Una tempesta di stelle

di Aine Walsh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Primo flashback ***
Capitolo 3: *** Seconda parte ***
Capitolo 4: *** Secondo flashback ***
Capitolo 5: *** Terza parte ***
Capitolo 6: *** Terzo flashback ***
Capitolo 7: *** Quarta parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Una tempesta di stelle

 
1. Prima parte
 

31/12/2015
 

 
La stazione non è particolarmente gremita di gente oggi e noi pochi presenti possiamo benissimo contarci sulle dita di una sola mano; ci siamo solamente io, un vecchio sonnacchioso seduto su una panca e una madre con un irrequieto bambino sugli otto anni. Del resto è da folli decidere di passare la vigilia di Capodanno in un cittadina piccola e quasi monotona nella sua tranquillità come High Wycombe. Io sono qui perché disperato e bisognoso di starmene per conto mio, anche se, in effetti, non starò da solo per tutto il tempo.
Mi volto e guardo fuori dalla finestra per un po’: nevica ancora, va avanti così da due giorni e il meteo afferma che inizieremo l’anno nuovo sepolti sotto uno spesso strato di neve. A essere sincero non mi importa più di tanto perché ho intenzione di barricarmi in casa e non uscire per nessuna ragione al mondo. Non sono tornato perché in vacanza, sono tornato perché necessito di riflettere e schiarirmi le idee. Resto così, ad osservare i fiocchi scendere e addensarsi al suolo fino a quando lo stridere delle ruote del treno non mi fa girare dalla parte opposta. Anche all’interno i passeggeri sembrano davvero pochi.
Il cuore inizia a martellarmi velocemente nel petto e non riesco più a stare fermo, tanto che prendo a dondolare avanti e indietro come un emerito idiota. È da poco più di due anni che non ci vediamo e so di non essermi comportato nel migliore dei modi nei suoi confronti, ma nonostante ciò lei non ha esitato a corrermi incontro alla prima telefonata. Non mi trovo affatto in una bella situazione, insomma.
Avanzo e mi capita  per caso di vederla seduta nel suo scompartimento. Si guarda intorno e, quando i suoi occhi incontrano i miei, alza una mano e mi saluta timidamente. Poi si alza, afferra la valigia e si immette nel corridoio; pochi istanti e me la ritrovo davanti. Sorrido e la abbraccio, sono eccitato come un bambino e felice già alla sola idea di poter trascorrere due giorni insieme. Ricambia la stretta con lo stesso affetto di sempre e il suo respiro caldo sul mio collo mi provoca un brivido lungo la schiena.
«Sei un idiota.» Dice con convinzione.
«Lo so.»
«E me la pagherai.»
«Lo sospettavo.»
«Sto morendo di freddo.»
«Lo sento, sei gelata. Andiamo a casa.» Rispondo prendendo la sua valigia e incamminandomi verso l’uscita. «Hai fatto un buon viaggio?»
«Più o meno. Odio i ritardi e odio ancora di più i treni, ma per fortuna ero sola e quindi ho potuto leggere in santa pace.»
«Ti riempi ancora la testa di cazzate?» La prendo in giro.
«E tu fingi ancora di essere coglione? Oh, scusa, lo sei davvero.»
«Mi sei mancata.» Ridacchio mentre le tengo aperta la porta a vetri per farla passare. Non immagina nemmeno quanto abbia risentito della sua assenza, forse anche più di quanto io stesso avessi pensato e me ne rendo conto solo adesso che cammina al mio fianco, come ai vecchi tempi.
«Tu no. – ride anche lei, ma poi si blocca – Quanta neve è caduta?»
«Tanta e pare che ne avremo ancora per un po’. È da due giorni che va avanti così e non smette se non per due o tre ore al massimo.»
«È bellissima.» Commenta.
Mi volto a guardare il suo profilo: è anche più bella di quanto ricordassi, come ho fatto ad essere così cieco negli ultimi anni? Ha tagliato i capelli rispetto all’ultima volta che ci siamo visti e adesso i boccoli color sabbia le ricadono morbidamente sulle spalle, come il giorno in cui ci siamo conosciuti. Ha le guance arrossate per il freddo e gli occhi ambrati scintillano felici per lo spettacolo che si trovano davanti.
«La neve a Glasgow non è la stessa cosa, vero?»
«No, direi proprio di no. Qui è sempre più bella.»
«Questo è uno dei motivi per cui dovresti restare.» Mormoro senza nemmeno rendermene conto.
Heaven alza un sopracciglio e mi guarda. «E gli altri quali sarebbero?» Incalza con la sua tipica curiosità.
Merda, ci sono dentro fino al collo e ho fatto tutto da solo in meno di quindici secondi. Questo è uno di quei momenti in cui fare il mio mestiere può essere davvero utile, anche se non mi piace per niente recitare nella vita di tutti i giorni.
«Beh, – inizio agitando la mano libera – qui ci sono tutte le persone che conosci e che ti vogliono bene, ci sono le Chilterns, c’è la cioccolata calda con i marshmallows di zia Rose nei giorni di pioggia… mi sembrano motivi molto più che validi, no?»
Mi prende la valigia dalla mano e aspetta che io abbia aperto il cofano prima di sistemarcela dentro. Sospira lievemente, condensando appena l’aria intorno al suo viso, poi sale in macchina e allaccia la cintura. «Non posso credere che tu stia facendo atti di convincimento usando le colline, sul serio.»
Accendo il motore e faccio spallucce. «Hai sempre adorato quel posto.»
«Sì, ma non è una motivazione sufficiente, quindi non provare a giustificarti. E gli amici… ormai sono andati via tutti, lo sai.»
«Tutti tranne uno: – sghignazzo – Peter è ancora qui e ti aspetta a braccia aperte. L’ho incontrato l’altro giorno e mi ha chiesto di te.»
«Dio, Peter Hewitt no! È da quando ho messo piede qui per la prima volta che mi corre dietro!» Piagnucola esasperata.
«Ma perché non cedi alle sue avances? Ti ama alla follia e non è neppure così male… se escludi la faccia da scemo che si ritrova, la colonia di pustole sulla fronte e la ciccetta che gli protegge gli addominali scolpiti…»
«Aaron, sei simpatico come uno spillo conficcato nella pianta del piede.» Ride, subito dopo avermi mollato una gomitata tra le costole, però. «Cazzo, no…» Sussurra flebilmente.
«Che è successo?»
«Non gli avrai mica detto che sono qui, vero?»
Approfitto del semaforo rosso per guardarla bene in viso: è improvvisamente sbiancata come un lenzuolo. Meglio non scherzarci sopra visto che ho già tanto da farmi perdonare. «Ti sembro uno che fa queste cose?»
«Hai fatto tante scemenze in questi venticinque anni, chi sa più dove puoi arrivare?»
«La ringrazio infinitamente, signorina McCarthy. È bello sapere che i tuoi amici hanno una gran considerazione di te»
«Non provare a fare l’offeso con me, sai? – dice scombinandomi i capelli – Qui se c’è qualcuno che può offendersi sono io, non ti pare? Ma non lo sto facendo e non ne ho intenzione, quindi non ti autorizzo a comportarti così.»
«Mi ero dimenticato che fossi tanto autoritaria.» Ammetto.
«Non per niente a Glasgow mi chiamano Capitano. – uno sbadiglio la interrompe – Quanto manca? Sono esausta.»
«Non molto, anche se a questo punto dovrei avvisare zia Rose e dirle che non passiamo dalla caffetteria…» La informo, fingendo indifferenza.
«Perché conosci tutti i miei punti deboli, Johnson, perché?»

