Konoha- Eredi del sangue

di SkyEventide
(/viewuser.php?uid=27017)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hebi no Nohiro ***
Capitolo 2: *** Team numero cinque ***
Capitolo 3: *** Presentazioni ***
Capitolo 4: *** Due bei campanellini ***
Capitolo 5: *** Una strategia quasi perfetta ***
Capitolo 6: *** Legato! ***
Capitolo 7: *** Scusa ***
Capitolo 8: *** Al chiosco del ramen ***
Capitolo 9: *** Pesci e litigi ***
Capitolo 10: *** Arrampicarsi sugli alberi ***
Capitolo 11: *** Una missione seria ***
Capitolo 12: *** Tre toni di musica nella polvere rossa ***
Capitolo 13: *** A notte fonda ***
Capitolo 14: *** Kusanagi no Tsurugi ***
Capitolo 15: *** Invito ***
Capitolo 16: *** Al numero dodici ***
Capitolo 17: *** Studio, timidezza, figuracce ***
Capitolo 18: *** --- ***



Capitolo 1
*** Hebi no Nohiro ***


-1-
Hebi no Nohiro


Nohiro era in ritardo quella mattina, c’erano già altri ragazzini fuori dall’entrata dell’Accademia.
O perlomeno era in ritardo per la concezione che ne aveva lui, del ritardo. Un ritardo per lui voleva dire essere puntuali per tutti gli altri, ed un anticipo aveva lo stesso significato di arrivare due ore prima; la puntualità era relativa, preferiva sempre avere un margine di mezz’ora di anticipo per controllare la situazione.
Con gli occhi paglierini fissava per qualche attimo ogni singolo particolare e la gente diceva che aveva uno sguardo inquietante. L’avevano sempre detto, fin da quando era bambino. I commenti acidi sui suoi occhi, su di lui, c’erano sempre stati e tempo addietro gli avevano fatto male. Male al cuore. Ma ora erano come le gocce di pioggia e le foglie secche che si raccoglievano nei canali di scolo: scivolavano via.
Corse più forte schizzando acqua dalle pozzanghere, non curandosi del fiatone, piuttosto prestando attenzione a dove metteva i piedi. Quel maledetto kimono non era della sua taglia, e l’ultima cosa che voleva era ritrovarsi faccia a terra, nel fango, per esser inciampato nel bordo. Gli altri ragazzi all’Accademia trovavano già abbastanza pretesti per dargli fastidio, specie quando indovinava le risposte alle domande di Iruka-sensei e loro non sapevano arrivarci. Arrivare sporco di fango e giusto in tempo per il suono della campanella per giunta, non avrebbe migliorato le cose.
Corse, corse ancora verso l’Accademia superando il chiosco del ramen dove pranzava sempre, da solo, senza fermarsi se non davanti alle porte dell’edificio.
Altri suoi compagni erano fuori a confabulare, le ragazze ridacchiavano, lanciavano occhiatine ai maschi. Ma non a lui. Oh no, a lui mai. Lui lo deridevano soltanto.
Ma schernirlo quando potevano era solo un modo per mascherare la paura, la paura che i loro stessi genitori instillavano in loro, la stessa sfiducia radicata nella memoria. Alle volte però esageravano e lui si mordeva la lingua per non rispondere alle provocazioni. Si sentiva sempre il fiato sul collo, sapeva di essere controllato dai ninja che quella donna impicciona della Godaime gli mandava dietro e sapeva anche che, se nessuno interveniva in una rissa fra ragazzini o si metteva in mezzo alle loro beghe, se solo lui si fosse azzardato a dire a qualcuno “non ti avvicinare perché ti rompo il muso” aveva l’impressione che si sarebbe ritrovato alle spalle almeno due Special Jonin a sorvegliare la situazione. Probabilmente la Godaime non pensava si fosse accorto di questo pedinamento. Magari semplicemente perché lui si comportava in modo che non se ne potesse accorgere.
Fu un fulmine a passare davanti ai suoi compagni, anche se non poteva sperare che non lo notassero. La sua chioma nera e lunga, raccolta in una coda era inconfondibile.
«Ehi, ragazzi, guardate chi c’è…»
«Sei in ritardo stamani, eh pivello?»
Passò oltre, senza voltarsi, ma si sentì trattenere per una spalla. Ecco perché preferiva sempre arrivare prima ed entrare in classe quando ancora non c’era nessuno.
Si girò verso quel rompiscatole e lo identificò come Tomita, un suo compagno di classe, non appena mise a fuoco gli occhi castani e stretti ed i capelli color del fuoco. Considerato la promessa della generazione per la sua forza, Nohiro non lo giudicava per nient’altro che un idiota.
La presa sulla spalla si fece più stretta e il ragazzo fulvo lo strattonò per costringerlo ad alzare il volto.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua, Nohiro?» Il tono era maligno, come l’espressione degli spettatori ghignanti davanti alla scenetta. «O forse dovrei dire un serpente?» E scoppiò in una risata acida.
Zitto, zitto, sta zitto.... Non rispondergli per nulla al mondo… No, rispondere era l’ultima cosa da fare. Ma in quei casi lui aveva un’arma ben più potente di ogni parola.
Il suo sguardo.
Fissò le pupille verticali, che tanto gli altri giudicavano malvagie, in quelle rotonde del ragazzo.
E quelle si bloccarono, la risata si smorzò davanti a quei due steli neri diritti in mezzo ad un mare color del grano che pungevano come pugnali. L’espressione era impassibile, gli occhi contornati da un alone violaceo non erano minacciosi, ma semplicemente… immobili.
Anche i sorrisi perfidi di chi si prende gioco di qualcuno che giudica più debole erano spariti dalle facce dagli altri ragazzi cosiddetti “popolari” o “di buona famiglia”. Erano spariti perché quando lui faceva così, quando ti fissava, non sapevi più come comportarti. Per Tomita non c’era nessuna differenza.
Improvvisamente staccò lo sguardo da quello del viso cianotico di Nohiro e lo spinse all’indietro.
Adesso fai finta di essere scocciato di me per non fare brutta figura? pensò Nohiro con una muta soddisfazione dentro.
«Vattene in classe pivello. Ci becchiamo a lezione…»
Di certo lui non sarebbe rimasto lì ad attendere il suo permesso. Si fiondò per i corridoi con i capelli svolazzanti e un appagamento che non era solito provare, senza fermarsi un attimo, solo giusto il tempo che serviva per aprire la porta della classe e catapultarsi dentro.
Era deserta, come previsto. Ottimo.
Filò verso l’ultimo banco nella fila centrale e si sganciò il kimono grigio sistemandolo sullo schienale. Maglia scura e pantaloni sotto il ginocchio, tipici dei ninja, erano assai più comodi che quell’abito troppo largo per lui, anche se in inverno gli teneva più caldo di molti altri indumenti. Era un regalo di Iruka-sensei per il natale suo ultimo compleanno, se lo ricordava. E come poterselo scordare? Aveva ricevuto appena tre regali, il kimono dal sensei, un buono pasto valido per sei mesi interi da Naruto e una casetta per viverci dalla Godaime, dimenticarne uno era impossibile.
Si sedette al posto riavviandosi ciocche dispettose di capelli sfuggite al ciuffo e restò a guardare la porta socchiusa ed il corridoio al di là. Come adorava quel momento di silenzio in cui era da solo e la classe era tutta sua. Poteva anche fingere che andasse tutto bene, che appena la campanella fosse suonata ed i corridoi si fossero riempiti del chiacchiericcio degli studenti, le ragazze sarebbero corse tutte da lui, e che nessuno si sarebbe permesso di passare senza salutarlo.
Ma erano sogni, e lo sapeva.
Come prova inconfutabile ebbe le occhiate che ricevette non appena altri ragazzi si decisero ad entrare, alcune diffidenti, altre indifferenti, altre ancora addirittura disgustate. Ma lui le ignorò come faceva sempre.
Preferì dedicarsi a rileggere l’ultimo capitolo che Iruka-sensei si era prodigato nello spiegare loro; dopotutto, gli esami erano vicini…
«Ehi Nor, ma non ti si incrociano gli occhi a stare sempre fisso su quei libri?» Delle risate dal gruppetto.
Lui non rispose, come sempre, e loro sapevano che non c’era battuta che l’avrebbe indotto a farlo. Presto persero interesse e iniziarono a parlottare del più e del meno, dell’ultima interrogazione, di quel bel tipo che sta nell’altra classe.
«Ok, tutti al proprio posto adesso! Avanti, svelti!».
Il maestro Iruka era appena entrato.
Ognuno andò alla sua sedia, di fretta e strusciandone le gambe sul pavimento con l’unico risultato di produrre un suono sgradevole che Nohiro odiava.
Iruka attese il silenzio prima di cominciare la lezione e sedersi, e ancor prima di farlo salutò Nohiro con un cenno della testa. Lui ricambiò. Iruka era uno dei pochi che non lo trattava come un mostro, che non lo scherniva o non lo rifuggiva, ripagarlo della sua gentilezza era il minimo da fare. E Nohiro lo ripagava, non solo con i saluti, ma anche rispondendo correttamente a qualsiasi domanda lui gli ponesse direttamente.
«Dovevamo finire quel discorso sulla concentrazione se non mi sbaglio…» Iruka guardò gli studenti come attendendo una risposta affermativa che giunse dal fulvo Tomita Sokemiro. «Dunque, il simbolo della foglia aiuta a canalizzare il chakra. Vi ricordate anche la sequenza di sigilli per aiutarsi a concentrare il proprio chakra in una parte precisa del corpo?»
Silenzio.
I ragazzi si guardarono fra loro, si scambiarono suggerimenti sottovoce, e cercavano con gli occhi lo sguardo degli altri, perplessi. Qual era la sequenza di sigilli esatta? E, che diamine, possibile che nessuno se la fosse segnata negli appunti?
E Nohiro guardava ridacchiando sotto i baffi, laggiù dal suo posticino da solo all’ultimo banco. Gli sembrava impossibile che tutti loro fossero così locchi da non capire l’intenzione di Iruka- sensei… E, cogliendo l’occasione, aprì la bocca per dare la risposta esatta, che conosceva; ma si fermò senza proferir suono. Non era conveniente per lui rispondere alle domande dei professori, molto meglio restarsene in disparte: si attirava già addosso il fastidio di molti, mettersi in mostra non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.
Ma no, stavolta avrebbe risposto. Far vedere a Tomita che ne sapeva di più di lui era un’occasione imperdibile.
Alzò lentamente e timidamente la mano, giusto quel che bastava per farsi vedere dal maestro e non dai compagni di classe. Ma costoro si girarono immediatamente verso di lui con le sopracciglia aggrottate e un’espressione che andava dal contrariato allo stupito quando Iruka sentenziò un «Si Nohiro?» con un sorriso compiaciuto stampato in faccia.
Il ragazzo si fermò un secondo prima di rispondere avvertendo lo sguardo di tutti puntato su di sé. «Non servono sigilli per raccogliere il chakra…». L’aveva detto con una punta di incertezza tremolante nella voce, dovuta unicamente al fatto che sapeva che quella risposta esatta non gli avrebbe cambiato la giornata in meglio, ma c’era stata anche una sorta di ovvietà nel suo tono di voce, quasi a canzonare tutti gli altri che ora si battevano le mani sulla fronte dandosi degli stupidi per non averlo pensato prima di lui.
Nohiro si trattenne dal sorridere trionfante mentre il maestro annuì soddisfatto tanto quanto il suo allievo.
«Esattamente. Non occorre nessun sigillo per una cosa di questo genere.» Strinse gli occhi passandoli sulla platea in parte irritata e amareggiata, in parte invidiosa. «Mi sembrava di averlo specificato, ieri…».
«Ma maestro, le domande a trabocchetto non valgono!».
«E questo chi l’ha detto? Valgono eccome, siete soltanto voi che non arrivate a capirle».
Il ragazzino che aveva protestato stava in prima fila, nello stesso banco di Tomita… Hyeon Sook, capelli neri e corti laccati all’indietro, occhi dello stesso colore, grandi e magnetici. Un altro della combriccola delle “nuove promesse”, un altro che a Nohiro sembrava un perfetto idiota. Se non fosse stato per le ire di tutta la scuola sarebbe andato davanti a quei due antipatici e avrebbe detto loro che non li poteva sopportare e che gli avrebbe fatto piacere stracciarli in un duello per mostrare quanto era migliore, quante più jutsu sapeva padroneggiare rispetto a loro. Ma anche questi erano sogni.
Non rispose ad altre domande per il resto della lezione, tutti gli altri alzavano la mano prima che si decidesse a farlo lui. Ma ovviamente sapeva le risposte, meglio anche di coloro che completavano i quesiti del maestro Iruka.
Non voleva che quella lezione finisse, come sempre, perché poi ci sarebbe stato l’intervallo e forse qualcuno sarebbe venuto a canzonarlo, forse si, forse no. Quella volta era più propenso a pensare di si, visto il suo intervento di quella mattina. Gli avrebbe dato fastidio, lo sapeva, ma sapeva anche che sarebbe rimasto in silenzio a subire, senza ribellarsi. Per un momento i suoi pensieri si distrassero dalle parole di Iruka e pensò ad un giorno in cui l’avrebbero fatta finita di trattarlo a quel modo. Era quello uno dei motivi per cui ci teneva tanto ad essere un ninja, a conoscere le jutsu e le varie arti di combattimento: per ottenere il rispetto che non aveva mai ricevuto. Un giorno, pensò, non ti befferai tanto di me Tomita, un giorno voglio avere la soddisfazione di ordinarti di pulirmi le scarpe e farmi da appoggiapiedi, solo per il gusto di avere la mia rivincita.
Fu la campanella della ricreazione a scuoterlo dai suoi pensieri e riportarlo lì, seduto in quella classe davanti ad un povero maestro Iruka che stava quasi urlando le ultime frasi per farsi ascoltare, fra il frastuono dei ragazzini che uscivano dalla classe e la campanella dai toni acuti.
Quel giorno Nohiro non sarebbe rimasto in classe. Non conveniva, dopo aver già notato lo sguardo di Tomita su di sé. Si alzò e uscì a tutta velocità per non farsi fermare, decidendo di andare in cortile e, magari, arrampicarsi su un albero per evitare fastidi.

Delle foglie secche rotolavano, silenziose, sul terreno polveroso del cortile della scuola, avvolgendo tutto in un’irreale quiete disturbata solo dal fischio del vento fra le chiome dei tozzi alberi e dal vociare ovattato delle lezioni. Quiete che venne rotta in un sol colpo dal suono dalla campanella e dallo spalancarsi delle porte della scuola sul cortile deserto.
Una marea di ragazzi si riversò fuori spintonandosi per prendersi i posti più soleggiati e scaldati dai deboli raggi invernali.
Jiro e Mayumi uscirono fra i primi, nel mezzo a quel fiume di altri bambini dall’età che variava dai sette anni ai tredici.
Jiro, con gli occhi neri e i capelli platinati tagliati corti eccetto che per un codino sulla nuca, era conosciuto da tutti… ovviamente per la sua parentela. Chi potrebbe non conoscerti se sei figlio del Sannin leggendario Jiraiya? Ovviamente nessuno. Mayumi, con i suoi dolci occhioni azzurri e i capelli biondi boccoluti, era anch’essa conosciuta da tutti. Logico. Valeva lo stesso discorso che era stato fatto per il figlio dell’eremita dei rospi: chi può non conoscerti se sei l’allieva della Godaime?
Furono salutati dai compagni, anche di classi diverse. Mayumi rispose con sorrisi, Jiro con gioviali pacche sulle spalle e solari battute.
Ma entrambi si spostarono alla svelta dalla confusione e andarono a mangiare all’ombra dei robusti alberi del cortile. La ragazzina si sedette fra le grosse radici della pianta mentre l’altro si appoggiò al fusto della stessa giocherellando con il bianco codino.
Jiro addentò il panino imbottito che portava in mano lasciando scorrere gli occhi scuri sulla folla nel cortile. Le pupille si fermarono su un gruppo di bambine raccolte poco lontano e sul volto gli spuntò un sorrisetto mentre strizzava loro l’occhio. Le componenti del gruppetto subito iniziarono a ridacchiare fra loro e ad indicarsi l’un l’altra il giovanotto.
Mayumi rise a sua volta. «Non ti smentisci mai, vero Jiro? Tale e quale a tuo padre…».
Il ragazzino rispose accennando una finta espressione offesa. «Che c’è di male? Io spero di diventare almeno la metà di quello che è lui!».
Seguì uno scambio reciproco di linguacce.
Di nuovo entrambi lasciarono vagare la vista e i pensieri dove nessuno si sarebbe potuto intromettere finchè una figura attraversò il loro campo visivo. Un ragazzino incredibilmente pallido saettò nel cortile, i fluenti capelli neri al vento e addosso un kimono troppo grande per lui. E quegli occhi ormai erano impressi nella mente di tutti.
Veloce, zigzagò fra gli studenti per poi arrampicarsi su un albero e scomparire alla vista.
Jiro aggrottò la fronte osservando la chioma della pianta per poi rivolgersi a Mayumi.
«L’hai visto?» Il suo tono di voce era diventato improvvisamente gelido. «Mostro schifoso…».
Mayumi scrutò l’altro contrariata. «Non mi sembra così cattivo. Non è che un bambino».
Jiro sbuffò, con un moto d’irritazione, e abbassò gli occhi. «E’ figlio di suo padre. Non mi fido, e non intendo farlo».
Ora la giovane sembrava veramente a disagio, come se l’altro avesse offeso lei personalmente e non quel ragazzino dall’aria malaticcia nascosto sull’albero.
«Se non ti fidi, non per questo devi trattarlo male. Nessuno sceglie i propri genitori e per lui non è stato diverso».
«Ma l’hai visto? Hai visto come si comporta? Sarebbe capace di pugnalarti alle spalle… Hai visto i suoi occhi no?».
La ragazza si alzò di scatto da terra e fissò Jiro. «E’ solo un bambino…» ripeté con foga. «Soltanto un bambino molto solo» concluse prima di allontanarsi a passo veloce.
Jiro la seguì con gli occhi neri finché non sparì fra gli altri ragazzi.
«Padre… mi devi insegnare ancora un sacco di cose sulle ragazze» sussurrò tra sé ridacchiando.
Avrebbe voluto seguire Mayumi ma lì poco lontano c’era ancora quel bel gruppetto di bambine…

------------

Disclaimer: i personaggi appartengono a Masashi Kishimoto e la ff non è ideata a nessun scopo di lucro.

Dunque, l’idea di questa storia è davvero vecchissima e nemmeno io la ricordo. E’ una long fic davvero… lunga. XD I pairing sono già tutti predisposti.
Vi lascio ai commenti, sperando che vi piaccia. ^__^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Team numero cinque ***


-2-

Team numero cinque



Infine l’esame dei Genin era giunto alle porte dei nuovi aspiranti shinobi, bussando con ansia e insistenza nelle loro teste.
C’erano coloro che per tutto l’anno avevano rimandato il momento fatidico nella loro mente e pochi giorni prima si erano rinchiusi in casa nella vana speranza di recuperare il tempo perduto; poi c’erano quelli con l’animo tranquillo, rilassati e consci di aver bisogno soltanto di un piccolo ripasso prima della prova.
Adesso erano tutti nelle classi, banchi separati e goccioloni sulla fronte; chi scriveva incessantemente, chi provava ad allungare il collo per scopiazzare dai più bravi, eludendo gli occhi accigliati e grifagni dei professori.
Iruka spostò lo sguardo sulla classe silenziosa e concentrata, ascoltando il persistente rumore graffiante delle penne che scorrevano sui fogli. Fermò le pupille su una testa scura china sul foglio, negli ultimi banchi. Nohiro scriveva senza fermarsi, senza avere apparenti dubbi sulle risposte da dare. Iruka era orgoglioso di quel ragazzo. Sarebbe diventato un ninja senza eguali, l’aveva dimostrato più volte… peccato per tutto quello che doveva subire, per i pregiudizi che si portava dietro. Ma Iruka era sicuro che a tutti coloro che ora lo deridevano, un giorno avrebbe fatto mangiare la polvere. E poi sapeva chi sarebbe stato il futuro sensei di Nohiro… e quella poteva essere solo una cosa buona.
L’insegnante sorrise seguendo la penna in movimento del ragazzo poi si voltò e si sedette alla cattedra, soddisfatto intimamente, colmo di aspettativa per il prossimo futuro.

Rilassati, lo scritto è andato.
Poi lo sai. Qualunque cosa ti chiederanno tu la sai.
Questo Nohiro si ripeteva mentre attendeva con gli altri ragazzini fuori dall’aula dove si svolgeva l’esame di pratica.
Era estraneo al chiacchiericcio attorno a lui, si concentrava sul chakra restando in silenzio. Si distraeva solo quando usciva dall’aula un ragazzo che aveva appena finito l’esame; dalla faccia, Nohiro riusciva immediatamente a capire se era andato bene o se era andato male. Però non era quella curiosità ad attirare l’attenzione del giovane dai lunghi capelli neri. Più che altro era interessato a sentire bene il nome che veniva pronunciato subito dopo dagli esaminatori. Erano quelle parole fatidiche a determinare chi era il fortunato, o sfortunato, a seconda dei punti di vista, che doveva entrare ad eseguire la prova.
Attendere il proprio turno gli metteva ansia. Avrebbe preferito di gran lunga andare nell’aula subito e farla finita.
La porta si aprì di nuovo ed uscì dalla stanza dell’esame pratico una ragazzina con dei lunghi capelli biondi e riccioli. Carina. Aspetta, la conosceva. Si, ovvio, era la giovane allieva del Quinto Hokage, Mayumi. Si sorprese a seguirla con gli occhi dorati finché la futura kuinoichi si incontrò con altre ragazze e con un ragazzo dai capelli bianchi. La attorniarono, probabilmente iniziando a chiederle com’era andata. Quasi sicuramente bene, a giudicare dalla sua espressione smagliante.
Nohiro si chiese più volte chi fosse il ragazzo coi capelli platinati ed il lungo codino sulla nuca ma non fece in tempo a lavorare con la memoria perché delle parole contemporaneamente agghiaccianti e distensive risuonarono nel corridoio.
«Hebi no Nohiro?»
Gli occhi di molti si girarono verso di lui che, per un istante, restò come paralizzato sulla sedia dove si trovava. Poi, racimolando una sicurezza che non tirava fuori spesso, si alzò gonfiando il petto ed avanzò tronfio verso l’accigliato esaminatore affacciato nel corridoio.
Lo superò e varcò la porta ritrovandosi davanti un lungo tavolo. Al lato opposto a quello dell’entrata sedevano i cinque Chunin incaricati di promuovere o bocciare i ragazzini aspiranti Genin.
Nohiro incontrò lo sguardo di ognuno di loro e non seppe identificare in nessun modo la loro espressione. Diffidenza? Uno strano e lontano rimprovero? Non lo sapeva.
Ma quando incrociò gli occhi di Iruka quel che trovò fu il consueto e tranquillizzante incoraggiamento e gentilezza che sempre gli riservava durante le sue lezioni. L’espressione del suo maestro rincuorò Nohiro che immediatamente si fece sicuro delle proprie conoscenze e affrontò con determinazione le espressioni degli altri insegnanti, quasi sfidandoli a trovare qualcosa che non riusciva a fare.
Il Chunin nel mezzo al tavolo strinse gli occhi e congiunse le mani come pensando a come cominciare il discorso.
«Ebbene Nohiro… Hai eseguito una prova scritta pressoché superba, senza il minimo errore. Consideriamo quindi le tue conoscenze teoriche più che sufficienti per passare l’esame a pieni voti».
Al ragazzo dai capelli corvini sembrò che gli venisse tolto un peso sul cuore e, più rilassato, respirò di sollievo cercando inconsciamente l’approvazione di Iruka. Questi sorrise annuendo, per affermare con ancora più certezza il successo dell’allievo e scolpire più in profondità la sua autostima e l’orgoglio.
L’esaminatore nel centro del tavolo proseguì a parlare attirando di nuovo su di sé l’attenzione del ragazzo. «In ogni caso serve comunque una piccola prova di pratica per considerare completato l’esame». Un'altra pausa durante la quale l’insegnante scrutò attentamente gli occhi paglierini e concentrati su ogni singola parola che scintillavano nel viso niveo del giovane. «Che ne dici di farci una trasformazione?».
Gli occhi di Nohiro si dilatarono leggermente a quella richiesta. Una trasformazione? Quell’esame andava di bene in meglio! Niente di più facile da eseguire!
Entusiasta della possibilità di poter far tutto perfetto e, se possibile, di alzare addirittura la sua votazione, si protese verso l’insegnante trattenendo a stento la sua espressione di felicità.
«In cosa mi devo trasformare sensei?».
L’uomo ci pensò su per un momento. «Credi di essere in grado di prendere il mio aspetto?»
«Certamente!» Esclamò Nohiro, elettrizzato. «Mi dia un secondo».
Il ragazzo chiuse le palpebre e congiunse le mani a formare il sigillo della tigre.
Un momento e… Puff! Una nuvoletta di fumo lo avvolse completamente e chi ne uscì non era più un ragazzino dai capelli lunghi e neri e la pelle bianca, ma un uomo in tenuta da Chunin completo di coprifronte della foglia e armamentario. Un uomo identico all’insegnante seduto al di là del tavolo. C’era un evidente espressione di compiaciuto stupore negli occhi degli esaminatori, ed in particolare Iruka sentiva la stessa soddisfazione che provava quando Nohiro gli dava una risposta esatta; come a dire agli altri “questo ragazzo è mio allievo, ed è bravissimo, ammettetelo”.
«Ottimo». Commentò uno degli altri insegnanti mentre Nohiro ricompariva con le sue sembianze accompagnato ad un'altra vaporosa nuvoletta bianca tronfio di soddisfazione.
Almeno nell’essere un ninja sono più bravo di voi, miei cari compagni, pensò immaginando le facce dei ragazzi della sua stessa classe quando avessero saputo dei suoi risultati.
«Bene Nohiro, puoi andare».
Nient’altro da parte dei Chunin nella stanza, se non un congedo. Ma ora al ragazzo non importava dei complimenti, che sapeva non avrebbe ricevuto, se non da pochi. Era troppo preso dal gustarsi la sua silenziosa vittoria per badare a simili piccolezze. Dopotutto, studiare per l’intero anno a qualcosa era servito.
«Aspetta Nohiro…».
Era il maestro Iruka ad aver parlato.
Nohiro si girò, sorpreso, e alzò le sopracciglia, in attesa. «Si Iruka-sensei?».
L’insegnante si grattò un momento il naso solcato dalla profonda cicatrice orizzontale.
«Uhmm… Vorrei farti un'altra domanda prima che tu vada». I Chunin guardarono Iruka, sorpresi quanto Nohiro, il quale però attese pazientemente attendendo di sapere che cosa stesse pensando il suo maestro.
«Dica».
«Credi di poter eseguire una moltiplicazione e una trasformazione assieme?».
Era una domanda assolutamente inaspettata. Due tecniche in contemporanea erano di un livello decisamente più alto di quello di un ragazzino di tredici anni che sta appena per diventare Genin.
«Iruka, non ti pare di…?» cominciò uno degli altri esaminatori. Venne però interrotto da Nohiro che si strinse nelle spalle e tornò indietro con aria sicura. Se la richiesta era stata inusuale, la reazione del giovane lo era ancora di più. In molti si sarebbero giustificati dicendo che non ne erano in grado…
«Come desidera, Iruka-sensei. Bushin no jutsu e trasformazione. Perfetto».
Con queste parole Nohiro chiuse di nuovo gli occhi e eseguì la sequenza di sigilli per la Bushin no jutsu, la tecnica della moltiplicazione del corpo o copia d’ombra. E all’improvviso, accompagnati dalle consuete nuvolette, apparvero altri quattro ragazzini identici a Nohiro, di fianco a quest’ultimo.
«Quattro copie!?» Uno dei Chunin non riuscì al trattenersi dall’esprimere il suo stupore ad alta voce, sotto lo sguardo gongolante di Iruka. Difatti egli non aveva posto quel quesito per mettere alla prova Nohiro ma per mostrare agli altri esaminatori quello che quel ragazzo sapeva fare.
Le copie si guardarono l’un l’altra per un attimo, poi, subito dopo, il vero Nohiro eseguì una seconda volta il sigillo adatto e cinque sonori puff risuonarono nella stanza.
Gli esaminatori si tesero per vedere in che cosa si fossero trasformate le copie ma quel che videro andò al di là di ogni loro aspettativa. Persino Iruka spalancò gli occhi, chiaramente sconcertato.
Ogni copia aveva preso l’aspetto di una persona diversa.
Di ognuno degli esaminatori per essere precisi.
Ed ogni Chunin osservava a bocca aperta il proprio doppio in piedi davanti a sé.
Poi, una per una, le copie scomparvero e restò in piedi in mezzo all’aula unicamente il vero Nohiro, con espressione sorridente e una punta di imbarazzo: non era abituato a dar prova in pubblico delle sue capacità… Ma quello era l’esame di promozione dei Genin, poteva risparmiarsi la timidezza, almeno davanti agli esaminatori.
«Sbalorditivo. Assolutamente sbalorditivo» commentò impressionato il Chunin seduto nel centro del tavolo.
«Adesso puoi andare Nohiro». Iruka sfoggiò un sorriso più soddisfatto che mai e con quelle parole congedò il giovane.
Il ragazzo uscì dall’aula trattenendosi dal saltellare e nascondendo la contentezza come aveva da sempre imparato a fare.
«Sembra che ti sia andata bene, a giudicare dalla tua faccia, pivello. Pensi di aver fatto meglio di me?».
Era Tomita, sempre lui, come al solito.
Di sicuro era andata bene al fulvo, che riusciva a padroneggiare la maggior parte delle tecniche del livello accademico, e, a giudicare dalle voci, aveva eseguito una prova scritta decisamente buona.
Ma quella mattina Nohiro non aveva il tempo di farsi rovinare la giornata dai suoi compagni, specialmente da quello spaccone di Tomita.
Passò oltre, mordendosi il labbro inferiore per non farsi sfuggire una risata. Si sentì richiamare dagli amici del rosso, avvertì qualche battuta, ma non sentì realmente quel che veniva detto.
Era troppo preso, troppo felice.
Tornò a sedersi dove era prima di entrare nell’aula. Ovviamente nessuno venne a chiedergli come era andata, ma più tardi Iruka-sensei sarebbe venuto a fargli una montagna di complimenti, lo sapeva, e magari gli avrebbe pure offerto del ramen. Poi, forse, sarebbe venuto anche Naruto, ma non ne era certo.
Vagò con lo sguardo sugli altri lì presenti e si diede dello stupido per essersi agitato tanto prima di entrare. Non era che una semplicissima prova! Sorrise fra sé e tentò di immaginare il suo futuro sensei e suoi compagni di squadra.

La mattina dopo erano tutti nella grande aula con le gradinate, nel centro della scuola, in attesa che venissero dichiarati i membri delle nuove squadre.
Un chiacchiericcio persistente di decine di voci sovrapposte riempiva la grande stanza; si discuteva ancora dell’esame ovviamente, delle domande e dei risultati.
Jiro aveva un’espressione tra l’imbronciato e il sorridente. La prova scritta era stata un disastro e praticamente tutti sapevano che si era salvato con la pratica, nella quale aveva eseguito una buona prova della tecnica della sostituzione. Se avesse fatto male anche quella sarebbe stato bocciato e tremava al solo pensiero. Le ragazze che adesso gli stavano intorno a confortarlo e consolarlo, dicendo che era sicuramente la prova ad essere stata troppo difficile e non lui che non aveva studiato un bel nulla, di certo non lo avrebbero più filato nemmeno di striscio se non fosse diventato Genin anche lui. E quella era una prospettiva terrorizzante, considerando il tempo che ci aveva messo per costruirsi quel fan club femminile.
Mayumi era andata bene, con votazione discreta alla pratica ma decisamente buona per la teoria. Sperava con tutto il cuore di entrare nella stessa squadra di Jiro: l’amicizia del padre di lui con la sua insegnante, la Hokage Tsunade, li aveva portati sin da bambini a conoscersi bene e adesso lei quasi prestava più fiducia a Jiro che alle sue amiche di sesso femminile. Non era mai sicura se loro restassero con lei solo perché era simpatica, e per quello di simpatia ne aveva da vendere, o perché con lei ci stava sempre Jiro.
La ragazza si voltò verso il compagno e sorrise mentre una nuova ondata di compagni le faceva ogni tipo di domanda sulla sua prova d’esame.
Nohiro, dal canto suo, era seduto nella fila più lontana, in silenzio. Nessuno si era anche soltanto preoccupato di sapere con quali votazioni era passato. Dopotutto a chi poteva importare? La gente si interessava soltanto di conoscere il voto del migliore di tutti e dei propri amici. La sera prima però, come Nohiro aveva previsto, Iruka l’aveva intercettato per ricoprirlo con una dose gigantesca di lodi e gli aveva anche offerto la cena. Come previsto. Non aveva però incontrato Naruto da nessuna parte, probabilmente perché dal giorno dopo sarebbe diventato uno dei Jonin con a carico una squadra di tre giovani ragazzini.
Neanche Nohiro conosceva con esattezza i voti degli altri, non avendoli chiesti a nessuno, ma la voce più gettonata diceva che il migliore, quello in cima alla classifica, era stato proprio Tomita.
Il giovane si riavviò una ciocca dei capelli neri e strinse in vita la cintura del kimono, ripensando alla classifica delle votazioni. Perché lui sapeva una cosa di cui gli altri non sarebbero mai venuti a conoscenza: Iruka, la sera prima, come ulteriore regalo gli aveva mostrato una cosa. Gli aveva fatto vedere la graduatoria di tutti quelli che erano passati e al primo posto non c’era affatto il nome di Tomita Sokemiro. C’era il suo.
E di questo il giovane era terribilmente felice, anche se gli altri non avrebbero mai saputo quel particolare della graduatoria, se non molto, molto più avanti.
Il filo dei pensieri di tutti i ragazzini presenti venne interrotto dall’entrata dello stesso Iruka, con in mano un foglio. Probabilmente era lì che c’erano scritti i nomi dei componenti delle nuove squadre di ninja.
Si fece immediatamente silenzio e quelli che erano fuori dal proprio posto ci tornarono frettolosamente.
«Bene ragazzi, vi leggerò adesso i nomi dei vostri compagni di squadra. Dopo pranzo dovrete raggiungerli nel luogo che vi verrà indicato dove incontrerete anche il vostro futuro sensei.»
Tutti pendevano dalla bocca del Chunin, troppo curiosi di sapere quali persone avrebbero segnato la loro vita nel futuro.
«Team uno» scandì Iruka. «Ichigo Hyuga, Shinji Aburame, Kian Inuzuka.»
I tre nominati si guardarono sorridenti. Era logica una squadra del genere. Era tutto fondato sul bilanciare i team in base alle abilità dei clan e il terzetto Hyuga-Aburame-Inuzuka, in passato, si era rivelato vincente quindi era stato ripreso una seconda volta.
«Team due. Tsubasa Nara, Tomita Sokemiro, Hyeon Sook.» Anche questa se l’aspettavano tutti. I tre amici si diedero il cinque ridendo.
Iruka stava già per leggere i componenti della prossima squadra quando la porta della stanza si aprì ed entrarono nell’aula la Godaime in persona e la sua assistente, Shizune. Tutti i presenti strabuzzarono gli occhi. Dopotutto non era poi così normale che l’Hokage partecipasse ad una cosa ordinaria come la divisione dei giovani ninja per squadre.
«Iruka, vieni un momento fuori».
Il Chunin guardò Tsunade, poi i ragazzi e poi di nuovo Tsunade. Infine annuì e uscì sull’uscio, scusandosi con gli studenti contrariati e curiosi. In molti si guardarono l’un l’altro, tesero le orecchie ed il leggero chiacchiericcio si spense. Dall’interno si avvertì una conversazione ma nessuno nell’aula riuscì a captare le parole, ed in ogni caso Iruka non ci mise molto a rientrare dentro.
I più attenti però notarono che il suo viso era oscurato da un’ombra sconosciuta. Ombra che comunque scomparve appena il Chunin riprese in mano il foglio con i nomi dei membri delle squadre.
«Benissimo, allora… continuiamo, mh?» Sembrava quasi che cercasse di… sdrammatizzare. Anche se, ovviamente, nessuno poteva immaginare per cosa. Tossicchiò per schiarirsi la voce e sillabò bene le parole per placare il chiacchiericcio. «Team tre: Kanaria Yamanaka, Chun Akimichi, Eiji Nara». I primi due si sorrisero e guardarono verso il terzo nominato, che però restò serio, senza fare una piega né pronunciar parola. «Team quattro: Xiaoyu Amato, Kyu Amane, Ekei Sarutobi».
Iruka passò gli occhi sui ragazzi sugli spalti, tutti entusiasti e elettrizzati, e partì per leggere i membri dell’ultima squadra avvertendo su di sé lo sguardo di tutti.
«E infine il Team cinque è formato da Mayumi Kurotenshi, Hikigaeru no Jiro…» fra Mayumi e Jiro ci fu un sorriso smagliante. «…e Hebi no Nohiro».
Entrambi i ragazzi girarono gli occhi per incontrare le pupille verticali del loro compagno di squadra.
Mayumi sembrava a disagio. A disagio un po’ perché non sapeva se era il caso di sorridere o meno, un po’ per le pacche sulle spalle delle due ragazze che aveva di fianco.
Una di loro le sussurrò: «Dai, non prendertela… dopotutto hai anche Jiro, puoi sempre restare assieme a lui e basta».
Mayumi si irritò. «Guarda che non ho detto che stare in squadra con Nohiro mi dia fastidio, Tsubasa!».
La giovane Nara inarcò un sopracciglio guardandola come fosse aliena. «Come ti pare…».
La biondina si girò di nuovo e si accorse che il ragazzo dai capelli neri la guardava ancora, con un’espressione che sembrava nel mezzo alla contemplazione e all’imbarazzo. Lei distolse lo sguardo, con lo stesso disagio addosso, e incontrò gli occhi neri di Jiro.
Il figlio di Jiraiya aveva un’espressione quasi schifata e, con lo sguardo, pareva supplicare Mayumi di dirgli che stava sognando.
Nohiro, invece, si era come incantato. Scorreva con gli occhi contornati di viola il profilo dell’allieva della Godaime e non sembrava prestare attenzione ad altro.
Si scosse, infine, e incontrò anch’egli il piglio del ragazzo dai capelli platinati. Non c’era niente di amichevole in quegli occhi neri e accigliati. Anche il mio compagno di squadra mi disprezza, pensò il giovane.
Si era fatto illusioni. Aveva immaginato che, lasciata l’Accademia, tutto si sarebbe sistemato e i commenti su di lui, le occhiate maligne, le battute, sarebbero cessati. Aveva immaginato che le sue abilità l’avrebbero fatto risaltare come ninja e che il nome di suo padre non avrebbe più macchiato anche la sua identità, che sarebbe stato rispettato per quel che era, senza più pregiudizi.
Illusioni.
Era ovvio. Dopotutto i suoi compagni venivano dall’Accademia, non da chissà dove. Avevano le stesse idee di sempre su di lui. E nello sguardo del figlio dell’eremita dei rospi aveva letto solo disprezzo. Lo stesso di sempre.
Solo che quella volta c’era stata una differenza. Quel disprezzo, proveniente dall’animo di chi sarebbe poi stato il suo compagno, gli aveva fatto male.
Gli era sembrato di tornare al passato, a quando era bambino che sedeva da solo a mangiare ed ascoltava le raccomandazioni delle premurose madri verso i loro figli, di non avvicinarsi a lui e di non parlargli perché poteva essere pericoloso. Era un bambino, sei anni, non di più. Ma lo giudicavano pericoloso. Ascoltava, ma fingeva di non sentire. Continuava a mangiare e, zitto, si chiedeva il perché di tutto.
Adesso lo capiva il perché, certo: stava nel suo DNA, era per via degli occhi, della pelle, dei capelli… Neanche si ricordava quante volte aveva maledetto suo padre per essere morto, per averlo lasciato, abbandonato ad una vita crudele, senza conforto o amore. Aveva maledetto lui e sua madre, in particolare, perché era morta poco tempo dopo averlo dato alla luce. A questo punto avrebbe potuto tranquillamente morire prima di farlo nascere.
E adesso, quando tutto si sarebbe potuto sistemare, invece ecco che quello che restava non era che fiele.
Mayumi era carina, veramente carina, e si era dimostrata quasi gentile nell’accennargli un sorriso imbarazzato ma poi Nohiro aveva pensato al perché fosse imbarazzata. E aveva avuto l’orribile sensazione che fosse imbarazzata da lui. Di averlo come compagno di squadra. Avvertì una stretta al cuore al pensiero che quella fosse la verità.
E adesso sapeva che sarebbe stata molto più dura, che per quel rispetto che tanto bramava avrebbe dovuto sudare molto di più di quel che aveva immaginato. Una graduatoria non sarebbe bastata.
In quel momento, in quell’aula piena di giovani futuri shinobi, Nohiro decise che non avrebbe mai abbandonato i propri compagni, che avrebbe dimostrato che era meglio degli altri, che di lui ci si poteva fidare.
Lì, in quel momento, il figlio di Orochimaru, il Sannin leggendario e traditore della Foglia, scelse quale sarebbe stata la sua via del ninja.






-----------------


Avviso: i personaggi di Eiji e Tsubasa Nara appartengono a Lolly, ed alla sua stupenda fan fiction “Amori Anomali”, che invito tutti a leggere. Gli avvenimenti dalla sua ff alla mia sono un poco diversi, in quanto io non tengo conto di ciò che è avvenuto nell’ultimo capitolo da lei scritto… e nemmeno terrò conto di ciò che accadrà dopo.

Grazie molte per i complimenti, non potete immaginare quanto le recensioni mi diano la voglia di scrivere un pezzetto in più a questa pazza storia. Avviso subito che ho intenzione di aggiornare ogni martedì. E quindi credo che vi chiederete perché mi metto ad aggiornare di venerdì. XD Ebbene, domani parto per la settimana bianca quindi questo è l’aggiornamento che farei martedì prossimo… e per il terzo capitolo dovrete attendere il 19. ^__^

Passando ai ringraziamenti:
Alfakein, sono felice che ti piaccia la fan fiction, per le coppie posso dirne solo alcune… che le altre sono una sorpresa! XD Ci sarà una ShikaTema, NaruHina, InoCho, NejiTen… e per ora taccio sul resto e sui pairing fra i personaggi di mia invenzione. XP Hanabi, non sai quanto gradisco il tuo commento, dopo aver letto quel capolavoro che è “Kabuto Gaiden”. Per il layout delle < >, l’ho scelto unicamente per abitudine… e siccome ho già scritto quasi trenta pagine con quel layout non ho avuto voglia di stare a cambiarlo. XP Altrimenti adesso ci sarebbero le - - . Uriko, ti ringrazio tantissimo! Se non sbaglio sei stata la prima a recensire la fan fiction e quindi a te va un po’ il merito di avermi infuso il desiderio di posare il resto. ^__^ E’ molto più bello quando vedi che le persone commentano il tuo lavoro e lo apprezzano. Lolly, so perfettamente che Nohiro lo vedi batuffolo. XD Me l’hai detto così tante volte in msn che oramai ho quella parola impressa a fuoco sulla retina. XD Se tu sei felice di avermi ceduto i diritti per Eiji e Tsubasa io sono felicissima di averli diabolicamente ottenuti. Mwa… Ed è bello sapere che non sei delusa dalla storia… altrimenti, forse, mi avresti squartata viva. XD (E, ebbene si, hai indovinato sulla parentela di Nohiro. Anche se non è molto valido, visto che lo sapevi già. XP)

Adesso vi lascio ai commenti, che leggerò la settimana prossima. ^__^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Presentazioni ***


-3-

Presentazioni



Quando Iruka era stato chiamato fuori da Tsunade non aveva assolutamente immaginato di sentire le parole che erano poi state pronunciate.
Adesso egli sedeva a pranzare al chiosco del ramen ma non era concentrato sulla pietanza. Ingoiava cucchiaiate senza avere veramente fame, con la mente persa in quello che era successo appena mezz’ora prima.
I suoi pensieri poi scivolarono verso il Team 5 e su quel che sarebbe accaduto quel pomeriggio.
Quando aveva parlato con la Godaime si era voluto mostrare sicuro delle sue convinzioni ma adesso, ripensando alle parole da loro pronunciate, cominciava a chiedersi se avesse fatto davvero la cosa giusta.

«Mi dica Tsunade-sama».
Iruka notò che fuori dall’aula c’era anche l’eremita dei rospi, Jiraiya, con le braccia incrociate e l’espressione seria. La Godaime guardò proprio quest’ultimo, come cercando una specie di approvazione, prima di parlare.
«Vorremmo che venissero cambiate le squadre».
Iruka si trovò smarrito davanti agli occhi nocciola della Hokage, non capendo questa insolita quanto enigmatica richiesta. «Mi scusi Tsunade-sama, ma non capisco il motivo per cui…».
«Certo che lo capisci». Lo interruppe Jiraiya, la sua voce roca e dai toni bassi. «Lo sai a
quale squadra ci stiamo riferendo».
Iruka aprì la bocca una seconda volta per negare, e fu a quel punto che capì sul serio. «Oh, lei intende dire…».
«Si esatto».
Il Chunin trattenne il respiro per un momento stringendo le labbra. «Capisco la vostra richiesta» cominciò «ma non credo che sia la cosa migliore da fare. So che voi fate pedinare quel ragazzo e lo controllate ma vi assicuro che nessuno di voi tre lo conosce come lo conosco io».
«Non si può dire di conoscere davvero qualcuno finché non se ne vedono anche i lati negativi, Iruka» precisò Tsunade con espressione più seria e determinata che mai.
«Questo è vero Tsunade-sama. Ma è anche vero che lei si sta prevenendo nei confronti di Nohiro. Non è la persona che voi pensate. Inoltre le squadre devono essere bilanciate. E non è che suo figlio» disse rivolgendosi a Jiraiya «abbia eseguito uno scritto poi così bello. Jiro ha delle doti veramente grandi ma non avendo studiato si è classificato ultimo nella graduatoria. La commissione giudica in base all’esame quindi lui doveva stare per forza in squadra con la persona che ha fatto meglio».
L’eremita dei rospi spalancò gli occhi neri, quasi sconcertato, e si protese verso Iruka. «E il migliore è stato Nohiro!?»
Era evidente che anch’egli aveva dato retta alle voci ed aveva immaginato che fosse stato Tomita a classificarsi primo.
Iruka inarcò un sopracciglio, facendo risaltare ancora di più la cicatrice che gli solcava il viso orizzontalmente. «Beh… Si, è stato lui».
Ci fu una velocissima occhiata fra i due Sannin. Iruka però non la intercettò e proseguì col suo discorso. «E Mayumi invece è in squadra con Jiro per la sua grande conoscenza della teoria, che è la cosa in cui Jiro è carente. Per non parlare della loro consolidata amicizia che di certo li aiuterà a fare un ottimo lavoro di squadra». Si fermò a guardare l’Hokage e la sua assistente, poi spostò lo sguardo su Jiraiya. «Quindi le squadre non verranno cambiate».
Prima che i due potessero ribattere Iruka si girò e rientrò nell’aula.
Aveva da finire di suddividere le squadre e gli studenti lo stavano aspettando.


Jiraiya camminava a passo deciso e svelto, puntando gli occhi neri davanti a sé.
Il sensei di suo figlio aveva dato appuntamento al gruppetto di tre al chiosco del ramen.
Prevedibile. Gli spuntò un sorriso in volto: la passione del Jonin che avrebbe fatto la parte finale dell’esame di ammissione a Jiro non era affatto cambiata in tutto quel tempo.
Un uomo lo salutò mentre camminava ma lui non aveva tempo di fermarsi a chiacchierare ora. Era molto più importante arrivare al chiosco del ramen prima che cominciassero le “presentazioni”.
Il Sannin si sistemò i lacci del rotolo gigante sulla schiena e la sua espressione divenne più accigliata.
Iruka si era rifiutato categoricamente di cambiare la squadra di Jiro nonostante lui stesso assieme a Tsunade fosse venuto a richiederlo. E la cosa più sconcertante era la graduatoria… il Chunin l’aveva mostrata a loro due perché capissero e le votazione erano scioccanti. Nohiro aveva veramente fatto meglio di chiunque altro. E questo lo preoccupava.
Gli doleva doverlo ammettere… ma nel Team 5 rivedeva troppo la situazione di più di cinquanta anni prima. Se stesso in suo figlio, Tsunade nella sua allieva… e Orochimaru in Nohiro. Avvertiva un senso di fastidio nel guardare quei tre ragazzini assieme. Anche sentir pronunciare i loro nomi in sequenza per la divisione dei gruppi gli aveva procurato una strana sensazione. Tutto ciò evocava troppi ricordi e, soprattutto, troppe coincidenze.
Se le cose fossero finite come in passato sapeva che avrebbe dato di matto e avrebbe inseguito quel piccolo mostriciattolo di Nohiro fino in capo al mondo pur di farlo fuori una volta per tutte. E poi più nessun erede. Mai più.
Già tredici anni prima si era opposto al fatto di far entrare nel villaggio quell’orfano abbandonato da un ninja del Suono ai cancelli di Konoha. Ma altri avevano detto che i ninja della Foglia non erano assassini, che non potevano abbandonare un neonato a morire al freddo, sotto la pioggia.
Jiraiya si era poi opposto a dare a Nohiro la possibilità di entrare all’Accademia. Non voleva che diventasse un ninja, che il pericolo che era stato solo accennato fino a quel momento potesse diventare realtà insegnando l’uso delle armi e delle jutsu al ragazzino.
Ma di nuovo altri avevano commentato che come ad ogni bambino c’era bisogno di dargli una possibilità perché, dopotutto, non aveva mai fatto male ad una mosca.
Vero. Ma avevano pensato al futuro? A quando sarebbe stato Chunin, o Jonin, addirittura? Che cosa avrebbe fatto? Ovviamente nessuno ci aveva pensato, o perlomeno l’avevano fatto in pochi. Nessuno aveva immaginato che avrebbe potuto intraprendere la stessa strada di suo padre.
E questo era il motivo per cui stava andando al chiosco.
Per spiarli.
Si, esattamente, lui voleva spiare Nohiro per controllare che la situazione non degenerasse, né ora né mai. Si fidava della capacità di controllo del futuro sensei dei tre ragazzini, ma un po’ di meno della sua capacità di giudizio delle persone. Su quello doveva fare ancora un pochino d’allenamento.
Rimuginava ancora su questo argomento, ormai trattato e ritrattato nella sua mente, quando si ritrovò a girare l’angolo che portava al chiosco del ramen.
Si fermò di scatto e si nascose dietro il muro, per poi sporgere la testa e sbirciare la situazione.
Al momento, lì seduto a dondolarsi su un panchetto, c’era soltanto Nohiro.
Jiraiya lo studiò attentamente, come aveva fatto poche altre volte, e ne seguì con accuratezza il profilo affilato, le labbra fini e chiarissime, la linea viola che scendeva dagli occhi dorati e i capelli neri e fluenti legati in una coda bassa da una striscia di garza. Il Sannin non riuscì a spiegarsi la sensazione che provò nel guardarlo. Gli parve di essere tornato indietro nel tempo.
Non riuscì a concentrarsi oltre sul giovane perché in quell’attimo voltarono l’angolo opposto della strada suo figlio assieme a Mayumi.
Stavano chiacchierando animatamente, sorridenti, e ridacchiavano fra di loro. La loro espressione gioviale, però, sparì quando notarono che Nohiro era già lì ad aspettarli. Il ragazzino dal volto bianchissimo girò gli occhi verso di loro e, dopo essersi bloccato per un attimo, accennò un sorriso imbarazzato. Solo Mayumi però ricambiò, col disagio che aveva mostrato quella mattina. Jiro storse la bocca, quasi trattenendosi dal fare un commento acido.
Jiraiya li seguì con gli occhi mentre si avvicinavano, in silenzio, al chiosco del ramen. La ragazza stava per dire qualcosa quando venne interrotta dall’arrivo improvviso di un ninja in divisa.
Il Sannin sorrise. E quindi eri già lì, ed aspettavi solo che arrivassero tutti e tre, non è così? pensò con una punta di divertimento.
I tre ragazzi si erano bloccati e fissavano incuriositi il nuovo arrivato: un Jonin, capelli biondi sparati in testa, con due ciocche più lunghe davanti alle orecchie, occhi sorprendentemente azzurri e tre strisce su ogni guancia, molto simili a dei baffi.
«Buongiorno! Fatto il pranzo ragazzi?»
«Naruto-sama!?» esclamò Nohiro ad occhi spalancati.
«Naruto-sensei» precisò il giovane Jonin alzando il dito indice.
«Wow! E’ lei il nostro insegnante allora…».
«Esattamente ragazzo mio». Naruto allargò la bocca in un sorriso enorme, uno di quelli che da bambino l’avevano sempre caratterizzato.
«Aspetta, la conosco… Lei era l’allievo di mio padre!» esclamò Jiro entusiasta.
«Certo, sono io». Un altro di quei sorrisoni da duro e il dito pollice teso ad indicare se stesso. Ma prima che potessero esser fatti altri commenti Naruto indicò loro di sedersi sugli sgabelli del chiosco. «Allora… credo proprio che non serva che io mi presenti, tanto mi conoscete. Cominciate voi quindi. A partire da sinistra presentatevi e ditemi il vostro nome e, che so, i vostri sogni, quello che non vi piace e quello che vi piace… Su incominciate!».
A Jiraiya sfuggì un altro sorriso: questa l’hai scopiazzata spudoratamente da Kakashi, caro Naruto, pensò ridacchiando.
Jiro pensò per un momento prima di rispondere poi aprì la bocca dando il via ad una specie di parlantina senza fine accompagnata da un’espressione esaltata. «Mi chiamo Hikigaeru no Jiro, come sanno tutti, sogno di essere come mio padre e, se possibile, di ingrandire il mio sfegatato fan club di ragazze. Magari fra un po’ ci entrerà pure Mayumi…».
«Scordatelo Jiro».
Il ragazzino dai capelli platinati le riservò una linguaccia e proseguì prima che Naruto riuscisse ad interromperlo. «Vorrei tantissimo che da grande chiamassero anche me Sannin leggendario! E quello che odio... vediamo… Direi la gente falsa, che sfrutta gli altri per i propri vantaggi».
Nel pronunciare l’ultima parte della frase Jiro abbassò gli occhi, ma il tono della voce si fece più duro. Il Jonin se ne accorse ma non fece commenti. Ora che guardava meglio quei tre che gli erano stati affidati si stava rendendo conto che gli ricordavano terribilmente anche se stesso.
Quegli stessi pensieri, per pura coincidenza forse, o forse no, attraversavano anche la mente del ninja dei rospi acquattato dietro l’angolo della strada. Era come doloroso ascoltare quella conversazione… gli dava la stessa sensazione provata prima nell’osservare Nohiro seduto sullo sgabello. Ma era deciso a non andarsene e ad ascoltare fino in fondo.
«Ok, io mi chiamo Mayumi Kurotenshi, vorrei diventare un ninja medico dei migliori, sulla scia della nostra Hokage e della sua precedente allieva, Sakura; mi piacciono i miei capelli - e tu non guardarmi a quel modo Jiro!- e le chiacchierate fra amici… Non sopporto i litigi, specialmente, ma anche i superficiali, che giudicano la carica di ninja niente più che un titolo senza contare tutto l’impegno che c’è dietro».
Naruto sorrise e spostò gli occhi su Nohiro, rimasto in silenzio per tutto il tempo, sorridendogli per incoraggiarlo a cominciare.
Il ragazzo mordicchiò il labbro inferiore, come se fosse incerto su quel che dire, poi anche lui cominciò il suo discorsetto. «Hebi no Nohiro. Le cose che non sopporto… direi che non ce ne sono… Anche se, pensandoci meglio, ci sono parecchie persone di questo villaggio che non sopporto. Ma preferisco sorvolare. Mi piace sicuramente il ramen…» a Naruto si illuminarono gli occhi «…e anche studiarmi le jutsu e le arti marziali con Iruka-sensei. Da grande… credo che sarebbe bello insegnare all’Accademia o forse stare alla reception di Konoha e spartire le missioni ai vari ninja. Niente di impegnativo comunque».
E con queste parole Nohiro sfoggiò un leggero sorriso a Naruto.
Quest’ultimo lo squadrò per un momento poi sorrise di rimando. E quindi lui non è come credevo che fosse diventato, pensò il biondo ninja, e ad essere sincero sono felice che non lo sia. «Benissimo, ora che ci siamo presentati è bene che vi avvisi che domani mattina dovrete venire alla foresta ai bordi del villaggio, dove c’è la lapide dei caduti in missione. Lì farete contro di me una prova di sopravvivenza che varrà come esame di promozione a Genin». Mayumi aprì la bocca per ribattere ma le parole le morirono in gola ad un gesto della mano del Jonin. «Prima che mi venga chiesto, no, l’esame che avete fatto all’Accademia non vi ha promossi, serviva solo a selezionarvi. Se passerete quello di domani diventerete shinobi a tutti gli effetti, altrimenti tornerete a scuola. Era questo che volevi chiedere Mayumi?».
La ragazza con espressione scioccata dalla notizia rispose con voce balbettante: «Beh… effettivamente si…».
«Spero stia scherzando, sensei!» esclamò Jiro sconcertato. «E’ stato solo per la prova di pratica che sono passato, non vorrà dirmi che c’è da fare un altro esame ancora!».
«E’ proprio così invece» rispose il biondo scoppiando a ridere. Si ricordava di se stesso… un tempo aveva avuto la stessa reazione a quella notizia veramente poco rassicurante.
«In che consiste l’esercitazione di domani?».
Naruto si voltò verso Nohiro, l’autore della domanda, mentre Jiraiya lo squadrò dalla sua postazione. E così tu nemmeno ti spaventi, a quanto pare… queste le parole che presero possesso della mente del Sannin.
«In che cosa consiste lo vedrai domani Nohiro» rispose il Jonin. «Adesso andate a riposarvi a casa e, mi raccomando, non mangiate o vomiterete. Arrivederci!».
I tre ragazzi restarono imbambolati sugli sgabelli per un momento poi Nohiro si alzò in piedi. Lo fece perché sapeva che altrimenti si sarebbe creato un imbarazzante silenzio. Molto meglio andarsene subito e lasciare i due amici a parlare da soli.
«A domani».
Jiro non rispose, come l’altro pensava, e per fortuna Nohiro non vide l’espressione di insofferenza che aveva in volto il compagno di squadra. Mayumi invece rispose con un «A domani» abbastanza stentato.
Jiraiya si sarebbe dovuto tranquillizzare che nei sogni del giovane dagli occhi paglierini non ci fosse la distruzione di un villaggio o l’uccisione di qualche Hokage, ma in realtà questa apparente fedeltà a Konoha lo mise ancora più in guardia.
Che Nohiro fosse così subdolo da nascondere i suoi veri pensieri già a quell’età?
O magari sono io che sono paranoico.
Ma no, non si fidava comunque. Avrebbe continuato a controllare quei tre a distanza e sarebbe intervenuto se, in un dato momento, Naruto non fosse stato presente.







----------------




Come promesso, aggiornamento di martedì.

Desidero fare un unico appunto sui cognomi e su un'altra cosuccia. Dunque, è chiaro che Jiraiya e Orochimaru non hanno un cognome, o perlomeno Kishimoto non ce l’ha rivelato. Dunque, per Jiro e Nohiro, mi sono rifatta al cognome di Gaara (Sabaku no, ovvero “del deserto”) ed ho tradotto “dei serpenti” con Hebi no e “dei rospi” con Hikigaeru no.
L’altra cosa potrebbe essere spoiler, ma mi manterrò sul vago. Come ho già detto, non tengo conto di ciò che è avvenuto dal capitolo 380 del manga in poi… quindi troverete vivi personaggi che in realtà sono morti, ed anche il contrario. Dopotutto sono passati tredici anni dal periodo in cui è ambientato NARUTO Shippuuden originale. Questa mia storia è talmente lunga che forse vi stancherete pure di seguire tutte le disgrazie e avventure del mio carissimo Nohiro e dei suoi due compagni… inoltre, come avrete notato, i protagonisti non sono affatto i personaggi quali Naruto, Sakura ecc. ma i miei originali.

Ok, finito questo commento interminabile, passiamo ai ringraziamenti.

Alfakein, la formazione del team era chiaramente scontata. Ho presentato Jiro e Mayu nel primo capitolo apposta per anticipare questa formazione. ^__^ Ma sono felice che il capitolo ti piaccia. Essì, viva i Nara. XD Killkenny, non sai quanto apprezzo il voto 10. o__o Mi sembra quasi esagerata una votazione simile subito al secondo capitolo, ma sono felicissima! Per le tue supposizioni sui due giovincelli… beh, ne vedremo delle belle, questo è certo! XD Inoltre, con Naruto come loro sensei, figuriamoci…

Devo dire che ci ho messo un po’ prima di decidere di dare a Naruto questo ruolo, ma alla fine ho pensato fosse quello più adatto per dargli una parte centrale nella fic. E ancora non si sa come fa Nohiro a conoscerlo meglio degli altri due e perché gli affibbia il suffisso “sama”… Mwahaha! Mi divertirò!

Inutile dire che apprezzo moltissimo chi lascia una recensione, e non manco di ringraziare i cinque che hanno aggiunto la storia nei loro preferiti. ^__^

Aggiornamento martedì prossimo!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Due bei campanellini ***


-4-

Due bei campanellini




Con il suo immancabile kimono indosso, Nohiro di nuovo si ritrovava a correre per le strade di Konoha, nel tentativo di arrivare prima degli altri al luogo dell’appuntamento.
Non aveva fatto colazione, come Naruto-sensei aveva detto… anche se questa cosa del “non mangiate e vomiterete” gli puzzava un po’. Da quando in un’esercitazione, per quanto difficile, si vomita?
Tralasciando il fatto che quella non era un’esercitazione qualsiasi: Naruto-sensei come avversario, in un vero e proprio test di ammissione.
Problematico.
La sua mente non aveva mai lavorato così febbrilmente prima di quel momento, e già il pomeriggio del giorno prima era rimasto per più di tre ore a ripassare jutsu, rotoli di tattiche, di arti marziali. Gli era persino passato per la mente di andare da Iruka-sensei a farsi dare qualche suggerimento, o qualche anticipazione… ma poi gli era sembrato ingiusto nei confronti dei suoi compagni. La funzione di tutto ciò era quello di giudicare qualcuno in base alle proprie capacità e, anche se il compito di un ninja è prevenire l’avversario, quello non voleva dire prevenire ma imbrogliare.
Era talmente concentrato su quel che sarebbe successo di lì a poco che non fece affatto caso al fatto di esser già arrivato al luogo dell’incontro. Gli alberi, l’erba, la lapide ai caduti… Si, era sicuramente quello. Le pupille serpentine si posarono su tre tronchi conficcati nel terreno, uno di fianco all’altro. Sopra uno di essi ci stava una sveglia.
Un attimo dopo sentì alle sue spalle, dietro la vegetazione, la voce allegra di una ragazza ed un altro ragazzo. Jiro e Mayumi, sicuramente. I due entrarono nella radura e immediatamente le loro voci si affievolirono fino a spegnersi. Nohiro sentiva i loro sguardi bruciargli sulla nuca.
Finalmente Mayumi si avvicinò a lui e salutò con una punta di incertezza. «Buongiorno Nohiro…»
Lui si bloccò un secondo. Non se l’aspettava. «Buongiorno a te». Girò quindi gli occhi su Jiro e, con uno sforzo reso ancora più duro dalla consapevolezza del rifiuto, cercò di sorridergli.
La pena di vedere un’espressione ostile sul volto del ragazzo dai capelli bianchi gli fu risparmiata da una quarta voce che risuonò nella radura.
«Siete già qui? Perfetto! Possiamo cominciare subito allora!»
Naruto era in piedi vicino ai tronchi con le braccia incrociate e lo sguardo gongolante.
Già Jiro e Mayumi lo osservavano con sguardo teso, Nohiro invece, prima di girarsi verso il suo sensei, indugiò con i profondi occhi color del miele sulla lapide. Cercava un nome…
«Bene! Vedete questa sveglia in cima al tronco? E’ sul mezzogiorno. Quando suonerà, l’esame sarà interrotto e, in questo lasso di tempo voi dovrete assicurarvi che… …Nohiro? Mi stai ascoltando?» Gli occhi color del cielo di Naruto si posarono interrogativi sul volto pallido del ragazzo. Sembrava contemplare la lapide dei caduti con estrema attenzione.
Nohiro si riscosse, come da una specie di trance. «Si sensei, mi scusi. La ascolto.» Evitò accuratamente lo sguardo incuriosito dei suoi due compagni puntato su di lui.
«Allora, dicevo… Vedete questi?» E tirò fuori due campanelli dal giubbotto stendendo il braccio e sventolandoli davanti ai visi attenti dei tre ragazzini, uno per uno. «Sono due campanellini… anche abbastanza belli… suonano pure, ascoltate!» Naruto fece ballonzolare le due campanelle vicino al proprio orecchio per qualche attimo. «Ebbene, voi dovrete riuscire nell’arduo compito di sottrarmi questi due piccoli preziosi oggetti, o salterete il pranzo!»
«Ecco perché ci ha detto di non mangiare…» Commentò amareggiata Mayumi, riavviandosi una ciocca riccioluta dietro l’orecchio. Il sole le faceva splendere magnificamente la chioma bionda e gli occhi azzurri erano quasi più chiari di quelli di Naruto.
Jiro aveva un’espressione ebete stampata in faccia, non era ben chiaro il suo stato d’animo, e Mayumi non ricavava nulla dalle fugaci occhiate interrogative che gli lanciava, non trovava nessun contatto visivo: gli occhi neri ed acquosi dell’altro erano puntati su Naruto, non sembrava sentire altro che le parole del Jonin. Nohiro oltremodo aveva l’attenzione completamente dedicata alla spiegazione e ad una possibile strategia da usare.
«Se, per qualche misterioso colpo di fortuna, riuscirete nell’impresa, chi avrà i due campanellini si assicurerà una ciotola di ramen caldo e la promozione a Genin.»
Jiro fissò Naruto intensamente poi scoppiò a protestare: «Ma Naruto-sensei, i campanellini sono solo due! Come può pensare che…?»
Il Jonin alzò una mano e atteggiò il viso in un’espressione autoritaria e severa; quell’espressione era abbastanza rara sul viso solare del giovane uomo, ma, quando quella tenue durezza di chi non ammette repliche prendeva possesso dei suoi occhi blu, erano pochi quelli che si azzardavano comunque a spiccicare parola.
«Beh, giusto, i campanellini sono solo due… quindi sicuramente uno di voi non si beccherà il premio in palio e, come ho detto ieri, tornerà a scaldare i banchini dell’Accademia. Ovviamente, nel caso molto probabile che nessuno di voi riesca a prendere i campanellini, io mi mangerò le vostre porzioni!»
Mayumi aveva ancora una faccia semi-scioccata, Jiro invece aveva del tutto cambiato atteggiamento. Che fosse stata la prospettiva di tornare a scuola o qualcos’altro, a nessuno era dato saperlo.
Fatto sta che esibì un enorme sorriso verso Naruto e, esultante, piantò le mani sui fianchi esordendo con tono di sfida: «Naruto-sensei, le giuro che prenderò uno di quei campanellini con le mie sole forze!»
A Naruto scappò da ridere. «L’importante è crederci… e…pff… e mettercela tutta… huhuhu…» Tratteneva a stento una risata.
Jiro aggrottò le sopracciglia, palesemente irritato, e gonfiò il petto facendo risaltare le due strisce rosse che gli solcavano le guance dalla palpebra inferiore alla mandibola. «Non sottovaluti il figlio del grande Jiraiya, Naruto-sensei!»
Naruto sorrise, di uno dei suoi sorrisi a trentadue denti. «Ok, ok… Adesso via, comincia la prova! Scattare!»
Il Jonin batté le mani due volte a sottolineare il suo comando.
Nohiro, che fino a quel momento era rimasto silenzioso ed in ascolto, si girò all’improvviso seguito da una imbambolata Mayumi e un Jiro alquanto convinto e tronfio.
Naruto rimase per un momento a guardarli allontanarsi nella boscaglia: avevano tutti e tre imboccato lo stesso sentiero. Rimase ancora immobile con un’espressione indecifrabile in faccia, poi il labbro inferiore iniziò a tremargli e gli occhi ad inumidirsi, come se fosse commosso da qualcosa… Ma da cosa?
Semplice, lo si capì poco dopo. Con una faccia assolutamente esaltata, piegò le braccia stringendo i pugni fino a portarli sotto al mento e guardò verso il cielo, con due lacrimucce a inumidirgli le ciglia. «Kami-sama! Erano anni che volevo fare questa cosa! Alla faccia di Kakashi!»
Un paio di occhi nerissimi da dietro un cespuglio poco lontano lo guardarono con rassegnazione.
“Uzumaki Naruto, per te la serietà proprio non esiste…”

Nohiro era stato così veloce a scattare verso la boscaglia che adesso precedeva gli altri due di circa dieci passi. Non sapeva con precisione dove stavano correndo, né perché gli altri due gli venivano dietro, ma l’idea generale era “un posto tranquillo lontano dal sensei”.
Gli occhi di paglia si spostavano lesti da un angolo all’altro della zona, attenti ai particolari… ma in realtà la mente del giovane correva ai momenti trascorsi un secondo prima. Era tempo che non stava vicino a due persone da poco conosciute senza essere scansato… probabilmente perché Naruto-sensei aveva completamente attratto l’attenzione degli altri due tredicenni.
Anche la sua era stata indirizzata unicamente verso la prova; tranne che per quel momento in cui Jiro aveva esaltato le sue capacità citando Jiraiya, suo padre. Una profonda amarezza in quel momento aveva catturato il cuore ed il volto diafano di Nohiro: lui non avrebbe mai potuto fare altrettanto. Anzi, meno suo padre veniva nominato, meglio era per lui.
Improvvisamente si fermò, in silenzio, ed altrettanto fecero gli altri due. Presumibilmente anch’essi non erano coscienti del perché lo stessero seguendo.
Nohiro si girò verso di loro, avvertendo fra i capelli una fresca brezza tipica delle mattine invernali soleggiate. Mayumi pareva in procinto di dire qualcosa, ma, non appena incontrò con gli occhi azzurri lo sguardo penetrante del giovane, chiuse la bocca in un silenzio imbarazzato. Jiro si affiancò a lei con sguardo truce.
Ecco, era il momento. Nohiro sapeva che non sarebbe riuscito a rimandarlo per molto… prima o poi avrebbe dovuto scambiare qualche parola con quei due, in un caso o nell’altro.
Fu colto dall’indecisione. Non aveva mai parlato in pubblico, e le poche volte che era stato costretto a farlo c’era sempre stato il maestro Iruka a fornirgli un appoggio.
Si fece coraggio pensando che, dopotutto, lo faceva per la buona riuscita dell’esercitazione e per il bene della squadra.
Strinse le labbra fini e chiuse un momento gli occhi prima di cominciare. «Sentite…» Mayumi alzò gli occhi su di lui, sorpresa; Jiro non aveva mai distolto lo sguardo. «Ho un’idea per prendere quei due campanellini. Credo che funzionerebbe se ognuno fa la sua parte in modo accettabile…»
Jiro fece un passo avanti e Nohiro non ebbe l’ardire di proseguire il discorso ignorandolo. Il ragazzo dai capelli bianchi fissò con gli occhi nerissimi quelli paglierini e sottili di Nohiro. «Senti tu, ma credi che noi non si sappia chi sei?» Nohiro dilatò un momento le palpebre. Poteva immaginare che parole sarebbero seguite, le aveva già ascoltate così tante volte da averle stampate nella memoria, ma non si aspettava che a dirle sarebbe stato un suo compagno di squadra, proprio in quel momento. «So perfettamente chi sei» proseguì Jiro «So chi sei e non mi fido di te. Non ho nessuna intenzione di stare ad ascoltarti, posso fare benissimo da me questo esame e del tuo aiuto non ho bisogno. E non ho bisogno nemmeno della tua idea.»
Con questo tono secco, infuso di rancore, il figlio dell’eremita dei rospi girò i tacchi e sparì dietro la boscaglia. Mayumi si girò a sua volta e lo seguì con gli occhi, troppo buona per volersi mettere a litigare con lui proprio in quel momento. Ma non gli andò dietro e rimase lì nella radura, lanciando una veloce occhiata a Nohiro. Le sembrava quasi… affranto.
Per Nohiro quelle parole sferzanti, che avrebbe dovuto aspettarsi, anzi, che si era aspettato, furono cento volte più dolorose di quel che pensava. Abbassò lo sguardo e si fissò i piedi, chiusi dentro i sandali da ninja. Aveva dentro una sensazione indefinibile, come di vuoto… un vuoto colmato da antiche ferite che si riaprivano nel suo cuore.
Gli parve quasi che di lì a poco avrebbe pianto.
Ma fu riscosso da una mano delicata appoggiata sulla sua spalla. «Non prendertela, dai…»
Il ragazzo alzò il viso liscio e bianchissimo ed incontrò lo sguardo azzurro di Mayumi, consolatorio, infuso di un’incerta gentilezza. Il cuore gli mancò un battito nell’osservare da vicino quella ragazzina poco più bassa di lui.
Nohiro fece un passo all’indietro non appena lei tolse la mano dalla sua spalla, e, con un tocco di amarezza sorrise abbassando lo sguardo.
Lei proseguì torcendo la testa nel tentativo di intercettare i suoi occhi, il punto indefinito in cui guardavano. «Dì a me la tua idea».
Nohiro finalmente incontrò gli occhi di lei, smettendo di osservare lontano. Provava un’immensa gratitudine per quell’unica frase da lei pronunciata e quella gli bastò per non avere incertezze nell’iniziare a parlare. «Beh, visto che…» si fermò un attimo «visto che Jiro-kun non c’è, non posso fare quello che avevo in mente. Posso comunque adattare la strategia per due sole persone…».
Lei lo incoraggiò con un altro sorriso. «Dimmi tutto, io farò il possibile».
Nohiro passò la mano destra fra i capelli legati con la garza e ne catturò una ciocca, riavviandola dietro l’orecchio. La luce del sole brillò per un attimo sul suo viso, attraverso le fronde, illuminandogli gli occhi e definendo sulla pelle chiarissima il contorno dell’ombra delle foglie.
«Bene» sorrise il ragazzo. «Ascoltami…».







