Dimentica

di Nike93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nei silenzi - Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Passeggeri distratti - Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Il nodo - Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Dimentica - Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Epilogo - Superstiti ***



Capitolo 1
*** Nei silenzi - Capitolo uno ***


Ciao! Questa è la mia seconda long, la prima sui Tokio Hotel (che, per inciso, non mi appartengono). E’ ancora in fase di scrittura, anche se so già più o meno come si svilupperà. Non so quanto sarà lunga, ma sarà divisa in quattro o cinque parti, ognuna composta di un paio di capitoli e incentrata su una canzone di Raf (tutti i testi che leggerete, dunque, sono suoi). Il personaggio di Haylie, la protagonista, è frutto della mia fantasia, così come gli avvenimenti qui descritti. Con questo mio scritto non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di nessuno dei personaggi realmente esistenti, e la storia non è scritta a scopo di lucro.
Spero che sarà di vostro gradimento!

Vittoria

Parte I – Nei silenzi


Capitolo uno

“Scorrono morbide curve di una strada da percorrere
vanno via ruvidi giorni di un novembre senza nuvole
la rugiada è un velo di pellicole che avvolge luci
e prospettive surreali”

Il grande portone appena verniciato si chiuse con un tonfo sordo nello stesso momento in cui un piccolo sbuffo di fiato caldo andò ad insinuarsi nell’aria fredda di dicembre.
Lo sguardo di Haylie vagò un paio di volte da destra a sinistra, lasciando trasparire il lieve disagio che si era impadronito di lei non molti minuti addietro. Scrutò velocemente la strada di fronte a lei, quasi sollevata nel rendersi conto che non vi era una sola anima viva.

Chiuse gli occhi e sospirò profondamente, forse nel tentativo di riscaldarsi o, più probabilmente, di riordinare le idee.
Si sforzò di sorridere, e questo le venne molto più facile quando le parole che aveva sentito prima di scendere in strada presero il posto del timore, dell’assurda preoccupazione che provocava in lei il non sapere cosa avrebbe detto lui.

Si strinse nel vecchio cappotto che mai avrebbe fatto intendere quale fosse la sua professione e si decise ad attraversare, ben felice di poter lasciare i propri occhiali da sole in borsa. Non che ce ne fosse realmente bisogno –in quella mezz’ora non si era neanche accorta delle nuvole grigie che si erano condensate nel cielo fino a poco prima azzurro-, ma conosceva fin troppo bene la faccia di lui quando gli bloccavano la porta d’uscita se prima non si era nascosto dietro un paio di grandi occhiali scuri –troppo per il suo viso minuto- e sotto un brutto cappello recuperato da qualche armadio che di sicuro non era suo.
Sbuffava, alzava gli occhi al cielo, imprecava sottovoce. Ma poi si calcava il berretto sulla testa e metteva gli occhiali a posto sul naso, che quasi scompariva sotto le due grosse lenti.
Era un vero peccato, perché quegli occhiali andavano a nascondere proprio la parte più bella del suo viso.
I suoi occhi…
Occhi leggermente a mandorla.
Occhi dalle lunghe ciglia scure.
Occhi color del legno. Di un legno giovane, fresco, pulito.

Haylie s’infilò velocemente in macchina e rubò solo qualche secondo per darsi una rapida occhiata nello specchietto retrovisore, poi accese il motore e partì, senza fretta, con la sua solita calma.
Calma che calma non era.

Era buffo pensare che tutto il tempo che toglieva alla cura del proprio aspetto lo dedicava a quello degli altri.
Già, ma loro non erano “altri” qualsiasi… Haylie era ben felice di dedicare loro il proprio tempo.
Se non altro, era sicura che non fosse perso, quel tempo.
Nonostante l’agitazione, non riuscì a non sorridere tra sé.
Come poteva essere perso, il tempo che passava con lui? Certo, non c’era solo lui… Ma, in certi momenti, era come se lo fosse.
Con il tempo aveva imparato a stare anche con gli altri, ma all’inizio non c’era stato che lui.
Lui che esigeva più tempo e cura degli altri, lui che sembrava vivere in una dimensione tutta sua, lui che invece era stato il primo ad accoglierla e con il tempo l’aveva inserita nel gruppo.


Per Haylie era un po’ triste non poter vedere fino in fondo il frutto del proprio lavoro, ma la sua natura mite, come al solito, aveva prevalso sulla parte di lei che avrebbe voluto protestare.
Però era ingiusto che, dopo aver passato ore a scegliere, provare e scartare vestiti non potesse assistere al servizio fotografico.
Era anche vero che lui le aveva detto di non amare particolarmente quei servizi… Meno gente c’era, meglio era. Non che non amasse stare al centro dell’attenzione –d’altra parte vi si era dovuto abituare-, ma gli ricordavano troppo quelle tranquille passeggiate sacrificate per una seduta di due ore a base di foto e autografi con decine di ragazze.
Quel giorno, però, sembrava davvero soddisfatto.
- Non mi sembra che sia stato così snervante! – osservò lei, vedendolo sorridere.
Quando sorrideva, sembrava che tutto il suo volto s’illuminasse…
- No, per fortuna è stato breve. E poi oggi sono di buon umore! –
Già, lui era lunatico. Incredibilmente, irrimediabilmente lunatico. Non gli si poteva rivolgere la parola se aveva la luna storta, ma, quando lo si vedeva sorridere a quel modo, era impossibile non lasciarsi trascinare. Questo Haylie aveva avuto occasione di impararlo in meno di un mese che lavorava con il gruppo.
- E poi i vestiti che ci hai scelto sono fantastici! –
Se Haylie fosse stata un filino più sfacciata, gli avrebbe detto ciò che pensava di lui quando se ne usciva con affermazioni del genere: che, nonostante le malelingue, con una donna non aveva da condividere altro che la vanità. Ma anche quella, prima o poi, sarebbe passata in secondo piano.
- Non ho mica fatto tutto da sola. Non posso certo prendere quattro stracci e metterveli addosso così! –
- Però sembra che tu conosca i miei gusti come se fossimo amici da una vita, sai? –
Non erano da lui tali manifestazioni di confidenza.
Infatti Haylie ci aveva messo un po’ per apprezzarle.
In quel momento, non aveva saputo fare altro che arrossire.
- Oh, beh… -
- Credo che anche gli altri la pensino così. Mio fratello, per lo meno, è abbastanza esplicito da farlo intendere. –
Rise. Era una risata diversa da tutte quelle che Haylie aveva sentito.
Limpida, cristallina, come il tintinnio di un bicchiere urtato gentilmente contro un altro in un delicato brindisi.
I suoi occhi, né scuri né chiari, si socchiudevano, e le pupille quasi scomparivano sotto l’alone di denso trucco nero.
Quel trucco gli si addiceva. Stranamente.
La sua risata scopriva dei denti non perfettamente diritti, ma bianchi, senza alcun bisogno dei soliti ritocchi fotografici che spesso si applicavano a persone del suo stesso “rango”.
Lui era diverso.
Lui era lui.
Lui era semplicemente Bill. Bill Kaulitz.


Haylie quasi si stupì nel ricordare le prime volte che aveva lavorato con lui e gli altri.
Quasi non le sembrava possibile di essersi sentita fuori posto in un contesto così… normale. E adesso? Adesso quell’espressione non bastava a rendere il suo stato d’animo.
Cercò di non distrarsi per non uscire di strada. Era già abbastanza confusa per conto proprio, meglio non peggiorare la situazione.
Certo, tante volte si era sentita confusa, e non raramente si era sbagliata.
Come quella volta… quel primo bacio…


Il concerto era stato un successo. Anzi no, meglio. Ma, d’altra parte, cosa ci si poteva aspettare da quattro ragazzi così pieni d’entusiasmo? Sapevano trasmetterlo al pubblico meglio di chiunque altro… Erano proprio quel che si dice “animali da palcoscenico”.
Essendo parte dello staff, Haylie non aveva potuto allontanarsi né mescolarsi tra il pubblico. La sua presenza non era necessaria dietro le quinte, ma contro le regole era inutile combattere.
Non era la prima volta che Haylie assisteva ad un loro concerto, o meglio, che avrebbe potuto assistervi. Si era sempre tenuta in disparte, si era limitata ad ascoltare la loro musica da lontano.
Ma ormai erano quattro mesi che lavorava con loro, che si preoccupava di curare la loro immagine prima di una qualsiasi uscita pubblica. Era anche il momento di vedere parte del frutto del proprio lavoro.
Così si era appostata dietro le quinte e l’aveva seguito tutto, dal primo all’ultimo minuto, canzone per canzone.
Non era la prima volta che le sentiva. Ma fu come se.
Era ancora lì a chiedersi come quelle note non avessero solleticato prima le sue orecchie e la sua anima, quando Bill le si avvicinò di corsa.
- Hai visto? – Sprizzava entusiasmo da tutti i pori. – Cavoli, non avrei mai pensato che sarebbe stato così… così! –
Era sudato, aveva ancora il fiatone, gli era anche colato un po’ di trucco, ma era felice.
Come al solito, Haylie non poté fare a meno di lasciarsi contagiare.
- E cosa ti aspettavi? – gli chiese trattenendo a stento una risata.
La risposta non era giunta da lui, ma da un’altra voce alle sue spalle.
- Figurati, ogni volta entra in paranoia. Che gli lancino i pomodori addosso, ecco cosa si aspetta! –
Al sorriso di Bill se n’era aggiunto un altro.
Quello di Tom, il suo gemello.
Un sorriso che poteva sembrare uguale al suo, ma che non lo era affatto.
Era un sorriso ugualmente ampio, ma disegnato da labbra più carnose e piene e messo in risalto dal discreto luccichio di un piccolo piercing di metallo. Stampato su un viso ugualmente sudato, ugualmente minuto, solo leggermente più paffuto e abbronzato. Un viso incorniciato da lunghi dread biondi che spuntavano da dietro un cappellino a rombi bianchi e azzurri e che andavano ad adagiarsi dolcemente su due spalle non troppo larghe, ma possenti.
Un viso di una bellezza diversa da quella di Bill, ma che avrebbe potuto colpire, affascinare e rapire allo stesso modo chiunque lo osservasse.
Ma in quel momento Haylie non gli aveva badato più di tanto. Forse perché si era bene o male abituata a vederlo ogni giorno, forse perché la sua naturale riservatezza le imponeva di non fissarlo troppo a lungo, forse perché era catturata dall’entusiasmo di Bill.
Entusiasmo talmente puro e sincero da togliergli il desiderio di rispondere a suo fratello con una battuta ancor più pungente, come faceva di solito.
- Sono felice che sia andata come speravi. –
Bill si morse il labbro inferiore senza smettere di sorridere e, in uno scatto istintivo, le prese le mani tra le proprie.
Haylie non avrebbe mai creduto che mani così fredde e bagnate potessero provocare una sensazione così piacevole.
- Comincio a credere che sia tu a portarmi fortuna. –
Il dopo fu piuttosto confuso.
Bill sorrise di nuovo. Sembrava quasi che cercasse di trattenersi. Poi rafforzò la presa sulle mani di Haylie, inclinò la testa di lato, la guardò per meno di un secondo prima di sporgersi in avanti e posare un leggero e furtivo bacio sulle sue labbra.
Meno di un secondo.
Un secondo che Haylie non avrebbe saputo riempire in un’intera giornata.
Realizzò quanto fosse appena successo solo quando si rese conto di aver esaurito completamente le riserve di ossigeno.
Riprese a respirare con una certa irregolarità, e il lieve annebbiamento della vista che quell’attimo le aveva provocato non le impedì di constatare che il sorriso era ancora al suo posto sulle labbra di Bill.
Ma era cambiato.
Era un sorriso misurato. Tenero. Trattenuto a stento, appena accennato, rivelato solo dalla luce che ora gli ravvivava gli occhi.
Ma, come al solito, il commento arrivò da dietro le sue spalle.
- Era un modo implicito di ringraziarti per averlo sopportato meglio di noi tre messi insieme! –

Haylie si meravigliò nel ritrovare lo stesso sorriso ancora stampato sulle proprie labbra.
Beh, in fondo era anche un po’ “colpa” di Bill se si trovava così spesso a sorridere, apparentemente senza motivo.
Avevano tante cose in comune, tra cui la poca espansività. Certo, era un aspetto che si manifestava diversamente in entrambi, ma non per questo passava inosservato.
Era fantastico stare a guardare i due gemelli, in qualsiasi momento della giornata.
Battute a volte divertenti e a volte quasi da bambini, finti calci e finte gomitate, sguardi enigmatici. Talvolta amichevoli. Talvolta taglienti.
Ma fraterni, sempre.
Era all’uscita del tourbus che Haylie poteva constatare quanto Bill e Tom fossero diversi.
Era una diversità sottile, ben lontana dalla semplice distinzione “l’ambiguo-e-il-piacione” che, puntualmente, ogni fan o osservatore esterno assumeva.

Non avrebbe saputo spiegarlo.

Ma, in quei casi, non si sentiva poi tanto uguale a Bill.
Era davanti al pubblico che lui tirava fuori il suo scudo, la sua – per molti dubbia- timidezza, quasi la sua “maschera”, l’elemento che lo differenziava dal fratello.
Haylie si era sempre protetta dietro quello scudo, e non lo avrebbe certo messo da parte a ventun anni.

Ventun anni che non dimostrava.
Per un verso, chiunque la vedesse per la prima volta, senza conoscerla, e scambiasse giusto qualche parola con lei, avrebbe potuto tranquillamente attribuirgliene almeno cinque o sei in più.
Forse per quelle poche parole che uscivano –come a volerle forzare- dalle sue labbra, pronunciate a bassa voce, quasi con vergogna, o puro e semplice riserbo, ma che contenevano l’essenza di un intero discorso, la poesia di un’esistenza.
Forse per quelle piccole e delicate rughe agli angoli della bocca, lievissimi segni che avevano preso quel posto già un paio di anni prima, e che potevano portare con loro ricordi e immagini di un sorriso così come di una smorfia di dolore. Espressioni di una bocca che parlava anche senza proferire alcun suono.
Per un altro verso, poteva anche sembrare una bambina.
Un po’ per il fisico longilineo e dalle forme appena accennate; un po’ per i lunghi ciuffi ramati sempre scompigliati, un dispetto, quasi, a quella che era la sua professione, la sua immagine –che tuttavia risultava sempre impeccabile, sebbene fosse chiaro che la ragazza le prestasse la minima attenzione necessaria-; un po’ per il calore emanato da due occhi color delle castagne e resi, se possibile, ancor più misteriosi dall’arcata di lunghe ciglia nere, senza bisogno di trucco, che li ornava.

Ma non era certo a quei pensieri che Haylie rivolse la propria mente quando fermò la macchina accanto all’ormai familiare sagoma del grande tourbus.
Il tourbus dei Tokio Hotel.
Casa sua, in effetti.
Haylie provava sempre un certo imbarazzo anche solo nel pensarlo. Tecnicamente, non era affatto casa sua. Ma se si pensava che da circa due anni ne usciva solo un paio di volte al giorno e che i punti “essenziali” della sua vita si erano svolti proprio lì dentro, le veniva naturale considerarla casa propria.
Trasse un profondo respiro prima di salire sulla scaletta che l’avrebbe condotta all’interno del tourbus e istintivamente, senza quasi accorgersene, posò una delle sue esili mani infreddolite sul proprio ventre.

“E penso a te,
solo tu puoi sentire,
puoi comprendere…”

(Raf, "nei silenzi")

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Capitolo due

Salve! Innanzitutto grazie per i commenti, la prossima volta spero di trovarne qualcuno in più…ecco il brutto delle fic sui Tokio hotel, ce ne sono troppe e si finisce in terza pagina senza neanche accorgersene. Vabbuò. Ah, volevo aggiungere che al momento sto lavorando al quarto capitolo, e, dato che io vado molto a periodi, non so ogni quanto aggiornerò…Detto questo, vi lascio al secondo capitolo!

Capitolo due

Haylie era ancora impegnata a scuotersi via la neve dalle scarpe quando una voce vellutata, proveniente dall’interno del tourbus, attirò la sua attenzione.
- Fuori si gela, eh? –
La ragazza alzò lo sguardo, ancora piegata su se stessa.
A pochi centimetri di distanza, una figura alta e longilinea –acerba, diceva qualcuno storcendo la bocca- appoggiata alla parete. Un viso incorniciato da folti e lisci capelli neri, con qualche ciocca più chiara sparsa qua e là, le cui punte sfioravano un paio di spalle appuntite e non molto larghe. Vestiti scuri, non ricercati come quelli che solitamente sfoggiava –non come quelli che solitamente lei sceglieva per lui, anche se mai senza la sua immancabile approvazione.
- Così sembra. –
Bill non poté fare a meno di sorridere.
Sorridere senza dire nulla.
Le tese una mano e l’attirò gentilmente a sé, mentre con l’altra si premurava di chiudere la porta alle spalle della ragazza, evitando di trasformare il tourbus in una cella frigorifera.

 Haylie si trovò ad aderire completamente con il corpo a quello di lui, abbandonata contro il suo petto, lasciando che fosse la sua mano a sostenerla.
Chiuse gli occhi, e non poté evitare di fare suo il piacevolissimo odore che non ci si sarebbe mai aspettati di sentir emanare da capelli continuamente messi a dura prova da lacca, tintura e altri mille prodotti, come erano quelli di Bill.
Sapevano di neve e di pino, anche se, molto probabilmente, Bill non aveva neanche osato mettere il naso fuori. In giornate gelide come quelle, non era raro che rimanesse rinchiuso nel tourbus, protestando ogni qualvolta un componente del gruppo si azzardasse a lasciare uno spiraglio aperto, anche solo per respirare un’aria diversa dal solito.
La sua voce non ammetteva leggerezze.

 Forse era anche per questo che Bill parlava così raramente di propria volontà.

 - Devo dirti una cosa. – esalò Haylie, le labbra ancora affondate tra le ciocche scure.
Sentì le mani di Bill scivolare sui suoi fianchi prima che l’allontanassero dal suo petto.
Corrugò appena la fronte, ma sorrideva.

C’è qualcosa che non va?, sembrava stesse chiedendole, mentre le sue dita affusolate correvano dalla vita ai fianchi sottili di Haylie. I loro sguardi si incrociarono nuovamente.
No, niente, parve rispondergli lei.
Si mordicchiò le labbra e sbatté più volte le palpebre. Paura? Felicità…?
Non lo sapeva più neanche lei.

 - Dimmi tutto. –
…Occhi di un bambino che presto avrebbe dovuto cominciare a crescere, senza sapere che avrebbe dovuto farlo molto prima…

 Haylie cominciò a sentire una calura poco piacevole pizzicarle il collo e le guance, a dispetto della stagione.
- Non so se… - cominciò, prima di fermarsi, bloccata da chissà quale forza interna. Bill inclinò la testa di lato.
- Ehi, piccola. Tutto ok? –
Chissà perché, le veniva più difficile rispondere quando domande del genere le venivano poste a voce. Perlomeno da Bill.
Annuì nervosamente, ma distolse lo sguardo subito dopo.
Bill le strinse la mano non più fredda, richiamando la sua attenzione. Fece un cenno verso il tavolino situato a poca distanza da loro.

Ci sediamo lì?
Haylie lanciò uno sguardo nervoso alle sedie che lo circondavano. Deglutì.

Sì, sediamoci.
Così fecero.
Un braccio di Bill scivolò silenziosamente dietro le spalle di lei, attirandola con dolcezza, l’altra mano andò a posarsi sul suo ginocchio.
Chinò nuovamente la testa, cercando di incrociare lo sguardo di Haylie, ostinatamente fisso a terra.

 - Allora? –
La sua breve domanda fu appena più percettibile di un sussurro.
…del rumore di una goccia che si infrange su una superficie liscia…
…degli spifferi di cui aveva sempre così tanta paura.
Eppure, la voce che pronunciò la risposta era ancora più bassa.
- E’… è un po’ difficile da spiegare. – 
- Difficile, ma niente di terribile… no? –
Haylie rialzò il capo e i loro sguardi si incrociarono nuovamente. Avrebbe voluto fargliela lei, quella domanda. Ma lui, certo, lui non sapeva ancora.
La stava facendo più tragica di quanto, in realtà, non fosse?
Non era certo la prima volta che capitava.

 Accovacciata sul letto di Bill, Haylie sfogliava freneticamente una delle molte riviste che formavano una pila mediamente alta al suo fianco. Era talmente occupata da non essersi nemmeno accorta che i due gemelli, seduti di fronte a lei sul letto di Tom, avevano smesso di scandagliare minuziosamente il nuovo testo scritto da Bill e la stavano ora osservando stranizzati.
Dopo qualche secondo le giunse alle orecchie la voce di Tom.
- Hay, va tutto bene? –
- Come? Oh… sì, sì… stavo solo… niente. – farfugliò lei, improvvisamente paonazza.
- Stavi cosa? – Tom la fissava sorridendo, incuriosito.
- Niente, stavo solo… leggendo. –
- E sei così veloce da spolparti trenta riviste in un colpo solo? – ridacchiò lui.
Bill, che non aveva ancora detto nulla, accennò un sorriso. Semplicemente divertito. Alle volte, Haylie gli faceva una tenerezza infinita, con quel suo modo di fare. Sembrava che si vergognasse di ogni parola che pronunciava, ogni mossa che faceva.
- No, è che… Oh, va bene! – cedette alla fine, abbandonando le braccia lungo i fianchi e lanciando un ultimo sguardo apprensivo alla pila di giornali. – Sono… riviste che vado comprando nelle nostre soste. – Si attorcigliò nervosamente una ciocca di capelli fra le dita. Parlare di quell’argomento mai sfiorato la imbarazzava da morire! – Non è raro che ci siano pezzi sulla band. Su voi due, soprattutto. –
Tom corrugò la fronte, confuso.
- Ed è così sconvolgente? – Bill alzò gli occhi al cielo e sospirò, prima di lanciare ad Haylie uno sguardo che diceva chiaramente “Lascialo perdere, vai avanti”.
La ragazza tornò a sentirsi bollente.
- Non scrivono cose molto carine. –
Tom alzò le sopracciglia. Classica espressione da “storia vecchia”.
- Oh, sì, ci siamo abituati… -
- Ma dicono che voi… insomma, hanno insinuato che… Mio Dio, non avete mai sentito parlare del “twincest” ? – sbottò con una certa agitazione, quasi schifata da quell’ultima parola che era stata costretta a pronunciare.
Ma la reazione che suscitò non corrispondeva affatto a quella che avrebbe pensato di provocare con quella notizia: Tom scoppiò a ridere senza ritegno, Bill si limitò a sorridere. Haylie li guardò spiazzata.
- Beh? Che c’è di tanto divertente? –
Bill scoccò uno sguardo di disapprovazione verso il fratello, che continuava a sghignazzare, facendo sentire Haylie vagamente fuori posto, e andò a sedersi accanto a lei.
- Penso che Tom rida perché ormai ci siamo abituati al fatto che le nostre fan… beh, insomma, a loro piace immaginare il twincest. –
Haylie lo guardò come se avesse appena detto che il giorno del giudizio sarebbe arrivato entro una settimana.
- Alle fan
piace immaginare che voi…? –
A quel punto, neanche Bill poté trattenersi dal ridacchiare.
- Così pare. –
Haylie si voltò a guardare Tom, che aveva appena smesso di ridere e ora stava cercando di riprendere fiato.
- Scusami, davvero… E’ che ci ho fatto l’abitudine, come dice Bill. Se per sbaglio capita che in pubblico lui mi sfiori con un dito, le ragazze vanno in estasi. Scrivono milioni di storie su di noi… -
- …che puntualmente si concludono con il suicidio di uno di noi due, il mio nel novantotto per cento dei casi. – aggiunse Bill con disappunto.
- …e invadono il web di fotomontaggi, disegni e cose così. – continuò l’altro. – Non ho mai visto nessuno scandalizzarsi così a questa notizia, a parte Bill, la prima volta che a un intervista gli hanno chiesto se per caso non se la facesse con il suo amato gemellino. Gli sono venuti i capelli dritti. Tra parentesi, questo spiega anche le torture che Bill fa alla sua povera chioma ogni giorno, dopo quell’intervista si è accorto che gli piaceva da matti il suo nuovo look! –
Nonostante lo shock iniziale, Haylie non poté trattenere una risatina. Bill scosse la testa.
- Non farci caso. –
- Insomma, non ti biasimo, se ti sono venuti sul serio i capelli dritti! Io morirei se la gente pensasse di me una cosa del genere. – ammise lei.
- Beh, dopo un po’ ci fai l’abitudine. E soprattutto impari a tenere lontano tuo fratello come se avesse la peste. – aggiunse Tom, ripiegando pigramente il foglio che teneva in mano.
- Mah. Non capisco come fate a ignorarlo così… -
- Anche se ci scandalizzassimo, dubito che servirebbe a qualcosa. – rispose semplicemente Bill.
Seguì una breve pausa di silenzio, prima che la squillante e giocosa risata di Tom riempisse nuovamente il tourbus.
- E comunque non mi dispiace affatto che le fan mi giudichino talmente affascinante da avere il potere di sedurre anche mio fratello! –

 Certo, la situazione era un po’ diversa.
Anche perché, questa volta, il problema riguardava lei, in prima persona.
No.
Haylie scosse impercettibilmente la testa. Non era un problema.
Doveva poterne essere felice anche senza il consenso di Bill.
Consenso… che parola grossa.
Ma non riuscì a trovare un termine più adatto, perché, spinta da quella consapevolezza, lo disse.
Solo che le parole uscirono lievemente ingarbugliate. Poteva capirlo dall’espressione stranita di Bill.
- C-come? –

Oddio, è sconvolto perché non ha capito o perché… ha capito benissimo?
Prese un bel respiro e riformulò la frase.
- Sono incinta, Bill. –

 Rimase a guardarlo, in attesa di una reazione –qualsiasi reazione-, per pochi attimi che le sembrarono più lunghi di un’eternità, torcendosi nervosamente le mani.
Sulle labbra di Bill si disegnò un sorriso che, però, non ebbe il potere di darle un po’ di sollievo.
- Dio, Haylie… e me lo dici così? –
La ragazza avrebbe giurato di sentire le ossa delle proprie mani scricchiolare.
- Perché, come avrei dovuto dirtelo? – squittì.
- Ma… con un sorriso, almeno! E’… è semplicemente fantastico! – esclamò Bill, mentre il suo sorriso si faceva più largo e le sue mani andavano a stringere quelle di Haylie. Lentamente, il cuore della ragazza rallentò i battiti.
Levò lo sguardo fino a incrociare quello del suo ragazzo.

 Quel sorriso, quegli occhi che quasi luccicavano, non potevano essere frutto della sua immaginazione.
Aveva pensato a mille cose quando aveva saputo che dentro di lei c’era una nuova vita.
Aveva pensato ai continui viaggi. Al non potersi mai fermare. Alla casa che non avevano. Alle persone che dipendevano da quella vita, da quegli spostamenti. Alla sua giovane età, giovane quanto quella di Bill e degli altri tre ragazzi che con lui formavano il gruppo.
Tutti quei pensieri si aggrovigliarono, si mischiarono e si confusero quando Haylie sentì le esili braccia di Bill stringerla in un abbraccio che non avrebbe pensato di ricevere.
Nella sua mente si erano proiettate, come in un film, le infinite reazioni che si sarebbe aspettata da parte di Bill, meno quella.
Felicità.
Pura e semplice felicità.
Riusciva a leggere solo quello, nell’abbraccio di Bill, nel battito agitato del suo cuore, nelle sue mani tremanti.

 Si sarebbe aspettata mille domande, e forse anche mille obiezioni.
O forse un silenzio, un silenzio di ghiaccio che l’avrebbe senz’altro distrutta.
Haylie tremò nel pensarlo, e si strinse più forte a Bill, affondando il viso nei suoi capelli e aggrappandosi alle sue spalle. Come aveva potuto aspettarsi una reazione negativa?
Lei amava Bill.
E Bill amava lei.
Se lo ripeté mille e più volte, cercando di scacciare il desiderio che Bill dicesse qualcosa, almeno una parola, che non lasciasse nulla in sospeso.

 “Nei silenzi,
dentro le parole che non ti ho mai detto
é chiaro quanto t'amo
e non saprei immaginare la mia vita senza te”

(Raf, "Nei silenzi")

 - Quando lo diciamo agli altri? –

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Ollè, altre tre recensioni! Non male, non male… cresceranno XD
Allora, ringrazio _emosoul_, valux91, ale, enlil e la mia sore Temperance_Booth per i commenti, e noirfabi per avermi messa tra i preferiti…
Avevo dimenticato di precisare che non inserisco i “credit” delle canzoni che uso nei vari capitoli, perché sono proprio queste canzoni a dare il titolo alle parti in cui è suddivisa la storia. Per esempio, in questa prima parte userò solo “Nei silenzi” di Raf, e metterò i credit alla fine.
Spero che anche questo cap vi piaccia!

Capitolo 3


- Tom, per l’amor del cielo, controllati! –
- Ma guarda nel tuo piatto, Georg! Ora c’ho pure il dietologo a domicilio… -
- Chiamalo “domicilio”… -
- Era per dire! –
Haylie sospirò sorridendo.
Non sapeva davvero come sarebbe stata la vita senza quei battibecchi giornalieri, senza quelle risate e quella confusione –se così poteva chiamarsi il sovrapporsi di quattro voci in contemporanea, tutte abbastanza alte.
Era talmente persa nei meandri dei suoi pensieri che sobbalzò quando Georg le rivolse la parola.
- Beh? Che è successo stasera? – le chiese ridacchiando e indicando il suo piatto. Haylie alzò le spalle, senza neanche abbassare lo sguardo.
- Niente, non ho molto appetito. –
- Oddio, allora quando sarai affamata sarà il caso di nascondersi sotto i tavoli! –
Lo sguardo di lei cadde sul proprio piatto, praticamente lucido come appena uscito dalla lavastoviglie, e solo allora realizzò che doveva aver divorato in un batter d’occhio tutto quanto le fosse passato tra le posate, senza nemmeno rendersene conto.
Fu Bill a rispondere per lei, mollando una poco amichevole gomitata tra le costole di Georg.
- Ha ragione Tom, ci manca solo il dietologo in tourbus e poi siamo al completo! –
Tom rivolse al fratello uno sguardo falsamente meravigliato.
- Bill… sei d’accordo con me! Oh Gott… sono commosso! –
Bill sorrise e scosse la testa. Poi il suo sguardo guizzò verso Haylie.

 Uno sguardo eloquente, senza dubbio.
Haylie si mordicchiò le labbra ma non poté fare a meno di sorridere.
Giocherellò con le punte dei propri capelli, respirando profondamente.
Ricevette un altro sorriso in risposta.
Solo allora si rese conto che intorno a loro era calato il silenzio. Si guardò intorno, imbarazzata. Lo sguardo inquisitorio di Tom si spostava velocemente da lei a Bill.
- Beh? In questa famiglia non si usa più comunicare a voce? – indagò. Gustav ridacchiò.
- Famiglia… - ripeté, quasi a volerlo prendere in giro.
La mano di Bill si posò su quella di Haylie.
- No, ha detto bene, Gusty. – Tom guardò il fratello con gli occhi sbarrati.
- Mi dai ragione due volte? Caspita, è grave! –
Bill scosse la testa. – Non c’è bisogno che ti sconvolgi tanto. – Mise le braccia intorno alla vita di Haylie e la sollevò, facendola sedere sulle proprie gambe. La guardò sorridendo. – La signorina qui presente ha qualcosa da dirvi… vero, amore? –
- Dio santo! – gemette Tom. – Siamo sulla via del picci-picci! –
Ma Bill non gli prestò attenzione, né tanto meno lo fece Haylie. Passò un braccio dietro le spalle di Bill, lo strinse a sé e poi si rivolse agli altri con un timido, bellissimo sorriso.

 - Io e Bill aspettiamo un bambino. –
L’unica reazione umana fu quella di Gustav, perlomeno rispetto a Georg, che fece cadere il proprio bicchiere, cospargendo il tavolo di vino rosso, e a Tom, che fu costretto a smettere di dondolarsi sulla sedia da Georg, che gli mollò inavvertitamente una gomitata, facendolo cadere rovinosamente e sparire dalla visuale degli altri quattro.
- Sono vivo! – ululò, agitando una mano sopra il tavolo.

 Ma a quel punto nessuno stava più badando a lui.
Georg fissava Bill e Haylie come se non li riconoscesse.
- No! Non ci credo! –
Bill lo squadrò con finta aria di sufficienza.
- E’ così terribile? –
- No, diamine… E’… è magnifico! – balbettò, prima di accorgersi del danno provocato dalla macchia di vino che continuava ad espandersi inesorabilmente, inzuppando la tovaglia. Afferrò un tovagliolo e prese a strofinare la macchia senza staccare gli occhi di dosso ai due ragazzi.
- Sono davvero commosso dalla partecipazione che dimostrate vedendomi soccombere penosamente! – si lamentò Tom, riemergendo e tornando a sedersi al proprio posto.
- Senza offesa, Tom, ma la notizia che abbiamo appena ricevuto mi sembra un filino più importante. – lo riprese scherzosamente Gustav, prima di rivolgersi ad Haylie e Bill: - Sono felicissimo per voi, ragazzi. A che mese sei? –
- Questo non lo so neanche io. – osservò Bill.
- Beh, non me l’hai chiesto! – replicò Haylie.
- Vabbè, bando alle ciance! Spara il numero! – intervenne molto meno formalmente Tom.
- Esattamente all’inizio del secondo mese. –
- Beh, dài, siamo a buon punto. – A quell’osservazione, Tom ricevette da parte di Georg uno sguardo scettico.
- Tom, parla come mangi. Secondo me non sai neanche quanto dura la gravidanza. –
- Certo che lo so, dura sette mesi! Giorno più giorno meno… -
- Ecco, appunto… -
- Mentecatti! –
- Ragazzi, finitela! – Bill cercò di riportare la calma, impresa non facile, data l’euforia che la notizia aveva suscitato.
- Ma lasciali, poveri… - ridacchiò Haylie.
A quel punto intervenne Georg.
- Beh, dài, era ora che uno di voi mettesse su un po’ di ciccia. Siete praticamente anoressici! – Avvicinò a sé una mano di Bill e una di Haylie, mettendole una accanto all’altra, in modo che risultasse evidente la magrezza di entrambe. Effettivamente non si poteva dire quale delle due fosse più scarna. – Però potevi anche essere tu a mettere incinto Bill. Il pancione gli dona. –
- E tu come lo sai? – Haylie soffocò una risata.
- Una volta, su Internet, abbiamo trovato un fotomontaggio… - Georg si interruppe, scosso da un attacco di risa isteriche. – No, non ce la faccio… -
Haylie guardò Tom con aria interrogativa.
- Sì, insomma, hanno creato un fotomontaggio in cui io abbracciavo amorevolmente il mio fratellino, misteriosamente incinto. –
- Beh, l’importante è che questo non comprometta le sue corde vocali, no? – intervenne Gustav.
Il tutto si concluse con una risata collettiva.

