che sei dentro-, scuoto la testa.
-Non sono ancora dentro, mamma- ripeto di nuovo, trattenendo la sorpresa.
I miei sogni si stanno lentamente avverando, ma io ho bisogno di
pensare, solo un pochino. Anzi, ho bisogno di staccare la spina dai
miei pensieri.
-Ti dispiace accompagnarmi in biblioteca? Poi mi farò venire a
prendere da Jack- chiedo a mia madre, mentre lei imbocca la strada del
centro.
Lei annuisce soltanto e prima che io scenda dalla macchina mi dice: -Ehi, Quinn! Sono fiera di te, bambina mia-
Le sorrido timidamente e mi avvio verso la biblioteca e non appena la
campanella appesa alla porta suona, Albie distoglie gli occhi dal
monitor del PC e mi sorride.
-Ciao Quinny!-
-Ciao Albie- dico io, prima di avviarmi verso il reparto fantasy.
-Quinny, come trovi il libro che ti ho... raccattato?- mi chiede Albie, prima che io possa totalmente immergermi nella lettura.
Alzo la testa dal libro, e come Teddy mi costa tanta fatica, e fisso la
sua cicatrice: -E' interessante. Molto, in effetti!- gli dico
sorridendo. Mi chiedo come sarebbe sfiorarla, almeno una volta, e poi
scuoto la testa, scacciando quei pensieri che non dovrebbero essere.
-Sono contento- afferma, poco convinto, prima di tornare alla sua postazione.
Causa febbre e pianti ininterrotti durante la nottata, non ho voglia di stuzzicarlo come faccio di solito.
Riporto lo sguardo sul libro e entro nel mio mondo incantato.
Ore 12.30,
davanti alla biblioteca.
Sto aspettando Jack, da dieci minuti e come se non bastasse si è messo a piovere.
Stupido novembre, penso.
Poi scorgo la macchina di mio fratello spuntare dalla pioggia battente.
-Linny, serve un passaggio?- mi chiede, scherzando.
Salgo in macchina senza fiatare e tornando a casa non pronuncio una
parola; complice l'attesa, ho iniziato a pensare cose veramente
pazzesche.
E' una buffa coincidenza che la notte del Creep, cioè, la notte della festa, ci sarà il plenilunio.
Dovete sapere che il Creep non è una semplice festa dove ci si
ubriaca e si finisce nei letti, o meglio, sui sedili posteriori delle
macchine degli sconosciuti; o per meglio dire, non è nata con
questo scopo.
La leggenda, e già che parliamo di leggenda va presa con le
pinze, narra che un centinaio di anni fa, un gruppo di ragazzini che
vivevano qui ad Albertville si fossero persi nel bosco (una volta
più esteso) e avessero incontrato delle creature fantastiche.
Ci sono varie versioni, ovviamente; qualcuno sostiene che le creature
fantastiche fossero le nove Muse, altri dicono che erano vampiri e lupi
mannari.
Nessuno lo sa con sicurezza.
Ma alla fine è solo una leggenda.
-Ted questa mattina quando si è svegliato mi ha chiesto dov'eri
finita- afferma Jack, facendo sparire il suo sogghigno stronzo dalle
labbra. Mi volto verso mio fratello: -Teddy?- chiedo, incerta.
-Sì, sai, il nostro fratello minore-
Annuisco, con la mente lontana: -Sì. E' solo che... insomma, perché?- gli domando, curiosa come sempre.
-Ha detto, testuali parole: quello che ho detto a Linny ieri non era
vero. Devo parlarle perché ho scoperto una cosa- ed eccolo
lì, il mezzo sorriso che Jack usa pre dire qualcosa di cattivo,
glielo vedo comparire sulla faccia: -Magari si è reso conto che
non c'è nessuna Hogwarts-
-Quando lo hai scoperto tu, ti sei messo a piangere, se non ricordo male-
Nessuno può toccare l'innocenza di Teddy, o assaggerà la
mia malvagità; vedo infatti Jack arrossire e borbottare qualcosa
che assomiglia ad un vaffanculo, ma non ci faccio tanto caso.
Poi mio fratello si riprende: -Cos'è che t'ha detto ieri?-
Alzo le spalle, fingendo di non ricordarlo.
-Io so che te lo ricordi. Tu ricordi tutto. Tutto. Di tutti-
-D'accordo. Mi ha detto che voleva crescere-
-Ha solo undici anni!-
-Sei a metà. Tipo il limbo tra adolescenza e infanzia- dico io.
-Smettila di essere così fottutamente intelligente e
psicanalista- afferma Jack con il suo tono da "scaricatore di porto".
-E tu dovresti smettere di essere così volgare. Abbiamo la casa popolata di bambini!- inizio a ridere.
Jack borbotta un altro vaffanculo, che questa volta gli costa un pugno sul braccio da parte mia.
Ora di cena,
cucina di casa.
Io, mamma e le gemelle stiamo preparando la pizza, ma la mamma sembra
molto più assente del solito. E con assente intendo dire che non
sporca Lily e Rose con la farina per poi spedirle a fare il bagno.
-Mamma...- inizio io. So che non è compito mio quello di
consolarla, ma è di Robbie; causa forza maggiore (leggi: James)
adesso è occupato il soggiorno.
-Sì, tesoro?- mi chiede con quel tono tutto zucchero, cannella e ogni cosa è bella[1].
-C'è qualcosa che non va?- le domando infine; la schiettezza è uno dei miei punti forti.
La vedo scuotere la testa lentamente, da destra a sinistra e viceversa.
-Tutto okay, Quinn-
So che mi sta mentendo, lo sento dentro. Nonostante tutto sono sua
figlia e vivo nella sua stessa casa da quando sono nata, ho condiviso
il suo corpo quando ancora
non ero in grado di fare nulla. Solo in questo momento mi rendo conto
che la donna con i capelli color miele e gli occhi screziati è mia madre.
E non va bene quando i genitori mentono ai figli.
La prendo per un braccio, delicatamente, come se stessi prendendo per
la collottola un gattino appena nato e la porto con me in un angolo
della cucina: non è proprio uno dei posti migliori per parlare,
però è sempre meglio di niente. Faccio un cenno alle
gemelle che capiscono al volo e si mettono all'opera per impastare la
pizza.
-Mamma...- dico in tono di rimprovero, invertendo i ruoli, per una misera, stupidissima volta.
-Quinn, non c'è... è solo che...- inizio a pensare che
stia male e che abbia la febbre, perciò le poso la mano sulla
fronte, con il bruttissimo risultato di sporcarla di farina. Sorrido
mentre piego leggermente la testa, in contemplazione della bellezza di
mia madre.
Chiunque sia mio padre (mai conosciuto) è stato un vero idiota a
lasciarla. E' ricca, bella e anche famosa. E' la donna perfetta.
-Che?- le dico infine, dopo aver appurato che non ha la febbre.
-Oggi mi sono resa conto... che veramente... è... sei... siete...-
-Stiamo crescendo- concludo io per lei e non mi ritraggo quando mi
accarezza la guancia, anche se so che mi ha lasciato la farina come ho
fatto io poco prima.
-Vi allontanerete. E anche tanto- afferma, guardando le gemelle che si
riempiono i capelli di farina, mentre aspettano che noi abbiamo
terminato la nostra conversazione. Le uniche persone discrete di questa
casa sono proprio loro. E hanno solo cinque anni!
-Sai perché ho voluto una famiglia numerosa?- dice, senza
aspettarsi una risposta da me: -E' perché non volevo vedervi
andare via tutti insieme. Tu e Jack, già siete in due... Tra
sette anni ci sarà Teddy, e poi, se Dio vuole (ma questo lo
dice sottovoce, sperando che non la senta) Jamie... E quando
sarà il turno delle gemelle...-
-Io e Jack ti porteremo i nostri figli da accudire!- le dico io, dandole un buffetto sul naso, infarinandolo.
-Mamma, non ci devi pensare adesso. E' novembre!- esclamo,
accompagnandola verso il tavolo della cucina, dove noto che Rose e Lily
hanno fatto un buon lavoro.
Mia madre fa loro i complimenti e inizia a spalmare la salsa di
pomodoro sulla prima pizza e mi manda "dagli uomini" a domandare le
loro preferenze.
Ricevo in risposta un tonno e cipolle da Robbie e Jamie (nessun dubbio
che Robbie sia suo padre) e un come volete dagli altri due restanti.
Do "gli ordini" alla mamma, che si arrangia con le gemelle; e mi
spedisce per questo motivo nella stanza da pranzo per apparecchiare il
tavolo; com'è ovvio che sia, Jack, James e Robbie fanno orecchie
da mercante.
Inaspettatamente Teddy prende coraggio e mi rivolge la parola, dopo che io ho steso la tovaglia.
-Linny...- inizia lui con fare vago. Non so dove vuole arrivare,
cioè, me lo immagino, ma non voglio restare delusa, così
lo lascio parlare a manetta, come faccio sempre io.
-Io ti volevo chiedere scusa per quello che ti ho detto ieri.
Cioè, non lo penso veramente. Ho undici anni, è vero,
però questo è praticamente l'ultimo anno che sarò
"solo Teddy" perché poi tu e Jack non ci sarete più,
così occupati con le università... E poi entrerò
nell'adolescenza e diventerò un mostro pieno di brufoli e con il
testosterone a manetta... E poi ci sarà il liceo e le ragazze e
le macchine e... Sono contento che tu non ci sarai-
Lo guardo sbalordita, questo proprio non me la aspettavo! Non dal mio fratello preferito!
Poi lo vedo agitare le mani davanti al viso, come se volesse cancellare
qualcosa su una lavagna invisibile che vede solo lui: -No, non in quel senso... Nel senso che sono contento che non mi vedrai girare come andava in giro Jack uno o due anni fa!-
Capisco cosa vuole dire, considerando che Jack quando di anni ne aveva
16 cercava di infilarsi in taverna quando facevo i pigiama party con le
mie amiche; ci provava con qualsiasi cosa di sesso femminile che respirasse e avesse un
buco a disposizione per lui.
In effetti non voglio vedere Teddy come un adolescente pieno di ormoni, sarebbe terribile per me.
-Capisco...- dico semplicemente, lasciando i tovaglioli sul tavolo e avvolgendolo in un abbraccio stile cobra.
-Ti voglio bene, Linny- mi dice.
-Anche io, Teddy, anche io- gli rispondo io, soffiando sui sui capelli.
Ore 02.50
Camera di Jack.
Sono sdraiata sul letto di Jack, mentre lui sta cercando di finire la
ricerca di storia, che guarda caso è la stessa che è
stata assegnata a me. La deve inviare al professore entro la fine della
sua ora di lezione, per non avere favoritismi, ma ovviamente non
è nemmeno a metà.
Io sto giocando con la sua pallina da basket e fisso il soffitto; lui
sta ricapitolando le ultime frasi: -Ed erano presenti numerosi stati,
chiamati Ducati o Repubbliche, ognuno con una diversa legislatura.
Ottimo e ora?- mi chiede, voltandosi.
Lo guardo sorridendo: -E ora devi prendere un bel Ducato che ti piace e ci piazzi un po' di roba-
-Non so che cosa fare! Giuro, Quinn...- inizia ad uggiolare; quando usa
quel tono così... implorante capisco come tutte le ragazze
possano cadergli ai piedi. Sono fortunata ad essere sua sorella, penso,
mentre trovo qualcosa da dirgli.
-Ci sono un paio di persone che renderebbero la tua ricerca interessante- gli dico mettendomi a sedere.
Lui mi fissa con le sopracciglia alzate: sta aspettando la mia risposta. Morbosamente.
-Ti dico i nomi ma poi ti arrangi, perché ho sonno-; lui annuisce deciso, con il browser aperto.
-Caterina Sforza, abile stratega e donna di splendida bellezza. E i fratelli Borgia, figli del Papa-
Jack si gira e mi guarda con la bocca aperta: alla fine qualcosa di storia la sa anche lui.
-Il Papa non può avere figli, Quinn!- esclama, pensando che io
lo abbia preso per i fondi. -Controlla su internet. E domattina ne
riparliamo. 'Notte, Jack-
-Buonanotte Quinn- mi dice, alzandosi e dandomi un bacio sulla guancia.
Torno in camera e trovo il libro di Albie pronto ad attendermi sul
letto; sulla copertina c'è un post-it giallo: lo stacco e vedo
che è di Teddy.
-Tutto sommato dice cose che sappiamo già. Forse il capitolo
dieci è il più interessante, parla dei lupi mannari veri,
e non di quelli finti-
Sorrido, mentre leggo quello che ha scritto; noto che c'è un altro post-it che segna il decimo capitolo.
Decido di non aprire il libro: per essere sempre bella e in forma una
ragazza ha bisogno di dormire. Per oggi niente lupi mannari, R.J. Lupin
e compagnia bella possono aspettare fino a domani.
Note:
[1]: Citazione presa dalle superchicche, che sono la mia infanzia, quindi lasciatemele passare quelle tre cosette carine.
Angolino della scrittrice:
Allora, bei ragazzi? Cosa ve ne pare?
Lo so, è l'inizio,
è estremamente noioso, ma sono sempre così gli inizi
delle storie fantasy.
No, non è vero che sono così, ma non importi.
Vi prometto che ad un certo punto rimpiangerete
questi capitoli intrisi di normalità.
Questo solo se sarò
brava.
Mh... Null'altro.
Ciao!
Ah, lasciatemi una recensione *piazza lì davanti a tutti il
piccolo James con gli occhioni spalancati stile "cagnolino uggioloso"*
PS: Perdonatemi se ci ho messo un pochino, ma c'è la scuola.
E la precendenza va a quella, anche se preferirei il contrario.
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Capitolo 5 *** V ***
Prophecy2
And truth be told I miss you
And truth be told I'm lying
When you see my face
Hope itgives you hell.
(All American Rejects, Gives you hell)
15 novembre
Ore 05.45
Camera di Quinn.
Seduta sul letto, con gli occhi saldamente chiusi sento la sveglia
ticchettare. Questa notte ho avuto un incubo terribile che nemmeno
ricordo; so soltanto che mi sono svegliata in preda al panico e con la
maglia del pigiama completamente zuppa di sudore. Dopo una bella doccia
calda, ho infilato gli indumenti nel cesto dei panni sporchi e mi sono
di nuovo fiondata nel letto.
Mancano due giorni alla festa nel Creep e Will mi ha spaventato a morte
con un finto zombie di Halloween infilato nel mio armedietto. Quando si
comporta in questo modo infantile mi chiedo perché mi sia messa
con lui.
Jack insiste in modo morboso perché io tenga d'occhio Will alla
festa e mi ripete che quattro occhi sono meglio di due, ma alla fine
penso che sia lievemente geloso a causa di Frankie.
La mia sveglia suonerà tra tre quarti d'ora: cosa si può
fare di costruttivo in quarantacinque minuti? mi chiedo, mentre mi
siedo sul letto e apro gli occhi con un sospiro. E' novembre e quindi
il sole non si fa ancora vedere, dovrò aspettare ancora un po'
per l'alba.
Il mio sguardo stanco abbraccia tutta la stanza immersa nella semi
oscurità di quel momento che sta a metà tra la notte e il
dì; scorgo il libro di Albie sulla scrivania. Ho letto e riletto
il capitolo che parla dei lupi mannari, il decimo, quello che mi ha
suggerito Ted. E' veramente interessante, anche se so che non esistono.
I popoli hanno paura di qualcosa che si inventano; quante ragazzine di
quattordici anni ho visto al Creep, urlare e abbracciarsi mentre i loro
compagni di classe raccontavano loro storie che avevano l'intento di
spaventarle.
Scuoto la testa mi alzo definitivamente dal letto dando inizio
all'ennesimo e schifoso giorno di liceo ad Albertville. Forse questa
è la prima volta che faccio un incubo in vita mia, e non ne
riconosco nemmeno il motivo: solitamente Teddy ha un incubo
perché ha visto un film spaventoso o perché ha mangiato
pesante a cena. Io, al contrario, ieri sera non ho fatto nessuna di
queste due cose.
Sono leggermente confusa ma poi mi convinco che era solo uno stupido
sogno che non ricordo nemmeno, ed è probabilmente dettato dal
fatto che Frankie in questi giorni inizia a far sentire la sua presenza
ovunque; ovviamente lei sarà al Creep, anche se nessuno l'ha esplicitamente o implicitamente
invitata. Conclusione: si è autoinvitata e nessuno poteva dirle
di no, perché è una festa a cui possono partecipare tutti
gli alunni dell'Albertville High School.
Mi siedo alla scrivania e accendo il PC e senza rendermene veramente
conto apro il blog della scuola; il preside non ha ancora trovato i
colpevoli, ma io non ci spero più di tanto. Alla fine tutti
pensano, in fondo in fondo, quello che il / la blogger scrive: che sono
una stronza egoista, che mio fratello si comporta da Casanova con tutte
le ragazze (primine comprese). Solo che nessuno ce le viene a dire; di
certo non mi lamento più di tanto, se per tutti quelli che hanno
un pensiero negativo su di me ricevessi un penny, a questo punto sarei
più ricca del creatore di Facebook.
L'ulitmo post del blog, comunque, risale al mio dopo-scenata con
Murray; c'è scritto che io sono una bambina viziata che è
andata a lamentarsi per una serie di cattieverie che io ho
iniziato. Forse non hanno ancora chiaro in mente che a me non danno
fastidio, ma l'unica cosa che non mi possono sfiorare nemmeno con un
fiore è la Juilliard.
Ho lavorato tanto e duramente per poter essere presa in considerazione
dai docenti di quell'università: prendo lezioni private di canto
da quando ho quattro anni, e di ballo da quando ne ho otto. Nessuno
può permettersi di mettere in gioco il mio futuro.
Tanto per tornare alla realtà chiudo quella pagina e apro la
home page della Juilliard, anche se ormai la so a memoria (e forse
è dire poco). Sospiro: forse un po' mi mancheranno la mia camera
mansardata, la mia biblioteca, i miei fratelli... Mi mancherà la
mia vita da liceale. Forse. Mi
riprendo e mi convinco che prima di dire qualsiasi cosa il liceo deve
giungere al termine. Solo il Signore conosce i piani che ha in riserbo
per noi.
Ore 14.20
Fuori dalla porta di casa Farrell.
Sto guardando la porta d'ingresso di casa; non ho nessuna intenzione di
entrare. Non dopo quello che è successo oggi. Ancora non riesco
a crederci! Frankie ha osato tirarmi un pugno (che ho fortunatamente
evitato) perché le andava di farlo.
Sento i passi di Jack dietro di me; mi prende la mano: -Linny... Hai
intenzione di restare qui per sempre?- mi chiede docemente. Io lo so
che in fondo sta pensando ad un motivo per cui la sua adorabile
troietta ha cercato di stendermi con un pugno ben assestato. Bene,
cercherà invano, perché di ragioni non ce ne sono.
Il preside ha pensato ad uno scatto d'ira spontaneo,
ma da quando le persone si arrabbiano perché un enzima del
cervello gli dice di farlo? Non ha il minimo senso; sono stati tutti
gentili con lei, che dopo aver cercato di staccarmi l'arcata dentaria
superiore si è messa a frignare come una bambina di 5 anni.
Nemmeno Lily e Rose si comportano così, penso a malincuore.
-Linny!- mi distoglie Jack dai miei pensieri; ecco, è proprio
adesso che mi sembra il bambino scavezzacollo che mi sono ritrovata in
casa quando avevo sei anni, causa: matrimonio di Rob e mamma.
Sospiro e apro la porta, pregando che la notizia non abbia ancora
raggiunto le orecchie di mia madre, ma da come mi guarda furente
capisco che chiedere aiuto ai piani alti è completamente
inutile.
-Quinn Evelyn Farrell!- tuona, appena poggio la borsa piena di libri; ringrazio che in casa oltre a me e lei ci sia solo Jack.
-Mamma- dico io semplicemente, attendendo la ramanzina.
-Esigo delle spiegazioni. E subito! Immediatamente!- ormai sta urlando e capisco che è praticamente stracolma di ira.
-Una compagna ha cercato di sferrarmi un pugno e io l'ho schivato. La colpa è finita su di me, ovviamente-, marco l'ultima parola perché mia madre si renda conto di quanto io sia innocente.
Robin apre la bocca un paio di volte, per poi scuotere la testa e
richiuderla. E' come se stesse cercando le parole giuste, senza
però riuscire a ricordarle.
-Quinn, non puoi permetterti che accada di nuovo!- mi dice infine.
Annuisco semplicemente e mi dirigo verso la mia camera, ringraziando il
cielo che non mi abbia proibito di andare al Creep sabato sera. Sarebbe
stato alquanto scomodo doversi calare (per l'ennesima volta) giù
dalla grondaia di casa.
Chiudo la porta e mi metto a fare i compiti, in silenzio, passivamente
come solo io posso fare. Sento al piano di sotto mamma e Jack che
discutono concitatamente, e suppongo che l'argomento ruoti attorno alla
sottoscritta. Spero soltanto che Jack non termini la discussione con il
suo solito: -Tu non sei mia madre!-
E' dura, per un bambino di sei anni, essere infilato a forza in una
casa che non è la tua, con non una ma due persone che nemmeno
conosci.
Robbie e mia madre hanno ben pensato di non farci conoscere prima del
loro matrimonio; per loro era molto importante l'amore, e non
avrebbero resistito nel vedere me e Jack litigare in continuazione.
Cosa che accadde non appena ci fummo tutti e quattro trasferiti in
questa casa.
Jack non mi accettava come sorella come io non accettavo lui. Beh,
questo fino ai 14 anni. Prima di quel periodo ricordo soltanti liti su
liti, in cui finivamo anche per scannarci a vicenda: mi sembrava di
vivere con un leone che era tardo nel'apprendimento della gerarchia.
Smettono di parlare e poco dopo Jack bussa alla porta della mia camera,
e senza nemmeno aspettarsi un: -Avanti-, che non sarebbe comunque
arrivato, si precipita alla mia scrivania e ci si appoggia, pronto a
sommergermi con una serie di domande poco raccomandabili.
-Robin mi ha detto che non va bene che tu sabato vada al Creepy senza
un accompagnatore che si assicuri la tua incolumità. Alla fine
le ho detto che a colpirti era stata Frankie e che tu non hai veramente
fatto niente-
Jack conclude la sua frase posando la sua mano sulla mia.
-E tanto per la cronaca, Will mi ha scritto mentre eravamo ancora fuori da casa. Mi ha detto che anche lui la pensa come noi-
Alzo un sopracciglio e fisso mio fratello perplessa: non so dove voglia veramente arrivare.
-Io penso che sia ora che quella Francesca metta la testa a posto. Non
si possono prendere in giro i Farrell senza le dovute conseguenze-
afferma, sollevandosi dalla mia scrivania e dandomi un bacio sulla
tempia.
Dopodiché esce dalla mia stanza e si rintana nella "sua".
Perché per chiamare stanza quella di Jack ci vuole veramente
molto coraggio: è molto luminosa, certo, però nel bel
mezzo c'è un enorme sacco da boxe nero. E' la stanza tipica di
un adolescente.
Mi fa schifo entrarci, perché ho paura di trovarci qualcosa come i batteri della peste nera.
Ore 17.30
Camera di Quinn.
Ho appena terminato i miei compiti e non so che cosa fare. Decido di
mettermi davanti al mio guardaroba per decidere cosa indosserò
al Creep. Sono pur sempre Quinn Farrell, e tutti gli sguardi saranno
posati su di me, nonostante tutto.
Il tempo di alzarmi dal letto e qualcuno bussa alla porta; è
vero, siamo in otto a vivere sotto un tetto, ma siamo estremamente
educati, gemelle minori comprese.
-Si?- dico, prima di ritrovarmi Jack sdraiato sul letto.
-Cosa c'è, Jack?- gli chiedo esasperata, guardandolo seduta
sulla sedia di plastica che solitamente uso per fare i compiti, ma in
questo caso mi serve per fare da psicologa a mio fratello.
-E'... Quinn, sento che c'è qualcosa che non va. Yale non mi ha ancora risposto!-
Faccio roteare gli occhi azzurri e poi ritorno con lo sguardo nelle
pozze di acqua cristallina che ha Jack: -Jack, siamo solo a novembre!
E' normale che non ti abbiano ancora risposto! E poi lo sai che abbiamo
mandato con largo anticipo le nostre richieste!-
Lui sbuffa, decisamente poco convinto e mi inginocchio davanti a lui, prendendolo per le spalle e scrollandolo un po'.
-Ascoltami bene, brutta testa di... broccolo che non sei altro. Tu sei
uno dei giocatori migliori dell'intera scuola di Albertville. Sono
certa che hanno visionato la tua domanda e stanno soltanto aspettando
il momento giusto per inviartela. Quale università prestigiosa
rimarrebbe tale senza un po' di suspance?-
Non sono molto valida come supporto morale, ma per vedere il mio quasi fratello sorridere mi butterei sotto un treno in corsa.
Jack alza lo sguardo e mi sorride: -Che palle che sei. Perché tutta questa empatia? Se tu sei felice per proprietà transitiva lo sono anche io!-
-Cosa ti fa credere che io sia felice?- gli chiedo confusa. In realtà non sono felice, proprio per niente.
-Non lo so. La nostra connessione- dichiara lui, alzando le spalle. Gli tiro uno spinta e lo faccio cadere sul letto.
-Alzati, rischi di sgualcire le lenzuola!- gli grido dietro quando lo vedo rotolarsi come un cane.
-Come se non fossi abituata ad avermi nel tuo letto!- dice lui,
ammiccando. Io mi levo una pantofola e gliela tiro: quando è
troppo, è troppo.
Lui la intercetta al volo e mi rivolge il suo sguardo da cucciolo.
-Scendi dal mio letto. Io non sono una delle tue tante ragazze, mettitelo in quella testolina bacata e piena di capelli gialli!-
-I miei capelli non sono gialli!- afferma lui, controllando una ciocca per sicurezza.
-No, hai ragione. Alzati, forza- gli intimo, prendendolo per un
braccio; so che non farà la minima differenza, considerando la
differenza di altezza e di peso che c'è tra di noi.
-Jack Andrew Farrell!- urlo, quando lui mi rivolta sul letto. Purtroppo
non riesco a stare propriamente seria, quindi gli scoppio a ridere
sulla maglietta.
-Sì, pulcino?- mi chiede lui, con il suo sguardo che urla: "io posso tutto".
-Lascia perdere- gli dico, fingendomi offesa e rivolgendogli la schiena.
-Questo è un motivo in più per farti il solletico, lo sai?- domanda avvicinandosi con la mano.
Mi ritraggo e mi chiudo in bagno.
-Esci dalla mia camera! Pervertito che non sei altro!-
Sto ridendo a crepapelle ancora, però questa volta sono appoggiata alla porta del bagno.
Sento la porta chiudersi ed esco tranquillamente, piazzandomi nuovamente davanti al guardaroba.
-Mi serve un consiglio- borbotto, prendendo la mia decisione: -JACK!- urlo per farmi sentire.
Mio fratello si precipita in camera mia, pensando a chissà quale disgrazia.
-Quinn?- mi domanda preoccupato.
-Non so cosa mettere al Creep-; questa volta sono io ad utilizzare il
mio tono uggiolante da cucciolo ferito. E il mio funziona molto meglio
di quello di Jack.
Lui rotea gli occhi e si siede pazientemente sul bordo del mio letto, in attesa.
Angolino della scrittrice:
...?!?!?!
Una cosa vi prometto: con il prossimo
capitolo entreremo nel vivo del fantasy.
Finalmente il mio cervellino
è libero di esprimersi come vuole.
No, non ho inserito un Jack senza maglietta, perché sarebbe stato sospetto, molto sospetto!
E... Visto che non ho nulla da fare perché piove che Dio la manda, sono inculcata in casa.
Quindi ho tipo finito il capitolo 5 minuti fa, non me ne vogliate!
Mi metto subito a lavorare al prossimo!!
MUAHAHAHAHAHAHA!!
*Risata da cattiva dei cartoni*
*In camera entra Anacleto, il gufo della Spada nella roccia*
-Ehi, Anacleto!-
*Ancaleto ride*
Vi sfido a non ridere, dopo la risata del mio fantastico amico Anacleto.
Con tanti baci,
ci vediamo presto!
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Capitolo 6 *** VI ***
Prophecy3
Sabato 17 novembre,
Ore 21.35
Macchina di Jack Farrell.
-Pensi che questa sera finirai nel letto di qualcuna, Jack?- domando
io, ammiccando verso il mio "fratellino". Per fortuna lui mi rivolge
uno sguardo divertito e borbotta semplicemente: -Spero tanto-
-Come speri? Non sei più convinto del tuo charme da Casanova, Casanova?-
Lui scrolla le spalle, sempre scherzando: -No, sai. E' da qualcosa come
tre giorni che non... sai. Che non faccio prendere aria all'amico-
Faccio un verso disgustato: -Jack, non mi interessa con che frequenza fai sesso!-
Mi punta un dito contro, mentre cerca un posto dove infilare la sua
macchina, evitando accuratamente di parcheggiare in luoghi dove
potrebbe essere rovinata; alla fine è pur sempre un ragazzo.
-Sei quasi più attiva di me, Quinny Linny-
-Vaffanculo!- gli dico, scendendo dall'auto per fare la mia entrata trionfale.
Jack mi porge il suo braccio, che rifiuto molto gentilmente. Ci rivolgiamo uno sguardo d'intesa che significa una sola cosa: Si va in scena.
-Quinn!- grida Kit, per farsi sentire. Le sorrido rassicurante e la
raggiungo, fasciata dal mio tubino nero. E' novembre, dovrei essere
vestita come tutti i giorni: un paio di jeans aderenti, e una bella
felpa con il pail.
Ovviamente io non sono una che si veste come tutti i giorni per andare al Creep.
-Kit!- le dico, quando le sono abbastanza vicino da captare l'odore di birra scadente: -Will?- le chiedo, guardandomi in giro.
-Non è ancora arrivato. Ma sta' tranquilla. La notte è
ancora giovane!- afferma, e per un momento penso che sia già
ubriaca.
-Accompagnami a prendere da bere, dai!- le dico, scollandola dal tronco spezzato sul quale si è seduta.
Con qualche incertezza, causata dai trampoli che ci siamo ostinate ad
indossare, ci avviciniamo al luogo dove un nostro compagno distribuisce
birra. Lo riconosco come Kim, un asiatico tutto cervello che,
nonostante tutto, è considerato uno dei ragazzi più in della scuola.
-Quinn, Kit- asserisce lui, porgendoci due bicchieri di plastica rossa,
con dentro un liquido ambrato che individuo come birra, di scarsa
qualità, anche.
-Ehilà, Kim- dico io, svuotando in un sorso il contenuto del mio bicchiere.
Sono leggermente preoccupata per Will. Non è ancora arrivato,
quando di solito è il primo a partecipare e l'ultimo a levare le
tende.
Ricordo quando lo scorso anno l'ho dovuto trascinare via verso le quattro del mattino.
Qualcuno mi afferra i fianchi e vedo Kit impallidire; mi volto e mi
ritrovo a cinque millimetri dal mio naso quello di Will, con due
occhiaie violacee sotto gli occhi e un taglio sullo zigomo, che non sta
sanguinando.
-Will...- dico io, trascinandolo in mezzo alla boscaglia, lontano da
sguardi indiscreti. Non voglio che qualcuno lo veda in questo stato.
-Will!- esclamo poi, mentre sembra assorto nei suoi pensieri.
-Che caz...?- ma non faccio in tempo a concludere la frase,
perché mi intrappola in uno di quei baci soffocanti che
solitamente ci scambiamo prima di fare sesso. Ma questa volta non
è come le altre, è molto più aggressivo; cerco di
scollarmi il corpo di Will di dosso, senza troppi risultati positivi;
come conseguenza, invece, lui mi spinge verso il primo albero che
trova, togliendomi quasi il respiro.
Lo sento, è teso e non in senso positivo; non c'è la solita eccitazione nell'aria, mi sta semplicemente scavando l'esofago con la sua lingua.
Riesco a spingerlo via: -Cazzo! Will!- gli urlo contro.
Poi mi accorgo che è spaesato, e per un attimo mi balena in
mente il pensiero che potrebbe essere fatto; ne sarei certa, se non lo
conoscessi così a fondo. Suo cugino, a cui era legato come un
fratello, è stato ucciso dalla droga: non la toccherà
mai.
Lui mi fissa, pentito e si rende conto di aver compiuto una cazzata enorme.
-Quinn, oddio, scusa! Giuro non...- si blocca; si guarda intorno
spaventato, come se fosse certo che qualcuno lo stesse seguendo. Gli
prendo il viso tra le mani e sento che ha la mascella completamente
serrata; non mi spiego che cosa stia accadendo. Will non è mai
arrabbiato, o almeno non con me.
-Will- gli sussurro all'orecchio, senza risultati. Per questo motivo lo
prendo per mano e lo riporto alla festa: devo cercare Jack.
-Vieni, Will, forza...-
Riluttante, lui mi segue.
-E allora in pratica quella palla non
era valida e...- Jack mi scorge, mentre ho Will per mano e mi sto
guardando in giro. Mi raggiunge visibilmente preoccupato: -Che cazzo
gli hai fatto?- sibila e mi ricorda tanto un serpente.
-Niente!- affermo io, guardando il mio ragazzo in uno stato pietoso.
-Will- dice lui, prendendo il volto di Will tra le sue mani. Alla fine
gli vuole bene come se fosse suo fratello, sono costretta a pensare.
Poi volge lo sguardo verso di me: -Ti ha fatto qualcosa?- mi chiede, incattivito.
-No, nulla- mento io, al meglio delle mie capacità. Non voglio
mettere Will nei casini; è troppo scosso per capire
cosa sta succedendo. Improvvisamente lo vedo afferrare Jack per il
bavero della camicia, ma mio fratello non si scompone per niente.
-Jack...- sussurro io, allontanandomi da Will qualche passo. Mi sta
mettendo paura come non mai. Penso che potrebbe essere uno dei suoi
scherzi di cattivo gusto, di quelli che fanno ridere solo lui; ma poi
capisco che non è così. Non è lucido.
-Will!- esclamo, quando sembra che stia per tirare una testata a
Jack; fortunatamente siamo al limite tra la radura e gli alberi e
nessuno fa caso a noi, troppo presi dalla festa che si insinua tra i
postumi dell'alcool e il fumo delle sigarette.
-E' tutto okay, Quinn. Torna alla festa- ringhia Jack. E' veramente
incazzato per qualcosa, ma non capisco per cosa. Ma di tornare alla
festa e abbandonare il mio ragazzo in queste condizioni proprio non se
ne parla.
-No- dico risoluta
-Come scusa?- mi chiede, senza nemmeno tentare di liberarsi dalla presa ferrea di Will.
-No. Ho detto di no, Jack. Non lascerò Will in questo stato!-
esclamo, senza rendermi conto che ho alzato il tono di voce. Nessuno se
ne accorge, comunque.
-Quinn- sento Will sussurrare. Sembra avere un attimo di
lucidità: -Torna alla festa. Io e...- tentenna: -Jack dobbiamo
fare quattro chiacchere-
Scuoto la testa e poi scorgo lo sguardo di mio fratello. Furente.
Ho paura, così faccio un paio di passi indietro e torno alla festa.
Devo fingere che non sia successo nulla.
Kit mi raggiunge, ubriaca marcia. Sono passati solo pochi minuti, o forse sembra a me che ne siano passati pochi.
-Ehi, Quinn! Dove stata sei?- mi chiede e mi rendo conto che qualsiasi cosa io le possa dire, lei non lo ricorderebbe.
-Si stava divertendo con il suo amato Will- sputa Frankie, apparendo
alle spalle di Kit. La guardo con astio e le rispondo allo stesso modo:
-Qualche problema, Frankie?-
Lei scuote la sua chioma castana e si avvicina a me; all'orecchio mi
sussura: -Ti chiedo solo se ti è piaciuta la mia lettera di...
chiamiamola referenze per la Juilliard?-
Rimango a bocca aperta per lo stupore: mi ha praticamente confessato di aver scritto la lettera.
L'ho in pugno. Non ci credo
nemmeno che si sia lasciata scappare una cosa così importante,
ma poi la sua voce irritante interrompe i miei pensieri.
-Ma come dicevano i cari latini: Verba volant, scripta manent[1]-
Detto questo mi dà una pacca sulla spalla e si allontana; la
musica diventa quasi immediatamente assordante e la calca opprimente.
Ho bisogno di aria; Will che si comporta come se fosse fuori di testa,
Jack che s'infuria per qualcosa e infine Frankie che si fa beffe di me;
confessa di aver scritto la mail alla Juilliard, ma ha ragione: verba
volant. Non posso fare niente senza una prova.
Creepy Wood, Albertville
Orario non ben identificato.
Avviarmi nel profondo del bosco di notte e da sola, mentre gli altri
ragazzi sono ubriachi marci non è stata proprio un ottima idea.
Sto camminando da un bel po', e quasi sempre in cerchio, per non
allontanarmi troppo, ma la musica mi sembra giungere da ogni parte;
senza alcool in corpo ho freddo: in effetti speravo nella giacca di
Will, come era accaduto l'anno scorso. Ma poi Will è arrivato così
conciato. Mi stringo le braccia al petto mentre mi perdo nei ricordi di
quello che è successo. Scuoto la testa e mi rendo immediatamente
conto del fatto che la musica sembra essersi spenta, il che non
è minimamente possibile, perché l'Albertville HS ha il
nullaosta del municipio per fare questa festa.
Una sola soluzione: mi
sono allontanata troppo.
Mi guardo in giro e mi rendo tristemente conto che, per quanto il bosco
possa sembrare piccolo e insignificante di giorno, in piena notte e
illuminato solo dalla spettrale luce della luna piena sembra essere la
location perfetta per un film dell'orrore.
-Cazzo- sussurro tra me, volgendo lo sguardo verso il cielo, sconsolata.
Chissà se qualcuno si è accorto della mia mancanza.
Ma piantala, certo che si sono accorti!
E se non fosse così? Del resto Kit è ubriaca, Jack e
Will... beh, non voglio pensare a cosa abbiano fatto subito dopo che io
li ho lasciati e... Frankie ballerebbe sulla mia tomba.
Dopo questo mio teatrino mentale mi appare una me in miniatura: ha un tallieur grigio che le sta stranamente bene
e un'agenda professionale sottobraccio.
Mi parla: -Quinn. Io sono la tua coscienza. Forza. Cerca di ascoltare bene: devi sentire la musica-
Scuoto la testa e torno a volgere lo sguardo agli alberi: forse sto impazzendo.
Tendo comunque le orecchie, nel caso sentissi qualche nota. Ed eccole
lì, le sento, vengono dalla mia sinistra; se aguzzo la vista
riesco a scorgere tra gli alberi anche uno strano barlume di luce
rossastra, dettata dal falò.
Con sicurezza mi avvicino alla luce e alla musica, questo fino a quando
non vedo qualcosa che cattura la mia attenzione. Per terra c'è
un pezzo di stoffa, che assomiglia vagamente ad una maglietta
strappata.
Penso che nessuna ragazza, seppur assetata di sesso, sarebbe in grado
di squarciare una T-shirt; è come se qualcuno l'avesse strappata
in preda alla rabbia. Il viso di Jack appare nel turbinio di pensieri,
ma mi rendo conto che non è lui, perché indossava la sua
camicia nera, e di camicie non c'è nessuna traccia.
Mi accuccio per prendere il brandello di stoffa e sento qualcosa che mi
accarezza la schiena, è come se fosse un piacevolissimo soffio,
caldo, invitante...
Mi volto, perché penso che sia Will.
A due metri da me
c'è un lupo che mi guarda con gli occhi di ossidiana, come la
notte senza stelle.
Cazzo.
Questa è l'unica parola che mi viene in mente, non riesco a pensare ad altro.
Il lupo sta lì e mi fissa, o forse fissa la stoffa che ho in mano; do uno sguardo alla luna piena.
Cazzo.
Lo penso di nuovo. Non ho mai pensato così tante parolacce in un
solo minuto in tutta la mia intera vita da adolescente. Il cuore mi
batte a mille, minaccia di uscire dalla cassa toracica, per poter
volare verso altri lidi, verso le persone che mi amano e lontano da
quella cosa, lontano da quella che è morte.
Il lupo ha il pelo castano, ed è buffo che io lo noti. Dovrei
scappare, correre via, urlare che c'è un enorme lupo; che in
realtà non è enorme. Sembra un lupo normale, ma ha
qualcosa che mi fa credere che sia diverso dagli altri. Non ci sono lupi qui, ad Albertville.
Continuo a fissarlo come lui fissa me; il mio cuore non accenna a
smettere di cercare un modo per uscirmi dal petto. Poi lo vedo: un
segno. Quello non è un lupo come tanti altri; non è soltanto un lupo.
A qualcosa il libro di Albus è servito; certo, per farmi capire che sono davanti ad un lupo mannaro.
Cazzo.
E tre. Il lupo che ho davanti non ha la coda. E da quello che c'era
scritto sul libro di Albus: "Il lupo mannaro si riconosce dal lupo
delle montagne, o anche solo-lupo, a causa della mancanza di una parte
fondamentale: la coda".
C'era anche una motivazione per cui i lupi mannari non hanno la coda, ma non riesco a ricordarla in questa
Il problema ora è scappare.
Devo scappare da questo lupo mannaro chiunque esso sia in mancanza di plenilunio.
Mi volto e corro, corro a più non posso, non mi volto indietro.
Devo scappare, correre via. Mi avvicino sempre di più al falò; sono sempre più vicina.
Mi ci fiondo dentro. Sono in salvo.
Almeno è quello che penso.
Jack coglie il mio sguardo spaventato; mi raggiunge, correndo.
Gli casco a peso morto tra le braccia.
-Quinn!- esclama lui, mentre mi stende per terra.
Lo sento, ma non riesco a rispondergli. In lontananza sento un lupo
ululare alla luna e, volgendo lo sguardo verso la collina più
alta di Albertville lo scorgo, fare la serenata alla causa della sua
maledizione.
Ma che cosa sto pensando?
Non sono per niente lucida! Oddio, stavo per essere attaccata da un lupo! Da un lupo mannaro.
Riprenditi. Mi ordino; apro
gli occhi e vedo Jack che mi fissa e tira un sospiro di sollievo.
Nessuno si è accorto di noi: tanto meglio.
-Jack, sto bene- gli dico, mettendomi a sedere: -Mi sono persa, e mi sono spavetanta. Niente di più, niente di meno-
Perché, Quinn, non stai urlando a tutti di andarsene, tornare a
casa e avvertire tutti che c'è un lupo mannaro in giro per la
città?
Mi crederebbero? No.
Il mannaro me lo tengo per me.
-Non mi sembra che non ci sia niente di più e niente di meno-
-Dai, Jack, sono solo inciampata su una radice- gli dico, alzandomi definitivamente.
-Andiamo a casa. Questa festa fa cagare-
-Nessuna te la concede?- gli domando scherzando.
Come ho la forza di scherzare, un minuto dopo essermi resa conto che
c'è un lupo mannaro e soprattutto che le cose che leggo nei miei
libri potrebbero essere tutte vere? Nessuna risposta. Almeno nessuna razionale.
Probabilmente quel lupo non aveva la coda per mancanza di un gene, penso, scioccamente.
E' solo che sono sotto shock.
Jack mi guarda: -Ma fanculo, sorellina!- mi dice, prima di fare un passo verso la festa.
Mi ritrovo a tenerlo per un polso.
-Voglio andare a casa- dico, innocentemente.
Mi fissa, sorpreso. Non uso quel tono di voce fuori casa.
-Andiamo, Quinn- afferma, menttendomi la sua giacca di pelle sulle spalle.
E' un sollievo. Un vero sollievo. situazione.
Ore 01.45
Macchina di Jack Farrell, di nuovo.
Sono silenziosa. Siamo silenziosi. Ed è una cosa che non capita durante le serate normali. Ma questa non è una serata normale. Lo abbiamo percepito entrambi.