--------------------------








Ed eccomi col quarto capitolo!

Che dire, stavolta non ho granchè da commentare, se non che questa storia mi sta appassionando da impazzire. E questo grazie anche a tutti coloro che spendono un pochetto di tempo per leggere e per recensire. E ovviamente grazie anche al mio ragazzo nonché “redattore” e consigliere personale che, nonostante non sia su EFP, è quello che legge sempre tutto in anteprima e mi corregge gli odiosissimi errori di battitura. Lo amo troppo. *-* (Se mai vedrà questo messaggio gli prenderà un colpo. XD)

Adesso ringrazio:

Lilithkyubi, sono felice che la storia sia di tuo gradimento, visto che, di solito, le originali sono quelle più difficili da portare avanti. In quanto a Nohiro avremo delle sorprese… tante sorprese… *risata malefica* Non ho accennato altre coppie perché, diciamo, sono di “contorno” a quelle principali, mentre sui personaggi originali mi cucio la bocca, che deve essere una sorpresa. XP Per Gaara… beh, sarà una sorpresina pure questa. XD (Anche se, dai, posso dirti che in effetti è sposato con Matsuri XP). Le tue previsioni su questo capitolo erano esattissime, come da titolo del cap. XP E ti ringrazio enormemente per il voto 8. Marty9210, un grazie enorme per i complimenti! Non so se me li merito tutti, ma spero vivamente di si. XD Leggiti il capitolo con calma, è qui pronto per te. XD

A martedì prossimo!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Una strategia quasi perfetta ***


-5-

Una strategia quasi perfetta




Jiro, con passo sostenuto, quasi sbattendo i piedi sul terreno duro, si muoveva in senso contrario rispetto alla radura dove Mayumi si era fermata con quel serpente.
Il ragazzo serrò la mandibola nel ripensare a quegli occhi odiosi dalla pupilla verticale puntati su di lui. Non gli era mai capitato di provare dentro di sé un tale astio per qualcuno… ma adesso come poteva evitarlo? Ricordava benissimo le parole che spesso aveva pronunciato suo padre a proposito del mostro il cui sangue scorreva nelle vene di Nohiro. Aveva persino avuto il coraggio di farsi chiamare con lo stesso cognome, Hebi no.
Il ragazzino dai capelli platinati strinse i pugni. La cosa che più lo irritava era che Mayumi insisteva a dire che era lui, Jiro, a sbagliarsi nel giudicare.
Puah!
E veniva pure a dire che aveva un’idea per terminare la prova! Ma chi credeva di fregare?
Probabilmente ne avrebbe approfittato per prendersi lui entrambi i campanellini. Ed oltre questo, lui aveva promesso a Naruto-sensei che avrebbe preso un campanello con le sue sole forze… suo padre gli aveva insegnato a non rimangiarsi le promesse e lui non l’aveva mai fatto; non avrebbe di certo cominciato adesso.
Lentamente giunse alla radura con i tre tronchi. Naruto era sdraiato a terra, con un filo d’erba in bocca.
Incredibile! Voleva prendersi gioco di loro forse!?
Indignato, Jiro si chinò fra i cespugli, facendo più attenzione possibile a non schiacciare rametti secchi o calpestare foglie cadute: il minimo scricchiolio avrebbe potuto rivelare la sua posizione. Muovendo passi silenziosi si avvicinò fino al punto in cui la vegetazione verde spento, tipicamente invernale, iniziava a diradarsi, piantò gli occhi neri sul sensei, beatamente sdraiato, e tese i muscoli, pronto ad uno scatto.
Con un fulmineo spostamento d’aria si scagliò nello spazio aperto che lo separava dal Jonin, lanciando una specie di urlo di battaglia all’ultimo momento. Vide Naruto spalancare gli occhi per lo stupore, ma già lui gli era sopra, sfoggiando un sorriso di trionfo mentre gli agguantava il giubbotto della divisa.
Purtroppo la vittoria fu di breve durata: con sorpresa Jiro avvertì qualcosa cedere sotto di se, come se il terreno fosse venuto a mancare e, in una fumosa nuvoletta, si ritrovò pancia a terra. Di fianco a lui non c’era proprio nessuno.
Dannazione! Dannazione, era una stramaledetta copia!
Con un moto di rabbia il ragazzino si alzò in piedi scuotendosi la polvere dal corto kimono e dai pantaloni.
«Non pensare che sia così semplice, ragazzo mio…» commentò una voce divertita alle sue spalle.
Jiro si girò di scatto scorgendo immediatamente, ad una ventina di passi di distanza, il Jonin, tronfio e gongolante.
Il ragazzino serrò le labbra e fissò gli occhi azzurri del suo insegnante. «Le prenderò quei campanellini, Naruto-sensei!».
Naruto sorrise come se avesse avuto in serbo qualcosa di molto particolare. «Se li vuoi, dovrai trovarli.» Sigillo della tigre.
«Kage Bushin no jutsu!».
Con queste chiare parole decine di nuvolette polverose apparvero nella radura con i loro scoppiettii… e Jiro si ritrovò davanti decine di copie di Naruto.

Nohiro e Mayumi, sotto le direttive del ragazzo, si fermarono al limite della radura dei tre tronchi, guardando Jiro dannarsi con le copie del sensei. Il ragazzo dai capelli bianchi aveva la faccia determinata ma anche abbastanza incavolata, in quanto, ogni volta, si rendeva conto di essersi avventato non contro il vero Naruto ma contro una copia.
Ed inevitabilmente quella spariva.
Nohiro smise di osservare l’altro ragazzo e guardò verso Mayumi che, davanti alla scena, scuoteva lentamente la testa con aria rassegnata. Non si azzardò a toccarle un braccio per farla voltare; non sapeva perché, ma gli riusciva difficile anche solo sfiorarla. La ragazza, forse, si accorse che il suo silenzioso compagno era concentrato su di lei e si voltò improvvisamente strappandogli un impercettibile sussulto.
«Partiamo?»
Lui annuì energicamente, forse ancora un poco scosso, e diresse gli occhi d’ambra verso il fondo della radura, indicando un punto. Mayumi si chinò un poco di più fra la vegetazione e seguì la direzione del dito affusolato del ragazzo.
«Laggiù fra i cespugli c’è il sensei.» Sentenziò.
Lei lo guardò con gli occhi un po’ dilatati e aprì e richiuse la bocca senza saper che dire, stupita dalla rivelazione.
Nohiro annuì con sicurezza. «E’ nascosto e guarda Jiro-kun combattere con le copie».
Mayumi scrutò con più attenzione poi le si illuminarono gli occhi azzurri non appena prese coscienza della posizione di Naruto. «Quindi come intendi mettere a punto quel che mi hai spiegato prima?».
Nohiro strinse le labbra con aria pensierosa. «Dunque… fai il giro della radura e attacca Naruto-sensei alle spalle. Costringilo ad entrare in campo aperto, io ti supporterò da qui con un paio di illusioni. Sii discontinua, addirittura scoordinata se puoi…» Guardò un momento verso l’impegnatissimo Jiro con uno dei suoi rari quanto effimeri sorrisi. «Prendi esempio da lui, tanto per capirsi» completò con una sfumatura di ironia.
Mayumi lanciò un’occhiata all’amico dagli occhi neri con una risatina cristallina. Un riso che ebbe il potere di imprimere uno slancio di buon umore anche al giovane dai setosi capelli corvini. Subito, però, serietà e concentrazione ripresero possesso del suo volto affilato.
«Quando Naruto-sensei sarà concentrato sui tuoi attacchi io scatterò verso di voi e mi occuperò di prendere entrambi i campanellini. Non è il piano migliore che potessi inventarmi, ma siamo solo in due…» Guardò quindi verso Jiro con un’espressione talmente amareggiata da risultare quasi commovente.
Di nuovo Mayumi si fece avanti e gli sfiorò un braccio nella speranza di attirare su di lei l’attenzione del ragazzo. Mai mossa fu più riuscita: Nohiro si girò con una velocità tale di far sembrare che gli avessero dato una scossa elettrica.
«Jiro è soltanto uno stupido cocciuto. Passaci sopra» lo rincuorò guardando nel frattempo di sottecchi l’altro ragazzo, ovviamente ancora impegnato ad assaltare sempre più rabbiosamente le copie del sensei e completamente ignaro dei due spettatori acquattati fra le piante.
Mayumi si scostò da Nohiro preparandosi a girare attorno alla radura. «Vado».
Nohiro annuì. «Buona fortuna». E tornò a concentrarsi sulla frenetica azione che si svolgeva lì poco distante.
La ragazza corse via con le labbra contratte dalla determinazione e Nohiro, nonostante fosse rimasto girato di spalle, la seguì con la coda dell’occhio finché non sparì definitivamente alla sua vista.

Mayumi camminò rasente al terreno premurandosi di rendere silenziosi i suoi movimenti.
La maglia bianca senza maniche non era stata la miglior scelta di vestiario per quella prova: un po’ troppo cangiante, forse. E ora che ci pensava non era stata granchè, come scelta, neanche mettere la maglia a rete con le maniche lunghe sotto la canotta: le irritava la pelle in modo fastidioso.
Improvvisamente si bloccò aggrottando le sopracciglia. Adesso mi metto a pensare ai vestiti invece che al mio compito? si disse contrariata.
Scosse la testa e riprese ad avanzare.
Come sottofondo aveva i rumori irosi provenienti dal centro della radura, dove Jiro si ostinava a colpire ogni copia nel tentativo di trovare il Jonin originale. Se solo quel ragazzo si fosse degnato di ascoltare i comuni mortali avrebbe capito che il sensei non faceva altro che godersi la scena dal suo nascondiglio. Certe volte il suo amico d’infanzia era veramente testardo.
Nohiro invece… beh, Nohiro era una sorpresa. Prima di quel momento non aveva mai parlato con lui, anche se, ovviamente, lo conosceva. Adesso che aveva scambiato due parole con quel giovane dalla pelle bianchissima si rendeva conto che la sua teoria era esatta: era solo un ragazzo a cui mancava l’amore di qualcuno, ma aveva l’impressione che, al contrario, fosse una persona capace di darne molto. Dopotutto, stare ad ascoltarlo mentre le spiegava la sua strategia non era stato poi così sgradevole.
La gente avrebbe dovuto cambiare opinione su di lui. Non era un mostro. Non era come suo padre.
Presa da questi pensieri, quasi non si accorse di essere sopraggiunta talmente vicino al suo insegnante che sarebbe bastata un'altra decina di passi per arrivargli letteralmente addosso.
Si fermò acquattata assicurandosi che il biondo ninja fosse concentrato a sghignazzare davanti alla performance di Jiro.
Un respiro profondo, poi un altro.
Doveva essere silenziosa più dell’aria; chiudendo un momento le palpebre sopra gli occhi azzurri, si concentrò sui suoi muscoli, si preparò a scatenarsi. Poi, aprendo gli occhi improvvisamente, si tese e scattò con un urlo.
Naruto spalancò gli occhi, sentendo quel suono dietro di sé, girò appena la testa con espressione sbigottita prima di ritrovarsi quasi addosso la ragazzina, in un turbinio di riccioli biondi. Ebbero entrambi il tempo di scrutarsi in faccia per un centesimo di secondo: su quella del Jonin si scorgeva l’assoluta sorpresa, su quella della kuinoichi una determinazione trasudante dalle sopracciglia chiare aggrottate e dalle labbra serrate. Il centesimo di secondo successivo, Mayumi era atterrata dove stava Naruto un attimo prima, mentre lui era uscito dai cespugli con un balzo.
La ragazza non perse secondi e si lanciò una seconda volta verso il suo insegnante, stavolta non saltando ma correndo, provando con tutta sé stessa a seguire le istruzioni di Nohiro: “sii discontinua”.
Il giovane dai capelli neri aveva seguito l’azione con soddisfazione e concentrazione, pronto ad utilizzare le Genjustu che Iruka-sensei gli aveva insegnato: in un attimo, dietro lo sguardo dorato e compiaciuto di Nohiro, apparve una seconda Mayumi alle spalle del sensei, armata di shuriken.
La vera ragazza guardò per un momento infinitesimale la propria copia con ammirazione, sapendo di non averla creata lei stessa e, nello stesso tempo, rendendosi conto che Nohiro aveva ampiamente tenuto fede alla parte di piano che lo riguardava.
Naruto guardò velocemente le due giovani dall’aspetto identico, con aria ancora alquanto meravigliata mentre anche lo stesso Jiro, agganciato con una posa piuttosto aerodinamica al collo di una delle copie nella radura, girò gli occhi neri sulla scena, attirato dalla confusione.
Mayumi si chinò davanti al Jonin all’ultimo momento, mollando un pugno ben assestato sui suoi stinchi mentre l’altra Mayumi lanciò l’arma che stringeva fra le dita verso la testa dell’insegnante.
Sul volto di Naruto apparve un sorrisetto: sparì immediatamente, ma per un piccolo frangente ci fu. Gli occhi celesti della ragazza non lo colsero, ma quelli ambrati di Nohiro sì… ed il ragazzino non riuscì a fare a meno di pensare che cosa fosse passato per la testa del suo insegnante.
Naruto, non sapendo quale delle due Mayumi fosse quella vera, saltò per evitare il pugno diretto alle sue caviglie e, in aria, piroettò ad una velocità incredibile estraendo uno shuriken a sua volta e tirandolo ad intercettare l’altro. Le due armi cozzarono, poi quella lanciata da una delle due Mayumi scomparve nell’aria, identificandosi come un illusione, mentre quella del Jonin proseguì il suo tragitto fino a conficcarsi sul ramo di una quercia ai margini della radura.
Con questa mossa Naruto si spostò per squadrare le due ragazze, conscio di quale fosse l’illusione e quale no.
Jiro aveva seguito la scena sbalordito, mentre apprendeva l’allucinante e odiosa consapevolezza che il vero Naruto era quello con cui era alle prese Mayumi. In quel frangente statico la copia a cui stava stringendo la giugulare sparì con un sordo puff facendo cadere rovinosamente faccia a terra il giovanotto. Imprecando, il figlio dell’eremita dei rospi si alzò, tentando di ripulire il corto kimono bianco dal fango per quel che gli era possibile.
«Ehi Mayu!» chiamò il ragazzo lanciandosi verso la compagna. «Aspett… ouf!» Non fece in tempo a finire la frase che un peso improvviso sulla schiena gli fece mancare il respiro e lo fece cadere a terra per la seconda volta in meno di un minuto, schiacciandolo.
Le copie di Naruto sghignazzarono.
«Ma che diavolo…?» Se pur gli risultasse estremamente difficile, Jiro torse il collo finché non riuscì a vedere che cosa lo bloccava sul terreno, ed i suoi occhi acquosi incontrarono… un rospo rosso alto un metro vestito con un armatura.
«Che cosa!? Tu! Lasciami subito!» strepitò il giovane, pestando rabbiosamente i pugni sul freddo terreno invernale. «Lasciami, ho detto! Sono figlio del Sannin dei rospi! Se non mi lasci lo dico a mio padreeee!!» urlò con quanto fiato aveva in gola, con espressione furente… Ma, sotto gli occhi delle copie ridacchianti che iniziavano a sparire in nuvolette, il rospo evocato dal sensei non si mosse di un centimetro, anzi, quasi sembrò che cercasse di trovare una posizione più comoda per stare sopra la schiena di Jiro.
Naruto, alle prese con Mayumi e l’illusione, si concesse comunque un attimo per gongolarsi davanti allo spettacolino in corso una ventina di metri più in là. Era bastato che lo shuriken scomparisse per capire quale delle due era la vera ninja; anche Mayumi sapeva di essere stata scoperta e, allarmata, non aveva idea di come poter risolvere la situazione.
Nohiro, però, non era rimasto nascosto per niente. Vedere la ragazza in quella circostanza alquanto problematica gli procurò una strana sensazione di urgenza e, con ancora più velocità del solito, elaborò e mise in atto il modo più veloce per aiutarla: l’illusione si lanciò a corsa contro il Jonin ma non si fermò vicino a lui; proseguì, arrestandosi solo quando fu abbastanza vicina alla ninja originale e, lì, sparì in una nuvoletta di fumo.
Naruto scrutò con attenzione il vapore biancastro ma da lì in mezzo non uscì nessuno. Quando il fumo si diradò c’erano di nuovo due ragazzine identiche in posizione d’attacco.
Mayumi, lanciò uno sguardo alla sua copia… e ringraziò mentalmente Nohiro: adesso il sensei non aveva più nessun modo per distinguere l’illusione dall’originale.
Mayumi lanciò uno sguardo al cielo che si stava schiarendo, mostrando il sole già alto sopra la sua testa.
Poi, con una luce determinata negli occhi, attaccò di nuovo assieme all’illusione. Una volta un balzo, un'altra un calcio, un'altra ancora uno scatto: nessuna coordinazione, proprio come Nohiro le aveva chiesto. Il Jonin schivava molto facilmente ogni slancio ma, inesorabilmente e inconsapevolmente, indietreggiava a piccoli passi verso il bordo della radura. L’espressione caratterizzata dal sorriso sfacciato e soddisfatto non abbandonò per un momento il suo volto e, di tanto in tanto, faceva tintinnare i campanellini in modo provocatorio. Questo non sembrava però turbare le due Mayumi che, imperterrite, proseguivano con i loro attacchi scomposti; al contrario Jiro, ancora incollato all’erba, guardava con un misto di rabbia e incredulità la scena, senza mai accennare a smettere di cercare di togliersi di dosso il grosso rospo.
Fu una cosa velocissima: ci fu come un’intesa invisibile fra Mayumi e Nohiro, e la ragazza, quando fu certa di aver portato il sensei abbastanza vicino alla vegetazione, attaccò con uno scatto definitivo, contemporaneo all’illusione.
Naruto si preparò a schivare le due ma, a dispetto di ogni altro salto, l’illusione scomparve in una nuvoletta a pochi metri dal Jonin, mentre l’altra ragazza si fermò con espressione soddisfatta e sicura.
Una figura, così veloce da entrare nel campo visivo del ninja solo all’ultimo istante, uscì dai cespugli con una corsa, puntò dritta verso di lui, si chinò tendendo il braccio in avanti, passò a qualche centimetro dal Jonin e, dopo che un leggero stack ebbe risuonato nell’aria, proseguì con la sua corsa, arrestandosi solo dopo essere giunto a distanza di sicurezza da Naruto.
Il biondo Jonin fece in tempo appena a spalancare gli occhi e registrare il passaggio della figura, Jiro appena era riuscito a capire che cosa era accaduto. Ma, quando Nohiro si girò riavviandosi dietro l’orecchio una ciocca di fluidi capelli corvini e, con un leggerissimo sorriso di trionfo, aprì la mano mostrando entrambi i campanellini, una bruciante furia scoppiò dentro il cuore del giovane dai capelli color platino.
«Yippie!» esclamò Mayumi estasiata, con piccolo salto in aria. «Grande Nohiro, ce li abbiamo!».
E a quel gesto di felicità della compagna Jiro si incendiò ancor di più e il viso si tese in una smorfia irata: e così alla fine Mayumi aveva deciso si stare ad ascoltare quello che quel mostro schifoso voleva dire! Si sentiva come… tradito.
E sembrava pure contenta! Digrignò i denti quando i campanellini in mano a Nohiro tintinnarono con un’irritante gaiezza, e tentò un ennesima volta di divincolarsi rabbiosamente dalla presa del rospo quando vide Mayumi avvicinarsi all’altro ragazzo sorridendo.
Ma, alla fin fine, quello che più di tutto gli bruciava era che la strategia di quel disgustoso serpente, che lui non aveva voluto ascoltare, si era rivelata praticamente perfetta.
Nohiro si azzardò ad accennare un sorriso di rimando alla ragazza ma, rendendosi conto che la cosa gli riusciva cento volte più difficile che elaborare una qualsiasi strategia o altro, si accontentò di increspare la bocca con un tocco di imbarazzo e tornò a concentrare gli occhi su Naruto.
Quello ancora li guardava, con la testa un pochino inclinata come se faticasse a inquadrare bene la situazione, ma poi, a dispetto di tutto, le guance rigate dai sei baffi si allargarono divertite in un ennesimo sorriso.








------------------------










Ed eccomi qui ad aggiornare!

In questo capitolo ho deciso di fare delle modifiche. Credo che la maggior parte dei lettori pensasse di trovare Nohiro che spiega la strategia a Mayumi ma, dopo, dovendo anche scrivere della stessa strategia che viene messa in atto, ho pensato che sarebbe stato ripetitivo e avrebbe fatto calare lo spannung (ecco la mia influenza di letteratura… spannung = crescita della suspense, termine letterario). E quindi ho optato per narrare subito l’azione e tralasciare la parte delle spiegazioni. ^__^

Vado subito ai ringraziamenti:

Lilithkyubi, a quanto pare ho trovato una lettrice fedele. *-* Ti ringrazio per aver inserito la storia nei preferiti. A proposito di Gaara e Matsuri c’è una cosuccia particolare che di sicuro sai, se hai letto Amori Anomali… Ma vedrai vedrai. *risata malefica* In quanto all’inventiva di Naruto sappiamo tutte e due che non è delle più fantasiose. XD Talpina Pensierosa, non è un reato se non hai visto subito la fic. XD Sono felice che ti piaccia (e dire addirittura che è un capolavoro… °-° ) Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto come i precedenti. ^^ Killkenny, in effetti Jiro è leggermente convinto. XP Ma di sicuro lo perdonerai più avanti per i suoi commenti malefici. E grazie del 9! Marty9210, leggiti il capitolo con calma che ti affezionerai a Nor sempre di più… Mwahaha. Comunque grazie dei complimenti e alla prossima recensione!
Ringrazio anche gli 11 che hanno messo la storia tra i preferiti! ^__^

Al prossimo martedì.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Legato! ***


-6-

Legato!




L’aria sorridente, la leggerezza d’animo che invadeva Mayumi e Nohiro, riempiti dalla frizzante consapevolezza di aver vinto, sparì pian piano. Il ragazzo, scorgendo quel sorriso da sfottò sul viso del sensei, si accigliò e sollevò la mano che stringeva i due campanellini, portandoli più vicino al viso.
Aggrottò le fini sopracciglia non appena notò due faccine sorridenti con sei baffi ciascuna disegnate sopra i campanelli.
Che strano… non le aveva notate prima.
Spostò di nuovo gli occhi serpentini sul sensei, ancora lì impalato e ghignante, non pareva intenzionato a schiodarsi di un millimetro. Per diretta conseguenza, anche il sorriso splendente di Mayumi sparì dal suo viso alla vista dell’espressione dubbiosa su quello del suo compagno.
Nohiro guardò di nuovo i campanellini nella sua mano, con quelle due faccette che parevano prenderlo in giro coi loro baffini disegnati, poi fissò di nuovo il Jonin in piedi a dieci metri da lui. E improvvisamente socchiuse la bocca e dilatò le pupille, come se avesse appreso un’improvvisa e scioccante consapevolezza. A quel gesto Mayumi inclinò al testa con espressione interrogativa… mentre Naruto sghignazzò con impertinenza.
«Oh no…» sussurrò Nohiro a mezza voce.
«Cosa no?». La confusione di Mayumi era palpabile.
Il ragazzino, per tutta risposta, le segnò il sensei con la testa. Il quale, sorridente, sparì con un puff in una nuvoletta di fumo, seguito subito dopo dai campanellini nella mano di Nohiro, sotto lo sguardo rassegnato dello stesso e quello incredulo di Mayumi.
Anche Jiro restò esterrefatto e spalancò gli occhi neri… ma lui lo fece con un moto di felicità. Un attimo dopo si sorprese a vergognarsi di quel sollievo: alla fin fine, dopotutto, stava godendo a danni di altri. E non era una persona infima, da provare simili sentimenti abbietti. Quella vergogna, però, era combattuta dal fatto che, in ogni caso, quel suo insopportabile compagno di squadra era perlomeno riuscito a prendere i due campanelli, a differenza di lui. E l’aveva fatto con l’aiuto di Mayumi.
La ragazza fissò con gli occhi azzurri il punto dove, fino a qualche secondo prima, c’era stato il Jonin dai capelli biondi. «Non ci credo… Era una copia anche quella!». Si avvicinò fino ad arrivare a fianco di Nohiro. «Eppure quando l’ho attaccato ero sicura che…»
«Era lui infatti» la interruppe Nohiro, cogliendo inoltre l’occasione per allontanarsi di un passo da quella chioma bionda e vaporosa che gli sfiorava il braccio. «Quello che guardava…» esitò un momento lanciando un’occhiata alle spalle, verso il ragazzo bloccato a terra dal rospo rosso «…Jiro-kun mentre combatteva era Naruto-sensei. Ma poi si è scambiato».
Mayumi fissò Nohiro senza pronunciar parola, probabilmente pensando a quando il sensei poteva aver fatto lo scambio con una copia.
Ed il ragazzo dagli occhi paglierini si sentì a disagio nell’avere quelli azzurri di lei puntati addosso; si agitò, senza apparente spiegazione, e prese a tormentarsi l’orlo più scuro del suo largo kimono grigio, mentre le pupille gli schizzavano, febbrili, da un punto all’altro della radura.
«Moltiplicazione e trasformazione assieme» spiegò senza guardarla in volto, per rompere quell’imbarazzante silenzio.
Lei, con una fulminea illuminazione, guardò immediatamente verso un albero al limite della radura. Lo stesso albero sul quale si era piantato lo shuriken del Jonin.
«Non vorrai dirmi che…».
«Già» ammise Nohiro.
La ragazza, a bocca aperta per la dura cognizione afferrata, lasciò cadere le braccia attorno ai fianchi, smorte; il sensei si era trasformato nello shuriken e si era auto-lanciato tramite una copia lontano dalla scena del combattimento. Quello che le risultava più scioccante era la velocità disumana in cui Naruto-sensei aveva eseguito entrambe le tecniche, senza nemmeno farsi scorgere. Magari lei stava già assaltando la copia non appena l’insegnante era balzato fuori dai cespugli.
«Beh, riproviamoci» propose Mayumi, alzando gli occhi con nuova determinazione.
Nohiro, però, scosse la testa ed indicò la sveglia. «Non credo che ci riusciremo. Manca l’effetto sorpresa, il sensei conosce la nostra strategia ed è quasi mezzogiorno».
La biondina sbuffò costernata, per poi voltarsi verso Jiro e guardarlo con espressione stupita, come se non si aspettasse di vederlo schiacciato a terra da un rospo gigante. «Jiro! Che ci fai lì?».
«Oh, finalmente qualcuno si è degnato di accorgersi che ci sono anch’io!». Il tono del ragazzino dai capelli bianchi era acido, a dir poco.
Nohiro ne incontrò gli occhi neri ma, immediatamente, distolse lo sguardo, come se avesse timore di mostrarsi in vena di un confronto. Il compagno di squadra, invece, restò per un momento a fissarlo dalla sua scomoda posizione.
«Santo cielo, scusa Jiro!»
Quindi Mayumi corse verso di lui, attirando di nuovo su di sé il suo sguardo nero e acquoso. «Si, certo, scusa una bella se…»
«Non si dicono le parolacce signorino!» La voce del sensei risuonò nella radura interrompendo la frase del giovane. Immediatamente i tre ragazzini guardarono verso di lui. O perlomeno i due che avevano la possibilità di girare la testa per più di qualche centimetro.
Però, prima che Jiro avesse la possibilità di inveire contro il Jonin tutta la sua indignata frustrazione, quest’ultimo congedò con un cenno ridicolmente solenne il grosso rospo in armatura. Quello scese dalla schiena del ragazzino e, in una nuvoletta, scomparve.
Jiro, quasi infuriato col sensei, o forse con sé stesso, non perse tempo e fece forza sulle braccia intorpidite per alzarsi. Mayumi subito si chinò su di lui per aiutarlo: provava un vago senso di colpa nel non averlo soccorso prima ed era decisa ad eliminare l’irritazione che adesso li separava. Lui, anche se con una smorfia di disappunto, come a dire “ce la faccio da solo”, si lasciò tirare in piedi.
Nohiro si avvicinò lentamente, senza voler calamitare l’attenzione di chicchessia su di lui.
«“ Naruto-sensei, le giuro che prenderò uno di quei campanellini con le mie sole forze”…» citò il Jonin con tono di scherno.
Il ragazzino avvampò e ringhiò con rabbia.
«La smetta immediatamente di prendersi gioco di me, ha capito!?» urlò Jiro puntando un dito addosso all’insegnante. Mayumi si protese verso l’amico e gli poggiò una mano su un braccio con fare ammonitore: lo conosceva da molto, sapeva che quando iniziava così avrebbe potuto sparare ingiurie anche all’Hokage stessa, per poi restare intrattabile per tutto il resto della giornata.
«Ehi, ehi, calma ragazzo. Adesso mi vuoi urlare “lei non sa chi sono io”? Abbassa la cresta che con me non avrai favoritismi solo perché tuo padre era il mio sensei, ‘ttebayo…»
Il Jonin era stato terribilmente serio. Fu forse quella mancanza di sbruffonaggine che gli ricacciò in gola le parole che Jiro aveva lì pronte da sbraitare.
«Anzi, visto che sei figlio del mio insegnante, potrei anche vendicarmi un pochetto di tutti quegli allenamenti impossibili che mi ha fatto fare…» proseguì il giovane uomo, sghignazzando e unendo i palmi delle mani come se stesse pregando per poi picchiettare lentamente le punte sulle labbra, con l’atteggiamento di chi si crogiola in un’allettante idea.
Mayumi, irrigidendo le spalle, fece un passo avanti. «Sensei, questo non mi pare un comportamento da Jonin serio e maturo!» lo rimproverò con indignazione.
«Serio e maturo? Ma quando mai?». Quel sussurro soffiato con divertimento fra le fronde degli alberi si perse velocemente nel venticello pungente, e non fu udito da alcuno. Come alcuno aveva ancora notato la figura lì rannicchiata, presa dalla scena che aveva seguito con un certo qual interesse. Gli occhi neri del sannin scrutavano dall’alto quella figura dai lunghi capelli neri legati in una coda… ed in pochi potevano sapere quanto quella vista gli desse fastidio. Ne seguiva gli spostamenti degli occhi, che si spostavano da Naruto a Jiro, ma nemmeno disdegnavano di concedersi una fugace occhiata verso Mayumi. E con sempre più attenzione Jiraiya ponderava le reazioni del pallido ragazzo, reazioni che però si era aspettato leggermente diverse; quel gioco di squadra non era ciò che aveva immaginato… e gli procurava una sensazione indefinita che non riusciva ad identificare. In quanto a suo figlio… beh, già sapeva in anticipo che si sarebbe intestardito a far le cose per conto suo.
Quella veloce riflessione fu interrotta da un suono squillante che interruppe il silenzio della radura.
«Toh guarda, è mezzogiorno» commentò Naruto allegramente, ignorando del tutto il rimprovero della sua allieva.
Quest’ultima si girò verso Nohiro con dispiacere per aver perso l’ultima possibilità di cercare di prendere i due campanellini; Jiro, contemporaneamente, seguì con stizza lo sguardo della compagna. Nohiro, con le braccia tese ad abbracciarsi i fianchi, vide bene le diverse espressioni sui visi dei suoi due compagni di squadra ma, pur con una fitta di dispiacere per il rancore che Jiro gli riservava, si strinse nelle spalle decidendo di reagire apertamente solo davanti al volto di Mayumi.
«Jiro, mi dispiace proprio dirtelo, ma salterai il pranzo» annunciò Naruto, e dal tono si capiva che in quel momento stava provando ogni emozione possibile, dal divertimento al senso d’autorità, meno che il dispiacere.
«Come scusi?» chiese il ragazzino sbarrando gli occhi neri.
«Hai capito bene. Non hai preso nessuno dei campanellini, non hai elaborato una strategia, hai voluto fare per forza come ti pareva a te. Di conseguenza adesso ti legherò a uno dei tronchi e addio porzione di ramen».
Il giovanotto restò per un attimo basito. Poi scoppiò come un pentola a pressione. «Nemmeno Mayumi e lui» e indicò Nohiro «hanno preso i campanellini! Era una copia pure la loro! Perché dovrebbe legare me, eh? Perché le rispondo a tono, per caso!?»
«No» lo interruppe duramente il Jonin, incrociando le braccia. «Bisogna dire che prendere a me i due campanellini è un’impresa alquanto impossibile, dopotutto io sono io… ma perlomeno Mayumi e Nohiro sono riusciti a cavare un ragno dal buco, tu invece sei stato avventato e nemmeno hai pensato a quel che stavi facendo. Al tronco ti ci legherò te».
Jiro nemmeno ebbe il tempo di ribattere un ennesima volta. Sentì uno spostamento d’aria e, con uno sguardo stupito, si ritrovò in un attimo attaccato al tronco, con il sensei che gli girava attorno una robusta corda.
«Ecco fatto» dichiarò il Jonin con una palese aria di tronfia soddisfazione.
Mayumi, che aveva seguito lo svolgersi della fulminea azione con gli occhi celesti spalancati, adesso si protese verso Jiro. Aveva sul volto una sorta di dispiacere, con un tocco di imbarazzo, e incontrò con lo sguardo afflitto per la sorte beffarda che gli era stata riservata, le pupille nere del suo amico d’infanzia.
Il quale solo ora aveva preso piena consapevolezza della sua situazione: legato ad un tronco, senza poter mangiare niente.
Mayumi e Nohiro si avvicinarono lentamente, con un’aria di rassegnazione, lei le labbra arricciate come per un fastidio; lui, inquieto, apriva e chiudeva la bocca, ogni volta sul punto di dire qualcosa ed ogni volta senza il coraggio di proferire una singola sillaba. Nemmeno lui sapeva perché sentiva quel bisogno di interrompere il silenzio calato improvvisamente, escluso, ovviamente, il fischiettio del sensei che armeggiava con uno zaino ed il suo contenuto misterioso. Quell’irrequietezza di parlare era…inusuale per lui, che il più delle volte preferiva restarsene zitto; e Nohiro la reputò ancora più inusuale quando si accorse che la coscienza gli premeva per parlare proprio con Jiro. Era un pensiero stupido voler parlare ad ogni costo col suo compagno di squadra, soprattutto perché Nohiro sapeva che l’altro non voleva parlare con lui.
Mordicchiò il sottile labbro inferiore ed apri e chiuse la bocca un ennesima volta; ma per fortuna la voce raggiante del Jonin nella radura gli risolse qualsiasi problema decisionale avesse avuto in quel momento. Giusto in tempo Naruto-sensei, lo ringraziò mentalmente Nohiro abbandonandosi ad un leggero sospiro liberatorio.
«Ta-dan! Il pranzo!». E Naruto si fece avanti con in mano delle calde porzioni di ramen.
«Oh, grazie sensei!». Nohiro corse incontro al biondo ninja, con un luccichio negli occhi ambrati puntati sul pranzo.
Il Jonin si mise a ridere. «Tieni qui» gli disse bonariamente tendendogli una delle porzioni.
Il ragazzo subito la prese rigirandola fra le mani candide, con un sorrisone sul viso… sorriso che subito si spense. E si diede dell’idiota per la propria insensibilità, in quanto, a meno di cinque metri da lui c’era Jiro che non avrebbe potuto mangiare niente. Gli parve quasi di sentire lo sguardo nero e bruciante dell’altro piantato sulla sua nuca. Subito Nohiro si girò, con le guance colorite dall’imbarazzo.
Vide il sensei consegnare a Mayumi un’altra delle porzioni di ramen… e subito il suo occhio attento notò un piccolo particolare fuori posto. O meglio, non che ci volesse un genio per notarlo, in quanto le porzioni di ramen rimaste in mano a Naruto non erano una, bensì due.
Immediatamente a Jiro si risollevò il morale con uno slancio. «Ma allora c’è anche per me!» esclamò sorridente.
Naruto lo guardò inarcando un sopracciglio. «Oh no. Queste due sono per me» decretò con tono autoritario.
Jiro, per un secondo, restò palesemente interdetto, lì attaccato a quello scomodo tronco. Poi arrivò a capire che la fissazione per il ramen del Jonin non aveva limiti. E decise di provare un'altra tattica.
Subito piegò all’ingiù gli angoli della bocca e assunse un’espressione da cane bastonato, con gli occhioni neri luccicanti e spalancati. «Sensei… ma davvero lei… lei sarebbe così crudele da negarmi del ramen? E’ una cosa disumana… Non crede anche lei? Non starebbe malissimo se le negassero una bontà come un piatto di ramen caldo mentre tutti gli altri possono mangiarne un po’?»
A Mayumi sembrò una cosa stupida cercare di corrompere il loro maestro. Ma Nohiro, che lo conosceva un po’ meglio della ragazza, riconobbe, con un sorriso nascosto da una mano, la furbizia di Jiro; il ragazzo dai capelli bianchi non era mai stato a stretto contatto con Naruto, se non da piccolo… ma già aveva inquadrato bene la via in cui giravano i suoi pensieri.
Ed infatti, sotto lo sguardo un poco sorpreso di Mayumi, il Jonin si era bloccato, come per una strana e attanagliante incertezza.
«Non ho ragione?» insisté Jiro con viso implorante. «Non permettere a qualcuno di avere un cucchiaino di ramen è davvero un comportamento perfido…» Naruto, stringendo le labbra come per trattenere il respiro, dava dei vaghi segni di intenerimento. «E, alla fin fine, lei ha due porzioni, potrebbe anche rinunciare ad una e lasciarla a me…»
Ahia. Mossa sbagliata.
Subito il Jonin parve riprendersi e guardò fisso negli occhi il suo giovane allievo dai capelli bianchi. Poi guardò il ramen. Poi di nuovo Jiro.
Ed infine, con aria risoluta, si sedette provocatoriamente davanti al ragazzino e, aprendo le due porzioni e spezzando le bacchette, inforchettò due generosi bocconi da entrambi i piatti, per poi ficcarli in bocca con un’espressione che pareva dire: “tiè, tu ci hai provato, ma il ramen me lo mangio io lo stesso”.
Nohiro ridacchiò in silenzio mascherando il sorriso con una boccata delle tagliatelle. Lo sapeva per certo che sarebbe andata così alla fine: tutto, ma non il suo ramen.
Jiro invece subito si imbronciò a quella reazione, pieno dell’irritazione di chi sa di essere stato vicinissimo alla meta ma di non averla raggiunta per uno stupido, singolo, insignificante errore.









------------------------------------














Niente di particolare da dire su questo capitolo. Forse perché semplicemente la storia ancora non è entrata “nel vivo”… ci sono così tante cose che al momento non sono accadute… Ma di divertirò a lasciarvi sulle spine. Mwa… L'unica minuscola annotazione è sul "'ttebayo" prounciato da Naruto: è chiaramente l'abbreviazione di "dattebayo", il doppio rafforzativo giapponese formato da "datteba" e "yo". In realtà questi due suffissi non sono conciliabili, quindi chiaramente questa è un'espressione scherzosa usata da Kishimoto per caratterizzare il personaggio. Giusto un'annotazione. XP In ogni caso abbreviare "dattebayo" come io ho fatto è un'italianizzazione, un'escamotage (...viva la letteratura e i Promessi Sposi) per rendere più originale la frase e adttarla alle mie esigenze.

Quindi adesso passo a ringraziare:

Talpina Pensierosa, non sei di certo l’unica ad essere felice per Nor. *-* Grazie per i complimenti, aspetto le letture e i commenti delle autrice a cui hai consigliato la mia ff (e grazie per averlo fatto!). Killkenny, il tuo 9 è sempre graditissimo! Ed in effetti si, questo è proprio l’errore che Jiraiya e i cittadini di Konoha stanno facendo… ma cosa vuoi, Nohiro è una versione miniaturizzata di Orochimaru e chiunque abbia conosciuto il sannin dei serpenti è chiaro che non si fidi. I soliti pregiudizi che c’erano per Naruto e Kyubi… forse è per questo che il caro signor Uzumaki tratta così bene Nor? XP Ametista, sono felice che questa fanfic sia nei tuoi preferiti e, si, ti capisco benissimo quando dici “al ginnasio ci massacrano”. Ci sono passata anch’io, ma le infinite lezioni di letteratura, epica e metrica poetica stanno dando i loro frutti! XD Una yaoi non rientra nei miei piani… ma come ho già detto, sulle coppie fra i nuovi personaggi mi cucio la bocca, quindi anche sulla NorMayu ti lascio libera di formulare le ipotesi più disparate! XD In ogni caso sono di Forte dei Marmi, provincia di Lucca. ^__^ Marty9210, eccoci giunte all’appuntamento con lo spannung. XD La cosa che più mi fa contenta è che il protagonista non ti stia antipatico perché, spesso, i personaggi secondari (per modo di dire, visto che fra questi apparsi fin ora di “secondari” non ce n’è nemmeno uno) sono quelli che attirano le simpatie, mentre per il protagonista accade il contrario. Ma vedo invece che Nohiro è uno dei preferiti: *-* Grazie dei complimenti, comunque! Lilithkyubi, non ti ucciderò di certo anche se non sei la prima a recensire! XD Per l’appuntamento con Nohiro… beh… prima ci sono io, e poi un altro paio di mie amiche. XD A parte gli scherzi, sono felicissima che ti piaccia la storia a tal punto da aspettare l’aggiornamento con tale ansia. Stasera ho inserito il nuovo capitolo pure con un po’ di ritardo. Su Nohiro e Mayumi ti rimando a quel che ho scritto in un ringraziamento un pochino più su… come vedi dai “thanks to” ci si ricavano tante informazioni interessanti che la mia lingua lunga si lascia sfuggire. ^^’’ Rinnovo i ringraziamenti, leggi questo capitolo con calma!

Ringrazio anche gli 11 che hanno inserito la storia nei preferiti!

Al prossimo martedì!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Scusa ***


-7-

Scusa




Continuarono a mangiare, perlopiù in silenzio, un boccone di tagliatelle calde dietro l’altro.
Naruto, sempre lì fermo dove si era seduto all’inizio, davanti a Jiro, mangiava con ingordigia, totalmente concentrato sui due piatti di ramen. E non si curava affatto del brontolio dello stomaco del suo giovane allievo dai capelli bianchi, né del palese imbarazzo degli altri due.
Mayumi continuava a lanciare occhiate colme di dispiacere verso Jiro, probabilmente continuando ad incolpare se stessa per il fatto che fosse rimasto senza pranzo e, probabilmente, anche per l’atteggiamento irriverente del sensei.
Nohiro, che provava a decifrare questi pensieri dai movimenti di lei, era dello stesso avviso: gli dava un tale fastidio di essere lì a mangiare mentre il suo compagno restava legato al tronco a guardare… Abbassò il viso e si concentrò sulla sua porzione, mantenendo uno sguardo neutro ed espressione immobile.
Mayumi e Nohiro continuarono a mangiare fino quasi a raschiare i loro piatti con le bacchette; nessuno dei due voleva affrontare tutto quell’astio e quella rabbia che consumava Jiro, lì legato e corrucciato. Una rabbia talmente evidente, attraverso la mandibola serrata e gli occhi neri ridotti a fessure, che avrebbero osato dire che fosse diventata tangibile.
«Benissimo signorini, passatemi i piatti che vado a buttarli».
Naruto si alzò in piedi scattante e ritirò le due ciotole vuote dei ragazzini seduti sull’erba fredda, infilandole nello zaino che si portava appresso. Poi si voltò e, senza una parola o un qualunque tipo di istruzioni, si incamminò per il sentiero che portava al villaggio dove, a metà strada, si trovava un cestino dei rifiuti.
I tre giovani lì rimasti precipitarono in un silenzio pesante.
Poi però Mayumi si alzò alla svelta da terra e Nohiro, con un gesto quasi inconscio, fece altrettanto. Lei si avvicinò veloce a Jiro, che ancora appariva offeso, e, mormorandogli un «Ora ti slego» iniziò ad armeggiare con le robuste corde. Nohiro restò lì fermo, incerto sul da farsi. Come si doveva comportare? Era il caso di impegnarsi anche lui a liberare il suo compagno di squadra?
Rimase per un attimo a fissare con gli occhi paglierini le mani sottili di Mayumi mentre cercava di forzare il nodo di Naruto e, all’improvviso, gli venne in mente che lui aveva ancora un paio di kunai con sé. A quel punto, con un bel respiro, ne estrasse uno dalla tasca interna del kimono grigio legato in vita, così lungo da strusciargli per terra. Immediatamente sia la ragazza che Jiro lo guardarono con qualcosa che andava dallo sconcerto alla sorpresa. Nohiro non riuscì a capire bene il perché di quella reazione: pensate per caso che voglia combinare qualcosa di strano? pensò con una punta di sarcastica amarezza.
Quindi si avvicinò brandendo il kunai, sotto lo sguardo sempre più confuso di una Mayumi che non riusciva a trovare qualcosa da dire ed un Jiro che, se avesse detto qualcosa, probabilmente si sarebbe messo a urlare. Arrivò giusto di fianco al tronco e alzò un poco il braccio destro, quello con cui stringeva l’arma. Sentì Mayumi trattenere rumorosamente il respiro mentre calava l’affilata lama. Le corde tagliate di netto caddero a terra con un tonfo sordo.
Jiro lo guardò e la sua espressione poteva essere interpretata come totale stupore, ancora condensato dallo sbigottimento.
Il giovane dai capelli corvini accennò un leggerissimo sorriso, quasi invisibile, poi si spostò alla svelta dai due di qualche passo.
«Tutto bene?». Mayumi fece girare verso di sé il suo amico d’infanzia e lo squadrò con occhio puntiglioso, sottolineando la sua sincera preoccupazione.
«Mh». Nient’altro che un mugolio infastidito per la fame le arrivò di risposta. Ma la ragazza notò che non aveva urlato né sparato parolacce… il che era già un buon segno.
Nohiro fu grato del fatto che subito la biondina avesse attirato su di sé l’attenzione di Jiro; restò quindi fermo a tormentare una delle maniche del suo abito, senza intromettersi in alcuna maniera, con l’attenzione apparentemente persa nel vuoto.
Jiro finì di ripulirsi il kimono bianco dalla polvere che, inevitabilmente, lo aveva imbrattato.
«Adesso io me ne vado a casa» esordì il ragazzo dagli occhi neri. «Tanto Naruto-sensei, quel bifolco, non ha dato indicazioni su quello che dobbiamo fare. E poi ho pure da lavare il kimono, che mio padre non lo fa e di domestiche in casa non ne ho».
«Se vuoi me lo puoi lasciare, lo faccio lavare a mia mamma» gli propose gentilmente Mayumi, ancora con espressione dolce e quasi dispiaciuta, ancora con tono premuroso nel tentativo di risollevare all’amico l’umore.
Jiro, un po’ preso dall’istinto cavalleresco che gli sussurrava di non rifiutare bruscamente qualcosa ad una ragazza, un po’ veramente intenerito, storse la bocca mentre parlava, cercando di non mostrarsi troppo accondiscente. «Va bene, dopo che ho mangiato qualcosa te lo lascio».
La ragazza sorrise del suo sorriso cristallino, conoscendo troppo bene l’orgoglio di lui nell’accettare aiuto dagli altri. Non si accorse però di come Nohiro l’avesse osservata, adorante, mentre esibiva la sua splendente dentatura e stringeva gioiosamente gli occhi celesti.
Dopo quello scambio di battute di nuovo precipitarono nel silenzio; Nohiro era quello che si sentiva più a disagio, avendo la netta impressione che fosse lui la causa di quell’imbarazzo. Pensò che, forse, avviandosi verso il villaggio, li avrebbe sollevati dall’impiccio che creava la sua presenza…
Ma stavolta fu Jiro ad interrompere i suoi pensieri: «Bene… voi due intanto andate… io recupero i miei shuriken e vi raggiungo».
Aveva parlato al plurale.
E questo stupì Nohiro molto più che la voce stentata, come in preda ad uno sconosciuto disagio: prima di quel momento il suo compagno di squadra non lo aveva affatto menzionato, rivolgendosi unicamente a Mayumi. E non capiva perché, nella tonalità di voce, Jiro avesse cercato di nascondere uno strano e sottile imbarazzo.
Ciononostante Mayumi non parve fare caso a questi particolari e, annuendo, si voltò verso il sentiero seguita a ruota da Nohiro, il quale, lì fermo, non sapeva che altro fare se non stare a guardare il suo compagno di squadra mentre raccoglieva le proprie armi.
«Nohiro…»
Il ragazzino si voltò immediatamente verso Mayumi, la quale lo guardava di sbieco con una vaga incertezza. Ma stavolta fu lui a non far caso ai particolari, troppo elettrizzato dal parlare con lei… nonostante avessero scambiato molto più di qualche parola stentata quella mattina, mentre lui le spiegava la sua strategia. Ora, però, Nohiro pareva esserselo scordato.
«Dimmi Mayumi».
«Io… sarei curiosa di capire una cosa».
«Certo». Il ragazzo da capelli neri quasi riusciva a sentire il battito del proprio cuore; non aveva la benché minima idea di cosa aspettarsi, a quale quesito avrebbe dovuto rispondere.
«Tu avevi detto che la tua strategia per prendere i campanellini era progettata per tre persone» cominciò lei. «Ma i campanelli erano solamente due. E… beh, mi è venuto spontaneo chiedermi… a chi avresti dato uno dei due campanelli, nel caso li avessimo presi. Se a me… o a Jiro». E gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Temeva di essere stata inopportuna.
A Nohiro invece venne da sorridere. Ecco che cosa volevi chiedermi, pensò con un benevolo divertimento. «Ma io avrei dato un campanellino a te ed uno a Jiro, Mayumi».
La ragazza spalancò i grandi occhi azzurri. Non se l’aspettava. Aveva ragionato molto sulle due possibilità che gli aveva presentato… ma questa soluzione davvero non se l’aspettava.
Nohiro, vedendo che lei non diceva niente, le spiegò meglio la sua limpida affermazione. «Vedi, se avessimo preso i campanelli tutti e tre assieme, io poi li avrei ceduti a voi… così Naruto-sensei non avrebbe potuto legarvi al tronco e, visto che sarei stato io a prendere i campanelli, non avrebbe potuto legare nemmeno me, a rigor di logica… Ma ormai non è che questo importi granchè». E di nuovo tentò di accennare alla ragazza un sorriso. Non riuscendoci.
In ogni caso l’effetto che aveva ottenuto con quelle poche frasi era sbalorditivo. Mayumi lo fissava a bocca aperta, con sorpresa, ma una sorpresa piacevole che quasi sarebbe potuta essere definita sollievo.
In quello stesso istante, però, la loro attenzione fu catturata da Jiro. Era dietro di loro, a qualche passo di distanza, e camminava in silenzio. A Nohiro venne immediatamente l’immotivato timore che l’avesse sentito parlare con la compagna di squadra. Ma l’espressione dell’altro era immobile e indecifrabile; le labbra presero la piega di un sorriso solo quando anche Mayumi si voltò verso di lui, osservandolo con curiosità per il suo vago atteggiamento in cui si poteva scorgere una nota di impazienza mescolata alla titubanza.
Nessuno dei tre disse nulla e sia Mayumi che Nohiro proseguirono a camminare. Il sentiero sotto i loro piedi era duro ma il sole sopra le loro teste aveva scaldato l’erba e sciolto la brina invernale che imperlava i bordi delle strade in quelle rigide mattine di febbraio. Un venticello non eccessivamente pungente scompigliò la chioma riccioluta di Mayumi, ed un brivido le risalì lungo la schiena.
Lentamente giunsero in vista del villaggio, dove gli alberi si facevano più radi e più bassi.
Lì Mayumi si fermò. «Ma dove si è cacciato il sensei?» domandò, quasi più a se stessa che ad uno degli altri due, mentre si guardava attorno con gli occhi azzurri. «Il cestino l’abbiamo superato da un pezzo, mi pare…».
Nohiro si voltò indietro, evitando però di incrociare lo sguardo dell’altro ragazzo. La sua compagna aveva ragione: ci erano passati davanti, ma di Naruto-sensei non c’era traccia.
Jiro guardò la sua amica con un’espressione strana. Non avrebbe saputo definirla nemmeno chi ne avesse osservato accuratamente il volto, e quindi nemmeno l’uomo che li pedinava dal giorno prima fu capace di descriversi a parole i pensieri che solcavano il volto del proprio figlio. Si intravide però sul viso del giovanotto dai capelli platinati una sorta di fretta.
«Uhmm… vado un momento a vedere se lo trovo qui intorno. Perlomeno dobbiamo sapere come è andata la prova, no?» decise Mayumi. «Jiro, a te non da fastidio aspettare un attimo prima di andare al chiosco vero?» L’ultima domanda della ragazza non era ironica: era veramente una richiesta di permesso. Pensava di avergli già causato troppi fastidi, nonostante la colpa chiaramente non fosse sua ma della testardaggine di lui.
Ma se non altro, la ragazza si aspettava un brontolio da parte del ragazzo. E invece arrivò una risposta che a malapena tratteneva un senso di sollievo. «Certo, cercalo pure, io ti aspetto qui!» Tutto il contrario, insomma.
Mayumi decise di non fare caso a questa particolare reazione dell’amico. Perlomeno così evitava di far nascere una discussione.
«Non mi allontano molto». E si voltò imboccando la strada dall’altro lato.
Nohiro continuò a guardarle la schiena, un po’ perché non gli dispiaceva affatto, un po’ perché l’alternativa era affrontare i due pozzi neri che erano gli occhi di Jiro. Ma nonostante lui non cercasse un contatto la sorte volle diversamente.
«Ehm… Nohiro…».
Il ragazzo dai capelli neri si bloccò a quel suono.
Poi si voltò di scatto verso il compagno di squadra, trovandolo a giocherellare nervosamente col codino bianco, gli occhi neri puntati a terra e le labbra strette una sull’altra. Immediatamente comprese anche il motivo di quell’irrequieta impazienza di un momento prima: Jiro voleva che Mayumi si allontanasse perché desiderava parlargli. Nohiro si agitò a quella prospettiva, non riuscendo a capirne il motivo.
«S-si?».
Il figlio dell’eremita dei rospi tentennò un momento… poi, però, stringendo ancor di più le labbra, si disse che doveva proseguire il discorso. Si sarebbe sentito un infame a non farlo, soprattutto dopo che aveva sentito quelle parole…
«Senti Nohiro, io…» un respiro profondo «io volevo chiederti scusa».
A Nohiro parve che si fermasse il cuore. L’agitazione scomparve, sostituita da qualcosa di sconosciuto, le pupille sottili si dilatarono e, sebbene cercasse di dire qualcosa, le sue corde vocali rimasero ostinatamente silenziose. Quello che avrebbe più desiderato fare, nel profondo, era piangere, e nemmeno lui sapeva per che cosa; ma lo sbigottimento era tale che il volto niveo restò completamente inespressivo.
«Beh, volevo chiederti scusa perché» proseguì Jiro, ora decisamente meno imbarazzato «perché, in effetti, avevi ragione. Sulla strategia, intendo. Quindi… ecco… scusami».
Da come il giovane dai capelli platinati avesse lanciato un’occhiata all’altro per controllarne la reazione, si intendeva quanto gli fosse costato pronunciare quelle frasi ed ammettere il suo comportamento “poco carino”.
Finalmente Nohiro si riscosse e, quasi con commozione, increspò la bocca in un leggero sorriso. «Non importa. Ci sono abituato a quei discorsi… sta tranquillo».
La conversazione non proseguì: Mayumi era già riapparsa all’angolo della strada.
«Non l’ho mica trovato» annunciò la ragazza, riferendosi al sensei. «Chissà dove diavolo si è cacciat…»
«Siete promossi!» squillò una voce alle loro spalle.
I tre ragazzini sussultarono. Voltandosi verso il muretto a bordo strada videro Naruto in persona lì appoggiato come se nulla fosse.
«Sensei!» esclamò Mayumi. «Ma dove era andato?».
Il Jonin fece un gesto vago con la mano, senza soddisfare affatto la curiosità dei tre. «Da adesso siete Genin a tutti gli effetti. Di conseguenza, domani mattina vi voglio trovare svegli e scattanti nella foresta fuori Konoha, che iniziamo gli allenamenti!»
Tutti e tre, chi più chi meno, si compiacerono all’idea.
«A che ora sensei?» domandò la bionda.
«Mi pare di aver detto di mattina, dattebayo…».
Mayumi alzò le sopracciglia chiare. «Ma la mattina può andare dalle sei al mezzogiorno, Naruto-sensei» commentò con ovvietà.
Il Jonin scoppiò in una risata. «Oh, beh, tanto io non arriverò prima dell’una, quindi per l’orario regolatevi pure da soli».
Nohiro, che solo in parte aveva ascoltato quell’ultimo scambio di battute, avendo sempre vivo in mente il suono delle parole di Jiro, fu comunque grato per quella variabilità d’orario: non avrebbe avuto problemi ad arrivare in anticipo.
«A domani ragazzi!» li salutò Naruto.
«A domani!» esclamò Mayumi, assieme ad un borbottio di Jiro, al quale ancora non era andata giù la storia delle due porzioni di ramen.
«A domani, Naruto-sensei» ripeté Nohiro, con un largo sorriso. Per Naruto era come per Iruka: il ragazzino gli doveva molto e c’era sempre un’espressione felice pronta per lui.
Il Jonin rispose con un sorrisone ancora più grande.
Poi il ragazzo dai capelli corvini, quasi inconsciamente, lanciò un’occhiata verso Jiro, il quale si stava allontanando con Mayumi verso il chiosco del ramen più vicino. Forse fu una coincidenza, ma, nello stesso momento in cui gli occhi color ambra di Nohiro guardarono verso di lui, Jiro spostò i suoi neri verso il compagno di squadra.
Subito il ragazzino pallido fu colto dall’imbarazzo e distolse frettolosamente lo sguardo, ma Mayumi, neanche avesse avuto il potere innato di togliere la gente dalle situazioni sgradevoli, intervenne subito. «A domani, Nor» lo salutò con un leggero sorriso.
Il ragazzo annuì, accorgendosi un ennesima volta di non riuscire a rispondere ai sorrisi di lei senza avvampare.
Mentre i due amici di infanzia proseguivano per la loro strada, Nohiro incrociò una seconda volta lo sguardo profondo di Jiro; ma, in questa seconda volta il ragazzo dai capelli corvini decise di sostenere gli occhi dell’altro, almeno per un istante, prima di voltarsi a sua volta e andare verso casa, con una felicità nell’animo che nei suoi tredici anni di vita non aveva quasi mai provato.

Naruto, lasciati i suoi tre allievi, si stava dirigendo verso villa Hyuga.
Hinata lo stava attendendo, e lui era già in ritardo. Fosse stato un normale appuntamento l’avrebbe perdonato per averla fatta attendere… a parte che lei lo perdonava in ogni caso, per ognuna delle stupidaggini che faceva regolarmente. Ma quello non era un normale appuntamento; l’intero clan Hyuga era riunito in attesa, con addirittura qualche membro del consiglio di Konoha come partecipante speciale… e, purtroppo, l’occasione non era il fidanzamento ufficiale fra lui ed Hinata, fidanzamento che pensava di richiedere da tempo a Hiashi Hyuga, l’attuale capoclan, nonché padre della sua Hinata.
No, l’occasione era ben meno felice: si trattava della giovane Ichigo Hyuga, la figlia di Neji, divenuta Genin quella stessa mattina.
Come figlia di un membro della casata cadetta, Ichigo sarebbe dovuta venir marchiata col segno d’obbedienza; per tredici anni era riuscita ad evitarlo, sostenuta dalla tesi del padre, che affermava di essere in grado di fungere da protettore sia per Hinata che per Hanabi, e che Ichigo poteva essere esonerata dal ruolo.
Adesso, però, gli anziani del clan avevano risollevato la questione, insistendo sulle tradizioni centenarie degli Hyuga; l’argomento, a Naruto, pareva un assurda cretinata, ma i parenti di Neji lo tenevano in alta considerazione.
Il vecchio amico, assieme ad Hinata, gli aveva chiesto di mettere una buona parola in suo aiuto. E Naruto, a Neji questo glielo doveva.
Ma nonostante quello che avrebbe dovuto fare da lì a poco non riusciva a non avere l’animo sereno. Era rilassato, ed anche felice… perché, in ogni caso, quei tre ragazzini che gli erano stati affidati promettevano veramente bene.
Tutto sommato, per quelle scuse che Jiro aveva fatto, il Jonin aveva creduto di dover aspettare molto di più. Ed invece era bastata una sola mattinata.
Naruto sorrise fra sé.
Era rimasto lì nascosto, attendendo giusto quelle parole prima di apparire ed annunciare al suo team della promozione. Nonostante le coincidenze allarmanti, i dejà vu, i pregiudizi, nonostante tutto quello che pensavano gli altri, lui vedeva in loro della speranza. Magari si stava sbagliando. O magari no.
Perché, a suo avviso, quella squadra era perfetta.
Con questi pensieri, il biondo ninja salutò con un cenno allegro le sentinelle ai lati del cancello di villa Hyuga, incontrò lo sguardo bianco di Hinata in piedi sulla soglia della porta e avanzò verso il padiglione ovest con lei al fianco, senza mai perdere il proprio sorriso.











--------------------






E giungo!

Questo capitolo è fondamentalmente un punto cruciale per lo svolgimento del resto della storia… e già dal titolo è una cosa facilmente comprensibile. Probabilmente adesso Jiro inizierà a starvi più simpatico. XD
Come annotazione, stavolta, ne faccio una che in realtà avevo intenzione di inserire qualche capitolo indietro, ma che poi mi sono scordata: ha che fare col nome di Jiro. Si vede benissimo quanto assomigli a quello di Jiraiya. La scelta pendeva fra questo nome ed un altro, che poi ho deciso di dare ad un altro personaggio, ed alla fine ho optato per questo seguendo la “tradizione” di Kishimoto di dare ai giovani ninja nomi simili a quelli dei genitori; si veda Shikamaru ed il padre Shikaku (da non confondere con Shukaku, il demone Tasso XP), si veda Choji ed il padre Choza, ed infine Ino, il cui padre si chiama Inoichi. Da qui è dipesa la scelta del nome Jiro per il figlio di Jiraiya. ^__^
E finalmente iniziano ad apparire anche i ninja “senior” della serie, con una veloce comparsa di Hinata e la citazione di Neji. I “tradizionalisti” saranno felici. XD

Vado a ringraziare:

Killkenny, hai ragionissima, Naruto è estremamente più furbo adesso! Dopotutto ha trentun anni, non è più un bambino. E in quanto a Jiro… come ho detto più su, forse adesso starà più simpatico a tutti. XP Però va capita la sua avversione (anche se di certo non è giustificata) visto che vive 24 ore su 24 con Jiraiya, il quale di certo non può parlare di Orochimaru come la persona migliore del mondo. Alla prossima, e grazie del nove! Marty9210, Non è così facile fregare Naruto Uzumaki. XD Ho idea che tu ti stia affezionando a tutti… in ogni caso, se finisci troppo in fretta di leggere, semplicemente leggi più lentamente. XD Lilithkyubi, I’m so sorry ma la tua recensione non è seconda ma terza. XD Ti sei innamorata di Nohiro… ti capisco. Come ti capisco. Comunque… le scenette comiche le ho volute aggiungere per rilassare l’atmosfera, per non farla troppo seriosa, che poi di serietà e drammaticità ce ne sarà abbastanza. Naruto ed il ramen è stato un geniale suggerimento del mio ragazzo, il quale suggerimento è stato sviluppato dalla sottoscritta. XP Per i vecchi ninja ti ho accontentata, almeno in parte… Anche se per il Kazekage dovrai attendere ancora un po’. XP (Faccio il tifo per te per infiltrarti in un internet point e leggere l’aggiornamento XD). Ametista, non ti accontentare dei pairing… io ancora non ho detto nulla. *risata malefica* Lascio supporre in abbondanza… divertiti con le ipotesi. XD Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto! P.S. Fuori dal mondo? Abiti in uno sperduto paesino della Patagonia? XD Sto scherzando, ovviamente. XD Talpina Pensierosa, ti ringrazio tantissimo dei complimenti! Il tiè di Naruto… mi è venuto spontaneo. Non so cosa c’entrino i Pan di Stelle… ma forse vale la stessa cosa per me e la cioccolata. XD E poi… ma sul serio scrivi la mia blasfemia? O.o Non avrei mai immaginato che i messaggi subliminari che metto fra le righe del testo avessero un effetto così immediato… Al prox capitolo! XD

Ringrazio inoltre i 12 che hanno messo la fic nei preferiti!

