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Autore: Kristah    13/09/2012    4 recensioni
Una vita normale. Ecco cosa conduce la protagonista di questa storia. Certo, vi starete chiedendo come mai questa storia sia finita qui, nella sezione fantasy.
No, non è un errore.
Una vita normale non basta. Lupi mannari, creature mitologiche e fantastiche, profezie antiche e fate che vogliono aiutare il Re del Male a conquistare il mondo degli umani.
Quinn Evelyn Farrell, questo il nome della protagonista della mia storia, è una ragazza normale: frequenta il liceo di Albertville (Ohio), è la reginetta della scuola e la capo cheerleader, è fidanzata con il Quarterback della squadra della scuola.
Vi sto annoiando?
Se avrete un po' di pazienza vi mostrerò cosa sono in grado di creare e tirare fuori dall'idea per una storia nata per caso.
Le domande che vi pongo sono due:
-Avrete la pazienza di aspettare qualche capitolo prima della fantasia?
Ma quella più importante è....
Vi fidate di me?
Spero di avere tanti lettori, ragazzi!
Vi regalo un biscottino (?)
Tanto amore!
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Prophecy1
The Prophecy.

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                                                          http://i47.tinypic.com/2dihpna.jpg
It's time to start again
Backwards to go forward
[...]
Your life is a flashback
A question, a photograph
A statement, a story, a struggle
A chance to laugh
(Soundtrack to your life, Ashley Parker Angel)

7 novembre, ore 7.15
Casa Farrell.


Un altro schifosissimo giorno è cominciato. E sono in ritardo per la scuola, come sempre; mia madre dovrà accompagnarmi per l'ennesima volta, e io sarò costretta sorbirmi le sue lamentele continue sul mio patrigno, al quale rivolgo la parola soltanto per il buongiorno giornaliero. Ci ignoriamo a vicenda per questo il nostro rapporto funziona così bene.

Chiunque abbia mai detto che l'adolescenza è il periodo migliore della vita di un essere umano, deve aver vissuto la sua al Disneyland Resort di Parigi, perché la mia adolescenza sta facendo schifo.
Chi sono io? Bene, vi rispondo volentieri: mi piace parlare di me.
Sono Quinn Evelyn Farrell, vivo nell'inutile cittadina di Albertville, in Ohio. Dovrebbe bastarvi sapere che sono bionda, ho gli occhi azzurri e sono una cheerleader; e che l'estate scorsa, mentre ero in vacanza con la mia migliore amica Kit, sono stata notata da un manager, che mi ha proposto di diventare una modella. Il lavoro è durato soltanto tre settimane, però le mie foto sono finite su tutti i giornali di moda.
Il mio futuro? Rose e fiori. Studierò recitazione all'università, so ballare e so cantare. Insomma, sono la ragazza perfetta.
Lo ero. Prima che nella mia scuola arrivasse Francesca. E' qui un anno per studiare l'americano, viene dall'Italia ed è il mio opposto, dal punto di vista fisico: con i capelli neri, la carnagione olivastra e gli occhi marroni. Il suo punto di forza? Essere straniera. Se fosse stata un'americana, sarebbe stata snobbata come tante altre.



Stesso giorno, ore 8.10
Scuola superiore di Albertville.