Stranamente, la mia mente è svuotata da ogni pensiero inutile e superfluo. Ovvero: è completamente vuota.
In un attimo torno indietro, al momento in cui non mi ero incasinata la vita con quel lupo mannaro a cui mancava la coda.
-Jack. Posso farti una domanda?- non è più il momento di
scherzare; mi hanno sbattuto in faccia una brutta realtà: il
comportamento strano di Will, lo scatto d'ira di Jack e poi il lupo.
Se quell'animale mi avesse morso? A questo punto sarei morta o starei
correndo su e giù per le colline di Albertville come fa lui?
Lo vedo annuire, ma le sue mani sono tese sul volante; le nocche sono bianche a causa della pressione.
Vorrei prenderle tra le mie e dirgli che va tutto bene, e che tutto andrà bene com'è andato fino ad ora. Ma non posso. Non me la sento di mentire a mio fratello. Lui è qui, c'è sempre stato per me, e non posso dirgli una bugia.
-Cos'è successo a Will, Jack?- la mia voce sembra venire da un
cumulo di ovatta. Non capisco se è per colpa dello shock che,
nonostante tutto, non ho ancora superato o se è perché
non voglio veramente sapere cosa è successo a Will.
-Era arrabbiato. Furente. Pensa che a causa mia non potrà andare
all'università. E io ho capito che era venuto alla festa
perché doveva sfogarsi. Con me-
C'è una vocina nella mia testa, la mini-me ragionevole che mi ricorda che le ingiustizie fanno parte della vita.
Scuoto la testa, con l'ombra di un sorriso sulle labbra.
Jack mi scorge e mi fissa mentre siamo fermi ad un semaforo; la luce
rossa ci fa sembrare spietati: -Che c'è? Perché sorridi?-
-La vita è ingiusta- affermo, vedendo la luce del lampeggiante cambiare sul volto di Jack.
-Io mi sento in colpa Quinn. Non la meritavo. Quella borsa di studio,
io non la voglio! Non è per me, è sempre stata di Will-
Jack è sconsolato mentre pronuncia queste parole. Parcheggia nel
vialetto di casa e vediamo la luce in cucina accesa: probabilmente la
mamma si sta facendo un the.
Adesso posso fare quello per cui sono qui: afferro le mani di Jack e lo
costringo a guardarmi: -Ascoltami. So che è dura e so anche che
pensi che io sia di parte perché sono tua sorella,
però... Jack, te la meriti, questa borsa di studio. E poi sono
cinquemila dollari a testa. E' una delle borse di studio più
costose dell'intero Ohio. So che vuoi aiutare Will, voglio farlo anche
io; ma devi accettare quella borsa di studio-
Lo so, sono una stronza senza un cuore.
Scendo dalla macchina nel più completo dei silenzi e solo allora
mi rendo conto che ho stretto in mano il lembo di maglietta che ho
trovato.
Che cosa stupida.
Nonostante il mio corpo, e anche una parte del mio cervello mi dica di gettarlo via, lo infilo nella borsetta.
Voglio sapere chi è quel lupo.
Robbie ci viene incontro, lentamente, con la stessa velocità di
un bradipo: è stanco e si vede dalle borse sotto gli occhi. Mi
ricorda Will, tra qualcosa come vent'anni, comunque.
-A casa a quest'ora?- ci domanda, reprimendo uno sbadiglio.
E' Jack a parlare: c'è un muto accordo tra di noi, io parlo con mia madre e lui parla con suo padre.
-Beh, papà... La festa non era un granché e poi Will si
è sentito un po' male, quindi abbiamo deciso di tornare a casa-
L'uomo che abbiamo davanti alza le spalle, e si dirige nuovamente verso la cucina.
-'Notte ragazzi- ci apostrofa mentre noi ci dirigiamo lenti verso le nostre stanze.
Questa sera niente cazzate come facciamo di solito: siamo alquanto scossi.
Mi ritiro nella mia stanza dopo aver dato il bacio della buonanotte a
Jack: mi preparo per la notte e svuoto la pochette sul letto.
Sto per scavalcare il lembo della maglietta per infilarmi sotto le
coperte, dopo aver finito, ma qualcosa attira la mia attenzione.
Conosco il proprietario di questa maglietta.
Ho bisogno di risposte. Serie.
Ma per qualche strano motivo dettato dalla luna non potrò averle adesso.
Infilo la pezza sotto il cuscino e mi addormento come se non ci fosse nessun lupo mannaro in libertà.
Adesso so, comunque, che il motivo per cui a quel lupo mancava la coda non è un gene.
Note:
[1]:
Verba volant, scripta manent = le parole volano, gli scritti restano
Angolino della scrittrice:
Dai, ragazzi e ragazze.
Se avete resistito fino a questo capitolo, vi do una medaglia!
A parte gli scherzi.
Ho deciso i giorni in cui
pubblicherò i capitoli.
Una sola volta alla settimana: la domenica (tutti riescono a trovare un po' di tempo per accendere il PC, si spera)
perché prevedo che (per quanto
io possa anche solo cercare di portarmi avanti nella stesura),
quando
la scuola si fa dura, gli studenti si mettono a studiare.
Tutte le possibilità per smascherare il lupo mannaro senza coda
di Quinn sono aperte *piazza Jack a prendere atto delle scommesse*
Fatto sta che... la cosa della coda
(che non ho messo nelle note per non rovinare l'atmosfera) è
un'altra cosa inventata.
Il mio lupo non sarà simile né a
quello di Zia Jo (alla quale ho già plagiato i nomi dei
componenti della famiglia Farrell, che mi perdoni),
e non sarà
nemmeno grande come un edificio a tre piani come quello di Twilight.
Detto questo.
Volevo solo chiedervi di recensire.
Anche perché porta tutto il vantaggio a voi.
Nel senso: ci sono
tanti tanti bellissimi punti in palio per voi!
Come lasciarsi scappare
un'occasione del genere?
A parte gli scherzi.
Se scrivete su
EFP sapete quanto gli scrittori ci tengano a sapere cosa pensano i loro
lettori della storia;
se non scrivete, ve lo dice la sottoscritta:
leggere le recensioni (anche se critiche costruttive)
dei lettori
è la cosa più bella che possa capitare ad una persona che
ha intenzione di rendere pubblica su questo sito il frutto della sua
mente.
Non vi chiedo di scrivere recensioni
di 1600 parole (io l'ho fatto, e quella santa dell'autrice
chissà che palle che si è fatti a leggerla), ma almeno
un... non so, due righine?
Anche solo per dirmi: No, guarda, questa
storia mi fa schifo e smetto di leggerla.
Non vi mordo. Giuro.
Un Bacione! ;)
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Capitolo 7 *** VII ***
Prophecy
18 novembre
Ore 10.30
Domenica mattina. Solo Dio si rende conto di quanto sia stato impegnativo alzarsi questa mattina. Ho bisogno di riposte. Vere, non quelle belle palle che si inventano le risposte per far tacere i bambini.
Mi guardo intorno con fare sospetto: il plenilunio è passato, ma io mi sento decisamente seguita.
Per ingannare un pochino il freddo soffio sopra alle mie mani, non che
funzioni poi molto bene, però è anche per ammazzare il
tempo.
Sono le dieci e mezza. Dovrebbe essere aperta.
Ripercorro con la mente tutti gli scorsi mesi, ma non ho mai fatto
troppo caso alla luna piena, quindi non posso dire se quella di tenere
chiuso il giorno dopo il plenilunio sia una scelta normale.
Normale per quanto possa essere definito normale un soggetto che si trasforma in un lupo mannaro.
Per uscire di casa ho inventato una scusa subdola, ma spero che regga.
Almeno per un paio d'ore.
Certo, un paio d'ore si rivelerebbero molto più utili se avessi la possibilità di parlare.
Non chiedo molto: solo parlare. Chiarire la situazione tra persone
civili e dissipare questo dubbio che si è impossetato della mia
testa, senza il mio permesso.
Sento la chiave girare e far scattare la serratura.
C'è. E' lui. Non può nascondersi.
Dopo qualche minuto in cui lo vedo aggirarsi guardingo, mi scorge e lo vedo impallidire.
Io gli sorrido, invece. E poi lo saluto con la mano, da brava bambina giudiziosa quale fingo di essere.
Ho una voglia matta di strappargli le corde vocali.
Si avvicina alla porta e mi guarda, piegando la sua testa in quel modo che solitamente mi provocherebbe una linguaccia.
Non oggi.
Gli indico la maniglia.
La mia mano trema. Trema come non ha mai fatto in vita sua. Nemmeno
quando mi sono esibita al talent show del campo estivo ero così
nervosa.
Lo chiamano "difesa naturale", io invece trovo che sia soltanto una cazzata inventata dagli psicologi.
La stessa cosa vale per l'adrenalina. Sono rimasta sveglia per tutta la
notte, per colpa di quelle... cose che hanno fatto impazzire il mio
povero cuore giovane.
Adesso sono stanchissima, mi ero addormentata cinque minuti prima che suonasse la sveglia.
Io non ci volevo nemmeno venire in centro, ma ovviamente la mia
curiosità mi ha spinto a prepararmi e a recuperare quelle poche
forze che avevo.
Infilo le mani nelle tasche del cappotto ed entro non appena apre la porta.
Fa insolitamente caldo in biblioteca, per essere un posto dove riposano le anime di centinaia di libri.
-Ciao, Quinn- mi dice, atono.
-Albus-
Il mio cuore. Minaccia di uscire di nuovo dal petto. E' paura, allo
stato puro. Vorrei scappare, come ho fatto ieri sera, ma non posso.
Non adesso. Non ora che sono certa che sia lui.
-Com'è andata la festa? Io ormai non partecipo più,
sai... ieri sono rimasto a casa in compagnia di un buon libro. Il
migliore amico di un topo di biblioteca come me- Non sta parlando a
manetta, come farei io per sviare i sospetti, ma evita di guardarmi
negli occhi.
E' sulla difensiva.
-Excusatio non petita, accusatio manifesta[1]-
recito, senza rendermente conto. Non sento la voglia di mettere una
mano sulla bocca come farei di solito, dopo essermi resa conto di aver
parlato a sproposito.
So che lui sa. E' palese.
-Quinn...-
-Sai, adesso che hai nominato il Creep... Ieri ho visto una cosa molto strana-
Deve soffrire, prima che gli sputi fuori la verità. Sono curiosa
di sapere come tenterà di difendersi, o se cercherà di
farlo.
Lo vedo alzare le sopracciglia, ma non riprende nemmeno un po' di colore. E' pallido.
Forse è anche pallido per via di tutto quello che è successo. Ma non m'importa.
Non oso tirare fuori le mani dalle tasche: le sento tremare. Anche la
mia gamba è impazzita. Sembro il batterista di una rock band in
astinenza dal suo strumento.
-Ieri sera mi ero... persa, diciamo, nel bosco. E ho visto un lupo-
-Un l-lupo?- mi chiede. La sua voce sta tremando come la mia gamba.
-Già. E... sai la cosa strana, più strana di tutte?-,
ovviamente non aspetto che lui scuota la testa: -Era senza coda. Sai,
buffo, perché leggendo il libro che mi hai dato tu, gli individui privi di coda sono proprio i lupi mannari; per pura coincidenza c'era la luna piena, ieri sera-
I suoi occhi della stessa ossidiana di quelli del lupo, si piantano nei miei, per la prima volta da quando sono entrata.
-Poteva anche essere un bastardo-
Mi viene voglia di chiedergli se si sta veramente dando del bastardo per cercare, in modo molto vano, di farmi cambiare idea.
-Già. Peccato che sembrava... non lo so. Molto curioso. Aveva i tuoi stessi occhi, sai... ossidiana- dico, alzando le spalle.
Batte il pugno sulla scrivania. Furioso.
Ecco cosa sono riuscita a scatenare: furia.
-Smettila di fingere, Quinn. Non attacca-
Ha smesso di guardarmi negli occhi, di nuovo.
Mi alzo e mi avvicino a lui, nonostante il mio corpo mi stia pregando
di andarmene. Le gambe mi reggono a stento, vacillano pericolosamente;
potrei anche cadergli in braccio.
-Eri tu, vero?-
Domanda semplice; le risposte possibili sono due: sì o no.
Lui ovviamente non afferma, né smentisce direttamente: -E' complicato. Non capiresti-
La sua ira si è placata, per tutta risposta la mia si risveglia
come un animale incattivito che è stato tenuto a bada per troppo
tempo.
-FANCULO, ALBUS!- gli urlo.
E' domenica mattina, in giro non c'è nessuno. Sono tutti in chiesa. O a casa a dormire.
-Quinn!- esclama, afferrandomi le mani. In contatto con le mie, che
sono congelate, le sue sono calde; calde e invitanti come il respiro
del lupo ieri sera.
-NO! Cosa ci può essere di tanto complicato, eh? Eri o non eri tu?-
La mia rabbia si è spenta, sommersa di nuovo dal terrore.
E' odiosa questa sensazione: è come avere qualcuno che ti
accende una spia intermittente nel cervello, un altro paio di esserini
che si divertono ad annodarti lo stomaco e ad attorcigliarti le
budella. Senza dimenticare il cuore che batte senza sosta e le
ginocchia che fanno "Giacomo Giacomo".
Lui sospira. Sospira come se
questa risposta potesse condannarlo alla gogna. Se veramente la pensa
così, allora non mi conosce per niente.
Non sono la persona superficiale che traspare e se tengo ad una persona non la abbandono al suo destino.
Apre la bocca, mi lascia le mani, si allontana di qualche passo. Richiude la bocca.
-Rispondimi, ti prego!- lo sto pregando veramente di rivelarmi il suo più grande segreto?
Come sono stupida.
Mi avvicino alla mia borsa; tiro fuori tutto quello che gli riguarda:
il libro che lo ha involontariamente tradito e il residuo di stoffa che
ho recuperato da terra.
-Addio, Albus-
Gli occhi mi pizzicano, ma cerco di ricacciare indietro le lacrime che invece si impossessano delle mie ciglia.
Stupidi ormoni.
Un tocco caldo, bollente, mi artiglia il polso: -Sì. E-ero io-
Voglio voltarmi. Lo desidero ardentemente.
-Non sono qui per giudicarti- dico infine, con le lacrime che ormai scendono copiose dai miei occhi.
Lui fa scivolare il mio polso tra le sue dita, ma invece di lasciarmi
andare, come avevo sperato, le sue dita si intrecciano con le mie.
In modo totalmente involontario mi ritrovo trasportata nel soffice cotone della sua camicia.
Biblioteca di Albertville,
Sezione dei libri fantasy,
ore 11.35
Un'ora. Un'ora nella quale io e Al abbiamo parlato di tutto. Ora
è il momento delle mie domande a raffica e lui risponde
divertito.
-Allora. Dicevamo- dico, riprendendo un po' della mia dignità che si era nascosta dopo l'ultima domanda.
-Esistono i draghi?-
-Non siamo nel medioevo-
E' così, un botta e risposta, apparentemente senza senso. Eppure io mi sento felice. Euforica.
La paura? Evaporata. Non c'è più. Se n'è andata
con il pianto che è stato amorevolmente consolato dal mio amico,
non dal mostro che si trasforma in un lupo mannaro.
-E i maghi?-
-Per la versione femminile posso metterci una mano sul fuoco, ma per i
maghi...- fa passare l'aria tra i denti e mi guarda divertito.
-D'accordo, niente Hogwarts, quindi?-
-Non dirmi che ci credi!- dice ridendo.
Gli assesto un pugno sulla spalla: -Ascolta. E' permesso a tutti sognare-
-Certo, Quinny-
-Senti, Albie, eh. Ci sarà un motivo per cui tua madre ti ha chiamato Albus-
Lui arrossisce, cosa che lo rende incredibilmente buffo e impacciato.
Borbotta qualcosa, che a me giunge come una frase senza senso.
-Mm... vediamo... I vampiri?-
-Mai visto uno in vita mia. Ah, e la cosa che dice che tra lupi mannari e vampiri ci sia una faida è una cazzata. Colossale. E' vero, magari possiamo non amarci in modo viscerale, però non ci scontriamo in modo teatrale!-
Sbuffa e indica la libreria che sta alle mie spalle con un gesto vago. Sorrido.
-Quindi, dimmi. Questo è un dubbio che mi porto dentro da tanto tempo: le fenici, esistono?-
-Non sei tenuta a saperlo-
Apro la bocca per protestare, ma poi vedo lo sguardo divertito nei suoi occhi: -Sai cosa? Fottiti. E rispondimi, prima-
-Ne ho vista una sola in tutta la mia vita. Sono rare da trovare. Vivono come le aquile, in termini di altezza-
-Wow- mi sfugge per sbaglio dalla bocca, mentre guardo fuori dalla
finestra che buca il muro in alto, per far arrivare il massimo della
luce.
-E delle bacchette magiche, cosa mi dici?-
-Che nessuna persona sana di mente andrebbe in giro agitando un rametto-
-Sei il solito. Smorzi la mia felicità. Adesso che posso scoprire cosa è reale e cosa no!-
-Io non so tutto. Rispetto alla gente che c'è in giro, sono un novellino-
Apro la bocca e poi la richiudo.
Mi sono scordata di chiedergli da quanto è un lupo mannaro.
-Da quanto?-
Alza le spalle, fingendo di fregarsene: -Era la ventiquattresima, quella di sabato-
-Due anni?- gli domando sbalordita.
-Sì- afferma lui.
-E lo sa qualcuno? Oltre a me, intendo...-
Scuote la testa tristemente, poi risponde alla mia muta domanda, che ha
colto anche se ha lo sguardo fisso al pavimento: -Perché nessuno
è mai valso il rischio[2]-
-Il rischio?- chiedo stupidamente.
-Quinn, tu hai una reazione che è a dir poco... strana-
-Senza precedenti, mi piace essere unica- So benissimo che la
confessione che mi sta facendo Al è una cosa seria, ma non mi
piace vedere le persone stare male. Non con le persone a cui tengo,
ecco. Perché ai miei compagni di scuola non vado di certo a
genio.
-Non voglio avvicinarmi a qualcuno per poi perdere tutto quello che ho guadagnato-
E' in quel momento che vedo quanta tristezza si porti dietro Albus, il
mite topo di biblioteca che tutti definiscono misantropo.
-Per frasi riportate ti posso dire che se una persona ci tiene veramente a te, non ti lascerebbe andare via. Per niente al mondo-
Concludo posandogli una mano sulla sua e sentendo il calore che
sprigiona; mi chiedo, scioccamente, se sia uno dei vantaggi dell'essero
un lupo mannaro. Poi mi rendo conto che non sono la protagonista di un
libro.
La mia borsa, posata sul tavolo si mette a vibrare in modo energico. Ci
sono quei giorni in cui odio la tecnologia. Vorrei vivere nel passato e
non risultare disponibile ad ogni ora del giorno e della notte.
Controvoglia, molto controvoglia estraggo il telefono e come
d'abitudine mi alzo per infilarmi in un angusto angolino per poter
rispondere alla chiamata.
-Pronto?-
Non ho nemmeno guardato chi mi stesse cercando.
-Quinn. Ti devo delle scuse... ieri... ieri non ero in me. Voglio farmi perdonare. Dove sei?-
Cazzo, Will.
-Ehi, tesoro, non importa, davvero. E poi sei già perdonato (No,
non è vero. Sento ancora la sua lingua che si infila in maniera
poco amorevole nella mia bocca, ma decido di sovolare)-
-Dimmi dove sei, dai. Ti passo a prendere. Ho organizzato una bella sorpresa-
-Biblioteca- dico semplicemente e mi sembra di sentire Will sbuffare energicamente.
Lui non capisce perché io stia sempre in mezzo ai libri. Certo,
perché per lui una ragazza se è bella deve essere anche
stupida, altrimenti non avrebbe senso portarsela a letto, se ha un
cervello con cui ragionare.
-Arrivo-
Il suo tono di voce è a dir poco scocciato, e questa volta so che non è per i libri. Will ha sempre visto Al come una minaccia e non ha mai capito nulla.
Al è... poco più che un conoscente e poco meno che un confidente. E' nel limbo, insomma.
Torno al tavolo e rivolgo ad Al uno sguardo triste e colpevole.
Perché mi sento dannatamente in colpa a lasciarlo solo. Ho paura che possa... scappare, fuggire e non tornare. E il non vederlo mi ucciderebbe.
-Tranquilla, vai. Io da qui non mi schiodo. E poi penso che sia ora di chiudere. Le mie ossa si stanno ancora riprendendo.
Gli sorrido, nonostante tutto. E non perché mi ha detto che non
se ne andrà, cioè anche per quello, ma soprattutto
perché parla del suo... problema con naturalezza.
Gli schiocco un bacio sulla guancia che fa arrossire entrambi in egual modo.
Ore 14.50
Macchina di William Hummell.
-Scusami- dice per l'ennesima volta Will. Non lo reggo più: lo
amo, è vero e non posso negarlo, ma non lo sopporto.
-Basta scusarsi, Will. Diventi noioso. E anche privo di senso-
Ed eccola qui, la Quinn che tanto mi è mancato mostrare.
Mi chiedo se all'univesità potrò ancora usare la mia facciata da stronza.
Will non riesce a trattenersi e borbotta uno scusa per scusarsi di essersi scusato.
E' un incubo.
-Senti, lasciamo perdere le scuse, okay? Ho capito perché eri arrabbiato. D'accordo, va bene-
-Quinn!- esclama, sbattendo una mano sul volante.
Mi volto di scatto e lo vedo fissare la strada con occhi di falco. La
mascella tanto serrata che potrebbe slogarsela. Le dita che stringono
talmente forte il volante da far apparire le nocche bianche come la
neve. I muscoli così in tensione che potrebbe sfasciarsi i
tendini.
Gli poggio una mano sul braccio, mentre siamo fermi al semaforo.
-Wil... perdonami. Non avrei dovuto essere così stronza.
Però fidati, ho capito-, riesco a scollarmi dal palato queste
parole. Niente di più.
-Quinn, tu non capisci- mormora, scuotendo la testa, ma senza smettere di essere teso.
Il mio tocco si fa più.. invadente. Gli carezzo la mano destra
con la mia sinistra e lo convinco dolcemente a scollare le mani dal
voltante.
-D'accordo. Se non capisco allora spiegami-
Utilizzo il tono di mia madre, quello di ogni cosa è bella, perché sembra ammorbidire e calmare il mio ragazzo.
Funziona un po' con tutti i ragazzi, però. Anche con Jack.
Mi rendo improvvisamente conto che sono fuori di casa da questa
mattina, ma poi ricordo che Will è passato a casa mia pensando
di trovarmi lì; quindi sanno che sono con lui.
Non stiamo andando da nessuna parte, in realtà. Will adora
andare in giro in macchina, ma capisco che c'è qualcosa che mi
deve spiegare veramente; guardandomi negli occhi, quando parcheggia la macchina sul ciglio della strada.
Si volta e mi rivolge uno sguardo comprensivo, come se fossi io quella dura di comprendonio tra i due.
Decido di non dirgli niente, perché potrei farlo arrabbiare o
ferirlo. E non ho intenzione di fare nessuna della due cose.
-Quinn- comincia lui calmo: -Di ieri sera ho un ricordo totalmente
avvolto dalla nebbia, perché prima ero arrabbiato, anzi, furente
e poi perché ero completamente in estasi-
Aggrotto le sopracciglia. Estasi? Mh, non promette nulla di buono.
Pur di non posare il mio sguardo nei suoi occhi, che rifletterebbero i
miei, cerco un posto nell'abitacolo e sotto il sedile del guidatore
vedo una scarpa.
Che ho già visto, oltretutto.
Francesca.
Deve essere detto che da brava reginetta quale sono, con il mio trono e
tutto il resto, non è possibile che io mi faccia scappare i
dettagli e quella scarpa che dalle mie parti significa una sola cosa,
era la stessa che indossava Frankie quando mi ha confessato di aver
scritto la lettera della Juilliard.
Questa volta lo guardo con gli occhi colmi di odio e di... ribrezzo.
-Will, cosa è successo ieri sera?- chiedo io, con un tono di voce che sembra un ringhio.
Non è da me, lo ammetto; ma di certo non mi sarei mai e poi mai
aspettata che Will finisse a letto, o meglio, sui sedili posteriori
della sua auto con Frankie.
-Ho... I-io... M-m-mi sono...-
Termino io la frase per lui. Odio le persone che ammettono le loro colpe tra i balbettii inutili: -Ti sei scopato Frankie, eh?-
Slaccio la cintura ed esco in fretta dalla macchina.
-Non capisci!-
Ed eccolo, Will che mi urla contro, dopo essere sceso anche lui dalla sua amata auto.
-Will, porca...- trattengo le mie brutte parole perché sono troppo orgogliosa per tirarle fuori tutte adesso.
-TE LA SEI SCOPATA!- però le urla non me le toglie nessuno.
-E' stato un errore!- cerca di difendersi lui.
-BUFFO, NON TROVI? UN ERRORE! DOPO CHE HAI CERCATO DI MONTARMI COME UN
MOBILE IKEA SUL PRIMO ALBERO CHE TI FACEVA COMODO, HAI TROVATO LEI!-
sto respirando a fatica. La rabbia che provo dentro si accalca per
uscire, provocandomi singulti spezzati.
-Proprio lei!- abbasso il mio tono di voce, per evitare una crisi respiratoria come non me ne capitano da anni.
-E' inutile ripeterti che è stato un errore-
-Tu sei solo un piccolo egocentrico, William. Non hai chiaro il fatto
che io ieri sera ero terrorizzata per te? Non sapevo che cosa diavolo
ti era preso. Sembravi un altro! E non di certo il ragazzo di cui mi
sono innamorata! Sai cosa c'è di divertente qui? Il fatto che
quando Jack mi ha chiesto se mi avevi fatto qualcosa io gli ho risposto
di no. Da brava scolaretta idiota e innamorata quale sono! Gli ho detto
no perché sapevo quello che ti avrebbe fatto se solo avesse saputo-
Non riesco a domare la crisi di panico che ormai sta raggiungendo
quelle di cui soffrivo quando avevo quattordici anni e mi sembrava di
dover essere accettata da tutti.
Mi sembra di essere tornata a quel momento, con la mente.
Io che rifiuto di mangiare e mia
madre che questa sbatte la porta della cucina pur di non farmi
uscire e di non far sentire ai miei fratelli cosa sta accadendo.
E io che disperatamente cerco di farle capire che non è il cibo la cosa che mi farà sentire meglio.
Mi afferra i polsi e mi rimette a sedere. Volente o nolente che sia, non posso ancora rifiutare cibo. Finirei per morire
. Distrutta
dalle mie stesse mani. Inizio a sussultare perché fatico a
respirare e Jack entra di corsa, fregandosene della mamma che gli urla
dietro. Mi fa sedere con la schiena poggiata al grande frigorifero
avorio e mi si siede davanti. Mi prende i polsi e inizia a massaggiarli
per farmi calmare.
Bastano quei pochi tocchi per farmi tornare seduta a tavola, per mangiare indolente la pietanza nel mio piatto.
-Quinn!- questa volta è Will che mi riporta alla realtà.
Mi guardo intorno. Sono seduta sul sedile del passeggero. Come ci sono arrivata, mi chiedo.
Ed eccolo lì davanti a me, Will. Il ragazzo che amo che mi
massaggia i polsi come faceva Jack e involontariamente mi calmo. I
respiri si fanno più lunghi e il cuore rallenta la sua corsa.
Banalmente mi ritrovo a pensare che quel muscolo che pompa sangue in giro per il mio corpo ha bisogno di un po' di riposo.
Will si trascina sul sedile di guida e mi riporta a casa, mentre a me
sembra di essere stata trascinata in una vita che non è la mia.
Ora di cena.
Camera di Quinn.
Jack e Will hanno parlato tutto il pomeriggio di me. Mia madre mi ha
portato la cena in camera, cosa che non fa da quando era incinta delle
gemelle e c'è Teddy che mi fa compagnia, sdraiato sul letto,
mentre sgranocchia le mie patatine.
Stiamo in silenzio. Lui mi fissa, ogni tanto, come se volesse assicurarsi che io sia veramente nello stesso letto con lui.
Bussano alla porta.
-Avanti- dico io, accarezzando i capelli di Ted, che ho sorpreso a controllarmi per l'ennesima volta.
Entra Jack. E' da ieri sera che non lo vedo e non ho notato che ha un
occhio nero. Mi domando chi glielo abbia fatto, prima di rispondermi
che è stato Will, in preda alla crisi di rabbia.
Jack fa un cenno a Ted e lui esce, forse un po' troppo acoondiscendente.
-Linny, Linny, Linny- mi dice, scherzandoci sù. Ma io so quanto
sia preoccupato: glielo si può leggere in faccia. Dal modo in
cui mi guarda, anche con quell'occhio pesto.
-Drew. Sai che l'occhio conciato così ti dona?-
Non mi piace essere presa per la damigella in pericolo, perché io sono una combattente, non una delle tante oche.
-Smettila di fare così, ti prego. Rischi di uccidermi- dice, sedendosi con calma sul bordo del mio letto.
-Allora lo sai, eh?-
-Della crisi o del fatto che sei stata sedotta e abbandonata?-
Riesce a strapparmi un sorriso, nonostante tutto.
-Jack, non ho più quattordici anni. E' stato un caso isolato. E poi ero decisamente sotto pressione-
-Sotto pressione per cosa?- mi domanda curioso.
Ho parlato troppo, come mio solito. Ma poi mi invento una delle mie
scuse: -Per il fatto che sia stata tradita. Dal ragazzo che amo. E che
nonostante ti abbia detto che è grande e vaccinato e che
può fare quello che vuole, beh... non pensavo di certo che
sarebbe successo. Però, ehi, è così che funziona
il Creep. Il suo karma alla fine ha colpito anche me-
Sono decisamente triste. Mi sento, forse non sedotta, ma molto abbandonata.
Praticamente io e Will non abbiamo chiarito un bel niente visto il mio
exploit e non so come comportarmi, visto che sembra che il coltello
dalla parte del manico lo abbia lui.
-Nel caso ti stessi chiedendo cosa fare con Will, domani avrai tutto il
tempo per pensarci. Non ci vai a scuola, per colpa della crisi-
Mi lamento: -Jack!-
Ho saltato abbastanza giorni di scuola e siamo solo a novembre.
-Ci penserò io a dire che stai male-
-D'accordo- affermo rassegnata. Alla fine tutta questa iperprotezione da parte sua non mi dispiace per niente.
-Lui è sinceramente dispiaciuto, Linny. Vorrebbe che le cose tornassero com'erano-
-Già. Prima che lui si scopasse una troia, o prima che ti facesse l'occhio pesto?- gli domando alzando le sopracciglia.
-Basta, Linny. Sei una reginetta e non puoi comportarti da vittima. Morto un Papa se ne fa un altro-
Prendo una patatina e la sgranocchio. Arrivo alla metà e rispondo a Jack: -Scopata una, si passa ad un'altra-
Jack, sconfitto su tutta la fila, mi dà un bacio sulla fronte ed
esce dalla mia camera. Non mi stupisce il fatto che dopo cinque secondi
Teddy sia già sul mio letto.
Ho bisogno di riposare. Questa giornata è stata... sfibrante e priva della solita routine della domenica.
Note:
[1]: Una scusa non richiesta è una palese auto accusa.
[2]: Citazione di una delle più belle canzoni dei Paramore, The only Exception.
Angolino dell'autrice:
Allora. Come vi sembra? Forse ve lo aspettavate, o forse no.
Certo che in fondo lo sapevate.
Nel prossimo capitolo salteremo un paio di settimane, perché gli avvenimenti che avverranno saranno veramente tanti.
Incontreremo creature della mitoligia greca, Dei, e... chi lo sa! ;)
Ma questo un po' più avanti.
Detto questo: Au revoir, miei cari!
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Capitolo 8 *** VIII ***
Prophecy2
You felt the pain, you felt the fear, but you chose not to see.
Maybe your destiny is a time for forgiveness.
(Elisa, Forgiveness)
30 novembre,
Ore 16.30
Biblioteca di Albertville.
-Posso farti una domanda?- chiedo ad Albie, alzando gli occhi dal mio
libro di matematica. E' da due settimane, cioè... da quando ho
saputo che è un lupo mannaro che vado tutti i pomeriggi a fare i
compiti lì.
Jack si sta ingelosendo, perché dice che lo sto trascurando. Tutte balle.
Albie mi guarda alzando le sopracciglia: -La faresti anche se ti
dicessi di no- mi dice, terminando la sua frase con un sorriso. Non
l'ho mai visto molto sorridere, almeno non fino a quando non ho
scoperto il suo segreto.
Ha il sorriso più bello del mondo: sicero e spontaneo.
Alzo le spalle, fingendomi offesa: -D'accordo, te l'avrei fatta comunque. Hai mai pensato di andartene?-
E' una dormanda che mi ronza in testa da giorni. Deve essere stato
difficile per lui vivere ad Albertville, la sua città natale,
abbandonare il sogno dell'università e tutto il resto.
Non mi ha ancora raccontato nulla, comunque. Né come è
stato trasformato, né chi lo ha fatto e nemmeno le pene che
prova quando è sotto plenilunio.
-Mi piace vivere qui- dice, ma so che non è sincero. Si rabbuia e i suoi occhi diventano tristi.
-E' Albertville. A nessuno piace vivere qui!- esclamo io.
Fortunatamenre la biblioteca non è mai troppo frequentata, e
ringrazio la massa di ignoranti che vive qui, perché mi permette
di stare in questa oasi di pace indisturbata.
-Ho pensato molte volte di andarmene. In giro, per il mondo, ma almeno
qui il sindaco non si chiede come mai una volta al mese la biblioteca
chiuda magicamente dopo il plenilunio-
Alzo le spalle di nuovo: -Nessuno fa caso al fatto che la biblioteca sia chiusa dopo la luna piena, Albie- dico franca.
Lo vedo annuire impercettibilmente e mi sale la voglia di abbracciarlo.
Scaccio quel pensiero e mi limito a tornare con lo sguardo sul mio
libro, senza smettere di pensare al mio amico che deve aver subito le
pene dell'inferno tenendosi tutto dentro.
La mia tasca posteriore si mette a vibrare. Sono riluttante
nell'estrarre il mio telefono. I compiti che sto facendo sono extra, ma
non m'importa, perché ogni scusa è buona per venire in
biblioteca e controllare che lui sia ancora qui.
Sono un'egoista a pensarlo, ma non m'importa. Non voglio vedere Albie
andarsene. E farò tutto quello che posso per difenderlo, nel
caso si dovesse aprire una caccia alle streghe.
Sono abbastanza certa che non succederà, perché non ci sono mai stato attacchi mentre lui era in giro a quattro zampe.
Kit:
Stasera in piscina c'è la gara. Vieni?
Certo. La gara di nuoto; dove anche le papere possono partecipare.
Da brave cheerleader noi ci alleniamo poco prima della gara, in modo da
avere una visuale perfetta dei ragazzi che con le loro spalle larghe si
buttano in piscina con i loro costumi ristretti.
Vorrei risponderle di no, ma alla fine penso che la mia vita sociale
non deve subire altri danni. Mi sembra surreale che adesso sono passata
da reginetta stronza della scuola a capo cheerleader tradita dal
ragazzo.
Mi sembra banale dire che, dopo una litigata con i fiocchi e con i controfiocchi, ci siamo lasciati.
Jack fatica a comportarsi da spola tra di noi, così io mi
accontento di averlo a casa, tutto per me; Will può tenersi lo
stronzo megalomane.
-Studia, Quinn- mi riprende Albie, facendo la parte del professore
giovane e aitante che dà una mano alla sua allieva preferita.
Gli sventolo la manina di fronte al naso: -Senti, sono extra questi
compiti. Con la scusa che qui non c'è niente da fare di
interessante, sono costretta a ripiegare sui compiti-
Albie si finge offeso: -Grazie per avermi definito qualcosa di poco interessante-
-Zitto, mistantropo topo di biblioteca. Sto cercando di studiare, anche se non ci capisco nulla-
-Passa- mi dice, prendendo in mano il libro.
Inaspettatamente mi gira intorno e me lo ritrovo dietro lo schienale della sedia a spiegare qualcosa che non ho nemmeno la concentrazione
necessaria per ascoltare. Il viso di Al è vicinissimo al mio,
sento il suo fiato caldo, che paradossalmente mi ricorda quello del suo
lupo, sul mio collo, lasciato scoperto dalla maglia a maniche lunghe
che sto indossando. Sa di dopobarba e gigli; deve essere l'acqua di
Colonia, penso.
Mi volto appena e sa che lo sto spiando, smette di parlare: -Non
è considerato scortese non ascoltare una persona adulta che
cerca di spiegarti qualcosa?- mi chiede all'orecchio.
I brividi percorrono più di una volta la mia schiena, nonostante
indossi due magliette; è come se un gattino si fosse immerso con
le zampe nella neve e stesse camminando tranquillamente sul mio dorso.
-Non sei poi così adulto- riesco a spiccicare, ancora così pericolosamente vicino.
Il mio sguardo cade sulle sue labbra così sottili e così invitanti, con quella cicatrice...
Il cuore al contrario non vuole sentire ragioni e si mette a scalpitare
nel mio petto, ma questa volta non è paura quello che lo spinge
così vicino al limite.
Sbagliato. Sbagliato. Sbagliato. Completamente sbagliato.
Albie lo sa; si allontana.
Non vorrei dirlo, ma restare qui mi fa cadere in una tentazione che
nessuno dei due vuole avere: io che ho il cuore ancora calpestato,
metaforicamente parlando da Will e da Frankie; lui che ha paura di
legarsi a qualcuno per via di quello che è.
-Forse è meglio se vai- mi dice, indicando il cielo.
E' il trenta novembre e non mi stupirei se si mettesse a nevicare.
Annuisco in silenzio, e improvvisamente mi balena in mente l'immagine del lupo che sta lì e mi fissa.
-Al, grazie- scollo infine dal palato.
Lui mi guarda sorpreso; non capisce di cosa sto parlando.
-Beh, per non avermi attaccata la scorsa volta-
-Non devi ringraziarmi, Quinny-
Sorrido, sentendolo usare quel soprannome. Lo saluto con la mano dopo
essermi preparata ad affrontare il freddo pungente che so mi
congelerà completamente.
Ore 20.30
Plesso sportivo di Albertville, di fronte alla parete di vetri (da dove si possono ammirare gli atleti di nuoto)
-Guarda Lucas!- mi dà di gomito Kit. Ci stiamo riscaldando,
mentre i ragazzi escono dallo spogliatoio. Fisso il ragazzo moro e
colgo, con una nota di piacere e di orgoglio tipico da Quinn che mi
fissa con uno di quegli sguardi che lasciano poco all'immaginazione del
significato.
Rispondo con piacere mandandogli un bacio con la mano, e come risultato
vedo Will, che partecipa ogni anno, diventare verde d'invidia.
Penso che se l'è cercata e che adesso deve accontentarsi di quello che ha: un pugno di mosche.
Kit fissa dall'altra parte del vetro, come tutte le ragazze e poi si volta verso di me, rossa come un pomodoro maturo.
-Dio ma perché mi fai questo?- sussurra, evitando accuratamente
di guardare mio fratello spiccare tra tutti gli atleti per via del suo
fisico scolpito.
Con la scusa (solita) che la gara non avrà inizio che tra
venticinque minuti, si avvicina alla parete e mi fa cenno di entrare in
piscina per parlare. Mi scuso con le ragazze e loro annuiscono da bravi
cagnolini, con la bava alla bocca perché davanti a loro, in
tutta la sua bellezza da Semidio Greco c'è Jack Andrew Farrell.
Sento una delle nuove ragazze, delle quali ancora non ho imparato il
nome, che chiede alla sua compagna se quello che mi sta parlando sia il
mio ragazzo: -Ma va!- risponde una voce che non identifico: -E' suo
fratello. Non vedi che tutti e due sembrano scesi dall'Olimpo?-
Sorrido, mio malgrado e mi chiudo la porta alle spalle.
-Ciao, stellina-
Faccio roteare gli occhi: odio quando Jack usa questi nomignoli idioti. -Che c'è?-
-C'è un aitante giovine, anzi, ci sono molti aitanti giovani che
sarebbero contenti di entrare nelle tue... grazie ora che William non ha
il diritto di stare al tuo fianco per poter comandare a bacchetta il
regno di Albertville-, lo spingo con una mano sul petto, con il misero
risultato di vederlo ridere della mia scarsa prestanza fisica.
-Quinn... Non trovi che Lucas sia un gran bel ragazzo?- mi chiede
ammiccando. -Non ti toglie gli occhi di dosso da quando è
entrato in piscina-
-Non mi faccio combinare gli appuntamenti da mio fratello, Jack. E ti ricordo che siamo a scuola. Tecnicamente- gli ricordo.
-Ma sono anche il fratello che ti ha accompagnato qui e che ha visto la
tua crisi di pianto quando ti sei ricordata che c'era anche Lui-
-Puoi pronunciare il suo nome. So quanto è difficile per te-
-Ma non so quanto potrebbe essere difficile per te- mi dice, facendomi sorridere un'altra volta.
-Dai, vinci per me, stallone-
-Hai dubbi?- mi chiede, prima di lasciarmi con un bacio leggero sulla guancia.
Vedere i volti tinti d'invidia del pubblico femminile è qualcosa che mi fa sentire superiore.
Ore 21.50
Plesso sportivo di Albertville, spalti.
Adesso dovrebbe iniziare
(finalmente) la gara di Jack. Io e Kit siamo in prima fila, con i piedi
poggiati sul parapetto degli spalti.
Lo starter, suppongo che si chiami così, presenta gli alteti.
-E per la quinta, e ultima batteria abbiamo: Lucas Scott, Ethan Hunt, Paul White, William Hummell, Sean Castle e Jack Farrell-
Il pubblico batte le mani estasiato, mentre io mi ispeziono attentamente un'unghia che si sta per spezzare.
Riesco a malapena a
sentire lo sparo della pistola, e i miei occhi rifiutano di staccarsi
dalla corsia dove sta gareggiando mio fratello.
E' terzo, ma questi sono solo i primi cinquantra metri, ne mancano ancora centocinquanta. Altre tre vasche.
-Chi è il tuo
favorito?- mi domanda Kit a bassa voce. Potrei anche fingere di non
averla sentita, ma alla fine le rispondo: -Beh, ovviamente...-
Un voce glaciale mi
assale alle spalle, facendomi rabbrividire: -Ovviamente William
Hummell! Oh, no, aspetta. Tu e lui non state più insieme. Quale peccato-
-Frankie- la saluto freddamente; si meriterebbe uno sputo in faccia, ma penso che sarebbe offendere la mia saliva se dovessi sputarle addosso.
-Ehi, Quinn. Strano che tu non sia in giro a piagnucolare come fai di
solito. Ti manca qualcosa per essere felice principiessina?-
Non distolgo lo sguardo dalla corsi di Jack. Mio fratello è universalmente più importante di una sciacquetta italiana.
Nella mia testa si accende di nuovo la spia intermittente, ma questa volta la parola scritta è: odio.
Odio verso Frankie e verso quello che mi ha fatto.
Questi sono gli ultimi cinquanta metri, e Jack recupera: è in testa, sta staccando gli altri.
E' la sua solita tecnica da spaccone: umiliare il resto del mondo.
L'italiana, capendo che non la degnerò di uno sguardo se ne va,
ma non prima di avermi visto cambiare colore dalla rabbia: -Certo che
è proprio bravo Will, eh?-
Vorrei saltarle addosso e risolverla con i pugni, e magari anche con le unghie, ma non ho tempo per queste stupidaggini.
Jack ha vinto, è arrivato primo. Lo vedo uscire dalla vasca e mi
devo trattenere per non saltar giù dagli spalti per andare ad
abbracciarlo, magari passando accanto a Will per farlo ingelosire
giusto un po'.