 You're the Origin of Love!

Uhm, cos'è questa storia?
E' un piccolo sclero nato la scorsa notte mentre osservavo il fuoco scoppiettare nel camino, sì. In effetti, era già da parecchi mesi che cercavo idee per scrivere qualcosina su Aaron...
Comunque sia, ho alcune cose da dire e credo sia meglio che le elenchi per cercare di non dimenticarle (vecchiaia portami via! LoL)...
  1. Questa non sarà una fan fiction molto lunga: saranno sei capitoli di lunghezza variabile, ma non credo che supererò le venti pagine
  2. Avete fatto caso alla data? Questo capitolo è ambientato nel 2015...
  3. Mmm, e penso sia tutto. Vedrò di aggiornare presto, possibilmente questa stessa settimana, e spero che qualcuno apprezzi questo sclero-lampo...
    Augurandovi un buon 2O13 e ringraziandovi per essere passati di qui,

    A.





     

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Capitolo 2
*** Primo flashback ***


 2. Primo flashback
 

09/11/1999

 
La mensa era gremita di gente, come al solito, e bambini e bambine, ragazzini e ragazzine, ragazzi e ragazze di ogni età riempivano i tanti tavoli che non sembravano però mai essere sufficienti a raccogliere tutti gli studenti della prestigiosa Jackie Palmer School.  Aaron e Billy, il biondino troppo alto per i suoi nove anni e al tempo migliore amico del bambino con gli occhi azzurri, erano in coda e attendevano più o meno pazientemente il loro turno, discutendo per decidere quando vedersi ed iniziare il loro ambizioso progetto di costruire una casa sull’albero, proprio nel cortile di casa Johnson.
«Possiamo iniziare domani, dopo la scuola».
«Non lo so, – rispose Aaron – mio papà è fuori città per adesso ed io non ce la faccio senza di lui… noi non ce la facciamo senza di lui».
«Io forse potrei arrivarci» obbiettò l’altro bambino.
«Sì, e poi chi ti passa i legni e gli attrezzi?».
Billy convenne nel fatto che l’amico avesse ragione e i due decisero di rimandare fino a quando non avrebbero trovato un adulto che potesse aiutarli. Quando riuscirono ad assicurarsi la loro razione quotidiana di cibo (che quel giorno consisteva in hamburger) si fermarono al centro della sala e si guardarono intorno, cercando con gli occhi un tavolo libero da poter occupare. Niente da fare, i minuti passavano e nessuno accennava a voler cedere il posto a due scriccioli sconosciuti. Spesso molti studenti degli ultimi anni preferivano pranzare fuori, in cortile, ma la sfortuna volle che quel giorno piovesse e che tutti fossero costretti a rimanere dentro. Mentre aspettavano, Aaron non aveva potuto fare a meno di notare una bambina seduta tutta sola in un angolo della mensa. Mangiava lentamente e non alzava mai lo sguardo dal vassoio, come fosse intimidita dall’ambiente che la circondava. Il ragazzino giurò di non averla mai vista prima ma, nonostante ciò, quella figurina quasi invisibile tra tutti gli altri lo incuriosì molto, tanto da chiedere all’amico di prendere posto accanto a lei.
«Lì? Ma quella è nuova e dicono anche sia mezza svitata» rispose Billy, quasi con sdegno.
«Chi l’ha detto?».
«Sandy».
Aaron annuì poco convinto; Sandy non era esattamente quel tipo di bambina gentile e cordiale con tutti e sputava spesso fango sulla gente senza nemmeno conoscerla. Una piccola serpe che sarebbe andata peggiorando con la crescita, per farla in breve. Il giovane Johnson rivolse una veloce occhiata al suo compagno e disse: «A me non sembra… e poi, se è nuova, non la conosce ancora nessuno. Beh, fa’ come vuoi: io ho fame, voglio mangiare e lì c’è un posto vuoto che magari riesco ad occupare. Ci vediamo dopo».
Avanzò velocemente tra i tavoli, ma la sconosciuta non si accorse della sua presenza e Aaron (imbarazzato e senza sapere cosa fare, in un primo momento) si risolse nel tossicchiare appena per essere notato. Funzionò e la ragazzina alzò timidamente lo sguardo, rivelando due grandi occhi color ambra.
«Ciao» salutò gentilmente lui.
«…Ciao».
«E’ occupato questo posto?».
La moretta indugiò per un attimo sul viso di quel socievole estraneo che le stava rivolgendo la parola, indecisa sul da farsi. Si guardò intorno e spostò la sedia come per fare posto. «No, certo» farfugliò a bassa voce.
Il ricciolino sorrise ampiamente e le si sedette vicino. «Io sono Aaron, piacere».
«Heaven» si presentò quella, stringendo la mano che le veniva offerta.
«Sei nuova?».
«Sì, mi sono trasferita da quasi due settimane».
«Ed è il tuo primo giorno qui?».
«No, il terzo».
Calò il silenzio e la situazione diventò imbarazzante anche per due ragazzi di nemmeno dieci anni. Aaron capì di trovarsi a parlare con una persona abbastanza timida che aveva bisogno di domande per essere stimolata a conversare; e così riprovò. «Dove abitavi prima?».
«A Liverpool».
«Liverpool, la città dei Beatles!» esclamò sinceramente sorpreso.
Quel tono stupì anche Heaven, i cui occhi brillarono eccitati. «Tu conosci i Beatles?» domandò subito, con la voce più alta di un’ottava.
Johnson annuì sorridendo: quello era proprio un buon inizio.

