Avventure in un'isola della Rotta Maggiore

di Akemichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


La nave scivolava sul mare tranquillo

In una notte scura una piccola nave tagliò l’oceano nero e liscio. Una folata di vento, poi un leggero rumore disturbò il silenzio. Una figura incappucciata era appena salita a bordo. Camminò senza fare il minimo rumore fino al sotto coperta, dove la luce era accesa. Lì stavano cinque figure. La più vicina si girò, per niente spaventata dal nuovo arrivato. Lo fissò ben bene, cercando di distinguerne il volto ombrato dal cappuccio. Vide solo i tre segni rossi sulla guancia sinistra.

“Immaginavo che saresti arrivato…Dragon.”

La figura avanzò ancora. “Non ho avuto l’onore di vederti alla riunione con gli altri. Come mai?”

“Oh, sicuramente non mancavo solo io…” commentò sbuffando. “E comunque non mi importa affatto chi sarà il nuovo membro della flotta dei sette. Per quanto mi riguarda può diventare benissimo la flotta dei sei…”

“Mi sembra di capire che non ti interessi molto dei tuoi ‘compagni di squadra’…”

“Infatti è così… Inoltre, lo sai benissimo che anche se siamo una squadra, praticamente ognuno si fa i cavoli suoi in barba alla Marina! Quindi se sei venuto a dirmi chi hanno nominato o a farmi la predica, risparmiami.”

“Ma io era venuto per parlarti di altro. Mai sentito parlare di Monkey D. Rufy?”

La figura seduta si mosse impercettibilmente, mentre quella in fondo sussultò in modo evidente al sentire quel nome.

“Qualche problema?”

“No, no…” rispose imbarazzata.

La prima tornò a rivolgersi a Dragon. “So chi è. E allora?”

“E allora dovresti dirmelo tu. Non ti interessa il fatto che fra poco arriverà a Gold Town?”

La figura si alzò. Benché fosse più bassa di lui, riuscì a guardarlo dall’alto in basso. “Tu vuoi che io lo aiuti”

“Non è quello che è riservato dal destino?”

“Non è quello” Gli mise sotto il naso un Eternal Pose. “So cosa fare senza di te”

“E va bene…Fa’ come vuoi, come al solito…” Uscì sul ponte.

“Umph, certo che si…” rispose sdegnosa la figura, mettendosi a sedere.

“Il comandante della seconda flotta di Barbabianca…” Un sospiro impercettibile. Una folata di vento e Dragon era sparito, chiudendo la porta dietro di sé.

* * *

La nave scivolava sul mare tranquillo. Tutto era tranquillo, in effetti. Non un suono, non un rumore, neanche il gabbiani disturbavano il silenzio. Certe volte era bello. Ma di sicuro non poteva durare. Non su quella nave. Non sulla Going Merry. Non sulla nave del re dei pirati.

“Terraaaa!!!” gridò il capitano, seduto come al solito sulla polena, come a voler ricordare la sua presenza.

Tutta la ciurma si radunò sul ponte. “Credo che tu possa ritenerti soddisfatto per aver raggiunto quest’isola, Rufy” disse Nami controllando la cartina. “Questa è Gold Town ed è l’unica isola della Rotta Maggiore dove è accertato il passaggio di Gold Roger”

“Sul serio?? Evvai, sbarchiamo sbarchiamo!!”

“E calmati deficiente. Non vedi gli scogli? Se non facciamo attenzione, rischiamo di affondare!”

“Nami-san, amore, sei fantastica!” Sanji non perse certo l’occasione. Ma lei non lo considerò minimamente, dando istruzioni su come raggiungere un approdo nascosto sani e salvi. Intanto Zoro si era svegliato, ma aveva una brutta sensazione. Avrebbe preferito restare a dormire.

Una volta approdati, Rufy scese immediatamente a terra. “Andiamo a vedere questa città! Venite ragazzi!” Gli unici che lo seguirono furono Usop e Chopper. Avevano lo stesso carattere, quei tre. Poco dopo anche Sanji decise di scendere, per fare provviste. Né Zoro, né Nami avevano intenzione di scendere, ma c’era un’altra persona che non avevano considerato. Lei. Misteriosa come al solito, scese silenziosamente dalla nave e se ne andò per la spiaggia solitaria.

“Robin, dove vai?” fece Nami affacciandosi dalla nave. Dato che erano le uniche due donne sulla nave, erano diventate amiche, ma c’erano ancora molti misteri su di lei. “Pensavo potessimo fare un po’ di shopping assieme…”

Robin si girò verso di lei. “Scusa, ma ho una cosa importante da fare…” La cartografa si intristì un pochino. Ma il caldo sorriso della sua amica la rassicurò. “Ma verrò volentieri con te, più tardi.”

Nami la guardò allontanarsi. L’idea di passare tutto il giorno con Zoro, che aveva intenzione o di rimettersi a dormire o di allenarsi a quel suo solito modo, non la allettava. Che male c’era a seguire la sua compagna? Magari c’era anche da guadagnarsi qualcosa… Una volta erano andate al casinò assieme e avevano vinto ben 50 milioni di Berry…

“Robin, aspettami!”

Il tempo di scendere dalla nave ed era già sparita. Chissà dov’era andata. Nami era in parte curiosa. Chissà se questo ‘affare importante’ riguardava il suo passato. Le sarebbe piaciuto saperlo. Ma in fondo non erano affari suoi. “Ormai che sono scesa, potrei anche fare shopping da sola…”

* * *

Rufy aveva perso di vista i suoi amici. Chopper probabilmente era andato a rifornirsi di medicinali, mentre Usop era entrato in qualche negozio. Camminava lentamente per la città, da solo, osservando tutto ciò che gli era intorno. Finchè il suo sguardo non si posò su una ragazza che gli stava di fronte. Lei lo osservava con un’espressione indecifrabile. Poi all’improvviso si avvicinò e gli tirò una guancia, così, senza motivo. Si staccò, agitando i lunghi capelli oceano.

“Monkey D. Rufy dal cappello di paglia!” disse, puntandogli un dito contro. “Frutto di GomGom, classificabile nella categoria dei Zen-Zen!”

Sorpreso dalla reazione, rimase lì per alcuni minuti. “Ma cosa…?”

Lei sorrise. “Non mi sono presentata. Sono Nara e studio i frutti del Diavolo. Il mio sogno è vedere tutti i frutti esistenti o, meglio, gli effetti sulle persone. Scusa, volevo vedere com’era essere di gomma” Sorrise ancora.

“Ah…Ho capito…Vuoi vedere di quanto mi so allungare?”

“Oh, si!”

Rufy si preparò. Voleva allungare la sua gamba come quando usava la GomGom Ascia, ma fu interrotto prima di cominciare.

“Ma sei scemo?!” La voce di Nami era dura. “Se qualcuno ti vede usare i poteri del frutto del Diavolo, chiama la marina. Lo vuoi capire che sei un ricercato e non puoi permetterti di fare tanto il santarellino?”

“Si, ma… che male c’è?”

“Mi fai impazzire…”

Nara intervenne nella discussione. “Temo sia colpa mia… Volevo vedere gli effetti del frutto di GomGom…”

Dopo che Nami seppe dell’occupazione della ragazza, Rufy le disse “Sulla nostra nave ci sono altre due persone con questi poteri. Ti va di vederle?”

“Si” disse Nara contenta.

Così si incamminarono di nuovo tutti verso la Going Merry. Sulla strada, Nami e Rufy litigavano. Per lui sembrava tutto un gioco, per lei qualcosa di più serio. Nara li osservò in disparte per un bel po’, con occhi interessati. Poi intervenne, prendendo sotto braccio Rufy. “Non prendertela con questo bel ragazzo… Il futuro re dei pirati potrebbe permettersi questo e altro…” disse in tono molto seducente.

“Eh… Si, io sono il futuro re dei pirati!” fece Rufy che non aveva capito niente.

Nami la guardò malissimo per una frazione di secondo, poi girò la testa di scatto e andò in avanti. Era semplicemente infuriata. Ma come si permetteva di prendersi tutta quella confidenza con il suo capitano? O forse sarebbe stato meglio dire con il suo Rufy… Si era sentita così arrabbiata anche quando Bibi si era presa quella confidenza, ma quel caso era diverso. Lei era debole, in pericolo, così come anche Nami lo era stata, una volta… Già, ma solo lei, solo lei voleva essere al centro delle preoccupazioni di Rufy, almeno inconsciamente. Ma sapeva che non era così. In effetti, non c’era alcun motivo per sentirsi così arrabbiata… E allora perché? Perché aveva intenzione di strangolare quella ragazza come avrebbe voluto strangolare a suo tempo Bibi, se nonché lei era una sua amica e per di più in difficoltà? Tanti pensieri… Meglio non pensare più…

Si girò, facendo finta di niente. “Scusa, Nara…Quando avrai finito di fare la gatta morta, potresti anche dirmi quanto ci mette il LogPose a registrare il magnetismo di quest’isola”

La ragazza dai capelli oceano la guardò bene con un sorriso provocante sul viso. “Ti scoccia? Forse… Forse provi qualcosa per lui?”

“Assolutamente no!” E accelerò il passo.

“Comunque ci mette dieci giorni!” le gridò.

Rufy le guardò in modo strano. Non ci aveva capito molto. “Scusa… Esattamente cosa vuol dire ‘provare qualcosa per lui’?”

Nara lo guardò storto. Poi sorrise. “Niente, niente… Piuttosto, perché non mi descrivi tutte le tue tecniche gommose?”

* * *

“Le assicuro, signore, che questo pesce è freschissimo” stava dicendo il proprietario di una pescheria a Sanji.

“Questo lo vedo anche da solo…Va bene, mi servono tutti questi… E anche un bel po’ di gamberetti…” Trasformò in cuore i suoi occhi. “Per i miei due tesori voglio preparare una bella zuppa di pesce!”

“Sei sempre il solito!” esclamò una voce dietro di lui. “Nella zuppa di pesce non ci vanno i gamberetti, ma gli scampi!”

Sanji si girò, seccato. Spalancò gli occhi. “Tu…!”

* * *

Zoro era tranquillamente seduto sulla poppa della Going Merry. Aveva appena deciso di schiacciare un pisolino quando vide in lontananza una nave della Marina. Se avesse continuato in quella direzione, avrebbe senz’altro visto la nave… E se a bordo ci fosse stato Smoker…? Meglio non correre il rischio di farsi ritirare la nave. Scese e salì sul promontorio lì vicino, per fare da esca. Fortuna volle che su quella nave Smoker non ci fosse, ma solo normali Marine. Quando scesero a terra per arrestarlo, non ci mise molto a sconfiggerli tutti, sennonché…

“Zoro! Finalmente ti ho trovato! Battiti con me!”

No, non poteva essere. Era ancora lei. Zoro non sapeva perché, ma non riusciva a combattere liberamente con lei. Sarà perché assomigliava a Kuina, sarà perché parlava come lei, sarà perché in fondo anche lei aveva un sogno, sarà come sarà, non ci riusciva. E non ci riuscì nemmeno quella volta. Trovò più saggio darsela a gambe.

Ma stavolta Tashigi non lo avrebbe lasciato scappare. Si era allenata tanto per migliorare, dopo la batosta subita ad Alabasta. Ora l’avrebbe sconfitto e si sarebbe presa la sua WadoIchimoji, insieme alle altre due. Eppure…

 

Questa è una spada maledetta…

Lo sapevi?

No, ma capisco…

Lancia in aria la spada e tende il braccio

Ora vediamo se la mia fortuna vale più della maledizione…

La spada passò senza tranciare il braccio

La prendo…

 

No, non ci doveva pensare. Ora doveva pensare solo a batterlo. Lui l’aveva ingannata. Ora lo avrebbe sconfitto.

Zoro corse dalla parte opposta a dov’era ancorata la nave, naturalmente, ma sempre seguendo la costa per non perdersi, finché una parete di roccia non lo costrinse a cambiare direzione e ad addentrarsi all’interno del bosco. Certo non avrebbe mai pensato che fosse così intrigato… Ma seminare Tashigi fu abbastanza facile… O forse no! Quella ragazza, dovette ammettere, aveva del fegato. Non era riuscito a seminarla… Gli era sempre alle costole. Il bosco finiva in un ampio burrone, con un ponticello di legno pericolante. Zoro decise di attraversarlo. Era appena arrivato dall’altra parte quando notò l’esitazione della ragazza. Un’ottima occasione per filarsela. Non aveva fatto nemmeno cento metri che sentì un rumore e un grido. Il suo.

Bè, forse il ponte era crollato… Non erano certo affari suoi, anzi. Ma cosa stava dicendo? Era già tornato indietro. Il ponte era veramente crollato e Tashigi si stava tenendo alla corda con evidente fatica. Zoro prese la sua spada. La *sua* spada. Non sapeva bene ciò che stava facendo. La allungò il più possibile verso di lei.

“Prendila” disse in tono brusco.

All’inizio lei non voleva farlo. Era già stata aiutata troppe volte da lui. Una sola, in realtà, ma era già abbastanza. Ma al secondo ‘prendila’, anche più brusco ma con una leggerissima nota di  preoccupazione, si decise a farlo. Zoro non ci mise molto a tirarla su, anche perché era molto magra. Quando fu in salvo, non sapeva più che fare. Forse avrebbe dovuto lasciarlo andare di nuovo…

“Senti… Tu sai come uscire da questo bosco?”

La spadaccina osservò il fosso dietro di lei e quello davanti a lei che sembrava un bosco intricatissimo. “No…”

“Bene” commentò lui. “Non resta che procedere a tentativi”

Nell’idea c’era già insito il fatto che loro due si sarebbero dovuti aiutare a vicenda per uscire dal bosco. Perciò, quando Zoro si incamminò, lei lo seguì e camminarono fianco a fianco per un po’, senza dire niente.

“Quando usciremo di qui combatterò con te… Tutti hanno il diritto a una rivincita…” Anche lui aveva una rivincita da combattere…

* * *

Intanto Usop e Chopper avevano visto la nave della marina e tutti i marinai feriti se non morti.

“Dev’essere stato Zoro…”

Però alcuni marinai non erano scesi dalla nave, quindi erano salvi. Scesero però ora, in tempo per vedere i due e accusarli della strage.

“Scappiamo!” gridarono nello stesso momento dandosela a gambe. Attraversarono tutto il paese di corsa, con la marina alle costole. Alla fine Chopper si fermò e decise di combattere. Ma non fu necessario. I marine furono circondati da sottili fili bianchi che li strozzarono. Poi i fili scomparvero e quelli caddero tutti a terra. Stupiti, i due pirati si avvicinarono ai corpi e lì trovarono il colpevole. Una piccola pecorella bianca come la neve. Ma come poteva una semplice pecora fare una cosa del genere?

* * *

Dalla parte opposta dell’isola dove si trovava la nave di Rufy, c’era un’altro approdo nascosto, dove era ancorata non solo una piccola nave, ma anche una specie di surf a vela. Il ragazzo che ne era appena sceso stava osservando la nave. Non era molto grande, con una casetta al centro. Una vera casetta, con tanto di tetto di mattoni. Era dipinta a colori vivaci, che andavano dal verde all’azzurro al rosa. Sembrava che un bambino si fosse divertito a dipingerla. Eppure c’era qualcosa che stonava. Sull’albero maestro, situato esattamente dietro la casetta, svettava una bandiera nera. Un normalissimo teschio con tre righe ondulate blu sopra a simboleggiare le onde del mare.

“Accidenti… Ma che cosa ci fa qua?” disse seccato.

“Sbaglio o quella è la nave di uno della flotta dei sette?”

Una voce calma e tranquilla che per lui fu come una folata di vento gelido. Si girò di scatto e la vide. Era esattamente dietro di lui. Bella come se la ricordava, con quei capelli nero pece e quegli occhi misteriosi… Non gli era mai piaciuto il fatto che si fosse unita a Crocodile… Ma aveva un suo scopo, probabilmente riferito al suo passato… Lui non lo conosceva.

“Sei qui per la stessa ragione, Portuguese D. Ace?”

“Dipende” rispose lui. “Ma sono contento di vederti… E questo significa che anche il mio fratellino è qui… Sono molto soddisfatto di lui, so cos’ha fatto…”

Niko Robin non disse niente. Rivederlo le aveva fatto male, ma non era il tempo di pensare ai sentimentalismi. Lei aveva aiutato Rufy, Rufy aveva aiutato lei, una catena così… Ora era il suo turno. In realtà, se conosceva il suo capitano, sapeva bene che mai avrebbe accettato ciò che lei stava per portargli, ma almeno non l’avrebbe presa nessun altro. Nessun altro sarebbe stato in vantaggio.

Ripensò alla prima volta che aveva sentito quella D nel nome di Rufy… Una pugnalata al cuore. Non avrebbe mai pensato che il dolore potesse essere tanto, ma evidentemente lo era. Come aveva già pensato, non era più tempo per i sentimentalismi. Rufy era Rufy, il fatto che avesse la D non importava. E avrebbe anche dovuto sapere che girando per la rotta maggiore sarebbe stato possibile incontrarlo, se non molto probabile. Lei era preparata, per questo non aveva fatto una piega. Nemmeno lui l’aveva fatta, eppure sentiva le stesse cose.

La mora lasciò perdere e continuò il suo cammino lungo la scogliera.

“Ehi, Robin, aspetta!” Non l’aveva chiamata con il ‘chan’. “Tu come lo sai?”

“Oh, ci sono molte cose che so e nessuno sa che le so” Le sue solite risposte velate. In questo non sembrava cambiata. “E a te chi l’ha detto? Barbabianca?”

“Si, ma non avrei mai pensato di cercarla. Ero qui per Barbanera e- zzz…” Pazzesco, si era addormentato! Neanche lui era cambiato. In fondo, anche se sembrava più maturo di suo fratello, avevano entrambi quel carattere ancora un po’ infantile ma tanto dolce… Quell’aria da bambini un po’ troppo cresciuti che giocano a fare i grandi… Forse era per questo che le era piaciuto subito…

“Svegliati!” disse, picchiando l’indice sulla sua fronte.

“Ah, si, stavo dicendo-”

Gli mise un dito sulla bocca, fissandolo con i suoi occhi neri e profondi. “Non importa” Lui deglutì.

* * *

Quando Sanji ritornò a bordo della Going Merry, Nara stava seduta sul bordo, con le gambe a penzoloni e usava le braccia per tenersi, mentre Rufy, seduto sulla polena le stava descrivendo com’era il frutto di Gom Gom. Lui la vide, con i suoi pantaloni alla pescatora e la maglietta scollata, che usava tenere sempre con le maniche girate, e naturalmente perse la testa.

“Oh divina creatura, è sicuramente il cielo che ti manda da me. Dimmi, qual è il tuo nome, angelo del cielo?”

Lei rimase un po’ spiazzata, ma in suo aiuto intervennero sia Nami, che era appena uscita dalla cabina, che la misteriosa figura dietro di lui, mettendolo a tacere senza troppi mezzi termini.

Nara rise, una risata allegra e argentina, poi si alzò sulle braccia, facendo scivolare le gambe sotto il corpo fino ad appoggiarle al boccaporto, dopodiché si diede la spinta e atterrò davanti al biondo cuoco dopo una capovolta in aria. “Sono Nara Mizu, di nome e di fatto, piacere” si presentò sorridendo.

“Sempre la solita esibizionista, eh, Nara?” disse la figura, portandosi al fianco di Sanji. Anche lei portava le borse della spesa, tanto che Nami si domandò, mentre la squadrava, come mai il suo compagno avesse permesso a una così bella ragazza di fare tutta quella fatica, dato che i pacchi sembravano molto pesanti. Anche Rufy osservò la nuova arrivata.

“Vi conoscete?” chiese il cuoco.

“Si” rispose la bionda ragazza che lo accompagnava. “Viaggiamo sulla stessa nave”

“E come mai tu conosci un membro di una nave pirata?” domandò Nara, pur sapendolo.

L’altra sorrise. “E’ mio fratello”

“Cosa?!” esclamarono insieme Nami e Rufy. “Sul serio?”

Lei scosse la testa per rimandare al suo posto una ciocca di capelli ribelli. A ben guardare, il viso era praticamente uguale e anche il colore dei capelli. Solo che, per fortuna, lei non aveva le sopracciglia a ricciolo, ma nessuno lo fece notare per non offendere Sanji che, per ripicca, avrebbe anche potuto non preparare la cena. Naturalmente questo però valeva solo per i maschi.

Rufy scese dalla polena saltellando. “Quand’è che si mangia?”

Nami scosse la testa. “Sono appena le quattro!”

“Ma è ora di merenda!”

I due fratelli alzarono la mano contemporaneamente. “La preparo io la merenda!” (Volevano fare gli sboroniii N. d. Oriano Ferrari) Dopodiché si squadrarono non proprio amichevolmente.

“Questa è la nave dove *io* sono il cuoco!”

“Allora è ora che questi poveracci assaggino qualcosa di veramente buono, non le schifezze che prepari tu!”

“Ho idea che ci sia della rivalità tra loro” pensarono Nami e Nara nello stesso momento, vedendo le occhiate assassine che i due si stavano tirando.

“Sentite, ho un’idea” disse la ragazza dai cappelli fuoco per calmare le acque. “Perché non lasciate perdere la merenda e non vi concentrate sulla cena? Così magari… Potremmo fare poi da giudici noi…” Alla fine titubò un po’ perché i due facevano veramente paura. Era la prima volta che vedeva Sanji così.