Non è necessario fare un triplo salto mortale; Jack passa sotto
gli spalti e mi basta sporgermi per dargli un bacio, con risultato
ottimo per il mio rossetto resistente all'acqua.
Mio fratello mi fa l'occhiolino e poi si ritira negli spogliatoi, godendosi gli applausi del pubblico, in primis Kit.
Io so che a Kit piace mio
fratello, ma non oso aprire l'argomento; finirei per suggerirle di
confessargli i suoi sentimenti e mio fratello la prenderebbe solo in
giro, facendola soffrire.
E' così che si diverte. Per questo non ho mai lasciato avvicinare Jack a Kit.
-Quinn!- mi richiama la mia amica, attirando la mia attenzione. Mi
indica Lucas che sta entrando negli spogliatoi, penultimo. Mi rivolge
uno di quegli sguardi che ho
descritto prima. Ultimo, e in questo caso il meno importante è
Will, che mi fissa con quegli occhi da cucciolo bastonato.
Non ci credo neanche un attimo. So quanti ragazzi pagherebbero oro
per vedermi nel loro letto, ma io sono sempre stata fedele. Lui? Lui se
n'è andata con quella che gli è capitata sotto tiro.
Che idiota.
Ore 22.20
Parcheggio del plesso, portiera della macchina di Jack Farrell.
-Allora, sorellina? Hai
visto come li ho stracciati?- mi chiede Jack, con un sorriso sadico
dipinto sulle labbra. Gli schiocco un bacio sulla guancia destra e
finalmente lo abbraccio. Inspiro l'odore di cloro, che è rimasto
impregnato sulla sua pelle, nonostante la doccia.
-Ehi, ehm... Quinn, c'è Will- mi sussurra all'orecchio, rendendomi completamente rigida.
-Se vuoi ce la filiamo-
Scuoto la testa,
staccandomi da lui e guardando in giro per scorgere Will, che mi sta
fissando in modo assolutamente colpevole (e ci mancherebbe altro!)
sotto il palo della luce più vicino.
Mi avvicino a lui, lasciando che Jack si limiti a fissarci da lontano.
Arrivo a portata d'orecchio: -Mi manchi- dice, con un tono di voce che in un altra vita mi avrebbe fatto sciogliere il cuore.
-E' un po' tardi per rendertene conto, non trovi?- gli domando gelida.
Lo vedo alzare lo sguardo, come se gli avessi versato un secchio d'acqua delle cascate del Niagara addosso.
-Ma Quinn... Noi siamo una bella coppia! Siamo perfetti insieme!-
Tenta di afferrarmi la mano, ma io mi ritraggo, disgustata.
-Eravamo una bella coppia. Siamo stati
perfetti. Adesso è tardi, William. Hai pestato mio fratello,
cercato di fare chissà cosa con me e sei finito sui sedili della
tua auto con Frankie-
-E' stato un errore...- tenta di iniziare lui.
-No, non mi interessano le tue frasi da film d'amore. Questo non è un film, Will, è la vita.
Se tradisci una persona, è perché non la ami più.
Merito una persona che mi ami e che sia felice di stare con me, non
pensi?-
Lo vedo annuire, sotto la luce fioca del lampione. Entrambi siamo
intirizziti dal freddo pungente dell'Ohio; il nostro fiato si trasforma
in nuvolette di condensa che assumono forme buffe.
-Io... è stato un momento di debolezza. Lo sai-, lo dice guardandomi negli occhi e mi ritrovo a sorridere perfida.
-Perché non vai a farti consolare da Frankie, Will? Io sono una persona. Sono una ragazza. Ero la tua ragazza. Ho
dei sentimenti, e tu hai gettato nella spazzatura il dono più
prezioso che una ragazza potrebbe fare ad un ragazzo: mi hai spezzato
il cuore, Will-
Mi sto aprendo per quella che so sarà l'ultima volta.
Mi avvicino lentamente a lui, due passi mi bastano per averlo davanti,
a pochi centrimetri da me. Le nuvolette di condensa si fondono, i miei
occhi indugiano sulle sue labbra, quelle labbra che ho amato e avuto
per così tanto. Deglutisco a vuoto e sento il cuore perdere un
battito, per poi partire all'impazzata con la sua cavalcata.
Poggio le mie labbra sulle sue, e chiudo gli occhi. Non è un
bacio vero e proprio. E' il bacio di due persone che si stanno dicendo
addio.
Will mi afferra la mano e incastra le sue dita tra le mie e solo adesso mi rendo conto di quanto sia... errato.
Le mani di Albie e le mie sembravano fatte per essere completate le une
dalle altre, invece le mie e quelle di Will sono strane. Sbagliate
così incrociate.
Vorrei ritrarre la mano ma poi lo guardo negli occhi e vedo una lacrime scivolare lenta sulla sua guancia arrossata.
L'indice della mano libera la raccoglie mentre cerca di raggiungere il mento di Will.
-Will, è un addio. Prendine atto e va' avanti. Volta pagina come farò io-
-Ti amo, Quinn- dice semplicemente, e poi mi lascia andare la mano.
Scappa letteralmente in macchina e parte, sgommando.
Io mi sento così sola ed esposta, sotto la luce opaca di quel lampione.
Jack mi raggiunge in un paio di falcate. Mi abbraccia dal dietro.
-Dai, andiamo a casa Linny- mi sussurra, prima che io nasconda il mio volto nel suo cappotto che sa di casa.
Angolino della scrittrice:
Eccoci. Mh.. non so da dove iniziare, sincermente. ?!?
Ah, sì.
Mi dispiace di avere aggiornato di lunedì, ma EFP non funzionava ieri sera.
Chiedo ammenda, per questo.
Fatto sta... non mi viene da dire niente.
Ah, sì, dovete dirmi, nelle vostre recensioni (SE ci saranno), se vi sono piaciuti:
- il momento tra Quinn e Albie
- il bacio tra Quinn e Will.
E' abbastanza importante, per me, saperlo.
A domenica prossima, ragazzi!!
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Capitolo 9 *** IX ***
Prophecy
We can go anywhere, go anywhere
But first it's your chance,
Take my hand come with me
It's like I've waited my whole life for this one night
(Forever, Chris Brown)
3 dicembre
Ore 10.30
Break di metà mattina, cortile della scuola.
Seduta sul solito muretto, in compagnia di Kit che sgranocchia una
barretta ai cereali mi arriva un messaggio: è di Albie, e mi
sembra abbastanza preoccupato. Dice che oggi pomeriggio deve vedermi
assolutamente, perché ha una cosa importante da dirmi.
Il fatto è che non c'è la luna piena. Insomma, dovrebbe essere verso il 15, non di certo il tre dicembre.
Beh, devo accantonare la mia morbosa curiosità per riportare la
testa sul mio libro di mitologia greca; mi chiedo cosa avevo in mente
quando ho scelto questa materia. Certo, mi piace, ma non mi
servità a niente. Forse era solo per finire alla stessa di ora
di Will.
Sono stata veramente stupida a programmare il mio orario scolastico in base a quello del mio ragazzo.
Scuoto la testa e ripasso, forse per la centesima volta, il mito di
Persefone, la donna amata da Ade e da lui rapita per diventare sua
sposa. Non sarei molto contenta se il Re degli Inferi decidesse di
mettermi gli occhi addosso.
I minuti scorrono veloci mentre io rileggo per l'ultima volta i paragrafi tanto studiati ieri.
La campanella suona e Kit mi augura buona fortuna.
Mi avvio verso l'aula di mito e occupo il mio solito posto; il
professor Gillies entra con il suo fare saccente e ci distribuisce i
test. Un'ora in punto per terminarlo e consegnarlo.
Sono nervosa; mi tremano le mani e la testa va in tilt.
Mi impongo di stare calma e prendo un bel respiro, prima di leggere la prima domanda.
Chi era Ercole?
Beh, d'accordo, facile. Rispondo e lentamente passo da una domanda
all'altra e stranamente non ne trovo nemmeno una a cui non sappia
rispondere.
Forse è complice il fatto che mi sono fatta dare una mano da Albie per studiare, ieri.
La biblioteca era vuota, e abbiamo passato il pomeriggio a studiare su
internet i miti greci. Divertente, interessante e anche pericoloso.
Soprattutto dopo quello che è successo il giorno della gara di
nuoto. Teniamo molto di più le distanze, adesso. Evitiamo di
toccarci troppo, e se per caso io gli cado addosso, dopo aver cercato
di prendere un libro troppo in alto senza usare la scala, lui mi prende
ma poi siamo entrambi rossi per l'imbarazzo.
Fortunatamente le nostre bocche non sono ancora entrate in collisione.
E per questo ringrazio chiunque sia il Dio dell'Amore che sta veramente
lassù appollaiato a guardare giù.
Io e Albie... Sarebbe una coppia male assortita, e poi si vede che lui
preferisce la compagnia delle persone della sua età. Questo
però sono costretta a supporlo, perché non l'ho mai visto
con qualcuno.
Scuoto la testa e torno concentrata sul compito, che devo consegnare
tra quindici minuti. E il professor Gillies non sopporta i ritardatari.
Ore 15.10
Parcheggio della biblioteca di Albertville.
Chiudo la mia auto e mi dirigo verso la porta di vetro della
biblioteca. Questo è un inverno molto rigido, o forse sono
semplicemente io che non sopporto il freddo. Entro di fretta e soffio
insistentemente sulle mie mani, che per due metri sono diventate rosse.
-Quinn?- chiede Albie, da qualche parte della biblioteca. Sorrido: -Sì, Albie. Che c'è di tanto importante?-
Sono curiosa, e quando lo vedo apparire con due tomi grandi come case a tre piani mi spavento un poco.
-Il compito di mitologia?- mi domanda, molto gentilmente. Scrollo le
spalle e mi avvicino al carrello con il quale ha trasportato le due
enciclopedie, viste le dimensioni.
-Cos'è questa roba?-
-Questa roba, dice lei!-[1]
Alzo le sopracciglia, facendogli intuire che non sto scherzando: -Sono
due tomi enormi che non dovrebbero stare qui, ma che mi hanno rifilato
quando ho fatto l'inventario. Nessuno dovrebbe sapere dove sono
custoditi-
-E allora perché me li stai mostrando?- domando, aggrottando le sopracciglia.
-Perché c'è una cosa che riguarda te. Vieni qui, dammi
una mano- mi dice, prendendo uno dei tomi e poggiandolo sul pavimento,
io faccio la stessa cosa con il secondo.
Li fisso, incantata, hanno degli intarsi che sembrano d'oro e il titolo
sembra in ebraico antico, che ovviamente non conosco; le loro copertine
di velluto rosso mi fanno pensare ai vecchi libri che conservava il
nonno quando lo andavo a trovare, prima che morisse di crepacuore.
Passo un dito sulla copertina ed è come se mi desse la scossa.
Ritraggo la mano in fretta, lanciando un'occhiata in tralice ad
entrambi i tomi.
Mi riprendo e torno alla realtà.
-Riguarda me?- domando confusa, chiedendomi come ci possa essere finito il mio nome in uno di quei due enormi libri.
Albie annuisce e poi mi guarda serio: -Presente la profezia di Harry Potter?-
-Err... Sì?- pigolo io. Che diamine c'entra adesso Harry Potter?
Sono sempre più confusa, così Albie si ferma un
attimo, si siede davanti al tomo che ha posato sul parquet, io faccio
la stessa cosa, davanti al tomo che ho preso io.
-Allora...- inizia, scompigliandosi i capelli per riavviarli.
-Ricorderai di sicuro cosa contenesse quella profezia-
-Vagamente- sono costretta ad ammettere.
-Beh, queste- dice, indicando le pagine del suo tomo: -Sono profezie.
Sono dei... diciamo... cataloghi delle profezie che le streghe hanno
fatto, anche casualmente e senza rendersene conto. Niente Ufficio
Misteri del Ministero delle Stramberie e sfere di cristallo. Non
dovrebbero stare qui, ma me le hanno affidate-
-No, ascolta. E' assurdo, okay? Tu sei matto!- esclamo, alzandomi e recuperando la mia borsa.
-Devi credermi, Quinn. Pensi
che io non ci abbia riflettuto tanto prima di dirtelo?- mi domanda,
guardandomi negli occhi, con uno sguardo implorante.
Sono i suoi occhi a trascinarmi in quel baratro senza fondo.
Dimentico per un momento la mia razionalità e mi siedo a gambe
incrociate: -Per favore, facciamo in fretta, prima che la ragione torni
a prendere il sopravvento-
Albie ridacchia e si mette a sfogliare le prima pagine del tomo. Lo imito.
-Cosa devo cercare esattamente?-
-Il tuo nome- dice, come se fosse ovvio.
Non lo trovo, ma dopo un paio di rumore di pagine che vengono sfogliate esclama: -Eureka!-
Mi fa cenno di sedermi accanto a lui; mi inginocchio e le nostre mani si sfiorano, nemmeno a farlo apposta.
Io la ritiro, ma lui la afferra con uno scatto repentino.
Vorrei chiedergli spiegazioni ma non ci riesco. Poso lo sguardo sul
libro, che viene sfogliato in fretta dall'unica mano libera di Albie, e
arriva alla parte della Q.
-Quinn, Quinn, Quinn...- si mette a sussurrare, mentre cerca il mio nome.
-Eccolo- dico io, indicandolo.
-Ti sarei grato se la potessi leggere ad alta voce-
Aggrotto le sopracciglia: -Non sai leggere?-
-Quello che vedo io è solo un mucchio di scarabocchi, con il tuo
nome scritto sopra. Tu dovresti leggerla perfettamente, invece-
Albie non mi ha ancora lasciato la mano, e il mio cuore ormai ha macinato kilometri, per la velocità con cui galoppa.
Sembra tutto intriso in un'atmosfera magica e non riesco a capire se
è per via della profezia che mi riguarda o per la mano di Al,
che è intrecciata saldamente alla mia, come se non volesse
vedermi andare via.
-Simil regale è il nome della Dama, d'un futuro lontano che
avrà il potere di ristabilire l'equilibrio e donare al mondo la
sua grazia divina. Il suo potenziale, confinato in un corpo mortale,
sarà l'unica arma a disposizione di Colui che sorveglia i Morti
per riportare la pace e riscattare il suo debito.
Nove fanciulle vestite di Luci e Ombre la visiteranno nei giorni di festa cristiana e la
convinceranno ad adempiere al suo destino, crudele per il corpo
mortale, infinitamente grande per l'anima.
Il fratello mezzosangue e il fratello di Scelta saranno di grande aiuto
nella scoperta della Regina e del Re che vogliono distruggere
l'umanità e una complice del nostro mondo al suo servizio
avrà; l'amore che troverà sul sentiero per la Gloria
Eterna la accompagnerà senza vanità.
I suoi capelli vestiti dell'oro della sfera luminosa di Apollo, si
tingeranno del colore della Luna; I suoi occhi del similar colore del
lago di montagna, si tramuteranno nel fondale degli oceani più
vasti, dove i segreti son custoditi.
Con l'umiltà nel cuore e nello spirito una sola pretesa
avanzerà: l'uomo che ama dovrà guardare Lucinda senza
sofferenze atroci per la sua anima mortale-
Fisso confusa Albus, che ha le palpebre abbassate. -Finita?- mi domanda.
Annuisco e poi gli rispondo in modo affermativo. C'è una sola domanda che mi gira per la testa, in questo momento: -Perché?-
Non mi rendo conto di averla pronunciata in un sussurro, appena udibile
per il mio amico che mi sta al fianco. La sua stretta si fa più
decisa, ma senza violenza. Nessuno dei ragazzi che conosco sarebbe
in grado di farlo.
-E' una domanda difficile a cui dare una risposta, Quinn-
Senza volerlo mi avvicino e abbandono la mia testa sulla sua spalla e
lui inizia a carezzarmi i capelli. E' un gesto spontaneo ma intimo.
-Se mi permetti di fare la parte della bionda senza cervello ti dico che non ci ho capito niente-
Non so perché sto sussurrando. Forse perché, se alzassi la voce, la cosa prenderebbe una piega fin troppo reale.
-Le profezie predicono il futuro del diretto interessato in modo molto
criptico. Purtroppo qui non siamo in una fiaba, dove le cose si
risolvono con il felici e contenti-
Sospiro e ricordo una frase: -Se non è felice, non è la fine-
-Già- dice soltanto Albie, senza smettere di passare la mano sui
capelli. -Ti andrebbe di leggerla un'altra volta? Ho bisogno di
sentirla per comprenderla meglio-
-Anche io ne ho bisogno- dico, alzando la testa con un immenso sforzo e
ricominciando la lettura, che adesso sembra più chiara.
-Simil
regale è il nome della Dama, d'un futuro lontano che avrà
il potere di
ristabilire l'equilibrio e donare al mondo la sua grazia divina- leggo
e cerco di parafrasarlo, come se stessi leggendo un sonetto di
Shakespeare: -Quindi... Simil regale? Che vuol dire?-
-Quinn- mi risponde Albus, lasciandomi la mano per afferrare un foglio e una biro.
-D'accordo, capo- dico, riprendendo il mio solito sorriso che si era
semplicemente smarrito per strada. -Avrà il potere di
ristabilire l'equilibrio?-
Vedo il mio amico scuotere lentamente la testa: -Nessuna idea-
Alzo le spalle e continuo.
Ore 16.20
Biblioteca di Albertville.
Sono passati quaranta minuti da quando ho letto la profezia e ogni
volta mi sembra di giungere ad una soluzione diversa. Per ora, io e
Albus abbiamo capito che parla di me, di un potere strano che non so di
avere, dei miei capelli che diventeranno argentei e degli occhi che
diventeranno blu. Il resto rimane in una fitta nebbia grigia, di quelle
settembrine che fatichi a scollarti di dosso la mattina.
-Penso che questo sia peggio che leggere un sonetto di Shakespeare- afferma Albus, scuotendo lentamente il capo.
-In confronto l'Amleto è un'opera gioiosa- dico io, sorridendogli.
Ho ricopiato a mano la Profezia e abbiamo rimesso a posto i tomi, perché la gente non si insospettisse.
Dopo il nostro contatto fisico post-lettura, siamo tornati imbarazzati
e impacciati come lo siamo stati dopo quell'errore madornale.
Qualcosa mi dice che quella cosa che ho appena letto mi cambierà
la vita per sempre, e non so dire se in positivo o in negativo.
Albus si riprende dalla sua spossatezza e mi guarda: -I tuoi compiti!- esclama sorpreso, come se avesse temporaneamente scordato che io sono una liceale diciottenne con dei doveri.
-Domani, ringraziando Dio c'è sciopero- gli dico tranquilla. Poi
alzo le spalle: -Magari la tipa che ha fatto questa profezia era un po'
fuori di testa. Sai, tipo Sibilla Cooman...-
Albus sorride e mi sciolgo come la neve al sole e sì, so di
essere estremamente banale ma il mio cervello va in tilt quando mi dona
un sorriso. Perché è di questo che si tratta. I sorrisi
del bibliotecario sono regali rari.
-Certo, e io sono capace di tradurre Mein Kampf in cinque lingue
diverse- mi fa eco, tanto per ridere. Ed è così che
finisce: con la sottoscritta che scoppia in una sonora risata.
-Mi annoio- dico poi, appena terminato il mio momento di ilarità.
Albie mi rivolge uno sguardo offeso: -Scusami se ti ho sottoposto a
tutto questo stress da profezia, ma sai, c'è in gioco il tuo
futuro. Mi duole che tu non te ne preoccupi!-
-Smettila di fare il saccente per una volta. Io sono una ragazza. E le
ragazze escono a fare shopping natalizio con le amiche, non stanno
chiuse in biblioteca con un ragazzo misantropo a chiaccherare riguardo
delle profezie fatte da streghe sconosciute. Voglio conoscere la tipa
che ha fatto la mia. S'è sbagliata, di sicuro- scollo dal palato con astio.
Non sono convinta di quello che sto dicendo. Lo spero soltanto.
-E' morta. In un anno che iniziava con il 13, quindi fa' un po' tu!-
-Dio, ma non aveva di meglio da fare che mettersi a profetare sulla
sottoscritta? E poi, scusa, come fa il tuo tomo a sapere come mi sarei
chiamata? Farrell non è il mio cognome-
-Lo sa. Punto. E' come il libro magico di Hogwarts...- inizia lui, ma
io sono veloce e lo blocco: -Che ad ogni nascita di un bambino magico
segna il suo nome nel registro degli allievi ai quali verrà
inviata la lettera. Sì, lo so. Grazie. Certo che...- questa
gliela devo proprio dire: -Di cose su quella saga ne sai tante!-
Albie mi fissa con le sopracciglia alzate e mi dice: -C'è un
motivo valido per cui mia madre mi ha appioppato questo nome orribile!-
esclama, shockato.
-Dai, a me il tuo nome piace- affermo dopo tanto tempo che me lo sono tenuto dentro.
-E' perché non hai mai visto una mia presentazione tipo!-
E così dicendo Al si alza dalla sedia, tende la mano all'aria e
finge di essere sé stesso, poi con un balzo passa dall'altra
parte per fare il suo intelocutore.
Rido di nuovo nel vederlo così umano.
Ore 21.30
Camera di Quinn Farrell.
Sono seduta sul mio letto e sto torturando
il foglio che riporta la profezia. Cerco disperatamente di venirne a
capo, visto che dopo aver lasciato la biblioteca ho promesso a me
stessa che non avrei riposato fino a quando non avessi trovato
qualcosa.
Bussano alla porta e Teddy entra, senza aspettare il mio avanti.
-Che c'è?- gli domando, dimenticando di nascondere il foglio da qualche parte. Sono preoccupata.
-Beh, sai, sono le nove e mezza e tu non sei ancora scesa a lamentarti
di Jamie che fa casino o di Jack chi ti disturba con la sua boxe-
afferma, alzando le spalle, come a scusarsi. Io gli sorrido: -Ho
qualcosa che mi ronza per la testa e non riesco a risolverlo-
Del resto, che male potrebbe fargli leggerla solo una volta? E' poco
più di un bambino e potrei dirgli che è un indovinello
che ho trovato in rete e che mi sono ripromessa di risolvere.
-Cosa?- mi chiede infatti curioso, una caratteristica che ha preso sicuramente da me.
-Ho trovato questo enigma su internet, e hanno lanciato una sfida a chi
lo avrebbe capito e risolto...- dico io, fingendo innocenza.
-Posso leggerlo?- domanda speranzoso, sedendosi accanto a me.
Annuisco e gli faccio leggere la profezia.
I suoi occhi azzurri si muovono rapidamente da una riga, per poi saltare all'altra.
Sta in silenzio per un paio di minuti e poi lo vedo mordicchiarsi
l'angolo delle labbra; è così maledettamente tenero
mentre lo fa. Ho voglia, come sempre, di abbracciarlo e coccolarlo come
farei con un pupazzo.
Leva lo sguardo e lo posa nei miei occhi: -E' abbastanza complesso, ma
non impossibile. Ade è il re dei Morti, mi pare. Sbaglio?-
Scuoto la testa e mi rendo immediatamente conto che io e Albie non
abbiamo letto con abbastanza attenzione la profezia, troppo occupati a
controllare che non ci fosse la parola morte.
Teddy riprende: -La parte dei fratelli non mi è molto chiara. Ma
se si parla di mezzosangue potrebbe voler anche dire "fratellastro",
cioè, fratello per metà, no?-
Non sa che mi sta aprendo la mente e che vorrei tanto dirgli che tutto quello che mi sta dicendo mi aiuterà per capire quello che mi capiterà, ma non posso.
Nella mia testa penso che di fratellastri ne ho abbastanza, ma forse la profezia si rivolge a lui.
-E per il fratello di scelta non ne ho la più pallida idea. Potrebbe trattarsi di un amico molto intimo-
-Jack- mi sfugge dalle labbra, prima che io possa fermarmi.
Teddy mi rivolge uno sguardo confuso: -Che cosa c'entra Jack adesso? Ha fatto qualcosa?- mi chiede ingenuamente.
Scuoto la testa; ormai mi sono esposta troppo con lui. Tanto vale
raccontargli la verità, almeno sulla profezia, per quanto
potrebbe sembrargli strana.
-Dopo ti dico tutto, Teddy. Ora continua, per favore- gli dico, quasi implorante.
-Il resto comunque mi sembra molto strano e confuso. Parla di un amore
e del sole e della luna, per il resto non lo so, veramente. Ora dimmi-
afferma, piantando i suoi occhi nei miei.
Ecco fatto, ho detto tutto. Gli ho raccontato della profezia che ho
trovato in biblioteca e che Albus mi ha dato una mano a decifrare e
della strega che l'ha fatta, morta nel 1396, abbiamo poi scoperto io e
Albus, in un misterioso incendio nella sua casa, dove sospettiamo
facesse pozioni strane e anche pericolose.
Ted mi guarda spiritato: -Dimmi che non stai scherzando!- esclama.
-Ti sembro il tipo che si inventa una profezia che mi riguarda, Ted?- gli domando, con le sopracciglia alzate.
Lui scuote la testa e mi fissa furbetto.
E giuro che in quel momento mi sono resa conto che quello sarebbe stato solo l'inizio della fine.
Note:
[1]: Riadattamento della frase di Fred e George in "Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban.
Angolino della scrittrice:
Muahahaha.
Non avrete veramente pensato che il titolo fosse messo lì a muzzo vero?
No, perché voi siete molto intelligenti.
Comunque, tanto per la cronaca.
Rileggendo il capitolo mi sono resa conto di non aver inserito la presentazione di Albie.
Quindi ve la metto qui, nel mio angolino.
Immaginatevi questo ragazzo che si presenta e vi dice: "Sono Albus"
"Albus? Come Albus Silente? Quello di Harry Potter?"
"Sì, ma... io n..."
"Ommioddio che nome fighissimo che hai! asdfghjkl!"
Una roba del genere, insomma.
Kisses!
E alla prossima!
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Capitolo 10 *** X ***
Prophecy3
So they say you'd best to go your separate ways,
[...]
sound like broken records playing over.
(Eminem ft. Rihanna, Love the way you lie [Part 1])
21 dicembre,
Campo sportivo di Albertville,
ore 11.00
Questo inverno è decisamente il più gelido tra tutti
quelli che ho vissuto, può anche darsi che sia io ad essere
fredda dentro. Sono settimane che vado, senza alcun successo, in
biblioteca e appena ha un momento libero, viene anche Teddy. Mia madre
pensa che io lo stia fuorviando, ma fino a poco tempo fa mi pregava
perché lo convincessi ad uscire di casa.
La storia della profezia aleggia nella mia mente e non se ne va mai. Ho
imparato a rinchiuderla in un cantuccio e a lasciarla lì a
marcire, quando ho cose più importanti da fare; le feste
cristiane della divinazione si stanno lentamente ed inesorabilmente
avvicinando. Nove fanciulle mi faranno visita e mi renderanno
più chiaro il mio destino. C'è una parte di me che non
vede l'ora di sapere di che diavolo parla la profezia, l'altra parte
vorrebbe poter tornare al giorno prima del Creep, quando ancora non era
successo niente.
Vedo la mia vita scorrermi davanti agli occhi e mi sento uno spettatore impotente.
Una folata di vento spazza via i miei tristi pensieri e sono costretta
ad avvolgermi nella sciarpa per evitare un mal di gola. In attesa delle
mie compagne di squadra, alle quali ho promesso un allenamento extra
prima della partita di domani, l'ultima prima delle vacanze di Natale,
vedo una figura che taglia la foschia causata dal campo di Football.
Si avvicina a me, ma non riesco a riconoscerla. Si mette a correre e in pochi secondi mi è di fronte: Will.
Per l'ennesima volta William Hummell viene di fronte a me e mi chiede
scusa in mille modi diversi. Non l'ho più visto provarci con una
ragazza da dopo la gara di nuoto; non che io abbia avuto chissà
quanti ragazzi, nel frangente.
Ho perso la mia routine quotidiana in pochi giorni: prima vengo a
sapere che Albie è un lupo mannaro, e poi che il mio ragazzo mi
ha tradita.
-Ehi, Quinn- dice, fingendo di essersi trovato lì per caso.
Le nuvolette di condensa che escono dalla sua bocca vengono portate via
da una seconda ondata di vento gelido. Mi rintano ancora di più
nel mio cappotto e maledico l'uniforme delle Cheerleader: le mie gambe
sono totalmente scoperte.
-Will- dico io sprezzante.
Lo sogno, ogni tanto, ad occhi aperti, quando non penso alla profezia.
E mi chiedo come avrebbe reagito lui se glielo avessi detto.
Probabilmente mi avrebbe riso in faccia, pensando che fossi
completamente fatta.
-C-come va?- mi chiede, prima di infilarsia la sciarpa in bocca, per non ghiacciare.
Mi fissa le gambe e non riesco a capire se è perché sono
un bel vedere o perché sta considerando che io stia per morire
per ipotermia.
-Bene- riesco a scollare dal palato. Il fatto che io lo sogni non
implica che io sia ancora innamorata di lui. Mi ha tradita; non
è una cosa per la quale si può chiedere semplicemente scusa.
L'educazione viene comunque prima di tutto: -E a te?- sospiro infine; voglio farlo sentire come il verme che è.
-Male, ma non importa- mi dice, alzando le spalle. Estrae la mano dal
suo giubbotto: -Non hai freddo?- domanda, indicando le gambe.
-Sto congelando- dico io con un sorriso sincero.
Perché gli sto sorridendo? E' una cosa stupida e totalmente inadeguata.
Mi maledico mentalmente perché ho detto alle ragazze che le avrei aspettate fuori.
Forse lo fanno apposta, mi dico, giusto per farmi prendere un po' di
freddo. Non sarebbe di certo la prima volta che la capo-cheerleader
viene invidiata dalle sue compagne di squadra.
Will mi tende la mano: -Andiamo dentro, dai! Le ragazze capiranno perché sei entrata. Hai le labbra blu-
Non parla veloce, ma è nervoso. Lo conosco fin troppo bene. Se
non facesse così freddo si metterebbe a torcersi le mani in modo
convulso, e un tempo sopra alle sue ci avrei posato le mie, per fargli
capire che era al sicuro. Ma non questa volta, non adesso, nel
presente.
Non afferro la sua mano ma mi metto a camminare verso la palestra e
sento le sue scarpe calpestare la brina, producendo quel tipico rumore
che puoi ricondurre solo all'inverno.
-Sai, avremmo fatto un anno insieme, domani- mi dice, mettendosi al mio fianco.
-Già- borbotto io, sentendomi completamente inadeguata.
Fortunatamente poi Will se ne sta in religioso silenzio ed entro nella
palestra, fiondandomi sul termosifone; lui mi raggiunge a passi lenti e
mi è di fronte, a pochi centimetri da me.
So quello che sta per succedere. E non ho la voglia di fermarlo. Forse non ne ho nemmeno le forze.
Quello che mi serve adesso è normalità. Una giornata
comune, senza una spada di Damocle che mi accompagni dalla mattina
quando mi sveglio alla sera quando vado a letto.
Sono tutti pronti a mettermi alla pubblica gogna, ad accusarmi per
qualcosa, ma in questo momento non mi interessa cosa pensano gli altri.
Il viso di Will si avvicina al mio, e io resto ferma. Immobile. A
fissare di nuovo le sue labbra che si schiudono lentamente, pronte per
avvicinarsi alle mie.
Ed è un attimo, nel momento in cui abbasso le palpebre la sua
bocca trova la mia e impetuosa, com'era solita fare, la sua lingua si
fa strada, trovando la mia. Non so cosa mi prende, ma ricambio quel
bacio così sbagliato e così ordinario.
Nessuno viene a salvarmi da quella situazione scomoda, dalla quale
vorrei tanto uscire da quando le mani di Will hanno trovato la strada
per le mie cosce. Non posso lasciarglielo fare perché è
sbagliato.
Appoggio le mie mani sul suo petto e lentamente mi stacco da lui, che
invece mi guarda come se avesse trovato un tesoro che da tempo aveva
perduto. Le sue mani lentamente si ritirano, dopo che ha capito che
questa cosa non si può fare.
-Non tornerai mai, vero?- mi domanda, con la fronte appoggiata alla mia, dopo un silenzio che sembra durare millenni.
-Mi dispiace, ma io... i-io non posso proprio- riesco infine a sussurrare.
-E' per quel tipo, vero?- chiede, allontanandosi bruscamente. Ora il suo sguardo è furente, come quella sera al Creep.
Sono confusa e non capisco di quale tipo parli: -Ma di...?-
Will mi urla il suo nome in faccia: -ALBUS! Quel figlio di puttana
della biblioteca, vero? Ripieghi sugli asociali, adesso? Quando sono
andato a letto con Frankie era solo perché io sapevo che tu e
lui vi divertivate alle mie spalle!-
Continua a gridare, e l'eco della sua voce si fa strada tra le numerose stanze della palestra.
-Albus è solo un amico!- gli dico io, senza nemmeno sapere
perché mi stia prendendo la briga di dirglielo. Può
benissimo pensare quello che vuole, William, non è più il
mio ragazzo.
E me ne rendo conto: lo metto in chiaro perché io non voglio che Albie ci finisca in mezzo.
-Sì, come no. Siamo solo amici è la solita scusa che tirate fuori voi ragazze quando vi portate a letto qualcuno-
Mi sento offesa e trattata come una qualunque. Non mi faccio problemi a dirlo a Will.
-Io non sono una di quelle ragazze, William. Se lo fossi stata tu non
ti saresti messo con me. Io, al contrario di tutte quelle che sono
chiuse qui dentro sono sincera- sibilo con rancore.
L'odio si fa strada verso il mio cuore e lo avvolge come un serpente
mortale avvolgerebbe la sua preda. Ma non posso lasciarmi accecare da
un sentimento che non fa parte del mio essere. Per questo motivo lo
scaccio via come si farebbe con qualcosa di indesiderato.
L'ultima cosa che vedo è Will che alza la mano. Chiudo gli occhi
per la paura. Il cuore a mille, il cervello in tilt, non so cosa fare.
Nessuno si è mai azzardato a mettermi le mani addosso, a nessuno
ho mai dato motivo per picchiarmi. Io sono una brava persona.
Sarò sì stronza, ma lo vedono e lo sanno tutti che
è solo una facciata.
L'ulitmo cosa che sento è il dolore che mi provoca il suo
schiaffo sulla guancia. So solo che cado sul pavimento freddo della
palestra e sbatto la testa.
Pronto soccorso dell'ospedale di Albertville,
ore 13.00
Sento delle voci, che parlano in modo concitato. Mi sembra di
conoscerle, ma non riesco ad associarle a nessun volto. Apro gli occhi
e una grande luce mi investe. Li richiudo per riaprirli più
lentamente. Sento qualcosa: la mia testa che pulsa come se fosse stata
maledetta.
-Quinn!- sento esclamare, in un attimo, prima che io mi sia abituata al
bagliore della stanza dell'ospedale, che riconosco per via dell'odore
di candeggina e di antibiotici che aleggia nell'aria, qualcuno mi
prende la mano e me la stringe.
Rispondo a quella stretta forte e sicura, prima di voltarmi e vedere
mio fratello Jack con la testa leggermente piegata che mi sorride
teneramente.
-Ciao, Jack- dico, come se lo avessi appena incontrato nel corridoio della scuola, dopo una lezione faticosa.
-Perché sono all'ospedale?- domando, prima di vedere un camice bianco apparire dietro alla maglietta di mio fratello.
Jack ha i bicipiti in tensione, e mi stringe forte la mano e mi sta
facendo anche un po' male, ma non mi sembra bello farglielo notare.
-Sono il dottor Hyden, signorina Farrell- dice una voce che non riconsco.
Alzo lo sguardo e incontro due occhi verdi, incorniciati in un viso
emaciato e molto pallido: mi fa sorridere per quanto assomigli ad uno
dei vampiri descritti nei tanti romanzi che ho letto.
-Salve, dottor Hyden- affermo, tirandomi a sedere e ignorando la fitta alla testa che ne consegue.
Fare la damigella in pericolo mi fa schifo. Soprattutto davanti ad una
persona che non conosco. Tendo la mano destra, fortunatamente libera,
al dottore che accetta di buon grado.
-Mi può spiegare perché non sono in una polverosa aula del liceo a seguire la mia lezione?- domando dolcemente.
-Linny, non ti ricordi nulla?- mi chiede Jack, allarmato.
Il dottore posa una mano sulla spalla di mio fratello: -Si calmi. E'
normale che i pazienti dimentichino i momenti accaduti prima dello
svenimento-
Non so cosa mi è successo di preciso, ma so che non sono svenuta come una semplice ragazzina.
-Non sono svenuta. So che sono finita per terra, ma non ricordo come mai sono caduta-
-A causa di chi...- inizia Jack e vedo la presa del medico farsi
più forte sulla sua spalla. Non riesco a capire cosa sia
successo, così decido di ripercorrere gli ultimi avvenimenti ad
alta voce ai miei astanti: -Tranquillo, Jack- dico come premessa,
rispondendo alla sua ferrea stretta da fratello iperprotettivo quale
è.
-Ricordo che stavo aspettando le ragazze fuori dalla palestra, e che avevo freddo. Ah, poi...-
Ora ricordo. William. E' stato lui a mandarmi all'ospedale. Gli occhi
mi riempiono di lacrime che vorrei tanto poter ricacciare indietro, ma
il mio cervello non vuole sentire ragioni: insiste affinché io
pianga, e così mi piego al suo volere.
Mi volto verso Jack, verso il mio fratello protettivo che scalerebbe
l'Everest a mani nude per me: -E' stato Will, non è vero?- gli
domando.
E a quel punto lui si alza di fretta, sfuggendo alla presa del dottore
e facendo stridere la sedia sulle piastrelle bianche dell'ospedale.
-Quel bastardo!- sibila a denti stretti.
Il dottor Hyden prende in mano la situazione: -Signor Farrell, si sieda
o sarò costretto a farla scortare fuori- dice con calma a Jack,
che, obbediente come un cane che sa di non avere speranze, si siede sul
bordo del mio letto.
-Signorina Farrell. Qui fuori ci sono due agenti della polizia,
è stata malmenata da William Hummell. Sono qui per farle
sporgere denuncia-
Scuoto la testa: -Non voglio sporgere denuncia. Non... è... E' stata colpa mia- dico infine.
Mento, e so di farlo. Jack lo capisce, lui mi capisce al volo. Sempre.
-Linny, ascolta, io so che tu vuoi ancora bene a Will, ma lo hanno
visto i ragazzi del nuoto che stavano uscendo dallo spogliatoio in quel
momento che ti ha tirato uno schiaffo...- la sua voce inizia a tremare.
-E chissà cosa altro avrebbe potuto fare, se gli atleti non
fossero intervenuti!- esclama poi, guardandomi con un moto di amore
fraterno.
Vorrei abbracciarlo, ma mi fa male dappertutto, in effetti.
-Almeno risponda a qualche domanda, signorina Farrell. Lei non ha nessuna colpa- insiste il dottore.
Del resto è stata colpa di Will, è vero, ma cosa
accadrebbe se gli vietassero di portare a termine l'anno? Verrebbe
bocciato e non ammesso all'università.
Non voglio avere questo peso sulla coscienza. Con nessuno, men che meno con Will.
-Non voglio che finisca nei guai- confesso io, abbassando lo sguardo e
posandolo sulle lenzuola; vedo un filo spuntare e lo torturo con le
dita.
-Capisco quello che vuole dire- afferma il medico, che sembra veramente
convinto di quello che dice: -Vedo ogni giorno donne che vengono
maltrattate dai loro mariti che tornano a casa ubriachi, e si inventano
la solita scusa che sono cadute dalle scale o che hanno sbattuto la
testa, oppure che è stata colpa loro se il coniuge le ha
picchiate fino a farle svenire- il suo sproloquio non è finito,
e io già mi immagino tra dieci anni, senza la possibilità
di sognare, chiusa in una casa dove aspettare mio marito diventa un
incubo. Non voglio finire così. Non è per niente giusto,
nessuna si merita una fine del genere.
-Il signor Hummell le ha causato una lieve commozione celebrale,
signorina. E se i suoi compagni non l'avessero fermato a quest'ora lei
potrebbe anche non essere qui a parlare con noi, ma con una o due
costole rotte. Mi creda quando le dico che deve fidarsi degli agenti.
Non vuole sporgere denuncia? Bene. Ma il signor Hummell deve stare a
debita distanza da lei, d'ora in poi-
Capisco che il suo discorso è concluso e l'unica cosa che mi
viene in mente non sono i ringraziamenti, ma una scusa per non parlare
con gli agenti: -Frequentiamo la stessa scuola e le nostre lezioni
molte volte coincidono...- inizio, ma Jack mi ferma.
-Il preside Murray ha confermato che Will cambierà il suo orario
in modo che non coinciderà mai con il tuo, Linny- mi dice
rassicurante.
-Jack...- mi lamento io, al contrario. Non voglio che l'esistenza di
Will sia rovinata da uno stupido attacco d'ira, perché lui non
è così. E' dolce e riservato e mi stupisce che Jack non
sita prendendo le sue difese.
-Parlerai con gli agenti, che ti piaccia o meno- afferma, tacitando ogni mia obiezione.
Due agenti giovani, nelle loro divise marroni beige si presentano:
-Agente Loren- dice quello che somiglia vagamente ad un attore del
cinema, del quale mi sfugge il nome.
-E agente Pollock- conclude l'altro, molto più minuto ma estremamente carino.
Certo che se riesco a pensare che un agente di polizia sia carino, allora non devo essere conciata troppo male.
Li guardo meglio: entrambi devono avere più o meno l'età di Albus, quindi non sono eccessivamente vecchi.
-Allora, signorina Farrell, ci esponga un po' i fatti- dice Loren.
Mi viene da ridere per come utilizza la nostra lingua, ma non mi sembra cortese ridere di una persona per i termini che sfrutta.
-Stavo aspettando le mie compagne fuori dalla palestra e avevo freddo- dico io, decisa. Non ho comunque fatto niente di male.
-E Will- mi correggo immediatamente: -Il signor Hummell, mi ha
raggiunta e mi ha chiesto di andare in palestra perché stavo
congelando. Ho accettato, anche se sapevo che a lui il fatto che ci
fossimo lasciati non era ancora andato giù. Ci siamo baciati e
quando io l'ho respinto lui è scattato come una molla
accusandomi di andare a letto con...- Albie -Chiunque.
Dopodiché io mi sono verbalmente difesa e tutto quello che mi
ricordo era lui che alzava la mano contro di me. Ho sentito lo
schiaffo, il fatto che sia finita a terra e direi anche di aver
sbattuto la testa. E adesso sono qui-
Terminato il mio racconto, l'agente Pollock mi fa delle domande di
routine, alle quali rispondo dando il via ad un botta e risposta simile
a quello intrapreso con Albie dopo che avevo scoperto la sua natura.
-Il signor Hummell l'ha mai picchiata o molestata in qualche modo?-
-No- rispondo atona.
-Le ha mai dato motivo di credere che sia un tipo violento o propenso a scatti d'ira?-
-No- affermo di nuovo.
-Perché vi siete lasciati?- chiede l'agente Loren.
Vorrei dirgli di farsi gli affaracci suoi, ma poi mi rendo conto che
è solo perché sono sul lettino del pronto soccorso:
-Perché mi ha tradita- dico io, alzando lievemente le
sopracciglia.
La faccia dell'agente Pollock svela tutti i suoi pensieri, che si aggirano verso il: -Come ha potuto tradire una così?-
Non me ne preoccupo. Ho altro per la testa: -Cosa succederà a Will?-
L'agente Loren mi fissa e poi distoglie lo sguardo; non mi dà
nemmeno il tempo di vedere di che colore sono i suoi occhi: -Abbiamo
sentito che lei non vuole sporgere denuncia. Verrà emesso un
mandato di restrizione nei suoi confronti; non troppo ampio,
considerato il perimetro della scuola. Forse... cento metri potrebbero
bastare- afferma, quasi sovrappensiero.