All I wanna do is make you happy (No, a me non piace Mika...)

Rieccomi con un altro capitolo!
Non ho molto da dire, avevo già scritto che saranno tutti capitoli brevi, ma spero vi piaccia c:
Magari adesso vi starete chiedendo cosa ho intenzione di fare con questa fic... beh, lo vedrete, non vi accenno nulla ;)
Grazie ancora,

A.

P.S.: Non so se davvero Aaron sia fan dei Beatles... ma io li amo e volevo omaggiarli xD





  

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Capitolo 3
*** Seconda parte ***


3. Seconda parte
 
31/12/2015
 
«Eccoci arrivati» annuncio trionfante girando la chiave e spegnendo il motore.
«Una manovra degna della controfigura di Ryan Gosling in Driver».
Mi massaggio il mento, pensieroso. «Avrei preferito essere paragonato a Michael Schumacher» ammetto prima di aprire la portiera e scendere. 
«La modestia è sempre stata il tuo forte, Johnson».
Nevica ancora, ma non ci dispiace affatto camminare  lasciando che i fiocchi si posino sulle nostre teste e non ci affrettiamo più di tanto ad entrare nella caffetteria. Quando ci avviciniamo alla porta d’ingresso, posso scorgere l’interno del locale e mi accorgo che è stracolmo di gente.
«Uhm, pensi ci sia posto?».
«Beh, è di zia Rose che stiamo parlando, no? Non ci butterà mica  fuori, non l’ha mai fatto e non lo farà di certo oggi, dato che non ti facevi vedere in giro da un po’».
«Sarà» risponde scrollando le spalle.
Apro la porta ed entriamo, fermandoci però proprio davanti all’entrata. Ci saranno più o meno trenta gradi e, contrariamente a quanto avevo pensato osservando attraverso la finestra, il chiacchiericcio è sopportabile e non disturba. Heaven si guarda intorno, meravigliata, con la bocca appena dischiusa come faceva anche da bambina. «E’ tutto come lo ricordavo» sussurra  in un soffio.  La guardo e sorrido; istintivamente, lascio dondolare la mia mano avanti e indietro per sfiorare la sua e, quando sono lì lì per decidermi ad afferrarla, l’urlo di zia Rose mi ferma.
«Che mi venga un colpo, quella è Heaven McCarthy, la mia piccola Heaven McCarthy!» esclama poggiando il vassoio su un tavolo e correndo incontro  alla ragazza, che sorride tra il felice e l’imbarazzato.
«Ciao, zia» la saluta mentre si lascia stringere dalle sue braccia. Quando l’abbraccio viene sciolto, zia Rose prende Heaven per le mani e la scruta bene, facendole fare anche qualche piroetta su se stessa. Non posso fare a meno di ridere osservando la scena: questa donna ha sempre amato la sua banda di teppistelli e si è spesso comportata da madre nei nostri confronti, ma tutti sapevamo che aveva un debole per quello scricchiolino venuto dal Nord Inghilterra. Come darle torto, del resto?
«Eri così piccolina quando sei partita… e guardati adesso! Sei una donna grande e matura. Anche se…».
«Anche se?» domanda la ragazza.
«Sei pallida e praticamente pelle e ossa! Mangi, vero? Regolarmente, voglio dire. Non muori di fame, non sei anoressica, giusto? Ah, chissà cosa ti danno da mangiare, quegli scozzesi! – esclama la zia, gesticolando ampiamente – Su, sedetevi: ci penso io a voi».
Troviamo un tavolino in fondo, accanto alla finestra, e lo occupiamo senza smettere di ridere. «Anche lei non è cambiata» commenta Heaven tirando un po’ più su le maniche della felpa grigia che indossa.
La osservo meglio e accenno un sorriso. «Hey, ma quella è mia» dico indicandola.
Arrossisce e abbassa lo sguardo. «Sì» risponde sommessamente.
«Te l’ho prestata l’ultima volta che abbiamo… oh» mi zittisco di colpo. Stupido Aaron, stupidissimo. Oggi non ne combino proprio una giusta, a quanto pare. 
Restiamo in silenzio, lei ha gli occhi ancora abbassati a fissare il tavolo ed io non riesco a guardarla. Ci sono veramente tantissime cose che vorrei dirle, ma non posso farlo per adesso.
Per fortuna arriva la zia a toglierci da quest’imbarazzante situazione. «Ecco qui, caffè macchiato per Aaron e cioccolata alla cannella per Heaven… ti piace ancora, no?» domanda, esitante.
«Solo se la fai tu» risponde la McCarthy.
Il viso roseo della donna si illumina di felicità e, dopo aver poggiato sul tavolo un piatto colmo di biscotti di tutti i tipi, se ne va sussurrando qualcosa come i miei piccolini. Heaven ne afferra uno e lo inzuppa un po’ nella cioccolata fumante. L’intervento di zia Rose mi permette di poter dirottare la conversazione dove voglio e non perdo tempo a farmi venire in mente qualcos’altro. «Come va con la Compagnia?».
«Uhm, direi bene. Abbiamo da poco finito di mettere in scena La bisbetica domata di Shakespeare e dopo la pausa dovremmo concentrarci su altro… si vocifera che il direttore voglia assegnarci Grease. Ma ci pensi? Sarebbero tutte risate!».
«Oh, io verrei a vederti sicuramente. – annuisco eccessivamente – Le tue eccezionali doti canore devono essere apprezzate da tutti, non solo dalla tua doccia».
«Ah ah, quanto sei simpatico. Ricordati, bello mio, che prima di prendere le lezioni di canto che tanto ti servivano per Nowhere Boy anche tu eri nelle mie stesse condizioni».
«Può darsi».
«No, fidati, era così» conclude mordendo il biscotto.

Sitting in his Nowhere Land...

Non so voi, ma io amo quel film.
Aaron Johnson nei panni di John Lennon è qualcosa di incredibile (anche se gli occhi di John erano nocciola e non azzurro intenso, me pignola xD).
Ringrazio ancora chi segue questo piccolo folle progetto e vi auguro un buon proseguimento di serata (sì, su Canale 5 ._.).
A presto!

A.