 Haylie amava questo loro modo di essere, nessuno escluso.
Quella capacità di tenere vivo il gruppo con poche battute…
Di far sì che nessun giorno fosse uguale a un altro…
E senza fare mai grandi sforzi.
A loro bastavano poche parole, qualche risata, per trascinare tutti.
Haylie li ammirava, li invidiava, quasi.
Lei non aveva questa capacità. Non l’aveva mai avuta e dubitata che avrebbe mai imparato a padroneggiarla.
Anzi, spesso il suo era il problema opposto.
Si sentiva, ed era, così diversa da quei ragazzi così spensierati, così allegri, così esuberanti.
Forse era anche, soprattutto, per quello che si trovava così bene con loro. Avevano un loro equilibrio, una convivenza armoniosa e piacevole che non peccava mai di invadenza o, al contrario, indifferenza.

 Tom era l’argento vivo della compagnia, il più chiacchierone, il più spensierato, ma non per questo superficiale.
Georg era abbastanza simile a lui, solo, cercava di darsi un certo contegno, di sembrare l’“adulto” del gruppo. Ma lui e Tom erano d’accordo su molti argomenti.
Gustav era il più tranquillo, un ragazzo pacifico e semplice, che amava stare per i fatti propri. Non chiedeva mai nulla e non incoraggiava gli altri a farlo. Forse con lui c’era un po’ meno confidenza, ma Haylie non avrebbe saputo immaginare come sarebbero stati i Tokio Hotel senza di lui.
E poi Bill…
Bill era, insieme a Tom, il più giovane di tutti. Ma non lo dimostrava.
Era il “silenzioso”, ma in modo diverso da Gustav.
Gustav era sempre stato un tipo di poche parole, Bill invece alternava lunghi momenti di silenzio ad attacchi di irrefrenabile parlantina. Ma i suoi sbalzi d’umore erano imprevedibili.
Lui comunicava in un altro modo. Non con le parole.
Non sempre, perlomeno. Anzi, quasi mai.
Bill parlava con gli occhi.
Parlava con le mani, quando abbozzava un testo per una nuova canzone. Haylie si era spesso fermata a guardarlo, raggomitolato sul divanetto, con un quaderno aperto sulle ginocchia e una penna in bocca. Quando buttava giù qualche riga, lo faceva soprappensiero, senza neanche rileggere quanto aveva scritto.
Eppure i suoi testi erano perfetti. Coinvolgenti. Toccanti.
La mano di Bill doveva essere direttamente collegata al suo cuore, per trasmettere emozioni così forti.

 “Io sarò là dove sei tu
che sai leggere nei miei pensieri
e non ho più misteri”


 

Haylie sorrise tra sé e gli scostò una ciocca di capelli dal viso, attenta a non svegliarlo.
Respirava piano, con un suono lieve e irregolare, come i bambini.
Gli era bastato toccare il cuscino con la testa per crollare addormentato, e adesso Haylie non poteva fare a meno di osservarlo incantata.
O semplicemente innamorata.
Era così bello…
Istintivamente, si toccò la pancia ancora piatta con la punta delle dita, come quella mattina. Ma in quel gesto, ora, vi era un’emozione del tutto diversa.
Sollievo, non più timore.

 Chiuse gli occhi e si chinò a baciarlo lievemente sulla fronte, prima di allontanarsi da lui, a malincuore, e uscire dalla stanza.
La sistemazione in tourbus non era delle migliori, ma almeno Haylie e Bill avevano una stanza tutta per loro (dopo settimane di organizzazione e spostamenti) e non erano costretti a dormire insieme agli altri. Non che l’idea le desse particolarmente fastidio, ma preferiva avere un po’ di privacy, almeno di notte.
Socchiuse silenziosamente la porta e attraversò il piccolo corridoio a passo felpato.
Oltre all’appetito smisurato, ora aveva anche una sete terribile.
Constatò immediatamente che la luce era accesa: qualcuno doveva essere ancora in piedi.
Infatti, quando si avviò verso il piccolo frigorifero sistemato in un angolo, vide Tom intento a sparecchiare la tavola.
- Chiedo scusa – esordì. Tom alzò lo sguardo verso di lei.
- Oh, ancora in piedi? –
- Potrei farti la stessa domanda – osservò lei, prendendo in mano una bottiglia d’acqua e un bicchiere. Tom si strinse nelle spalle.
- E’ sempre la solita storia, sono i più piccoli a dover sbrigare le faccende di casa. Più che altro mi seccava dover sentire ancora per molto la puzza che fa questa tovaglia da quando Georg ce l’ha gentilmente decorata con il vino – aggiunse, indicando la macchia.
- Coraggio, presto non sarai più tu il “piccolo”, anche se, a dire il vero, hai comunque un anno più di me –
A quelle parole, Tom non poté evitare di ridacchiare.
In realtà, stava proprio aspettando che il discorso si presentasse… lontano dagli altri, almeno.
- Già, non ci avevo pensato. Però, se fossi in te, eviterei di scaricare questo complesso sulle spalle del vostro erede. Perlomeno aspetta qualche anno prima di affidargli le incombenze che gli spetteranno! –
Haylie rise e per poco l’acqua non le andò di traverso.
- Stupido… - balbettò tossendo.
- Grazie, lo so –
La ragazza si schiarì la voce, riponendo il bicchiere e la bottiglia.
- Beh, che dire… Sono felice che voi… beh, che l’abbiate presa bene –
Tom fece una faccia buffa.
- Cosa avremmo dovuto fare, scusa? Mettervi una valigia e una coperta davanti alla porta con un biglietto d’addio? –
- Santo cielo, no… - sospirò lei, sorridendo con una punta d’imbarazzo. – Ma insomma, non so, non ero neanche sicura se Bill sarebbe stato contento, quindi… -
- Quindi devo pensare che non conosci né lui, né noi –
Haylie si voltò a guardarlo.
Sorrideva, sincero come alle volte solo lui sapeva essere.
- Senti, non ti ho detto niente prima sia perché sono stato distratto dalla mia fantastica figura di merda quando sono cascato dalla sedia, sia perché… insomma, certe cose preferisco dirle in separata sede. –
Haylie sorrise, in attesa.
- Insomma, sono felicissimo per voi… se voi lo siete, naturalmente –
- Qualcosa lascia credere che non lo siamo? –
- No, assolutamente. Anche se non mi abituerò mai al vostro modo di fare. Non parlate quasi mai… -
- Certe cose si capiscono anche senza parole, sai, Tom? – disse lei, dolcemente.
Tom la guardò con affetto e le scompigliò i capelli con una mano.
- Forse hai ragione. In proporzione, sei la più grande del gruppo –
- Non temere, presto lo sarò anche fisicamente! –
Scoppiarono a ridere simultaneamente, senza pensare ai tre ragazzi che, al contrario di loro, dormivano profondamente.
Ma, anche se ci avesse pensato, Haylie avrebbe dubitato che si sarebbero svegliati a quel rumore.
- Sei proprio un bel tipo, sai? – ridacchiò Tom.
- Anche tu –
Le labbra del ragazzo si allungarono in un altro sorriso, più bello del solito, se possibile.
- Allora, visto che siamo alle congratulazioni ufficiali, posso abbracciarti? – le chiese scherzosamente.
Haylie arrossì. Per quanto fosse in confidenza con lui, le manifestazioni d’affetto la imbarazzavano sempre, senza però mancare di rallegrarla.
Annuì e si lasciò stringere forte.
- Ti voglio bene, Hay –
Sorrise e appoggiò il viso sulla spalla di lui, ricambiando l’abbraccio.
- Anch’io. Voglio bene a tutti voi – Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Haylie ebbe come un flash. – Tom… -
- Sì? –
- Davvero pensavi che la gravidanza durasse sette mesi? –
Lo sentì ridere sommessamente, ancora stretto a lei.
- Certo che no, volevo solo verificare a che livello sia la stima che avete della mia intelligenza. Ricorda che io ero il primo della classe! – Haylie si sciolse dall’abbraccio, ridacchiando.
- Ok, non me lo scorderò –

 

La canzone è sempre "Nei silenzi" di Raf^^

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Oggi sono ben disposta, quindi rispondo alle recensioni una per una^^ (ammettiamo che non mi costi poi una gran fatica XD) E, per la cronaca, il fotomontaggio di Bill incinto esiste davvero!
Ah, ci tengo a precisare che non ho la più pallida idea di come si svolga la vita in tourbus, dunque non stupitevi se, andando avanti a leggere, vi sembra che Haylie e i Tokio Hotel vivano su una semplice villetta con le ruote. <_<

Temperance_Booth: sì, lo so che Tom è fantastico, checché se ne dica (cioè, checché TU ne dica…cof coff)! Chissà… forse sei una veggente, o forse no… Chi leggerà, vedrà!
Valux91: io AMO la famiglia del mulino bianco!!! Chissà, forse nel mio inconscio era proprio a quella che pensavo… Per quanto riguarda la reazione a catena, beh, non ho dovuto fare un grande sforzo…è proprio così che io mi immaginerei una scena simile!
Ale:
che, hai letto la mia “Cry - Don’t wanna be alone”? XD Gioia, ti consiglio di non farti prendere dall’ansia… Ancora ci saranno un bel po’ di capitoli (credo^^), può succedere di tutto!

Capitolo mooooolto di transizione:

Capitolo 4

 
La mattina seguente, ad Haylie bastò socchiudere gli occhi per vedere un sottile filo di luce intrufolarsi nella stanza attraverso uno spiraglio di finestra aperto.
Voltò lentamente la testa: Bill dormiva ancora profondamente, raggomitolato su se stesso e con una gamba penzoloni fuori dal letto.
Gli sfiorò i capelli con una carezza prima di infilare i piedi infreddoliti nelle pantofole ed alzarsi silenziosamente. Attraversò il corridoio in punta di piedi, chiedendosi se fossero ancora tutti a letto.
Si affacciò cautamente dalla porta socchiusa, constatando che le luci erano spente e quella parte di tourbus era ancora vuota.
Dopo due anni, spesso si ritrovava a chiedersi come facessero quei quattro a dormire fino all’ora di pranzo, per di più con il bus in movimento.
Riscaldò un po’ di latte e ne riempì la propria tazza, poi scostò la tenda e si sedette accanto al finestrino, bevendo lentamente.
Fuori il sole splendeva già alto, rischiarando l’interno del tourbus con la sua luce ancora non troppo calda. Haylie si strinse nel suo maglione, finendo di bere il latte.
Posò la tazza sul tavolo, poi la sua mano scivolò sulla sua pancia, ripetendo quel gesto che più volte le era venuto spontaneo.

 L’accarezzò delicatamente, sperando di trasmettere quel calore alla creatura che, silenziosamente, aveva cominciato a crescere lì, di nascosto.
Automaticamente, i suoi pensieri volarono a qualche mese più avanti.
Si vide diversa. Si vide con il pancione, che non avrebbe mai lasciato immaginare la sua silhouette prima della gravidanza –ma non era certo quello che la preoccupava-, ma soprattutto si vide felice.
O meglio, così le piaceva immaginare, in mancanza di esperienza e fantasia.
 

Già… esperienza.
Haylie preferì non ripetersi quella parola dal suono vagamente inquietante.
Decise di non affrettare i tempi e di provare a rilassarsi. Dopotutto, ce n’era ancora, da aspettare.

 
Si alzò, sentendosi una strana smania addosso, e cominciò a tirare fuori da un mobiletto tazze, piatti e quant’altro servisse per la colazione. Qualcosa le diceva che avrebbe dovuto aspettare ancora un po’ per veder spuntare fuori qualcuno, e tanto valeva darsi da fare.
Non si accorse neanche che, mentre era indaffarata a sistemare la tavola, Georg le era passato silenziosamente accanto.
- Buongiorno – la salutò con voce impastata di sonno.
- Buongiorno – rispose lei. – Come mai già in piedi? –
Georg sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere su una sedia e stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani.
- Lasciamo perdere – mugugnò. – Gustav è sveglio da due ore e non ha smesso un attimo di rigirarsi come un’anguilla nel letto. Piuttosto che sentire un terremoto… - Si passò una mano tra i capelli, solitamente lisci come il mare di luglio, ma che ogni mattina assomigliavano stranamente a un cespuglio piuttosto intricato. Come evocato dai suoi pensieri, Gustav fece il suo ingresso pochi minuti dopo, allegro e pimpante.
- ‘giorno a tutti! –
- Parla per te – bofonchiò Georg.
- Ragazzi, non fate macello, Bill sta ancora dormendo – li ammonì Haylie.
- Ah, non preoccuparti – rispose Georg. – Visto che mi sono alzato dieci minuti fa, entro un quarto d’ora arriverà anche lui. E’ sistematico, abbiamo gli stessi orari. E’ Tom che ogni tanto si volatilizza. –
- Beato lui… Ancora non capisco come faccia. – disse lei, cominciando a sciacquare la propria tazza nel lavandino. In quel momento, si sentì la porta scricchiolare e nella stanza comparve una figuretta alta e magra con i capelli arruffati.
- Ecco, che ti avevo detto? Largo al demone dei bassifondi urbani! – scherzò Georg.
La risposta di Bill non andò oltre una smorfia assonnata, poi Haylie se lo ritrovò accanto.
- Buongiorno –
- ‘giorno… Scusa, che stai facendo? –
- Lavo la mia tazza, perché? – Haylie non ebbe il tempo di rispondere, perché Bill gliela tolse dalle mani.
- Lascia stare, ci penso io dopo. O Tom, o Gustav… -
- Ma perché, non posso? –
- Non nelle tue condizioni – decretò lui, riponendo la tazza nel lavandino e guidando Haylie verso il tavolo.
- Ma non sono mica malata! – protestò lei, sedendosi accanto a Georg.
- Non devi stancarti comunque – Haylie alzò gli occhi al cielo.
- Lavare quattro cose non è stancarsi… -
- Lascialo perdere – intervenne Georg, lanciando un’occhiata di sbieco a Bill come se fosse stato un caso disperato. – E’ paranoico fino alla morte, lo sai. Armati di santa pazienza per i prossimi mesi. –
Bill gli allungò una pedata mentre prendeva posto accanto alla sua ragazza e pescava un biscotto dal pacchetto messo al centro del tavolo. In quel momento, si sentì una voce provenire da dietro le loro spalle:
- Sono sempre più commosso… vedo che non riuscite neanche a mangiare senza di me! –
- Buongiorno, Tom – risposero tutti in coro senza neanche voltarsi. Tom fece il suo ingresso nella sua classica versione-risveglio, con indosso una tuta per una volta della sua misura esatta e con i rasta raccolti sotto un berrettone lavorato ai ferri che non mancava mai di suscitare i commenti ironici degli altri tre ragazzi, e si fece spazio accanto a Gustav.
- Non mettetevi in testa di farmi alzare a quest’orario indecente anche negli altri giorni liberi. Avete fatto un tale casino che mi è passata la voglia di dormire. – annunciò versandosi una generosa quantità di latte.
Certo, il suo concetto di “orario indecente” era abbastanza diverso da quello di Haylie: per lui era semplicemente inconcepibile alzarsi prima delle dieci, per lei lo era rimanere a letto oltre le sette.
- Ragazzi, sto congelando – disse Gustav, stringendosi nella propria felpa.
- Eppure io muoio dalla voglia di uscire – rispose Haylie, sgranocchiando una fetta biscottata.
- Scherzi? Con questo freddo? – ribatté Bill.
- Ma se c’è un sole bellissimo…! –
- Oggi il tourbus dovrebbe fermarsi per l’ora di pranzo – disse Gustav, senza badare al battibecco. Effettivamente, lui era quello che per primo, appena il bus si fermava, usciva a prendere un po’ d’aria e a fare lunghe passeggiate.
- Fantastico! – si entusiasmò la ragazza. – Non vedo l’ora. –
- Haylie, lascia perdere, puoi uscire un altro giorno… - tentò di convincerla Bill, ma tutto ciò che ottenne in risposta fu un lungo sospiro.
- Va bene, ho capito – sbuffò, alzandosi e facendo per raccogliere tazze e bicchieri dal tavolo, ma Bill la bloccò.
- Lascia, faccio io. –
- Grazie, Bill, non c’è bisogno –
- Davvero, lascia stare! Tu puoi riposarti un po’, se vuoi. –
In quel momento, Haylie avrebbe voluto essergli grata, ma le sue osservazioni di prima l’avevano già innervosita, senza contare l’incredibile smania che si sentiva addosso da quando si era svegliata.
Ritrasse energicamente la mano sulla quale Bill aveva posato la propria.
- Per l’amor del cielo, Bill! Sono solo incinta di due mesi, mi sono appena svegliata da un sonno sufficientemente lungo e mi sento benissimo! Tutto quello che desidero è muovermi un po’, chiedo troppo?! – esclamò.
Bill la guardò a metà tra lo stupito e l’imbarazzato.
- Scusa, amore, non volevo dire che… -
- Lo so, lo so. – rispose lei sbrigativamente. Non avrebbe voluto rivolgersi a lui in quel modo, ma non aveva proprio potuto trattenersi.
D’altra parte, con Bill, bastava dire chiaramente ciò che c’era da dire, e cercare di non lasciarsi contagiare troppo dalle sue abitudini.

 
Come aveva detto Gustav, il tourbus si fermò intorno all’una.
A quell’ora, Haylie era già vestita e ben coperta. Mise in borsa un paio di panini e uscì, godendosi la meravigliosa sensazione del vento freddo che le pizzicava il viso.
Fortunatamente, quando il tourbus interrompeva i suoi giri, era sempre circondato da una fitta schiera di camion e sostava in posti piuttosto isolati, per far sì che i membri del gruppo fossero al sicuro senza venire assaliti da orde di fan impazzite.
Quel giorno, il tourbus si fermò davanti a un grande prato, reso ancora più verde e luminoso dai raggi del sole.
Haylie si era appena seduta sull’erba quando dal tourbus uscì Tom.
- Ehi. Tutta sola? –
La ragazza annuì senza dire nulla, al che Tom le venne accanto e si sedette con lei.
- Posso? –
- Certo. –
- Non ti preoccupare per Bill, ogni tanto gli piglia di fare il rompipalle, ma poi gli passa. Capisco che due anni siano pochi per abituarsi a lui. –
Se c’era una cosa che non si poteva rimproverare a quel ragazzo, era di non essere diretto.
- Oh, figurati. E’ anche colpa mia, ho reagito male. –
- Ma no… Ti capisco. –
- E’ che stamattina mi sento un po’ nervosa. – sospirò, stringendosi nelle spalle. – Saranno gli effetti collaterali… - aggiunse ridacchiando.
- Già – Tom sorrise. – Ma tu che programmi hai? Nel senso… hai intenzione di startene come una mummia per sette mesi, come ti ha suggerito lui? –
- Non ho idea di come mi sentirò. Ma Bill capirà sicuramente. Dopotutto, non posso pretendere che capisca sempre cosa voglio. –
- Come, non dicevi che voi vi capite anche senza parlare? – le chiese Tom in modo sottilmente ironico.
- Appunto, ho detto anche… - replicò lei, ridacchiando. – Beh, comunque la novità non è soltanto per me, non sono solo io che devo abituarmici. Spero che non dovrete essere voi ad abituarvi ai miei sbalzi d’umore! –
- Mah… In due anni non ti ho mai vista arrabbiata, ma qualcosa mi dice che, se succedesse, potrebbe essere un segno dell’imminente fine del mondo. –
- Sì, vabbè… Mica sono una santa. –
- Come no, sei ancora viva e con la mente a posto dopo due anni passati in mezzo a noi… più di così non so cosa tu possa fare – disse Tom, sogghignando.
Haylie rise e si strinse nel suo maglione, sentendo un leggero brivido di freddo.
- Spero di non impazzire giusto in questi mesi! – Tom scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, senza però smettere di sorridere.
- Haylie, aspetti solo un bambino… Non credo che questo porti alla pazzia! Al massimo qualche sbalzo d’umore… -
- Io non ne ho idea, Tom. Mi sento ancora un po’ spaventata, a essere sincera. –
A quella parole, il sorriso di Tom cambiò.
Non che l’avesse mai vista come una semplice ragazzina capricciosa, ma, in quel momento, sentì come un moto di tenerezza verso di lei.
Come se volesse trovarsi al suo posto, anche solo per un attimo, per capire cosa provasse…
- Te la caverai egregiamente, ne sono sicuro. –
Haylie lo guardò con riconoscenza.
- Spero che tu abbia ragione. –
- Io non sbaglio mai. – replicò Tom con una finta aria di superiorità.
- Buon per te, Tom, buon per te… -

 
La porta si aprì e richiuse con un rumore tanto debole da essere appena percettibile.
Haylie non raccolse neanche le forze necessarie per alzare la testa, anche perché sapeva benissimo chi era appena entrato.
Era calata la sera, e per tutto il pomeriggio lei e Bill non si erano neanche visti. Aveva passato qualche ora in compagnia di Tom, chiacchierando tranquillamente del più e del meno –stranamente, quel ragazzo le faceva venire voglia di parlare più di quanto non fosse abituata a fare-, prima di appartarsi e stare un po’ per conto proprio, in compagnia dei suoi pensieri e della creatura che si sarebbe portata dentro per mesi.
…Come se volesse cominciare a prendere confidenza, per non trovarsi impreparata quando il momento sarebbe arrivato.
 

Haylie sentì le lenzuola frusciare quando Bill le alzò e poi ci si infilò sotto.
Subito dopo, una sensazione molto più bella… la sua mano fresca sul fianco, con quel tocco delicato che solo lui aveva, e il suo viso tra i capelli.
- Scusami per stamattina – sussurrò a fior di labbra, baciandola dalla guancia alla spalla e riscaldandola con il suo fiato.
- Non è niente – mormorò lei, non potendo trattenere un sorriso appena accennato. Istintivamente, cercò la sua mano, al che Bill l’attirò dolcemente a sé, trovandosi faccia a faccia con lei.
Quel viso gli era mancato per tutto il pomeriggio.
Scivolò silenziosamente sopra di lei, continuando a baciarla e segnando delicatamente il suo profilo con la punta delle dita.
Haylie sentì il suo respiro farsi più affannoso mentre cominciava a spogliarla, e si aggrappò alle sue spalle, stringendolo forte.

 Sì, lo amo.

 Bill si fermò solo un attimo, contemplandola con quei suoi occhi nei quali non aveva mai brillato nessuna luce di malizia.
- Sei bellissima –
Haylie nascose il viso nell’incavo tra il suo collo e la spalla quando avvertì Bill cominciare a farsi spazio tra le sue gambe, cercando di raggiungere il suo intimo con gentilezza non priva di bramosia.
Tutto si confuse.
Bill, i suoi baci, le sue mani, le sue gambe, l’odore della sua pelle, la carezza dei suoi capelli…

Ti amo Bill… Dimmelo anche tu…
Nel suo respiro veloce forse vi era un qualcosa in più, le parole che Haylie cercava, ma, se era così, quella volta non riuscì a sentirle.

 Non aveva mai chiesto niente.
Non aveva mai preteso niente.
Ma quella notte sentì la mancanza di quel ti amo sottinteso, e che sempre lo era stato, senza averle mai dato alcuna preoccupazione.

 
“Nei silenzi,
in un'emozione rotta da un respiro
é chiaro quanto t'amo
e non saprei immaginare la mia
vita senza te .”

(Raf, “Nei silenzi”)

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Capitolo 5
*** Passeggeri distratti - Capitolo cinque ***


Sempre un milione di grazie alla mia sore (per stavolta ti perdono, ma ho paura che la tua lettera si sia persa), a noirfabi e a Kristine per il suo bellissimo commento. Purtroppo in questi giorni ho problemi con il computer, e oltretutto non riesco a buttare giù il capitolo 7… Insomma, potrei ritardare nell’aggiornamento. Intanto spero che anche questo capitolo vi piaccia e...vi lascio un po' in sospeso!

Parte II – Passeggeri distratti

 

Capitolo 5


“Facendo finta di perderti
io mi tormento pensandoti…”

 
Si svegliò così come si era svegliata quella mattina, un mese prima.
Sbadigliando e allungando già una mano verso destra, cercando tra le lenzuola ancora sfatte qualcuno che evidentemente era già in piedi.
Haylie socchiuse di poco le palpebre, quanto bastava per controllare che l’altra metà del letto fosse veramente vuota.
Sì, lo era.
Il suo sorriso aveva qualcosa di meno allegro, meno disteso ma non meno bello a vedersi, quando si fece strada a poco a poco sulle sue labbra.
…un sorriso che sopravviveva solo al pensiero di chi avrebbe voluto trovare accanto a sé ogni mattina…

 
- Ciao, Gustav… -
- Buongiorno, Haylie. Tutto bene? –
- Sì, sì, grazie. Sai dov’è Bill? –
La risposta del batterista fu un cenno di assenso, con la sua solita aria pragmatica.
- Sì, lui e Tom sono a un’intervista. Credo che dopo di questa, Bill ne abbia un’altra. Tom sarà qui nel pomeriggio, penso. Bill non so quando torna. –
Haylie annuì, distogliendo lo sguardo e mordicchiandosi le labbra.
- Okay… Io… beh, penso che tornerò a letto… non mi sento granché bene. –
Gli occhi di Gustav la scrutarono per qualche istante.
- Va bene. Se ti serve qualcosa, io sono qui. –
Haylie sorrise, cercando di non badare al leggero fastidio che l’aveva colpita allo stomaco qualche minuto prima e che ancora non accennava a sparire.
…paura? O delusione?
- Grazie, Gustav. E’ tutto a posto. –

 Haylie si lasciò cadere di schiena sul letto.
Si sentiva strana.
Non avrebbe saputo dire se fosse un qualcosa di fisico o, più semplicemente, disagio, si rendeva solo conto che, quel giorno, c’era qualcosa che non andava.

Sono ad un’intervista…
Non gliel’aveva mai nascosto, le dava un po’ fastidio questo fatto che chiamassero solo lui e Tom –o solo lui, e basta- per le interviste, molto più spesso di quanto chiamassero tutti e quattro i membri del gruppo.
Chi erano, gli altri?
Bill aveva risposto che sì, effettivamente era un po’ strano, e che sarebbe stato meglio partecipare tutti, al completo, ma non aveva mai rifiutato un’intervista o un qualsiasi altro evento che escludesse uno o più componenti della band.
Non gli dispiaceva poi così tanto stare al centro dell’attenzione.

 
Nonostante tutto, Haylie riuscì ancora una volta a sorridere. Sorridere da sola, per se stessa e nessun altro.
Chissà che bambino era stato, Bill.
Tom le aveva raccontato qualcosa in proposito –dopotutto, in due anni e con una tale parlantina, gli argomenti di conversazione non potevano essere sempre gli stessi-, ma non si era soffermato più di tanto nel raccontarle quanto, adesso, Haylie avrebbe voluto sapere.

 
Solo di una cosa era certa.
Di quel bambino, era rimasto qualcosa.
Aveva avuto tempo sufficiente per accorgersene.

 Haylie dubitava che potessero trovare un tempo peggiore.
La pioggia batteva insistentemente contro i vetri dell’hotel dove sarebbero rimasti per due giorni, e il sibilo che produceva il vento freddo insinuandosi in ogni minima fessura aperta era a dir poco inquietante.
Anche l’umore di Bill era “nuvoloso”.
Non aveva detto nulla tutto il pomeriggio, e le rare volte che si era alzato dalla sedia le aveva usate per stazionare davanti alla finestra, sospirando per poi allontanarsi subito dopo.
Era così.
Ad ogni inizio di tournée era sempre così.
Agitato. Suscettibile. Rinchiuso nel suo ostinato mutismo.
Poi aveva tirato fuori un quaderno che Haylie non gli aveva mai visto passare tra le mani –in effetti, stavano insieme da poco, anche se ormai erano più di sei mesi che lavoravano assieme- ed era rimasto chino su di esso per minuti che non avevano tardato a trasformarsi in ore.
Haylie sbirciò un’ennesima volta nella sua direzione.
Non che fosse curiosa, ma non sopportava di vederlo così.
Mosse pochi, silenziosi passi, e si posizionò dietro di lui.
- Ehi… -
Gli poggiò le mani sulle spalle e inclinò la testa di lato, per poterlo finalmente guardare negli occhi.
- Che fai? –
Bill si strinse nelle spalle.
- Provavo a sistemare un bozzetto… -
Dicendo ciò, accennò al quaderno poggiato sul tavolino e aperto a una pagina su cui spiccavano poche linee tracciate a matita e salvate dagli ultimi colpi di gomma con cui Bill aveva aggredito il foglio. Accanto ad esso, un altro foglietto che, a giudicare dai profondi segni incisi dai numerosi piega e spiega e dagli angoli colorati di un leggero color ocra, doveva essere piuttosto vecchio.
Era un disegno. Una felpa, disegnata da una mano giovane ma non per questo inesperta. Vista da due lati, fronte e retro, bianca e nera. Sul davanti, campeggiava il disegno di una stella a cinque punte, la stessa che Bill aveva tatuata su un fianco, sulla schiena si poteva vedere un simbolo per niente sconosciuto.
Una T e una H incrociate a formare quella sigla con cui in seguito tutti li avrebbero riconosciuti.
- L’hai fatto tu? –
- Sì… l’ho disegnata due anni fa, più o meno. Tom continua a dire che dovrei farmela fare, insomma… beh, hai capito, no? …e così stavo cercando di sistemarla, ma non mi viene niente. –
Haylie sfiorò il foglio con la punta delle dita.
Dopotutto quello era il suo mestiere.
- Non ti viene niente perché non c’è nulla da sistemare. E’ perfetta così. –
Bill la guardò stupito.
- Dici? –
- Certo. La versione originale è sempre la migliore. –
- Non so, a me sembrava… boh… è che l’ho creata quando ero piccolo, e così… -
- …e così ti è venuta fuori spontaneamente. Fidati, non ha bisogno di modifiche. Specialmente adesso che sei così irrequieto. –
Bill le lanciò uno sguardo fulmineo.
Poi chinò la testa e sospirò.
- Scusami. Non posso farci niente, sono nervoso. –
Haylie sorrise, sentendo un improvviso moto di tenerezza per quello che ora sembrava solo un bambino spaventato.
Spaventato e
insicuro.
Si chinò in avanti e lo abbracciò, poggiando la testa sulla sua spalla.
- Devi stare tranquillo. E’ sempre andato tutto bene, e andrà tutto bene anche stavolta. –
Lui non rispose. Si limitò ad abbracciarla a sua volta, poggiando la testa sulla sua e lasciandosi andare a un lungo sospiro.
Un sospiro dal suono diverso.
Come… di sollievo.
Poi si allontanò di qualche centimetro, portando le mani tra i capelli di Haylie, lunghi e setosi. Era una delle sensazioni che amava di più, quella dei suoi capelli tra le dita.
Inclinò la testa di lato e dischiuse le labbra, accostandole a quelle di lei.
In cerca di un conforto, di una speranza…
O, più semplicemente, in cerca di lei.
Della sua essenza e del suo amore incondizionato.
Quel bacio durò a lungo, o, perlomeno, molto di più rispetto a quelli che finora aveva ricevuto o le aveva regalato.
E non poté fare a meno di ridere. Amaramente.
Quella risata gli venne spontanea, e non poté fermarla in alcun modo.
Haylie lo guardava incuriosita, stranita, quasi.
- Sai, a volte mi sento… strano. Inadeguato, ecco. E’ una sensazione ricorrente. E sembra che io non possa farci nulla. –
Chiuse gli occhi e cercò la sua mano, per poi portarsela sulla guancia e tenerla ferma lì, unico conforto in quello che sembrava un giorno vuoto e senza prospettive.
Il suo viso era freddo come il vento che scivolava silenziosamente fuori da quella finestra.
Haylie lo accarezzò lentamente, cercando di mettere in quel gesto tutte le parole che non riusciva a cavare fuori dalla bocca.
- Mi sento incredibilmente, orribilmente fuori posto… -
I suoi occhi nocciola non la guardarono, non volevano mostrare quel bisogno d’aiuto.
- Tu sei perfetto così. –
Forse non avrebbe voluto dirlo.
Era quel genere di cose che, per principio, non diceva mai a nessuno, che classificava come sbagliate, inadatte.
Ma le venne naturale.
Forse perché lui aveva bisogno di sentirselo dire, o forse perché era lei ad aver bisogno di dirlo.
- Se davvero fossi inadeguato, come dici tu, o fuori posto, qualcuno te l’avrebbe fatto notare. Non saresti arrivato fin qui. Te ne saresti accorto, non credi? –
Finalmente Bill sorrise. Haylie si sedette sulle sue ginocchia e gli prese il viso tra le mani, regalandogli un altro sorriso.
- Io ti amo. E ti amo perché sei come sei. –
Si sentì incredibilmente stupida nel dirlo, ma lo disse.
Non c’erano parole più adatte per esprimere quello che sentiva dentro di sé.

 Già…
Se prima non c’erano parole più adatte, ora sembrava che non ci fossero più, le parole adatte.
Quel ti amo era stato pronunciato poche volte, ma sentito ogni giorno, alimentato e custodito gelosamente.
Forse troppo gelosamente.
Haylie si toccò nuovamente la pancia. Sembrava che quel fastidio non volesse passare, anzi, che si accentuasse ogni minuto di più e non tardasse a trasformarsi in dolore. A quel punto cominciava a dubitare che si trattasse solo di pura e semplice nostalgia.
Cercò di spostare altrove la propria attenzione.
Decise che non avrebbe più dato peso a quel loro parlare senza parole. In realtà, non gliene aveva mai dato, ma in quelle ultime settimane il pensiero ricorreva abbastanza spesso.
Erano così diversi, quei quattro ragazzi…
Ma evidentemente Bill era il più compatibile a lei, simile per certi aspetti, completamente diverso per altri. Anche se quegli altri erano davvero pochi.