Senza ulteriori indugi, gli agenti si congedano e lasciano rientrare Jack.
Mio fratello si precipita sul bordo del mio letto e mi fissa, un po'
spaesato. Penso che con quell'aria spiritata somigli molto a Teddy
quando sente raccontare qualcosa di fantastico.
E' lui il primo a rompere il silenzio: -Avresti dovuto sporgere denuncia contro Will, Linny-
Mi ritrovo a scuotere la testa: -Veramente, Jack... Mi sembra di non
riconoscerlo più. Ed è successo tutto la sera della
festa... E' tutto così...-, mio fratello mi viene in aiuto:
-Maledettamente strano?-.
Annuisco, con vigore e poi lo fisso: -Dammi uno specchio- dico
risoluta: voglio vedere come mi ha conciata. Senza indugi,
perché sa che posso essere veramente cocciuta quando mi ci
metto, Jack prende lo specchietto che mi porto sempre dietro anche
quando vado a scuola e me lo porge.
Ho paura di vedere il mio volto riflesso, ma devo farlo: è una questione di principio.
Non è malaccio. Ho solo un livido, che già è
diventato di quell'orribile colore tra il giallo canarino e il viola
melanzana, sotto l'occhio dove mi ha colpito la mano di Will.
-Quelli della squadra di nuoto ti hanno subito medicata, mentre erano
in macchina per portarti all'ospedale. Il dottor Hyden ha detto che
questa sera si gonfierà ma che per domattina sarai come nuova.
Sai, gli ho chiesto di accellerare i tempi di guarigione. Domani del
resto c'è l'ultima partita...-
Annuisco di nuovo, e ripongo lo specchio accanto al letto, sul
mobiletto bianco asettico che fisso scettica per non posare gli occhi
sull'unico essere vivente presente nella stanza.
Il fatto è che adesso ho paura. Tanta paura.
-Linny...- comincia Jack, sfiorando la mia mano. Gli occhi iniziano a
pizzicare e non è mai stato di buon auspicio. Sono una dalla
lacrima facile, io.
-Drew- dico soltanto.
Lui sa dove voglio andare a parare, quindi mi precedere; mi conosce
troppo bene per lasciarmi fare uno dei miei monologhi: -No, ascolta.
Non è colpa tua, okay? Will sta... oddio, sta impazzendo. Fino a
che era incazzato con me per la storia della borsa di studio, potevo
anche passarci sopra; del resto era ancora il tuo ragazzo, e non volevo
che ti facesse del male-
Jack fa una pausa d'effetto che mi angoscia: che lui sappia?
-Però era ancora il tuo ragazzo. E... quando l'ho visto al
Creep, con quello sguardo e tu che uscivi dagli alberi... Non ci ho
visto più. Nonostante il DNA tu sei mia sorella e nessuno
può toccare la mia sorellina e passarla liscia. So che avevi
voluto coprirlo, quella sera, così ho finto di non sapere. E poi
ho scoperto che ti aveva tradita, ma non ci sono rimasto male per
quello. Ti ha fatto venire una crisi di panico, Quinn. E non te ne
venivano da anni! Anni!-
Cerca di ricomporsi e continua: -E' tornato a casa, come
se nulla fosse, dicendo che aveva seguito i miei consigli su come farti
calmare. Ho pensato seriamente di picchiarlo in mezzo al soggiorno, ma
mi sono dovuto trattenere. A forza. E ora questo... Quinn, non puoi
semplicemente fingere che non sia successo. Quando Tyler mi ha chiamato
fuori dall'aula, Kit è passata per andare in bagno e si è
messa a piangere. Ha detto che le ragazze non ti avevano trovato al
campo e prima di congelarsi sono tornate dentro la scuola. Era
disperata e si è incolpata perché non eravate andate
assieme-
-Non voglio che Kit ci stia male... non è colpa sua!- esclamo, prima che Jack mi metta una mano davanti alla bocca.
-Quinn, basta, okay? Non stiamo parlando del resto del mondo. Non sei nella posizione per poter difendere i diritti dell'uomo. Will ha alzato le mani contro di te.
Nemmeno James alza le mani contro le sue sorelle! E sono bambini e fratelli,
vivono nella stessa casa e tutto il resto! Tu non ti rendi conto di
quello che sta succedendo...-
La porta della camera si spalanca. Apro la bocca, stupita: Albus? Cosa
ci fa Albus in ospedale? Come ha saputo che ero qui? Ma soprattutto perché è qui?
Jack si alza dal letto: -Vi lascio soli. Al...- bofonchia, prima di uscire a testa bassa.
Devo aver sbattuto la testa veramente forte, perché mio fratello
non ha fatto nessuna frecciatina e Albus è accanto al mio letto.
Si siede e mi fissa, con uno sguardo colpevole.
-Mi dispiace...- dice, abbassando gli occhi e piantando quelle due pietre di ossidiana sul pavimento.
Il pavimento non merita le tue attenzioni, stupido, vorrei dirgli, ma alla fine, come al solito, mi mordo la lingua.
-Non sei stato tu a picchiarmi, fino a prova contraria-, ma non sono in vena di chiacchere: -Perché sei qui?-
-Le voci girano. Ero a scuola perché dovevo fare delle ricerche
con i volumi del vecchio archivio. Tutti sanno che Quinn Farrell
è stata picchiata dal suo ex. Si vociferava che fossi in coma-
-L'erba cattiva non muore mai- affermo io, alzando le spalle e sistemandomi meglio nel letto.
Albus finalmente rivolge quei due squarci di cielo notturno a me: -Non sei una persona cattiva- dice, sfiorandomi la mano.
Avvampo. Lui avvampa. Ma nonostante questo non rinnega quel contatto.
-Questo è quello che dici tu- sospiro, cercando di calmare il battito del mio cuore.
Per fortuna non sono attacca a quella sottospecie di macchina, altrimenti chissà che figura!
-E' la verità-
-Non fare l'oracolo- scherzo.
Albus. Albie. Al. Il centro dei miei pensieri: volontari o involontari.
Penso alla profezia e penso alla sua mano nella mia, mentre la
leggevamo per la prima volta. Penso a quel giorno in biblioteca quando
siamo arrivati così vicini ad un bacio. Penso anche a quando ho
incontrato il lupo.
Alza le spalle e mi fissa, di nuovo: -Ho... ho scoperto qualcosa. Negli archivi- mi dice, tutto d'un fiato, forse per paura che io possa sentirlo.
-Cosa?- chiedo invece semplicemente, afferrando un lembro del lenzuolo e girandomelo tra le dita.
-Le... le nove fanciulle- sussurra, forse per paura che i muri potrebbero sentirci.
Albie apre la bocca per dire qualcosa, ma la porta si spalanca ed entra Will.
-Non dovresti essere qui- gli dico sprezzante. Albie si alza e si
dirige verso la porta, evitando di guaradre sia me, che Will. Chiude la
porta alle sue spalle prima che io possa dire, o anche solo pensare,
qualsiasi cosa.
Ed eccolo qui: William Hummell.
-Quinn, i-io... m-mi...- inizia, come al solito.
-Se stai per chiedermi scusa, devi sapere che mi alzerò da
questo letto e ti manderò a quel paese con un calcio nel culo,
William- dico io con la voce piena di astio.
Mi fissa, spaesato e impaurito: non è da me usare parolacce.
-Ma, Quinn, io veramente... non so cosa mi sia preso!- esclama
infine, pensando che dopo questo bel teatrino di scuse, cambierò
idea.
Si sbaglia. E anche di grosso.
-Solo perché tu non sai cosa ti è preso, questo non
implica che automaticamente io potrò mai perdonarti per avermi
schiaffeggiata. Le adolescenti non dovrebbero stare in ospedale
perché il loro ex ragazzo le ha picchiate. Non segue l'ordine
naturale delle cose-
Non ho la forza, e nemmeno la voglia di urlare. Mi chiedo dove sia
Jack, perché in questo momento dovrebbe essere qui in camera con
me, a tenere lontano Will.
-Dov'è Jack?- chiedo, per paura che gli sia capitato qualcosa.
Prima della festa avrei difeso Will se fosse stato accusato di aver menato le mani contro qualcuno, ma adesso non più.
Ha picchiato me. La ragazza che dice di amare.
-Ho aspettato che andasse a prendere qualcosa da bere. Non gli ho fatto nulla, giuro-
-Esci. Vattene, o giuro su Dio che mi metto ad urlare- sibilo, mentre lui arretra di un passo.
Mi guarda e apre la bocca: -Inutile dire che mi dispiace, eh?-
Poso lo sguardo sul lenzuolo bianco e mi rendo conto che è più color avorio, che bianco.
L'unica cosa che sento, è la porta che si chiude.
Appoggio la testa sul cucino: non voglio pensare. Non più.
Buffo: sono in ospedale e le uniche persone che sono venute a trovarmi
sono Albie, il mio Albie; Jack, il mio fratellino e Will, il ragazzo
che qui dentro mi ci ha fatto finire.
Ore 22.15
Ufficio accettazione dell'ospedale di Albertville.
-Allora, signori Farrell, dovete firmare questi moduli di dimissione e
sarete liberi di tornare a casa- sento dire da una voce vellutata
dall'altra parte di un vetro.
Mia madre annuisce e poi si volta a guardarmi, prima di mettersi a firmare.
Sono seduta su una di quelle sedie scomode, fatte di legno che sa di
marcio, con Teddy che mi stringe la mano e la testa abbandonata sulla
spalla di Jack, che mi accarezza i capelli amabilmente.
-Ti fa male?- mi chiede James impavido, con le sorelline al fianco.
Noto che si tengono per mano; cosa più unica che rara.
Scuoto la testa: -Il dottore è stato bravo- dico. Certo, sono
ancora piena di morfina, o forse sono solo antidolorifici, ma non
importa. Il mio unico pensieri è tornare a casa.
Durante il pomeriggio è venuta a trovarmi Kit, in lacrime,
pensando che fosse stata sua la colpa. Mi ha fatto leggere il blog
della scuola, visto che il mio telefono era stato requisito da Jack per
evitare l'inevitabile.
Ricordo ogni singola parola di quel post, pubblicato per schernire e umiliare sia me, che Will.
-Quinn, Quinn, Quinn. Che
cosa è successo alla reginetta della scuola? Lo sapete tutti, lo
so. Le voci girano e girano e girano, e vengono anche ingigantite e
questo ve lo posso assicurare. Quinn Evelyn Farrell non è in
coma. E' soltanto finita all'ospedale a causa del suo (ormai ex)
ragazzo, Hummell William. Come siano arrivati alle mani gli ex
piccioncini preferiti dell'Albertville HS? Non lo so. Fonti (poco)
certe, giurano di averli sentiti urlare qualcosa riguardo al fatto che
la dolce Quinn si stia portando a letto un bibliotecario noioso e
veramente poco socievole che potete ammirare dalla vetrina della
biblioteca di Albertville. Lei ha negato e a lui la cosa non è
andata giù. Motivo semplice.
Già, molto semplice.
E allora perché Mister Hummell si è sentito in dovere di
picchiare la povera e indifesa Cenerella della scuola? Del resto ora la
reginetta è libera di capitolare tra le lenzuola di chiunque,
visto che il piccolo Lord si è dato da fare con l'italiana sui
sedili posteriori della sua macchina. Che Frankie si fosse già
prefissata una tabella di marcia per poter scavalcare Quinn e prendere
il potere nel liceo? Se così è, allora i miei
complimenti, gattina focosa. Vedramo quando, dopo le vacanze di Natale,
Quinn si scontrerà con la dura realtà della perfidia
confinata in un corpo da ragazza d'oltreoceano!
Baci e abbracci,
lettori miei!-
-Quinn, stai bene?- domanda mia madre, guardandomi negli occhi.
Annuisco e mi alzo, reprimendo il conato di vomito che mi sale su per
la gola.
-Andiamo?- le chiedo io, prima di sentire la mano di Teddy che si
intreccia nella mia. Inutile dire che oggi, dopo la scuola ha insistito
per farsi accompagnare all'ospedale, per vedere come stava la sua
sorellona sulla quale una strega strana, e forse un po' tocca, ha fatto
una profezia.
Non mi ha lasciato un attimo e ha insistito per poter mangiare nella
mia stessa stanza ed è ovvio che le infermiere lo hanno accolto
a braccia aperte, come se fosse il figliol prodigo, tornato dopo un
anno di sventure.
In macchina mi ritrovo seduta nelle retrovie, accanto alle gemelle che
mi fissano come se fossi un mostro venuto fuori dal laghetto dove
andiamo ogni tanto la domenica.
-Ma chi è che ti ha fatto quel livido, Quinn?- mi domanda Rose,
cercando, senza troppa convinzione di non toccarmi la guancia.
Jack si volta e la fulmina con lo sguardo. Io gli intimo di girarsi:
-Tranquillo, Jack. E' stato Will, Rosie- le dico, carezzandole i
capelli. Lei mi fissa, spiritata e confusa, con quell'espressione
innocente che solo i bambini possono avere.
-Perché Will ti ha fatto un livido? Siete caduti?- ci interrompe invece Lily.
Prima che io possa anche solo trovare una scusa con cui difendere Will,
mia madre si volta: -Lily, Rose, adesso basta. Fate silenzio. Quinn ha
bisogno di riposare-
Incrocio le braccia e mi metto a guardare distrattamente fuori dal finestrino.
Angolino della scrittrice:
Hello, my dears!
Buhuhuhuuu. Mi sono crogiolata nel dolce far niente per questi giorni di vacanza da scuola.
Domani invece, ci devo andare.
Che cosa figa, eh?
Buhuhu. Me misera, me tapina, come diceva Paperon de' Paperoni; quanto vorrei che il mio liceo fosse quello di Quinn.
So che qualcuna di voi vorrebbe essere ad Albertville per ammirare il Semidio Greco Jack in tutta la sua bellezza.
Sì, conosco i miei polli (???).
Sto tergiversando, vero?
Sì. Molto.
Quindi passo al capitolo.
Non me ne vogliate, per quello che ho scritto: giuro che è per la trama. I swear!
Il
fatto che io abbia scritto/partorito questo capitolo mentre ascoltavo
ininterrottamente "Love the way lie", parti uno e due e "White horse"
della Swift, non hanno aiutato.
Mhhh... Detto questo...
#Love ya, my dears.
Ci si vede domenica prossima.
Oppure nelle recensione!
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Capitolo 11 *** XI ***
Prophecy4
La vita è l'infanzia della nostra immortalità.
(Johann Wolfgang von Goethe)
23 dicembre,
ore 10.50,
camera di Quinn Farrell.
Posso o non posso bearmi della mia libertà di studentessa sotto vacanze natalizie? Posso, lo dico io.
Nessuno dei miei fratelli ha osato alzarsi prima di me (leggi dieci e
quaranta). Per questo motivo scendendo in cucina sono stata abbastanza
scossa nel vedere mia madre con un plico di fogli davanti a lei.
Con un espressione accigliata le rivolgo il buongiorno.
-Ciao, Quinn. Il caffè dovrebbe essere ancora caldo, o almeno tiepido. Se vuoi te lo rifaccio-
-Sta' tranquilla- le dico io, afferrando una tazza e versandoci dentro
la dolce ambrosia degli Dei, inizio a sorseggiarla, evitando
accuratamente di bruciarmi la lingua.
-Siedi, per favore. Dobbiamo discutere e ti prego di non alzare la voce- afferma Robin con tono grave.
Ancora per metà tra le braccia di Morfeo, prendo il posto dirimpettaio a mia madre.
-Dimmi- dico, con la tazza ben salda tra le mani, approfittando del calore con cui il caffè scalda la tazza.
-Non sono d'accordo con la decisione che hai preso riguardo a Will, Quinn- pronuncia seccamente.
La fisso con uno sguardo preoccupato e, mantenendo basso il tono di voce le chiedo: -Cosa significa?-
-Penso che avresti dovuto denunciare quello che è accaduto-
-Mamma... Sai che Will non è mai stata una persona violenta. Lo sai...- le sottolineo.
Lei mi interrompe: -Comunque sei maggiorenne e queste scelte spettano a
te. Ma sappi che né io, né Robert siamo d'accordo-
Strano, è la prima volta che parliamo come due persone adulte e non nei nostri ruoli da madre e da figlia.
-D'accordo, mamma. Hai ragione. Non è stata una decisione
saggia, dal mio punto di vista, ma pensa a quello che avrebbe dovuto
passare Will. Per uno scatto d'ira? Come l'avresti presa se qualcuno mi
avesse accusato di qualcosa mentre soffrivo dei miei attacchi di
panico?-
Non la stavo guardando negli occhi; avevo lo sguardo fisso sul fumo che
scaturiva dal caffè nero come la pece. Inspiro quell'ottimo
profumo che associo all'inverno.
-E' un ragionamento diverso, Quinn. Facevi del male a te stessa- mi
dice lei, allugandosi sul tavolo per posare la sua mano sulle mie,
intrecciate sulla tazza. Alzo lo sguardo e le sorrido: -Ti prego,
possiamo non parlarne più?-
Vedo mia madre annuire e alzarsi: -Devo andare a lezione. Ci vediamo
per pranzo- dice, scoccandomi un bacio sulla tempia, dopo aver fatto il
giro del tavolo.
-Ciao- sospiro, prima di finire il contenuto della mia tazza in un colpo.
Concentrata nei miei pensieri, mentre sento la lingua scottare e
pizzicare, proprio quando te la stai bruciando con qualcosa di troppo
caldo, non ho sentito qualcuno che scendeva le scale.
-Vacci piano o rischi di restare senza lingua. Sia mai, Linny-
Jack.
Mi stacco lentamente dalla mia tazza: -Buongiorno, Drew- gli dico, sorridendo.
-Sai che si sta avvicinando il Natale, vero?- mi domanda vago.
Io ho comprato tutti i regali, in anticipo, ovviamente. Prego
perché Jack non mi chieda di accompagnarlo a prendere altri
regali.
-Quindi?- chiedo io, confusa.
-Beh, è sempre stata una nostra tradizione, sai... Cantare, a
Natale. E... questo sarà l'ultimo che passiamo insieme, sai...-
-Non ti facevo così sentimentale, Drew!- esclamo, alzandomi dalla sedia e abbracciandolo.
-Lo so che era quello che stavi tramando nel profondo-
-No. Avevo paura che mi chiedessi di accompagnarti in giro a prendere i regali dell'ultimo minuto!-
-Per chi mi hai preso? Uno sprovveduto qualunque? Ce li ho anche io altri cinque fratelli, se permetti- mi dice sui capelli.
Ridacchio, sulla stoffa del suo maglione.
-A quando l'onore, maestro?- gli domando, guardando verso di lui, senza
staccarmi, però. Non è di certo raro che ci abbracciamo,
ma lo facciamo sempre quando siamo entrambi giù di morale.
Jack dà uno sguardo all'orologio appeso alla parete: segna le undici e dieci.
-Sarebbe anche ora di svegliare i nostri fratelli- mi dice,
trascinandomi, quasi di peso, nella camera dove mia madre tiene il suo
preziosissimo pianoforte[1], verso il quale ogni tanto guarda con
malinconia, perché dice che le ricorda mio padre.
Jack si siede e io accanto a lui; fa schioccare le dita affusolate e controlla che sia accordato.
-Pronta, miss?- mi domanda, e gli sorrido, prima di annuire.
-Last christmas I give you my heart, but the very next day, you gave it away.
This year to save me from tears I'll give it to someone special.
Last christmas I give you my heart, but the very next day, you gave it away.
This year to save me from tears I'll give it to someone special-
[2]
-Basta! Basta! Abbiamo capito! Ci stiamo alzando!- grida James dal
piano di sopra, e io e Jack siamo costretti ad abbandonare il nostro
passatempo, per preparare la colazione al reggimento di bambini che ci
troviamo come famiglia.
Ore 16.30
Giardino di casa Farrell, sulla via per il bosco.
-Ricordami perché ti sto accompagnando- dice Jack, soffiandosi
sulle mani intirizzite dal freddo pungente dei giorni che precedono il
Natale.
-Perché non vuoi lasciarmi andare da sola. E non so nemmeno il
perché, in realtà!- sbuffo io, trasformando il mio fiato
in una buffa nuvoletta di condensa vaporosa.
-Io lo so il perché. Non riguarda te. Sai che non riesco a stare
fermo in casa. Così i suoi fratelli se li smazza Teddy-
Fisso Jack tra il divertito e lo sbalordito: -Sei meschino-
-Istinto di sopravvivenza, lo chiamo io- afferma, alzando leggermente le spalle.
Scuoto la testa sorridendo e riprendo a camminare, calpestando la brina
che fa uno schriocchiolio strano, sotto i miei stivaletti. A causa del
troppo freddo non ha ancora nevicato, ma questo è anche peggio;
l'aria è pungente e si insinua nei vestiti, nelle sciarpe di
lana e si incastra tra i capelli.
-Ehi, Linny!- esclama Jack, avvicinandosi di colpo e apparendo al mio fianco.
-Paura?- lo schernisco io.
Lui scuote la testa: -Sai, a casa è un argomento off-limits...-
inizia, estraendo una mano dalla tasca e passandola sulla nuca,
arrossendo un poco.
-Sesso?- chiedo io, tanto per cercare di capire quel suo comportamento strano.
Jack nega con un cenno del capo: -Di quello che è successo con Will...-
-Non voglio parlarne- lo interrompo bruscamente, voltandomi verso il
sentieri ben tracciato da Robert pochi anni prima, per evitare che
James si perdesse nel bosco. Inizio a camminare, e una ventata di aria
gelida mi investe.
Cerco rifugio nel mio cappotto pesante, ma non c'è rimedio per
quel freddo. Penso che prima o poi dovrà finire, e che un colpo
di vento non può durare per sempre.
Jack mi raggiunge, per la seconda volta e questa volta sembra preoccupato: espressione che il suo viso non conosce.
-Linny, dai, torniamo indietro- mi dice, afferrandomi per il braccio.
In quel momento realizzo che sono nel famoso posto giusto nel rinomato momento giusto.
-No- affermo irremovibile, puntando i piedi come avrei fatto a sette
anni e con Jack di fronte a me che cercava di tirarmi le trecce.
-Quinn! Non comportarti come se avessimo ancora cinque anni, per favore. Torniamo indietro. Non senti che vento spira?-
Fa un cenno con la testa verso la casa, e io fingo di non vederlo.
Il vento spira, sempre più violento e sempre più pungente; sembra che mi stia inviando un messaggio.
All'improvviso si trasforma in una folata bianca come la neve, ma senza
consistenza. Jack mi si avvicina e io lo prendo per un braccio, prima
che lui possafare lo stesso con me: non voglio andarmene. Non posso.
In un baleno, un attimo, nel soffio di un respiro ci troviamo
circondati entrambi da nove bellissime fanciulle, che indossano delle
tuniche bianche come il latte nel quale si immergeva la bella
Cleopatra.
Le conto di nuovo: gli occhi non mi ingannano. Sono nove.
Sono le ragazze della profezia, vestite di luce, si direbbe.
Sono venute per me.
-Ave, o Salvatrice- dicono in coro, fissando i loro sguardi penetranti
e senza colore sulla mia figura. Sono immerse nella loro bellezza e
nella luce dalla quale sono spuntate.
Jack ha perso l'uso della parola: è davanti a loro, con gli
occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata in un'espressione per la
quale, se fossimo in una diversa situazione, avrei riso.
-Noi siamo le Nove Muse, figlie di Zeus e della dea Mnemosyine, la dea
della Memoria. Sappiamo che hai letto la Profezia che ti riguardava,
poco tempo addietro. Capirai perché siamo qui- dice una delle
nove.
La fisso: -Certo, lo so perché siete qui. Perdonerete di certo
se, con maleducazione, vi chiedo di rammentarmi i vostri nomi. Vorrei
avere il piacere di sapere con chi sto parlando-
Non so come io possa essere così rispettosa e calma dal momento
che sto parlando con una persona che si presume non dovrebbe esistere.
Il candore che le avvolge si spegne di colpo, e si mostrano come sette
ragazze, mie coetanee, ognuna diversa dall'altra.
-Certo, Quinn. Io sono Clio, la Musa della Storia- mi risponde la
ragazza che mi ha parlato prima. Ha una pergamena in mano, noto.
Ricordo qualcosa riguardo le muse: ognuna porta qualcosa di diverso
nella mano, in base alla loro materia; tranne il Mimo che è
sempre stata raffigurata con il nulla in mano.
-Euterpe, la Musa della Poesia Lirica- afferma la ragazza alla sinistra
di Clio. Stringe un flauto tra le mani e mi concede un breve inchino.
-Talia, la Musa della Commedia- dice una ragazza che, tra tutte sembra
essere la più sobria e giovane: sul capo ha una ghirlanda
d'edera e stringe nella mano destra un bastone, nella sinistra una
mezza maschera, simile a quella del Fantasma dell'Opera[3].
-Melpomene, la Musa della Tragedia- mi rivolge una piccola reverenza;
il contrario di Talia: sembra la più anziana e ha una cintura
nella quale è foderata una spada, in una mano stringe il bastone
di Eracle e nell'altra una maschera complementare a quella di Talia.
-Tersicone, la Musa della Danza- mi sorride la quinta mostrandomi la lira e un plettro.
-Erato, la Musa della Poesia amorosa- dice un'altra, che al contrario della precedente, Tersicone ha soltanto una lira.
-Urania, la Musa dell'Astronomia- afferma la settima, con un bastone che somiglia ad un vecchio cannocchiale tra le mani.
-Calliope, la Musa della Poesia Epica- si presenta la penultima, dalla
voce vellutata, e dal suono delle mille campanelle natalizie. Porta una
tavoletta stretta al petto e ha appuntato sopra l'orecchio uno stilo
lungo e affusolato.
-Polimnia, il Mimo- sussurra l'ultima, come se fosse spaventata dalla sua stessa ombra.
-Incantata- dico infine io, ritenendo inutile presentarmi.
Jack fa sentire la sua presenza schiarendosi la voce: -Io e mia sorella
ce ne stiamo andando. Arrivederci strane ragazze scese dal cielo-
Mi prende per un braccio e mi trascina via, e le Muse glielo lasciano fare.
Pochi minuti dopo,
cucina di Casa Farrell.
-Uno scherzo di cattivissimo gusto, Quinn. Pessimo! Quelle ragazze si
saranno congelate a stare in tunica! Che cazzo avevi in testa?- mi
sbraita contro Jack, mentre io mi guardo attorno. Non capisco come mai
le nove ragazze abbiano permesso a mio fratello di portarmi via.
Qualcuno bussa alla porta; mi alzo e vado ad aprire, braccata da Jack nemmeno fossi la sua preda.
Rimaniamo entrambi a bocca aperta: le Muse, ora indossanti cappotti e sciarpe normali e alla moda, ci sorridono.
Sono inquietanti.
-Lasciateci entrare. Non sapete quanto abbiamo sgobbato per convincere
i vicini ad andersene per il tempo necessario e convincere gli altri
che noi eravamo le loro nove nipoti, venute da lontano- sbotta quella
che riconosco come Clio, perché ha una spilla a forma di
pergamena sul cappotto.[4]
-Cosa?- domanda Jack, lasciandole però entrare.
-Pensavamo che il tuo fratello di scelta avesse già capito
l'antifona!- borbotta Tersicone, che indivuo per via delle scarpette da
ballo come orecchini.[5]
Scuoto la testa.
-Vi fate anche riconoscere, da quanto vedo, Tersicone-
-Devi capire che noi non saliamo sulla Terra ogni due mesi, tesoro. Quindi, cosa non sa Jack?-
-Niente!- dice lui, in preda al panico, fissandosi intorno come un cane smarrito.
-Non gli hai raccontato nulla?- mi domandano le Muse in coro. Io scuoto la testa.
Sarà un pomeriggio molto, molto lungo.
Ore 22.30,
camera di Jack Farrell.
-Jack! Esci da lì!- gli intimo, bussando violentemente alla porta.
Pensavo che l'avrebbe presa peggio, sinceramente. Certo, all'inizio ha
pensato ad uno scherzo ben architettato, ma poi gli hanno fatto leggere
la profezia e lo hanno convinto.
E' da questo pomeriggio che non mi parla.
Le Muse mi hanno detto che saprò il contenuto prosato della
profezia prestandomi al mio destino, cosa che ho intenzione di fare,
anche se ho capito che sarà pericolso.
Jack apre la porta: è scosso, molto scosso.
-Entra- dice soltanto. Non è infuriato, non è deluso; ha un tono monocorde, indifferente.
-Jack, mi... mi dispiace, okay?-
-Da quanto lo sai?- domanda.
Ho capito: adesso lui sta facendo il detective, e a me tocca rispondere alle domande senza fiatare.
-Venti giorni-
-Perché non mi hai detto niente?-
-Perché non avevo capito subito cosa volesse dire fratello di
scelta- rispondo, atona. Se devo fare quella a cui non frega niente, la
faccio bene.
-Quanti lo sanno?-
-Tu, io, Teddy e il bibliotecario, Albus-
-Quello strano?-
-Non è strano- dico, rendendomi immediatamente conto che è una bugia bella e buona.
-Non m'importa di lui. Non è una cosa buona quella che ti vogliono far fare, Quinn!-
-Jack, lo so! Ma cosa posso fare? Dirgli, ehi, no guardate, tornate pure da dove siete venute!-
-Sarà pericoloso!-
-Per questo tu sarai al mio fianco, Jack. Ci sei sempre stato-
-Quella... Profezia non riguarda me, però-
Scuoto leggermente la testa: -No, riguarda me. Ma posso decidere con chi affrontare questo viaggio. Sarai con me?-
-Da sempre e per sempre- afferma lui, stringendomi in un abbraccio fraterno.
Ed è così che ci addormentiamo sul letto: pronti ad intraprendere il mio, il nostro viaggio verso l'ignoto.
Note:
[1]: Il pianoforte di Robin Farrell, firmato Yamaha .
[2]: La canzone, ovviamente Last Christmas (non c'era bisogno di dirlo).
[3]: La maschera del Fantasma dell'Opera.
[4]: Gli orecchini di Tersicone.
[5]:La spilla di Clio.
Angolino della scrittrice:
As usual, here I am!
Eccoci qua. Quindi... siamo entrati nel cuore pulsante del fantasy.
Finalmente le muse!
Mhh... No, le sorprese non sono finite, perché il mio piccolo cervello incasinato è pieno di sosprese.
Un po' come il cilindro del mago alle fiere! (?)
Sto esagerando!
Sì, lo so.
Comunque.
Passando alle cose serie:
Chiedo già ora venia perché ci dovremo aggiornare tra due settimane, al posto che tra una.
Le ragioni sono due:
1. Domenica prossima non sono a casa.
2. Sono indietrissimo con la stesura dei capitoli, e come se non bastasse m'è preso un blocco come mai prima.
Sto cercando di farmelo passare in tutti i modi possibili, ma la scrittura e l'ispirazione vanno e vengono come gli pare.
Quindiii.... non me ne vogliate, perché vi prometto che mi impegnerò al massimo per finire questa storia.
Tutte le informazioni sulle Muse sono state prese dalla pagina di Wikipedia (lodata sia Santa Wiki (?)).
Qui, per maggiore informazioni.
Ecco qua. Tutto qui quello che dovevo dire.
NO! SCHERZAVO!
PS: Io ringrazio davvero con
tutto il cuore le persone che si fanno due palle grandi come la
madonnina del Duomo di Milano per recensire i miei capitoli, o anche
solo per leggerli.
Davvero, non scherzo quando dico che senza di voi la storia starebbe dentro la mia testa.
Grazie, grazie, grazie!
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Capitolo 12 *** XII ***
Prophecy5
Una volta deciso che la cosa può e deve essere fatta,
bisogna solo trovare il modo.
(Abraham Lincoln)
28 dicembre,
ore 11.00,
Biblioteca di Albertville.
Sono seduta su una comoda poltrona accanto al termosifone, con Teddy
sulle ginocchia, che tiene la testa appoggiata alla mia spalla. Jack
continua a camminare nervosamente avanti e indietro, senza sosta. E'
nervoso e lo capisco bene, però deve smetterla di infondere
tutta questa negatività anche a noi.
-Ti prego, Jack, siediti e cerca di stare un po' fermo. Sembri una
tigre in gabbia- sibilo, scostandogli con un piede la poltrona da
lettura dirimpettaia alla mia; Albie è andato a prendere la
cioccolata, mentre noi siamo qui in attesa delle Muse, che ora fingono
di essere le nipoti dei Collins, i nostri vicini di casa.
Mi chiedo come abbiano fatto, ma poi mi rispondo da sola che non voglio veramente saperlo.
La campanella appesa alla porta suona, indicando l'entrata di qualcuno.
Odore di cioccolata e caffè caldi. Albus.
-Scusate se ci ho messo un po'- dice, posando il tutto sul tavolino basso.
-Tra quanto pensi arriveranno?- gli domando, ignorando l'occhiata ammonitrice che mi rifila Jack.
Teddy si stropiccia gli occhi: è stanchissimo, ma non ha voluto lasciarci venire da soli.
Come se le nove ragazze mi avessero letto nel pensiero, la campanella
trilla una seconda volta e le vediamo entrare in tutto il loro
splendore; Albie è la prima volta che le vede, e apre la bocca
assumendo un'espressione da stoccafisso; Jack, invece, anche se è
già la terza volta che le incontra non riesce a non strabuzzare gli
occhi, per capire se siano vere.
-Perdonate il ritardo, ma qualcuno
non ha capito come far funzionare la macchina- dice Tersicone,
estraendo la collana con il plettro[1] dal suo maglione a collo alto. Mi
piace il fatto che cerchino di farsi riconoscere e spero di non
confonderle mai, perché sarebbe imbarazzante.
Clio, con la sua inusuale spilla sbuffa e mi ritrovo a sorridere: di
certo non avrei mai pensato di conoscere le Muse e non avrei mai
immaginato che battibeccassero come delle ragazze normali.
-Basta, adesso. Non siamo qui per giocare!- afferma Melpomene, con una spada che viene avvolta da una serpe come collana[2].
-Hai ragione- dicono le altre due, in coro, prima di trovare un posto dove accomodarsi.
-Quindi...- inizio io, senza sapere dove andare a parare.
-Quindi, sono queste le persone che ti aiuteranno?- domanda Erato,
fissandomi negli occhi. Ha le iridi rosse come le braci dell'inferno.
-Non che io abbia avuto molta scelta, in effetti- sussurro, con
l'intento di non offendere nessuno. L'unico che mi sono scelta è
Teddy, per la sua innata capacita intellettiva.
-Non è colpa nostra se Anastaysia, la strega che ha predetto il
tuo futuro, l'ha fatto senza darti larga scelta!- esclama Talia, che ha
appuntata tra i capelli una molletta con delle foglie d'edera.
-Trattieniti, Talia. Quinn ha tutte le ragioni del mondo per essere
frustrata- afferma Urania, con una spilla a forma di cannocchiale[3].
-Non sono frustrata!- dico io, evitando di alzare il tono della voce e di alzarmi.
-Sai che il nostro compito è quello di convincerti ad adempiere
al tuo destino, no? Ecco, ma prima di farlo, devi conoscere la nostra
storia- dice Calliope, che ha i capelli raccolti in quello che
riconosco essere lo stilo di pochi giorni prima.
Siamo le figlie di Zeus e di
Mnemosyine. Frutti del peccato e dell'ennesimo tradimento di Zeus nei
confronti di Era, sua sposa. A causa della nostra natura siamo state
cacciate dall'Olimpo degli Dei, costrette a vagare sulla terra fino a
quando il male non sarà debellato da questo pianeta. I poeti,
gli scrittori, i cantanti, gli autori e gli artisti di tutto il mondo
ci invocano, ancora oggi, quando hanno bisogno di essere guidati nelle
loro opere, che porteranno il bene all'umanità. Stanche e
spossate dal nostro vagare sulla terra, ci siamo unite a Colui che il
Regno dei Morti governa.
Abbiamo una sola missione: convincerti a
sconfiggere il male, per riacquisire il nostro posto nell'Olimpo e
donare la pace agli uomini.
-Colui che il Regno dei Morti Governa?- domando, quando Calliope ha finito di parlare.
Le nove annuiscono.
Sento montare la rabbia: -Non mi farò aiutare da quelle che si
sono schierate dalla parte di Lucifero!- sbotto, facendo voltare Albie
e Jack, che mi guardano come se venissi da un altro pianeta.
-Ti confondi!- esclama Talia.
-Lucifero è Colui che è stato debellato dall'Olimpo
perché voleva il male degli uomini. Noi siamo sotto l'ala di
Ade, il Re dei Morti-
-Fa qualche differenza?- domando scettica, con un sopracciglio inarcato.
-Certo che la fa! Ti pare che verremmo qui a chiederti di spazzare via
il male se fossimo alleate di Satana?- mi domanda Clio, come se stesse
spiegando ad una bambina dura di comprendonio.
-Non ho a che fare tutti i giorni con le Muse, se permettete. Pensavo
che voi foste ancora su all'Olimpo a bearvi della vostra bellezza- dico
io, guardandole una per una e incenerendole con lo sguardo.
Melpomene scuote lentamente la testa.
-Ci aiuterai? Aiuterai l'umanità?-
Certo che, messa su questo piano è impossibile dire no. Se l'umanità è la posta in gioco, non potrei rifiutare anche se volessi.
Annuisco, ma Jack urla: -NO!-
Ventiquattro bulbi oculari lo fissano straniti: -Come, scusa?- gli chiedo io, mentre mio fratello si volta verso di me.
-No. Non aiuterai l'umanità a guarire dal male. Insomma, siete
Muse, no? Avrete qualche potere magico! Tirate fuori una bacchetta,
spargete polvere di stelle sui cattivi, fate qualcosa di vostro e non
mettete a rischio la vita di mia sorella!- sbotta lui, alzandosi in
piedi.
-Non è così che funziona, purtroppo- dice Euterpe,
guardandosi i piedi. Altre sette abbassano la testa, ovviamente non
Talia.
-Non possiamo battere le mani, fare tre giri su noi stesse e tutto se ne adrà. Non è così facile. Stiamo parlando del male, non del raffreddore!- esclama Talia, un po' troppo su di giri.
-Il problema è, che anche la controparte può fare magie[4]- dice Erato.
Albie si alza, pensieroso e guarda le Muse: -Quanto sarà pericoloso per Quinn?-
In una situazione diversa, mi verrebbe da riprenderli, perché
stanno parlando come se io non fossi presente, ma data la
serietà di questa conversazione, non mi sembra il caso.
-Un po'- afferma Clio.
-Un po' quanto?- chiede Jack, lanciandomi un'occhiata preoccupata, che ricambio con una calma.
Devo fingere di essere a mio agio, per il bene di tutti.
-La profezia dice che le conseguenze per il corpo mortale saranno
crudeli- dice Teddy, per rimarcare la sua presenza in quella stanza.
Gli accarezzo i capelli, mentre Polimnia, che non aveva ancora aperto
la bocca, gli risponde in tono dolce: -La profezia dice il vero, ma il
destino per l'anima sarà infinitamente grande-
Teddy alza la testa e mi guarda; sorrido, un po' tristemente.
Non so che cosa vogliano dire le Muse, così criptiche, e il mio
sangue si mischia con il puro terrore dell'ignoto. Sarò
abbastanza forte da sconfiggere il male o morirò provandoci?
Cosa accadrà ai miei amici, alla mia famiglia?
Non c'è tempo per le domande, mi dico.
E' tempo di prendere una decisione.
-Ci sto- dico, lasciando Jack ed Albus a bocca aperta.
-Grazie- dice Erato, seguita da un cenno di assenso dalle sue sorelle.
-Non lo sto facendo per voi- dico comunque, ricordando loro che non sono un'amica, ma un'arma.
Ora di cena,
casa Farrell.
-Quindi, vi siete divertiti oggi in biblioteca, Teddy?- domanda Robert, mentre cerca di inforchettare un pezzo di arrosto.
Teddy, con la bocca piena e da bravo damerino quale è, annuisce
semplicemente. Io e Jack gli siamo grati per questo. Abbiamo passato
tutto il pomeriggio a parlare di Anastaysia.
-Tecnicamente, la strega, questa...- dice Albie, fissando uno dei tanti fogli su cui abbiamo ricopiato la profezia.
-Anastaysia- lo aiuta Calliope con un sorriso sincero sul volto.
-Ecco. E' morta. Nel 13 qualcosa- afferma lui, con il suo tono saccente.
Talia scatta in piedi e lo fissa con
occhi di braci, che non è solo una metafora, ma rispecchia la
realtà, perché le nove Muse hanno le iridi rosse come il
fuoco ardente.
-Si dà il caso, mister
Perfettino-So-Tutto-Io-Grazie-Ai-Miei-Libri che numero uno: le streghe
siano famose per la loro longevità. Anastaysia aveva soltanto 85 anni quando ha espresso la profezia su Quinn e, numero due: noi veniamo dal Regno dei Morti, sai, dove stanno le persone morte!-
E' toccato alla povera Melpomene, che come sempre mi sembra la più grande, calmarla, intimandole di stare in silenzio.
-D'accordo. Scusa!- aveva sbottato Albie, tornando con gli occhi sul foglio che aveva davanti.
-Quindi, Quinn, hai ripensato a quello che ti ho detto prima di
Natale?- mi chiede mia madre e io, presa completamente in contropiede
le rivolgo uno sguardo vacuo.
Sono successe così tante cose dal giorno prima della Vigilia.
-Quella cosa su... Will, insomma- mormora infine, pensando, in modo
molto innocente che i miei fratelli non sentano il nome del ragazzo.
-Ah, sì. Cioè, no, non ci ho ancora pensato, in effetti- dico io.
Ah, no. La mia mente è stata completamente assorta da altri
problemi ben più gravi, ultimamente: salvare il destino degli
uomini è tra questi. Non mi interessa nemmeno sporgere denuncia
contro Will, non mi importava quando le Muse non erano ancora entrate
nella mia vita e scommetto che non mi sarebbe importato nemmeno se
avessi ignorato il contenuto della profezia.
Fortunatamente Rosie prende il comando della cena e la riporta su di
sé e sua sorella, che a breve avranno un altro saggio di danza e
che dopo cena vogliono farci vedere quando sono migliorate in pochi
giorni.
Il resto della cena si conclude tra gli schiamazzi di James, che
pretende di avere altre patate al forno e che tenta di rubarle dal
piatto di Teddy, che gli rifila soltanto una forchettata
fortunatamente non troppo grave nella mano.
-Tieni, Jamie, mangia le mie- gli dico, facendo scivolare la mia porzione di patate sul suo piatto.
Senza ringraziare, perché per lui è poco virile
si mette a mangiare, ignorando bellamente lo sguardo dei suoi genitori
che lo ammoniscono per non aver detto grazie. Con la bocca piena,
borbotta comunque qualcosa e io lo prendo per buono.
Del resto, io e James non abbiamo uno splendido rapporto.
Anzi, James non ha un buon rapporto con nessuno, togliendo Jack.
Scuoto leggermente la testa, per evitare di pensare troppo e quindi di
sovraccaricare il mio cervello, che ha ancora tante domande senza
risposta che vagano per la mente.
Mi chiedo se quello che sto vivendo sia qualcosa di vero oppure solo un sogno ben architettato dal mio subconscio.
Per la prima volta, mi tiro un pizzicotto e mi rendo conto che fa male.
E' la realtà.
Ore 00.15
Camera di Ted Farrell.
-Per favore, resti a dormire con me, solo per stanotte?- mi chiede
Teddy, con quel suo sguardo da cucciolo di cane; mi afferra la mano e
lo guardo negli occhi. E' spaventato e si vede. Nemmeno i poster che ha
appesi alle pareti sembrano calmarlo, cosa non da poco. E la copia di
Harry Potter è abbandonata sul comodino.
-Certo, Teddy che posso dormire con te- per questa notte e per tutte le notti che verranno, se vorrai.