-Non sei felice?- mi chiede Kit, ingenua, come sempre.
-Tu proprio non riesci a capire, vero? Io ho bisogno di essere la star della scuola, la ragazza di cui tutti parlano. Io devo essere nei sogni di tutti i ragazzi!-
Lo ammetto, è solo novembre, e Frankie, come si fa chiamare lei, è qui da tre mesi, quindi è normale che tutti siano incuriositi da lei, ma solo perché è la novità.
-Quinn, non è importante, okay? Prima o poi il liceo finirà!- Kit è così semplice e dolce: è destinata a rimanere nell'ombra per tutta la sua vita, mentre io voglio spopolare, sbarcare il lunario di Hollywood, fare l'attrice. Questo è il mio sogno: recitare.
-No, Kit, per te non è importante. Per me lo è. Sono come Campanellino, okay? Ho bisogno della gente che crede nelle fate per vivere- frase copiata da qualche parte, che fa sempre effetto. E' questo quello che faccio io.
Purtroppo la campanella trascina via i miei sogni di gloria, perché devo frequentare la lezione del signor Terrance, il mio insegnante di storia rinascimentale. La lezione, come al solito è una noia, uno spreco di tempo. Certo, è vero, prendo sempre degli ottimi voti, ma è solo perché voglio essere la migliore; migliore in tutto quello che faccio.
Così mi è stato insegnato: mia madre è una cantante, ha inciso qualche disco che ha fatto successo e poi si è ritirata, quando ha scoperto di essere incinta della sottoscritta. Mio padre? Lui è scappato, come tutti gli uomini che non si sanno prendere le loro responsabilità. Al suo posto adesso c'è Robert, il mio patrigno, sposato con mia madre da dodici anni, che ha avuto con lei quattro figli. Sì, la mia famiglia è molto numerosa.
Fatto sta che Robert è il produttore di un'importante casa cinematografica, e potrebbe risultarmi utile per il mio lavoro futuro, per questo non sono ancora scappata di casa.

-Signorina Farrell, sta seguendo la lezione?- mi chiede Terrance e io annuisco, da brava alunna diligente quale fingo di essere; non appena lui si gira, sul mio banco appare un bigliettino; lo apro: è di Will, il Quarterback della squadra di Football. E' destino che la Cheerleader stia con il giocatore di Football, e noi non vogliamo forzare il destino.
Prima di voltarmi e sorridergli, come faccio sempre, lo leggo, perché ho visto il nome di Frankie.
Frankie si è data da fare con Jack sabato sera. Avevo scommesso trecento dollari. Stasera a cena fuori?
Non gli rispondo nemmeno. Sono shockata da quello che ha osato fare quella sgualdrina italiana.
Chi è Jack? No, non è il ragazzo per cui ho una cotta da quando avevo quattro anni.
Questo non è un teen-drama. Purtroppo è la mia vita; stimolante, è vero, ma non ha nulla di particolare. E' semplicemente la vita di un'adolescente comune come tante altre, che sogna di fare l'attrice e di andare al ballo con il ragazzo dei suoi sogni.
Jack è mio fratello. Fratellastro, a dire il vero. Anzi, non abbiamo nemmeno un legame di sangue, a ben guardare. E' il figlio di Robbie e della sua prima moglie Ingrid, e dopo che lei si è trasferita in Russia con un imprenditore edile, ha abbandonato il figlio nelle mani del padre.
Potrò anche sembrarvi una stronza superficiale, perché in effetti lo sono. Non mi prendo nemmeno la briga di negarlo perché è evidente, ma ci tengo veramente a Jack. Perché è come se fosse il mio fratello gemello. Abbiamo un rapporto che tra le persone comuni non viene contemplato, o accettato. Viviamo nella stessa casa, in simbiosi, quando si ammala una, si ammala anche l'altro; non capita di rado che dormiamo nello stesso letto, soprattutto se siamo tristi o robe simili.

La campanella suona di nuovo, segnando la fine dell'ora di Storia: il professore ci assegna un compito stupido, un tema su come vivessero gli italiani nel 1500. Facile, elementare, basilare. Basta aver letto una volta il capitolo che ci aveva assegnato per oggi, e il compito è fatto. Ma si sa, noi siamo adolescenti e leggere non ci piace.
Agli altri adolescenti non piace: io lo adoro. E' per questo che passo tutto il mio tempo libero (che purtroppo per me è veramente poco) nella biblioteca di Albertville.



Ore 10.25 Break di metà mattina
Cortile della scuola.