I due non si preoccuparono nemmeno dell’opinione degli altri e si precipitarono in cucina, dove dopo neanche un attimo si potevano sentire tutti i rumori tipici come lo sfrigolio della padella o il tintinnare delle posate.

“Spero che non si ammazzino…” sospirò Nami.

“Ah, l’amore fraterno…” fu invece il commento ironico di Nara.

Rufy disse solo “e la mia merenda?”

Rispose così la ragazza dai capelli oceano. “Ti vado a prendere qualcosa io! Credo che sia meglio non disturbare i fratelli…”

“Vengo con te!” esclamò il capitano con la bava alla bocca.

“Oh, mi farebbe molto piacere” disse in tono seducente. “Ma Nami preferirebbe che tu restassi con lei…”

Benché fosse vero, lei si guardò bene dall’ammetterlo. “Non ha affatto importanza!”

Nara prese l’occasione. “Ma mica per restare con te! Solo per proteggere un membro della sua ciurma. Lo farebbe per chiunque. Chissà cosa potrebbero combinare…” Indicò la cucina. Poi, prima di andare, verificò l’effetto delle sue parole. Una porta che sbatteva fu quello che ottenne. “Va’ da lei” e scese dalla nave, incamminandosi.

* * *

Ace seguiva Robin a poca distanza. Era un po’ che non parlavano, finché non fu lui a rompere il silenzio. “Questo mi ricorda un po’ i vecchi tempi… A te no?”

“Sono quello che hai detto. Vecchi.”

Lui non disse niente, ma non era convinto da quella risposta. Non ne era affatto convinto.

“Sei così distaccata perché hai paura di ritrovare vecchi sentimenti?”

Aveva decisamente colto nel segno. Non rispose, ma accelerò il passo. Aveva paura di farsi di nuovo coinvolgere. In quell’occasione era stava debole, sebbene fosse stato uno dei periodi più belli della sua vita. Ma lei aveva trascurato il suo scopo, lui aveva avuto un anno di ritardo sul percorso della sua vita. Ma lui aveva recuperato, lei no. Non ancora. Ma con Rufy e gli altri aveva ritrovato la spinta per ricominciare la ricerca. Doveva pensare solo a loro ed al suo sogno. Ma perché i ricordi continuavano a tormentarla?

Non si girava nemmeno. Aveva paura di perdersi guardando i muscoli del suo petto, o quelle lentiggini che costellavano le sue guance… Aveva paura che le venisse voglia di avvicinarsi, di baciarlo, di lasciare scorrere ancora le mani nei suo capelli neri e morbidi, come faceva una volta… La passione non si era ancora spenta. Perché si trattava di quello. Passione allo stato puro, una passione che li aveva coinvolti e trascinati in un vortice senza ritorno… La passione che solo due amanti possono avere, benché fra loro ci fossero cinque anni di differenza. Ma cosa sono, in fondo, quando si ama?

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Niko Robin stava cercando in ogni modo di non pensare a quello che era ormai passato, ma temeva di non riuscirci

 

 

Niko Robin stava cercando in ogni modo di non pensare a quello che era ormai passato, ma temeva di non riuscirci. In fondo lei era un’archeologa, il passato era ciò di cui si doveva occupare. Ma perché avrebbe dovuto necessariamente essere il suo passato? Scosse la testa.

“L’entrata dovrebbe essere in questa zona” La voce di Ace le risvegliò altre sensazioni, ma la riportò alla realtà.

“Già” assentì. “E dev’essere quella!” Indicò sull’orlo del promontorio roccioso sul quale stavano camminando un piccolo buco, talmente stretto che avrebbero dovuto camminare carponi per entrarci. “Ma è strano che sia così visibile…”

“Ma no! In fondo, quelli che non lo sanno possono benissimo scambiarla per la tana di qualche animale… Nessuno lo può immagin- zzz”

“Si è addormentato di nuovo” esclamò Robin sorridendo. Decise di lasciare perdere. A ben pensarci loro due erano rivali in questa ricerca, quindi per lei era un vantaggio. Si chinò, avvicinandosi al buco ed entrò. Era veramente molto stretto e basso, tanto che doveva procedere strusciando sul terreno e aiutandosi coi gomiti. Sperò che la strada si allargasse più avanti o non ne sarebbe uscita.

Quando Ace si risvegliò, lei era già sparita dentro la grotta. “Maledizione!” esclamò inseguendola, non solo perché sarebbe potuta arrivare prima di lui, ma anche perché non la voleva perdere di nuovo. Ma per lui la strada era ancora più faticosa perché non aveva il corpo snello e flessuoso di Robin. Quando finalmente la raggiunse, desiderò di non averlo fatto. Quella posizione era già abbastanza scomoda senza essere costretto a vedere le sue gambe sinuose e le sue perfette forme esattamente davanti a lui. L’unica fortuna era che portasse un paio di jeans e non la solita minigonna con cui l’aveva vista spesso.

Lei si era fermata perché a quel punto la strada si interrompeva in un largo fiume sotterraneo. Il soffitto era troppo basso per saltare e allargarlo era troppo rischioso perché avrebbe potuto crollare tutto.

“E ora che si fa?” commentò Ace.

“E ora che fai” lo corresse Robin, la quale aveva ripreso il suo solito comportamento. Numerose braccia cominciarono a comparire su ambo le sponde del fiume. Dai palmi delle mani spuntavano altre braccia e così via finché, congiungendosi al centro, non formarono un solido ponte sospeso sull’acqua.

“Ovvio” commentò un po’ amareggiato lui.

Lei si incamminò lentamente e in pochi istanti fu dall’altra parte. Ace si avvicinò, ma non appena mise una mano sul ponte, tutte le braccia sparirono. “Ehi!”

La ragazza dai capelli pece non si girò neanche, ma lo apostrofò semplicemente così “io sto cercando la mappa per Rufy, tu per Barbabianca, quindi siamo rivali. Credevi che ti avrei aiutato?”

Decisamente questo era il suo comportamento normale, ma non ciò che pensava. Sempre lei gli aveva detto che non lo avremmo mai aiutato, se si cacciava nei guai, ma poi lo faceva sempre. Era nella sua natura. Ma non questa volta. Lui aveva sottovalutato l’effetto che l’incontro con suo fratello e la sua ciurma aveva avuto su di lei. Aspettò, ma Robin proseguì sicura il suo cammino, senza voltarsi indietro, finché lui, quando la vide sparire in lontananza, non si dovette rassegnare e tornare indietro. Fu molto faticoso, più che all’andata. Quando finalmente uscì, pensò che la cosa migliore fosse procurarsi una corda o qualcosa di simile per guadare il fiume, dato che contro di lei non avrebbe combattuto. Non ce l’avrebbe fatta, perché in fondo il fuoco non si era ancora spento, anzi, era semmai aumentato in questo periodo di lontananza.

* * *

La piccola pecora di neve brucava tranquillamente l’erba, incurante dei cadaveri dei marine che giacevano lì accanto e che era stata lei stessa ad uccidere. Usop e Chopper erano ancora a distanza, finché il secondo, prendendo il ‘Walk Point’, non si avvicinò titubante. Lui poteva capire il linguaggio degli animali, per cui le chiese chi fosse e perché li avesse aiutati.

“Beee beee Beee bee” rispose.

“Che ha detto?” chiese Usop, nascosto dietro l’albero.

“Che non le piacciono i Marine. E’ una pecora pirata e si chiama Yuki”

Usop uscì da dietro l’albero, sempre molto cauto. “Una pecora pirata?”

“Così pare”

“Chissà di che ciurma fa parte…Oh no, magari fa parte di una terribile ciurma di mostri! Scappiamo!”

“Ora provo a chiederglielo” Si rivolse nuovamente a lei. “Senti-”

“Yuki, dove sei?” disse una voce femminile ma un poco infantile in lontananza.

La pecora belò per richiamare la sua presenza alla voce, che si materializzò in una piccola figura incappucciata. Yuki le andò incontro festosa, saltellandogli attorno.

Anche questa sarà una pirata, si domandò Usop. Ormai non aveva più paura, perciò si avvicinò. Ma quella, dopo aver preso in braccio la pecorella color latte, si girò e corse via, mentre l’oscuro mantello le si agitava intorno.

“Ehi, aspetta!”

Chopper, ancora con le sembianze di un vero alce, provò a rincorrerla, ma scivolò lungo il fianco della collina. Quando riuscì a fermarsi, quella figura era già sparita, assieme al suo mantello e alla pecora. Usop lo raggiunse di corsa, inciampando e finendo lungo disteso a pochi passi dal suo compagno.

“Ma come hai fatto a cadere?”

Entrambi si guardarono i piedi. Macchie di verde. In effetti, dov’erano inciampati c’era una grossa pozza di quel colore.

“Ma cos’è?” chiese il dottore.

“Vernice”

* * *

Ace stava ritornando indietro, al punto di partenza dove ave lasciato il suo surf. “Da non credere!” si lamentò. “Come ha potuto lasciarmi indietro?” Ancora non riusciva a credere che fossero diventati davvero rivali. O, meglio, non riusciva ad accettare il fatto che lei fosse riuscita a dimenticarlo. Non ci voleva credere, perché non poteva essere. Ma se fosse stato davvero come diceva, allora l’avrebbe invidiata. Invidiata perché era riuscita a spegnere quella passione, cosa che lui, in quattro anni, non aveva ancora fatto.

Finalmente arrivò alla gola nascosta, tirando uno sguardo storto alla nave che era ancorata poco lontano dalla sua. “E quella sarebbe una nave pirata?” commentò disgustato. La flotta dei sette non era mai andata a genio né a lui né a Barbabianca, perché erano dei pirati che si erano fatti comprare della marina. Dei cani del governo. E d’altronde il proprietario di quella barca era uno dei peggiori. Secondo molti, portava il nome di pirata solo per gioco. “E se gliela incendiassi…?” disse ad alta voce, pensando di essere da solo.

“Allora credo che morirai prima di farlo” Una voce gelida e tagliente come una doccia fredda. E Ace si trovò di fronte al proprietario, al membro della flotta dei sette la cui taglia era di 230 milioni di Berry. Inferiore alla sua, comunque, e questo lo rendeva sicuro di sé. Ma la realtà era che quasi nessuno l’aveva mai visto combattere. Forse i pochi che l’avevano fatto non erano sopravissuti, oppure non lo aveva mai fatto.

“Vuoi uccidermi?” rispose sorridendo. “Piuttosto, che cosa ci fai qua? A te non interessa lo One Piece, perciò vedi di tenere giù le mani da quella mappa!”

“Ma come siamo scontrosi…” Si avvicinò ancora. “A me interessa la mappa.” Fece un altro passo. “A te interessa.” Un altro passo ancora. “Ma sarò io ad averla. Rassegnati e cerca lo One Piece senza di lei. In fondo, non è Barbabianca l’uomo più vicino al grande tesoro del re dei pirati? Cosa se ne fa di una mappa?” Un altro passo ancora. Ormai era di fronte a lui. “Temi forse che qualcuno sia più vicino di lui?” Dicendo questo, sapeva bene di chi parlava. E inconsciamente lo sapeva anche Ace, altrimenti non si sarebbe mai fermato lì durante la sua ricerca. Nonostante volesse che il suo fratellino diventasse molto famoso, non gli avrebbe permesso di diventare il re dei pirati, perché doveva fedeltà al sua capitano. Era tutto.

“Pugno di fuoco… E così la tua è sul serio preoccupazione…” Glielo aveva letto negli occhi. Sorrise. “Ma non potresti farci niente, anche se avessi quella mappa… E’ il destino…”

“Al diavolo il destino!” gridò lui.

“Allora vuoi combattere? Perché sarò io a prenderla, non quell’imbecille che hai il coraggio di chiamare capitano!” Di certo il disprezzo che provava Barbabianca era perfettamente ricambiato.

“Non perderò mai contro uno che si è venduto alla marina!”

Il suo corpo brillò dell’energia rossa del fuoco, mentre pensava a come sarebbe stato meglio attaccare. Ma il suo avversario era esattamente di fronte a lui, per niente scosso. Fece un altro passo. Ora lo toccava quasi. Un altro ancora. Ace si sentì come congelare, mentre tutte le sue fiamme si spegnevano, spandendo vapore intorno a lui. Percepì il freddo che ne derivava e le forze cominciarono a venirgli meno. Si sentiva sempre più indebolito e, cosa ancora peggiore, non riusciva più a respirare. Era costretto a trattenere il fiato, ma non avrebbe resistito così a lungo. Per quando cercasse di agitarsi, percepiva qualcosa di invisibile e impalpabile che lo circondava interamente. Ma cosa poteva essere? Che potere del frutto del diavolo aveva? Sentiva il freddo aumentare sempre di più ed entrargli nelle ossa, mentre la vista si appannava. Gli occhi già gli bruciavano da un po’, così fu costretto a chiuderli, dato che non riusciva nemmeno a farli lacrimare. Ben presto il suo pur robusto fisico non resse e i sensi lo abbandonarono. E finalmente anche quella patina che lo aveva ricoperto per tutto quel tempo scomparve, mentre cadeva a terra con un rumore sordo.

“Sei forte…” commentò il suo avversario, ma era serio quando lo diceva. Poi, guardando il corpo svenuto, notò il tatuaggio che aveva sulla schiena e fu assalito da un moto di disgusto. “E’ solo merito della tua ‘d’ se non ti ho ancora ucciso, non certo per quel tatuaggio che porti con tanto onore!” Poi, dopo essersi allontanato, si voltò e gli gridò, cosciente del fatto che non potesse sentire, “e comunque nessuno minaccia di danneggiare la mia bellissima nave e la passa liscia!”

* * *

Quando Nara era tornata sulla nave, non aveva trovato più Rufy. Era sceso perché, avendola incontrata, si era dimenticato il suo scopo principale, ossia visitare quella città dove sicuramente era passato Gold Roger.

I due fratelli stavano ancora preparando la cena, perciò decise di non entrare in cucina. Si sedette per terra, appoggiandosi alla ringhiera dietro e, preso un taccuino, si mise a scrivere tutto ciò che aveva scoperto oggi.

Nami uscì sul ponte e la vide. Eppure non si avvicinò, ma la scrutò a distanza. Era decisamente molto bella, tanto che arrivò a dubitare della sua stessa bellezza, della quale era stata sempre sicurissima, al punto da dirselo da sola. E poi, nonostante quella ragazza non le piacesse, per motivi che a un esterno potrebbero sembrare ovvi, ma che non lo erano, c’era qualcosa in lei che la attraeva, in un certo senso… Era il mare…

Nara alzò lo sguardo. Sorrise. “Ti piace il mare, Nami?”

“Si, tanto” rispose immediatamente, perché era vero. Come quella ragazza avesse capito cosa stava pensando era un mistero.

“Anche a me” Sorrise ancora. “Un mio amico vorrebbe trovare l’antidoto per i frutti del diavolo… Lo vorrei anch’io, ma in modo diverso… Basterebbe annullare l’effetto dell’acqua… Pensa come sarebbe bello anche per chi ha il potere del diavolo tuffarsi nelle onde spumeggianti del mare…” Era qualcosa di personale, capì Nami, anche se cercava di mantenere un tono distaccato.

“Anche tu hai mangiato uno di quei frutti?”

“Questo mio amico si. Così non ha potuto salvare la sua sorellina quando è caduta in acqua… Triste, vero?”

“Già…”

Oh, se lo era. La navigatrice dai capelli tramonto cominciò a credere che forse Nara non era poi così odiosa… Ma si contraddì ben presto, non appena la vide gettarsi al collo di Rufy, tornato a bordo. Sentì di nuovo quella fitta allo stomaco che aveva sentito prima, ma la ignorò, facendo buon viso a cattivo gioco.

Con Rufy c’erano anche Usop e Chopper, cosa che fu molto grata a Nami dato che l’attenzione di Nara fu tutta presa da piccolo alce e dal suo incredibile frutto.

Usop, notò lei, aveva le scarpe sporche di verde, lo stesso colore che c’era sotto gli zoccoli del dottore.

“Cos’è?” chiese indicandoglielo.

“Vernice…” rispose Usop. “Sai, abbiamo incontrato una pecora pirata che ci ha salvato dai marine poi una figura misteriosa che se l’è portata via, mentre noi siamo scivolati in un lago di vernice…”

“Davvero molto interessante…” rispose asciutta Nami credendo che si trattasse di una delle sue solute bugie.

“E’ pronto!” Al che, il capitano non se lo fece dire due volte e corse immediatamente in cucina, seguito da Usop e Chopper che, conoscendolo bene, sapevano che se non si sbrigavano non gli avrebbe lasciato niente nel piatto. Nara superò Nami, lanciandole uno sguardo di sfida mentre passava. E pensare che fino a un momento prima avevano chiacchierato come due amiche… In quella ragazza c’era qualcosa che le sfuggiva… Ma una cosa era certa, se sperava di farla ingelosire, si sbagliava di grosso. In fondo lui era solo il suo capitano, mica chissà che…

“Rufy caro, posso sedermi vicino a te?” le sentì dire con quella sua voce che risuonava fredda, certe volte.

Nami si sbagliava. Se la vera intenzione di Nara era quella di farla ingelosire, bè, ci stava riuscendo benissimo!

* * *

Ormai si stava facendo buio e le nuvole lasciavano il posto alle numerose stelle della notte. La chiara luna era piena e illuminava ancora il cammino, mentre i lontananza i colori caldi del sole si stavano spegnendo sotto al mare. Zoro e Tashigi avevano camminato sempre, senza mai fermarsi e senza dire una parola. Ma ora era tardi.

“Senti, ma questa è la direzione giusta, vero? Cioè, tu hai una chiara idea di dove stiamo andando, no?”

“No…”

“Ma come sarebbe a dire no???” Tashigi si fermò, appoggiandosi ad un albero. “E’ tutto il giorno che camminiamo e adesso mi vieni a dire che non sai dove stiamo andando?”

“Te lo avevo detto che avremmo dovuto procedere a tentativi! E poi potevi sceglierla tu la direzione, invece che seguire me!”

“Ora sarebbe colpa mia? Tu vai, dici che dobbiamo collaborare e cosa dovrei pensare? Che sai la strada o almeno hai una vaga idea della direzione! Accidenti a te!”

Lui decise di lasciare perdere. “Guarda che ti lascio indietro…”

“Ehi, aspet-” Inciampò nella radice dell’albero al quale si era appoggiata. Nell’urto i suoi occhiali caddero e Zoro, tornando indietro, li calpestò, sentendo nitidamente il ‘crack’ sotto ai suoi piedi. Naturalmente lo sentì anche lei. “Fantastico, ci mancava solo questa! Basta, sono stanca e non farò un passo di più!”

“Ma non è prudente dormire all’aperto…” Poi si rese conto che altrimenti avrebbero dovuto dormire vicini e decise che era meglio così. “Oh, fa’ come vuoi” Quindi si allontanò e si sistemò sotto una sporgenza rocciosa poco più in là. Durante il tragitto avevano raccolto dei frutti che avevano trovato sugli alberi. Non era molto, ma sempre meglio che niente. Mangiò tutto avidamente, lasciando solo il nocciolo che sputò via. Però ora aveva sete.

“Trovalo, un fiume in questo buio!” esclamò arrabbiato.

Poco dopo, un leggero rumore. Afferrò le sue spade, ma prima che potesse sguainarle la luce della luna illumino l’esile figura di Tashigi, che si stava avvicinando cautamente.

“Sei tu…” Fece il suo solito ghigno ironico. “Paura?”

Lei si risentì. “Affatto! Ero solo venuta a portarti un po’ d’acqua!” Notò la borraccia che aveva in mano. Doveva averla nello zainetto che le aveva visto indossare durante il viaggio. Ma non si sarebbe mai abbassato ad accettarla e comunque lei non sembrava più intenzionata a dargliela. Si sedette comunque davanti a lui, appoggiandosi ad un tronco d’albero. La luce della luna la illuminava totalmente, permettendo a Zoro di osservarla bene. Non poteva non venirgli in mente Kuina. Erano praticamente identiche. Si domandò se il destino le avesse fatte così uguali perché lui la ritrovasse. Si pentì subito di ciò che aveva pensato. Ritrovarla come, poi? Come avversario? No, l’aveva battuta fin troppo facilmente… Con Kuina aveva sempre perso, invece… Allora, ritrovarla in che senso? Non ce ne potevano essere altri.

Lei invece osservava le sue spade, mentre teneva la sua Shigure stretta in mano. Si rammaricava di essere stata lei a consegnare nelle mani di un simile individuo due spade così belle, perché in fondo era merito suo…

“Quella WadoIchimoji è veramente sprecata in mano ad un pirata…” commentò asciutta.

“Come ti ho già detto” rispose lui indifferente, risvegliandosi dai suoi pensieri, “ognuno ha il suo scopo. Come puoi giudicare?”

Stavolta aveva ragione. In fondo aveva davanti uno dei pirati che avevano salvato Alabasta… Pirati si, ma poi non così cattivi… Quella storia le aveva fatto decisamente male. Eppure, ciò che pensava sui pirati era forse sbagliato? Il suo sogno era sbagliato? Non ci poteva credere… No, non ci avrebbe mai creduto!