E' questo quello che vorrei aggiungere ma la mia bocca si cuce mentre
mi stendo accanto al mio fratellino minore, che non mi ha ancora
lasciato la mano, per paura che io possa svanire nel nulla.
Cosa fare quando tutto quello che
pensavi fosse soltanto fantasia diventa reale? E quando i mostri che
pensavi fossero nascosti nell'armadio prendono posto nella tua vita?
Combattere.
Già, combattere, una parola
dietro alla quale si nascondono tanti stati d'animo e tante emozioni.
La più forte di tutte? La paura. Quella che ti attanaglia lo
stomaco, ti torce l'intestino e ti fa vedere il mondo come una prigione
dalla quale non puoi scappare.
Note:
[1]: La collana di Tersicone.
[2]: La collana di Melpomene.
[3]: La spilla di Urania.
[4]: Frase pronunciata in Harry Potter e il Principe Mezzosangue
Angolino della scrittrice:
Sono tornata, come promesso!
Non è un capitolo che fa il botto, lo ammetto...
In realtà è molto, molto di passaggio.
Noo, però, vi prego, non linciatemi anche perché è tipo cortissimo.
Detto questo...
Se vi interessa il blocco non m'è ancora passato, ma domenica prossima ci sarà comunque l'aggiornamento.
Domenica scorsa m'è sembrata quasi vuota.
Detto anche questo...
Niente, vi saluto!
A domenica prossima, guys!
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Capitolo 13 *** XIII. ***
Phopecy1
Because I'm not a word,
I'm not a line,
I am not a girl who can every be defined.
(Fly, Nicki Minaj ft Rihanna)
29 dicembre,
ore 9.00
Camera di Ted Farrell.
Qualcuno bussa alla porta; Teddy è ancora nel mondo dei sogni e
se cercassi di alzarmi lo sveglierei: mi sta placcando come se fossi un
giocatore della squadra avversaria di football. Gli accarezzo i
capelli, e la porta, con un cigolio assai poco invitante si apre.
Entra Jack, con la sua solita tenuta da allenamento. Capisco
immediatamente cosa vuole: le Muse mi hanno raccomandato di allenarmi
nella lotta a mani nude, chiamata comunemente boxe.
-Linny...- sussurra Jack. Annuisco e mi vedo costretta a destare Teddy
dal suo sonno calmo. Con le mie labbra posate sui suoi capelli
sussurro: -Teddy, è ora di svegliarsi-
Si stropiccia lentamente gli occhi, un mh di poco conto e senza senso
gli nasce sulle labbra. Lo guardo sorridendo mentre mi alzo dal suo
letto; mi stiracchio per bene, prima di dare un bacio sulla guancia al
mio coetaneo.
Certo, d'ora in poi sarà dura, le Muse me lo hanno confidato
senza troppi giri di parole, ma questo non può e soprattutto non
deve condizionare la mia quotidianità.
-Dai, forza. Papà e Robin sono andati al lavoro- mi dice Jack,
trascinandomi praticamente fuori dalla camera di Teddy. Sono sveglia da
un paio d'ore, anzi, non so ben dire se abbia dormito per un tempo
superiore alla mezz'ora di fila. Prima avevo troppo caldo, poi troppo
freddo, ma in realtà queste sono tutte scuse.
La verità è che sono spaventata. Tanto spaventata.
Insomma, devo allenarmi perché le nove Muse mi aiuteranno a
salvare l'umanità. Questo non è un episodio di Buffy
l'Ammazzavampiri; è la mia vita, e l'idea di morire a diciotto
anni di certo non era nei miei piani per il futuro.
Riluttante, perché la mia idea sulla camera di mio fratello non
è cambiata di certo da un giorno all'altro, faccio un passo
nella stanza da letto di Jack e la prima cosa che vedo sono un paio di
boxer abbandonati ai piedi del letto; trattenendo un conato di vomito,
perché è pur sempre mattina, indosso il mio sorriso
stronzo.
-Noto con poco piacere che il livello di igiene non è tra i tuoi biosgni primari, Jack-
Lui mi fissa, sconcertato e quando vede cosa il mio indice sta indicando arrossisce in un colpo: -Scusa. E' solo che...-
-Non voglio spiegazioni. Sei mio fratello, mi stai aiutando, ti voglio
bene per questo, e troveremo un compromesso a tempo debito- dico, tutto
d'un fiato.
Jack alza le spalle, con un ghigno divertito; poi si siede sul letto, o almeno è quello che penso sia il letto.
-Non lo trovi strano?- mi domanda, abbassando lo sguardo come se mi
avesse appena fatto una domanda sul sesso (argomento decisamente poco
tabù tra noi due).
-Cosa dovrei trovare strano?-
-Che le Muse non ti abbiano detto contro cosa dovrai combattere. Non
sei curiosa?- adesso alza lo sguardo e punta quegli squarci di cielo
nei miei. Quattro angoli di cielo che sono stati sottratti per poterci donare la vita.
Faccio spallucce: -Non mi pongo molte domande. Cerco di imparare tanto per non rimetterci la pelle-
Le guance di Jack si tingono di una tenue sfumatura rossa: l'ho messo in imbarazzo. Cosa ho detto?
Oh, giusto. A lui non è ancora andata troppo giù
l'idea che questa sia più una missione suicida; mi viene da
sorridere della sua innocenza e della sua voglia di salvarmi dal mondo.
-Iniziamo- dice risoluto, scuotendo la testa, forse per cacciare i
pensieri che l'hanno presa sotto assedio. Anzi, sicuramente per questo
motivo; vivo con Jack da abbastanza tempo per sapere tutto di lui.
-Tecnincamente dovresti colpire un essere umano nei suoi punti
più deboli- mi spiega mio fratello, infilandomi i guantoni da
boxe. Sono blu, pesanti e non hanno un buon odore. Jack non è
stata l'unica persona ad averli indossati, penso, con mio grande
disappunto.
Non soffro di uno di quei comportamenti ossessivi-compulsivi che mi
rendono un pericolo per la società o per i batteri, ma sono
abbastanza maniacale quando si parla di igiene.
-Quali sono i punti deboli di un essere umano?- domando, prima di
sfregarmi il naso con il guantone; lascio da parte il mio livello di
pulizia e mi concentro su quello che devo imparare.
Purtroppo per me ho visto Jack prendere parte ad una rissa, e non una
sola volta. Sa picchiare, e soprattutto non mena le mani in giro come
fanno i nostri compagni; non mi stupirei se venissi a scoprire che in
una vita passata è stato tipo, che ne so, un marines nella
guerra del Vietnam.
-Il torace: una volta che hai una costola incrinata, o peggio,
fratturata, fatichi a respirare. La testa, cioè, la calotta
cranica in generale; soprattutto se la colpisci ripetutamente nello
stesso punto. Certo, serve a tenere il cervello al sicuro, ma se la
prendi nel modo giusto puoi anche far svenire quello che ti sta
davanti. E... lo stomaco e il basso ventre in generale. Ti sconsiglio
di colpire alla schiena, perché la colonna vertebrale è
dura da daneggiare-
Annuisco, come un cagnolino obbediente.
Testa, torace, stomaco. Non sembra poi così difficile.
Jack mi indica il sacco da boxe: -Colpiscilo con tutta la forza che hai in corpo, Quinn-
Carico al meglio il pugno e colpisco il sacco, che si sposta solo di
qualche centimetro; mi volto verso Jack e sono certa che se da questo
allenamento non dipendesse la mia difesa si metterebbe a sghignazzare.
Non lo fa, e gliene sono grata.
-Quinn, devi metterci più forza. So che ce l'hai, solo che
è nascosta. Anzi, repressa. E' tutta la rabbia che hai
accumulato mandando giù i bocconi amari-
-Facile a dirsi- sbuffo, sistemandomi un po' meglio i capelli ribelli che scappano dalla presa austera dell'elastico.
-E' facile anche da fare. Guarda-
Jack si posiziona davanti al sacco appeso al soffitto, lo guarda con
aria di sfida. Si sta concentrando: la sua mascella è contratta, i muscoli delle braccia sono allo stremo
della contrazione; potrebbero spezzarsi dalla tensione a cui sono
sottoposti. Carica il destro e lo scaglia con forza contro il sacco:
oscilla pericolosamente e il gancio a cui è attaccato cigola in
modo spaventoso. Quando il sacco sta per colpirlo lo ferma con il palmo della
mano.
Tutto questo a mani nude. Prima che io possa anche solo provarci con i guanti, ci vorranno anni.
Ma sono certa di non avere anni a mia disposizione; forse mesi, o forse settimane.
Prego perché non si tratti di giorni.
-Visto?- mi domanda alzando le sopracciglia. Mi lascio cadere a peso
morto sul suo letto e dal suono sinistro delle molle nel materasso sono
certa che sia il suo letto.
-Jack, io sono una ragazza. Non dovrei menare le mani. Ci sono i
ragazzi per questo- dico, forse lo sussurro o forse lo urlo, non lo so.
Guardo il soffitto bianco e la testa di mio fratello entra nel mio
campo visivo.
-Quinn, dobbiamo solo trovare qualcosa che ti faccia provare rabbia.
Quando è stata l'ultima volta che avresti voluto pestare
qualcuno?-
Ci penso e ci ripenso; se guardo dentro di me non è difficile
immaginarlo: quando Will mi ha chiesto scusa dopo avermi mandata
all'ospedale.
-Poco tempo fa- rispondo, sibilando. Non me ne rendo conto, ma sono di
nuovo in piedi di fronte al sacco da boxe. Se quello fosse William
Hummell sono certa che lo avrei riempito di sberle e pugni fino a
fargli sanguinare le orecchie.
-Bene, ora... concentrati. Davanti a te c'è quella persona. Tirale un pugno. Devi farle cadere un dente-
La voce di Jack però mi giunge lontana; sono sempre stata
abituata da mia madre a non alzare la voce e a reprimere la rabbia in
un angolino della mente, perché la rabbia non è buona,
è cattiva e ti porta a fare cose cattive.
Il sacco da boxe prende la forma del mio ex ragazzo, di fronte a me,
con quella finta espressione bastonata, mentre mi chiede scusa per
avermi spedita all'ospedale con uno schiaffo del tutto inatteso e
ingiusto.
Carico il destro, alzo il braccio lentamente. Sento i denti digrignare
tra loro, la rabbia ribollire dentro di me e sferro il colpo.
La vista si annebbia nel momento in cui il blu del guanto sfiora il
nero del sacco; il mondo cade nel buio per un lungo e interminabile
attimo, prima di tornare a splendere dei suoi naturali colori; forse
è anche più radioso.
-Wow- sento dire da Jack, mentre ferma il sacco prima che mi finisca tra le braccia.
-Sei stata... grandiosa!- mi dice, mentre mi fissa sbalordito.
-Spero che la persona che ti sei immaginata non fosse il sottoscritto,
perché in quel caso mi metterei a scappare a gambe levate-
La tensione si smorza non appena lo abbraccio e gli regalo un bacio sulla guancia.
Ore 10.30
Cucina di casa Farrell.
-Mi passi il latte?- domando a Jack con un sonoro sbadiglio. Ho
passasto un'ora ad allenarmi e ho i muscoli che gridano vendetta; non
avrei mai immaginato che scaricare la rabbia potesse essere doloroso.
L'ho sempre visto come qualcosa che fa bene, ma a quanto pare mi sono
sbagliata. Complice il fatto che la rabbia repressa era tanta?
Può darsi.
Afferro il cartone di latte che mi passa mio fratello e lo scolo tutto
nella tazza: il mio caffè, prima nero come la pece, si è
trasformato in un caffé latte con un mucchio di latte e poco
caffè.
Mi viene voglia di buttare il contenuto nel lavandino, e farlo sparire dentro lo scarico, ma so che devo berlo. Fa parte della dieta che seguo da quattro anni. Quattro anni da quando mi sono avvicinata a Jack. Una vita fa, in pratica.
-Albus ti ha scritto quando dobbiamo andare in "biblioteca"?- chiede
Jack, rompendo il silenzio che si è creato tra noi due; scuoto
la testa e mi rendo conto che il mio telefono è al piano di
sopra, acceso ma con la vibrazione, probabilmente sepolto sotto la
miriade di libri che contengono i miei tanto agognati compiti, che non
ho ancora iniziato.
-Non ho ancora guardato il telefono- affermo alzandomi, con la tazza rigorosamente tra le mani.
-Quinn, bevi- mi esorta mio fratello, indovinando i miei pensieri; per
me è sempre stata dura fare colazione, ma se mi azzardo a
saltarla, e mia madre se ne accorge chiama immediatamente Jack che mi
trascina fuori dalla classe e mi fa ingurgitare qualcosa al bar della
scuola.
Oppure Jack avvertiva Will.
Will.
Quel nome mi fa ancora male. Certo, se fosse stato davanti a me mentre
mi allenavo a quest'ora sarebbe come minimo in coma farmacologico
disteso su un lettino simile a quello sul quale c'ero io poco tempo fa.
Per non pensare a Will bevo in un sorso solo il latte macchiato con il
caffè, ormai totalmente freddo. Metto, o forse sarebbe pù
azzeccato butto, la tazza nel lavandino, con il rischio di spaccarla e
rendere la mia permanenza in cucina ancora più lunga.
-Vado a controllare il telefono- sbuffo, dando le spalle a Jack e affrettandomi per le scale.
Il piano superiore è silenzioso: non si sentono nemmeno i nostri
fratelli respirare. Nemmeno James, che di solito russa come fa
Robert.
Evitando di fare troppo rumore vado in camera mia e scovo il telefono,
come avevo predetto, sotto ad un mucchio di libri buttati a caso sul
letto: due messaggi.
Albus e... Will.
Davvero?
Questo ragazzo è peggio delle piattole!
Non voglio parlargli, ma la curiosità ha la vittoria
sull'odio e finisco per leggere prima il suo messaggio che quello di
Albus, decisamente più importante.
-Quinn, voglio solo parlare
e mettere in chiaro la situazione. Prima, beh... prima che il tribunale
mi imponga di restare lontano da te. Lo so che non hai voluto
denunciarmi. Grazie. Non me lo merito, ma grazie. Voglio solo parlare.
Cosa ne dici se ci vediamo oggi alle due, nel nostro posto segreto? Io
sarò lì-
Penso che non averlo denunciato alla polizia mi abbia messo in una
posizione di svantaggio: adesso pensa che io provi ancora qualcosa per
lui.
Stupida, stupida, stupida!
Questa parola si ripete nella mia mente, ininterrottamente.
Andare o non andare?
Bel problema.
Per non pensarci, leggo il messaggio di Albus, che mi fa sorridere.
-Ehi, Quinny, le... insomma, Loro mi hanno detto che saranno qui verso le quattro. Pensi di poter venire?-
Gli rispondo, con il sorriso stampato sulle labbra: -Alle quattro ci saremo-
Pochi minuti dopo,
cucina di casa Farrell.
-Quinn...- inizia Jack, passandosi una mano sulla nuca; quando fa
così assomiglia proprio a suo padre, ma mi trattengo dal dirlo,
è molto suscettibile a riguardo.
-Jack, ti prego!- mi lamento io.
-Non... non penso che sia una buona idea. Cosa direbbe Robin a
riguardo?- abbassa lo sguardo e poi lo rialza immediatamente, mentre mi
vede mordermi il labbro inferiore. Direbbe di no; lo sappamo entrambi.
-Ecco- dice lui, pensando che la conversazione si possa concludere così.
-Voglio sapere che cosa vuole dirmi, Jack! Voglio dargli una chance!-
alzo di poco il tono della voce, per fargli capire che sono veramente
convinta di quello che sto dicendo.
-Non ci andrai da sola, però. Ci andremo insieme-
-E chi baderà ai ragazzi?- domando io, con l'ansia nella voce;
se c'è una cosa che non posso sopportare è sapere che i
miei fratelli sono a casa da soli, pronti a scatenare una guerra
mondiale.
-Ci penserà Teddy- afferma lui, risoluto.
-E' poco più che un bambino, Jack!- dico esasperata. Nostro
fratello ha solo undici anni, ma viene trattato come se ne avesse
diciotto. Non è giusto che resti a casa a sorvegliare i suoi
fratelli minori.
-Allora non ci vai. Ti terrò d'occhio fino a quando non dovremo
uscire per andare in biblioteca. Non ti mollerò un attimo. Da
sola, no. Considerando quello che ti ha fatto la scorsa volta...-
-Non tirare fuori questa storia adesso, Jack. Non usarla come scusa. Sai anche tu che è stato solo un momento d'ira-
Vorrei non difendere William davanti a Jack, ma non ci riesco.
Nonostante tutto credo che sia ancora il ragazzo che mi veniva a
prendere per portarmi al cinema il sabato sera.
Non può essere cambiato. O forse sì.
-Un momento d'ira scatenato da cosa, Quinn? Non hai fatto niente, tu!-
Sono esasperata; mi passo nervosamente una mano tra i capelli per dargli un po' di volume dopo la doccia post-allenamento.
-Jack, te lo chiedo per favore. Non possiamo chiedere a Teddy...-
Non termino la mia frase: Teddy scende dalle scale in pantofole e mi guarda.
-Chiedermi cosa, Linny?-
Sto per ribattere con un: niente, tesoro, ma Jack mi precede.
-Teddy, ti dispiacerebbe badare ai tuoi fratelli mentre io e Quinn andiamo da una parte?-
Il sopracciglio destro del mio fratellino si alza in modo sospettoso:
è maledettamente intelligente per essere uno di undici anni.
-Dovete andare in biblioteca?-
Scuoto la testa: -Dovremmo essere lì per le quattro. La mamma a quell'ora sarà a casa e porteremo anche te-
So che Teddy ci tiene ad avere tutte le informazioni dalla fonte
diretta (le Muse), perché dice che di me e di Jack non si fida:
potremmo anche mentirgli per rendere la situazione meno pericolosa.
Teddy annuisce e guarda su per le scale: -Promettimelo- dice, fissando sia me che Jack.
Questa volta siamo noi ad annuire e glielo promettiamo.
Ore 13.50
Parco alla periferia di Albertville,
cancello d'entrata principale.
E' da tanto tempo che non entro in questo parco. Quando ero piccola,
prima che mia madre sposasse Robert, venivamo qui tutti i pomeriggi.
Mentre scendo dalla macchina di Jack scorgo il tetto della mia vecchia
casa, che è stata ormai venduta da più di un decennio;
non era grande come quella in cui abitiamo adesso, ma era casa.
Aveva un giardino bellissimo e un'altalena che io e il mio vicino di
casa Craig dividevamo sempre, e sulla quale stavamo seduti a parlare
per pomeriggi interi.
Sentimentale come sono, mi perdo nei ricordi dell'ultimo, assolato
pomeriggio che ho passato su quel gioco, assieme al mio amico.
-E' vero che ti trasferisci?- mi chiede Craig, abbassando gli occhi e
piantandoli sul terreno arido intorno a noi. Non piove da tanto, penso.
E ho sentito alla televisione che non si può usare l'acqua per
fare giardinaggio: le rose che io e Craig abbiamo piantato un mese fa
sono appassite e senza colore.
Annuisco, con le lacrime agli occhi: -Sì- pigolo soltanto. Non
ho la forza per dire altro, perché la mamma mi ha detto che
vivremo con Robert, il suo "fidanzato" e suo figlio. Non mi sta
simpatico, già lo so.
-Ma non tanto lontano. E' solo ad un paio di isolati da qui...- cerco
di spiegare a Craig che resterà il mio migliore amico anche se
non vivremo più a cinque metri di distanza.
-Non vorrai più giocare con me, dopo-
-Dopo cosa?- gli domando confusa.
-Dopo che avrai conosciuto tuo fratello. Ciao, Quinn- mi dice, prima di
alzarsi e tornare nel suo giardino, passando per il cancelletto di
legno che i nostri genitori hanno aperto per farci andare da un cortile
all'altro velocemente.
Non ho più rivisto Craig fino a quando non sono andata a scuola.
Aveva dei nuovi amici e io delle nuove amiche. Non ci siamo più
parlati.
Scuoto la testa e torno al presente. Il presente che mi riserva un
incontro con Will, che vedo seduto sulla nostra panchina preferita,
nell'angolo più ombroso del parco.
E' stupido come ogni oggetto mi faccia pensare a quando eravamo insieme. O forse no.
Vedo le sue spalle tese; tiene la testa bassa e si passa una mano tra i capelli.
Lo chiamo: -Will!-
Mi sente, si volta, mi sorride.
Prima di vedere Jack.
Si avvicina a noi a grandi falcate, stringe i pugni come se volesse nuovamente colpirlo.
-Perché cazzo lo hai portato qui? Era ovvio che intendessi vederti da sola-
Abbasso lo sguardo e sento Jack prendere la parola: -L'ultima volta che
vi siete incontrati da soli l'hai spedita in ospedale. Mi sembra un
motivo abbastanza rilevante-
Vorrei dire a Jack di stare zitto, di non aggravare la situazione,
perché, quando alzo lo sguardo vedo in Will la stessa furente
ira che aveva quando mi ha colpita.
-Sta' zitto, Jack- gli intima infatti Will, coprendo la distanza con due passi.
Mi è di fronte; mi guarda negli occhi e il mio cuore perde un
battito. Ho paura che mi colpisca di nuovo. E se lo facesse? Ne avrebbe
il coraggio con Jack lì? Sarebbe disposto a fronteggiare il suo
amico?
-Mi dispiace- sussurra invece, posando la sua fronte alla mia. Il cuore
riprende a battere accellerato: la paura non si è sopita, al
contrario, sta scaplitando.
Ha gli occhi chiusi, mi respira sulla bocca, il suo alito sa di menta piperita: almeno non ha bevuto niente.
Alza la mano e mi carezza i capelli.
Davvero si comporta come se nulla fosse successo?
Jack si schiarisce la voce: -Allontanati, Will. Forza- non è un
consiglio da amico; è un ordine da fratello iperprotettivo nei
miei confronti.
Gliene sono silenziosamente grata.
Will, a forza, si stacca da me e mi fissa, implorante, come se potessi cambiare quello che ha fatto.
Cerco di sparire nel cappotto incassando la testa nelle spalle, con scarso successo.
Non sono una che scappa di fronte ai problemi, ma Will mi fa davvero una fottuta paura.
Anche più di Albus.
E lui è un lupo mannaro.
-Quinn... non potremmo... non so. Riprovarci?-
Lo guardo stupita. Stupita, ma non stupida.
-Will, di che diavolo parli?- gli domando e noto, con poco piacere, di
avere la voce stridula e impaurita. Per questo motivo o forse
perché sto tremando e non me ne sono accorta, Jack mi mette un
braccio sulle spalle e mi stringe un po'.
-Ci amiamo. Dovevamo stare insieme fino alla fine del liceo...-
comincia lui, guardando per terra e spostando un po' di neve con la
punta della sua scarpa.
Sta dissotterrando il terreno: la neve smossa diventa un poltiglia marrone. Dello stesso marrone delle divise degli agenti.
Mi rendo conto che, per quando Will mi faccia tenerezza, non posso
tornare insieme a lui. Il viso dell'agente Pollock mi appare chiaro
come se lo avessi visto ieri.
-Will, non stiamo parlando solo del tradimento. Mi hai colpita. Non posso stare con te-
Sospiro: -Non più- dico, come se quella frase aggiustasse le cose.
Will annuisce, impercettibilmente.
-Okay-
Alza lo sguardo: ira. Di nuovo. Quando aveva poggiato la fronte alla
mia era tornato il vecchio Will. Quello nuovo non mi piace; mi spaventa a morte.
-Ma non mi metterò da parte. Tornerai da me, dimenticando quel
coglione- afferma, prima di passare accanto a Jack, mollandogli una
spallata, e correre alla macchina, prima di ripartire facendo stridere
le gomme sull'asfalto.
Jack mi prende per le spalle e mi guarda in viso: -Quinn, non ti preoccupare. Ci penseranno gli agenti a tenerlo lontano da te-
Realizzo che non è per me che ho paura.
-Non sono preoccupata per me, ma per te e Albus-
Lo dico, senza nemmeno rendermene conto; Jack mi sorride: -Sempre a salvare il mondo, Linny?-
Poi, guardando la mia espressione mi abbraccia dolcemente, e quando io
gli allaccio le braccia dietro al collo lui sussurra al mio orecchio:
-Abbiamo entrambi la pellaccia dura, Linny. Non preoccuparti-
Mi posa un bacio leggero sulla fronte.
Gli voglio bene.
E' mio fratello e gli voglio un bene dell'anima. Scalerei l'Everest per lui.
Ore 16.10
Bilbioteca di Albertville,
in mezzo agli scatoloni dell'archivio cartaceo.
-Perché siamo stipati qui?- domanda Jack, guardandosi in giro, e
sistemandosi meglio Teddy in braccio. Non c'è abbastanza spazio
per contenerci tutti e tre, ma è il miglior posto che Albie ha
potuto trovare mentre il sindaco è qui per leggere un libro ai
bambini.
-Perché Albie ha dovuto nasconderci, ecco perché!- gli sibilo io in risposta.
Se stiamo in silenzio, in religioso silenzio, si sente la voce roca del
sindaco di Albertville, gran fumatore di sigari cubani che sovrasta il
nostro respiro.
-Non potevamo stare fuori?- mi chiede Teddy, tirandomi la manica della maglia.
Mi volto verso il mio fratellino e gli accarezzo la guancia con un
dito: -Tesoro, non possiamo farci vedere qui. Albie si era dimenticato
di questo appuntamento...-
Mi ritrovo a pensare alla faccia di Albus quando la signorina Sax, la segretaria del sindaco è entrata nel negozio.
-Emily! Che cosa ci fa qui?- domanda Albus, accorrendo all'entrata della biblioteca.
-Al, non ti ricordi? Oggi viene il
Sindaco a leggere una favola ai bambini!- esclama la donna, sulla
quarantina, con troppo fondotinta e troppo rossetto: ha provato a farsi
bella per Al, con uno scarsissimo risultato.
Albie si batte una mano sulla fronte, e dà una forte sheckerata al suo povero cervello sovraccaricato.
-Ha ragione, Emily! Sistemo le sedie.
Lei... non so faccia un giro. Magari non nella sezione fantasy,
perché dobbiamo ancora metterla a posto. Cioè, devo
ancora...- e così dicendo, parlando a macchinetta si infila
nella stanza dove ci eravamo stanziati in attesa delle Muse, che, come
al solito erano in ritardo.
-Dovete andarvene- sussurra solamente, guardandosi intorno con fare sospetto.
-No!- esclamo io, e lui mi poggia una mano sulla bocca.
Arrossisce. Arrossisco. Dobbiamo smetterla di far entrare in collutazione i nostri corpi. Ardono quando si sfiorano, anche per sbaglio.
Si avvicina di più, per evitare di farsi sentire; rovista nella tasca dei suoi pantaloni ed estrae una chiave d'ottone.
-L'ex archivio della biblioteca- dice soltanto, staccando, forse riluttante la sua mano dalle mie labbra.
-Ci sarà un po' di casino, ma
se non volete andarvene dovete stare qui. I bambini hanno pagato i
biglietti per entrare qui dentro-
Jack prende in braccio Teddy e
afferra la chiave che Al ha in mano. Mi avvio silenziosamente dietro di
loro, e Albie mi afferra la mano.
Eccoci di nuovo.
I miei fratelli svoltano a sinistra, per andare nella stanza.
Ed ecco quelle due pietre di
ossidiana che si perdono nel mio cielo. Sento il cuore impazzire,
l'eccitazione è nell'aria. Abbasso lo sguardo per posarlo sulle
labbra di Albus, tagliate da quella cicatrice che attira i miei occhi.
Ci avviciniamo. Il suo alito sa di vaniglia, la sua pelle di dopobarba.
Deglutisco, mentre sento il suo naso sfiorare il mio.
-Aaaaal, dove sei finito?-
Albie abbassa la testa e sospira. Non dice niente. Si gira e se ne va.
Guardo la sua schiena voltare a destra dello scaffale.
Vorrei piangere, urlare e forse anche picchiare Emily Sax.
Scuoto la testa e mi infilo in fretta nell'archivio.
Non mi importa quanto sia stretto. Meno spazio per pensare ho, meglio è.
Mi riscuoto quando sento qualcuno bussare. Io e Jack ci guardiamo seri.
E se fosse un bambino curioso, cosa penserebbe? Urlerebbe? Albie
finirebbe nei guai.
-Sono qui!- dice una voce femminile.
Sono certa di averla già sentita, da qualche parte, forse in un sogno.
-Euterpe non puoi semplicemente aprire la porta!-
Le Muse.
Sorrido e apro loro la porta. Euterpe cade sopra a Clio, che aveva l'orecchio attaccato alla serratura.
-Ehm... Ciao?- dice innocentemente la dea della Storia, alzandosi in piedi e spazzolandosi i jeans alla bell'è meglio.
Con loro c'è una ragazza dai lineamenti fini, bionda, che potrebbe provenire dall'est Europa.
-Dobbiamo parlare. Subito- dice seria Melpomene, tirando indietro Euterpe e piazzandosi davanti a noi.
Alzo le spalle: -Okay, dove?- domando, guardandomi a destra e a
sinistra per farle capire che dentro all'archivio non c'è
abbastanza spazio per entrarci tutte, e so che le Muse si muovono
sempre come se fossero un sol corpo.
-Che domanda è?- esclama Talia, mettendosi al centro dell'attenzione come sempre.
Tersicone alza una mano e le tira uno scappellotto: -Non vedi che
lì dentro non c'è spazio?- le domanda indicando con una
mano l'interno dell'archivio, dove io, Jack e Teddy siamo ancora
stipati.
-Ah... Non ve lo ha detto Albus? Se ne sono andati. Finito, non so
cosa, ma è finito!- dice Clio, invitandoci con un cenno della
testa ad uscire dall'archivio.
Lascio andare Jack e Teddy, che non appena sono fuori respirano l'aria
pulita; io esco con calma, puntando lo sguardo sulla ragazza che non ho
mai visto.
Anche lei mi fissa: ha lo sguardo rosso fuoco come quello delle Muse.
Mi fa paura, stranamente. Dà l'impressione di avere il coltello dalla parte del manico, per dire.
-Leì è...?- chiede Albie, sedendosi accanto a me. Non so
se sia un bene o un male. Quando sono vicina a lui non riesco a pensare
lucidamente: so solo questo.
-Molto piacere. Anastaysia- dice la ragazza, con un accento che fa trasparire la sua provenienza.
Mi strozzo con la mia stessa saliva. Anastaysia: la strega che ha fatto
la profezia su di me. Tutti gli sguardi sono su di me, mentre cerco di
darmi un contegno e smettere di tossire a vuoto. La mano di Jack mi
dà dei colpetti sulla schiena per farmi calmare.
-Tu sei la strega?- domando, non appena mi riprendo. La ragazza annuisce.
-Ovviamente adesso ho perso i miei poteri. Sono morta- termina alzando le spalle.
Come mai la gente sembra contenta di stare nell'aldilà? Io proprio non lo capisco.
-Scusate se interrompo il vostro magico momento dove vi incontrate
faccia a faccia e vi sussurrate i vostri segreti più intimi-
interviene Talia, beccandosi un'occhiata ammonitrice da Clio.
-Ade ci ha permesso di portarla fuori solo a patto che torni prima che
il sole tramonti- termina per lei Urania, guardando il cielo.
Abbiamo poco tempo.
-Quindi, Staysi, vuoi essere tu ad avere l'onore di raccontarle tutto
quello che deve fare?- domanda Calliope, sorridendo alla ormai ex
strega.
-Certo, non vedo perché no- dice lei, alzando leggermente le spalle.
Angolino della scrittrice:
Oh, mon Dieu.
Lasciate che mi scusi per il ritardo della pubblicazione.
Scusate scusate scusate.
Detto questo...
Quindi.
Non so cosa scrivere. e.e
Mhh... Sì.
La Boxe.
E' dicembre e non potevo mettere uno Shirtless Jack Andrew, che altrimeti mi moriva assiderato, povero cucciolo.
E... sì, insomma.
A voi i commenti.
MAAA... LE RECENSIONI?
No, cioè, vi voglio bene e tutto il resto, però un piccolo: "Aww, che teneri" o un:
"Dio mio, DIABETE POWER" me lo potete anche mettere.
Avanzate anche nella classifica dei recensori!
Dai dai dai!
Aspetto voi, eh!
Baci!
|
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Capitolo 14 *** XIV. ***
Prophecy1
See my reflection in a window
And I don't know my own face
Oh brother, please don't leave me wastin' away
(The Fray, Streets of Phliadelphia)
31 dicembre
-La tua è stata la mia prima
profezia. Ero seduta in una locanda a parlare con un'amica, quando mi
si è annebbiata la vista e sono apparse delle parole
intermittenti; ho afferrato qualcosa su cui scrivere e... beh, la
profezia è quella. Mi dispiace essere stata così
criptica, ma ovviamente non potevo scrivere tutto chiaramente. E' una
specie di regolamento delle profezie- Anastaysia alza le spalle e continua, con lo sguardo perso nel vuoto.
-Dovrai affrontare qualcosa che
è molto più grande di te, Quinn. So che sei un'amante dei
libri fantasy, quindi dovresti sapere qualcosa di fate. Mi sbaglio?-
Punta i suoi bracieri su di me e scuoto la testa: certo, non sono un'esperta, ma qualcosa la so.
-Il fatto è che le fate sono
prettamente esseri benigni, nati dalla Natura, con il solo scopo di
proteggerla, e non di distruggerla. Tutto quello che viene creato deve
essere rispettato. Beh, dalla maggior parte delle fate. Da
molto tempo una minoranza della Bretagna, conosciute come Druidresse, guidate da una regina che non può essere uccisa da un essere umano comune, che si fa chiamare Privela si
sono ribellate alla Natura, loro Madre, per poter agire liberamente. Si
sono alleate con Satana, rinchiuso nelle viscere del Regno dei Morti.
Loro vogliono portare il male nel regno degli esseri umani, per rendere
più forte il loro padrone. Attendono che Satana si liberi dalle
profondità della Terra, per regnare con lui in un'atmosfera di
odio e di terrore.
Se loro dovessero vincere, la
felicità verrebbe completamente spazzata via. Sarebbe la fine
per tutti gli esseri viventi che abitano questo mondo. L'Apocalisse-
Apro la bocca, in preda allo stupore,
ma mi vedo costretta a richiuderla. Non so ancora qual è il mio
compito in tutto questo.
-Cosa c'entro io?- domando ad
Anastaysia e vedo, con la coda dell'occhio i muscoli di Albie che si
tendono visibilmente: ha paura della risposta. Tanta quanta ne ho
io.
-Sei tu che dovrai uccidere Privela. Uccidendo lei, tutte le altre Druidresse moriranno. Vivono in funzione della loro regina-
-Potrebbe morire, vero?- domanda
Albie, i cui muscoli sono ancora tesi fino allo spasmo. Vorrei tanto
poggiare la mia mano sul suo braccio per fargli capire che io ci sono.
Anastaysia lo guarda per pochi secondi e poi sorride, puntando lo sguardo al pavimento: -Potrebbe. Ma è per questo che siamo tutti qui, no? Nessuno ci guadagnerebbe se Quinn venisse uccisa. Quinn in primis-
Annuisco, ma Urania guarda Anastaysia: -Staysi, è ora di andare-
-Devo dirle solo un altro paio di
cose. In privato, vi prego. Sarò rapida- dice poi, fissando
Urania che annuisce e fa cenno a tutti di uscire.
Adesso nella stanza ci siamo solo io e Anastaysia.
-Tutti hanno letto la profezia perché tu la hai ricopiata. Ma solo tu puoi sapere quello che sto per dirti, Quinn-
Sbatto un paio di volte le palpebre
mentre Anastaysia mi afferra la mano: -Quinn, tu ce la farai. E' questo
che devi sapere. Sarà dura, l'ho visto. Arriverà un
momento, nello Scontro Finale, dove dubiterai di te, ma qualcosa o
meglio, qualcuno, ti farà capire che stai facendo la cosa giusta. So anche di chi si
parlava nelle ultime righe della profezia, ma non ho intenzione di
dirtelo. Io conosco tutte le tue scelte, sono già scritte nel tuo destino.
Dimenticherai, ricorderai, rimarrai ferita da parole che ti verranno dette, vorrai poter tornare indietro.
Avrai la possibilità di farlo.-
La sua bocca si avvicina al mio
orecchio; il suo fiato è freddo e pungente, come il vento che
scuote le fronde degli alberi.
-Udachi[1]
,
Quinn- sussurra, prima di sparire avvolta da fiamme azzurre che mi
lasciano addosso una sensazione di morte e di pericolo.
Mi viene la
pelle d'oca.
La macchina prende in pieno una buca e io mi sveglio di
soprassalto; guardo il paesaggio che corre velocemente e mi perdo nei
miei pensieri. E' da due giorni che io e Anastaysia abbiamo parlato, e
non ho voluto dire a nessuno quello che mi ha detto la strega in
privato.
Da due giorni non vedo Al e direi che mi manca terribilmente, se non
fosse che così ammetterei a me stessa che per lui provo qualcosa.
Qualcosa di completamente sbagliato, perché tutto quello che sto
vivendo è una situazione precaria, e in più lui non
è umano.
Ma importa molto la natura del tuo amore, se per lui provi quello che non hai mai provato con nessun altro prima di lui?
Scuoto la testa, per scacciare quei pensieri scomodi ed irritanti come un moscerino della frutta.
Jack mi dà un colpetto sul braccio e mi volto verso di lui, che
ha il volto tinto del rosso del tramonto dell'Ohio. Stiamo andando da
sua zia Olivia; e dico sua perché la signorina Farrell è
la sorella di Robert.
Passiamo sempre da lei il Capodanno, e nessuno si è mai lamentato troppo.
Nemmeno io posso lamentarmi, anche se Olivia mi considera qualcosa
come il frutto del peccato. Ma non m'importa quello che pensa lei; non
è veramente mia zia.
Non ho nessuna voglia di festeggiare, però è una
tradizione che portiamo avanti da quando mamma e Robert si sono
sposati: prenderemo il traghetto a Cleveland e ci godremo i fuochi sul
lago Erie, per andare poi a casa di Olivia, a Blenheim, al confine con
il Canada[2].
Olivia non è cattiva, ma dato che Robert è suo fratello, il suo amato e tanto adorato
fratellino minore; trova sempre qualcosa in me che sia materiale
perfetto per una frecciatina. L'anno scorso ha detto che le cheerleader
sono un'istituzione totalmente inutile, e invece ha lodato Jack per il
suo impegno nel football.
Quest'anno troverà da ridire sulle borse di studio e sul fatto
che mamma non si è vestita in modo adeguato. Olivia odia mia
madre, pensa che lei non sia la donna giusta per Robert.
Paradossalmente ama tutti i suoi nipti e loda sempre la figura di
Ingrid, la madre di Jack.
Quando Robert le ricorda, con tanto di quel veleno nella voce che lo
rende più mortale di un cobra, che Ingrid ha deciso di
abbandonare Jack, Olivia fa tutta l'impettita e si vendica tirando
frecciatine a destra e a manca, soprattutto alla sottoscritta, che
evita accuratamente di starla a sentire.
Mi ritrovo a pensare che io, Will, Jack e gli altri saremmo dovuti
andare a New York, per passare il Capodanno a Times Square. Dovevamo
prenotare tutto all'ultimo, per avere i prezzi migliori, ma dati gli
sviluppi della nostra storia penso che nessuno ci andrà.
Sorrido a Jack, mentre do un veloce sguardo ai sedili posteriori: Rose
e Lily sono addormentate sulle spalle di James e lui si è
appisolato con il mento nell'incavo del collo. Mio fratello si accorge
che nel mio sguardo c'è qualcosa che non ha mai visto prima: malinconia.
-Ehi, tutto okay?- mi domanda premurosamente.
Sono costretta ad annuire: davanti a Robert e mia madre non posso di certo parlare di roba sovrannaturale.
Ma la verità è che no, non è tutto okay. Forse non
potrà mai più essere tutto okay; l'immagine di Anastaysia
mi perseguita, accompagnata da Albie che si trasforma in un lupo
mannaro, patendo le pene dell'inferno.
Non è tutto okay perché ogni volta che mi guardo allo
specchio vedo sempre la stessa vecchia Quinn, che amava il suo ragazzo
più di ogni altra cosa al mondo, ma intanto dentro di me
c'è un nuovo fuoco che brucia; brucia così tanto che mi
fa quasi male.
Le Muse mi hanno detto che diveterò una macchina per uccidere;
io che solitamente riesco a contenere la mia rabbia, sarò
costretta a trovare un motivo per il quale dovrò uccidere la
regina della Druidresse.
Traghetto sul Lago Erie,
ore 17.25
Ted mi prende la mano e indica la riva che lentamente si allontana.
-Buon anno- mi sorprende Jack da dietro, e faccio un salto che mi
avrebbe fatto sbattere la testa contro il soffitto, se fossimo stati al
chiuso.
Mi tengo dentro l'insulto che vorrei appioppargli e gli sorrido:
-Tecnicamente dovresti augurare buon anno dopo la mezzanotte-, indico
la riva ad ovest del lago, dove c'è ancora un piccolo spicchio
di sole che lentamente ed inesorabilmente sta tramontando.
-Tecnicamente gli auguri si accettano senza dire nulla se non un grazie- rimbecca lui, sorridendomi a sua volta.
La mano di Teddy stringe la mia con più convinzione: -Quinn, abbiamo un problema-
Vorrei poter dire che il mio fratello di undici anni è uno di
quei bambini normali, e invece penso che abbia un quoziente
intellettivo sopra la media; mi volto verso la direzione in cui sta
guardando e scorgo dei capelli biondi che ho imparato a conoscere per
forza: Calliope.
La ragazza si volta e mostra, senza sorpresa, la Musa della Poesia
Epica; in una situazione normale mi chiederei come mai sono sul mio
stesso traghetto, attraversando il confine con il Canada, ma so che se
le vedo è perché ci sono guai in vista.
Calliope mi sorride e si avvicina, seguita a ruota dalle sue otto
sorelle; ci è davanti quando ci saluta tranquillamente: -Ehi,
Quinn, Jack, Teddy!-
Vorrei tirarle uno schiaffo, ma non passerebbe di certo inosservato,
così mi limito a sorriderle fintamente: -Calliope-, dico
semplicemente, prima che Talia prenda la parola, come è abiutata
a fare.
Vedo Tersicone roteare gli occhi ed Erato alzare le sue iridi rosse al cielo rosato.
-Sì, sì. Non ci piace disturbare le persone quando stanno festeggiando, però dobbiamo dirti una cosa-
Alzo le sopracciglia e fisso la ragazza che mi sta davanti, il commento
sarcastico esce senza che io abbia la minima possibilità di
fermarlo: -Oh, davvero? Pensavo che fosse una visita di cortesia, sai,
tanto per augurarmi buon anno-
La mano di Teddy sta praticamente stritolando la mia, ma non ho
intenzione di lasciarlo andare nemmeno io; la mano di Jack, invece, mi
stringe il braccio libero, come se volesse avvertirmi di calmarmi.
Tersicone prende la parola: -Sorvoleremo sul tuo commento, solo
perché è una cosa veramente urgente, Quinn. Puoi venire
un attimo sottocoperta?- mi domanda alla fine, addolcendo la voce.
Jack mi lascia immediatamente il braccio, e mi rendo conto che con "puoi venire" intende solo me.
Magari mi vogliono uccidere.
-Aspetta, no, rifletti- Oh, ecco che è ritornata la piccola
me con il tailleur grigio. Era da un po' che non la vedevo.
-Non possono ucciderti, Quinn. Sei l'arma per distruggere il male. Devono tenerti, stronza ed egocentrica come sei-
Mi avvio dietro alle Muse, che sembrano farmi quasi da guardie del corpo, e mi infilo sottocoperta con loro.
La prima cosa che vedo, però, sono le spalle di qualcuno.