Sono seduta tra Kit e Will: la prima sta ciarlando riguardo il suo ragazzo, Rick, che sembra darle il tormento da giorni per una cosa insulsa che è o non è accaduta sabato sera: non le presto ascolto. Il secondo, come al solito, sta sempre sulle sue, in attesa di avvistare Jack; non ha capito che non gli potrà saltare addosso per fargli i complimenti. Non prima che la sottoscritta gli abbia fatto una bella ramanzina.
Ed eccolo lì: lupus in fabula[1]; il mio fratellastro, alto, biondo, con gli occhi azzurri, le spalle larghe, perfetto nel suo modo di essere stronzo. Mi alzo prima che lui possa anche solo azzardarsi a salutare una delle sue tante ammiratrici; lo prendo per un braccio e lo trascino nel ripostiglio delle scope. Il luogo adatto per deflorare vergini, ma anche per parlare.
-Jack Andrew Farrell!- gli urlo: voglio sapere che cosa gli è saltato in mente. Lui assume la sua solita faccina da cucciolo bastonato, quella che mi fa intenerire sempre, ma non questa volta. Non quando riguarda Francesca.
-Ehi, sorellina, come va? Mi sembri agitata. Lo sai che poi ti vengono le rughe proprio qui?- mi chiede, mentre con un dito mi accarezza il contorno degli occhi.
-Zitto. Sto parlando seriamente, Jack. Cosa ti è saltato in mente? Frankie? Proprio lei?-
-Ascolta. Quell'italiana potrà anche sembrare una santa, ma fidati se ti dico che non lo è sorellina. Quella sta puntando ad un pesce più grosso del sottoscritto-
Il mio sguardo interrogativo deve fargli capire che non so di cosa sta parlando.
-Si sarà anche data da fare con me, ma sta pensando a come spodestarti dal tuo trono di reginetta super-sexy del liceo, mia cara. E sta puntando al tuo amato e veramente poco innocente ragazzo-
Ammetto che, se non lo avessi visto con così tante ragazze, penserei che Jack sia un po' omosessuale.
-Ascoltami bene, piccolo stronzetto che non sei altro. Forse non ti è ancora passato il concetto che il trono da reginetta è mio. Lei non può semplicemente trasferirsi qui e prenderlo-
Sembrerò anche una bambina viziata, ma è così che funzionano le cose qui, ad Albertville.
-Io lo so bene, sorellina. Ma pare che a lei il concetto non sia "ancora passato"- dice mimando le virgolette. Quando fa così lo odio, è insopportabile nella sua mise da stronzo. Lui alla fine è un bravo ragazzo, io lo so. Forse sono l'unica che lo vede per quello che è veramente, come lui vede me per quella ragazza insicura che per essere felice deve stare sulla bocca di tutti: io non sono così; Quinn è una ragazza che vorrebbe essere vista in modo diverso, ma che semplicemente non può.
Sono diventata quella che tutti credono io sia. E non è una semplice frase riportata: è la realtà.
Jack non aspetta che io sbollisca la rabbia, mi concede un bacio sulla guancia ed esce dallo sgabuzzino, direzione cortile della scuola, dove può vantarsi del suo nuovo successo sessuale.
Ho soltanto altre due ore; ormai sono diciottenne e posso andarmene quando voglio.
Esco dalla rimessa delle scope e mi dirigo verso il parcheggio; so già dove andare: biblioteca.



Ore 11.00
Biblioteca pubblica di Albertville.