Zoro sembrò capire il suo stato d’animo. “Non posso permetterti di prenderla perché è il ricordo di una promessa…” La sfoderò, alzandola davanti a sé. La luce della luna si rifletteva sulla lucida lama. “Mi ricordo che tu hai giurato sulla tua Shigure di prendere tutte le spade del mondo. Io invece ho giurato, assieme alla proprietaria di questa spada, che o io o lei saremmo diventati gli spadaccini più forti del mondo…”

 

Perché non mi uccidi? E’ perché sono una donna? Io sarei voluta nascere uomo, ma tu non potrai mai capirlo…

Tu mi ricordi tantissimo una mia amica che è morta tempo fa. Ma non devi dire le stesse cose di quella stupida. Non imitarla!

 

“Questa tua amica… E’ la stessa che mi somiglia? Quella di cui mi hai detto… quando mi hai sconfitto?” pronunciò le ultime parole quasi con ribrezzo.

Se lo ricordava… “Si… Lei è morta qualche giorno dopo, così io ho preso la sua spada in nome della nostra promessa… Se non fosse possibile, direi che tu sei Kuina. Siete identiche…Ma sfortunatamente avete anche le stesse idee malsane!” aggiunse sbuffando.

“Ma quale idee malsane!” esclamò rizzandosi in piedi.

“L’idea che per il fatto che siete donne non potete combattere” Tashigi rimase interdetta. “Lei mi ha sempre battuto” Rinfoderò la spada con molta cura. “L’ultima volta che abbiamo combattuto, lo ha fatto con questa spada. Ha vinto, naturalmente, per la 2001° volta. Alla fine dello scontro, mi ha detto che mi invidiava perché ero un uomo. Perché io sarei potuto diventare il migliore e lei no… Perché era una donna…” Fece un risolino stanco. “Tutte cavolate! L’ho convinta e ci siamo fatti quella promessa, ma poi… Il resto lo sai…”

Tashigi si risedette. “Non dovevi parlarne se non volevi…”

“Volevo”

“Tu vuoi diventare lo spadaccino migliore del mondo… Ma eri un cacciatore di taglie e ora sei un pirata! La realtà è che le tue spade stanno piangendo… Non ce la farai mai…”

“Chissà…” disse sorridendo. “Comunque era un cacciatore solo per sopravvivere… Poi Rufy mi ha salvato la vita… Sono entrato nella sua ciurma per riconoscenza…” In un certo senso era vero, ma poi tra loro si era consolidato quel legame di amicizia che non li avrebbe più separati. “E lui non ha mai insultato il mio sogno, anzi” Sorrise maggiormente. “Credo che mi ammazzerebbe se non lo realizzassi!”

Anche questa volta lui era riuscito a spiazzarla. “E va bene!” disse. “Ma resta un altro punto. Perché non mi hai ucciso?”

“Avresti preferito che lo facessi?” chiese Zoro. Non riusciva a capirla.

Lei abbassò lo sguardo. “Non dico questo… Ora so che non l’hai fatto per l’unico motivo che ti ricordo questa tua amica… Kuina… E’ anche peggio di quello che pensassi… E’ peggio della semplice pietà…”

“Non l’ho fatto perché hai un sogno… Un obbiettivo…” Era anche per quello, ma sicuramente, anche a livello inconscio, lo aveva fatto per via di quella straordinaria somiglianza. Non avrebbe potuto dirglielo, comunque. “Lo devi realizzare, anche se, per farlo, dovrai battere me. E non è facile!” aggiunse riprendendo la solita aria spavalda. Si ricordava le parole di Mihawk, che con lui aveva usato la stessa attenzione. In realtà non aveva capito bene la ragione del comportamento che lui aveva nei confronti di lei, ma non riusciva a comportarsi diversamente. Era così, e basta.

Tashigi rimase un po’ lì senza parlare. Tutto quello che aveva scoperto l’aveva chiaramente sconvolta. Forse si era sempre sbagliata. Non tutte le spade piangevano, evidentemente. In effetti, la WadoIchimoji aveva brillato così intensamente alla luna, che pareva che stesse ridendo. No, non poteva più rubargliela. Ma come avrebbe fatto? Lei era pur sempre un Marine.

Provò la fortissima tentazione di posare le labbra sulle sue… Si spinse in avanti, annullando la distanza che c’era fra di loro e lo baciò a occhi chiusi e lui, che invece li aveva ben aperti, non si mosse minimamente. Non ci riusciva e non capiva il perché. Come se si fossero mosse da sole, le sua braccia si alzarono e strinsero ancora più a sé quel corpo esule, mentre le loro lingue si incontravano. Lei spinse le mani sul suo petto muscoloso, senza staccare le labbra, mentre lui le sfilava la giacca da Marine. Quando finalmente staccarono le loro bocche per prender fiato, lei si era già tolta la camicetta, in modo che lui potesse ammirare la forma perfetta del suo seno. La riavvicinò a sé e la baciò nuovamente, con ancor più passione. Benché per entrambi fosse la prima volta, i loro corpi si muovevano da soli, suggerendo loro come comportarsi. Nessuno dei due sapeva bene cosa stava facendo, perché entrambi, in quella notte stellata, dove i segreti del passato erano stati svelati, si erano fatti prendere dalla forza della passione, una forza incontrollabile, specialmente da due ragazzi di ventun anni. Mentre lo facevano, si davano degli stupidi. Ma molti dicono che l’amore, realmente, sia la saggezza degli stolti.

* * *

Una nave silenziosa e alquanto sinistra si stava avvicinando all’isola. Era passato da poco il tramonto. Scivolava silenziosamente e aveva un’aria quasi furtiva. Ma era ancora lontana. Probabilmente sarebbe giunta all’aurora.

“Capitano, siamo quasi arrivati”

“Bene” L’uomo si avvicinò al ponte, osservando l’isola circondata dal buio della notte, mentre il raggio della luna si rispecchiava nel mare. “Finalmente potrò compiere un’impresa che mi renderà famoso”

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Nami non aveva mai visto tanti cibi diversi tutti insieme

 

 

 

Nami non aveva mai visto tanti cibi diversi tutti insieme. Evidentemente la rivalità tra i due fratelli aveva portato a risultati a dir poco sorprendenti. La tavola era imbandita di tutto ciò che al mondo si può sognare, cibi rivenienti da tutti paesi. Dal sushi alle crepes, dagli spaghetti agli hamburger… Sembrava di essere a una sagra invece che a una semplice cena. E la cosa più bella era che sembrava tutto buonissimo!

Lei si sedette a un lato della panca, mentre accanto le si sedettero Sanji e sua sorella. Capotavola c’era Chopper mentre dall’altro lato c’erano Rufy, Nara e Usop.

“Zoro e Robin?” chiese quest’ultimo.

“Non importa…Loro sanno badare a loro stessi…” disse Rufy che aveva la bava alla bocca alla vista di tutto quel ben di Dio.

Nami notò che gli sguardi assassini dei due fratelli non erano affatto diminuiti. “Scommetto che sarà tutto buonissimo… ma, tu come ti chiami?”

La ragazza dai capelli biondi arrossi leggermente. “E’ vero, con la storia della gara mi ero dimenticata di presentarmi… Io sono Sakura, piacere”

Nessuno la stava a sentire. Rufy, Chopper e Usop si erano già gettati sul cibo, fregandoselo a vicenda l’uno dal piatto dell’altro. Nara stava scegliendo minuziosamente solo il cibo preparato da Sanji, cosa che non faceva certo piacere alla sua amica, mentre Sanji era occupato a servire Nami solo con i suoi piatti.

“Vedo che vi interessa molto…” aggiunse con una goccia che le pendeva dal capo. Quindi decise di lasciare perdere e iniziare a mangiare anche lei, prima che si spazzolassero via tutto.

Alla fine della cena, tutti avevano mangiato di tutto. Erano passati dal dolce, al secondo, dal primo all’antipasto, insomma, ne era venuto fuori un casino non indifferente. Nami si era ritrovata a mangiare quello che sembrava un Babà con sopra un calamaro fritto. Sanji aveva scoperto una fetta di pizza cosparsa di cioccolata, mentre Usop era riuscito a mangiare una torta con i funghi dentro. I ragazzi avevano decisamente bisogno di un digestivo, ma per fortuna era stato preparato anche il sorbetto al limone, unica cosa alla quale i fratelli avevano lavorato insieme e della quale tutti gli furono molto grati.

Finita la cena, Sakura e Sanji lavarono i piatti, mentre gli altri, seduti al tavolino, parlavano del più e del meno. Nara si stava concentrando su Chopper e sullo studio dei suoi poteri.

“Ah proposito, ma che vuol dire che il frutto di Gom Gom fa parte della categoria degli Zen-Zen?” chiese Rufy come ricordandoselo improvvisamente.

Nara si alzò da terra e fregò una siringa dal ruck di Chopper. “Posso prenderti un po’ di sangue?” Lui era titubante ma alla fine acconsentì. Mentre lo stava facendo rispose “Vedi, i frutti del diavolo si dividono in quattro categorie principali. Gli Zen-Zen, che sono quelli che danno poteri riferiti alla natura, come il tuo. Ci sono poi quelli di Zoo-Zoo, che trasformano in animali, quelli di Hito-Hito che si riferiscono a cose create dall’uomo e infine quelli di Hen-Hen che comprendono tutti gli altri, come quello di Chopper”

“O quello di Fior Fior” aggiunse Sakura. “La Robin di cui parlavate prima è lei, no? Ha un potere fantastico”

“Allora anche tu te ne intendi di frutti del diavolo” esclamò Sanji sorpreso.

“Si” rispose lei. “Il mio sogno è quello di riuscire a riprodurre un frutto del diavolo”

“Sul serio?!” dissero tutti. “Ma è impossibile!”

“No” fece Nara. “Non ci sono cose impossibile a questo mondo. Esiste solo ciò che si vuole fare e ciò che non si vuole fare” Si risedette sulla panca assieme a Rufy, strofinandosi contro di lui. “E in questo momento c’è una cosa che vorrei fare…”

“Eh?” Rufy sembrò un po’ disorientato e si allontanò leggermente.

Lei sbuffò scocciata mentre Nami, alzandosi, la guardò con aria di superiorità. “Vado in camera mia.” Si rivolse alle due ragazze. “Voi dove dormite?”

Prima che Nara potesse dire qualsiasi cosa, intervenne Sakura. “Abbiamo i sacchi a pelo, se per voi va bene potemmo dormire sul ponte”

Sanji si girò con gli occhi a cuore verso la ragazza dai capelli blu. “Non sia mai detto che una leggiadra fanciulla debba dormire all’aperto. Ti cederò volentieri il mio letto, cherie!”

Nara guardò scocciata la sua amica che l’aveva interrotta. “No, grazie” Si alzò anche lei, uscendo. “Puoi venire un attimo, Sakura?”

Lei, finito di asciugare il piatto che aveva in mano, lo appoggiò sul lavandino e la seguì fuori, chiudendo la porta dietro di sé.

“Quelle due mi sembrano un po’ strane…” disse Usop. “Voglio dire, sulla testa di Rufy pende una taglia di 100 milioni… E noi siamo pirati, eppure non hanno la minima paura…”

“Forse ci sono abituate… Per cercare i frutti del diavolo devono entrare in contatto con i pirati… E poi Sakura è mia sorella, quindi…”

“Si, lei si, però… vabbè…”

“Sanji, io ho ancora fame…”

“Ma come può essere??” gridarono tutti.

* * *

Nara prese il suo zaino che era ancora appoggiato in un angolo dalla mattina e ne tirò fuori due coperte. Sakura le si avvicinò e prese quella che la sua amica le porgeva.

“Perché mi hai interrotto?”

“Cosa volevi dire?”

Nara sbuffò. “Era l’occasione giusta per chiedere a Rufy se potevo dormire con lui…”

“Non ti piacerà sul serio cappello di paglia!”

La ragazza dai capelli blu si avvicino a Sakura e le sussurrò qualcosa in un orecchio. Poi si allontanò di nuovo, osservando l’effetto delle sue parole.

La ragazza dai capelli raggi di sole rimase ferma per qualche minuto. “Perché? Allora ti piace sul serio…”

“Non è necessario che tu lo sappia. Ti chiedo solo questo piccolissimo favore…”

Sakura scosse la testa. “Non mi sembra tanto piccolo e poi… Non mi piace fare cose di cui non so il perché!”

Nara le strinse la mano. “Ti prego” piagnucolò. “In nome dei favori che ti ho fatto”

“Quali?”

Si staccò. “Bè, quelli che ti farò!”

“Ahhh” Sakura sorrise. “E va bene… Ma ti avverto, se succede qualcosa che non mi va, ti scoprirò subito”

“Va bene… basta che tu lo faccia. Domani.”

* * *

Niko Robin vide una flebile luce in lontananza. Forse era arrivata. Accelerò il passo, nonostante la stanchezza dei muscoli e finalmente lo stretto corridoio si allargò in una piccola grotta, illuminata soltanto da piccoli buchi che comunicavano con la cima del promontorio, perciò la visibilità era molto scarsa. Di forma rotonda, non sembrava nascondere alcun segreto e neanche quella fantomatica mappa che stava cercando. Si guardò intorno, finché non riuscì a notare un segno rosso dipinto nella parete di fronte a lei. Sembrava antico. Si avvicinò e lo sfiorò con la mano. Quattro linee sistemate a mo’ di quadrato e un quadrato più piccolo in mezzo. Toccò ancora il centro, spingendolo con l’indice. Sentì una specie di tac, come se avesse toccato qualche bottone.  La stanza nella quale si trovava vibrò e poi… Il nulla. E lo scenario cambiò.

Si guardò intorno, stupita. Era una giornata nuvolosa, nella quale il sole giocava a nascondino con alcuni nuvoloni neri. Una grande piazza familiare. Persone. Molte persone. Tutte lì per vedere un’esecuzione. Robin si girò verso il centro. L’uomo baffuto che stava per essere ucciso sorrise.

“Se volete il mio tesoro, prendetevelo. Ho lasciato tutto in un certo posto…” Poi le spade degli esecutori si chinarono su di lui. Sangue e la gente esultò. Ma il sole scomparve definitivamente e la pioggia cominciava a cadere, prima lenta, poi inesorabilmente sempre più forte. Pensare che proprio in quella giornata uggiosa iniziò l’era dei pirati.

Le gente correva da tutte le parti, ignorando Robin che rimaneva ferma in mezzo. Sembrava che nessuno la vedesse.

“Gold D. Roger…”

Aprì la mano davanti a lei. La pioggia che scendeva non l’aveva ancora bagnata. Com’era possibile? Vide le gocce attraversare il suo palmo e cadere a terra. Era diventata impalpabile e invisibile, come un fantasma. Che razza di incantesimo era? Poi la sua attenzione venne attirata da due persone. Un ragazzo e una ragazza. Si erano trattenuti lì fino a quando il corpo del condannato non era stato rimosso. Lei cercava di trattenere i singhiozzi, mentre le lacrime si confondevano con le gocce di pioggia, mentre i lunghi capelli corvini, zuppi, le si appiccicavano alle guance. Il ragazzo le aveva messo uno delle sue grosse braccia attorno alle spalle e cercava di farle coraggio.

Una folata di vento, come se qualcosa, o qualcuno, invitasse Robin a seguire quella strana coppia. Lei lo fece. Non sapeva il perché, ma ci doveva essere un motivo a tutto quello.

I due si diressero verso una barca leggermente nascosta dietro un promontorio. Il mare era in burrasca, ma l’equipaggio era intenzionato a partire comunque. Robin salì a bordo. Il ragazzo si staccò e osservò tutti gli altri membri.

“E ora che si fa?”

“Niente” rispose un uomo che portava i capelli come petali di un fiore. “La nostra epoca è finita. D’ora in poi ognuno farà ciò che vuole”

“Ma come?” Il ragazzo si risentì. “Noi-”

“Teach, tu sei giovane, puoi riprendere il mare e continuare la vita del pirata. Ma per noi…”

Lui non sembrò convinto, benché potesse vedere il segno di assenso da parte di tutti, finché non intervenne la ragazza. “Hanno ragione loro. Tu continua il tuo sogno, io… Io ora devo pensare a qualcos’altro…” Si mise una mano sulla pancia.

“Hai fame?”

“Ma no, cretino!” gli rispose lei. “Sono incinta!”

“Cosa?!”

Da quella marmaglia emerse un altro ragazzo. Familiare, troppo familiare. Quel viso da ragazzino… A Robin sembrava di averlo già visto.

“E’ meraviglioso” La baciò appassionatamente, stringendo la mano ancora posata sul ventre. Poi si girò e si rivolse al ragazzo di nome Teach. “Anch’io non voglio abbandonare la vita del pirata. Sono con te, capitano”

Lui scosse il capo. “Non devi sentirti in obbligo solo perché hai messo incinta mia sorella”

“Non è affatto un obbligo! Io voglio essere un pirata!”

Alla fine Teach accettò. Robin osservò il viso della ragazza. Sorrideva, un sorriso che risplendeva come il sole in quella triste tempesta, mentre le lentiggini le coloravano le guance. Le lentiggini. Prima non le aveva notate. Così familiari. Ancora troppo familiari.

* * *

Tashigi aprì leggermente gli occhi. Il sole non era ancora troppo alto, ma la accecava lo stesso. Aveva un po’ di mal di testa. La rugiada del mattino aveva bagnato anche i suoi capelli blu, ma allo stesso tempo aveva pulito la foresta, che ora emanava un odore di fiori primaverili.

Lei era ancora stretta al corpo di lui, senza rendersi ancora conto di ciò che era successo. Solo che lo desiderava ancora, e, se fosse possibile, ancora più di quanto lo aveva desiderata la notte prima. Voleva sentire ancora le sue labbra. Abbracciò più forte quel corpo muscoloso e si avvicinò alle labbra carnose, premendoci sopra le sue. Dolcemente. Lui ricambiò il bacio, come in trance.

“Kuina…” mormorò, mentre gli occhi si aprivano lentamente alla chiara luce del mattino.

Lei si alzò di scatto, quasi disgustata. Come se tutto fosse svanito, la ragione riprese a funzionare, mostrandole la realtà com’era, realtà alla quale non aveva potuto resistere. Aveva fatto l’amore con lui. Osservò il suo corpo ancora nudo, mentre le gocce di rugiada brillavano al tiepido solo, rendendolo ancora più bello. Trattenne un moto di disgusto. Quella vista glielo faceva desiderare ancora di più, ma la ragione glielo faceva odiare. Si alzò di scatto per non vederlo e iniziò a rivestirsi.

Lui intanto era ancora intontito e quando i suoi occhi non furono più appannati, la vide mentre si infilava la camicetta. Anche la sua coscienza si riaprì, rendendolo consapevole di ciò che era successo. Come aveva potuto farlo? Ma la domanda più assurda era come poteva averne provato tanto piacere da volerlo rifare? Non l’avrebbe più toccata, era ovvio, ma si sentiva di desiderarla ancora, forse più intensamente di prima.

“Senti…” provò a dire, ma non c’erano parole per spiegare.

Lei si voltò verso di lui, cercando di concentrasi solo sul suo viso e non sul resto del corpo ancora nudo. Ma pure il viso le trasmetteva sensazioni che non voleva. Cercò di non pensarci. “Hai fatto l’amore con me solo perché sono come lei!” l’accusò.

“Come chi?” disse alzandosi e cominciando a vestirsi.

“Kuina. L’hai chiamata nel sonno!” La sua voce, benché volesse sembrare arrabbiata, non trasmetteva odio ma malinconia. Non appena ebbe finito, afferrò il suo zainetto e la sua Shigure e se ne andò. Doveva combattere con lui, sconfiggerlo, si ricordava. Lui era un pirata e lei un marine. Ma l’unica cosa che pensava in quel momento è che andasse tutto al diavolo.

Zoro non si era ancora infilato la maglietta, quando la vide allontanarsi. Ancora spinto da quella forza che non riusciva a controllare, la seguì – non prima di aver recuperato le sue spade, naturalmente – e riuscì a raggiungerà. La afferrò per un braccio, lo stesso che lo aveva stretto quella notte. “Ascoltami!”

Lei lo fissò con odio. Lui deglutì. Era ancora fuori di sé, benché ora ci fosse un barlume di ragione in più. Si chinò e la baciò con vigore. Tashigi non lo respinse neanche, perché in fondo lo desiderava. Le loro lingue si unirono ancora, finché non mancò loro l’aria e si divisero.

Lui respirò profondamente e le parole gli uscirono di getto, dette non dallo spirito presuntuoso e un po’ antipatico di spadaccino, comunque troppo serio per quella situazione, ma dallo spirito di ventunenne innamorato. “Ho fatto sesso con te perché mi piaci.”

* * *

La scena era cambiata ancora. Una stanza spoglia, illuminata solo dalla luce di una candela, che rifletteva flebilmente le ombre sulle pareti di legno. Teach e il ragazzo di prima erano seduti al tavolino, l’uno di fianco all’altro. Robin li osservava, appoggiata contro il muro.

Teach prese un ago e si punse l’indice, premendoselo un po’ per fa uscire il sangue. Il ragazzo fece la stessa cosa. Poi misero le due dita l’una sull’altra, mischiando i rispettivi liquidi rossi.

“Io, Marshall D. Teach, giuro su questo patto di sangue di prenderti nella mia ciurma quando mio nipote sarà sufficientemente grande”

“Io, Luffy, giuro su questo patto di sangue che entrerò nella tua ciurma dopo essermi preso cura di mio figlio”

La ragazza dai capelli corvini seduta sul letto si alzò e anche lei, come aveva fatto suo fratello e suo marito, prese l’ago e si punse, dopodiché unì il suo indice con gli altri due. “Io, Neku D. Iole, giuro di non fermare mai mio marito e di prendermi cura di mio figlio durante la sua assenza” Il patto si concludeva qui.