 
Haylie strizzò gli occhi e s’irrigidì.
Distrarsi cominciava ad essere difficile.
Cercò di scacciare quel vago senso di panico che cominciava ad impadronirsi di lei. Ma, anche se ci fosse riuscita, ciò non sarebbe servito a far sparire il dolore.
Subito dopo sentì un rumore indistinto. Biascicò un debole “avanti” dopo aver realizzato che doveva essere qualcuno che stava bussando alla porta della sua camera.
- Haylie? –
La ragazza deglutì, cercando di non alterare troppo il suo tono di voce, e si mise a sedere sul letto.
- Sono qui –
- Bill mi manda a dire che non può liberarsi prima di stasera. Ha un’altra intervista e non so quale altro impegno. Comunque io sono di là, ok? –
Era talmente concentrata a non lasciar intendere quanto disperatamente stesse lottando per nascondere il dolore, che capì che si trattava di Tom solo dalle parole che gli sentì pronunciare.
Annuì, come se le costasse uno sforzo immane.
- D’accordo… -
- Va tutto bene? –
- S-sì… oddio, no! – Nonostante tutti i suoi sforzi, si lasciò sfuggire un lamento soffocato, portandosi entrambe le mani sul ventre e stringendolo convulsamente. Tom si precipitò accanto al suo letto, afferrandola per un braccio.
- Haylie, che succede? – esclamò con una non poco evidente nota di ansia nella voce.
- N-non lo so… è da stamattina che… - cominciò, ma le parole le morirono in gola quando sentì un’altra fitta al basso ventre. Istintivamente si aggrappò al braccio di Tom per non perdere l’equilibrio. – Oddio Tom… - ansimò, sentendo piccole gocce di sudore cominciare a scenderle giù dalle tempie lungo le guance.
- Haylie, mio Dio, che hai?! –
- Non lo so… non lo so! –
Non si poteva dire chi dei due fosse più terrorizzato, se Haylie, mentre mille e più tragiche ipotesi si facevano strada nella sua mente, o Tom, completamente preso alla sprovvista. La ragazza lo fissò con occhi colmi di angoscia.
- Tom… -
Sentiva che il pensiero che almeno non fossero in viaggio, ma fermi in chissà qual città della Germania, non sarebbe servito a confortarla, tanto più che, proprio in quel momento, veniva a mancare quella che era una presenza essenziale, l’unica, forse, che avrebbe avuto il potere di rassicurarla.
- Stai tranquilla, Hay, adesso chiamiamo un medico, o vediamo se c’è un ospedale nelle vicinanze, ma tu cerca di stare calma, ok? – La voce di Tom cercava di mascherare un leggero balbettio dovuto alla paura, ma i suoi occhi sbarrati e le mani tremanti, se Haylie non fosse stata tanto occupata a cercare un modo per alleviare gli spasmi di dolore, lo avrebbero certamente tradito.
Istintivamente, la sua mano cercò quella del ragazzo.
- Ho paura Tom… - mormorò cercando di trattenere le lacrime.
- Tranquilla… andrà tutto bene, ok? –
Haylie avrebbe dato qualunque cosa pur di sentirlo ripetere “Fidati, io non sbaglio mai”.
Ma, se lo disse, non ebbe il tempo di sentirlo, perché si accasciò nuovamente sul letto, in lacrime, non sapendo se attribuire quella disperazione alla paura di perdere qualcosa –qualcuno- che già aveva cominciato a sentire parte di sé, o per la mancanza di quelle mani, di quegli occhi, di quella voce a tranquillizzarla, e che invece, ovunque fossero in quel momento, erano comunque troppo lontane.

 

Indovinate quale canzone ho usato stavolta? Esatto! "Passeggeri distratti" di Raf!

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Mmm…strani fenomeni… aumentano le letture e le aggiunte ai preferiti, ma diminuiscono le recensioni… Bah, i casi della vita XD
Sono riuscita a finire il benedetto capitolo 7 e mi sto già triturando il cervello in cerca di un’idea per il successivo. Nel frattempo, buona lettura ^^

Capitolo 6

 
Raggomitolata tra coperte ancora troppo fredde per darle conforto, Haylie stentava tuttora a credere a quanto aveva sentito.
Certo che, però, quel sorriso appena accennato e ancora un po’ tremolante, ma sincero, che si vedeva davanti, in qualche modo la distraeva dalla sua incredulità.
- Hai sentito, Haylie? E’ tutto a posto. Solo una stupida intossicazione. –
In altre circostanze sarebbe persino riuscita a ridere, ma in quel momento si sentiva ancora stordita. Il dolore non era passato, ma una piccola dose di pillole e la notizia che non fosse successo nulla di irreparabile erano servite ad alleviarlo almeno un po’.
- Una stupida intossicazione che mi ha quasi procurato un infarto e una crisi isterica… cominciamo bene –
Nonostante l’agitazione ancora non del tutto smaltita, Tom rise.
- Non so se l’infarto abbia minacciato più te o me… meno male che ci hanno mandato subito un medico dall’ospedale, altrimenti non so cosa avrei potuto fare. Vedi cosa fa essere “quello dei Tokio Hotel”? –
Haylie chiuse gli occhi e sospirò.
- Dio, Tom… non puoi capire la paura che mi ha preso… -
Il ragazzo le accarezzò i capelli, sorridendo.
- Dài, non pensarci più. Con le schifezze che mangiamo qui, era inevitabile che succedesse, prima o poi. L’importante è che non ci siano stati danni gravi. –
Haylie riaprì gli occhi e lo scrutò per qualche istante, non ancora tranquilla.
… quegli occhi innocenti e spaventati sembravano ancora più grandi.
- Per un attimo l’ho temuto. –
Le sfuggì un altro lungo e penoso sospiro, poi chinò la testa.
- Credo che sia stato peggio del dolore… quello fisico, intendo. –
Tom, seduto sul bordo del letto, rimase a guardarla in silenzio. Il suo non era imbarazzo, solo, sentiva che quello non era il momento adatto per parlare. In fondo, per quanto si fosse trovato coinvolto, la paura che aveva provato di certo non poteva essere paragonata a quella di Haylie.
Sembrava che covasse qualcosa, che si tenesse dentro un segreto…
…o, più semplicemente, che volesse esternare i sentimenti che le si erano accumulati dentro in quella mezz’ora, sfogarsi, parlare di quello che aveva provato.

 - Riesci a immaginarlo? –
Ecco.
Tom rimase ancora qualche secondo in silenzio, rendendosi conto di non avere una risposta a quella domanda.
- Potrei dirti di sì… -
…lei si attorcigliava i capelli tra le dita, segno che era nervosa, che c’era un qualcosa che non sapeva o non poteva spiegare…
- …ma credo che sarebbe una bugia. –
Finalmente smise di torturarsi i capelli. Lo guardò di nuovo, e a lui sembrò che quegli occhi non fossero più così colmi di paura. Solo un po’ stanchi, forse.
- In questo momento mi sento… incredibilmente stupida, sai? Per un attimo ho davvero creduto che avrei potuto perderlo… - Si portò le lunghe dita sottili sulla pancia, giocherellando nervosamente con la lana del maglione color panna. – Ed è stata una sensazione orribile, insopportabile. Non credevo che… insomma, non pensavo che avrei potuto sentirmi così in una circostanza simile. –
- Ma non avevi neanche pensato che sarebbe potuto succedere, vero? –
La ragazza lo guardò di sottecchi.
Non aveva neanche avuto il tempo di realizzarlo, che lui aveva reso parole i suoi pensieri.
- In realtà non è successo. Non è che ho rischiato di abortire… -
- …ma l’hai creduto… -
- …ed è più o meno la stessa cosa. –
- Già –
Haylie si strinse nelle spalle, sospirando ancora.
A Tom parve di vedere un timido accenno di sorriso comparire sulle sue labbra.
Non certo un sorriso allegro, ma pur sempre un sorriso.
- Però continuo a sentirmi stupida. –
- Non ne hai motivo. – Ricevette in risposta uno sguardo scettico. O confuso. O… Non avrebbe saputo dirlo, in realtà. – Davvero, Haylie. E’ stata una coincidenza, un imprevisto, una cosa che sarebbe potuta capitare in ogni momento, e che ha scelto quello sbagliato. E’ normale che ti abbia preso la paura, no? Chiunque, al tuo posto… -
- No, non è per quello che mi sento stupida. – lo interruppe a bassa voce. Fece una pausa. Poi evitò il suo sguardo, chinò la testa, come se si vergognasse di esprimere a parole i pensieri che covava in quel momento. – E’ perché solo così ho cominciato a sentirlo… importante. Come parte di me. Cioè… - Si interruppe, imbarazzata. - E’ parte di me, ma è come se prima non lo sentissi abbastanza. –
Il silenzio che riceveva in risposta le fece capire che Tom stava ascoltando, e che forse non trovava le parole adatte per rispondere.

 
Era raro che Tom Kaulitz non ribattesse, che mancasse di rispondere.
Fu questo a darle il coraggio di proseguire.
- Qualcuno diceva che ci si accorge dell’importanza delle cose solo quando si perdono. Io non l’ho perso, non ho neanche rischiato di perderlo, ma… ma mi sono accorta di quanto sia vera quella frase. Ho solo creduto di poterlo perdere… E solo così mi sono accorta di quanto io ci tenga, a questo bambino. –
Deglutì, stringendosi nel proprio maglione.
Al contrario di quanto aveva pensato, pronunciare quelle parole non le era costato alcuna fatica, nessuna vergogna.
Anzi, era stato più facile raccontare così, di getto, quello che aveva provato piuttosto che stare a scegliere le parole più adatte per rendere bene l’idea.
Sentì la mano di Tom sfiorarle una guancia, ma non aprì gli occhi. Restò lì a godersi quel contatto, breve, ma caldo e rassicurante.
- Va meglio, adesso? Sei più tranquilla? –
Riaprì gli occhi e finalmente riuscì a stiracchiare le labbra in un sorriso.
Come non ricambiare Tom, la sua gentilezza, la sua disponibilità, la sua innata semplicità?
- Sì, per fortuna sì. Grazie di tutto. –
Ma poi ebbe come un flash. Improvviso e violento.
Bastarono pochi attimi di silenzio per riportarla a una domanda che aveva smesso di porsi circa una mezz’ora prima.
- Dov’è Bill? –
Tom parve doverci riflettere un momento.
- Ehm… Avrò fatto male, ma l’ho chiamato mentre il medico stava venendo qui. Ha detto che avrebbe fatto il possibile per liberarsi, ma non so quando riuscirà a venire. –
Haylie annuì, distogliendo lo sguardo.
- No, non hai fatto male. Ma si sarà preoccupato… immagino. –
- Beh, certo, contento non era… -
Seguì un breve ma pesante silenzio.
- Avresti voluto averlo qui con te, vero? –
La voce di Tom, per quanto carica di dolcezza, non poté farle rendere conto che le sue parole rispecchiavano la pura e semplice verità. La ragazza annuì lentamente.
- Sì… credo di sì… -
Notando che l’espressione e il tono di Haylie erano cambiati radicalmente, Tom cercò di sdrammatizzare.
- Vabbè, dài, forse è meglio così. Quello lì è ansioso da far paura, magari ti avrebbe solo fatta agitare di più. –
- Sì, forse è vero… -
Tom le lanciò uno sguardo fugace.
- Accidenti, scusami… E’ ovvio che avresti voluto averlo accanto. –
- Tom, lascia perdere. Non è successo niente. Hai ragione, è stato meglio così, abbiamo risolto tutto in poco tempo. Mi sono spaventata per niente e sto facendo storie per niente. Tutto qui. – Si impose di sorridere, ma preferì non sapere se il risultato fosse più o meno convincente. – Grazie di tutto. Mi… mi ha fatto bene parlarne. –

 
Proprio come aveva pensato.
“Mi ha fatto bene parlarne”.
Non aveva detto “Mi ha fatto bene parlarne con te”.
Tom scacciò in fretta quel pensiero, cosa che tuttavia non gli impedì di occupare la sua mente per un certo numero di secondi.
Doveva smetterla di essere così egocentrico. Era ovvio che Haylie volesse parlarne con qualcuno, ed era capitato che fosse presente lui.
Certo, Bill non si sprecava mai troppo con le parole, ma se andava bene a entrambi…

 
Bill non aveva potuto fare a meno di ridere della sua faccia perplessa, anche se era ovvio che Tom non aveva poi tanta voglia di scherzare.
Perlomeno, non per i suoi standard.
- Davvero, Tomi, mi sorprendi. Non è da te! –
Il biondo sbuffò sonoramente.
Se c’era una cosa che detestava, era il non essere preso sul serio.
- Direi piuttosto che non è da
te
Bill lo guardò falsamente stupito.
- Cosa? Innamorarmi? –
La risposta di Tom fu una semplice alzata di spalle.
- Allora di questo passo possiamo fare notte. Posso tranquillamente rigirarti la domanda. Non mi pare che nessuna delle tue, chiamiamole così, infatuazioni sia durata più di due giorni. Di due notti, volevo dire. –
- Sì, vabbè, se la metti così… -
- La metto così. –
Tom si lasciò scappare una seconda sbuffata. Alle volte, Bill sapeva rendersi veramente antipatico.
Non che lo facesse apposta, era semplicemente un rompiballe nato che non si rendeva conto di essere tale.
Era giunto alla conclusione che bisognava solo compatirlo, sorvolando sul fatto che fossero gemelli e che non passassero un giorno l’uno lontano dall’altro.
- Ma io non mi sono mai portato una ragazza nel tourbus. –
- Infatti io non mi sto portando nessuno sul tourbus. Nessuno che non ci sia già stato. Ti ricordo che lavoriamo insieme da cinque mesi. Non pensavo che la sua presenza ti risultasse scomoda. –
- Bill, per carità! Nessuno ha detto che mi stia scomoda. –
- Ah, mi sembrava. –
- Ecco, sì, ti sembrava. –
Tom si fissò le mani per qualche istante, cercando di non perdere la calma. Non era la questione in sé ad innervosirlo, ma il fatto che Bill riuscisse quasi sempre a rigirare i discorsi a proprio favore stava al secondo posto nella lista di cose che detestava.
Forse era per questo che aveva imparato ad imporsi, senza farsi troppe domande e soprattutto senza che se le facesse nessun altro.
- Non è che covi un certo quale… interesse nei suoi confronti? –
Altro segno che Bill cominciava a dare i numeri.
Quando si parlava di ragazze, Bill passava direttamente al “Non è che te la sei fatta prima di me?”.
Se ora ricorreva a termini così delicati, voleva dire che da parte sua c’era davvero qualcosa di più che un “certo quale interesse”.
- Ma per favooore! -
- Come se non ti conoscessi. –
- Bill, sai che non mi piacciono le ragazze con i capelli rossi. –
Tom lo disse con il tono di chi voleva concludere in fretta il discorso, ma il fratello gli rivolse un’occhiata educatamente stupita.
- Oh, bene. Ti consiglio di ricordartelo quando comincerai a imparare cosa vuol dire “innamorarsi”. Santo cielo… Potresti innamorarti di una bella biondina che poi si rivelerà semplicemente una rossa tinta. Mi raccomando, assicuratelo, o potresti cadere nel letto sbagliato. –
Lo stupore dipinto sul volto di Tom non era educato, né malcelato, né discreto.
Era meraviglia vera e propria.
Quando mai Bill gli si era rivolto con quel tono? Con quelle parole? Con quella faccia?
Nonostante ciò, non poté frenare la sua naturale inclinazione a non farsi mettere i piedi in testa e a non mancare mai di avere l’ultima parola.
- Complimenti Bill. E’ proprio vero che un fratello ha sempre qualcosa da insegnarti. Se innamorarsi vuol dire diventare così, penso che diventerò puttaniere di professione. –
- No, aspetta, Tom. –
Si era voltato e aveva fatto come per allontanarsi, ma poi sentì la mano fredda di Bill trattenerlo per il polso.
- Scusami, non volevo essere acido –
- E allora fatti curare da uno bravo –
Bill evitò di ribattere. Sapeva che, se l’avesse fatto, la discussione si sarebbe protratta all’infinito.
- Lo so che è strano. E’ strano anche per me. Finora sono stato talmente preso dal lavoro che non ho mai avuto neanche il tempo di guardarmi intorno. Ma ora mi sembra di… non so, mi sento più libero, come se la mia giornata durasse di più, o come se potessi viverla meglio di prima. Mi dispiace se mi vedi diverso, Tom, ma io mi sento… migliore. Semplicemente, mi sento bene. –
Tom non rispose. Si limitò ad annuire, evitando il suo sguardo e mantenendo un’aria sostenuta.
- Ohi, non sarai mica geloso? – ridacchiò Bill. Tom lo guardò con gli occhi spalancati.
- Io? Per carità, Bill, ci manca solo questa, e poi sai come saranno felici le nostre twincester? –
Seguì qualche istante di silenzio, rotto solo dal continuo ridacchiare di Bill.
- La ami davvero, eh? –
Stavolta fu Bill a non rispondere. Si limitò a stringersi nelle spalle, sorridendo con una punta di imbarazzo.
In quei momenti, a Tom sembrava di rivedere il bambino di non più di sei anni che confessava al fratellone di essersi preso una cotta per la compagna di scuola che ogni giorno gli regalava una caramella.
- Lo prendo per un sì. –

 Il flusso di ricordi fu interrotto dallo sbattere di una porta accompagnato da un’esclamazione carica di angoscia:
- Dov’è? Sta bene?! –
Tom si rivolse ad Haylie con un sorriso a metà fra l’esasperato e il rassegnato.
- Eccolo qui. Mi raccomando, tranquillizzalo. Mi sa che si è spaventato più di te. –
La salutò con un bacio sulla guancia prima di uscire dalla camera, lasciando la porta aperta.
Haylie lo sentì parlare con Bill per non più di un minuto, con voce calma e pacata, per una volta non canzonatoria. Ma, a giudicare dal tono di Bill, ciò non bastò a calmarlo.
Infatti Haylie se lo vide piombare davanti in un tempo tanto breve da non riuscire a calcolarlo.
- Haylie! Haylie, stai bene? –
- Sì, Bill, sto bene, non ti preoccupare. E’ stato solo un falso allarme… -
Ma non poté continuare la frase, perché si ritrovò stretta fra le sue braccia prima ancora di poter elaborare un’altra frase.
- Dio, quando Tom ha chiamato mi ha preso una paura… -
Haylie si lasciò abbracciare, trovando piacevole persino il contatto con la sua pelle fredda. 

Lui era lì, finalmente.
Poteva raccontargli tutto, poteva dirgli le stesse parole che aveva detto a Tom, poteva stare lì a sentirlo mentre la consolava. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, accoccolandosi contro il suo petto.
- Anche io ho avuto paura. Non puoi immaginare cosa… -
Ma non appena proferì quelle poche parole, Bill la strinse più forte a sé, poggiando la guancia sulla sua testa.
- Sssh… Non dire niente… - sussurrò appena.
Haylie avrebbe voluto dire di tutto e di più.
Raccontare, anche se non c’era poi tanto da raccontare.
Sfogarsi, anche se in fondo non ce n’era motivo.
Ma le mancò il coraggio, e si odiò. Soprattutto perché non riusciva a capire perché quella forza fosse venuta a mancare.

 “Io giro a piedi e mi perdo,
non so dove vado.
C'è confusione,
il mondo sembra andare avanti anche senza noi.
Se me ne andassi via da qui
 chi mi verrebbe a cercare?”

E la canzone è sempre "Passeggeri distratti" di Raf.....

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Ancora una volta, grazie a chi recensisce, a chi legge e a chi mi ha aggiunta ai preferiti… Se poi mi lasciaste un commentinoinoino sarei davvero felice! Questa storia si sta rivelando una vera sfida per me, e se conoscessi qualche opinione in più, positiva o negativa che sia, non mi farebbe male ^^

Capitolo 7

Haylie strinse per l’ennesima volta la mano di Bill, respirando più velocemente del solito.
E il guaio era che neanche lei sapeva perché.
Bill si voltò a guardarla e cercò di trattenersi dal ridacchiare. Nella sua ingenuità, nel suo essere bambina era così tenera…
- Mi spieghi perché ti stai agitando così? –
Haylie non aveva intenzione di nascondere il suo stato d’animo, ma, anche qualora avesse voluto, sarebbe stato pressoché impossibile.
- Perché mi sto chiedendo se sia la cosa giusta –
Bill scosse la testa sorridendo, senza però aver cuore di prenderla in giro, come normalmente avrebbe fatto con chiunque altro.
- Haylie, stai solo… cambiando residenza, diciamo. Sarai sempre su un tourbus, unica differenza, non con gli altri membri dello staff, ma con noi –
- Forse non è poi una così grande idea –
Bill mise su un finto broncio.
- Preferisci stare con lo staff piuttosto che con me? –
Haylie sospirò e le sue labbra si incresparono in un timido sorriso.
- No, stupido. Se non me lo avessi chiesto tu, non mi sarebbe mai saltato in mente –
- E allora fidati. Meglio stare con me, Georg, Gusty e Tom piuttosto che con quei quattro bacucchi –
- Ecco, giusto lui –
- Lui chi? –
- Lui Tom –
- La sua presenza ti disturba? – le chiese Bill, confuso. Il fastidio non era certo incluso tra le reazioni che suo fratello suscitava solitamente in una ragazza.
Certo, lei non era “una” ragazza.
Era
la sua ragazza.
La gelosia e la possessività erano tra i difetti che gli venivano rimproverati più spesso, ma a quel punto aveva deciso di non dare peso ad osservazioni del genere. Tanto, che ne potevano sapere gli altri?
- No, per carità, semmai sarà lui a non gradire la mia – Bill la guardò come se avesse parlato arabo.
- Ma figurati! Scusa se mi permetto, ma lo conosco da più tempo di te, ho diviso con lui tutti i miei preziosi spazi e so come è fatto. Non è mica un bambino di due anni, anche se a volte lo sembra… -
- Sì, ma insomma, sono pur sempre un’intrusa… -
- Allora per lo stesso motivo dovresti preoccuparti anche per Gustav e Georg, no? –
A quelle parole, Haylie spalancò gli occhi, più agitata che mai. - E questo che vorrebbe dire? –
Bill la guardò con una finta espressione canzonatoria. Sì, l’ingenuità di Haylie era decisamente paragonabile a quella di un bambino.
- Che ti stai preoccupando per niente, che devi stare tranquilla e che il mondo intero ti adora, ok? –
La ragazza sospirò, sorridendo e vergognandosi per la sua stupidità.
- Vuol dire che non hai visto poi così tanto del mondo… Ok, andiamo, o cambierò idea. –
- Non ci provare neanche – la rimbeccò lui, attirandola a sé e baciandola.
Al contrario di quanto aveva pensato, quando Bill spalancò la porta d’entrata al tourbus, Haylie lo trovò stranamente accogliente, sensazione forse derivata dal fatto che la sua precedente sistemazione lasciasse parecchio a desiderare.
Haylie cercò di stare tranquilla e non rimuginare troppo, ma il lasso di tempo che passò fra la loro entrata e la sistemazione dei suoi pochi effetti personali nella sua nuova “camera” le sembrò più breve di un nanosecondo.
- Come vedi, neanche questa è una reggia – disse Bill, - ma ci si arrangia. –
- Invece è fantastico – replicò sinceramente Haylie. – Ma dove sono tutti? –
- Beh, oggi è giornata libera – rispose Bill con espressione meditabonda. – Gustav l’abbiamo sguinzagliato in giro per la città, non ce la fa a stare tutto il giorno rinchiuso, e presumibilmente Georg sarà con lui. Tom dorme, penso. – aggiunse dando uno sguardo all’orologio.
- Dorme? Ma se è l’una! –
- Oh, figurati, certe volte tira pure fino alle quattro del pomeriggio. – Haylie lo guardò stranizzata.
- Problemi del metabolismo o cosa…? –
- Problemi di un bambino viziato, suppongo. – Bill le sorrise scompigliandole i capelli.
Fantastico, pensò Haylie. Speriamo che lui e Bill non si somiglino poi così tanto.
Scrutò per qualche secondo il suo ragazzo prima di tornare a sorridere.
No, non era possibile. Bill era semplicemente unico.

 
Era passato talmente tanto tempo da quel giorno che Haylie si stupì di riuscire a ricordarlo in ogni minimo particolare.
Beh, in effetti i punti essenziali della sua vita li aveva trascorsi su quel tourbus, accanto a loro. Era inevitabile che la sua memoria conservasse gelosamente ogni immagine e ogni parola.
Come, per esempio, la settimana successiva al suo trasferimento su quella sorta di casetta con le ruote…

 
Da una parte era convinta di aver fatto la scelta giusta. Diamine, stare accanto al suo ragazzo ventiquattro ore su ventiquattro era il meglio che potesse chiedere!
Ma dall’altra…
Impossibile. Doveva essere colpa sua se dopo sette giorni abbondanti continuava a sentirsi a disagio.
In momenti come quelli si sarebbe presa a schiaffi da sola.
Gustav era il miglior “coinquilino” che si potesse desiderare, Georg era un tipo divertente, qualsiasi parola che uscisse dalla bocca di Tom aveva il potere di provocare un attacco di risa collettivo…
…e allora perché
cavolo si sentiva ancora a disagio?
Arrovellandosi continuamente su quella domanda, si convinceva sempre di più di essere una specie di reincarnazione della Principessa sul pisello.
Ma questa sua strana sindrome del “sarò giusta?” sembrava ricorrere anche fin troppo spesso. Per motivi futili, stupidi, impensati. Ma c’era, e persisteva.
Alle volte le bastava guardare Bill per cominciare a porsi mille domande. Anzi, per cercare il coraggio di cominciare a porsele, quelle domande.
Cosa poteva aver trovato Bill in lei?
Cosa poteva aver provato per lei quel ragazzo strano e affascinante, tormentato dai ricordi di un’infanzia da cui era scappato appena la fama gliel’aveva permesso, ma così carismatico?
L’avesse chiesto a Tom o a Georg, la risposta non gli avrebbe risparmiato una carrellata di complimenti: lui era anche ansioso, paranoico, impenetrabile, perfezionista, egocentrico.
Bello, sì, bello da morire. Bello fuori e dentro, bello in tutto e per tutto.
E allora… davvero, cosa aveva trovato in lei?
Haylie non glielo aveva mai chiesto.
Forse era anche questo uno dei fili conduttori del loro quieto vivere, del loro parlarsi senza parlare.
Lei non gliel’aveva mai chiesto, e lui non gliel’aveva mai detto.
Convinto che lei lo sapesse da sé. Attribuendole una percezione di sé stessa che lei non aveva.
In futuro, chissà, magari sarebbero stati come una grande famiglia, ma in quel momento…
…in quel momento aveva solo lui, e si sentiva sola. Sola con lui, certo.
Ma lui non era solo.
Eppure quel loro piccolo universo privato, tenuto gelosamente lontano dagli occhi dei loro milioni di fan, l’aveva affascinata sin dal primo giorno in cui vi aveva messo piede. Si sentiva come se, se fosse riuscita ad inserirsi, poi tutto sarebbe tornato come prima. Loro con la loro musica, lei con Bill.
Non poteva certo immaginare che, due anni dopo, raggomitolata su quello che non avrebbe mai pensato che sarebbe poi diventato il “suo” letto, si sarebbe aggrappata proprio alla consapevolezza di essere in un gruppo, che al mondo non c’era soltanto “lui”, per sopravvivere.
Tom per esempio.
Era senza dubbio quello con cui si poteva parlare più facilmente. Non di argomenti seri, parlare e basta.
Qualsiasi problema ci fosse, lui aveva la capacità di farlo passare in secondo piano senza però sminuirlo.
Sì, suonava come un controsenso. Ma era così. Teneva viva la compagnia anche in quei giorni che altro non potevano definirsi che apatici, riusciva ad alleggerire anche la più pesante delle atmosfere.
Ma Haylie lo sentiva lontano.
Più lui si mostrava espansivo, più lei percepiva come una barriera a dividerli. Forse era proprio quella sua esuberanza, il muro invisibile.
Quel giorno lui era raggomitolato sul divanetto della zona relax, con la sua chitarra sotto il braccio. A dire il vero, quella era praticamente la sua unica occupazione. Se ai concerti la sua presenza equivaleva a qualche minuto di cabaret, quando era solo con la sua chitarra diventava un’altra persona.
E assomigliava incredibilmente a Bill.
- E’ bella – mormorò Haylie sul finire di una melodia che non aveva mai ascoltato prima. Tom le rispose con un largo sorriso.
- Grazie –
- Non… non è una delle vostre canzoni, vero? – continuò imbarazzata.
- No, infatti. Ogni tanto ho bisogno di qualcosa che sia solo mio –
Le labbra di Haylie si curvarono in un timido accenno di sorriso. Lei lo sentiva ogni giorno, il bisogno di qualcuno che fosse solo suo…
- Ma non è più bello condividere le tue emozioni con gli altri…? Con tuo fratello, per esempio? –
Si morse le labbra dopo aver pronunciato quelle parole. Non sarebbe mai guarita da quella sua ritrosia esagerata, ma in quel momento le parve di aver davvero azzardato troppo, e la risposta epigrafica di Tom non fece che confermarlo: da quando si conoscevano, Tom non aveva mai dato riposte lapidarie se non ai giornalisti troppo invadenti.
- Non siamo mica la stessa persona – rispose stringendosi nelle spalle, prima di ricominciare a suonare. Haylie sospirò per darsi coraggio e prese posto sul divanetto, a una decina di centimetri di distanza da Tom. Si torse nervosamente le mani per un po’. La imbarazzava che ora Tom si comportasse come se lei non fosse presente.
- Tom… c’è qualche problema? –
- Problema? No – fu la secca risposta che lui le diede senza neanche guardarla.
- Davvero. Sono venuta qui solo perché Bill ha insistito, ma speravo che non sarebbe stato difficile stare tutti insieme –
- Infatti stiamo benissimo –
- Io potrei stare meglio. E anche tu – A quelle parole, Tom alzò finalmente la testa e la guardò stranito.
- Dici? – replicò con una sfumatura di sarcasmo nella voce. Haylie sospirò.
- Credimi, Tom, non so con che faccia potrei dirtelo, ma io… beh, io non mi sento a mio agio. E’ come se non ci dovessi stare, qui. Non voglio dare fastidio a nessuno, neanche a te –
- Ho… ho detto qualcosa di sbagliato? – chiese Tom, confuso.
- No, ma vorrei sapere se è vero quello che penso. Che qui non dovrei starci –
Quella volta fu Tom a sospirare. Si appoggiò la chitarra sulle ginocchia, e parlò sfiorandone le corde con le dita, senza incrociare lo sguardo di Haylie.
- No, Haylie, è tutto a posto, davvero. Non è un problema se stai in tourbus con noi, anzi mi stupisce che tu ti sia adattata così bene. Agli orari, alle scomodità, intendo. Io ci ho messo molto di più –
- E allora…? – Tom sospirò nuovamente e si strinse nelle spalle.
- Ma niente… in fondo non è cambiato nulla. Forse mi ero abituato ai nostri ritmi… prima –
- Ma se hai detto che non è cambiato nulla… -
- Lo so, lo so. Te l’ho detto, mi dispiace se hai pensato di essere un problema. Forse, più che alla vita di prima, mi ero abituato a
Bill prima –
Haylie rimase a guardarlo, le sopracciglia alzate in una manifestazione di sorpresa, non capendo a fondo cosa volesse dire il suo interlocutore. A dire il vero, era la prima volta che si parlavano sul serio.
- Non lo so, è diverso. O forse sono io che me l’immagino così, so solo che lo vedo… in un altro modo –
- Oh, mi dispiace… - mormorò imbarazzata Haylie, sentendosi vagamente in colpa senza neanche sapere perché.
- No, non è colpa tua. Non so, è come se volesse dimostrare che ora è grande, è un uomo… -
Se glielo avesse detto anche solo un anno dopo, Haylie avrebbe saputo come rispondere: non era raro che Bill sentisse il bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno…
- Non so cosa dirti, Tom. Mi dispiace. Non potevo immaginare… -
Tom voltò di poco la testa e le lanciò un’occhiata veloce.
Non era antipatica. Non era saccente. Era solo timida, infinitamente timida, sperduta in un modo che non era il suo.
I suoi occhi chiedevano solo di sapere. Non chiedevano aiuto, né protezione, né affetto.
Non chiedevano nessuna delle cose di cui molto probabilmente aveva bisogno.
Fu lì che Tom decise di guardarla sotto un’altra luce. Anzi, di guardarla e basta, visto che fino a quel momento si era sforzato di far finta che lei non ci fosse.
- Non dire così, non è colpa tua –
- Se vuoi posso provare a parlare con lui… -
Tom sospirò, ma non poté trattenere un sorriso. Il primo che le regalò. Il primo di quella che sarebbe stata una lunga serie. – Davvero, non farlo. Se no poi i suoi capricci da primadonna me li devo sorbire io. Cioè, non volevo dire che… - si affrettò ad aggiungere, confuso, ma troncò a metà la frase. Sembrava quasi che volesse parlare male di suo fratello davanti a lei. Non si sarebbe mai sognato di farlo –non per davvero-, ma quella ragazza era così… strana, così lontana. – Insomma, passerà – concluse imbarazzato.
Haylie sorrise, sollevata. Tom la studiò per qualche istante. Sollevata di cosa? Era quello il suo gran problema?
- Sì, passerà… - mormorò alzandosi lentamente dal divano, il sorriso ancora stampato sulle labbra.
Un sorriso diverso, non esagerato, non allegro, solo… un sorriso come di sollievo, accompagnato da uno sguardo non meno strano, perso nel vuoto.
Quasi non si accorse delle ultime parole che lei gli rivolse prima di uscire dalla zona relax.
- Grazie, Tom –
No, non l’avrebbe mai capita.

 Haylie chiuse gli occhi e insinuò le dita nel piccolo spiraglio di finestrino aperto, per sentire un soffio di vento sfiorarle i polpastrelli, un soffio di vita accarezzarla piano e darle la forza che inspiegabilmente le mancava.
Era stata lei a non capire.
Neanche adesso le era poi così chiaro.
- Posso? –
Quella domanda posta da un tono basso e gentile fu accompagnata da un leggero bussare al muro. Haylie si voltò di poco e vide Georg fermo sulla soglia della camera. Sorrise appena. – Ehi, ciao –
Georg le si avvicinò con passo lento. – Come va? –
La ragazza si strinse nelle spalle. Non aveva molta voglia di parlare. – Così… -
- Oggi Bill non c’è, così pensavo… -
- Scusami, Georg – lo interruppe pacatamente lei. – Non voglio essere scortese, ma… vorrei stare un po’ da sola – Il ragazzo rimase interdetto.
- Mi dispiace, non volevo… - Haylie lo fermò nuovamente con un gesto della mano.
- Scusa, Ge’… davvero, non è per te. Sono io il problema – Georg si lasciò sfuggire un sorriso.
- Sono due anni che ti sento ripetere questa cavolata. Comunque ok, non preoccuparti – Abbandonò la stanza senza aggiungere altro. Haylie appoggiò nuovamente la testa sul braccio piegato. Non le dava alcun fastidio il venticello freddo che le punzecchiava il viso. A dire il vero, non sentiva nulla.
Non sentì neanche il breve e confuso confabulare dietro la porta dopo che Georg la lasciò sola. Si toccò la pancia con una mano, ma neanche lì sentì nulla, il più piccolo segno di vita. Forse il mondo non voleva comunicare con lei.
- Hay… -
Il mondo no, ma qualcun altro sì.
 