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Capitolo 4
*** Secondo flashback ***


4. Secondo flashback
 

14/11/2008

 
La festa si stava rivelando un completo disastro ed Heaven era ansiosa di tornare a casa; peccato solo che Aaron, il suo unico passaggio, fosse di tutt’altra idea. Seduto comodamente sulla poltrona accanto alla finestra, Johnson non aveva fatto altro per tutta la serata che pomiciare e ridacchiare con Sandy Brown (sì, la stessa Sandy Brown biondina e scorbutica che conosceva dai tempi delle elementari), suscitando una strana rabbia che faceva ribollire le vene di Heaven.
Dal canto suo, la ragazza era stata impegnata per gran parte della serata ad evitare Tommy O’Connor e le sue stupide e rozze avances, chiedendo aiuto alla migliore amica che non riusciva a spiegarsi come si potessero rifiutare le attenzioni di uno dei ragazzi più fighi della scuola.
«Non è quello che cerco», aveva risposto semplicemente.
La casa era ormai svuotata di un gran numero di invitati e i pochi festaioli rimasti si strusciavano l’un l’altra oppure dormivano spalmati sui divani o sul tappeto, farneticando qualcosa in preda all’alcool.
Un vero schifo, insomma. Fu esattamente in quel momento che la ragazza capì di non volersi ridurre come quei poveri squinternati fuori di testa. Lei voleva fare qualcosa della sua vita e aveva già una mezza idea di ciò che sarebbe stato il futuro.
Lanciò un’occhiata all’orologio e sospirò: erano quasi le due di notte, un orario certamente poco ragionevole per tornare a casa da sola, ma tentare era sicuramente meglio che restare lì. E poi High Wycombie era un posto tranquillo e casa sua non distava molto. Oltre al fatto che quella specie di rave party aveva assorbito le energie di più della metà della nuova popolazione maschile, che adesso sonnecchiava da qualche parte, ancora ignara del forte mal di testa che l’avrebbe colta tra qualche ora.
Infilò il cappotto e si diresse verso il salone, stando attenta a non pestare qualcuno. La meravigliò trovare il festeggiato, Marcus Williams, russare a bocca spalancata e con la testa reclinata su un tavolino.
Aaron era ancora immobilizzato, inerme tra le grinfie di Sandy, e quasi non si rese conto che Heaven stesse andando via fino a quando questa non sbatté la porta alle sue spalle.
Il cielo era limpido e faceva molto freddo, ma la McCarthy era troppo arrabbiata per accorgersene.
Stupido Aaron, pensava, domani gliene dirò quattro! Sempre se tornerò a parlargli, visto come mi ha trattata stasera.
Era furiosa, amareggiata, delusa e… triste. E proprio questa tristezza la preoccupava, perché aveva paura di dover ammettere quello che sapeva già da un po’. Sbuffò, odiando profondamente le lacrime che le rigavano in silenzio le guance e pensando a quanto tutto fosse sbagliato. Se la prese persino con se stessa, maledicendosi per non essere stata abbastanza forte da evitare la cosa. Ma, del resto, che avrebbe potuto fare?
Percorse qualche metro così, camminando frettolosamente sotto le stelle e asciugandosi gli occhi umidi, fino a quando un bagliore non la raggiunse.
«Sali in macchina».
Per tutta risposta, Heaven accelerò ulteriormente il passo.
«Non dirmi che vuoi andare a casa da sola» ridacchiò.
«E anche se fosse?» sbraitò lei.
«Non te lo lascerei fare. Dai, sali».
«Non puoi impedirmelo».
«Sei sicura? Posso sempre scendere e prenderti con la forza, vedi».
La McCarthy si fermò e roteo gli occhi. «Senti Aaron, la tua compassione è l’ultima cosa che voglio ora».
«Non sono compassionevole, voglio solamente che tu salga perché si gela e ti sei appena ripresa da una brutta influenza. Contenta?».
«Da quando ti preoccupi così per me, eh?».
Il ragazzo la guardò interrogativo, sistemandosi di fronte a lei. «Che vuoi dire?».
Heaven sentì la rabbia impossessarsi del suo corpo e per poco non scoppiò ad urlare; faceva lo stupido o lo era davvero?
«Beh, potresti andare da Sandy Brown, no? Sono sicura che lei saprà dirtelo».
Aaron sgranò gli occhi stupito, capendo quale fosse l’origine del problema. Per un attimo la situazione gli dispiacque, ma poi iniziò a ridere senza neanche sapere bene il perché. «Sandy? E cosa vuoi che me ne faccia di una come Sandy?».
«Non ho avuto l’impressione che vi steste annoiando, strano».
«Ma dai, l’ho sempre detestata e lo sai benissimo». Sospirò profondamente, vedendo l’espressione scettica dell’amica e continuò: «Suo padre ha agganci con il cinema. Pare che stiano cercando qualcuno di abbastanza giovane per un film… ancora non so bene di che si tratta, ma sembra sia qualcosa di grosso».
Heaven stentò a crederci. Davvero era arrivato a questo? «Per quanto mi costi dirlo, odio il pensiero che tu possa sfruttare Sandy per arrivare a suo padre e ottenere qualche ingaggio. Sono schifata, Johnson».
«No, no! – esclamò lui agitando le braccia in aria – Non saltare a conclusioni affrettate! Io non sto sfruttando Sandy! Non ho mica intenzione di portarmela a letto! Non l’ho nemmeno mai baciata e non voglio farlo!».
«La stai illudendo, è lo stesso» rispose la ragazza, riprendendo a camminare.
«Okay, forse hai ragione, ma è il minimo che si merita dopo quello che ti ha fatto nel corso di tutti questi anni».
«Oh, ma che altruista».
«Un giorno mi ringrazierai. Tanto lo so che lo stai facendo già da ora».
E aveva indovinato; ma questo lei non glielo avrebbe mai detto.
«Non capisci dove sta il problema».
«Spiegamelo».
«Come se non ci arrivassi da solo! Non puoi andare in giro a mentire in questo modo, che ne dici?».
«Ma io non sto mentendo!».
«E allora cosa fai?».
«Sto… mettendo in pratica il frutto di anni di studi» azzardò e approfittò subito dell’attimo in cui Heaven si voltò a guardarlo per cimentarsi in una di quelle sue buffe espressioni che la facevano ridere tanto. E nonostante quel tumulto di sentimenti che la travolgeva, la ragazza non poté fare a meno di sorridere e lasciare che Aaron le asciugasse una lacrima alla base dell’occhio destro.
«Non voglio litigare e non voglio che tu mi menta» gli disse con un filo di voce mentre lui la abbracciava.
«Nemmeno io voglio litigare e non voglio che tu pensi cose di questo genere. Tu sei un caso a parte».
La ragazza sbuffò. «Lo dici come se fosse un pregio».
«Per me lo è» rispose, sollevandole appena il mento. Affondò i suoi occhi chiari in quelli ambra di lei, immaginando già cosa avrebbe dovuto (e voluto) fare e non perse un secondo di più nel metterlo in atto.
Quel bacio, così desiderato quanto inaspettato, per poco non fece scoppiare nel petto il cuore di Heaven, che s’imbarazzò nell’accorgersi che voleva quel contatto durasse un po’ di più.
«È un classico, no?», fu la prima cosa che riuscì a dirgli dopo che le loro labbra si fossero separate.
«Cosa?».
«La ragazza che si innamora del suo migliore amico».
«Può darsi. Anche il ragazzo che si innamora della sua migliore amica è un classico, però non vedo dove sia il problema» affermò sorridendo, proprio un attimo prima di tornare a baciarla.