A martedì prossimo gente.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Al chiosco del ramen ***


-8-

Al chiosco del ramen




Appena Jiro e Mayumi svoltarono l’angolo della strada trovarono il chiosco già affollato.
I loro compagni, più o meno tutti, erano seduti sugli sgabelli a chiacchierare, fra una cucchiaiata di ramen e l’altra.
Alcuni di loro notarono i due amici già prima che arrivassero al chiosco. «Ehi Mayu! Mayu, di qua!» si sbracciò una ragazza coi capelli marroni legati in due bassi ciuffetti ribelli.
«Yo, Tsubasa! Sentivate la mia mancanza?» rispose Jiro, al posto della compagna.
«Tantissimo!» replicò la Nara con tono civettuolo.
Subito dopo partì una sequenza di saluti e domande, che si placò soltanto quando i due si sedettero a loro volta su degli sgabelli.
«Mi scusi» disse un'altra ragazza dagli scuri e gonfi capelli a caschetto, attirando l’attenzione del proprietario del chiosco «ci serva altre due porzioni di ramen, per favore».
«Grazie Xiaoyu, ma a me non serve» le sorrise Mayumi, che si era già riempita lo stomaco durante la prova contro Naruto-sensei.
«Oh». Xiaoyu si voltò di nuovo verso il proprietario del chiosco «Una sola allora». E, detto questo, lasciò il suo posto per andare a sedersi di fianco a Jiro, sotto due paia di occhi palesemente contrariati. Quelli di Tomita e del suo inseparabile “cagnolino”, Hyeon.
«Tsubasa, ma com’è che appena arriva Jiro correte tutte da lui e vi ci attaccate addosso come delle sanguisughe?»
La ragazza si voltò verso il compagno di squadra con una stizzita linguaccia, mentre Jiro gli scoccò un grosso sorriso.
«Che vuoi farci Tomita, il mio fascino lo hanno in pochi» si vantò il giovane dai capelli platinati. E, quasi volendo provocare il fulvo, attirò verso di sé Tsubasa, circondandole la vita con il braccio sinistro.
Mayumi gli lanciò un’occhiata storta: Jiro faceva sempre così quando c’erano altre ragazze intorno… e finiva per apparire null’altro che un farfallone superficiale. Quando chiacchierava con lei non era affatto così, ma in pubblico si ostinava ad atteggiarsi al “bello e figo”. Non che non lo fosse, ma quando si comportava a quel modo le pareva, piuttosto, un grosso cretino.
Lui sembrò sospettare del muto rimprovero di Mayumi; si voltò verso di lei e le riservò un sorrisetto imbarazzato, come a dire “scusa, ma non posso mica mandarle via”.
Mayumi sospirò di indulgenza.
Nel ragazzo che ora mangiava ramen con tutte le sue ammiratrici raccolte attorno non c’era più traccia del senso di colpa o della fretta che l’avevano attanagliato mentre si trovava a faccia a faccia con Nohiro. A Jiraiya, ancora appostato a guardare da quella mattina, questo appariva evidente.
Il Sannin era appoggiato ad un muro, dall’altro lato della strada già affollata, abbastanza lontano dal chiosco per non essere avvistato, abbastanza vicino per udire le conversazioni.
Non riusciva a credere che suo figlio avesse detto una cosa simile a Nohiro. Che si fosse scusato. Non era da lui. Ma, più che per il resto, era rimasto sconcertato per quello che Nohiro aveva detto a Mayumi; ecco, quello l’aveva sul serio lasciato a bocca aperta. Sei così diverso Nohiro, pensò, sembri così diverso… ma non riesco a fare a meno di credere che tu covi in te un odio più grande di quanto chiunque possa immaginare.
Scosse la testa, cercando di scacciare quell’argomento stressante dai suoi pensieri. Ne avrebbe parlato con Jiro più tardi.
Guardando di nuovo suo figlio un sorriso gli increspò, inevitabile, le labbra: quando lui era bambino era sempre a correre dietro alle ragazze. Con Jiro era il contrario: erano le ragazze ad innamorarsi perennemente di lui. Per quel che ne sapeva, l’unica che era riuscita a resistere a quell’“incantesimo”, e che ci riusciva tutt’ora, era Mayumi.
Jiraiya fece quindi scorrere gli occhi sui ragazzi seduti al chiosco.
Mayumi, lì in attesa che Jiro finisse di pranzare, rilassata e sorridente, con la testa sorretta da un braccio, ogni tanto lanciava qualche occhiata di disapprovazione verso l’amico d’infanzia.
Tsubasa e Xiaoyu, l’una una prima donna sempre a pendere dalle labbra dei ragazzi, nonché ammiratrice di Jiro, ma possedente l’acutissima intelligenza di suo padre, e l’altra una ragazza permalosa capace di portare rancore per lungo tempo, di quelle facili al litigio.
Tomita Sokemiro, quello bravo a scuola, spaccone, esibizionista; in passato era stato spesso in contrasto con Jiro, perché, sebbene Tomita avesse voti più alti di tutti gli altri sui banchi di scuola, riusciva comunque difficilmente ad eguagliare il talento dell'altro ragazzino. Ma non mancava comunque di far notare le proprie capacità agli altri, che avesse più o meno talento del figlio di Jiraiya. Una volta c’era stata una tale discussione fra i due che suo figlio, ricordava l’eremita dei rospi, era tornato a casa con un occhio nero e qualche ammaccatura esordendo che odiava quando Tomita iniziava a darsi delle arie da primo della classe e prendeva per i fondelli tutti gli altri. Poi, il giorno dopo, Jiraiya aveva incontrato Tomita per la strada… ed aveva un labbro gonfio, il naso rotto, degli ematomi un po’ per tutto il corpo ed una fasciatura ad un braccio. Probabilmente quella “discussione” con Jiro era rimasta impressa nella mente del fulvo, in quanto, adesso, Jiro era l’unico che non si azzardava più a provocare.
Poi c’era Hyeon, l’amico di Tomita; culo e camicia, quei due. Se il rosso diceva una cosa l’altro gli andava dietro, irrimediabilmente, tanto che c’era da chiedersi se quel ragazzo avesse un minimo di personalità.
Subito dopo sedeva Ekei Sarutobi, il figlio di Kurenai, come lei esperto nelle Genjustu, che ora chiacchierava amabilmente con Mayumi. La ragazza, si sapeva, riusciva a risultare simpatica e ad attaccar bottone con tutti.
Mancava l’ultimo membro del Team quattro, notò Jiraiya, Kyu Amane, l’amico Xiaoyu ed Ekei; probabilmente era ad allenarsi come un forsennato al tiro con l’arco, essendo sempre convinto di non essere all’altezza degli altri due compagni.
E poi, seduti in fila, Shinji Aburame, Ichigo e Kian Inuzuka, tutti e tre con un’aria molto seria.
Jiraiya li capiva.
La ragazza sapeva bene cosa stava accadendo, in quel momento, a casa sua ed i suoi due compagni le erano vicini. Shinji, coi corti capelli neri, le aveva posato una mano sulla spalla, mantenendo il suo atteggiamento da persona ligia e profonda; alcune volte il ragazzo poteva apparire passivo, restando spesso in silenzio, ma in realtà era un amico fedele, sempre presente nel momento del bisogno. Kian, gli occhi grandi con le pupille canine ed i capelli biondo spento, in quel frangente, aveva messo da parte la sua allegria e voglia di ridere per restare accanto alla Hyuga, ed ora le era seduto vicino quasi con atteggiamento di gelosia.
Ichigo, dal canto suo, restava quasi immobile sullo sgabello, nel voler evitare di mostrare la sua momentanea debolezza; era una kunoichi molto determinata, dal carattere forte esattamente come la madre Tenten. E, come suo padre in passato, poteva essere considerata l’orgoglio del clan Hyuga.
Jiraiya la osservò tormentare le due ciocche più lunghe di capelli neri che le scendevano dalle tempie sin quasi alla vita, per poi passare la mano sulla nuca coperta da un liscio caschetto.
Le parole arrivavano confuse dai rumori della strada alle orecchie dell’eremita dei rospi, ma a quel punto lui riteneva già di aver ascoltato abbastanza a lungo quelle conversazioni allegre, ma che non gli suscitavano particolari pensieri, se non quelli di una vaga nostalgia della giovinezza di un tempo. E riteneva anche di essersi attardato abbastanza, forse troppo.
Prima di allontanarsi gettò un’occhiatina a suo figlio, appuntandosi mentalmente che, più tardi, ci avrebbe fatto una chiaccheratina.
«Allora? Come ti è andata la prova, Jiro?» gli stava domandando in quel momento Tsubasa.
Il ragazzo si mise improvvisamente sulle sue, con un espressione irrequieta sulla faccia. Si prese inoltre tutto il tempo per buttar giù quel boccone di ramen che teneva in bocca.
«Oh beh… è stato un po’ stancante». Le labbra gli si allargarono in un sorrisone. «Ma come vedete sono sempre tutto intero e disponibile a farvi compagnia!».
Il ragazzo dai capelli platinati gongolò fra sé nel vedere l’irritazione che balenò per un momento negli stretti occhi castani di Tomita e in quelli scuri di Hyeon. E si compiacque ancora di più alle risatine della Nara e dell’amica Xiaoyu.
Mayumi, rimasta in silenzio dopo aver finito di ascoltare Ekei, seduta stancamente sul suo sgabello, lanciò un’occhiata al corto kimono impolverato e sporco di Jiro; adesso non sembrava nemmeno che prima fosse stato di colore bianco. Nonostante lui mentisse davanti agli altri loro compagni a proposito della prova dei campanelli, la ragazza proprio non riusciva ad arrabbiarsi con lui per la sua “disonestà”: da troppo tempo erano amici e da troppo tempo si conoscevano.
«Jiro, ma non hai ancora finito quel ramen?» lo interruppe all’improvviso, con un tono che stava fra l’esasperazione e la rassegnazione.
Lui non ebbe il tempo di svuotarsi la bocca dall’enorme cucchiaiata di tagliatelle che aveva ingurgitato, perché fu Xiaoyu ad intervenire per lui: «Mayu, lascialo finire in pace, o dopo gli va di traverso».
La bionda la guardò un momento, ma non controbatté. Non perché non avesse il coraggio di farlo, ma perché conosceva l’altra ragazzina… e una risposta a tono, che comunque non sarebbe rientrata nel suo carattere, avrebbe solo scatenato un litigio. E Mayumi li odiava i litigi, l’aveva pure detto nelle presentazioni con Naruto-sensei.
Però Jiro, ingoiato il ramen, le rispose comunque per conto proprio. «Cinque minuti Mayumi, non mi ci vuole molto».
In quel momento, fra la gente che camminava per la strada, apparvero tre figure conosciute, che puntavano dritte verso il chiosco del ramen.
«Tsubasa, Ichigo! Ragazzi, ci siamo anche noi!» squillò una voce femminile e musicale.
«Kanaria!» la salutò con un sorrisone Xiaoyu, distogliendo per un momento l’attenzione da Jiro.
Kanaria Yamanaka si fece largo fra i passanti, in pantaloni bianchi e un incrociato dello stesso colore. Scosse per un secondo la lunga chioma di capelli lisci e biondissimi e fece un cenno frettoloso con una mano ai due ragazzi che la seguivano perché si sbrigassero.
Chun Akimichi ed Eiji Nara si avvicinarono facendo lo slalom in mezzo alla gente.
Il primo dei due, erede del clan Akimichi, era il nipote di Kanaria. Nipote perché lei era la sorella di Ino, e lui era suo figlio. I suoi capelli erano di un rossiccio che tirava sul biondo, ed era abbastanza in forma per essere un Akimichi… questo, più che altro, perché la madre Ino gli impediva categoricamente di abbuffarsi e, avendo tramandato alla sorella la sua mania per la linea, la stessa Kanaria lo sgridava e lo controllava nel caso iniziasse a buttar giù più cibo del dovuto.
La Yamanaka arrivò al chiosco e si scambiò un melenso bacio sulla guancia con le ragazze presenti, come saluto, e poi passò a scoccarne uno pure ai ragazzi.
Quando arrivò a Jiro Xiaoyu la fulminò con gli occhi. Mentre quando arrivò ad Ichigo, invece, le lanciò un’occhiata interrogativa. «Ichigo, tutto bene? Mi sembri un pochino di umore storto oggi…».
La Hyuga la guardò per un attimo con i suoi occhi bianchi, poi scosse la testa come per liquidare il discorso. «Niente, nessun problema».
A quelle parole i suoi due compagni le lanciarono un’occhiata fugace e Shinji strinse un pochino la presa sulla sua spalla, trasmettendole un invisibile e rassicurante conforto e comprensione. Normalmente Ichigo non era il tipo di ragazza che accettasse cose come il sostegno esterno, o soprattutto la commiserazione, ma il momento era particolare e non rifiutò il muto appoggio di Kian e Shinji.
«’Giorno ragazzi» salutò Chun sedendosi di fianco a Tomita che, però, lo degnò solo di un mugugnato «Ciao». Snob come al solito, il fulvo non era una personalità compatibile con quella piuttosto calma dell’altro.
Infine, quando Kanaria salutò Tsubasa, nemmeno lei si mostrò così entusiasta dell’incontro. Ma non era certo per l’arrivo dell’amica, bensì del fratello Eiji; fra i due non correva buon sangue, e questo lo sapevano anche i muri, al villaggio della Foglia. Sta di fatto che, quando Kanaria aveva salutato dal fondo della strada, la Nara già si era inasprita, e si era lamentata con un «Oh no, eccolo che arriva…», che però era stato udito solo dai due compagni di squadra, Tomita ed Hyeon. Che, per inciso, avevano ghignato entrambi di maligno disprezzo verso Eiji.
Tsubasa, alla fine, decise di girarsi verso il fratello appena sopraggiunto.
Eiji vestiva in colori caldi, ed era uguale a suo padre. Peccato che suo padre non fosse Shikamaru.
Il ragazzino aveva i capelli rosso fuoco e degli occhi color acquamarina che sembravano due pietre preziose; il fascino, quindi, non gli mancava.
Ma da sempre, a Konoha, tutta quella storia sulla sua nascita era stata oggetto di infiniti pettegolezzi, storielle trattate e ritrattate così tanto che oramai non si sapeva più quale parte fosse menzogna e quale verità. Il Clan Nara aveva prontamente messo tutto a tacere, ma le voci insidiose sono difficili da fermare e, presto, si era saputo in ogni cantuccio del villaggio di quel ragazzino nato da un’infame incesto. Sarebbe stato comunque difficile impedire che si parlasse di Eiji, uguale com’era al Godaime Kazekage.
E Tsubasa, da tempo, aveva iniziato ad avere una palese avversione verso il fratello minore. O meglio, fratellastro. L’aveva perché il padre Shikamaru aveva comunque voluto riconoscere il bambino, sebbene non gli assomigliasse nemmeno un po’, e dargli il cognome; perché era stato il preferito della madre Sabaku no Temari, da sempre; perché, quando era piccola, se i due genitori litigavano, lo facevano per colpa di Eiji; perché era una macchia sull’onore dei Nara, un figlio di fratelli di sangue che viveva sotto il suo stesso tetto. Ed anche semplicemente perché lo sentiva giusto.
Quindi, quando Eiji si avvicinò, lei non lo salutò affatto, girandosi di nuovo di spalle e deviando subito l’argomento sul nuovo completo che indossava Kanaria e sul buon gusto della sorella Ino che le consigliava i vestiti.
Mayumi invece lo salutò, come lo fece Ekei.
Nessuno dei due, però, ricevette risposta da Eiji, che non spiccicò parola. Non lo faceva mai. Restava quasi sempre inespressivo e rispondeva ad occhiate, limitandosi a sorridere o ridacchiare talvolta, assieme a Chun o a Kanaria.
«Cosa vi ha fatto fare Kurenai come prova d’esame?» domandò infine Jiro a Kanaria, lì impegnata in un istruttivo discorso con Tsubasa incentrato sul suo nuovo abito.
«Cavoli, ci ha fatti passare in mezzo a decine di illusioni per vedere se riuscivamo ad accorgercene. Ad un certo punto ho visto dei lupi enormi che mi venivano addosso… naturalmente non erano veri, ma è stato allucinante!» spiegò lei, enfatizzando con gli occhi azzurri spalancati e un brivido mimato in modo tragicomico.
Il ragazzo buttò giù l’ultima boccata di ramen, mettendosi poi addirittura a raccogliere il sugo in fondo alla ciotola con un pezzetto di pane. «Ma quindi siete promossi tutti e tre, no?».
«Certamente! Ti pare che non si passava?».
«Oh no, tranquilla, non penserei mai una cosa simile!» le rispose lui con una risata allegra, sposando poi di lato la ciotola vuota del pranzo, verso l’interno del banco del chiosco. Subito una ragazza con la cuffietta da cameriera ritirò diligentemente il piatto vuoto assieme al pagamento.
Il discorso era repentinamente deviato verso la prova d’esame a cui Kurenai aveva sottoposto la sua squadra e, da come Kanaria ne parlava, sembrava che avessero avuto a che fare con una terribile e pericolosissima missione di livello A. Fra un boccone del suo pasto e l’altro Chun, invece, si premurava di intervenire dicendo che non era stato un esame di una difficoltà poi così estrema.
Jiro si ritrovò immediatamente a pensare, permaloso, che l’esame che aveva fatto lui era stato sicuramente più stressante e complicato… solo che non poteva affatto parlarne agli altri, o sarebbe venuta sicuramente fuori la figuretta che aveva fatto davanti a Naruto-sensei. E, di sicuro, non poteva nemmeno dire che si era liberato dalle corde solo grazie a Nohiro. Ok fargli un paio di scuse, ma questo no: era roba che sarebbe dovuta restare privata, oppure poteva dire addio alla sua bella fama.
«Mia madre è sempre un po’ troppo severa con i suoi allievi…» commentò improvvisamente Ekei all’ennesima esagerazione di Kanaria sulle illusioni di Kurenai.
«Mio padre, invece, dice che era un’ottima insegnante».
Kian, per un secondo, si distrasse dalla sua opera di sostegno morale per Ichigo, rispondendo all’affermazione dell’altro ragazzo. L’Inuzuka non aveva tutta questa pazienza per restarsene in silenzio senza partecipare ad una conversazione. Subito dopo, però, si ricompose di fianco alla Hyuga, con un’espressione imbarazzata e dispiaciuta per l’aver ignorato momentaneamente i sentimenti di lei; in ogni caso Ichigo nemmeno se ne accorse… L’unico a lanciare un’occhiataccia a Kian da dietro i suoi occhiali da sole fu Shinji.
Questa interruzione delle chiacchiere fece improvvisamente voltare Mayumi verso gli altri.
«Jiro, adesso hai finito!».
Il ragazzo sobbalzò, come se fosse stato colto in fallo a far qualcosa di poco decoroso, e si girò verso l’amica.
«Avanti, andiamo. Mi devi lasciare il tuo kimono, che mia mamma deve lavarlo» continuò lei, alzandosi dallo sgabello e incrociando le braccia. Quella posizione mise fretta al giovane dai capelli bianchi, che si alzò a sua volta fra le lamentele delle altre ragazze.
«Scusate tutte, ci vediamo domani! Arrivederci ragazzi!» si congedò con un saluto. Tutti risposero, con più o meno entusiasmo. E dalla ansiosa Ichigo arrivò solo un mugolio.
«Di grazia ce l’hai fatta a staccarti da lì» sospirò Mayumi.
Lui le rivolse una linguaccia.
Si allontanarono in silenzio, avvertendo ancora in mezzo alla confusione della strada i discorsi dei loro compagni seduti al chiosco. Spiccava fra tutte la voce dai toni acuti di Kanaria.
Subito decisero silenziosamente, ed in sintonia, di svoltare in una strada secondaria per evitare quella cacofonia disturbante di voci e rumori, così, individuata una traversa, la imboccarono. I muri delle alte case, più vicini l’uno all’altro, gettavano un’ombra sulla viuzza, impedendo al freddo sole invernale di picchiare sul terreno e dando contemporaneamente la possibilità alla temperatura di abbassarsi drasticamente.
Mayumi guardò con gli occhi azzurri il kimono sporco dell’amico, con un’espressione solerte e premurosa. Casa sua era più vicina di quella del padre di Jiro, si sarebbe dovuta ricordare di chiedergli l’indumento in consegna. Tanto, oramai, la madre di lei si era abituata a lavare anche qualche vestito maschile, oltre a quelli della sua dolce figliola.
Improvvisamente la ragazza si ricordò che doveva dire al compagno una cosa che le premeva alquanto.
«Jiro, non è stato carino il modo in cui hai trattato Nohiro, sai?».
Lui si fermò in mezzo alla stradina, girando gli occhi neri verso di lei con espressione sorpresa: non si aspettava che la ragazza avrebbe affrontato quel discorso proprio adesso.
«In proposito a questo, ci terrei a dirti che cosa mi ha detto mentre tu raccoglievi le tue armi» proseguì lei. «Lui aveva in mente un’ottima strategia per tutti e tre, e sicuramente avremmo preso i veri campanellini, se l’avessimo seguita entrambi. Ed io, chiaramente, gli ho chiesto a chi avrebbe dato una delle due campanelle, se le avessimo prese. Ebbene, mi ha risposto che…».
Jiro non rimase ad ascoltarla. Improvvisamente e bruscamente si voltò tirando dritto verso la direzione in cui già stava andando.
Ma nemmeno le diede il tempo di indignarsi e rimproverarlo perché parlò prima che lei potesse farlo: «Ho sentito quello che ti ha detto, Mayu. Ero lì dietro».
Lei rimase muta e interdetta.
«Ed è per questo che, mentre tu cercavi Naruto-sensei… beh… gli ho chiesto scusa».
La ragazza spalancò gli occhi color del cielo, restando, per un attimo, in uno stupito silenzio, guardando la schiena di lui mentre arrivava alla fine della traversa.
«Lo hai fatto sul serio?» gli domandò all’improvviso con un fil di voce.
Lui si fermò prima di entrare nella successiva strada principale. «Si, l’ho fatto». E sorrise.
Lei sorrise a sua volta, felice, pensando che forse il suo amico d’infanzia stava iniziando davvero a crescere un po’. Lo raggiunse e si fermò afferrandogli una manica del kimono che portava addosso.
«Lasciami questo, te lo riporto domani».
Jiro annuì e tolse la parte superiore dell’abito, restando con la tipica maglia a rete dei ninja.
«A domani mattina, e non ritardare Jiro!».
Il ragazzo le scoccò un sorrisone. «Tranquilla».
Poi la guardò per un secondo allontanarsi dalla parte opposta della strada, verso casa sua, nella zona dei “quartieri alti” di Konoha. A sua volta, quindi, si avviò lungo la strada.













-----------------------








Oh yeah.

In questo capitolo ho presentato un po’ tutti i personaggi, e probabilmente vi sarete sentiti travolti da un fiume di nomi e personalità varie. Finalmente, inoltre, per la gioia di Lolly, sono entrati in scena Eiji e Tsubasa Nara, dalla sua fanfic Amori Anomali. Ci tengo a ricordare che quel che è successo nell’ultimo capitolo di AA non viene tenuto in conto in questa storia, né verrà tenuto in conto in futuro… e l’unica altra sostanziale differenza fra questa ff e quella di Lolly è che SPOILER SU AMORI ANOMALI Kankuro è vivo e vegeto FINE SPOILER.
Mentre, per chi si chieda chi sia il defunto padre di Ekei Sarutobi… beh, lo dice il cognome, SPOILER SHIPPUUDEN è il povero vecchio Asuma FINE SPOILER.

Adesso vado coi ringraziamenti:

Lilithkyubi, non sai quanto ho riso quando ho visto la tua prima recensione per arrivare prima. XD Poi ho aspettato pazientemente che tu scrivessi il vero commento e… si, in effetti è proprio la terza parte. “I tre sannin: il ritorno”. XD Sono felice che leggere la mia storia ti renda addirittura euforica e ti commuova! E ricorda, i tuoi commenti sono sempre super graditi! Ametista, ti ringrazio dei complimenti, e non demordere… vedrai che sorprese coi due cari bambini! *risata malefica* Comunque io sono stata in Sardegna ed è davvero stupenda! Magari non lo è quando il tempo è orribile come in questi giorni… XD Marty9210, io di certo non ti proibisco di scrivere “che puccioli” nella recensione. XD Sono stra contenta che adesso anche Jiro ha la sua simpatia… Ed ho notato che il punto in cui a Nohiro viene da piangere è rimasto particolarmente impresso. XD Grazie ancora! Talpina Pensierosa, grazie del commento e dei complimenti! E per la cosa dei pan di stelle ti capisco perfettamente! Continua a leggere, mi raccomando, aspetto la tua recensione martedi prossimo!

Arrivederci, a martedì!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Pesci e litigi ***


-9-
Pesci e litigi




Dalle nove di quella mattina Jiro era ad aspettare che Mayumi comparisse.
Era fermo ai bordi del villaggio, stancamente appoggiato ad un muretto, e guardava con gli occhi neri il cielo azzurro occasionalmente striato da nuvole grigie.
Era arrivato più che puntuale, come lei gli aveva raccomandato il giorno prima, e trovava irritante che adesso gli fosse toccato starla ad aspettare per più di tre ore come un perfetto idiota. Perché, infatti, Mayumi ancora non accennava a comparire all’angolo della strada, da dove Jiro sapeva che sarebbe giunta. Palesemente contrariato, spostava il peso da una gamba all’altra, toglieva e rimetteva la parte superiore del kimono rosso e verde che indossava, e sbuffava sonoramente ogniqualvolta finiva di passare in rassegna tutti i motivi per cui lei avrebbe potuto ritardare.
Si ricordò che all’una sarebbe arrivato Naruto-sensei, e sicuramente avrebbe immediatamente iniziato a farli allenare come dei pazzi. Jiro non ci teneva particolarmente a saltare di nuovo il pranzo per mettersi a sgobbare e sudare, così, ripescando dalla sua memoria il fatto che vicino al luogo dell’allenamento c’era un fiume, decise di avviarsi e magari prendere qualche pesce.
Sistemando il laccio del proprio abito, gonfiò il petto d’aria e la buttò fuori tutta in un colpo, dicendosi mentalmente che Mayumi sarebbe venuta da sola, la strada la conosceva e della sua guida non aveva bisogno.

Arrivò alla svelta al punto prestabilito per l’incontro.
Immediatamente udì il gorgogliare del fiume e sorrise fra sé, auto lodandosi per la propria buona memoria. Avanzò quindi fra gli arbusti verde scuro, facendo scricchiolare foglie secche e schiantando rametti abbandonati in mezzo all’erba; ancora rimuginava sul ritardo di Mayumi, ma scuotendo energicamente la testa, si costrinse a pensare al pranzo, ancora vivo e sguazzante nell’acqua del piccolo fiume.
Giunse in vista del corso d’acqua, in un punto in cui quasi non c’erano arbusti né alberi nel mezzo alla radura, come se fosse stato appositamente preparato uno spazio aperto dove allenarsi.
Jiro lasciò scorrere gli occhi neri sull’ambiente. Una luce verdastra picchiava sul terreno, dovuta al sole di mezzogiorno filtrato dalle foglie. Gli parve che il luogo fosse ancora deserto.
Ma si stava scordando dell’abitudine di qualcuno di sua conoscenza di arrivare sempre in anticipo.
«Buongiorno, Jiro-kun…».
Subito il ragazzo dai capelli platinati volse lo sguardo verso una figura seduta su un masso grigio sul bordo del fiume.
Nohiro era ben in luce da quella posizione, ed il figlio dell’eremita dei rospi non riusciva a capire come avesse fatto a non notarlo immediatamente. Probabilmente perché era rimasto talmente immobile da sembrare parte integrante del paesaggio intorno a lui. Inoltre il giovane dai capelli neri non vestiva in colori sgargianti, piuttosto tirava sul grigio e le sue varie tonalità. Jiro notò inoltre che portava legato in vita lo stesso kimono di qualche taglia in più che aveva il giorno prima… Solo la maglia da ninja a collo alto era cambiata: non era più nera ma grigio scuro, appunto, e sopra ne indossava un'altra a rete con le maniche corte. Anche lui, come Jiro, sfoggiava il coprifronte azzurro col simbolo della Foglia legato dietro la testa.
Jiro osservò quello che era il suo compagno di squadra, che gli piacesse o no, e, giusto per evitare di doversi mettere a litigare con lui sin da subito, gli passò il fatto di averlo chiamato “Jiro-kun” invece che soltanto “Jiro”. Ma non pensare che io ti saluti allegro e gentile solo perché ieri ti ho fatto un paio di scuse, serpente, pensò il ragazzo immediatamente dopo.
Quindi si fermò un attimo ed inarcò un sopracciglio con una vaga aria di sufficienza. «Ciao».
Buttò lì il saluto, con svogliatezza, e l’altro tentò di accennare un sorriso stentato e imbarazzato. Al ragazzo dai capelli bianchi venne da pensare, con una sorta di malignità, che nemmeno le ragazze si imbarazzano così facilmente quando sorridono. Quella malevolenza, però, sfumò subito nella sua testa; non era portato a quel genere di pensieri e, se doveva fare qualche commento, secondo la sua ottica era sempre preferibile farlo in faccia e alla luce del sole.
Arrivò quindi al bordo del fiume e si fermò di fianco al masso dove Nohiro era seduto, senza guardarlo, ed incrociò le braccia. La luce particolare della radura dava una sfumatura strana, quasi giallognola, alla pelle già bianchissima del ragazzino lì di fianco, e guardarne il volto pervaso da quel colorito dall’aria malaticcia non faceva altro che innervosire Jiro, per non parlare degli occhi paglierini con l’iride a taglio, che ora brillavano come di luce propria.
«Io prendo dei pesci per pranzo, visto che non credo che Naruto-sensei ci porterà da mangiare, oggi» esordì Jiro, sempre guardando verso il fiume brillante di spuma.
Nohiro si voltò verso di lui, con una leggera sorpresa, come se non si aspettasse quelle parole che appena aveva udito. Jiro, però, non attese una risposta che comunque non desiderava ricevere e, slacciando di nuovo la parte superiore del kimono invernale, iniziò a togliersi di dosso i porta kunai e i porta shuriken con un’aria di superiorità dipinta in viso. Si chinò quindi per togliere i saldali, saltellando su un piede mentre era occupato con l’altro, restando, per evitare di perdere l’equilibrio, in un posa alquanto buffa. Si liberò infine con estrema velocità degli altri pesi inutili e in un attimo era pronto per gettarsi.
L’altro ragazzo lo guardò con espressione ancora pervasa dalla sorpresa. All’inizio, forse, aveva creduto che il compagno di squadra non stesse parlando sul serio, ma ora che era rimasto in pantaloni da ninja e maglia a rete e si era approntato sul bordo del fiume per potersi tuffare nell’acqua cristallina, intese, spalancando gli occhi, che, si, Jiro diceva sul serio.
«No, aspetta, ti congelera…».
Splash!
Nohiro non ebbe il tempo di completare la frase, che il compagno di squadra si era già buttato. Degli schizzi d’acqua raggiunsero anche il giovane dai capelli neri, ancora seduto sul masso sul margine del corso d’acqua. Si riparò il viso dalle gocce schermandosi con un braccio, strizzando un occhio e storcendo la bocca.
Guardò con gli occhi ambrati la spuma increspata nel punto in cui Jiro era sparito sotto la superficie. E velocemente, molto velocemente, una macchia scura iniziò a delinearsi nell’azzurrognolo dell’acqua. Il figlio dell’eremita dei rospi uscì dall’acqua con un potente slancio, e qualcuno avrebbe potuto dire che tutta questa fretta avrebbe potuto esser dovuta alla mancanza di fiato… ma Nohiro immaginò subito che si trattava di tutt’altra cosa.
«Oh porco cane! E’ gelida!» imprecò Jiro con gli occhi neri sgranati e i denti digrignati, mentre stringeva convulsamente le braccia intorno ai fianchi, cercando di scaldarsi con l’attrito.
Arrancò nella debole corrente portandosi dove l’acqua gli arrivava solo alla vita, sempre battendo i denti e sempre lanciando ingiurie al fiume, alla stagione e a qualunque cosa gli passasse per la testa.
Nohiro, guardando l’altro tutto tremante nell’acqua coi capelli, solitamente anarchici e ribelli, tutti appiccicati alla fronte e al collo, dovette mordersi un labbro per non lasciarsi scappare una sonora risata.
«Siamo alla fine di febbraio, è normale che l’acqua sia fredda…» commentò quindi, evitando di guardare l’altro nella faccia divenuta paonazza per l’effetto contrario della bassa temperatura.
Jiro non rispose. Era ancora troppo occupato a far smettere i propri denti di battere come nacchere.
Ci volle ancora qualche momento prima che la temperatura del suo corpo si adattasse a quella del fiume ma, finalmente, smise di tremare a quella maniera esagerata. Aveva le dita dei piedi insensibili, come anche quelle delle mani, però lentamente la sensazione di aghi pungenti che gli bucavano la palle stava sparendo; così gettò uno sguardo verso il ragazzo seduto sul masso ed infine, stringendo i pugni, si voltò di nuovo verso la parte più profonda del fiume.
«Bene, vediamo di prendere questi dannati pesci».
Stringendo i denti e inspirando profondamente, come sperando di poter trattenere nel fiato un po’ di calore, serrò fra le dita l’unico kunai che non aveva lasciato a riva e immerse il braccio in acqua con un movimento fulmineo, spruzzando e schiamazzando, nel tentativo di infilzare, probabilmente, un pesce che passava fra le sue gambe. Il kunai però tornò su vuoto.
Il ragazzo quindi strinse le labbra e, muovendo qualche passo nell’acqua, attese il passaggio di un'altra preda per ritentare.
Nohiro lo guardò con quella che poteva essere interpretata come sorpresa, ma anche come una sorta di ammirazione. Ammirazione per la cocciuta determinazione a catturare dei pesci per pranzo, nonostante l’acqua del fiume si trovasse a temperature decisamente basse, tanto da buscarsi un bel raffreddore, se non di peggio. Forse lui, Nohiro, avrebbe ragionato che era più conveniente uscire immediatamente dal grosso torrente e non avrebbe affatto deciso di far comunque quel che aveva detto. Si sentì stranamente meschino davanti alla costanza del proprio compagno di squadra.
Per rimediare a quel sentimento di inadeguatezza pensò che sarebbe stato carino aiutarlo a catturare una carpa o un pesce di qualunque altra specie.
Ma subito gli venne in mente che non era il caso. Sta di fatto che nemmeno si mosse dal masso o pronunciò parola, sebbene l’idea ancora gli ronzasse in testa, rimanendo solo a guardarlo.
Questo perché sapeva due cose con una certa sicurezza. La prima era che, se gli avesse chiesto ad alta voce se aveva bisogno di aiuto, la risposta sarebbe stata di sicuro negativa, forse un po’ per l’astio che ancora di certo provava nei suoi confronti, e un po’ per il suo stratosferico orgoglio. La seconda era che non voleva ammalarsi. Questo secondo motivo gli pareva terribilmente infimo, e lo faceva sentire ancor più meschino di prima, però non poteva negare che, nel profondo di sé, non voleva affatto bagnarsi come un pulcino per prendere il cibo da cucinare.
«E uno!» sentì in quel momento esclamare una voce esultante.
Nohiro cancellò le sue riflessioni per voltare gli occhi su una carpa infilzata dal lungo kunai, che ancora si dimenava.
Sorrise, ma senza dir nulla, né complimentarsi né fare altro tipo di commenti.
Jiro avanzò nell’acqua corrente con un sorriso soddisfatto fino ad arrivare a riva, staccò il pesce dalla sua arma e gli diede un colpo secco contro il masso dove era seduto Nohiro. Immediatamente l’animale smise di contorcersi e si fermò immobile, per poi essere abbandonato sopra la medesima roccia.
Il ragazzo dai capelli neri restò un secondo a fissarne le scaglie argentine brillare di goccioline d’acqua, come piccole gemme sopra un tessuto prezioso. La sua fantasia si mise a lavorare senza preavviso ed immaginò come gli sarebbe piaciuto avere un kimono con un motivo a scaglie color argento e minuscole pietruzze trasparenti come l’acqua cucite su, assieme a brillanti ricami di carpe e pesci… Un secondo dopo inarcò un sopracciglio divertito da sé stesso, mentre già Jiro si era di nuovo immerso nel fiume fino alla vita. Ma quando mai mi ritroverò con un abito del genere addosso? ironizzò mentalmente, forse con un po’ di dispiacere.
In quell’istante vide con la coda dell’occhio un movimento estremamente veloce. Si voltò verso il fiume, senza sapere precisamente cosa aspettarsi… ma di certo non si aspettava che un kunai, con infilzata un’altra carpa argentata, picchiasse sul sasso dove era seduto, a meno di trenta centimetri dalla sua gamba, scheggiando la roccia. Nohiro trattenne rumorosamente il respiro, portando al petto la mano destra per lo spavento. Il kunai cadde sull’erba verde scuro.
Subito il ragazzo dai capelli neri alzò gli occhi verso il corso d’acqua, cercando Jiro con aria allarmata.
E lo trovò in piedi su un altro masso ai bordi del margine opposto del fiume, mani piantate sui fianchi e un sorriso soddisfatto e divertito.
«E siamo a due!» esultò. Passò una mano nei capelli bianchi appiccicati e gocciolanti, ridendo a bocca spalancata, con un tocco di vanità. «E’ anche più grosso di quello che ho pescato prima!» alluse alla carpa infilzata al kunai. «Lo so, sono il miglio…».
E non riuscì a terminare la frase: improvvisamente si sentì mancare qualcosa sotto il piede destro, e quel qualcosa era l’appoggio del masso bagnato e scivoloso. Le dita dei piedi non riuscirono a far presa sulla superficie muscosa e Jiro, con gli occhi neri spalancati, si ritrovò in un momento sospeso sopra l’acqua. L’unica cosa che riuscì a pensare prima del sonoro impatto fu una bestemmia poco carina.
Nohiro aveva seguito la fulminea azione con occhi stralunati. Guardò per un attimo il punto dove era sparito l’altro ragazzo e, quando quello risalì con la testa tossendo per la bevuta ed esprimendo ad alta voce le suddette bestemmie, non riuscì a trattenere una risata soffocata. Fu davvero più forte di lui: la scena era troppo buffa per non essere contornata da qualche sghignazzamento.
Non lo fece con cattiveria, e nascose subito il riso con una mano davanti alla bocca, ma Jiro lo guardò comunque con una sorta di rabbiosa irritazione, molto probabilmente dovuta alla vergogna per la figuretta appena fatta. «Che diavolo hai tu da ridere?» ringhiò quindi il figlio dell’eremita dei rospi.
Subito Nohiro serrò le labbra. «Niente, scusa».
Jiro non gli rispose e si limitò ad un’occhiataccia poco gentile mentre iniziava a nuotare verso la riva dove Nohiro era seduto. Si inerpicò sulla sponda, grondando acqua, e afferrò entrambi i pesci che aveva catturato, sfilando il secondo dal kunai. Non guardò verso il compagno di squadra, ma rimase a soppesare entrambe le prede nella mano.
«Due soli pesci basteranno?».
Jiro si accorse che la sua bocca aveva parlato, esprimendo il proprio dubbio ad alta voce, prima che potesse fermarla. E, dalle facce, era intuibile che entrambi i ragazzini erano stupiti: l’uno per aver chiesto un parere proprio all’ultima persona da cui desiderava riceverlo, e l’altro, invece, semplicemente per il fatto di essere stato interpellato.
Per un momento Nohiro non aprì bocca: non era abituato e ricevere la richiesta di un’opinione. «Credo che due soli siano pochi… Siamo in quattro, ed il sensei ha anche un bel po’ d’appetito…» rispose infine, stringendosi le braccia attorno alla vita, come se avesse freddo.
Il ragazzo dai capelli bianchi esaminò di nuovo le due carpe che teneva in mano, poi mugugnò un assenso.
«Forse dovresti prenderne almeno un altro».
Quella frase fu un azzardo, Nohiro se ne accorse immediatamente dopo averla pronunciata. Se l’altro, il giorno prima, aveva rifiutato così seccamente una semplice strategia, quale presunzione gli poteva far credere che non avrebbe obbiettato davanti ad una proposta che suonava molto come una vera e propria disposizione? Dietro la prospettiva di questo pensiero, si preparò a ricevere un rifiuto aspro, se non addirittura sgarbato.
Ma, tanto quanto il figlio dell’eremita dei rospi non conosceva il proprio compagno di squadra, tanto Nohiro non conosceva Jiro, né sapeva che anche le persone più cocciute e orgogliose, alle volte, possono essere ragionevoli.
«Tsk…». Jiro posò di nuovo sul sasso i due pesci. «E prendiamone un altro, tanto ormai sono già fradicio!» si lamentò lanciando un’occhiata ai propri abiti ripiegati sull’erba.
Il ragazzo dai capelli bianchi non apparve entusiasta. Tutt’altro. Anzi, quasi sembrò che fosse irritato con l’altro giovane; probabilmente doveva aver accettato appunto perché non voleva ritrovarsi a dover fare a gara col suo insegnante per mangiare una porzione decente. E Nohiro ebbe la presenza di spirito di non dire altro a proposito di quell’accettazione anche troppo veloce dell’altro in quanto alla sua affermazione.
Quindi Jiro entrò di nuovo nell’acqua con espressione un po’ inasprita, avvertendo un brivido di freddo corrergli lungo la schiena. L’adattarsi alla temperatura del fiume non fu così difficoltoso come la prima volta che si era tuffato.
Ricominciò a provare ad infilzare delle carpe col kunai, alcune volte spazientendosi per i tentativi andati a vuoto e lanciando dei pugni rabbiosi all’acqua, accompagnati da ringhi e brontolii.
«Dannazione, possibile che non riesco a prendere un altro stupido pesce!?» esclamò esasperato ad un certo punto.
Nohiro, rimasto immerso nei propri pensieri fino a quel momento, alzò gli occhi serpentini verso il ragazzo immerso nel fiume. «Beh, riprova…» disse a voce bassa.
Di sicuro, se Jiro avesse prestato un po’ più attenzione alla frase che gli era stata rivolta, avrebbe dato in escandescenze. Ma già stava dando in escandescenze contro il fiume e gli ignari pesci al suo interno, quindi, anche se udì le parole dell’altro, all’inizio semplicemente mise in pratica quel che gli era stato detto, riprovando senza obbiettare. Solo dopo si accorse un po’ più consapevolmente della frase e, seriamente irritato, serrò i denti e soffiò dal naso come un toro in miniatura. Non rispose unicamente perché non avrebbe più dato l’effetto “risposta pronta” ma soltanto quello di qualcuno che afferra con un po’ di ritardo il significato di qualcosa e altrettanto in ritardo risponde. Tutto ma non la figura dello scemo con questo qui, si disse il figlio dell’eremita dei rospi.
Quella situazione , con Nohiro che guardava dal suo masso e Jiro che tentava inutilmente di catturare un'altra preda, durò ancora per qualche minuto, finché una voce cristallina li interruppe improvvisamente.
«Buongiorno ragazzi!».
Si voltarono entrambi ed incontrarono lo sguardo azzurro di Mayumi, vestita con i soliti pantaloni bianchi e la parte superiore di uno yukata di color giallo canarino, stretto in vita da un fiocco nero. Portava un grosso zaino sulla schiena e teneva sul braccio il kimono bianco che il giorno prima Jiro le aveva lasciato in consegna.
«Scusa se ho ritardato Jiro, ma prima mia mamma mi ha fermata per farsi aiutare con delle faccende di casa, poi ho incontrato Tsubasa per la strada, e tu la conosci, non smette più di parlare. Infine ho preparato lo zaino con un barbecue per cucinare il ramen, se Naruto-sensei lo porta, è chiaro» finì di parlare rivelando il contenuto della sua sacca che, difatti, aveva l’aria di essere abbastanza pesante.
Completato il resoconto voltò gli occhi verso Nohiro. «Buongiorno Nor» lo salutò, per poi riavviare un ricciolo biondo sfuggito al treccione che si era fatta e, infine, sorridere.
Il ragazzo balbettò solamente un «‘Giorno» impossibilitato a sorridere a sua volta per i battiti del cuore saliti a mille. Un osservatore attento avrebbe pure fatto caso che le guance pallide si erano colorate di un tenue rosa.
Mayumi si avvicinò al sasso e posò a terra lo zaino ed il suo contenuto, con un sospiro affaticato. Si voltò quindi verso il fiume mostrando al proprietario il suo kimono bianco.
«L’ho fatto lavare a mia mamma, come promesso. Vedi di non…». La ragazza si bloccò, come se solo adesso si fosse realmente accorta dove era il suo amico d’infanzia. «Jiro, ma sei impazzito a entrare nel fiume a febbraio!?» scattò la ragazza. «Ti vuoi prendere una polmonite, per caso?». Dalla voce trasudava della sincera preoccupazione, accentuata dalle pupille dilatate ed il corpo proteso verso il fiume.
Lui la guardò per un attimo, poi, togliendosi dalla faccia delle ciocche di capelli bagnati, uscì dall’acqua. «Stavo solo pescando il pranzo Mayu» la tranquillizzò.
«Hai vestiti asciutti o no?».
Jiro le indicò il proprio kimono rosso e verde ripiegato lì a terra.
La ragazza rimase per un momento in silenzio, poi sospirò e posò a terra anche il kimono bianco, sopra quello cha già lì si trovava: da tempo aveva rinunciato a mettere un minimo di sale in zucca a quel ragazzo. Mentre costringeva Jiro ad asciugarsi con il suo abito rosso e verde, spostò gli occhi sulle due carpe appoggiate sul sasso.
«Siete sicuri che due pesci soltanto siano sufficienti per tutti? Forse sarebbe il caso che ne pescassi almeno un altro io…» disse quindi, colta da un dubbio improvviso.
Jiro aprì la bocca per rispondere ma un’altra voce, quasi allarmata, lo precedette: «Certo che no, Mayumi. Due pesci direi che bastano di certo…».
Sia la ragazza che il ragazzo dai capelli bianchi si voltarono verso Nohiro, lei con espressione neutra, lui con gli occhi neri spalancati e la bocca semi aperta. Non si capiva se fosse stupito o arrabbiato.
«Come scusa?» sillabò Jiro a denti stretti.
Nohiro si voltò verso l’altro, ma di malavoglia, come se si vergognasse di mostrarsi in volto.
«Come hai detto?» ripeté Jiro, adesso quasi ringhiando ed ottenendo l’effetto di inquietare ancora di più Nohiro e beccarsi un’occhiata confusa di Mayumi.
«Ho detto…» tentò di spiegarsi il ragazzo dai capelli neri «ho detto a Mayu che i pesci bastano e…».
«I pesci bastano?!». Stavolta il figlio dell’eremita dei rospi aveva proprio urlato. E, a sottolineare la sua irritazione, a parte il fatto che chiamare quella che stava provando “irritazione” è un eufemismo, si era proteso in avanti scostandosi del tutto dalle cure premurose della bionda lì di fianco.
Mayumi, chiaramente, non aveva ben inquadrato il perché l’amico si fosse tanto infervorato.
Ma lo capì presto.
«A me hai detto che due pesci non bastavano. Mi hai detto di prenderne un altro e di provare ancora se non ci riuscivo!! E chiaramente senza metterci un mezzo dito per aiutare!». Aveva lasciato cadere a terra il kimono rosso e verde ed era rimasto di nuovo a torso nudo. «Ma chi credi di prendere in giro, eh!?».
«Jiro, non ti agitare…» tentò Mayumi di mediare, con voce flebile. Forse se ci avesse messo un po’ più d’energia nella protesta sarebbe riuscita a farne sortire un effetto, ma in realtà non voleva proprio metterci più energia: perché, a sentire quel che aveva detto Jiro, sempre fosse attendibile come fonte, il ragazzo dai capelli bianchi non aveva del tutto torto. E si sentiva anche in parte colpevole di quell’improvvisa rabbia: dopotutto e a lei che Nohiro aveva rivolto la frase scatenante della collera dell’altro.
Detto fatto l’amico d’infanzia della ragazza non le prestò per niente attenzione. «“Non ti agitare”? Non mi dovrei agitare, Mayumi!?» la aggredì, con le sopracciglia corrugate e la mandibola serrata.
«E tu!» proseguì quindi il giovane voltandosi di scatto. «Scendi immediatamente da lì sopra!» ringhiò guardando Nohiro, ancora seduto sul masso con posizione un po’ più inquieta di prima.
Solo che il ragazzo dai capelli neri non ebbe il tempo di scendere e neppure di ribattere perché il compagno di squadra si era lanciato con un salto verso il masso. I riflessi di Nohiro, però, erano decisamente più veloci dei movimenti di Jiro… e, quando l’uno era atterrato sopra la roccia, l’altro già era saltato giù fuori dalla sua portata.
L’espressione di Nohiro era indecifrabile: guardava fisso con gli occhi ambrati l’altro giovane accovacciato sopra il masso e con un riflesso decisamente arrabbiato nell’iride nera, esattamente come fa una serpe con il bambino incauto che va a stuzzicarla, e che non si sente affatto preda bensì cacciatore.
«Ragazzi, adesso smettetela. Jiro, basta, o ti mollo un pugno!».
Il figlio dell’eremita dei rospi sapeva bene che i pugni di Mayumi facevano male. Un bel po’ male, considerato che era stata la pupilla della Godaime. Ma sapeva anche che quelle minacce erano vuote; la ragazza spesso gli diceva simili cose, ma poi non lo faceva mai, forse perché era rimasta una persona abbastanza portata a perdonare le cose e l’influenza della Quinta Hokage non era stata poi così marcata.
In ogni caso, in quel momento, non stette certo a pensare a tutte queste cose, visto che probabilmente nemmeno udì le parole da lei pronunciate.
Jiro digrignò i denti alla vista dell’espressione piatta sul viso niveo di Nohiro e, con un mugugno irritato, si lanciò di nuovo a terra e scattò verso di lui.
L’altro vide con la chiarezza di un analista il muscolo del braccio destro di Jiro tendersi all’indietro e tirarsi, e quello della gamba sinistra gonfiarsi: e, ancor prima che il giovane dai capelli bianchi potesse mollare il suo pugno, Nohiro si era spostato leggermente di fianco, per farlo andare a vuoto e potergli afferrare il braccio, sempre mantenendo, apparentemente senza motivazione, il viso inespressivo. Mayumi, dal canto suo, seguì il salto di Jiro con gli occhi azzurri spalancati e stupiti.
Però nessuna delle azioni che sia Jiro che Nohiro si figuravano di compiere andò a termine: due mani, quasi spuntate dal nulla, si agganciarono al braccio di Jiro tirandolo indietro a distanza di sicurezza dall’altro ragazzino, ed una persona con sguardo truce e torvo si frappose fra i due giovani con le braccia piantate sui fianchi, esattamente come farebbe un padre che sta per sgridare i figlioli disubbidienti.
«E allora? Che sta succedendo qui?» tuonò la voce di Naruto.
I due giovani si bloccarono e Mayumi tirò un respiro di sollievo.
Gli occhi del biondo Jonin si spostarono severi un paio di volte da quelli neri di Jiro a quelli paglierini di Nohiro. «Ebbene?». Si voltò quindi verso il giovane dai capelli bianchi. «Jiro! Cosa stavi facendo?».
Il ragazzino strinse le labbra ed aggrottò le sopracciglia, poi indicò bruscamente Nohiro, allungando il braccio. «Mi ha fatto pescare due pesci e ha continuato a dire di prenderne ancora perché non bastavano».
Naruto inarcò un sopracciglio con scetticismo: sapeva che l’altro suo pallido allievo non era persona da mettersi a dare ordini ed ad insistere con delle pretese su qualcosa.
Jiro, forse, intuì la linea di pensiero del suo sensei ed inoltre si accorse quale bassezza morale ci fosse nel modificare la realtà dei fatti nel modo in cui aveva appena fatto, anche se con una dose di non volontà. Fatto sta che si corresse immediatamente, cambiando la sua precedente affermazione.
«E' come ho detto, sensei! Ho deciso di pescare pesci per il pranzo e lui ha insistito perché ne prendessi ancora. E, quando è arrivata Mayumi, a lei ha detto che i pesci bastavano!» terminò il discorso, sottolineando la sua irritazione con movimenti ampi delle braccia.
Il Jonin allora si voltò verso Nohiro, che adesso tormentava le maniche del kimono grigio legato in vita e spostava gli occhi da un punto all’altro della radura, evitando in tutti i modi lo sguardo azzurro del suo insegnante.
«E’ così?» gli domandò Naruto con tono perentorio.
«S-si, ma…».
«E perché l’hai fatto?» continuò il Jonin, ora del tutto concentrato sull’“interrogatorio” del ragazzo dai capelli corvini.
«Per irritarmi soltanto» mugugnò Jiro sottovoce.
Naruto lo guardò soltanto per un momento, poi fissò di nuovo l’altro giovane. «L’hai fatto per questo?».
«No, non è così!».
Il tono di voce di Nohiro era quello di una persona che è stata fraintesa; ma, dopo quello scatto, tornò composto, con le labbra serrate ed un’espressione imbarazzata.
«E per cosa allora?».
Nohiro rimase zitto a quella domanda. Non poteva rispondere al suo sensei, e c’era un buon motivo per cui non poteva farlo… ma non poteva rivelare nemmeno quello. Rimase quindi muto, tormentato da uno strano sentimento di vergogna, dovuta in parte perché Naruto-sensei avrebbe pensato qualcosa di sbagliato su di lui, ed anche per la ragione, conosciuta a lui solo, per la quale aveva pronunciato quella frase incriminante: “no Mayumi, i pesci bastano di certo”.
Il sensei continuò a guardarlo severamente ancora per un attimo, senza tuttavia incrociarne lo sguardo, visto che il ragazzo si premurava di tenerlo lontano dagli occhi inquisitori del Jonin.
«Benissimo, ci terremo i due pesci che ci sono e basta» esordì infine Naruto con voce dura.
Indicò a Jiro di prenderli, ed il giovanotto si voltò verso la roccia con aria indignata.
Mayumi era rimasta ferma a seguire la scena.
L’aveva fatto con espressione indecifrabile, ed un caos di pensieri che si susseguivano uno dietro l’altro: Jiro quindi era stato davvero provocato questa volta; però Nohiro non credevo affatto fosse tipo da simili comportamenti; c’è qualcosa sotto; ma cosa non riesco a capirlo. Una simile ressa di ipotesi le affollava la mente.
Parve “risvegliarsi” solo quando Jiro le passò di fianco.
«Sensei!» chiamò, attirando su di sé l’attenzione di Naruto. «Ho portato un barbecue per cuocere il pranzo, se vuole possiamo…».
Lasciò la frase in sospeso ed il Jonin annuì. «Nohiro, monta il barbecue».
Sia la ragazzina che il giovane uomo restarono a guardare i due compagni di squadra che preparavano l’occorrente, l’uno pulendo i pesci dalle scaglie e da tutte quelle parti non commestibili che è possibile eliminare prima della cottura, l’altro assemblando i cavalletti e la griglia per cuocere quei medesimi pesci.
«E la prossima volta» cominciò di nuovo Naruto con tono sempre estremamente serio, se non minaccioso «la prossima volta, se vi trovo di nuovo in una situazione come quella di prima, prendo il barbecue che Mayumi ha portato e lo do in testa prima ad uno e poi a quell’altro, così vi verrà un bel bernoccolo sulla capoccia che non vi scorderete tanto facilmente».
Nonostante lo sfondo scherzoso che traspariva dalla frase nessuno dei quattro lì presenti accennò a ridere. Mayumi restò lì in piedi, inquieta, e Jiro e Nohiro continuarono il loro lavoro senza interrompersi, ma stringendo le labbra sentendo loro stessi e le loro “colpe” venir chiamati in causa.










-------------------------------




Che dire di questo capitolo?
Non è tutto rose e fiori nella squadra degli intrepidi eroi, questo c’è da dirlo. XP
Comunque ammetto che questi capitoli sono ancora molto corti, ancora non ci sono tutte le avventure che profetizzo nell’introduzione della ff, né appaiono i ninja della Sabbia (ci saranno, tranquilli! XD Anche con qualche vecchia conoscenza…). Il prossimo cap. sarà un po’ più lungo di questi postati sin adesso.
Divertitevi coi pesci! XD

Ringrazio per le recensioni:

Marty9210, stavolta sei te a fare due recensioni eh? Sembra che sia una moda di scrivere un commento prima di leggere per arrivare primi. XD Ordunque (so perfettamente che questa parola non è più compresa nei vocabolari da molto tempo… >.>) non farti venire ansia, come vedi Nohiro è tornato e non c’è nessuna parentela da tenere a mente. XD Quando appariranno di nuovo le varie “discendenze” scriverò tutte le volte di chi sono figli ecc. ecc. così si eviterà di confonderli e dover andare indietro a riguardare. Talpina Pensierosa, grazie infinte per i complimenti e, se vuoi la mia opinione, LEGGI Amori Anomali, perché è veramente una bellissima storia! Lilithkyubi, grazie della recensione! Attendo sempre con ansia la fan numero uno stracotta di Nohiro. XD E inoltre le tue argomentazioni hanno avuto effetto, perché Nohiro è di nuovo presente all’appello! Per Ichigo invece… ti ricordi che cosa è andato a fare Naruto a villa Hyuga? XP Quella è la motivazione per cui la ragazza è così depressa (dopotutto stanno discutendo della sua libertà)… e, no, Tenten non sta ancora demolendo la casa. XD Per Gaara… come ho detto più su nel commento, bisognerà attendere ancora un po’. ^^’’ Killkenny, grazie del 9, che gradisco sempre tantissimo. Ho notato anche che sei un mago delle recensioni-sintesi. XD Gracias! Ametista, mi scuso se non hai capito subito la storia dei Nara… probabilmente eri del tutto rimbambita da tutti quei nomi. XD Purtroppo non posso proprio aggiornare prima, perché altrimenti non ho il tempo di scrivere un altro capitolo prima del martedì. Anzi, temo addirittura che dovrò fare un aggiornamento ogni due settimane invece che uno ogni sette giorni… Ma, parlando di argomenti seri… lo yaoi… insomma… mi cucio la bocca! XD Grazie ancora per i complimenti! P.S. Le neve c’era anche qui a Pasquetta! Io avevo 3 cm. sulla macchina! O.O

Ringrazio anche i 12 che hanno inserito tutto nei preferiti!

Al prossimo martedì!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Arrampicarsi sugli alberi ***


-10-
Arrampicarsi sugli alberi



Pranzarono in silenzio, senza rivolgersi la parola.
Jiro e Nohiro, chini sul loro piattino e sulla metà del pesce a loro toccata, spostavano le pupille dalla forchetta che tenevano in mano ai loro piedi, e dal sensei al barbecue nel mezzo ai quattro. Nohiro stava tradendo la propria irrequietezza, che forse lui avrebbe anche definito imbarazzo, dai movimenti che compiva per cercare di trovare una posizione più comoda sul terreno.
Si stava sporcando il kimono grigio a forza di muoversi e sistemarsi, ma che cosa importava? Che i suoi abiti fossero puliti o meno, toccava a lui lavarli; non li portava mai in lavanderia, forse per il fatto che era costretto a pagare per un servizio che poteva farsi da solo, forse perché gli dava fastidio mostrarsi in pubblico per chiedere qualcosa.
E in ogni caso, in quel momento la pulizia del proprio abito era l’ultima cosa che gli interessasse. Aveva su di sé gli occhi di Naruto, duri, irremovibili nel loro profondo azzurro, ed avvertiva inoltre le occhiate fugaci che gli lanciava Jiro, di sottecchi. Lo faceva anche lui e, inevitabilmente, i loro sguardi finivano, per qualche millesimo di secondo, per incrociarsi. Nohiro era consapevole di avergli fatto un torto… e non aveva idea se gli bruciasse di più aver avuto un simile comportamento con il proprio compagno di squadra oppure di aver fatto una così brutta figura con Naruto-sensei.
Bloccò per un attimo la forchetta con uno degli ultimi bocconi di pesce infilzato su. No, non era nessuna delle due cose; perché si accorse che quel che più gli bruciava era di aver avuto un simile comportamento e di aver fatto una così brutta figura, non coi due sopracitati, ma con Mayumi.
Mayumi, che non pareva essersi arrabbiata con lui, ma che si notava comunque quanto fosse scossa, turbata e inquieta. Il giovane dai capelli neri poteva dedurlo da come arricciolava nervosamente i boccoli biondi alle dita, da come alzava spesso lo sguardo sul Jonin lì seduto a mangiare, e da come si azzardava a osservare ogni tanto anche gli altri due giovani.
Come avrebbe desiderato poterla calmare. Anche a costo di fare una figura anche peggiore di quella di prima.
Non fare assurdità, gli mormorò una vocina giudiziosa da dentro di sé.
Decise saggiamente di dare retta alla propria coscienza.
«Avete finito?» li interruppe la voce del biondo Jonin.
Nohiro e Jiro alzarono il viso dal piatto, ingoiando l’ultimo boccone di pesce alla griglia. Sembrava che il figlio dell’eremita dei rospi avesse perso la voglia di mugugnare e lamentarsi, e di fatto consegnò il piatto vuoto senza pronunciare una parola. Mayumi fece altrettanto, alzandosi da terra con l’aiuto di un braccio.
«Benissimo…» li squadrò il sensei, dopo aver messo i piatti e le posate da una parte. «Cominciamo ad allenarci sul chakra… E’ robetta basilare, e se avete ascoltato almeno un terzo dei discorsi di Iruka in Accademia di sicuro la parte teorica la conoscete già».
I tre rimasero in silenzio, Jiro con espressione abbastanza atona, forse cercando di mascherare i sentimenti ancora turbolenti di prima, Mayumi con una parvenza di sorriso mentre ripassava mentalmente tutto quel che sapeva; e Nohiro con l’attenzione completamente calamitata verso il suo insegnante: quando si iniziava a parlare di qualche argomento nuovo, o più in generale di arti ninja, le sue orecchie diventavano come antenne pronte a captare qualunque informazione.
Involontariamente il ragazzo dai capelli neri si protese verso Naruto.
«Sapete bene che energia fisica e chakra si mischiano per formare le tecniche…». Naruto si bloccò e, spalancando gli occhi, portò avanti a sé una mano e la scosse con frenesia negando quel che aveva appena detto: «No no, scusate! Energia fisica ed energia psichica si mischiano per formare il chakra e quindi le tecniche!».
«Ah, ecco, mi sembrava ci fosse qualcosa che non andava» sussurrò Mayumi fra sé, leggermente sorpresa per quell’errore. Nohiro dovette coprirsi la bocca sottile con una mano per non scoppiare in una risata, mentre Jiro si limitò a guardare il Jonin con espressione di rassegnata rinuncia. Il primo dei due sapeva già bene che Naruto-sensei era assolutamente negato con la teoria, ed anche per questo era rimasto veramente stupito quando si era presentato loro al chiosco del ramen come insegnante. Ma stupito in positivo, perché non c’era un’altra persona che Nohiro desiderasse avere come sensei più del biondo ninja.
In ogni caso quel piccolo errore teorico era bastato ad alleggerire drasticamente l’atmosfera. Anche perché mantenere un aria severa per un Jonin quale era Naruto era un’impresa veramente impossibile.
«Ok, stavo dicendo… Per imparare a controllare il proprio chakra esistono allenamenti specifici, quali camminare sull’acqua e concentrarsi su un punto particolare del proprio corpo per aumentare le prestazioni dei muscoli e delle articolazioni. Però ‘sta roba è po’ difficile per dei tredicenni appena diventati Genin. Quindi…» il Jonin incrociò le braccia con un’espressione gongolante «quindi vi farò arrampicare sugli alberi!»
Il figlio dell’eremita dei rospi, un poco disorientato dall’inusuale affermazione, inarcò un sopracciglio. «Eh?».
Mayumi invece sorrise. «Ci fa raccogliere il chakra sui piedi per risalire il tronco dell’albero?».
«Esatto! Come fa sentire realizzati avere studenti così brillanti…» commentò il Jonin con vocetta commossa.
«Oh… figo». Nella voce di Jiro c’era un chiaro scetticismo.
E, per quella sua affermazione di qualunquismo, si beccò un’occhiataccia da Naruto. Il quale, un momento dopo, si perse in una saccente spiegazione: «Sul corpo ci sono sessanta… sessanta… sessantaquattro, si, ecco! Sessantaquattro punti di fuga e ora il vostro compito è quello di…»

«…è quello di raccogliere il chakra sui punti che si trovano sulla pianta dei piedi». Iruka lo guardò con una sorta di preoccupazione. «Pensi di poterlo fare o lo trovi un po’ troppo difficile?».
Sempre ad angosciarsi di apprensione per lui, Iruka-sensei.
Nohiro gli aveva sorriso. «Non penso sia così difficile, sensei».
Il Chunin gli aveva sorriso di rimando, increspando un poco i bordi della cicatrice sul naso. «Bene Nohiro… Quando avrai fatto dovrai salire su per la parete dell’aula, tenendoti attaccato col chakra che hai accumulato. Ma fa attenzione a non cadere giù, non voglio che ti rompi il collo, capito?».
Un altro sorriso allegro sul volto pallido del ragazzino, all’interno dell’aula afosa nelle prime ore del pomeriggio estivo. «Stia tranquillo, lo posso fare senza uccidermi accidentalmente».