In effetti non era lui, il suo mondo. Ma la sua voce fu l’unico suono che riuscì a percepire.
 

E la sua mano sfiorarle i capelli…
- Torna presto… – le sussurrò all’orecchio. Quel “torna” non era una richiesta né un comando. Era un’affermazione, un’affermazione senza soggetto, perché quel soggetto lo conoscevano benissimo entrambi. Haylie sorrise amaramente.
- Lo so –
- Non preoccuparti. Lo so che non è piacevole, ma la nostra vita è questa. E tu sai che quando può, lui c’è sempre -
- Comincio a pensare che dovrei prendermi un’altra intossicazione o rischiare di abortire sul serio per avere almeno un abbraccio… - Tom sospirò e le rivolse uno di quegli sguardi a cui lei non sapeva mai come rispondere.
- Ma allora fallo tu! Parlagli, diglielo, oppure vai e abbraccialo tu stessa! –
- Non posso… Sarebbe come dirgli che non mi dà abbastanza, o che non è presente… e finora non è mai stato così. Non posso farlo, Tom –
- Io non vi capisco, Haylie. Cosa c’è di difficile nel parlare? –
Lei distolse lo sguardo e non rispose. Appoggiò la testa sulla spalla di Tom mentre il suo braccio ancora le cingeva la vita, e chiuse gli occhi, cercando di non ripetersi quella domanda, ben sapendo che non vi avrebbe mai trovato risposta.
Era sicura solo di una cosa.
Adesso non voleva più stare sola.

“Se me ne andassi via da qui
chi mi verrebbe a cercare?
Dimmi che tu lo faresti
e che non siamo passeggeri distratti
di questa vita in vetrina…”



***
Mi rendo conto che questo cap è un po' inutile, vi sembrerà che la storia si trascini... Spero di riuscire a coinvolgervi di più nei prossimi. Nel frattempo, non disdegno recensioni^^ Canzone usata: non indovinerete mai. "Passeggeri distratti" di Raf...

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Ooollè… Finalmente posso coronare il mio sogno: rispondere a più di due recensioni!!!
noirfabi: mi dispiace che il commentare ti provochi tanto fastidio XD ma sappi che adoro le tue recensioni… non è un piccolo incentivo a continuare? (occhioni luccicanti) Sai, Haylie è un po’ un mistero anche per me. Non è come nella prima fic a capitoli che scrissi, in cui la protagonista era praticamente uguale a me se non nel nome e nel fisico. Elaborare il suo personaggio forse è stato più difficile che elaborare la storia stessa. P.s. ma sei iscritta al forum dei TH? Sono contenta che ti sia piaciuta “Don’t wanna hurt you”, peccato non poterla pubblicare qui.
moonwhisper: Cla’ (posso chiamarti così?) anche tu qui! Ma come? Io sono troppo superiore per fare sponsorizzazione! XD No, vabbè… vero che ti avevo proposto una lettura veloce della mia ff, ma non pensavo di finire tra i preferiti della grande moonwhisper! Davvero, non sto sfottendo, per me è un onore! Eh, Bill… d’altronde, l’ho scritto pure nella presentazione… Comunque grazie per i complimenti, soprattutto considerato che non è la scrittura la mia prima passione, ma il disegno… ^^ kiss
bluebutterfly: Cara… lo so, la domanda che hai citato può sembrar stupida, ma, così come tante volte me lo son chiesto io, tante altre è stato chiesto a me. Ti ringrazio per avermi detto che so scrivere bene dei sentimenti, credo dipenda dal fatto che, a parte Haylie, ogni personaggio richiama il carattere di qualcuno che mi è o mi è stato caro. Baci.
FuckedUpGirl: Bia *_* Mi fa piacere sentirti dire questo. Sto scrivendo questa storia quasi partecipando dall’esterno, ovvero come se non fossi io a scriverla… E quasi mi dispiace averla programmata in non più di 15 capitoli. Ma capirai più avanti che sarebbe stato difficile dilungarmi oltre…

Temperance_booth: Sore *.* Aggiungo il ringraziamento solo adesso, dato che hai commentato un po' in ritrado. Beh, sì, effettivamente io mi gioco tutto sui finali XD Sono contenta che il personaggio di Tom ti piaccia, a dire il vero volevo renderlo diversamente, ma mi è venuto fuori così...e così lo lascio ^_*

Ok, diciamo che in questo capitolo si comincia a entrare nel vivo… a voi qualsiasi interpretazione! Bacibaci.

Capitolo 8

E così erano passati quasi due mesi.
Due mesi fatti di giorni strani e confusi, tranquilli se visti dall’esterno, inquietanti se vissuti in prima persona.
Dopo quel pomeriggio, Haylie si era trovata a porsi domande che avrebbe preferito non avessero mai neanche sfiorato la sua mente.

Ma Bill… questo bambino lo vuole?

 Si odiava profondamente per aver anche solo azzardato un pensiero del genere.
Ma lui non c’era quasi mai. E quando c’era, era sempre troppo stanco, aveva sempre troppo da fare e troppa poca voglia di parlare. E questo, lei non poteva cambiarlo.
Forse aveva ragione Tom.
Doveva essere lei a fare il primo passo, a parlargli. In fondo, non c’era nulla di difficile.

Bill, ti sento lontano. C’è qualcosa che non va?
Si prese la testa tra le mani e sospirò. No, non poteva. Non poteva proprio.
Come aveva potuto Tom suggerirle una cosa del genere? Forse non ne capiva poi così tanto come voleva far credere.
Eppure quelle chiacchierate di pochi minuti o interi pomeriggi la risollevavano. La tenevano viva nelle giornate in cui non avrebbe voluto altro che chiudersi in camera e abbracciare il cuscino, facendo finta che al posto di quel mucchio di ovatta ci fosse Bill.

 Esaminò per la ventesima volta la possibilità di dare ascolto a quanto le avesse detto, ma aveva paura che, facendo ciò, si sarebbe trovata di fronte a una realtà scomoda.
No.
No, no, dannazione, no!
Bill era sempre perso nel suo mondo, magari non dotato di una certa elasticità mentale, perlomeno quella necessaria, ma era sincero.
Anche se non avesse voluto, quando qualcosa gli dava fastidio, lo turbava o lo metteva in agitazione, era impossibile non accorgersene. Quindi, perché avrebbe dovuto preoccuparsi?
Era stato felice quando lei gli aveva detto di essere incinta.
L’aveva abbracciata.
Le sue mani erano state scosse da un tremore appena percettibile.
Avevano riso insieme.
Si erano precipitati a raccontarlo agli altri tre.

 E allora…?

 Un altro motivo per cui Haylie si odiava era che persino i suoi desideri ora le sfuggivano di mano.
Si ritrovava a dipingere scene immaginarie nella propria mente, scene che non avrebbe mai pensato di poter elaborare, scene che non si riproiettavano nella realtà.
Avrebbe voluto sentirsi dire che per lui era bella anche con qualche chilo in più, e che lo sarebbe stata anche in seguito, anche di più.
Avrebbe voluto sentire la sua mano sfiorare lo stesso punto che ormai le veniva istintivo proteggere con quel gesto ricorrente, anche solo la metà delle volte in cui era stata lei a farlo; fermarsi e provare a sentire qualcosa, un qualcosa che ancora non era affiorato in superficie, e vederlo sorridere e aspettare insieme a lei.
Avrebbe voluto semplicemente vederlo più spesso, sentirgli dire che avrebbe spostato almeno qualche impegno, che avrebbe annullato qualche intervista, che sarebbe tornato prima del solito, solo per stare accanto a lei.
Forse pretendeva troppo.
Anche perché non gli aveva mai chiesto niente del genere.
Non ne aveva mai sentito il bisogno.
Ma quella vita che era nata in lei stava pian piano sconvolgendo quella che era “lei” un tempo, un tempo non troppo lontano, appena qualche mese prima.
Probabilmente Bill non era nemmeno cambiato. Anzi, era sempre stato così.
E il guaio era proprio quello.
Haylie avrebbe voluto che cambiasse. Almeno un po’.
Per lei.

 Era vero, si sarebbe trovata di fronte ad una realtà scomoda. Ma lei non poteva neanche immaginare quale.

 Chinò la testa, lanciando uno sguardo veloce verso quella parte di lei fonte di tutte le sue ansie, ma anche delle sue poche certezze.
Avrebbe voluto che fosse uno sguardo veloce.
Ma rimase a contemplare la propria vita visibilmente ingrossata e la pancia appena arrotondata.
Era stata mesi ad aspettare il minimo segnale, la più piccola spia che dicesse che lì era tutto a posto, che quella creatura continuava a vivere dentro di lei, aspettando di farlo fuori, un giorno.
E infatti, eccola lì.
Eccolo, il segnale.
Si tirò su dal letto, con un’agilità che presto sarebbe venuta meno, ma questo non le importava, non in quel momento.
Raggiunse a passo lento il grande specchio ovale appeso alla parete della loro camera d’albergo.
Le ricordava tanto lo specchio in cui Bill controllava scrupolosamente il proprio aspetto prima di ogni concerto e di ogni intervista. Il grande pezzo di vetro –sì, non era altro che questo, in fondo- in cui aveva visto il riflesso dei suoi giorni più felici, delle mattinate di coccole e baci che sapevano ancora di sonno, delle notti d’amore lontane dal resto del mondo, protagoniste davanti alle loro uniche spettatrici, la Luna e le stelle.
Dove altro avrebbe potuto vedere l’immagine della speranza?
Si vide, lì, in piedi, la vita non più così segnata, le gambe ancora lunghe e magre, il viso, seppur ancora quasi scavato, più luminoso, la pelle più liscia, i capelli più lucenti.
E il sorriso meno timido, più sincero, più convinto.
Aprì in fretta la propria valigia, così piccola da poter essere sistemata sulla scrivania, e cominciò a cercare un vestito da indossare per il concerto. Avrebbe assistito da dietro le quinte, come sempre, ma non importava. Voleva sentirsi bella, voleva sentirsi bene.
L’avrebbe fatto per il suo bambino, per Bill, per sé stessa, per chiunque le fosse venuto in mente, ma l’avrebbe fatto.
Sì, aveva ragione Tom.
E quella era l’occasione migliore per rendersene conto, dimostrarlo a se stessa.
Quella sera si sarebbe tenuto il primo concerto di una delle più brevi tournée della loro carriera. Quei momenti erano alcuni dei pochi in cui si poteva parlare: solitamente Bill era così nervoso da non desiderare altro.

 Nella stanza accanto, pensieri non molto diversi si erano annidati nella mente di Tom.
Lui e Bill si erano parlati non più di mezz’ora prima, ed era stata la solita conversazione pre-concerto.

E’ tutto pronto, Tom, vero? Gli strumenti sono tutti a posto, sì? Gustav e Georg stanno bene, sono in forma? Non è che ho la voce rauca?
Sì, Bill, stiamo tutti bene. Cioè,
quasi tutti. Se ti prendessi qualche goccia di Valium, poi, almeno staremmo bene tutti e quattro.
Che vuol dire?! Io sto benissimo!
Sì, lo so che stai benissimo. Stai
sempre benissimo, quindi cerca di convincertene anche tu.
Sorrise tra sé, provando ancora qualche accordo con la propria chitarra.
Facevano quella vita da quando puzzavano ancora di latte, e ancora Bill non aveva capito che era difficile che una chitarra o una batteria andassero perdute nelle ventiquattro ore che precedevano un concerto.
Soprattutto contando che la collezione di Tom e Georg contava almeno venti pezzi fra bassi, chitarre classiche ed elettriche.
Si ritrovò a chiedersi cosa stesse facendo Haylie, ovunque fosse in quel momento.
Se fosse con Bill, o da sola, come ormai era da quasi due mesi.
Suo fratello era adorabile, quando voleva, ma a certe cose proprio non ci arrivava.
Non ci voleva molto per capire che Haylie aveva bisogno di lui. O anche solo di compagnia, di qualcuno che parlasse un po’ con lei, che condividesse la sua gioia.

 Ma era poi davvero una gioia…?

 Per un attimo, Tom scosse la testa, dandosi mentalmente dell’idiota.
Se una non vuole un figlio, abortisce, testa di rapa! Vogliamo ricordarci della famosa intossicazione?
Eppure…
Eppure lui non aveva capito fino in fondo quali fossero i pensieri di Haylie al riguardo.
Non era così silenziosa come sembrava con Bill. Certo, quando gli prendevano i cinque minuti –che potevano anche diventare quindici o trenta- e decideva di chiudere le porte al mondo, non c’era verso di fargli dire pio. Però…
…sembrava che lei avesse un bisogno disperato di parlare.
Di cosa, Tom non l’aveva ancora capito.
Sembrava che, qualunque fosse il sentimento che Haylie volesse esternare, la prendesse alla lontana, ne accennasse quasi con timore.
Certo, finì col pensare Tom sospirando, per come era abituata con Bill, era ovvio che parlare le facesse paura.
Lui era sicuro che Bill neanche immaginasse cosa passasse per la testa di Haylie. A dire il vero, neanche lui lo immaginava precisamente, ma pareva che Bill desse un po’ tutto per… scontato.

Dio, doveva proprio essere impazzito per fare discorsi del genere.Era solo che… non avrebbe saputo spiegarlo.
Gli sembrava ingiusto che Haylie dovesse rimanere sola in un momento del genere. E se Bill non faceva quello che era giusto…

 
Haylie finì di sistemarsi i capelli nell’istante stesso in cui la porta della loro camera si aprì scricchiolando.
Voltò la testa di scatto e non poté trattenere un sorriso quando vide Bill entrare chiudendosi la porta alle spalle. La sua aria non era delle più felici, ma d’altra parte Haylie non l’aveva mai visto contento prima di andare in scena.
Gli andò incontro e lo baciò, cingendogli il collo con le braccia. – Ma dove eri finito? –
Bill stiracchiò le labbra in un sorriso e ricambiò la stretta. – Scusami. Ero… in giro. Cercavo di non pensare – Haylie fece un passo indietro e gli sorrise.
- Beh? Non mi dici niente? – Lo sguardo di Bill vagò dal suo viso fino ai piedi, poi rialzò la testa e accennò un sorriso confuso.
- Cosa dovrei dirti? –
- Non so… che sto bene, che ti piaccio… - azzardò lei, cercando di non smettere di sorridere. Bill le passò un braccio intorno alla vita, avvicinandola a sé.
- Non è forse sottinteso? – Haylie sospirò.
- Niente è mai sottinteso, Bill – rispose con un velo di malinconia nella voce.
- Amore, lo sai che sei sempre bellissima… -
- No, non c’entra – lo interruppe lei, lasciandosi però sfuggire una risatina. Bill era incredibile, a volte… - Non mi interessa quello, era così per dire. Volevo dirti solo… beh, spesso non è così ovvio quello che si dà per scontato – Il sorriso scomparve dalle sue labbra e, senza che lo volesse, il suo viso assunse un’espressione pensierosa. Bill aggrottò le sopracciglia.
- Haylie… - C’è qualcosa che non va?
Il suo tono lo sottintendeva, ma lui, naturalmente, non glielo chiese.
- Bill, stavo pensando… - La ragazza fece una pausa, in cerca delle parole più adatte per spiegargli i dubbi che l’avevano assalita negli ultimi giorni. L’entusiasmo di pochi minuti prima sembrava averla abbandonata. – Tu… insomma, tu questo bambino lo vuoi? –
Bill sgranò gli occhi di fronte a quella domanda, e Haylie cercò di sostenere il suo sguardo, in attesa. Le mani di Bill scattarono automaticamente in avanti e presero quelle della ragazza. – Haylie, cosa dici? –
- Non lo so… me lo sono semplicemente chiesto – mormorò lei, abbassando la testa. Bill le mise una mano sotto il mento e gliela alzò, così che i loro occhi si incontrarono nuovamente, e Haylie quasi trasalì quando successe. Nello stesso istante in cui vide lo sguardo di Bill puntato su di lei, si chiese come avesse potuto domandargli una cosa del genere.
- Haylie, perché me lo chiedi? Certo che lo voglio! –
Bastarono quelle poche parole a ridarle un po’ di coraggio, a far tornare quell’entusiasmo che sembrava aver perso. Bill le prese il viso tra le mani.
- Davvero hai pensato che io non…? – Lei sorrise, posando una mano sul suo braccio.
- Non importa. Non importa Bill, davvero. Scusami. Avevo solo bisogno di sentirtelo dire – Anche Bill sorrise, e posò un bacio delicato sulle sue labbra.
- Ti amo – Haylie si strinse più forte a lui. Ora sì, ora si sentiva bene.
- Anch’io ti amo – Confermò le sue parole con un secondo bacio, più lungo, più profondo. – Domani mattina ho un’ecografia. Sapremo se è maschio o femmina – Bill le strinse le mani fra le sue.
- Vuoi che venga? – Haylie sorrise di nuovo e gli sfiorò una guancia con una carezza. Come aveva potuto mettere in dubbio il suo amore?
- Lascia perdere. Riposati come si deve, così quando tornerò festeggeremo a dovere. E poi non voglio darti in pasto a branchi di fan impazzite – Bill ridacchiò.
- Hai ragione, forse è meglio. Allora stanotte cercherò di dormire meglio possibile – Posò un bacio delicato sulla fronte di Haylie. – Non vedo l’ora di saperlo –
Haylie si lasciò abbracciare, tranquilla come non si sentiva da mesi.
Sì, la felicità completa, quella perfetta, stava per arrivare.

 
Tom si torse nervosamente le mani sudate, sentendo le ossa scricchiolare. Mancava pochissimo, ormai, e Bill ancora non era sbucato fuori.
Cavolo, stava prendendo la sua stessa sindrome.
Eppure era anche sicuro che quel concerto sarebbe andato bene. Aveva provato gli accordi, si sentiva in forma, Gustav e Georg erano più vispi che mai. Però si sentiva in ansia lo stesso.
La porta della camera accanto alla sua si aprì di scatto, e ne uscì Bill, allegro come non l’aveva mai visto prima di un concerto. Squadrò uno ad uno i suoi compagni, in fila nel corridoio, prima di sfoderare un sorriso a 32 denti.
- Beh? Siete ancora qua? –
Perfetto. Bill era di buon umore. Roba da sparare i fuochi d’artificio.
Tuttavia, non riuscì a tirare un sospiro di sollievo.
Bill lo salutò con un’amichevole pacca sulla spalla, anche se si erano visti appena mezz’ora prima, poi lo superò a passo spedito, raccogliendo la compagnia con un perentorio: - Avanti, o David ci farà scontare ogni singolo minuto di ritardo! – Georg e Gustav lo seguirono a ruota, Tom si trattenne un istante di più, senza sapere bene perché. Era come se si aspettasse qualcosa.
Nello stesso momento in cui ricevette un sonoro richiamo da parte di Georg, la porta della camera di Bill si aprì nuovamente e ne uscì Haylie.
Raggiante.
Non avrebbe saputo in che altro modo descriverla.
Indossava un paio di skinny e una maglietta rossa asimmetrica che sottolineava i chili assunti in quei cinque mesi di gravidanza. Ma era splendida. Forse era solo quel sorriso, o forse tutto l’insieme, ma a Tom riuscì difficile ricordare un’occasione in cui l’avesse trovata così bella.
Lei ammiccò nella sua direzione e alzò il pollice della mano destra.
- Buona fortuna! –
Nel momento in cui lo disse, Tom sentì una strana sensazione di sollievo. Non si preoccupò neanche di capire a cosa dovesse attribuirla, soffiandole un “Grazie!” in risposta e affrettandosi a raggiungere il resto della band.
Sì, quella sera sarebbe andato decisamente tutto bene.

 “Dimmi che tu rifaresti se potessi tutto quanto,
che nonostante il mondo noi siamo fino in fondo
fino in fondo noi.”

Vi presento Haylie... vi piace? *_*

Ormai vi sarete pure scocciata a sentirlmelo dire, ma no si è mai troppo sicuri: la canzone è sempre di Raf, "Passeggeri distratti"

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Capitolo 9

“Col tempo le cose cambiano
e anche gli slanci si placano…”

Haylie lanciò uno sguardo veloce all’orologio. Veloce, ma non ansioso.
Le sue labbra adesso disegnavano un sorriso che per la sua bellezza avrebbe meritato di essere mostrato a qualcuno, ma lei si sentiva così felice che non le importava. Tutto quello che voleva era tornare in albergo e riferire a Bill il risultato dell’ecografia.
Femmina.
A dire il vero, si sarebbe sentita ugualmente felice anche se avesse scoperto di aspettare un maschio, o persino due gemelli –anche se quella notizia avrebbe sicuramente strappato una battutina pungente da parte di Tom… ma perché continuava a chiedersi quale avrebbe potuto essere la sua reazione?-, ma era come se quell’ulteriore esame avesse reso la sua gioia ancora più consapevole, più palpabile, più vera.
Il concerto della sera prima era andato alla grande, il pubblico era in delirio, Bill era soddisfatto. Era andato a letto mezz’ora dopo la fine dello spettacolo, voleva essere ben sveglio il giorno dopo, aveva detto.
Oh, sì…!

Per un attimo, Haylie ebbe la tentazione di passare al bar dell’albergo. Era quasi ora di pranzo, non aveva mangiato nulla per colazione e stava letteralmente morendo di fame.
Decise di lasciar perdere. Mancava poco al pranzo, sicuramente i ragazzi la stavano aspettando. Superò a tutta velocità la gente che incrociò per i corridoi, tra cui le parve di scorgere anche Georg e, poco più avanti, Tom, ma non si fermò e procedette verso la camera sua e di Bill, con la cartelletta azzurra stretta fra le braccia.
Non bussò, non si annunciò, si limitò solo ad afferrare la maniglia e aprire di scatto la porta. – Bill, non immaginerai… -
Rimase ferma sulla soglia, la mano che ancora stringeva la maniglia, i capelli scompigliati dal vento fresco di marzo.
Bill dormiva. Anche piuttosto profondamente.
Aveva il lenzuolo attorcigliato intorno alla vita, si teneva abbracciato a un cuscino, il suo viso era nascosto quasi del tutto dalla folta capigliatura corvina. Il suo respiro era leggermente irregolare, Haylie poteva sentirlo a quasi due metri di distanza.
E, inspiegabilmente, sentì tutto il suo entusiasmo venire meno.
Quando Bill era in ansia o particolarmente felice per qualcosa, praticamente non chiudeva occhio, e si alzava prestissimo, alle prime luci del sole.
Haylie lo guardò cercando di non far spegnere il suo sorriso, almeno dentro di sé. Ma le riuscì difficile.
Maledettamente difficile.
Forse si era entusiasmata per troppo poco. E ora il semplice fatto che Bill avesse dormito fino all’ora di pranzo e che non fosse già sveglio e pronto a sapere se quattro mesi dopo avrebbe avuto un figlio o una figlia, bastò a farla sentire come se l’avessero presa a mazzate.
Strinse al petto la cartellina azzurra. Forse importava davvero solo a lei.

 
Tom sporse la testa poco oltre il muro, in direzione della camera di Haylie e Bill. A quanto aveva sentito la sera prima, Haylie sarebbe andata a fare un’ecografia per sapere se aspettava un maschio o una femmina.
Chissà se per Bill avrebbe fatto differenza…
Si sentiva una strana ansia addosso. E l’inspiegabile bisogno di saperlo anche lui, quello che presumibilmente Haylie stava dicendo a suo fratello.
Quasi sobbalzò quando la porta della loro stanza si aprì lentamente, accompagnata da un leggero cigolio. Ne uscì Haylie, con una cartelletta azzurra sotto un braccio, la sua piccola borsa bianca ancora appesa a una spalla e il capo chino, una strana espressione triste in viso. Quando lo vide, gli angoli della sua bocca si alzarono impercettibilmente.
Le andò incontro a passo lento, sorridendole. Non poteva fare a meno di sorridere di fronte a lei, anche se non riusciva ancora a spiegarsi il perché di quella malinconia dipinta sul suo viso.
- Ehi – la salutò. Lei accennò un gesto con la mano libera. Tom si schiarì la voce. Si sentiva come se avesse dovuto provare disagio. – Allora, com’è andata? Maschio o femmina? –
La voce di Haylie era appena udibile. – Femmina –
- Oh, bene – rispose Tom. Dannazione, perché doveva sempre uscirsene con quelle risposte cretine? Era chiaro che c’era qualcosa che non andava. Ma questo non doveva interessargli. Era la fidanzata di Bill, non la sua. – Probabilmente non ne potevi più di stare in mezzo agli uomini – Non riuscì neanche a dare un tono scherzoso alla sua supposizione. Le cose erano due: o chiudeva il becco, o si defilava. Inaspettatamente, non seguì nessuno dei due propositi. – E Bill che dice? –
– Dorme –
Haylie abbozzò un sorriso triste, quello di Tom si spense all’istante.
- Oh – Si passò una mano fra i dread. Ora sì che si sentiva a disagio.

Diamine, Haylie, non guardarmi così…
- Non importa – si affrettò ad aggiungere lei.
- Non devi preoccuparti – Tom parlò più velocemente del normale. – Cioè… scusami, non volevo dire… -
- Non importa – ripeté lei, in tono poco più convinto. Distolse lo sguardo e fece per andarsene, ma, prima ancora che Tom avesse il tempo di rendersi conto che stava per allontanarsi, si ritrovò a tenerla stretta per un polso.

Haylie voltò la testa indietro e lo guardò stupita.
Tom sentì la bocca seccarsi e le parole morirgli in gola.

Perché mi fai quest’effetto?
No, era meglio non chiederselo… Qualcosa gli diceva che stava per commettere un errore madornale, un errore che avrebbe ferito qualcuno, ma i suoi desideri erano così confusi…
Haylie non poteva essere sola, non in quel momento.
E perché non c’era Bill accanto a lei?
Tom si rese conto con non poca sorpresa che questo non gli importava. Non come avrebbe dovuto.
- Haylie… - Si stupì lui stesso di essere riuscito a pronunciare il suo nome senza sprofondare sotto il fardello della vergogna. Quella vergogna che non aveva mai provato, e che non avrebbe nemmeno dovuto provare, non in quel momento, non in quel luogo, non per lei. – Beh… Per Bill sei la cosa più importante e… sta’ certa che si dedicherà a te con tutto se stesso –

Stupido, cretino, idiota!
Sentì un rumore che non riuscì ad identificare.
Forse era stata Haylie a tirare su col naso.
- Sono solo una bambina… una stupida bambina… - mormorò con la voce spezzata.

 Una bambina non riuscirebbe a farmi rincretinire così.

 - Hay… -
Non fare così, non essere triste, non mettermi in subbuglio lo stomaco!
La ragazza ebbe appena il tempo di lanciare uno sguardo apprensivo alla mano di Tom, ancora stretta sul suo polso, che si sentì tirare bruscamente in avanti.
La cartellina azzurra cadde a terra, i pochi fogli che la riempivano si sparsero con grazia sul pavimento quando Tom le lasciò andare i polsi solo per prenderle il viso tra le mani ed avvicinarla a sé.
Pensare era impossibile, dunque perché provarci?
Cercare di vederci chiaro era impensabile…
…e allora perché non chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da quel turbine di emozioni, emozioni sbagliate, ma così prepotenti?
Tom la trattenne con gentilezza, certamente non meno di quella che usò per posare un tremante, veloce bacio sulle sue labbra.
Non voleva rubarle niente, non voleva costringerla, solo, ne aveva bisogno.
La mano di Haylie scattò in avanti, afferrò il polso di Tom e, per pochi, interminabili secondi, nessuno dei due capì se fosse con l’intenzione di allontanarlo o aggrapparglisi.

 
Non vi fu più di un semplice movimento.
Non si udì neppure un rumore, il minimo suono.
L’unico fu quello del sospirare di Tom quando la sua bocca si allontanò di qualche centimetro da quella di Haylie, ma lei, presumibilmente, non lo avvertì.
Lo guardò quasi con terrore. Terrore di quello che lei aveva accettato, non di quello che lui aveva fatto.
- Hay, io… -
La ragazza si chinò e raccolse rapidamente i fogli sparsi sul tappeto, li ficcò frettolosamente nella cartellina e schizzò via cercando di lasciarsi la sua voce alle spalle.
- Haylie, aspetta, non andartene! –
Tom si accasciò contro il muro, sospirando penosamente. Si coprì la faccia con le mani, quasi graffiandosi con le sue stesse unghie.
- Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo! –
Non avrebbe saputo trovare un termine più appropriato.
Cosa cazzo gli era saltato in mente?
E perché cazzo aveva baciato la fidanzata di suo fratello?
Solo il pensiero di quanto era costato il soggiorno in quell’hotel lo trattenne dal mollare un calcio alla parete.
Non poteva innamorarsi di lei.
Nella sua vita non aveva mai provato sentimenti degni di tale nome, quindi, perché proprio lei?
Fosse stata un’altra ragazza, lo avrebbe chiesto a Bill. Già la sua voce gli riecheggiava nella mente…

“Vuol dire che è una ragazza speciale, Tomi!”
Già. Lo era.
Purtroppo.

 
Haylie si fermò solo quando si rese conto di essere finita fuori dall’hotel. Respirò profondamente un paio di volte, cercando di rimettere ordine nella propria mente.
Scosse la testa e si coprì il viso con le mani.
Impossibile.
Forse si era immaginata tutto… Forse non era successo niente… Forse cinque minuti dopo avrebbe incontrato Tom di ritorno da qualsiasi posto che non fosse il corridoio del secondo piano, lui l’avrebbe salutata e le avrebbe chiesto com’era andata l’ecografia.
Ma questo non successe.
Haylie dovette trattenersi per non darsi un pugno sulla fronte. Come faceva a pensare a Tom in quel momento?
Beh, le suggerì una vocina dentro di sé dal tono vagamente maligno, forse perché Tom è il fratello del tuo fidanzato, e tu l’hai appena baciato.

No, non è vero, non sono stata io! Non è colpa mia!
E allora perché non l’aveva respinto? Perché non si era allontanata da lui e non gli aveva stampato cinque dita in faccia? Dubitava di poter essere capace di un simile atto, ma doveva ammettere che le circostanze avevano tutto il diritto di richiederlo.
Tirò un altro profondo sospiro.
Era stato un errore. Punto. Tom l’aveva solo baciata, non le era saltato addosso né niente di simile. Nonostante l’immagine di sé che presentava agli occhi della gente, aveva un senso della moralità non indifferente e sicuramente anche lui si era reso conto di aver avuto, per un attimo, la mente un po’ annebbiata.
Un po’ troppo, in effetti.
Dio, perché l’aveva incontrato proprio in quel momento di debolezza?
Forse sarebbe stata debole anche in qualsiasi altro momento, si ritrovò a pensare con orrore.
Strinse i pugni e serrò gli occhi, come a voler cancellare il mondo attorno a sé.
Doveva semplicemente smettere di pensarci. Non ne avrebbe parlato con nessuno, meno che mai con Bill, avrebbe aspettato che lui si svegliasse e gli avrebbe comunicato che aspettava una bambina. Dopodiché, avrebbe fatto del suo meglio per ignorare Tom fino a che entrambi non avrebbero dimenticato quanto era successo.

Dimenticare.
Sì, era l’unica soluzione possibile.

Dimentica, Haylie, dimentica, dimentica!
Cercando di mantenere una certa disinvoltura, mise la cartelletta azzurra nella borsa e si diresse verso il ristorante dell’albergo. Non ci volle molto perché scorgesse Gustav e Georg, seduti a un tavolo con altri tre posti vuoti, intenti a parlare fitto con Tom, in piedi accanto a loro.
Haylie sbiancò. Di cosa stavano parlando?
Sforzandosi di convincersi che Tom non poteva essere tanto stupido da andare a dire ai suoi amici che aveva baciato la ragazza di suo fratello, si avvicinò al tavolo e attirò l’attenzione dei ragazzi con un leggero colpo di tosse. – Ehm… ciao –
Gustav e Georg le risposero con due sorrisi smaglianti, Tom si limitò a sbirciarla di sottecchi. – Haylie, eccoti finalmente! – disse Georg. – Mancate solo tu e Bill. Digli di sbrigarsi, sto morendo di fame –
- L’ho già chiamato io – intervenne frettolosamente Tom, ma a voce piuttosto bassa. – Ci siamo… ehm… incontrati di sopra e ha detto che scenderà entro cinque minuti –
- Oh, sì, conosco i cinque minuti di Bill – borbottò Gustav. – Georg, comincia pure a masticare il tavolo, qui prima delle due non si mangia – Haylie prese posto accanto a Georg e posò la borsa sulla sedia libera alla sua sinistra. Tom, dopo averla lanciato un altro sguardo fugace, si sedette dall’altro lato del tavolo, sospirando.
Haylie sobbalzò quando sentì una voce squillante esclamare: - Buongiorno a tutti! –
Bill aveva raggiunto il resto del gruppo e ora esibiva un sorriso a 32 denti. – Scusate il ritardo, avevo un po’ di sonno arretrato – Haylie gli sorrise e spostò la borsa, facendogli posto. Bill sedette accanto a lei e le schioccò un bacio sulle labbra. – Dormito bene? –
- Sì, meravigliosamente – Haylie cercò di mascherare il leggero tremolio assunto dalla sua voce.
- Non vedo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti – disse lui. Georg gli allungò il cestino del pane.
- Anche noi, ma stavamo aspettando che vossignoria illustrissima finisse il suo riposino di bellezza – lo canzonò, mentre Bill arraffava una fetta di pane.
Haylie aspettò che Bill le chiedesse qualcosa, stringendo febbrilmente la borsa in grembo, ma lui continuò solo a punzecchiarsi con Georg. Quando le rivolse la parola, non se ne accorse che dopo qualche istante.
- Amore, scusami se mi sono alzato così tardi – Haylie sorrise. Ecco, ora glielo avrebbe detto… - Di sicuro tu sei in piedi da ore. Cos’hai fatto stamattina? –
La ragazza conficcò inavvertitamente le unghie nella tracolla di cuoio della borsa. In che senso… cosa aveva fatto quella mattina?
- Beh, lo sai… - azzardò a voce bassissima.
- Sei stata un po’ in compagnia del mio fratellino, eh? – Haylie si sentì gelare il sangue nelle vene. Non poteva sapere… non se aveva quel sorriso… - Si sveglia presto solo dopo i concerti, lui. E si vede, ha una faccia…! – Haylie lanciò uno sguardo apprensivo in direzione di Tom: il ragazzo le restituì un’occhiata perplessa ma altrettanto preoccupata, poi si rivolse cautamente al fratello:
- Ehm… Bill, non… non stai dimenticato niente? – Bill sembrò pensarci per qualche secondo.
- Ah, già! – esclamò, dandosi una manata sulla fronte. – Abbiamo il sound check! Cavolo, me n’ero completamente scordato – Haylie non riuscì a staccargli lo sguardo di dosso, le unghie ancora conficcate nella tracolla della borsa. – Alle tre, giusto? Uffa però, non si può neanche pranzare con calma… -
- Chi è che dorme fino al tramonto? – lo rimbeccò Georg, lanciandogli un tovagliolo in faccia.
Continuarono a battibeccare e a ridere, e non si accorsero della lunga occhiata che si scambiarono Haylie e Tom nel frangente.