-Ehi, Quinny, non dovresti essere a scuola?- lui lo sente sempre. E' semplicemente così. Mi sente arrivare, non c'è altra spiegazione.
-Sì, Albie, ma tanto passo più tempo qui con te che a scuola con gli insegnati-
Me lo ritrovo davanti e lo fisso minuziosamente. Albie è così: alto, bello, con i capelli castani e gli occhi dello stesso colore dell'ossidiana[2]. La sua unica imperfezione? Una cicatrice che taglia le labbra sottili in due, sul lato sinistro della bocca.
-Quante volte ti ho detto che è solo Al?- mi chiede scompigliandosi i capelli. Lui odia il suo nome. Ma a me piace, in realtà, ma mi sono sempre guardata bene dal rivelarglielo.
-E io quante che è solo Quinn?-
Solo Albie ha il permesso di usare quello stupido nomignolo. Per gli altri è vietato. Sono Quinn. E basta. Mai Quinny.
Albie sbuffa e riprende posto dietro al bancone; lo seguo e mi siedo di fronte a lui. E' il mio passatempo preferito farlo arrabbiare.
Ha solo 24 anni, cinque in più di me, e sa già che la sua vocazione è lavorare in biblioteca: lui ama i libri, sopra ogni cosa. Tante persone pensano che lui sia un misantropo, invece per me è un ragazzo dolce e gentile che mi ha sempre dato una mano con i compiti difficili.
-Allora, hai qualcosa di nuovo per me?-
Lui scuote la testa e mi fissa negli occhi; non mi va a genio quando lo fa, perché mi mette a disagio. E' una delle poche persone con le quali non mi sento a mio agio. E' come se nella mia testa ci fosse una lampadina che si accende rivelando la scritta: DANGER.
Ma Albie non è pericoloso, non lo è mai stato e mai lo sarà. E' buffo, allegro, solare, non pericoloso.
-Quinny... Non è arrivato niente del tuo genere- io amo leggere i fantasy, e Albie lo sa bene, ma un qualche motivo sconosciuto, lui li disprezza. Anzi, direi che li odia e se non venerasse i libri come faccio io, gli darebbe fuoco.
-Dai, Albie...-
-Non farmi gli occhi dolci. Non c'è niente-
-Non capisco perché ti ostini tanto ad odiare il fantasy. Sono così...- cerco le parole adatte, ma il mio amico interrompe la mia ricerca.
-Stupidi e idioti? Sì, lo sono-
-Tu sei uno stupido idiota, Albus! I fantasy sono romantici e avventurosi allo stesso tempo!-
Aia. Nemmeno mi sono accorta di averlo chiamato per nome. Lui mi fissa, ma poi fa roteare gli occhi e mi sorride: alla fine mi perdona sempre.
-Quindi... Quinny- dice marcando bene il soprannome. -Io li odio perché parlano di cose che non esistono. Non esistono i licantropi, i vampiri, i maghi, le streghe, le fate...- lo vedo sospirare, come se dovesse convincere più sé stesso che gli altri. -Non esistono. E' solo invenzione-
-Ehi, senti, Al, io non leggo i fantasy perché penso che un giorno o l'altro Edward Cullen, o Damon Salvatore, se Dio vuole, busseranno alla mia porta. Non esiste nessun Samuel Roth di Shiver, nessun Edward Cullen[3]... Lo so
Mi sembra di parlare ad una persona rimasta senza fede in Dio. Una volta che l'hai persa, è difficile recuperarla.
-Molta gente ci diventa pazza con questa roba, Quinny (non se lo leva proprio il soprannome dalla testa?). Le persone pensano che esistano. Ma sono invenzioni-
-Mi delude in fatto che tu mi stia paragonando alla gente, alle persone!- non è mia intenzione offenderlo, per questo pronuncio questa frase con il più sincero dei miei sorrisi. L'unico che mi vede per quella che sono veramente, oltre a Jack, è Albie.
-La sezione è tutta tua, principessa-
-Preferisco Quinny- dico rivolgendogli una pernacchia, prima di dirigermi verso il mio mondo incantato.
Non mi faccio più domande riguardanti quello che Albie pensa: alla fine sono solo gusti.



Ore 13.45
Casa Farrell.