L’aula, quel pomeriggio di mesi prima, era vuota; c’erano solo lui ed Iruka-sensei.
Adesso non era da solo col suo insegnante, ma in compagnia dei propri compagni di squadra, non c’era un aula, ma degli alberi… ma, sostanzialmente, la cosa da fare era la medesima.
E Nohiro si ricordava con perfezione maniacale tutto quello che aveva imparato da Iruka quel giorno: era stato un premio per un buon compito scritto, rimembrava. Il Chunin l’aveva fatto fermare dopo pranzo dicendogli che voleva fargli un regalo ed insegnarli una cosa che tutti gli altri avrebbero appreso solo dopo la promozione a Genin. Entusiasta, Nohiro aveva accettato di buon grado di attendere a scuola ancora un po’.
Ed era stato un bel po’ di tempo fa… ma il ragazzino ricordava benissimo tutto.
Naruto terminò la sua spiegazione, quasi senza accorgersi che, dei suoi tre allievi, solo due l’avevano ascoltato, Jiro con un po’ di disorientamento, Mayumi con interesse; ma soltanto due, perché il terzo era perso nei propri ricordi.
«Ok signorini, mostratemi quel che sapete fare!» esclamò infine il Jonin.
Mayumi si voltò verso gli alberi ma subito venne bloccata da Jiro che, avvicinatosi a lei, le sussurrò in un orecchio: «Mayu, com’è che bisogna fare? Naruto-sensei ha usato una raffica di termini che non ricordo di aver mai sentito pronunciare…».
Lei lo fissò con indulgente rassegnazione. «Tu studiare mai, vero?» sospirò. «Guarda me, è molto più semplice a farsi che a dirsi».
La ragazza si voltò verso il primo albero con un tronco abbastanza diritto e senza rami a ostruire la risalita. Sistemò quindi a croce il dito indice e medio della mano destra con l’indice e il medio della sinistra, nella posizione di concentrazione, iniziando ad avvertire il flusso di chakra scorrerle nel corpo, dal cuore alle gambe, dalle gambe alla pianta dei piedi, chiusi in ballerine morbide. Naruto scrutò attentamente la sua allieva con i rotondi occhi azzurri, ed un sorriso di compiacimento gli allargò la bocca e gli tirò le guance rigate dai sei baffi.
La bionda, improvvisamente, alzò le pupille verso l’albero con una luce di determinazione, sciolse il sigillo di concentrazione e, facendo un segno a Jiro perché prestasse attenzione, spiccò una corsa verso la pianta che si ergeva davanti a lei.
Il ragazzo dai capelli bianchi la guardò mentre spiccava un salto all’ultimo momento, mentre la sottile aura blu sotto i suoi piedi aderiva alla corteccia marrone scuro e le permetteva di muovere passi in verticale. Con le sopracciglia aggrottate per non perdere il controllo del chakra, Mayumi riuscì ad arrivare a quasi due metri e mezzo dalla base dell’albero, poi si staccò e si spinse all’indietro nel vuoto. Tre paia di occhi la guardarono piroettare in un giro della morte a mezz’aria, con l’intenzione di atterrare in piedi senza prendere testate. Fortunatamente per lei, l’acrobazia andò a buon fine.
«Diamine, ma qui siamo già bravi!».
Mayumi accennò un dolce sorriso all’affermazione del suo sensei.
«Allora credo proprio che renderò l’esercitazione un pochino più difficile…».
Oh no… Proprio ora che credevo che non avrei fatto brutte figure con sta robetta così facile, pensò Jiro con sguardo rammaricato.
Il Jonin estrasse quindi una lama dal porta kunai sul giubbotto ninja e, con un rapidissimo movimento, saltò verso l’albero, lasciando dietro di sé un piccolo vuoto d’aria e delle foglie sollevate dalla leggera folata. Non si riuscì a seguire il suo spostamento con gli occhi ma, quando il giovane uomo fu di nuovo in piedi nello stesso punto di prima con un bel sorrisone stampato in faccia, sul tronco dell’albero e su quello di altri due lì a fianco c’era un segno orizzontale inciso dal kunai.
«Adesso dovete arrivare lì e riuscire a fare una tacca più alta della mia» spiegò Naruto, tutto gongolante.
«Ma… ma la sua tacca è a sei metri da terra, sensei!».
«E quindi Jiro? Non sei in grado di arrivare a quell’altezza?» domandò di rimando il Jonin con aria noncurante.
Con quell’affermazione il volto del figlio dell’eremita dei rospi si imbronciò: l’insegnante era andato a sfiorare il suo orgoglio e, forse perché Naruto rivedeva un po’ se stesso in Jiro e conosceva le reazioni del ragazzino, sapeva di aver toccato il tasto giusto.
Fatto sta che, con la soddisfazione dei vincitori, il Jonin lo guardò mentre estraeva a sua volta un kunai dall’interno del corto kimono verde e rosso, la mandibola serrata con fiera determinazione. Mayumi si limitò a lanciare uno sguardo alla tacca sull’albero ed estrarre la propria arma.
«Perfetto, cominciate pure. Mayumi all’albero nel mezzo, Jiro a sinistra». I due si prepararono a scattare in avanti. «E…». Il Jonin si bloccò. «Nohiro? Ehi signorino, guarda che parlo anche per te eh».
Il ragazzino non aveva prestato granchè attenzione. Di nuovo aveva un’espressione piatta, persa, che pareva essersi risvegliata unicamente al richiamo del suo sensei. Perché l’indecisione era fortissima: o fare come i suoi compagni, prendere la rincorsa e arrivare ai sei metri pian piano… o fare come Iruka-sensei gli aveva insegnato.
«Allora? L’esercitazione c’è anche per te, sai?» incalzò Naruto, incrociando le braccia ed espressione decisamente spazientita.
Il ragazzino decise in fretta, annuendo verso il suo insegnante per indicargli che non l’avrebbe fatto attendere oltre.
Sciolse il nodo fatto con le maniche del kimono che aveva in vita e lo posò a terra, rimanendo coi pantaloni neri e la canotta a rete indossata sopra la maglia grigio scuro. Quindi impugnò la propria arma, estratta dal porta kunai legato alla coscia, sopra le garze. Avanzò verso l’albero a destra, osservando intanto le tacche che Jiro e Mayumi avevano inciso a due, tre, anche quattro metri da terra.
Ma Nohiro, diversamente da loro, non si fermò lontano dal tronco per prendere la rincorsa; proseguì diritto verso la pianta, e gli altri due giovani si fermarono a guardarlo, confusi. Altrettanto fece Naruto, il quale, però, stava già afferrando con assoluta sorpresa e sbigottimento quale fosse la possibile realtà.
Nohiro arrivò davanti all’albero; fece un respiro profondo, si disse che quello non era un eccessivo esempio di vanità ma solo l’esecuzione dell’esercitazione così come andava fatta. Gli tornarono in mente le parole di Iruka-sensei, quando gli insegnò a camminare sulla parete dell’aula.
Alzò quindi la gamba destra, con la pianta del piede avvolta da chakra azzurrino e con molta calma, con molta naturalezza, posò la punta del sandalo ninja contro la corteccia.
Poi, con una spinta di muscolo, si tirò su e posò anche l’altro piede sul tronco.
Infine, piegando un po’ la schiena verso l’alto, iniziò a camminare in verticale, sotto gli occhi spalancati di Mayumi, colta da una sorta di stupita ammirazione, quelli sconcertati di Jiro che aveva un tale tumulto in testa da non capire se stava provando una flebile stima o una bruciante invidia. Ed infine arrivò ai sei metri, all’altezza della tacca incisa da Naruto-sensei; egli adesso non sapeva bene che pensare: prevaleva l’orgoglio, lo stupore o un ammirato compiacimento? Non si prese la briga di decidere, piuttosto guardò il suo pallido allievo accovacciarsi contro l’albero, piegando le ginocchia, e, con un movimento preciso e diretto, incidere un segno pochi centimetri più su a quello fatto dal Jonin stesso.
Nohiro guardò il risultato dei suoi allenamenti pomeridiani all’Accademia. Sorrise di un sorriso brevissimo pensando alle lodi di Naruto-sensei, ed anche a quelle di Iruka-sensei quando avesse saputo di quell’allenamento, e si rabbuiò immediatamente dopo immaginando che Jiro, e Mayumi anche, forse si sarebbero infastiditi per la dimostrazione di quel che sapeva fare.
Ravviò le ciocche di capelli color carbone lasciate libere a svolazzare sotto il tetto del fogliame invernale, sistemò la coda bassa prima di lasciarsi scivolare giù ed atterrare davanti all’albero.
«Oh». Questo l’unico monosillabo che uscì dalla bocca di Naruto.
Mentre un sordo grugnito di stupore uscì dalle labbra di Jiro, rimasto letteralmente ad occhi spalancati, Mayumi si limitò a guardare con sbalordimento.
Ma Nohiro, di nuovo in posizione eretta, non ebbe il coraggio di affrontare i loro visi e, mordicchiando con un certo nervosismo il labbro inferiore, guardò dritto verso gli occhi azzurri del suo sensei. Nella sua testa non faceva altro che rimbombare la stessa identica frase: ho esagerato.
Fu proprio Naruto a rompere il silenzio, con un tentativo abbastanza inutile di deviare l’attenzione su altro: «Bene! Voi due proseguite con l’allenamento» decretò verso gli altri due ragazzini. «C’è ancora la mia tacca da superare!» li esortò.
Jiro fissò Nohiro per qualche attimo, ed al giovane pallido parve di avvertire i suoi occhi neri bruciargli in mezzo alla nuca. Poi il figlio dell’eremita dei rospi si voltò di scatto, con rabbia che gli sprizzava da ogni poro, ed ricominciò a prendere la rincorsa con sempre più furiosa determinazione. Mayumi lo guardò attentamente. Infine scosse la testa, prima di continuare a sua volta l’allenamento, cosciente della scossa adrenalinica che ora pervadeva il corpo del proprio amico d’infanzia… e cosciente anche del fatto che non si sarebbe fermato finché non avesse raggiunto un risultato capace di competere con quello di Nohiro.
La ragazza scattò quindi verso l’albero, concentrando il chakra un’ennesima volta.
«E tu, invece…» proseguì Naruto in quel momento, guardando il ragazzino dai capelli neri, rimasto lì in piedi senza azzardarsi a girare la testa verso i due compagni «…tu vieni qui».
Nohiro si avvicinò, tradendo un sentimento d’ansia dalle occhiate furtive che mandava alle spalle. I due si sedettero sui massi vicini al bordo del fiume, calando, inizialmente, in un silenzio carico di parole, in cui Naruto scrutava con attenzione il suo allievo e si perdeva nelle memorie che gli rammentava, e Nohiro si tormentava sulle domande che forse gli sarebbero state rivolte.
«Noi due facciamo teoria, va bene?».
Il ragazzino ingoiò il groppo che gli ostruiva la gola, rilassandosi: niente domande per adesso, a quanto pareva.
«Ripetimi i nomi di tutti i sigilli».
Nohiro li richiamò alla svelta alla mente. «Topo, bue, tigre, lepre, drago, serpente, cavallo, pecora, scimmia, gallo, cane e cinghiale» elencò stringendo gli occhi senza guardare nulla in particolare, come se stesse leggendo in qualche angolo della propria memoria.
«Ti scordi il sigillo della giraffa» ribatté il Jonin, alzando un dito con aria saccente.
Nohiro inarcò un sopracciglio. Sigillo della giraffa!?
«Ehm… Non credo che il… sigillo della giraffa esista, sensei…».
Naruto lo guardò per un secondo. Poi girò un poco la schiena di lato per mostrargli bene le mani e, articolando le dita, andò a creare una figura che il ragazzino, dal canto suo, non aveva mai visto prima.
Gli occhi ambrati del pallido giovane analizzarono quella strana posizione delle mani con una buona dose di dubbio e, sebbene Nohiro non osasse mettere in discussione qualcosa che usciva dalla bocca del suo insegnante, adesso proprio non riusciva a credere così ciecamente che il sigillo che Naruto gli stava presentando fosse poi così… ecco… utilizzabile.
«Sigillo… della giraffa…?» domandò quindi con voce stentata e scettica.
«Certo».
Di nuovo Nohiro guardò il Jonin negli occhi azzurri, cercando una conferma anche in essi alle parole tanto sicure che pronunciava.
Stava già per arrendersi a dargli retta; quando, con un lampo di genio avuto osservando l’ombra di Naruto che i raggi di sole lanciavano sul terreno, capì cos’era sul serio la posizione delle mani che stava osservando.
«Sensei…».
«Si?» ribatté il biondo Jonin, sempre molto sicuro di sé.
«Non… non so se lei ha un metodo segreto per sconfiggere gli avversari con le ombre cinesi ma, nel caso non fosse così… beh, non credo che il “sigillo della giraffa” sia molto utile…».
Il giovane uomo restò per un secondo interdetto, poi scrollò le spalle. «Se lo dici tu. Eppure ero convinto che qualche tecnica ci veniva fuori…».
Nohiro sospirò leggermente: doveva aspettarselo da Naruto-sensei. Magari aveva fatto confusione con le ombre cinesi.
Perché la posizione delle mani che gli aveva mostrato era proprio quella che si usa per fare la giraffa attraverso un’ombra su un telo. A ripensarci gli venne da ridere.
«Ok, come non detto» riprese Naruto come se nulla fosse. «Adesso… dimmi quali sono le proprietà del chakra».
«Fuoco, acqua, fulmine, vento, terra…». Nohiro si bloccò per un attimo di incertezza. «E luce ed ombra?».
«Esatto». Il Jonin gli scoccò uno dei suo sorrisi enormi.
In quell’istante un altro pensiero attraversò fulmineo la testa del ragazzino dai capelli neri: “ma Naruto-sensei ha fatto quella scenetta del sigillo della giraffa per non farmi pensare a… Jiro e Mayumi?”
La prospettiva gli martellò insistente nelle orecchie. Ed ora, furbamente, non riuscì a fare a meno di gettare un’occhiatina furtiva ai due; continuavano ad allenarsi, com’era chiaro… E, sebbene Mayumi non sembrasse turbata o nient’altro, era chiaro che Jiro era arrabbiato. L’unica cosa che riuscì in parte a consolare Nohiro fu che la compagna di squadra non mostrava segni d’irritazione.
Stupido, hai esagerato! si ripeté con rammarico un ennesima volta.
Fu Naruto ad interrompere il filo dei suoi pensieri: «Ora dimmi in quante e quali categorie sono divise le arti ninja».
Il ragazzino sorrise. Questa la sapeva. Come le altre d’altronde. «Si dividono in tre tipi: Taijutsu, ovvero arti marziali, Genjutsu, ovvero arti illusorie, e Ninjutsu, ovvero arti magiche… anche se l’ultimo termine si usa spesso come termine generale che raggruppa tutti i tipi di arti ninja».
«Ehi, ma tu sai tutto!» esclamò di rimando il Jonin, forse a voce anche un po’ troppo alta.
Fatto sta che Jiro si voltò impercettibilmente verso i due seduti sul bordo del fiume, mentre risaliva il tronco dell’albero a corsa. Con un inconsueto slancio arrivò quasi a sfiorare i cinque metri e mezzo di altezza.
Nella radura illuminata dalla luce giallognola del sole del primo pomeriggio calò il silenzio per poco meno di un minuto, ma a Nohiro parve che quell’assenza di rumori, interrotta solo dallo scalpiccìo degli altri due giovani contro il tronco dell’albero e dallo scrosciare del fiume, si stesse protraendo da ore.
Il ragazzino dai capelli neri spostò improvvisamente lo sguardo sul suo insegnante, seduto lì di fianco a lui; e, inaspettatamente, lo trovò con la testa sorretta dalle mani chiuse a pugno mentre lo scrutava con attenzione, come se cercasse di leggere i suoi pensieri solo con gli occhi azzurri fissi su di lui. Un angolo recondito della sua acuta mente fece l’involontario collegamento con gli occhi di Mayumi. Ma lei li ha più chiari, puntualizzò senza però perdersi eccessivamente in simili leggerezze.
«Nohiro…».
Il giovane sobbalzò. Prevedeva che ora Naruto-sensei gli avrebbe fatto un domanda. Ma non di quelle di teoria. Di quelle di cui lui tanto aveva timore.
Non parlò, quindi, ma restò in attesa che il quesito arrivasse.
«Perché prima ti sei comportato in quel modo con Jiro?».
Nohiro bloccò per un attimo la respirazione. Immaginava che ci sarebbe stata la domanda, ma immaginava che avrebbe riguardato la sua capacità di concentrare il chakra sui piedi, non quello.
«Parlo della cosa dei pesci. L’hai fatto davvero solo per dargli fastidio?».
«No!» esclamò il ragazzino come risposta. Lo stesso “no” indignato che gli era uscito dalla bocca prima di pranzo, mentre il Jonin li rimproverava, lo stesso identico tono di voce.
Naruto non si alterò a quella risposta così enfatica. «E allora perché?» Anche questa la stessa domanda di un’oretta prima.
Le alternative, per il ragazzino, erano quella di restare in silenzio e lasciare che il suo sensei credesse quello che voleva… oppure di dire finalmente la verità. E, preferendo di gran lunga che il biondo ninja non gli attribuisse anch’egli colpe che non aveva, decise di virare sulla seconda possibilità.
Fece un profondo respiro e tentò di trovare un modo accettabile di spiegare la cosa senza balbettare. Alla fine, però, passando in rassegna le varie scelte, convenne che la via più diretta era anche la migliore per non finire in una situazione imbarazzante.
Altro respiro profondo. «L’ho fatto per Mayumi».
«Per… Mayumi…?» Era chiaro che il Jonin si aspettava di tutto, ma non certo quella risposta.
«Si…». Nohiro trovò che Naruto-sensei avrebbe di certo gradito una motivazione più articolata. «Beh, vede, quando Jiro mi ha chiesto se due pesci bastavano era chiaro che non era così. Peraltro ho ancora un po’ di languorino…». Accennò un sorrisetto con leggero imbarazzo per la sua ultima affermazione, prima di riprendere: «E… a Mayumi ho risposto che bastavano perché… insomma…» Iniziò a tormentare il bordo della maglia grigia, in assenza delle maniche del kimono, ora a terra ripiegato.
«Perché…?» incalzò il giovane uomo, strascicando un pochino la “e” finale.
«Perché non volevo che si stancasse».
Tutto d’un fiato Nohiro tirò fuori la risposta. Poi, immediatamente dopo essersi assicurato che Jiro e soprattutto Mayumi non avessero udito nulla fra un’arrampicata e l’altra, strinse le labbra, abbassò gli occhi paglierini e le guance bianchissime gli si colorarono di un delizioso rosina, dandogli l’aspetto di una vera e propria bambola di liscia porcellana incipriata sulle gote.
Naruto restò a bocca aperta. «Ah…».
Subito dopo girò le pupille sulla ragazza, adesso in procinto di spiccare una nuova corsa in contemporanea con Jiro. «Toh guarda, la cara Mayumi ha fatto colpo su un altro giovincello…».
Nohiro si voltò ad occhi spalancati. «Che vuol dire un altr…».
«Sensei! Ci guardi!».
Jiro, con un sorriso molto convinto e l’aria determinata, come se stesse urlando un “ora ti faccio vedere io”, attirò l’attenzione del biondo Jonin su di sé ed interruppe la sconcertata domanda sorta sulle labbra dell’altro pallido ragazzo.
Sotto gli occhi di Naruto e quelli del loro compagno di squadra, Jiro e Mayumi si scambiarono un’occhiata d’intesa e, muovendosi contemporaneamente, si lanciarono contro la pianta. I loro piedi aderirono alla corteccia e, veloci, la risalirono verso l’alto… sempre più in alto… Nohiro si accorse anche che le loro tacche erano arrivate molto vicine ai sei metri… e, quella volta, i due giovani i sei metri li superarono. Sorpassarono di qualche metro la tacca incisa da Naruto e, teso il braccio, scalfirono la corteccia col loro kunai. Poi entrambi si fecero scivolare giù dal tronco, Mayumi sorridendo verso il suo insegnante e Jiro… beh, Jiro con un’espressione che definirla “soddisfatta” era davvero un termine troppo poco forte.
«Ottimo!».
Alla lode dell’insegnante il sorriso sulla faccia di Jiro si allargò ancora di più.
«A questo punto venite qua tutti e due e sedetevi, si continua con la teoria».
I due ragazzini si asciugarono il sudore dalla fronte e andarono verso i massi. Jiro si inerpicò fin sulla cima della roccia, Mayumi si accomodò quasi di fianco a Nohiro, il quale subito si agitò, strappando a Naruto un sorrisetto divertito.
«Credo che un discorsetto sul controllo del chakra nel corpo potrebbe tornarvi utile per non farvi dannare così tanto la prossima volta» esordì, con una risata gioviale che sciolse subito l’elettricità che pervadeva ancora l’atmosfera lì intorno.
La lezione sul chakra catturò l’attenzione dei tre ragazzini più di quanto avrebbero potuto immaginare.
Erano nozioni che non venivano impartite all’Accademia, quindi anche studenti diligenti come potevano essere considerati Nohiro e Mayumi rimasero ad ascoltare con attenzione: si poteva dire che quella era la loro prima vera lezione come Genin.
Anche Jiro, che all’Accademia, durante le lezioni di teoria, era solito perdersi nelle sue fantasticherie su come avrebbe fatto cadere ai suoi piedi la moretta dell’altra classe, si lasciò assorbire dalla voce allegra di Naruto, forse perché la lezione gli interessava sul serio, oppure perché ci teneva particolarmente a non essere mai più da meno al proprio riservato compagno di squadra. In ogni caso non di certo perché Naruto sapesse spiegare bene la teoria. Anzi, ogni tanto commetteva addirittura qualche errorino teorico che, anche se veniva subito ricorretto, suscitava l’ilarità dei tre giovani.
Anche, e forse soprattutto grazie a questi errori gli animi, lentamente, si rilassarono e le tensioni si sopirono fra le comuni risate liberatorie.
Il pomeriggio trascorse veloce e, alle quattro e mezza, il sole era quasi del tutto tramontato.
Allora Naruto annunciò che per quella giornata gli che allenamenti erano finiti. «E domani mattina davanti alla reception del villaggio, senza ritardi!». Infine si congedò con un sorrisone a trentadue denti e sparì in una folata d’aria.
Fu il momento anche per gli altri tre di andare ognuno a casa propria. Mayumi gustandosi già la cena calda preparata da sua madre Mayura, donna virtuosa e dalle molteplici competenze; Jiro immaginando che forse avrebbe dovuto preparare lui la cena sia per sé stesso che per papà, ma anche che, probabilmente, se la sarebbe cavata comprando del riso caldo al primo ristorante in vista e suo padre se lo sarebbe fatto andare bene; e Nohiro sapendo che nella sua casetta in periferia non avrebbe trovato nessuno e quindi avrebbe fatto una deviazione per la casa di Iruka-sensei e avrebbe cenato da lui, sperando di non disturbarlo.
«Ci si vede domani Nor». La voce carezzevole di Mayumi raggiunse il ragazzino, occupato a indossare il suo kimono grigio chiaro. Il sorriso che accompagnò il saluto gli procurò uno strano brivido lungo la schiena.
«A domani, e… buona serata» rispose, tentando di accennare un sorriso abbastanza stentato ed imbarazzato. Le pupille verticali gli si posarono involontariamente su Jiro… il quale lo stava guardando, coi suoi occhi nerissimi e imperscrutabili.
E da lui, come saluto, ricevette unicamente un brusco cenno del capo. Perlomeno non mi ha del tutto ignorato, pensò il pallido ragazzino, come per darsi una sorta di consolazione ad una spina di dispiacere che l'aveva punto all'improvviso.
Infine Mayumi e Jiro, dopo che l’una ebbe risistemato nello zaino il barbecue smontato e l’altro ebbe preso il kimono bianco riconsegnatogli dalla kunoichi quella mattina, si avviarono fianco a fianco lungo il sentiero. Nohiro ne imboccò un altro, che l’avrebbe portato più vicino al quartiere dove abitava il suo vecchio sensei.

Foglie schiacciate, passi sull’erba, un fruscio nella fratta.
Il Jonin si fermò in mezzo alla via, piantando gli occhi azzurri in punto fra la vegetazione a bordo strada.
«Ero-sennin… perché mi pedini?» domandò con un sopracciglio vistosamente inarcato.
Jiraiya sbuffò e si alzò in piedi, sistemando il rotolo gigante sulla sua schiena ed infine entrando nella carreggiata. Era diventato sempre più difficile non farsi sorprendere da Naruto, notò.
«Controllavo che non combinassi qualche guaio… con te non si sa mai. E poi ti ho detto mille volte di non chiamarmi ero-sennin!».
«Non ho mica due anni…». Naruto si bloccò un momento, poi gli comparve un sorrisetto da monello sulle labbra. «…ero-sennin».
«Uah…» sospirò Jiraiya. Per fortuna inculcargli qualche storiella è rimasto sempre abbastanza semplice, pensò in quel momento il sannin rilassandosi.
«Cos’è, non ti fidi di me, per caso? Nemmeno ora che sono Jonin?» riattaccò Naruto con falsa aria risentita.
«Si, si…». Jiraiya trasse un respiro esasperato, alzando gli occhi al cielo.
Non è di te che non mi fido, Naruto.
Gli occhi di Jiraiya si corrucciarono momentaneamente, accentuando sulle tempie la ragnatela di righe dei suoi sessantasette anni. Era il caso di dirglielo? Di dirgli che aveva spiato lui ed il Team cinque per tutto il giorno? Alla fine decise che, no, non era il caso.
Quel pensiero gli riportò alla mente le scene di quella mattina: durante l’inizio di quel litigio era stato sul punto di intervenire, di mettersi in mezzo. Aveva però indugiato, combattuto fra la possibilità di apparire veramente esagerato e l’apprensione di padre. Poi ci aveva pensato Naruto a congelare l’azione e Jiraiya aveva tirato un respiro di sollievo. E poi la storia dell’arrampicarsi sugli alberi… da che l’eremita dei rospi ricordasse l’unica altra persona che aveva fatto un’esibizione che si avvicinava a quella di Nohiro, di quelle da meritarsi il titolo di genietto della generazione, era il Quarto Hokage. E, quando aveva visto la scena, era rimasto di nuovo senza parole… e la preoccupazione insita il lui per il futuro era aumentata. Nemmeno Orochimaru era così, ricordava di aver pensato in quel momento.
La voce gioviale del biondo ninja che camminava di fianco a lui lo distrasse. «A che stai pensando?» gli domandò curioso.
«Tsunade di cosa ti ha parlato stamani, prima che tu andassi all’allenamento?».
Naruto interpretò quella domanda come l’argomento dei pensieri di Jiraiya. «E’ venuto Kankuro da Suna» iniziò a spiegare. «Ci ha portato delle notizie fresche sui confini del Paese del Vento… Pare che intorno al Paese della Pioggia ci sia movimento».
«Ci sono stati scontri?».
«No. Ma i ninja di Ame diventano sempre più audaci, ed iniziano a spingersi oltre i confini del loro Paese. Sembra addirittura che stiano “rubando” le missioni al Paese del Vento, convincendo i daimyo a consegnare a loro le richieste. Pretendono di essere considerati al pari di un villaggio che abbia un Kage, dattebayo!».
Jiraiya rimase un momento in silenzio, davanti alla spiegazione del suo vecchio allievo. «Mi chiedo fin dove si spingeranno. Non sono gli unici a tenere simili comportamenti, di questi tempi» commentò, quasi fra sé e sé, con la sua voce arrochita dagli anni.
Naruto lo guardò, ed un ombra gli attraversò momentaneamente i grandi occhi azzurri. «Credo che nonna Tsunade lo dirà al Consiglio, uno di questi giorni» considerò, mentre la luce arancione del magnifico tramonto nel pulito cielo invernale gli illuminava le guance e dava ai suoi capelli biondi e ribelli l’aspetto di fiamme sfolgoranti.
Jiraiya non gli rispose e continuarono a camminare fino al momento di cambiare strada per raggiungere ognuno casa propria.

Lo stesso sole rosso che sfiorava le guance di Naruto e del sannin dei rospi carezzava anche quelle di Mayumi e di Jiro.
Per un po’ avevano camminato in silenzio, ammirando le cime degli alberi infiammarsi e la sfera dell’astro scendere sotto l’orizzonte. La giornata era stata piena ed impegnata, ed entrambi avevano le loro considerazioni da fare, le “confidenze da confessionale”, come Mayumi ricordava che una volta le aveva chiamate l’onorevole Jiraiya, guardando suo figlio che si rinchiudeva in salotto a chiacchierare con lei. Ora, però, nessuno dei due voleva rompere quella bolla di vetro silenziosa nella quale c’erano solo i respiri e l’aria fredda della sera invernale.
Alla fine, tuttavia, Jiro non riuscì più a contenere i suoi pensieri unicamente nella sua testa.
Sospirò di stanchezza, attirando su di sé lo sguardo azzurro di Mayumi. «Bella lezione, eh?».
Lei inarcò un sopracciglio. «Perché, l’hai ascoltata sul serio?» gli domandò con candido divertimento.
«Certo che l’ho fatto!» protestò il ragazzino, sentendosi vagamente indignato.
Mayumi, però, non si arrabbiò per la risposta brusca e, al contrario, gli sorrise come avendo l’impressione di aver raggiunto un traguardo, di aver messo da parte una piccola vittoria. «Bene!».
Dopo quel breve scambio di battute i due tornarono di nuovo in silenzio.
Silenzio che, comunque, durò per poco: «Di un po’…» iniziò di nuovo Jiro.
«Mh?».
«Ma a te non è sembrato che Naruto-sensei… beh, avesse qualche preferenza?» azzardò, lanciandole un’occhiata di sottecchi.
Mayumi spalancò le palpebre e, addirittura si fermò per un secondo. «Come “qualche preferenza”?».
«Si… cioè, insomma, l’hai visto no? Come era tutto intimo con… con Nohiro». Indugiò prima di pronunciare il nome del compagno di squadra. Forse perché, prima di allora, in compagnia di tutti gli altri ragazzi dell’Accademia, si era riferito a lui con appellativi non proprio gentili, quali “mostriciattolo” o “serpente”.
Mayumi invece girò gli occhi celesti verso l’alto, come se stesse portando alla mente le immagini di quel pomeriggio. «Uhm… a me non pare che abbia avuto un comportamento così anomalo con Nor».
«Massì» insisté il giovane dai capelli bianchi. «Gli ha fatto la lezione teorica privata, è rimasto a chiacchierarci mentre noi due ci si allenava… A me pare un comportamento mooolto familiare, e non certo da insegnante e allievo».
La bionda scosse la testa con un sospiro, muovendo i boccoli biondi. «Jiro, ma tu non sai niente di loro due? Ti interessi proprio soltanto di conoscere a memoria gli indirizzi di tutte le ragazze di Konoha?».
Il ragazzo la guardò interdetto. «Eh?».
«Il sensei ha adottato Nohiro» gli spiegò quindi, con rassegnazione, riuscendo con quella sola frasetta a far spalancare gli occhi neri all’amico di infanzia. Evidentemente non lo sapeva sul serio. «Naruto-sensei è il ninja che lo trovò fuori dal villaggio della Foglia quando era ancora un neonato, e poi lo prese in custodia finché non compì undici anni. Fino a due anni fa, in pratica, loro vivevano assieme. E’ chiaro che abbiano un atteggiamento intimo l’uno con l’altro».
Bocca semi aperta, occhi sbarrati e assoluta sorpresa erano le parole più concise per descrivere il volto di Jiro in quel momento.
«E tu queste cose come le sai, scusa?».
La bionda gli fece un sorrisetto, quasi di scuse. «Ad essere stata la pupilla di Tsunade-sama per gli ultimi anni ci ho guadagnato anche un bel po’ di notizie ufficiali interessanti» gli spiegò ridacchiando.
Lui rimase per ancora un momento sbigottito, mentre già avevano passato la periferia di Konoha ed erano entrati nei quartieri residenziali più esterni.
Improvvisamente, però, udirono entrambi una voce che li chiamava.
«Jiro! Mayumi! Aspettatemi!».
Entrambi si voltarono. «Tsubasa!» la salutò Mayumi con un sorriso. Il ragazzo dai capelli bianchi, invece, si limitò a regalarle un sorriso sghembo, col quale attuò una trasformazione incredibile, da giovanotto allegro senza troppi peli sulla lingua, a fascinoso e misterioso sciupafemmine. La Nara non si sciolse come neve al sole unicamente perché aveva una reputazione da prima donna da tenere su.
«Eri ad un allenamento, Tsubasa?» le domandò quindi Jiro.
Lei li raggiunse con un po’ di fiatone, sistemò la corta gonna nera che portava e la maglia verdolina a maniche lunghe con ricamato sulle spalle il simbolo del clan Nara, il cerchio tagliato da una linea verticale, sime ad un divieto. «Si, ho appena lasciato i ragazzi e Konohamaru-sensei. Loro abitano tutti dall’altra parte del villaggio».
«E com’è andata?» s’informò il ragazzo.
Tsubasa assunse un’espressione di vanità. «Bene, bene…». E col tono di voce sembrava sottintendere qualcosa come: ti pare che non mi sia andata bene? «Ed anche i ragazzi sono stati bravissimi. Konohamaru-sensei ha persino detto a Tomita che non ha mai visto un Genin con capacità simili alle sue».
Mayumi spostò gli occhi azzurri verso l’altra ragazza, inarcando un sopracciglio e accennando un sorriso divertito. Jiro, invece si voltò leggermente verso l’amica d’infanzia e, forse guardandone l’espressione, intuì perfettamente il pensiero che le aveva attraversato la testa: probabilmente l’insegnante di Tsubasa non aveva mai visto Nohiro.
La mora aveva taciuto per un momento, restando a guardare il sole quasi del tutto scomparso dietro le chiome degli alberi… Ma era altamente improbabile che Tsubasa Nara rimanesse in silenzio per più di qualche minuto e, detto fatto, dopo aver stretto gli elastici dei suoi due bassi codini, iniziò di nuovo a parlare intraprendendo un altro argomento.
«Comunque Ichigo sta bene» comunicò ai due amici.
«Ichigo?». Jiro apparve leggermente confuso. «Perché, aveva qualcosa?».
Mayumi gli scoccò un’occhiata di rimprovero. «Scommetto che non ti sei nemmeno accorto di quanto fosse giù di morale ieri».
«Appunto!» concordò immediatamente Tsubasa. «Kian, stamani, quando gli ho chiesto qualche delucidazione, mi ha detto che si trattava di qualcosa a proposito della casata cadetta degli Hyuga e del segno di costrizione…».
Un chiacchierone, Kian. Alla fine non era stato capace di tenere la bocca chiusa e, di sicuro, Shinji l’avrebbe rimproverato duramente per non aver rispettato la privacy della loro compagna di squadra. Ma, in ogni caso, non si era scucito molto sull’argomento; non tanto quanto avrebbe voluto Tsubasa.
«Ma questa mattina era di nuovo la solita Ichigo che conosciamo» riprese la Nara. «Grintosa e imbattibile. Dovreste vedere come usa la Rotazione Suprema degli Hyuga!».
Mayumi tirò un respiro di sollievo. «Bene, ne sono felice. Ieri faceva davvero preoccupare, con tutta l’ansia che aveva addosso».
«Già» annuì l’altra ragazza.
Jiro aveva seguito la conversazione un po’ ascoltando un po’ no, perché doveva ammettere a sé stesso che il giorno prima, al chiosco del ramen, non si era molto impensierito per Ichigo, avendo altre tre belle giovincelle, Tsubasa, Xiaoyu e Kanaria, a intrattenerlo. Mayumi non la contava, ma non perché non fosse bella. Per carità, piuttosto che dire che non la era si sarebbe tagliato il codino, e Dio solo sapeva quanto ci tenesse al suo codino bianco. Solo che la conosceva sin da bambino, quando ancora gattonava invece che camminare, e poi era la sua migliore amica… e non ci si prova con le migliori amiche.
Strana etica per uno come lui, è vero, ma Jiro non era comunque mai venuto meno a quei “propositi”.
«Vi saluto adesso, ragazzi!» squillò all’improvviso la voce di Tsubasa.
«Di già?» le domandò il ragazzo dai capelli bianchi, da bravo corteggiatore.
«Si, mi spiace, ma devo sbrigarmi. E’ venuto mio zio Kankuro da Suna, e adesso dev’essere nel mio quartiere a salutare la mamma. Riparte per il paese del vento già domattina e, se non mi sbrigo, nemmeno riesco a dargli la buonasera».
Quindi si protese verso Mayumi e la baciò sulla guancia, come saluto, poi verso Jiro, scoccandone uno pure a lui. «Non pensatemi troppo!» esclamò, civettuola, mentre si allontanava di corsa per un'altra strada e muoveva la mano in segno di saluto.
I due la guardarono allontanarsi, rimanendo in silenzio.
Avrebbero parlato della giornata trascorsa dopo cena. Si sarebbero visti solo per una mezz’oretta e poi subito la mattina dopo, alla reception.
Adesso volevano solo godersi gli ultimi raggi del sole che si attardavano a sorpassare l’orizzonte, determinati a non cedere ancora il posto alla notte.













-----------------------------------



Chiedo umilmente perdono per non aver avvisato che avrei ritardato con l’aggiornamento. ç.ç
Ero in gita von la scuola a Torino da lunedì… l’avviso che qualcuno avrà letto e qualcuno no l’ho fatto mettere per telefono al mio ragazzo.
Ordunque, eccomi con l’aggiornamento vero. Capitolo, come avevo anticipato, più lungo degli altri postati sin adesso. Ed ecco il primo allenamento! Da qui resta in sospeso la domanda: Naruto è scaltro o solo ignorante? (la riprendo da quel che ha detto il mio ragazzo quando ha letto il capitolo in anteprima XP). Lascio la risposta nel dubbio volutamente. XP Inoltre si scopre qualcosina in più sul passato di N&N (Nohiro e Naruto XD), mentre, per la felicità dei fan di Amori Anomali, torna Tsubasa alla carica.
Altri due piccoli appunti sul cap: ovviamente le proprietà del chakra non me le sono inventate, ma le ho prese direttamente dal manga n° 35. E, ultima cosa, per chi non se lo ricorda, Kian è il figlio di Kiba ed è in squadra con Ichigo. XP
Detto questo spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto!

Ringrazio:

Marty9210, sono contenta che ti sia piaciuto il cap e, ovviamente si, Nohiro è tornato! Poteva forse mancare? XD Killkenny, grazie del voto… non immagini quanto la tua recensione mi abbia fatta morire dal ridere. XD Dai, avanti, Jiro non è poi così cattivo da meritarsi lo Tsukuyomi… Vedrai che i due signorini saranno sorprendenti. XD Talpina Pensierosa, grazie per aver detto che il capitolo è bello, apprezzo sempre tantissimo i tuoi complimenti! E la tua raccolta l’ho guardata. XD Brava anche te! Ametista, sono felice che ti sia piaciuto… e mi dispiace che non ci sia stato lo sfioramento di labbra. XD Ma dopo Mayu restava traumatizzata, meglio che le cose siano andate lisce lisce. In ogni caso… mi sento in vena di spoilerare. XD Orbene (evviva le parole scomparse dai vocabolari)… viva gli sbaciucchiamenti. Mi fermo. XDD (Alla faccia dello spoiler, mi dirai, vero? XD) Lilithkyubi, grazie infinite dei complimenti, io faccio sempre il tifo per le tue recensioni romanzo! Mi accorgo con ancora più chiarezza che Nohiro ti da assuefazione… ma ne sono felice, ovviamente! Vuol dire che il personaggio è riuscito! XD Ebbene si, mi accorgo che hai anche notato il riflesso e i rimandi alla scena sul tetto in questo capitolo… tu sei davvero geniale. XD Goditi questo capitolo, spero che ti piaccia come quello prima!

Ringrazio anche Acdcman, Alfakein, Beckill, EgabryT, Lele 91, Rina, Rioki e Targul, ovvero quelli che hanno la storia nei preferiti anche se non recensiscono! Gracias!

A martedì prossimo… e stavolta niente ritardi! XD

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Una missione seria ***


-11-
Una missione seria



La mattina del giorno successivo, una mattina uggiosa e spenta di fine febbraio, si ritrovarono tutti e tre alla reception di Konoha, sfoggiando i loro coprifronte lucidi e nuovi. Naruto si piazzò dietro ai suoi tre allievi con un sorriso soddisfatto e gli occhi piantati sui ninja al di là dei tavoli posti a zoccolo di cavallo, quasi sfidandoli a dire qualcosa su quella squadra.
La Quinta Hokage consegnò in mano a Mayumi l’incarico per la loro prima missione. Tsunade non riuscì a risparmiarsi di guardare i tre ragazzini che uscivano dalla porta con una sorta di sensazione di già visto e scorse, immergendosi nella memoria, tre chiome identiche, una bionda, una corvina e una bianca, rinate dal passato di quasi cinquant’anni prima.
La missione fu semplice. Non ci furono intoppi, non ci furono imprevisti, e, entro il primo pomeriggio, avevano già finito. Tsunade li osservò mentre consegnavano il foglio dell’incarico portato a termine e, ancora prima che comunicassero la riuscita del compito a lei, già sapeva che Jiro avrebbe avuto la faccia soddisfatta e non gli sarebbe importato nulla di aver sporcato i pantaloni col fango, che Mayumi avrebbe sorriso illuminando la stanza della sua tranquillizzante personalità e avrebbe fatto un preciso rapporto dei fatti, che Nohiro non avrebbe avuto un singolo capello fuori posto né il kimono troppo grande per lui avrebbe presentato piegature e sapeva che sarebbe rimasto chiuso in un silenzio inespressivo in attesa che Mayumi finisse di parlare e, infine, sapeva che Naruto l’avrebbe di nuovo provocata con il suo “nonna Tsunade”, l’avrebbe sfidata a provare a dire che quella squadra non era perfetta.
Il Team cinque collezionò un successo dopo l’altro, e mai riportò il fallimento di una missione.
A metà del mese di marzo, quando le querce e i ciliegi avevano già iniziato a fiorire, alcuni mittenti di incarichi richiesero addirittura l’esplicita esecuzione delle loro richieste da parte del Team cinque.
Naruto iniziò a presentarli come il suo orgoglio, il suo più grande successo. Iruka, che ospitava sempre molto spesso Nohiro e altrettanto spesso gli offriva il pranzo, girava a testa alta in Accademia, sfidando i Chunin a dire ancora qualcosa di male sul suo vecchio allievo. Fra tutti i Team si consolidarono le amicizie, ma anche le gelosie. Nohiro, in tutta la primavera, non andò mai a vedere i ciliegi sbocciare, perché sarebbe dovuto passare vicino a casa di Tomita ed incontrarlo era l’ultima cosa che desiderasse.
Nel contempo, con Jiro, le cose iniziarono ad andare meglio. Non parlarono mai molto, non risero assieme come fanno due compagni di squadra, non uscirono mai il pomeriggio per una passeggiata; ma non litigarono, si allenarono ai comandi di Naruto-sensei senza fare troppe storie, non si ignorarono. E Nohiro, inoltre, fu come un incremento per il figlio di Jiraiya: gli diede l’attenzione alle lezioni teoriche che non aveva mai avuto, gli diede la grinta e la determinazione, che comunque mai gli erano mancate, gli diede soprattutto un modello da raggiungere. Anche se mai l’avrebbe ammesso davanti a qualcuno, tanto quanto mai avrebbe voluto ammetterlo a sé stesso.
Mayumi fu l’anello di congiunzione fra i suoi due compagni di squadra. Fece da intermediario se l’atmosfera era tesa, li costrinse ad uscire a fare qualche giro per Konoha, tutti e tre insieme, evitò gli imbarazzanti silenzi e le situazioni sgradevoli, collaborò con entrambi per quanto le era possibile. Naruto le sarebbe rimasto debitore a lungo, per tutte le prediche che gli risparmiò di fare. E Nohiro non riuscì mai a stare vicino alla ragazza troppo a lungo o a parlarle per troppo tempo senza arrossire, balbettare o tormentare le maniche del suo povero kimono grigio.
Jiraiya perse molto lentamente l’abitudine di spiare la squadra e, anche quando finalmente smise di farlo, si fece comunque raccontare da suo figlio cosa succedeva la mattina ed il pomeriggio.
Naruto dal canto suo, fra una missione e l’altra, puntò molto ad insegnare ai tre ad agire assieme, a fidarsi l’uno dell’altro. Anche quando usciva a cenare con Sai, nei momenti in cui non era impegnato nelle missioni di “Radice”, o con Sakura, quando non era occupata negli affari da primaria dell’ospedale, o anche col caro vecchio Kakashi, quando non era pieno fino al collo di missioni individuali, sembrava estremamente concentrato su Nohiro, Jiro e Mayumi. Una volta, verso l’inizio di maggio, proprio Kakashi, all’Ichiraku Ramen, il chiosco più grande di Konoha, gli chiese: «E come va col lavoro di squadra?».
Naruto aveva bloccato il boccone di tagliatelle e si era preso un lungo momento prima di rispondere. «Ci sto lavorando».
Ma, nonostante questa apparente carenza del Team cinque, la squadra continuò egregiamente il proprio lavoro fino a quando fu metà maggio ed arrivò il tempo di cambiare l’armadio coi vestiti leggeri, ché fra meno di un mese sarebbe cominciata l’estate.
La temperatura, nel Paese del Fuoco, si alzò drasticamente e, purtroppo, si alzò anche la temperatura fra i villaggi ninja. Tra il Mizukage, dal Paese della Nebbia, e l’Hokage ci furono disguidi. Incomprensioni e fraintendimenti, li definirono pubblicamente. Ma iniziarono ad esserci anche col Raikage, dal villaggio della Nuvola. Infine Kankuro venne di nuovo da Suna e annunciò che i “disguidi” iniziavano ad accendersi anche coi ninja di Ame, che non si erano affatto fermati nella loro opera di espansione delle capacità economiche attraverso il “furto” di missioni. Lo Tsuchikage, dal villaggio della Pietra, si incontrò col Raikage a Kusa, il villaggio dell’Erba, l’unico ancora non toccato dai fraintendimenti vari, l’unico ancora completamente neutrale oltre a Taki, il villaggio della Cascata. Le spie della Foglia e della Sabbia seppero dell’incontro solo perché erano dislocate anche in zona; le motivazioni del colloquio rimasero comunque segrete.
Ma i tempi erano tranquilli e la Godaime Hokage, in concordanza con Gaara del Deserto, decise di sorvolare ogni cosa, in nome della pace e del quieto vivere.
Le acque si placarono. Ma la tempesta al di sotto della superficie rimase pronta a scoppiare, bisognando solo della più piccola scintilla.
Il Team cinque, né gli altri Team della Foglia, furono toccati da tutto ciò: le loro missioni non si spingevano mai troppo lontane da Konoha, e al villaggio della Foglia non si sospettava nemmeno vagamente dell’elettricità che scorreva lungo i confini.
Si arrivò alla fine di maggio, con l’estate alle porte.
Mayumi iniziò ad indossare canottiere senza maniche sopra l’ombelico, vestendo più leggero come i suoi due compagni già avevano iniziato a fare, e Nohiro, alle volte, si incantava ad ammirarla, con gli occhi paglierini immobili, come una specie di pesce lesso. Per fortuna la ragazza non prestava così tanta attenzione a quel genere di particolari, non dava impressione di rendersi conto di essere l’oggetto dei pensieri di qualcun altro. Quello che invece si accorse chiaramente di questo appassionato interesse di Nohiro verso la bionda fu Jiro. Se ne accorse molto chiaramente: coglieva ogni sguardo, ogni sorriso, ogni gentilezza; e continuava a ripetersi che non era geloso, che non aveva nessun motivo di esserlo; si ripeteva anche di continuo che era migliorato tantissimo in quei mesi e che fra lui ed il taciturno compagno di squadra non c’era più molta differenza di abilità.
Anche se, in realtà, l'invidia non si era affatto sopita, dietro quegli occhi neri come pozzi d’ombra.
Agli inizi di giugno i ninja di Konoha non avevano mai un momento libero, e le missioni abbondavano, quindi anche il Team cinque, come tutti gli altri, non si ritrovava mai senza qualcosa da fare o un compito più o meno urgente da svolgere.
E adesso, nelle ore calde delle undici di mattina, Naruto coi suoi tre giovani allievi si trovava davanti alla reception a riportare il rapporto della missione portata a termine e a ritirare le istruzioni per l’incarico successivo.
I quattro si spostarono dalla calura, calata come un pesante manto sul villaggio, all’ombroso fresco della reception.
I ninja tutti indaffarati con le loro cose, ognuno concentrato in una diversa conversazione su un diverso argomento con gli shinobi al di là dei tavoli. Nel tavolo centrale sedeva Tsunade con il suo abito verde che riportava sul retro il ricamo “giocatrice d’azzardo”; incredibile la sfacciataggine che aveva nell’indossarlo ancora adesso che era Hokage… ma, oramai, se nei primi tempi la personale assistente della principessa Tsunade le aveva spesso consigliato di perdere l’abitudine di tenerlo addosso almeno mentre svolgeva compiti ufficiali, adesso era diventata una consuetudine a cui nessuno faceva più caso.
«Buongiorno gente!».
La Godaime, sventolandosi il collo con delle pratiche usate a mo’ di ventaglio, alzò gli occhi nocciola verso l’entrata.
Naruto, con la zip del giubbotto verde da Jonin sbottonata, avanzò dall’entrata salutando ninja a destra e a sinistra. Subito dietro seguivano i tre ragazzini della sua squadra, ognuno con in braccio un animaletto peloso e raggomitolato.
«Dov’è la signora a cui sono scappati i coniglietti, nonna Tsunade?» si informò il biondo ninja.
Una venuzza cominciò a pulsare sulla fronte della donna, che, nonostante i suoi sessantasette anni, continuava ad apparire come una quarantenne molto in forma.
«Naruto… non chiamarmi così una volta di più». Fece un respiro profondo: sono in pubblico… non devo urlare, sono in pubblico, si ripeté nella testa. «La signora non è ancora arrivata… Avete fatto molto prima di quanto io stessa immaginassi».
«Queste missioni sono veramente stupide. E’ chiaro che facciamo presto a portarle a termine» brontolò Jiro.
La Hokage lo guardò aggrottando le sopracciglia, chiaro segno per ogni ninja della Foglia che non era in vena di sentire troppi discorsi.
«Quando ha ragione, ha ragione, però eh» intervenne Naruto con tono ragionevole, indicando il giovanotto con il pollice e guardando Tsunade.
Lei di nuovo fissò i tre alle spalle del Jonin. Li guardò come li aveva guardati con tutte le altre mattine in cui si erano presentati, soddisfatti dei risultati da loro conseguiti; aveva pensato, una volta, che a forza di guardarli assieme si sarebbe abituata alla sensazione che continuavano a suscitare in lei, e invece ogni volta era come se fosse la prima che li vedeva.
Mayumi, quando la Godaime ne incrociò lo sguardo, subito le sorrise.
La ragazza teneva il coniglio bianco appoggiato al petto, come si farebbe con un neonato che si deve far addormentare, e continuava a carezzarlo ritmicamente, infondendo in chi la guardava una senso di tenerezza infinita.
Jiro, invece, sorreggeva l’animaletto da sotto le ascelle, piuttosto lontano dal suo corto kimono rosso fuoco, e con un’espressione contrariata in faccia, accentuata dalla bocca arricciata. Lo teneva proprio come si tiene un neonato… che l’ha appena fatta nel pannolone.
Il ragazzo dai capelli bianchi continuava a lamentarsi con Mayumi, alle domande di lei: «Non lo tengo vicino perché mi graffia! Non gli piaccio, Mayumi!».
«Non hai nemmeno provato».
«Ti dico che non gli piaccio! E poi continua a scalciare, non vedi?».
«Jiro, è perché è scomodo nel modo in cui lo tieni!».
La loro conversazione era quasi del tutto ignorata da Naruto, ormai piuttosto abituato a quei discorsi; l’unico che ci prestava attenzione era Nohiro, lì fermo e in silenzio. Teneva il coniglietto in braccio, più vicino al viso di quanto ce lo tenesse Mayumi, tanto vicino che, se avesse chinato la testa, avrebbe potuto posare la guancia bianca sul corpicino caldo, coperto da un pelo chiarissimo, a cui faceva concorrenza la carnagione del ragazzino. Sembrava che Nohiro cullasse il coniglio.
«Ehi, Shikamaru!».
Naruto aveva appena trovato qualcun altro da salutare durante l’attesa.
Anche il membri del Team cinque si voltarono; vedendo il Team numero quattro con il loro insegnante. Shikamaru Nara, con la maglia a maniche corte del suo clan ed il classico giubbotto, si girò verso il biondo che l’aveva chiamato ma non rispose subito al saluto. Prima, con gli occhi neri che davano l’idea di qualcuno appena alzato dal letto ed il ciuffo di capelli marroni leggermente afflosciato, diede un lungo tiro al sigaro fumoso che teneva in bocca, appesantendo ancor di più l’aria già calda della reception. Poi due sbuffi di fumo bianco gli uscirono delle narici e dalla bocca.
«’Giorno, Naruto».
«Nuova missione?» domandò il biondo ninja, mentre Shikamaru si avvicinava al tavolo dove sedeva Tsunade.
«Già…». E fece un’altra tirata al sigaro buffando altri due soffi bianchi dalle sue narici, direttamente sul viso dell’altro Jonin.
«Puh!» esclamò Naruto disgustato. «Porta lontano di qui il tuo veleno, razza di suicida!» esclamò quindi, storcendo labbra e naso, e sventolando davanti alla faccia una mano per scacciare le volute di tabacco.
Shikamaru non si curò di rispondergli, andando subito a concentrarsi sulle informazioni che gli stava dando la Quinta Hokage.
Nel frattempo le due squadra già si erano scambiate i saluti, ma da lontano, perché il Team di Shikamaru era occupato a consegnare il rapporto del lavoro svolto.
Xiaoyu Amato scosse un poco il caschetto nero e sorrise in una maniera disgustosamente melensa a Jiro, arrossendo sulle guance truccate. Il ragazzo, dimenticando momentaneamente il coniglio con cui stava “lottando” per non lasciarselo sfuggire, le sorrise a sua volta, ammiccando elegantemente. Per conseguenza, la bestiola che tratteneva lo morsicò su un dito strappandogli una parolaccia.
Ekei Sarutobi, con la sua chioma nera e ricciola, salutò tutto il Team cinque, anche Nohiro, nonostante con non molto entusiasmo. Gli occhi rubino del figlio di Kurenai però, si spostarono subito dopo sul ninja al di là della tavolata al quale stava facendo rapporto. Fra i tre era il giovane Genin che Shikamaru preferiva… forse perchè era figlio del suo vecchio insegnante… ed Ekei, soprattutto per questo, si metteva d’impegno per non deludere mai nessuno e dimostrarsi un degno ninja del clan Sarutobi.
Kyu invece, passando la mano sull’arco che portava in spalla, non salutò Jiro, se non con un cenno, e tantomeno salutò Nohiro. Si fermò invece su Mayumi e le sfoggiò un sorriso smagliante, per quanto imbarazzato. Nohiro irrigidì le braccia, facendo agitare il coniglietto che stringeva. Una mattinata istruttiva, quella… finalmente aveva anche scoperto chi era l’altro pretendente della sua Mayumi. Per fortuna la ragazza rispose a Kyu con un sorriso piuttosto normale, o perlomeno uno che il pallido ragazzino non giudicò diverso da quelli che lei rivolgeva a chiunque.
«…la scadenza per portare a termine l’incarico è fra due giorni» terminò in quel momento la sua spiegazione Tsunade.
Shikamaru si tolse il sigaro di bocca per un momento. «La rispetteremo».
Ritirò quindi l’incarico e si allontanò, salutando Naruto con sonnolenta svogliatezza, una mano in tasca, gli occhi addormentati. Il Team quattro uscì dalla reception con l’insegnante, scambiando qualche altre “ciao”, in diverse intonazioni e entusiasmo, con il Team Uzumaki.
La Hokage quindi, distolta la sua attenzione dal Nara, guardò verso Naruto. «I conigli lasciateli qui. Verranno più tardi a ritirarli».
«Oh, finalmente ci si può liberare da queste palle di pelo!» esclamò Jiro mollando l’animaletto bianco sopra il tavolo; la Godaime lo guardò severamente: «Evita di strattonare le “palle di pelo” come fossero sacchetti della spesa. Devono essere riconsegnati alla proprietaria senza danni, Jiro».
Il ragazzo dai capelli platinati sbuffò, sotto l’occhio divertito del suo insegnante.
Tsunade attese che anche Mayumi e Nohiro posassero l’animaletto che tenevano in braccio, perché poi tutti e tre i conigli venissero afferrati per la collottola e messi in un cesto di vimini posato a terra da un’assistente.
«Adesso basta con queste missioni».
La dichiarazione di Tsunade colse tutti e quattro gli shinobi impreparati. Ma lei li precedette nel formulare qualunque domanda.
«Ho intenzione di darvi una missione di livello C. Oramai sono sicura che siete in grado di portarla a termine con tranquillità. Anzi, di sicuro eravate in grado anche qualche mesetto fa».
A Jiro, nell’udire quelle parole, si illuminarono gli occhi. Ma i suoi pensieri li espresse Naruto al suo posto: il Jonin quasi si gettò in ginocchio davanti al tavolo, coi lacrimoni alle ciglia. «Kami-sama, grazie! Nonnina, grazie!» attaccò. «Finalmente una missione seria! Non ce la facevo più con gatti, cani e conigli!».
Nohiro guardò il suo sensei nascondendo una risatina sotto i baffi. Mentre più o meno tutti i ninja della reception, Tsunade compresa, lo fissarono in un silenzio sbigottito per quell’ uscita improvvisa che aveva avuto, chiedendosi, probabilmente, se fosse del tutto sano di mente.
«Naruto… alzati, per piacere…» gli ordinò la Godaime, con una gocciolina di sudore sulla fronte.
«Ma certo». E il Jonin si alzò, sempre con una faccia abbastanza stupida, mentre mimava ridicolmente di asciugarsi delle lacrimucce di commozione.
Mayumi, scoccando un’occhiata di rassegnazione al suo insegnante, si avvicinò al tavolo, subito seguita da Jiro, piuttosto esaltato, e Nohiro, composto ma al massimo dell’attenzione.
Tsunade guardò loro tre, ignorando Naruto. «La missione non è complicata» spiegò, pescando un foglio fra quelli sopra il tavolo. «Consiste nel proteggere e accompagnare un commerciante, a nome Gokurakuin, fino al confine col Paese del Vento. Non c’è nessun particolare rilevante da mettere in risalto oltre a questo».
«Una scorta» commentò in quel momento il biondo insegnante dei tre ragazzini. «Un classico».
La Hokage non si soffermò però a rispondergli, avendo notato già altri ninja in attesa dietro il Team cinque fermi in attesa di ricevere un incarico. Voleva sbrigarsi con loro; anche perché, parlare faccia a faccia con quei ragazzini, tutti assieme, le dava ancora un senso disturbante.
«Gokurakuin vi aspetterà oggi alle due alla porta ovest di Konoha col suo carro… Vedete di non ritardare» concluse squadrando tutti e quattro ninja, Naruto incluso, con severità.
«Non si ritarderà, non si preoccupi Tsunade-sama» rispose Mayumi con un sorriso, anticipando il commento che era sorto in gola sia al suo insegnante che a Jiro.
I Genin si congedarono. Nohiro, nonostante i suoi due compagni si fossero già voltati prendendo la direzione per l’uscita, lui si attardò per un secondo davanti alla Godaime. Neanche lui fu consapevole del motivo per cui era rimasto lì di fronte al tavolo. Quando prese coscienza di essere restato fermo alzò gli occhi di serpe verso il volto della donna dall’aspetto di quarantenne che aveva davanti, con espressione stupita, stupita da sé stesso e dalla sua immotivata azione. Nel momento in cui le pupille verticali incontrarono quelle immerse nell’iride nocciola della kunoichi, lei aggrottò le sopracciglia, all’improvviso, con una sorta di rabbia, di severo, indignato rimprovero.
E Nohiro trattenne il respiro, fece un frettoloso, leggerissimo inchino con la testa, e si affrettò a raggiungere Jiro, non ancora uscito dalla reception.
Naruto si era fermato in mezzo alla stanza piena di ninja. Seguì Nohiro con gli occhi mentre gli passava davanti, incrociò il suo sguardo, e poi tornò a osservare l’Hokage. Tsunade vide l’espressione drastica su quel viso solcato dai sei baffi, sul quale quasi mai si vedeva la rigidità o la durezza fare capolino.
Il Jonin la fissò ancora per qualche attimo.
«Pfiui!».
L’esclamazione gli uscì dalle labbra senza un’apparente senso. Poi il ninja si girò di scatto verso l’uscita, tenendo la testa alta in una sorta di orgogliosa presunzione. Infine sparì dietro gli stipiti della porta sul fondo della sala, assieme a Jiro e Nohiro che erano rimasti assieme ad attenderlo.
La Godaime non si soffermò a tentare di decifrare il comportamento a prima vista insensato e quanto mai incoerente dello strampalato ninja.
Lo sorvolò; non lo giudicò importante.
Prese quindi un altro foglio dal mucchietto sul tavolo e si preparò ad illustrare un’altra missione allo shinobi che era fermo in attesa di ricevere istruzioni.

Il ramen era un po’ insipido, notò Nohiro.
A lui le cose piacevano ben condite.
«Iruka-sensei, mi potrebbe passare il sa…?».
Non finì la frase, che l’uomo già gli stava tendendo il barattolino del sale, con un sorriso reso un po’ buffo dalla guancia gonfiata dalla grossa boccata di tagliolini che aveva ingurgitato.
«Grazie» sorrise anche il ragazzino dai capelli neri, scuotendo il barattolo sul suo piatto e insaporendolo generosamente con i chicchi bianchi che ne fuoriuscivano.
«Non metterne troppo, o quando sarai vecchio ti verrà la pressione alta, Nohiro».
Il giovane scoppiò in una risata. «Ci manca ancora un po’ prima che io diventi vecchio, sensei» commentò allegro.
Il proprietario del chiosco, affaccendato attorno ai fornelli, lanciò un’occhiata al ragazzino da sopra la sua spalla, attirato dal riso.
Nohiro voleva farsi una bella mangiata prima di partire per la missione: sarebbe durata parecchi giorni, sospettava, e andarsene senza aver mangiato all’Ichiraku Ramen era veramente una cosa da non fare.
Poi si ricordava anche di alcune parole che aveva detto Jiro un po’ di tempo prima, quando, in una delle occasioni in cui avevano parlato per qualche minuto, il suo compagno aveva attaccato a raccontare di quando, da piccolo, era andato a fare un viaggio fuori da Konoha con suo padre; il figlio dell’eremita dei rospi aveva detto al giovane dai capelli neri che si ricordava ancora del ramen che cucinavano fuori dal villaggio della Foglia, perché faceva veramente schifo.
E se fa schifo, aveva pensato Nohiro mentre si avviava al chiosco assieme al suo caro maestro d’Accademia, devo andare all’Ichiraku e farmi una bella scorpacciata per non dimenticarmi il sapore.
«Faremo da scorta a un commerciante» stava spiegando il ragazzino in quel momento. «Mi sembra si chiami Gokurakuin… Si, si chiama così».
«Fino al confine col Paese del Vento, mi hai detto?».
Nohiro annuì , scuotendo leggermente la coda bassa di capelli lisci, e Iruka gli sorrise. «Bene» disse.
E dietro quel “bene” c’erano molti più significati di quanti lo stesso ragazzino li occupato col suo ramen pensasse. Iruka sapeva che quella missione avrebbe costretto i tre giovani, che lui stesso aveva deciso, con gli altri Chunin, di mettere nella stessa squadra, a stare a stretto contatto per ben più di pomeriggio o una mattina, a collaborare per la buona riuscita di qualcosa di più importante di riportare un gattino dalla sua padrona, a convivere per più giorni, parlare, dormire sotto lo stesso tetto, lo stesso cielo. E con questo sperava che il loro rapporto diventasse ben più profondo. Che si creasse un legame… di complicità. Che Nohiro avesse una persona da poter chiamare amico, oltre a lui, suo vecchio insegnante, e a Naruto, suo imprevedibile e improbabile padre adottivo.
Iruka ci sperava davvero.
E nel suo “bene”, nella sua risposta e nel suo sorriso, si celava questa muta fiducia e ottimistico augurio.
Però, proprio mentre stava mandando giù l’ultima boccata di ramen, pensò che, forse, Nohiro aveva bisogno di un piccolo aiuto; un incentivo, giusto per fargli capire che, se anche lui voleva tutto questo, avrebbe dovuto metterci del suo. Gli altri non potevano fare tutto da soli.
«Nohiro, ascoltami…».
Il ragazzino si voltò, sorpreso, con un sopracciglio inarcato ed una generosa cucchiaiata di ramen in bocca. «Si, sensei?».
Iruka lo fissò con i suoi profondi occhi marroni, lasciando trapelare una sensazione di serietà e imprimendo della profonda importanza a quel che stava per dire. Tanto da indurre il ragazzino a buttar giù in fretta le tagliatelle, così in fretta da farsi venire un nodo nella gola.
«Nohiro, per questa missione voglio che tu ce la metta tutta».
Il giovane dai capelli neri rimase basito davanti a quella sorta di incoraggiamento: lui ce la metteva sempre tutta per fare del suo meglio, per portare a termine il suo incarico. Ma non chiese spiegazioni ed attese in silenzio che il maestro Iruka si spiegasse, chiarisse meglio quella frase, sapendo già in anticipo che l’avrebbe fatto.
E, difatti, subito l’espressione dell’uomo si fece paterna e calda. «Devi tirare fuori la grinta. Sii più deciso, collabora con Jiro e con Mayumi».
Nohiro capì un po’ meglio a cosa alludeva Iruka-sensei. Al fatto che ancora non riusciva a sentirsi come in una vera squadra.
I suoi sentimenti, in realtà, erano confusi. Perché Nohiro era, si, convinto di fare del suo meglio, ma, alla fine, lo faceva sul serio? Scoprì con orrore, in quell’istante, di essersi adagiato troppo sugli allori: nessuno lo prendeva più in giro in faccia, anche se i sussurri alle sue spalli germogliavano sempre ed ovunque, come la mala erba; Naruto-sensei lo lodava per quello che riusciva a fare; nonostante tutto, eseguiva abbastanza in sintonia le cose coi sue due compagni. Però, quando toccava che si mettesse in gioco più di quel che era abituato a fare, subito si ritirava, senza mettersi in mostra… e spesso lasciava che fosse Jiro a finire la parte più impegnativa del lavoro.
Lui si limitava unicamente ad eseguire il minimo indispensabile da lui richiesto; forse la causa era la paura di perdere la piccola percentuale di fiducia che aveva ottenuto in quei mesi, forse la pesante insicurezza che ancora non era riuscito a superare.
«Più determinato, Nohiro» disse in quel momento Iruka, interrompendo il filo dei suoi pensieri. «Capisci cosa intendo?».
Il ragazzino aprì la bocca e la richiuse, cercando di trovare le parole adatte per la risposta che voleva dare.
L’uomo, evidentemente, intuì la difficoltà del suo vecchio allievo, intuì che cercava di spiegargli, e spiegarsi, il comportamento che teneva nei confronti dei suoi compagni. Gli fece tenerezza: Nohiro, quando credeva di fare qualcosa nel modo sbagliato, cercava di spiegare sempre tutto.
Quindi il maestro d’Accademia decise di venirgli in soccorso, e di lasciare che fosse la mente acuta del ragazzo a trovare da sola la soluzione seguendo la traccia delle sue parole. «Più determinato e meno arrendevole. E’ così che ti voglio durante la tua prima missione di livello C». Un sorriso gli increspò le labbra. «Te lo ricorderai?».
Il pallido giovane restò ancora per un attimo fermo e imbambolato. Poi, a sua volta, tirò le labbra sottili in uno dei suoi rari sorrisi. «Ma certo, Iruka-sensei».
Raschiarono il fondo delle scodelle di ramen, ed il proprietario del chiosco passò a ritirarle, non senza mancare di fissare il ragazzino dai capelli neri con un’espressione vaga, contrastante. Stargli così vicino e a stretto contatto gli dava sempre un po’ di fastidio. Ma era abituato a vederlo lì a mangiare con Iruka e, alla fin fine, non si soffermò più di tanto sulla sua presenza.
In ogni caso, Nohiro, di quell’occhiata ricevuta, se ne disinteressò completamente.