E’ stato lui a dimenticare… E’ stato lui a dimenticare…

 “…e non è più esattamente come tu immaginavi.”

Vi ringrazio per le recensioni, anche se queste comportano uno sforzo disumano (a noirfabi ora fischieranno le orecchie XD). Spero che la mia ff continui a piacervi, soprattutto adesso che per me diventa sempre più difficile mandarla avanti. Haylie è un personaggio strano, che mi sfugge, e mi sono trovata più volte a chiedermi se riuscirò a mandare avanti questo storia...come voglio io, perlomeno.
Commenti bene accetti! ^^ (ho modificato per la millesima volta l'introduzione...a me piace decisamente di più adesso)

Ebbene sì: ancora "passeggeri distratti". Grazie Raf!!

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Ragazze, le vostre recensioni mi hanno lasciata a dir poco di stucco e ci tengo a rispondervi, cercando di non essere troppo prolissa, prima di lasciarvi a questo capitolo che forse coronerà i vostri sogni. Noirfabi: eh, happy and… Più avanti capirai da te se questo sarà possibile o no. Un bacio. FuckedUpGirl: Bia, tesoro… Davvero vedi Bill come un personaggio odioso e raccapricciante? Beh, vedo che è un elemento comune a voi che recensite e sicuramente io non faccio molto per sfatare il mito… Ma non dirò le mie personali opinioni su Bill finché la storia non sarà finita. Allora potremo parlarne ^_^ Tvb anch’io. Bluebutterfly: Per quanto riguarda Bill, vale lo stesso che ho detto a Bia. Mi fa piacere che apprezzi il mio stile di scrittura, faccio di tutto per rifinirlo e renderlo più gradevole. L’inconveniente è che, al termine di una storia, sembra quasi che il primo e l’ultimo capitolo siano stati scritti da due persone diverse. Grazie ancora! Kristine: Dio, dio, dio! Rispondere alle tue recensioni è complicato! Ti assicuro che non mi hai annoiata, anzi mi fa piacere che tu abbia voluto raccontarmi questo tuo aneddoto e che ti sia sentita vicina ai personaggi. Personalmente, amo molto il fatto di ritrovarmi in una storia non mia. Non so e non posso dirti se la tua situazione e quella dei miei personaggi coincida in punti più profondi, lo scopriremo più avanti. Spero che fra te e il tuo ragazzo tutto vada per il meglio e che continuerai a seguire e recensire la mia storia. Un abbraccio. Valux91: bentornata!!! Beh, mi pare che non sei la sola a tifare per Tom! Sì, il disegno l’ho fatto io… ho illustrato ogni parte di questa storia (anzi, ho appena postato l’illustrazione relativa a “Nei silenzi”… la famiglia del Mulino Bianco, ricordi? XD) Spero che continuerai a seguirmi… baci. Sore: (ormai mi hai attaccato la sindrome di ‘sto nomignolo) eeeh, un’altra fan del “mio” Tom! Sono felice che a te, piccola grande scrittrice, piaccia la mia ff! Ti adoVo!

Capitolo 10


Haylie non toccò cibo. Continuava a ripetersi che probabilmente, anzi no, molto probabilmente, se la stava prendendo per nulla…
No!

 
Bill…
Si trattava di sua figlia. Come aveva potuto dimenticarsi…?
Come se non ne avessero parlato.
Haylie chiuse gli occhi. Perché, quando mai avevano parlato davvero?
Sentì una mano poggiarsi sul suo braccio e scuoterla leggermente. – Haylie, tutto bene? –
Si riscosse improvvisamente e vide Bill che la scrutava incuriosito.
- Eh? Sì… sì, tutto bene –
Cercò di non fare caso all’occhiata apprensiva che le rivolse Tom quando tutti e cinque si alzarono da tavola. Gustav diede uno sguardo all’orologio.
- Ragazzi, sono le due e mezza. Dovremmo darci una mossa –
- Sì, andiamo – rispose Bill, rimettendosi la sua giacca di pelle nera e saltando giù dalla sedia. Quando si avviarono su per le scale, Haylie, un po’ indietro rispetto a lui, lo sentì canticchiare allegramente. Dunque, se l’era scordato davvero.
- Haylie, aspetta un attimo… -
Si rese conto con sorpresa che era stato Tom a chiamarla sottovoce. Procedette a passo sostenuto e si sforzò di non guardarlo. Se davvero non gliene fosse importato nulla, evitarlo non sarebbe stato così difficile… Tom la raggiunse e le posò una mano su una spalla. – Hay, volevo dirti… -
- No! – lo interruppe seccamente lei, arrossendo. Guardò in direzione di Bill, ma non sembrava che l’avesse sentita. – No – ripeté a voce più bassa. – Non voglio sapere quanto sono importante per tuo fratello, né quanto si prenderà cura di me, né niente! Andate pure tranquilli al vostro sound check! –
- Se mi facessi almeno parlare… -
- Ti ho detto che non voglio sentire niente! – sibilò, scostandosi bruscamente e accelerando il passo. Affiancò Bill, che la guardò con espressione colpevole.
- Mi dispiace se oggi non ci vedremo praticamente per tutto il giorno – In altre circostanze, Haylie avrebbe adorato quei suoi occhi così dolci.
- Fa niente – rispose. – Penso che rimarrò tutto il pomeriggio in camera. Non me la sento di uscire –
- Sicura che posso lasciarti sola? – insistette Bill con voce preoccupata.
Haylie levò lo sguardo sul suo viso ed ebbe la tentazione di rispondergli “Tanto l’hai già fatto”, ma non mancò di sentirsi subito in colpa. In realtà, in due anni non l’aveva mai fatto…
- Sì, non preoccuparti – rispose, sforzandosi di sorridere. – Vai tranquillo –
Bill sorrise e la baciò sulla fronte. Haylie stava per entrare in camera, quando sentì la voce di Tom dire:
- Bill, scusami, io… penso che non verrò –
Si voltò a guardarlo stupita, come del resto fecero gli altri tre.
- E perché? – gli chiese il gemello, inclinando la testa di lato. Tom si passò una mano fra i dread e si grattò la testa.
- Io, uhm, non mi sento bene –
- Non ti senti bene – ripeté Bill, in tono vagamente scettico.
- No – aggiunse Tom, poi si accorse di aver risposto troppo velocemente. Cercò di non guardare in direzione di Haylie, che sicuramente doveva aver messo su un’espressione scandalizzata, e proseguì: - Mi fanno male le dita. Io… ho lasciato la finestra aperta stanotte e… devo aver preso freddo. Non posso suonare – Bill aggrottò le sopracciglia.
- Ma Tom, oggi abbiamo la seconda serata! Non puoi… -
- Non ti preoccupare – lo interruppe il biondo. – Abbiamo provato ieri, me la caverò. Ma adesso non me la sento. Davvero, Bill, se potessi, verrei, lo sai –
Bill lo guardò meditabondo per qualche istante, poi sospirò.
- Spero che David non se la prenderà con me. Vabbè. Allora… mi raccomando – Gli gettò un’altra occhiata poco convinta prima di girarsi verso Haylie e baciarla. – E tu riguardati. Non mi piacciono le vostre facce -

Già, neanche a me, pensò la ragazza.
Tom simulò un colpo di tosse.
- Sarà meglio che io, uhm… me ne torni in camera –
Haylie sperava che fosse la sua reale intenzione, ma ne dubitava fortemente. Si chiuse nella propria stanza quando Bill, Gustav e Georg si dileguarono. Fantastico. Si prospettava un pomeriggio di pietosa solitudine.
Haylie sentì bussare leggermente. – Posso entrare? – chiese una voce dal timbro inconfondibile. Sospirò. Adesso, il pensiero di un pomeriggio solitario le sembrava ancora più insopportabile.
- E’ meglio di no – si sforzò di rispondere, ma un momento dopo aveva già aperto. Sbuffò, maledicendo in cuor suo la sua discutibile forza di volontà. - …ma tanto, per me, tutte le guerre sono perse. Cosa vuoi? – Tom si schiarì nervosamente la voce.
- Beh, lo sai… -
- Forse posso offrirti un paio di guanti, per non intorpidirti le dita, sai… - disse aspramente lei. Tom sospirò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
- Dici che l’ho sparata troppo grossa? –
- Sono fatti tuoi. Quando stasera farai flop, non venire a piangere da me – Haylie si stupì di essere riuscita a risultare tanto acida. Normalmente, non rientrava nei suoi standard, ma stava lottando disperatamente per non far capire a Tom quanto le costasse anche solo sostenere il suo sguardo.
E continuò a ripeterselo: se non t’importasse nulla di lui, l’avresti già chiuso fuori…
- Haylie, per favore, possiamo almeno parlarne? –
- Di cosa? –
- Di quello che è successo prima di pranzo – Haylie socchiuse gli occhi.
- Non è successo niente prima di pranzo. Non c’è niente di cui parlare –
- Se fosse vero, a quest’ora mi avresti già fatto entrare –
Tom parlava a voce bassa, misurata. Rimase fermo sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto. Certo, era del tutto diverso da come si mostrava in pubblico, ma raramente Haylie l’aveva visto così tranquillo.
La prima volta, avevano parlato di lei, di Bill, del gruppo. Ed erano diventati amici.
Cosa sarebbe successo se l’avesse fatto entrare e ne avessero parlato?
Sapeva solo che la calma di Tom era preoccupante.
- Entra, dài – sospirò, facendosi da parte per farlo passare. Tom entrò a passo lento, poi si fermò al centro della stanza, guardandosi intorno cercando di apparire indifferente. – Puoi sederti, se vuoi –
- No, grazie, non ce n’è bisogno – Seguì qualche minuto di imbarazzato silenzio. – Haylie, io non so da dove cominciare… -
- Allora non cominciare – mormorò lei, stringendosi le braccia intorno alla vita, scossa da un leggero brivido di freddo. Tom scosse lentamente la testa prima di rispondere.
- No – Haylie levò lo sguardo su suo viso. Era inaspettatamente, spaventosamente serio. – Io non voglio fare come Bill. Non voglio fare come voi. Io parlo, Haylie. Quando c’è un problema, lo dico. Così come quando sono felice per qualcosa, ne parlo con qualcuno. Io non… non riesco a tenermi tutto dentro, come voi – Un’altra pausa. – Perché non hai ricordato a Bill del tuo esame? –
Haylie abbassò lo sguardo. – Non voglio… stargli addosso. Deve essere lui a ricordarsi delle cose importanti –
- E se non lo facesse? –
- Lo farà –
- Davvero? E avete mai parlato del vostro futuro? Avete pensato a come sistemarvi dopo che sarà nata la bambina? Non credo che sia il massimo della felicità farsi una famiglia su un tourbus o portarsi una figlia di pochi mesi in giro per concerti. Ne avete parlato, di questo? –
Haylie trasalì quando Tom pronunciò quelle parole. Improvvisamente, la realtà la colpì nel modo più doloroso possibile. No, non ne avevano mai parlato. Chinò la testa e chiuse gli occhi, stringendosi la pancia fra le braccia, come a voler proteggere l’esserino che vi aveva trovato rifugio. Non si ritrasse quando Tom la afferrò per le spalle. – Come potete vivere senza sapere niente l’uno dell’altra?! –
- Non è vero! – gemette lei, scuotendo la testa senza guardarlo. – No… io… noi… oh, Tom… - mormorò con la voce rotta. Quando sentì la sua presa allentarsi a poco a poco, si nascose il viso tre le mani, sentendo già gli occhi bruciare. – Sono una stupida… sono solo una stupida… - singhiozzò, cominciando a tremare. Non smise nemmeno quando Tom la circondò con le braccia e la strinse a sé.
- Haylie, io… scusami, non volevo… Oh dio, scusami – mormorò, nascondendo il viso tra i suoi capelli.
Tutt’a un tratto si sentiva un verme. Sembrava quasi che… che volesse metterli l’uno contro l’altra. Come poteva farlo, se voleva a entrambi un bene dell’anima?
Peccato che uno di questi suoi affetti avesse bisogno di essere rivisto e compreso più a fondo. 

Haylie continuò a piangere silenziosamente, lasciandosi cullare.
Era stufa dei sensi di colpa.
Era stufa di dover continuare a prevedere ogni mossa.
Tanto, alla fine, sbagliava sempre… dunque perché farsi tanti scrupoli?
La verità era una sola, sebbene accettarla fosse faticoso oltre l’immaginabile: in quei pochi mesi, Tom le era stato molto più vicino di quanto non lo fosse stato Bill. Detta così, sarebbe potuta sembrare una verità stupida, una giustificazione non valida, ma era così.
Forse semplicemente perché quello di Tom non era un dovere… e Bill era sempre stato allergico ai doveri…
Si distaccò lentamente da Tom, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Lui la guardò con espressione ferita. – Haylie, mi dispiace… -
- No – mormorò lei, tirando su col naso. – Hai ragione. Io… mi sembra di non capire più niente… -
- Anche a me – sussurrò lui, guardandola intensamente. Haylie rabbrividì quando le mani di Tom si posarono sulle sue guance. – Anche a me sembra… di non capire più niente – Il suo viso si avvicinò a quello di Haylie fino a che le loro labbra quasi si sfiorarono, ma Tom si fermò a pochi millimetri dal suo naso, e la ragazza si ritrovò a boccheggiare come se  in quella stanza fosse finito l’ossigeno. Tom chiuse gli occhi. Cosa stava facendo? No… non poteva… ma doveva… No, baciare la fidanzata di suo fratello, per giunta incinta, non poteva essere classificato come “dovere”. Ma questo era il cervello a dirglielo, mentre il cuore, probabilmente, ne era ignaro. – Io… io non voglio ferire nessuno… - sussurrò.
Haylie si aggrappò ai suoi polsi, trattenendo il fiato. – E allora non andartene… non lasciarmi sola –

Riaprì gli occhi e levò lo sguardo verso di lui. Negli occhi di Tom c’era qualcosa a cui, in altre circostanze, avrebbe dato certamente la giusta interpretazione, ma ora una piccola ed egoistica parte di lei le imponeva di non curarsene. La mano sinistra di Tom si spostò indietro, tra i capelli bronzei di Haylie, mentre la destra scese lungo la sua schiena, trattenendola gentilmente contro il suo petto.
Non la costrinse in alcun modo ad approfondire il contatto.
I suoi occhi cercarono una risposta che fu la bocca di Haylie a dargli, quando annullò quella piccola distanza sfiorando la sua. Poi le labbra di Tom schiusero dolcemente quelle di lei, in un movimento lento, delicato, impaurito. Non sapeva se avrebbe avuto la forza necessaria a fermarsi, né gli importava.

Fu cancellando ogni suo scrupolo che Haylie si lasciò andare a quel bacio. In lui c’era qualcosa di nuovo e di diverso, di familiare e al tempo stesso sconosciuto. Improvvisamente non fu più il viso di Bill a dominare la sua mente, non fu più la consapevolezza che stava per ferirlo irreparabilmente.
Si rese semplicemente conto che tutto quello che cercava era una presenza stabile nella propria vita, un sorriso che non fosse accompagnato da promesse intangibili, una persona che la amasse e scegliesse di starle accanto indipendentemente dal fatto che lei aspettasse un bambino… una persona come Tom.
Semplicemente Tom.

Haylie gli cinse il collo con le braccia, rifugiandosi nella fresca morbidezza delle sue labbra. La mano del ragazzo scivolò dalla schiena di lei lungo i suoi fianchi, e poi le accarezzò la pancia ormai visibilmente arrotondata, in un gesto che non l’aveva ancora sfiorata e che probabilmente non l’avrebbe mai sfiorata se avesse continuato a stare con Bill, o perlomeno non nel modo che lei desiderava.

Era dolcezza. Dolcezza disinteressata, pura.

Fu in quel preciso istante che Haylie sentì qualcosa, come un guizzo, che arrivò direttamente dal suo interno. Quel movimento coincise con l’allontanarsi delle loro labbra e il fermarsi della mano di Tom sulla sua pancia. – Hai sentito? – mormorò, a metà tra l’incredulo e lo spaventato.
Haylie annuì lentamente, troppo sorpresa per dire qualsiasi cosa. Tom stava quasi per baciarla di nuovo, quando sentì un altro guizzo sul palmo della mano. La ritirò di qualche centimetro, mentre Haylie chinava la testa e si guardava il ventre, sorridendo senza nemmeno accorgersene.
Eccolo, il segno.
Quel movimento che non aveva mai sentito e che aspettava con tanta ansia.
I suoi occhi, improvvisamente illuminati di una nuova luce, incontrarono un’altra volta quelli di Tom. – Ti sei spaventato? – Tom sorrise imbarazzato. Lui, certo, non poteva sapere…
- Forse ha cercato di cacciarmi… - La accarezzò goffamente.
Haylie posò una mano sulla sua, sperando che lui potesse sentire le stesse cose che lei sentiva da mesi –anche se non in quel modo-, che le capisse e le rendesse anche sue.
- Non può cacciarti – mormorò sorridendo. – Io e lei viviamo in simbiosi… - Le labbra di Tom si curvarono in un sorriso e Haylie gli cinse nuovamente il collo con le braccia. Si scambiarono un altro bacio, Haylie chiuse gli occhi e cominciò a ridere apparentemente senza motivo. – L’ho sentita Tom… l’ho sentita… io l’ho sentita! – esclamò abbracciandolo, mentre i suoi occhi si bagnavano di nuovo, ma stavolta per un sentimento ben diverso. 

Era stato lui… era grazie a lui se l’aveva sentita, se lei le aveva mandato un messaggio…
Si persero in un altro bacio, e poi un altro, e un altro ancora, fino a che persero il conto e si ritrovarono abbracciati sul letto ancora disfatto, assaggiando l’uno il gusto dell’altra, quel sapore nuovo per entrambi, tinto di un peccato inconsapevole di essere tale.
Le labbra di Tom asciugarono le sue lacrime, le sue mani le infondevano sicurezza, le sue braccia la proteggevano dal resto del mondo, quel mondo che non capiva e che non l’avrebbe fatto mai.
Haylie rabbrividì quando lo sentì baciarle il collo, e poi più giù, sbottonarle rapidamente la camicetta e nascondere il viso nel suo seno, facendo suo quel profumo dolce e delicato, quel profumo che sapeva di innocenza, di purezza, di qualcosa che non aveva mai sentito.
Haylie riaprì gli occhi solo quando non avvertì più il calore del corpo di Tom sopra di lei, rimase a guardarlo attraverso le ciglia mentre lui si spogliava. Voleva averlo vicino, voleva quel calore.
Non provò nessun imbarazzo fino a quando Tom non la privò dell’ultimo indumento che separava i loro corpi, solo allora sentì un brivido correrle lungo la schiena e si aggrappò alle sue spalle, ma lui l’allontanò da sé subito dopo. Percorse interamente il suo corpo con lo sguardo e la sua mano si posò ancora una volta sul suo ventre.
- Sei… oh, Haylie, sei stupenda –
Arrossì violentemente e si rifugiò tra le sue braccia, imponendosi di non pensare, di estraniarsi almeno per quel momento che non sapeva se si sarebbe mai ripetuto.

 
Il suo tocco era caldo, confortevole, attento. Le loro mani non si lasciarono per un solo istante, le dita rimasero intrecciate, le loro anime si aggrapparono morbosamente l’una all’altra.
Non se l’era immaginato così, il SexGott. Non in un’occasione del genere. Non con lei.
Ci volle poco perché quel loro semplice bisogno, quella fuga dalla realtà, si macchiasse di peccato.
Quella camera d’albergo si colorò di emozioni nuove e proibite, emozioni che non sarebbero state tali se non vissute così, protette da ogni precedente paura, ignare di quello che avrebbero provocato, emozioni nascoste e silenziose.
Era dunque quello, il suo destino.
Haylie chiuse gli occhi e sospirò quando Tom si rannicchiò accanto a lei e poggiò un orecchio sulla sua pancia. Gli accarezzò stancamente i capelli, mentre il suo fiato la solleticava leggermente. Poco dopo, Tom si stese al suo fianco, intrecciando le dita con le sue. I loro sguardi si incontrarono, e ad Haylie parve di scorgere un velo di preoccupazione oscurare i suoi occhi nocciola.
- Haylie, io… non ti ho fatto male, vero? –
Gli sembrava quasi di essere Bill. Tom scacciò velocemente quell’idea dalla propria mente, pensando che, quasi sicuramente, Bill quella domanda non gliel’aveva mai posta.
Haylie sorrise appena, e fu lì che Tom si rese conto del tutto della sua bellezza. Con i capelli arruffati, lo sguardo stanco e le guance arrossate era ancora più incantevole, ancora più lei. – No… sto bene –
Anche lui sorrise, e si sporse in avanti per sfiorarle le labbra con un bacio.
- Haylie, ti amo –
Non pensava che sarebbe stato così dirlo per la prima volta. Pensava che avrebbe dovuto tirare un bel respiro e chiudere gli occhi, invece gli venne così naturale che lui stesso se ne stupì. Haylie chiuse gli occhi e appoggiò la fronte sulla sua spalla, sorridendo tra sé. Forse era felicità, forse era rassegnazione.
Non lo sapeva, e forse non l’avrebbe mai saputo.

 
“Ma se sparissi adesso chi mi verrebbe a cercare?
Dimmi che tu lo faresti e che non siamo passeggeri distratti,
due prigionieri in gita senza una via d'uscita.
Dimmi che tu rifaresti se potessi tutto quanto,
che nonostante il mondo noi siamo fino in fondo
fino in fondo noi”

(Raf, “Passeggeri distratti”)

...Ho aggiunto un’illustrazione al capitolo tre, se può interessarvi ^^

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Capitolo 11
*** Il nodo - Capitolo undici ***


Inutile, è diventata una malattia: devo per forza rispondervi. Noirfabi: ma deciditi! Chi vuoi, Haylie-Bill o Haylie-Tom? (io me li prenderei in blocco. Sono poligama per natura x°D) Moonwhisper: no, ora mi dici come facevi a sapere che sono un’artista di fama internazionale (e partì il coro di pernacchie). Forse hai letto “Cry – don’t wanna be alone”? Oppure… boh, vabbè, ormai lo sanno pure i sassi che io vivo per il disegno. E tieni giù le mani da Tom, che quando questa storia finirà, in qualsiasi modo finisca, sarà mio. FuckedUpGirl: Bia, io non ti avviso più quando aggiorno perché so che mi segui, giuoia della mia vita! Però anche tu, eh… ti piace “Don’t wanna hurt you”, ti piace la parte in cui Hay e Tom “consumano”… dillo che non te ne frega niente di come scrivo! XD Valux91: che ne dici di mettere su il club dei Mulino Bianco family’s fan? Però i tesserini li facciamo col mio disegno! Kristine: Kris, Kris, che bello trovare un’altra tua recensione! Però tu, gioia, mi fai venir voglia di dire cose che non posso dire… di rivelare il mio punto di vista, che vi rovinerebbe il gusto di seguire la storia. Sai che hai tirato in ballo un elemento interessante? Quello che dici a proposito di Bill… può essere, Kris, può essere. Come noterai anche più avanti, il suo personaggio sarà ben focalizzato pochissime volte, ho involontariamente lasciato molto più spazio alla psiche di Hay e di Tom. Forse neanch’io capisco questo mio Bill, forse gli so dando un ruolo che non mi aspettavo di attribuirgli. Non lo so. E’ difficile. E spero di riuscire sempre ad appassionarti così. Sore: uno dei lavori più belli? Se lo dici tu mi fido! Però confesso di averla scritta almeno due mesi fa questa parte, prima ancora di aver deciso come sviluppare la storia. E’ un prefabbricato XD Beh, anche per le altre mie storie sui TH hai detto che preferisci la versione più “matura” di Tom, no? Lilylemon: ohi, piccoletta a chi?! XD Benebene, me è felice di trovare una new entry!

Vi avviso che questo capitolo non mi piace per niente, soprattutto la prima metà: doveva essere qualcosa di più “poetico”, invece è solo dialogo. Se non altro, stavolta non potete dirmi che miglioro ogni giorno di più. Però in compenso il prossimo capitolo è (al momento) il mio preferito!
Un grazie speciale agli 11 utenti che tengono la mia storia tra i preferiti!

Parte III – Il nodo

Capitolo 11

 
“Il tuo nome è una vecchia ferita che giace profonda
e la sabbia ha coperto il passaggio di fiamme e furori,
tutto sembra pulito e quieto a vederlo da fuori…
tutto sembra finito”

 
Haylie tirò un profondo sospiro e si lasciò cadere sul minuscolo pouf sistemato in un angolo della stanza. Ci stava a malapena per metà, ma non importava. Si sentiva talmente stanca che si sarebbe accontentata anche di sedersi sul pavimento.
Stanca, stremata.
Per il lavoro? Per la gravidanza…? O… No. Neanche lei voleva saperlo.
Bill si separò dagli altri tre ragazzi, che ora confabulavano tra loro su quanto li annoiasse l’idea dell’ennesimo servizio fotografico, si accovacciò accanto a lei e sorrise piegando la testa di lato.
- Stanca, vero? –
Haylie stiracchiò le labbra in un sorriso che ad occhi più attenti non sarebbe sembrato tale. Annuì.
- Tesoro, non puoi continuare ad affaticarti così. Devi staccare –
La ragazza annuì una seconda volta, sporgendosi a baciarlo lievemente su una guancia. – Lo so, Bill. Non preoccuparti. Non faccio niente di particolarmente stancante – Con la testa gli fece cenno di tornare dai ragazzi, sforzandosi di non incrociare lo sguardo di Tom.
Pure lui ultimamente sembrava anche troppo tranquillo. Haylie sperava che nessuno si chiedesse il perché.
Bill le strinse una mano, prima di alzarsi in piedi.
- Mi raccomando. Non voglio più vederti con questi occhi tristi, eh? –
Haylie sospirò mentre lui si allontanava. Da quel pomeriggio in albergo, sorridere di fronte a lui –soprattutto se nelle vicinanze c’era Tom- era diventato più complicato. Sia perché non sapeva più neanche lei se quei sorrisi fossero sinceri, sia perché è difficile mostrarsi sereni e rilassati quando si ha la coscienza sporca.
Doveva smetterla di giustificarsi. A Bill non era sfuggita la sua espressione stanca. Già, meglio lasciare che la credesse tale, piuttosto che colpevole…
Ma non poteva farne a meno. Ogni volta che i suoi ricordi volavano a quel pomeriggio, sentiva lo stomaco stringersi e le mai diventare ghiacciate.

 
Rimasero così, abbracciati e in silenzio per minuti interminabili.
Quel silenzio che aveva un qualcosa di rassicurante e inquietante nello stesso tempo.
A Tom non riuscì difficile accorgersi che Haylie non faceva altro che sospirare. – Piccola, c’è qualcosa che non va? –
In altre circostanze, Haylie avrebbe riso di fronte a quella domanda. Più ovvio di così…
- Tu che dici? – Tom assunse un’espressione ferita.
- Haylie, io… - Il suo braccio rafforzò istintivamente la presa intorno alla sua vita, mentre l’altra mano le sfiorava una guancia. – Lo so. E’ tutto… maledettamente complicato –
- No, non è complicato – mormorò lei. – Sei il fratello di Bill. Ecco tutto –
- Haylie… - Gli venne naturale pronunciare il suo nome una seconda volta. Si sentiva incredibilmente idiota a non poter formulare una frase o un pensiero coerente, ma quella era la reazione che Haylie provocava in lui e ora aveva il sospetto che avrebbe dovuto tenere a freno quell’istinto. – Dio santo – riuscì solo a dire, chiudendo gli occhi e sfregandoseli con le mani.
- Lo so – Quella volta fu Haylie a dirlo, appoggiando la testa sulla sua spalla. Quella conversazione –sempre se avesse potuto essere definita tale- non aveva alcun senso, ma entrambi provavano un bisogno disperato di parlare. Non sapevano di cosa –o forse sì, era semplicemente troppo imbarazzante sfiorare l’argomento-, né avevano idea di come affrontare l’argomento, tutto quello che volevano era… parlare.
- Che casino – mormorò Tom, senza aprire gli occhi. – Non… non riesco neanche a isolare l’unico pensiero che potrebbe farmi felice. Mi scoppia la testa –
Haylie alzò la testa dalla sua spalla e lo guardò.
- E quale sarebbe questo pensiero? – Tom le sorrise e posò un bacio sulla sua fronte.
- Che ho fatto l’amore con te. Che ti amo –
Haylie si strinse più forte a lui, rifugiandosi tra le sue braccia. Quelle parole avrebbero dovuto renderla felice.
La rendevano felice, sì… ma era una felicità strana.
Una felicità che sapeva di non poter essere assaporata fino in fondo.
Non poteva essere felice a spese di qualcun altro. Non poteva costruirsi una nuova vita se quella vecchia non era ancora finita.
- Dev’essere per questo che non riesco a pensare che abbiamo sbagliato – continuò Tom, a voce bassa. Guardò Haylie di sottecchi. – Perché abbiamo sbagliato, vero? –
- Sì – La ragazza sospirò, tirandosi il lenzuolo fin sotto il mento. – Sì, abbiamo sbagliato –
Tom si voltò su un fianco, appoggiandosi su un gomito e guardandola fisso negli occhi. – Haylie, io… voglio che tu sappia una cosa –
Haylie non recepì subito le sue parole. Rimase a contemplarlo per qualche secondo, spostando lentamente lo sguardo dal viso di Tom alle sue spalle, alle sue braccia, al suo petto, al suo piede che sbucava fuori dal lenzuolo attorcigliato intorno al suo corpo. Era… No, “bello” era un termine eccessivamente riduttivo. Lo era sempre stato, e chissà per quanto tempo lo sarebbe stato ancora…
E allora perché non si era innamorata subito di lui?
Perché non aveva evitato quella sofferenza a cui ora sarebbe inevitabilmente andata incontro?
Si scosse dai suoi pensieri e tornò a fissare il proprio sguardo in quello di Tom. Annuì appena, come per incitarlo a proseguire. Sinceramente, non sapeva cos’altro potesse aggiungere. Avevano detto e fatto anche troppo.
Tom distolse lo sguardo per un istante prima di proseguire, e Haylie non poté non provare un moto di tenerezza sconfinata verso di lui.
- Volevo solo dirti che non pensavo che sarebbe potuta andare così –
Lei lo guardò confusa, aggrottando le sopracciglia. – In… in che senso? –
- Nel senso che… che io non ho mai pensato… cioè, voglio dire, non è che io volessi… prima, perlomeno… Io non pensavo che mi sarei mai potuto innamorare di te, ecco – Haylie chinò il capo, arrossendo. Lo capiva fin troppo bene. – Se avessi pensato che un giorno sarebbe potuto succedere, io… oh, non lo so. So solo che non avrei mai voluto fare… questo… a Bill – Pronunciò le ultime parole come se gli costasse un’immensa fatica. La sua mano cercò quella di Haylie e la strinse. – Non voglio che tu pensi che io… che io l’abbia fatto per… per separare voi – Ad altre orecchie, quel discorso sarebbe sembrato carico di egoismo e, forse, anche di ipocrisia, ma Haylie sapeva che non era così. Le bastava guardarlo negli occhi per esserne certa. – Non ho mai pensato che avrei potuto provocare questo, e quando stavi con Bill io non ti ho mai desiderata di nascosto –
La ragazza rialzò lo sguardo, turbata. Non era stata l’ultima parte della frase a colpirla.
- Perché dici che “stavo”? – sussurrò, riuscendo a malapena a sentirsi lei stessa. – Io e lui non ci siamo lasciati –
Tom la guardò con un’intensità tale da mozzarle il fiato, una tristezza che sfociava nella bellezza, e non una bellezza dannata.
- Ma stai con lui anche col cuore? –
Quella domanda la colpì dritta al petto, a quel cuore che Tom chiamava in causa. Si passò una mano tra i capelli.
“Che casino, che casino, che casino…”
- Non hai detto di non volerlo ferire? – mormorò a voce ancora più bassa.
Quella volta fu Tom a chinare il capo. – E’ vero, ma… oh dio, Haylie, non lo so. Non lo so – mormorò abbracciandola. Haylie nascose il viso nel suo collo, non voleva sentire più niente da nessuno, voleva solo sparire, perché era tutto così difficile? Perché anche quella che avrebbe dovuto essere una gioia si trasformava in un dolore insopportabile? – Se non ti amassi, non farei mai tutto questo –
Haylie si lasciò cullare da quella promessa che promessa non era, anche se le piaceva pensare che lo fosse.
Un giorno tutto sarebbe finito.
Già… ma cosa?
 

Si erano rivestiti in silenzio, in quella camera in cui persino l’aria era diventata incredibilmente pesante.
Si erano salutati con un bacio che racchiudeva in sé tutte le promesse che l’uno poteva dare all’altra, tutte le incertezze che entrambi avrebbero voluto cancellare, tutto l’amore che non sapevano a chi era più giusto donare.
Haylie non volle immaginare cosa si fossero detti Bill e Tom al ritorno del gruppo dal sound check, non voleva immaginare la faccia di Tom quando l’aveva rivisto dopo avergli fatto il torto più grande che potesse rivolgergli.
Non ne ebbe neanche il tempo, perché, quando tornò, Bill irruppe nella loro camera con un’espressione a dir poco angosciata.
- Haylie, Haylie, scusami! –
Lei lo guardò sorpresa. Di cosa doveva scusarsi? Al momento la sua mente era pressoché vuota: meglio cancellare tutti i pensieri, per evitare la fatica di allontanare quelli sbagliati.
- Come, scusa…? – mormorò a fior di labbra, mentre Bill si precipitava accanto a lei e le prendeva il viso tra le mani.
- Amore, stamattina mi sono dimenticato che avevi l’ecografia! Dio, scusami, ti prego, non volevo, mi è passato di mente! –
Fantastico.
La cosa che quella mattina aveva desiderato più ardentemente ora quasi non le interessava più.
Mise una mano su quella di Bill, scostandola dal suo viso. – Non preoccuparti Bill, non è successo niente –
- Come non è successo niente? Io… io l’ho dimenticato! – esclamò scandalizzato Bill, come se non riuscisse a capacitarsene. Haylie sospirò, cercando di non lasciar trasparire il leggero fastidio che provava di fronte a quella reazione esagerata.
- Bill. Non fa niente – ripeté, scandendo bene le parole.
Bill si morse il labbro inferiore e sorrise, prendendole le mani tra le sue. – Allora? Maschio o femmina? –
- Femmina –
Bill la abbracciò, baciandola a lungo, ma Haylie quasi non se ne accorse.
- E’ fantastico! Sono così felice… - La baciò di nuovo. Nei suoi occhi brillava la stessa luce degli occhi di un bambino che scarta il suo regalo di Natale, il più grosso, il più atteso. – Scusami se me ne sono dimenticato – Haylie si sforzò di sorridere. In fondo, chi era lei per smorzare il suo entusiasmo?
- Non fa niente, Bill. Smettila. E’ tutto ok –
La placava saperlo sereno e tranquillo. Ma non poté evitare che le tornassero in mente le parole di Tom.
“Avete mai parlato del vostro futuro? Avete pensato a come sistemarvi dopo che sarà nata la bambina? Non credo che sia il massimo della felicità farsi una famiglia su un tourbus o portarsi una figlia di pochi mesi in giro per concerti. Ne avete parlato, di questo?”
Era fatto così, Bill.
Rassicurato dalla consapevolezza che lei gli aveva concesso il suo perdono, non pensava più a cosa lei avesse potuto provare
prima.
Haylie cercò di non pensarci. Tanto, era inutile. Non sarebbe stata lei a farlo cambiare. 