When darkness falls and surronds you...

Sono un ritardo schifosissimo, I'm sorry ç_ç Spero che nel frattempo non vi siate dimenticate di questa umile storia ç_ç
In pratica, ho perso il file. Avevo altri due capitolo pronti, ma il file è misteriosamente evaporato ed ho dovuto ricominciare da capo.
Facile a dirsi, no?
No.
Perchè non ricordavo più un'acca di quello che avevo scritto e ho dovuto ricominciare da capo. Considerate però che sono stata letteralmente sommersa dalla scuola e dalle varie ondate di influenza -.-'
Quindi... uhm... spero che non abbiate intenzione di linciarmi e che questo capitoletto scritto di getto e appena sfornato (?) vi piaccia, anche se so che avrei potuto fare meglio.
Se poi volete proprio essere tanto gentili da volermi pure lasciare una recensione... Okay no, non voglio fare il mendicante xD
Vi mollo, augurandomi di poter buttare giù qualcos'altro durante le vacanze di Pasqua.
Grazie comunque :)

A.



 

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Capitolo 5
*** Terza parte ***


5. Terza parte
 

31/12/2015

 
Apro la porta e faccio un piccolo inchino. «Dopo di lei».
«Uh, che galanteria. Si vede che hai molto da farti perdonare».
«Oggi non me ne lasci passare una, eh?».
Alza le spalle e so che sorride, anche se non riesco a vederla.
«Non l’hai mai fatto, non vedo perché dovresti iniziare oggi». Poggio le chiavi sul bancone e lascio partire i messaggi della segreteria telefonica.  «Anche qui non è cambiato molto, quindi la camera degli ospiti e sempre lì dove sai tu. Se nel frattempo non l’hai dimenticato…».
«Ti credi ancora un ragazzo divertente».
«Faccio del mio meglio» replico, ma Heaven è già per le scale e dubito che mi senta. Mi sfilo il giubbotto ascoltando la voce registrata di mamma che mi dice che lei e papà arriveranno a Londra nel pomeriggio. Guardo l’orologio: sono le sei passate e mi sembra strano che non siano ancora qui.
Per un attimo penso che potrei darmi da fare per preparare qualcosa che possa anche lontanamente ricordare un bel cenone da ultimo dell’anno, così apro il frigo con le migliori intenzioni del mondo. Lo richiudo quasi subito.
«C’è qualcosa che posso fare?».
«A meno che tu non riesca a far apparire qualcosa di commestibile no, non c’è niente che puoi fare».
Heaven mi fissa ad occhi sbarrati. «Stai dicendo che…?».
«È colpa mia, ho dimenticato di fare la spesa». Mi imbarazza da morire ammetterlo, ma non viene in mente nessun’altra scusa ed è meglio optare per la verità.
«Ah. Hai dimenticato di fare la spesa. Affidabile».
«Ero su di giri e l’ho completamente rimosso dalla mente. Non vedevo l’ora di venirti a prendere, dovresti esserne felice».
Scuote velocemente la testa prima di voltarmi le spalle per dare un’occhiata dentro la dispensa, probabilmente imbarazzata. «Oh sì, felicissima. Dopo anni vengo invitata a trascorrere il Capodanno insieme ad una persona che non vedo da anni e quando arrivo scopro che mi finirà anche a digiuno. Hai ragione, sono proprio contenta».
No, non è imbarazzata: è stizzita. Ed io sto iniziando a rendermi conto solo adesso di aver combinato un gran casino.
«Va bene, sono un coglione, – tento di sorridere mentre mi avvicino – però sono un coglione che sa preparare una discreta pizza e che ricorda di aver visto la farina da qualche parte, ieri».
Heaven tira un profondo sospiro, poi toglie l’elastico dal polso e lega i capelli in una lunga coda. «E da quand’è che sapresti cucinare?».
«Da quando abbiamo scoperto che era l’unica cosa che riusciva a calmare Wylda, specie quando Sam doveva allontanarsi per lavoro». Cerco un po’ e alla fine riesco a trovare il sacchetto con la farina. «Non è molta, – osservo soppesandola – ma dovrebbe bastare per tutti».
«Adesso Wylda ha cinque anni, giusto?» domanda con voce pensierosa, guardandomi ma non vedendomi del tutto.
«Sì».
«E Romy ne ha tre».
«Quattro fra pochi giorni».
«Le vedi spesso?».
Poso la ciotola sul ripiano e rifletto sulla risposta. «Non spesso quanto vorrei, ma non posso lamentarmi. Di recente il mio avvocato è riuscito a farmi ottenere qualche permesso extra e non escludiamo che la situazione possa migliorare nel corso del prossimo anno».
Cala il silenzio, iniziamo a cucinare senza scambiarci una parola per un paio di minuti. Mi sento stranamente a disagio e continuo a lanciare occhiate brevi a Heaven per provare a capire cosa stia pensando, senza però riuscire ad arrivare ad alcuna conclusione.
«Non mi hai mai detto perché avete divorziato».
«Non me l’hai mai chiesto».
«È stata una scelta consenziente?».
«No… almeno non subito».
«Ti ha lasciato lei?».
Mi decido ad alzare il capo per guardarla, sperando invano che lei faccia altrettanto. «No».
«Okay» mormora quasi distrattamente, concentrata com’è (forse anche più del dovuto) nel tagliare la mozzarella.
Voglio darle delle spiegazioni, se non posso discuterne con lei non ne discuterò con nessun altro. Poggio una mano sulla sua e la fermo. «Non l’ho tradita».
«Non l’ho detto».
«L’hai pensato».
«No».
Si limita a dare risposte secche e lapidarie, ma non importa. Conoscendola, potrebbe non voler ascoltare la storia della fine del mio matrimonio perché non vuole che io possa soffrirne un’altra volta.
«Non l’ho tradita né fisicamente né in un nessun altro modo, è solamente finita. Da parte mia non c’era più niente, le volevo bene e non era affatto giusto nei suoi confronti e in quello delle nostre figlie».
«Tutto qui» dice prima che io possa aggiungere altro.
«Tutto qui? Non vuoi…?».
«Non ti ho chiesto io di cominciare».
Non mi piace quel tono acido che ha appena assunto, non mi piace per niente.
«Beh, hai detto di non aver mai saputo il motivo del mio divorzio e mi era sembrato che…».
«Ti era sembrato cosa? Perché dovrei essere interessata?».
«Se magari mi facessi completare almeno una frase, forse te lo spiegherei!» sbotto, non accorgendomi neanche di aver iniziato a urlare.
«Ruota tutto intorno a te, sei sempre stato così! Ci sei tu e solo tu, con i tuoi problemi e i tuoi casini! Anch’io sono incasinata, va bene? Non ho idea del perché sia qui, mi sono pentita di essere venuta non appena ho messo piede in quello schifo di stazione!».
«La porta è sempre aperta, se non vuoi restare non ti trattengo mica!».
Questo era il momento adatto per essere interrotto, dovevo essere fermato. Ma proprio questa volta Heaven ha deciso di farmi finire. Le parole sono appena scivolate fuori dalle mie labbra istintivamente, quasi come se a pronunciarle fosse stato qualcun altro.
Vedere i suoi occhi riempirsi subito di lacrime mi strazia.
«Fai bene. Ti ringrazio».
«Heaven no, aspetta».
Indietreggia. «Sai che c’è? C’è che da quando abbiamo rotto non abbiamo mai avuto alcun tipo di confronto. C’è stata una sfuriata pazzesca, ci siamo lasciati e poi abbiamo preteso di poter ricucire un rapporto che non c’è più, evitando accuratamente tutte quelle cose che ci stavano… scomode».
Ha ragione.
La porta si richiude cigolando e lei sparisce fuori, inghiottita dalla neve.