Robin osservò il pancione della donna, ormai in stato avanzato. Chiuse gli occhi, fissandosi nella mente il volto di Teach. Familiare anche quello, ma in modo diverso. Li riaprì, sentendo le urla di Iole. Le doglie. Abbassò la tesa del cappello davanti a sé, per non vedere. Una ragazza entrò nella stanza, per aiutarla a partorire. Era giovanissima, non avrà avuto nemmeno sedici anni, coi lunghi capelli verdi. Si avvicinò al letto dove la donna si era coricata. “Respira. Andrà tutto bene”

Quando il piccolo nacque, era uno scricciolo. Veramente piccolino. Suo zio lo prese in braccio e tra le sue grandi braccia sembrava persino più piccolo. “Allora, come lo chiamiamo?”

“Sei tu il suo padrino, spetta a te” bisbigliò stancamente la donna.

“Il suo nome sarà…” Robin rimase in attesa, aspettando che fosse Teach a rivelarle quello che in cuor suo già aveva capito. “…Portuguese D. Ace” E l’immagine svanì di nuovo.

* * *

Zoro fece un altro respiro profondo. Si faceva schifo da solo per averla ferita in quel modo. Come aveva potuto toccarla in quel modo, quella notte? Non era un comportamento degno di uno spadaccino. Ora si, che si era reso conto dei suoi sentimenti, troppo importanti per essere rovinati così. ma lui era troppo orgoglioso per dirle veramente quanto tenesse a lei. Era già abbastanza che lo avesse ammesso a sé stesso. L’unica cosa che riuscì a bisbigliare ancora fu “scusami”. Le lasciò il braccio.

Né lui né lei sapevano più cosa dire ormai, perciò proseguirono la strada ognuno immerso nei suoi pensieri. Un rumore. Foglie che cadono. Zoro mise la mano sulla spada, ascoltando il rumore del vento. Qualcosa si stava muovendo sopra gli alberi, verso di loro. Qualcosa di molto veloce. Poi, finalmente, questo qualcosa apparve, delineando la sua figura. Un ragazzo. Saltava di ramo in ramo con l’agilità di uno scoiattolo. Non sembrava interessarsi a loro.

“Ehi, tu!” Tashigi lo chiamò e solo allora si accorse di non essere solo. Passò ancora per qualche ramo, poi, esattamente sopra di loro, si lasciò cadere, atterrando in piedi davanti alla ragazza che lo aveva chiamato.

Era un ragazzo che non superava i venticinque anni. Lei poteva notare i suoi muscoli al di sotto della maglietta leggera. Sia quella che i bermuda che portavano erano leggermente sporchi di terra, come se si fosse strusciato a lungo contro il terreno e poi si fosse pulito con le mani. Anche quelle erano sporche, notò, mentre lui si risistemava la faretra e l’arco che portava sulle spalle. “Buongiorno” li salutò lui, ma era un saluto asciutto.

“Noi ci siamo persi. Lei sa per caso qual è la direzione che dobbiamo prendere?”

Lui alzò il braccio e indicò il nord. “Se proseguite dritti troverete un fiume. Seguendolo in direzione della foce, arriverete al sentiero che riporta in città”

“Grazie mille” lo ringraziò. “Meno male che ti abbiamo incontrato”

Quel ragazzo misterioso non rispose, ma spiccò un salto, aggrappandosi al ramo più vicino. Quindi proseguì la sua strada, mentre Tashigi lo osservava andarsene, agitando il codino di capelli neri.

* * *

Ora la nuova scena mostrava Luffy mentre saliva a bordo di una barchetta, alla quale non era nemmeno adatto quel nome, perché era una vera bagnarola. Stava partendo per raggiungere Teach. Ace aveva solo poco meno di tre anni, ma Iole non aveva voluto che lui ritardasse la partenza un attimo di più. Lei se la sarebbe cavata da sola e poi aveva Makino, la ragazza dai capelli verdi che l’aveva aiutata a partorire. Il mare era calmo ma il sole del tramonto sembrava piangere mentre lui se ne andava, come un presagio di sventura. Anzi, sembrava sanguinare, almeno secondo Robin. Poi il suo sguardo si spostò su Ace. Aveva il pollice in bocca e guardava con occhi sgranati suo padre che se ne andava. Le venne da pensare che era dolcissimo e si chinò istintivamente per accarezzargli la guancia. Lui rabbrividì, come se avesse sentito qualcosa, e si girò, ma naturalmente non vide nulla, in quanto Robin aveva ancora le sembianze di un fantasma. Sua madre lo prese per mano e si avviò verso il paese. Mentre camminava, le venne una tosse fortissima, tanto da costringerla a fermarsi e da spaventare suo figlio. Ma si riprese immediatamente, benché sembrasse qualcosa di più grave che una semplice influenza.

La scena cambiò nuovamente. Robin era di nuovo appoggiata alla finestra, mentre osservava il compiere di quello che già sapeva sarebbe successo. Iole era a letto, cercando di partorire il suo secondogenito, mentre fuori infuriava una tempesta. La pioggia cadeva sottile ma forte e il picchiettare si sentiva distintamente. Un lampo e poi un tuono. Ace aveva paura, ma sapeva che non doveva disturbare sua madre, perciò stava nella stanza a fianco, sotto le coperte, cercando di farsi coraggio.

Finalmente, grazie anche alle cure di Makino, il bambino nacque. Era piccolo, ancora di più di suo fratello e senza lentiggini. Assomiglia alla madre comunque, mentre suo fratello, lentiggini a parte, è il ritratto di suo padre. Ma hanno entrambi il colore corvino che li contraddistingue. Robin sorride, osservando Iole che lo stringe al petto e non si accorge che, fuori, è spuntato il sole.

“Come lo chiamerai?” chiese la ragazza dai capelli verdi.

L’altra tossì. “Monkey D. Rufy”

Robin sentì una grande malinconia, ma senza capirne il perché. Poi vide il palmo della donna sporco di sangue e finalmente capì. La scena scomparve ancora e ancora ne comparì una nuova.

Robin era su un colle illuminato dalla prima luce del mattino. Faceva abbastanza freddo. Davanti a sé c’era Makino, con in braccio il piccolo Rufy e con suo fratello al fianco, e singhiozzava. Ace piangeva, invece, cosa che mai gli aveva visto fare, neanche quando si erano lasciati. Ma in fondo aveva solo tre anni. La ragazza dai capelli verdi si chinò verso di lui e lo abbracciò, non riuscendo a frenare le lacrime. Rufy era ancora troppo piccolo per capire e dormiva, borbottando ogni tanto nel sonno.

Robin si avvicinò e vide la terra smossa e la croce di legno che c’era a fianco. Nessun nome, ma capire non era difficile. Lei sospirò. Lo aveva già capito, ma era abbastanza triste. Lei lo sapeva bene, perché aveva avuto lo stesso dolore. Ciò che si chiedette fu dov’erano in quel momento Luffy e Teach. Probabilmente nella rotta maggiore. Si inginocchiò e sfiorò nuovamente la guancia di Ace, stavolta con le labbra. Lui smise di piangere, ma la sensazione che gli fu trasmessa non era gelida, ma dolce e calda. Non lo sapeva, perché non vedeva niente, ma la stava guardando negli occhi.

Poi la scena scomparve, definitivamente, e Robin si ritrovò di nuovo nella grotta scura e fredda. Non aveva trovato ciò che cercava, ma poteva ritenersi comunque soddisfatta, sebbene non capisse perché proprio a lei fosse stato concesso l’onore di sapere questa storia. Forse perché era un’archeologa. Ma, a ben pensarci, era convinta che certi segreti, molte volte, è meglio se restano tali. Questo era uno di quelli… o forse no. Il perché non ce l’aveva ancora ben chiaro, ma sentiva ancora la sensazione di fastidio, come di qualcosa che avesse in mente ma non riuscisse bene a focalizzare. Pensò a tutto ciò che aveva visto e la sua immagine si concentrò su Teach. E finalmente capì.

Certo, era un po’ diverso, ma in fondo erano passati ventidue anni! Ma non c’erano dubbi, era proprio Barbanera, quell’uomo che li aveva attaccati per intascare le loro taglie poco prima che partissero per Skipiea!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Robin era tornata alla realtà

 

 

Ora che Robin era ritornata alla realtà, rimanere lì era perfettamente inutile, così si accinse a tornare indietro. La strada fu più corta di quello che ricordava, forse perché aveva fretta di arrivare. Si stupì di non avere rincontrato Ace nella via del ritorno. Chissà dov’era finito? Quando finalmente uscì dallo stretto cunicolo, venne illuminata dalla prima luce del mattino. Era da poco iniziata l’alba e in cielo le stelle cominciavano a scomparire dolcemente lasciando il posto alle candide nuvolette nello sfondo turchese. Si guardò intorno, respirando la fresca brezza mattutina, poi ripercorse tutta la strada fino a tornare all’approdo nascosto da dove era partita la sua ricerca. E là lo vide. Disteso supino sulla roccia, sembrava dormire profondamente. Sorrise. Quante volte si era svegliata e lo aveva visto dormire tranquillo di fianco a lei? Troppe per poterle contare. Si chinò verso di lui, scuotendolo leggermente. Illuminato dal giovane sole le sembrava ancora più bello.

“Ace, sveglia!” Lui non si mosse e lei si accorse del respiro leggermente irregolare. Lo girò a pancia in su, premendogli il petto e chiamandolo ancora. “Acekun!” Una leggera preoccupazione incrinava la sua voce.

Finalmente lui aprì lentamente gli occhi, tossendo e sputando saliva e sangue. Si alzò, leggermente frastornato, e la guardò.

“Che è successo?”

Lui indicò la nave ancorata alle sue spalle. Poi sferrò un pugno al suolo. “Maledizione!”

“Hai combattuto contro…?”

Lui annuì. “Hai trovato l’ha mappa? No, vero?” Alla risposta negativa di lei, lui imprecò. “Dannazione, è tutta colpa sua!” Si alzò in piede. “Ah, ma adesso ti trovo, eccome se ti trovo! Aspettami!” Poi si rivolse nuovamente a Robin, che, alzandosi, si risistemò il cappello bianco alla cowboy – o alla cowgirl, nel suo caso. “Sbaglio o mi hai chiamato con il kun?” Sorrideva.

L’aveva fatto, anche se non se ne era resa conto sul momento. “Può darsi…” tergiversò, girandosi verso la nave.

Lui le pizzicò il body. “Robinchan… Credi che… Potrebbe tornare tutto come una volta?”

Ma lei aveva già deciso di cambiare argomento. “Come ha fatto a batterti? La sua taglia è più bassa della tua. Che potere ha?”

Ace borbottò risentito. “Non lo so… Ma la prossima volta non mi batterà più!”

“Sembri Rufy…” Il paragone non gli fece piacere.

* * *

Zoro e Tashigi avevano camminato fianco a fianco per tutta la strada indicatagli dal misterioso ragazzo. Non che non avessero nulla da dirsi, tutt’altro, ma non erano certo cose facili, specialmente per loro e in quel momento. Finalmente comparve il sentiero che riportava in città e i due si sarebbero dovuti separare. Lei, marine, poteva benissimo seguire la via principale, mentre lui, pirata, avrebbe fatto meglio a continuare lungo il fiume fino alla costa e da lì tornare alla sua nave.

Tashiji alzò lo sguardo, osservandolo di sottecchi. Si staccò da lui, lentamente. “Senti… A me non piacciono le relazioni stile una notte e via, però…”

“Neanche a me” Per Zoro costava molto dire questo. “Io… Io non sono ancora pronto per una relazione seria… Ci sono ancora molte cose che devo fare… E poi, non sono nemmeno sicuro di quello che provo perché…” Sperò che le parole uscissero da sole come l’ultima volta. “…perché non voglio che tu sia solo la sostituta di Kuina”. Avrebbe voluto aggiungere che teneva troppo a lei per farla soffrire ancora e che non aveva scuse per ciò che era successo quella notte.

Lei sembrò leggergli nel pensiero. “Anch’io ho molte cose da fare e poi… Per quello che è successo… Io ero d’accordo…” Alzò lo sguardo che aveva costantemente tenuto a terra. “Però… potremo riparlarne quando saremo sicuri di noi!” Era un tono speranzoso.

Lui annuì perché aveva un groppo alla gola, sebbene si vergognasse fino alla morte di essersi dimostrato così emotivo. Alcune lacrime sembrarono affluire agli occhi scuri di Tashigi, ma le ricacciò immediatamente indietro. “Allora… Allora questo è un arrivederci?” Si allontanò di qualche passo, sguainando la sua Shigure davanti a lui. Allora Zoro estrasse la WadoIchimoji e unì la sua lama a quella di lei. Una sorta di patto di sangue, quello, per due spadaccini. Si dovevano separare, ma non perché non fossero sicuri dei loro sentimenti, ma per ragioni di vita, più che altro.

Tashigi si allontanò sorridendo lungo lo stretto sentiero, mentre gli uccellini cinguettavano e l’odore di rugiada al suo passaggio si spargeva intorno a lei. Il mondo sembrava in armonia con il suo stato d’animo. Era felice. Perchè? Perché Zoro le aveva detto che non voleva confonderla con Kuina. E questa, per lei, era quello di meglio che poteva aspettarsi. Quello che le dimostrava che avrebbe potuto essere sé stessa anche con lui, nonostante la somiglianza.

Dal canto suo Zoro, mentre la vedeva allontanarsi, pensava a tutto ciò che era successo e trasse le conclusioni. La amava, ma aveva bisogno di tempo, perché il ricordo di Kuina era ancora troppo vivo dentro di lui. Finché non avesse mantenuto quella promessa, non sarebbe potuto avvicinarsi a qualunque altra donna e non avrebbe potuto vedere in Tashigi nient’altro che la sua reincarnazioni – una sostituta. Ma quando l’immagine di Kuina fosse sbiadita lasciando l’alone del bellissimo ricordo del suo primo amore, allora, e solo allora, lui avrebbe potuto vedere in Tashigi semplicemente Tashigi. Così avrebbe potuto nuovamente amarla come aveva fatto quella notte, stringere ancora il suo corpo e sentire il suo calore. Ma non prima. Aveva già fatto fin troppo a violarla prima che fosse il tempo. Ma il sui sguardo contento mentre aveva rinfoderato la spada lo aveva convinto che quel peccato, perché di altro non si trattava, aveva avuto una sua qualche funzione. Il classico male che non viene per nuocere.

* * *

Chopper uscì dalla cabina quando gli altri ancora dormivano e a ragione dato che non era ancora l’alba. Non era suo solito alzarsi così presto, ma quella mattina era accaduto così. Non sapendo cosa fare ma non volendo disturbare gli altri, decise di fare un passeggiata lungo la costa. Così, da solo, si trovò a pensare a tutto quello che gli era capitato e il tempo passò più velocemente del previsto, tant’è che era da poco passata l’alba quando raggiunse la parte opposta dell’isola. Lì era ancorata una nave stranissima e colorata e una specie di surf che credeva di aver già visto. Una ragazza dai capelli neri, alta e bella, stava in compagnia di un ragazzo muscoloso. Chopper si avvicinò, riconoscendo nelle due figure due sue conoscenze.

“Robin ciao!” e poi “ma tu non sei Ace?” I due si voltarono verso di lui.

“Chopper”

“Tu sei… Quello strano animale che c’è sulla ciurma di mio fratello, vero…?”

L’alce non si offese per l’appellativo di ‘strano animale’ perché non era detto con cattiveria. “Che fate qui voi due… insieme?”

“Noi-” dissero contemporaneamente, ma si interruppero non appena sentirono che l’altro stava dicendo la stessa cosa. Di sicuro si dovevano conoscere prima di quell’incontro e anche bene, a giudicare dal loro comportamento.

Solo allora Chopper notò il teschio che svettava sull’albero maestro. Si domandò se fosse quella la nave dov’era imbarcata la pecora Yuki.

“La nave di un membro della flotta dei sette” commentò schifato Ace.

Poi il ragazzo dai capelli neri col codino già incontrato da Zoro e Tashigi atterrò dall’alto di una prominenza scogliosa accanto a loro. Non li degnò nemmeno di uno sguardo, avviandosi verso la nave colorata, mentre dalla porta della casetta uscirono la figura incappucciata e la pecora.

Chopper era deciso a scoprire di più su quel fantomatico membro della flotta dei sette, ma fu interrotto da alcune voci che provenivano non poco lontano da loro.

“Però la nave del ragazzo dal cappello di paglia non l’abbiamo vista… Sarà già ripartita?”

“Zhe Aha aha aha… Anche se fosse, non importa… Lo cercheremo ancora…”

“Si, però non perderemo il nostro tempo qui perché potremo sempre incontrare uno dei membri della flotta dei sette che non era presente alla riunione a Mally Joe…”

Poi cinque figure spuntarono. Ed erano le cinque persone che Robin avrebbe pagato per non incontrare.

“Ehi…” iniziò Chopper. “Ma quelli non sono i pirati che ci hanno attaccato prima della nostra partenza per Skipiea?”

“Si” rispose Robin. “Anche se ce n’è uno di più…”

“Barbanera!” esclamò Ace rivolgendosi alla figura al centro, un uomo robusto e in carne, sdentato e con i capelli neri e ricci. “Finalmente ti ho trovato!”

Quello sembrò sorpreso di vederlo, naturalmente. Invece il ragazzo alla sua sinistra, ancora più grosso di lui, ma dai capelli biondi e ricci, esultò. “Capitano, quelli sono due membri della ciurma di cappello di paglia! E poi lui” indicò Ace “è il comandante della seconda flotta di Barbabianca ed ha una taglia di 270 milioni di berry! Sicuramente non si potranno rifiutare di ammetterti della flotta dei sette se lo sconfiggeremo!”

“Inoltre” aggiunse l’uomo alto e allampanato che portava un fucile sulle spalle, “quella donna è Niko Robin. Taglia di 79 milioni di Berry…”

Lei sorrise. “Ma davvero?” disse, fingendo una dimenticanza.

L’uomo accanto all’ultimo che aveva parlato scosse il capo. Sembrava un po’ alternativo vestito di tutto attillato nero, con il cappello a cilindro e le labbra nere. “79 a 270, meglio la seconda” I quattro assentirono tranne Barbanera, che sembrava un po’ preoccupato.

“Fatevi pure sotto” disse Ace per niente spaventato. Era già abbastanza arrabbiato per via della sconfitta.

“Non mi sembra leale cinque contro uno!” esclamò Chopper comparendo al fianco del fratello di Rufy.

Il tizio con fucile osservo il ragazzo e la figura che osservavano la situazione da un po’ più in là. “Ma vedo che anche voi siete in cinque… Quindi possiamo fare uno scontro alla pari!”

“Benissimo”

Ace avrebbe pensato che quei due si sarebbero rifiutati di combattere, invece si avvicinarono e si misero al suo fianco. “Non mi sembrate granchè…E poi, non vi siete nemmeno presentati…” disse il ragazzo afferrando il suo arco.

“Hai ragione!” confermò il più grosso di quelli. “Bene, io sono Champion e sarò ben contento di affrontarti e dimostrarti il contrario!”

“Perfetto!”

Il tizio alternativo squadrò Robin da capo a piedi. “Davvero un bel bocconcino, 79 milioni di Berry… Be, non mi dispiacere affatto combattere con te…”

“Con prudenza, Lafitte” disse l’unico dei cinque che non avesse ancora parlato, l’uomo biondo a cavallo di un asino.

“Tu affronta me, dato che hai un animale!” fece la figura incappucciata mentre Yuki le compariva davanti.

Il tizio alto osservò Chopper con superiorità dal suo occhiale a mirino. “Be, pare che sia rimasto solo tu…” Imbroccò il fucile. L’alce dal naso blu si ricordava come quel tizio sapesse sparare bene e avesse una mira infallibile anche da grande distanza, ma per fortuna lui poteva contare sulla grande velocità delle sue gambe.

“Walk point” Trasformandosi in un vero alce, saltellò da una parte all’altra, riuscendo a schivare tutti i proiettili nonostante fossero sparati ad altissima velocità. Quando la scarica finì, Chopper era atterrato incolume su uno scoglio a pochi passi dal suo avversario.

“Una mutazione animalesca…” Prese di nuovo il fucile, ma stavolta mirò da tutt’altra parte.

“Ma che fa?” si chiese. “Non potrà mai colpirmi così!” Ma i proiettili sembrano rimbalzare dalla roccia che avevano colpito e andare nella sua direzione. Saltò in verticale giusto in tempo per schivarli.

“Complimenti, ottimi riflessi” sorrise quello, sistemandosi il mantello dietro le spalle. “Il mio nome in codice è Supersonic a causa della mia velocità, ma non è il mio unico punto di forza. Il mio fucile è in grado di sparare quattro tipi diversi di pallottole”

“E allora? Io posso mutare in sette livelli!” rispose Chopper risentito estraendo una della sue Rumbe Ball.

“Allora schiva queste!” Un’altra scarica, che l’alce evitò spostandosi lateralmente. Ma questa volta le pallottole non arrivarono nemmeno a rimbalzare lungo la parete opposta, ma cambiarono direzione precipitandosi verso di lui. Schivò ancora, ma quelle non gli davano tregua.