-Allora, tesoro, com'è andata oggi a scuola?- mia madre, Robin è sempre molto gentile, nonostante tutto. Ama i suoi figli (Jack compreso) più di sé stessa. La domanda è rivolta a me, mentre tutto il resto della famiglia è preso a mangiare; non mi piace mangiare, però lo faccio per mantenermi in forma. E' questo quello che ho imparato dopo essere uscita da un brutto periodo di anoressia nervosa tra le scuole medie e le superiori. Mia madre ha pensato che sarei stata ricoverata all'ospedale, ma il dottore ha ben pensato che mi sarebbe passata. Ed è passata in effetti, ma non grazie a lui. E' stato quello il periodo in cui io e Jack ci siamo avvicinati tanto, prima il nostro rapporto era molto meno... intimo.
-Mh... Al solito, sai- sì, è vero, mia madre è gentile, ma io non ricambio la sua gentilezza, la maggior parte delle volte. E quando lo faccio lei si stupisce: pensa che io non sia in grado di provare dei sentimenti che riguardino qualcosa che non siano scarpe e/o vestiti.
-Già, Quinny- interviene Jack con un sorriso sardonico sul volto. Quando fa lo stronzo lo odio: -Non ti ho vista le ultime due ore di lezione-
-Jackie- gli dico, odia il suo soprannome infantile tanto quanto io odi il mio. -Questo perché non frequentiamo gli stessi corsi-
Robin e Bobbie si guardano e sorridono e mentre non sono vista da nessuno mimo con le labbra un "colpito e affondato".
-E tu, Jamie, com'è andata a scuola?-
Mio fratello James ha otto anni, ed è la peste di casa. E' la fotocopia di Bobbie, capelli scuri, sempre scompigliati, occhi scuri e sorriso beffardo (quello l'ha preso dal fratello). Gli risponde borbottando (altra brutta abitudine copiata dal fratello). Nonostante sia una peste, è adorabile. Lui è... non so come definirlo. E' tenero nell'essere una peste.
Mamma capisce che non c'è niente da fare, e allora passa a Teddy, che è molto più calmo e pacato. Ted ha undici anni, e maledetta mia madre quando ha scelto i nomi dei suoi figli, sta aspettando la lettera da Hogwarts. A nulla è valso dirgli che Harry Potter ed Hogwarts non esistono: per lui noi siamo semplici babbani. Ah, come lo capisco, anche io e Jack la aspettavamo con ansia, quella lettera. Ma non è mai arrivata.
Teddy alza la testa dal piatto e sorride: -Bene. Oggi ho letto in classe il mio tema fantastico, ho preso A-
Sorrido e scuoto la testa, perché so di cosa parlava il tema di Teds, visto che gli ho dato una mano una settimana fa. E' il mio fratellino preferito, anche se non lo do a vedere.
Robbie alza lo sguardo, sorride al figlio e gli fa i complimenti, che non ascolto. Io non sono cattiva, ma non riconosco in Robert la figura di mio padre, ma sotto sotto gli voglio bene, anche se tratto lui e la mamma come lucido da scarpe.
Poi ci sono le gemelle: Rose e Lily (sì, l'ho detto. Mia madre ha scelto bene i nomi, eh?) hanno cinque anni ed hanno entrambe i capelli color miele (presi dalla mamma) e gli occhi verdi (presi da chissà chi). Vanno ancora all'asilo e sono anche loro convinte di essere streghe, per questo girano per la casa urlando incantesimi che non esistono. Le adoro. Sono deliziose, vestite uguali e con lo stesso tono di voce e da brave gemelle si scambiano i ruoli. La pestilenza l'hanno presa da Jamie, perché è l'unico a possedere questo gene.
Ricapitolando in famiglia siamo:
Mia madre Robin, Robert (detto Bobbie o Bob o Rob o Robbie, dipende dalle situazioni), Jack (che di secondo nome fa Andrew, detto amorevolmente Jackie se vuoi un pugno in uno occhio), io, Ted Remus (sì, uguali e vedrete continuando l'elenco, chiamato Teds o Teddy, ma anche Teddy-Bear), James Harry (e grazie a Dio non si chiama James Sirius, detto Jamie) e poi le gemelle Rose Ginevra (Ginny-Rose o anche solo Rosie) e Lily Luna (detta solo Lily)[4].
Otto. Rendetevi conto di come si può vivere in una casa popolata da otto individui, tutti pazzi, a modo loro.


Primo pomeriggio
Giardino di casa.