Our hopes and expectations, black holes and revelations...

Ma dire che faccio schifo è riduttivo, riduttivo forte ç_ç *Si prostra, chiede perdono, si fustiga, fa tutta una serie di mea culpa*
Mi dispiace veramente tanto, credetemi, ma ho avuto scarse idee, poco tempo e il classico "blocco" che mi faceva cancellare ogni benedetto rigo scritto.
E poi l'illuminazione è giunta la scorsa notte... e ci ho dato dentro. Considerate perciò che il capitolo è sempre stato scritto intorno alle due, ecco perchè non ha senso ._.
Va bene, okay, faccio una comunicazione di servizio e vado via: ricordate quando avevo detto che complessivamente avrei pubblicato 6 capitoli? Ecco, sono appena diventati 7 xD
E non so quando posterò i due che mancano alla fine, quindi... stay tuned!

E pregate per questa povera anima tormentata che fra 13 giorni inizierà gli esami, se vi va ç_ç
Baci,


A.


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Capitolo 6
*** Terzo flashback ***


6. Terzo flashback
 

24/05/2009

 
Faceva un caldo tremendo per essere solo Maggio, Heaven non riusciva più a sopportarlo.
Erano diventate parecchie le cose che la ragazza non riusciva ormai più a tollerare: la lontananza di Aaron, gli squilli a vuoto delle telefonate senza risposta ad Aaron, i “Ti prometto” e i “Credimi” di Aaron, l’essere sempre in ritardo su tutto di Aaron, perfino adesso che gli erano stati concessi tre giorni di riposo per tornare a casa e stare con lei.
Il sole bruciava all’orizzonte donando qualche sfumatura rossastra qua e là al Wye che scorreva tranquillo poco lontano dalla panca sulla quale Heaven era sdraiata, aspettando. Si sentiva esattamente come il sole, si sentiva bruciare, scoppiare. Per oltre un mese aveva creduto che il suo stato d’animo fosse dovuto all’assenza del suo ragazzo, ma pian piano l’angoscia si era trasformata in qualcosa di diverso, in qualcosa di più doloroso e devastante.
Perché aveva smesso di rispondere alle sue chiamate tanto da farle credere di non potergli parlare più di una volta al giorno? Perché non le aveva mai chiesto di accompagnarlo sul set? Perché aveva dovuto aspettare tre settimane prima di rivederlo e perché adesso lui era in ritardo?
Queste e altre domande le affollavano la mente, a queste e altre domande si riprometteva di dar voce non appena le fosse stato possibile, fallendo miseramente ogni volta. Bastava un abbraccio, un sorriso, uno sguardo perché lei dimenticasse tutto e si desse poi dell’idiota, nel buio della notte, quando restavano stretti l’uno all’altra dopo aver fatto l’amore.
Aaron sapeva sempre per quale verso prenderla, era inutile negarlo.
Ma stavolta no, stavolta avrebbe vuotato il sacco e gli avrebbe detto come stavano le cose e quello che pensava, si sarebbe una volta per tutte liberata di quel peso opprimente che le gravava sullo stomaco e avrebbe finalmente sentito smentite tutte le paranoie da stupida ragazzina gelosa che era diventata.
Sì, avrebbe fatto così. Tutto sarebbe andato meglio, dopo.
Completamente persa in questi pensieri, non si accorse nemmeno del rumore sempre più vicino di passi sulla ghiaia. Per poco non urlò trovandosi quegli occhioni azzurri a pochi centimetri dal suo viso.
«Non volevo spaventarti, scusa. – sussurrò dolcemente Aaron prima di stamparle un veloce bacio a fior di labbra – E non volevo nemmeno arrivare in ritardo ma, hey, guarda cosa ti ho portato».
Heaven si tirò a sedere e guardò il sacchetto penzolante dalle mani del ragazzo, sforzandosi di sorridere.
«Ciambelle; appena sfornate, per di più. Con i migliori saluti dello staff del North Star Cafè, ovviamente. A proposito, zia Rose dice di aver aggiunto un po’ di cannella nell’impasto, vuole sapere che ne pensi».
«Okay».
C’era qualcosa che non andava, Aaron l’aveva capito subito. Lo sospettava già da un po’, in effetti. Decise di fare una piccola prova per esserne certo passando il braccio intorno alle spalle della McCarthy, che rimase impassibile con gli occhi fissi sul fiume.
«Va tutto bene?».
Sì, no, sì, no, sì, no. No.
«Sì, tutto regolare».
«Non vuoi mangiare?».
«Non ho fame».
«Sei più magra. È vero che salti qualche pasto?».
Finalmente si volto a guardarlo: aveva gli occhi arrossati. Il ragazzo si sentì un tuffo al cuore.
«Non devi preoccuparti di questo».
«E invece sì» ribadì il Johnson. Ma quelle tre parole rimasero inascoltate e uno strano silenzio calò tra loro. Poi la ragazza sospirò, intenta a cominciare dalla prima delle cose che aveva da dirgli.
«Ti ricordi il provino che avevo fatto per la Juilliard?».
Aaron cercò di non rifletterci a lungo, ma non ricordava nessuna discussione che avesse a che fare con quella scuola. «Sì».
«Sono stata presa. Non te l’ho detto prima perché non mi andava di dirtelo per telefono e…» si fermò, sorridendo appena con gli occhi bassi.
Il ragazzo le strinse forte una mano e sorrise a cuore aperto, felice, felicissimo, abbassando di poco il capo per guardarla in viso. «È fantastico! È… è bellissimo, ti trasferirai completamente a Londra e quando io avrò finito le riprese potremmo…».
Heaven lo interruppe bruscamente, all’improvviso nervosa. «Londra?».
«Sì certo, Londra. Non ti conviene fare avanti e indietro da Wycombe, sarebbe meglio che tu trovassi un qualche posto lì».
«Aaron, a Londra c’è il RADA, non la Juillard».
Attimo di silenzio. Perplessità, panico forse.
«Aspetta, sto facendo confusione. Se il RADA è quella di Londra, allora la Juillard è quella di…».
«New York».