“E ora l’ultimo…” Dal fucile di Supersonic si generò una specie di raggio infuocato rosso come il sangue, ma molto più distruttivo del fuoco, come un laser, che non colpì Chopper solo perché lui all’ultimo saltò di qualche metro con il jumping point. Poi riprese a correre finchè non riuscì a fermare le pallottole che lo inseguivano contro una roccia. Si alzò assumendo la forma di un alce umano. “Scope” Bastava togliergli quel fucile, senza di quello non sarebbe stato più in grado di fare niente. Si precipitò verso di lui, ma quello aveva già ripreso la mira contro di lui.

“Le tue mutazioni sono belle, ma non possono niente contro i miei proiettili… perché io sono in grado di incorporare due tipi in uno solo!” Di nuovo il raggio rosso, che Chopper evitò riducendosi alla sua solita forma, ma stavolta, come avevano fatto le pallottole prima, il raggio tornò indietro puntando sempre verso di lui. L’unica soluzione possibile gli parve quella di cercare di far colpire Supersonic dalla sua stessa arma, ma non aveva calcolato che la sua velocità non consisteva solo nello sparare. Infatti, appena vide l’alce precipitarsi verso di lui, appoggiò il fucile a terra e usandolo come spinta saltò, atterrando sulle spalle dell’avversario. Quindi saltò ancora sulla roccia più vicina, mentre Chopper era ancora inseguito da quel raggio rosso che puntava dritto al suo cuore.

“Se solo riuscissi a colpirlo una volta…” Il laser non fece in tempo a sfracellarsi contro la parete della scogliera che Supersonic ne aveva già sparato un altro. “Jumping point” Mentre saltava gli venne in mente che, come le pallottole, forse anche lui avrebbe potuto unire più mutazioni insieme. “Walk-Horn point” disse, sperando di riuscirci. Gli spuntarono le grandi corna, ma le zampe rimasero quelle solite di un alce normale. In questo modo riuscì a precipitarsi a velocità elevata verso l’avversario, che stavolta non ebbe il tempo di saltare, ma venne bloccato con forza contro la roccia della corna, sputando sangue. Chopper afferrò il fucile immediatamente e lo mise davanti a sé, facendolo colpire e distruggere dallo stesso raggio. Supersonic era accora a terra, strofinandosi la bocca sporca di saliva rossa. Doveva avere sicuramente alcune costole rotte dato che l’impatto era stato piuttosto violento. L’alce decise di non infierire, dato che non avrebbe potuto attaccarlo senza fucile.

Quello tossì nuovamente, mettendosi in una posizione dove sentisse meno il dolore delle costole. Più di così non riusciva ad alzarsi.

* * *

Zoro, dopo molto scarpinare, era finalmente tornato all’approdo della Going Merry. Salì a bordo. Rufy stava parlando con una ragazza sconosciuta dai capelli blu, mentre Usop, da una parte, stava sperimentando qualche nuova arma per la sua fionda. Entrambi i ragazzi lo salutarono, quindi la ragazza si presentò.

“C’è anche la sorella di Sanji” aggiunse Usop in tono allegro.

“La sorella di Sanji?” ripetè Zoro incredulo. L’interessata uscì in quello stesso momento.

Immaginazione di Zoro: una ragazza bassa e grassa, con i capelli biondi corti e unti che le coprivano l’occhio destro, bocca enorme e sopraciglia a ricciolo.

Immagine reale di Sakura: alta e magra, con i capelli lunghi, puliti e leggermente mossi nelle punte. Gli occhi erano ben visibili e niente sopraciglia a ricciolo. La bocca era piccola ma carnosa.

Zoro fece una faccia stupita nel vederla così diversa dalla sua immaginazione, tanto che lei gli chiese “qualcosa non va?”

“No” rispose lui. Decisamente la giornata, anche se era appena mattina, era stata troppo pensante per lui. Andò nella poppa della nave e si addormentò.

Intanto Nara sbirciava la sua amica Sakura di sottecchi. Era il momento di farle *quel favore*.

* * *

Robin era alle prese con Lafitte, ma aveva già trovato il modo per sconfiggerlo. Le bastava stare ferma. Quello cercava di distrarla spostandosi in continuazione a ritmo di tip tap.

“Allora?” commentò annoiata. “Non sia fare di meglio?” Si mise una mano davanti alla bocca per coprire lo sbadiglio.

“Stai solo bluffando. Come pensi di attaccarmi stando ferma?”

Lei sorrise amabilmente. “Sai qual è la strategia di caccia delle piante carnivore? Stanno ferme, ma appena la preda è nelle vicinanze scattano. Come ora”

Lafitte sentì qualcosa afferragli la gamba. Abbassò lo sguardo notando il braccio che sembrava uscire dalla roccia che lo teneva stretto. Girà lo sguardo altrove e vide che era attorniato da mani che spuntavano fino al polso. Tirò la gamba libera indietro, ma l’arto che era dietro di lui scattò, immobilizzandolo definitivamente.

“Accidenti” Fece spuntare un coltellino dal bastoncino nero che teneva in mano e si accinse a colpire quelle braccia.

“Game over. Trois Fleur” Spuntarono altre tre braccia che gli immobilizzarono le mani e la testa. Quindi una di quelle che gli teneva le gambe scomparve, mentre quell’altra cominciò a farlo roteare in aria, poi lo lasciò e quello partì velocemente verso una roccia lì vicino, dove lo stava aspettando una gamba, che con un calcio gli premetta la faccia lungo la roccia. Mentre tutti i ‘fiori’ di Robin sparivano, Lafitte crollava a terra privo di sensi.

Ace, mentre fronteggiava Barbanera, aveva osservato tutto lo scontro, anche se avrebbe dovuto sapere che non c’era da preoccuparsi per lei. In quel momento di distrazione si sentì improvvisamente toccare la schiena lungo tutta la spina dorsale. Si girò e vide che si trattava di quel ragazzo dai capelli neri.

“Ma che fai?!”

Quello non rispose, ma tornò a fronteggiare il suo avversario che si trovava lontano un centinaio di metri. “Che fai, scappi?”

“Affatto” disse Champion. “Stavo solo pensando che neanche tu ti sei presentato e poi hai accusato noi di essere maleducati!”

“Allora io sono Rei, tanto piacere. Ma a che ti serve saperlo dato che fra poco morirai?” rispose quello afferrando il suo arco e una freccia.

“Io? Ah ah” Si ingrandì, diventando alto almeno una decina di metri e cercò di colpire con il suo enorme pugno il ragazzo, che, sorpreso, riuscì a schivare all’ultimo. “Vediamo come te la cavi contro il frutto di Big Big”

“Allora ho fatto bene a prendere l’abilità del fuoco” pensò rialzandosi e balzando sul pugno del suo avversario, usandolo come spinta, finchè non saltò in modo da raggiungere un’altezza considerevole, quindi lanciò la freccia che aveva precedentemente presa e gli colpì l’occhio, ma venne scaraventato a terra violentemente dal pugno che Champion gli aveva dato nonostante il dolore. Mentre si rimetteva in piedi tra i detriti di roccia, si sentì afferrare e sollevare. Il suo avversario stava cercando di stritolarlo. Notò il sangue che gli colava copiosamente lungo la guancia. “E’ proprio come un gigante delle fiabe” pensò sorridendo. Dopodiché fece illuminare il suo corpo di rosso fuoco, costringendo l’altro a mollarlo. Atterrò dolcemente sentendo solo un po’ di dolore alle braccia.

L’avversario si soffiò entrambe le mani nel tentativo si calmare il bruciore. “Allora anche tu hai il potere del Foco Foco!”

* * *

”E questo che frutto è?” chiese Rufy indicandolo sul blocco che Nara gli stava mostrando.

“Oh, questo è il frutto Copy Copy. Chi lo mangia è in grado di acquisire le abilità del diavolo del propri avversari”

“Davvero?”

“Si, ma è molo più complicato di quanto non sembri in realtà!”

“Perchè? Con un frutto come questo potresti combattere ad armi pari con chiunque!” esclamò Usop.

“In realtà l’effetto dura solo quindici minuti e inoltre, per prendere l’abilità, bisogna toccare tutta la spina dorsale, dalla punta alla coda. Se non si fa questo, non ci si riesce, quindi niente acquisizione”

“Che fregatura!”

* * *

“Devo finire questo incontro in fretta” pensò Rei, accendendo il suo pugno col fuoco, mentre con l’altra mano teneva fermo l’arco e una freccia. Saltò e colpì violentemente l’avversario alla pancia, spandendo fiamme lungo tutto il suo corpo. Il calore era tanto che Champion dovette ritornare alle dimensioni originali per gettarsi a terra e tentare di spegnere le fiamme. Il suo corpo era pieno di ustioni, compresa la più grave, quella sullo stomaco, che sanguinava. Tentò di mettersi in piedi, ma invano, perché una freccia gli trapassò il braccio e lo bloccò sulla roccia che c’era dietro di lui. Rei atterrò, l’arco in mano pronto a scoccare la freccia letale, ma poi, vedendo in che condizioni era il suo avversario, lasciò perdere.

Ace lo notò e pensò che mai si sarebbe aspettato che uno così risparmiasse qualcuno. Lui stesso forse non l’avrebbe fatto.

* * *

Nami uscì dalla cucina per godersi un po’ del sole caldo che risplendeva quella mattina e spandeva i suoi dolci raggi caldi lungo tutta la costa, facendo brillare il mare come tanti diamanti. Nello stesso momento Usop, che aveva finito il suo lavoro, rientrò in camera per fare il bucato, visto le condizioni in cui era ridotto il suo vestito, tra la vernice di quella misteriosa figura e le sue stelle esplosive.

Ora sul ponte c’erano solo Nara e Rufy, che stava osservando intento tutti i disegni di frutti del diavolo che la ragazza dai capelli oceano aveva raccolto in tutto questo tempo. Ad un certo momento si sentì come gelare. Alzò lo sguardo verso Nara che lo guardava incuriosita, quindi si avvicinò e premette la bocca contro la sua guancia in un piccolo bacio. Nara finse di arrossire.

Nami, che si era avvicinata, restò impietrita davanti a quello che aveva appena visto. Non sapeva perché ma le lacrime cominciarono a scorrerle, mentre Rufy continuava a guardala assente. Corse immediatamente via, giù dalla nave, in qualunque posto fosse possibile, lontano da tutti e soprattutto da lui, anche se non capiva bene. Cos’era quel dolore tremendo che stava provando?

Rufy scattò in piedi, osservando la sua compagna correre via in lacrime. “Ma che le prende?” fece preoccupato.

Nara si alzò spolverando i pantaloni. “Cosa aspetti a seguirla?” Non c’era bisogno di dirlo perché lui era già sceso e la stava rincorrendo. Non capiva bene cosa fosse successo, in realtà, ma l’unica cosa che sapeva era che la sua Nami stava piangendo e che lui non poteva stare fermo. L’aveva promesso, no? Ma non era di certo solo quello il motivo per cui ora stava correndo lungo la spiaggia, schizzando l’acqua delle onde che lambivano la costa qua e là.

Sakura comparve accanto alla sua amica osservando i due che si allontanavano.

“Prima li fai litigare e poi… Mi spieghi che hai?”

“Niente” rispose Nara tranquilla. “Fa tutto parte di un piano, non capisci?”

“Cosa posso capire della tua mente malata! Ora vado e gli spiego tutto!” Senza aspettare una risposta scese dalla nave con un piccolo tonfo e uno schizzo, quindi seguì le impronte sulla sabbia lambite dal mare che le stava già cancellando. La ragazza dai capelli oceano sorrise osservando le scarpe di vernice che Sakura si era tolta prima di scendere per non rovinarle.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Sakura comparve accanto alla sua amica osservando i due che si allontanavano

 

Nami stava correndo. Il fiato le mancava e il vento batteva contro le sue guance bagnate procurandole una piacevole sensazione di dolore. Tanto, più di quello. La corsa le faceva bene, perché doveva solo correre. Lontano. E questo bastava. Si sentì afferrare il braccio da dietro. Rufy, Naturalmente, lui era più veloce di lei. E c’era sempre, quando piangeva. Ma ora non voleva che lui la vedesse. Si asciugò in fretta le lacrime, sperando di poter riacquistare subito la sua maschera fredda e imperscrutabile. Si girò, gli occhi leggermente arrossati.

“Che vuoi?” disse brusca.

Lui rimase ad osservarla. Si era accorto che aveva pianto e non se lo poteva perdonare. Non aveva forse promesso di non farle mai sparire il sorriso? “Perché piangi?” Aveva un leggero groppo in gola.

“Perché? Tu hai baciato Nara e mi chiedi anche il perché?” Poi si accorse di due cose. Per prima Rufy non le apparteneva e per seconda cosa in questo modo aveva rivelato troppo apertamente i suoi sentimenti. Sperò di non essere arrossita troppo. “Scusa, non ne ho alcun diritto…”

Rufy continuava a guardarla con un’espressione sorpresa. “Io? Baciato Nara? E quando?”

“Come quando? Cinque minuti fa…” Da come l’aveva detto sembrava che davvero non lo sapesse.

All’improvviso si accorse che gli occhi di lui era diventati come spenti. Rufy si chinò su di lei e la baciò. Per tutta risposta lei, che non se l’aspettava, gli mollò un ceffone.

“Ma che fai?!” gridò lui, mentre gli occhi erano tornati brillanti. “Tanto non mi hai fatto male…”

“Mi hai appena baciato!”

“Io?”

“Sissignore, tu!”

“No, non lui…” Una voce li interruppe.

Si girarono, osservando la chiara figura di Sakura dietro di loro. Molto strano, non l’avevano sentita arrivare. Sorrideva amabilmente mentre la sua gonna nera ondeggiava al leggero vento del tramonto.

“Che vuoi dire?” commentò Nami. Non voleva che anche un’estranea la vedesse piangere.

Il sorriso della ragazza si allargò. “Rufy è davvero forte, ma la sua mente è facile da controllare. Una delle più facili che abbia mai conosciuto…”

“Facile… da controllare?” ripetè Nami sconvolta. “Ma allora…?” Certo, ora il quadro tornava. “Nara! Lei ti ha chiesto di farlo!”

“Ma di fare cosa?” si intromise Rufy.

“Di farsi baciare da te!” gli rispose Nami.

Ora aveva capito. “Quindi è colpa tua!” commentò all’indirizzo di Sakura.

“Si, esatto” rispose senza tanti giri di parole.

Per quanto fosse una donna, lui non si fece molti scrupoli. “Gom Gom Bullet” Ma il pugno di Rufy trapassò la figura di Sakura come se questa fosse solo un miraggio. Sorpreso, ritirò il pugno. La ragazza dai capelli oro era sempre lì, davanti a loro, ma i suoi colori erano diventati opachi e trasparenti… Come se fosse un fantasma! Piano piano i colori tornarono caldi a definire la sua silhouette.

Piegò la testa lateralmente. “Non puoi colpirmi, perché io ho mangiato il frutto di Ghost Ghost!”

“Cosa?!”

“Esatto! In pratica posso diventare impalpabile come un fantasma oppure entrare nel corpo delle persone e controllarlo…”

Rufy stava ascoltando estasiato. Lungo il suo viaggio aveva incontrato molte persone con svariati poteri, ma tutte le volte riusciva ad essere sorpreso delle infinite varietà che ne esistevano. “Ma come si può battere un frutto così?!” commentò piagnucolosamente ma non seriamente.

Sakura non gli avrebbe certo detto il suo punto debole, figuriamoci. Si girò e tornò sui suoi passi. “Avete molte cose da dirvi e io sono di troppo” Alzò la mano in segno di saluto. “Arrivederci” e poi, più piano “ah, che bello essere innamorati…” I colori della sua figura tornarono ad essere opachi finché non scomparvero del tutto. Solo un leggero rumore di erba calpestata poteva far capire che una persona so stava incamminando verso la spiaggia. Un rumore tenue che Nami non riuscì a seguirlo, anche perchè Rufy gridò “Wow! Riesce anche a rendersi invisibile, che forza!”

La navigatrice dai capelli color tramonto sospirò. Era sempre il solito. Ma come a voler sfatare questa sua teoria Rufy si girò verso di lei, serio. Il cuore di lei sussultò.

“Nami…” cominciò. “Che cosa significa essere innamorati?”

Non era certo una domanda facile. Nami si sentì a disagio, ma provo comunque a rispondere, poiché gli occhi neri di Rufy la stavano fissando con seria curiosità. “Be’ ecco… Io… Quando si è innamorati… Si vuole stare sempre con quella persona, averla vicino e il cuore esplode di gioia a ogni sorriso e faresti qualunque cosa per lei…” Più parlava, più si rendeva conto che stava descrivendo i suoi stati d’animo. Si bloccò. Non sarebbe riuscita a dire altro, ora che aveva questa consapevolezza.

* * *

L’ultimo membro della ciurma di Barbanera, ancora a cavallo dell’asino – che gioco di parole – stava fronteggiando quella figura, accompagnata dalla pecora color latte. Due sottili fili di lana partirono dai fianchi di Yuki, raggomitolandosi in aria fino a formare due grosse palle che furono pitturate di nero dal veloce pennello della figura.

“Termina in fretta, Rumi” ordinò con voce piatta Rei.

Quella annuì. Yuki diresse le palle verso l’avversario, che riuscì ad evitarle per un soffio, mentre quelle andavano a schiantarsi sulla roccia dietro, frantumandola. Non erano più semplici gomitoli di lana, erano diventati di piombo, probabilmente a causa della colorazione nera. Il Doc Q afferrò la sua arma, un bisturi di dimensioni doppie rispetto al normale che nascondeva nella giacca e, movendo il suo destriero al galoppo, si preparò a colpire prima che la pecora recuperasse le sue armi, che sembravano molto pesanti. Ma un colpo di pennello fece deviare l’asino verso la parete rocciosa dietro di lui, dove era stato dipinto un segno rosso. Il destriero non fece in tempi a fermarsi, schiantandosi e svenendo, mentre il suo cavaliere saltava giù incolume, non riuscendo però a schivare un colpo dei gomitoli di piombo. Dopo essere stato colpito, riuscì però a tagliare il sottile filo lanoso che legava la palla alla pecora, privandola di un’arma. Dal filo tagliato sgorgarono gocce di sangue e Yuki belò per il dolore. Ma il suo avversario non potè gioire a lungo del vantaggio in quando un altro colpo di pennello lo fece prendere la una malinconia tale che scoppiò in un pianto disperato. La sua maglia era sporca di azzurro. Yuki si riprese e con due fili di lana lo afferrò al collo, stringendolo fino a fargli spuntare sangue. Poi la ragazza chiamata Rumi le fece segno di smetterla, quindi lo fece cadere da considerevole altezza, ma l’avversario era già svenuto.

A questo punto all’appello mancava solo il capitano, fronteggiato da Ace. Il primo si limitava a schivare i colpi, non tanto perché lo temeva, ma piuttosto sembrava che non volesse. E Robin sapeva il perché. Ci aveva riflettuto a lungo, così gli era venuta in mente una cosa. Lei aveva trascorso un anno intero con Ace e lo conosceva bene. Ora, ne era sicura, riunendo i vari fili del discorso, che inconsciamente lui, al contrario del fratello, aveva voluto diventare pirata per ritrovare suo padre. Di certo vedersi morire la madre ad appena tre anni non era piacevole. Lei, almeno, ne aveva già otto. Era solo un desiderio inconscio, ma perché non realizzarlo? In fondo, se andava avanti così, lo avrebbe ammazzato ed era probabile che solo da Barbanera si avrebbe saputo qualcosa, dato che Luffy avrebbe dovuto unirsi alla sua ciurma. Si fece avanti e bloccò il pugno di Ace, incurante del dolore che poteva provocare la fiamma. Poi si rivolse a Barbanera.

“Ho sentito dire che Gold Roger” Non mise apposta la D. “Ha trovato il Poneglyps che sto cercando. Sai dov’è?” Un pretesto qualunque.

“Perché dovrei saperlo?” fece sorpreso.

“In quanto suo figlio, Barbanera. In quanto figlio di Gold D. Roger. Perciò dovrei chiamarti… Marshall D. Teach?”

I membri non svenuti della sua ciurma sussultarono così come lo stesso capitano. Come poteva conoscere quel nome che aveva cercato di nascondere tanto gelosamente? Ma soprattutto, come faceva a sapere di suo padre?

Robin sorrise amabilmente, finché non sentì il polso di Ace tremare sotto la sua presa. Stava sudando freddo.

“Lui non può essere Marshall D. Teach” disse forte come per convincere di più sé stesso che lei.

“E perché?”

“Perché è il nome di mio zio, il fratello di mia madre” Poi aggiunse “ e non ci può essere nessuna omonimia, perché solo quelli della nostra famiglia hanno la D”

Questo Robin lo sapeva. Annuì.

“Io sono tuo zio” bisbigliò Barbanera. “Ma-”

“Tu menti!” esclamò risentito Ace. “La mamma diceva sempre che eri una persona fantastica e un grande pirata. Credevo di poterti incontrare e di incontrare mio padre, membri della stessa ciurma, due grandi pirati nella Rotta Maggiore. Tu non può esserlo. Lo zio non avrebbe mai ucciso un compagno di equipaggio!”

Barbanera sputò a terra. “Quello meritava la morte! Aveva ucciso Iole, tua madre! Non direttamente, è chiaro, ma è come se l’avesse fatto!”

Ace si bloccò. Voleva reagire, ma le parole non gli venivano. Aprì la bocca un paio di volte, ma non riuscì a dire niente. Non sapeva come comportarsi.

Intervenne Chopper. “Voi avete anche attaccato Drum! Me lo ricordo bene! Ero appena diventato un allievo di Doctrine, quando successe!”