«Sacchi a pelo?».
«Ci sono».
«Kit medico?».
Jiro frugò meglio fra il contenuto dello zaino, tuffandoci dentro la faccia.
«C’è» disse trionfante.
Lui e Mayumi stavano di nuovo controllando di aver portato tutto l’occorrente, mentre facevano il tragitto per la porta ovest del villaggio.
«Bottiglie d’acqua?» chiese la bionda.
Il ragazzo sbuffò, esasperato. «Oh kami, Mayu, c’è tutto. Mio padre era così agitato per questa missione che mi ha fatto fare l’inventario dello zaino per dieci volte di fila. Sono sicuro che ci sia tutto».
Lei lo fissò con un chiaro sopracciglio leggermente inarcato con fare indagatore. «Proprio sicurissimo?».
Jiro fece un lungo sospiro stressato, al che la giovane, prima che lui potesse tirar fuori un altro brontolamento, alzò una mano, come per scusarsi. «Ok, non ho chiesto nulla».
Il giovane dai capelli bianchi richiuse le zaino traboccante di oggetti, alcuni fondamentalmente inutili altri estremamente necessari, e lo passò sulla schiena. Fin adesso l’aveva portato sul davanti, con i lacci agganciati dietro le spalle invece che sul petto, in una maniera altresì alquanto scomoda, per poterci guardare all’interno mentre Mayumi gli elencava gli arnesi più utili che le venivano in mente.
Passarono il centro del villaggio, piuttosto caotico secondo il dire di Mayumi, piacevolmente vivo invece per Jiro. I due vennero salutati da alcuni dei passanti e a loro volta risalutarono.
Arrivarono infine alla porta ovest, sorpassata la calca del mezzogiorno, le bancarelle e salette da tè, il sole cocente e l’andirivieni di coloro che entravano e uscivano dal villaggio passando per la strada principale.
Varcarono le porte rosse di Konoha, spalancate sulla via lastricata al di là, circondata da quella che, già così vicino alla città, iniziava a presentarsi come una rigogliosa e verde foresta di querce; per un momento infinitesimale vennero scrutati dallo sguardo di due sentinelle in divisa da Jonin.
Subito, ad un lato della strada, Mayumi individuò Naruto e Nohiro. La ragazza sorrise ai due e li chiamò... e, ovviamente, a Nohiro si sciolsero le ginocchia come burro al sole quando la vide avvicinarsi con quel sorriso splendente che le increspava le labbra carnose.
«Sensei» cominciò la ragazza non appena fu arrivata abbastanza vicino a Naruto «è già qui l’uomo da scortare?».
«Yeah. Ma non da molto». E accennò con la mano ad un carro coperto parcheggiato lì a fianco., trainato da un grosso mulo dal pelo grigio ed ispido.
Seduto sopra al carro al posto del nocchiere, notò solo ora Mayumi, c’era un uomo con un largo capello di paglia fine intrecciata premuto sulla testa a mo’ di parasole.
Non appena l’uomo ebbe accertato di avere l’attenzione di tutti concentrata su di sé, si alzò con un sospiro dalla panca del carro e tolse con un gesto anche troppo ampio il proprio cappello. Quasi dava l’idea che gli costasse qualcosa scambiare due parole con la sua scorta.
«Io sono Gokurakuin» si presentò. «Ho richiesto la vostra protezione per motivi tutt’altro che futili».
I quattro ninja lo osservarono, leggermente sorpresi per quel modo di iniziare il discorso.
«Prima che voi arrivaste non aveva nemmeno spiccicato parola» sussurrò in quel momento, sottovoce, Nohiro, senza rivolgersi in particolare né a Jiro né a Mayumi. «E’ rimasto tutto il tempo in silenzio».
La seconda scrutò ben bene la faccia abbronzata del mercante: non sembrava avere più di sessant’anni, ma le rughe, i capelli ispidi quasi quanto il pelo del mulo che trainava il carro, le palpebre pesanti e le numerose macchioline sulla pelle facevano presumere che avesse comunque passato i cinquanta.
«Fico» commentò quindi Naruto, con tono a prima vista abbastanza disinteressato. «E quali sarebbero questi motivi “tutt’altro che futili”?».
Il mercante rimise il capello di paglia in testa, ma lo tenne abbastanza sollevato da lasciare visibile il viso. «Magari non lo sapete, ma, come mercante, sono abbastanza conosciuto. E in questo carro…» disse, indicando col pollice la struttura alle sue spalle «…ci sono manufatti antichi e preziosi. Non è quindi difficile che briganti e ladruncoli cerchino di derubarmi delle mie proprietà. Per questo ho richiesto la presenza di ninja della Foglia: per proteggere i miei introvabili tesori, di cui la maggior parte sono vere rarità, di ogni materiale, forma e provenienza».
Il tono che il mercante aveva assunto alla fine della lunga spiegazione sembrava quello di qualcuno che crede di aver già sprecato abbastanza tempo e parole per discorsi assolutamente inutili. Difatti già si stava preparando a far partire il mulo e iniziare il viaggio senza troppe altre spiegazioni.
I quattro shinobi erano rimasti muti e attoniti davanti a quell’atteggiamento: Naruto teneva un sopracciglio inarcati con aria eloquente, Mayumi e Nohiro erano semplicemente a corto di prole da pronunciare o probabili risposte da dare.
Jiro, invece, rimasto anch’egli con un sopracciglio inarcato fino a quel momento, sorrise fra sé. «Ho capito» esordì improvvisamente attirando su di sé l’attenzione di tutti gli altri lì presenti. «Questo qui trasporta solo un mucchio di cianfrusaglie e paccottiglia varia».
Il mercante spalancò gli occhi, scattando in piedi sopra al carro. «Come osi!?».
Gokurakuin si protese verso il ragazzino dai capelli bianchi, con la faccia gonfia e paonazza, come se fosse sul punto di mettersi ad urlare con una voce che, probabilmente, avrebbe potuto spaccare qualche timpano senza troppe difficoltà.
Nohiro guardò prima il mercante e poi Jiro, spostando velocemente le pupille verticali dall’uno all’altro mentre la sua mente considerava che non era proprio il tranquillo e pacifico inizio missione su cui aveva fantasticato. Ed il mercante non era nemmeno l’uomo paffuto e benevolo, con la voce grossa, di cui si era fissato erroneamente l’immagine nei suoi pensieri.
Notò anche che a Naruto-sensei stava sfuggendo leggermente di mano la situazione: era meglio contraddire il suo cliente e prendere le parti di Jiro, oppure punire il ragazzo per la sfacciataggine e chiedere scusa al mercante?
Una decisione difficile.
Soprattutto perché Naruto condivideva appieno l’opinione del suo giovane allievo.
Per una provvidenziale fortuna in squadra avevano qualcuno che aveva esperienza nel risolvere situazioni spinose e sgradevoli: Mayumi, con un sorriso un poco imbarazzato, capace di far addolcire il fervente animo di chiunque, si frappose fra il carro e Jiro, con le mani tese in avanti, in una sorta di gesto calmante e protettivo.
«Lo scusi, Gokurakuin-san» mediò. «Cerchi di passarci sopra, Jiro è soltanto nervoso. Le assicuro che, una volta impegnato a proteggere lei e le sue mercanzie, non farà più nessuna battutina stupida».
Jiro, in quell’ultima parte del discorso, colse una chiara ammonizione nel tono di voce della ragazza. E, con un significato ancora più sottointeso, lesse molto limpidamente l’autoritaria frase “non voglio che tu lo rifaccia”.
Il mercante parve stendere il lineamenti del volto e, lentamente, il colorito infiammato della sua faccia si attenuò fino a sparire. «Ti prendo in parola signorina».
Naruto tirò un sospiro di sollievo; e con questa, però, doveva un altro favore alla cara, e alquanto indispensabile, Mayumi per aver evitato col suo interevento, e per l’ennesima volta, una scena che si prospettava davvero poco tranquilla.
«Ve bene, mercante…» si intromise Naruto in quel momento. «Faccia partire il suo mulo».
L’uomo non se lo fece ripetere e, con uno schiocco di frustino, il mulo iniziò lentamente a camminare.
Quindi il biondo Jonin si rivolse ai suoi tre allievi. «Io mi piazzo seduto di fianco al mercante. Nohiro…» lo guardò con gli splendenti occhi azzurri «…tu vai a piedi, e stai alla mia sinistra, quindi dalla parte di Gokurakuin. Jiro, tu lo stesso vai a piedi, ma stai dalla mia parte. E invece Mayumi… tu stai dentro il carro e guardi la strada dietro di noi attraverso le tendine. Se vedi qualcosa di insolito batti un colpo sulla tenda, prima verso il conducente, dove sono io, poi a sinistra e a destra, in modo da avvisare anche Nohiro e Jiro. Non attaccare né uscire dal carro senza il mio diretto ordine».
I tre ragazzini guardarono il loro insegnante a bocca aperta: era la prima volta che lo sentivano fare un discorso così serio e complesso dal punto di vista teorico.
Il Jonin li guardò e tirò le guance in sorriso gongolante, come se avesse indovinato i loro pensieri. Poi frugò in una delle numerose tasche del suo giubbotto ninja e estrasse due piccoli oggettini neri, porgendoli quindi uno a Jiro e uno a Nohiro. «Voi due avrete una ricetrasmittente che vi terrà in contatto diretto l’uno con l’altro».
I ragazzini le presero, rigirandole in mano e mandandosi fugaci occhiatine.
«Sono ricetrasmittenti gemelle e sono programmate per trasmettere messaggi solo l’una all’altra. Quindi, signorini, le vostre conversazioni non possono essere intercettate perché la linea radio che usate è bloccata». Naruto studiò per bene i due compagni di squadra. «Ma questo non vuol dire che abbiate il diritto di perdervi in allegre conversazioni a mia insaputa, chiaro? Le trasmittenti dovete usarle solo in caso di vera necessità». Il Jonin guardò quindi verso il mercante che, disinteressato, si era già allontanato di parecchi metri col suo carro.
«E adesso tutti in posizione, dattebayo!».
I tre ragazzini scattarono.
Mayumi scostò le tende e si insinuò dentro il carro coperto, arrangiandosi nel cercare di trovare una posizione che fosse sia comoda che pratica fra i vari oggetti; dando un’occhiata alle mercanzie, individuò vasi imballati, abiti ripiegati, armi incartate e vari altri oggetti di cui non sapeva determinarne la funzione.
Jiro agganciò la sua trasmittente all’orecchio e andò alla destra del carro immaginando già quanto gli avrebbero fatto male i piedi quella sera. Per fortuna non era venuto in zoccoli ma coi decisamente più comodi sandali ninja. Improvvisamente pensò al minuscolo arnese con cui avrebbe comunicato con Nohiro.
Intavolare un’allegra discussione all’insaputa del sensei? si disse rimembrando le parole dello stesso Naruto. Perché avrebbe dovuto farlo?
E il suo cervello, senza nemmeno doversi sforzare troppo, gli fornì la risposta a quella domanda: perché così potrei ammazzare la noia di questa stancante passeggiatina, scambiando due parole con lui.
Rimase quasi scioccato: davvero parlare con Nohiro poteva essere più divertente che guardare una foresta che non veniva mossa nemmeno da una alito di vento, figuriamoci da una presenza umana?
E poi, insomma, Naruto-sensei era seduto qualche metro davanti a lui, anche se non potevano vedersi a vicenda, davvero non era il caso di fare i furbi e trasgredire ad un suo ordine, per di più distraendosi dal suo compito di sorvegliante…
Non ne valeva la pena… proprio non ne valeva la pena…

«Mi ricevi , Nor?».
Quando il ragazzino dai capelli neri sentì la voce del proprio compagno di squadra gracchiare nella trasmittente, sobbalzò, colto alla sprovvista.
«Jiro! Hai visto qualcosa?» domandò immediatamente, con un tono allarmato, portano un dito all’apparecchio montato sul suo orecchio destro.
«Nulla» rispose l’altro, con infusa nella voce una parvenza di lamentela tediata. «Tutto piatto e noioso, dalla mia parte».
Le parole arrivavano storpiate e metalliche.
A quel punto, afferrato con sorpresa e un poco di sconcerto che quella non era una normale comunicazione “di servizio”, Nohiro abbassò la voce per non farsi sentire da Naruto, lanciando verso il punto in cui era seduto un’occhiata colpevole.
«Hai… bisogno di qualcosa?» domandò il pallido ragazzino, cercando ancora di inquadrare una motivazione per cui Jiro avrebbe dovuto voler parlare con lui.
La risposta che giunse dalla ricetrasmettente lo lasciò di stucco: «Cercavo di non annoiarmi».
E, dopo quel veloce scambio di battute, Jiro si accorse che era a corto di argomenti su cui discutere. Era chiaro che lo fosse, visto che non aveva mai intrattenuto una conversazione con Nohiro, ed il giovane dai capelli neri, da parte sua, era così sbalordito per quell’inaspettata chiamata alla trasmittente, per di più una chiamata che andava contro l’ordine diretto di Naruto-sensei, che proprio non sapeva che pesci prendere o che discussione affrontare. E, inoltre, l’idea della chiacchierata non era nemmeno stata sua.
«Fa un po’ caldo…» risuonò in quel momento la voce di Jiro nell’orecchio dell’altro giovane. Quella frase sembrava talmente scontata, talmente “da circostanza”, sembrava così tanto una di quelle frasette fatte che esistono solo per riempire i punti morti di imbarazzanti conversazioni, che Jiro si diede assolutamente del cretino. Stava facendo una figura assurdamente idiota…
Ma, a consolarlo, arrivò la risposta di Nohiro, la quale, a sua volta, non era granchè brillante:
«Non è caldo… è che è umido e la temperatura sembra più alta…».
«Mi sa che ho portato vestiti troppo pesanti…».
«Già».
Oh beh, non uno dei dialoghi più vivaci che ciascuno dei due avesse mai fatto.
E, di nuovo, caddero in uno scomodo silenzio, spezzettato solo dal rotolare delle ruote del carro sul terreno polveroso. Se si fossero chinati a guardare sotto il carro avrebbero potuto vedere i piedi dell’altro, chiusi nei sandali ninja estivi, camminare a pochissimi metri di distanza.
«Poi mi pesa tantissimo lo zaino». riprese a parlare Jiro, colto da una sorta d’ansia per quel silenzio.
«Oh, il mio non pesa così tanto… E’ sopportabile».
«E’ colpa di mio padre… me l’ha fatto riempire con troppe cose».
«Capisco» commentò Nohiro. Anche se, in realtà, non è che ci fosse sul serio qualcosa da capire.
«I genitori sono una palla, eh?».
Nella risposta che Nohiro diede al ragazzo dai capelli bianchi, nel suo stesso tono di voce, c’era una nota diversa da prima. Molto diversa.
«Oh, beh… non saprei dire…».
E Jiro se ne accorse. Si bloccò un attimo, dilatando leggermente gli occhi, conscio di quel che gli era appena uscito dalla bocca. Ma sei un deficiente! si urlò in testa. Cosa diavolo gli vai a dire, dei genitori? iniziò quindi a rimproverarsi. E poi… che diavolo di conversazione era quella? Non la era affatto, una conversazione, era piuttosto un discorso abbastanza insensato che stava pure prendendo una piega che Jiro non avrebbe voluto affatto prendesse.
Dalla parte di Nohiro, la frase del suo compagno di squadra gli aveva lasciato un po’ d’amaro in bocca. Gli aveva procurato una strana stretta allo stomaco, come da molto tempo non gli succedeva… ma nella risposta che aveva dato a Jiro, aveva cercato di risultare neutrale, senza scoprire un qualunque sentimento stesse provando. L’aveva fatto per evitare di dover chiudere quella chiacchierata lì, nonostante non stessero parlando di un bel niente; ma anche così a Nohiro andava bene, perché sprecare una simile occasione era da stupidi: quando mai gli sarebbe capitato di nuovo di poter dialogare con Jiro a quel modo così rilassato, così normale, senza ricevere sguardi arrabbiati, schifati? Forse mai.
Voleva parlare, ma nel frattempo non voleva.
Non voleva per paura di costruirsi una speranza che sarebbe poi stata infranta.
Ma, in quel momento, la sua coscienza e la sua naturale curiosità gli imposero, aiutate da una specie di agitazione all’altezza dello stomaco, di fare comunque una domanda. Una seria, però, una cosa che gli premeva parecchio.
«Jiro…».
Dall’altra parte del carro, per un motivo che non conosceva, il ragazzo dai capelli bianchi si sentì stranamente sollevato dal fatto che il compagno di squadra non era arrabbiato, anzi era lui a riprendere per primo la parola. «Si?».
«Ti posso fare una domanda?».
Un attimo di silenzio nella ricetrasmittente. «…Beh, si».
Adesso fu Nohiro a restare per un momento in silenzio. «Ma tu… hai trasgredito ad un ordine di Naruto-sensei… solo per parlare con me?».
La risposta fu ironica. Ma ironica in un modo stentato, e qualcuno che avesse visto Jiro in volto avrebbe capito che l’ironia serviva a togliersi di dosso l’imbarazzo e la difficoltà dettata dall’orgoglio di ammettere qualcosa. «E sennò mi mettevo a parlare con un sasso?».
«C-certo che no, non volevo dire quello!» ribatté Nohiro con un bizzarro e immotivato allarme nella propria voce. Stava per aggiungere un'altra cosa, per spiegarsi, ma fu interrotto da una voce femminile.
«Ehi, voi due!» li rimproverò Mayumi a bassa voce, sussurrando.
Parlava vicino alle tendine, per farsi sentire, e, non appena Nohiro capì di essere stato scoperto dalla compagna di squadra, arrossì vistosamente. Sempre meglio che essere scoperto dal sensei, però.
«Naruto-sensei ha detto di non intavolare allegre conversazioni, lo ricordate?» continuò lei, con voce dura.
«E dai, Mayu… non si faceva nulla di male…» risuonò nella trasmittente la voce di Jiro.
«Non importa! Fate silenzio, adesso, capito?».
«Va bene, va bene, non arrabbiarti…» sospirò il ragazzo dai capelli bianchi.
«Nohiro?» si rivolse quindi la bionda, avvicinandosi di più sulla sinistra del carro, ovvero la parte dome camminava il ragazzino. «Ci siamo capiti?» chiese, anche se decisamente con molta meno asprezza di prima.
«Si, Mayumi» rispose prontamente lui. Forse anche un po’ troppo prontamente, quasi sicuramente preso dall’ansia di farle un dispiacere. «Ho capito».
In effetti, fino all’ora di pranzo, quando si fermarono, le ricetrasmittenti rimasero spente.

Mentre i due ragazzini stavano facendo la loro prima vera chiacchierata attraverso quei due piccoli oggettini di metallo che avevano agganciati all’orecchio, a qualche metro di distanza, ma nonostante questo con voce troppo bassa per essere udita, stava avendo luogo un’altra conversazione.
Poco dopo che erano partiti il mercante aveva rivolto la parola a Naruto: «Dunque, mi dicevi che sei un Jonin…».
Il biondo aveva fissato Gokurakuin con un sopracciglio inarcato. «Mica l’ho detto» lo contestò.
Sul volto del commerciante era passato un lampo sconosciuto, come quello che attraversa e sconvolge per un secondo l’espressione di qualcuno che sa di essere caduto in fallo e che teme di essere scoperto.
Quasi per caso, oppure senza la benché minima ombra del caso, il mercante fu estremamente veloce a rispondere, in una sorta di tentativo di rimediare alla sua precedente affermazione. Anche se, ovviamente, Naruto non poteva certo immaginare che Gokurakuin volesse rimediare a qualcosa. «Oh, vero, non me l’hai detto. Però suppongo che tu lo sia, no? Insomma… per proteggere le mie mercanzie almeno un Jonin è chiaro che ci vuole».
«Certo, certo…» consentì Naruto, fiutando un nuovo discorso di esaltazione delle merci e della propria fama da parte del mercante.
Per un pochetto erano rimasti in silenzio, con il mercante occupato a guidare il mulo, e Naruto aveva colto l’occasione per rilassarsi beatamente sotto la luce del sole, occhi chiusi e mani incrociate dietro la nuca leggermente sudata, in una posizione che da bambino era solito assumere.
Il sole gli scaldava piacevolmente le guance rigate dai sei baffi ed il fruscio delle foglie della foresta lì attorno gli cullava l’udito… Naturalmente il biondo ninja non stava affatto pensando che avrebbe potuto prendersi un’insolazione. Né stava pensando che il suo compito non era esattamente quello di farsi un pisolino.
«Ehi! Ma che stai facendo? Ti stai addormentando?».
Naruto sussultò e si tirò su di scatto, con uno sguardo leggermente stralunato.
Voltò gli occhi azzurri verso il mercante che, da sotto il cappello di paglia a tesa larga, lo stava fissando con un’aria torva. «Come fai a proteggermi se dormi?» sbraitò l’uomo, le rughe del viso che divenivano più marcate.
«Non… non stavo mica dormendo…». Davvero una blanda difesa, quella del Jonin.
«Tzk! Non mi pare che tu sia granchè affidabile».
«Non stavo dormendo!» ripeté Naruto, stavolta decisamente con più foga.
«Va bene, va bene… Probabilmente ti stavi solo riposando, che è chiaro che questa missione, la mia protezione intendo, è importante e devi essere al pieno delle energie».
Eccolo che ricomincia, pensò il biondo, con una palese esasperazione dipinta in faccia.
«Piuttosto, mi preme affrontare un altro argomento» disse in quel momento Gokurakuin, attirando su di sé l’attenzione dell’altro. «Prima ho avuto il tempo di osservare la tua squadra… E, beh, sulla ragazza non esprimo opinioni…».
Il viso di Naruto cominciò lentamente a trasfigurarsi: le sopracciglia, pian piano, si aggrottarono, gli occhi si strinsero, la mandibola si serrò assieme alle labbra. Era quasi sicuro di sapere cosa avrebbe sentito dire un momento dopo.
«…però anche te sai perfettamente che altro elemento hai in squadra, ed io, è ovvio, mi chiedo se il ragazzino…».
Gokurakuin non ebbe il tempo di terminare la frase.
«Mi ascolti bene». Solo queste tre parole da parte di Naruto furono sufficienti a far morire la voce in gola al mercante. Perché, accompagnate dalla irremovibile durezza che gli scolpiva i lineamenti, di solito tondeggianti, suonavano come una imposizione assoluta.
«Io non so a quale dei due miei allievi si stesse riferendo» riprese il Jonin. «Ma le posso giurare sulla mia vita che si può fidare. Di entrambi». Fece una pausa. «Mi ha capito?».
Il mercante rimase interdetto. Chiunque avrebbe capito la sua reazione, guardando in viso quel giovinetto che gli faceva da scorta… perché lui era vivo già al tempo della Terza Grande Guerra dei ninja e ricordava tutto quello che era accaduto. Ed era vivo già prima, ai tempi del Terzo Hokage e dei suoi tre giovani allievi; era piccolo anche lui, in quel periodo, però si ricordava tutto benissimo. E, dannazione, gli aveva fatto un’impressione stranissima quando si era visto spuntar fuori quei tre ragazzini come suoi protettori. Era vero che si vociferava che il Team cinque fosse il migliore della Foglia… però erano proprio uguali… maledettamente uguali. Perlomeno nell’aspetto.
Gokurakuin si voltò verso Naruto, trovandolo ad occhi chiusi, ostinatamente immobile nella posizione che aveva assunto prima, nonostante si vedesse lontano un miglio che adesso era di umore troppo inasprito per dormire.
Il mercante scosse la testa e tornò a guardare avanti a sé.
Dopotutto, a lui, di quegli affari, gliene poteva importare meno di niente.













---------------------------


OMG, sono tredici pagine di Word. O.o
Mi accorgo che sto facendo capitoli sempre più lunghi… spero la cosa non dispiaccia. ^^’’
Allora… come avete visto ho fatto un salto temporale non indifferente, passando dalla fine di febbraio all’inizio dell’estate. Credo che fosse indispensabile per non allungare troppo (anche se, alla fine, il capitolo è venuto comunque il più lungo scritto fin adesso XD). Dal titolo già potete capire cosa si preannuncia… e se non lo capite aspettate una settimana!
A proposito di questo… a me piace tantissimo scrivere questa ff però veramente non riesco a metter già un cap. in una sola settimana, a meno che non mi ci metta di impegno. Quindi, molto probabilmente, non aggiornerò martedì prossimo ma fra due martedì. Non uccidetemi.
In quanto al capitolo… il nome Terza Grande Guerra l’ho modificato io. Infatti nel n° 27 del manga, nella parte “Kakashi Gaiden” viene chiamata Terza Guerra Mondiale dei ninja, ed è, appunto, quella di quando ancora il Quarto Hokage era vivo (ovvero di quando i sannin ancora erano tutti e tre a Konoha). Ho cambiato il nome perché usare lo stesso del manga era troppo allusivo alla reale Seconda Guerra Mondiale… e non volevo urtare la sensibilità di nessuno.

Detto questo ringrazio:
Talpina Pensierosa, sono felicissima che trovi questa storia così bella. *-* E figurati, la recensione era d’obbligo. XD Killkenny, grazie per il nove e per aver detto che il capitolo è ottimo! Quando sono lunghi penso sempre di aver messo troppa roba… praticamente la stessa cosa che sto pensando per questo capitolo 11. XD Comunque io mi stupisco sempre della tua crudeltà… piuttosto che i pettegolezzi da parrucchiere con Ino, Sakura, Tenten e Temari mi suiciderei. O.O Spero che Jiro abbia recuperato punti con questo cap…. E, venendo alla tua domanda, sanno della parentela col Quarto solo quelli che già lo sapevano prima (Jiraiya, Tsunade, gli anziani del Consiglio, Kakashi…) e gli amici più stretti di Naruto (Sakura, Sai, Shikamaru, Gaara ecc. ecc.). Nohiro e tutti quelli della nuova generazione non lo sanno. ^^ Lilithkyubi, veramente non so come faccio a stare senza le tue super recensioni per troppo tempo. XD Inizio subito col ringraziare per i complimenti. Per secondo, pazienta, che le scenette arriveranno a fiumi… accontenterò tutti, è una promessa solenne! E poi non preoccuparti, io di certo non ti uccido se ti innamori follemente della “terza edizione”. XD Forse un giorno ti organizzerò un matrimonio con Nohiro; sai, siamo cari amici… XD Grazie infinite per la recensione! Marty9210, eh già Naruto era il papà adottivo di Nor… sono puffosi vero? *__* (Traduzione di “puffosi”: non c’entra nulla coi puffi, è un sinonimo di puccioli U_U) Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto!

E adesso… al prossimo martedi o, in alternativa, a quello successivo!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Tre toni di musica nella polvere rossa ***


-12-
Tre toni di musica nella polvere rossa


Verso il tramonto arrivarono alla prima cittadina che si incontra una volta usciti da Konoha, nella direzione del Paese del Vento.
Pernottarono in un albergo non troppo lussuoso, ma che esigé ugualmente che gli venisse pagata una cifra in contanti estremamente grande per una simile pensioncina. Il proprietario dell’albergo si giustificò dicendo: «Scusate, ma siamo in alta stagione, ed è normale che i prezzi si alzino. Dopotutto bisogna pur far tirar fuori dalle tasche qualche spicciolo, ai turisti».
Naruto, seguito a ruota da Jiro, si mise a protestare a gran voce per il pessimo trattamento verso ninja che proteggono il Paese; erano talmente indignati che nemmeno un intervento di Mayumi sarebbe riuscito a calmare le acque ma, per fortuna, Gokurakuin ebbe l’insolito slancio di gentilezza di sborsare per tutti, facendo si che i due ninja si accontentassero di borbottare un «Dannata sanguisuga» guardando male il proprietario dell’alberghetto.
Se non altro la mattina dopo, erano tutti freschi e riposati, con un ringraziamento speciale verso i comodi letti imbottiti di morbide piume d’oca.
Gokurakuin si calcò in testa il suo capello di paglia, per ripararsi dal sole, ed il carro ripartì, dopo aver fatto rifocillare il mulo. Il giorno dopo e quello dopo ancora fu la stessa storia, senza nessun cambiamento nello scorrere degli eventi.
Però, al quarto giorno di viaggio, il mercante iniziò a comportarsi in modo leggermente diverso dal solito.
Ma, in ogni caso, arrivarono alla mattina del quinto giorno senza nessun intoppo.
Gokurakuin era sul suo carro, seduto apparentemente senza preoccuparsi di controllare qualcosa in particolare.
Naruto salì di fianco al mercante e si stravaccò, con un esemplare sbadiglio. «Avanti ragazzi» disse, rivolgendosi ai tre giovinetti. «Mettetevi in posizione, questo dovrebbe essere l’ultimo giorno di viaggio e per stanotte avremo finito la missione, se tutto va bene».
Jiro agganciò all’orecchio la sua ricetrasmittente. L’aveva usata altre due volte durante quei quattro giorni, per una segreta chiaccheratina con Nohiro; nulla di che, alla fin fine, ma era riuscito comunque a passare il tempo in un modo che, inaspettatamente, si era rivelato in un certo qual modo piacevole.
Il ragazzino si piazzò alla destra del carro, alla sua posizione.
Anche Mayumi avanzò per entrare all’interno, fra le tendine, ma si bloccò. I suoi occhi si posarono su Nohiro il quale stava guardando fisso il mercante, in un modo che poteva comunque essere giudicato abbastanza inquietante per la sua inespressività.
«Nohiro… Tutto bene?» gli domandò immediatamente la ragazza, avvicinandosi a lui di un passo, e posandogli una mano su una spalla, proprio come aveva fatto durante la prova dei campanellini, alla loro prima conversazione.
Il giovane dai capelli neri sussultò e si girò verso di lei, rosso in volto. Aveva riacquistato in un attimo tutta la sua espressività. Però, passato l’imbarazzo, aggrottò un poco le sopracciglia. «E’ il mercante» si spiegò. «Più ci si avvicina al confine più mi sembra che diventi inquieto».
Mayumi lanciò un’occhiata veloce verso l’uomo al posto del nocchiere. «Anche io ci avevo fatto caso. Jiro mi ha detto che ci sembra più strano del solito solo perché è scostante di carattere ed egocentrico…».
«Ehi, signorini, non vorrei interrompere nulla ma volete muovervi?» li chiamò in quel momento la voce squillante del loro sensei.
«Arriviamo!» rispose subito Mayumi, senza badare all’ironico commento del Jonin: “non vorrei interrompere nulla”. La bionda entrò nel carro senza attendere oltre.
Nohiro invece colse assai chiaramente la piccola allusione di Naruto. Gli lanciò un’occhiata che stava fra l’imbarazzo e l’indignazione. E il Jonin si fece una risatina fra i baffi.
Anche il ragazzino dai capelli neri accese la sua ricetrasmittente e si piazzò alla sinistra del carro.
Quindi, controllato che fosse tutto a posto, partirono.
Man mano che si avvicinavano al Paese del Vento la temperatura divenne sempre più alta ed il terreno sempre più secco. Sotto le pesanti ruote del carro si sgretolavano zollette di terriccio e dietro il carro stesso si formò una nuvola polverosa; l’estate era ancora agli inizi ma lì sembrava essere già in pieno agosto.
Nonostante questo, però, la zona era ancora circondata dalla foresta, una foresta più secca di quella vicino a Konoha, ma pur sempre una foresta. L’afa del deserto sembrava però aleggiare fino a lì, trasportando in una brezza impolverata i suoi profumi esotici, mentre il paesaggio cominciava ad assumere colori più caldi ed il terreno sfumava sulle tinte del color mattone.
I ragazzi del Team cinque erano abbastanza rilassati, come lo era il loro stesso insegnante. L’unico che non riusciva a star fermo un minuto, invece, era proprio Gokurakuin.
In quel momento il mercante, impegnato ad asciugarsi fastidiose goccioline di sudore che gli scendevano dalla fronte in ogni secondo, stava parlando con Naruto e, nonostante l’altro uomo non lo stesse considerando più di tanto, il Jonin continuava a chiacchierare come se niente fosse.
«E lei non è mai stato all’Ichiraku ramen» stava dicendo Naruto, con un’espressione molto coinvolta ed esaltata. «Ci lavora un mio vecchio amico, Teuchi, e, sa, di viso vi assomigliate moltissimo!».
«A-ha» fu la risposta del mercante, una sorta di affermazione accondiscente per mostrare che stava ascoltando anche se, in realtà, non sembrava affatto.
Nohiro, qualche metro dietro ai due, se la rideva a bassa voce, senza riuscire a trattenersi: prima che il viaggio finisse era chiaro che, almeno una volta, Naruto-sensei si sarebbe necessariamente messo a parlare di ramen. Anche gli altri due ragazzini non potevano fare a meno di pensare la medesima cosa, con un misto fra il divertimento e la rassegnazione.
Nohiro, mentre ascoltava i discorsi del suo insegnante, continuava a lanciare occhiate al suo kimono grigio legato in vita, sempre lo stesso di quell’inverno, non riuscendo a fare a meno di notare che si era completamente impolverato prendendo un colorino rossastro, specie sui bordi che quasi strusciavano a terra.
«Inoltre» riattaccò Naruto. «Teuchi ha una aiutante al chiosco, e le dico che è davvero una gran bella figliola. Peccato soltanto che sia più grande di me di parecchi anni, oltre al fatto che sono fidanzato con la erede del miglior clan di Konoha».
Gokurakuin rimase in silenzio per un secondo, spostando gli occhi appesantiti dalla vecchiaia ai lati della strada. Poi disse il suo solito «A-ha».
«Comunque, facendo due conti con gli anni, la figlia di Teuchi dovrebbe avere circa…» e Naruto iniziò a contare con le mani, indicando le dita di una mano con l’indice dell’altra ed alzandole una ad una, mentre le sopracciglia si corrugarono per la concentrazione. «Ecco, dovrebb…».
Ma non finì la frase.
Naruto rimase bloccato con l’indice della destra alzato ed un’espressione un po’ sorpresa un po’ sospettosa dipinta in faccia.
«Che c’è?» gli chiese Gokurakuin. Ed il suo tono sembrava anche troppo allarmato, le sue pupille anche troppo dilatate.
Il biondo Jonin voltò lentamente la testa, prima da una parte e poi dall’altra. «Fermi il carro…».
Il mercante fece arrestare il suo mulo grigio con una tirata alle briglie e un atteggiamento sempre più agitato. «Cosa c’è?» ripeté, con una sorta di cautela.
Naruto si prese un momento prima di rispondere.
Qualcosa, nell’aria, era cambiato. Forse gliel’aveva suggerito l’esperienza, forse l’intuito, fatto sta che aveva l’impressione che si fosse modificata l’ “intensità” dell’atmosfera stessa del luogo.
Sia Jiro che Nohiro si avvicinarono al posto del conducente, senza comprendere il perché di quella sosta, ma probabilmente pensando a qualche stupida idea del Jonin. Solo il ragazzo dai capelli bianchi, però, arrivò nel campo visivo del suo insegnante, per potergli parlare. «Naruto-sensei, per quale misterioso motivo ci siamo fermati?» gli domandò, scettico. «Non è un po’ presto per il pranzo?» continuò con un’ironia infusa nella voce ed un sopracciglio inarcato con divertimento.
Il biondo ninja restò silenzioso ancora per un momento, e nella sua faccia non c’era traccia di scherzo. Era terribilmente serio e concentrato, come lo si vedeva poche volte.
«Ho l’impressione… che qui ci sia qualcuno».
Per fortuna, in quel momento, nessuno dei due ninja stava guardando Gokurakuin o avrebbero visto un tale sgomento sul suo viso da farsi nascere in animo dei seri sospetti.
«Qualcuno, sensei?» commentò Jiro, se possibile anche più scettico di prima.
Nohiro sentì lo scambio di battute fra i due e, inarcando un sopracciglio fine per la sorpresa, subito guardò alla sua sinistra e poi alla sua destra, volendo controllare se quel che stava dicendo Naruto-sensei fosse la realtà.
Anche Mayumi, da dentro il carro, tese le orecchie per captare sia la conversazione in corso che eventuali rumori nella foresta. Scostò le tendine del carro ed aguzzò la vista nella strada… ma da dietro, era certa, non arrivava proprio nessuno.
Calò improvvisamente il silenzio, ed i pochi rumori che erano rimasti, come gli sbuffi del mulo, il fruscio delle foglie, apparivano solo come elementi disturbanti in quella statica frazione di secondo.
Naruto era concentrato, Nohiro ascoltava…
E Jiro riprese a parlare come se nulla fosse, del tutto ignaro, del tutto tranquillo. «Sensei, io non credo proprio che ci sia qualcu…»
Fu in quell’istante che la voce di Nohiro strepitò, allarmata da un’improvvisa consapevolezza, nella sua ricetrasmittente: «Jiro! Naruto-sensei ha ragione, sono dalla tua part…».
Ma neanche il pallido ragazzino riuscì a finire la sua frase.
Jiro, colto di sorpresa dall’avviso precipitoso, si voltò di scatto verso la boscaglia, stupito, sotto gli occhi sbarrati di Naruto che, inutilmente, si stava protendendo verso il suo allievo.
L’unica cosa che gli occhi neri del ragazzo riuscirono a registrare furono un braccio che scattava vicinissimo a lui, ed il suo cervello non ebbe il tempo di elaborare una reazione attuabile per quella situazione.
Il pugnò lo colpì in pieno volto.
Avvertì un forte dolore, poi del torpore mentre i denti si stringevano e sfregavano gli uni contro gli altri e gli occhi si serravano; la ricetrasmittente gli volò via dall’orecchio. Il colpo fu così forte da mandarlo a sbattere contro il carro con un tonfo sordo.
L’attimo statico esplose in un turbine adrenalinico. Naruto proruppe in un urlo di rabbia, Mayumi e Nohiro cercavano di capire cosa fosse accaduto di preciso, l’una da dentro il carro, l’altro dalla parte opposta a quella di Jiro, ed il mercante si appiattì contro il suo veicolo con un’espressione sgomenta e fatale.
L’uomo che aveva colpito Jiro non si soffermò affatto a controllare quanti danni avesse subito il ragazzino. Con una fulminea, agile acrobazia arrivò sul davanti del carro e, fra lui ed il proprio obbiettivo, qualunque fosse, si parò Naruto con un kunai in mano e le sopracciglia aggrottate con rabbia e determinazione.
Il Jonin si era aspettato di doversela vedere con ogni genere di brigante, ladro, o persino un vero ninja, quando aveva avvertito la presenza di qualcuno nella boscaglia.
Ma non aveva nemmeno lontanamente immaginato questo.
Il ninja che aveva davanti aveva il volto e la testa coperti da una maschera, solo gli occhi color nocciola e qualche capello biondo cenere sfuggito al cappuccio erano visibili. Indossava una veste grigio-azzurra spaccata sui fianchi, ed una fascia violacea a stringere la vita…
E sulla placchetta di metallo del coprifronte c’era inciso un simbolo che Naruto conosceva bene.
C’era incisa una nota musicale.
Naruto spalancò la bocca, dilatò le pupille, mentre un turbine di domande gli affollava la testa. Chi era quell’uomo? Come sapeva di loro? Perché uno del Suono era lì, quando da più di dieci anni quei ninja non si facevano sentire? E poi gli restò fissa un’unica possibilità, un’unica probabile motivazione e risposta ad ogni interrogativo. Quella parola gli rimbombò in testa come un urlo.
Nohiro.
Naruto digrignò i denti e vide le labbra dell’altro uomo tendersi sotto la maschera in quello che poteva essere interpretato come un sorrisetto.
Poi il ninja scattò verso il carro ed il Jonin corse a intercettarlo. Lanciò ai piedi del suo nemico il kunai che teneva in mano arrestandone la corsa, scorse un movimento del braccio del suo avversario e, a sua volta, sfilò tre shuriken dalla borsa agganciata in vita.
Li lanciò.
«Shuriken no Kage Bushin no Jutsu!». Formò, velocissimo, i sigilli che gli servivano e le armi, da tre che erano, si decuplicarono.
Il ninja del Suono strinse gli occhi fissandoli negli altri due azzurri e furiosi, valutando con quel primo scambio di colpi le capacità del biondo Jonin di Konoha: se all’inizio avesse avuto qualche dubbio sull’identità dell’avversario, adesso era certo di avere a che fare con Uzumaki Naruto, la forza portante dell’Enneacoda.
Davanti al muro di shuriken l’uomo non esitò: posò una mano a terra, fece una ruota, li schivò. Si trovò alla sinistra del Jonin, danzò sulla punta dei piedi, e, kunai alla mano, attaccò Naruto alle spalle, con un salto ed il braccio teso e caricato per il colpo.
Dal Jonin arrivò un solo commento alquanto sprezzante. «Tsk…».
Naruto si chinò all’ultimo istante, lasciò che il braccio dell’altro ninja si stendesse avanti sopra di lui… poi lo afferrò. Gli occhi nocciola del ninja del Suono si spalancarono e incrociarono quelli color del cielo dell’altro; Naruto alzò il braccio libero verso il ventre dell’uomo… e quello riuscì ad evitare di essere trafitto dal kunai che il Jonin aveva estratto solo posando sulla spalla del ninja della Foglia l’arto sinistro, quello non bloccato, e spingendosi di lato per forza d’inerzia.
Il ninja del Suono cadde di schiena e rotolò per qualche metro, dando a Naruto il tempo di prendere un respiro e guardare alle sue spalle.
«Non si muova da lì!» urlò in avvertimento, con allarme, al mercante. Di certo Gokurakuin, rimasto fermo inchiodato al posto di guida, con la schiena rigida e gli occhi sbarrati, avrebbe rispettato l’ordine senza troppi problemi. Poi il Jonin eseguì una specie di cenno con la mano, ma il mercante non afferrò nessun significato possibile da attribuirgli.
Il biondo si voltò: l’altro uomo era già in piedi pronto ad un altro scambio di colpi, ed aveva negli occhi una luce sconosciuta che poteva preannunciare qualunque cosa.
E, nel frattempo, Nohiro era rimasto alla sinistra del carro, nascosto alla vista sia del suo sensei che dell’altro ninja, del quale non aveva scorto che il profilo e l’ombra sul terreno.
Il ragazzino era agitato: aveva avuto l’impressione che nella foresta attorno ci fossero decine di persone che correvano e si spostavano. Se è così, aveva pensato, noi siamo troppo pochi per vedercela con tutti, anche se c’è Naruto-sensei.
E così, appena udì la tecnica pronunciata dal suo insegnante e della polvere rossastra alzarsi per il combattimento, decise cosa fare, avendo più o meno precisamente in testa la posizione di un altro nemico lì intorno.
Si sciolse dalla vita il proprio kimono e lo lasciò cadere sul terreno friabile; poi si acquattò a terra e, velocissimo, passò carponi sotto il carro, fino a spuntare dall’altra parte.
Subito di fianco a lui vide Jiro, disteso a terra e privo di sensi. Si tirò su da sotto il veicolo e si spostò immediatamente di fianco al compagno di squadra. Gli occhi d’oro del ragazzino si mossero febbrili sul volto dell’altro: aveva un labbro spaccato e del sangue gli scivolava da un angolo della bocca, ma la mandibola non sembrava rotta. Vide altre macchie rosse fra i capelli già sporcati dalla terra, e vide anche la ricetrasmittente lì di fianco, frantumata; tolse anche la propria, dato che ormai non serviva più a niente.
Poi una morsa d’incertezza lo colse: era il caso di svegliare il suo compagno con degli schiaffi?
E, un secondo dopo, fu scosso da un’altra domanda, accompagnata da una delle prime frasi definibili, fra virgolette, “volgari”, che gli veniva di pronunciare: ma porca miseria, è il caso di farsi queste cavolo di problematiche adesso!?
Si chinò sul ragazzo dai capelli bianchi e, allungando una mano verso il suo viso, gli mollò un leggero schiaffetto. «Jiro!» lo chiamò sottovoce, facendo seguire un altro schiaffetto. «Svegliati, presto! Jiro!». Al terzo leggero schiaffo il giovane si svegliò di scatto.
Prima, però, che potesse tirare un urlo, che fosse di rabbia o di spavento, Nohiro si piazzò nel bel mezzo del suo campo visivo, esattamente davanti alla sua faccia. «Sono io» lo informò.
Dopo un secondo di sbigottimento il figlio dell’eremita dei rospi portò una mano alla mandibola, per una fitta di dolore che proseguì fin sulla testa.
«Un ninja ti ha dato un pugno» gli spiegò Nohiro.
«Grazie al cavolo, questo l’avevo capito!» fu l’irata risposta. Poi il giovane si calmò, rendendosi conto che non serviva affatto alzare i toni. «Di che villaggio è il ninja?» chiese.
«Non lo so». Nohiro prevenne qualunque commento del compagno di squadra. «Ma non è solo. E credo di aver capito dove si trova uno dei suoi compagni». Tese un poco il braccio verso la boscaglia. «Sta là, e credo che aspetti il momento giusto per attaccare il mercante…».
Jiro restò in silenzio, attendendo che l’altro continuasse.
Dal davanti del carro si sentì un tonfo ed il rumore di un corpo che rotola per terra; guardando sotto le ruote i due ragazzini videro l’avversario del loro insegnante mentre si scagliava a terra facendo leva sulla spalla di Naruto, infine udirono l’avvertimento dello stesso verso il mercante.
«Ho in mente una cosa» disse Nohiro in quel momento. Subito dopo aver pronunciato quella frasetta trattenne inconsapevolmente il respiro, con la paura di ricevere una risposta sgarbata… che, però, non arrivò mai.
Perché Jiro gli rispose: «E che sarebbe?» massaggiandosi la testa ed il mento.
Nohiro, nel proprio animo, avvertì una sensazione così strana, così desiderata, così inaspettata, come qualcosa che si sblocca, che partì a parlare a raffica. «Loro non mi hanno visto. Quindi, se tu attacchi direttamente la persona che è rimasta nascosta e la confondi… puoi farmi da copertura e darmi la possibilità di sferrare un unico attacco dove concentrerò più chakra possibile in una sola volta. Dovremmo riuscire a metterla fuori combattimento». E, finita quella breve spiegazione, il giovane accennò un sorriso leggero al suo compagno di squadra, riavviandosi una ciocca di capelli neri sfuggita alla coda di cavallo.
Gli occhi neri di Jiro lo scrutarono per un momento, dall’alto in basso, si soffermarono sul suo volto niveo e liscio, che non accennava ad abbronzarsi nemmeno con quel sole a picco che c’era stato in quelle ultime settimane.
Infine annuì. «Va bene» sospirò, stanco ma concentrato. «Ripetimi meglio dove si trova l’altro ninja».

Si dice che a due ninja basti un unico scambio di colpi per leggere nei cuori le altrui intenzioni.
E Naruto aveva notato una cosa alquanto strana, o perlomeno inaspettata, dall’ inizio del combattimento, ovvero che l’uomo dai capelli biondo cenere che aveva davanti non pareva che puntasse ai lati del carro, dove c’era Nohiro.
Il Jonin di Konoha non riusciva a capire, né ad inquadrare un'altra motivazione plausibile per la presenza dell’altro lì. Preso dal nervoso, aprì e chiuse i pugni un paio di volte, tese i tendini e i muscoli, mentre le sopracciglia chiare si aggrottavano.
Il ninja del Suono incontrò gli occhi azzurri del Jonin e li fissò, iniziando un pesante scontro di sguardi.
Naruto, a quel punto, decise di farla finita; ci avrebbe pensato la squadra speciale a far parlare il suo avversario, una volta al villaggio.
In quell’istante il ninja del Suono si mosse.
Ma Naruto aveva già in mente qualcosa che, era certo, non gli avrebbe reso la vita facile.
Mentre l’uomo spiccava una corsa verso la sua sinistra, il Jonin non si degnò di ostruirgli il cammino, bensì, con la faccia tonda tesa in un sorriso convinto, alzò di colpo le mani davanti al petto ed incrociò indice e medio della mano destra con l’indice e il medio della sinistra a formare un sigillo segreto fondamentale per una jutsu che da sempre era al primo posto nel suo lungo repertorio.
Naruto socchiuse gli occhi: quel dannato ninja del Suono non avrebbe avuto nemmeno il tempo per pensare.
Il chakra si accumulò e si divise in parti uguali, poi, con un «Kage Bushin no Jutsu!» ben scandito parecchie nuvolette apparvero con scoppiettii, e da esse uscirono altrettante copie corporee identiche a lui stesso, che circondarono l’altro ninja, in quale, in un brevissimo istante, si ritrovò circondato da un paio di decine di copie del Jonin.
Gli occhi nocciola dell’avversario di Naruto scattarono nervosamente attorno a lui, ma, evidentemente non riuscì ad organizzare una strategia che tenesse. Tuttavia riconosceva quella leggendaria tecnica di alto livello, e sapeva anche che era la prediletta del Jinchuriki contro il quale stava combattendo.
Le copie parvero sghignazzare, come sentendo di avere la vittoria in pugno, e dal gruppetto disposto a cerchio se ne staccarono tre, in un veloce slancio.
La prima tese all’indietro il braccio, forzando la stoffa nera della felpa che portava sotto il giubbotto verde, e scagliò un pugno verso il volto del ninja del Suono, ma questi lo schivò piuttosto agilmente spostandosi di lato. La seconda copia non perse istanti preziosi. Alzò la gamba e la calò sul ninja in quello che sarebbe stato un calcio di tallone se fosse andato a segno, ma l’uomo si abbassò di scatto, alzò le mani e afferrò saldamente il polpaccio della copia coperto dalle garze; infine, con una rotazione del busto ed un grugnito di sforzo, roteò il busto e lanciò la copia del Jonin sulla terza restante, che lo stava attaccando dal davanti con un calcio basso.
Il puff di due nuvolette ne decretò la scomparsa mentre il fumo si dissolveva nell’aria.
Il mercante Gokurakuin emise un mugolio di disapprovazione, come quando, in una scommessa, il cavallo sul quale si ha puntato una somma sta perdendo. Forse, però, sbagliò a farsi sentire… perché il ninja di Oto gli lanciò un’occhiata febbrile, col risultato di procurargli un brivido di paura lungo la schiena appiattita contro il sedile.
Le altre copie si schioccarono le dita delle mani, mentre l’uomo nel mezzo a loro parve sogghignare da sotto la maschera blu scuro che gli copriva la bocca ed il naso: ancora non aveva subito alcun danno.
Si mise quindi in una posizione tale che dava l’idea di qualcuno che si prepara a lanciarsi per sfondare uno sbarramento.
A Naruto parve di ricevere una sfida… una sfida che, di certo, non poteva rifiutare.
Il biondo Jonin levò in aria un pugno e spalancò la bocca urlando euforico con quello stile che sempre l’aveva contraddistinto. «Tutti addosso, ragazzi!».
Le copie storsero la bocca in ghigno irriverente e scattarono in avanti, tutte assieme, verso il loro avversario. Il ninja del Suono spalancò gli occhi: erano troppe per una risposta diretta, o per organizzare una qualsiasi difesa. Dopotutto poco importava se erano copie, era comunque come vedersela con decine di nemici contemporaneamente… l’unico vantaggio stava nel fatto che, con una copia, bastava un colpo per potersene sbarazzare…
«Mille Colpi Concatenati!» urlarono contemporaneamente, in quel momento, le copie, come fossero una persona sola. Ed, in un certo qual senso, era proprio così.
Ma il ninja, ripensando per un attimo a quel vantaggio che aveva sulle copie, esultò silenziosamente e, flettendo le gambe, si spinse in alto con un potente balzo.
Mentre lui schizzava in aria le copie si scontrarono le une sulle altre, non trovando più un bersaglio da colpire, si ammassarono in un modo tanto goffo da apparire quasi finto, e quelle che caddero sotto le altre scomparvero in nuvolette fumose, alzando un enorme quantità di polverone rossastro dal terreno secco.
Il ninja del Suono piegò la schiena verso il basso in modo da avere il busto parallelo al terreno. Poi, velocissimo, congiunse le mani davanti al petto.
Lepre, cavallo, lepre, pecora, scimmia, cavallo.
Fu velocissimo a formare quei sigilli, tanto che quasi Naruto e le sue copie non erano riusciti a seguirlo. Poi il ninja di Oto portò una mano davanti alla bocca, pollice ed indice che si toccavano in punta, in un anello.
«Chakra Kumi no Jutsu!» nominò la tecnica, con voce determinata ma ovattata e bassa, tanto da risultare quasi inudibile.
Gli spiedi di chakra: Naruto l’aveva già sentita ma mai vista usare né usata, perché, nonostante fosse Jonin, la Volpe a Nove Code gli impediva costantemente di avere il controllo del chakra impeccabile che avrebbe voluto.
Il quell’istante le guance del ninja del Suono si gonfiarono sotto la maschera e, immediatamente, cominciò a sputare, attraverso la stoffa, sottili spine azzurrognole, in una sequenza veloce senza alcuna pausa, come se la sua bocca fosse una cerbottana.
Le copie furono investite in pieno da quella grandine e, in pochissimi brevi istanti, scomparvero in mezzo al fumo come se non ci fossero mai state.
Di nuovo, sotto la maschera, il ninja del Suono parve sorridere: una sola tecnica, pure di livello non molto alto per chi era capace di controllare bene il proprio chakra, era risultata sufficiente.
E, forse proprio per questo, la bocca gli si storse leggermente ed un sopracciglio biondo si aggrottò: non si aspettava che un ninja con una così gran fama come Naruto Uzumaki fosse tanto prevedibile, e fosse così facile spuntarla nel combattere contro di lui. Il sospettoso scetticismo spinse l’uomo a cercare gli occhi azzurri del Jonin suo avversario.
Quando li incontrò, fra le particelle rosse sospese in aria, vi scorse un significato che gli fece prorompere in animo un’angosciosa consapevolezza. Il ninja di Oto capì tutto. Ogni movimento, ogni azione ed ogni tecnica era stata appositamente studiata e programmata per arrivare a quello.
Naruto capì che l’altro aveva capito. E, sentendo la vittoria scivolargli fra le dita, sorrise.
L’uomo non poteva arrestare la sua caduta verso il basso, così, con la rabbia dell’impotenza, finì in mezzo alla coltre fumosa lasciata dalle copie.
«Dannazione» ringhiò fra sé, mentre poggiava i piedi sul terreno solido e stringeva le palpebre, tentando di scorgere un movimento attraverso quel manto che occultava le forme, i colori ed i suoni della realtà.
Tentò invano di capire cosa stesse accadendo.
Un momento dopo il fumo fu dissipato in volute da tre figure estremamente veloci, lanciate a corsa.
Tre copie del Jonin della Foglia circondarono l’altro ninja e, all’ultimo istante, si lasciarono scivolare a terra, con una gamba tesa. Il colpo di tallone spedì l’avversario in aria.
E, mentre ancora quello cercava di riprendersi dal colpo sofferto e di girarsi per atterrare senza danni, una quarta copia apparve sopra di lui.
Gli sguardi si incrociarono.
Poi la copia del Jonin proruppe in un potente urlo. «Naruto Rendan!». E la sua gamba tesa calò come fosse una scure sul corpo del ninja del Suono, centrandolo in pieno stomaco col tallone.
La spinta verso il suolo fu tale che l’uomo quasi si piegò letteralmente in due.
Ma la copia di Naruto, mentre spingeva a terra l’altro ninja nel suo colpo concatenato, notò qualcosa in quegli occhi nocciola che gli fecero nascere un sospetto.
Sospetto che si ingigantì…
E divenne la beffarda, chiara, realtà.
La copia sbarrò gli occhi azzurri nell’istante in cui ci fu l’impatto con il suolo. Zolle di terra si alzarono, sassi schizzarono via. E, trovandosi costretto a considerare che, nonostante tutto, il ninja del Suono era riuscito a sfruttare in suo parziale vantaggio la nuvola di fumo di poco prima, Naruto vide, con rabbia malcelata, il suo nemico sparire sotto il suo tallone.
Con la tecnica della sostituzione aveva lasciato al suo posto unicamente la fascia violacea che gli stringeva la divisa in vita.
E, posatasi la polvere che appesantiva l’aria, svanite le copie con un ringhio di rabbia, gli occhi azzurri di Naruto individuarono finalmente il ninja del Suono, che stringeva un kunai ed aveva spiccato una corsa verso il carro, l’abito azzurrognolo che si gonfiava dietro di lui.
All’inizio il biondo Jonin non capì: Nohiro non si trovava affatto sul davanti del carro, dove, a quanto pareva, l’altro puntava…
Evidentemente aveva fatto male i conti.
E lo capì non appena il mercante, con la schiena schiacciata contro il sedile del carro, lanciò un urlo rauco di paura, con gli occhi fissi nel volto coperto dalla maschera che si stava muovendo dritto nella sua direzione.
Possibile che l’obbiettivo di quello sconosciuto ninja fosse… Gokurakuin!?
Naruto, in quell’istante, pensò al modo in cui l’uomo che dovevano scortare era sembrato più agitato man mano che si avvicinavano al confine col Paese del Vento, a come avesse chiesto allarmato e quasi spaventato “che c’è?” nel momento in cui lo aveva invitato a fermare il carro, poco prima…
Gokurakuin nascondeva qualcosa. Ma che cosa, si disse il Jonin, lo scopriremo appena avremo conciato questo rompiscatole come si merita.
Il ninja del Suono strinse la presa sul kunai, flesse il braccio all’indietro e saltò superando il mulo ignaro di quel che stava accadendo; sapeva che Naruto Uzumaki non era abbastanza vicino per poterlo bloccare di nuovo, anche con una copia. La stoffa blu sul suo viso si tese in un sorriso trionfante ed il mercante a bocca ed occhi spalancati chiuse le braccia sulla sua testa, come un riccio, raggomitolandosi sul sedile di legno come se ci volesse sprofondare.
Inutile che ti ripari, parve dirgli l’assalitore col suo ghigno beffardo.
Era sicuro di aver vinto… E non c’era stato bisogno nemmeno di interventi esterni…
Ma, quando posò il piede sul legno che aggiogava il mulo al carro e si preparò a calare il kunai sul corpo indifeso del mercante, trovò qualcosa ad impedirgli di vibrare il colpo, trovò una resistenza ed una difesa più solida e rigida di quanto si sarebbe mai potuto aspettare dalla figura che ora occupava completamente il suo campo visivo, col suo volto delicato, i capelli biondi e riccioli che glielo incorniciavano e gli occhi celesti, limpidi, lì incastonati ma che, in realtà, possedevano uno sguardo determinato come quello che pochi altri potevano avere.
Il ninja di Oto, quando aveva attaccato, non aveva fatto i conti con Mayumi.
Infatti il cenno che Naruto aveva fatto verso il mercante era in realtà rivolto a lei, e aveva il significato di “aspetta”. E lei, seguendo la priorità della missione di proteggere Gokurakuin, era rimasta immobile nel carro, intendendo di uscire solamente se la vita dello stesso fosse stata in pericolo. Ed il momento di venire allo scoperto era arrivato.
La ragazza vide il ninja davanti a lei sbarrare gli occhi nocciola: quell’intervento l’aveva lasciato spiazzato e adesso si trovava con entrambi i polsi bloccati dalle mani affusolate di quella ragazzina. Incredibile che, in dita così minute si celasse una forza tale da impedirgli di muovere entrambe le braccia.
Gokurakuin, vedendo il corpo della giovane davanti a sé a proteggerlo, parve tirare un leggero respiro di sollievo mentre alzava un poco la testa da in mezzo alle sue braccia.
Mayumi strinse le labbra e, dopo aver scambiato col suo sensei nel mezzo alla strada davanti uno sguardo d’intesa e aver ricevuto da lui un cenno di consenso con la testa, agì.
Spinse all’indietro il ninja e quello si ritrovò a cercare col suo chakra un equilibrio precario sul bordo del veicolo; vide appena in tempo la bionda estrarre uno shuriken dalla borsa agganciata in vita e lanciarlo contro il suo viso.
Il ninja spalancò gli occhi e si chinò, all’indietro, rinunciando a qualunque tentativo di tenersi in equilibrio. Ma quella mossa, oltre ad essere l’unica possibile per non ritrovarsi l’arma piantata in mezzo alla fronte, era anche quella che Mayumi voleva venisse compiuta. La giovane saltò in avanti, con le gambe tese di lato e le sue dita si agganciarono alla stoffa sul petto del ninja del Suono come fossero uncini.
Poi, tirando bruscamente le braccia in avanti, in un movimento verso l’alto, e lasciando la presa sull’abito del suo avversario all’ultimo momento, lo scaraventò in alto verso la strada oltre il mulo, dritto nella direzione di Naruto.
A quanto pareva quel giorno, quell’uomo proprio non riusciva ad impedire di essere spedito in aria a fare un voletto.
Mayumi frenò il suo salto attaccando i suoi piedi alla schiena del mulo con le suole dei sandali brillanti di chakra azzurro. Voltò prima la testa a vedere se il mercante stesse bene, e, appurato quello, gli sorrise luminosamente per tranquillizzarlo.
A giudicare da come l’uomo parve riprendere respiro e colore, l’espressione rilassata della ragazza sortì l’effetto voluto.
E, mente il ninja del Suono volava nel mezzo alla larga carreggiata una voce esaltata e squillante risuonò estremamente vicina, fra gli alberi.
«Ti ho trovato, brutta stronza!».
Un’altra figura vestita come l’altro ninja con la maschera blu sul viso e in testa, la veste azzurro-grigiastra e la fascia violacea, uscì fulminea dalla vegetazione lì di fianco, con balzi frenetici, evitando tre shuriken lanciati in sequenza che andarono a piantarsi nel terreno rossiccio.
E, subito dietro, uscì Jiro, coi denti digrignati e le sopracciglia aggrottate, un kunai stretto nella destra ed il corto kimono rosso sfavillante slacciato sulla maglia a rete sottostante.
«Sewa!» chiamò il ninja di Oto dagli occhi nocciola, rivolto alla persona appena entrata in scena, una donna sottile con gli occhi scuri, piccoli e pericolosi.
Naruto formulò l’inutile pensiero che, ascoltandone la voce che solo ora era riuscito a udire chiaramente, il suo avversario pareva decisamente più giovane di quanto non gli fosse sembrato all’inizio. Forse era addirittura più giovane di lui ed aveva poco più di vent’anni.
Ma, in quel momento, ignorò del tutto quella considerazione, e, con le sopracciglia bionde aggrottate con rabbia, in modo molto simile a Jiro, si portò di fianco al corpo del ninja sospeso a mezz’aria e, con un colpo caricato, lo abbatté al suolo prendendolo dritto nello stomaco. Un suono strozzato uscì dalla bocca del ninja, ed una macchia scura di sangue sputato gli sporcò la maschera blu.
Mayumi, ed anche il mercante, spostarono lo sguardo su Jiro.
Il ragazzo incalzava con shuriken e kunai la donna che, a quanto pareva, si chiamava Sewa, la quale continuava rispondere lanciando raffiche di spiedi di metallo. Il giovane dai capelli bianchi saltava, schivava e attaccava ad intermittenza e senza fermarsi un momento; la donna evitò uno scatto in avanti, due shuriken, un altro scatto.
E Mayumi, davanti ai movimenti e ai grugniti di fatica e impegno del suo compagno di squadra, strinse le labbra con apprensione. «Attento Jiro…» sussurrò. «Se finisci le armi io non faccio in tempo a venire ad aiutarti…». E immediatamente dopo lanciò prima un’occhiata al mercante che doveva proteggere, poi all’altro ninja del Suono che, in qualche modo, era riuscito ad evitare di accusare un altro colpo da parte del Jonin ed a spostarsi vicino ad un albero che fosse ad una distanza di sicurezza dal punto della strada in cui si trovava Naruto.
Ma negli attacchi di Jiro non c’era affatto tutta quell’avventatezza che pareva trasparire di primo acchito. Oh no, non stavolta. Quella volta era tutto accuratamente predisposto.
Ma Mayumi questo, di certo, non poteva saperlo.
E, forse, la ninja del Suono dagli occhi scuri aveva già intuito qualcosa di quel che Jiro si preparava a fare, mentre si muoveva.
Probabilmente lei era di livello Chunin e negli spostamenti del ragazzo vedeva particolari che le avrebbero donato l’intuizione: la cosa più evidente era che il suo giovane avversario non tentava né portava a termine nessun attacco consistente.
Le armi lanciate compivano traiettorie troppo prevedibili, quasi preannunciate dal modo in cui si muovevano gli occhi neri del Genin sull’ambiente circostanze.
Quindi la ninja si limitò ad assecondare i movimenti che kunai e shuriken scagliati la inducevano a fare, sicura di prendere due piccioni con una fava nel momento in cui quella piccola strategia avesse raggiunto il suo momento culminante, quello in cui, come lei credeva e come poi effettivamente era, il terzo membro della squadra sarebbe entrato in campo. Lei l’avrebbe aspettato.
Così, quando Jiro estrasse l’ennesimo kunai, peraltro accorgendosi che si trattava di uno degli ultimi che aveva nella sua borsa, quando lo lanciò verso il petto della donna con un mezzo sorriso trionfante sulle labbra, e quando, infine, si chinò in basso posando a terra le mani sudate e urlò «Vai!» con tutta la voce che aveva racchiusa nei polmoni, la ninja del Suono era pronta.
Dietro il giovane dai capelli bianchi balenò una figura grigia, con un fruscio di foglie scattò con un balzo dalla vegetazione verde scuro.
La ninja se l’aspettava; proprio come si aspettava il balenio del kunai che il nuovo venuto impugnava… Un attacco perfettamente coordinato che sarebbe andato a segno… se solo lei non l’avesse previsto.
La maschera che le copriva i tratti si increspò per un sorrisetto, due ciocche marroni e lisce sfuggite al cappuccio le svolazzarono davanti al viso nascosto.
Si preparò a lanciare degli spiedi e colpire entrambi i Genin che aveva davanti in un'unica volta…
Tutto perfetto…
Finché il volto del ragazzino che era balzato in avanti, fuori dalla macchia, fu colpito dal sole e liberato dai capelli corvini, finché la ninja del Suono non ne incontrò gli occhi di serpe.
Quelli di lei si spalancarono. Di stupore, incredulità, confusione e paura.
Il kunai stretto in quella mano diafana calò su di lei…
E la donna riuscì ad evitare di essere trafitta, cavandosela solo con un taglio superficiale che le stracciò la veste azzurra all’altezza della spalla sinistra e gliela macchiò di sangue, soltanto grazie ai riflessi e all’istinto di sopravvivenza sviluppati grazie a migliaia di allenamenti.
La lama si piantò nel terreno scalzando sassi rossastri schizzati col sangue dell’avversaria.
Jiro digrignò i denti. «Cavolo, l’hai mancata!» si lamentò, quasi che la colpa fosse del suo stesso compagno di squadra.
Nohiro, che mentre attaccava aveva avuto quell’espressione piatta e misteriosa che alle volte assumeva, riacquistò la sua espressività e, girando un poco la testa all’indietro, assunse un’aria che stava fra l’imbarazzo e qualcosa come… il risentimento. «Non l’ho proprio mancata…» si spiegò frettolosamente.
Jiro non ribatté: la ninja si era rialzata.
I suoi occhi scuri erano sbalorditi e fissavano con insistenza maniacale il volto niveo del ragazzo che l’aveva attaccata, coperto in parte da ciocche nere sfuggite alla coda dietro la nuca. Per quel che la sua pelle era visibile, fra cappuccio e maschera, la donna sembrava sbiancata, impallidita… come se avesse appena visto un fantasma.
Improvvisamente, prima che i due ragazzini potessero attaccarla di nuovo, balzò all’indietro dove l’altro ninja del Suono e la stava vedendo con Naruto… e non pareva che la sua situazione fosse delle migliori.
Il biondo Jonin bloccò il suo ennesimo scatto in avanti, che forse sarebbe stato quello definitivo, all’improvvisa entrata in scena della donna, distante solo pochi metri da quello che doveva essere il suo compagno di squadra.
«Kaori!» lo chiamò con allarme, mostrando una voce limpida e chiara, che pareva addirsi male ad una persona con quegli occhi così sottili e taglienti. La ninja quasi costrinse l’altro a voltarsi, afferrandogli con le mani affusolate la veste all’altezza del petto.
Lui ne seguì lo sguardo, senza mancare di tener d’occhio Naruto.
Ma, di Naruto, si scordò completamente appena vide Nohiro. Le pupille racchiuse nell’iride nocciola si dilatarono ed il volto assunse la medesima espressione che aveva fatto la donna un momento fa. Fra i due ci fu un’intesa silenziosa, una muta richiesta di spiegazioni da parte dell’altra persona, spiegazioni che però nessuno dei due aveva né, quindi, poteva fornire.
«Ehi…» a quel richiamo a voce bassa i due ninja del Suono si voltarono di scatto, incontrando lo sguardo azzurro e rabbioso di Naruto. «Non abbassate la guardia quando combattete contro di me» li ammonì con un ringhio pieno di minaccia.
I due si staccarono l’uno dall’altro con agitazione e allarme, vedendo che il Jonin, senza più farsi nessuno scrupolo, si preparava a scattare contro di loro iniziando a raccogliere un’enorme quantità di chakra in una mano, iniziando il procedimento per una tecnica che loro non conoscevano… ma che aveva tutta l’aria di essere particolarmente pericolosa.
Naruto, aggrottando le sopracciglia , si lanciò contro i ninja di Oto arretrati lungo la strada.
Ma un’esplosione in mezzo al tragitto che avrebbe dovuto compiere lo costrinse a fermarsi tramite l’attrito dei piedi sul suolo e ripararsi la testa dalla polvere e dalla ghiaia terrosa, socchiudendo le palpebre per evitare che fastidiose particelle gli entrassero negli occhi.
Nohiro e Jiro sussultarono, proprio come il loro insegnante. A nessuno dei tre era parso di intravedere una cartabomba.
Ma di cartabomba, infatti, non si trattava.
Fra le zolle e i sassi schizzati in aria una terza nuova figura fece la sua comparsa. Era un giovane che, forse, non arrivava ai vent’anni, vestito non in azzurro, bensì in grigio chiaro, con il volto coperto solo dalla maschera e non dal cappuccio, e la pelle scura e bronzea. Le maniche più larghe del suo abito, i capelli di un grigio molto chiaro che risaltavano sulla pelle abbronzata, pettinati ma “spettinati”, con ciocche più lunghe ed altre più corte, il viso come un ovale perfetto gli conferivano un aspetto non facile da dimenticare.
Fissava Naruto con un ardire sicuro… e, di certo, la cosa più impressionante che avesse erano i suoi occhi: l’iride di uno scintillante rosso rubino, che si avvicinava al colore del kimono di Jiro, pareva scintillare, come se scaglie di metalli preziosi e polveri luminescenti stessero vagando e fluttuando al suo interno.
Legato al suo collo c’era il coprifronte con la nota musicale.
Naruto, passata la sorpresa dell’esplosione e della comparsa inaspettata, mentre le orecchie si riprendevano dal rumore dello scoppio, si sollevò in piedi e scrutò meglio chi aveva davanti, in particolare la sua posizione d’attacco, per carpire più segreti possibili delle sue possibili jutsu. Ed il ragazzo con quegli occhi cremisi che brillavano come gemme rimase immobile occupato a fare la medesima cosa col Jonin di Konoha, bloccato con il busto proteso in avanti, le gambe un poco divaricate e le braccia dietro la schiena che stringevano un bastone nero.
Gli altri due ninja del Suono accolsero la comparsa di quel giovane con una sorta di rilassamento, come se fossero convinti di aver risolto tutti i loro problemi.
Naruto li guardò solo per un attimo, poi sollevò un poco la testa e fissò il terzo venuto.
Nel suo sguardo si coglieva la chiara consapevolezza che di lì a poco ci sarebbe stato il colpo decisivo, ed anche la chiara intenzione di non protrarre quello scontro oltre.
I due ninja, il Jonin della foglia ed il ragazzo del Suono, lentamente, aggrottarono le sopracciglia.
Naruto di nuovo sollevò la mano destra e ci concentrò il chakra azzurro, che iniziò a ruotare con un rumore che assomigliava ad un turbine di vento… ed il suo avversario strinse i pugni sopra il bastone, raccogliendo il chakra e facendolo fluire uniformemente in tutto il corpo.
Nella mano del biondo Jonin si formò una sfera di chakra rotante ad alta velocità, un concentrato di energie assolutamente letale; le scaglie di luce carminio nell’iride dell’altro ninja si mossero più velocemente, più freneticamente.
Poi si lanciarono l’uno contro l’altro, sotto gli sguardi catturati del loro “pubblico”.
«Rasengaaan!».
L’urlo scoppiò ed il ragazzo del Suono fermò la sua corsa; poi accennò un sorriso.
Con mani esperte e fluide mosse il bastone, lo alzò sopra la sua testa e, pochi secondi prima che il Jonin lo raggiungesse con la sua micidiale tecnica, ne abbatté un’estremità sulla terra rossa.
L’energia pressata in una mano di Naruto si scontrò contro una barriera invisibile, ed il biondo digrignò i denti, sentendosi sbalzare all’indietro.
I chakra sfrigolarono per un momento… poi l’aria esplose.
Il Rasengan, la leggendaria tecnica del Quarto Hokage, sfuggì dalle mani di Naruto e si dissolse, e, mentre il Jonin veniva scaraventato contro il carro identificò anche la prima esplosione, quella con cui il suo giovane avversario era entrato in scena: era identica a quella di adesso, solo un po’ più debole.
Era un’onda d’urto.
L’aria veniva compressa e rilasciata col chakra… riuscendo ad allontanare e neutralizzare qualsiasi altra jutsu, visto che non si trattava in tutto e per tutto di un’Arte Magica, non occorrendo alcun sigillo per attivarla.
Probabilmente era un’abilità innata.
Naruto era abbastanza esperto da non finire a terra come un sacco di patate. Un attimo prima di cadere sul terreno mise le mani avanti e, con una capriola, tornò immediatamente in piedi.
I tre Genin dietro di lui erano rimasti immobili; Mayumi, ed anche il mercante, lo erano rimasti talmente tanto che quasi gli altri si erano scordati della loro presenza. Jiro e Nohiro erano a bocca aperta.
«Che… tecnica era quella?» domandò in quel momento il ragazzino dai capelli corvini, senza che si riuscisse bene a capire se si stesse riferendo a quella di Naruto o a quella del ninja del Suono.
Jiro, senza chiedere spiegazioni, dovette immaginare che il compagno parlasse della prima delle due. Immediatamente il figlio dell’eremita dei rospi tirò le labbra in un sorriso ed un espressione che avevano un che di esaltato, come se tirasse fuori tutta la tensione in un istante quasi incontrollato. «Ha!» esclamò. «E’ il Rasengan, è chiaro. E’ la tecnica che gli ha insegnato mio padre».
Nohiro rimase in silenzio, forse a riflettere, forse ad ammirare le capacità del suo insegnante, forse ad immaginarne il passato.
Ci fu un’instante di assoluto silenzio.
Poi la donna di nome Sewa si avvicinò di un passo al ragazzo nel mezzo alla strada, tenendo la mano destra premuta sulla ferita della spalla sinistra, dalla quale continuava ad uscire sangue che inzuppava e macchiava di scuro la veste azzurra dal bordo mimetico.
«Takeo» lo chiamò. Il ragazzo si voltò un poco, senza staccare gli occhi rubino da Naruto. «Takeo, non possiamo continuare» disse lei.
Quell’affermazione lasciò i ninja della Foglia di stucco. Mayumi, ancora immobile sulla groppa del mulo, inarcò un sopracciglio confusa.
Sewa voltò un poco la testa verso il punto in cui c’erano Jiro e Nohiro. «Non in queste condizioni». Ed accennò, lentamente, con la testa, al secondo dei due giovani ninja.
Un frase ed una mossa pregni di significato per i tre del Suono; infatti si capirono immediatamente.
I Genin di Konoha non diedero segno di aver capito… ma Naruto, al contrario, capì.
Anche troppo bene. E capì anche qualcosa che prima era rimasto in lui solo come una possibilità sospettata: l’obbiettivo non era Nohiro.
«Non andrete da nessuna parte, voi tre!» urlò, ma forse, nell’animo, già sapeva che non sarebbe riuscito a fermarli.
Si lanciò contro di loro, ma il ragazzo dalla pelle scura e i capelli grigi alzò di nuovo il bastone e colpì il terreno, l’aria implose ed esplose, la polvere e la terra schizzarono.
Un attimo dopo i ninja col coprifronte con la nota musicale erano spariti.
Naruto ringhiò, stringendo i pugni, e, senza riuscire a trattenere la rabbia, calciò una zolla rossa staccata dalla carreggiata.
Poi, cercando di evitare di piantarsi le unghie nel palmo della mano per la furia, si impose di calmarsi e si voltò.
Gokurakuin aveva la schiena chinata, come se stesse cercando di calmare i nervi a fior di pelle e di placare l’ansia con la respirazione più lenta. Mayumi era di fianco a lui, e anche lei, stranamente e a discapito della sua aria sempre tranquilla, stava facendo respiri profondi, sbuffando l’aria fuori dai polmoni. Jiro si avvicinò al carro con un sorrisetto soddisfatto stampato in faccia, mentre si passava la mano sul labbro rotto. Il gesto gli strappò un mugolio di dolore, e gli occhi neri gli caddero sulla sua ricetrasmittente a terra, spezzata dal pugno di quel dannato ninja con gli occhi nocciola. Nohiro, immediatamente e con urgenza, si accostò di fianco al veicolo e guardò Mayumi.
«Stai bene?» le chiese con la voce preoccupata ridotta ad un sussurro e le pupille verticali dilatate.
Lei lo guardò e gli rispose con un delicato sorriso. «Certo, tranquillo» lo rassicurò a bassa voce.
Il ragazzo dai capelli neri fu così concentrato su di lei e così occupato dal proprio imbarazzo che nemmeno si accorse dello strano sguardo che gli lanciò il mercante, il quale in verità non era ancora riuscito ad “abituarsi” alla sua presenza, e non si accorse nemmeno dell’espressione immotivatamente accigliata sul volto di Jiro.
Probabilmente il ragazzo dai capelli bianchi era un po’ troppo possessivo nei confronti della compagna di squadra, abituato com’era che lei stesse soltanto con lui quando si trattava di maschi.
Dietro di loro, quasi senza farsi sentire, arrivò Naruto.
Sul suo volto non c’era più traccia di rabbia, anzi, mentre guardava i suoi tre giovani allievi, stava sorridendo. «Ragazzi…» disse, attirando su di sé la loro attenzione.
Prima spostò gli occhi azzurri in quelli di Mayumi, poi guardò Jiro e immediatamente dopo Nohiro, spostando le pupille dall’uno all’altro. Infine incrociò le braccia sul petto ed esibì uno dei suoi sorrisi più luminosi. «Complimenti. Siete stati fantastici».
I tre volti dei membri del Team cinque si illuminarono, ed il loro animi si riscaldarono.
Jiro rispose al sorriso con un altro ancor più soddisfatto ed orgoglioso. Mayumi ne fece uno dei suoi, dolce e di ringraziamento. E anche Nohiro sorrise. I suoi compagni di squadra non l’avevano mai visto farlo a quel modo così spontaneo, rilassato e disteso, e ne rimasero, forse, sorpresi. Ma magari anche loro parvero rilassarsi di conseguenza, come in un procedimento inesorabile di quella che forse sarebbe diventata, in futuro, della vera sintonia.
Ha visto Iruka-sensei?, pensò Nohiro, felice, in quel momento. Ho fatto come lei desiderava.
Quell’atmosfera quasi surreale fu sciolta in un momento dalle parole di Naruto.
«E lei…» esordì il Jonin, guardando il mercante. Quest’ultimo, a giudicare dall’espressione di disagio, sembrò che si fosse aspettato di essere interpellato. «Lei, Gokurakuin, adesso mi deve dare un paio di spiegazioni».