Qualcuno che conosco molto bene: Albus.
Vorrei corrergli incontro e abbracciarlo, ma sento che non è un visita di cortesia quella che mi sta facendo.
-Cosa c'è?-
Sottocoperta del traghetto,
Lago Erie,
ore 18.00
-Non è una cosa possibile- dico io, risoluta.
-Si tratta solo di un paio di giorni, Quinn!- esclama Albie.
Mi domando come possa essere dalla loro parte.
Oh, certo, perché adesso vuole aiutare l'umanità.
-Non posso!- continuo io.
-Non sarai veramente scomparsa! Ci sarà una tua doppelgänger al
tuo posto! Non se ne accorgerà nessuno!- dice Clio.
-La parola doppelgänger non mi suscita di certo dei bei pensieri e in
più non ci voglio andare da sola- affermo infine.
In un attimo, Albie, che è stato dall'altra parte della stanza
per tutto il tempo della discussione è al mio fianco e mi
stringe una mano tra le sue: -Ti accompagnerò io, però,
Quinn
Olimpya. Ecco chi devo cercare di convincere. La bis bis bis nipote, o
comunque la parente più stretta di Anastaysia che le Muse sono
riuscite a trovare. E mi pare ovvio che viva a Budapest.
Guardo la mia mano tra quelle di Albie e mi rendo che il mio cuore si
è messo a galoppare. Dentro di me sto sorridendo, ma non riesco
ad estenderlo anche al resto del viso.
Vorrei abbracciarlo, qui, in questo momento, per respirare il suo
profumo di gigli, che si è lentamente librato nell'aria dopo il
suo passaggio. Ma non posso; mi devo trattenere perché ci sono
le Muse che hanno gli occhi color fuoco fissi su di me: si aspettano
una risposta.
Annuisco, impercettibilmente, ma sento tutte le dee sospirare di sollievo.
Finalmente riesco a staccare gli occhi dalle nostre mani e lo rivolgo alle Muse: -Quando dobbiamo partire?-
La stretta di Albie non ha intenzione di sciogliersi, e gliene sono
veramente grata: senza di lui non riuscirei ad affrontare tutto questo.
Talia si stringe nelle spalle: -Prima è, meglio è. Comunque abbiamo prenotato i biglietti per il 3 gennaio-
Le guardo allibita: -Il tre gennaio è dopodomani!- grido, e come
risultato ricevo uno "shhh" di gruppo da parte delle Muse e una mano di
Albie sulla bocca, per la seconda volta. Involontariamente, ricordo
l'ultima volta che mi ha tappato la bocca e arrossisco; fortunatamente
potrebbe essere considerato un cambiamento di colore dettato dal freddo
pungente che è entrato sottocoperta perché qualcuno
è entrato.
Dobbiamo smettere di parlare; le Muse si dileguano, avvolte dalle
stesse fiamme che hanno portato via Anastaysia dopo il nostro incontro,
lasciando me ed Albie, entrambi arrossiti e senza il potere di
staccarci gli occhi di dosso.
Uno degli ufficiali della nave ci trova senza troppe difficoltà:
-Ehi ragazzi!- ci urla dalla porta: -Non avete il permesso di stare
sottocoperta! Uscite da qui!-
Ringrazio silenziosamente chiunque sia colui che sta là in alto
e controlla le azioni delle persone, perché altrimenti io e
Albie ci saremmo ritrovati in una delle nostre solite situazioni
imbarazzanti.
Mi alzo di scatto, ma la sua mano non ha nessuna intenzione di
sciogliere la stretta, che invece si fa ancora più forte;
gli sorrido, piegando leggermente la testa di lato e lo guardo mentre
si alza lentamente, come se fosse il padrone del mondo e non uno che
è appena stato beccato da una persona con più potere di
lui, in un posto dove non sarebbe dovuto essere, in compagnia di una
ragazza.
L'aria fredda dell'ultimo giorno dell'anno ci avvolge come una coperta fatta di gelo e le nostre mani si sciolgono all'unisono.
Smetto di sorridere e il mio cuore ferma quasi simultaneamente la sua
corsa campestre verso la libertà; io e Albie: non si può
fare. Devo mettermelo in testa.
E allora perché ha proposto di accompagnarmi? Perché
arrossisce ogni volta che ci tocchiamo, anche solo per sbaglio?
Perché siamo arrivati a pochi centimetri l'uno dall'altra? La
mia testa si riempie di perché che non avranno una risposta.
O almeno, non l'avranno ora.
Jack ci nota immediatamente e ci viene incontro: noto, da come tiene le
braccia serrate ai fianchi, che ha una voglia matta di picchiare
qualcuno. Lo ringrazio con lo sguardo quando non assesta un pugno sulla
mascella di Albie.
-Cos'è successo?- mi domanda, nervoso; guardo Albie per sapere
se posso dirglielo e lui annuisce: -Beh, le Muse hanno trovato qualcuno
che può aiutarci-
-Aiutarci in che senso?-
Mi mordo il labbro inferiore, cosa che faccio molto raramente, e solo
quando devo dare delle notizie per cui non vado matta; è ovvio
che Jack lo noti e infatti mi domanda, una seconda volta, in che modo
questa persona ci può aiutare.
-E' una strega- mi viene finalmente in aiuto Albie, e quasi non ci
credo quando sento le sue dita che cercano furtivamente le mie, che al
posto di nascondersi nella manica del cappotto, come il mio cervello
gli sta ordinando di fare, stringono quelle del bibliotecario.
-E...?- curiosità Farrell: ogni tanto ti viene voglia di uccidere pur di avere qualche informazione.
-Jack, Olimpya è la parente più stretta di Anastaysia.
Devo convicerla ad aiutarmi. Il problema è che abita a
Budapest-
Mio fratello si strozza con la sua saliva ed emette qualcosa che
somiglia vagamente ad un principio di suicidio; cerco di avvicinarmi,
ma lui si scansa.
-Mandaci una delle Muse. Non ti lascerò andare dall'altra parte del mondo,
Quinn!- dice, alzando un po' troppo il tono di voce; mi guardo intorno,
per sapere se mamma e Robbie hanno sentito qualcosa, ma è molto
probabile che siano sull'altro ponte; quello che dà sulla riva
canadese del lago.
-Ci sarò io con lei, Jack-
E' la prima volta che Albie e Jack si parlano direttamente. E
ovviamente c'è un valido motivo: non provano un affetto
viscerale l'uno per l'altro.
-Non lascerò mia sorella nelle mani di un fottuto lupo mannaro-
sibila mio fratello. Quando Jack inizia a fare così, è
perché sta per scoppiare. Mio malgrado, sciolgo la mia mano
dalla stretta di Albie e mi avvicino a Jack, prendendogli il volto tra
le mani.
-Jack, devi stare tranquillo. Saranno solo un paio di giorni. Non se ne accorgerà nessuno-
La testa di mio fratello crolla sulla mia spalla, mentre lui mi avvolge
in un abbraccio fraterno e iperprotettivo: -Non voglio che tu te ne
vada- sussurra sul mio cappotto; gli accarezzo i capelli e con il
braccio libero rispondo alla sua stretta: -Ehi, sono solo due giorni.
Sopravviverai. E forse ti divertirai anche senza di me- gli dico io
all'orecchio.
-No, tu non capisci, Quinn. Non voglio che tu ci vada. Potrebbe
succedere qualsiasi cosa. Alla fine di questa cosa potresti non uscirne
bene, lo sai anche tu. Quinn, prendi le cose troppo alla leggera. Non
ti succederà nulla se ci sarò io...- Jack si ferma per
prendere fiato e io lo interrompo: -Jack, lasciami andare. Ti prego. E'
importante. Non te lo chiederei se fosse una cosa che possono fare le
Muse. Per favore, lasciami andare-
Non ho molto altro da dire per confutare la sua teoria, totalmente
fondata. Lo sento annuire, ancora immerso nel mio cappotto. Sorrido di
sbieco quando scorgo Teddy che ci guarda in modo interrogativo
, devi accettare. Abbiamo bisogno di lei. E lei si deciderà
solo se sarai tu a convincerla-
Lago Erie,
Ore 23.58
Due minuti, centoventi secondi. Ecco quanto manca al nuovo anno.
Un anno che si apre in un modo completamente inaspettato, per me.
Ripercorro velocemente tutto quello che è successo quest'anno,
senza soffermarmi troppo sull'ultimo periodo, che è quello che
mi ha letteralmente stravolto la vita.
Mamma e Robbie si concedono un ballo sottocoperta, nella sala da ballo,
mentre tutti noi siamo fuori a gelare; però Jamie e le gemelle
hanno tanto insistito perché uscissimo dal ristorante per poter
guardare i fuochi d'artificio da Cleveland.
In lontananza vedo Albie, che, tutto solo, ha lo sguardo perso nel
vuoto e nella tenebra del lago; do uno sguardo alla luna, che si
è alzata lentamente in cielo. E' solo uno spicchio e somiglia
vagamente al sorriso dello Stregatto di Alice nel Paese della
Meraviglie.
Mi avvicino al mio amico, perché nessuno si merita di passare i
primi minuti di Capodanno da solo. E la mia presenza non può
essere poi così tanto sgradita.
-Ehi- sussurro, appoggiandomi con i gomiti alla balaustra di alluminio della nave.
Albie sorride, e quel sorriso sembra rischiarare il mondo. Sì,
sarebbe anche in grado di spegnere il sole, se volesse.
E' triste
pensare che non si sia voluto legare a nessuno, perché ha paura
di poter ferire qualcuno.
Qualsiasi ragazza avrà il privilegio di acquistare la fiducia di
Albus, dovrà essere veramente speciale, e spero che lei lo possa
capire in fretta, perché lui non è di certo uno che si
può lasciare scivolare via dalle mani, come si fa con i granelli
di sabbia sulla spiagga; Albie è il pezzo di vetro che è
stato levigato dal mare, non un granello qualunque.
-Ehi-, mi risponde lui, dopo un tempo che mi sembra infinito.
Queste sono le parole che ci rivolgiamo, prima che i fuochi d'artificio
inizino a scoppiare in cielo, illuminandolo, e riflettendo le nostre
ombre sul legno del ponte.
-Buon anno, Al- gli dico, voltandomi completamente verso di lui e
guardando i giochi di luci e ombre che si proiettano sul suo volto.
-Buon anno, Quinn- afferma lui, senza smettere di guardare il lago.
Sorrido, di nuovo. E penso che forse è meglio lasciarlo da solo,
ma quando sto per allontanarmi da lui, la sua mano intreccia la mia per
l'ennesima volta, in questa giornata. Inaspettatamente mi stringe a
sé. Mi sta veramente abbracciato.
Affondo il viso nella stoffa del suo cappotto che sa di libri e di gigli: l'odore di Albie. Odore di casa.
Senza il mio consenso, il mio cervello fa comparire la mini me, che
però è vestita in modo decisamente meno formale. E'
Capodanno anche per la mia Coscienza, in fondo.
-Penso che se il filtro d'amore di Harry Potter esistesse, il tuo saprebbe di gigli, dopobarba e libri. Ti dice niente?[3]-
La mini-me sorride raggiante, prima che io ritorni alla realtà e
mi renda conto che sto ricambiando l'abbraccio di Albie come se fossi
alla deriva.
E alla deriva lo sono davvero. Senza un'ancora, un appiglio, qualcuno in grado di capirmi.
Volgo lo sguardo verso il pontile, e noto le ombre che vengono
proiettate ad intermittenza dai fuochi d'artificio: due persone fuse in
una sola. Che si abbracciano come farebbero tante altre.
I nostri occhi, infine, si incrociano. Mettono fine a tutto questo: ci
impongono di lasciarci andare, e noi diamo loro ascolto, come se
fossimo stati sgridati dalla maestra.
Note:
[1]: E' scritto: удачи ed è pronunciato "udachi", vuol dire buona fortuna in Russo.
[2]: Tutte le informazioni geografiche sono reali, se esista veramente un traghetto sul lago Erie il 31 dicembre, non lo so.
[3]: No, dai, non uccidetemi. Giuro che non avrei voluto scriverlo,
però, rendetevi conto. Alla fine sono una Potterhead, non
fatemene una colpa.
Angolino dell'autrice:
Okay, non voglio che mi uccidiate per via di Harry Potter, però, cercate di capirmi.
Questo, comunque, è stato l'inizio della mia interminabile fine.
Fino a qui tutto è andato liscio, come volevo.
La fine c'è e, fosse l'ultima cosa che faccio, la pubblicherò.
Anche se dovessi mettermi a scriverla nell'Aldilà, con un foglio di pergamena e uno stilo.(?)
Purtroppo è nella mia testa. E non riesco ad andare avanti.
Va beh, nulla, a presto!
ASPETTO RECENSIONI! *piazza un cartello con sotto Quinn e Albie che si guardano in modo intenso, come fanno di solito*
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Capitolo 15 *** XV. ***
Prophecy
3 gennaio
Ore 05.30
Vialetto di casa Farrell.
La neve continua a scendere copiosamente da due giorni; io e Albie speriamo che il volo possa partire in orario.
E a proposito del bibliotecario, mi chiedo dove sia andato a finire,
visto che dovevamo incontrarci qui un quarto d'ora fa. E' vero che il
volo parte alle 11 del mattino, però dobbiamo sistemare la
faccenda della doppelgänger, che non abbiamo più potuto
discutere dopo il nostro incontro di Capodanno.
Per questo motivo, e forse anche per il freddo pungente che si fa
strada nelle mie ossa, mi sto torcendo nervosamente le mani, in attesa
di poter scorgere la macchina di Albie spuntare dal manto di neve
soffice che si è venuta a creare.
Ed eccola lì, nera e lucida, la sua auto che si fa strada, con
l'aiuto delle catene; i tergicristalli sono in movimento con un
intervallo regolare, che immediatamente fa accellerare il mio battito
cardiaco.
Questa sarà anche la prima volta che vedo Albie, dopo Capodanno.
E spero che tra di noi smetta di aleggiare tutto quell'imbarazzo che
non fa per niente bene.
Recupero il mio trolley, che contiene il necessario per poter
sopravvivere tre giorni fuori da casa, e vedo Albie che, dopo essersi
fermato sul limitare del vialetto di casa mia, scende in fretta dalla
macchina, scontrandosi con il freddo in un solido cappotto grigio con
un disegno tartan che lo fa somigliare molto ad uno scozzese di Glasgow[1].
Mi augura il buongiorno con un tono basso, ma comunque rassicurante.
Direi che non mi dispiacerà per niente dover stare in giro con
Albie per tre giorni.
Ecco che la mia coscienza spunta fuori, di nuovo con il suo tailleur
grigio: -Quinn, smettila di pensare a cose simili! Stai andando in
Ungheria per poter incontrare Olimpya, non è una vacanza!-
Beh, in effetti ha ragione, e ci credo, è la mia coscienza. Deve avere ragione! Almeno lei.
Dopo aver caricato la valigia nel bagagliaio della sua auto mi rintano
nel sedile del passeggero fino quasi a fondermi con esso. Le mie mani
scattano automaticamente sulle bocchette dalle quali esce un'aria
calda. Non penso che Albie necessiti di aria calda, considerando in
fatto che ha sempre una temperatura corporea che oscilla tra i
quarantanove e i cinquantra gradi centigradi, ma evito sempre molto
accuratamente di finire nell'argomento: licantropia.
Albie mi segue a ruota e, prima di ripartire verso la biblioteca mi guarda per un attimo e sorride.
Prima che io possa chiedergli cosa abbia, mette in moto la macchina e
attraversa le case imbiancate dalla neve, che hanno ancora le
decorazioni delle feste natalizie appese alle finestre. Il silenzio che
alberga sovrano fa ancora più male delle parole che potrebbe
rivolgermi Albie.
La neve fa in tempo a sciogliersi tra i miei capelli e dai miei
vestiti, quando arriviamo alla biblioteca comunale. Ammetto che alle
cinque e quaranta del mattino, questo posto mette un po' di ansia.
Somiglia molto all'idea che mi sono fatta del Cimitero dei Libri Dimenticati di Zafon[2].
-Sei pronta?- domanda finalmente Albie, con lo stesso sorriso sornione di prima dipinto sulle labbra.
Annuisco: non ho intenzione di parlare con lui. Ho paura di aprire la
bocca e ritrovarmi a dire qualcosa di sconveniente e con il quale
dovrei convivere per i prossimi tre giorni.
Con un tintinnio della campanella d'entrata, siamo nell'atrio della biblioteca, completamente al buio.
Mi volto verso Albie che mi prende per mano e mi guida verso quella che
suppongo sia la sezione fantasy; beh, sì, la strada è
questa, ma c'è qualcosa, nell'aria, che mi dice che non è
il posto giusto.
Guardo Albie e mi rendo conto che non è Albie.
Cerco di sciogliere la mia mano dalla sua presa, ma ogn volta che tiro
uno strattone, la sua mano si stringe ancora di più. Ho paura, e
il cuore perde qualche battito quando vedo che il falso Albie si
trasforma, lentamente in un ragazzo che ha più o meno la mia
età, con gli occhi blu come l'oceano, il naso dritto e le labbra
sottili.
Il suo tocco mi provoca un senso di calore e di freddo
contemporaneamente. E' come quando ti immergi nell'acqua troppo calda
che ti sembra fredda.
-Mi dispiace averti spaventata, Quinn- sussurra, senza che il sorriso svanisca dalle sue labbra.
Finalmente riesco a parlare: -Chi sei tu?- gli domando, con la voce che trema.
Dov'è Albie? Cosa gli hai fatto?
E' questo che gli vorrei chiedere, ma improvvisamente vedo il
bibliotecario che mi viene incontro e mi libera dalla stretta ferrea di
quel ragazzo dagli occhi blu e i capelli marroni scuri, per farmi
accomodare nel suo abbraccio.
-Avevamo pattuito che non l'avresti spaventata- dice Albie emettendo un suono basso e spaventoso.
Nonostante sappia che lui è il vero Albie, lo posso veramente
sentire dal suo profumo, il tono che utilizza contro il ragazzo mi fa
paura. Come se avesse ringhiato.
Certo, è un lupo mannaro, alla fine, ma sarà in grado di ringhiare[3]?
Mi rendo conto che questo non è il momento di porre domande
stupide quando vedo gli occhi ossidiana di Albie riflettersi nei miei:
-Stai bene, vero, Quinn?- mi domanda, con il suo tono che usa con me e solo con me.
Annuisco, ma non riesco a smettere di stringere la stoffa del suo maglione color bottiglia.
-Sarà meglio iniziare. Prima ce ne andiamo, meglio è, credimi, Quinny-
Sorrido, perché mi ha chiamata Quinny, e questo mi riporta a
quando non provavo niente per lui e non sapevo che fosse un lupo
mannaro ed ingoravo la profezia. Smetto di tremare quando mi rendo
conto che posso dire semplicemente al mio corpo di non avere paura.
Che possa essere una qualche specie di potere sovrannaturale?
Prima di poter rispondere a questa domanda, Albie mi porta nella
sezione dei libri classici, dove trovo le Muse sedute in cerchio,
illuminate dalla soffusa luce delle candele bianche che ardono in ogni
angolo della stanza.
In piedi, sull'altro lato della stanza, c'è il ragazzo spettrale che ha finto di essere Albie.
-Non ho avuto l'onore di presentarmi. Sono Ade-
Emetto un rantolo, dato che mi sto per strozzare con la mia saliva:
-Ade?- domando, come se fossi una bambina stupida e dura di
comprendonio.
-Sì, sai, il Re dei Morti- mi dice lui, indossando un sorriso che prenderei volentieri a schiaffi.
-Cosa ci fai qui?- mi riprendo immediatamente. Nessuno può
prendermi in giro, perché io sono Quinn Evelyn Farrell, e se Mr.
Re dei Morti non si dà una calmata, lo prenderò a
calci nel sedere.
-Sono qui perché hai bisogno di una doppelgänger[4]. Le Muse non sono in grado di crearla. Io creo e distruggo-
Dalla bocca mi sfugge un: -Pensavo fosse Zeus quello che comanda-
Ade sbuffa e mi guarda un attimo, prima di chiudere gli occhi e
sussurrare qualcosa a mezza bocca; al centro del cerchio delle Muse si
crea lentamente, come se stesse uscendo dall'acqua, una creatura alta
quanto me, ma dalla consistenza trasparente.
Le parole che si formano sulla bocca di Ade si fanno più veloci
e davanti a me c'è un'altra Quinn Evelyn Farrell, che indossa
una vestaglia che le arriva a sfiorare i piedi nudi.
-Portatela a casa. Là le dovrai infondere l'alito vitale-
afferma il Re dei Morti, tornando alla sua solita faccia da schiaffi.
Non ho potuto ben osservare i suoi occhi fino a questo momento:
l'oceano, in confronto, è di un blu acquamarina spento e
sciocco; gli occhi di Ade sono del colore del mare in burrasca a
dicembre, con delle folte ciglia marroni che gli conferiscono un'aria
giovane ma austera.
Ho paura di quel colore. Mi terrorizza.
Le Muse prendono la ragazza e la trascinano come se fosse un tronco di
legno. Senza alcuno sforzo; Albie esce dalla stanza, ma prima mi
rassicura con una stringendomi la spalla, come si farebbe con un amico, non con la ragazza per cui provi qualcosa.
-L'alito vitale?- gli domando, dopo che tutti se ne sono andati, lasciandoci soli.
-Le dovrai semplicemente soffiare addosso. Così- afferma il
ragazzo, prima di avvicinarsi pericolosamente vicino a me, e
lasciandomi sulla pelle delle guance un alito di vento freddo e
pungente come quello che c'è fuori. Del resto il Re dei Morti
non può di certo essere qualcuno di caldo e rassicurante.
Apro gli occhi, che ho tenuto serrati per tutto il tempo del suo
teatrino e me lo ritrovo ad un palmo di naso: i suoi occhi sono così in contrasto con l'azzurro cielo dei miei.
Prima che io possa fare o dire qualsiasi cosa, Ade scompare nella
stessa ventata di aria mischiata a fiamme che si è portata via
Anastaysia e le Muse.
ore 7.40
Macchina di Albus,
sedile del passeggero.
-Questa band è orribile!- esclamo io, estraendo il CD dal lettore e infilandone uno decisamente migliore.
-Che sono orribili lo dici tu! Sono bravissimi, invece! Solo sottovalutati!-
Sbuffo, prima di far partire a palla qualcosa che, per forza o per
amore, deve svegliarci entrambi.
Quando il CD termina noi piombiamo nel silenzio più assoluto; l'unico
rumore proviene dalle macchine che sorpassiamo veloci sull'autostrada
per andare all'aeroporto di Cleveland.
-Pensi che qualcuno se ne accorgerà?- domando infine ad Albie.
Di fatti è questa la domanda che voglio realmente fargli da
quando ho salutato Jack e Teddy, sulla porta di casa.
-Che al tuo posto c'è una doppelgänger?-
Annuisco e lo vedo rabbuiarsi un poco, poi finalmente mi risponde: -No,
non penso che se accorgerà nessuno. Ade deve essere uno che ci
sa fare con questo tipo di cose. Sono il suo pane quotidiano-
-Chissà come deve essere per Persefone...- mi lascio sfuggire
dalle labbra, e vedo Albie sorridere per la prima volta da quando ci
siamo incontrati questa mattina.
-Te lo ricordi ancora, quindi- dice lui, riferendosi alla
full-immersion che abbiamo fatto il giorno prima del mio test di
mitologia greca.
Faccio un cenno con il capo e scrollo le spalle, fingendo di non
ricordarmi di cosa parla; lui mi dà di gomito e alla fine cedo:
-Non di certo perché sei stato tu a farmi ripetizioni! Sono cose
che mi interessano!- esclamo.
Albie si finge offeso, prima di svoltare per entrare nel parcheggio a pagamento dell'aeroporto.
Scendo dalla macchina e recupero la mia valigia, mentre sento i miei
stivali che scricchiolano sulla neve fresca, che fortunatamente ha
smesso di cadere dal cielo. Dopo un incerto passo in direzione
dell'aeroporto sto per finire con il sedere a terra, ma la mano di
Albie mi prende per il braccio. Non dice nulla, mi fissa soltanto, come
se stesse decidendo se lasciare andare il mio braccio e abbandonarmi al mio
destino, oppure tenere ben salda la presa su di me, scontrandosi con
l'imbarazzo.
Opta per la seconda, perché mi avvicina di più a lui,
fino a prendermi sottobraccio; non ho voglia di ritrarmi a quel tocco
che mi provoca i brividi di piacere.
Albie estrae dalla tasca del suo cappotto una passaporto: -Questo
dovrebbe essere il tuo- mi dice, porgendomelo; lo afferro con la mano
libera e fisso il nome che qualcuno ha scelto per me.
-Quindi sarei Isabella Harmful4?- domando, con l'ombra di un sorriso che
mi aleggia sul volto; Albie legge il suo passaporto: -Sempre meglio di George Hamilton-
Mi rendo conto che questi passaporti li ha compilati Talia, con il suo innato senso dell'umorismo, molto inglese.
Ore 09.35
Caffetteria dell'aeroporto di Cleveland
Davanti ad una tazza di caffè fumante.
-Ti va di accompagnarmi a comprare un libro, prima di imbarcarci?- mi
domanda Albie con un tono di voce che lascia trasparire la sua paura di
volare; non ci ho nemmeno pensato, tanto stupida come sono. Non ha
senso che Albie si sia offerto di accompagnarmi se ha paura dell'aereo.
Vorrei che la mia Coscienza in tailleur fosse qui a dirmi che Albie
prova qualcosa per me, ma non c'è. Non che mi dispiaccia poi
molto, considerando il fatto che cerca sempre di riportarmi sulla retta
via, anche se la sua idea di "retta via" corrisponde al mio "vita
noiosa".
-Non è poi così terribile- dico io, prima di rendermi
conto che stiamo passeggiando lontani quasi cinquanta centimetri per
evitare ogni tipo di contatto fisico. Ottimo, no?
No, per niente. Questo non farà altro che aumentare il mio
imbarazzo e le mie domande che sono destinare a restare irrisolte.
-Cosa, non è poi così terribile?- mi domanda lui, senza
avvicinarsi di un millimetro. A questo punto nella mia mente si forma
un chiaro e limpido pensiero che si illumina con delle lucine verdi al
neon tutte intorno: "CHE SIA DELL'ALTRA SPONDA?!?"
La piccola me in tailleur grigio sta sotto a quella scritta e se la
sghignazza allegramente. La vorrei prendere a schiaffi, ma penso che
come risultato sarebbe veramente pessimo; del resto Pinocchio non
è riuscito a disfarsi del Grillo Parlante, o mi sbaglio?
-Volare- riesco infine a staccare dal palato. Come potrò passare
tre giorni con una persona per cui provo qualcosa senza avere la
possibilità di sapere cosa? E con altri mille e mille
interrogativi che non fanno altro che ronzarmi per il cervello bacato?
-Gli uomini non hanno le ali, quindi non sono adatti al volo- borbotta
lui, cercando di non farsi sentire, ma con scarso successo.
Una donna, sulla trentina, ci passa in mezzo con tutta la fretta e
l'ansia che solo un viaggiatore può avere, e Albie finalmente si
rende conto che mi sta camminando a mezzo metro di distanza; con uno
stridio delle suole delle sue scarpe da ginnastica si avvicina a me, e
mi rivolge uno sguardo di scuse, al quale rispondo con un sorriso
calmo, ma solo all'apparenza.
Ore 9.40
Libreria dell'aeroporto di Cleveland,
tra due scaffali stracolmi di libri.
Sto controllando tutti i titoli di cui è fornita la libreria
dell'aeroporto e mi rendo conto che ne ho letti almeno la metà;
Albie sta controllando i titoli in alto dello scaffale dirimpettaio al
mio; sento il suo profumo di gigli ogni volta che fa un passo per poter
passare in rassegna altri titoli.
Estrae una copia del
Gioco dell'angelo di Zafon. Sorrido, ricordando la libreria di
Albertville, e rendendomi conto, per la prima, vera volta, che sto per
affrontare un viaggio che mi poterà in un paese totalmente
diverso dal mio, che sta in un continente dall'altra parte dell'oceano,
del quale ignoro sia lingua, che cultura.
Mi preoccupo, fino a quando non scorgo la copertina di Dracula.
Senza smettere di sorridere, la prendo tra le mani e, dopo avergli dato
una leggera occhiata, mi volto verso Albie, che sta ancora ispezionando
i libri, ma tra le mani ha stretta la copia del Gioco dell'angelo.
-Hai scelto?- gli domando, sventolandogli davanti al naso la mia copia di Dracula;
Albie mi rivolgeuno sgaurdo divertito: -Dracula, di Bram Stoker? Davvero?- mi domanda, sorridendo.
Annuisco ed emulando il suo tono di voce gli chiedo: -Il gioco dell'angelo, di Zafon? Davvero?-
Scoppia in una risata cristallina che mi mette di buon umore e ci dirigiamo alla cassa, evitando comunque di sfiorarci.
La donna che sta dietro al bancone è una fotocopia spiccicata di
Emily Sax, la donna che lavora come segretaria nell'ufficio del
sindaco e che fa il filo ad Albie da che ne ho memoria.
-Conti separati oppure uniti?- domanda, riportandomi sul pianeta terra,
e strappandomi ai ricordi di quel giorno che, intuisco dal lieve calore
che provo sulle guance, mi hanno fatta arrossire.
Albie tira fuori una banconota da venti dollari: -Uniti, per favore- le risponde, con dolcezza.
Con me, quel tono, lo usa solo quando mi sta prendendo per i fondi, e
mi ritrovo a sorridergli come un'idiota, guardando i suoi occhi che non
si perdono nemmeno un movimento della libraia.
-Ecco a lei- dice la donna, porgendo il sacchetto di carta marrone ad
Albie, e cercando in tutti i modi possibili di sfiorargli le mani, tese
per afferrare i libri. Un formicolio mi sale alle mani e sono costretta
ad infilarle velocemente nelle tasche del cappotto per evitare che
Albie veda che mi stanno tremando.
Perché tremano, poi? Mica gli ha fatto nulla, quella donna. Ha
semplicemente cercato un contatto fisico con lui, seppur breve. Devo
darmi al più presto una regolata, perché non posso essere
gelosa di un ragazzo che non ricambia i miei sentimenti.
La mia coscienza spunta fuori e si mette a sbraitare: -Non ricambia i
tuoi sentimenti, stupida ragazzina? Allora le sue labbra si avvicinano
alle tue per una forza sovrannaturale? Per una roba da lupi? Ma fammi
il favore! Se gli chiedessi di scalare l'Everest a mani nude lo
farebbe!- poi si mette a borbottare una serie di insulti contro di me,
che decido di non ascoltare, perché, da quello che so io, la
coscienza non dovrebbe insultare la persona che rappresenta.
Albie mi schiocca le dita davanti agli occhi: -Stai bene, Quinny?-
Sorrido e mi affretto ad annuire. Controllo l'orologio e mi rendo
tristemente conto che manca ancora un'ora all'imbarco; usciamo dalla
libreria, e Albie deve aver avuto il mio stesso pensiero.
-Qualcosa che ti viene in mente di fare, prima di lasciare il paese per giorni, Isabella?-
Noto che ha utilizzato il nome sul mio passaporto, e probabilmente
dovrei iniziare a chiamarlo anche io George, anche se non mi aggrada
per niente.
Annuisco, di nuovo ed Albie m rivolge uno sguardo molto preoccupato: mi posa una mano sulla fronte e poi la ritrae.
-Sei certa di stare bene? Sei molto meno loquace rispetto agli altri
giorni-, poi mi prende la mano e non posso are a meno di arrossire ed
abbassare lo sguardo.
-Staranno bene, vedrai, Quinn- mi dice rassicurante, con un sorriso che affiora sulle labbra.
Non so per quanto tempo ancora potrò resistere alla tentazione
di prenderlo per il bavero del cappotto e trascinarlo fino alla mia
altezza, per assaporare quelle labbra, dalle quali escono sempre le
parole giuste per ogni occasione.
Ritraggo la mano, come se mi avesse attraversato una scossa e farfuglio
un: -Devo andare alla toilette-, prima di mettere più distanza
possibile tra me ed Albie, che in questo momento mi fa solo da
tentazione vivente ed ambulante, alla quale dovrò resistere per
non so quanti giorni.
Mi pare chiaro che il mio unico desiderio: lo stare da sola per un po',
non possa realizzarsi, perché Albie, correndomi dietro, mi
prende per un braccio e mi fa voltare.
I miei occhi sono velati dalle lacrime e lui se ne accorge: -Quinn...-
inizia. So che se lo lasciassi finire, mi perderei nei suoi squarci di
cielo notturno senza possibilità di fare ritorno.
-No, Albus- dico semplicemente, scivolando via dalla sua dolce stretta
per recarmi nel bagno delle signore che, fortunatamente, è
completamente vuoto.
Per evitare qualsiasi tipo di domanda indiscreta, scaturita da quella
che viene definita: "solidarietà femminile", apro tutte le porte
dei bagni e lascio che le lacrime siano libere di scorrere sulle mie
gote e di lasciarmi gli occhi arrossati.
Apro l'acqua fredda e mi riempio le mani, per poi sciacquarmi il viso. Ho bisogno di riflettere in modo lucido.
Mi siedo sul water di mezzo, con la porta aperta e mi permetto di
singhiozzare come una stupida per tutto quello che sta accadendo. Da
brava idiota sto dando più importanza ai miei ormoni, che alla
salvezza del mondo.
Dieci minuti dopo, o forse un quarto d'ora, esco finalmente dalla
toilette con gli occhi arrossati e la voglia di abbracciare Jack,
mentre mi sussurra che va tutto bene; ma Jack non c'è. E non ci
sarà nemmeno quando saremo a Budapest. Quindi mi armo di forza e
di coraggio e, tenendo la testa alta, mi dirigo nuovamente verso le
sedie di plastica dell'attesa dell'aeroporto.
Albie mi scorge, e vedo che vorrebbe alzarsi e corrermi incontro, per
tranquillizzarmi, ma non lo fa, e gliene sono silenziosamente grata.
-Il nostro imbarco è tra mezz'ora. Cosa vuoi fare?- mi domanda,
facendomi spazio sulla sedia accanto alla sua. Mi siedo su quella che
gli sta di fronte.
-Voglio stare seduta qui-
dico, in modo risoluto, con lo stesso tono di voce che utilizzerebbe
una bambina dopo aver litigato con il suo amico del cuore.
Albie alza gli occhi al cielo: -Cosa ho fatto, adesso?- mi chiede
sbuffando. Vorrei sorridergli e dirgli che non ha fatto niente, che
sarebbe anche la verità, ma non riesco a scollare le parole dal
palato. Mi limito a scuotere la testa mentre lui, con un sospiro
prolungato, si alza e si viene a sedere accanto a me. Il suo odore di
gigli e libri si impossessa delle mie narici e quando mi rivolge la
parola guarda ovunque tranne che nella mia direzione: -Quinn, ascolta,
mi dispiace, okay?-
-Smettila- sussurro semplicemente; le parole mi escono fuori senza che
io possa controllarle: -Smettila di scusarti, perché non
è colpa tua, perché non hai fatto proprio niente. Non
scusarti perché stai cercando di aiutarmi.
Sarebbe tutto molto più semplice se tu mi odiassi, Al-
Albie sospira, di nuovo; una cosa che non gli ho mai visto fare, ora
che ci penso: -Sì, sarebbe più facile- dice solamente.
-Perché non mi tratti come una delle tante che viene in
biblioteca per vederti?- gli domando, dopo un silenzio che sembra
durare un'eternità.
-Perché tu non vieni in biblioteca per vedere me- il suo
silenzio accende dentro di me la speranza che, per una misera volta,
potrebbe anche provare qualcosa per me: -Lo fai per leggere- dice,
alzandosi e tornando alla sedia che aveva abbandonato.
Afferro il mio telefono e mi metto a scrivere di fretta un messaggio a
Jack, promettendogli di chiamarlo quando arrivo in albergo; poi infilo
le cuffie nelle orecchie e mi rilasso sulla sedia con la musica a
palla.
Lentamente le mie palpebre si fanno pesanti, fino ad arrivare a
chiudersi da sole. L'ultima cosa che vedo è il viso di Albie,
con un'espressione che lascia intendere che si è perso nei suoi
pensieri. Mi sistemo alla bell'e meglio, fino ad assopirmi sulla sedia
ormai calda.
-Ultima chiamata per il volo PZ458 per Budapest. Ultima chiamata per il volo PZ458 per Budapest-
Vengo svegliata dalla voce di una delle hostess che gracchia in tutto
l'aeroporto; mi guardo intorno spaventata e vedo ad un centimetro dalla
mia fronte, le labbra di Albie.
Mi lascia un bacio leggero sulla fronte e poi mi sussurra all'orecchio: -Dobbiamo andare, Izzy-
Mi stropiccio gli occhi e quando riprendo il controllo del mio cervello
noto che siamo davanti al gate; sto per chiedere ad Albie come ci sono
arrivata, ma lo vedo sorridermi e tendermi la mano. Nonostante tutto,
nonostante le domande che continuano ad ammassarsi nella mia testa
senza un filo logico, la afferro e mi alzo dalla sedia di plastica, che
intanto da blu è diventata nera.
Le hostess mi sorridono, mentre Albie tende loro i nostri falsi passaporti.
-Buon viaggio, signorina Harmful, signor Hamilton-, dice una giovane
ragazza dai capelli del mio stesso colore, ma con gli occhi nocciola;
leggo il nome sul cartellino della sua divisa: Elizabeth.
-Grazie- ribatte semplicemente Albie, prima di prendermi sottobraccio e prendere entrambi i nostri bagagli a mano.
Lo fisso divertito, mentre mi chiedo da quanto tempo mi ha trasportata da una parte all'altra dell'aeroporto.
-Quindi, George, da quanto tempo mi avevi portata al gate? No, perché sembrava che Elizabeth ti avesse già mangiato con gli occhi-
Albie scoppia in un'allegra risata: -Elizabeth, come la chiami tu, mi aveva chiesto se tu fossi la mia ragazza-
Arrosisco, e mi rendo tristemente conto che voglio
sapere cosa le ha risposto. Prima che io possa chiederglielo, lui mi
precede: -Le ho detto che sei la donna della mia vita, Isabella Harmful-
Sospiro, mentre Albie mi dà una mano a salire sulla scaletta dell'aereo.
Il pilota e il suo vice controllano le nostre carte d'imbarco, e
consegnano ad Albie un cuscino e una coperta: -Per la signorina-
afferma, con un sorriso che lascia intendere tutto e niente, il pilota.
Al mio passaggio sento i suoi occhi strisciarmi addosso come se fossero
due anguille viscide; la mano di Albie si poggia sul mio fianco e mi
accompagna con dolcezza sul mio sedile, accanto al finestrino: -Non mi
piace come ti stava guardando il pilota- sussurra, mentre sistema le
nostre borse sulle cappelliere dell'aereo.
Non appena si siede, mi stiracchio, per poi cadere con la testa sulla
sua spalla sinistra: -Oh, beh, a me non piaceva come ti stava guardando
la hostess, ma non mi sono lamentata- gli dico, con un sorriso
sardonico sulle labbra.
-Sarà un viaggio lungo, lo sai, Quinn?- dice la mia coscienza,
che si è costruita una fortezza con i cuscini, stile Peter
Griffin; non mi prendo nemmeno la briga di risponderle, perché
tanto conosceva la risposta ancora prima di rivolgermi la domanda.
La mano di Albie passa davanti al mio naso, per la seconda volta: -Sei pensierosa, Izzy-
-Se non la pianti di chiamarmi Izzy, giuro che ti rompo l'osso del collo- gli dico, mentre lo vedo sorridere ancora.
Il pilota fa un breve giro dell'aereo e guardacaso
decide di fermarsi proprio sulla fila dove ci sono i nosti sedili; lo
inquadro un attimo e penso che non può avere più di
venticinque anni, beh, almeno ha fatto carriera, mi ritrovo a pensare;
non si piò di certo dire che sia un brutto ragazzo: è
alto, ma non dinoccolato, e con la divisa ha un fascino d'oltreoceano;
deve essere originario dell'Est Europa e quindi questa non è
nemmeno la prima volta che fa questo lungo viaggio; il colore della sua
giacca da pilota è molto simile al colore dei suoi occhi, blu
oceano.
Sta tranquillizzando tutti i passeggeri, ma i suoi occhi si fermano spesso, e forse un po' troppo spesso, su di me.
-Quindi, signori, vi auguro un piacevolissimo viaggio ed un altettanto
piacevole atterraggio nella splendida città di Budapest-
Sorride a tutti, e poi, con il suo fare da anguilla, sorride a me, ignorando bellamente l'occhiata assassina di Albie.
Dopodiché, la hostess prende il suo posto e ci indica le uscite
di sicurezza e tutto il resto, metodo per mettere le mascherine per
l'ossigeno compreso, ma nessuno la sta ascoltando; forse solo Albie, e
non saprei dire se è perché ha paura di volare, e quindi
sta cercando di capire se si potrà salvare in caso di disgrazia,
o se è solo per pensare a qualcosa d'altro.
Gli stringo la mano con fare rassicurante quando l'aereo inizia a rollare sulla pista.
Note:
1: Che gli scozzesi non me ne vogliano, però in effetti il cappotto di Albie sarebbe una cosa del genere.
2: Ho sempre citato Harry Potter, ma il fatto è che mi sono
innamorata in modo completamente irrevesibile de "L'ombra del vanto",
di Zafon. Se non lo avete letto, vi state perdendo un gran bel libro,
lasciatevelo dire.
3: Sì, allora, se andate sulla pagina di Santa Wiki, alla voce lupo mannaro
c'è scritto qualcosa come: "durante il rapporto sessuale il lupo
mannaro, anche se in forma umana ringhia" o una cosa simile, quindi,
cioè... l'ho trasposto per poter sottolineare l'incazzatura di
Al.
4: Dimenticavo di dire cos'è una doppelgänger
5: Harmful in inglese significa "armata"... quindi... Fate due conti.
Angolino della scrittrice:
Allora,
sì, innanzitutto volevo scusarmi per il ritardo, ma ieri avevo
tanto tanto tanto da studiare e non ho fatto in tempo.
Quindi... Sorry.
Poi, in più.
Ah, sì.
Nel prossimo capitolo... si vola a Budapest, guys!
Eh... ehm...
No, va beh. Niente.
Sarei contenta, ma tanto tanto tanto se metteste una recensioncina, del resto non vi costa nulla.
Null'altro.
Lot Of Love.
A domenica.
Ammesso e concesso che il mondo non finisca, ovviamente.
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Capitolo 16 *** XVI. ***
Non c'è nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria.
[Dante Alighieri]
8 gennaio,
Ore 10.30, orario locale
periferia della città di Budapest, poco lontano dal fiume Danubio.
La casa è alla periferia della città. Prendiamo il tram per
raggiungerla.
E adesso siamo qui, davanti al grande portone in legno massiccio: ho paura a
bussare. Mille e più domande si sono fatte strada nella mia testa.
Alzo lo sguardo, e osservo nei minimi particolari il leone che sovrasta la
porta: il simbolo della famiglia di Anastaysia da molte generazioni. Prendo
coraggio e faccio un respiro profondo: devo essere forte. Sono qui per
raggiungere il mio obiettivo. È tutto scritto nella profezia: che convincerò
Olympia ad aiutarmi, che vincerò le Driudresse, che probabilmente, alla fine
morirò.
Poggio la mano sul legno, così caldo e vivo, in contrasto con il freddo
pungente della capitale ungherese, sommersa nella neve da quando io e Albie
siamo atterrati, cinque giorni fa.
Sì, sono passati cinque giorni. Jack è sempre più preoccupato riguardo a quello
che sta succedendo “da questa parte dell’oceano”, anche se mi ha assicurato che
la mia doppelgänger si sta comportando proprio come mi comporterei io.