Io e le gemelle facciamo giardinaggio, perché ci rilassa. O meglio: rilassa me e diverte loro. E' l'unico momento che abbiamo per stare solo tra ragazze e un po' mi dispiace non vederle crescere. Ho sempre appoggiato l'idea di mia madre di avere una famiglia numerosa, perché non amo il silenzio in casa (tranne nei particolari casi di studio estremo prima di un test).
-Quinn, posso farti una domanda?- mi chiede seria Rosie, con le mani sporche di terra. Annuisco, aspettando che vada avanti.
-A me e a Lily piace lo stesso bambino, che si diverte a prenderci in giro perché siamo uguali- Rosie si ferma a prendere fiato, e io penso che alla loro età non avevo problemi con i miei coetanei dell'altro sesso. Perché loro sì?
-E questo bambino, che si chiama Larry- dice Lily, iniziando con la sorella quello che io definisco "il discorso a quattro corde vocali".
-Ci ha detto che non può scegliere tra me e lei, perché siamo uguali- esclama Rose, profondamente offesa da quest'ultima affermazione.
-E se quando siamo grandi come te, nessuno ci riconosce?-
-Oh, tesoro, ma non è possibile. Innanzitutto dovete lasciar perdere Larry o come diavolo si chiama, perché siete piccole per pensare a queste cose. Non bruciate le tappe prima del tempo. E poi è impossibile non distinguervi, Lily- dico rivolta alla bimba che ha lo stesso nome del giglio che sta piantando -e Rose- termino, dando in mano a Rose una rosa rossa.
In un attimo mi ritrovo sepolta sotto l'abbraccio soffocante delle mie sorelline, che mi stanno sporcando tutta di terriccio, ma quando sono con loro non m'importa di essere perfetta, con i capelli in ordine e il trucco non sbavato.
Jack si affaccia alla finestra della sua camera, che dà sul giardino e ci fissa con un sorriso dolce: quell'espressione gliela vedo solo quando siamo in famiglia.
Noi due viviamo con una doppia faccia: abbiamo una doppia vita. Jack è il tipico adolescente stronzo, sadico e masochista a scuola e in giro con gli amici, mentre a casa è il ragazzo dolce e premuroso che sta sempre attento ai suoi fratelli; io, invece, sono così come mi avete visto: fuori sono una stronza a cui non frega di niente e nessuno, solo assetata di successo e potere, mentre a casa... sono quella che sono.
Guardo Jack e lui ricambia, piegando leggermente la testa. Capisco perché tutte le ragazze della scuola lo adorino: non si può di certo negare che sia un bel ragazzo. Ma no, non mi piace. Lo considero come mio fratello, come lui considera me come sua sorella. Niente di più.


Ore 16.30
Campo di Football della scuola superiore.


Sono seduta sugli spalti a gambe incrociate, mentre guardo Kit e un'altra mia compagna selezionare le probabili cheerleader. Non mi sono mai piaciute le selezioni, è un dato di fatto che le persone che ti stanno davanti ti etichettano senza sapere nulla di te. Io sono stata fortunata ad entrate nelle cheers, tutto grazie alla mia tutor, Rachel (la cui madre è amica della mia dai tempi del liceo, hanno duettato insieme e io e Rachel ci siamo ritrovate ad essere amiche). Abbiamo entrambe dei caratteri esuberanti e allegri, e siamo andate subito d'accordo. Rachel ha avuto un occhio di riguardo per me, quando al primo anno ho fatto le selezioni. 
E ora io sto fissando da lontano quelle ragazzine impaurite dalle coreografie che stavano eseguendo Kit e Macy (l'altra ragazza che si è offerta come volontaria). Le adorabili ragazzine non sanno che il capitano le sta osservando da lontano: per loro sono soltanto una studentessa che fissa le selezioni senza poter accedere.
Sento un profumo familiare di gelsomino: Will. Mi giro e lo guardo negli occhi. Il mio ragazzo è un bel ragazzo: fisico statuario, occhi azzurri (come quelli della sottoscritta), capelli color cioccolato al latte con dei riflessi rossicci. Siamo la tipica coppia stereotipata del liceo americano? Sì, lo siamo: il re e la reginetta del liceo di Albertville. Eppure mi ritornano in mente le parole che Jack mi ha detto questa mattina "il tuo amato e poco innocente ragazzo", non che me ne importi poi molto; sì, okay, il sesso tra me e Will è fantastico, andiamo d'accordo, ci amiamo, ma sappiamo che non siamo destinati a stare insieme oltre il liceo. Lui prenderà una borsa di studio sportiva, e io ne prenderò una per il cheerleading o una per il canto: i miei professori devono ancora decidere.
-Ehi, Quinn- mi sussurra all'orecchio, provocandomi brividi di piacere: quando fa così mi viene voglia di tirargli uno schiaffo e poi di baciarlo; solitamente faccio sempre e solo la seconda.
-Mm... Will- dico, voltandomi per baciarlo.
Non c'è niente da dire: è un bacio normale, poco casto, ma ormai ci conosciamo a memoria io e lui.
Will si stacca, cosa che fa raramente, visto che sembra in grado di andare in apnea per tre anni, quando prende a baciarmi.
-Quinn...- inizia, sedendosi accanto a me. Questi sono dolori, suppongo. Io e lui parliamo spesso, ma mai si è comportato in questo modo.
Lo guardo, ma non dico né faccio niente. Aspetto, semplicemente.
-Quinn, sai che sabato Frankie e Jack si sono dati da fare, no?- annuisco. -E che io avevo scommesso trecento dollari che prima o poi sarebbe successo?- annuisco confusa, senza capire dove il mio ragazzo voglia andare a parare.
-Dove andiamo a mangiare stasera?- mi chiede con un sorriso beffardo. Tiro un sospiro di sollievo, non mi ero nemmeno resa conto che stavo trattenendo il fiato, e gli tiro un pugno sul braccio. 
-Mi hai fatto preoccupare! Pensavo che stessi... che ne so, per lasciarmi!- lui mi guarda terrorizzato: sembra abbia visto un fantasma: -Honey, non potrei mai! Ti amo, lo sai. Voglio stare con te fino alla fine del liceo-
Ecco perché stiamo bene insieme: sappiamo di non avere un futuro e non diamo problemi ai nostri genitori.
-Non lo so. Non ci sono molti posti in cui cenare... Però... uno mi ispira particolarmente-