Robin pensò che ci dovesse essere un filo conduttore. “Perché non ci racconti per bene tutta la storia?” Era probabilmente ciò che tutti volevano sapere.

Barbanera si sedette a terra. “Io e Luffy, tuo padre, eravamo entrati da poco nella Rotta Maggiore e ci eravamo fermati dal guardiano del faro della Reverse Mountain, che un tempo faceva parte dell’equipaggio di mio padre. Lì ci arrivò la lettera di Makino. Diceva che Iole era malata – molto malata. Tubercolosi, probabilmente, ma non voleva assolutamente farsi curare. Certo, era tipico di Iole non volersi far aiutare da nessuno per non essere di peso. Crocus ci disse che non aveva con sé i medicinali giusti, ma che li avremmo potuti trovare a Drum, così Luffy decise di partire alla deriva mentre io andai a procuragli un Eternal Pose in una sede della marina di cui invece conoscevamo la rotta. Quando lo trovai, glielo mandai immediatamente via posta, ma non potevo raggiungerlo. Mi fermai all’isola più vicina, scrivendo a Makino per dirle di stare tranquilla.

“Fu un’imprudenza, me ne rendo conto, ma non sapevo che a Drum ci fosse un re come Wapol. Credevo che fosse facile prendere la medicina. Invece passò più di un mese e io non avevo ancora notizie. Ero preoccupato, ma il Logpose non aveva ancora terminato al registrazione, o sarei partito subito. Comunque, un giorno di tempesta, trovai un naufrago sulla spiaggia. Era Luffy. Aveva numerosi tagli nella schiena. Mi raccontò brevemente che Wapol, inizialmente, aveva proibito ai suoi venti dottori di dargli la medicina, in quanto non aveva sufficienti soldi per pagare. Alla fine aveva consentito a dargliela, ma non sapeva che era tutto un trucco per dimostrare a quella povera gente dei suoi sudditi chi era il sovrano. Lo aveva fatto seguire e fatto pugnalare alle spalle. Puoi immaginare da chi. Morì poco dopo.

“Naturalmente decisi di partire immediatamente per Drum non solo per vendicarlo ma soprattutto per riprendere la medicina, ma il giorno dopo, calmata la tempesta, mi arrivò la lettera di Makino. Sai bene cosa c’era scritto. Ormai non mi restava altro che la vendetta. Prima cercai l’uomo che aveva ucciso Luffy e, scoperto in che equipaggio era, ci entrai anch’io solo per ucciderlo. Poi trovai dei compagni, quelli che vedi, e andai a Drum per uccidere anche Wapol, ma quello scappò. Fu un bene per il paese, comunque, anche se…” e non terminò la frase.

“L’ha sconfitto Rufy quando è ritornato!” disse allegro Chopper.

“Così, senza saperlo, ha vendicato sua madre” aggiunse Robin.

Teach si rivolse ai suoi compagni, che nel frattempo erano rinvenuti, pur feriti. “Mi dispiace avervi costretto a fare cose senza spiegazione” ma quelli scossero la testa. Erano con lui. Poi tornò a guardare Robin. “Che volete dire?”

“Esattamente quello che abbiamo detto” rispose lei.

“Ma cosa c’entra cappello di paglia con tutta questa storia?” chiese ancora.

Intervenne Chopper. “Be, se Rufy è il fratello di Ace i loro genitori saranno uguali, no?”

Teach li fissò per qualche secondo, sorpreso. “Il fratello di Ace? Ma no, cosa dite! E’ figlio unico!”

“Ma se lo hanno detto loro due di essere fratelli!” disse risentito Chopper.

Ace, che finora era stato senza parlare con il cappello leggermente calato sugli occhi, sussurrò “Rufy è mio fratello. E’ nato solo due settimane prima della morte della mamma” Lui non aveva mai accusato suo fratello di essere la causa, anzi, è sempre stato premuroso nei suoi riguardi in quanto non solo erano entrambi orfani e parenti di sangue, ma era come se Rufy fosse l’ultima cosa che la mamma gli aveva lasciato.

Teach mise la mano sotto il mente, riflettendo. “Di sicuro, se Iole sapeva di essere malata di tubercolosi, non voleva dare a vedere di essere anche incinta… Quindi Makino deve avermelo scritto nella seconda lettera… Quella che ho strappato dopo la prima riga…”

“Comunque” aggiunse Robin, “se vuoi una prova, c’è. Il nome suo completo è Monkey D. Rufy”

“Monkey D… Be, allora…”

“Ma che significa la D?” chiese Chopper.

“Non ne ho idea, però è solo della nostra famiglia…”

L’alce annuì. Poi si ricordò di una frase detta all’inizio da Robin e sussultò. “Senti” le domandò, “ma perché hai detto che questo tizio è il figlio di Gold Roger?”

“Perché anche nel nome di Gold Roger c’è la D, quindi…” Non poteva raccontargli tutta la storia della grotta, era troppo lunga.

“Ma questo… Significa che Rufy è il nipote di Gold Roger???” Lei annuì.

Teach si alzò. “Non sono stato affatto all’altezza di mio padre, vero?” Fece un debole sorriso. Si rivolse ad Ace. “Comunque non te l’avrei mai detto. Le parentele ai pirati non servono…”

Ace si girò dall’altra parte e si incamminò verso il bosco. “Andatevene” disse solo. Non si era nemmeno accorto che Rumi, Rei e Yuki se ne erano già andati da un bel po’ con la loro nave, dicendo soltanto “i panni sporchi si lavano in famiglia”

Chopper era ancora sorpreso per quello che aveva saputo, mentre Robin lo osservava tristemente. Quando fu scomparso al di là del promontorio, lei decise di seguirlo.

“Aspetta, ragazza!” la chiamò la voce di Teach. Lei si voltò. “Puoi dire a mio nipote di non raccontare tutto questo a Newgate – cioè a Barbabianca?”

“Perché?”

“Perché… Be, perché quello è sempre stato il rivale di mio padre, fin da quando erano giovani. E’ la causa della sua cattura e del suicidio di mia madre. Inoltre sa della D. Sono sicuro che l’unico motivo per cui ha preso Ace nel suo equipaggio fosse per non correre rischi. E’ sicuro di diventare re dei pirati ora che nella sua ciurma c’è un parente di mio padre…”

“Non sarebbe meglio dirglielo?” chiese Chopper.

“Ha già avuto abbastanza sorprese, per oggi” Poi aggiunse. “Il Poneglyps si trova da qualche parte vicino all’isola Raftel, ma di preciso non lo so. Ti auguro di trovarlo!” Sorrise.

Robin annuì. Poi, con Chopper dietro di lei, corse sui passi di Ace, cercando di raggiungerlo. Ormai il tramonto aveva raggiunto il suo apice, ma il rosso del sole non le stava richiamando il sangue, come quella volta, ma una sensazione infinita di caldo. La luna stava apparendo chiara in cielo, circondata dalle prime deboli stelle, che sembravano indicare ai viaggiatori stanchi la retta via da seguire. Spirava una leggera brezza che soffiava sulla pelle con l’odore del mare. Era segno di tornare a casa.

* * *

Quando Sakura tornò sulla nave, trovò Nara sdraiata tra gli alberi di mandarino, con gli occhi chiusi. La bocca era semi-aperta mentre soffiava fuori l’aria. Poi alzò le gambe in modo da fare un angolo retto con il corpo e le piegò ad X. La ragazza dai capelli oro sapeva che non era il caso di disturbarla mentre faceva Yoga, ma non era proprio giornata. Si sdraiò accanto a lei. Nara percepì la sua presenza e rimise le gambe a terra, ma non lo guardò.

“Spiegami il perché” chiese Sakura.

“Andando avanti così, avrebbero trovato lo One Piece senza capire i loro sentimenti” Staccò un mandarino e, tolta la buccia, lo morse, asciugando col dorso della mano il succo che scendeva da un angolo della bocca. “Nessuno si rende veramente conto del valore di una persona finché non la perde. E’ così per tutti.” Le passò il mandarino. “Ho solo voluto farglielo capire prima che si perdessero davvero. Ho recitato un po’ la parte della…troia, vero?”

Sakura ridacchiò, mettendo in bocca il resto del mandarino. “Oh, per te è stato facilissimo”

“Che intendi dire?” commentò Nara fintamente risentita, tirandole una manica della maglietta azzurra.

Ma quel colore, come tutti gli altri, divenne opaco, e la ragazza dai capelli oceano vide la figura , ormai spettro, passare il pavimento dov’era seduta e scendere nella stanza di sotto, la cucina. Allora tornò a fare yoga.

* * *

“Sanji!”

Lui si girò verso la persona che lo stava chiamando, sua sorella. “Non ti avevo sentito arrivare” Notò l’espressione seria sul viso di lei. “Non ricominciare, stasera cucino io” disse deciso.

“Non è questo” Gli si mise davanti, guardandolo dritto negli occhi. “C’è una donna che ti piace più di tutte?”

“Io amo le donne, senza distinzioni. Per esempio, per le mie Namisan e Robinchan sto preparando un-”

“Non importa” lo interruppe. Entrò lentamente dentro di lui, assaporando i suoi sentimenti nascosti. Riuscì.“Spero che tu ti accorga prima di perderla dei tuoi sentimenti” Poi decise di mettere tavola e questo pose fine a quella strana discussione.

* * *

Robin aveva raggiunto Ace che camminava viso a terra senza guardarsi avanti. Chopper rimase leggermente indietro.

“Acekun…”

Lui alzò lo sguardo. “Senti, puoi evitare di dire a mio fratello che è il nipote del re dei pirati?”

Lei annuì.

“E perchè?” si intromise Chopper.

“Perchè Rufy non sarebbe contento di diventare il re dei pirati… per diritto ereditario e non con le sue forze”

Robin annuì nuovamente. Capì che per adesso Ace non voleva parlarne, quindi lasciò perdere. “Hai visto? Quello della flotta dei sette ti è sfuggito”

“Accidenti, è vero! Va bè, gli darò una lezione quando lo ritroverò!”

* * *

Rufy era ancora davanti a lei, illuminato dagli ultimi raggi di sole che stavano scomparendo all’orizzonte.

“E’ questo essere innamorati?” chiese. “Allora… Allora penso proprio di amarti!”

Nami strammò. Decisamente solo lui poteva dire una cosa del genere così. Gli tirò un pugno. “Stupido! Non è così che si fa una dichiarazione d’amore a una ragazza!”

“E come si fa?” domandò.

“Ehm… Be, non così!”

Lui piegò lateralmente la testa. “Tra innamorati ci si bacia?”

“Si, ma… prima bisogna essere fidanzati!”

“E come si diventa fidanzati?” Era incredibile che Rufy non sapesse niente di queste cose. Non erano mica facili da spiegare.

Nami sospirò. Benché in tutta questa storia c’entrasse anche lei, non si sentiva tanto a disagio. Rufy aveva quest’effetto, su di lei. “Bisogna chiedere a quella di cui sei innamorato se vuole mettersi con te, fidanzarsi, roba del genere…”

Rufy prese il suo cappello e glielo mise in testa. “Vuoi diventare la mia ragazza?”

Nami toccò la tesa del cappello e non disse niente. Gli occhi risposero per lei, suppose, perché un minuto dopo Rufy chiese ancora “posso baciarti?”

Nami strammò per la seconda volta in una giornata. Rufy, nonostante gliel’avesse chiesto, non aveva la minima idea di come si facesse, ma appoggiò lentamente le labbra contro la sua guancia. Erano calde e morbide. Poi le posò nuovamente, stavolta sulla sua bocca che, notò lui, sapeva di panna e fragole. Lei si appiattì contro l’albero dietro di lei, ricambiando il bacio e sentendo il calore della bocca e il sapore dell’estate. Lo abbracciò, stringendolo a se mentre lui le passava le mani nei capelli tramonto che spandevano in giro il profumo dei campi di mandarino. Buonissimo. Continuarono a baciarsi così, stretti sotto quell’albero di quercia, come se il tempo si fosse fermato. Ma non era certo così.

“Che state facendo?” chiese la voce di Robin davanti a loro.

“Hai capito il mio fratellino…?” sorrise Ace. “Sembrava tanto ingenuo ma poi…”

“Tu non dovresti parlare, dato che a diciassette anni facevi questo e anche di più” gli sussurrò lei in modo che gli altri non sentissero.

“Ahhh…” disse Chopper che era il più sorpreso di tutti. “Questo dev’essere quello che chiamano accoppiamento…”

“Credevo che per accoppiarsi bisognasse dormire nudi nello stesso letto” commentò Rufy, che si era staccato dolcemente da Nami.

“Ma che dite tutti e due!!!” gridò invece lei.

“Non è proprio così…” rispose Ace.

“Dai, non ti preoccupare, è meglio se resti vergine fino al matrimonio! Dove ce lo mettiamo un bambino sulla Going Merry?” aggiunse Robin ridendo.

“La vuoi piantare?” chiese Nami rossissima. Decise di cambiare argomento. “Oh, ciao Ace, come va? Che ci fai qui?”

“Ah, ciao!” lo salutò Rufy ricordandosi improvvisamente della presenza del suo fratellone.

“Salve” rispose lui. “Ma ora, se non vi spiace, andiamo sulla vostra nave e non vi disturbiamo più”

“Ah, va bene” assentì il ragazzo dal cappello di paglia – anche se ora non lo stava indossando.

“Ma che dite tutti!” esclamò Nami tirando un pugno a tutti tranne che a Robin. Poi rimise il cappello a Rufy e lo spinsi, con un bernoccolo in testa, verso la spiaggia. “Andiamo”

Ace si massaggiò la testa. “Guarda che io non faccio parte dell’equipaggio!”

“Considerati adottato!” gli rispose lei.

Arrivati alla nave, salirono facendo un gran fracasso, perché Rufy appena salito disse “ragazzi, sono diventato un uomo sposato!” Nami lo zittì con un pugno. Ace commentò qualcosa sul fatto che pomiciare in pubblico con qualcuno non significava essere sposati, mentre Chopper stava dicendo qualcosa a proposito dei rischi dell’accoppiamento fra animali. Robin rideva e basta. Da tutto questo casino furono richiamati sul ponte Zoro, che dormiva a poppa, Usop che era in cabina e Sakura ed Sanji che stavano in cucina. Solo Nara era già lì, seduta sul boccaporto e alle prime grida si era alzata ed era andata verso di loro. Robin smise di ridere e la osservò.

“Ah, ecco dov’eravate tutti” esclamò Sanji. “Gradite un antipasto di mare, amori miei. Robinchan? Namisan? Nara?”

Allora Robin guardò di nuovo in faccia la ragazza dai cappelli color oceano e disse “ma allora tu sei davvero… Nara Mizu della flotta dei sette?!”

“Ha detto… della flotta dei sette?!”

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


“Ha detto…della flotta dei sette

“Ha detto…della flotta dei sette?!”

Nara sorrise, tirando fuori la lingua. “Ops, mi hanno scoperto” Ma non sembrava affatto arrabbiata o sorpresa o triste.

Sanji si rivolse a sua sorella. “Ma tu lo sapevi?”

“Ohh” rispose Sakura sorpresa. “Sono nell’equipaggio di un membro della flotta dei sette e non lo sapevo.” Poi rivolse uno sguardo sprezzante a suo fratello. “Ma certo che lo sapevo, idiota!”

Ace, che era in fondo alla fila, le si piazzò davanti. “Allora non sei ancora andata via! Bene, fatti sotto”

Nara stavolta si stupì. “Ti sei già ripreso?”

“Certo!” Ora doveva fare attenzione. Ancora non conosceva il suo potere e l’altra volta aveva peccato per un eccesso di sicurezza.

“Come osa attaccare una donna?” esclamò Sanji pronto a balzare giù. Sua sorella lo trattenne per un braccio. “Stà a guardare, passerà nel legno del pavimento”

“Eh?”

La figura di Nara divenne trasparente, prima di venire risucchiata tra le assi della nave. Quelle si gonfiarono, divenendo zuppe e marce. Poi, da quelle sotto ai piedi di Ace apparve una colonna d’acqua che lo ricoprì interamente, proprio come l’altra volta. Ma Nara non aveva intenzione di combattere seriamente, quindi una pozza d’acqua dai suoi contorni si staccò dal corpo di Ace, raccogliendo tutte le gocce in modo da lasciarlo asciutto come prima. Poi la figura si delineo nuovamente, agitando i capelli blu oceano che spandevano leggere lacrime attorno a lei.

Nara sorrise. “Il fuoco non batte acqua, stavolta è una legge naturale…” Annuì convinta.

Usop stava lentamente svenendo, ma anche gli altri compagni non erano meno sorpresi. “E’ fatta… di acqua!”

“E allora? Ve l’avevo pur detto che ero Mizu di nome e di fatto!” (Mizu vuol dire acqua in jap. N.d.Akemichan)

“Accidenti…” Rufy riflettè un attimo. “Come si potrebbe battere un frutto simile…?”

“Non vedo perché tu debba pensarci” disse Nara. “Non sono mica venuta qua per battermi con te!”

“E allora per che cosa?” fece Zoro dubbioso.

“Per i frutti del diavolo!” rispose come se fosse una cosa ovvia. “Sono una studiosa, ve l’ho detto.” Poi si girò verso Ace, che nel frattempo si era ripreso leggermente dallo shock. “Ti prego, descrivimi com’era il frutto che hai mangiato” gli chiese facendogli gli occhi dolci.

“Eh…? eh?”

Nara rispose a Rufy senza smettere di guardare suo fratello. “Comunque non posso combattere in acqua, nemmeno in quella bassa, perciò da questo punto di vista sono svantaggiata… E la Seastone (l’algamatolite marina, per intenderci N.d.Akemichan) mi indebolisce molto di più che a voi…”

“Non mi sembra una buona idea andare a svelare i tuoi punti deboli a tutti…” commentò Sakura che era scesa e ora le stava al fianco.

“E perché mai? Tanto mica devo combattere con loro!” Ah, non c’era niente da fare.

Alla fine sia Ace che Robin decisero di descrivere il frutto che avevano mangiato, a condizione che dopo Nara rispondesse alle loro domande.

“L’hai presa tu, vero?” chiese lui.

“Cosa?”

“La mappa. Quella mappa”

Lei si stiracchiò. “Ah, quella… No, credo l’abbia presa Rei…”

“Perchè tu glielo hai detto!”

“Be, si”

Sakura si intromise nella discussione. “Ma è la mappa dell’isola Raftel quella di cui state parlando? Quella che indica la collocazione dello One Piece?”

I tre annuirono.

“Perché la vuoi?” chiesero Ace e Sakura contemporaneamente.

“Devo darla a una persona… Oh, guarda, la nostra nave.” Sul mare ancora leggermente tinto del disco rosso che fra pochi minuti sarebbe scomparso all’orizzonte apparve quella piccola nave.

“E’ veramente infantile” commentò Ace.

“Ma che vuoi!” gli rispose Nara. “E’ una nave bellissima e inoltre quei colori la rendono invisibile alle navi della Marina”

“E a uno della flotta dei sette che serve una cosa del genere?”

Lei sbuffò. “Sei veramente noioso…”

La nave di Nara, col teschio dalle righe del mare attraccò a un metro dalla Going Merry. Sopra c’erano Yuki, Rumi e Rei.

“Sempre a fare chiacchiere inutili…” commentò quest’ultimo all’indirizzo della ragazza dai capelli oceano.

Lei sorrise sadicamente, quindi balzò sulla sua nave e, prima che lui potesse far qualcosa, lo spinse fuori dalla nave. Mentre cadeva riuscì ad afferrare il suo arco e una freccia a cui era legata una corda, la lanciò contro l’albero maestro e riuscì a tornare a bordo. “Cretina, non so nuotare!” Nara rideva tenendosi la pancia. “Che prontezza” riuscì a dire fra le risa.

“Ehi, ma quella è la strana pecora” esclamò Chopper.

“Strana? Ma se è più normale di te!” si indignò Sakura prendendola in braccio.

“E perché?”

“Almeno non parla!”

“Che intendi dire?” fece risentito.

“Su, su, non il caso di arrabbiarsi… In fondo anch’io vorrei che Yuki parlasse… Comunque ha solo mangiato il frutto di Lana Lana… O be, in realtà gliel’abbiamo fatto mangiare noi…” disse leggermente imbarazzata.

“L’abbiamo salvata dal macello…” aggiunse Rumi.

Usop era rinvenuto e si era pian piano avvicinato dato che la situazione era calma. Osservava la figura incappucciata. “Mi sembra di averti già visto…”

Rumi sembrò a disagio. “Ah si? Ti confonderai…”

Nara, che stava litigando con Rei, sentì e riuscì a dire “è lei che ha dipinto la nostra nave…”

“Certo che la conosci” disse Robin. “Non è forse vero, Miss GoldenWeek?”

“Eh???” esclamarono i diretti interessati, ossia, oltre al nasone, Rufy, Nami e Zoro.

Lei si tolse il cappuccio, liberando le corte treccine castane. “Veramente mi chiamo Rumi…” le guance si erano colorate del solito rosso acceso che le faceva somigliare a due ciliegie.

“E’ proprio lei!”

“Ma come, Rufy…” disse Nami. “Credevo l’avessi uccisa…”

“In realtà si è fatto comprare per un pacco di salatini…” spiegò Rumi sorridendo.

“E’ vero… Ah ah…”Anche Rufy sorrise, mentre a Zoro, Nami e Usop scendeva una gocciolina giù dal capo.