-----------------------



Di nuovo 13 pagine. o_o
E… lo so, lo so, non mi picchiate, ho aggiornato con un giorno di ritardo. ^^’’
Su questo non capitolo non ho molte cose da dire… però annuncio che questo ritardo potrebbe anche ripetersi, perché trovo estremamente difficile fare un capitolo anche in due settimane.
Il titolo che ho messo stavolta è molto “filosofico”, ma l’alternativa era “Attacco!” e mi sembrava decisamente troppo diretto.
P.S. Jiro ha inziato a dire le parolacce. XD

Passo subito a ringraziare:

Lilithkyubi, prometto, non mi scuso più se i capitoli sono di tredici pagine di Word. XD Sono strafelice che tu abbia scovato il significato più profondo e connotativo dei conigli… volevo evocare una scena sia divertente che “tenera” ma soprattutto mi interessava mostrare bene delle parti dei caratteri dei tre più o meno in vista. ^^ Noto con piacere che adori alla follia il mio Nor. XD Guarda, ti dico già che c’è una mia amica che ti fa concorrenza sull’intenzione di sposarselo. XD Spero che questo capitolo 13 non ti abbia delusa! Talpina Pensierosa, alias Lady_and_Baby nell’ultima recensione, sono felicissima che ti sia piaciuto il capitolo precedente! Ti ringrazio dei complimenti, sperando che i tempi di pubblicazione non siano davvero troppo lunghi. ^^ Killkenny, figurati per le delucidazioni. Seriamente, proprio non ci tengo a vedere il peggio di te allora. O.o Non uccidere il mercante, mi raccomando… anche se, dalla tua affermazione, mi pare che Nor ti stia simpatico. XD Ti ringrazio infinitamente per il 10, e spero con tutto il cuore che anche questo cap. ti piaccia. Rina, grazie per dire che la storia è stupenda! Inoltre mi permetto di esultare, ho una nuova commentatrice! XD In realtà mi aspettavo già da un po’ la tua domanda “chi è la madre di Jiro?”… come mi aspettavo “chi è la madre di Nohiro?” (visto che Orochimaru non mi pare il tipo da andare in giro a fare cose sconce con giovani ragazze aitanti XD) e anche “dove è finito sasuke?”. Ebbene… ovviamente c’è una risposta a tutte e tre. XD E, se avrai pazienza, la risposta alla prima delle tre (ovvero quella che mi hai posto te) arriverà fra massimo due capitoli. Spero tu riesca a resistere. XD Ciao, e grazie!

Ringrazio anche tutti quelli che hanno la storia nei preferiti, anche se non hanno recensito, ovvero: acdcman, alfakein, Ametista, Beckill, EgabryT, elie191, Kristi 87, Lele 91, Lolly, Marty9210, rioki e Targul. Thanks.

Ci si vede fra circa due settimane!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** A notte fonda ***


-13-
A notte fonda




Quando Naruto porse la sua ovvia domanda a Gokurakuin,questo assunse un’espressione di chi è restio a rispondere o assolutamente a disagio nel volersi togliere dall’impiccio.
Gli occhi dei ragazzi del Team cinque si puntarono tutti su di lui, tanto che l’uomo iniziò quasi a sentirsi scomodo sul suo sedile di legno, e per di più lo sguardo azzurro e perentorio del biondo Jonin non pareva accennare a staccarsi da lui.
«E allora?» incalzò quest’ultimo, con un tono rigido e serio. «Come mi spiega quello che è accaduto, Gokurakuin? Sa qualcosa di quei ninja?».
Ma quelle domande erano quasi retoriche: era chiaro che il vero quesito che Naruto stava ponendo era “perché quei ninja erano qui per te?”.
Ci furono lunghi momenti di silenzio.
Poi il mercante passò una mano fra i capelli brizzolati e tirò un sospiro. Ma, se qualcuno aveva pensato che un uomo come quello non avrebbe tirato fuori storie, si era sbagliato davvero di grosso. «Senti» disse, con un tono quasi seccato. «Queste domande le dovevi fare a loro, io proprio non so…».
Si interruppe. Lo sguardo di Naruto gli fece morire la voce in gola.
«Non mi racconti balle, per piacere» lo ammonì unicamente il Jonin, gli occhi seri ed inflessibili.
Il mercante tacque. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, colto in fallo, poi, compreso che tirar fuori qualche scusa o giustificazione non sarebbe servito a nulla, buttò fuori il fiato in uno sbuffo.
«Non ero io l’obbiettivo» disse preventivamente. Ammise con quella frase di saperne qualcosa della visitina ricevuta dai ninja del Suono… ma più che un’ammissione fu una conferma: i quattro che aveva davanti l’avevano già inteso da soli.
Jiro inarcò un sopracciglio chiaro, assolutamente scettico davanti all’ultima affermazione del mercante. Sembrava che il dolore al labbro rotto non lo toccasse minimamente e fosse già qualcosa che aveva perso la sua importanza, nonostante Mayumi continuasse a buttargli occhiatine per assicurarsi che l’amico d’infanzia stesse veramente bene.
Anche Naruto apparve assolutamente scettico. «Non era lei l’obbiettivo?».
Il mercante prima di rispondere lanciò meccanicamente un’occhiata a Nohiro, forse per controllare la sua espressione, forse davvero per caso, e, quando ne incontrò lo sguardo ambrato, rabbrividì.
Aveva un vago e immotivato timore a spiegarsi davanti a quegli occhi così penetranti, ancora più timore che a farlo davanti a quelli azzurri del Jonin; forse perché questo ultimi erano limpidi, schietti, e non possedevano quel mistero insito e inconsapevole proprio del volto e dello sguardo del giovane ninja corvino.
«No, non cercavano me» ripeté il mercante. Ma, prima che Naruto potesse porgli un’altra perentoria domanda e delucidazione, proseguì il discorso: «Non volevano direttamente me… ma la mia preziosa merce». Anche in un momento così serio come quello, quell’uomo proprio non riusciva a non lodare le sue mercanzie.
«Quelli non erano ladri» fu la risposta precisa e ammonitrice del biondo Jonin.
Gokurakuin rimase in silenzio, probabilmente soppesando le varie possibilità di risposta. Poi, ignorando il commento della sua guardia del corpo, si alzò dal sedile del carro e, poggiando le mani sul bordo di legno, scese a terra con un balzo.
Tutti lo guardarono con una vaga sorpresa, senza capire il motivo per cui fosse smontato dal posto del nocchiere. I quattro ninja attesero una spiegazione a quell’azione apparentemente volta solo a prendere un po’ di tempo ed evitare di dare le delucidazioni che gli venivano richieste.
Ma stavolta il mercante si smentì, mostrando che intendeva sul serio fornire i propri chiarimenti.
Fece un cenno a Naruto e ai tre ragazzini. «Venite dietro al carro».
Questi, non potendo far altro, lo seguirono, scambiandosi un paio di occhiate fra loro e incrociando gli occhi azzurri del loro sensei, come porgendogli silenziosamente delle domande sul comportamento di Gokurakuin.
Passarono di fianco al veicolo, ed il mercante si fermò dietro, attendendoli in silenzio. Poi montò lo scalino di legno per entrare nella struttura e scostò la tendina del coperto, sparendo, testa e busto, al suo interno.
Nohiro si sporse, curioso.
«Non erano ladri» lo raggiunse la voce del mercante, ovattata dalle tende, mentre raspava in mezzo a tutta la roba che teneva dentro il carro.
Il ragazzino si ritirò subito all’indietro, raddrizzando la schiena, appena Gokurakuin uscì di nuovo, come se sbirciare le azioni dell’uomo fosse qualcosa paragonabile ad un reato.
Naruto osservò bene il mercante che doveva proteggere e l’oggetto che teneva in mano.
«Non erano ladri…» ripeté Gokurakuin «…ma volevano comunque una delle mie cose».
E mostrò l’oggetto che aveva in mano, tendendo un po’ le braccia in avanti.
Nohiro, Jiro e Mayumi si protesero involontariamente in avanti, come per osservare meglio quella che, a prima vista, sembrava un’arma avvolta in un panno di seta nera.
E infatti di un’arma proprio si trattava.
«Una spada?» domandò Naruto inarcando un sopracciglio. «Cosa se ne fanno dei ninja, che sono pieni di armi fino al collo, di una spada da mercato?».
Il mercante non rispose direttamente alla domanda, ma, col suo modo di fare altezzoso e superiore, iniziò a spiegare dall’inizio tutto quel che, secondo lui, era importante che gli altri sapessero. «Comprai questa da un armaiolo collezionista, tempo fa. Era un pezzo unico, questa spada, e nella mia lunga e fortunata carriera non ne avevo mai vista un’altra di simile perfezione e fattura… così, quando la vidi feci di tutto pur di averla fra la mia merce». Gokurakuin fece un respiro profondo, come se l’età gli procurasse un affanno.
Naruto aveva aggrottato sempre di più le sopracciglia, mano a mano che sentiva quell’aneddoto, dando l’impressione che tentasse di districare nella sua testa la matassa ingarbugliata che erano gli avvenimenti accaduti.
«L’uomo da cui la comprai mi avvisò che avrei potuto avere fastidi nel portarla con me… e che sarebbe stato meglio se l’avessi venduta subito, e ancora meglio se non l’avessi proprio acquistata. Ovviamente credei che volesse soltanto dissuadermi per potersela tenere, ed io la comperai senza dargli retta. Poi però il mio prezioso carico iniziò ad essere preso di mira da briganti e ladri molto più spesso di quanto mi fosse mai successo, e questo mi costrinse a pagare di continuo delle scorte perché mi proteggessero da furti e saccheggi». Un altro sospiro. Il mercante lanciò un’occhiata ai ninja di cui, ormai, aveva completamente catturato l’attenzione: dopotutto, finalmente, stava dando delle spiegazioni serie.
«Mi ricordai di quello che mi aveva detto il mio cliente su questa lama formidabile…» riprese Gokurakuin, lo sguardo perso lontano nella propria memoria. «…e decisi di documentarmi su di essa».
Alzò quindi gli occhi neri direttamente su Naruto, inspirando profondamente l’aria calda che alzava la polvere rossa del terreno. «Immaginavo che questa volta sarebbero venuti loro, senza più scomodarsi a pagare ladri e malfattori vari».
A giudicare da come il mercante aveva calcato sul “loro” pareva che sapesse anche di che ninja in particolare si trattava.
«Mi mostri quell’arma, Gokurakuin-san…» ordinò Naruto, con la voce bassa, mentre ancora cercava di trovare un filo logico che sciogliesse tutti i nodi.
Il mercante indugiò un momento, stringendo le dita ruvide sulla seta. I suoi occhi volarono verso Nohiro, senza volerlo, e subito si ritirarono appena ne incontrarono le pupille serpentine… poi, inumidendosi le labbra, afferrò il bordo del tessuto nero e lo srotolarono, mettendo alla luce l’arma sottostante.
Una spada che non sembrava conoscere l’erosione del tempo. La guardia d’oro aveva incisioni che richiamavano il motivo di una pelle a scaglie, e c’era incastonato un simbolo simile ad un nove ma anche alla parte destra di un tao; l’impugnatura era avvolta da fasce ed il filo della lama era fine, perfetto, sebbene anche gli occhi meno esperti avrebbero capito quanto quell’arma fosse antica.
Gokurakuin aveva ragione: quella spada era unica.
Gli allievi di Naruto la guardavano sbalorditi: Mayumi, Jiro e Nohiro la osservavano come si fa con qualcosa da venerare… e addirittura nei loro giovani occhi si scorgeva la luce del desiderio di avere una simile rarità fra le mani e poterla maneggiare come propria.
Nohiro ne era rimasto impressionato. Ma, quando il ragazzino dai capelli neri alzò lo sguardo sul suo insegnante, forse volendo commentare quanto quell’arma fosse fatta bene, vide sul suo volto, con stupore, qualcosa che assomigliava all’assoluto sconcerto, sbigottimento; in quegli occhi azzurri sempre sorridenti c’era adesso una tale incredulità che si avvicinava alla paura.
Un simile atteggiamento, che Nohiro in tutto il tempo che ci aveva trascorso assieme non aveva mai visto nel biondo Jonin, trasmise anche nei suoi affilati lineamenti una confusa angoscia.
E, forse accorgendosi che quell’espressione sbigottita non era quella migliore da tenere davanti ai suoi allievi, Naruto disse, con una calma maniacale: «Questa non può essere qui».
Mayumi si voltò verso di lui, tanto confusa quanto lo era Nohiro.
«Che vuol dire che non può essere qui, sensei? Non ha senso quel che sta dicendo…» ribatté Jiro, passandosi una mano sulla nuca e sul codino bianco.
Naruto, però, non rispose al suo allievo dagli occhi neri, ma guardò fisso il mercante, senza mai distogliere lo sguardo. Quest’ultimo, come se invece avesse capito perfettamente la dichiarazione del Jonin gli rispose in modo altrettanto enigmatico per i tre ragazzini, quasi che quello che i due stavano parlando fosse un codice criptato e indecifrabile per chi non aveva gli strumenti adatti.
«Può essere qui, fintanto che il possessore è morto».
Per la seconda volta in pochi minuti Naruto sbarrò gli occhi azzurri. Il mercante gli aveva lanciato un messaggio, e lui l’aveva recepito… un messaggio che, forse, non avrebbe mai voluto carpire.
«Adesso voi porterete la spada a Konoha, vero?» domandò Gokurakuin con una sorta di rassegnazione, chiaramente dispiaciuto di perdere uno dei suoi pezzi migliori.
«E’ ovvio» fu la risposta di Naruto. Quindi il Jonin tese la mano per farsela consegnare.
Il mercante riavvolse la lama nella seta in un modo talmente lento da dar l’impressione che fra qualche ora sarebbero stati ancora lì ad aspettare. A Nohiro parve che gli dolesse davvero doverla consegnare, a giudicare dai tratti del volto contratti mentre la porgeva a Naruto.
Questi la afferrò senza alcuna cura e la tese subito a Mayumi. «Tienila nello zaino finché non arriviamo al villaggio della Foglia».
«Sensei, ma io non ho capito niente!» esclamò in quel momento Jiro, assolutamente intenzionato a farsi dare spiegazioni. «”Il possessore è morto”? “Questa non può essere qui”?» citò con tono confuso e scocciato da tutti quei misteri. «Per quanto bella, quella lì è solo una spada! Cos’ha di così particolare per cui ne dovete parlare in codice? Oppure, forse, credete che noi» e indicò sé stesso e i propri compagni di squadra, dando per scontato che in qualche modo fossero d’accordo con la sua opinione «non siamo affatto interessati, oppure proprio che non siamo capaci di notare le vostre segrete allusioni?».
Gli occhi neri degli figlio dell’eremita dei rospi si piantarono alquanto irati sui due uomini davanti a lui… ed il ragazzo nemmeno si era accorto del modo sconcertato in cui lo guardava Mayumi. La ragazza sapeva bene che il giovane era capace di andare in escandescenza per un nonnulla… ma perdere la calma solo perché, per una volta, il loro insegnante si era comportato in modo un poco enigmatico le pareva sul serio esagerato. Il carattere della bionda, però, la frenava dal rimproverare il suo caro amico.
Nohiro spostò gli occhi da Mayumi a Jiro un paio di volte. Gli dava uno strano fastidio che qualcuno contestasse Naruto: gli era troppo attaccato e lo rispettava troppo per potersene restare in silenzio senza “prenderne le difese”.
Così, tirando fuori quella sicurezza da poco acquistata che in quel momento si sentiva frizzare addosso, prese un respiro e si voltò verso Jiro. «Naruto-sensei ci spiegherà tutto a Konoha. Abbi la pazienza di aspettare un po’».
Jiro, guardando il ragazzino dalla pelle bianca con espressione indecifrabile, si zittì.
Mai Nohiro, da quando si erano conosciuti, aveva avuto l’ardire di dargli un ordine. Il giovane dai capelli bianchi lo fissò con i suoi acquosi occhi neri, un poco stupito… ed il compagno di squadra non distolse lo sguardo. Lo resse con fermezza come mai aveva fatto, tanto che Jiro quasi credé di avere davanti un’altra persona.
Immediatamente dopo Nohiro abbassò la testa, imbarazzato, arrossito, e, mentre controllava di sottecchi come lo stava guardando Mayumi, se era arrabbiata, irritata o normale, sembrò tornare quello di sempre.
Ci fu un instante di silenzio a seguire quell’inconsueto avvenimento e manifestazione di sicurezza di sé da parte del pallido ragazzino, poi Naruto riprese velocemente in mano le redini della situazione.
«Ben detto, Nor. Vi spiegherò a suo tempo» disse, lanciando un’occhiataccia severa all’altro suo allievo. Il Jonin sentì poi il bisogno di separare i due Genin momentaneamente, con uno strano timore che si creassero situazioni in cui non voleva affatto trovarsi in mezzo.
«Jiro» chiamò.
Il giovanotto alzò le pupille corrucciate sul suo sensei.
«Raccogli tutte le armi che hai lanciato prima, poi prendi gli zaini tuo, mio e di Nohiro dal carro».
Jiro storse il naso, ma eseguì comunque il comando, non senza borbottare e inveire contro qualunque cosa gli passasse per la testa.
Quindi Naruto si rivolse al mercante con un’espressione leggera che nulla aveva a che fare con l’aria grave che prima gli aveva alterato i tratti tondi del viso. «Le farò mandare un corriere da Konoha come risarcimento per averle sottratto una delle sue merci più costose» gli annunciò con tono squillante.
Sul volto di Gokurakuin sembrò avvenire una magica trasformazione: le sopracciglia folte si sollevarono, gli angoli della bocca si tesero leggermente all’insù e gli occhi si illuminarono di una luce entusiasta. Mayumi rise limpidamente fra sé, con uno sguardo complice scambiato con Naruto, davanti all’attaccamento ai soldi dell’uomo che aveva davanti.
In men che non si dica Jiro aveva finito di raccogliere le loro cose e, porgendo ai legittimi proprietari gli zaini, si piazzò davanti al suo insegnante con le braccia incrociate e gli occhi illuminati da una luce di sfida. Nohiro, cogliendo quel momento in cui non avrebbe rischiato di perdersi qualche disposizione importante da parte del suo sensei, svoltò attorno al carro, verso il punto che occupava prima che venissero attaccati da quei tre misteriosi ninja.
Individuò immediatamente il suo kimono, gettato sul terreno; lo sollevò per una manica storcendo le labbra sottili: adesso avrebbe dovuto lavarlo e rilavarlo decine di volte nella pozza dietro la sua casetta di periferia, tanto la polvere lo aveva sporcato. Adesso quasi sembrava fatto a chiazze grigie e mattone.
Con un sospiro rassegnato tornò dalla sua squadra, già iniziando a sentire il congedo del biondo Jonin da Gokurakuin. Mentre guardava l’abito che teneva al braccio si chiese quando, a forza di portarlo da tutte le parti, con conseguenti lavaggi ad alta percentuale di sapone, si sarebbe consumato tanto da costringerlo a comprarne uno nuovo.
Beh, dovendo dire tutta la verità ne avrebbe già comprato uno nuovo da tempo… peccato che non avesse i soldi.
«Arrivederci Gokurakuin-san» salutò Naruto con un sorrisone. Poi, voltandosi verso la sua squadra, si stirò la schiena. Pareva che adesso non avesse più nessun pensiero per la testa, ma Nohiro, studiandone l’espressione, e sicuramente aiutato dal profondo rapporto che aveva con lui sin da bambino, fu più portato a pensare che il Jonin adottasse quel modo di comportarsi per non far pesare niente a loro che erano i suoi allievi.
Il ragazzino dai capelli neri, sorrise fra sé: riconosceva all’uomo che era stato il suo tutore una tale dose di altruismo che in pochi avevano, preferendo tenere per sé qualunque problema o preoccupazione senza appesantire l’animo di nessun altro. Anche se, alle volte, condividere con qualcuno ciò che ti assillava sarebbe potuto essere un bene liberatorio.
«Perfetto signorini, abbiamo completato la missione!» annunciò.
Il carro, nel frattempo, aveva già iniziato a muoversi sulla strada. Ed il mercante non si era neanche degnato di fare un ultimo saluto ai ninja che gli avevano fatto da scorta.
«Adesso ci mettiamo in cammino per il viaggio di ritorno…» continuò il Jonin. «E mettetevi l’animo in pace, perché faremo tappe forzate fino a stasera».
Jiro sgranò gli occhi. «Cosa!?» esclamò. «Ma sensei, abbiamo appena finito di combattere contro quei tizi, e adesso ci sono pure le tappe forzate? Ci vuole massacrare per caso?».
Il biondo ninja, con un’espressione che sarebbe dovuta essere severa, puntò contro un dito al ragazzo dai capelli platinati. «Finiscila di lamentarti, Jiro! Riesci solo a fare quello, dattebayo!».
Il ragazzino incrociò le bracci sul petto con aria offesa. Poi le labbra gli si incresparono in un sorrisetto trionfante. «Mio padre dice che lei era peggio di me, sensei».
Sul viso di Naruto apparve un’espressione buffa, come quella di chi è stato colto in fallo. Poi, però, si riprese immediatamente. «Io non mi fiderei troppo di quello che dice tuo padre, Jiro».
Il giovane Genin sfoderò una linguaccia.
Chissà per quale motivo, il Jonin sentì il bisogno di cambiare argomento più velocemente possibile. «Ok. Mayumi, tu subito dietro di me, poi Jiro, e in coda Nohiro. Io apro la fila» spiegò. «Si parte!».
Naruto saltò subito su un albero a bordo strada, probabilmente intendendo tagliare per la foresta, ed i tre ragazzini, colti di sorpresa dal repentino movimento, si affrettarono a seguirlo.

Alla fine le tappe forzate le fecero sul serio.
Naruto non li fece fermare un attimo, se non per bere un goccio d’acqua dalle borracce, tanto che a Nohiro era venuto il fiatone, cosa quanto mai rara per qualcuno che sapeva controllare la respirazione quasi alla perfezione come lui.
Il ragazzino dai capelli neri alzò gli occhi ambrati verso le chiome degli alberi sopra di lui, oramai divenute una massa scura e indistinta, ed i rami su cui posavano i piedi si delineavano appena in quel paesaggio monocromatico sui toni del blu e del grigio. Soltanto il cielo presentava sfumatura di diverso colore, all’orizzonte che il giovane non poteva vedere, sfumando sul rosso di un sole da poco tramontato.
Nohiro posò il piede su un altro ramo, e per poco non inciampò nel bordo del suo kimono grigio troppo largo e lungo. Lanciò mentalmente all’indumento qualche maledizione… una volta o l’altra sarebbe finito faccia a terra con quell’aggeggio. Nonostante sapesse che quel kimono non era propriamente adatto a correre e saltare sugli alberi, era stato costretto a metterlo per tenersi caldo e coprire la gola col colletto adesso che era la temperatura era più bassa. L’aria della sera aveva proprio quella frescura così piacevole che, il più delle volte, finisce per fregarti, farti ghiacciare il sudore addosso e farti buscare un bel raffreddore.
Il ragazzino guardò avanti, verso la schiena di Jiro coperta dalla giacca del suo kimono rosso fiamma, adesso ridotto ad apparire come uno spento color mattone. Dopo la partenza non avevano scambiato molte parole: il fiato serviva loro per tenere il passo con Naruto-sensei, che, ad un certo punto, si era messo a correre così veloce da far sembrare che stesse scappando da qualche misterioso inseguitore, rallentando il passo solo quando Mayumi l’aveva richiamato dicendo che non riuscivano a stargli dietro. Solo allora il Jonin si era fermato, scusandosi con un sorrisone ed un mano tesa ad accarezzarsi la nuca con una sorta di imbarazzo.
Soltanto Jiro aveva parlato con Mayumi, tranquillizzandola ogni volta che lei si girava a chiedergli se gli facesse male la mandibola. Nohiro, guardando il volto delicato della bionda e poi la testa bianca del compagno di squadra, per la prima volta da quella mattina in cui avevano formato il Team numero cinque, aveva provato gelosia verso Jiro. Poi si era stupito di se stesso, accorgendosi, come svegliandosi da un sogno, di che espressione corrucciata, risentita e quasi adirata avesse assunto.
Non si era mai arrabbiato praticamente per niente… Ma presto i suoi pensieri si erano spostati in un'altra direzione, la medesima su cui si stavano concentrando in quel momento.
I sandali ninja del giovane aderirono alla corteccia dell’albero sul quale, un momento prima, c’era stato il piede di Jiro. Si slanciò in avanti con un colpo di muscoli.
Senza volerlo, le sopracciglia sottili gli si corrugarono e gli occhi si strinsero in quella che poteva essere interpretata come un’espressione di preoccupazione, sorvolando la motivazione della scarsa visibilità e dell’ambiente intricato e fondamentalmente identico.
Nohiro non riusciva a togliersi dalla testa il comportamento che il suo insegnante aveva avuto quella mattina, davanti al mercante, davanti ai quei ninja… e davanti a quella spada.
Il ragazzino non conosceva quel coprifronte con la nota musicale. Non l’aveva mai visto in vita sua.
Però…
Però i ninja che portavano quel coprifronte parevano conoscere lui.
Nohiro non era uno sciocco. Poteva essere considerato molte cose, e le persone a Konoha lo definivano nei modi più disparati, infamanti e alle volte anche umilianti, ma nessuno aveva mai detto di lui che fosse uno sciocco. Anzi, in molti lo allontanavano anche e soprattutto perché aveva negli occhi una luce molto più intelligente di molti altri tredicenni, oltre a dare sempre risposte svelte e talmente precise da avere l’aria di essere calcolate.
E siccome non era uno sciocco si era ben accorto dello sguardo che quella donna di nome Sewa gli aveva lanciato, di come l’aveva fissato, scioccata, e in che modo si era riferita a lui parlando con il terzo arrivato di quei ninja.
“Non possiamo continuare, non in queste condizioni”, aveva detto.
Perché? era stata la prima domanda che era sorta in mente al ragazzino. Perché non potete?
E poi la spada… quella spada così bella… che aveva così tanto allarmato Naruto-sensei, quasi l’aveva spaventato. E mai Nohiro aveva visto Naruto spaventato, cosa che, da bambino, nella sua fantasiosa innocenza, aveva quasi creduto che non gli si potesse far paura con niente.
Un altro slancio da un altro ramo, ed il sole era quasi del tutto scomparso. Fra poco sarebbero giunti ad una cittadina che sorgeva non lontano la lì, se la memoria non ingannava il giovane dalla pelle bianca.
Nohiro era sicuro che gli mancasse almeno un tassello in quel puzzle. E finché non fossero arrivati al villaggio della Foglia, era certo, non avrebbe avuto alcuna occasione di dipanare la tela e tutte le sue trame.

Arrivarono alla cittadina, la quale era più lontana di quanto i tre ragazzini ricordassero, a notte fonda e trovarono miracolosamente aperto ancora un albergo.
Il proprietario fu estremamente gentile nel dare loro due camere, una singola per Mayumi ed un'altra per Nohiro, Jiro e Naruto.
I due giovani ninja, mentre salivano le scale che portavano ai piani superiori dell’albergo dietro al loro insegnante, quasi non sentivano più le gambe, tanto la corsa era stata spossante. Jiro, davanti agli occhi neri pesanti e quasi annebbiati, già si figurava le coperte fresche e morbide del futon ed il cuscino soffice; ed anche Nohiro, che pur essendo solito restare composto e impassibile davanti alla maggior parte delle cose, dalle quali Mayumi era sicuramente da escludere, adesso non riusciva a fare a meno di slanciarsi per i gradini con l’energia che gli rimaneva, troppo impaziente di gettarsi sul letto e dormire, senza nemmeno cambiarsi i vestiti col pigiama nello zaino.
Quando giunsero davanti alla desiderata camera da letto i due ragazzini davano ormai l’impressione di volersi fiondare dentro sfondando la porta.
Naruto girò la chiave nella toppa e la serratura della stanza 057 scattò con un rumoroso clack che risuonò nel corridoio.
Ma davanti ai tre si presentò una vista ben diversa da quella che avrebbero mai potuto credere. Il proprietario dell’albergo, un uomo magro sui quaranta in kimono da notte, si scusò con una sorta di imbarazzo per la situazione creatasi: «Mi dovete perdonare, ma al momento l’unica altra camera libera è questa».
Jiro guardò a bocca aperta ed un’espressione stupita, sconcertata e quasi scioccata l’arredamento della camera. Oltre al basso comò ed un tavolinetto, c’erano infatti solo due futon preparati sul pavimento di parquet: un singolo e un matrimoniale.
Il ragazzo dai capelli bianchi si voltò di scatto verso il proprietario, con una sopita scintilla di energia di nuovo accesa nello sguardo.
«Non ci penso neanche!» urlò, puntando un dito verso i letti, quasi che quel pover’uomo tanto gentile da far loro affittare una stanza anche a notte fonda, avesse qualche colpa.
«Jiro, non urlare, la gente dorme!» lo rimproverò immediatamente Naruto, costringendolo a voltarsi afferrandogli la testa e ruotandogliela come fosse una lampadina, quasi ci tenesse a fare la buona figura della persona autoritaria e responsabile davanti al padrone della pensione.
«La ringrazio» si rivolse quindi all’alberghiere, il quale era ancora leggermente interdetto dalla reazione di Jiro. «Noi andiamo» aggiunse il Jonin guardando i suoi allievi.
I due giovani entrarono, in silenzio, come due marionette.
Ma, mentre Naruto si rilassò subito stirando la schiena con un rumoroso sospiro, Jiro esplose di nuovo in un’energica protesta: «E lei si prende il letto singolo!?» esclamò con indignazione, vedendo che il Jonin si era liberato del giubbotto verde e l’aveva lanciato sul futon a una piazza. «Io non ci dormo nel matrimoniale! Non ho nessuna intenzione di farlo e…»
«E allora dormi fuori» gli rispose il biondo ninja, con un tono ovvio, come se avesse appena suggerito ad una persona sotto la pioggia di aprire l’ombrello.
«No!» rispose immediatamente Jiro, con un’aria che stava fra l’indignato ed il preoccupato.
Naruto tolse anche la maglia nera che portava sotto il giubbotto, restando a torso nudo e dando sfoggio di una muscolatura invidiabile, di una pelle abbronzata e segnata da ben più di una cicatrice.
Nohiro, che era rimasto in silenzio con una strana stretta allo stomaco, posò l’occhio sul sigillo che il suo insegnante aveva all’altezza dell’ombelico; un sigillo estremamente complesso e articolato, sebbene ormai molto molto consumato, che l’aveva sempre affascinato.
«Mi faccio una doccia, ragazzi» annunciò il Jonin.
Però, se pensava che Jiro si sarebbe arreso lì nelle sue proteste, si sbagliava di grosso: il ragazzino tornò immediatamente all’attacco.
«Sensei, ha capito che nel matrimoniale non ci dormo?».
Il Jonin partì a fischiettare, fingendo di non aver sentito.
«Sensei! La smetta di ignorarmi e mi ascolti!!».
Nohiro guardò in silenzio la scena, osservando con gli occhi paglierini quelli quasi furenti di Jiro.
Ma il loro insegnante ignorò completamente le affermazioni del ragazzino dai capelli bianchi e, col suo irritante fischiettio, chiuse alle sue spalle la porta del bagno.
«EHI!» fu il grido irato di Jiro.
Il giovane avanzò a passi decisi verso il bagno, quasi sbattendo i piedi.
Nohiro sentì il proprio stomaco contrarsi… ed ebbe una bruttissima sensazione, dolorosa e sferzante sul motivo per cui il compagno di squadra non voleva dormire nel letto matrimoniale.
E’ per me?
Vide che il compagno di squadra stava per protestare di nuovo a gran voce, e, stringendo i denti, Nohiro sentì che non sarebbe riuscito a sopportare di sentire di nuovo la stessa frase di poco prima, col pensiero di esserne lui stesso la causa.
Quindi il pallido giovane si fece avanti di un passo. «Io dormo sopra la coperta, se preferisci» disse, con la voce bassa e mesta.
Il figlio dell’eremita dei rospi non urlò come si apprestava a fare e, per un attimo, nella stanza si sentì solo il suono dell’acqua scrosciante nella doccia.
«Ma…» iniziò parlare Jiro, con un tono che aveva un che di imbarazzato di chi cerca di rimediare ad un errore fatto «…ma non c’entra quello…».
Però Nohiro insisté, con uno sguardo che avrebbe avuto un che di commovente per chi l’avesse guardato. «Se ti va bene lo faccio».
Il ragazzino dai capelli bianchi aprì e chiuse la bocca un paio di volte, perché, sebbene alle volte possa sembrare che gli importi poco o niente delle reazioni degli altri al suo rinomato egocentrismo e irascibilità, in realtà era capace di avere una certa sensibilità quando capiva di aver fatto qualcosa a sproposito. Ed in quel momento, guardando il volto del suo compagno di squadra, più bianco che mai alla luce che veniva dalla portafinestra, era consapevole di averlo ferito. E si sentiva meschino ad aver insistito con le sue proteste in modo talmente spudorato e insensibile.
Jiro cercò di trovare qualcosa da dire.
Forse la cosa migliore sarebbe stata dire a Nohiro che non serviva che dormisse sopra le coperte, che a lui andava bene lo stesso. Ma il suo orgoglio gli faceva bruciare troppo quelle parole, quasi gli dava l’impressione di perdere una sorta di battaglia nell’ammetterle e concederle… e già una volta aveva ingoiato la superbia in un boccone amaro, porgendo al pallido giovane delle scuse, mesi addietro, proprio la prima volta che si erano allenati assieme come squadra per il dannato esame dei campanellini.
E stavolta quel boccone era troppo aspro per buttarlo giù, così, vedendo che Jiro non pronunciava alcuna parola di senso compiuto, fu Nohiro a ripetere di nuovo la sua domanda, con lo stesso tono di voce basso e quasi prostrato. «Ti va bene?».
Jiro, per un momento, abbassò sul pavimento gli occhi neri e acquosi. «Va… va bene» consentì dopo un momento di indugio, anche lui con la voce stranamente abbassata di un’ottava.
Sul viso di Nohiro apparve il sollievo e, tranquillizzato, il ragazzino tirò un silenzioso sospiro.
Quindi, di nuovo colto dalla stanchezza, si voltò di spalle verso il futon.
Anche Jiro, sebbene il suo sguardo fosse ancora inspiegabilmente calamitato verso il compagno di squadra in fugaci occhiatine, iniziò a prepararsi per dormire.
Entrambi tirarono fuori dallo zaino una maglia e dei pantaloni puliti per la mattina dopo e tolsero gli abiti sudati che portavano indosso, mostrando Jiro un fisico decisamente robusto, abbronzato e scolpito da decine di stressanti allenamenti, Nohiro una corporatura un po’ più sottile ma con una muscolatura e delle cosce marmoree che, sorprendendo chi lo vedeva sempre con abiti larghi e non molto attillati, non erano niente male.
Poi passarono a slacciarsi i sandali ninja, srotolare le fasce di garza attorno alle caviglie e, infine, a sbottonare i pantaloni. I due ragazzini sentirono un immotivato imbarazzo a restare in intimo uno davanti all’altro e, mentre eseguivano questa serie di operazioni, fecero ben attenzione a non incrociare rispettivamente gli sguardi.
Jiro, per quel suo insensato atteggiamento, sentì un moto di vergogna, neanche fosse una femminuccia. Che problema c’era a restare in boxer, fra maschi?
Neanche Nohiro comprese perché provasse quello stupido imbarazzo, e cercò di liberarsene alla svelta, ma fu comunque lestissimo ad afferrare il proprio pigiama dallo zaino, dei pantaloni blu scuro, lunghi e morbidi, ed una maglia a maniche corte dello stesso colore.
Jiro, a sua volta, prese un completo bianco con stampe di fiamme rosse e lo indossò frettolosamente, sentendosi subito più “coperto”, e non solo in senso concreto. Per fortuna non aveva portato con sé quel vecchio pigiama celeste col motivo a ranocchie azzurre, che, peraltro, gli stava alquanto corto e sarebbe servito solo a fare una figura del cavolo; quello che invece aveva indosso era un regalo di Mayumi per il suo tredicesimo compleanno, il primo di gennaio… mentre i boxer bianchi che aveva sotto erano il malizioso regalo della signorina Kanaria Yamanaka.
Il ragazzino dai capelli bianchi si voltò verso il futon e vide che Nohiro aveva alzato la coperta da un lato e si era sistemato sull’altro, sopra il piumino leggero, esattamente come aveva detto che avrebbe fatto.
Quando Nohiro incontrò gli occhi neri del compagno di squadra tentò di accennare l’ombra di un sorriso, che venne però tirato e imbarazzato, tanto che al ragazzo parve di essere tornato alle prime missioni in cui non riusciva a parlare davanti agli altri senza balbettare.
Il pallido giovane si voltò e, sistemando il cuscino con qualche colpetto del palmo della mano, si sdraiò, gettando all’indietro la coda di lisci e lunghi capelli corvini.
Mentre Jiro si avvicinava alla sua parte si accorse di non aver mai fatto caso a due particolari del suo compagno di squadra: il primo era quanto la sua chioma somigliasse a preziosa seta nera… il secondo era quanto quel pallido ragazzo cercasse di essere poco invadente e di dare meno fastidio possibile a chiunque avesse a che fare con lui.
Così, mentre si stendeva sul futon e, ovviamente ancora in religioso silenzio, si tirava addosso le coperte, Jiro fu colto da un altro inaspettato e non voluto moto di senso di colpa per come l’aveva trattato poco prima, così maleducatamente, sebbene in modo indiretto.
Ma, presto, la stanchezza unita al suono conciliante dell’acqua scrosciante proveniente dalla stanzetta accanto presero il sopravvento su qualunque altra cosa avesse per la testa. Jiro chiuse gli occhi neri, diventati estremamente pesanti, e, prima di iniziare a ronfare beatamente, pensò che anche se Nohiro avesse dormito sotto le coperte sarebbe stata la stessa cosa, per quanto ci avrebbe fatto caso.
Al contrario, per il ragazzino dagli occhi ambrati sdraiato di fianco a Jiro le cose si prospettavano più difficili: il suono ritmico della doccia ancora accesa lo infastidiva troppo, e lui per addormentarsi aveva bisogno del silenzio.
Ma, anche se Naruto-sensei avesse chiuso l’acqua, Nohiro sapeva che la spossatezza non avrebbe avuto la meglio su di lui, perché erano i suoi stessi pensieri a fare troppo rumore.
Ipotesi su ipotesi gli frullavano nella mente, dandogli l’impressione di avere un’insopportabile ronzio nelle orecchie, e, per quanto facesse il possibile per ignorarsi, il sonno proprio non riusciva a venirgli in soccorso.
Si girò a pancia in su, con gli occhi di serpe spalancati a fissare il soffitto e dilatati dalla stanchezza. Subito dopo sentì un prurito alla schiena e si voltò su un fianco, osservando le estremamente artistiche pieghe della coperta sulla schiena di Jiro.
Così Nohiro serrò ostinatamente le palpebre imponendosi di dormire… ma gli parve di avere la testa troppo rialzata e, con uno sbuffo, spinse il cuscino più alto, in modo da poggiarsi sul bordo. A quel punto credé di aver trovato una posizione soddisfacente… però, quasi per dispetto, una ciocca di capelli neri gli andò a pizzicare il volto con le punte.
Il ragazzino, esasperato, sollevò di scatto la schiena con gli occhi allucinati fissi in avanti.
E Naruto-sensei ancora non aveva spento quella dannata doccia.
Ma il danno maggiore non era ancora venuto, perché è impossibile dormire di fianco a qualcuno che non fa altro che muoversi e tirare la coperta avvolgendoti come una specie di insaccato. Così Jiro, nonostante la spossatezza e nonostante dormisse così bene, si svegliò pochi minuti dopo essersi addormentato.
Il ragazzino dai capelli bianchi, dimentico di qualunque buon sentimento avesse provato poco prima nei confronti del proprio compagno, tentò di mettere a tacere l’irritazione per essere stato svegliato e di ricoricarsi per dormire.
Ma Nohiro si rigirò nel letto una volta e un’altra ancora, e Jiro, seriamente scocciato, si sollevò voltandosi all’improvviso.
«Ma si può sapere cos’hai?».
Il sussurro impellente fece sobbalzare il giovane dai capelli corvini che si voltò con l’espressione allarmata di qualcuno che è stato colto in fallo a fare qualcosa che non si deve.
Restò un attimo in silenzio davanti a quella domanda e a quei profondi occhi neri.
«N-nulla…» rispose infine, evasivo.
Jiro non fu convinto. «Non sono mica scemo».
Nohiro si mordicchiò il labbro inferiore e le pupille gli corsero di lato, come se volesse evitare il confronto. «Nulla, davvero».
Si squadrarono per un secondo, anche se di certo non apertamente, ma giusto quel che bastava per vedere se uno dei due stesse cedendo.
Poi entrambi, lanciandosi qualche fugace occhiatina senza nemmeno saperne il motivo, si coricarono di nuovo, silenziosi, Jiro sperando che l’altro, se proprio non voleva dire cosa fosse quel “nulla”, finisse di muoversi e trovasse una posizione comoda per addormentarsi, e Nohiro… beh, Nohiro sperando più o meno la stessa cosa.
Il ragazzino dai capelli neri provò a starsene fermo. Ci provò sul serio. Ma, un momento dopo, si girò sulla schiena facendo frusciare le coperte.
E a quel punto il figlio dell’eremita dei rospi scoppiò. Si sollevò sui gomiti e drizzò la schiena e guardò l’altro giovane sdraiato di fianco a sé con un’espressione irritata e stressata.
«Che - cosa - diavolo - hai?» sillabò fra i denti, senza spostare di un millimetro gli occhi neri da quel volto niveo, ma ora arrossato, un po’ per il caldo un po’ per l’imbarazzo.
Nohiro si sentì messo alle strette, tanto che era certo che non sarebbe nemmeno riuscito a reggere il confronto di sguardi che avrebbe dovuto sostenere se avesse alzato gli occhi sottili contornati dall’alone violaceo. Però sapeva che dire di nuovo "nulla" sarebbe stato ridicolo, e, soprattutto, sarebbe servito solo a far adirare il proprio compagno di squadra.
Così il ragazzino si sollevò a sedere a sua volta, stringendosi la coda bassa. Appena alzò il viso dalla pelle bianca e si ritrovò davanti quello di Jiro, solcato dalle due piccole linee rosse sotto alle palpebre, gli parve di essere improvvisamente entrato in una bolla di intimità che sentiva non appartenergli. Era come se, da una lunga distanza che lo separava dall’altro ragazzo, da qualche chiacchierata di nascosto con la ricetrasmittente, si fosse appena catapultato in un’atmosfera confidenziale data dalla vicinanza dei corpi, separati da poco più di quaranta centimetri; un’atmosfera che, per di più, gli pareva stonasse terribilmente col rapporto che c’era stato fra loro due sin adesso.
Nohiro si strinse le braccia chiare attorno alla vita come se temesse di sfiorare, anche solo per sbaglio, quelle del ragazzo di fianco a lui.
Poi prese un respiro e parlò. «Non riuscivo a dormire perché pensavo alla spada».
L’altro ragazzo alzò le sopracciglia. «La spada? Oh beh, è bellissima, sono d’accordo, ma non ti pare esagerato fare tutta quella scena solo per quell’arma?» gli domandò Jiro, con un tono un po’ canzonatorio.
Nohiro, immediatamente, si sentì in dovere di giustificare il proprio comportamento. «Si, però… non hai visto come l’ha guardata Naruto-sensei? E di come ne parlava con Gokurakuin-san?».
«Ti faccio notare che gli avevo anche fatto un paio di domande al riguardo, prima che quello snob del mercante se ne andasse» fu la risposta del ragazzino dai capelli bianchi, con un tono vagamente irritato.
La testa di Nohiro tornò a quella mattina, ed alla sfuriata che Jiro aveva fatto contro Naruto-sensei, accusandolo di tener su troppi misteri assieme al commerciante.
E’ vero, i misteri ci sono, pensò il pallido giovane. E mi stanno facendo andare in tilt il cervello.
«E’ che ci sono troppi sottointesi» disse. «Come… come quei ninja». Nohiro spostò le pupille verticali verso la portafinestra in fondo alla stanza, perdendo lo sguardo in qualche luogo oscuro al di là.
Jiro si fece pensieroso, e corrugò la fronte. «A dir la verità non ho mai visto quel coprifronte. Non che io sia tanto ferrato in ‘ste materie geografiche… ma di quei tizi proprio non ho mai sentito parlare…». Sembrava che il ragazzino volesse aggiungere qualcosa dal modo in cui la sua voce aveva tenuto in sospeso l’ultima parte della frase, ma pareva titubante a farlo, come se si stesse chiedendo se fosse il caso o meno.
Nohiro attese pazientemente che l’altro completasse il discorso.
«E poi la donna, quella Sewa, ti ha guardato in una maniera davvero strana» terminò infine il ragazzo dagli occhi neri.
Il giovane dalla pelle bianca capì subito perché Jiro avesse mostrato per un attimo quella titubanza non propria del suo carattere acceso: in realtà tutti l’avevano sempre guardato strano. Anche se, in effetti, quella donna l’aveva guardato in modo più strano di quanto avesse mai fatto chiunque, soprattutto perché nei suoi occhi piccoli e pericolosi non era apparso il disprezzo, né la paura come Nohiro era abituato a vederla… ma la sorpresa, lo sconcerto e una paura diversa dal solito.
«Lo so, mi ha guardato strano» accondiscese quindi Nohiro. «Ed è per questa serie di cose che non capisco che non riuscivo a prendere sonno» disse di nuovo. «Ho, come dire… l’impressione che mi riguardino».
Non appena finì di dire quella frase il ragazzino dai capelli neri si sentì come sollevato: era proprio vero che parlare con qualcuno dei propri problemi può aiutare a risolverli. Anche se, ora, dicendo che credeva che quelle cose lo riguardavano, aveva l'impressione di dare sfoggio di una sorta di eccessivo egocentrismo.
Jiro, all’inizio, non rispose all’ultima affermazione del compagno, ma rimase a fissare anch’egli il cielo blu scuro oltre i vetri ed il panorama quieto e silenzioso. Poi spostò il proprio peso all’indietro poggiando una mano sul futon. «Per la spada… potremmo andare a darle un’occhiata e poi tornare qui. Tanto pare che Naruto-sensei ne avrà ancora per un bel po’ nella doccia» propose con un’aria di chi si sta figurando di fare qualcosa di alquanto elettrizzante e, chiaramente, contro le regole.
Ma Nohiro in quel momento non pensò affatto che uscire dalla camera contro il permesso del biondo Jonin e entrare nella camera di qualcun altro per vedere la spada era contro le regole.
Pensò che la camera in cui sarebbero dovuti entrare era quella di Mayumi, perché la lama l’aveva ancora lei nel suo zaino.
Quindi espresse ad alta voce il suo pensiero, meccanicamente, con le guance nivee leggermente colorite.
«E’ nella stanza di Mayu» sussurrò, con una sorta di indignazione.
«Si, lo so. Tanto a quest’ora o sta dormendo, o si sta cambiando o si sta impomatando con intrugli vari» disse Jiro, con la voce di chi la sa lunga sulle ragazze. «Si può passare dai cornicioni e entrare dalla finestra del bagno».
Nohiro non seppe quale misteriosa parte della sua testa gli fece pensare quello che disse; ma, prima che se ne rendesse conto, aveva pronunciato il pensiero più stupido che potesse passargli per la sua testa macchinosa con gli occhi sconcertati ed il volto rosso e indignato: «Tu la vuoi vedere in biancheria!».
Jiro inarcò un sopracciglio. «No» rispose con un tono ovvio, come se il compagno di squadra gli avesse appena chiesto se esistesse qualcuno al mondo che si nutre di gusci di lumache.
Poi, però, sul volto del giovane dai capelli bianchi spuntò un sorrisetto furbo. «E poi io l’ho già vista in intimo… anche se lei non lo sa».
Nohiro sbarrò gli occhi. Rosso in volto, sdegnato e… geloso. «…Come…?».
L’altro sfoggiò lo stesso sorrisino di prima. «Ho detto che l’ho già vista in intimo anche se non lo sa».
Forse la mente stanca dell'altro pallido ragazzo aveva lavorato troppo in quella giornata e non riuscì ad assimilare bene la notizia senza collassare su sé stessa e iniziare a lavorare di fantasia.
Fatto sta che la sua bocca sottile parlò di nuovo senza essere controllata.
«E com’è?».
Jiro, all’inizio, restò stupito da quella domanda che trasudava un’ossessiva curiosità. Ma poi Nohiro avvampò e spalancò gli occhi di vergogna non appena prese coscienza di quel che aveva appena domandato… ed il ragazzo dai capelli bianchi trattenne una risata divertita. Si vedeva proprio che il suo compagno di squadra era alle prese con la sua prima cotta.
Il figlio dell’eremita dei rospi, però, fece il finto tonto e si protese leggermente verso l’altro ragazzino. «Com’è cosa?».
Nohiro divenne completamente paonazzo, le pupille verticali iniziarono a saettare di qua e di la e le mani, divenute sudaticce, cominciarono a tormentare l’orlo della maglia blu del pigiama. «Oh… ehm… n-no, io non…».
Il povero ragazzino proprio non riusciva a mettere insieme due parole di senso compiuto.
Ma Jiro, invece che sorvolare l’argomento, decise di fare il contrario, magari perché si sentiva in vena di fare il perfido e divertirsi un po’. Così, con l’espressione di chi se la sta ridendo sotto i baffi, fece la domanda più bastarda che si sarebbe potuto inventare in quel momento: «Intendi com’è Mayumi in biancheria, o com’è la biancheria di Mayumi?».
Il colorito di Nohiro passò drasticamente ad un rosso peperone.
Il ragazzino dai capelli neri nemmeno provò a continuare a rimediare alla sua frasetta incriminante, con la gola completamente chiusa dalla vergognosa figura. Ma il suo senso del pudore gli impose comunque di parlare e, tutto d’un fiato, esclamò quello che l’avrebbe tolto più alla svelta da quella imbarazzante situazione.
«Nessuno dei due!».
Jiro, togliendosi di dosso quell’aria furbetta che aveva, scoppiò in una risata, piegandosi su se stesso e tenendo le braccia incrociate sullo stomaco, mentre Nohiro aveva l’impressione che le punte delle orecchie gli stessero andando in fiamme.
«Va bene, va bene…» consentì Jiro, sempre ridacchiando e asciugandosi delle lacrimucce all’angolo degli occhi.
In quell’istante l’acqua della doccia smise di scrosciare e… sbam!
La porta del bagno si spalancò con uno spostamento d’aria, dopodiché Naruto entrò teatralmente in scena, completo di un pigiama con disegnini di croissant e tazze di caffè ed in testa un cappello con pompon, due dentoni e due occhi tondi, a rappresentare un animale non ben identificato.
«Allora!» esclamò il Jonin, mentre posava l’asciugamano bagnato che aveva in mano, come se stesse facendo il punto della situazione.
Solo in un secondo momento parve ricordarsi che non era solo ma erano presenti anche i suoi due giovani allievi, i quali ora lo stavano fissando ammutoliti con un’espressione poco decifrabile, ma sicuramente un poco sbigottita.
«Ancora svegli voi due?» chiese il biondo ninja con sorpresa. «Prima sembravate così stanchi da addormentarvi in piedi».
I due ragazzini, a quelle parole, parvero ricordarsi improvvisamente quanto sonno avessero.
«Ma anche se stessimo dormendo, con tutto il casino che ha fatto nell’uscire dalla doccia ci saremmo svegliati comunque, sensei» gli fece notare Jiro, con un tono irritato.
Naruto lo guardo per un momento con i suoi occhi azzurri, mentre sistemava le coperte ed il cuscino del suo futon singolo. «Beh, in ogni caso ora mettetevi a dormire» comandò, come per sviare l’argomento dalla sua entrata in scena rumorosa ed anche pesantemente ridicola per un uomo di trentun’anni che, normalmente, dovrebbe essere sufficientemente maturo
«E domani faremo di nuovo le tappe forzate» concluse.
Ai due ragazzini, quello del loro insegnante sembrò un tono rilassato e assolutamente normale, come se avesse semplicemente detto che in una missione si usano i kunai.
Ma a loro la frase fece tutt’altro effetto.
Spalancarono gli occhi, quasi atterriti da quella prospettiva: erano le tre di notte e si sarebbero dovuti alzare alle otto di mattina, se non prima… e poi anche le tappe forzate!?
Nohiro, sebbene non fosse abituato a contestare o mettere in dubbio le decisioni di ninja più esperti, lo giudicò un suicidio.
Naruto si stese, pronto a dormire, e senza dar l’impressione di voler spiccicare un’altra parola… così sia Nohiro che Jiro non persero tempo e si coricarono a loro volta. Però il ragazzino dai capelli bianchi, stavolta, non tirò la coperta fino al mento, ma la lasciò solo fino alla vita.
Nohiro, da parte sua, avvertì la stessa strana sensazione ad essere così vicino al suo compagno di squadra e a dormirci a così vicino; fra loro c’era una così poca distanza che quasi poteva sentirne addosso il respiro regolare e profondo.
Il giovane dagli occhi paglierini aveva ancora tutti i suoi bei rimugini e discorsi in testa, ma stavolta non resse. Era troppo stanco.
Era troppo stanco e poi… gli pareva di essere più leggero di prima, sia nella testa che nell’animo; non sapeva perché, visto che non aveva ricevuto nessuna razionale spiegazione o chiarimento… ma un angolo della sua testa gli suggerì che, a dispetto di tutto, parlare con Jiro gli aveva fatto bene. Non riusciva a credere a quell’ipotesi, non riusciva a credere che fosse la verità.
Però in quel momento il silenzio lo cullava, l’atmosfera lo calmava, e, che ci credesse o meno, i suoi pensieri avevano poca importanza.
Prima di crollare in un sonno profondo e buio, senza alcun sogno, in una di quelle dormite che ti lasciano più spossato quando ti alzi che quando ti sei messo a dormire, la sua testa formulò un’ultima frase con un senso finito.
In realtà gli sarebbe piaciuto sapere come fosse Mayumi in biancheria… oppure, in alternativa, gli sarebbe anche piaciuto sapere come fosse la biancheria di Mayumi.








---------------------------







Dannazione, possibile che io non riesco a fare un aggiornamento puntuale? -__-
Vabbè, lasciamo perdere…
In questo capitolo si apre l’incognito della spada… chi ha un po’ di fantasia ed una buona cultura di Naruto magari potrebbe fare qualche supposizione ed azzeccarci. XD In realtà come cap. (anche se è lungo) non è molto movimentato, anche se di sicuro utile per Nohiro e Jiro e per il loro rapporto… per i /le fan dello yaoi (mi riferisco ad Ametista a cui ispirava particolarmente la coppia XD) potrebbe esserci qualche sfumatura. A voi le congetture. XD
All’inizio il capitolo doveva saltare direttamente al loro arrivo a Konoha ma poi mi sono resa conto che così era molto meglio e quindi tutto è slittato di un cap. per lasciare posto a questo qui.
Il contributo di consigli, consultazioni ed il ruolo di beta-reader va, come sempre, al mio ragazzo. Lo ringrazio, almeno si sente realizzato, povero pulcino. XD

Adesso vado alle recensioni:

Hanabi, grazie infinite per aver detto di aver fatto un ottimo lavoro. *-* L’azione è stata una delle cose su cui mi sono concentrata di più, cercando di renderla comprensibile e non pesante da seguire, quindi sono contentissima che sia venuta bene, tanto quanto sono contenta che la storia stia ingranando le marce. XD Il tuo commento, comunque, mi ha lasciata spiazzata… è veramente gratificante ricevere complimenti da una scrittrice brava come te. Killkenny, sono d’accordissimo sul dire che i signori del Suono hanno avuto la loro bella fortuna a non vedere il Rasen-Shuriken… altrimenti altro che onde d’urto, eh? XD La spiegazione del mercante è forse enigmatica… ma nel prossimo capitolo si spiegherà tutto! E grazie del nove! Talpina Pensierosa, grazie per i complimenti, davvero. *-* Sono contentissima che ti sia piaciuto il cap. e spero che questo non sia da meno! Essì, il lavoro di squadra inizia ad arrivare… XD Lilithkyubi, ovviamente grazie per i complimenti. Spero tu non sia morta per astinenza da Nohiro, ed in ogni caso qui dovresti esserti rifatta… lo vedi pure in boxer. XD Sono anche contenta che Mayumi sia un personaggio che piace, perché di solito la protagonista femminile in Naruto non ha mai un ruolo che la faccia apparire simpatica in tutto e per tutto (o perlomeno che le dia una parte di spicco). Spero vivamente che questo cap. non abbia deluso le tue aspettative!

Ci vediamo fra due settimane, sperando che riesca ad essere puntuale… >.>

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Kusanagi no Tsurugi ***


-14-
Kusanagi no Tsurugi



Per fare il viaggio di ritorno ci misero la metà del tempo che era servito per l’andata: niente carro da seguire o mercante da proteggere e, in compenso, l’andatura estenuante di Naruto da tenere.
Quando, il terzo giorno, Nohiro vide con i suoi occhi paglierini le porte rosse del villaggio della Foglia, udì la cacofonia di vite li raggruppate e osservò facce più o meno conosciute, avvertì immediatamente il bisogno di immergersi di nuovo nella sua quotidianità e nella sua classica vita nella casetta di periferia.
Nonostante non fosse mai stato molto attaccato a quel luogo e spesso, da piccolo, avesse desiderato varie volte di lasciarlo e abbandonare tutto il dolore che gli aveva procurato, ora si rendeva conto che una settimana di viaggio in posti mai visitati era bastata a farglielo mancare.
Per prima cosa il Team cinque si recò alla reception di Konoha.
Entrarono, sudati e surriscaldati dal sole alto, quasi allo zenit, ma mostrando tutti e quattro un sorriso smagliante. Anche Nohiro non si risparmiò un’espressione allegra; non sapeva perché, ma quella giornata lo stava mettendo di buon umore e, immaginò, la motivazione era che stavano appena riportando l’esito positivo della loro prima missione di livello C. Il record della loro squadra ancora non era stato infranto né raggiunto: nessuna missione fallita sin dall’inizio della promozione a Genin.
In molti si girarono verso di loro, ma la persona dallo sguardo più stupito era Tsunade. «Naruto, ragazzi…». Gli occhi nocciola della Godaime li squadrarono, sorpresi, uno per uno, tanto che quasi Nohiro si sentì in imbarazzo sotto quello sguardo. «Vi aspettavamo fra due giorni» disse quindi la Hokage. «Come fate ad essere già qui?».
Naruto sorrise, scrollando le spalle. «Ci siamo sbrigati, nonna Tsunade».
La donna corrugò immediatamente le sopracciglia. Ancora non erano arrivati che già quel maledetto Naruto era riuscito a farla arrabbiare.
«Più che sbrigati, ci siamo massacrati…» commentò in quel momento Jiro, con la fronte bagnata dal sudore, a mezza voce.
Naruto gli lanciò un’occhiataccia fulminante.
Tsunade guardò prima il ragazzino poi il Jonin. «Perché massacrati?» domandò con sospetto.
Naruto aprì la bocca per rispondere ma non ebbe il tempo di controbattere assolutamente niente, perché Mayumi, con i suoi capelli dorati, di solito bellissimi e lucenti, adesso un poco spenti e appiccicaticci dal sudore, lo precedette. «Abbiamo fatto tappe forzate, Tsunade-sama» spiegò.
Ecco perché avevano un’aria così sfatta, proprio di chi ha bisogno di una bella e lunga dormita ristoratrice.
«E perché mai hai fatto fare loro delle tappe forzate, Naruto?» domandò la Godaime, con un sopracciglio aggrottato, voltandosi verso il Jonin.
«Dopo le spiegherò, eh» fu la risposta del biondo ninja, sbrigativa e quasi spazientita. Tsunade era già sul punto di ribattere con tono rabbioso, ma il giovane uomo sfoggiò un sorrisone a trentadue denti e si piazzò davanti al tavolo, estraendo da una tasca del giubbotto verde un foglietto.
«Piuttosto…». Schiaffò il foglio sul tavolo di legno davanti alla Quinta Hokage, con le guance segnate dai sei baffi tirate in un’espressione trionfante. «…la missione l’abbiamo completata ed il mercante è arrivato al Paese del Vento incolume» disse, sorridente.
«Anche se non ci ha salutati, il vecchiaccio» aggiunse Jiro da dietro, assumendo un cipiglio risentito.
Il rimprovero di Mayumi per aver dato del vecchiaccio all’uomo che dovevano proteggere, arrivò immediatamente. «Jiro!» lo riprese, corrucciata.
Nohiro si lasciò scappare l’accenno di una risatina.
Il biondo Jonin li guardò, con un sorriso a fior di labbra, come fosse stato momentaneamente intenerito da quella scena ordinaria… e per questo così pregna di un significato che per Naruto era semplice scovare.
Tsunade sfilò il foglio da sotto la mano di Naruto. «Benissimo!» esclamò. Per l’Hokage, dopotutto, è sempre un piacere vedere i propri ninja eseguire le missioni in modo così impeccabile e continuare a raccogliere sempre più credibilità come villaggio.
Nohiro, in quel momento, mentre Mayumi si incamminava ai tavoli sul lato sinistro della luminosa sala facendo lo slalom fra gli altri ninja lì presenti per fare il resoconto del viaggio, sentì brontolare il suo stomaco. Portò le mani allo stomaco, storcendo il labbro e già con l’acquolina in bocca per il ramen che di lì a poco avrebbe mangiato, ovviamente dopo essere passato da casa di Iruka-sensei a salutarlo e, soprattutto, a dirgli che le sue raccomandazioni prima della partenza gli avevano fatto bene.
Naruto, udendo quel suono provenire dalla pancia del suo allievo, drizzò subito la schiena, ignorando quello che la Godaime gli stava dicendo, e richiamò indietro Mayumi.
«Lo faccio io il rapporto della missione, stavolta» annunciò con un sorriso. «Voi andate a casa a mangiarvi qualcosa, signorini… che domani vi voglio belli svegli! Si ricominciano gli allenamenti!».
Jiro spalancò gli occhi in modo estremamente eloquente. «Ti pareva… nemmeno il tempo per oziare un pochino» si lamentò.
Naruto lo fissò con sguardo saputo. «Oziare fa male Jiro, bisogna restare attivi, ‘ttebayo!». Poi il Jonin, guardando gli altri due suoi allievi allontanarsi, rizzò la schiena e fermò Mayumi. «Bellissima, cominciamo a perdere qualche colpo?» ironizzò.
Lei, ma anche Nohiro, rimase in silenzio senza capire, con un biondo sopracciglio inarcato.
«La memoria fa cilecca?» continuò il Jonin, con il tono divertito di chi ti sta bonariamente prendendo in giro. Tsunade apparve confusa davanti a quelle domande, tanto quanto i due Genin, e continuò a spostare gli occhi nocciola da Naruto a Mayumi e viceversa. Alla fine il giovane uomo sospirò, con una sorta di rassegnazione. «Lo so che io attiro completamente la tua attenzione Mayumi, e quindi scordarsi lo cose è facile, ma… cosa mi devi dare, che adesso è nel tuo zaino?».
La ragazzina parve avere l’illuminazione.
«Oh, è vero, mi scusi sensei!» esclamò quindi la bionda.
Subito, con gesti veloci, come se fosse in ansia per la dimenticanza, Mayumi si tolse il grosso zaino verde dalle spalle, sganciò i lacci, e, tirandola fuori con estrema delicatezza, come se si trattasse di un’antica e preziosissima reliquia, cosa non poi così falsa, porse al suo insegnante la spada del mercante, avvolta completamente dal panno di seta nera. Alcuni ninja della reception si voltarono a guardare, curiosi, l’oggetto non identificato.
«E quella?» chiese subito la Quinta Hokage, incuriosita e insospettita.
«Una spada» fu la noncurante risposta di Naruto. «Dopo, quando le farò rapporto, le spiegherò meglio».
La donna aggrottò le sopracciglia, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo di legno. «Fallo adesso, già che sei qui!» ribatté con un tono chiaramente spazientito. Non appena la sua voce si alzò di tonalità degli altri ninja responsabili della distribuzione missioni si voltarono con espressione allarmata: non era mai bello avere a che fare con Tsunade di cattivo umore.
Ma Naruto, davanti a quella richiesta alterata della Godaime, non rise, non la schernì con l’appellativo “nonna”, né fece qualche altra battuta di qualunque genere. Semplicemente disse, con il volto atteggiato in una strana espressione: «No, dopo».
La donna rimase interdetta e a lungo fissò gli occhi azzurri di Jonin. C’era qualcosa che cercava di trasmetterle, ma lei non riuscì bene a capire che cosa.
A quel punto acconsentì. «Va bene. Allora dopo Naruto, ma ora sparisci, stai facendo venire la fila».
Il Jonin riacquistò subito la sua aria spensierata e, scoccando una linguaccia all’assistente seduto di fianco alla Hokage, il quale, peraltro, assunse un’espressione di severo rimprovero, si avviò verso un altro tavolo della sala, permettendo allo spazientito ninja dietro di lui di ricevere il proprio incarico.
«A domani, signorini!». Muovendo il braccio a mo’ di saluto, Naruto si congedò dalla sua squadra.
Le tre voci del Team cinque, quella delicata di Mayumi, con i suoi toni musicali, quella roca e bassa di Jiro, che aveva già iniziato a perdere i toni acuti della fanciullezza, e quella sottile e chiara, ma a tratti acuta e tagliente, di Nohiro, salutarono all’unisono il loro insegnante.
Quindi Mayumi si rivolse alla Godaime e, come sempre, le sorrise luminosamente. «Arrivederci, Tsunade-sama».
«Ciao Mayumi».
Jiro si espresse in un arrivederci abbastanza disinteressato, probabilmente con la testa già persa in altro, e Nohiro ne borbottò uno alquanto stentato ed imbarazzato. Stare davanti alle autorità non era mai stata una delle cose che lo rilassasse di più al mondo.
Quindi i tre, sotto gli occhi della Hokage, che non li perse di vista nemmeno per un attimo e li seguì finché non furono spariti dietro le ante della porta, lasciarono la reception.
Li aveva visti allontanarsi uno di fianco all’altro decine e decine di volte ormai, ma, incredibilmente a dirsi, ancora non era riuscita a farci l’abitudine.