Haylie affondò i denti nel panino che Gustav le aveva portato, dopo averlo ringraziato calorosamente.
- Grazie, Gustav… Anche se dovrei limitarmi, sono mesi che non faccio altro che mangiare –
Il ragazzo le sorrise.
- Beh, hai bisogno di stare in forze, no? -
Era molto più simpatico di quanto, in quei due anni, non avesse avuto modo di scoprire.
Forse perché adesso cercava di allontanarsi gradualmente da Bill e, di conseguenza, si ritrovava più spesso in compagnia degli altri.
A quel pensiero, il pezzo di panino che stava masticando le andò di traverso e attaccò a tossire. Gustav sobbalzò.
- Però calma, eh! –
Lo disse in tono scherzoso, ma Haylie non riuscì a ridere.
Come poteva voler allontanarsi da Bill? Dal ragazzo con cui aveva passato due anni, da cui aspettava una figlia… Dal ragazzo che…
…amava?
- Non… non ti preoccupare… - balbettò, arrossendo per la vergogna di aver anche solo pensato una cosa del genere. Anche se, certo, non era stata lei ad allontanarsi da lui. – E’ che… beh, sembra quasi che mi sia disabituata a lavorare… - Prese un gran respiro e quasi si costrinse ad aggiungere: - …con Bill che tenta di barricarmi in tourbus o in hotel per farmi stare ferma. Basta poco così di tensione e mi prende la fame – Gustav sospirò, stiracchiandosi.
- Non dirlo a me – sbuffò. – Detesto questi servizi fotografici. Non capisco come facciano quei tre a divertirsi, io mi sento un idiota davanti a una macchina fotografica – Si sfilò il cappellino da baseball, uno dei tanti che portava di solito, e lo fissò per qualche istante. – Se fossi Bill, impazzirei. Adesso lui ha un altro servizio, da solo –
- …che non è giusto – ribadì Haylie. Non cercò di trattenersi dal dirlo, tutti sapevano come la pensava sul fatto che Bill, spesso e volentieri, fosse considerato come “i Tokio Hotel”.
- Ma per me va benissimo – disse Gustav. – A me basta la mia batteria per essere contento. Non è la pubblicità che mi serve – Tirò un profondo sospiro e si tirò su dalla sedia. – Beh, noi qui abbiamo finito. Penso che farò un giretto fuori – Spostò lo sguardo su Haylie, ancora seduta sul pouf con il panino tra le mani. – Tu che fai? –
- Ehm… non so – rispose, incerta. Per un attimo, il suo sguardo indugiò su Tom, ma poi si impose di non guardarlo. – Anch’io avrei finito, qui. Penso che aspetterò Bill –

 
E invece non fu quello che fece.
Poco meno di due minuti più tardi, si trovava chiusa nel bagno degli uomini.
Con Tom.
Con Tom che la teneva stretta a sé e la baciava e sospirava tra i suoi capelli, mentre Bill era troppo occupato a sorridere davanti a un obiettivo per accorgersene.
Haylie tentò di allontanarlo, ma, non sapeva mai perché, non ne trovò la forza. – Tom, dài… -
Lui le prese il viso tra le mani e le sfiorò le labbra con le sue. – Non ci vede nessuno –
- Ma torneranno tra poco… - Le parole le morirono in gola nel momento in cui le labbra di Tom schiusero le sue, rifugiandosi in un bacio che era sempre troppo difficile aspettare. Si aggrappò alle sue spalle, appoggiando la schiena al muro, mentre le mani di Tom già si insinuavano sotto la sua maglietta e la accarezzavano bramosamente. – Tom – mugolò, chiudendo gli occhi. Tom le baciò il collo, continuando a trascinare le proprie mani da un punto all’altro sulla sua pelle.
- Sssh… Non preoccuparti, Hay. Ti amo –
Haylie sentì il suo corpo premere contro il proprio. Lo sentì voglioso.
- Non possiamo fare questa vita – gemette, mentre i suoi baci si facevano più prepotenti.
- Possiamo farcela – ansimò Tom, stringendola più forte a sé. Tutto cominciò a confondersi. – Possiamo… farcela… oh, Haylie… sei così bella… sei… -
Haylie affondò le unghie nelle sue braccia. Lo sentiva. Lo sentiva ancora di più, ancora più a fondo…
- Come fai… a dirlo? – boccheggiò, aggrappandosi a lui. – Con... con questa pancia, e… - Tom si staccò da lei e posò un dito sulle sue labbra. Sorrise e la baciò in fronte, e Haylie sentì piccole gocce di sudore cadere dal suo viso fino al proprio…
- Metà della tua vita è qui – La mano di Tom si posò sul suo ventre. – Non devi… mai… pensarlo come un motivo di vergogna – Ricominciò ad accarezzarla, prima con delicatezza, poi con ancora più forza e desiderio. La baciò. – Sei splendida. Devi essere orgogliosa di te stessa –
E di nuovo confusione che si sovrapponeva alla paura.
Stordimento che non dava spazio al pudore.
Solo una consapevolezza si fece strada nella mente di Haylie, mentre il loro peccato si consumava in fretta, al riparo dagli occhi di tutti.
Non era affatto orgogliosa di se stessa. Non lo sarebbe stata mai.

 

Sììì, cambiamo i credits! Stavolta la canzone è "Il nodo" di Raf...che, l'avevate capito?'

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Beh? Che è sto calo di recensioni?! Guardate che se mi viziate io poi ne pretendo almeno 6-7 a capitolo! XD Comunque…
Lascio un ringraziamento veloce a tutte le ragazze che commentano (in particolar modo alla new entry Freiheit) e a chi continua a tenermi tra i preferiti. Ecco qui un nuovo capitolo, un capitolo che mi piace particolarmente perché è strano, pieno di contraddizioni… come me.
Entro dopodomani posterò il capitolo 13, dato che ho avuto problemi con il mio account e voglio subito rimettermi in pari. E vedrò comunque di velocizzarmi, perché vorrei finire di aggiornare la ff entro gli inizi di luglio, perché dopo sarò senza computer per due mesi e, anche se c’è la mia sore disponibile a fare le mie veci, vorrei arrivare a postare i ringraziamenti! Baci a tutte!!!

Questo capitolo è per Bianca, che l’ha già letto in anteprima… e lei sa perché. Ti voglio benissimo!


Capitolo 12

“Da lontano
il nodo non cede per niente, è un serpente
che stringe e respira…”

 
- No! Così non va bene! –
Bill accartocciò i fogli che teneva in mano e li gettò sulla poltrona vuota accanto a sé.
- Le canzoni non vanno, il cd viene praticamente uguale a “Schrei”! Non siamo più bambini, dannazione! –
Gustav tentò cautamente di calmarlo.
- Bill, se per ora non ne viene fuori nulla, forse è meglio rimandare –
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo. – Abbiamo un contratto, Gustav. Contratto, hai presente? Vuol dire che se non facciamo un lavoro come si deve, la
Universal ci sbatte fuori a calci nel… -
- Va bene, va bene – intervenne repentinamente Tom. – Abbiamo afferrato il concetto. Gustav non diceva mica di rimandare di sei mesi! –
- Quello che è – ribatté seccamente Bill.
- Ma scusa, dici che le canzoni non vanno, abbiamo una marea di inediti e di altri pezzi che non abbiamo mai pubblicato, perché non… -
- No! No, Tom, non è così che si fa! – Bill sbatté un pungo sul tavolo. – Non possiamo mettere adesso in un cd canzoni che abbiamo fatto due anni fa! Ci sarà stato un motivo per cui non le abbiamo inserite nei cd precedenti, no? –
Le reazioni che suscitò nel resto della tavolata non furono tanto diverse tra loro: Georg, sbuffando, si passò una mano tra i capelli, gesto che non compieva se non quando i suoi nervi venivano messi a dura prova; Gustav aveva messo su l’espressione fissa di quando voleva trattenersi dal rispondere a tono, cosa che gli capitava di fare molto raramente; Tom tamburellava nervosamente le dita sul tavolo ed era chiaro che aveva qualcosa da dire, se le sue opinioni non fossero state stroncate sul nascere dallo sbuffare di Bill, dalle sue esclamazioni rabbiose o dai pugni che mollava sul tavolo. 

Haylie sospirò, massaggiandosi le tempie. Avevano appena finito di cenare e già si erano messi a discutere per quel maledetto nuovo album. Per loro, era più facile accapigliarsi per quattro canzoni piuttosto che per avere il posto al bagno di prima mattina –il che era tutto dire.
Certo, lei non faceva testo: a mettersi in quelle cento messe, sarebbe impazzita.
Non che quelle altre cento in cui si era messa fossero tanto più facili da gestire.
Il vedere Bill e Tom battibeccare così per la realizzazione del nuovo album le faceva stringere lo stomaco, ma forse era meglio vederli fermarsi a litigare solo per un cd. Non si azzardava ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se… oh, no, non osava neanche cercare le parole adatte.
La relazione clandestina con Tom andava avanti ormai da un mese, e Bill non dava il minimo segno di essersene accorto. Haylie si ritrovava spesso a chiedersi se non fosse stato meglio che lui li scoprisse.
Almeno i sensi di colpa sarebbero finiti una volta per tutte o, perlomeno, si sarebbero rivolti in una sola direzione.
Non che loro offrissero grandi possibilità di farglielo capire –d’altra parte, sarebbe stata solo una pazzia.
Erano notti fatti di piccole fughe nel bagno o nella zona relax, giornate le cui ore erano scandite dall’alternarsi di sguardi incerti e sorrisi falsi. Haylie non riusciva ancora a credere di essersi ridotta a ingannare Bill a quel modo.
Se a ventun anni la sua vita era quella, cosa sarebbe stata a trenta? O dopo?
Ora era lì, a rimettere a posto i piatti sullo scaffale, mentre i ragazzi continuavano a litigare. O meglio, mentre Bill continuava a litigare con il resto del gruppo.
- E’ inutile, non avete capito niente – sbuffò Bill, alzandosi bruscamente. – Mi domando perché sia tanto difficile per voi afferrare un concetto così semplice –
- Magari, se invece di strillare come una gallina parlassi normalmente… - azzardò Georg. Le labbra di Gustav si incresparono in un sorriso e Tom celò una risatina dietro un finto colpo di tosse. Bill li guardò in cagnesco prima di dirigersi verso Haylie, abbracciarla da dietro e appoggiare una guancia sulla sua testa.
- Non ne posso più – le soffiò in un orecchio.
- Dài, Bill, prova almeno ad ascoltarli… -
A Tom scappò da ridere per la seconda volta. Forse era una risata nervosa, dato che quella vicinanza quasi morbosa di suo fratello e Haylie lo portava a stringere i pugni fino a che le nocche non sbiancavano. Tuttavia, sapeva bene che la cosa migliore era far finta di niente, soprattutto quando Bill era così isterico.
- E poi, su, lascia in pace quella poverina! – lo prese in giro. Haylie si morse il labbro inferiore senza neanche accorgersene. – Non scaricare le tue nevrosi su di lei! –
Lo disse chiaramente scherzando, con un sorriso ironico stampato sulle labbra, ma, a quelle parole, le braccia di Bill lasciarono la vita di Haylie e il ragazzo si voltò di scatto verso il gemello, guardandolo con astio.
- Non perché tu sei solo come un cane io devo privarmi di stare con lei! –
Calò il silenzio.
Gelo.
Bill aveva serrato i pugni e le sue labbra si erano assottigliate, come se avesse voluto trattenersi, come se però la rabbia glielo impedisse.
- Raccattare quattro groupie e portarsele a letto non è avere qualcuno, Tom! –
 

Forse avrebbe pure continuato, avrebbe detto di peggio, ma fu bloccato da un agente esterno che nessuno dei cinque identificò subito.
Haylie si ritrovò in piedi di fronte a lui, con un braccio alzato e piegato di lato e uno strano calore che le pizzicava le gote. Vide Bill con il viso rivolto a sinistra e un segno rosso ben visibile sulla pelle chiara.
Lo schiaffo era partito senza neanche poterlo calcolare, senza poter capire il perché.
Forse perché si era involontariamente sentita parte del gruppo di “quelle quattro groupie”.
O forse perché era stanca, semplicemente stanca di tutto.
Tom non mise a posto il fratello con una delle sue rispostacce, come tutti –o quasi- si sarebbero aspettati da lui. Dopo aver fissato Bill per qualche secondo, si alzò rumorosamente e abbandonò la zona relax senza dire una parola.
L’unico rumore che si udì fu lo sbattere di una porta. Poi, silenzio.
Gustav cercò di spostare lo sguardo altrove, benché la zona relax del tourbus non offrisse molte distrazioni, Georg non si curò neanche di staccare lo sguardo di dosso agli altri due, come paralizzato.
Haylie si morse le labbra, il braccio ancora piegato di lato.
- Bill, perché? –
Bill voltò lentamente il viso, portandosi una mano dove lei l’aveva colpito.
Haylie non gli diede il tempo di alzare lo sguardo, o sarebbe di nuovo caduta in trappola. Le sarebbe bastato guardarlo negli occhi per sentirsi subito in colpa. E lo schiaffo aveva contribuito a rendere più veloce questo processo.
Si limitò a voltargli le spalle e abbandonare la zona relax a grandi passi, fermandosi davanti alla porta che la separava dalle cuccette.
Non bussò, non chiese permesso. Tirò un profondo sospiro e aprì la porta, entrò senza guardarsi intorno e se la richiuse silenziosamente alle spalle.
Tom, seduto a gambe incrociate sul suo letto, levò lo sguardo su di lei.
Haylie ebbe la tentazione di distogliere il suo.
 

Il silenzio fu spezzato pochi secondi dopo.
- Cos’è, mio fratello non ha abbastanza fegato per riconoscere quanto sia, diciamo così, acido? Deve per forza mandarmi la sua postina? –
Haylie sospirò. La voce le uscì fuori più bassa di quanto avrebbe voluto. - Non prendertela con me, Tom – Lui sospirò, passandosi una mano sul viso.
- Scusa. Non me la sto prendendo con te –
Guardandolo, ad Haylie sembrò di vedere un’altra persona, qualcuno che non aveva niente a che vedere con il Tom Kaulitz di… di quando? Anche solo due o tre mesi prima.
Era dunque colpa sua se stava cambiando?
Qualcosa dentro di lei le impediva di pensare che ciò si limitasse a una semplice maturazione.
Si sedette lentamente sul bordo del letto e fissò il proprio sguardo in quello di Tom. – Cosa ti succede, Tom? Sei diverso… - mormorò, posando una mano sulla sua. Tom chinò la testa.
- Lo so –
- Un tempo gli avresti risposto. Non gli avresti permesso di trattarti così. Perché ti ha detto quelle cose? –
- Io… non lo so, Hay – ammise lui, scuotendo la testa. – So solo che quando è incazzato basta niente per farlo esplodere, e stavolta… è capitato così – Alzò lo sguardo verso di lei. – E tu? Perché l’hai preso a schiaffi? – Haylie fu scossa da un impercettibile tremito.
- Non lo so – sussurrò. – Mi è venuto… così. Io… forse… non avrei dovuto. Non ho mai fatto niente del genere, con nessuno – Strinse involontariamente la mano di Tom nella sua.
- Visto, Haylie? Non sono il solo a cambiare –
Haylie gli lanciò un’occhiata veloce, sentendosi stringere lo stomaco.
- Cosa stiamo facendo, Tom? –
- Preferisco non chiedermelo –
Il ragazzo la guardò in silenzio per qualche secondo. Poi lei lo guardò negli occhi, e le sembrò quasi che la supplicasse.
– Hay… vieni qui, abbracciami –
 

Sì, era cambiato. Se lo ripeté e se ne convinse quando lo circondò con le braccia e lasciò che lui facesse lo stesso. In altri tempi, Tom Kaulitz non avrebbe mai tollerato di rivolgere a qualcuno una richiesta d’aiuto.
Perché quella era una richiesta d’aiuto.
Tom piegò leggermente la testa di lato, quanto bastò perché le loro labbra si trovassero a pochi millimetri di distanza. Haylie cercò debolmente di allontanarlo, con una mano sul suo mento, ma il suo tocco era talmente dolce e delicato che quasi le mancò il coraggio.
- Tom, no… -
- Non entrerà – Tom appoggiò la fronte sulla sua. – Solo un bacio, Hay… Solo uno. Ne ho bisogno –
Le sue labbra si dischiusero senza che dal cervello partisse un comando.
Tom la trattenne contro il proprio petto in una stretta che ebbe il potere di riscaldarla.
Fu un bacio casto, morbido, un bacio che non ci si sarebbe mai aspettati da Tom Kaulitz. Ma Haylie stava lentamente imparando che non poteva, e non avrebbe più potuto aspettarsi niente da nessuno. Era una continua scoperta, che questo le piacesse o no. Non poteva impedirlo.
Si separarono con una lentezza sofferta, quasi esasperante.
Haylie gli sfiorò il viso con una carezza.
- Si sistemeranno mai le cose, Tom? –
Tom posò una mano sulla sua, trattenendola sulla propria guancia, imprigionando quella carezza da cui non voleva essere abbandonato.
- Non lo so, piccola… Non lo so –

 
Quando Haylie lasciò la stanza, li trovò ancora in zona relax, tutti nella stessa posizione dove li aveva lasciati: Bill appoggiato da dietro al lavandino, Gustav e Georg seduti dietro il tavolo che, però, era stato sgombrato da tutti i fogli e le cianfrusaglie che prima lo occupavano.
Questi ultimi si alzarono.
- Io… credo che andrò a letto – disse Georg con un sorriso nervoso.
- Sì, anch’io – rincarò Gustav.
Haylie sorrise e fece un cenno con la mano. – Buona notte, ragazzi –
- ‘notte – risposero all’unisono prima di sparire dietro la porta.
Bill non si era mosso. Le aveva solo rivolto uno sguardo fugace quando era nuovamente apparsa accanto a lui, poi era tornato a guardare fisso davanti a sé.
Haylie gli si avvicinò lentamente, le braccia strette intorno alla vita. Sentiva dei piccoli movimenti, là sotto. Forse lei si stava ribellando, aveva sentito che c’era qualcosa che non andava.
- Bill… -
Per tutta risposta, lui le rivolse uno sguardo vacuo. Sembrava che non la vedesse.
- Io… non so perché l’ho detto… -
- Se l’avessi saputo, non l’avresti fatto – Haylie si morse le labbra, sfregandosi le mani lungo i fianchi. Sentiva quasi freddo.
- E’ vero – mormorò lui, abbassando lo sguardo. Haylie gli si avvicinò ancora di più.
- Scusami per quello schiaffo. Non volevo… -
- No – Per la prima volta nella serata, Bill sorrise. Ma era un sorriso tirato, stanco. – Hai fatto bene a darmelo. Sono… sono stato uno stronzo con Tom – Haylie non ebbe la forza di dissentire.
- Va’ a chiedergli scusa, Bill – mormorò. Lui sospirò e si strinse nelle spalle.
- Forse è meglio che lo faccia domani… magari adesso non ha tanta voglia di parlarmi –
Haylie non poté trattenersi dal rispondere: - Posso capirlo –
Lui la guardò con una punta di stupore. Poi sospirò una seconda volta, e le sfiorò una guancia con la punta delle dita.
- Non litighiamo, Haylie. Ti prego. E’ l’ultima cosa che voglio – Haylie si morse le labbra e annuì. Bill posò un bacio tra i suoi capelli, stringendole una spalla con una mano. Lei chinò il capo.
- Andiamo a letto, dài – sospirò.

 Non aveva idea di che ora fosse. Avrebbe preferito avere almeno un orologio in quella stanza, avrebbe sopportato il ticchettare delle lancette che si inseguivano sul quadrante, piuttosto che restare immerso in quel silenzio insopportabile.
Sospirò e calciò via il lenzuolo. Poi si voltò, con il timore di averla svegliata. Sporse la testa poco oltre la sua spalla.
No, Haylie dormiva. I capelli erano sparsi disordinatamente sul cuscino e le coprivano parzialmente il viso. Bill ne scostò via una ciocca e sfiorò la sua fronte con un bacio delicato prima di alzarsi silenziosamente.
Attraversò il tourbus a passi felpati e aprì la porta senza far rumore. Dormivano tutti e tre. O almeno, così sembrava.
- Tom – sussurrò. Doveva parlargli, ne aveva bisogno, ma non voleva svegliare anche gli altri. Suo fratello non si mosse. – Tom – lo chiamò ancora, a voce appena più alta. Georg grugnì e si girò su un fianco, Tom non diede segni di vita. Bill si lasciò sfuggire un verso d’impazienza e si avvicinò al suo letto. Vi salì a gattoni e scosse leggermente il gemello per una spalla. – Tom! –
Finalmente, il biondo si riscosse. – Mmm, che c’è? – mugugnò senza aprire gli occhi.
- Svegliati – mormorò Bill, senza togliere la mano dalla sua spalla. Tom socchiuse gli occhi e impiegò qualche secondo per mettere a fuoco la sua figura.
- Oh, sei tu – constatò, con la voce impastata di sonno. – Che vuoi, fammi dormire… -
- Ho bisogno di parlarti – Tom sospirò e si stropicciò gli occhi prima di mettersi faticosamente a sedere sul letto. Si guardò intorno e, dopo aver appurato che Gustav e Georg dormivano ancora, si voltò verso Bill. Fece un cenno con la testa, troppo intontito per parlare. – Scusami –
- Ah – Tom annuì lentamente senza guardarlo. – E’ per quello – Bill gli rivolse uno sguardo implorante.
- Per favore Tom, scusami. Io non volevo dirti quelle cose. Ero solo arrabbiato, ma non ce l’avevo con te. Lo sai che quand’è così do i numeri e… - Tom lo zittì con un cenno della mano.
- Lo so, Bill, lo so. Non fa niente, davvero –
- Ma io… -
- Non fa niente! – insistette, ma si interruppe, essendosi accorto di aver alzato troppo la voce. Continuò, abbassando il tono: - Non fa niente. E poi hai ragione, sai? Portarsi a letto quattro groupie non è avere qualcuno – Lo disse senza pensarci, e se ne pentì immediatamente: Haylie non era affatto una di quelle.
Bill sospirò senza staccargli gli occhi di dosso, con espressione ancora colpevole.
- Mi dispiace –
- Dài, smettila – Tom si costrinse a sorridere e gli diede un buffetto dietro la nuca. Non poteva essere arrabbiato con lui, non dopo quello che gli stava facendo a sua insaputa. Bill si morse le labbra.
- Tomi, abbracciami – Tom deglutì quando Bill gattonò vicino a lui e lo abbracciò nascondendo il viso nell’incavo tra il suo collo e la spalla. Aveva chiesto la stessa cosa ad Haylie poche ore prima.
Come poteva tradire così suo fratello?
Chiudendo gli occhi, lo circondò con le braccia e lo strinse a sé. Bill si rannicchiò contro il suo petto, come faceva sempre da bambino, quando sentiva i loro genitori litigare al piano di sotto.
- Io… mi sento così… - farfugliò, quasi tremando sotto la sua stretta.
- Lo so – rispose Tom, senza che Bill dicesse come realmente si sentiva. Lo sapeva e basta. Loro erano uguali, l’uno il completamento dell’altro.
E se le due metà del suo cuore si fossero divise e avessero cominciato a lottare tra loro? In fondo, era questo che Tom, indirettamente, stava facendo.
- Forse sto sbagliando tutto… – sussurrò il moro. Tom lo strinse più forte.
- No. No, Bill. Non è vero, non stai sbagliando – Ma ne era poi così sicuro? Lo allontanò leggermente da sé, sorridendogli. – Dài, ora torna di là. Non è da me che devi venire quando ti senti solo – Bill sorrise a sua volta e saltò giù dal letto, facendo come per andarsene. Ma poi si bloccò a due centimetri dalla porta e tornò indietro per abbracciare un’altra volta il gemello.
- Ti voglio bene, Tomi… lo sai, vero? –
Tom si morse le labbra e nascose il viso tra i capelli di Bill, chiudendo gli occhi. Da quanto tempo non si abbracciavano così? Voleva davvero perderlo? Perché era questo che sarebbe successo.
- Anch’io ti voglio bene, fratellino –
Mise in quelle parole tutta la sincerità di cui era capace. Perché aveva il presentimento che, presto o tardi, gli sarebbe mancato il coraggio di dirgli quanto gli voleva bene.

“Da lontano
quel nodo non cede non molla
come colla ogni giorno più dura
anche quando mi nomini a mente si sente”

E' in momenti come questi che ringrazio Raf di aver creato la sua meravigliosa canzone "il nodo", da me indegnamente usata... *sospira*

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


valux91: eh, i sensi di colpa son l’ingrediente principale ^^’. Il contorno dei disegni lo faccio con l’inchiostro di china (pennino e calamaio, sìsì O_O), poi scannerizzo e coloro con Photoshop… diciamo che mi arrangio.
_emosoul_: ohi, bentornata! ^^ Grazie del complimento 

Ragà, va bene che non vi ho dato molto tempo per commentare, però… Mi raccomando, anche se questa fic vi fa schifo voglio saperlo, per me è importante. Soprattutto perché ci sono novità in vista (e non lo dico per incuriosirvi, noooo): ma se non ricevo almeno 5-6 recensioni per questo capitolo non vi dico niente!!! XD
E comunque, grazie ai 13 che mi tengono tra i preferiti!

Capitolo 13

“La lontananza sai è come il cielo
distanza così grande che non serve l'aeroplano
ma questa leggerissima farfalla sulla mano
fa rivivere il pensiero
delicato messaggero”

 

Tom aveva ripensato tante volte a quella notte. Tante, troppe per venti soli giorni, o poco più.
Si era chiesto semplicemente perché.
Perché non avesse detto la verità a Bill.
Quella verità che non era “Bill, io ti ho tradito con la tua ragazza”, ma che si limitava al solo dirgli cosa pensava che Bill stesse effettivamente sbagliando.
Perché, quando lui aveva espresso la sua confusione, Tom non aveva saputo fare altro che dirgli “Stai tranquillo Bill, non stai sbagliando”?
Forse stava diventando come loro.
Forse stava per entrare in quella spirale che lui non aveva realmente mai capito e che aveva sempre cercato di distanziare, la spirale del silenzio, un tunnel di sotterfugi e incomprensioni.
Si sarebbe pentito, se si fosse fermato?
E se avesse continuato, il risultato non sarebbe forse stato più di un semplice pentimento?
Come aveva potuto abbracciarlo e consolarlo con gesti così ipocriti? E poi, quella frase…
“Non è da me che devi venire quando ti senti solo”. Era arrivato all’autodistruzione?
No, non erano gesti ipocriti. Lui voleva bene a Bill. Probabilmente era la persona più importante per lui. O lo era stato…? L’unica cosa che era certa, era che adesso Tom si sentiva come se un chiassoso sciame di api si fosse stabilito nella sua testa, trapanandogli i timpani e il cervello. Quanto ci sarebbe voluto perché arrivassero dritte al suo cuore, sgonfiando ogni sua ormai infinitesimale certezza?
Da una parte, non riusciva più a contare tutte le accuse che avrebbe voluto rivolgere a suo fratello. Era distante, egocentrico, distratto, assente. Dall’altra, aveva solo voglia di gettargli le braccia al collo e confessargli tutto.
Da un’altra ancora, c’era Haylie.
Haylie…
I giorni in cui l’aveva guardata con diffidenza, all’inizio del suo trasferimento sul tourbus, non erano che un lontano ricordo. Se frenava l’impulso di dire tutto a Bill, era per lei, solo per lei.
E non ci volle molto perché cominciasse a chiederselo: per lei… o per me?
Già, forse lo faceva solo per se stesso. Per non perderla.
Ecco un’altra cosa che lo frenava dall’elencare tutte le mancanze di Bill nei confronti di Haylie. Forse suo fratello non era poi tanto più egoista di lui. 

Da quel giorno era passato quasi un mese, ed era tornato tutto normale.
Beh, normale per i loro standard.
Haylie non aveva visto Bill fare le sue scuse a Tom, come gli aveva chiesto, ma aveva notato un lieve –ma non impercettibile- cambiamento. Forse era un qualcosa nello sguardo di Tom. Una sfumatura di malinconia che non avevano mai avuto, una malinconia strana, quasi… colpevole.
E Bill.
Bill era semplicemente debole. Si aggrappava silenziosamente a lei, sembrava sempre che cercasse qualcosa nei suoi occhi, o nei suoi movimenti, qualcosa che Haylie non conosceva e non poteva dargli.
Anche nei confronti di Tom era cambiato, seppur in una quantità talmente piccola da insinuare in lei il dubbio che avesse solo immaginato tutto.
E Haylie non poteva fare a meno di chiederselo… se quel suo tradimento serviva solo a farla stare ancora peggio… che senso aveva?
Purtroppo, per sua naturale inclinazione, scacciava sempre quell’interrogativo dalla propria mente, senza sapere che si sarebbe ripresentato continuamente, ogni volta con maggiore insistenza.
Cominciò a convincersi che non avrebbe potuto farci niente.
 

Maggio era appena iniziato, e avrebbe dovuto portare con sé più allegria, o, perlomeno, spensieratezza.
Haylie avrebbe dato qualsiasi cosa perché fosse così.
Inspirò ed espirò profondamente un paio di volte, stringendo in un pugno il piccolo rettangolino di carta che ormai stava quasi per disintegrarsi.
Sulla superficie bianca, una data e un orario. Nel suo cuore, il tormento.
Uscì dalla stanza e si affacciò nella zona relax. C’erano solo Bill e Tom, seduti al tavolino, l’uno di fronte all’altro. Bill stava scrivendo qualcosa mentre Tom sfogliava altre carte. Erano tranquilli, distesi. Ogni tanto, Tom mostrava un foglio a Bill, indicandogli una qualche riga, confabulavano a bassa voce, Bill cancellava qualcosa sul proprio foglio e uno dei due ridacchiava.
Deglutì. Come poteva distruggere tutto questo?
Nessuno dei due l’aveva notata, e lei sarebbe rimasta nascosta lì ad osservarli se Tom non si fosse alzato per poi dirigersi verso di lei, con il fascio di fogli sotto il braccio. Notò la sua presenza solo quando fu a pochi metri da lei, e per un attimo sembrò che volesse fare un qualche cenno in sua direzione, ma alla fine si trattenne e si limitò a sorriderle appena.
Lei si morse le labbra e rispose con un nervoso cenno della mano, prima di entrare nella zona relax, attirando l’attenzione di Bill con un colpo di tosse. Il ragazzo alzò gli occhi dalle sue carte e le sorrise.
- Ehi… non ti avevo vista –
Haylie si fermò di fronte a lui, le labbra tese in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. – Sì, scusami se sono spuntata così all’improvviso. Volevo solo dirti che… beh, oggi pomeriggio non ci sono –
Bill la guardò incuriosito. – Come mai? – Haylie si attorcigliò una ciocca di capelli tra le dita.
- Ho… un appuntamento dal dottore. Un controllo –
Da un paio di mesi a quella parte, il tourbus non aveva mai superato i confini della Germania. Haylie preferiva essere seguita sempre dallo stesso medico, piuttosto che scovarne uno nuovo in ogni città. Al massimo, poteva capitare che per raggiungere lo studio dovesse perdere più di un’ora, facendovisi portare in taxi. Bill corrugò la fronte.
- E’ tutto ok? –
A quella domanda, la ragazza non poté non sorridere. Sorridere per davvero.
- Certo, Bill, tutto ok. E’ solo un controllo per vedere come va avanti la situazione – Non appena si appoggiò al bordo del tavolo, la mano di Bill scattò sulla sua e il suo volto assunse un’espressione decisa.
- Ti accompagno –
- Ma no, non c’è bisogno… -
- Certo che c’è. Vengo con te – insistette. Haylie gli accarezzò la mano.
- Bill, non è necessario. Non voglio costringerti a uscire camuffandoti per non farti… -
- Ti ho detto che ti accompagno – la interruppe lui, convinto. Haylie serrò le labbra, indecisa. Era quello che voleva? – Non mi dimenticherò l’ora né niente, e verrò con te, come è giusto che io faccia – La sua espressione, sebbene fosse decisa, era anche distesa, serena, ma Haylie avvertì un qualcosa di inquietante nelle sue parole.
- Non devi farlo per forza – mormorò a fior di labbra. Bill sorrise, guardandola intenerito. La tirò dolcemente verso di sé, facendole cenno di sedersi. Quando lei lo fece, Bill le circondò le spalle con un braccio e la strinse a sé, baciandola sulla fronte.
- Non lo faccio perché devo – La guardò intensamente, e Haylie sentì uno strano calore salirle su per la gola. – Lo faccio perché lo voglio –
Lei sospirò, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte contro la sua. Bill le prese una mano e le loro dita si intrecciarono insieme. – Amore, non mi dimenticherò più di niente, te lo giuro. Qualsiasi cosa tu voglia, io sono qui. Sono qui per te, perché ti amo e ho bisogno di te. Ovunque tu andrai, ti starò sempre accanto –
Bill le risparmiò la fatica di rispondere sporgendosi a baciarla dolcemente sulle labbra. Haylie chiuse gli occhi e sentì il cuore stringersi.
 

Cosa ti sto facendo, Bill? 