Non so
se Ade può sentire quello accade da questa parte del mondo, ma se così fosse,
gli avrò mandato come minimo un centinaio di grazie formato elefante.
Fossi Persefone, forse un po’ mi ingelosirei. Ma neanche più di tanto, perché
bisogna essere veramente amanti del macabro per potersi innamorare di uno che
per vivere, sì, chiamiamolo pure così, fa la guardia ai morti.
La mano di Albus si posa sulla mia. Arrossisco, non lo so, forse è solo per il
freddo, forse è per lui.
- Forza, Quinn – mi dice, sorridendo.
Sorride sempre più spesso da quando siamo atterrati. Potrebbe essere perché
abbiamo immediatamente capito che non avremmo impiegato due giorni per trovare
Olympia e quindi la sua paura dell’aereo è stata leggermente smorzata
dall’attesa del viaggio di ritorno; potrebbe essere perché qui si trova a suo
agio, in questa città così criptica come la profezia che mi ha fatto arrivare
qui, così misteriosa come un giallo di Agatha Christie. Scioccamente penso che
sorrida per me, per il fatto che siamo qui da soli, ed è come se fosse una
vacanza dove nessuno ci può disturbare. Scioccamente, appunto, continuo a
pensare che abbia una cotta per me.
Nonostante l’espressione che ha assunto quando la receptionist dell’hotel ci ha
rivelato che avevamo prenotato una camera doppia. Con un letto matrimoniale.
-Salve, siamo George
Hamilton e Isabella Harmful – dice lui, parlando lentamente, ad una ragazza
ventenne che sta seduta su una sedia girevole verde bottiglia.
- Oh, benvenuti! Se ci aveste chiamato, avremmo mandato una nostra auto di
servizio a prendervi all’aeroporto! – esclama lei, indugiando per molto più di
un secondo su di me, con quegli occhi marroni come la cioccolata calda che
prepara Jack durante le vacanze di Natale. Le sorrido, mentre Albie le
risponde: - Signorina non è stato assolutamente necessario. Comunque vorremmo
le chiavi delle nostre camere -
- Camere, signor Hamilton? Camera, vorrà dire –
Albie per poco non si strozza con la sua stessa saliva, ma la receptionist
continua imperterrita: -Sì, avete prenotato una stanza da letto doppia, con un
letto matrimoniale-
-Deve esserci un errore- dico io, iniziando a pregare perché Talia, oltre ai
suoi passaporti falsi e poco spiritosi, ci abbia anche messo nella stessa
camera. NELLO STESSO LETTO!
-No, signorina Harmful. Ho qui la vostra prenotazione e vi assicuro che a
vostro nome è stata prenotata una sola stanza-
-Non ne avete un’altra?- le domanda Albie, ma la ragazza scuote la testa.
-Mi dispiace, ma il Best Western Hungaria è pieno, per queste settimane. Molti
sono venuti a passare qui il capodanno e la settimana bianca-
-Certo, capisco … beh, ci dia la chiave, non abbiamo intenzione di disturbarla
oltre- dice Albie, allungando la mano per prendere la busta che gli porge la
ragazza, che, nonostante sia ungherese, riesce a parlare inglese in modo quasi
impeccabile. D’accordo, ha un accento un po’ yankee, ma non si può pretendere
la perfezione.
-Vi auguriamo una buona permanenza!- dice lei, con un sorriso plastico stampato
sulle labbra scarlatte.
Prendo coraggio. Indugiare non servirà a nulla. Alzo il
braccio, dopo che Albie ha levato la sua mano e do un paio di colpi potenti.
All’interno della casa si sente uno strano rumore, tipo un gatto a cui è stata
pestata la coda e che corre via a grande velocità, oppure un bollitore che si
mette a fischiare in modo stridulo.
- Ki az?[1] – domanda qualcuno, in una lingua a me completamente sconosciuta;
inarco le sopracciglia, mentre mi volto per guardare Albie, che a sua volta sta
fissando la porta come se volesse incenerirla.
Gli poggio una mano sul braccio e busso di nuovo, con la mano libera, mentre
l’altra è stata afferrata dalla mano di Albie.
Nessuno risponde, ma quel miagolio insistente continua. Albie mi guarda: -
Quinn, non ho per niente un bel presentimento. Andiamocene -
- Non possiamo, Albie! Non sono venuta fin qui per arrivare davanti alla porta
di Olympia e andarmene! – esclamo io, senza sciogliere la sua stretta.
- Olympia! – la chiamo.
- Ki hív engem? Mit akarsz? Hogy jöttél ide?[2] -
- Sono Quinn, apri la porta! -
Mi maledico per non aver comprato un dizionario di ungherese.
- Quinn? – sento la voce chiedere, accorrendo alla porta.
Pochi minuti dopo le undici,
casa di Olympia, stanza non ben identificata.
-Na, ja, du weißt, dass Anastaysia meine Großmutter war … [3]-
dice, dopo averci servito una tazza di
qualche strana pozione color miele. Penso che sia tè, ma non mi fido molto a
berlo.
Annuisco, per quel poco di tedesco che riesco a capire.
-Warum bist du hier, Quinn? Ich habe gedacht, dass du in den USA wohnst. Und
wer ist dieser jungen Mann? Dein Freund? [4]-
Albie scuote ossessivamente le mani davanti a sé, preoccupato: -Nein! Ich bin
nur ein Freund von Quinn. Sie hat schon einen Freund! [5]- dice, posando lo sguardo
su di me.
Mi volto un po’ verso Albie: -Puoi chiedergli di parlare in una lingua che
conosco? Non capisco quasi niente di quello che dice!- gli dico, prima di
chiedergli: -Ma tu come hai imparato il tedesco?-
Albie sorride e scuote la testa: -E’ una storia molto lunga-
Si volta verso Olympia: -Olympia, kannst du in Englisch sprechen? [6]-
-Natürlich! Scusa Quinn, ma io pensavo che tu sapessi parlare tedesco- dice,
con un accento russo.
-Purtroppo no-
-Beh, sai, è più o meno la lingua franca qui. Ormai l’inglese lo sa pure il mio
gatto-
Più o meno offesa da questa affermazione, me ne sto in silenzio ad osservare la
stanza. Mi alzo e inizio a girare per quello che mi sembra il soggiorno, con
pesanti tende rosso cremisi che non lasciano entrare nemmeno un raggio di luce,
o di quel bianco puro che domina all’infuori di questo antro spettrale.
La
stanza è disseminata di tavoli di tutte le forme e lunghezze: grandi, piccoli,
rotondi, quadrati, rettangolari, di mogano, di betulla, di ciliegio,
drappeggiati da pesanti tovaglie bianche, rosse, nere, grigie o gialle, oppure
completamente coperti da ampolle di tutte le dimensioni o da pagine ingiallite di
quelli che sembrano vecchi libri di magia.
L’odore è insopportabile: mi ricorda troppo l’ospedale di Albertville, e a quel
tipico odore di candeggina c’è un olezzo come di carne bruciata e erbe andate a
male. Mi chiedo come possa vivere in questo caos, con questo odore orribile.
Olympia è una bella donna, non la prenderesti mai per una strega: non ha il
naso aquilino, né un porro enorme nel bel mezzo della faccia o gli occhi piccoli e
cattivi.
Ha i capelli dello stesso colore dell’ebano, con dei riflessi che, alla luce
delle candele dei diversi colori che bruciano, illuminando la stanza, sembrano
quasi blu elettrico. Un nasino alla francese e gli occhi viola, come
l’ametista.
Forse è questo la caratteristica comune delle streghe, o forse no.
-Puoi evitare di toccare qualsiasi cosa? Non sono abituata ad avere qualcuno
che mi gironzola per casa. Zorba a parte, ovviamente- mi domanda Olympia,
proprio mentre io sto per sfiorare un ampolla dal contenuto giallo limone.
-Zorba?- le chiedo io, voltandomi.
Lei annuisce, allungando il collo e cercando qualcosa sotto ai numerosi tavoli:
-Il mio gatto. Che dovrebbe essere qui da qualche parte. Oppure è andato a
prendere il pesce al porto. Boh, ogni tanto sparisce per giorni-
-Già, mi domando il perché- dice Albie a mezza voce, guardandosi in giro.
Tossisco, per evitare di scoppiare a ridere. Questo prima che Olympia si volti
verso Albie domandando: -Bist du sicher, dass Quinn und du sind nicht Freund
und Freundin? [7] -
-Sicher! Ich habe dir davon erzählt! [8] – esclama lui, guardandomi negli occhi e
piegando la testa di lato. Io mi guardo gli stivaletti che stanno lasciando
delle impronte acquose dove sono passata per curiosare.
Albie si schiarisce la voce e me lo ritrovo al fianco, il che mi porta di
conseguenza a fare un salto per la sorpresa che per poco non mi fa atterrare su
un libro enorme, dalla copertina nera. Riesco a rimettermi in equilibrio senza
aiuti, ma poi preferisco appoggiarmi ad un tavolo che sembra quasi sgombro in
tutta quella confusione.
-Lì sopra io ci seziono le rane. O i pesci. O i corvi. Dipende da quello che
Zorba porta a casa- mi dice Olympia, indicando con un dito dall’unghia laccata
di viola il tavolo su cui mi sono appoggiata.
Alzo leggermente le spalle, reprimendo sul fondo della gola un principio di
conato di vomito.
-Evitando i convenevoli, so già perché siete qui. Insomma, lo zampino di Ade lo
sento lontano un miglio- continua imperterrita, toccandosi il naso.
-La aiuterai?- domanda Albie, che ha preso posto vicino a me. Così vicino che
le nostre mani si sfiorano, e la mia continuamente freme, nella voglia di
afferrare la sua.
E’ tempo per Olympia di alzare le spalle, ora: -Non posso di certo rifiutare.
Solo Morgana sa che cosa mi farebbe quello scellerato dio se dovessi dire di
no. Probabilmente mi incatenerebbe vicino al suo amichetto alato che ha fatto
incazzare un po' tutti. Quindi sì, vi aiuterò. Ma sapevate già che vi avrei risposto
affermativamente. Voglio una condizione-
Strabuzzo gli occhi: -Cosa?- le domando, preoccupata.
-Preferirei non spostarmi, ma so già che dovrò volare negli Stati Uniti. E poi,
non avendoli mai visti, mi piacerebbe farci una visitina. Ma Zorba deve venire
sempre con me. Sempre. Anche se dovessimo andare all’inferno, Zorba viene con me-
Alzo le sopracciglia: -D’accordo! Perfetto!- le dico, con un tono che lascia
intendere che io stia pensando a quanto sia spostata questa donna.
-So a cosa stai pensando, Quinn. Non ho bisogno di leggerti nel pensiero per
saperlo. Zorba non è solo un gatto. È stato il mio compagno di vita, fino a che
quella maledetta megera delle Lande dell’Est non me lo ha trasformato in un
gatto nero. Quando tutto questo sarà finito, io lo riavrò indietro. Quindi, ora
ve ne potete andare. Vi accompagno alla porta- termina lei, fulminandomi con lo
sguardo.
Do uno sguardo ad Albie, che mi incita ad uscire al più presto da quella casa
spettrale, che, personalmente preferirei non vedere più.
La strega ci apre la porta, noi usciamo: -Ho chiesto al tuo Freund, ma non me lo
ha voluto dire. Forse non sa i numeri in tedesco. Da quanto tempo state
insieme?-
-NON STIAMO INSIEME!- esclamiamo in coro, proprio mentre un gatto ci passa in
mezzo, miagolando, e con un grosso pesce in bocca.
-Come volete. Se deve essere un segreto dovreste celarlo meglio. Auf
wiedersehen, meine Doves! Komm hier Zorba! Komm zur Mutti![9]- dice poi, rivolta
al gatto, prendendolo in braccio e facendogli le coccole. Successivamente
chiude la porta e ci lascia di nuovo nel bianco puro della neve.
-Deve essere triste … dico, avere l’amore della tua vita trasformato in un
gatto- rompo io, dopo un tempo infinito, il silenzio che si è venuto a creare,
mentre camminiamo per prendere il tram che ci riporterà all’albergo.
Ora di cena,
Ristorante ungherese, poco lontano dal centro della città.
-Quindi...
cioè, ora che l'abbiamo convinta?- domando finalmente, mentre
continuo a sminuzzare il pezzo di carne che ho nel piatto, e che emana
un odorino da leccarsi i baffi, letteralmente parlando.
-Ora che l'abbiamo convinta torniamo a casa, no?-
Sì, a casa. A casa, dove ognuno continuerà per la sua
strada, dove questo viaggio non sarò mai accaduto, dove ti
scorderai di me. Completamente ed inevitabilmente.
Perché non sono importanti gli sguardi che mi rivolgi, quelli
che ogni volta mi fanno arrossire, perché probabilmente per te
non significano niente.
Ed eccomi qua, un'altravolta, ad aver voglia di piangere come una
bambina dell'asilo; con la voglia di chiudermi in camera e lasciarmi
avvolgere dalla sicurezza di un pianto liberatorio.
Mi alzo, posando sul tavolo il mio tovagliolo, che sull'angolo destro
ha ricamate le iniziale del ristorante dove stiamo cenando.
-Scusami, devo andare al bagno- dico sbrigativamente, e con la voce già spezzata.
Con passo veloce mi dirigo verso la toilette delle signore, e vado addosso ad un'altra ragazza.
-Mi dispiace-, le dico, prima di aprire la porta e fiondarmi davanti al lavabo centrale.
-Fiatal hölgy, jól vagy? [10]- domanda una voce alle mie spalle.
Senza voltarmi le dico: -Mi dispiace, ma non capisco-
-Tutto okay?- ripete.
Alzo gli occhi sullo specchio solo per incontrare quelli viola, inconfonbili, della strega che ho conosciuto questa mattina.
-Olympia...- sussurro, ma lei mi interrompre: -Ho parlato con Ade, e
non è affatto contento riguardo l'importanza che la sua
cacciatrice sta dando alla salvezza del mondo-
-La sua cacciatrice?- le domando, girandomi, poggiando i palmi delle mani sul ripiano di marmo che sostiene il lavabo.
-Quinn, basta pensare ad Albus, d'accordo? Io posso farti passare tutto
questo. Devi solo rilassarti... - la voce della strega si è
trasformata in un sussurro. Mi sta facendo paura; i suoi occhi sono di
un colore intenso, che mi fa venire il capogiro.
-Tu lo vuoi, Quinn?- mi domanda, soffiandomi accanto all'orecchio.
No, ovvio che non lo voglio; non voglio dimenticare il batticuore che
mi prende ogni volta che lo vedo; non voglio dimenticare gli sguardi
che ci scambiamo. Perché sono certa che in fondo, anche lui
è certo di provare qualcosa per me.
O forse è solo frutto
della mia fantasia da ragazza diciottenne?
-Lo vuoi, Quinn?- Olympia ripete la domanda.
Non vorrei, ma annuisco.
Note:
[1]: = Chi è?
[2]: = Chi mi chiama? Che cosa vuoi? Come sei arrivato qui?
[3]: = Sai che Anastaysia era mia nonna ...
[4]: = Perché sei qui, Quinn? Pensavo che tu vivessi negli Stati Uniti. E chi è questo giovane uomo? Il tuo ragazzo?
[5]: = No! Sono solo un amico di Quinn. Lei ha già un fidanzato!
[6]: = Olympia, potresti parlare in inglese?
[7]: = Sicuri di non stare insieme?
[8]: = Sicuro! Te l'ho già detto!
[9]: = Arrivederci, mie colombelle! Vieni qui, Zorba! Vieni dalla mamma!
[10]: = Signorina, sta bene?
Angolo della scrittrice:
Scusate per l'assenza prolungata.
Lo so che non ho aggiornato per due intere settimane; però
capitemi: era Natale, poi Capodanno, oggi l'Epifania (che tutte le
feste si porta via)
E quindi... va beh, poi in più sto facendo fatica a scrivere i capitoli, con tutto quello che mi passa per la testa.
Stavo quasi per dimenticare: perdonate anche le note, prometto che nel
prossimo capitolo non ci saranno traduzioni di nessun tipo.
Quindi.
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO:
Lettori e lettrici,
io, Kristah, "autrice" di storie qui e EFP dichiaro solennemente che
cercherò di aggiornare al più presto possibile la mia
storia,
nonostante i compiti e i problemi della vita che (purtroppo) non è ad Albertville.
FINE COMUNICAZIONE DI SERVIZIO,
Grazie per l'ascolto.
Alla prossima,
Un bacio,
Kristah.
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Capitolo 17 *** XVII. ***
Prophecy
E ti scorderai di me,
quando piove i profili e le case ricordano te...
[...]
Io vorrei soltanto che la notte ora velocemente andasse
e tutto ciò che hai di me di colpo non tornasse.
[Tiziano Ferro, Nessuno è solo]
9 Gennaio,
Ore 11.15, orario locale
Camera di Isabella Harmful e George Hamilton.
Apro gli occhi, quando sento il sole che colpisce le mie
palpebre.
-Quinn! Sei sveglia!- sento una voce profonda, ma preoccupata, che mi sveglia.
Una mano dal tocco delicato mi sfiora la fronte, per poi passare alla guancia.
Strizzo le palpebre e poi, lentamente le apro, abituando i miei occhi alla
luce: davanti a me vedo un paio di occhi neri, come la pece.
-Quinn?- domanda qualcuno, la stessa voce di prima.
Mi tocco la fronte, dove è appena passata la sua mano, con quel tocco così
leggero e delicato che mi ha fatto sentire una bambola.
-Buongiorno- sussurro appena, mettendomi a sedere e sistemando i cuscini dietro
alla mia schiena.
Guardo il ragazzo, che sta seduto sul bordo del mio letto: ha gli occhi marroni
molto molto scuri, no, forse sono neri; i capelli sono tagliati come quelli
degli attori che si vedono sugli enormi cartelloni di Hollywood; le labbra sono
tagliate da una cicatrice bianca, deve essere molto vecchia.
Lui, tutto sommato è carino, e potrebbe avere cinque o forse sei anni in più di
me.
-Quinn …- inizia lui. Mi sembra abbastanza preoccupato.
-Chi sei? – domanda solamente. Non lo conosco, quindi perché è nella mia camera
d’albergo?
Il ragazzo si alza e tira un pugno sul tavolo di legno scuro, sul quale è
poggiato il televisore. Chiudo gli occhi spaventata. Senza degnarmi di uno
sguardo, si precipita all’entrata della camera e apre la porta.
-SEI STATA TU! SI E’ COMPLETAMENTE DIMENTICATA DI ME!- urla, contro qualcuno,
che entra nella stanza, sbattendo la porta.
-Non era mai andato male! Non è la prima volta che lo faccio!- esclama Olympia.
-Quinn, sai chi sei? Dove sei?- mi domanda lei; io annuisco, spaventata: -Sono
Quinn Evelyn Farrell, abito ad Albertville, ma sono qui a Budapest per
convincere te, Olympia, ad aiutarmi a sconfiggere Privela, la regina delle
Druidresse, che ha stretto un patto con Lucifero-
-Non ti ricordi di me?- mi chiede il ragazzo e io sono costretta a scuotere la
testa.
-Sei molto importante nella mia vita?-
Lui, semplicemente, afferra il cappotto dall’appendiabiti ed esce, sbattendo la
porta. Serro gli occhi ancora una volta, sobbalzando sul materasso.
-Non lo ricordi proprio per niente?- mi domanda Olympia, e io sono costretta,
di nuovo, a scuotere la testa a destra e a sinistra.
-Chi è?-
-No, ora non è importante, bambina mia- mi dice lei, sfiorandomi la guancia con
il dorso della mano: -Forse è meglio se ti metti a dormire un pochino.
Devi tornare in forze-
Non so in forze per cosa, però l’idea mi alletta, così, quando Olympia chiude i
pesanti tendaggi con un colpo della mano, mi sistemo di nuovo in posizione
orizzontale, e sento chiudere la porta dolcemente, prima che il silenzio più
profondo mi penetri nei timpani. L’unico suono in quella stanza è il mio
respiro, che lentamente si fa più leggero e a intervalli sempre più regolari,
fino a cullarmi in un sonno completamente privo di sogni. O almeno questo è
quello che credo.
-Hai i baffi di cioccolata!-
esclama lui, posando il suo indice sul mio naso, che si arriccia
involontariamente.
-Non prendermi in giro!- dico io, scoppiando a ridere e afferrandogli la mano
che ancora sta per aria.
I suoi occhi, azzurri, azzurri come il cielo di settembre, o il lago Eire
d’estate.
Quegli stessi occhi che ora sono rossi sono come l’inferno: -Voglio il tuo
cuore-
La sua voce è diventata profonda, e sembra provenire dal punto più basso della
terra, forse è qualcosa di ultraterreno.
Mi alzo di scatto dalla sedia di plastica bianca dello Starbucks di
Albertville, intorno a noi, le persone continuano a mangiare, ridere, scherzare
e bere cioccolata come se niente fosse.
-Lo hai avuto- dico semplicemente, prima di guardarmi il petto, nel quale c’è
un enorme buco che mi lascia intravedere la
vetrata dietro le mie spalle.
-Ora lo ho avuto- dice lui, scoppiando in una rumorosa risata rauca e feroce,
che sembra quasi un ringhio.
Mi metto a sedere urlando, con la fronte imperlata di
sudore. Il ragazzo di prima sta seduto nell’angolo più lontano dal letto che
comprenda, però, una visuale perfetta fino a me.
-Un brutto sogno?- mi domanda seriamente. Annuisco, impaurita, ricordando
quello che ha fatto al mio risveglio.
- Mi dispiace averti spaventata, prima. Comunque non è importante se non ti
ricordi di me, Quinn-; alzo le spalle per non sembrare scortese nei suoi
confronti.
-Forse lo è, invece- sussurro io, abbassando lo sguardo e prendendo a torturare
un solitario filo che è sfuggito alla cucitrice della sarta.
-E’ meglio così. Hai voluto dimenticarmi per un motivo ben preciso- dice lui,
semplicemente, senza rancore. Atono, come un automa.
-Quale?- chiedo io, alzando gli occhi per incontrare i suoi, che sono
illuminati dall’unico spiraglio di luce che filtra dalle tende.
Prima che lui possa rispondere alla mia domanda, la porta si apre ed entra
Olympia, con una tazza di caffè in mano, e guardando male il ragazzo, del quale
ancora ignoro il nome.
Ore 16.30,
Hall del Best Western Hungaria.
-Sì, Jack, sta tranquillo- dico io, al mio apprensivo
fratello, che mi sta facendo il terzo grado sulla mia salute.
-No, non sto tranquillo. Non se mi hai appena detto che ti hanno fritto il
cervello e ti sei dimenticata di Albus!- esclama lui, e silenziosamente prego
perché questa conversazione finisca presto. D’accordo, ho dimenticato questo
“Albus”, il ragazzo con gli occhi neri, ma che male c’è? Non sembra esserci
stato nessun cambiamento importante nell’universo. O almeno nessuno che io
possa vedere.
-Fammi parlare con lui, per favore, Linny- mi chiede implorante.
-Sai che quando fai così mi viene voglia di prenderti a schiaffi, vero?- gli
domando io, cercando Albus nella marmaglia di gente che affolla la hall
dell’hotel. Finalmente lo noto, seduto tranquillamente, incurante dei turisti
che gli lanciano occhiate, ma soprattutto incurante delle occhiate delle belle
turiste asiatiche che attendono la chiave della loro camera.
- Albus … Jack vorrebbe parlare con te- quasi sussurro, forse per non farmi
sentire, per non disturbare la sua lettura. Purtroppo, però, si volta come un
cane che è stato fino ad ora a cuccia e ora è sull’attenti, in cerca della sua
preda.
Gli passo il mio telefono e lo vedo chiudere il libro.
Non riesco a sentire quello che dice Jack, a causa del chiasso degli asiatici,
ovviamente, sento quello che dice Albus.
-No, no. Hai ragione. Certo, ci ho pensato io. No, ma figurati. No, non c’è
bisogno di scusarsi; non è colpa tua- un profondo sospiro, e i suoi occhi che
cercano i miei, che schivi si abbassano sul pavimento coperto dalla moquette.
-Già, sarebbe piaciuto anche me- dice infine, e lo spio dal ciuffo di capelli
che mi ricade davanti al viso: abbassa il volto verso il pavimento e sposta il
peso da un piede all’altro.
-Ciao, Jack- chiude la conversazione lui, restituendomi anche il telefono, più
cupo di prima.
Mi chiedo se sorrida mai, questo ragazzo.
Sembra sempre così serio e senza
felicità.
-Io torno in camera. Ho bisogno di una doccia- mi dice, dirigendosi verso gli
ascensori; lo seguo, perché nessuno mi può piantare in asso così. Non sono una
qualunque, io.
-Hai già prenotato i biglietti?- gli domando io, sentendo il “din” e le porte
dell’ascensore aprirsi. Lasciamo uscire una coppia di anziani, lui con il
treppiedi, e lei che cerca di non ingobbirsi ancora di più. Entriamo in sintonia
e Albus schiaccia il numero del nostro piano.
Finalmente mi risponde: -Purtroppo il primo volo diretto disponibile è la
settimana prossima. Dovremmo rientrare per il 14-
-E intanto, cosa facciamo?- chiedo distrattamente, arricciandomi una ciocca di
capelli sull’indice.
-Beh, Budapest è una splendida città da visitare. Sempre che … sì, beh,
insomma. Ti vada di venire in giro con me-
-Prima di questa cosa ci conoscevamo. Mi fidavo di te. Altrimenti non ti avrei
chiesto di accompagnarmi in questo viaggio infernale- affermo, guardandolo.
Lo vedo sorridere per la prima volta; è uno di quei sorrisi accompagnati ad una
specie di sospiro, come se avessi detto qualcosa di buffo, ma prima che io
possa chiedergli qualsiasi chiarimento, lui mi dice: -Non me lo hai chiesto tu.
Mi sono offerto io di accompagnarti-
-Perché ho voluto dimenticarmi di te, Albus?- chiedo distrattamente; non mi
rendo nemmeno conto di averlo detto ad alta voce, fino a che lui prende fiato
per rispondermi, ma le porte di quell’aggeggio si aprono lasciando entrare una
famigliola felice, composta da marito, moglie, due bambini della stessa età
delle mie due sorelle e un fagotto in carrozzina.
Io e Albus siamo ai lati opposti dell’ascensore, e ancora una volta, la mia
domanda è rimasta irrisolta.
Pochi minuti dopo il rientro in camera
Non
c'è nulla, in quella camera d'albergo anonima che mi aiuti a
ricordare quello che ho dimenticato; quello che ho voluto dimenticare,
a quanto pare. Mi alzo dal letto, mentre sento il getto d'acqua rompere
il silenzio che si è creato, da quando la porta del bagno si
è chiusa alle spalle di Albus. Mi guardo in giro, avvicinandomi
alla mia valigia e scruto tra i vestiti che ho portato: non trovo nulla
di utile. La cosa più interessante è il libro che ho
acquistato a Cleveland: Dracula.
Lo sfoglio un po’, inspirando profondamente il dolce aroma
delle pagine nuove, che non sono mai state sfogliate da nessuno, se non forse
dai franchi viaggiatori che erano entrati in quella libreria; l’occhio capita
sulla frase del cacciatore Van Helsing: “Il riso è un re e va e viene quando e
come gli pare. Lui non chiede a nessuno, lui non sceglie il momento più
adatto”. Ricordo di aver letto questa frase mentre ero in aereo, sveglia dopo
l’incontro con una leggera turbolenza sopra Londra.
-Signore e signori passeggeri, vi preghiamo di restare
seduti ai vostri posti. Riscontriamo una leggera turbolenza dovuta ad una
nevicata di forte intensità sulla città di Londra -
Mi chiedo come possa essere Londra imbiancata e mi rendo tristemente conto di
non essere mai uscita da Albertville. Veramente, che cosa c’è dopo quel paesino
dove tutti conoscono tutti, vicino al lago Eire, dove tutti gli adolescenti
maschi vorrebbero finire sotto le mie stesse lenzuola e dove le ragazze
smaniano per essere notate dalla sottoscritta?
Mi ritrovo a pensare a Frankie: lei è italiana, ha avuto il coraggio di mettere
un oceano di distanza tra lei e la sua famiglia, i suoi amici, magari anche il
suo fidanzato, per poter coronare il suo sogno di passare un anno nella Grande
America. Sorrido.
Per quello forse, eravamo sempre state in disaccordo: perché lei ha avuto il
coraggio di fare quello che io nemmeno tra un’era avrei fatto; o forse perché
avevo notato sin dal primo di giorno di lezione che ci provava palesemente con
il mio ragazzo.
Sfioro il punto il cui la mano di Will mi ha colpita, ora non c’è nessun segno:
nessuna cicatrice o Dio sa cosa. Il dolore è solo mentale. Era tutto così
perfetto, prima. Forse, però, la colpa non è di Francesca. Forse è solo colpa
mia e di Will.
Chiudo gli occhi e li riapro, accarezzando la copertina del
libro. Sento dei colpi secchi alla porta: sono un po’ preoccupata riguardo
all’andare ad aprire; io non ho chiamato il servizio in camera, e suppongo
nemmeno Albus, visto e considerato che non abbiamo ancora deciso dove cenare.
Altri colpi. Il bibliotecario è ancora sotto il getto caldo e confortevole
dell’acqua dell’albergo, perciò raccolgo un po’ di coraggio e domando:-Chi è?-
-Quinn, sono Olimpya, puoi aprire, per favore?-
Ah, già. Olympia. Sì, giusto. Apro la porta e vedo che dietro di lei c’è
nientemeno che il Re dei Morti.
-Quinn- dice, abbassando la testa in segno di rispetto.
Vorrei sorridere, perché questo gesto è qualcosa che si faceva qualcosa come
nel milleottocento. Sono certa che Mr. Darcy l’avrebbe fatto.
-Ade- affermo, lasciando entrambi entrare nella stanza.
-Dov’è Albus?- chiede Olympia, rompendo il silenzio che si è venuto a creare.
Indico la porta del bagno e lei annuisce due volte.
-Abbiamo scoperto … - inizia, prima di essere interrotta da uno schiarimento di
voce di Ade.
-Lui ha scoperto – rettifica e sento gli angoli della bocca che si alzano.
-Come farti tornare la memoria- termina la divinità, puntando su di me i suoi
occhi oceano.
-Perfetto. Quando cominciamo?- domano impaziente, staccandomi dall’anta
dell’armadio alla quale mi ero appoggiata.
La porta del bagno si apre silenziosamente, ma mi rendo immediatamente conto
dell’arrivo di Albus perché Olympia lo fissa un po’ stralunata e Ade assume un
comportamento infastidito.
Mi volto e vorrei non averlo mai fatto.
Lui indossa solo un paio di pantaloni blu da ginnastica, i capelli sono ancora
scompigliati a causa dello shampoo subìto da poco e per via dell’asciugamano
che è appoggiato sulla sua spalla. Da lì, non posso fare a meno che guardare il
suo petto nudo: con la maglietta non si direbbe mai che fa palestra; fatto sta
che ha gli addominali scolpiti e nonostante le spalle non troppo larghe stile
nuotatore ha un fisico asciutto e scolpito.
Mi rendo conto che lo sto ossessivamente fissando quando Olympia si schiarisce
la voce e ripete quello che ha detto a me; la sua risposta a sorpresa è uguale
alla mia: -Perfetto. Quando cominciamo?-
Ade prende in mano la situazione, in un modo talmente fastidioso che mi viene
voglia di mandarlo al diavolo: -Non si tratta di schioccare le dita. Dovete
volerlo entrambi- continua poi, puntando i suoi occhi su di me; sento anche lo
sguardo di Albus sulla mia nuca. Vorrei girarmi e dirgli che il non sapere mi
sta logorando dentro.
-Io ci sto- sento Albus dire; ora spetta tutto a me.
Ore 18.45, orario locale
Camera di Isabella Harmful e George Hamilton.
-Sei
sicuro che tutto questo sia necessario?- domando ad Ade, mentre mi gira
intorno, controllando quello che dovrebbe essere un centro di magia, o comunque
qualcosa del genere. Lo ha spiegato, sì, certo, ma non sono stata molto
attenta, presa com’ero dal fissare le reazioni di Albus ad ogni sua parola.
-Stai insinuando che io non sia in grado di fare il mio lavoro?- mi risponde
lui, contrariato; scuoto la testa, per evitare di mandarlo su tutte le furie:
il Re dei Morti incazzato non deve essere un bello spettacolo per nessuno; non
so perché ma immagino le luci che si accedono e si spengono per via della sua
ira, e le finestre che si aprono, rivelando uno scenario apocalittico.
D’accordo, forse sono un po’ esagerata. Scuoto la testa per scacciare i
pensieri e mi concentro. A detta di Ade tutto quello che devo fare è
focalizzare un particolare di Albus che mi ha colpito in questo poco tempo
passato dall’incantesimo andato a monte di Olympia e trasportarlo in un
contesto passato.
Facile a dirsi, molto più complicato a farsi.
-Ti puoi anche sedere, sai. Non c’è bisogno che tu stia in piedi come una
statua- mi dice poi la divinità: non che mi fidi molto di lui, ma stare lì, al
centro di quel cerchio composto da sale e candele mi fa sentire estremamente
stupida.
Mi siedo alla bell’e meglio, guardandomi intorno: con l’aiuto di un po’ di
magia di Olympia abbiamo fatto sparire il letto per qualche ora, giusto per
avere un po’ di spazio per poter, a detta di Ade “lavorare come se fossimo
persone e non topi in gabbia”.
-Sei pronta?- mi domanda lui, dopo aver fatto un altro paio di giri intorno al
cerchio formato da candele che fluttuano a pochi centimetri da terra e di sale.
Alzo le spalle: -Non penso di esserne sicura. E se non dovesse funzionare?-
d’accordo, ammetto che mi sono sempre mostrata spavalda nei confronti di Ade,
perché volevo dimostrare di essere migliore di lui e che non ero solo una
marionetta nelle sue mani; ma forse è arrivato il momento di “dire la verità,
tutta la verità e nient’altro che la verità, lo giuro”. Perché sto veramente
pensando al terrore che provo alla sola idea di non ricordare più nulla della
mia vita: come un reset completo. Un reset, che, però, ho scelto io senza
nemmeno ricordare il perché.
Sono persa nei miei pensieri mentre Ade mi poggia le mani sulle spalle: -C’è
qualcosa in te, Quinn. Qualcosa che non riguarda soltanto quello che farai per
l’umanità intera; c’è una luce in te. Un barlume di forza che … non hai proprio
idea. Di quello che puoi fare[1]-
Mi osserva, con quei suoi occhi blu: blu perché non vedono mai la luce; blu
perché l’unico barlume di speranza che hanno avuto nella loro immortale vita è
stato quello di incontrare gli occhi di Persefone; blu, perché soltanto i suoi
occhi sono di quel colore così profondo e segreto.
Abbasso lo sguardo, perché tutte quelle onde oceaniche che invadono il mio
campo visivo mi fanno vergognare di me stessa: di comportarmi come una bambina,
e di avere solo diciotto anni e guardare alla vita come se fosse una strada in
discesa.
Nell’attimo di un pensiero, le fiamme lo avvolgono e lo riportano al regno dei
Morti.
Alzo lo sguardo, dopo un tempo che mi sembra interminabile, alla finestra,
godendomi il panorama che viene dipinto dalle gocce d’acqua che cadono senza
sosta dal cielo plumbeo.
Chiudo gli occhi per focalizzare meglio quelli di Albus, così neri che quasi fanno male.
Note:
[1]: Citazione da "The Hunger Games"
Angolino della scrittrice:
Quindi, ragazzi.
No, non mi sono dimenticata di voi, non potrei mai farlo. :3
Mi manca tantissimo avere un sacco sacco di tempo libero per portare avanti la mia storia,
alla quale ormai mi sono affezionata troppo.
Però, non disperatevi, perché il prossimo capitolo sarà un capitolo KABOOM.
Non voglio fare spoiler.
Vi dovete tenere la curiosità.
Detto questo...
Alla prossima,
ovvero a febbraio.
Intanto mi impegnerò per scrivere i capitoli ogni volta che ho un momento libero.
Kisses,
Kristah.
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Capitolo 18 *** XVIII. ***
Prophecy
I promise,
I won't let you down,
if you take my hand tonight,
I promise,
We'll be just fine,
if you take my hand tonight
[Simple Plan, Promise]
10 gennaio,
Ore 10.25 (orario locale),
Stanza di Geogre Hamilton e Isabella Harmful
Luce. Tanta luce. Come quella della domenica mattina, quando
non ti vuoi alzare, ma alle nove esce il sole per farti capire che, invece, il
giorno è iniziato, indipendentemente dal fatto che tu debba andare o meno
andare a scuola. C’è troppa luce per tenere gli occhi chiusi, così, lentamente
li riapro.
Ho un leggero mal di testa: non grave come quello che avevo quando Will mi
aveva colpita, o come l’emicrania che ti prende quando hai studiato troppo; non
può essere descritto un mal di testa piacevole, perché altrimenti non sarebbe
“mal” però, stranamente, mi sento come se avessi appena ripreso possesso di una
parte di me.
Un timbro di voce a me molto familiare raggiunge le mie orecchie: -Quinn?-
domanda, cautamente Albie.
-Quando hai imparato a parlare tedesco?- gli rispondo io, sorridendo, quando lo
vedo. E’ come se mi fossi addormentata: addormentata per un giorno intero, o
anche per due.
-Ti ricordi di me?-
Qualcuno dovrebbe iniziare a rispondere alle domande, o finiremo per creare una
conversazione basata su punti interrogativi senza risposta. E quindi, dico una
cosa che non dovrei, così, avventata: -E’ impossibile non ricordarsi di te-
E’ qualcosa come un sussurro, ma arriva alle mie orecchie comunque: -Tu ci sei
riuscita, invece-. Fingo di non aver sentito: -Quindi, la mia domanda? Quando
hai imparato a parlare tedesco?-
Lo vedo sorridere, e quando gli angoli della sua bocca si curvano verso
l’alto
mostrando la sua dentatura perfetta, quasi mi manca il respiro: quel
sorriso,
le sue labbra, quella cicatrice che gli infonde un’aria
maledetta. Il mio
sguardo si sposta più in su, osservando i suoi occhi neri, neri
come la pece; che catturano, con la loro oscurità i raggi di
sole che illuminano la stanza: sembrano riflettere il cielo della notte
di San Lorenzo, quando le stelle cadono e danno vita ad uno spettacolo
magnifico, con le loro code magiche e sfavillanti.
Il cuore mi attanaglia il petto, come se volesse uscire dalla cassa toracica per poter, ancora una volta, incontrare il suo.
Due secchi colpi alla porta mi fanno sobbalzare e mi riportano alla
realtà: -Sta' tranquilla. E' solo Olympia- afferma Albie,
alzandosi per andare ad aprire: sento la voce cristallina della strega
e dopo pochi momenti vedo Zorba zampettare allegramente fino al bordo
del letto.
Piega leggermente la testa, fissandomi con quegli occhi gialli: mi
domando se quello sia il colore naturale delle iridi dell'amato di
Olympia.
-Vuoi accomodarti sul letto, Zorba?-, non se lo fa ripetere due volte e
con un agile balzo si accoccola tra le mie braccia, gli passo una mano
tra il pelo che sta tra le orecchie e lo sento fare le fusa.
La testa di Olympia fa capolino con un sorriso malandrino dipinto sulle
labbra scarlatte, che non ha niente a che fare con quello di Albie di
poco fa.
-Buongiorno, smemorata! E' tornato tutto a girare come prima?-
Forse dovrei avere paura di lei, dopo che il suo incantesimo non
è andato troppo a buon fine. Annuisco, sentendo il sangue fluire
alle guance.
Senza
essere stata invitata, Olympia si siede sul letto a gambe incrociate,
come faccio spesso a casa quando ascolto Jack lamentarsi per ogni
minimo problema, scolastico e non.
-Ho parlato con Ade, ieri- inizia lei, scovando un filo solitario sul
piumone e torturandolo: -Abbiamo deciso che sarebbe meglio evitare gli
incantesimi riguardanti la tua persona. La magia reagisce in modo
bizzarro su di te- termina sussurrando.
Osservo la reazione di Albie, che alza le sopracciglia in una tipica
espressione da "alla fine lo avete capito" e dopo pochi secondi lo
sento pronunciare quella frase, che gli costa un'occhiata fulminante da
parte del paio di occhi ametista di Olympia; lui, con fare noncurante,
alza le spalle: -Sto solo dicendo quello che, in questa stanza,
pensiamo entrambi-
-Non tirare troppo la corda, giovane lupo. Questa città pullula
di vampiri pronti ad assaltare la tua succulenta giugulare da canide...-
-Smettila, Olympia- dico, alzando su di lei il mio sguardo e
osservandola mentre, con un abile colpo di polso strappa il filo sul
letto, con un rumoroso sbuffo.
-D'accordo- afferma, alzando le mani in segno di resa.
Albie rompe il silenzio: -Hai fame? Vuoi fare colazione?-, il mio
stomaco, in risposta, emette un basso brontolio, così annuisco.
Olympia, smettendo di fare l'offesa si alza dal letto: -Vi accompagno
in un fantastico bar che fa dei croissant deliziosi!-
Ore 11.40,
Caffé poco lontano dalla Cattedrale di Santo Stefano
Davanti ad una tazza di
cioccolata con la panna montata, io e Albie stiamo a chiaccherare come
due vecchi amici. Le altre conversazioni, in ungherese, sono per me
soltanto un rumore di sottofondo.
-Non mi hai ancora detto come hai imparato il tedesco...- gli ricordo
io, sorridendo e prendendo tra lemani la tazza che contiene l'ambrosia
fumante degli dei.
-Ah, già... E' solo una cavolata, non è nemmeno degna di essere raccontata!- esclama lui, guardandosi intorno.
Vorrei dirgli che tutto quello che lo riguarda è interessante,
ma, come al solito, il mio coraggio si nasconde in un angolo della
mente, lasciando campo libero alla mia coscienza.
-Non gli dirai mai una frase del genere, se il tuo coraggio continua a
scappare come una volpe braccata! Tu sei Quinn Farrell, per l'amor del
cielo! Tu sei la regina dell'Albertville High School!-
-Dove Albus non è uno studente! Lui è più grande,
più maturo... A lui non interessa sicuramente una liceale...-
La piccola me sbuffa e mi interrompe: -Ti ha accompagnata dall'altra
parte del mondo! Pretendi anche un cartellone con su scritto "BACIAMI",
per caso?-
Decido di lasciarla perdere e tornare alla realtà.
-Allora, questo tedesco?- gli domando di nuovo, e, prima che lui possa
rispondere, la porta si apre e lo vedo storcere il naso: -Cosa diavolo
è questa puzza di morto?- mi chiede, voltandosi per
osservare un ragazzo, suo coetaneo, entrare e dirigersi verso il
bancone, sorridendo amabile alla cameriera, che resta ammaliata dai
suoi occhi, dal suo profilo, dalla sua grazia e dai suoi lineamenti
perfetti.
Albie lo fissa come se volesse incenerirlo, o peggio, azzannarlo. Il
giovane si volta e non appena incrocia lo sguardo di Albie la sua
espressione si tramuta in puro divertimento.
-Albie...?- chiedo io, titubante, senza poter staccare gli occhi da quelli magnetici del nuovo arrivato.
Questo fino a che albie non afferra il suo giaccone ed interrompe il
nostro contatto visivo: -Via di qui. Adesso- dice, e quasi lo ringhia,
attanagliandomi il braccio e, letteralmente, trascinandomi fuori dal
bar.
Abbiamo camminato, o meglio, Albie procedeva a passo di marcia e io lo
seguivo ancora con il braccio intrappolato nella sua ferrea mossa fino
alla Cattedrale di Santo Stefano, di fronte alla quale Albie si accorge
di avermi trascinata: -Mi dispiace, Quinn... Non era mia intenzione!-
esclama, sedendosi sui gradini della Cattedrale, con uno sguardo al
quale è impossibile dire di no.