I tre giovani uscirono sotto il sole alto e lucente.
L’improvviso cambiamento di luminosità li costrinse a strizzare gli occhi per evitare che le pupille venissero momentaneamente accecate.
Nohiro tirò un respiro lungo e profondo: sentiva aria di casa. Per un momento liberò la testa da ogni pensiero, si scordò che ancora voleva chiedere a Naruto-sensei un paio di cosette, dimenticò di non essere da solo, lì davanti alla reception.
Poi, appena gli occhi d’oro illuminati dai raggi del mezzogiorno si aprirono sulla strada affollata da un frenetico viavai, rammentò di avere di fianco anche Jiro e Mayumi. Si voltò di scatto verso di loro, temendo immotivatamente di essere scoperto in un gesto intimo come quello che aveva appena compiuto, l’inspirare l’atmosfera dei suoi ricordi. Però i due erano impegnati a scambiare due parole, che il ragazzino dai capelli neri non aveva minimamente seguito.
«Lo dico io a Xiaoyu» stava dicendo in quel momento Mayumi, con la sua bella voce cristallina.
Nohiro avvertì la consueta sensazione di camminare sulle nuvole, come ogni volta che la guardava, e dovette fare uno sforzo di volontà per impedire allo sguardo di scivolare fin sul collo e sul petto sudato della ragazza, lasciati scoperti dalla canotta bianca a stampe di fiori di ciliegio. Il ragazzino odiava quell’abitudine della bionda di vestirsi di bianco… serviva solo ad aumentare strani giochi di trasparenze che, uniti all’aura di freschezza che nasceva da lei, lo confondevano e gli davano alla testa.
In quell’istante, come se i pensieri che stava facendo l’avessero calamitata, Mayumi si voltò verso Nohiro.
Lui restò impietrito.
«Nohiro…» lo chiamò, facendo un passo avanti. Il ragazzino dai capelli neri, involontariamente, indietreggiò. Mayumi, al contrario, si accostò a lui di un altro passo, tese un braccio, gli arrivò di fianco, la mano affusolata giunse a sfiorargli una spalla, ed il ragazzo sentì il cuore andare a mille e il volto in fiamme, senza capire che cosa la compagna di squadra stesse per fare o dire…
Mayumi gli posò la mano sulla spalla prendendo il bordo del suo abito e sorrise, spontanea. «Nor, lasciami il tuo kimono, te lo faccio lavare da mia mamma».
Nohiro rimase imbambolato. «…eh…?».
Quella frase l’aveva colto impreparato e né la vicinanza del viso della ragazza né Jiro, che se la rideva amabilmente sotto i baffi, gli erano d’aiuto a mantenere un atteggiamento controllato.
«Il kimono» ripeté Mayumi, vedendo che il pallido giovane non le rispondeva. «E’ sporco, lasciamelo che lo faccio lavare e te lo riporto domani».
Nohiro parve risvegliarsi improvvisamente. «Eh? Ah, si! Un momento…» balbettò, iniziando ad armeggiare con l’abito grigio e macchiato dalla terra e dalla polvere.
Frettolosamente e freneticamente armeggiò con le dita sulla cintura scura e, in un momento, lo sfilò di dosso, porgendolo alla bionda ragazza col braccio teso, come se stesse cercando di stare il più possibile staccato da lei.
Mayumi lo prese e lo piegò.
Nohiro si lasciò scappare una specie di respiro di sollievo, poi, quando guardò di nuovo la giovane e Jiro con gli occhi ambrati, capì che era il momento dei saluti. Ovvero il più fastidioso: da più o meno una settimana non doveva salutare nessuno, visto che dormivano tutti e tre sotto lo stesso tetto, e aveva quasi perso l’abitudine a dire ogni volta quel pesante “ciao”.
Ma, come ogni volta precedente in quei mesi, la prima a rompere l’atmosfera fra lui e Jiro, al quale, come a lui, spesso le parole proprio non volevano uscire dalla bocca, era Mayumi. La ragazza riavviò un ricciolo biondo. «Naruto-sensei non ci ha dato un posto per riunirci domani, quindi direi di trovarci alle nove davanti a…».
Non finì il discorso. Alle spalle dei tre una voce roca ma ancora briosa la interruppe a metà.
«Siete tornati» commentò il nuovo arrivato.
I ragazzini si voltarono contemporaneamente e Jiro, accennando un sorriso corredato da un’espressione sorpresa salutò: «Ciao, pa’».
Jiraiya diede una sistemata al rotolo legato sulla sua schiena e fece scorrere per un momento gli occhi neri sul Team prima di rispondere al saluto di suo figlio.
«Ciao Jiro». L’eremita dei rospi fece una pausa, poi fissò con espressione arcigna e indagatrice la faccia del ragazzino dai capelli bianchi. «Hai riportato a casa tutto?» chiese, puntando il dito verso il grosso zaino che il Genin portava sulle spalle.
Il giovane trattenne a stento un respiro esasperato. «Si» sbuffò, lo sguardo scocciato che si alzava al cielo.
Jiraiya si chinò un pochino verso suo figlio e lo fissò con un’espressione inquisitoria che aveva un che di buffo sulla sua faccia. «Non hai scordato niente?» gli domandò di nuovo, usando un’intonazione perentoria da capo di polizia che sta interrogando un criminale.
«No, niente!». Jiro allargò un poco le braccia e poi le lasciò ricadere sui fianchi soffiando dell’aria dalla bocca, con la tipica espressione di chi si sente fare quelle domande ogni volta che arriva a casa.
Mayumi guardò l’amico d’infanzia con un sopracciglio inarcato in una sorta di rimprovero per il modo irriverente in cui rispondeva al proprio padre.
Nohiro, invece, sentì nello stomaco qualcosa di indefinibile, la consapevolezza che lui non aveva mai vissuto scene quotidiane come quelle, perché Naruto non aveva mai avuto la capacità né la possibilità di dargli le medesime cose che avrebbe ricevuto da un genitore naturale, chiunque fosse, in qualunque modo l’avesse cresciuto. No, lui non aveva mai vissuto scene come quelle, né le avrebbe vissute mai.
All’improvviso il ragazzino dai capelli corvini riuscì ad identificare la sensazione all’altezza del suo stomaco. Aveva delle conseguenze e un nome ben precisi.
Invidia.
Jiraiya restò un attimo in silenzio, durante il quale non spostò per un secondo gli occhi neri dal volto di Jiro. «Cosa hai fatto al labbro?» gli chiese, aggrottando le sopracciglia. «Te lo sei rotto?».
Jiro, come gesto riflesso, portò la mano destra a sfiorare le labbra, nel punto in cui si vedeva la linea del taglio. «Si, l’ho rotto» mugugnò.
«E chi…?».
«Degli stronzi» rispose il ragazzino con espressione arrabbiata, probabilmente ripensando al momento in cui erano stati attaccati, ancora prima che il padre potesse finire la domanda o formulasse balzane ipotesi.
Mayumi voltò di scatto la testa bionda verso il compagno di squadra. «Jiro! Non fare il volgare!».
L’eremita dei rospi spostò lo sguardo su di lei e gli sfuggì un sorriso vedendo come suo figlio, sebbene brontolasse e sbuffasse, subito taceva ai rimproveri della sua vecchia amica.
«Mentre si va a casa ti racconto, pa’» aggiunse il giovanotto.
«No, mi dirai stasera. Tsunade mi ha mandato un messaggio di convocazione al Consiglio».
Dall’espressione concentrata sul volto abbronzato del ninja si capiva che nemmeno lui sapeva per cosa fosse stato chiamato ad una riunione di punto in bianco. Jiraiya sollevò un pochino il particolare coprifronte che portava, con inciso l’ideogramma “olio”.
«Andiamo Jiro, intanto tu vai a posare a casa lo zaino» disse quindi.
Il ragazzino annuì storcendo leggermente la bocca per chissà quale motivo. «Mayu, stasera passa da me» la invitò, mentre si affiancava al padre. Poi Jiro si voltò verso il suo secondo compagno di squadra e, con un mezzo sorriso, alzò una mano in segno di saluto. «Ciao Nohiro».
Il pallido giovane dagli occhi di serpente rimase fermo, come bloccato. Poi, senza nessun preavviso, senza nessuna apparente buona motivazione, sorrise; ma non con uno dei suoi sorrisi alle volte stentati, alle volte amari, altre imbarazzati. Un sorriso vero, come quello che faceva a Naruto, o a Iruka, quando lo vedeva. «Ciao Jiro-kun».
Fu un momento. Bastò soltanto pronunciare quelle parole che Jiraiya si voltò immediatamente verso di lui.
Gli occhi neri e profondi del Sannin si piantarono sul viso affilato e diafano del ragazzo, e Nohiro non trovò definizione per quello che vide e quello che provò. Gli sembrò che solo con quell’occhiata il ninja fosse riuscito a scavare dentro la sua anima e a denudarla. Aveva inoltre letto una muta accusa in quegli occhi, un cupo rimprovero, ma anche una sconsolata nostalgia, un rimpianto, un desiderio.
E infine una scheggia di pungente rancore.
Nohiro sentì l’anima, che un attimo prima era stata così leggera nel salutare il compagno, fermentare e il sangue ribollire.
Perché mi guarda così? Perché assomiglio troppo a lui? O perché ho osato salutare suo figlio e Jiro ha salutato me, come se, in qualche modo, fossimo amici?
Il giovane dai capelli neri fremette spostando l’iride freneticamente: non guardarmi così, dannazione!
Poi, scosso, turbato, con l’amaro in bocca e nel cuore, fece un ansioso e frettoloso inchino verso il ninja dei rospi. «A-arrivederci, Jiraiya…sama» lo salutò, più per educazione e timore che per altro, con un tono che aveva un che di sconvolto, tanto che, all’inizio, aveva pure balbettato.
Jiraiya rimase in silenzio un momento, poi, dopo aver salutato anche Mayumi, si rivolse con voce neutra al pallido giovane, il figlio del suo amico perduto e diventato il suo nemico peggiore. «Ciao Nohiro».
E si voltò seguito a ruota da Jiro, il quale, però, si voltò un’ultima volta da lontano a salutare con la mano e un sorriso.
Mayumi rispose stendendo il braccio a muovendolo in aria, con un altro sorriso smagliante e brillante, sotto il sole.
La ragazza doveva essersi accorta che l’atmosfera era stata tesa fino ad un momento prima; aveva spostato un paio di volte gli occhi azzurri come il cielo dall’Onorevole Jiraiya a Nohiro, e viceversa, e ben si era accorta che qualcosa non andava… Ma aveva preferito restare al suo posto e non intervenire, aveva preferito lasciare l’uomo ai suoi pregiudizi da distruggere e Nohiro alla sua battaglia da combattere, nel dimostrare chi fosse sul serio.
La bionda decise di permettere al compagno di squadra di restare da solo, ma non senza avergli risollevato un po’ il morale con un saluto. «A domani allora, Nor. Ci vediamo alle nove davanti alla reception». Il suo viso era straordinariamente dolce, incorniciato dai boccoli d’oro.
Il ragazzino dai capelli neri per un attimo non si mosse. Si voltò un secondo dopo, all’improvviso, distogliendo lo sguardo dal punto in cui Jiro e suo padre erano spariti alla vista, fra la folla.
Si voltò e le passò di fianco, senza alzare le pupille su di lei. «Ciao Mayu».
Ancora si sentiva così strano, così inquieto, che nemmeno si accorse di averla salutata senza batter ciglio.

La stanza del Consiglio si era riempita in pochi minuti.
I convocati non erano solo gli anziani; Tsunade aveva inviato un messaggio con uno dei suoi uccellini anche a vari altri ninja del villaggio, e di conseguenza tutti i tavoli, disposti uno di fianco all’altro di fronte ad una cattedra rialzata come se fosse stata un’aula di scuola, si erano riempiti e nessun posto era rimasto libero.
Ognuno metteva piede nella sala guardandosi intorno e cercando negli occhi o nelle facce di qualcuno già presente un chiarimento su quella riunione fuori programma alle due del pomeriggio.
Entrò Neji Hyuga, entrarono dei ninja in divisa ANBU, entrò Shizune col suo porcellino e, subito dietro, Sakura Haruno, con i capelli lunghi e rosa lasciati sciolti sulle spalle. L’ultimo ad arrivare fu Kakashi, con l’unico occhio visibile talmente addormentato che pareva dicesse “vorrei essere in qualunque posto a fare qualunque cosa meno che qui a fare questa riunione”.
Naruto, seduto su una sedia alla parete opposta rispetto a quella della porta d’entrata, non si era alzato a salutare nessuno. Era rimasto inchiodato lì, con le sopracciglia perennemente aggrottate, la faccia voltata da un’altra parte e gli occhi azzurri persi chissà dove.
Fra le mani stringeva la spada avvolta nella seta, e la stringeva forte, fino a far diventare le nocche bianche, quasi come se desse per scontato che non si sarebbe sciupata né scheggiata nella sua presa.
Non ascoltava, non seguiva i preamboli della cerimonia presieduti da Tsunade e tutti quei discorsi inutili e sonnolenti. Non ci riusciva, era più forte di lui.
La sua testa lo portò a qualche giorno prima… lampeggiò davanti ai suoi occhi quel coprifronte, che per tanto tempo non aveva più visto, e che aveva sperato di non dover vedere mai più. Vide la spada fra le mani del mercante, quella stessa maledetta spada che ora era fra le sue. Si maledì per essere stato tanto incosciente da lasciarla nello zaino di Mayumi mentre lei dormiva da sola in una stanza separata, in quell’albergo, perché quei tre sarebbero potuti tornare e lui sapeva che non avrebbero esitato a tagliare la gola ad una ragazzina per avere la lama; si maledì per un infinito susseguirsi di cose che non era stato capace di prevenire né di rimediare, cose che c’entravano poco con quella storia, ma che, indirettamente, erano comunque legate, e nel frattempo le sue dita stringevano sempre di più la spada, fino ad avvertire un leggero formicolio.
«…questa riunione improvvisa…».
Naruto sentiva le parole pronunciate nella stanza ronzargli nelle orecchie come il fastidioso suono di una zanzara, e non riusciva a fare a meno di credere che i tre ninja del Suono che avevano incontrato erano solo la punta di un grosso iceberg, qualcosa che non voleva rivivere un’altra volta dopo tredici anni, ma che non aveva la minima idea di come evitare.
«…e adesso Naruto spiegherà…».
Gli venne in mente che Shizune l’aveva trascinato lì senza nemmeno dargli la possibilità di fare un saltino al chiosco del ramen, e che si sarebbe ritrovato a pranzare alle tre del pomeriggio quando aveva lo stomaco vuoto dalle sette di quella mattina, e che…
«…Naruto…?».
…che aveva davvero una fame che non ci vedeva, e…
«NARUTO!».
Il Jonin si voltò di scatto letteralmente saltando sulla sedia. «Wah!» Si accorse che la totalità dei presenti lo stava guardando, chi facendosi una risatina, chi con aria di rimprovero. E si accorse che Tsunade lo stava fissando con un’espressione furibonda disegnata sulla faccia paonazza.
Il biondo ninja riconobbe immediatamente i sintomi di un’imminente sfuriata così si alzò di scatto in piedi con un sorrisone di scuse, una mano a grattarsi la nuca e qualche gocciolina di sudore sulla fronte.
«Stavo dicendo…» riprese la Godaime con la voce ancora tremolate per la rabbia. Prima di proseguire fece un profondo respiro tentando di non perdere l’autocontrollo. «Stavo dicendo che ora Naruto vi spiegherà il perché di quest’assemblea urgente, a partire dal rapporto della sua missione».
La Quinta Hokage si voltò verso il Jonin, il quale, per un secondo, restò immobile. Poi parve avere l’illuminazione e, con un piccolo sobbalzo, si accorse che tutti stavano aspettando lui.
Si fece avanti e si piazzò di fronte alla platea, leggermente sulla destra rispetto alla cattedra occupata da Tsunade, Shizune ed un anziano. Le dita gli si strinsero sulla spada che sorreggeva e parve bastare quel gesto per cancellare dal suo viso tondo solcato dai sei baffi ogni traccia di scherzosa comicità di qualche momento prima.
«Ok… Non voglio fare giri di parole. Siete qui per questa». E con quelle parole il Jonin sollevò in avanti la lama avvolta nella seta cosicché potesse esser vista da tutti. In parecchi allungarono il collo per scorgerne meglio la forma o i particolari non nascosti dal tessuto, ma l’arma era completamente fasciata.
«E quella sarebbe…?» domandò una voce con una punta di sarcasmo.
Naruto indirizzò a quel tipo in vena di battute un’occhiataccia che sapeva molto di bambino arrabbiato. «Dammi il tempo di arrivarci, Kiba!».
Il ninja che aveva parlato, con occhi pungenti dalle pupille nere e canine e capelli marroni ed ispidi, si trovava nella terza fila di banchi; era il miglior addestratore di cani di tutta Konoha, una persona particolarmente leale a cui piaceva fare le cose fino in fondo e farle come si deve, ma in presenza di vecchi compagni tirava ancora fuori un temperamento scherzoso e un poco infantile.
«Questa sarebbe» riprese Naruto «una spada che aveva in possesso il mercante che io e la mia squadra dovevamo scortare. Tralascio il fatto che gliela dovremo ripagare almeno qualche migliaio di ryo…». Nella piccola pausa che seguì si sentì uscire dalla bocca di Tsunade un suono strozzato. «Il fatto è che questa spada la cercavano dei ninja, dai quali, durante il corso della missione, siamo stati attaccati».
Tutti si fecero improvvisamente attenti e tesero le orecchie, quelli più portati a notare certi particolari, o semplicemente quelli che conoscevano di più Naruto, notarono anche l’ombra fuggevole che gli aveva oscurato il volto.
«Erano una squadra standard di tre individui, due maschi e una femmina. Fra di loro si sono chiamati Sewa, Kaori e, il più giovane dei tre, Takeo. I primi due di livello Chunin, il terzo possedeva un’innata, e probabilmente si trattava di un Jonin».
«Naruto…».
Il biondo ninja si voltò verso la ninja che l’aveva interpellato. Sakura, da un tavolo della prima fila, lo stava guardando scettica con i suoi occhi verdi, che un tempo gli avevano fatto battere il cuore a mille al solo pensarci.
«Naruto, intendi sul serio che quei tipi erano due Chunin e un Jonin? Ninja di questo livello solo per una spada?».
Un sorriso che aveva un che di amaro tirò la bocca del giovane uomo. «Ora che ci penso, mi sorprendo che non siano venuti tre Jonin direttamente».
La primaria dell’ospedale della Foglia assunse un’espressione stupita, senza capire se il vecchio compagno di squadra avesse perso qualche rotella, domanda che Sakura si poneva di frequente. Ma la serietà nei tratti del biondo la indusse a pensare che, no, non aveva perso nessuna rotella e la faccenda doveva essere più importante di quanto in molti in quella stanza credessero. In ogni caso, che la faccenda fosse importante, era stato auspicato dall’improvvisa convocazione di così tanti ninja a un orario così fuori luogo.
«Io… non avrei mai voluto portare qui questa spada, né rivedere quelli che la cercavano…».
Jiraiya, dai tavoli in fondo si tirò un poco in avanti stringendo i suoi occhi neri contornati da una ragnatela di rughe, e per un momento incontrò lo sguardo azzurro e profondo di quello che era stato il suo allievo.
C’era la stessa domanda negli occhi di tutti, e la stessa cauta curiosità.
«In ogni caso che credo che tenerla in custodia a Konoha sia la cosa più sensata da fare» concluse il Jonin.
Poi fece un respiro e, lentamente, quasi come se avesse paura di scottarsi toccando il metallo, svolse la seta nera dalla spada e la tese un poco in avanti, perché tutti potessero vederla. Tsunade abbassò gli occhi e li strinse con una sorta di fatica nel volto ancora simile a quello di una quarantenne: lei, l’arma, l’aveva già vista prima.
Le teste si tirarono in avanti, e molti ninja rimasero stupiti dalla fattura di quella lama, da quanto fosse affilata, decorata, antica; altri aggrottarono le sopracciglia cercando di capire perché Naruto e la Hokage avessero fatta così tanta scena per quel manufatto che, era sì bello, ma non pareva avere nient’altro di particolare…
Altri ancora, invece, la riconobbero.
Piano piano i tratti del viso di quelli che avevano compreso mutarono, e, da concentrati e leggermente dubbiosi, divennero prima confusi, poi stupiti, increduli, finché quasi non sfiorarono la paura e lo sconcerto.
Naruto non alzò lo sguardo su nessuno, me tenne gli occhi fissi un po’ a terra, un po’ in un posto che agli altri non era dato conoscere.
Sakura, come a rallentatore, si alzò in piedi, con le pupille dilatate e la bocca semi aperta. «Naruto…» sussurrò la kunoichi. Lui alzò la testa e la guardò con un’espressione indefinibile sul viso abbronzato. «Naruto, ma quella è… la Kusanagi?».
Il biondo non si scompose, come se avesse già accettato l’idea, come se fosse un dato di fatto su cui non serviva sconvolgersi più di tanto. «Si» rispose, con un tono distante che non gli apparteneva. «E’ la spada di Orochimaru».
Silenzio sulla platea. Chi aveva già capito ebbe l’impietosa conferma, gli altri furono colti dalla spietata rivelazione e afferrarono la realtà tutta in una volta.
Sakura scosse lentamente la testa, cercando inutilmente di negarsi l’evidenza. «Non è possibile» bisbigliò. «Questo non è possibile» ripeté a voce più alta. «Quell’arma è… è un evocazione, e senza il proprietario scompare! E… Orochimaru… è morto…».
Lo disse con una tale faccia e un tono tremante da dar l’impressione che pensasse di essere in errore. Voltò gli occhi verdi su Tsunade, cercando un appoggio, una conferma, qualunque cosa che le desse certezza.
Ma fu Jiraiya ad intervenire, dal suo posto in fondo alla stanza del Consiglio. «Orochimaru è morto davanti a me tredici anni fa, e su questo non c’è nessun dubbio».
Al contrario, nella voce dell’eremita dei rospi era presente una fatalità che non ammetteva nessuna replica; quelle parole ebbero come il potere di far tirare una sorta di sospiro di sollievo a chiunque fosse presente.
Sakura dilatò le pupille. «E allora perché? Se l’evocatore è morto non ha senso che la spada sia qui!».
«E’ così. La Kusanagi dovrebbe essere scomparsa quel giorno» si pronunciò uno degli anziani, sino a quel momento rimasto in silenzio.
Ma, prima che qualcun altro potesse dire la sua, e quindi che si scatenasse una tempesta di opinioni divergenti, Tsunade fece un respiro ed alzò la faccia verso la sala, con le mani intrecciate davanti a lei. «Il fatto è che adesso il proprietario della spada è qualcun altro. E finché la Kusanagi non tornerà nelle mani dell’attuale possessore e quindi, in quanto evocazione, non verrà “congedata”, resterà dov’è, come una lama comune».
Tutti, stavolta, avevano capito. Immediatamente i loro pensieri erano corsi ad una sola persona, che adesso si trovava proprio lì, al villaggio della Foglia, e probabilmente qualcuno avrebbe posto qualche domanda o espresso qualche dubbio se, repentinamente, Naruto non avesse ripreso la parola.
«Credo che ormai sia chiaro che i tre ninja che ci hanno attaccato erano del villaggio del Suono» disse.
Questa volta ad interromperlo fu Shizune. «Naruto» lo chiamò, con la voce allarmata. Il Jonin si voltò verso la cattedra alla sua sinistra. «Ma quei tre… hanno visto… Nohiro?».
Ci fu un momento di silenzio sia da parte del biondo che dai presenti in sala. «Si, l’hanno visto» ammise infine, abbassando gli occhi sul pavimento e stringendo le labbra, come se stesse soffrendo qualcosa di troppo doloroso per poterlo sopportare. «Credo che sia per la sua presenza che non hanno fatto un secondo tentativo».
Tanti altri avevano interrogativi e dubbi sulla punta della lingua, perché le rivelazioni e le implicazioni che da queste derivavano erano state troppe in poco tempo, ed assimilarle senza un trauma era difficile.
«Ora siediti pure, Naruto» intervenne la Godaime che, al contrario, si alzò in piedi, facendo cenno ad un ANBU lì di fianco di prendere la Kusanagi. Naruto la consegnò nelle mani del ninja col volto coperto da una maschera bianca dipinta con linee rosse che rappresentavano un falco stilizzato.
Il biondo Jonin fu felice di non dover più sorreggere quel peso, che certo non era insostenibile… ma era insostenibile per la sua anima.
Si sedette dove prima, sulla sedia vicino alla parete di fronte ai tavoli della sala e lasciò volentieri che Tsunade riprendesse la parola.
Nel frattempo sperò con tutto se stesso che quella riunione finisse presto.

Dopo che Naruto aveva smesso di parlare gli avevano fatto tante, troppe domande.
Lui aveva risposto, ripetendo anche più volte la stessa cosa e, quando Kiba gli aveva chiesto per la terza volta se era proprio sicuro che quei ninja fossero del Suono, lui aveva irrimediabilmente perso la calma ed aveva annunciato presuntuosamente alla Quinta Hokage che per lui la riunione finiva lì, tanto non era suo il compito di prendere le eventuali decisioni in proposito.
Povero Kiba, la colpa di quel nervoso che si era impossessato del Jonin non era nemmeno sua, ma proprio Naruto non era riuscito a reggere di più.
E, quando era uscito dall’aula, aveva percorso i corridoi del palazzo dell’Hokage e finalmente era uscito nella strada principale del villaggio, si era trovato dietro Kakashi.
Gli si era affiancato in silenzio, con l’occhio destro che guardava avanti, senza dar l’impressione che volesse dirgli qualcosa, ma semplicemente camminando con lui. Naruto gli aveva lanciato una leggera occhiatina interrogativa, ma in risposta aveva ottenuto solo una scrollata di spalle.
Il biondo non aveva indagato oltre, e aveva proseguito la camminata verso casa sua, il piccolo bilocale sistemato all’ultimo piano di un edificio, e raggiungibile da stradine sospese. Qualcuno che non avesse mai messo piede nel villaggio della Foglia si sarebbe potuto sentire confuso e sperduto in quella confusione di ponticelli e camminamenti sopraelevati fra i vari palazzi, e dalle vie più periferiche dei quartieri così congestionate fra alte mura e tagliate da decine di traverse su più piani. Altre delle strade di Konoha, invece, erano lineari, e l’architettura precisa e squadrata. Un villaggio pieno di stili contraddittori.
I pensieri di Naruto spesso erano corsi all’assemblea e a quello che era stato detto, alle parole che lui stesso aveva detto.
Orochimaru, Oto. Nomi che non venivano pronunciati in quell’aula da anni ed anni.
Nomi che avevano portato fra le quattro mura della sala del Consiglio come un nero fantasma di memorie dolorose, un fantasma che era sceso negli occhi dei presenti, ne aveva guastato l’umore e i ricordi, un fantasma che aveva resuscitato antiche paure e incertezze.
Ed era bastato solamente pronunciare quei nomi. Dopo tredici anni dalla sua morte, Orochimaru riusciva ancora a lasciare una terribile traccia di sé e delle azioni che aveva compiuto.
Ecco, la reazione di coloro che erano al Consiglio quel pomeriggio poteva dare un’idea molto vaga di quanto Naruto aveva provato di fronte ai tre ninja del Suono e di fronte alla Kusanagi.
Con la testa che vagava per questi lidi, a lungo il Jonin aveva camminato col suo vecchio maestro a fianco, chiudendosi in un ostinato e sofferente silenzio, finché Kakashi si era fermato davanti ad un chiosco del ramen illuminato. Erano le cinque, e Naruto, stranamente, non aveva nemmeno voglia di farsi una scorpacciata, sebbene fosse a digiuno da quella mattina. Ma, in ogni caso, fu lo stesso grato al suo ex-insegnante, perché sapeva come distrarlo un po’, sapeva dargli sostegno senza parole; infatti, nonostante i discorsi fossero una delle cose che Kakashi sapeva fare meglio, adesso Naruto non ne aveva bisogno: sarebbero stati gli stessi che gli rimbombavano in testa dall’inizio della riunione.
Così adesso il biondo Jonin era seduto sullo sgabello del chiosco e arrotolava sulle bacchette le tagliatelle con movimenti secchi e bruschi, strappava la pasta con i denti sebbene fosse abbastanza cotta da rendere l’azione superflua… e tutto quel che provava in quel momento poteva essere tradotto con due sole parole: rabbia e frustrazione.
All’improvviso non riuscì più a trattenere tutto dentro di sé, non dopo averlo mascherato per giorni di fronte al suo Team, da quando la squadra del Suono li aveva attaccati.
Ingoiato l’ennesimo boccone, sbatté la mano sul tavolo, con forza. Il proprietario del chiosco si voltò con una faccia strana, quasi un poco spaventata per quel gesto improvviso, ed anche Kakashi era stato colto leggermente alla sprovvista. Ma, mentre il primo si dedicò di nuovo ai fornelli, decidendo di non intromettersi, il secondo restò a guardare Naruto, aspettando che si pronunciasse.
Ed il biondo ninja, digrignando i denti, diede sfogo a tutto quello che alla riunione non aveva detto, a quello che gli altri non sarebbero stati ad ascoltare, o forse che avrebbero ascoltato ed interpretato nel modo sbagliato.
«Loro non lo sapevano» ringhiò con frustrazione. Una frase abbastanza incomprensibile.
«Loro non sapevano di Nohiro» ripeté, con le pupille dilatate e puntate su Kakashi. «Erano lì per la spada, ed io credevo che fossero venuti per il ragazzo… e invece non lo sapevano, cazzo!».
L’altro Jonin, con quel ciuffo di capelli grigi tutto penzoloni da una parte, buttò giù il ramen che aveva in bocca. «Sei sicuro che ne fossero all’oscuro, Naruto?» chiese, con un tono piuttosto ragionevole.
Il biondo portò una mano fra i capelli ribelli, in un improvviso gesto di disperazione, che, di certo, non era da lui.
«Si…» sussurrò. «Sono rimasti… sconvolti quando l’hanno visto» disse, con un leggero sorriso amaro.
«Questo è un problema, allora» fu la risposta di Kakashi. «Sono sicuro che Tsunade farà la cosa migliore con la Kusanagi… ma le conseguenze che derivano dall’apparizione di quei tre ninja, proprio in questo momento così problematico per l’equilibrio delle Grandi Terre, e il fatto che siano venuti a conoscenza dell’esistenza di Nohiro, saranno cose che Konoha non vorrà affrontare tanto presto. Non è buona l’aria che tira di questi tempi… e forse anche la Quinta Hokage cercherà di sotterrare tutto. La Foglia nasconde la testa sotto terra e questo non è un bene. E’ un atteggiamento sbagliato da tenere, che in molti credono di aver superato, ma non è così. Lo dimostra quanta paura ancora la gente abbia nell’avere di fianco Nohiro, come nei primi tempi, quando ancora l’ultimo attacco che Orochimaru fece contro la Foglia, quello che gli fu fatale, era notizia fresca di giornata ed il ragazzo non era che un neonato».
Kakashi bloccò per un secondo il suo ragionamento ad alta voce. «Le cose stanno accadendo troppo velocemente, Naruto, ma non dipende in nessun modo da te. Questo devi capirlo».
Il biondo ninja era rimasto in silenzio, con gli occhi azzurri fissi in avanti e la mascella contratta. «Dannazione» mormorò. «Credevo che tutto stesse andando perfettamente, proprio come volevo. Persino con il Team… Avevano cominciato con il lavoro di squadra, sai? Quello a cui tu tieni tanto…».
L’occhio visibile di Kakashi si spalancò leggermente. Probabilmente quella era una buona notizia che non si era aspettato.
«E non solo Mayumi, ma Nohiro e Jiro, specialmente» continuò Naruto. «Hanno lavorato assieme, come un vero Team, e la sera, quando eravamo in albergo, li ho perfino sentiti ridere mentre facevo la doccia…».
Mentre disse quelle frasi al biondo ninja sfuggì un sorriso commosso, intenerito, con una sfumatura di struggente nostalgia. «Ma adesso sono arrivati quei tre, di un villaggio che da tredici anni non faceva più parlare di sé, hanno visto Nohiro, sanno che è a Konoha, sanno che anche la Kusanagi è a Konoha!» aggiunse, con un tono adesso irato, che quasi si era ritrovato ad urlare. «Ed io, Kakashi? Io non sono riuscito a fare nulla per evitare una qualunque di queste cose!».
Il Jonin dai capelli grigi guardò Naruto con calma infusa nei tratti coperti dalla maschera blu scuro e dal coprifronte calato sull’occhio sinistro. «Queste parole le ho già sentite tempo addietro, Naruto» constatò, e lo sguardo aveva un significato limpido e chiaro, come una sorta di ammonizione. «Ma ora tu non potevi sapere che quel mercante trasportava proprio quella spada. E devi smetterla di accusarti di colpe che non hai».
Naruto restò zitto, gli occhi azzurri persi in qualcosa di lontano. Poi le guance rigate dai sei baffi gli si tirarono in un sorriso amaro. «Hai… mai avuto l’impressione che tutto ti stia sfuggendo di mano? Che, per quanto tu cerchi di afferrare qualcosa, quella continua a scivolarti fra le dita come il fumo e non riesci in nessun modo a controllarla come vorresti? Non ti sei mai sentito così?».
Kakashi spostò il viso in avanti, verso la schiena del proprietario del chiosco. «Si Naruto, mi sono sentito anche io così. Anche troppo spesso».
Ci un momento senza parole fra i due ninja. Senza parole, ma solo comprensione.
Poi Naruto si alzò in piedi stancamente, sorreggendosi al bancone con le braccia. «Vado a casa. Lascia il conto a nome mio, lo pagherò domani».
L’altro uomo rimase seduto, senza cambiare posizione. «Riposati, Naruto. Anzi, va’ un po’ a trovare Hinata; non ti vede da quasi una settimana la poveretta, sarà disperata».
Quella piccola battuta strappò al biondo, suo malgrado, un piccolo sorriso. «Semmai a domani, Kakashi» lo salutò, rimettendo al suo posto lo sgabello dove era seduto.
«Ciao».
Poi Naruto scostò le tendine del chiosco e sparì nella strada, con il cielo ancora illuminato dalla luce di inizio estate.

Naruto decise di allungare il tragitto. Temeva che il silenzio di casa sua avrebbe scacciato quel poco di conforto che Kakashi era riuscito ad infondergli, mentre, al contrario, credeva che le voci degli abitanti del villaggio, occupati a svolgere le ultime faccende della sera, e le illuminazioni gialle, gli avrebbero dato un’occasione per distrarsi.
Così, quando il Jonin risalì i camminamenti esterni che portavano alla sua modesta abitazione, era già sera, almeno le otto e mezza, e le vie punteggiate da luci si erano decisamente svuotate rispetto al pomeriggio. Arrivò fino in cima alla scala, girò intorno al palazzo e svoltò l’angolo.
Non appena vide la fine del camminamento e la tettoia che copriva la porta di casa sua, i suoi occhi registrarono la presenza di una figura scura, immobile e silenziosa, appoggiata con i gomiti alla ringhiera del parapetto e persa a contemplare gli ultimi raggi del sole sull’orizzonte che, da quell’altezza, erano ancora visibili.
Naruto si bloccò, con le sopracciglia leggermente alzate, sorpreso. Non si aspettava di trovare lui lì.
La figura, appena si accorse di non essere più sola, si sollevò e si voltò verso il biondo, dando una sistemata ai suoi capelli.
Lo stava aspettando, era chiaro.
Il Jonin tirò una sorta di sospiro, poi si avvicinò di un paio di passi, posando la mano sula ringhiera. «Nohiro, cosa fai qui a quest’ora?» domandò al ragazzino, cercando in tutti i modi di utilizzare un tono sufficientemente allegro, ma senza riuscire a capire quale risultato avesse ottenuto.
Il giovane si sentì un poco a disagio. «Mi scusi sensei. Le volevo chiedere un paio di cose su… quella spada. Ed anche sui ninja che ci hanno attaccati». Subito Nohiro si sentì inquieto: aveva come l’impressione che quello che voleva sapere non fosse affatto cosa che gli competesse, che non era proprio il caso di chiedere quelle cose. Ma la sua curiosità era proverbiale, e proprio non riusciva a stare tranquillo senza conoscere le risposte ai suoi quesiti… sebbene non fosse così sicuro di volerle davvero sapere.
Vide il suo insegnante ridacchiare. «E’ impossibile riuscire a tenerti nascosto qualcosa, vero?».
Nohiro accennò un leggero sorriso, senza però sapere se considerare la domanda del Jonin come un complimento… o qualcos’altro.
La risatina di Naruto si spense ed il ragazzino capì che finalmente stava per arrivare il momento delle spiegazioni. Il suo insegnante gli arrivò di fianco e appoggiò la schiena alla ringhiera; Nohiro alzò lo sguardo ed incontrò quegli occhi azzurri che erano sempre stati capaci di dargli conforto più di qualsiasi altra cosa.
«Da dove vuoi cominciare?» gli domandò Naruto, con una sfumatura di rassegnazione nella voce e di velata tristezza nello sguardo.
Ecco, era il momento. Nohiro sentì qualcosa fremere dentro di lui.
Voleva sapere.
«Mi dica… dei ninja».
Un leggerissimo sospirò uscì dalla bocca del Jonin. Non avrebbe voluto che quel ragazzo sapesse… non così presto. Ma oramai non poteva più ritardare. «Tu non sai di che villaggio erano, vero?» domandò al ragazzino.
Nohiro, sempre più impaziente per quell’odiosa attesa, scosse la testa. Inconsapevolmente si protese un poco verso il suo maestro, senza più riuscire a sopportare tutte quelle pause, ma riuscendo comunque a tenere nascosta in sé la sua fretta.
Naruto guardò in un punto indefinito e, con una sensazione di impotenza, spiegò.
«Il coprifronte con la nota musicale è il simbolo del villaggio del Suono. Konoha ed Oto sono nemici storici, sin dal momento in cui quest’ultimo è nato. Inoltre, in passato il Suono ha attaccato la Foglia ben due volte… la prima diciassette anni fa, la seconda tredici anni fa. Poi, sino a quando non è arrivata quella squadra, di quel villaggio non si era saputo più nulla».
Nohiro ascoltò e, in quell’istante, un pensiero particolare e dotato di una strana coincidenza lo scosse. «Io ho tredici anni» constatò ad alta voce.
Voltando gli occhi sul Jonin, si accorse che aveva annuito. «Si, Nohiro. E non è un caso». Per un momento, poi, rimase zitto, come se stesse cercando di ponderare le parole. «Credo che tu ti sia accorto di come ti hanno guardato… Beh, sono rimasti così sconvolti perché Oto…». Naruto strinse le labbra, e quasi si obbligò a continuare. «…Oto è il villaggio che aveva fondato tuo padre».
Nohiro non pronunciò parola.
Questo spiegava molte molte cose. Spiegava la frase della donna di nome Sewa, “non possiamo continuare, non in queste condizioni”, spiegava la loro reazione, spiegava perché se n’erano andati così, senza più colpo ferire.
Stranamente il ragazzino non riusciva a sentirsi in nessun modo in particolare. Forse solo un po’ imbarazzato, perché era tantissimo tempo che lui e Naruto non parlavano di suo padre. Avevano come chiuso l’argomento, perché Nohiro sapeva che il suo sensei lo voleva soltanto dimenticare e perché, da parte sua, non riusciva mai a capire che cosa provasse per quell’uomo che non aveva mai conosciuto: lo odiava e lo amava, aveva paura di quello che era stato perché temeva anch’egli di poter essere così, e contemporaneamente lo affascinava quella figura così misteriosa per lui, con tutte le jutsu e le arti magiche che era stato capace di padroneggiare.
Adesso, però, gli dava fastidio nominarlo davanti a Naruto a causa del male che, direttamente o indirettamente, aveva causato ad entrambi.
La sensazione che provava era indefinita e, a parole, non sarebbe riuscito a spiegarla.
«E… perché cercavano la spada?» domandò quindi, a voce bassa.
«Era di tuo padre. La sua arma personale».
Nohiro quasi se l’era aspettato; da quando era cominciato il discorso quel sospetto si era insinuato in lui lentamente, e adesso aveva trovato fondamento. «E invece…» chiese di nuovo, alzando gli occhi dorati. «…perché, con il mercante, lei ha detto che non poteva essere qui?».
Naruto strinse le labbra e, inconsciamente, irrigidì la schiena. Quella era la parte più difficile, lo sapeva.
«La Kusanagi no Tsurugi, è così che si chiama, è un’evocazione. Ho avuto quella reazione perché quel tipo di evocazione sparisce se il ninja che ha usato la tecnica muore». Si bloccò un momento. «Tu sai in cosa consiste la tecnica del Richiamo, giusto?».
Nohiro arricciò un labbro per un momento, cercando nella sua testa. «Si, ne ho letto qualcosa in alcuni rotoli».
Naruto non riuscì a trattenere un sorriso. «Certo. Figurati se non lo sapevi» rise fra sé.
Il suo allievo accennò un sorrisetto imbarazzato, cercando di mantenere un po’ di modestia.
«In ogni caso» proseguì il biondo Jonin «prima è bene che tu sappia una cosa, Nohiro».
Il ragazzo dilatò leggermente gli occhi che, alla poca luce rimasta fuori, sembrarono scintillare.
«Quello che hai sull’avambraccio sinistro… non è un tatuaggio» ammise Naruto, con lo sguardo basso e una sfumatura di colpevolezza nella voce.
Nohiro portò la mano destra al braccio sinistro, con una sensazione di paura che gli serpeggiava dentro. Non alzò la manica della scura maglia a rete, quasi che, lasciando coperto il punto incriminato, avrebbe potuto scacciare qualunque cosa fosse implicata.
«O perlomeno, non è un tatuaggio come lo credi tu» aggiunse Naruto.
Da che ricordava, Nohiro l’aveva sempre avuto. Il disegno nero sull’avambraccio, proprio come un tatuaggio, che gli si attorcigliava intorno al braccio fino al polso dove terminava con uno strano simbolo, che non era un ideogramma, ma qualcosa che non era mai riuscito ad interpretare. Anche perché non aveva mai pensato che potesse essere qualcosa di diverso da un disegno fatto sulla sua pelle con ago ed inchiostro sotto la cute.
Immediatamente dopo pensò al perché il suo sensei avesse nominato, prima di quello che credeva essere un tatuaggio, la tecnica del Richiamo.
Un altro paio di volte gli occhi gli corsero al proprio braccio, per poi spostarsi di nuovo su Naruto… e intanto quella strana paura di sapere, che ormai aveva sostituito la curiosità, cresceva sempre di più e lo corrodeva.
«Quello che hai sul braccio, Nohiro» riprese il Jonin «è il segno che convalida il patto d’evocazione con un qualche animale. Ed è soltanto colui che ha quel segno che può richiamare, tenere in questo mondo e congedare la Kusanagi». Nemmeno serviva che Naruto completasse il discorso. Il ragazzino aveva già capito, e le parole del suo sensei furono solo la conferma dei suoi pensieri. «La spada non è scomparsa perché adesso sei tu il suo possessore».
Nohiro non rifletté. Con lo stomaco in subbuglio, l’anima che fremeva di una forse immotivata angoscia, che nemmeno lui sapeva perfettamente attribuire a qualcosa, disse tutto d’un fiato: «Non la voglio».
Il Jonin sorrise malinconicamente nel buio. «Non credo che la vecchia Tsunade te l’avrebbe comunque lasciata».
Questo era vero. Non gliel’avrebbero lasciata mai e poi mai.
Il giovane dai capelli neri, che ora erano una macchia ancora più nera nell’oscurità della sera, buttò fuori l’aria dalla bocca, con una faccia quasi sconvolta, e Naruto non riuscì a fare a meno di guardarlo con comprensione e compassione. Forse a Nohiro non avrebbe fatto piacere ricevere la sua pietà… ma adesso non riusciva a fare altro per lui: anche lui aveva i suoi problemi, sebbene l’ultima cosa che volesse fosse far pesare anche cose sue a quel ragazzo che di angosce a cui pensare ne aveva già abbastanza.
«Lo hai dal giorno in cui ti ho trovato» aggiunse, come per dare una qualche spiegazione. «Probabilmente ti è stato fatto fare il contratto d’evocazione quando avevi appena qualche mese».
Nohiro annuì lentamente, in silenzio. Adesso non era più certo che voler sapere a tutti i costi fosse stata una buona idea.
Si staccò improvvisamente dal parapetto e si avviò lungo il camminamento: adesso se ne voleva andare a casa.
Il Jonin lo guardò andarsene e, con sorpresa, si rese conto che aveva i capelli sciolti, liberi dal laccetto di garza che li raccoglieva sempre in una coda. Strano; Nohiro aveva sempre detto che gli dava fastidio non legarli perché gli andavano di continuo negli occhi.
Prima che il ragazzino svoltasse l’angolo, però, lo richiamò indietro. «Ti vuoi fermare?» gli chiese, con un sorriso che avrebbe potuto fargli un padre.
Il giovane si voltò, ed i suoi capelli si mossero fluidamente con lui, come una cascata di tenebra liquida. Abbassò gli occhi mentre rispondeva. «Io… ho bisogno di stare un po’ da solo, sensei…».
Il biondo continuò a guardarlo con i suoi occhi grandi e azzurri, ed una sorta di tenerezza si impossessò del suo viso rotondo. Di nuovo Nohiro fece per svoltare l’angolo ma Naruto lo fermò di nuovo. «Non ti fa bene, sai? Non dovresti stare così tanto tempo per conto tuo». Il ragazzino aprì la bocca per parlare ma Naruto lo interruppe. «E non trovare scuse da vittima, dattebayo!» lo redarguì puntandogli addosso un dito, col suo tono tipico, un po’ perentorio un po’ indignato. «Una vittima lo sei fino ad un certo punto, ma hai tutte le capacità per reagire, lo sai benissimo da solo, Nohiro».
Il ragazzo rimase interdetto, con un’espressione sorpresa per quell’improvviso cambiamento d’atteggiamento del suo insegnante.
«Se vuoi fare l’asociale, noi due non andiamo d’accordo signorino» terminò il Jonin con il tono di voce che, ormai, aveva perso qualunque traccia di rimprovero, ed era piuttosto una bonaria battuta falsamente infusa di serietà.
Nohiro restò ancora per un momento lì fermo e stupito. Poi, senza riuscire a trattenersi e senza alcun motivo per farlo, iniziò a ridacchiare finché non scoppiò in una vera e propria risata, divertito da quel modo assai strano di fare la predica alle persone del giovane uomo.
Il suo insegnante gli rivolse un sorrisone. «Allora, entri?».
Smettendo pian piano di ridere, il giovane dai capelli neri tornò sui suoi passi. «Arrivo» disse, fra le sghignazzate.
Naruto gli rivolse un sorriso ancora più grande, poi tirò fuori un mazzo di chiavi ed aprì la porta del piccolo appartamento, poi entrò accendendo le luci.
Nohiro gli andò dietro e, sulla soglia, pensò che erano ben due anni che non metteva piede in quella casa; poi, felice come non era da molto per poter passare una serata con una delle persone che gli erano più care, uscì dal buio della sera ed entrò nella luce oltre la soglia.









----------------------------------------



Hola.
Stavolta ho veramente superato il record di ritardo. -___-
Mi prendo la libertà di dare la colpa alle ultime settimane di scuola e alle due materie in cui potrei essere rimandata.
In ogni caso questo è anche il capitolo più lungo che ho scritto, visto che raggiunge le tredici pagine e mezzo di word. Che dire, nemmeno qui c’è molta azione, però ci sono parecchie scene da un significato piuttosto simbolico e interpretabile a piacimento XP In quanto alla Kusanagi ho cercato di spiegare al meglio il perché non si trovasse nell’esofago di Orochi… ho tentato anche di dare il carattere “vero” ad ogni personaggio, di rispettare quello che è nel manga e nell’anime, anche se, magari, un po’ maturato. Inoltre ci sono accenni della parte “What if..?” della storia, ovvero quella che mi sono inventata di sana pianta. XP
Ringrazio, ovviamente, il mio ragazzo, e non mi stancherò mai di dire che lo amo troppo per tutte le idee che mi da quando mi mancano.

Adesso le recensioni. Ringrazio:

Talpina Pensierosa, c’eri quasi arrivata. XD E’ la Kusanagi però non quella di sasuke. XP Ti ringrazio per i complimenti, e sono sempre felicissima che la fic ti piaccia! Al prossimo cap.! Lilithkyubi, ci avrei scommesso che la parte finale ti sarebbe piaciuta. XD Anche io mi sono divertita tantissimo a scriverla. Quando ho letto il tuo commento mi sono immaginata una ragazza che sbava e che le esce il sangue dal naso davanti ad un’immagine immaginaria di Nohiro in boxer. XD In ogni caso ti ringrazio sempre tantissimo per le tue recensioni, pensa che alla fine del commento mi ero commossa per quello che hai scritto. Tu ringrazi me perché scrivo ed io ringrazio te perché mi fai sempre recensioni stupende. *-* Killkenny, come sempre grazie per il nove e per i tuoi assidui commenti… non manchi mai di recensire un capitolo! Per la spada, era proprio la Kusanagi di Orochimaru, complimenti hai avuto l’intuizione giusta. XD Alcune volte ho delle idee proprio pazze, eh? Aleteia, grazie per aver detto che la storia è bellissima, mi ha lusingata sapere che l’hai finita così alla svelta. Come vedi, se continuerai a leggerla, dovrai aspettare un po’ per gli aggiornamenti… ma faccio del mio meglio per tenermi al passo. ^^ Ho lavorato molto sui personaggi, spero sempre che vengano credibili e non dei fantocci senza carattere, quindi sono contenta anche che tu abbia detto che sono verosimili… e soprattutto mi ha fatta felice vedere che Nohiro ti piace. XD Evidentemente, come personaggio è parecchio riuscito. XD Per la spada, anche te hai indovinato! E’ proprio quella. ^^ Grazie ancora, e spero che commenterai di nuovo!

Adesso i ringraziamenti per la mia one-shot JiraOro:

Oroby, tranquilla, non hai nessuna mente perversa. XD In effetti loro sono nudi, ma, come tutto il resto, è una cosa che ho lasciato molto velata. Apprezzo che ti sia piaciuta e ti ringrazio anche per averla inserita fra i preferiti! Ah, e grazie anche per avermi tolto i dubbi se Oro fosse IC o meno. XD Cdm, sono particolarmente contenta che anche tu, come Oroby, abbia avuto la sensazione della calma e della staticità, che più o meno era quello che mi prefiggevo di trasmettere. Per continuarla… in realtà ci avevo pensato, solo che sono sempre occupatissima coi capitoli di questa long-fic, quindi non ne avrei avuto il tempo, né le idee giuste. Se cambio idea ti avviserò. XD Grazie per la recensione!

Adesso saluto, e spero di riuscire ad aggiornare puntualmente! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Invito ***


-15-
Invito



Calda e afosa, l’estate venne e passò in un attimo.
Nohiro la sentì scivolare via sulla pelle lattea, che non si colorò nemmeno un po’; il suo massimo cambiamento fu dal bianco ad un colorino panna che il ragazzino non sopportava perché gli donava solo un’aria più cagionevole del solito. Jiro, al contrario, sfoggiò per tutto giugno, luglio e agosto un’abbronzatura perfetta che, in contrasto al bianco dei suoi capelli, gli regalava uno strano fascino. Con il quale, peraltro, conquistò tre signorine fresche d’Accademia a cui, ovviamente, entro la metà d’agosto aveva già spezzato il loro povero cuoricino di dodicenni.
Mayumi, anche lei con un colorito dorato e uniforme, festeggiò fra amiche il compimento dei suoi quattordici anni, il tredici d’agosto, e Jiro, da bravo gentiluomo, le regalò un bouquet di fiori profumati selezionati da Kanaria nel negozio del clan Yamanaka apposta per l’occasione. Il ragazzino dai capelli bianchi ebbe il buon senso di non dire a Nohiro di quella piccola festa, visto che il compagno di squadra non era stato invitato.
Nohiro non riuscì a giudicare il suo rapporto con l’altro ragazzo: certe volte si salutavano e il giovane dai capelli corvini rideva a qualche battuta di Jiro… altre volte quest’ultimo gli lanciava certe occhiate che lo affliggevano e lo facevano stare tremendamente male. Come se il figlio dell’eremita dei rospi un po’ volesse essere suo compagno, un po’ non desiderasse sbilanciarsi troppo nell’essere anche suo amico.
Nohiro ricordava bene un episodio in particolare, avvenuto dopo lo svolgimento di una missione.

Tutto era andato per il meglio. Avevano ricevuto i sinceri ringraziamenti del committente, il pagamento in contanti, nessuno si era fatto male.
Nohiro, per quella missione, aveva dato il meglio delle sue capacità… il che non era cosa da poco. E difatti Naruto gli aveva fatto i complimenti, complimenti che il ragazzino dai capelli neri aveva accettato con un sorriso, ma nulla più.
Durante tutto il tragitto di ritorno, però, Jiro aveva continuato a fissarlo con un’espressione strana, dalla quale il pallido giovane si era sentito in ansia.
Non ci avevano messo molto ad arrivare a Konoha: avevano corso veloci sulle chiome degli alberi ed il tempo impiegato era stato meno di un pomeriggio. Finalmente al villaggio, fecero rapporto, come ogni volta, ed infine ognuno si preparò ad andarsene verso casa propria.
Fu allora che Jiro si piazzò di fianco a Nohiro e gli lanciò di nuovo quello sguardo incomprensibile che l’altro giovane proprio non riusciva a decifrare. Nohiro si bloccò senza riuscire a trattenere un’espressione interrogativa e limpida ma proprio allora il compagno di squadra parve perdere del tutto la pazienza.
Finalmente la sua faccia diede forma ad un sentimento definibile… e il ragazzino dai capelli corvini fu sorpreso di scorgervi la rabbia.
«Ma c’è qualcosa che te non sai fare?» domandò improvvisamente Jiro, quasi soffiando fra i denti.
Nohiro, stupito, colto alla sprovvista, aprì la bocca per rispondere ma poi la richiuse rimanendo in silenzio, come aveva sempre fatto.
Jiro si era piantato davanti a lui, con le braccia incrociate ed il petto gonfiato a trattenere la collera. «E non sopporto la faccia che fai quando il sensei ti fa i complimenti» continuò, frenandosi per non fare una scenata. «Finiscila con quell’espressione da bambino innocente. Anche uno stupido lo vede che ti piace sentirti dire che sei bravo».
Ecco cos’era, pensò Nohiro. Era per quella stupida lode di Naruto-sensei.
«E’ mai possibile che ti riesca sempre tutto?» gli ringhiò contro Jiro.
Nohiro non seppe che dire, o cosa fare: quel discorso non portava proprio a niente.
Non è colpa mia se le cose mi riescono! si disse.
Il compagno di squadra sbuffò, poi con un gesto stizzito si voltò di spalle. «Alcune volte sei davvero insopportabile, Nohiro».

E per tutta quella giornata le parole del suo compagno e la sua immagine che gli dava la schiena mentre le pronunciava gli erano rimaste impresse a fuoco nella testa.
Poi, più avanti, Nohiro l’aveva giudicata come una scenata di gelosia. Lui è solo geloso, si era detto, perché sono più bravo.
Ma, nonostante questa giustificazione che il pallido ragazzo si era dato, quelle parole gli avevano dato fastidio, tant’è che aveva riflettuto più e più volte su quanto di ciò che il compagno di squadra gli aveva detto fosse stato vero.
Però, in realtà, la cosa che più gli aveva dato fastidio era che non era stato capace di giustificarsi, di spiegare la propria opinione o punto di vista. Non era stato capace di rispondere semplicemente: “io per esempio non sono capace di trovarmi una persona da poter chiamare amico con la stessa facilità con cui ci riesci tu, Jiro”. Non aveva fiatato, e quella risposta non detta gli era rimasta sulla punta della lingua a lungo, dopo quella giornata.
Il ragazzino dai capelli corvini si era ripetuto che lui non aveva nessun motivo di invidiare il compagno di squadra per qualcosa, se non per il fatto che poteva vedere Mayumi più volte di lui. Non c’era motivo di essere gelosi per una stupida storia di amicizie, anche se poi il suo animo aveva perdurato a bruciare per giorni, dopo quell’episodio.
Adesso però era settembre e, alla fine, Nohiro se l’era completamente dimenticato. Adesso la sua mente acuta e curiosa era completamente presa da un altro avvenimento, fresco della prima settimana del mese.
La notizia era circolata per il villaggio passando di bocca in bocca ancora prima che diventasse, da voce di corridoio, a comunicazione ufficiale. Se ne sentiva parlare al chiosco del ramen di Teuchi, ragazzi euforici se lo ripetevano in continuazione quando tornavano dagli allenamenti, le signorine ne spettegolavano e civettavano dentro le terme. Non c’era persona alla Foglia che non ne sapesse qualcosa.
La voce serpeggiò per due settimane in qualunque luogo pubblico che fosse frequentato da Genin, o da amici e genitori di Genin, si insinuò nella fantasia dei ragazzini, fu argomento di discussione da parte degli adulti. E Nohiro, mano a mano che i giorni passavano, si sentiva sempre più elettrizzato, come se un fuoco sconosciuto gli scorresse sottopelle. Trovava snervante attendere e attendere ancora, quando nell’aria frizzante dell’inizio autunno si respirava eccitazione ed entusiasmo in qualunque luogo si mettesse piede.
Poi, alla fine di settembre, quando oramai a Konoha non c’era anima che non lo sapesse, finalmente la Quinta Hokage annunciò ufficialmente che a novembre ci sarebbe stato l’esame di selezione dei Chunin.

Ormai erano due anni che Nohiro non veniva più svegliato dal profumo di una colazione pronta dentro il naso. Quasi si era scordato cosa volesse dire avvertire nelle narici quell’estasiante fragranza che lentamente ti strappa all’intorpidimento dei sensi e ti fa nascere sulle labbra un sorriso, ti fa venire in bocca l’acquolina e, improvvisamente, ti da persino la voglia di sottrarti al calore delle coperte. Nelle colazioni che qualcuno prepara per te c’è sempre un tocco diverso di sapore in più.
Però ora il ragazzino si preparava da solo il primo pasto della giornata da molto tempo.
Mentre la consumava al tavolo della piccola cucina restavano a fargli compagnia solo il rumore del cucchiaio o delle bacchette, a seconda di quale pietanza aveva messo sul fuoco, che cozzavano contro il piatto. Quel silenzio persistente lo portava, o a non pensare assolutamente a niente, oppure a pensare a troppe cose assieme, fino a farsi venire mal di testa.
Dopotutto l’assenza di rumori non equivale sempre anche alla tranquillità.
E in quella spenta domenica mattina Nohiro stava proprio facendo colazione da solo, ma per niente rilassato o sereno. Era una di quelle volte in cui non aveva niente su cui riflettere ed i suoi occhi paglierini guardavano insistentemente o il caffellatte o fuori dalla finestra.
Non aveva assolutamente idea di cosa avrebbe potuto fare nel resto della giornata; i Genin, la domenica, venivano lasciati in pace e le missioni venivano svolte principalmente da Jonin e Chunin, quindi nemmeno avrebbe potuto distrarsi con qualche incarico da portare a termine.
Inspirando profondamente l’aria pungente che entrava dalla finestra socchiusa, si tolse davanti il piatto e le posate, andando a posarle nel lavello. Andarono ad appoggiarsi sopra un paio di altre ciotole lasciate lì dalla sera precedente. Il ragazzo le fissò con le labbra sottili arricciate, sapendo che avrebbe dovuto lavarle, ma senza alcuna voglia di farlo. Ecco perché preferiva sempre mangiare del ramen ad un chiosco: oltre ad avere un po’ di compagnia, non era poi costretto a fare lavoretti da casalinga.
Poi, con un’ultima occhiata al cielo spento ma terso, Nohiro decise infine di farsi una passeggiata.
Entrò nella cameretta adiacente alla cucina e pescò dall’armadio a una anta sistemato in un angolo la prima maglia nera pesante a portata di mano e dei pantaloni grigi e comodi. Il ragazzino non aveva una scelta così ampia in fatto di abbigliamento, ma possedeva sufficienti maglie per fare almeno due cambi alla settimana. E inoltre lavava tutto in continuazione.
Gettò il pigiama in un cesto e infilò il kimono grigio chiaro. Da qualche tempo si era accorto che l’indumento non gli era più così lungo e largo, ma quasi era diventato della sua taglia. Beh, sicuramente non era l’abito ad essersi accorciato, ma lui ad essere cresciuto di statura; anche Iruka-sensei gli aveva detto di averlo visto più maturo, anche nei tratti del viso.
Facendo scorrere un’ultima volta lo sguardo sulla cucina, che poi faceva anche da sala da pranzo e salottino, mise le chiavi di casa nella tasca interna del kimono ed uscì in strada.
Prima di iniziare la sua passeggiata, il giovane inspirò profondamente. La sera prima, ed anche per il resto della nottata, era piovuto copiosamente e adesso l’aria era pulita, sapeva di fresco e pungeva le narici.
Nohiro adorava le vie silenziose di mattina; non era come dentro casa sua, con quell’opprimente cappa di staticità. Le strade periferiche del villaggio, quelle prettamente adibite ad ospitare quartieri residenziali, gli davano la sensazione della superficie del mare, sotto la quale scorrevano le centinaia di correnti di vite che lì abitavano. E lui aveva l’impressione di avere potere su quelle vite, lì, solo nel centro della via. Era una cosa irrazionale, ma riusciva, in un certo qual modo, a calmarlo.
Mentre camminava, i piedi chiusi nei sandali schizzavano occasionalmente pozzanghere parzialmente asciutte e le orecchie captavano brandelli di conversazioni confuse attraverso i muri delle case; il suo passo era saltuariamente accompagnato dalla melodia di qualche uccellino.
Il ragazzino dai capelli corvini adesso riusciva a sentirsi tranquillo, davanti ad una Konoha in attesa di risvegliarsi. Anche i quartieri che, nelle ore di punta, erano intransitabili, ora erano deserti, se non per qualche mattiniero che andava al lavoro anche la domenica. Qualunque rumore appariva assodante alle orecchie del pallido giovane, tanto il villaggio era vuoto; era perfettamente consapevole che c’erano comunque ninja attenti e concentrati a fare la ronda per le strade, ma sapeva anche che non avrebbe di certo scorto uno.
All’improvviso Nohiro si accorse che i suoi piedi, senza volerlo, l’avevano portato sin davanti all’Accademia ninja.
Guardando quell’edificio, le aule che si scorgevano attraverso le finestre, la bocca gli si increspò in un sorriso leggero, pregno di ricordi.
Quante mattine aveva trascorso in quelle classi, quante volte aveva corso fino a quelle porte rosse nel tentativo di arrivare in anticipo!
Una buona metà delle memorie della sua infanzia erano legate a quella scuola… alcune erano belle, una buona parte sgradevoli. Ma Nohiro le custodiva tutte gelosamente nel proprio cuore.
Improvvisamente sentì l’impulso euforico di catapultarsi all’interno dell’edificio vuoto e vagare per le aule silenziose, guardare le scritte sui banchi e sui muri, sedersi alle cattedre dei professori e scrivere sulle lavagne coi gessi, per poi uscire prima che qualcuno dall’esterno avesse il tempo di notare uno sfuggevole pallido fantasma passare davanti alle finestre. A togliergli dalla testa quella balzana idea fu l’irritante rumore di una saracinesca che viene alzata, dietro di lui, nella strada.
Così si voltò di spalle rispetto all’Accademia, con un labbro arricciato. Il brusio nelle strade era aumentato, qualcuno urlava da un capo all’altro della via per richiamare un conoscente e gli abitanti iniziavano ad aprire le imposte delle finestre, sporgendosi dai davanzali a godere della frescura dei primi d’ottobre: a Konoha la temperatura restava relativamente piacevole anche durante l’autunno inoltrato.
Nohiro storse il naso davanti alla carreggiata: tutti quei passanti gli rovinavano l’atmosfera.
Decise che oramai era il momento di tornare a casa.
Ripercorse il tragitto a ritroso, lasciandosi alle spalle l’Accademia e sorpassando il chiosco dove era solito pranzare, finché non arrivò alla via dove abitava.
Raggiunse la porta rossa di casa sua ed iniziò ad armeggiare con le chiavi nella toppa. Un gesto piacevolmente e noiosamente familiare, che compiva tutti i giorni da due anni.
Sentì il clack della serratura e si infilò alla svelta all’interno.
Si girò nel piccolo ingresso illuminato fiocamente per appendere il kimono all’attaccapanni, e fu allora che notò il biglietto.
Era un semplice foglietto bianco ripiegato, probabilmente fatto scivolare sotto la fessura della porta, che risaltava come una macchia sul pavimento. Nohiro aggrottò le sopracciglia, scandagliando le varie possibilità su chi poteva averglielo recapitato.
Naruto? Iruka-sensei? Non gli veniva in mente nessun altro.
Si chinò ad afferrare il piccolo pezzetto di carta e lo rigirò fra le mani un paio di volte, poi, con una scrollata di spalle, decise di aprirlo. Non gli pareva fosse il caso di trattare un bigliettino con la stessa cautela che avrebbe usato per una belva feroce.
Andò in cucina, alla luce della finestra semiaperta, e lo spiegò con un sopracciglio inarcato. A prima vista non conosceva la calligrafia, così tondeggiante ma decisa e leggibile.
Il ragazzino fece scorrere gli occhi paglierini sulle righe diritte.
Ciao Nor, stamani verso le sette sono passata da te, ma non eri in casa, così ti ho lasciato questo biglietto”.
Qualcuno evidentemente era passato da lì poco dopo che era uscito.
Ero venuta a dirti che oggi alle tre e mezza ci si sarebbe trovati a casa di Jiro per studiare un po’ in previsione dell’esame dei Chunin. C’è fra poco più di un mese, e non so se poi avremo del tempo fra le varie missioni per allenarci per bene.
Jiro abita nel quartiere Yotsu, seconda traversa, al numero 12.
Ti aspettiamo puntuale.
Mayu
”.
E di fianco alla firma un cuoricino.
Nohiro rimase per un secondo imbambolato con quel foglietto stretto in mano. Non riusciva a togliere gli occhi dalle righe finali.
“Mayu” e un cuoricino. Mayumi si è firmata con un cuoricino, pensò. Mayumi si è firmata con un cuoricino ed è passata da casa mia… ed io non c’ero, porca miseria!
Si maledì in tutti i modi che conosceva mentre la mano strinse il bigliettino fino ad accartocciarlo.
Magari indossava anche quel kimono rosa salmone coi bordi rossi, che le stava che una meraviglia, e si era fatta il treccione, e aveva quegli orecchini di perla che le avevano regalato al compleanno, e si era presentata con quel suo sorriso fantastico mentre suonava il campanello…
Improvvisamente Nohiro si accorse di essere rimasto imbambolato come un idiota nella cucina a stringere il bigliettino.
Sussultò e scosse la testa freneticamente, per cercare di riprendersi.
No, era molto meglio che la ragazza non l’avesse trovato in casa. Altrimenti, per prima cosa avrebbe fatto una figura orribile con quel pigiama blu consumato che indossava prima di uscire, per secondo, trovandosela davanti alla soglia, probabilmente gli sarebbe venuto un colpo e sarebbe cascato lì davanti alla porta come una pera cotta.
Il ragazzino si passò una mano sui capelli neri, riavviandone una ciocca dietro l’orecchio e posando finalmente il biglietto sul tavolo.
Oltre a tutta la storia che era venuta Mayumi davanti casa sua, che si era firmata col cuoricino, eccetera eccetera, quell’invito non se l’era aspettato. Era la prima volta che lo chiamavano per studiare senza che fosse qualcosa di “ufficiale” con la supervisione di Naruto-sensei; e, ora che ci pensava, era anche la prima volta che andava a casa di Jiro. Il quartiere Yotsu era un bel posto. Non troppo dispendioso o pretenzioso, ma un bel posto. Uno dei quartieri più centrali di Konoha.
Nohiro si appoggiò per un secondo al tavolo nel centro della stanza per fare mente locale.
I suoi compagni di squadra lo avevano invitato a studiare nel pomeriggio in previsione delle selezioni dei Chunin, non c’era il sensei ma al contrario c’era Jiraiya-sama, erano a casa di Jiro e c’era anche Mayumi…
Il ragazzino tirò un lungo respiro.
Per prima cosa si doveva lavare i capelli.









----------------------------


Capitolo piuttosto corto stavolta. La vera sorpresina arriverà nel prossimo. XD
In ogni caso stavolta sono stata puntuale, perché ieri il cap. era già pronto. U_U Solo che senza il commento del beta-reader non posto, ergo ho aspettato stasera prima di aggiornare. XP
Intanto i più fantasiosi potranno divertirsi ad immaginare cosa preannuncia l’esamino dei Chunin che, da che mondo è mondo, è sinonimo di “chiudetevi-in-casa-arrivano-guai”. Mwa…
Sul capitolo ho da dire poco… preciso che i nomi dei quartieri di Konoha sono inventati, yotsu infatti vuol dire quattro (almeno secondo il mio vocabolario bilingue giapponese/italiano), anche se io sono sempre stata convinta che quattro si dicesse yon. Devono essere diverse trascrizioni.