Perché… perché in quel momento? Perché quelle parole, perché quelle promesse?
Haylie non ne voleva più, di promesse, non ne voleva più per paura di attaccarsi ad esse con troppa forza e rimanerci peggio di quanto potesse prevedere.
E alle cinque del pomeriggio sembravano mancare minuti, secondi…
Durante il pranzo, Haylie dovette sostenere lo sguardo interrogativo di Tom che si sovrapponeva a quello sprizzante felicità di Bill. Dopo, Bill crollò addormentato sul suo letto, come succedeva sempre, e Tom non aspettò un minuto di più per chiedere spiegazioni ad Haylie.
- Beh? Che è successo? – indagò, con tono ansioso.
Lei sospirò stancamente.
- Niente. Non è successo niente. Siamo semplicemente tranquilli e rilassati e ci stiamo comportando come persone normali. C’è qualcosa di strano in questo? – Le sue parole non risultarono taglienti né aggressive, solo cariche di amarezza. Tom non nascose il suo stupore.
- Che… che significa questo? –
- Significa che alle cinque ho un’ecografia e Bill viene con me – Lo disse così, schiettamente, perché non avrebbe saputo in che altro modo spiegarglielo. Ma di certo non si aspettava la reazione di Tom, che assunse improvvisamente un’aria cupa e pensierosa. – Che c’è? –
- Niente! – si schermì lui. – Niente… -
- Tom, per favore – Suonò quasi come una supplica. – Non farla così difficile –
- Io non la faccio difficile. Permettimi di non essere propriamente felice… -
- Invece no, non te lo permetto! – sbottò lei improvvisamente. Fece una pausa, sotto lo sguardo stupito di Tom, e si rese conto di aver alzato troppo la voce. – E’ sua figlia, Tom. Non posso fargli questo –
- Glielo stai già facendo – ribatté lui a denti stretti. Non poté trattenersi dal dirlo, quella situazione gli pesava così tanto che perdeva sempre più spesso il controllo di quello che diceva o, addirittura, pensava.
Haylie lo guardò senza dire nulla, le sopracciglia aggrottate, per almeno un minuto. Si accorse di aver cominciato a respirare più velocemente.
- Ah, io glielo sto facendo? E chi sei tu, eh? Chi sei, un amico, un estraneo? O forse sei semplicemente il mio amante? – Pronunciò quell’ultima parola come se le costasse un grande sforzo. – E’ questo che sei? Non sei suo fratello?! – Si interruppe, il respiro affannoso, le guance infuocate. – Io… lui… tu non capisci… sei… - Le sue mani scattarono in avanti, come se avesse voluto prenerlo a schiaffi, ma Tom la afferrò per i polsi, rivolgendole uno sguardo implorante.
- No, Haylie, no, ti prego… non prenderla così, per favore… mi dispiace, non volevo – Lei non disse niente, seguitò solo a guardarlo. Tom sospirò. – Scusami, non dovevo dirlo. Hai ragione, hai… perfettamente ragione, lo so –
- Siamo tutti nel torto. Tutti… - mormorò lei, abbassando lo sguardo. Tom esitò per qualche istante, poi lasciò al presa sui suoi polsi e la abbracciò, nascondendo il viso tra i suoi capelli.
- Io… non voglio metterti contro di lui, Hay, capisci?, è che… -
- Io non ho mai avuto niente da rimproverargli – lo interruppe lentamente lei, il viso nascosto nel suo petto, la voce come una cantilena. – E’ stato sempre presente, non ha mai fatto nulla di sbagliato… -
Tom non disse niente, ma Haylie poteva immaginare fin troppo bene cosa avrebbe voluto rispondere.

”Ma è proprio adesso che dovrebbe esserci”
Levò lo sguardo verso di lui, implorante.
- Aiutami Tom… - mormorò flebilmente. – Io non ce la faccio… -
Tom sentì una strana sensazione guardandola, come se stesse per scoppiare a piangere o qualcosa di simile. Aveva pianto così poche volte nella sua vita, e quelle volte c’era sempre stato Bill accanto a lui.
Le prese il viso tra le mani e appoggiò la fronte sulla sua.
- Ce la faremo, Haylie. Ce la faremo. Te lo prometto, amore – 

Amore.
Parola pronunciata dolcemente da Bill, detta nella totale inconsapevolezza.
Parola pronunciata quasi con disperazione da Tom, parola che non sapeva in quale bocca stare.
Le due facce di quel termine avevano un suono così simile, eppure così diverso.
E poi… altre promesse, ancora. Giuramenti su giuramenti. Chissà che fine avrebbero fatto.

 
Haylie quasi si stupì di scoprirsi tanto nervosa, una volta arrivata allo studio con Bill.
Vi erano arrivati dopo mezz’ora di taxi, lui nascosto da un paio di enormi occhiali da sole e da un cappello calato fin sopra il naso, lei con lo sguardo basso e le mani aggrappate alle ginocchia.
Era una tortura, uscire. La sua gravidanza non aveva potuto rimanere segreta oltre il quarto mese, e ne pagavano le conseguenze ogniqualvolta osassero mettere il naso fuori. Bill aveva sempre cercato di tenere Haylie lontana dai riflettori, ma lei aveva il vago sospetto che, se la situazione fosse stata diversa, sfuggire ai flash non sarebbe diventato questione di vita o di morte.
Un leggero fastidio, forse, ma niente di più.
Qualcosa di paragonabile alla sensazione sgradevole che le suscitava il passare della sonda sulla sua pancia ricoperta di gel freddo. Strinse la mano di Bill. Ogni volta stava in ansia più del dovuto.
- Procede tutto perfettamente. E’ all’inizio della ventottesima settimana, giusto? –
Haylie annuì nervosamente mentre il dottore tornava a guardare nello schermo.
- La bambina è ancora un po’ piccola per essere al settimo mese, ma non c’è niente di cui preoccuparsi. Volete guardare? –
Haylie trattenne il fiato quando il medico le indicò la sagoma dai contorni chiari sulla schermata nera.
Non sapeva come chiamare la sensazione che risvegliò in lei. Semplicemente, aveva perso il senso di sé stessa e delle proprie emozioni.
Istintivamente, si voltò verso Bill, che ancora le stringeva la mano fra le sue.
I suoi occhi brillavano mentre il dottore forniva ulteriori spiegazioni. – Ecco, vedete, qui c’è la testa… e qui c’è il cuore –
Bill guardò lo schermo un’ultima volta prima di voltarsi verso Haylie, con un tremulo ed emozionato sorriso disegnato sulle labbra. – Hai visto, amore? – mormorò, accarezzandole goffamente le mani.
Haylie sorrise con un velo di malinconia. – Sì… -
Bill deglutì e strinse più forte le sue mani prima di portarle vicino alle labbra e baciarle. Tornò a sorridere, accarezzandole i capelli, con un velo di commozione sul viso. – E’ tutto così… bello, Haylie… E’ tutto perfetto – sussurrò, chinandosi a baciarla.
Lei lo sentì tremare appena a quel contatto.
La sua emozione era vera, autentica.
E il suo dolore sarebbe stato altrettanto vivo quando… avrebbe saputo?
- Complimenti. Siete una bellissima coppia -
Haylie chiuse gli occhi, aggrappandosi alle sue spalle e stringendolo forte.

Cosa sto facendo, cosa?
La sua mente si riempì di immagini. Bill e Tom che litigavano per le canzoni da mettere nel nuovo album, Bill e Tom che scherzavano come bambini, Bill e Tom che si inchinavano davanti a uno stadio in delirio facendosi cenno di vittoria, Bill e Tom che erano fratelli e che avrebbero dato la vita l’uno per l’altro…
Bill e Tom che non avrebbero festeggiato insieme quella nascita imminente. Lo sentiva, lo sapeva, non poteva che essere così. Per un motivo o per l’altro, non l’avrebbero fatto. Non entrambi. Non insieme. 

E cosa avrebbe fatto, una volta tornati in tourbus?
Avrebbe riso con gli altri, avrebbe parlato di tutto e di più, avrebbe abbracciato e baciato Bill sotto uno sguardo ferito, combattuto, sofferente?
Non poteva fargli questo.
Ma perché “fargli”? Farlo a chi? Chi era quel lui sottinteso, Bill o Tom?
Sarebbe stata una serie infinita di “Perdonami” e “Mi dispiace”, e di chissà quali e quante altre frasi che non avrebbero dovuto esistere in quelle circostanze, non in amore.

Ma era amore, quello?
 

Se lo chiese per l’ennesima volta quando incrociò di nuovo lo sguardo di Tom.
Lo sguardo che si era aspettata: ferito, combattuto, sofferente.
Lo sguardo che non avrebbe mai voluto incontrare.
Lo sguardo di quella persona che lei aveva reso diversa, quella persona da cui non riusciva a staccarsi, quella persona che era l’esatta metà e il riflesso di colui che, almeno davanti agli occhi della gente, sarebbe stato –per sempre?- al suo fianco.
Non glielo disse, non mimò quelle parole con le labbra. Avrebbero fatto più male di una coltellata.
E lei non era disposta a riceverne altre. Non quando doveva proteggere la vita che sarebbe sbocciata entro due mesi.
“Mi dispiace, Tom”.

 “La lontananza sai è come il mare
fermo sulla riva con un vaso da riempire,
distanza così grande che è difficile spartire
tra chi ha fede di aspettare e chi vuole sparire”

(Raf, "il nodo")

p.s. D'ora in poi inserirò sempre i credits della canzone a fine capitolo, perchè la mia sore Tempe ha avuto brutte esperienze in proposito ^^'

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


valux91: eheh… se vorrai fare un viaggetto a Catania (a spese tue naturalmente -.- ) sarò lieta di insegnarti! E comunque grazie: meglio deprimere che rompere le scatole! :P
noirfabi: tu mi dai una grande soddisfazione! Il mio intento è proprio il finale inaspettato. E poi continuo a ripeterlo: in verità, Haylie è un personaggio che non capisco neanche io. Ogni cosa che dice e che fa, esce spontaneamente sulla pagina bianca, senza che io lo programmi… vive di vita propria, diciamo.
bluebutterfly: ma se funzionano solo le minacce io che ci posso fare? XD E comunque, è nel mio interesse non tardare troppo, entro fine giugno devo completare ^_*
moonwhisper: è valsa la pena di aspettare *_* Sai, adesso sono in crisi. Sto scrivendo uno dei più difficili capitoli di questa ff, il penultimo, e le parole non escono fuori. Poi, per favore, non facciamo paragoni. Sono ben lungi dal superarti nella scrittura (e d’altra parte io non amo la competizione, dico solo che, semplicemente, non ti raggiungerò mai). Ora ti minaccerò fino a che non mi dirai come ti immagini il finale *_* (ho già torchiato Bia anche troppo, e lei mi ha fornito la sua versione dei fatti XD tanto io ho le labbra cucite). Ti dico solo che di Tom hai capito tutto. Sorprendente, quello che io ho messo su carta per settimane tu me lo riassumi in una riga. Per quanto riguarda le scene melense, non posso garantirti che non ne troverai qualcuna… Un baciozzo! Ti voglio assidua, eh XD
Danny_Phantom: io elemosinare recensioni? Ma non bestemmiamo, suvvia XD Sì, effettivamente il tradimento riguarda più i due fratelli che l’intero “triangolo”…almeno per ora
Freiheit: me è felice di avere un’altra commentatrice assidua XD Ma no, la novità è un’altra:
aaaattenzione attenzione: molto probabilmente a settembre tornerò con un’altra fic a capitoli e… non è escluso che tornino anche gli stessi protagonisti!

Ah, vi avviso che non mi piace per nietne questo capitolo u_u a mio parere è il peggiore che abbia scritto, assieme al 15
 

Capitolo 14

Maggio volgeva ormai al termine, portando via con sé il ricordo di giornate serene come di notti insonni.
Alla fine, il cd era nato.
“Zimmer 483”.
Haylie era stata una delle prime ad ascoltarlo, e per quasi un’ora si era lasciata cullare da quelle note forti, perdendosi nei meandri dell’immaginaria stanza 483. Quel numero che, presto, molti avrebbero cominciato a chiedersi da dove saltasse fuori. 

Era lì, stesa sul suo letto, con le orecchie coperte dalle cuffie del suo I-pod, dove 12 nuove canzoni avevano trovato posto prima del tempo.
Si era concessa un’ora, quella mattina, solo per ascoltarle.
Era passata dalla forte “Übers ende der Welt” all’orecchiabile “Totgeliebt”, alla disperata “Spring nicht”, e ora si stava lasciando cullare dai primi accordi di una dolce “Heilig”. Aveva persino una certa assonanza con il suo nome. Haylie… Heilig.
Sacro.
Cos’era sacro, ormai, per lei?
Si ritrovò ad ascoltare le prima 10 canzoni una dietro l’altra, quasi divorando quelle note, fino a sentire uno strano vocio all’inizio della traccia 11.
Lanciò uno sguardo al piccolo schermo dell’I-pod.
“Vergessene Kinder”.
Bambini dimenticati.
Rimase qualche secondo a contemplare quelle due parole così stranamente familiari, mentre la voce di Bill cominciava a cantare dolcemente.
In fondo, il testo non aveva quasi nulla a che vedere con quello che provava lei in quel momento. Ma quel titolo… Bambini dimenticati… Non poté fare a meno di ripeterselo continuamente, cercando di capire perché quell’assonanza le risultasse così familiare, così parte di lei… o forse cercando proprio di non capirlo, di far finta di non saperlo.
- Davvero pensavi che venisse simile a “Schrei”? – chiese a Bill, una volta che ebbe finito di ascoltare. Lui sorrise appena e si strinse nelle spalle.
- Sì, effettivamente lo pensavo. Anche se adesso mi rendo conto che non ha niente a che vedere con quel cd –
- Non è affatto la stessa cosa. E’… è più maturo, più studiato… -
- Lo so, hai ragione. Sarà che quel giorno ero un po’ fuori di testa e non ho visto cose che avrei dovuto vedere… -
Bill proseguì a parlare di quel disco, di quanto in realtà gli piacesse, di quanto gli dispiacesse non aver ascoltato il resto del gruppo, ma per Haylie fu come se si fosse fermato a quel “cose che avrei dovuto vedere”.
Era rimasta come gelata.
Ormai non passava giorno senza che, alla vista di Bill, non cominciasse a ripetersi “L’ha scoperto, l’ha scoperto, l’ha scoperto”. E allora, cos’avrebbe fatto?
Ma Bill non l’aveva scoperto.
Era così tranquillo, così sereno, così… felice.
Chissà, forse se li avesse colti in flagrante, poi Haylie avrebbe avuto la coscienza a posto. Non avrebbe dovuto nascondere più niente.
Seppellì il viso tra le mani e sospirò. No, stava veramente impazzendo. Come poteva anche solo pensare di trovarsi con la coscienza a posto?
Fintanto che Bill non avesse saputo niente, lei non avrebbe mai avuto la coscienza a posto.
E cosa doveva fare, allora, raccontargli tutto?
Sì, stava impazzendo sul serio.
 

A quel punto, Bill l’aveva praticamente costretta a smettere di lavorare. Lei gliel’aveva ripetuto mille volte che avrebbe potuto benissimo continuare, che non si stancava, ma lui non aveva voluto sentire ragioni.
- Haylie, mancano meno di due mesi, non facciamo scherzi –
In fondo il lavoro la teneva viva, la distraeva, non le permetteva di autodistruggersi psicologicamente. E quella di Bill non era altro che una manifestazione d’amore, un’attenzione… no?
Era come se, in quegli ultimi tempi, Haylie si stesse costringendo a pensare che Bill era sempre lo stesso, sempre distratto, sempre incostante.
Come se la stesse maltrattando, come se l’avesse lasciata.
E invece lui era lì… Perso nel suo mondo, ma era lì.

 
Poco dopo la pubblicazione dell’album, era cominciata la promozione con annessa tournée. Bill aveva chiesto che questa non li portasse a spostarsi fuori dell’Europa. Certo, non era il massimo per promuovere il cd…
- …ma non possiamo allontanarci troppo da casa proprio adesso
Un’altra frase che si era aggiunta alla già troppo consistente massa di ricordi che affollavano la mente di Haylie.
L’unica cosa positiva della tournée era che fossero tornati a passare la maggior parte del tempo tra un hotel e l’altro piuttosto che in tourbus, dove ormai Haylie si sentiva soffocare.
Le sembrava di essere costantemente sotto accusa, anche se neanche
Gustav e Georg sembravano aver intuito qualcosa riguardo a lei e Tom.
Del resto, come avrebbero potuto?
Era un continuo alternarsi di sorrisi e musi lunghi, un’altalena senza fine che Haylie sopportava solo per… no, non lo conosceva neanche lei, il motivo.
Per Tom, per il suo amore incondizionato, per i suoi baci e le sue carezze?
Per la sua bambina, quella creatura innocente che forse un giorno avrebbe ascoltato con stupore quella sorta di triste favola?
Per Bill, per quello che era stato ma che non era ancora finito?
Per se stessa, per la sua anima sperduta e confusa?
- Ehi –
Quasi sobbalzò a quel richiamo fatto a voce talmente bassa da essere appena percettibile. Haylie alzò la testa e lo riconobbe solo per il contorno di un cappellino con visiera e dei lunghi dread che si stagliava netto contro la luce abbagliante del sole. Socchiuse gli occhi.
- Ciao – disse sorridendo incerta. Tom si sedette sul gradino accanto a lei e fece come per sfiorarle le labbra con un bacio, ma lei voltò rapidamente il viso, così la bocca di Tom andò a posarsi sulla sua guancia. Quando si separarono, lui si schiarì nervosamente la voce.
- Scusa –
- Nulla – Haylie scosse la testa, sforzandosi di sorridere. – E’ che… beh… -
- Sì, lo so – Tom non aveva un’aria particolarmente cupa, sembrava solo che gli frullasse chissà quale pensiero in testa. – Bill. Anzi, credo che ti stesse cercando –
- Davvero? – Haylie deglutì quando sentì Tom pronunciare quel nome. Le faceva uno strano effetto.
- Sì, per dirti che… che stasera non c’è. Deve andar… -
- Okay – lo interruppe bruscamente Haylie. – Va bene… va bene – Non voleva sapere cosa avesse da fare Bill quella sera, né il giorno dopo, né quello dopo ancora. Non voleva più rimuginare su nulla, non voleva aggiungere altri pensieri e altre domande inutili, non voleva sentirsi la testa scoppiare.
Tom la guardò leggermente confuso, ma non fece in tempo a rispondere.
- Ehi, vi stavo cercando! –
Alzarono contemporaneamente la testa e guardarono nella direzione da cui proveniva la voce. Bill li stava raggiungendo a passo svelto e sorrideva. – Possibile che vi debba sempre inseguire? –
Haylie non seguì quello che venne dopo. Era come in trance.
Realizzò che Bill si era chinato a baciarla e le aveva sussurrato qualcosa, al che lei aveva annuito senza aver recepito una sola parola. Poi Bill si era rialzato e aveva cominciato a parlare con Tom. Di cosa? Non lo sapeva, e non le importava.
Era uno di quei giorni in cui avrebbe fatto meglio a rimanere a letto, raggomitolata sotto le lenzuola, a non pensare a niente. In realtà, non capiva se stesse realmente pensando a qualcosa, o se la sua mente fosse completamente vuota.
Vide Bill sorridere raggiante al fratello e dargli un’amichevole pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Vide Tom rimanere in piedi accanto a lei, immobile per quella che le sembrò un’eternità.
Vide di nuovo la luce del sole battere ai suoi piedi quando Tom tornò a sedersi accanto a lei.
Voltò lentamente la testa, come se avesse ripreso improvvisamente coscienza. Tom guardava fisso davanti a sé, le braccia conserte, le sopracciglia di poco aggrottate, le labbra strette.
- Che succede? –
Lui non rispose. Continuò a fissare il vuoto.
Haylie lo scosse leggermente per una spalla. – Tom, che c’è? –
Tom si voltò lentamente a guardarla e la fissò con occhi privi d’espressione.
- Mi ha chiesto… di stare con te… stanotte –
Haylie sbatté le palpebre, corrugando la fronte. Quelle poche parole messe insieme così su due piedi non avevano assunto nessun significato. Nessun significato che potesse comprendere.
- Come? –
Tom socchiuse appena gli occhi, e il suo sguardo da inespressivo divenne quasi arrabbiato.
- Dice che non vuole che tu rimanga da sola. Mi ha chiesto di stare accanto a te, stanotte, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, perché lui… non tornerà prima di domattina – Parve quasi che si sforzasse per pronunciare quelle parole, e il cuore di Haylie saltò un battito. – Dice che sa di potersi… fidare di me, che se tu avessi bisogno di qualsiasi cosa, lui sa che io ti aiuterei… -
E subita Haylie capì perché Tom appariva tanto frustrato.
Distolse lo sguardo, andando a posarlo sui propri piedi, liberi dalle scarpe e illuminati dalla luce mattutina.
Lentamente, chinò la testa e affondò le dita tra i capelli, quasi tirandoli. Chiuse gli occhi e provò una violentissima voglia di piangere.
- Lui si fida di noi, Tom… -
Nascose il viso tra le ginocchia e strinse i denti, come se stesse provando un dolore acuto e penetrante, una sofferenza insopportabile, uno spasimo che doveva allontanare per forza, subito, o sarebbe impazzita…
Una coltellata dritta al cuore.
- Lui si fida di noi! –

 

Tom chiuse silenziosamente la porta dietro di sé, mentre Haylie si sedeva sul bordo del letto e fissava lo sguardo fuori dalla finestra.
Fuori era quasi buio, buio come dentro di lei.
Tom sedette accanto a lei e circondò con un braccio le sue spalle esili, avvicinandola a sé.
- Haylie, stai ancora pensando…? –
Non ebbe bisogno di continuare la domanda: gli bastò guardarla negli occhi. Sì, ci stava ancora pensando. Tom sospirò, tenendola ancora stretta a sé.
Anche a lui faceva una rabbia incredibile, ma non poteva avvelenarsi la vita per l’ingenuità di suo fratello…
Subito, però, si diede mentalmente della carogna. Stava a preoccuparsi per l’ingenuità di Bill?
Non di quello che il loro tradimento avrebbe provocato?
- Hay, ti prego… non pensarci più – Le prese il viso tra le mani, fissando il proprio sguardo in quello di lei. Quasi gli fece paura quello che vide, o meglio, che non vide nei suoi occhi. – Mh? – Si chinò per posare un lievissimo bacio sulle sue labbra socchiuse e sentì il suo piccolo pugno chiudersi attorno a un lembo della sua maglia. Per un attimo gli sembrò di sentirla irrigidirsi, ma poi le mani della ragazza scivolarono dal suo petto fino ai suoi capelli, e lì le sue dita si intrecciarono, avvicinandolo a lei mentre quel bacio si approfondiva.
Haylie decise di non pensare più a niente, stavolta l’avrebbe fatto, sì, l’avrebbe fatto… Avrebbe cancellato tutto dalla propria mente, avrebbe fatto solo quello che le dettava il cuore…
Sì, l’avrebbe fatto…
Continuò a ripeterselo anche quando si ritrovò distesa sul corpo di Tom, quando gli sfilò via la maglia e si chinò a baciargli il collo, l’avrebbe fatto, sì, avrebbe dimenticato, dimentica, Haylie, dimentica
Le dita di Tom si persero tra i suoi capelli mentre l’attirava più vicino a sé…

Dimentica
Da quanto tempo non faceva più l’amore con Bill? Mesi, ormai…
Fino a che punto le mancava?

Dimentica!
Haylie alzò improvvisamente la testa, le guance rosse e accaldate e i capelli scompigliati.
- No, Tom, aspetta – Cercò di regolarizzare il respiro, ma non era facile. – Aspetta… - Tom alzò la testa di qualche centimetro, ansimando leggermente. – Non… non me la sento –
Istintivamente si portò una mano sulla pancia, anche se non era quello il vero motivo per cui si era fermata. Tom inspirò profondamente, annuendo appena.
- Certo… non preoccuparti… -
- Scusami, Tom, io… - Lui sorrise appena. Quel suo sorriso sincero e aperto…
- Non ti preoccupare, Hay, è normale… Va bene così, tesoro – Si sporse a baciarla sulla fronte, e Haylie gli strinse una mano, intrecciando le dita con le sue. – Va bene così –
Haylie sospirò, stendendosi accanto a Tom e poggiando la testa sul suo petto.
Non poteva… non poteva fare l’amore con lui. Non di nuovo. Non poteva vivere un momento così bello come una punizione. Tom non meritava che lei lo vivesse così.
Rimase per un po’ a godersi la sensazione della mano di Tom che passava e ripassava tra i suoi capelli. Tutto quello che voleva era sentirsi al sicuro, confortata.
Il silenzio era tale che avrebbe potuto contare i suoi respiri…
- A cosa pensi? – La sua voce dolce le arrivò alle orecchie come in un soffio.
- A niente – rispose sinceramente. Era davvero meno faticoso sgombrare la mente e non pensare a nulla. Ma capì dall’espressione di Tom che quella risposta non gli era bastata. Forse, ormai, era diventata davvero poco credibile. Cercò di pescare qualcosa nella propria mente, qualsiasi cosa, l’ultimo pensiero che aveva attraversato la sua mente… - A Bill – disse, senza neanche riflettere.
Tom annuì lentamente, distogliendo lo sguardo, e il sorriso scomparve dalle sue labbra. – Ah –
Forse aveva sbagliato risposta.
- Non posso farci niente –
Se avesse avuto la facoltà di tornare indietro nel tempo e chiudersi la bocca, l’avrebbe fatto all’istante. Perché doveva rendere la situazione più pesante di quanto non fosse già?
- Certo, non puoi farci niente –
Tom lo disse cercando quasi di convincersene, ma ormai lui stesso riconosceva di aver perso una certa dose di razionalità. Si lasciò andare a un lungo sospiro, ricadendo con la testa sul cuscino.
- Tom, io… non so come spiegarlo –
Quando lui si voltò a guardarla, lei vide una persona completamente diversa da quella che, pochi minuti prima, l’aveva consolata con un tenero “va bene così, tesoro”. Era dunque così terribile quel suo odioso potere di far cambiare le persone da un minuto all’altro?
- Davvero? Forse so spiegarlo io –
Lei deglutì, guardandolo confusa.
- Cos… - Tom la interruppe.
- Sì, te lo spiego subito – proseguì convinto. Un lampo di collera attraversò i suoi occhi. – Quello che stiamo facendo non ha senso. Tu non stai bene, Haylie, e questo io lo capisco, lo capisco meglio di quanto tu creda, sai? Anch’io mi sento, per così dire, una merda a tradire mio fratello, ma se sono arrivato a farlo, vuol dire che c’è… qualcosa, che per me supera persino il bene che gli voglio – Haylie stava quasi per fermarlo, aveva paura di quello che sarebbe venuto dopo, ma lui continuò imperterrito. – Il punto è che tu non stai bene con me, Haylie. Io… sono settimane che non ti vedo sorridere, e devo pure sciropparmi una dose extra di sensi di colpa, miei e tuoi – Haylie chiuse gli occhi, li serrò, non voleva ascoltare, non voleva… - Che senso ha, così? Gli faremo del male. Ma se almeno fossi certo che tu stai bene, arriverei a mettere la sofferenza di Bill in secondo piano. Ma tu non stai bene, Haylie! –
La ragazza non disse nulla, si limitò ad allontanarsi da lui, rannicchiandosi sull’altra metà del letto e stringendo nel pugno un angolo del cuscino. Svuotare la mente, ecco cosa doveva fare, svuotare la mente e non ascoltare, non pensare, non ricordare…
Ma non poté evitare di sentire la mano di Tom toccarle la spalla.
- Cosa ho sbagliato, Haylie? Ti prego, dimmelo – Si morse le labbra, stringendosi le braccia intorno al busto. No, non voleva più sentire né parlare, non voleva più distruggere la vita delle persone che le stavano accanto… - Dimmi cosa posso fare per vederti almeno sorridere! –
Il suo silenzio fu la risposta più chiara. Tom rimase a guardarla di spalle per qualche minuto, sperando in un gesto, una parola, qualsiasi cosa. Ma lei non si mosse, rannicchiata sul bordo del letto e rinchiusa nel suo ostinato mutismo.
Tom si voltò dall’altra parte, sospirando e tirandosi il lenzuolo fino alle spalle.
Cos’avrebbe fatto, normalmente, in una situazione come quella?
Ne avrebbe parlato con Bill…
Affondò il viso nel cuscino quasi fino a soffocare.
Era rimasto solo… per il suo stesso volere.

“Non c'è stato un momento preciso, nemmeno un saluto
un regalo sbagliato, uno sguardo d'intesa
mi hai lasciato in cucina un biglietto scaduto…”

Piccolo disclaimer: il cd “Zimmer 483”, ovviamente, è stato creato prima dei 22 anni dei ragazzi, ma purtroppo non ho ancora la facoltà di inventarmi un cd in tedesco di sana pianta ^^’ E la canzone usata è sempre “Il nodo” di Raf. Vi consiglio davvero di ascoltarla

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


valux91: beh, sono io che vengo dal manicomio, quindi prima o poi un giretto devono farcelo tutti xD grazie per i rinomati complimenti!
EtErNaL_DrEaMEr: ave, nuova lettrice (me contenta)! Non preoccuparti per i primi capitoli, anch’io nelle mie ri-letture generali li salto deliberatamente, anche perché ora come ora sono in crisi con l’ultimo ^^’ Beh sì, con “alone together” la somiglianza sta nel fulcro della storia, ovvero il “triangolo”, anche se la psicologia dei personaggi –a mio avviso- è del tutto diversa. Sì, l’idea di Bill che affida Hay a Tom mi è piaciuta particolarmente, anche se ritenevo di non essere riuscita a buttarla giù come si deve… però mi fa piacere che tu abbia apprezzato! Spero che continuerai a seguirmi ^_* un bacio
Freiheit: come ho già detto, il senso di colpa regna sovrano in questa fic… E poi, perché mai abbandonare i gemelli? Per me possono scappare pure al Polo Nord, tanto io li inseguo (e li faccio soffrire, come dice la mia amica a cui ho fatto il resoconto completo di questa ff)!
moonwhisper: non ripeterò che continuo a ritenerti mooolto migliore di me solo perché i tuoi complimenti mi fanno gonfiare tutta (annullando gli effetti della dieta XD). Riguardo alle crisi, io devo affrontarle fino a un certo punto, perché quando inizio una storia, ho già steso una scaletta, dunque non mi trovo quasi mai impreparata. E’ che a volte i capitoli non mi vengono come dico io, tipo l’ultimo (che ho già scritto). Beh, alla fine di questo capitolo (che, per inciso, non mi piace) c’è una scena semi melensa.
FuckedUpGirl: tresor *_* di te parliamo via mp, non mi lascerò sfuggire l’occasione di fare la psicologa ambulante! ^^ Beh, da Efp non sono “sparita”, anzi cerco di aggiornare velocemente. E’ che se passa troppo poco tempo tra un capitolo e l’altro poi perdo lettori (ehm…). Ed è inutile che io ti dica che effetto mi fa leggere i tuoi commenti, perché lo sai. E non ho intenzione di piangere pure qui. Ti vi bì!

Anche se la canzone usata è sempre “Il nodo” (a proposito, l’avete ascoltata?), vi consiglio di leggere la prima parte di questo capitolo usando “Inevitabile follia”, sempre di Raf, come sottofondo: http://www.youtube.com/watch?v=Ys-SpdXIWE4


Capitolo 15

“La lontananza sai è come il mare
distanza che è impossibile da dire
e inutile varcare
si immagina e ti impone di aspettare”
 

La mattina dopo, quando Tom si svegliò, per un attimo credette di aver sognato tutto.
Chiuse gli occhi, strofinandoseli con le dita. No, in vita sua non aveva mai fatto sonni tanto agitati. Doveva essere pura fantascienza, un crudele scherzo dell’immaginazione.
Si voltò lentamente e vide una figuretta raggomitolata sotto le lenzuola, accanto a lui. Capelli rossi scompigliati e un piede che sbucava fuori dalla stoffa leggera.
Allora non era stato un sogno.
Subito ripensò a quello che le aveva detto la sera prima. Avrebbe dovuto essere una notte speciale, loro due soli, anche semplicemente abbracciati davanti alla finestra aperta, e invece…
- Hay… - sussurrò avvicinandosi. Lei non si mosse. Tom sporse la testa oltre la sua spalla. Respirava con la bocca semiaperta e teneva una mano stretta a pugno nascosta sotto il mento. 

Era piccola, era indifesa. Era bisognosa di protezione.
 

Le sfiorò una spalla con un bacio prima di districarsi dalle lenzuola e alzarsi silenziosamente. La flebile luce che filtrava dalla fessura lasciata tra le tende rivelava che non doveva essere ancora mattino inoltrato. Tom diede un’occhiata all’orario segnato sul suo cellulare: le 7;00.
Wow. Erano secoli che non si svegliava così presto senza venire brutalmente srotolato dal piumone da suo fratello.
Sospirò, rimettendo il telefonino nella tasca dei jeans.
Gliene aveva fatto una colpa, ad Haylie, ma neanche lui riusciva a non pensare a Bill. Una domanda gli attraversò la mente come un lampo: cosa sarebbe successo il giorno della nascita della bambina? Sarebbe rimasto in disparte a guardare Bill emozionato e raggiante nelle vesti di padre? L’avrebbe preso in giro quando avrebbe cambiato il suo primo pannolino? Avrebbe fatto le congratulazioni ad Haylie con una formale stretta di mano?
No, non poteva condannarsi a tutto questo. Non poteva vivere in bilico.
E soprattutto, non poteva più vedere la sofferenza dipinta sul volto di Haylie, né sopportare le sue reticenze quando tentava anche solo di sfiorarle le labbra con un bacio.
Perché lo allontanava così?
Forse in lui aveva visto solo il riflesso di Bill, e si era illusa di poterlo ancora avere come desiderava. Ma lui non era Bill. Era Tom.
Era Tom, annientato da quella doppia vita che non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto sopportare.
Sfiorò la custodia della sua chitarra. Era una fissa, doveva sempre portarsela dietro, averla continuamente sotto gli occhi. La tirò fuori dalla custodia e si sedette dietro la piccola scrivania. Forse, però, quella volta non sarebbe riuscito ad esprimersi del tutto attraverso le sue corde. Erano sentimenti troppo grandi, troppo complessi per farli passare per sole sette note. 