Finalmente Nara e Rei smisero di litigare e lui le consegnò un rotolo di carta che sembrava molto vecchio. Lei lo prese e saltò nuovamente nella Going Merry, davanti a Rufy.

“Non la voglio” disse lui. “Troverò lo One Piece ugualmente e-”

Lei lo fissò intensamente mentre gli apriva il palmo della mano, vi depositava la mappa e lo richiudeva. “Fanne quello che devi farne”

Poi, seguita da Sakura, tornò sulla sua nave. “Be, noi quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto, quindi possiamo andare. Ci vediamo”

“Ma come, partite di notte?”

“Si, navigare di notte è meglio”

“C’è più fresco” aggiunse Sakura.

“Tanto prima o poi ti batto” disse Ace.

“Ci conto” disse Nara.

Quindi, dopo vari saluti, la nave partì verso l’orizzonte scuro

* * *

Dopo l’affrettata partenza di Nara e del suo strambo equipaggio – anche se non più strambi di quelli di Rufy, a ben pensarci – Ace aveva acconsentito a farsi ospitare sulla Going Merry finchè il suo e il loro Logpose non avessero finito di registrare. Nonostante l’atmosfera allegra che aveva regnato per tutta la cena, all’ora di dormire aveva preferito uscire all’aperto per stare un po’ da solo. Avrebbe dormito sul ponte di poppa, anche perché tutte le amache erano occupate e stare sul divano non lo attirava.

“Preferisco dormire sotto le stelle” aveva detto. Rufy aveva capito che c’era qualcosa che non andava, perché loro due, da piccoli, adoravano dormire in compagnia – dormire? Be’, fare finta di dormire, in realtà giocare tutta la notte. Comunque non aveva detto niente, perché stava pensando ad altro.

Così ora Ace stava con le gambe a penzoloni sulla ringhiera, osservando le onde scure lambire muoversi sotto di lui. Le stelle in cielo erano luminose e la luna piena si rifletteva in acqua, ma la sua luce danzava in quella massa nera. Era quella luce che aveva ispirato poeti e cantori. Chiunque si sarebbe soffermato su quel cerchio luminoso che sembrava indicare la retta via, accompagnando dovunque andassero i viaggiatori stanchi. Ma Ace non la stava guardando, preferiva osservare il mare, quello stesso mare che aveva desiderato navigare e che ora lo rifiutava perché aveva acquisito il potere del diavolo. Se si fosse buttato, cosa sarebbe successo?

“Se ti vuoi suicidare, meglio il veleno” disse una voce più fredda del vento che gli accarezzava la pelle, ma allo stesso tempo molto più dolce. “Si soffre meno e fa effetto prima.”

Ace non si voltò nemmeno. Robin gli si sedette accanto, mettendosi nella stessa posizione. “Rufy non sarà tanto sleale da usare quella mappa”

“Non stavo pensando a quello”

“Invece si, anche se non solo”

Quasi involontariamente Ace le toccò la mano. Un attimo dopo gliela stava stringendo. “Secondo te, lo sapeva?”

A Robin bastava guardarlo negli occhi per capire di che cosa stava parlando. Ma si era sempre domandata se questo significava che il loro amore aveva un futuro o se loro erano come fratello e sorella. “Può darsi” Poi rise. “Anzi, credo proprio di si. Mi sono sempre chiesta perché avesse preso un ragazzino come te nel suo equipaggio” disse guardandolo storto.

“Che vai farneticando?” fece lui risentito.

“Be, diciamo che eri una frana completa… Oddio, forse lo sei ancora! Più che la tua ragazza mi sembrava di essere la tua balia!”

“Basta, sono offeso!” Incrociò le braccia e si girò dall’altra parte.

Gli tirò una guancia “Ma smettila!”

Lui notò il palmo annerito dalle fiamme. “Grazie per avermi fermato”

Lei scostò la mano e la nascose. “Non avrei dovuto immischiarmi. Aveva ragione quel tizio, Rei…I panni sporchi si lavano in famiglia”

“Ma tu fai parte della famiglia, in un certo senso… O comunque ne facevi parte” In fondo erano quattro anni che si erano lasciati e lei ricordava bene il perché, ma ora preferiva dimenticarsene. “Comunque volevo sapere di mio padre e di mio zio. Ora lo so”

“Ma sembri deluso”

“Non so… In realtà forse solo non me l’aspettavo… In fondo, non ho niente da rimproverargli…”

La risacca accompagnava questi discorsi, disperdendoli nell’infinità della notte. E bella come una signora, ma fredda e distaccata come una maschera di vetro. Di notte, notarono entrambi, è più facile perdersi nei meandri dei sentimentalismi e della malinconia.

“I sogni degli uomini non hanno fine” recitò Robin. “Non è facile essere migliori degli altri. Lascia pure che loro se la ridano, ma se noi ci sforziamo per raggiungere il meglio, loro non potranno mai raggiungere il nostro livello.”

“Eh?”

“E’ quello che Barbanera ha detto a Rufy, Zoro e Nami prima che partissimo per la Sky Island. A Nami sono rimaste impresse in mente, così me le ha ripetute. Sono belle parole…”

“Si, sono belle” assentì lui. “ Peccato che poi vi abbia attaccato, dopo aver saputo delle taglie…”

“Vuole entrare nella flotta dei sette… Strano, no?”

“Non ne vedo il motivo, in effetti… ma se è quello che vuole…”

Robin guardò nuovamente la distesa scura sotto di lei. “La flotta dei sette ha spesso contatti con la marina… E con le Five Old Star, i comandanti supremi della marina…”

“Comandanti supremi…?”

“Sopra di loro c’è solo il governo. Non so se siano forti o meno, anche perché lo ho viste di sfuggita una volta, ma di una cosa sono certa… L’arresto di Gold Roger è merito loro”

“Sul serio?” Non lo sapeva. “Ma perché me lo stai dicendo?”

“E’ strano, ma dovresti essere fiero di tuo zio. Lui ha lasciato tutto a voi – a te e a Rufy. Ma la cosa peggiore l’ha tenuta per sé.”

“Cosa?”

“La vendetta. A lui non è rimasto altro, temo. Sai, c’è una teoria strana che ho sentito una volta… Dicono che Roger sia stato tradito da uno che faceva parte del suo equipaggio, un vecchio amico… Le Five Old Star ne hanno preso il merito… E c’è chi dice che il vice capitano di Roger fosse una donna, morta suicida lo stesso giorno dell’esecuzione del re dei pirati”

“Stai dicendo che quella donna… fosse mia nonna?”

“Può darsi…”

“Quindi lo zio vuole uccidere le Five Old Star e, se è ancora vivo, quel pirata che ha tradito suo padre – cioè il nonno!”

“Credo che sia così…” Ormai Robin aveva la certezza di chi fosse questo pirata traditore, ma non poteva certo dirglielo! Persino Barbanera glielo aveva sconsigliato. Però…Però. “Senti…”

“Non sono arrabbiato con mio zio. Neanche deluso. Forse sono un po’ dispiaciuto per la morte di mio padre, tutto qui… però, se penso allo zio, non posso fare altro che paragonare la sua rinuncia alla mia”

Robin si bloccò. “Perché?” chiese.

“Ho qualche vago ricordo di quando ero piccolo. Ricordo che papà mi parlava sempre della grandezza dei pirati della rotta maggiore, ma che lui aspirava ad essere uno dei più grandi, a ritrovare lo One Piece insieme allo zio…Invece…”

“Anche tu volevi ritrovare lo One Piece, solo che invece di farlo da solo lo farai insieme a Barbabianca. Tu non hai rinunciato al tuo sogno” Come un tempo lei, che si era unita a Crocodile per trovare il Poneglyps.

“Ma il meritò sarà del vecchio! Insomma, è come se avessi affidato il mio sogno ad altri. Inoltre, se è vero che sono stato preso solo perché nipote di Gold Roger, mi sento anche peggio”

“Stupidaggini” sbottò Robin. “Nessuno sa che Gold Roger ha avuto dei figli, tantomeno dei nipoti, quindi basterà solo evitare di dirlo in giro. Poi non penso che Barbabianca ti abbia preso solo per quel motivo… Se non avessi avuto delle buone qualità penso che si sarebbe limitato ad ucciderti” Aveva detto tutto questo con la massima tranquillità, come se stesse parlando del tempo. “All’epoca era solo un ragazzino, ma avevi la stessa energia di Rufy, la sua voglia di vivere, il suo entusiasmo… Eri fantastico, anche se un po’ imbranato. E ora, con la taglia che ti ritrovi…”

Ace rimase ad ascoltarla a bocca aperta. Poi sorrise. “Credo sia la prima volta che mi fai un complimento”

“Di solito sono sincera” Come dire è una bugia per farti contento.

“Grazie tante!” Fece nuovamente una faccia offesa.

Lei si alzò lentamente. Ora stava meglio e non c’era più bisogno di rimanere lì. In un certo senso aveva paura di cosa sarebbe successo se fosse restata. Non gli ci volle molto a scoprirlo.

“Senti, io non ce la faccio più” esclamò lui. Corse verso di lei, fermandola, e la baciò. Naturalmente, benché all’inizio Robin non volesse, non potè farne a meno. Ricambiò. Non si sa per quanto tempo rimasero così, alla luce fioca della luna, ma Nami non la sentì tornare in camera.

* * *

Il mattino successivo Sanji era già in cucina a preparare la colazione, mente gli altri non erano ancora arrivati. La calda ma leggere luce del sole mattutino riempiva la stanza, mentre il rumore delle stoviglie dava il buongiorno, richiamando anche gli altri. La prima ad arrivare fu Nami, che, svegliatasi presto, era andata a fare una doccia. Entrata in cucina così, coi capelli ancora bagnati che gocciolavano delicatamente come gocce di rugiada, profumando di bosco, mentre la luce la illuminava nell’altro della porta dandole quasi un’aria di sacralità. Sanji rimase col coltello in mano a quella vista.

“Oh, dolce angelo del paradiso, la tua visione rallegra i cuori di noi povere creature mortali. Presta orecchio alle nostre invocazioni e dona una parola a questo povero poeta che canta d’amore”

“Si, buongiorno Sanji” rispose semplicemente lei.

“Il solito idiota” commentò Zoro che era comparso improvvisamente dietro di lei, ma che un attimo dopo dovette schivare un coltello lanciatogli dal cuoco, che si impiantò contro lo stipite della porta nel momento stesso che entrava Usop. Questi alzò subito le mani. “Mi arrendo!”

Zoro cominciò a pensare di dover temere che il suo cibo fosse avvelenato. Intanto erano arrivati anche Rufy e Chopper.

“Dov’è Robin?” chiese Nami sedendosi. “Dato che in camera non c’era, credevo fosse già uscita”

“Non era in camera? Io non l’ho vista” rispose Sanji mentre disponeva i piatti in tavola.

“Anche Ace non è ancora arrivato!” notò Rufy avventandosi sul piatto di Chopper che era già stato riempito.

Sanji perse la presa del vassoio e tutte le brioche che aveva preparato si sparsero sulla tavola. I suoi amici lo guardarono stupiti. Era la prima volta che commetteva un errore del genere. Sembrava a disagio ma anche leggermente preoccupato.

“Ahi, ahi” pensò Zoro.

In quel preciso istante entrò Robin. “State già facendo colazione?” disse sorridendo. “Volevo fare una doccia…”

“Non c’è problema, amore mio” rispose Sanji riprendendosi. “Tu vai, dopo preparerò una colazione speciale solo per te!”

“Grazie” Si avviò verso la doccia.

Ace entrò dopo di lei.

“Ciao!” lo salutò festosamente Rufy, per quanto la bocca piena di Brioche glielo permettesse. Poi sbarbottò qualcos’altro che nessuno fu in grado di capire.

“Senti” chiese Chopper. “Ma tu e Robin vi conoscevate?”

Ace si sedette accanto a suo fratello, dandogli qualche pacca sulla schiena per evitare che soffocasse. “Si, l’ho conosciuta proprio all’inizio del mio viaggio. Poi un anno dopo lei si è unita a Crocodile e non l’ho più vista”

Rufy, bevendo una brocca intera d’acqua si riprese. “Dormito bene?” Ecco cosa gli voleva chiedere prima.

“Si, erano almeno quattro anni che non dormivo così bene!” fece sorridendo. Poi fregò una brioche dal piatto del fratello, che incredibilmente non si arrabbiò, e la mise in bocca. “Buonissima” disse. “Devo dire che sei un cuoco eccezionale”

“Grazie” rispose Sanji cercando di mantenere la calma, ma strinse così forte il bicchiere che lo ruppe. Nessuno se ne accorse. Erano tutti concentrati su Ace che si era appena riaddormentato, con la testa china sul piatto.

Rufy scoppiò a ridere. “Non vi preoccupate, è fatto così. Fra un po’ si sveglia!” però gli rubò tutto il contenuto del suo piatto.

Nami si alzò. “Sanji, tienimi una brioche al caldo” e se ne andò.

“Agli ordini, Nami-san!” fece lui ubbidente, nascondendo la mano piena di pezzi di vetro.

Ace si riprese e osservò il suo piatto vuoto. Si girò verso suo fratello, che cercava di non ridere. “Rufy! Ridammi immediatamente la mia colazione!”

“Troppo tardi, ormai l’ho mangiata!”

“Vieni qui, brutto ladro!”

“Ecco dove ha imparato a rubare il cibo dai piatti!” esclamarono Chopper e Usop, che in quello stesso momento, approfittando della confusione, fregavano brioche a destra e a manca. L’unico tranquillo in quel casino era Zoro, che, bevendo un succo di frutta, osservava di sottecchi Sanji.

* * *

Nami stava bussando alla porta del bagno. “Robin, aprimi!” Le tendine erano chiuse e da dentro si sentiva lo scrosciare dell’acqua. Forse non aveva sentito. Invece piano piano la porta di aprì e la navigatrice potè entrare. All’inizio venne invasa da una nuvola di vapore. Chiuse immediatamente la porta dietro di sé. Il pavimento era bagnato, cosa normalissima. Poteva intravedere la sinuosa figura di Robin al di là della tenda. Si sedette sul lavandino.

“Credevo ti fossi già fatta la doccia, Miss navigatrice”

“Si, infatti” rispose Nami, sorridendo. Non sapeva perché quel nome la faceva sentire importante. “Ma volevo parlare un attimo con te”

“Di cosa?”

“Bè…” Non sapeva da dove cominciare, anche perché non era sua abitudine intrufolarsi negli affari degli altri. “Oggi Ace ha detto che voi vi conoscevate”

“Si, è vero” Robin chiuse l’acqua e afferrò un asciugamano. “E’ successo cinque anni fa. Lui era appena entrato nella Rotta Maggiore ed era assolutamente inesperto, così si è attaccato a me… Siamo stati insieme un anno, poi ognuno è andato per la sua strada”

“Sente stati INSIEME un anno?”

“Be, si… Nel senso stretto della parola, per intenderci. Anche se può sembrare una cavolata, dato che io avevo 23 anni e lui solo 17”

“E come mai vi siete lasciati?”

“Avevamo delle altre cose da fare e altri sogni da realizzare… E poi non eravamo una gran coppia” Robin tirò le tendine, uscendo dal bagno con l’accappatoio a mo’ di vestito. Prese la scopetta e fece scendere l’acqua nel tubo di scarico. Aspettando che l’umidità dal pavimento fosse sparita del tutto, iniziò ad asciugarsi i capelli.

“E… stanotte?” chiese titubante Nami.

“Stanotte? Vuoi sapere cosa abbiamo fatto stanotte?”

“Be, no cioè… Volevo solo sapere com’era la situazione, tutto qui!”

“Ma come, non hai già Rufy?”

“Si, ma…” Avvampò. “Insomma…!”

Robin rise. “Comunque abbiamo fatto sesso, se è questo che vuoi sapere”

“Sesso…?” Nami era esterrefatta. Un attimo prima aveva detto che non funzionavano come coppia…

Vedendo la faccia sorpresa della sua amica, la ragazza dai capelli notte decise di spiegarsi meglio. “Sai chi è Catullo?”

“Ne ho sentito parlare… Un poeta antico, no?”

“Esatto! Lui diceva, dopo essere stato tradito dalla sua donna: un tale tradimento costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno.”

“Ti ha tradito?” chiese Nami, sperando che, se fosse stato vero, non fosse almeno una cosa di famiglia.

“No, non è quello. Dovresti concentrarti sulle ultime parole. Amare di più, voler bene di meno”

“Ma che significa?”

Robin si girò verso di lei. “Tu staresti con Rufy anche senza farci sesso?”

La ragazza dai capelli tramonto impallidì più di quanto non fosse prima. “Ti… Ti sembrano domande da fare?” balbettò.

“Siamo solo tu e io” commentò.

Nami ci riflettè bene. “Per ora non ci penso” rispose piano, quasi un sussurrò. “Mi basta stare con lui. Mi basta”

“Ecco!” Robin battè la mani. “Questo è perché tu gli vuoi bene!”

“Lo amo!” Alzò la testa, ma non appena si accorse di quello che aveva detto, la riabbassò. “Cioè, con quell’idiota, il solo pensiero di far sesso…”

“Ma il voler bene di Catullo è questo tipo di amore!” rise l’altra.

“E allora cos’è l’amare?” chiese, felice per il cambio di argomento.

Robin si asciugò anche il corpo e iniziò a vestirsi. “E’ la passione. Catullo ormai non ama – anzi, vuole bene – alla sua donna, ma continua ad andare da lei per questa sua passione. La passione è qualcosa che ti distrugge dentro ma difficile da mandare via. Noi non ci siamo riusciti in quattro anni! In poche parole non possiamo stare insieme senza fare sesso. Ho paura che a lungo andare questo ci porterà ad odiarci”

“Allora la questione è risolta!” disse Nami. “Basta che smettiate!”

“E’ difficile. Molto difficile”

“Cosa c’è di difficile?” chiese.

“E’ una frase che dicono anche quelli che partono per la prima volta in mare e prendono in mano una cartina. Cosa c’è di difficile nel navigare, dicono e poi affondano”

Allora Nami capì. In questo caso non poteva aiutarla, né come donna né come persona. Era una battaglia che doveva affrontare da sola.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Sulla Going Merry, ancorata sull’isola da ormai otto giorni, il tempo passava senza che tuttavia la situazione cambiasse di m

Sulla Going Merry, ancorata sull’isola da ormai otto giorni, il tempo  passava senza che tuttavia la situazione cambiasse di molto. Come Nami notava, Robin sembrava sempre più infelice, ma non riusciva a staccarsi da quella triste situazione, che non la faceva più dormire nel suo letto. Sanji era sempre sull’agitato andante, tanto che anche i suoi piatti ne risentivano. Rufy percepiva quest’aria, ma non era suo compito intervenire. In quanto ad Ace, sembrava l’unico felice.

* * *

Sanji prese un coltello dal cassetto e cominciò a tagliare i pomodori. Erano ormai le sei, ora di preparare la cena. In cucina entrò Zoro. Cosa molto strana, dato che il suo posto abituale era la poppa, dove dormiva o si allenava. La cucina era il regno del cuoco e tra i due, come si sa, non correva buon sangue, almeno apparentemente.

“Se continua così rimarrà incinta” fu il commento poco garbato dello spadaccino mentre si sedeva al tavolo.

Il coltello sfuggì di mano a Sanji e si tagliò. “Non è cortese dire queste cose nei riguardi di una signora” esclamò cercando di mantenere un tono calmo, ma gli tremavano le mani.

“Signora?” ghignò Zoro, dato che con Robin non era mai andato troppo d’accordo. Poi si fece improvvisamente serio. “Se ti piace più delle altre, perché non glielo dici? Continuando così, quello te la frega!”

Non era certo caratteristica di Zoro parlare così. Sanji si girò, sorpreso. “Sei sicuro di stare bene?” chiese. “Ultimamente sei un po’ strano…Sicuro che non ti è capitato niente?”

Lo spadaccino si sentì avvampare ricordando le sensazioni di quella notte, ma si seppe controllare molto di più. Quindi, con il suo solito tono, disse “ma cosa vuoi che sia successo…” e uscì dalla cucina sbattendo la porta e scontrando Nami che stava entrando in quel momento.

“Zoro! Non si tratta così una signora!” lo apostrofò Sanji dato che non le aveva nemmeno chiesto scusa. “Ma ha ragione…” pensò poi. Però, cosa avrebbe potuto fare? Se Robin amava veramente Ace, qualsiasi cosa avrebbe fatto lui non sarebbe servita a niente. Era davvero una situazione difficile… Molto spesso i problemi di cuore diventano più difficili di qualsiasi battaglia. L’amore non è una sfida da vincere…

* * *

La mattina dopo Rufy, sdraiato sulla polena, si godeva il primo sole della giornata. Anche Ace stava facendo la stessa cosa, poco lontano da lui, mentre Usop stava preparando una nuova arma per la sua fionda. Alla fine, dopo un lungo silenzio, decise di fare una domanda.

“Fra poco il Logpose avrà finito di registrare. Allora partiremo” disse quasi a sé stesso. “Ma Robin…?”

Ace capì che la domanda era rivolta a lui. “Partirò anch’io” rispose, “e le chiederò di venir con me… se Rufy vuole, naturalmente” Lo sbirciò. Aveva il viso coperto dalla tesa del cappello.

“Se Robin vorrà venire con te non sarò certo io a fermarla” Era una cosa strana e normale assieme. Rufy non era tipo da lasciare i suoi compagni, ma neanche da intervenire nelle loro questioni personali. Si alzò, sorridendo. “Ma resterà qui!”