A questo punto passo a ringraziare:

Talpina Pensierosa, grazie innanzitutto per aver detto che il capitolo è stupendo! E Nohiro… è puccioso vero? XD Mi raccomando, commenta come sempre, mi fa ogni volta tantissimo piacere! (anche perché sei sempre la prima o quasi a lasciare una recensione XD). Killkenny, ovviamente grazie per la recensione! I vecchietti del consiglio mi stanno sui cosiddetti anche a me, se devo dirla tutta. Per ora sono buoni buoni ma più avanti… vedrai cosa combineranno. Sarà proprio un bel casino con l’esame dei Chunin in vista, soprattutto tenendo conto della tua giustissima considerazione sui ninja del Suono. Piuttosto… posso chiederti, così per curiosità, con quale criterio dai la votazione “di fine recensione”? Me lo sono sempre chiesta! XD Comunque, grazie infinite per il tuo nove! Ametista, finalmente la recensitrice yaoi-super-fan è tornata! XD L’altarino d’oro non mi serve, tranquilla… ma per la coppia finale dovrai aspettare ancora! Mwa! Ci saranno sorprese, non posso rivelarti tutto così spudoratamente! XD Per la one-shot… se leggi la mia JiraOro, beh, sappi che in realtà era scritta per essere una JiroNor. XP Se vuoi ti passo la versione originale! XD Ciao, e grazie per i complimenti. Tone, rispondo qui alla tua recensione sul primo cap.! Ovviamente ti ringrazio tantissimo per il tuo commento, non sai da quanto lo aspettavo! *-* Per tutti i vari errori stupidi, come la virgola prima del vocativo (o dopo), l’accento sul “si”, e il maschile/femminile di “jutsu” (mistero della fede… secondo me è una parola bisex) sono errori che non riuscirò mai ad evitare, lo so. Sono troppo distratta, e anche quando faccio le riletture mi sfuggono sempre. o.o Non vedo l’ora tu vada avanti con la storia, sperando che risponda tutto alle tue aspettative! P.S. Ci saranno anche errori di battitura che mi sono sfuggiti. >.> P.S.S. Gnocco il padre e gnocco il figlio eh? Osanno quest’affermazione! XD

Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Al numero dodici ***


-16-
Al numero dodici



Nohiro si muoveva fra i passanti mormorando ogni tanto un «Permesso» oppure un «Mi scusi», cercando di avanzare più velocemente possibile.
Controllando bene il luogo dove si trovava, un incrocio fra due viali principali, capì di essere arrivato a destinazione. Così si fermò ad un angolo della strada. Quello era il quartiere Yotsu… adesso non doveva far altro che trovare la casa.
Ripassò mentalmente un paio di volte l’indirizzo, visualizzandosi davanti il biglietto di Mayumi: seconda traversa, numero dodici, seconda traversa, numero dodici…
Gli occhi paglierini del ragazzo corsero da un capo all’altro della via, cercando di contare le traverse sia da un lato che dall’altro; peccato che non riusciva proprio a capire se, come traverse, doveva includere anche i grossi vicoli fra le abitazioni, che vicoli proprio non erano, oppure prendere in considerazione solo le strade perfettamente perpendicolari a quella principale.
Il pallido giovane storse la bocca e buffò fuori l’aria fredda che aveva inspirato. A questo punto non gli restava che da chiedere ad un passante. Almeno un abitante di quel dannato quartiere doveva sapere dove si trovava la residenza del sannin dei rospi e di suo figlio!
Così Nohiro si guardò attentamente attorno: doveva individuare qualcuno che gli andasse a genio, che avesse la faccia come piaceva a lui, altrimenti non sarebbe mai riuscito a chiedergli informazioni senza agitarsi. Specie se l’avessero guardato in quel modo, quel modo indefinibile e accusatore, quel modo che lui detestava.
Le sue pupille verticali si posarono su un’anziana signora, rugosa e paffuta. Ma la scartò immediatamente. No, niente vecchietti, più il suo interlocutore era giovane meglio sarebbe stato, così non avrebbe potuto associare il suo viso niveo a qualche immagine pescata nei ricordi di quello di qualcun altro.
Vagliò attentamente qualche altra persona, poi, finalmente, i suoi occhi vispi si fermarono su chi faceva proprio al caso suo, neanche fosse passato di lì per fargli un favore.
Indossava un impermeabile color verde militare col cappuccio alzato sulla testa, sebbene il cielo fosse così chiaro da impedire anche di pensare che sarebbe potuto piovere; sotto teneva una lunga giacca nera a collo alto, che gli copriva la bocca, e dei pantaloni ninja grigi e comodi. Camminava lentamente, con le mani nelle tasche del cappotto e la schiena dritta, e nessuno poteva capire dove stesse guadando cosa o in che modo a causa di un paio di occhiali scuri calcati sul naso.
Un Aburame.
I membri del clan di allevatori di insetti non erano di certo le persone migliori per mettere a proprio agio coloro con cui stanno parlando… ma per Nohiro, invece, era quanto di meglio avrebbe potuto desiderare.
Almeno un Aburame non gli si sarebbe rivolto in nessun modo ricollegabile a qualche emozione umana. Addirittura Nohiro si ricordava che questa caratteristica degli allevatori di insetti, da bambino, lo aveva messo terribilmente in soggezione. Ma ora, quello che contava era soprattutto che il ragazzo non avrebbe potuto scorgere espressioni di sorta sul viso dell’uomo con cui si apprestava a discorrere. Perché, alla fin fine, ciò che gli impediva di rapportarsi con gli altri come avrebbe voluto era proprio la paura delle espressioni avrebbe potuto vedere sui volti altrui.
Prendendo un bel respiro, Nohiro attraversò la carreggiata. «Mi scusi!» chiamò, ancor prima di essere arrivato dall’altra parte.
L’Aburame fermò il passo e si girò verso il giovane dai capelli neri, come previsto senza scomporsi o mostrare emozioni di sorta.
«Mi scusi» ripeté Nohiro. «Mi saprebbe dire dove abita l’onorevole Jiraiya?».
Il ninja davanti a lui non mosse un muscolo. «Al numero dodici, nella seconda traversa». Una risposta data senza cortesia ma nemmeno con astio.
Peccato, pensò il ragazzo, che questo lo sappia già, ma non abbia la più pallida idea di quale sia la seconda traversa, checcavolo! E poi, insomma, perché diamine gli doveva rispondere con l’indirizzo preciso? Non era più facile indicare una strada con un “per di là”!?
Il giovane lanciò un’occhiata attorno a sé; non credeva che quel quartiere fosse così pieno di stradine e incroci… ma, dopotutto, tutta Konoha era così.
A quel punto, Nohiro si lasciò sfuggire un sospiro frustrato.
«La ringrazio…» disse comunque, per non apparire scortese. Il ragazzo stava già per andarsene, rassegnato, e l’Aburame a voltarsi per proseguire a fare i suoi affari. Poi Nohiro pensò che non sapeva se poi avrebbe trovato qualcun altro disposto a fornirgli aiuto… o se lui avrebbe avuto il coraggio di fermare qualcun altro e trattenerlo con la domanda “qual è la seconda traversa?”, immaginando le occhiate che gli avrebbero scoccato.
Così il ragazzo, anche se un po’ titubante, richiamò indietro l’allevatore di insetti. «E… senta…».
«Si?». L’uomo si girò di tre quarti verso il giovane, con la voce pacata e priva di intonazione.
«Senta, non è che potrebbe dirmi qual è la seconda traversa?».
L’Aburame rimase per un momento in silenzio, poi sollevò un braccio ed indicò alla sua destra. «E’ quella».
Nohiro ringraziò ad alta voce il ninja, che si allontanò senza una parola, ma ringraziò anche ad alta voce per quella composta riservatezza e passività dei membri del clan Aburame.
Quindi il giovane guardò la strada che, a quanto pareva, era la famosa traversa.
Evviva. Era esattamente la via davanti alla quale si era fermato prima per contare le altre.
Mentre formulava quel pensiero, si accorse improvvisamente di essere terribilmente in ritardo. Così, sbarrando gli occhi, si lanciò a corsa verso il numero dodici.
Per la fretta poco ci mancò che andasse a scontrarsi contro un uomo in kimono. Dopo aver posto le imbarazzate e dovute scuse si voltò verso l’abitazione alla sua destra. Una casa pitturata di giallo chiaro, a due piani, tre larghi scalini davanti alla porta e una pianta di fiori rampicanti che crescevano sulla facciata, fino ad un terrazzo.
Nohiro guardò insistentemente la porta ed il campanello di fianco ad essa, poi, agitatissimo, lo premette con forza una volta.
Inaspettatamente, non rispose nessuno.
Nonostante fosse ottobre, il ragazzo si accorse che stava sudando. Asciugò una gocciolina che gli colava lungo la tempia e, mordicchiandosi il labbro per l’indecisione, allungò di nuovo la mano sottile verso il campanello…
Ma, in quel momento, la porta si aprì.
Il pallido giovane fece quasi un vero a proprio salto all’indietro, tanto era stato colto alla sprovvista e tanto era agitato per quel pomeriggio che avrebbe dovuto passare coi due compagni di squadra.
Alzò il viso, con gli occhi ambrati ancora spalancati, e si trovò davanti la faccia leggermente stupita di Jiro. «Nohiro?» lo nominò il ragazzo dai capelli platinati, in un tono che era chiaramente sorpreso, come se vederlo lì fosse stata l’ultima cosa che potesse aspettarsi.
Il giovane corvino trattenne il respiro ed abbassò lo sguardo. «Lo so, scusa, sono in ritardo!».
Jiro non riuscì a trattenersi dal guardarlo con aria confusa. «Nohiro…».
L’altro alzò gli occhi, sempre con una vaga espressione colpevole.
«Nohiro, sono le tre e un quarto» evidenziò allora Jiro, perplesso. «L’appuntamento era per le tre e mezza. Non sei in ritardo, Nor, sei in anticipo di un quarto d’ora».
Beh… evidentemente il ragazzo dai capelli bianchi non aveva ancora ben inquadrato la bizzarra percezione del ritardo del suo compagno di squadra.
Nohiro si ammutolì. «Beh… dev’essere che ho la sveglia un po’ avanti…».
Chiaramente una scusa, anche se Jiro non poteva saperlo. Di certo non poteva dirgli che era volutamente arrivato in anticipo, anche se a lui sembrava sul serio di essere in ritardo, visto che il suo anticipo era programmato per le tre, non per le tre e un quarto. Voleva quella mezz’ora di margine per poter prendere confidenza con l’ambiente ed anche arrivare prima di Mayumi, almeno avrebbe potuto fare trenta minuti di preparazione mentale per quando l’avrebbe vista entrare.
«Beh, a questo punto entra». Jiro scrollò le spalle e si spostò dall’ingresso per dare spazio all’altro ragazzo per entrare.
Nohiro alzò gli occhi su di lui e salì i tre gradini, con una strana sensazione addosso, come di soggezione, di imbarazzo. Prima di entrare le pupille gli si posarono per un momento sulla piastrina di ceramica, con sopra dipinto il numero dell’abitazione e sotto l’ideogramma juni, “dodici”.
Poi sorpassò la soglia della porta.
La prima stanza che gli si presentava allo sguardo non era che un corridoio con un attaccapanni e un paio di quadri. Le pareti erano rigide, e non pannelli scorrevoli.
Il senso di timore che Nohiro avvertiva si affievolì un poco: perlomeno quella casa sconosciuta non era la specie di reggia d’oro che aveva erroneamente immaginato abitasse un membro onorevole del Consiglio.
«Nohiro, in cucina» lo chiamò in quel momento Jiro, con una mano posata sullo stipite di una porta aperta. Le porte, a quanto pareva, erano tenute tutte aperte, in quell’abitazione.
Il ragazzo dai capelli bianchi aveva la bocca arricciata, notò Nohiro.
Come se non fosse poi così felice di vedermi.
Si scosse immediatamente quel pensiero di dosso: quel pomeriggio voleva passarlo in serenità, per quanto gli sarebbe stato possibile.
Allora il pallido giovane, annuendo, raggiunse Jiro nella cucina. Era piccola e lunga, e, con un’occhiata sola, riuscì ad abbracciarla completamente: alla sua sinistra aveva il frigorifero, i fornelli leggermente incrostati e delle mensole; alla sua destra c’era una pianta di fianco ad una larga finestra, ed una dispensa; infine, centrale, con il lato corto rivolto verso la porta, si trovava un tavolo di un legno più pregiato di ogni altra cosa nella stanza, ma solo una sedia.
Nohiro, rimasto bloccato a imprimersi nella testa ogni particolare che gli saltasse all’occhio, fu riscosso dalla voce di Jiro.
«Vado a prendere dei libri e i rotoli per studiare, visto che non li hai dietro. Aspettami un momento qui» esordì il figlio dell’eremita dei rospi, facendo un gesto vago con la mano e poi scomparendo nel corridoio.
Nohiro restò interdetto, lì, nel centro della cucina. Ormai la precedente soggezione che aveva provato era sparita, ma, al suo posto, era subentrato l’imbarazzo. Non sapeva assolutamente come comportarsi, ospite in casa d’altri: essere troppo formale gli sembrava eccessivo, fare l’amicone era improponibile, oltre che stupido e fasullo.
E poi, era vero, era venuto senza libri. Che figuraccia. Veniva lì per studiare e ripassare con la sua squadra e poi nemmeno aveva con sé il necessario. A parer suo era un modo di presentarsi piuttosto inopportuno, oltre al fatto che avrebbe potuto portare qualche rotolo interessante preso in prestito da Iruka-sensei.
Con un sospiro abbattuto, Nohiro si girò verso il tavolo nel centro della stanza. Sopra c’era già un rotolo, non sigillato ma ancora chiuso.
Una parte di se stesso gli diceva che lì non poteva permettersi di dare retta alla sua curiosità e sbirciare le cose degli altri, dato che si sarebbe anche potuto trattare di qualcosa di privato, magari appartenente a Jiraiya-sama. Ma un’altra parte di se stesso, che usciva allo scoperto molto meno spesso, ma che sempre e comunque c’era, continuava a logorarlo e a dargli l’impulso di guardare cosa ci fosse scritto in quel rotolo così succulento…
Nohiro ispirò aria velocemente e, giustificandosi pensando che era abbastanza stupido anche rimanersene lì impalato come una statua nell’attesa che tornasse il compagno di squadra, si spostò rapidamente all’altro capo del tavolo opposto alla porta.
Mosse un passetto verso il rotolo, provando a vedere se riusciva a carpirne i segreti senza toccarlo, solo dalle prime parole che si intravedevano, ma immediatamente si bloccò e distolse gli occhi. Un’altra volta tentò di sbirciare… finché, infine, si decise ad aprire il rotolo, e, mentre si chinava sulla sua immobile preda e gli occhi gli scattavano con aria colpevole verso la porta, srotolò il rullo fino a che la carta non andò a toccare terra.
Sei maledettamente curioso, Nohiro. Prima o poi andrai a sbatterci il naso e ti farai parecchio male, si disse, come se così potesse attenuare le sue colpe ed il suo desiderio impulsivo.
Gli occhi ambrati corsero un’altra volta alla porta, ma riusciva ad avere conferma di non essere solo un casa solo per dei rumori al piano di sopra. Così, stringendo le labbra, scorse le righe di ideogrammi, giusto per vedere di che argomento trattava quel rotolo.
Le pupille verticali gli si fermarono improvvisamente e una sorta di delusione gli fece aggrottare un poco le sopracciglia.
Tecnica della Sostituzione. Nient’altro.
Storcendo il naso, insoddisfatto, si appoggiò al lato lungo del tavolo con un braccio, sentendosi stranamente tranquillo, probabilmente perché non aveva fatto nessuna eclatante scoperta.
Forse lo volle il fato che si fosse alzato in quel momento, ma fatto sta che, un attimo dopo, apparve sulla porta della cucina Jiro, mezzo ricoperto da rotoli malfermi uno sull’altro.
Nohiro spalancò gli occhi, che subito corsero al rullo srotolato fino a terra. Si impose di star fermo: era meglio far finta che fosse così anche prima.
«Qui c’è un po’ di roba» stava dicendo il ragazzo dai capelli platinati mentre era entrato. «Il resto lo porterà Mayumi, credo». Appoggiò con uno sbuffo affaticato la pericolante pila di libri che sorreggeva con le braccia.
Poi mosse un passo verso l’altro ragazzo, puntando alla sedia che aveva alle spalle e, nel frattempo, proseguendo a frugare i libri che aveva preso per controllare che ci fosse tutto. «Ci si sposta in camera appena arriva anche Mayu…».
Mentre parlava Jiro non guardò in terra. Non notò proprio quello che, invece, vide Nohiro, e riprese il discorso come se nulla fosse. «Finché mio padre mi usurpa il posto in salotto, ci si deve arrangiare. Sempre fisso a scrivere quel suo libro… E mai che ripassi tecniche con me. Così, poi, devo stare a rompermi le scatole a studiare sui rotoli» continuò a blaterare, come se gli fosse improvvisamente scattata una molla per le chiacchiere, mentre continuava a trafficare con le sue scartoffie. «Non faccio altro che studiare, checcavolo! E Naruto-sensei è capace solo di rimproverarmi, senza nemmeno darmi un aiuto, intendiamoci». Il ragazzo dai capelli bianchi fece un altro passo e il suo piede sinistro andò a posarsi proprio dove sarebbe stato meno opportuno che si posasse. Schiacciò sotto la suola dei sandali il bordo del rotolo che toccava il pavimento.
Posizione perfetta per inciampare, ancora meglio che pestarsi le stringhe.
Nohiro continuò a seguire i movimenti dell’altro. E, non appena si accorse di dove Jiro stava mettendo l’altro piede, tentò di avvertirlo, con lo sguardo allarmato e una mano tesa in avanti, come per provare a bloccarlo. «Ah, Jiro… aspett…».
«Si, ma all’esame dei Chunin gli faccio vedere io, oh se gli facc…».
Nulla da fare.
Il piede destro del ragazzo si mosse in avanti e la carta lo trattenne senza rompersi, giusto quel che bastava per sbilanciarsi in avanti come un sacco di patate.
«Wah!». L’esclamazione gli uscì di bocca con sorpresa, ma ormai Jiro si era già catapultato… beh, dritto addosso al suo compagno di squadra.
Nohiro sbarrò gli occhi e le iridi a taglio sembrarono ritirarsi quando si vide cadergli addosso il compagno di squadra. Preso completamente alla sprovvista, tese istintivamente le braccia in avanti, provando a non far andare per terra l’altro ragazzo e, soprattutto, provando a non farselo piombare sopra.
Ma la sua mossa fu praticamente inutile. Nohiro non trovò dietro di sé l’appoggio del tavolo, né di qualunque altra cosa. Così, oltre al danno la beffa, i due giovani avvinghiati annasparono per un momento, poi, con un «Ma porc…» di Jiro, Nohiro volò all’indietro a peso morto. Il tavolo si spostò con un rumore graffiante mentre Jiro cercava di aggrapparsi, ovviamente col solo risultato da far scivolare giù parecchi dei rotoli che erano sul tavolo.
Così, ragazzi e rotoli, con gli occhi serrati e i denti stretti, finirono sul pavimento con un bel tonfo sordo.
Per un secondo restarono immobili. Poi una voce roca e ovattata per le pareti li raggiunse. «Jiro! Va tutto bene?».
I due ragazzi, sentendosi chiamare, aprirono di scatto gli occhi. Occhi che erano a meno di un centimetro l’uno dall’altro.
Nohiro, avvampato e rosso come un peperone, si accorse di fissare la pupilla nera dilatata dell’altro ragazzo e di avere il viso appiccicato a quello di Jiro. Guancia guancia, e i nasi premuti e schiacciati uno contro l’altro. Aveva preso un tale colpo con i denti che avrebbe potuto rompersi gli incisivi e, a quanto pareva, abbastanza forte da lasciare un profondo segno rosso sulle labbra del compagno di squadra.
«Jiro! Ma che succede?» esclamò di nuovo la voce di Jiraiya, proveniente dal salotto.
A quel punto Jiro si staccò istantaneamente, tirandosi su con un braccio e cercando di districare le gambe da quelle di Nohiro. «Nulla, pa’, null…». Portò una mano al labbro dolorante e alla guancia. «Nulla, va tutto bene!» urlò, allarmato per la scenetta che il padre avrebbe visto se fosse entrato.
Nohiro in quel momento, arrossato, dolorante e terribilmente imbarazzato, portò una mano alla nuca. Aveva preso una tremenda testata sul pavimento e ora avvertiva delle fitte pazzesche.
Jiro estrasse di scatto il braccio da sotto la schiena dell’altro, imprecando, vistosamente irritato, e bofonchiando qualche altra parola. «Dannazione a te… neanche tu fossi una bella ragazza, Nohiro!» inveì. «Perlomeno sono caduto sul morbido…» aggiunse mentre appoggiava entrambe le mani a terra, alludendo al colpo che aveva preso l’altro.
Trovata la stabilità e districatosi dai vestiti dell’altro pallido ragazzo, si diede una spinta verso l’alto, volendo rimettersi in piedi e togliersi finalmente da quell’imbarazzante posizione a cavalcioni.
Peccato che non avesse considerato che nel bel mezzo della sua traiettoria si trovava il bordo del piano del tavolo… che la sua testa andò a centrare in pieno.
Un altro bel tonfo e Jiro ripiombò giù con entrambe le mani sul capo, assieme ai rotoli rimasti in bilico sul mobile di legno.
Ora ad avere il mal di testa erano in due.
«Porca putt…» si lamentò il giovane dai capelli bianchi, con la fronte appoggiata su qualcosa di morbido e caldo. Probabilmente si trattava ancora di Nohiro, ma adesso il povero ragazzo sentiva la nuca pulsare così dolorosamente da costringerlo a tenere gli occhi serrati.
A quell’ennesimo fracasso la voce di Jiraiya risuonò un’altra volta attraverso il corridoio. «Jiro, insomma, vuoi dirmi che diavolo sta succedendo?».
I passi del sannin risuonarono sul pavimento, sempre più vicini alla cucina, così, quando Nohiro si accorse che probabilmente il padre del suo compagno era assolutamente intenzionato a controllare cosa fosse accaduto, si riscosse.
Di certo non voleva che l’eremita dei rospi trovasse lui per terra con tutti quei rotoli sparpagliati sul parquet, il tavolo spostato e, soprattutto, con il suo figliolo a cavalcioni sullo stomaco.
Sollevò un braccio e, sorvolando il gemito dolorante di Jiro, lo afferrò per farlo mettere in piedi. «Tirati su!» gli sibilò, ansioso.
Il ragazzo dai capelli bianchi emise un altro verso di disapprovazione mentre si lasciava aiutare dal compagno di squadra ad alzarsi, tenendo i denti digrignati e una mano premuta sulla testa nel punto in cui aveva colpito il tavolino, mentre Nohiro, cercando di ignorare le pulsazioni doloroso sulla nuca, provava a ridarsi un contegno.
Un secondo dopo apparve sulla soglia della cucina Jiraiya. Il quale, per fortuna, si ritrovò davanti i due giovani in piedi e con aria qualunquista, come se non fosse successo proprio nulla, come Jiro aveva ripetuto un paio di volte.
L’eremita dei rospi spostò gli occhi neri dai rotoli a terra, al tavolo spostato, poi guardò suo figlio con preoccupazione e confusione, infine soffermò le pupille su Nohiro, restando con un sopracciglio aggrottato, assumendo quell’inspiegabile espressione che il ragazzo gli aveva già visto sul volto altre volte. Come definirla? Forse poteva chiamarla prevenzione, forse dispiacere. Ma Nohiro era sicuro che la sua presenza lì lo disturbasse tanto quanto quello sguardo disturbava lui. Lo disturbava al punto da farsi sembrare una cosa alquanto ridicola tutto il pudico imbarazzo che aveva provato fino a quel momento.
«Allora? Che stavate facendo qui?» ribadì il sannin, continuando a guardare alternatamente Jiro e Nohiro con occhio preoccupato e rimproverante. Proprio lo sguardo di un genitore, pensò il giovane dai capelli neri.
Jiro si passò la mano sulla nuca ed aprì la bocca per spiegare, con una faccia talmente titubante, quasi leggermente impicciata, che di sicuro non avrebbe convinto nessuno. Addirittura nemmeno stava guardando suo padre negli occhi.
Così Nohiro si fece avanti, istintivamente e prontamente. «Niente, Jiraiya-sama» lo rassicurò con tono tranquillo. «Sono solo caduti i rotoli a terra». E accennò con la testa a tutti i libri sul pavimento, stringendosi poi nelle spalle, come a togliere qualunque responsabilità da lui e dal ragazzo lì di fianco.
Nohiro sentii immediatamente uno sfarfallio all’altezza dello stomaco, assolutamente convinto che gli si leggesse stampata in fronte la parola “bugia”. Strinse le labbra e spostò gli occhi ambrati da quelli neri dell’eremita dei rospi, assolutamente consapevole di essere incapace di reggerne lo sguardo.
Ma, a dispetto della sua agitazione, Jiraiya parve rilassarsi, sgonfiando un po’ il petto dal fiato che aveva trattenuto.
Sempre con le sopracciglia aggrottate, spostò gli occhi su Jiro. «Adesso esco. Vado un momento al Consiglio, tornerò verso sera, va bene?».
«Okay» annuì il ragazzo, tenendo un braccio appoggiato sul tavolo con nonchalance e continuando ad appoggiare le dita sulla base del collo. Per fortuna suo padre non poteva capirne il perché.
Con questo Jiraiya si legò meglio in vita il corto kimono verde oliva che indossava e si girò verso l’ingresso alla sua destra. «A dopo» li salutò entrambi, con tono neutro.
«Ciao pa’».
«Arrivederci, Jiraiya-sama».
Nohiro aspettò di sentire il suono della porta dell’ingresso che si apriva e si chiudeva con uno scatto. Probabilmente il sannin leggendario avrebbe salutato Jiro con un’aria un po’ più allegra, considerò, ma visto che c’era anche lui si era tenuto su un’espressione atona. Forse per evitare di guardarlo con quel solito, amaro risentimento.
Jiro, al suo fianco, sospirò di sollievo per aver evitato per un pelo quella fastidiosa figuretta che aveva rischiato. «Kami-sama, che male…» si lamentò, spostando il tavolo alla sua posizione originale e iniziando a raccogliere i rotoli con una smorfia dipinta in viso.
Nohiro lo guardò fare, ripensando, nel frattempo, alla frase che gli era salita miracolosamente alle labbra quando l’eremita dei rospi era entrato in cucina. Non avrebbe mai sperato che sarebbe riuscito ad essere abbastanza convincente, sufficientemente rilassato e credibile… né aveva mai creduto di poter sparare una bufala così all’improvviso, senza pensarci, di fare tutto in modo così naturale.
Il ragazzo sorrise fra sé, senza nemmeno sentire le frasi che borbottava Jiro. Ringraziò mentalmente questa sua sconosciuta dote, che in quel momento gli era stata veramente, ma veramente utile, come un’improvvisa manna dal cielo.
Si voltò allora verso il compagno di squadra, più rilassato e disteso.
Jiro aveva impilato di nuovo tutti i rotoli e i libri e si preparava a sollevarli per portarli in un'altra stanza. «Adesso il salotto è nostro!» esordì, come qualcuno che ha finalmente fra le mani un’ambita preda.
Il ragazzo dai capelli bianchi traballò fuori dalla cucina, mantenendo la pila in un precario equilibrio. Nohiro lo seguì nel corridoio, ora sentendosi molto più a suo agio, in parte perché l’atmosfera tesa dell’inizio era in buona parte sparita, di sicuro anche grazie a quella “scenetta” di poco prima, in parte forse perché adesso sapeva che il padre di Jiro era uscito.
Dal corridoio, Jiro camminò fino a due porte, una di fronte all’altra, ed aprì quella a sinistra abbassando la maniglia con un’acrobatica mossa del ginocchio ed un’espressione concentrata per non far franare in terra la catasta di rotoli.
Nohiro lo guardò con un sopracciglio inarcato: avrebbe potuto chiedere a lui di aprire invece di complicarsi la vita con intricate mosse d’aerobica, no?
Con uno sbuffo Jiro aprì finalmente la porta e sparì nel luminoso salotto.
Appena Nohiro entrò, pensò una sola cosa su quella sala, pensiero che, forse, si poteva adattare all’intera casa: quella stanza sarebbe potuta essere ordinata.
Ma, evidentemente, né Jiro né suo padre erano capaci di mantenerla tale.
Saltavano subito all’occhio la grande libreria attaccata alla parete, straripante di rotoli, libri, foglietti, soprammobili di ogni foggia, foto ed altri oggetti di utilizzo non ben identificato, fra i quali Nohiro individuò una buffa tazzina a forma di ranocchia affiancata alla foto incorniciata di un bambino coi capelli bianchi, piuttosto paffuto e con espressione imbronciata.
Doveva essere per forza Jiro.
Guardandolo in quello scatto e confrontando quel bimbo pienotto e paffutello con il ragazzo che ora posava per terra i rotoli, al giovane dai capelli neri sfuggì un sorriso. Il compagno di squadra era cambiato enormemente, col tempo… non c’era più nessuna traccia in Jiro di quel bambino leggermente sovrappeso. Adesso il giovane dai capelli bianchi era talmente maturato fisicamente da sembrare più grande della sua reale età. Mentre Nohiro si accorse che lui, al contrario, sembrava più piccolo. Il pensiero gli fece aggrottare involontariamente le sopracciglia nere e sottili.
Jiro, in quel momento, si stirò la schiena con un mugolio. «Kami, quanto pesano».
Nohiro accennò un mezzo sorriso, ma senza troppa convinzione. Spostò subito dopo gli occhi paglierini sul resto della stanza: prima sulle finestre, tappate da tende di raso giallo che coprivano tutta la parete opposta alla porta; un involontario collegamento mentale gli ricordò le finestre delle classi di scuola.
Infine il ragazzino osservò il basso tavolo e i tre divani che lo circondavano, più o meno nel centro della stanza, rivolti verso un televisore incassato nella libreria. Quei divani, due rossi ed uno marrone, ed il tavolo di legno di ciliegio intarsiato erano l’unico mobilio abbastanza pregiato in tutte le stanza che per ora il ragazzo aveva visto. In effetti Jiro, o anche Jiraiya-sama, parevano pienamente soddisfatti di avere oggetti che rientravano nella normalità quotidiana, e nulla di troppo sfarzoso o eccessivamente di lusso.
«Ehi, che stai a fare lì impalato?».
Nohiro, al suono di quella voce, si scosse improvvisamente dalla sua esplorazione visiva del salotto.
Jiro, con le mani appoggiate sui fianchi, lo stava guardando con un sopracciglio inarcato e un’espressione che stava fra la confusione e il disappunto.
Il giovane dai capelli neri sentì la consueta vergogna fargli infiammare le guance pallide. Sapeva che non stava facendo proprio nulla di cui sentirsi imbarazzati, ma la sensazione di essere in errore non riusciva a scrollarsela di dosso in nessun modo. «N-nulla, arrivo subito» balbettò, avvicinandosi ai divani e passando fra di essi per sedersi.
«Non inciampare sui rotoli, perché io non ti prendo» lo ammonì Jiro mentre si sedeva all’angolo di uno dei due divani rossi.
Nohiro, piazzandosi a sua volta sull’angolo di quello marrone centrale, aggrottò un poco le sopracciglia. «Ma…» obbiettò. «Sei tu che sei inciampato, Jiro!».
Il compagno di squadra non cambiò espressione. «Il senso è quello» ribatté, alzando il mento con una sorta di altezzosità.
Nohiro restò a guardarlo a bocca aperta. Ecco, quello era uno dei momenti in cui gli sarebbe piaciuto mandare in barba il suo imbarazzo e rispondergli come si deve.
Oh insomma, non era lui quello che non aveva i riflessi per restare in piedi!
Strinse forte le labbra e fece un respiro per bloccare sul nascere quel suo impulso, mentre il compagno di squadra si toglieva le ciabatte e restava in calzini, per poi spaparanzarsi sul sofà rosso e iniziare a frugare svogliatamente nella montagna di rotoli sul tavolino. Anche Nohiro vagliò le possibilità che gli si presentavano e infine scelse quello che riconobbe per uno dei rotoli dell’Accademia. Una ripassatina alla teoria di base non poteva che fargli bene.
Nello stesso istante in cui in cui il giovane dai capelli neri afferrava il libro Jiro desisté con uno sbuffo.
Nohiro lo guardò un attimo con disappunto: possibile che quel ragazzo non avesse mai voglia di studiare un po’?
Entrambi quindi si appoggiarono allo schienale del divano, l’uno fissando svogliatamente il soffitto, l’altro con il rotolo posato sulle ginocchia.
Nohiro, lentamente, si rilassò contro i cuscini morbidi e imbottiti. Fece un respiro profondo, che suonò terribilmente rumoroso nella stanza silenziosa. Pian piano, però, qualunque tensione sparì del tutto.
La stanza illuminata dalla luce calda che filtrava dalle tende, quel divano così confortevole da fargli venire voglia di rannicchiarcisi dentro, ed anche quelle nozioni così familiari sulle jutsu lo stavano tranquillizzando.
L’espressione sul suo viso diafano si fece concentrata ed i tratti assunsero quella piattezza che ogni tanto rendeva il suo volto una maschera inespressiva. I suoi occhi di serpente casualmente si sollevarono dalle righe che leggeva e che ormai quasi conosceva a memoria, e guardarono verso l’altro giovane dai capelli color platino.
Jiro aveva le braccia incrociate dietro la testa, le gambe piegate coi piedi posati sul bordo del divano e stava osservando il soffitto con espressione annoiata.
Nohiro lo fissò con un sopracciglio inarcato. «Non leggi?» chiese alla fine, leggermente infastidito da quell’immobilità dell’altro.
Il figlio dell’eremita dei rospi emise un lamento che stava fra il fastidio e la stanchezza. «Nngh…». Si stiracchiò leggermente. «Nah… aspetto Mayumi» disse con un tono abbastanza lagnante.
Al sentire pronunciare il nome della compagna, Nohiro si riempì per un attimo la testa dell’immagine di lei, poi, accorgendosi del fatto che aveva trattenuto il respiro, buttò fuori l’aria e annuì verso l’altro ragazzo.
«Oh». Un monosillabo abbastanza inutile pronunciato giusto per il bisogno di far vedere che aveva ascoltato.
Quindi il pallido giovane tornò a concentrarsi sul rotolo sulle sue ginocchia.
O meglio, provò a farlo.
Adesso che si era deconcentrato dallo studio non riusciva in nessun modo ad evitare di lanciare qualche sguardo nervoso verso il compagno di squadra, che a quanto pareva non sembrava disturbato da quell’imbarazzante silenzio.
Al contrario di Nohiro.
Il ragazzo trovava quella pausa e l’ostentata indifferenza di Jiro, ora impegnato a guardarsi le unghie e mordersi il labbro, odiosamente opprimenti e logoranti. Giusto per peggiorare le cose il giovane dai capelli bianchi sollevò gli occhi acquosi verso l’altro, fissandolo con aria perplessa. Nohiro, che in quel momento stava proprio guardando nella direzione del compagno, sgranò gli occhi avvampando e li abbassò subito dopo sul rotolo sopra le sue ginocchia.
Adesso quelle nozioni sulle evocazioni delle armi non riuscivano affatto a catturare la sua attenzione. Gli pareva piuttosto una serie sconclusionata di ideogrammi e immagini.
Restò immobile, completamente rosso, e impose con tutta la sua forza di volontà ai suoi occhi di non guardare verso l’altro.
Avvertì quella consueta, impellente sensazione di dire qualcosa, qualsiasi cosa pur di rompere quell’irritante silenzio.
Le pupille sottile iniziarono a scattare di qua e di la, irrequiete ed agitate, mentre, a quanto pareva, Jiro nemmeno si stava curando della situazione.
Doveva dire qualcosa. Ci voleva qualcosa di intelligente.
Avanti Nohiro, si disse, pensa qualcosa, una frase ad effetto, un commento acuto, qualcosa di intelligente…
Chiuse gli occhi, prese fiato e…
«Come va?!».
Jiro si voltò con un sobbalzò verso di lui, con un sopracciglio inarcato. «Non serve che urli, eh!».
Nohiro trattenne il respiro. «Ho… ho urlato?». Il ragazzo dai capelli neri, che stava riprendendo il suo normale colorito bianco, tornò immediatamente paonazzo.
Il ragazzo dai capelli bianchi corrugò la fronte, si sporse un poco verso il compagno di squadra, e annuì lentamente con la testa un paio di volte. «E comunque come pensi possa stare dopo aver beccato una testata contro il tavolo?» replicò subito dopo con tono alquanto acido. Ma, fortunatamente, senza accennare all’altra parte dell’”incidente”.
Nohiro deglutì. «Non parlavo di quello…» ribatté quindi.
L’altro si rilassò contro il divano rosso e si grattò il mento con una mano. «Oh… beh, va bene». Gli comparve sulle labbra un sorrisetto. «Xiaoyu mi ha chiesto di uscire con lei, e mi sto divertendo a tenerla un po’ sulle spine… E’ la quinta volta, questa settimana, che me lo domanda» continuò con un enorme sorrisone ad illuminargli la faccia.
La perplessità sostituì l’imbarazzo sul viso di Nohiro. «Ma… l’altra settimana ti sei fermato a pranzare con Kanaria alla fine della nostra missione» osservò il giovane con un sottile sopracciglio aggrottato. «Chi fine ha fatto lei?» domandò senza sapere che davvero voleva conoscere la risposta. C’era il rischio di restare scioccati.
Jiro si strinse nelle spalle e disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «Ci sto ancora assieme».
Il ragazzo dai capelli neri lo fissò con espressione interdetta negli occhi paglierini. «E allora perché dai false speranze a quella povera ragazza?».
«Non do false speranze» rispose l’altro, vagamente offeso. «Semplicemente esco con tutte e due in contemporanea».
Nohiro rimase ammutolito, esterrefatto da quelle razza di tresche amorose del compagno di squadra.
Non credeva che lui sarebbe mai stato in grado di giocare a quel modo, e con quella faccia tosta, coi sentimenti di due ragazze, per giunta in contemporanea. Sempre se di due si trattava.
Anche se, pensando molto più realisticamente, lui non avrebbe mai avuto due ragazze che gli andavano dietro così assiduamente. Non era mai successa una cosa simile e mai sarebbe avvenuta; forse era per quell’assoluta inesperienza che si imbarazzava così facilmente.
In realtà l’unica ragazza che gli interessava che si accorgesse di lui, nonostante fosse sempre gentilissima, nonostante gli rivolgesse sempre sorrisi meravigliosi, non pareva assolutamente interessata, o proprio non notava quanto lui la desiderasse.
Per un attimo Nohiro cercò di togliersi quell’argomento dalla testa, ma l’attimo dopo si voltò verso Jiro, spinto dalla sua curiosità proprio come una calamita attira il metallo. «Ma l’una sa dell’altra?».
Ormai, come risposta, si aspettava qualunque cosa.
Il giovane dai capelli bianchi gli si rivolse con un mezzo sorriso saputo e divertito. «Guarda che quando dico contem…».
Driiin!
Il suono squillante del campanello risuonò nel corridoio e vibrò nell’aria luminosa del salotto.
I due ragazzi, interrotti nel bel mezzo del discorso, fermarono ogni movimento, leggermente colti alla sprovvista.
Poi Jiro si alzò dal divano di pelle rossa con un mugolio annoiato. «Aspetta un momento…».
Si avviò verso il corridoio con la bocca arricciata senza guardare nemmeno di strisco il suo pallido ospite.
«Questo, è mio padre che si è scordato qualcosa…» disse mentre spariva fuori dal salotto.
Nohiro si sporse in avanti, seguendolo con le pupille finché non uscì dal suo campo visivo, e probabilmente rimuginando su chi sarebbe apparso di lì a poco. Se era davvero l’onorevole Jiraiya era sicuro che non sarebbe riuscito ad essere abbastanza spudorato da reggerne le occhiate come se nulla fosse, dopo avergli mentito sulla caduta sua e di Jiro. E avergli mentito con tale disinvoltura, per di più, come se fosse stata proprio una cosa da nulla e a cui non dar peso.
Ma se era qualcun altro…
Nel frattempo Jiro arrivò all’ingresso, sbloccò il chiavistello e aprì la porta.
Al che sorrise spontaneamente. «…o è Mayumi che è appena arrivata».
La ragazza, con uno yukata verde e giallo su pantaloni neri, sorrise a sua volta. «Scusa il piccolo ritardo».
Jiro osservò lo zaino che aveva in spalla e i rotoli che portava sotto il braccio.
«Prego, mia fujin» la invitò ad entrare, spostandosi teatralmente dall’entrata con uno scherzoso sorriso malizioso per farla passare.
Mayumi entrò con un sospiro di rassegnata indulgenza che faceva ogniqualvolta lui la chiamava “fujin”, “signorina”.
«La finirai, una volta o l’altra, Jiro?».
Il ragazzo ridacchiò. «Quando mi si sarà seccata la lingua la finirò di sicuro».
Infine la porta del numero dodici si chiuse sulla seconda traversa illuminata dal sole d’ottobre.








-------------------------------




Ci sono. Non sono morta.
Probabilmente la maggior parte di voi mi ha creduta tale, ma sono sempre qui… e state tranquilli che presto o tardi l’aggiornamento di questa storia arriverà SEMPRE. E’ una promessa, questa.
Peraltro credevo che con l’estate avrei avuto molto più tempo per scrivere rispetto a quando c’era al scuola, e invece si è rivelato tutto il contrario.

Comunque… Nemmeno in questo capitolo succede qualcosa di così eclatante (a parte il primo tumultuoso bacio di Nohiro XD). Come vedete dovrete aspettare ancora un pochetto per l’esamuccio dei Chunin, ma spero comunque che questi capitoli di intermezzo non vi annoino o vi deludano.
Credo che le yaoiste siano particolarmente felici di questo capitolo, per quelli che invece aborriscono lo yaoi si possono tranquillizzare vedendo che non appare fra gli avvertimenti della storia, ergo questo è un episodio sporadico che serviva solo a calmare il mio ego femminile. XD Per chiunque resti fedele alla JiroNor… si dovrà accontentare. XD
In quanto all’Aburame incontrato per strada, beh, forse si può vagamente notare che si tratta di Shino. XP Non conosco alla precisione il suo vestiario quindi ho tirato un po’ a caso lasciando all’immaginazione di quelli che leggono la voglia di indovinare l’identità del misterioso personaggio (peccato che vi ho già detto io chi è -__-).
Riguardo a questo capitolo non credo di aver null’altro da dire. ^^

Ringraziamenti per le recensioni:

Ametista, credo che mi ucciderai per questo stratosferico ritardo… ma in compenso è arrivato il bacetto che desideravi tanto! Ti avevo promesso che presto o tardi un bacio fra due personaggi ci sarebbe stato… e infatti eccolo qui. In ogni caso se controlli nella tua mail con cui sei iscritta ad EFP dovresti trovare una sorpresina… ovvero la JiroNor originale che ti avevo accennato. XP Spero sul serio che tu gradisca anche questo capitolo sedici!
Talpina Pensierosa, ovviamente sono felicissima che tu mi recensisca ogni volta! E sono contenta anche che il capitolo sia stato di tuo gradimento. XD Sai, devo dire che non avrei mai creduto che l’aggettivo più ricorrente usato per definire Nohiro fosse “puccioso”, considerate le parentele. XD
Killkenny, grazie per il tuo commento, come sempre. Adesso che so come fai a dare i tuoi voti mi sento realizzata. XD In ogni caso, come vedi, Jiraiya non ha infierito più di tanto… In realtà credo che dovrei fare una scena con quei due a tu per tu, qualcosa di un pochino più ungo di questi incontri sporadici che hanno… forse avrei potuto inserirla proprio in questo capitolo ma poi mi sono detta che i tempi ancora non erano maturi per questo. XP
Lilithkyubi, le tue recensioni sono sempre stupende! Ti capisco perfettamente quando dici che la scuola è peggio di un vampiro… si può vedere da questo ritardo di pubblicazione. Immaginavo che il capitolo precedente sarebbe stato apprezzato ancora di più che quelli “clou”, forse perché vedere i ninja nella vita “normale” non succede sempre, e quel cap in particolare avrebbe permesso di spiare Nor nella sua vita privata. Nel prossimo capitolo ci sarà il tanto agognato incontro con la cara Mayu… e ti potrai divertire, vedrai. XD Nel frattempo dai pure una controllatina alla tua mail con cui sei iscritta su questo sito… c’è un bel discorsetto sulla proposta del festival che mi hai fatto. :D
Immensi ringraziamenti a Tone (appena msn mi parte ti passo quel disegno!) e Chary che stanno leggendo tutto dall’inizio e mi recensiscono capitolo per capitolo!

Ringraziamenti per “Nijuu Rokugatsu - Venti Giugno” la mia ff per il compleanno di Sakon e Ukon:

Sweet Tenten, grazie per il commentino, mi ha fatto un enorme piacere vedere che la fic è stata apprezzata! In effetti Sakon ed Ukon sono dei personaggi un po’ tralasciati, e del loro passato non si sa praticamente nulla… è per questo che li ho trovati così intriganti!
Chary, non farmi troppe lusinghe, la ff è stata ispirata dalla tua quindi è già una buona cosa che sia sembrata una specie di plagio! Sono contenta che sia venuta così scorrevole, perché il “particolare” stile di scrittura mi aveva fatto sembrare che fosse troppo pesante da seguire, con tutte quelle metafore! Grazie per la recensione tessò! *-*

Altro ringraziamento per “Yoru no Nikami – Notte di due Dei”:

Chary, eh visto, apro un altro spazietto solo per te. XD Ti volevo ringraziare per aver recensito anche quest’altra one-shot. Mi fa piacere che riesca a trasmettere emozioni, visto che tutte le volte temo che la scrittura non trasmetta niente. Grazie infinite per la recensione!

Grazie a tutti quanti e al prossimo capitolo! :D

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Studio, timidezza, figuracce ***


-17-
Studio, timidezza, figuracce



«Oh, ciao Nor».
Nohiro smise di fissare imbambolato l’angelica apparizione che sostava sulla soglia del salotto.
«Ero preoccupata, credevo che non avresti visto il biglietto che ti avevo lasciato» continuò Mayumi con quel suo tono di voce così cristallino, mentre posava sul divano il capiente zaino che aveva portato con sé.
Nohiro fu preceduto da Jiro in qualunque risposta: ci metteva sempre troppo a formulare dei pensieri sensati da poter pronunciare poi ad alta voce, quando si trattava di iniziare una conversazione con Mayumi.
«Oh, tranquilla, come vedi non si è scordato di venire» fu sarcasticamente rassicurata la ragazza da Jiro. «E’ arrivato persino un quarto d’ora prima».
E mi sarei anche potuto risparmiare di farlo, pensò Nohiro sfiorandosi eloquentemente le labbra con le dita. Gli facevano ancora un po’ male e prevedeva che il giorno dopo sia lui che il compagno di squadra avrebbero avuto la bocca alquanto gonfia per l’accidentale contusione di poco prima.
Il ragazzo dai capelli corvini rilassò la schiena contro il divano mentre Jiro riprendeva posizione su quello rosso.
«Avete già iniziato?» domandò Mayumi, posando le mani sul tavolinetto contrale, proprio davanti a Nohiro.
«Stavamo cominciando adesso…» le spiegò il pallido giovane, con un tono di voce quasi timoroso, come se faticasse a rivolgerle la parola. Cosa che non era poi così lontana dalla verità.
In ogni caso era più corretto dire che lui stava iniziando, perché Jiro era rimasto immobile a perdere tempo, più o meno come stava facendo adesso, incassato fra i cuscini della poltrona.
«Perfetto» esordì allora Mayumi, facendo immediatamente distogliere Nohiro dai suoi ragionamenti.
La ragazza riavviò dietro l’orecchio un boccolo ribelle e si sistemò il coprifronte, portato come una passata. Quindi pescò con sicurezza un rotolo dal mucchio sul tavolino.
«I Genjutsu sono fondamentali per un Chunin… sono praticamente sicura che ci saranno nell’esame di selezione».
Nohiro la guardò in silenzio mentre girava attorno al tavolo ed identificò il rotolo come un trattato relativamente semplice sulle arti illusorie.
Jiro, allora, vedendo che Mayumi intendeva prendere posto a sua volta sul divano, spostò un cuscino per fare posto alla vecchia amica. Ma, forse perché non ci fece caso o forse proprio deliberatamente, la bionda passò dall’altro lato del basso tavolino.
E si accomodò di fianco a Nohiro.
Il ragazzo si irrigidì, mentre un brivido lo percorreva dalle dita dei piedi fino alla punta dei suoi lunghi capelli. Scorse immediatamente con gli occhi paglierini l’espressione contrariata sul viso di Jiro. Forse si era irritato… ma ora, al pallido giovane, gliene poteva importare meno di nulla. Anzi, provava una sorta di presuntuosa soddisfazione per essere stato preferito al compagno di squadra, nonostante Jiro fosse il migliore amico di Mayumi da lungo tempo e lui solo un ragazzino nemmeno troppo attraente con cui era capitata in squadra seguendo una graduatoria d’esame.
Comunque ora era sicuro che non si sarebbe mai pentito di esser venuto lì a passare quel pomeriggio con il suo Team. L’unica controindicazione era che stava già iniziando a sentire caldo al viso.
Jiro spostò improvvisamente gli occhi neri sul compagno di squadra, ed il pallido ragazzo ebbe un piccolo sobbalzo davanti a quei due pozzi penetranti. Il compagno di squadra sembrava veramente infastidito.
Ma Nohiro, con una sorta di perfido compiacimento, arrivò a ricambiare con ostinatezza quell’occhiata come mai aveva fatto prima, dicendogli e dicendosi con il pensiero che poteva guardare quanto voleva, tanto Mayumi restava comunque seduta a fianco a lui. Un attimo dopo rabbrividì di inquietudine, incredulo davanti ai pensieri e agli atteggiamenti che era riuscito a tenere non appena aveva lasciato un solo spiraglio a quella pericolosa gelosia e presunzione che covava chissà dove nella sua anima.
Da un po’ di tempo in alcuni momenti, si accorse con apprensione, non si riconosceva più nei propri comportamenti.
Jiro, forse arrendendosi davanti all’evidenza, riprese la stessa posizione di prima, non senza storcere il naso, come se avesse appena sentito un cattivo odore. «Mayu, ma te sai già quali sono le prove dell’esame?».
Lei, srotolando il testo che aveva davanti e passando l’estremità destra a Nohiro, che la prese lesto senza guardarla negli occhi, guardò il giovane dai capelli bianchi con ovvietà.
«Certo che no, Jiro!» esclamò. «Tutti fanno le loro congetture e girano anche parecchie voci… ma le prove sono completamente segrete» proseguì, quasi sorpresa di quel quesito. «Perché hai pensato che io le conoscessi?».
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Boh, non saprei… Visto che sei sempre a prendere lezioni dalla Godaime, immaginavo che ti fosse arrivato qualcosa alle orecchie».
«La Quinta Hokage non ha mica così poca serietà» ribatté lei, aggrottando le sopracciglia bionde.
Le labbra di Jiro si incresparono subito in un sorrisetto saputo. «Beh, se si sta ad ascoltare mio padre…».
Ma Mayumi non lo lasciò finire, scattando subito in contrattacco. «Oh, Jiro, per favore! Prendi un rotolo bianco e pennello e inchiostro, piuttosto!».
Lui rise davanti alla reazione della ragazza, ma ignorò quel che gli aveva detto di fare.
A quanto pareva aveva già riacquistato il buon umore. Gli era bastato scambiare due parole con lei per togliersi da dosso quell’aria offesa e tornare allegro come al solito.
Nohiro ascoltò quell’ordinaria conversazione fra i due, quello scambio di battute che avveniva similmente anche durante qualche missione, e sentì un calderone di pensieri ed emozioni ribollirgli dentro.
Semplicemente lui ancora non era capace di rapportarsi a quel modo spensierato con gli altri due. A dispetto di quanto bene collaboravano durante qualche incarico o piccolo combattimento, ancora non riusciva a sentirsi pienamente parte di quella squadra. E ciò gli procurava un amaro vuoto all’altezza dello stomaco, una sorda tristezza che gli si rifletteva negli occhi di serpe e nel viso diafano. La sera, le volte in cui cenava da solo in casa, continuava a pensare e pensare… e più ci pensava più diventava doloroso e difficile da accettare.
E inoltre non riusciva a fermare quelle fitte di gelosia assassina per il rapporto che c’era fra quei due. Desiderava con tutte le sue forze poterlo condividere, almeno un po’. Poter ridere con loro e fare qualche battuta, poter ricevere quegli scherzosi rimproveri di Mayumi… dividere con lei perlomeno questo, anche se non era quello che più bramava.
Oppure scherzare un po’ con Jiro, e stare ad ascoltare tutte quelle chiacchiere inutili che sfornava ogni volta, senza che quello strano rapporto che aveva con lui andasse a salti come adesso, ogni tanto un sorriso, ogni tanto un desolante litigio, o la più assoluta indifferenza.
«Mayu, ma bisogna per forza fare questa roba?».
Nohiro sobbalzò alla voce di Jiro. Tutti quei funesti e logoranti pensieri l’avevano fatto estraniare dalla realtà. Non osava nemmeno immaginare che strana espressione persa doveva aver avuto sul viso.
Mayumi, quando ancora Jiro non aveva smesso di porre la sua lagnosa domanda, assunse un cipiglio ammonitore. «Si, Jiro» scandì severa.
Il ragazzo sbuffò; il fatto che fosse arrivata l’amica in realtà non aveva cambiato molto le cose e lui restava il solito incontentabile svogliato, mantenendo proprio quell’atteggiamento che l’aveva spedito ultimo nell’esame dell’Accademia. Era titanica l’impresa di fargli capire che per le selezioni dei Chunin la questione era radicalmente diversa.
Ma Mayumi era disposta ad usare le maniere forti per quelle occasioni, e, siccome non era una persona violenta ma al contrario troppo buona per darle di santa ragione a quello scansafatiche come si sarebbe meritato, le sue “maniere forti” consistevano in altro. In altro che, probabilmente, quando si trattava di Jiro, era ancora più efficace.
La bionda incrociò le braccia e inspirò profondamente, assumendo un’espressione risoluta e severa che Nohiro, di fianco a lei, aveva visto poche volte sul suo bel viso angelico e che arrivò a paragonare ad una pentola a pressione che sta per scoppiare.
«Jiro, se non la finisci di lamentarti e di fare di tutto per non studiare, dico a Tsubasa che sei uscito con Xiaoyu» lo minacciò la giovane con espressione di sfida.
Jiro sbarrò gli occhi, ma non fu l’unico: Nohiro si voltò verso la compagna, sconcertato dalla nuova rivelazione. Jiro quindi era impegnato su ben tre fronti. Lui proprio non riusciva a capacitarsi di come facesse a tenere a bada quelle forze della natura; a lui una sola da rimirare e sognare bastava e avanzava.
Spostò gli occhi paglierini verso Jiro, il quale era saltato in piedi.
«No, non lo fare!» strillò con faccia terrorizzata. «E poi io non sono ancora uscito con Xiaoyu» ribatté poi con risentimento, cercando in ogni modo di girare attorno all’evidentemente catastrofica situazione che si era figurato.
Mayumi ridimensionò il discorso. «Allora le dico che hai intenzione di accettare la proposta. E non provare a negare che è così» lo ammonì con tono sicuro; lo conosceva troppo bene per lasciargli accidentalmente vie d’uscita.
Nohiro rimembrò l’Accademia fino a visualizzare la faccia sempre accigliata e litigiosa, incorniciata dal caschetto nero, di Xiaoyu. Poi accoppiò quel bel caratterino a quello di Tsubasa.
In effetti il risultato prometteva di essere peggio di una calamità naturale, tanto Tsubasa era gelosa del suo Jiro. Alcune volte l’aveva vista lanciare occhiate folgoranti persino a Mayumi, che era solo la migliore amica del giovane dai capelli bianchi, cosa che, peraltro, aveva indotto Nohiro a reazioni iperprotettive verso la compagna e altre di pura antipatia e insofferenza verso la Nara.
Dopo un continuo fissarsi con Mayumi, Jiro si arrese con uno sbuffo. «Che palle, Mayu. Lo sai che la teoria non mi riesce».
La ragazza sorrise fra sé con soddisfazione, accompagnata da un ghignetto divertito di Nohiro, e si sistemò meglio sul divano di pelle, andando involontariamente a sfiorare il gomito del giovane accomodato di fianco a lei. Il ragazzo le lanciò un’occhiata lesta, con un principio di battito cardiaco accellerato.
«Non ti riesce perché non la studi, Jiro» ribatté la kunoichi, facendo vibrare la voce limpida. «Ed è per questo motivo che ora siamo qui a ripassarla insieme».
Poi prese un respiro e osservò il rotolo che aveva sulle gambe, calandosi perfettamente nel ruolo di una maestrina.
«Dunque…» attaccò, interrompendo il silenzio fastidioso che appesantiva l’atmosfera luminosa della sala. «Un Genjutsu è uno sconvolgimento sul flusso del chakra di un ninja e agisce…?». Lasciò la frase in sospeso alzando gli occhi sui due ragazzi nell’aspettativa della risposta.
Nohiro completò la definizione automaticamente, con allenata rapidità. «Sui cinque sensi».
Mayumi annuì e proseguì a leggere dal testo. «Il modo per contrastare un Genjutsu, poiché questo ha effetto sull’organismo tramite le correnti di chakra che lo percorrono, è quello di…?».
Facile; tutte cose estremamente semplici.
Nohiro rispose di nuovo con una stretta di spalle: su quella roba nemmeno doveva pensarci su. «Interrompere o interferire con quelle medesime correnti».
Il suo tono cominciava ad essere accademico e sofisticato, le sue risposte non avevano più un’aria colloquiale né venivano farcite da qualche balbettamento. Tutto ciò che conosceva come le sue tasche, in cui, quindi, rientravano anche e soprattutto le nozioni sulle tecniche, aveva il potere di tranquillizzarlo, calandolo in un mondo ai suoi occhi più amabile e bendisposto nei suoi confronti.
«Va bene» concordò Mayumi, consultando il rotolo per l’ennesima volta alla ricerca di domande a cui avrebbe potuto sottoporre ai due compagni.
Gli occhi individuarono una riga fra le altre e lì si fermarono. «I tipi di Genjutsu sono…?».
Nohiro reagì meccanicamente, come se ormai fossero d’accordo che ad ogni domanda presentata lui fosse stato presente solo per risponderle.
«Esiste l’alterazione delle percezioni, l’alterazione delle intenzioni, le visioni realistiche o trappole, le visioni irrea…».
«Si, ma voi due ve la intendete per conto vostro!».
Nohiro interruppe immediatamente il suo elenco e si voltò verso Jiro che, scocciato, pareva voler folgorare qualcosa, o forse qualcuno, con il solo sguardo. Aveva le braccia incrociate e fissava lui e Mayumi con un cipiglio offeso. «Io queste cose non le so!» protestò, offeso e tenuto in disparte.
Nohiro, come persona che si era sempre fatta i fatti propri, un po’ per obbligo di condizioni un po’ per scelta, era a dir poco irritato da quel modo di fare piuttosto egocentrico del compagno, che il pallido giovane aveva sintetizzato nella massima “io sono così e voi dovete comportavi di conseguenza”.
Così, spinto da chissà quale forza, decise per una volta di esprimere a voce alta il suo personale e a suo avviso più ovvio punto di vista. «Jiro, se ci ascolti impari».
Il compagno lo fissò come se gli avesse appena offeso la famiglia con tutti gli antenati. Non era abituato, era evidente, al fatto che Nohiro gli rispondesse a tono, mentre, al contrario, era abituato che il pallido ragazzo lo lasciasse parlare come più gli piaceva, restando chiuso in un docile, per quanto indignato, silenzio.
Ma era effettivamente da un po’ di mesi che le cose erano cambiate e, se l’uno acquistava man mano un po’ di sicurezza, l’altro sempre più finiva per irritarsi, sempre più seccato. Al che Mayumi intervenne provvidenzialmente, avendo individuato i sintomi del cattivo umore e della conseguente lunga sfuriata. «Jiro, ripassiamo la teoria di base delle arti illusorie apposta per questo; per imparare quel che non sappiamo e non trovarci in svantaggio durante l’esame» disse, con quel suo tono delicato e ragionevole. «Almeno ci possiamo preparare».
Furbamente e intelligentemente, la ragazza aveva usato la prima persona plurale, includendo tutti e tre nel discorso per non tirare solo l’amico in causa. Nohiro sapeva di non aver bisogno di un ripasso dei Genjutsu e che l’unico a cui serviva una rilettura della teoria era Jiro, ma era conscio che quello stratagemma era perfetto per richiamare un animo di gruppo da individui diversi. Stesse difficoltà, più affiatamento. Lo faceva sempre anche Naruto-sensei quando faceva qualche discorso strategico, se quella del Jonin si poteva chiamare vera strategia: parlava al plurale e il team si sentiva un tutt’uno. Inoltre, forse il sensei non era uno stratega, ma aveva carisma da vendere e le sue parole avevano ancora più effetto sui tre Genin, ed il ragazzo dai capelli neri se n’era accorto ben presto. Si era accorto che, se qualche volta era riuscito a sentirsi in complice sintonia con i suoi due compagni di squadra, era anche e soprattutto grazie a Naruto.
Jiro, però, fisso l’amica con occhio velenoso. «Questa robetta è universalmente riconosciuta come “rottura di scatole”, Mayumi!» inveì, protendendosi in avanti.
Lei sospirò stancamente, mentre Nohiro, per fortuna, ebbe il buon senso di non immischiarsi ulteriormente nel dibattito.
La ragazza tentò coraggiosamente nel cercare di convincere Jiro a collaborare. «Se non sai la teoria, Jiro, come pensi di potertela cavare in combattimento? E’ inutile che ti impunti a dire che non hai voglia, lo sai!». Il suo tono di voce si era alzato e appariva decisamente più spazientito. «Abbiamo fatto questo discorso decine di volte, razza di testa dura!».
Nohiro si limitò a spostare le pupille sottili dal volto irritato di Jiro a quello ragionevolmente alterato di Mayumi. Lo sorprese e lo ammaliò una volta di più vedere come la sua compagna prendesse sempre le redini della situazione e sapesse, o perlomeno provasse, a dirigere gli altri verso le “cose giuste”, esattamente come una persona adulta e matura. Gli sarebbe piaciuto potersi riconoscere in simili comportamenti. Soprattutto gli sarebbe piaciuto superare alla svelta quei quasi quattordici anni che lo facevano rimuginare anche sulle questioni più stupide, lo facevano diventare permaloso e anche scontroso, aggettivi che, tempo prima, era sicuro non gli si sarebbero mai adattati tanto.
Mayumi, in quel momento, tornò all’attacco.
«Cosa speri di diventare se non impari queste cose? Vuoi restare Genin a vita, per caso?».
Ecco. Nohiro si voltò verso il ragazzo dai capelli bianchi trattenendo a stento un sorrisetto divertito a guardarne la reazione. Mayumi aveva decisamente punto sul vivo: tutto quell’orgoglio rendeva Jiro una persona alla lunga prevedibile.
«Certo che no!» esclamò infatti quest’ultimo con indignazione, esattamente come previsto.
La ragazza, avendo ormai imparato che quello era il tasto giusto su cui far leva, lo incalzò: «E quindi?».
Il giovane dai capelli bianchi restò zitto, scuro in volto, gli occhi profondi che ponderavano le possibilità. Come se ce ne fossero state tante. I compagni lo fissavano in attesa di un’eventuale illuminazione.
Finché, all’improvviso, si issò dal morbido divano.
Nohiro gli rivolse uno sguardo interrogativo e Jiro alzò la testa, senza contraccambiare. «Ora, però, facciamo a modo mio» esordì, puntando dritto verso la porta del salotto.
Nohiro aveva già visto l’espressione che tirava il volto dell’altro giovane e ormai l’associava automaticamente a qualche idea stramba che aveva iniziato a sfarfallare e ronzare nella mente del compagno. Era un’espressione che aveva notato anche innumerevoli volte sul viso tondo di Naruto-sensei.
In realtà, però, il pallido ragazzo non avrebbe dovuto preoccuparsi di questa fantomatica idea e di ciò in cui avrebbe potuto consistere, ma piuttosto di qualcos’altro. Purtroppo realizzò troppo tardi la prospettiva per poterlo fermare.
Jiro sparì oltre la soglia e Nohiro restò da solo nel salotto caldo. O meglio, fu lasciato in compagnia dell’unica persona con cui non sarebbe mai voluto restare solo in una stanza, non senza cedere a certi suoi impellenti istinti che da qualche mese a quella parte cominciavano lentamente a svegliarsi.
Si creò subito un pressante ed imbarazzante silenzio.
Scosso dall’inquietudine, si voltò pian piano verso Mayumi con un’espressione contratta sul volto divenuto cinereo. Prese due corti respiri imponendosi di non trattenere l’aria nei polmoni.
Ora la cosa più importante era dire qualcosa di sensato e senza urlare; possibilmente anche senza fare figuracce, le quali, ormai, collezionava similmente ai francobolli. I primi tempi, ricordava, le pessime ed imbarazzanti figure erano state molte di meno, ma ciò perché lui era sempre rimasto in silenzio e piuttosto in disparte, poi però erano aumentate a dismisura dal sofferto momento in cui aveva deciso di socializzare un po’ con la squadra.
Nohiro si ritrovò così a pensare freneticamente ad un argomento di discussione, sudando freddo e sperando con tutte le sue forze che Jiro si sbrigasse.
Se non altro Mayumi non lo sorvolava con gli occhi con aria indifferente come faceva l’altro giovane: le sue iridi celesti erano concentrate a scrutare la porta della sala. «Mi chiedo dove sia andato» affermò improvvisamente, accigliata.
Nohiro si impegnò nel cercare di sorriderle. «Ahm… Non saprei» si azzardò a risponderle, con la bocca a malapena piegata nell’imitazione mal riuscita di un sorrisetto timido. «Tu, dopotutto, lo conosci meglio di me…».
I suoi occhi paglierini saettavano incontrollati per il confortevole salotto alla ricerca di spunti di conversazione.
Sfiorò con veloci occhiate le tende gialle ed il sole d’ottobre che filtrava attraverso; no, parlare del tempo era banale e patetico. Scoccò uno sguardo sfuggevole al rotolo sulle ginocchia di lei; assolutamente no, conversare di tecniche era l’ultima cosa da fare, anche se era particolarmente ferrato nell’argomento. Non era aggiornato sui gossip quindi anche quelli erano da scartare.
Inspirò, iniziando ad incidere la carta con le unghie.
Poi ebbe il lampo di genio. Si ricordò che interessarsi cortesemente agli altri risulta sempre piacevole per l’interlocutore. Piccola perla di saggezza di Iruka.
Prese fiato.
«Cosa fai stasera?».
Un momento dopo non poté credere di averlo detto davvero. Anche perché quello non era propriamente definibile come “interessarsi cortesemente al prossimo”. Di solito, a simili frasi, seguiva un “vuoi uscire con me?”. Oh, ma quello non l’avrebbe mai detto, un po’ per vergogna e per mancanza di coraggio, un po’ per terrore di un rifiuto; non l’avrebbe mai detto, a costo di tagliarsi la lingua perché non parlasse a sproposito.
Per fortuna, o per sfortuna, non servì infliggersi alcuna mutilazione alle corde vocali o simile. La risposta di Mayumi bastò a farlo desistere da qualunque invito.
«Resto qui a mangiare da Jiro».
La ragazza sorrise, assolutamente ignara del fatto che il giovane di fianco a lei si era irrigidito come uno stecco.
Nohiro si espresse in un monosillabico «Oh», ripetendosi svariate volte che non era affatto geloso.
Ma nel frattempo la sua testa fantasiosa e macchinosa gli inviò immagini di Mayumi che sedeva al tavolo col compagno di squadra, con l’onorevole Jiraiya e quindi anche con la madre di Jiro, e poi di questi ultimi che le ponevano affettuose domande sulla sua giornata, e infine lei che rideva e scherzava con Jiro… Senza nemmeno accorgersene, aveva serrato i denti come tenaglie. A salvarlo da quel corrosivo stato d’animo fu la sua irriverente curiosità e allenata memoria.
Inarcando un sopracciglio nero e sottile si figurò davanti la cucina che aveva visto appena entrato nella casa.
Quindi si voltò verso la ragazza accomodata compostamente al suo fianco con aria educata e riservata, sebbene ormai conoscesse quella casa tanto bene quanto conosceva la propria.
«Mayumi-chan…?» la chiamò timidamente, un poco confuso.
«Si?».
Ah, com’era cristallino quel “si”, com’era rilassante...
Nohiro si lanciò uno schiaffo mentale, imponendosi di non soffermarsi sul tono di voce di lei ma semplicemente sul significato di ciò che diceva. Non ti ha fatto una dichiarazione d’amore, si disse. Ti ha solo detto “si?”.
«Volevo chiederti…» riprese, facendo subito una piccola, incerta pausa. «Beh, dove mangiate stasera? Insomma, ho visto che al tavolo c’era solamente una sedia, senza neanche il posto per Jiraiya-sama e sua moglie».
La ragazza non esternò reazioni particolari. Però per Nohiro, che era un ottimo osservatore ben allenato, era avvenuto un piccolo cambiamento sul bel viso della compagna. Come una sorta di allarmata inquietudine, una velata ammonizione.
Stava quasi per rispondergli, ma fu interrotta inaspettatamente.
La voce di Jiro li richiamò verso la porta con tono scocciato e ovvio.
«C’è una sedia sola perché magari quella non è la sala da pranzo?».
Alla sua comparsa Nohiro sobbalzò mentre Mayumi parve rilassarsi. Tese poi il collo per vedere che cosa avesse con sé. Non appena gli occhi celesti inquadrarono gli oggetti che Jiro teneva in mano si spalancarono, arrabbiati e increduli.
«Carte da gioco!?».












-----------------------------------------









Ovviamente ho avuto un ritardo pauroso. E ho anche diviso il capitolo originale a metà per poterlo postare prima e non lasciare tutto a stagnare.
Con tutti i contest a cui partecipo, con la prima liceo del classico che mi incasina, arrivo a casa che l’ultima cosa che ho voglia di fare è scrivere… o copiare il capitolo nuovo (perché è già tutto su carta, sì). In questo, come vedete, non c’è nulla di che, perché appunto, all’inizio, era attaccato al prossimo ed aveva un altro titolo oltre che più avvenimenti. Spero vi vada bene lo stesso. XP
Un ringraziamento a Berker per tutte le idee che mi ha dato e a July (Cira su EFP), la mia beta-schiavista nonché unica fan che conosca del JiroMayu con cui sproloquio costantemente di Nohiro e degli altri pampini.
Ultima nota: le nozioni sui Genjutsu sono inventate dalla sottoscritta per necessità.
P.S. Kishimoto mi copiaaa! o__o Non è giusto! Mi frega le idee! Mi plagia! … Si, ok, c’era prima lui, lo so… Però… certe cose (che ancora non ho scritto) io le avevo pensate prima che lui le scrivesse nel manga! Non è giusto! >__<
Bene, fine sclerata. Passiamo alle cose serie.

Ringraziamenti alle recensioni:

Talpina Pensierosa, ti ringrazio infinitamente! Sai, il fatto che mi recensisci sempre mi fa davvero contenta, anche se si tratta solamente di un solo complimento! E grazie per avermi citata sul forum!
Giodan, sono contenta che la storia ti sia piaciuta! Mi fa piacere che io sia riuscita a rivolgere la fic anche ad un pubblico maschile oltre che ad uno femminile (anche se, magari, in certi punti si nota che a scrivere è una femmina XD). In quanto alla madre di Jiro… qui c’è qualche accenno… e nel prossimo capitolo si scoprirà chi è, se tutto va bene! :D Per i combattimenti so che non sono così fantasiosi… Il giorno in cui riuscirò a scrivere i combattimenti come Kishimoto sarò la persona più felice della terra! ç_ç Per ora, purtroppo, mi devo accontentare. In ogni caso pero che la pecca non ti dia troppo fastidio e che continuerai a leggere! (Grazie anche per il giudizio positivo nella fic “Makoto – Verità”!).
Killkenny, ovviamente sei presente all’appello come tutte le volte! Grazie infinite per il dieci e in quanto al triangolo amoroso… Beh, chi vivrà vedrà. XD Non anticipo niente sulle coppie varie anche se, ovviamente, spero che le mie scelte personali siano gradite. In quanto alla storia “ciclica”… se ti riferivi al bacio, era stato fra Naruto e Sasuke, non fra Orochi e Jiraiya… ma potrei sempre sbagliarmi. XP
Jeenina, ti ringrazio per i complimenti mentre sul triangolo non mi pronuncio. XD Come con Killkenny, cucio la mia boccuccia e lascio solo le supposizioni! XD
Ametista, potrei anche prometterti di non ritardare più, ma non so quanto terrei fede. XD Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo (dove, purtroppo, non ci sono baci clandestini fra Jiro e Nohiro XD). Non uccidermi per questi ritardi! Credo (spero) che da adesso farò più alla svelta… e forse, tra un po’, riprenderò la pubblicazione bi-settimanale. :D

Un grazie a Tone che mi legge pian piano e a tutti quelli che hanno la fic nei preferiti anche se non recensiscono!

Annuncio:

Accetto di scrivere fanfic su richiesta. XP Sì, proprio perché non so che fare.
E… ho pubblicato una nuova long-fic che aggiornerò quando avrà tempo (il capitolo uno non è il massimo, ma si riprenderà poi) ed una one-shot che è arrivata terza al concorso sui Crack Pairing di Miya86. :D Se volete dateci un’occhiata!

Vi saluto al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** --- ***


Il qui presente è un capitoletto di avviso, che comunque toglierò tra un giorno o due. Mi sono documentata nel regolamento e, siccome è un bel po' che non aggiorno, il capitolo di avviso è concesso. Nel caso di dubbi controllate pure nelle regole del forum.

Avviso la gentile clientela che questo enorme ritardo è giustificato da un mio blocco, ma che sto comunque scrivendo il capitolo 18 della fic e lo avrete sicuramente, prima o poi.
Come ho sempre scritto, non interromperò mai e poi mai questa fic. °*° Se volete sapere a che punto sono, certe volte metto avvisi nelle mie altre fanfiction che pubblico, e tra poco inserirò una nuova shot, dove vi dirò a che punto sto col 18.

A presto a tutti i miei lettori e recensitori!
Vi adoroH!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=202922