There's a hole in my soul, can you feel it? Can you feel it?

Vorrei consideraste il fatto che ho scritto questo capitolo di notte, immersa nell'oscurità, dopo aver rivisto Nowhere Boy su Rai3.
Quindi non ha senso, alèèè.
C'è un non so che di suspance che, boh, spero vi abbia messo un po' di curiosità. Ma se non ci sono riuscita, provvedo immediatamente.

Heaven sarà partita per New York? Aaron l'avrà lasciata fare? Cosa è successo dopo? Perchè hanno litigato? E faranno pace? Chiariranno prima dell'anno nuovo? 
Di queste e altre domande trovete la risposta nell'ultimo emozionante capitolo di Una Tempesta di Stelle!


...no, basta.
 Vi ringrazio per essere ancora qui, vado a fare gli orali lunedì mattina e torno più carica di prima <3

A.

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Capitolo 7
*** Quarta parte ***


7. Quarta parte
 

31/12/2015

 
Non ho voglia di mangiare e credo anche di aver bruciato quella specie di pizza. Poco importa. Non ho voglia di fare niente, in effetti.
Mi sento un completo coglione; dopo che Heaven è andata via sono rimasto a fissare la strada fuori dalla finestra per un po’, forse sperando di vederla ritornare.
Ha smesso di nevicare, si è fatto buio e il freddo fa appannare i vetri delle finestre. Guardo istintivamente l’appendiabiti e mi accorgo che non ha preso il giubbotto: devo portarglielo, in fondo sono sicuro di sapere dove sia andata.
Mi avvolgo una sciarpa intorno al collo e sono pronto ad andare, ma un pensiero mi blocca con la mano sulla maniglia. Cosa dovrei dirle? L’ho cacciata di casa nel più sgarbato dei modi. E comunque ha ragione: ci sono troppe cose rimaste in sospeso tra noi, cose che forse non siamo nemmeno in grado di risolvere, specie dopo aver lasciato passare così tanto tempo. Magari era questa la fine a cui eravamo da sempre destinati, magari non siamo davvero fatti l’uno per l’altra e ci siamo solo illusi.
Magari. Magari. Magari.
Mi ritrovo a passeggiare avanti e indietro per tutta la cucina.
Abbiamo sbagliato tante cose in passato, era inevitabile arrivare a questo punto. Ma nessuno dice che sia inevitabile continuare in questo modo, o sbaglio?
Mi fermo un attimo, prendendomi la testa tra le mani.
Non so che fare. Oppure sì, solo che non so come farlo e ho paura delle conseguenze. Una parte di me mi invita a riflettere meno e ad agire di più, affidandomi all’istinto; non se ascoltarla. L’istinto mi ha fregato parecchie volte prima d’oggi e non sono tanto convinto di potermi fidare. È anche vero che non sono più l’idiota di qualche anno fa, pare che la maturità si sia finalmente decisa a fare una visita anche me.
Respiro profondamente e mi ritrovo fuori casa prima di potermene rendere conto; sto già camminando verso il fiume, sotto la luce dei lampioni, con le scarpe che affondano nelle neve. Cerco di non pensare a nulla, provo a distrarmi concentrandomi su altro (un’auto che passa, l’odore di legna bruciata, l’aria festosa che si intravede da ogni finestra…), ma ogni tentativo si rivela vano non appena la vedo lì seduta a gambe incrociate come sempre, come l’ultima volta.
Non so cosa farò, non so da dove iniziare. Forse sapevo già che sarebbe andata a finire così e che questa non sarebbe stata una giornata come le altre, forse il mio invito non era stato del tutto all’oscuro di quest’aspetto.
La osservo un po’ da lontano, quasi nascosto dietro l’albero. Mi avvicino e le poggio il giubbotto sulle spalle gelide; non dice nulla e non mi guarda nemmeno, ma mi siedo ugualmente al suo fianco. Restiamo in silenzio per minuti interi e mi piacerebbe che sia lei la prima ad attaccare discorso, ma so che non lo farà. Tra i tanti modi per sopperire all’assenza di parole, però, non avrei potuto sceglierne uno più banale.
«Tra poco anche quest’anno sarà passato». Non batte neanche le palpebre. «Siamo già arrivati al 2016, pensa. Sembra che il 2015 sia arrivato solo l’altro ieri, non ti pare? E le cose vanno, nel bene o nel male. Assistiamo a così tanti cambiamenti in poco tempo che è incredibile come…».
«Lo stai dicendo alla persona giusta» mi interrompe. Non credo di averla mai vista tanto incazzata in tutto questi anni. Avrei dovuto aspettarmelo.
«Beh sì, è naturale» farfuglio.
Di nuovo silenzio; poi Heaven si alza e fa per andarsene, spiazzandomi.
«Dove pensi di…?».
«Preferirei passare la notte sul pavimento della stazione, piuttosto che restare qui con te».
«Quanto sei drastica».
«Non calarti nella parte del ragazzo tranquillo e scherzoso che non ha pensieri: mi stai più sui nervi».
Serro la mascella, sentendo come la situazione mi stia del tutto sfuggendo di mano. «Non possiamo solo provare a salvare il salvabile?».
«Salvare il salvabile?! Dio mio, Aaron, ti ascolti quando parli?!».
«No, perché ho così tanta confusione e tante cose da dire da non sapere più dove dovermi aggrappare».
Mi guarda un attimo con la bocca dischiusa. Sta facendo di tutto per apparire forte e senza esitazioni, ma vacilla. «Vai a lamentarti con qualcun altro. Oppure fai un tuffo: l’acqua dovrebbe rinfrescarti le idee».
O magari farmi congelare; ho la sensazione che stia più pensando a questo.