“Cosa ti fa esserne così sicuro?” chiese suo fratello.

“Quando è entrata nella mia ciurma, ha detto ‘non ho alcuno posto dove andare o ritornare’. Se ti amasse veramente, perché non è tornata da te?”

Ace non rispose. Avrebbe dovuto chiederlo a lei.

* * *

La notte dello stesso giorno, Ace stava entrando in cucina per prendere un bicchiere d’acqua quando sentì, da dietro la porta, Robin che parlava.

“No, non lo amo, però…”

“Capisco…” Questo era Sanji.

Ace decise di non entrare. Però chiese a Robin, quando uscì, se voleva venire con lui. Nella ciurma di Barbabianca. Con tutto quello che sapeva, lei l’avrebbe potuto fare? Naturalmente no, ma non era solo quello il motivo.

“Ti prego Robinchan!” disse lui prendendola per le spalle. Allora lei fece una cosa che non si sarebbe mai aspettato. Pianse. Neppure lei se ne stava accorgendo, ma le lacrime scorrevano piane e tranquille sulle sue guance. Si divincolò e corse via. Sanji aveva osservato tutta la scena, non visto, da dietro la porta. Era a dir poco furibondo. L’aveva vista piangere. E la cosa più terribile è che non piangeva, come nel caso di Nami, per qualche sopruso, ma per ben peggio. Per amore.

“Hai visto cosa le hai fatto?!” gli gridò, benché non ce ne fosse alcuna ragione.

Anche Ace era arrabbiato. Ma non con lui e neanche con lei. Con sé stesso per averla fatta soffrire così. Ma non potendo picchiarsi da solo, non c’era niente di meglio che picchiare qualcun altro per sfogare la rabbia. In situazioni normali non sarebbe successo, sicuramente, ma era entrambi fuori di loro per capire cosa stavano facendo. Erano due pirati molto particolari, eppure non ci misero molto a passare dalle parole alle mani. Cominciarono a combattere nel bosco dietro al promontorio dov’era la Going Merry.

Sanji si trovava in netta difficoltà. Naturalmente non aveva mai avuto paura del fuoco – era un cuoco - ma non riusciva a colpirlo con i suoi calci dato che ad Ace bastava trasformasi in fuoco un attimo prima di essere colpito per restare illeso e fare invece molti danni all’avversario.

“Ragioniamo” pensò Sanji rimettendosi in piedi. Mentre Ace era ancora tutto intero lui riportava molte ustioni, non gravissime, è vero, perché aveva fatto in tempo a schivare, ma pur sempre ustioni. I suoi pensieri furono interrotti subito, dato che Ace, posando un dito a terra, aveva incendiato l’erba in una grossa fiammata che correva verso di lui. Balzò in aria, schivandola. “Se Rufy ha sconfitto quel rettile con l’acqua che solidifica la sabbia, cosa può solidificare il fuoco? Di acqua nei dintorni non ce n’è… Forse… la terra?”

Riatterrò con un tonfo sordo. Prese una manciata di terra dal suolo giusto un attimo prima di essere raggiunto da un’altra fiammata. Poi cosparse i suoi pantaloni di terra, sperando che la sua idea servisse. Ma non fece in tempo ad atterrare che una lunga lingua di fuoco lo avvolse.

“Che state combinando?!” gridò una voce adirata.

Ace si distrasse, ma Sanji, dentro la fiamma, non aveva sentito. Spingendosi un una mano, uscì e lo colpì violentemente al braccio, sprizzando sangue. Il suo avversario rotolò di qualche metro, mentre lui crollava a terra. I due si alzarono, osservando la figura che aveva parlato.

Nami. Le fiamme che si erano accese nella notte scusa le illuminavano il volto, facendo sembrare i suoi lineamenti contratti dalla rabbia ancora più pericolosi. Si morse il labbro.

“Che state combinando?” ripetè più lentamente, facendoli tremare leggermente. Si avvicinò e tirò un pugno in testa a tutt’e due. “Cosa pensavate di risolvere?! Imbecilli! Ammazzarvi avrebbe risolto tutto vero? Sapete parlare solo coi pugni!”

“Perché lei no, vero?” commentò sarcasticamente Zoro, che era arrivato lì con tutti gli altri.

“Si comporta sempre così, con tutti noi” aggiunse Usop.

“Andatevi a far visitare, ora!” sbottò ignorando i commenti dei suoi due compagni.

Rufy controllò che la situazione fosse a posto e lo stesso fece Robin. Il braccio di Ace sanguinava vistosamente, probabilmente era rotto. Invece il corpo di Sanji era coperto da numerosi ustioni. Ma, a parte questo, sembravano stare abbastanza bene. Erano arrivati in tempo.

* * *

Tornati sulla Going Merry, entrarono tutti in cucina, dove Chopper iniziò a medicare i feriti. Solo Robin era rimasta fuori, sul ponte di prua, ad osservare le onde nere infrangersi contro il legno chiaro della nave, immersa nei suoi pensieri. Entrambi i ragazzi erano amareggiati.

Sanji, al quale erano state medicate soltanto le ustioni alla testa, si alzò senza che il dottore avesse finito la fasciatura al braccio. “Devo parlarle” e uscì.

“Anch’io” disse Ace cercando di seguirlo. Ma cambiò idea vedendo Rufy che si era messo apposta appoggiato allo stipite della porta, Nami che lo guardava male, Zoro che aveva scelto ‘casualmente’ quel momento per lucidare le sue spade e Usop che giocava con la sua fionda. “Okay, ho capito” Si risedette, aspettando docile la medicazione. Però credo che la cosa che l’abbia più convinto fosse la siringa che Chopper aveva tirato fuori nello stesso momento in cui si era alzato.

* * *

“Robin” Sanji le si avvicinò lentamente.

Lei non sembrava affatto arrabbiata. Solo, un po’ triste. Lui non sapeva che cosa fare. Si comportava sempre bene con le ragazze, ma questa era l’unica volta in cui era veramente innamorato. Tirò fuori una sigaretta e iniziò a fumare. Lei lo guardò per un po’, in silenzio, poi gliela prese e aspirò.

“Ha un gusto stranissimo!” disse ridendo. “Cos’è? Coca?”

“Ma vai!” sorrise lui dandole un colpetto. “Queste le faccio io, è roba buona”

“Canne fatte in casa?” fece restituendogliela mentre continuava a ridere.

“Bè, più o meno” Poi tossì. “Senti… Mi dispiace per quello che è successo e-”

“Ma figurati, non importa…”

“Solo che ti ho visto piangere e-”

“Piangere? Io?” Robin lo guardò stupita. “Ah, prima… Veramente avevo qualcosa negli occhi, forse un po’ di polvere…”

Lui la guardò sorridendo. “Sei davvero bellissima…” Era una frase tipicissima sua, ma l’aveva detta in un modo diverso dal solito.

“Anche tu non sei niente male” disse lei in tono canzonatorio.

“Solo niente male?” fece Sanji stando allo scherzo.

“Si… Ma meglio, almeno non corro rischi, dato tutte le ragazze che corteggi…”

“Che intendi dire? Che posso continuare a farlo tanto sono brutto e non mi vorrà nessuna?!”

“Più o meno” Non potè trattenersi dal ridere vedendo la faccia affranta di lui. “Io ti voglio, comunque” aggiunse.

Sanji la guardò. Deglutì. “Ripeti”

“Io ti voglio. Mi piaci”

L’abbracciò d’istinto. Avrebbe voluto restare con lei molto di più, così abbracciati, ma lei si staccò. “Devi andare a farti curare”

Lui notò le tracce di sangue che le aveva lasciato addosso. “Ops” Si diresse verso la cucina. “Vado, ma chere!”

In quello stesso momento Ace usciva, col braccio fasciato. Si incontrarono sulla scala. “Scusa, mi sono fatto prendere la mano!” dissero contemporaneamente. Quasi venne loro da ridere. Poi Ace sorrise e, sorpassandolo, aggiunse “guarda che se la farai soffrire non sarò così buono con te”

Lui raccolse la sfida. “Un cuoco non ha paura del fuoco, mai. Sarai tu a dover stare attento”

La questione si era risolta, se così vogliamo dire. Chissà se sarebbe davvero stato Rufy a combattere contro di lui, la prossima volta.

Ace si avvicinò a Robin, sedendosi sul parapetto con le gambe a penzoloni, come l’altra volta.

“Mi dispiace che tra noi non abbia potuto funzionare” disse.

“Anche a me” commentò lei. “Credo che per te ci voglia una ragazza più tranquilla”

“Può darsi” Sorrise. “Invece Sanji per te va benissimo. Comunque, siamo ancora amici, vero?”

“Certo…” disse lei. E poi “…che no!”

“Come?” si offese Ace.

“Dai, sto scherzando. Dopo che Rufy avrà trovato lo One Piece potremo fare un’uscita a quattro, che ne pensi?”

“Si, ma dopo che il vecchio avrà trovato lo One Piece”

Si guardarono, poi scoppiarono a ridere.

“Comunque, il tempo che abbiamo passato insieme quattro anni fa non me lo scorderò mai”

“Nemmeno io”

Leggero, il sole stava spuntando all’orizzonte. I tenui raggi scorrevano sulla superficie dell’oceano, rendendo l’acqua molto meno scura, adatta a quel loro nuovo stato d’animo. Leggere nuvolette panna erano comparse, mentre la luna scompariva lentamente nel cielo che diventava zaffiro. Nell’aria si respirava il profumo di fiori portato dalla fresca brezza della tramontana.

All’improvviso Ace saltò giù dal parapetto, atterrando sul suo surf che era parcheggiato proprio li sotto. Sciolse la corda. “Il mio Logpose ha finito di registrare, ora posso andare”

“Che farai ora che la questione di Barbanera si è risolta?”

“Cercherò lo One Piece”

“Ah” commentò lei. “Credevo che ti saresti cercato una ragazza!”

“Quando la vorrò la troverò!”

“Guarda che non cascano mica dal cielo!” rise Robin.

“Saluta gli altri da parte mia e ringraziali. E’ ora di andare” Il suo surf si allontanò all’orizzonte, verso quel disco rosso che stava salendo pian piano a prender il posto di Diana, aprendo il nuovo giorno. La partenza di Ace fu salutata dall’arrivederci festoso di suo fratello, comparso sul ponte con tutta la sua ciurma.

* * *

“Eh?? Davvero???” gridò una voce soave.

“Si, si, finalmente hai ottenuto il permesso di andare nel Mare Blu”

“Evviva! Parto immediatamente!”

* * *

La nave di Nara scorreva tranquilla sul mare calmo, anche se pieno di pericoli, della grande navigazione. Il vento riempiva le bianche vele e muoveva il Jolly Roger sulla cima dell’albero maestro. Sakura respirava questa tenue brezza primaverile che le scompigliava i capelli, appoggiata al parapetto, osservando l’immensa distesa blu sotto di lei. All’improvviso la sua attenzione fu calamitata da un piccolo oggetto in lontananza, sul quale fissò i suoi occhi neri.

“Ma quello… Non è Portuguese?”

Rei, seduto accanto a lei con la canna da pesca in mano, guardò in nella direzione indicata. “Pare anche a me”

Rumi e Yuki si affacciarono al parapetto, curiose. Il surf di Ace era finalmente riuscito ad arrivare a fianco della nave. “Ehi, voi! Posso parlare con Nara Mizu?”

“Parlare?” commentò Sakura ironica. “Sicuro?”

“Se dico parlare è parlare” rispose un po’ arrabbiato. “Mica confondo i verbi”

“Si, invece. Prendi mangiare per dormire!”

“Davvero molto spiritosa” fece scocciato.

“Dai, sali su!”

Dopo aver legato il suo surf al parapetto, entrò nella casetta, che in realtà, all’interno, non era che solo una vasta sala da pranzo con cucina annessa. Nara era seduta ad un lato del tavolo, sorseggiando un tè. Lui si sedette dall’altra parte, esattamente di fronte a lei.

La ragazza dai capelli oceano aprì gli occhi e lo guardò, senza staccare le labbra dalla tazzina. Quando ebbe finito di bere, la riappoggiò sul piattino, facendolo tintinnare. “Tè?” Fece indicando la teiera.

“No, grazie”

Lei afferrò uno dei biscotti che c’erano sul vassoio e gli diede un piccolo morso. “Allora?”

“Tu sai cosa vuol dire la D? La D nel mio nome”

Nara inghiottì il boccone. “Lo vuoi sapere?”

“Ormai che so tutto il resto!” fece allargando le braccia.

Versò nuovamente il tè nella tazzina, sorridendo. “Significa Dragon. E’ solo un semplice cognome” Osservò di sottecchi la reazione, finendo il biscotto.

Ace ci pensò un po’ su. Gli sembrava di ricordare questa parola. “Dragon…” rimuginò da sé. “Si chiamava così anche un uomo… Uno che ho incontrato tempo fa… Prima che entrassi nella ciurma del vecchio… C’è un collegamento?”

“Lo vuoi proprio sapere?” chiese Nara avvicinando le labbra alla tazzina. Lui annuì. “Dragon è ciò che è rimasto del re dei pirati”

“Uno spirito?”

Nara scoppiò a ridere. “Uno spirito piuttosto vivo!”

“E allora?”

“Vedi, Roger aveva mangiato un frutto del diavolo – il wind-wind, ad essere precisi – e Dragon è questo potere rimasto dopo la sua morte”

“Quindi… Potere allo stato puro?” Deglutì.

“Si, ma con cuore e sentimenti!” Nara rise ancora. “E’ proprio uno spettro, in fondo…” Si leccò le labbra in modo che il tè non le colasse giù. “Comunque, secondo me, cerca di aiutare quelli della sua famiglia”

“In effetti quella volta mi aveva aiutato…” Gli venne un dubbio terribile. E se Barbabianca avesse saputo tutto e lo usasse come garanzia per arrivare allo One Piece? No, assolutamente, non poteva essere.

“Ma poi non l’ha più fatto” Riappoggiò la tazzina. “Dragon non ti farà trovare lo One Piece per qualcun altro. Farai meglio a rassegnarti…” Stava cercando di farlo arrabbiare.

Si alzò di scatto, sbattendo le mani sul tavolo. “Rufy non sarebbe contento di essere aiutato. E nemmeno io! Continuerò a cercare lo One Piece, qualunque cosa succeda!” Sottili lingue di fuoco scaturirono dalle sue palme, incendiando il tavolino.

“Ehi, ehi!” esclamò Nara balzando in piedi. “Non vorrai bruciarmi la nave?” Agitò la mano sopra le fiamme, facendo cadere leggere gocce d’acqua che spensero l’incendio sul nascere.

“Scusa :-P”

Nara lo guardò sorridendo. “Vai a cercare lo One Piece… ma prima faresti meglio a indagare sul conto del tuo capitano… Credo che tu nutra dei dubbi…”

“Anche tu” commentò secco. “Se è stato lui a tradire Gold Roger, perché non me lo dici direttamente?”

“E’ stato lui” rispose asciutta. “Però in fondo è un buon pirata”

Ace non rispose, ma si avviò verso al porta, scuro in volto.

“Scusa” disse lei. “Sarai il benvenuto nella mia ciurma, se…”

Lui la guardò. Poi sorrise. “Grazie, ma penso che non ce ne sarà bisogno. Ciao” Uscì sul ponte, assaporando la calda aria del meriggio. Era ora di riprendere il viaggio. Scese sul surf e partì. Gli altri membri della ciurma lo guardarono andarsene senza proferir parola. Non erano affari loro.

Nara si asciugò una piccola lacrima. “E’ ingiusto, Dragon… Non puoi preferirgli Rufy…”

* * *

Mentre Ace navigava tranquillo, sentiva tutto un rimescolarsi di sentimenti contrastanti. Non sapeva cosa fare, dove andare, perché. La cosa più importante, forse, era parlare con il vecchio. Forse si sarebbe mostrato sincero. E se non l’avesse fatto? Allora avrebbe dovuto lasciare la ciurma…

All’improvviso la sua voce fu attratta da qualcosa in alto. Alzò lo sguardo e vide una persona in lontananza. Una persona che stava cadendo! Allargò le braccia, spostandosi sulla punta del suo surf e la prese al volo.

“Tutto bene…?”

“Si, grazie” rispose quella cercando di rimettersi in piedi. Ace la guardò. Sembrava una ragazza. Capelli oro legati in due sottili trecce, occhi scuri, carnagione chiarissima, labbra carnose, corpo snello e sinuoso. Il leggero vestito rosa le lasciava scoperte le lunghe gambe. Si, sarebbe sembrata proprio una ragazza se non fosse stato per quelle due piccole antenne che aveva in testa e per le due ali piumate che le spuntavano da dietro le spalle.

“Cavoli” commentò Ace. “Mi è cascato un angelo in braccio!”

Lei lo guardò incuriosita. “Bellybutton!” lo salutò poi. “Io sono Conis, e tu?”

Certo che è davvero carina, pensò. “Sono Ace, piacere” Le strinse la mano. “Ma tu…”

“Io vengo da Skypiea, un’isola del cielo” si affrettò a spiegare.

“Un’isola del cielo, capisco…” rimuginò tra sé.

“Sono qui… in visita, diciamo. E poi voglio conoscere i pirati. Sai, tempo fa sono stati dei pirati a salvarci e-”

Ace si scosse dai suoi pensieri. “Davvero vuoi conoscere i pirati?”

“Si”

“Uhm… Io sono un pirata! Che ne dici di entrare nella mia ciurma?”

A Conis si illuminarono gli occhi scuri. “Sul serio?”

“Bè, in realtà finora sarebbe composta da me e te, però…”

“E’ fantastico!” Gli saltò letteralmente al collo. Ace arrossì fino alla punta delle orecchie. Lei sembrava così dolce e carina… Come faceva a dire Robin che le ragazze non cascavano dal cielo?

* * *

Il sole aveva già da un pezzo iniziato la sua parabola discendente e sulla Going Merry tutti si stavano preparando ad andare a letto. Solo Rufy stava sul ponte di poppa ad osservare il disco infuocato immergersi nell’orizzonte lontano, con la mappa che gli aveva dato Nara in mano. La allungò verso la massa d’acqua sotto di lui. Nell’atto di buttarla la mano gli tremò leggermente, pensando alla reazione di Nami se l’avesse saputo. Ma dato che quando si parla del diavolo spuntano le corna, una voce lo chiamò a voltarsi e a ritirare il braccio.

“Non avrai mica intenzione di buttarla, vero?!” Più che la voce fu il pugno tiratogli in testa.

“Si…” rispose Rufy guardandola tranquillamente. “Non voglio essere in vantaggio sugli altri… Diventerò il re dei pirati perché sono io, e basta…”

Nami si sedette sulla ringhiera, di fianco a lui. “Ti rendi conto delle sciocchezze che stai dicendo?” Poi sospirò. “Ma perché devi essere così dannatamente onesto?”

“Tanto lo One Piece lo trovo lo stesso” disse sorridendo, il suo solito sorriso a quarantadue denti.

Lei scosse la testa, consapevole del fatto che non c’era niente da fare. Le piaceva così, in fondo. Sorrise. Allungò la mano e gli strappò la mappa, quindi la gettò fuori bordo.

Rufy la guardò incredulo. “Ma… ma”

Lei fissò un punto lontano. “Te ne farò una io, anche meglio”

Lui tornò a sorridere, quindi la tirò giù da dov’era seduta e la abbracciò. Insieme, si misero ad osservare quel piccolo pezzo di carta che sorvolava una distesa blu scura, muovendosi leggermente al vento serale, fino a sfiorarla e ad appoggiarcisi sopra. Ma quello fu la sua rovina. Imbevuta di quell’acqua salata, è destinata a sfarsi e scomparire nelle profondità del mare, senza che nessuno ne senta la mancanza, il bisogno, senza che nessuno la ricordi. E’ morta.

Rufy e Nami, ancora abbracciati, rimasero lì ad osservare questo processo, consapevoli che non l’avrebbero ricordata neanche loro. Il lume brillantato di quell’enorme soffitto che era il cielo si rifletteva nell’oceano, formando una tappeto di stelle luminose che giocavano con le onde. La luna era ormai calante, ridotta ad una falce che sembrava sorridere sulle teste dei giovani innamorati che la guardavano e che avrebbero desiderato veder rispecchiato il loro amore in una grande luce tonda. Ma andava bene anche così. Desiderarono che quel momento non finisse mai. Ma la vita è fatta di piccoli, dolci momenti… Bè, non vedevano l’ora di viverne un altro!

 

Il viaggio continua…

 

Akemichan parla senza coerenza:

 

Piaciuta? Bè, spero di si! Forse troverete il finale un po’ deludente, per il fatto che un vero e proprio finale non c’è…quello lo lascio ad Oda-sensei! Volevo informarvi un minuto sugli spoiler che ci sono per evitare confusioni di sorta… Potete anche non leggere! Ehi, fra poco esce il 24! (era anche l’ora N.dTutti)

 

-         Robin, ormai lo sanno tutti, si unirà alla ciurma. I suoi trascorsi con Ace sono solo un’ipotesi generale condivisa da molti

-         Il vero nome di Barbanera è Marshall D. Teach, ma non si sa se lui e i due fratellini siano davvero parenti…

-         I poteri della sua ciurma me li sono inventati, mentre nomi e descrizioni sono corrette

Basta, sono solo questi^^

Un ringraziamento finale a tutti quelle che hanno letto! Commentate anche questo capitolo, mi raccomando!

Akemichan smette di parlare senza coerenza

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