-Non importa- gli dico io, prendendo posto accanto a lui e guardando il
suo profilo illuminato dai timidi raggi del sole che, ogni tanto, fa
capolino dalle nuvole grige della capitale.
-Cos'era, Albus?-
-Un vampiro- risponde, in un sussurro, puntando il suo sguardo di fuoco all'orizzonte.
La mia coscienza sta sbraitando, mentre cerca di spingermi verso di
lui. Solo per cercare un contatto, per fargli capire che io ci sono,
qualsiasi cosa fosse quel ragazzo. E, forse per la prima
volta, da quando è comparsa, le do ascolto: incrocio il braccio
in quello di Albie e appoggio la mia testa sulla sua spalla, inspirando
il dolce aroma della sua pelle, mischiato all'odore di candele che si
insinua nell'aria ogni volta che le porte della Cattedrale vengono
aperte.
Mi sembra irreale quando sento la sua mano posarsi sui miei capelli e accarezzarli.
Ed eccolo lì, il batticuore che non sentivo da giorni: con il
cuore che minaccia di uscirmi dalla cassa toracica ogni volta che la
sua mano, con un tocco delicato, riprende la sua corsa sui miei
capelli.
Forse, Ade aveva ragione: dovrei smetterla di preoccuparmi di queste
piccole cose, per concentrarmi sulla salvezza del mondo e la
distruzione delle Druidresse. Ma non ho la forza per respingere le
attenzioni, seppur flebili, di Albie.
-Forza, torniamo in albergo, Quinny...- mi sussurra, subito dopo aver
chiuso gli occhi. Annuisco e mi alzo lentamente, spazzolandomi la
polvere inesistente che fingo si sia accumulata sui miei jeans.
E' solo per tenermi occupata, lo so; e forse lo sa anche lui, ma sembra
non interessarsene, perché afferra la mia mano e fa in modo di
incrociare le nostre dita.
Preferirei che stesse in silenzio, per non rovinare questo momento che rasenta la magia.
Ovviamente non lo fa, ma dice la cosa più dolce che un ragazzo mi abbia mai detto: -Non lasciarmi mai andare e prometto che farò lo stesso con te-
Sta sussurrando di nuovo, ma questa volta le sue labbra sono
infinitamente vicine al mio orecchio e mi ritrovo a fremere quando una
lieve folata di vento porta il suo odore alle mie narici, inebriandomi
il cervello.
Mi domando perché sia così difficile baciarlo.
Non mi sono mai fatta troppo problemi, soprattutto perché, a
scuola, potrei avere qualsiasi ragazzo io desideri con uno schiocco di
dita; ma con Albie è diverso.
Diverso, sì, perché lui non è solo più
grande, non è solo un essere sovrannaturale. Forse è la mia unica eccezione.
Questo non è il momento per abbandonarsi ai discorsi filosofici sul mio futuro.
Prendo un respiro profondo e gli rispondo: -Te lo prometto, Al-
Sorride, di nuovo. E ha quel sorriso che aveva il giorno di Capodanno, quello che potrebbe spegnere il sole solo se lo volesse.
Poggia la fronte sulla mia, e invece di allontanarmi, come dovrei fare,
mi avvicino di più a lui, fino a sentire il suo naso che
solletica il mio.
Non ho il coraggio di chiudere gli occhi. Non posso. Non voglio che, in
un battito di ciglia, tutto sparisca. Sarebbe troppo straziante.
Il suo sorriso diventa più ampio e la sue labbra si avvicinano: -Mi hai chiamato Al...- dice, parlando sulle mie labbra.
Ed in quel magico momento, quando potremmo finalmente fare
incrociare le nostre bocche, una folata di vento gelido e uno
schiarimento di voce ci fa capire che, volenti o nolenti, ci dobbiamo
staccare.
Arrossisco quando vedo Ade, vestito come un normalissimo ragazzo che si
trova lì per caso: il colletto della camicia blu notte, come i
suoi occhi, esce dalla giacca di pelle nera che si adagia perfettamente
sui suoi fianchi, lasciando spazio ad un paio di blue jeans che gli
stanno a pennello.
-Ho saputo da attendibili fonti che avete incontrato Brutus...- dice,
ghignando: -Mi chiedevo quanto tempo ci avrebbe messo a trovarvi, in
effetti-
-Brutus?- domando io sospettosa, guardando il Dio dei Morti negli occhi.
-Il mio fido segugio- mi risponde lui fiero. Nemmeno stesse parlando di sua moglie.
-Quella cosa che puzza di morto è il tuo... segugio?- chiede Albie, fissandolo con uno sguardo truce.
-Sta' tranquillo, canide. Gli ordini era chiari: non attaccarvi-
Non sono certa se mettermi ad urlare in mezzo alla piazza, certa che
pochi mi capirebbero, oppure lasciar perdere tutto e aspettare che
Albie ed Ade si scannino a vicenda, sfogando la rabbia repressa che, si
vede, provano l'uno nei confronti dell'altro.
-Non attaccarvi! Non attaccarvi! Un suo morso mi avrebbe ucciso!- esclama il bibliotecario, adirato.
-Quando uno dei miei sottoposti riceve un ordine, lo rispetta. Soprattutto perché non ci tengono a finire tra le dolci fauci di Cerbero...-
Rabbrividisco, immaginando la scena e Albie mi guarda dolcemente: -Forza, torniamo in albergo...-
-No, cari miei. Torniamo tutti insieme in albergo. Non era solo Brutus
sulle vostre tracce. La Salvatrice non nasce tutti i giorni. Avete
creato un bel po' di scompiglio dal vostro arrivo qui a Budapest-
afferma tranquillamente Ade prendendomi sottobraccio e intimando con
uno sguardo furente ad Albie di mollare la presa.
Mi sento un trofeo da esibire, così mi scollo con uno strattone
da entrambi: -Grazie, ma so ancora camminare da sola!- esclamo,
irritata.
-Scusa, Principessina. Sai com'è, non ci tengo ad aspettare altri mille anni per la tua nascita. Sei più utile da viva che da morta. Per ora-
Albie gli ringhia contro e io mi metto a camminare in direzione dell'albergo, alzando gli occhi al cielo, furiosa.
Angolino autrice:
Santissimo Ade! Scusatemi per il MADORNALE ritardo.
La scuola mi ha preso tantissimo e il blocco dello scrittore non se ne voleva andare!!
O meglio, il blocco per questa storia non se ne voleva andare, perché intanto ho scritto due FF di Harry Potter...
Sono imperdonabile, lo so, lo so!
Quindi... perdonatemi per il
ritardo e, purtroppo, sono costretta ad ammettere che non so con che
frequenza potrò pubblicare i capitoli.
Sicuramente una volta al mese ci vedremo e leggerete di Quinn ed Albie.
Il secondo capitolo è
già in fase di scrittura, e, finalmente ritorneremo nuovamente
nella nostra amata (suppongo) Albertville.
Un bacio a tutti!
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Capitolo 19 *** XIX. ***
Prophecy3
Lookin' for some trouble tonight
Take my hand, I'll show you the wild side
Like it's the last night of our lives
We'll keep dancin' till we die
(Ke$ha, Die Young)
19 gennaio,
ore 11.05, casa Farrell
-La vacanza?- mi domanda Jack con un ghigno divertito, appoggiato allo
stipite della porta della mia camera da letto, con una canotta bianca e
dei pantaloni neri, parte di una vecchia tuta, e simbolo che ha appena
finito di allenarsi, nello stesso momento in cui io ho terminato di
fare il bucato.
Gli sorrido: in casa siamo solo io e lui perché mamma e Bob
hanno portato tutti a passare il week-end dalla zia di Jack. Ergo, la
casa è nostra per due giorni interi.
-Sai che non è stata una vacanza, Jack...- inizio io, tornando
al cesto delle cose che devo piegare e mettere al loro posto
nell'armadio.
-Non potevo essere così rude da domandarti del viaggio che hai
fatto senza che la maggior parte della nostra famiglia sapesse nulla-
-Tecnicamente lo hai appena fatto-, gli dico io, fissandolo divertita
e, mentre mi rimetto all'opera, sento le braccia forti di mio fratello
che mi avvolgono in un abbraccio rassicurante.
-Dovevi per forza farti fare un'abracadabra quando eri dall'altra parte
del mondo?- mi domanda, affondando il suo viso nei miei capelli.
-E' andato tutto bene, Jack, nessuno si è fatto male...- inizio
io, prima che lui mi blocchi con uno dei suoi monologhi apprensivi:
-No, tu non capisci quanto sono stato in ansia per te! Non potevo
controllare come stavi. Tu dicevi di stare bene, e io non ti credevo
perché tu dici di stare sempre bene! Staresti "bene" anche se
avessi un coltello infilato nel'intestino...-
-Smetti di fare il melodrammatico, Jack. Ora ricordo tutto. E' tutto
tornato alla normalità- gli dico, perché l'ultima cosa di
cui ho bisogno è mio fratello che si comporta come una chioccia
apprensiva.
Lo sento sbuffare e vedo i miei capelli appropriarsi delle mie ciglia a
causa dell'aria che è stata smossa, con le mani evito che si
riempiano di mascara.
-Cambiamo argomento. Come si è comportata la mia clone durante la mia assenza?-
Quando vedo la sua espressione capisco che c'è qualcosa che non
mi ha ancora detto: -Cosa diavolo è successo mentre non c'ero?-
domando preoccupata guardando Jack, dal riflesso dello specchio,
staccarsi da me per avvicinarsi allo schermo del PC, cosa che non
promette niente di buono.
Indica, con un gesto teatrale, lo schermo: -Questo dovrebbe chiarirti un po' le idee...-
Mi fiondo aleggere e già il titolo mi fa accapponare la pelle: "Galeotto fu l'allenamento in piscina..."
Lancio un'occhiata a mio fratello, prendendo posto sulla sedia girevole, mentre lui mi esorta a continuare nella lettura.
-Di certo lo abbiamo notato tutti come Lucas Scott, all'annuale gara di
nuoto non riuscisse a togliere gli occhi di dosso dalla nostra
reginetta ancheggiante nella sua uniforme sexy da cheerleader...
Assurdo ci sembra, invece, il comportamento della Farrell che ha
accettato di buon grado l'invito ad allenarsi nello stesso luogo dei
nuotatori, con i loro costumi che lasciano ben poco all'immaginazione
femminile.
Ancora più incredibile ci è sembrato il suo modo di fare
civettuolo non appena il signor Scott ha fatto la sua comparsa in
piscina! Ci stiamo ancora chiedendo, sotto shock, dove sia finita la
vera Quinn Farrell, colei che amava William Hummell più della
sua stessa reputazione!
Forse, però, è anche vero che il caro Will ha tirato
troppo la corda (già di per sé molto lunga) che la sua
consorte gli aveva lasciato-
Scorro in giù il post, perché non ho né la voglia,
né tantomento l'intenzione di leggere uno sproloquio del/della
blogger sul tradimento di Will.
-Tornando a noi. Eravamo increduli quando, all'uscita dagli spogliatoi,
Quinn ha preso il coraggio per chiudere il capitolo Hummell e iniziare
la storia Scott, con un appropriato "Galeotto fu l'allenamento in
piscina e la sua fine"-
Pochi minuti dopo,
soggiorno di Casa Farrell,
tavolo da pranzo
-Non può averlo fatto davvero!- esclamo io, per la centesima volta.
-Qualunque cosa avessi in mente quando le hai soffiato contro, l'ha
portata a scegliere Lucas...- cerca di interrompermi Jack, stringendo
tra le mani la tazza fumante di the che ha preparato per entrambi.
-Non le ho soffiato contro!- continuo io, con un tono di voce abbastanza elevato, cosa che capita assai raramente.
Prendo fiato per riprendere il mio discorso, quando sento qualcuno
bussare alla porta d'ingresso; mi alzo lanciando un'occhiata di fuoco a
mio fratello, e iniziando silenziosamente a pregare perché non
sia Lucas, perché non saprei come comportarmi se me lo
ritrovassi davanti.
E invece, quando spalanco la porta, alla mia altezza trovo gli occhi di Ade.
"Fantastico", penso, lasciandolo entrare con un cenno della testa; non
appena entra in casa mi fissa, prima di dire la sua battuta d'effetto:
-Ho sentito la tua soave voce dal fondo del vialetto, Quinn... Qualcosa
non va?-
-La tua doppelgänger non va!- gli urlo contro, sbattendo la porta,
e mi ritrovo praticamente in un batter d'occhio immobilizzata dalle
braccia di Jack, che mi trascinano letteralmente sul divano.
-Non so di cosa tu stia parlando, ma sono certo che ti sia comportata esattamente
come ti saresti comportata tu se fossi stata qui ad Albertville- dice
lui, pacatamente, mettendosi in piedi di fronte a me, con le braccia
incrociate.
-Io non mi sarei MAI comportata in quel modo, chiaro!?-
-Calmati, okay, Quinn?!- mi dice Jack, comportandosi come se fossi
James, quando inizia a fare i capricci per avere qualcosa che
già mamma e Robert gli hanno categoricamente negato.
Incrocio le braccia, gesto che mi fa sembrare ancora di più una
bambina immatura; Ade prende nuovamente la parola, rompendo il
silenzio: -E' ora di far tornare la doppelgänger un mucchio di
cenere-; alza un sopracciglio e guarda le scale: -E' al piano
superiore?-
Jack mi lancia uno sguardo ammonitore: -Sì. Ti accompagno-
Non appena li sento salire le scale in silenzio, il telefono di mio
fratello vibra, a causa del messaggio che gli è arrivato: leggo
il nome e per poco non lancio il cellulare dalla finestra.
Ehi, Jack, stasera festa a casa tua? ;)
XX, F.
No, tutto, tutti, ma non Frankie.
Non Frankie che è stata la causa della mia rottura con Will.
La mia coscienza fa capolino, seduta per terra con le gambe incrociate
e una tazza di Earl Grey; mi domando perché proprio del the,
considerato il fatto che a me il the non piace.
-Quinn, stai calma. Non urlare... I vicini ti potrebbero sentire. E
poi, tutto sommato, non sei contenta che Jack abbia trovato qualcuna
con cui passare il tempo? Insomma, qualcuna che non sia Kit. Quella
povera ragazza è cotta di tuo fratello-
Sì, sono contenta che in questo modo Jack non ronzi più intorno a Kit, ma non con Frankie.
Con tutte le ragazze che ci sono nella nostra scuola, che lo vorrebbero, perché proprio l'italiana che rompe tutto quello che tocca?
-Dai, Jack non è uno di quei sempliciotti che si fa fregare da un paio di belle tette, Quinn-
Spiegatemi perché la mia coscienza ha sempre ragione, vi prego.
Jack torna in salotto, con passo pesante: -La prossima volta che il Re
dei Morti viene a casa nostra, avvertimi, così posso uscire-
Alzo un sopracciglio, voltandomi verso di lui: -Che ha fatto?-
-Le ha spezzato il collo, Linny!- esclama mio fratello, poggiando le
mani sullo schienale del divano e guardando fuori dalla finestra, verso
la strada deserta.
-Era necessario farlo. Non penso che tu volessi due Quinn in giro per
casa...- dico io, stiracchiando un mezzo sorriso e avvicinandomi a lui.
No, la storia di Frankie e della festa deve essere chiarita, ma non
dopo nemmeno un minuto che mio fratello ha visto Ade spezzare il collo
alla mia fotocopia.
Pochi minuti dopo,
soggiorno di casa Farrell.
-Non lascerò entrare Frankie in casa nostra, Jack...-
-In realtà, Quinn, l'hai invitata proprio tu, soto suggerimento di Lucas-
Apro la bocca per lo stupore: io che invito Frankie, l'anti me, in casa mia?
-Strano non averlo trovato scritto sul blog della scuola- sospiro: -E'
questo il genere di svolta che gli piace, no? Le due api regine che
condividono il trono...-
-A nessuno va a genio in fatto che tu e Frankie abbiate fatto pace,
senza davvero una cat-fight degna di tale nome. A me in primis, Quinn.
Però ormai, alle otto saranno tutti qui...-
-Tutti?- domando, rivolgendo il mio pensiero ad una sola persona in particolare.
-Non ti si può avvicinare, Linny-
Già, che strano effetto mi fa, sapere che non potrà
più avvicinarsi alla mia casa, nemmeno per vedere il suo
migliore amico...
-No, Linny. Conosco quello sguardo. Non m'importa, davvero. Posso fare
a meno di lui. Soprattutto dopo che ti ha colpita i rapporti tra di
noi sono diventati un tantino... tesi, ecco-
Sento alle mie spalle qualcuno schiarirsi la voce e vorrei prendere un
oggetto contundente e spaccarlo in testa al Re dei Morti. E' un
discorso tra famigliari, non tra me, Jack e Ade.
-Darete una festa, questa sera?- domanda, con una voce che pare innocente.
-Una festa alla quale tu non sei invintato, Ade- gli rispondo
acidamente; non ho intenzione di vederlo comparire nel mio soggiorno
nel bel mezzo di una festa di adolescenti: lui non sopporta i miei
coetanei; ormai è palese.
-Forse io non lo sono, ma il tuo amico di penna Dimitri lo è-
dice, mentre si trasforma sotto i nostri occhi nella versione
più giovane del pilota del volo Cleveland - Budapest.
-Eri tu?- gli domando incredula.
-Certo, pensavi che sarei rimasto con le mani in mano mentre tu
viaggiavi tranquillamente su un volo di linea intercontinentale?-
La mia coscienza riappare, guardandolo con fare superiore: -Certo che lo pensavo!-
Jack interrompe il momento: -Non mi importa in cosa ti trasformi,
potresti anche diventare una pianta in vaso, ma non entrerai in una
casa piena di ragazzi ai quali potresti spezzare il collo per sbaglio-
Ade lo guarda con fare sospettoso: -Pensi che la presenza di qualche
diciottenne potrebbe turbare il mio senso di pace e pacatezza?-
-Ne sono certa!- esclamo io, nello stesso momento in cui lo dice anche mio fratello.
-Io entrerò alla festa. Dobbiamo iniziare la caccia-
-Pensavo che le Druidresse fossero solo in Francia- affermo, confusa.
-Sono venute a sapere da qualcuno che tu sei qui. Lucifero è
molto agitato da quando la Regina delle Druidresse gli ha rivelato la
nascita della Salvatrice, per questo motivo sono portato a credere che
ci sia una spia in questo buco di città sconosciuto-
Mi sembra assurdo che qualcuno possa avermi spiato per tutto questo tempo, senza che io me ne sia mai resa conto.
-Comunque, Quinn, hai il diritto di scegliere: o io, che fingerò
di essere Dimitri, oppure il lupo accompagnato dalle Muse-
Ade legge nei miei occhi il disagio crescente non appena ha pronunciato la parola "lupo".
-Linny?- il tono di voce di Jack è quasi implorante: non ha
nessuna intenzione di far entrare Ade in casa nostra, ma io devo fare
quello che è meglio per me; non potrei sopportare la vista di
Albie, e il fatto che questa sera mi dovrò comportare come
un'oca giuliva con Lucas, mi porta a pensare che il rapporto che si
è venuto a creare mentre eravamo a Budapest, non farà
altro se non incrinarsi negativamente.
Respiro profondamente e, con un tono moltro contrariato dico: -E Dimitri sia-
Ore 19.50
Soggiorno di casa Farrell
-Non posso credere che tu gli abbia dato il permesso di venire!- esclama, per l'ennesima volta, mio fratello, sbuffando.
-E' tutto il pomeriggio che me lo ripeti, Jack!- dico io, sistemando
gli ultimi bicchieri di plastica rossa sul tavolo del soggiorno.
-Perché non gli hai detto di far venire Albus?-
La piccola me in miniatura risponde a gran voce: -Perché non
voglio che Albie sia presente in una stanza piena di adolescenti con
gli estrogeni pseudo impazziti, e poi anche perché lui non
sarebbe a suo agio, io lo conosco...-
La fermo, prima che possa dire qualcosa che, agli occhi di mio fratello, mi farebbe arrossire senza ragione.
-Allora?- mi domanda, battendo il piede a terra e tenendo le braccia
incrociate, posache lo fa sembrare oltremodo maturo e minaccioso.
Il campanello suona e mi fiondo sulla porta, passando accanto a Jack con un sorriso furbetto sul volto.
-Questo non significa che la conversazione sia finita, Linny!- esclama
lui, primache io apra la porta per trovarmi davanti al sorridente viso
di Kit: mi viene voglia di abbracciarla, ma mi trattengo perché
sarebbe molto strano.
-Kit!-
-Ehi, Quinn!- mi dice lei, mentre si leva il cappotto e lo va a mettere
nel sottoscala; l'unico posto che può essere considerato sacro
ed intoccabile durante le feste che avvengono in casa Farrell.
-Ciao, Kit- dice Jack, con il suo tipico ghigno.
-Jack...- dice lei, guardando ovunque tranne che nella direzione di mio fratello.
Prevedo una serata molto lunga...
Non finisco il mio pensiero che gli schiamazzi dei miei compagni di scuola riempiono il vialetto.
Ore 22.10
Ho perso le speranze di restare sobria non appena ho preso in mano il primo bicchiere di birra, offertomi da Lucas.
Non avrei mai pensato di dirlo, ma più tempo passo accanto a lui,
più mi ritrovo a credere che Ade avesse ragione: la mia
doppelgänger si è comportata proprio come avrei fatto io.
Il mio momento di pausa riflessiva giunge al termine quando vedo Jack
con le mani sui fianchi di Kit e la lingua nella sua bocca: non ho
nessuna intenzione di fermarli.
-Perché no?-
Un brivido percorre la mia schiena, mi volto di scatto solo per scontrarmi con "Dimitri".
-Perché no cosa?-
-Pensi che i miei unici pregi siano bellezza ed immortalità, Quinn?- mi domanda, ghignante.
-Certo che no, pensavo che anche il narcisismo rientrasse nei tuoi pregi, Dimitri-
Lo sento emettere una bassa risata, che si confonde con la musica ad
alto volume che ci fa da sottofondo. Capisco a cosa si riferisce e gli
do le spalle: -Perché loro sono grandi e perché non sono
nessuno per porre fine al loro divertimento...-
-Sei la migliore amica di lei e la gemella di lui-
-Non sono la loro madre- sbotto infine, scocciata. Con quale diritto fruga nella mia testa?
-Nel caso te lo stessi chiedendo: no, non leggo nei pensieri; era
troppo semplice indovinare quello a cui stavi pensando. Comunque,
giusto a titolo informativo...- dice, prendendo per la vita e facendomi
voltare: -Se non fossi così bravo a leggere le persone, avrei
pensato che tra te e Jack ci fosse qualcosa. Siete...-
-Giusto a titolo informativo- lo interrompo io: non mi so spiegare il
motivo per cui la vicinanza con Ade mi renda così nervosa. -Non
mi interessa quello che pensano gli altri-
-Ostinati a giocare con il fuoco, Quinn e finirai per scottarti- mi
sussurra all'orecchio, prima di sparire così com'è
apparso: nel nulla.
Mi sposto in cucina, dove vedo Lucas, appoggiato al distributore di
birra gentilmente "prestatoci" dai ragazzi della squadra di Football.
-Quinn!- esclama, vedendomi; abbandona la conversazione con i suoi amici e mi raggiunge.
-Bella festa! Beh, come tutte quelle che organizzate voi Farrell...-
-Il fatto che qualcuno non sia ancora collassato sul divano mi fa pensare che non sia una festa degna di questo nome!-
-Ho intravisto Paul e James messi veramente male, forse saranno
loro a battezzarla!- quasi grida, per farsi sentire, mentre si avvicina
a me. Non sarebbe il primo bacio che gli do questa sera, per questo non
esito ad alzarmi ancora di più sui miei tacchi a spillo e
prendere l'iniziativa, accompagnata dai vari "oohh" e dalle urla di
incitamento da parte degli atleti.
-Cresceranno mai?- mi domanda la mia coscienza, scuotendo la testa con un sorriso divertito.
A giudicare dall'aumentare delle grida non appena le mani di Lucas
sulla mia vita mi accompagnano con la schiena contro il muro la
risposta è: -No, mai-
Ma il bel momento viene interrotto dall'entrata teatrale di Jack: -Ehi,
Scott! Lascia perdere un attimo il culo di Quinn e vieni a darmi una
mano con Paul che è quasi collassato sul pavimento!-
-Insomma, che la festa inizi- penso, non appena mi lascio sfuggire un lamento quando Lucas si stacca da me.
Ore 2.25
-Te la posso fare una domanda, Quinn?- mi domanda Ade, dopo essere
tornato al suo solito aspetto con il quale ho imparato a conoscerlo e
disprezzarlo.
-No- gli rispondo, levandomi le scarpe con i tacchi e sedendomi sul
comodo divano del soggiorno: se ne sono andati tutti, Kit compresa,
anche se di solito resta a dormire da me; forse questa volta aveva
paura di finire nella camera sbagliata.
Saggia decisione, tutto sommato.
-Sai già che te la farò lo stesso- mi dice, sedendosi
accanto a me, nemmeno troppo distante: -Perché hai preferito me
al lupacchiotto?-
Se i miei allenamenti fossero iniziati, in questo momento Ade si ritroverebbe con un labbro spaccato: -Si chiama Albus, e non lupacchiotto- dico, quasi ringhiando.
-E non ho preferito te-
-Beh, qui ci sono io e non lui, in qualunque modo tu lo voglia chiamare... Perché?-
-Perché non sono affari che ti riguardano-
Non ho bisogno che ci sia lui a domandarmi spiegazioni riguardanti il
mio strano comportamento nei confronti di Albie, già c'è
la mia coscienza che ci pensa abbastanza per tutta la popolazione
mondiale.
Ade si alza, con un sospiro pesante, ma non mi importa.
-Voglio solo dirti questo, Quinn...- inizia, avvicinandosi alla
porta-finestra del soggiorno, quella che dà sul giardino. Lo
seguo con lo sguardo.
-Arriverà il momento in cui capirai di dover compiere una
scelta. E voglio che tu sappia, che la scelta più dolorosa per
noi, molte volte è quella migliore per gli altri-
E con un ultimo, breve, sospiro, scompare nelle sue fiamme azzurre che lo riportano al Mondo dei Morti.
Fisso con sguardo vacuo il punto dal quale Ade è sparito e poi
sbuffo, voltandomi nuovamente verso il televisore: non penso che una
persona che abbia costretto la propria moglie a restare nel suo mondo
con un inganno, possa considerarsi abbastanza intelligente o possa
pensare di avere il diritto di dire qualcosa a me.
Proprio a me, che in questo momento fatico a capire da che parte stia
girando il mondo, se è reale quello che sto vivendo sulla mia
pelle o se, invece, sono in un sogno che sembra fin troppo reale.
Angolino autrice:
Sono. In. Ritardo. Madornale.
Ne sono pienamente
consapevole e, credetemi quando vi dico che qualsiasi forma di tortura
voi vogliate impormi, sarà più che benvenuta.
Non voglio stare qui a farvi l'elenco di tutto quello che ho fatto, perché so che a voi non interessa...
Mi dispiace soltanto di aver aggiornato addirittura ad aprile!
T_T
Me misera, me tapina.
Vi chiederò fino alla fine del mondo di perdonare il mio ritardo, già di per sé imperdonabile.
Però, se volete sapere una cosa che potrebbe (forse) farvi sentire meglio...
Nel prossimo capitolo avremo una Svolta con la S maiuscola.
Detto questo,
spero che non vi siate
scordate di me, di Quinn, Ade, Jack e Albie e compagnia bella,
perché adesso, cascasse il mondo, mi metterò d'impegno a
finirla!
Vi abbraccio,
Kristah.
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Capitolo 20 *** XX. ***
-quinn
26 gennaio.
Ore 7.50, Albertville High School,
Atrio.
E' passata ormai una settimana dal mio ritorno qui in America, e sono
tornata senza troppi problemi alla mia vecchia vita. Beh, vecchia per
modo di dire: è da un paio di sere che sparisco dalla mia camera per almeno un paio
d'ore e vado in uno dei campi abbandonati in periferia per potermi
allenare con le Muse e con Ade.
E' anche una settimana intera che non vedo Albie. In un modo o
nell'altro, quando la voglia di andare in biblioteca per vederlo mi
assale, accade sempre un contrattempo che mi fa desistere. Forse
è un segno del destino: non devo più incontrarlo.
O forse sono io che evito di andarlo a trovare.
Un colpo di tosse dietro le mie spalle mi fa sobbalzare; mi volto e trovo davanti a me Kit.
Questa settimana allenamenti extra, prima della partita di domenica
prossima, contro una delle squadre più importanti e più
forti dell'intero campionato studentesco.
-Ehi, Kit!- la saluto sorridente, mentre ci dirigiamo verso la palestra.
Il preside Murray è stato tanto "gentile" da lasciarci usare la palestra, con il riscaldamento spento, ovviamente.
-Come va tra te e Lucas?- mi domanda, guardando a terra. Non ci vuole
di certo un genio per capire che c'è qualcosa che non va.
-Kit...?-
-Mh?- mi guarda e sorride, ma scorgo un velo di tristezza, ma spero che
non sia per il motivo che sto pensando io... Sarebbe troppo da gestire,
in questo momento.
-C'è qualcosa che non va? Sai che a me puoi dire tutto...- affermo, sistemandomi i capelli nell'austera coda di cavallo.
-Oh... Beh, sai... Jack...-
Ovviamente era per quello. Inspiro profondamente, ma in modo silenzioso, per mantere la calma.
-Kit, lo sai che mio fratello è una testa di cazzo...-
Lo so, difficilmente sono volgare, ma se ripenso al comportamento di
Jack sabato scorso, l'unica descrizione che mi viene per lui è
proprio "testa di cazzo".
-Sì, lo so, ma... Pensavo che...-
-Che?-
E dento di me prego perché non dica: "sarebbe cambiato".
-Pensavo che sarebbe cambiato... Ecco tutto-
Appunto. L'unica cosa che non devi sperare è proprio che i
ragazzi cambino; perché non funziona così: se il loro
comportamento con le altre ragazze è un comportamento da idiota,
nella loro testa tu non sei nessuno per farlo cambiare.
-Oh, Kit- mi avvicino a lei e l'abbraccio, cosa che non accade molto
spesso; le accarezzo i capelli, che sanno di fragola e le do un bacio
sulla guancia.
-Se mio fratello avesse un po' più di sale in quella zucca
vuota, capirebbe che sei perfetta per lui!- esclamo, stringendola un
po', per farle capire che ci sono.
D'accordo, non è esattamente quello che penso: non perché
Kit non mi piaccia! Semplicemente il suo carattere e quello di Jack
sono troppo diversi per poter andare d'accordo.
Jack è menefreghista, spaccone, è quel tipo di ragazzo
che non riesce a stare fermo; invece Kit... lei è dolce,
simpatica, carina, il tipo che arrossisce facilmente ai complimenti.
Non sono neanche opposti. Non si attrarrebbero neanche.
Chissà se poi è vero che gli opposti si attraggono...
Ore 15.30
Macchina di Quinn Farrell, sedile del guidatore.
Ho le mani strette sul volante, e guardo fisso davanti a me, la porta a vetri.
-D'accordo, Quinn... Non è niente di che, sei già entrata
molte volte lì dentro...- sussurro a me stessa, a mo' di
incoraggiamento.
Sono diventata tutto d'un colpo rincoglionita e anche pazza. Fantastico.
-Per Dio, sei Quinn Farrell! Non hai mai esitato a fare niente!-
E se questa volta, il fatto che io stia tentennando in questo modo per
poter uscire dalla macchina, sia un chiaro segnale che finalmente sto
crescendo e maturando?
Scuoto la testa: -No, non essere ridicola... Tu sei già matura! Di certo più matura di Jack!-
Afferro la borsa e sono in un attimo fuori dalla macchina: è
inutile essere ridicoli. Prima o poi, per un motivo o per l'altro ci
dovrò entrare in biblioteca.
Spingo lentamente la porta e sento la campanella tentennare.
C'è un silenzio sovrumano. Solitamente Albie è sempre
alla cassa che gli fa anche da scrivania e accoglie tutti con un ampio
sorriso. Oggi no.
-Al?- domando, incerta.
Probabilmente è andato da qualche parte a fare una commissione,
e in questo caso potrei iniziare a pensare seriamente che il mondo non
voglia farci incontrare dopo il nostro ritorno.
-Sono sul retro, arrivo subito!-
Oh, perfetto. Non è il destino avverso. Sono io che sono una codarda.
Mi guardo intorno, spaesata. Sembra che io venga qui da una vita... E
l'ultima volta che ci ho messo piede ho incontrato il Re dei Morti.
-Oh, Quinn- dice Albie, con un tono a metà tra il sorpreso e il deluso.
-Ciao, Al-
-E' successo qualcosa?- mi domanda, incuriosito, ma senza l'ombra di un sorriso sul volto.
Okay, fantastico. Dov'è finito il bibliotecario che mi prendeva
in giro perché passavo un sacco di tempo in biblioteca?
Scuote la testa, rispondendo alla sua stessa domanda: -A me niente di che. A te?-
Abbasso lo sguardo sulle mie scarpe da ginnastica e rispondo a voce bassa: -No, niente...-
-Ne sei certa? Io ho sentito il contrario- mi dice, quasi aggredendomi verbalmente.
Alzo la testa, con un cipiglio incerto: -Sentito?-
-La cittadina è piccola e le voci corrono, Quinn-
-Quali voci?-
-Pensavo che...- poi scuote la testa, di nuovo, questa volta con un sorrisino triste.
Mi avvicino a lui di un paio di passi, e invece lui indietreggia.
-Cosa pensavi?-
-Pensavo che Budapest avesse cambiato qualcosa! Invece a quanto pare non è così! Quanto sono stato stupido!-
Il tempo di realizzare a cosa si riferisce e lo sento sbattere la porta sul retro, quella che dà sul vicolo cieco.
-ALBUS!- urlo, correndogli dietro e spalancando la porta, trovandolo con la fronte poggiata contro il muro di mattoni rossi.
-Albie...-
Sto cercando qualcosa di sensato da dire, ma non trovo niente; solo scuse alle quali aggrapparsi.
Ma io non voglio fornire scuse, né tanto meno spiegazioni. Voglio solo spiegargli come mi sento.
Sì, perché quando lui mi guarda, quasi non riesco a ragionare lucidamente;
perchè quando siamo vicini, il mio cuore batte all'impazzata;
perché quando sono in sua compagnia, il resto del mondo non esiste più.
Mi sento come se avessi cinque anni e il mio migliore amico mi avesse
regalato una margherita strappata dal prato di fronte casa;
mi sento felice, perché lui è lì per me.
Felice, ma allo stesso tempo stupida, per tutte quelle occasioni che ho perso: avrei potuto baciarlo così tante volte...
E ogni volta, ogni singola volta, le nostre paure, le nostre ansie, ci fermavano.
Perché tutto quello che sento per lui, io non l'ho mai sentito per nessun altro prima d'ora.
-Vattene, Quinn- mi dice, con voce ferma e autoritaria.
E invece io me ne sto lì, senza muovere un passo.
-No, Albus-
-Non voglio più avere niente a che fare con te, Quinn-
No, questa volta non mi farò fregare.
-No, non me ne vado. Ho smesso di sentirmi colpevole-
-Non sei tu quella che si deve sentire in colpa. Sono pericoloso, Quinn-
Posso sopportare tutto, ma non che lui si senta in colpa per qualcosa che non è assolutamente colpa sua.
-La vuoi sapere una cosa? Il fatto è che quando sono con te, non
mi ricordo nemmeno che sei un lupo mannaro. Non mi passa nemmeno per
l'anticamera del cervello. Perché tu sei Al. Tu sei...-
Mi sento una completa idiota, ma non è tempo per sentirsi delle bambine impacciate. E' tempo di dimostrare chi sono.
-Tu sei il ragazzo che scombussola completamente il ritmo del mio
cuore. Perché tu non fai altro che stare lì, e fissarmi.
E poi ti avvicini così pericolosamente, che quasi prego
perché la tortura abbia fine.
Perché io non ce la faccio a guardarti mentre le nostre labbra
sono a cinque centimetri di distanza. Perché i tuoi occhi sono
come l'infinito e io mi ci potrei perdere dentro-
Prendo fiato e mi rendo conto di aver parlato a qualcuno che
probabilmente non voleva sentire niente di quello che avevo da dire.
Me ne torno in biblioteca, in mezzo agli scaffali, senza nemmeno rendermi conto che la porta non si è ancora chiusa.
E poi mi ritrovo con il polso incastrato tra le dita di Albie, che sono calde, quasi bollenti.
-Sei logorroica- dice semplicemente, prima di spingermi con delicatezza
contro uno scaffale colmo di libri e recuperare tutte le occasioni che
abbiamo perso con un unico, inaspettato, atteso, perfetto, passionale
bacio che mi fa fluire il sangue al cervello e che mi fa capitolare.
Le mie mani si incastrano nei suoi capelli mentre le sue sono sulla mia
vita, come se avesse paura che io potessi sfuggirgli: che cosa stupida.
Proprio nel momento in cui le sue mani si insinuano lentamente e in
modo dolce sotto la mia maglietta, il campanello della porta della
biblioteca suona e quasi vorrei urlare a chiunque sia alla porta di
andarsene.
Questo prima di sentire una voce fin troppo familiare: -Ehm... C'è nessuno?-
Mi irrigidisco e Albie se ne rende immediatamente conto; si stacca
controvoglia da me, lasciandomi andare e mi metto l'indice sulle
labbra, per fargli capire che io non sono in biblioteca.
-Arrivo subito, sto sistemando l'archivio...- mente, con nonchalance, guardandomi dritta negli occhi.
I passi del visitatore si fanno più vicini ed Albie, con uno
scatto repentino, gli va incontro, dandomi il tempo di nascondermi.
-Oh, ciao... Ehm... Mi chiedevo se Quinn fosse qui. Ho... ho visto la sua macchina-
Per la prima volta nella mia intera vita mi ritrovo a maledire la mia
Mini Cooper metallizzata. Ma cosa ci fa qui Lucas? Non doveva avere gli
allenamenti di nuoto fino a questa sera? Ascolto la conversazione
ben nascosta tra i libri più vecchi che la biblioteca ospita: libri che
nessuno ha mai consultato perché inutili; mi appoggio ad uno scaffale
contenente i vecchi registri contabili di Albertville.
-Quinn?- domanda Albie in tono sorpreso.
-Ah, certo!- esclama, come se gli fosse sfuggito qualcosa do piuttosto
ovvio: -Spesso la parcheggia e poi va a fare un giro in centro... Le
piace camminare d'inverno-
Chiudo gli occhi e immagino che Albie pronunci questa affermazione
mentre mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio;
involontariamente mi passo una mano sul collo, smettendo di ascoltare
lo scambio di battute tra Albie e Lucas.
Circa un quarto d'ora dopo,
sezione fantasy.
Io ed Albie siamo seduti con la schiena appoggiata agli scaffali che
conservano molti libri che ho letto che mi hanno fatta emozionare. Le
nostre mani sono intrecciate l'una con l'altra e ho la testa poggiata
sulla sua spalla, mentre inspiro quel profumo che mi ha fatto tanto
sognare ad occhi aperti.
-Cosa pensi che farà quando ti avrà cercata per tutta Albertville senza successo?-
-Se ne andrà a casa- gli rispondo, pensando che parlare di Lucas non sia una buona idea.
Ma lui non la pensa così: -Ero geloso di lui-
-Geloso?- ho un tono di voce incredulo: Albie, che ha accompagnato me, la vera me, a Budapest, geloso di un semplice nuotatore liceale che ha dato un bacio al mio clone?
-Sì, geloso. Geloso perché ho pensato che tutti i passi
avanti che sembravamo aver fatto in Ungheria sarebbero andati perduti
per colpa della tua doppelgänger-
Gli accarezzo il viso e lo faccio voltare, perdendomi nei suoi occhi che sono l'infinito per me.
-Tutti i passi avanti che abbiamo fatto, ci hanno portato ad essere
qui, ora- gli dico con un sorriso sincero e alzando leggermente il
collo per poter raggiungere le sue labbra speziate.
Ore 20.45,
casa Farrell.
-Ragazzi, il dolce!- grida mia madre dalla cucina, per radunarci tutti davanti alla torta che ha preparato nel pomeriggio.
Io e Jack guardiamo divertiti, da in cima alle scale James che scivola
lungo il corrimano superando con una sonora pernacchia le gemelle.
-James! Non si scivola giù dal corrimano!- lo sgrida mia madre,
senza cattiveria nella voce: chi mai potrebbe suonare minaccioso
portando una torta farcita in tavola?
-Giusto, James, non scivolare giù dal corrimano- lo rimbeccano le gemelle, spostando le loro sedie.
Noi siamo gli ultimi a prendere posto, mentre ci rivolgiamo
reciprocamente uno sguardo complice, perché quando eravamo
piccoli, prima della nascita di Teddy, lo facevamo anche noi.
-Allora, Quinn, come va la scuola?-
Alzo le sopracciglia confusa: -Bene, mamma. Come al solito...- i suoi occhi si spostano velocemente su Jack: -E a te, Jack?-
Lui alza le spalle, come fa di solito, prima di mugugnare un: -Bene, grazie-
Ossevo mia madre alzarsi e recuperare una busta. Mio fratello spalanca
la bocca, tenendo le mani come un bambino che vuole afferrrare qualcosa
al di fuori dalla sua portata: -A me, a me, Robin! E' quello che penso
che sia?-
-E' proprio quella- dice lei, porgendogli la busta.
La straccia come se fosse Natale; i suoi occhi corrono veloci le prime
righe e si alza, con un sorriso vittorioso dipinto sul volto: -Ce l'ho
fatta, mi hanno preso!-
Suo padre si aza, orgoglioso e con le lacrime agli occhi: -Sono fiero di te, figliolo-
Poco dopo, mia madre rientra in sala da pranzo con una bottiglia di champagne.
I quattro della casa che possono bere stanno svegli fino all'una di
notte, parlando in continuazione del college e finendo la bottiglia in
poco tempo.
Angolino autrice:
Ero pienamente consapevole, quando ho iniziato a scrivere The Prophecy,
che sarebbe diventato il progetto più ambizioso che io abbia mai portato avanti:
non c'è solo la storia in sé, con i protagonisti principali, come nelle precedenti,
c'è anche l'intrigo, il mistero, le creature fantasy, i miti e le leggende greche...
Di certo non avrei mai pensato ad un così brusco calo di ispirazione per Quinn;
sembrava promettente, come storia, e mi sembra promettente tutt'ora,
ma, considerando la mia mancanza d'ispirazione sono costretta a tagliare molto;
quindi, d'ora in poi, il due di ogni
mese posterò un capitolo di "The Prophecy", accorciando
barbaramente le idee che mi erano venute all'inizio.
Spero che, nonostante tutto, continuerete a seguire la mia storia.
XOXO,
Kristah.
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Capitolo 21 *** AVVISO: STORIA MOMENTANEAMENTE IN PAUSA. ***
Lo so che avevo promesso un capitolo al mese, ma questo calo di ispirazione per la storia di Quinn, per adesso, non ha intenzione di andarsene.
Faccio davvero troppa fatica a scrivere su di lei; per questo, con mio grandissimo disappunto, mi vedo costretta a fermarmi, almeno per il momento.
Spero che, chiunque si sia affezionato alla mia storia, ai miei personaggi, continuerà a leggerla quando ripartirà -perché sì, ripartirà.
Ma fa parte di un progetto troppo ambizioso da portare avanti e non ho davvero il tempo materiale per poter mettermi lì e rileggere tutto per capire COME arrivare al finale, perché il finale c'è. C'è eccome.
Niente, spero solo di sentirvi (o meglio, di leggere le vostre recensioni) in una delle mie one shot.
Baci e abbracci, Kristah.
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