Ore 20.50
Fuori da casa Farrell


La macchina di Will è nel vialetto e mentre io finisco di prepararmi lui è giù nel seminterrato a parlare con Jack. Dire che sono migliori amici, è dire poco: sono pappa e ciccia, culo e camicia. Potrei anche quasi essere gelosa, se non sapessi che Jack è mio fratello e Will il mio ragazzo.
Ed eccomi scendere dalle scale, mentre indosso il mio abito rosso Valentino, con le mie decolté nere di vernice e il mio coprispalle nero. Una semplice pochette con i brillantini che contiene il mio telefono, il portafogli (non si sa mai) e i trucchi minimi indispensabili.
Sappiamo tutti e sei (noi e i nostri genitori) come finirà la serata, per questo quando scendo al piano inferiore per salutare i miei adorabili fratellini, mia madre mi guarda seria e mi avverte di stare attenta; Robbie, come al solito, si fa gli affari suoi: sta giocando ai videogame con James; Rosie e Lily sono sdraiate sul tappeto e stanno giocando con le loro bambole. L'unico che manca all'appello, oltre a Jack, che ovviamente è ancora di sotto con Will, è Teddy, che cerca sempre di evitarmi quando lo saluto: ormai dice di essere grande e pensa che non dovrebbe essere salutato da me con un abbraccio e un bacio sulla fronte, ma alla fine lo convinco sempre, perché lui è il mio preferito come io sono la sua (alla fine ci scambiamo anche i libri); lo cerco in cucina e lo trovo a leggere, per l'ennesima volta, Harry Potter e i Doni della Morte.
-Teds, non lo sai a memoria ormai?- gli chiedo mentre mi avvicino a lui. Si è accorto della mia presenza, ma fa finta di niente, come al solito.
-Mi disturbi, Quinn- risponde atono.
-Ho il permesso di salutare il mio fratellino preferito?-
-Non sono più il tuo fratellino!- esclama. Ed ecco che ci risiamo. Non ho tempo per litigare e glielo dico.
-Ted, adesso non ho tempo-
Alla fine stacca gli occhi dal libro (e so che questo gli costa fatica), si gira e spalanca la braccia; senza fare troppo rumore mi avvicino e lo abbraccio; gli do un bacio leggero e mi avvio verso le scale.
-Quinn...- inizia Teddy. Mi giro e lo guardo.
-Scusa- sorrido dolcemente.
-Non fa niente, Teddy, ci vediamo domani- lo saluto con un cenno della mano, mentre lui torna al suo amato libro.