Attendo una sua reazione, ma non si muove di un millimetro e ha solo il respiro più accelerato.
«Senti, se è per quella volta, quando ti ho detto che potevi benissimo andare a studiare alla Juillard, io… io pensavo che ti avrebbe fatto piacere».
«Avevamo già parecchi problemi, non c’è bisogno di tirare in ballo la Juillard» taglia corto.
«D’accordo, ma credo che dovremo parlare anche di quello per…».
«Sta’ zitto! – sbotta – Ancora non capisci che quella era solo una bugia e io a New York non ho mai messo piede? Sono andata via, è vero, ma non ero certo in America». Sta piangendo, eppure non sono in grado di consolarla. Sto pensando ad altro. Scuote la testa, non so che dire. «Mi dispiace, va bene? Sono scappata come una codarda e meritavo di non essere cercata da parte tua. Ho preferito mentire e… È stata una cosa idiota, non avrei dovuto farla ma…» s’interrompe, non riesce più a fermare le lacrime.
Edimburgo, certo. Come ho fatto a non pensarci prima? Nessuno sapeva della sua vita a New York, tutti parlavano di lei solo in relazione della sua vita in Scozia. Il bello è che l’ho anche cercata, in un primo momento. Ma, evidentemente, ero troppo distratto e avevo gettato la spugna prima di accorgermene. Razza di idiota, quanti sbagli ho fatto?
Aspetto che si calmi e poi le passo il pacchetto di fazzolettini che avevo per caso trovato prima, infilando la mano nella tasca del giubbotto.
«Non avresti dovuto dirmi di andarmene».
«Lo so».
Asciuga appena gli occhi e stringe forte il fazzoletto bagno. «Eri già innamorato di Sam».
Sgrano gli occhi, improvvisamente nel panico e preso alla sprovvista. «Io cosa? No, no… non c’è…».
«Non è una domanda e non devi giustificarti, non dobbiamo neanche parlare di questo. È solo che…».
Mi prendo la testa tra le mani. Adesso sono io a interromperla. «Perché fingere una situazione del genere? Eri gelosa? Cos’eri? Era uno di quegli stupidi trucchetti femminili, eh?». Abbassa il capo e non risponde. «Scommetto che avrei dovuto dirti di non partire, di restare e di sacrificare il tuo futuro per un mio capriccio. Ovviamente non sapendo che si trattasse solo di una farsa».
Non so più che pensare, non so nemmeno se dover continuare a pensare, in effetti. Non credo valga la pena di portare avanti la questione, sono dell’idea di dover ripartire e riscrivere dall’inizio e lasciarci alle spalle tutto quello che è successo. Non mi importa quanto tempo ci vorrà, proverò. Proverò e spero che lei mi capisca. In fondo, ho sempre ritenuto egoisticamente di essere il solo a conoscerla veramente. E anche lei lo sa, me lo rinfacciava spesso.
«Bene» affermo, risoluto.
Sbuffa. «Proprio benissimo».
«Sì, direi che abbiamo fatto abbastanza errori da poter stendere un velo pietoso sulla questione e poter ricominciare da capo».
Mi fissa per un attimo, immaginando sicuramente che io mi sia bevuto il cervello. «Ricominciare? Come sarebbe a dire, che significa?».
«Beh, si ricomincia quando si decide di dare un nuovo inizio a qualcosa… il concetto è più o meno quello».
«So cosa vuol dire, idiota» sorride appena e a capo chino, tirando su col naso, ma sorride. Ed io mi sento un tuffo al cuore.
Le tendo una mano, sorridendo a mia volta. «Quindi affare fatto?».
Scuote la testa e alza il capo a guardare i primi fuochi d’artificio illuminare il cielo, al di là del fiume. Do un’occhiata all’orologio e vedo che è appena scoccata la mezzanotte.
Mi azzardo a passarle un braccio intorno alle spalle e a stringerla un po’ di più. «Buon anno nuovo» le sussurro all’orecchio.
Contro ogni aspettativa, fa un mezzo giro e mi abbraccia poggiando il capo sul mio petto. «Un giorno mi spiegherai come abbiamo fatto a uscire da questo casino perché, davvero, non lo capisco. Ero venuta qui con le migliori intenzioni del mondo, ma poi è scattato qualcosa e non ce l’ho fatta.  Adesso invece…».
«La forza dell’abitudine» mi limito a rispondere. In realtà non so nemmeno io come o cosa abbia fatto di preciso e sono molto più confuso di prima, però Heaven ride e va benissimo così.
«A questo punto… piacere, io sono Aaron».
«Heaven, il piacere è tutto mio».
Adesso possiamo fare sul serio.

The show must go on...

Anche se siamo arrivati alla fine. E che fine (?).
Non so cosa pensiate di questo finale, della storia in generale, dei protagonisti o di me, però, nel bene o nel male, questa fic è finita.
E il problema adesso è che io non sono affatto brava coi ringraziamenti, a-ehm.

Ci tengo tantissimo a dire un "Grazie" a tutti, a chi ha letto, preferito, ricordato, seguito e recensito, a chi è rimasto nell'ombra e a chi ha aspettato pazientemente che io pubblicassi :)
A prescindere dal risultato, mi sono divertita a scrivere anche questa storia... sebbene quest'ultimo capitolo mi abbia portato via non poche forze xD In più, sono contenta di aver contribuito a far aprire l'Aaron Johnson's fandom e, chissà, magari dopo aver visto anche Kick-Ass 2 questa sciagurata che sono potrebbe tornare all'attacco con qualcosa di nuovo...
Vi ringrazio ancora tanto, ma tanto tanto tanto per tutto il sostegno e le bellissime parole ;')
Buona estate.
Un abbraccione,

A. <3
 

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