Scendo le scale velocemente e trovo Will e Jack sdraiati sui due pouf che ci sono nella taverna, quella che usiamo per le feste. Entrambi spalancano la bocca. Eppure mi hanno vista centinaia di volte conciata in quel modo. Soprattutto Jack.
-Se non fossi mia sorella ti vorrei nel mio letto- mi dice dopo il pin-up di Will, che è sempre poco galante.
-Fanculo stronzo, io non vorrei finire tra le tue lenzuola- ed ecco il solito battibecco che facciamo per riprendere le nostre maschere e iniziare la nostra recita. Will si alza e mi prende sottobraccio; prima di tornare di sopra guardo Jack che mi fa l'occhiolino. Amo sentirmi così in sintonia con lui.
-Sei bellissima- sussurra Will, dopo essere usciti di casa, appena sono nella sua macchina.
-Nemmeno tu sei male- gli dico sorridendo; alla fine nemmeno Will se la prende se lo tratto male. Sembra una cosa normale, per lui.
Fa partire la macchina sgommando, e ci dirigiamo verso il centro della cittadina. Sono curiosa di provare il nuovo ristorante orientale, anche se Will è un po' nervoso all'idea.
-Ehi, tranquillo, Will. Non è che per forza devi mangiare con le bacchette!- gli dico, facendolo ridere. Noto che è teso.
-C'è qualcosa che non va?- se deve comportarsi in modo strano tutta la sera, è meglio mandare tutto a monte.
-E' solo che... questo è il nostro ultimo anno, ti rendi conto?- mi chiede, con gli occhi puntati sulla strada.
Nonostante tutti gli stereotipi io non sono bionda e scema e lui non è uno di quelli che cerca di allungare le mani alla prima occasione e non presta attenzione alla strada.
-Sì, Will. Dopo ci sarà il diploma, l'università e...-
-La vita. Intendo, la vita vera. Fuori di qui- sembra spaventato all'idea.
-Hai paura del futuro?- lo trovo buffo, perché Will è uno di quei tipi che non sembra aver paura di niente.
-E' solo che ho paura di non farcela, Quinn. La borsa di studio significa aspettative...-
Non gli concedo il tempo di continuare: poso la mia mano sopra la sua e lo guardo.
-Ehi, Will, non c'è niente di male nell'essere spaventati, okay? Hai paura di deludere le aspettative? Beh, io ti dico solo questo: puoi avere tutto quello che vuoi dalla vita. E quando i professori ti concederanno la borsa di studio, sarà perché hai lavorato sodo per averla-
Distoglie gli occhi dalla strada solo per un attimo, del resto, è meglio non rischiare un incidente stradale per un ringraziamento.
-Grazie, Quinn. E' per questo che sei la migliore. Sai sempre cosa dire-
Questa volta sono io che distolgo lo sguardo e lo rivolgo al cielo mentre penso che torto: torto marcio.
Quello che dico io sono le solite frasi che vengono ripetute nei film e che leggo sui libri, niente di più. Non ho nessun super potere. Sono semplicemente Quinn. 





Note:
[1]: Lupus in fabula, detto latino, simile al nostro "Parli del diavolo e spuntano le corna".
[2]: Per evitarvi di aprire una pagina di google images, qui c'è l'ossidiana
[3]: Non prendetevela male solo perché ho nominato un personaggio di Twilight. Tra i vampiri che mi vengono in mente è il più famoso. Se non sapete che cosa è Shiver, vi consgilio caldamente di leggerlo.
[4]: Allora. Non so se si capisce che mi piace Harry Potter. Comunque i nomi sono dettati dal fatto che stavo leggendo una FF che riguardava proprio la new generation quando ho iniziato la mia. Pardon moi, perciò.






Angolino della scrittrice:

Salve ragazzuoli.
Lo so, vi chiederete come mai questa storia rientra nell'area fantasy se non ci sono né vampiri, né lupi mannari, né altro.
Dovrete aspettare.
Dobbiamo conoscere un po' meglio la nostra protagonista, non credete?

Spero che vi affezionerete leggendo questa FF come io mi sto affezionata a scriverla.
Devo ancora decidere con quale frequenza pubblicare i capitoli... intanto spero che metterete la storia tra le seguite.
E' solo un click, un piccolo e innocente click che mi renderebbe felice anche se leggerete la storia in silenzio senza recensirla.
Un Bacio!

PS: Se dovessero esserci errori di grammatica vi prego di perdonare la mia distrazione.
Fatemelo sapere e li correggerò al più presto!


  
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