Haylie aprì lentamente gli occhi, in una sorta di stato confusionale. Un momento… dove si trovava? Perché aveva quel terribile mal di testa?
Richiuse gli occhi e cercò di mettere insieme i pezzi.
Bill… “non me la sento”… Tom… “va bene così, tesoro”… Uno sguardo astioso… “tu non stai bene con me, Haylie”…
Oh, sì, adesso ricordava. Non che fosse necessario. Stava così bene in quello stato di semi-incoscienza…
Le parve di sentire qualcosa. Musica. Una melodia delicata. Alzò lentamente la testa e lo vide.
Tom era seduto a poca distanza dal letto, chinato sulla sua chitarra, e le sue dita ne pizzicavano dolcemente le corde, producendo una morbida serie di note.
Le immagini nella sua mente si fecero più nitide.

”Dimmi cosa posso fare per vederti almeno sorridere…”
Si alzò lentamente e gli si avvicinò con passo felpato, fino a scivolare silenziosamente alle sue spalle. Rimase per qualche minuto ad ascoltarlo, ferma dietro di lui. Era così concentrato che non si era accorto della sua presenza… Poi appoggiò le mani sulle sue spalle e, quando lui voltò indietro la testa, sorpreso, chiuse gli occhi e posò un lievissimo bacio sulle sue labbra.
Fu un bacio strano, per lei.
Un bacio che non aveva mai dato, né a lui né a Bill.
Un bacio privo di qualsiasi sentimento. Privo di amore, di dolcezza, di tristezza… di tutto.
Si sentì semplicemente come se avesse dovuto farlo.
Tom non sembrò aver colto quella sfumatura, e le sorrise appena. – Ehi… sono stato io a svegliarti? –
- No, anzi… mi ha fatto piacere svegliarmi con la tua musica –
Rimasero a guardarsi in silenzio ancora un po’, poi Tom abbozzò un sorriso triste, accarezzandole una guancia. – Mi dispiace per ieri sera. Non volevo che andasse… così –
Haylie si morse le labbra, chinando appena il capo. – No, non è niente… -
Tom ripose la chitarra nella custodia e portò le mani sui fianchi arrotondati della ragazza. – Vieni qui –
Lei ridacchiò appena quando Tom la fece sedere sulle sue ginocchia. – Non peso troppo? –
- No, Hay – Tom la guardò con tenerezza. – Tu non pesi mai –
Lei si morse le labbra una seconda volta, cercando di capire perché il diverso significato che Tom aveva attribuito a quel verbo le suonasse così… opprimente. Ecco sì, opprimente.
- Haylie… - Tom le prese il viso tra le mani, facendo sì che i loro sguardi si incrociassero. Ma nei suoi occhi scuri non vide altro che desolazione. Per quanto ancora sarebbero andati avanti così? – Ti amo, piccola –
Gli sembrò l’unica cosa giusta da dire.
Non perché lo sentisse come un obbligo. Lo sentiva e basta. Era la verità.
Tutto quello che voleva era sentirselo dire anche lui.
Ma Haylie non rispose. Abbozzò un sorriso malinconico, ma non rispose.
Fu allora che Tom Kaulitz le pose la domanda che non avrebbe mai pensato di formulare.
 

- Mi ami, Haylie? – 

Silenzio.
La ragazza distolse lo sguardo, ma Tom la costrinse a guardarlo in faccia e puntò il proprio sguardo nel suo. Non poteva più aspettare, aveva bisogno di una risposta.
- Dimmelo, Haylie. Rispondimi –
Haylie chiuse gli occhi, cercando di non perdere il controllo, di non piangere. Cosa doveva rispondergli?
Non lo sapeva neanche lei.
O forse sì, lo sapeva ma non voleva più litigi, non voleva screzi, non voleva dolore.
Tom la afferrò per i polsi, sentendo la rabbia montargli in corpo. Eccolo, era tornato. Era tornato il regime del silenzio. No, questa volta l’avrebbe spezzato, non l’avrebbe più permesso, non…
- Rispondimi! –
Gli uscì fuori come un grido soffocato, sofferente, al quale Haylie rispose liberandosi della sua presa e alzandosi dalle sue ginocchia. Si allontanò di qualche passo, lentamente, dandogli le spalle e prendendosi la testa tra le mani.
- Perché… perché…? - gli parve di sentirla mormorare.
No, non era più disposto ad accettare sotterfugi.
Voleva la verità, e la voleva subito.
Haylie si voltò verso di lui, gli occhi colmi di angoscia, e giunse le mani, quasi in una supplica.
- Io… io ti voglio talmente tanto bene, Tom… -
Silenzio.
Silenzio rotto solo da un singhiozzo soffocato.
Haylie non cercò di fermare le lacrime, non ne poteva più, stava per esplodere… Era troppo, per lei. Non poteva combattere contro il mondo intero, non da sola.
- …ma noi ci stiamo rovinando la vita… me la sto distruggendo da sola, e la sto rovinando a te, a Bill, al gruppo… noi… -
Si lasciò sfuggire un altro singulto e si coprì la bocca con le mani. Le spalle le tremavano, le gambe presto non l’avrebbero retta più, sentiva delle fitte al basso ventre…
Le parole di Tom furono ancora più fredde del silenzio che spezzarono.
- Ah, mi vuoi bene… -
Ci fu una pausa di pochi, interminabili secondi. Haylie rimase immobile, il viso nascosto fra le mani, in attesa. Se avesse potuto, sarebbe scappata anche subito, ma ormai… tanto valeva subire fino alla fine la punizione per i propri errori.
- Sai che ti dico? – Tom prese un profondo respiro. – Non vale la pena di rovinarsi la vita solo per voler bene a una persona –
Il suo tono era calmo, misurato. O meglio, così appariva. Le sue parole celavano una rabbia profonda, un dolore cieco che doveva assolutamente reprimere, o avrebbe potuto scaricarlo addosso ad Haylie fino a ferirla. 

Lei non sentì altro che lo sbattere della porta prima di lasciarsi andare a un pianto violento e insistente.
Lo stava distruggendo… stava distruggendo la sua vita e quella degli altri solo per un capriccio. Per i suoi capricci da bambina viziata, da bambina che non sa quello che vuole.
Forse la vita le aveva dato troppo perché lei potesse comprenderne l’entità.
Quella storia doveva finire. Doveva finire subito, in qualsiasi modo, prima che le consumasse tutta l’anima.
Strinse le braccia attorno al pancione, singhiozzando sommessamente.
Doveva farlo per quella bambina… sua figlia non poteva scontare i suoi peccati.
 

Non vide nessuno fino all’ora di pranzo. Rimase chiusa nella sua camera finché l’orologio non segnò l’una, allora si costrinse a tirarsi su dal letto e si diresse verso la porta, senza neanche guardarsi allo specchio. Doveva avere un aspetto orribile, ma preferiva non saperlo. Non le importava poi così tanto.
Quando scese al ristorante dell’albergo, non le riuscì difficile individuare i quattro ragazzi seduti a un tavolo vicino alla finestra. Cercò di focalizzare le loro espressioni senza avvicinarsi.
Gustav non sembrava partecipare alla conversazione, come al solito. Se ne stava in disparte, ogni tanto sorrideva, ma non diceva nulla.
Georg parlava ad alta voce, ridendo di gusto a chissà quale battuta.
Tom rideva con lui, ma la sua risata era strana, forzata. Poteva vederlo a chilometri di distanza.
E Bill… anche lui rideva, e la sua risata era vera, squillante, genuina… ignara.
Finalmente si decise ad avvicinarsi. Quando Bill la vide, si alzò di scatto e le andò incontro sorridendo.
- Haylie, dov’eri finita? – le chiese allegramente, circondandole la vita con le braccia. Lei abbozzò un sorriso.
- Ho… ho tirato tardi, stamattina –
La mano stranamente calda di Bill che andava a posarsi sulla sua guancia le donò un immediato sollievo.
- Ehi, ma perché quegli occhi tristi? – mormorò con dolcezza. Lei non rispose, realizzò solo che doveva avere ancora gli occhi rossi, considerato che era andata avanti a piangere per un bel po’. – Mmh? –
- Io… non lo so… non mi sento benissimo… - farfugliò, cercando di apparire credibile, ma la voce aveva già cominciato a tremarle. Le attenzioni e le premure di Bill, invece che rincuorarla, non fecero che aumentare il suo senso di colpa.
- Tesoro, cosa c’è? –
Gli altri tre continuavano a parlare dietro di loro… chissà se Tom li stava guardando…
- Io… non… - Ma non riuscì neanche a pensare a una frase di senso compiuto, che si sentì pizzicare di nuovo gli occhi mentre le parole le morivano in gola. Cercò malamente di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano, ma Bill le rivolse uno sguardo preoccupato.
- Ehi… - Le mise una mano sotto il mento, alzandole il viso. – Mi dici cosa c’è? –
- Niente…! Non ho… niente… - Bill la guardò poco convinto.
- Aspetta un attimo – Si rivolse agli altri tre: - Ragazzi, torniamo tra dieci minuti. Cominciate pure a ordinare – Poi di nuovo a lei: - Vieni, andiamo fuori –
Quando si trovarono soli sul retro, Haylie non riuscì più a trattenersi e le lacrime ricominciarono a uscirle a fiotti dagli occhi. Bill la abbracciò, accarezzandola i capelli.
- Amore, perché fai così? –
Haylie cercò di diminuire i singhiozzi, con il viso premuto sul suo petto. Non meritava quelle attenzioni, perché Bill si preoccupava tanto…?
- Io… non lo so… - balbettò. – Non lo so… -

E’ che vado a letto con tuo fratello da più di tre mesi, sai…
- Non… forse sono solo stanca… o forse ho paura… - Bill la allontanò da sé, prendendola per le spalle.
- Paura? – I suoi occhi erano così sinceri, così puliti…
- Sì… forse… perché ci stiamo avvicinando a… - Non seppe come proseguire, e si toccò la pancia con una mano. Le labbra di Bill si incurvarono in un sorriso intenerito.
- Haylie, lo capisco… Ma devi stare tranquilla, ok? –

Già, facile a dirsi…
- Lo sai che io ci sono sempre – Haylie deglutì. Pochi mesi prima, avrebbe annuito senza esserne convinta. L’avrebbe presa per una bugia. Fino a che punto lo era? – Capisco che tu sia nervosa, ma non devi avere paura, d’accordo? Ricordatelo, per qualsiasi cosa… io sono sempre qui per te –

E io non lo merito, Bill. Non lo merito.
Bill le prese il viso tra le mani e la baciò dolcemente, asciugandole le lacrime. – Tom mi ha detto che ieri sera siete piombati subito nel mondo dei sogni. Sono più tranquillo se c’è lui con te, soprattutto adesso –
Haylie si morse le labbra, stringendo forte le sue mani.
Non poteva più sopportare quella fiducia incondizionata…
Un ragazzo non realmente innamorato gliel’avrebbe mai data? Adesso ne dubitava seriamente.
- Ma tu non andartene. Non lasciarmi sola – mormorò, tirando su col naso.
Poi ebbe come un flash.
 

Haylie rabbrividì quando le mani di Tom si posarono sulle sue guance. – Anche a me sembra… di non capire più niente – Il suo viso si avvicinò a quello di Haylie fino a che le loro labbra quasi si sfiorarono, ma Tom si fermò a pochi millimetri dal suo naso, e la ragazza si ritrovò a boccheggiare come se  in quella stanza fosse finito l’ossigeno.
Stava per succedere…
– Io… io non voglio ferire nessuno… - sussurrò Tom.
Haylie si aggrappò ai suoi polsi, trattenendo il fiato. – E allora non andartene… non lasciarmi sola –
 

- Non ti lascerò mai, Haylie –
La ragazza rabbrividì e lasciò che Bill l’abbracciasse cullandola piano, aggrappandosi a lui come non aveva mai fatto. 

L’aveva più realmente guardato da quando aveva deciso che Bill non si dedicava abbastanza a lei?
Di cosa aveva bisogno?
Non di bugie. Non di sotterfugi. Non di tradimenti. Solo di questo era sicura.

 
“Da lontano
tu rimani
come i segni che mi scavan le mani,
anche quando mi nomini a mente si sente.”

(Raf, “Il nodo”)

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Capitolo 16
*** Dimentica - Capitolo sedici ***


Posto prima del previsto dato che c’è la possibilità che io sia senza computer per qualche giorno.
Ragazze, vorrei capire una cosa. Perché sto perdendo lettori? Non trovo più tante mie ex affezionate, come moonwhisper (anche se effettivamente tu hai i tuoi tempi, ehm… XD), bluebutterfly, Kristine, noirfabi e Freiheit… che fine avete fatto? Se la mia ff piace di meno voglio saperlo, se continua ad appassionarvi non disdegno un commento. E grazie alle 19 che mi tengono tra i preferiti, ma… perché, per una volta, non vi fate sentire anche voi? Ci conto davvero, ragazze. Sapere che ci sono tante letture ma che la voglia di recensire viene meno, mi prende un non so che allo stomaco che potrei evitarmi semplicemente sapendo cosa ne pensate della mia ff.
Per le bimbe (XD) che hanno recensito:

Temperance_Booth
: senti, non lamentarti, che poi gira e rigira sei sempre tu quella che riceve un milione di recensioni! Ecco, ora puoi smettere di girarti i pollici cara =D
lilylemon: non preoccuparti, è sempre un piacere riaccogliere una figliol prodiga ^^ Oddio, “e vissero tutti infelici e disperati” è una soluzione che potrebbe allettare un’umana perversa come me, ma… beh, si vedrà! (scusami se ho eliminato la tua fic dai miei preferiti, ma ho avuto problemi circa la falsa dichiarazione di maggiore età… cause di forza maggiore dunque. Spero che non me ne vorrai ^_^)
EtErNaL_DrEaMEr: già amo le tue recensioni *_* Adoro i trattati di psicologia, quindi non trattenerti se ti senti particolarmente ispirata xD Beh, su Bill per ora non posso sbilanciarmi. Dico solo che è il personaggio che capisco di più, perché rispecchia il mio carattere per molti aspetti. E non è detto che “fragile” non sia la parola adatta.
valux91: aaaaargh!!! Non nominare gelato e suoi affini, che sono a dieta! L’unica oasi che ho visto è stata una pizza margherita di tre metri quadri e poi… fame T_T
 

Questo capitolo introduce l’ultima parte della ff, dunque non manca molto a finire. Da qui in poi la canzone usata sarà “Dimentica” di Raf, che, alla fin fine, è la base di tutta la storia.
Con ancora più ansia di ricevere i vostri (sinceri) pareri, vi lascio alla lettura ^_^

Parte IV – Dimentica

Capitolo 16

“Luoghi inviolabili della memoria
Soltanto gli orli un po’ sfocati
ma così indissolubili
e così…
troppo intensi da dirsi”
 

Tom aveva riprovato una sola volta.
Le sue difese erano crollate ormai da molto tempo e ormai, quando scorgeva la propria immagine riflessa in uno specchio, faticava lui stesso a riconoscersi. Dunque, perché non rendere completa quella metamorfosi?
La maschera di spaccone celava solo un disperato bisogno di sentirsi dire che era amato. E ormai era giunto alla conclusione che stava per perdere l’unica persona che, fin dalla nascita, gli aveva donato il suo affetto incondizionato: suo fratello.
E Haylie?
Haylie non aveva mai detto “ti amo”. Non a lui.
E Tom Kaulitz restava sempre Tom Kaulitz: non poteva rovinarsi la vita per un qualcosa di astratto.
Questa, perlomeno, era la conclusione a cui avrebbe voluto arrivare. In realtà era molto più difficile, molto più doloroso piegarsi sotto questa consapevolezza.
Proprio lui che non si era mai sentito dire di no. Lui che era l’oggetto del desiderio di milioni di ragazze.
Ma chi le conosceva, quelle ragazze?
In fondo, avrebbe potuto farsi la stessa domanda per Haylie. La conosceva davvero?
Era una malattia, una malattia alla quale si era abituato e che difficilmente avrebbe eliminato con qualche pillola. Il problema era che non sapeva fino a che punto volesse davvero eliminarla.
 

Quindi, aveva riprovato.
Una sola volta.
 

- Haylie, io non ce la faccio più –
La ragazza lo guardò in tralice, stringendosi il pancione tra le braccia. Ormai era entrata nel nono mese, della sua esile figura era rimasto ben poco, ma quella sua dannatissima bellezza era ancora lì, intrappolata nei suoi occhi, nelle sue labbra, nei suoi capelli, in ogni centimetro del suo corpo. Era come se non fosse mai cambiata, da quel punto di vista. Come se fosse uguale alla ragazzina spaventata che era entrata per la prima volta in quel tourbus, armata solo della sua professione e dell’appoggio di Bill. La stessa ragazza che si era adattata a vivere in mezzo a loro fino a non poterne più fare a meno. La stessa ragazza che aveva consolato durante le assenze di Bill, fino a innamorarsene perdutamente.
- Neanch’io Tom. Neanch’io ce la faccio più –
Per altri versi, era come se fosse stata sostituita da una persona che non aveva niente a che fare con lei.
Quella ragazzina semplice, dolce e timida sembrava essere sparita. Al suo posto c’era l’immagine vivente della contraddizione, della disperazione, della confusione.
Haylie che si teneva tutto dentro.
Haylie con i suoi sensi di colpa.
Haylie con i suoi dubbi tormentati.
Era lei e non era lei. Questo, ormai, non lo spaventava più. Era solo esausto. Semplicemente ed irrimediabilmente esausto.
- Perché, Haylie? Perché? Perché ci siamo condannati a questa vita? –
Lei socchiuse gli occhi. Ogni sua parola, ogni suo gesto era pieno dell’odio che sembrava provare verso se stessa, del disgusto che le suscitava il suo essere.
- Perché siamo solo dei ragazzini… solo dei ragazzini che non sanno quello che vogliono –
Tom cercava risposte che lei non poteva –o non voleva- dargli. Voleva trovare un senso a quello che stavano facendo. O meglio, avrebbe voluto sentirsi dire che il senso per cui lo faceva era lo stesso di quello di Haylie.
- No, Haylie. Io non accetto questa risposta – Scosse lentamente la testa. L’unico mezzo di sopravvivenza era conservare tutta la calma e la razionalità di cui era capace. Peccato che queste cominciassero a venire meno. – Non è vero che non sai quello che vuoi –
Lei lo guardò con astio. Ecco un’altra cosa che non sopportava più. Tutto quello che voleva era farla sorridere, alleggerire le sue giornate. E invece falliva sempre miseramente. – Davvero? E allora sai dirmelo tu, quello che voglio? –
Tom le restituì uno sguardo gelido.
- Sì. So dirtelo – Fece una pausa e strinse i pugni, cercando di non perdere la calma. La rabbia repressa era talmente tanta che ne temeva le conseguenze. – Tu non vuoi me, Haylie. Forse ti è sembrato che fosse così, per un certo periodo. Ma tu vuoi Bill. Diverso da com’è, ma vuoi Bill, non me. E io… io non sono lui – Pronunciò queste ultime parole con una lentezza pressoché esasperante, quasi come un ringhio sommesso e sofferente.
E fu lei la prima a perdere la calma.
- Come puoi dirlo con quel tono? – gli gridò contro, stringendo i pugni finché le sue nocche non sbiancarono. – Io… noi… stiamo insieme da due anni e mezzo, io aspetto una figlia da lui, come puoi pretendere che io metta da parte tutto questo?! –
- Io non ho mai preteso niente – ribatté lui, alzando appena la voce. – Ma sembrava che tutto questo non ti importasse, fino a pochi mesi fa –
- Non è vero! Non è vero! – Haylie cercò di mantenere il respiro regolare, cosa ormai difficile date le sue condizioni, e soprattutto di frenare le lacrime. Erano totalmente inutili, se non controproducenti. Stava già abbastanza male, perché Tom non lo capiva? – Non è vero che non me ne importava! Credi che io abbia vissuto felice e contenta questa situazione? Che non mi sia fatta nessuno scrupolo?! –
- Anche per me è stato così, Haylie, dannazione! Io non avrei mai pensato di poter essere capace di tradire così mio fratello, lo capisci, sì o no? Forse è stato anche peggio della sensazione di essere... un ripiego, ecco! –
- Come… ma cosa dici? Cosa dici? – Tutto quello che Haylie voleva in quel momento era scappare, dissolversi, morire, qualsiasi cosa pur di non sentirsi dire cose del genere. – Cosa volevi, che lasciassi Bill e facessi finta che fossi tu il padre di mia figlia? Secondo te io avrei potuto sopportare una cosa del genere?! –
Tom la fissò immobile per qualche istante.
- Forse. Forse all’inizio ci ho sperato. Ho cercato di ragionare, di accettare la realtà, mi sono dato dello stronzo, ma ci ho sperato. E soprattutto ho sperato che valesse la pena di soffrire come un cane al pensiero di quello che ho fatto a mio fratello – Si morse il labbro inferiore, stringendo istintivamente i pugni. Presto non sarebbe più riuscito a ragionare con lucidità… - Allora… allora sai cosa ti dico, Haylie? Va’ a dirglielo. Se questo tuo senso di colpa è così terribile, se il pensiero di mentirgli è davvero insostenibile, va’ da Bill e digli quello che abbiamo fatto – Haylie lo guardò gelata. Non poteva dire sul serio. – Tanto, peggio di così cosa vuoi che succeda? Questo momento sarebbe arrivato comunque. Un giorno gliel’avresti raccontato, non è così? Allora fallo adesso. Liberati da questo peso e non pensarci più, visto che ti ho provocato solo sofferenza. Non hai niente da temere, visto che lo ami. Avanti, vai da lui e diglielo –
Haylie deglutì, sentendo la testa che le girava. Non poteva finire così. Non poteva averlo indotto alla pazzia. Perché era pazzia, quella.
Tom strinse più forte i pugni, un’espressione sofferente dipinta in viso.
- VAI A DIRGLIELO! – sbraitò, sbattendo un pugno sul tavolo tanto violentemente da farsi male. Ma lui non badò al dolore. Era solo un piccolo fastidio in più… nient’altro.
Non vide neanche Haylie uscire di corsa dalla sua stanza sbattendo la porta.
Forse l’avrebbe fatto. Gliel’avrebbe detto sul serio. Ma gli importava davvero?
No. Ormai aveva perso tutto.

 
“Dimentica quello che è stato
comunque non ritornerà…”

 
Haylie non sapeva bene come chiamare la sensazione che provava. Sempre che fosse una sola, e non un miscuglio di molteplici emozioni. Sapeva solo che la impauriva quel contatto nuovo, ma che quella era anche la paura più bella che avesse mai provato.
Bill la accarezzò bramosamente un’altra volta, e poi ancora, e ancora, fino a riscaldarla con il suo solo fiato e il suo tocco. Haylie si strinse a lui, chiudendo gli occhi. La vista le si stava annebbiando, poteva solo sentire le mani di Bill percorrere interamente il suo corpo e il suo respiro affannoso sul collo.
Erano soli. Erano giovani. Erano innamorati.
A diciannove anni, Haylie si sentiva ancora spaventata al pensiero che quella era la sua prima volta. Si sentiva anche un po’ stupida, ma lasciarsi andare con Bill era stato così semplice… Si fidava di lui, la faceva sentire protetta. Non avrebbe potuto immaginare la sua vita insieme a qualcun altro.
- Bill – gemette, aggrappandosi alle sue spalle esili. Era quasi più magro di lei, ma l’essere stretta fra le sue braccia era come guardare la pioggia battere contro i vetri dall’interno di una casa calda e accogliente. Era al riparo da tutto e da tutti.
- Sì… - sospirò lui scivolando più in basso e baciandole la gola. – Oh, Haylie, ti amo –
Avrebbe voluto rispondergli che anche lei lo amava, ma le parole che uscirono dalla sua bocca non furono meno sincere.
- Ho paura –
Sentì il fiato di Bill allontanarsi dal suo collo nello stesso istante in cui una mano morbida e calda le scostò un ciuffo di capelli dal viso.
Bill non ebbe bisogno di chiederle se fosse la prima volta. Lo leggeva nei suoi occhi spaventati, nelle sue mani chiuse a pugno, nella sua voce flebile e incerta.
- Non devi – Le sfiorò una guancia con le labbra, sentendola sospirare.
- Lo so – Haylie si mordicchiò il labbro inferiore, tremando appena.
- Vuoi che la tua prima volta sia con me? –
La ragazza riaprì gli occhi, e tutto quello che vide fu un viso sorridente, quasi bambinesco, a pochi centimetri dal suo. I suoi occhi nocciola spiccavano come pietre preziose, le labbra come petali di rosa sulla sua carnagione chiara come l’avorio.
Annuì piano, riempiendosi gli occhi con un altro suo sorriso.
- E allora voglio che non te la dimentichi mai. Voglio che per te sia speciale, adesso e quando te ne ricorderai, sempre – Si fermò a pochi millimetri dalla sua bocca, chiudendo gli occhi e sospirando. – Promettilo –
Haylie gli sfiorò le labbra con un bacio. – Te lo prometto – Si rifugiò in un bacio più lungo e approfondito prima di staccarsi di nuovo da lui. – Ma devi dirlo anche tu –
Bill sorrise, aderendo con il corpo a quello di lei. Haylie gemette sommessamente.
- Te lo giuro –
E allora sarebbe durata. Se l’aveva detto lui, sarebbe durata. Avrebbe mantenuto la promessa.
Haylie aveva sempre avuto paura che la sua prima volta sarebbe stata con qualcuno che l’avrebbe riempita di parole senza poi darle niente di concreto, niente in cui credere.
Invece no. Aveva trovato Bill, e non l’avrebbe lasciato per nulla al mondo.
Lui e la sua musica, lui e i suoi piccoli misteri, lui e il suo mondo segreto. Lui, solo e semplicemente lui.
Non seppe quando cominciò, né quanto durò, né quando finì. Si rese solo conto che l’essere diventata parte di lui era qualcosa di meraviglioso, che non lasciava spazio alla paura né al dolore. Che non avrebbe potuto desiderare di meglio. Che lo amava, e lo voleva solo per sé.
Si era preso parte del suo cuore, e non poteva più allontanarsi da lui. Avrebbe mantenuto la promessa.
Non avrebbe mai dimenticato.
Mai.
Lo vide muoversi piano sopra di lei, lo sentì sospirare e toccarla con desiderio, ascoltò il suo respiro senza perderne un soffio. Voleva conservare ogni particolare di quel momento, ogni immagine e suono, ogni sapore e colore.
Riprese la cognizione del tempo solo quando lui scivolò al suo fianco, abbracciandola e accostando il viso sudato al suo. Bill sorrise, il respiro ancora affannoso. – Allora? Te ne ricorderai? –
Haylie si strinse a lui, rendendosi conto di quanto si sentisse infreddolita senza il suo fiato addosso.
- Sempre – Chiuse gli occhi, respirando il suo profumo. – Qualsiasi cosa succeda –
- Non succederà niente, Haylie. Niente che non sia, per me, amarti ogni giorno – Cercò la sua piccola mano stretta a pugno e la baciò. – Qualsiasi cosa che io non sarò capace di dirti, la troverai qua – Si appoggiò sul petto la mano di Haylie, e lei sentì il suo cuore scandire un ritmo rapido ma regolare.
- Spero di riuscire sempre a capirlo – mormorò, la voce rotta dall’emozione.
Bill posò un bacio sulla sua fronte.
- Lo capirai – 

E invece no. Non l’aveva capito. O meglio, aveva improvvisamente deciso di non prestarvi più attenzione.
E aveva mancato alla promessa.
Si sentiva peggio che ignobile a stare lì, sotto le lenzuola del letto che quella notte avrebbe condiviso con Bill, ad aspettare che lui uscisse dal bagno, in quell’ennesimo anonimo hotel dove avrebbero sostato per non più di due giorni. Smise molto presto di ripensare a quello che le aveva detto poco prima Tom.
Ormai era tutto finito. Non valeva più la pena di rimuginare.
Quando Bill si infilò sotto le lenzuola, accanto a lei, non sentì nemmeno quello che le disse. Riuscì solo a focalizzare un’informazione: sorrideva.
Chi era lei, per spegnere quel sorriso?
Ma soprattutto, chi era lei per far sì che quel sorriso continuasse ad essere ignaro, inconsapevole?
Le sue labbra si mossero prima che lei potesse realizzarlo. – Bill, devo dirti una cosa –
Lui annuì, sempre sorridendo, esortandola a parlare.
Ecco, sì… se solo avessero parlato…
Forse sarebbe stato tutto diverso, o forse non sarebbe cambiato nulla, ma a quel punto era inutile farsene una malattia. Quel che è giusto è giusto, si disse Haylie, e dato che quello che aveva fatto lei non poteva certo esserlo, tanto valeva che facesse almeno un’azione sensata.
Cominciò a parlare prima di chiedersi se quella fosse davvero un’azione sensata.
Parlò, parlò, parlò di tutto, gli raccontò di tutto quello che era stato, da quella mattina in albergo, al giorno dopo, il sound-check, gli studi fotografici, le fughe, i litigi, le parole, le promesse, le illusioni. Lasciò che le parole venissero fuori da sole perché, se avesse provato a calcolarle, non sarebbe riuscita a dire niente.
Bill rimase in silenzio per tutto il tempo, la ascoltò senza muovere un muscolo, le sopracciglia appena aggrottate, le labbra socchiuse in una silenziosa manifestazione di stupore, le mani aggrappate alle ginocchia. E lei continuò a parlare, non si fermò neanche un attimo per paura che improvvisamente tutto il suo coraggio venisse meno.
Ma era coraggio, quello…?
Non seppe per quale miracolo riuscì a sostenere lo sguardo di Bill quando ebbe finito di raccontare. Gli occhi del ragazzo sembravano privi di qualsiasi espressione, di qualsiasi sentimento che avrebbero avuto tutto il diritto di manifestare: dolore, rabbia, stordimento, confusione…
C’era solo il vuoto, e forse questa era l’effettiva immagine di quello che provava.
Rimase a fissarla in silenzio per qualche altro interminabile secondo prima di voltarsi, spostare il lenzuolo con una mano, alzarsi dal letto e uscire dalla stanza senza dire una parola. Non accelerò il passo, non sbatté la porta. Si limitò a chiudersela alle spalle, quasi non volesse lasciare traccia di sé.
Anche Haylie avrebbe voluto sparire senza lasciar traccia. Ma ormai…
Ormai era arrivata la resa dei conti.
Seppellì il viso tra le mani, sprofondando nel cuscino. Non pianse, non ne aveva la forza.
Avrebbe voluto scusarsi, promettere, mostragli il suo pentimento. Ma aveva già fatto troppo. Rimase semplicemente ferma, così, finché il buio non venne a portarsi via tutte le lacrime che avrebbe voluto versare e tutti i sogni con cui avrebbe voluto riempire non solo quella notte.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


Grazie ai 21 che mi tengono tra i preferiti, anche se non faccio più caso a chi aggiunge e chi toglie, siete così tanti °_°’’
Solito disclaimer. Canzone usata: sempre “Dimentica” di Raf. Quando arrivate alla soundtrack, prima di cominciare a leggere cliccate sul link! E ora passiamo ai ringraziamenti singoli:

moonwhisper: sapevo che non mi avresti abbandonata *_* Non sai quanto tenga alle tue recensioni. Bill avrai modo di capirlo anche più avanti, a partire da questo capitolo per esempio. Oddio, ti ho comprata? O_O … Grazie a te, con i tuoi incoraggiamenti e i complimenti (spero meritati). Un bacio; noirfabi: povero Tom, prima tutti a difenderlo e ora me lo demolite così XD Un po’ di comprensione, su! Mi raccomando, non ti voglio di nuovo dispersa. Prendilo come un favore personale ^_* ; bluebutterfly: dio, fine… che parola strana. Io ho finito di scrivere la ff un bel po’ di tempo fa, ma ancora non me ne capacito. Per me sarà davvero finita solo quando avrò postato l’ultimo capitolo… vabbè, niente tristezza, su, che qui ce n’è già abbastanza. Ma per quanto riguarda gli arcani… preparati a soffrire, non sono una che svela tutto subito (sorrisetto sadico). Spero di ritrovarti anche la prossima volta!; valux91: cara, sono appena tornata dal dietologo e ho perso 5 centimetri di fianchi, tiè! XD Per quanto riguarda la reazione di Bill, non posso fare altro che invitarti a leggere il capitolo ^^; FuckedUpGirl: tesora, sei qui! Guarda che non devi sentirti in colpa se non puoi recensire, tanto io lo so che ci sei ^_* però certo, sentirti partecipe non può che farmi piacere. Vero che già sapevi come sarebbe andata, e per questo temevo che il capitolo non ti avrebbe fatto un grande effetto. E invece mi dici che sono disarmante. Anche il tuo giudizio lo è. Non sarà che sei di parte? XD Scherzo, scherzo. Ma ti ricordi come ti immaginavi che Bill lo scoprisse? 8) Grazie, Bia; simmyListing: benvenuta! Sì, ho avuto tante volte paura di cadere nella banalità… ma sono felice che il risvolto preso dalla storia ti abbia appassionato! Grazie dei complimenti, se vorrai continuare a regalarmi un tuo parere per i prossimi capitoli lo accoglierò con gioia; lilylemon: io crudele, sìsì XD No, scherzo… ma ora tenervi un po’ in ansia mi sembra il minimo! Grazie per i complimenti e scusami ancora per quel disguido riguardo la tua fic; EtErNaL_DrEaMEr: ti dirò che per me è stato strano scrivere di quella scena. Pensa che l’avevo programmata mesi fa, quando stavo ancora scrivendo i primi capitoli (ebbene sì, ho un taccuino in cui mi appunto i colpi di genio che mi vengono andando a scuola, perché, se scrivo un capitolo in anticipo, poi non mi raccapezzo più). E comunque nessuna recensione fa schifo, meno che mai quelle come le tue; Kristine: felice di ritrovarti e ricevere i tuoi complimenti ^^ Eh sì, anche per me è un periodo “pieno”. Haylie non ti piace, dici? E’ un personaggio strano, sai? Mi è sempre sfuggita e ha fatto di testa sua. Neanch’io, spesso e volentieri, la capisco

Capitolo 17

 
“Dimentica le mie parole,
se puoi perdonaci
non sempre c’è un lieto fine”
 

Quando riaprì gli occhi, l’altra metà del letto era vuota. Se Haylie non avesse sentito quello stesso vuoto dentro di sé, quella sorta di buco nero che difficilmente avrebbe riempito, probabilmente avrebbe avuto paura. Ma le sembrava anche schifosamente ipocrita star lì in ambasce a chiedersi dove Bill avesse passato la notte o dove fosse in quel momento.
No, non era ipocrisia. Voleva saperlo. Voleva parlargli…
Come se non avesse già detto più che abbastanza.
Senza neanche guardare che ore fossero, uscì silenziosamente dal letto. I vestiti di Bill erano al loro posto, niente sembrava essersi mosso in quella stanza. Haylie abbassò la maniglia e sporse la testa oltre la porta, percorse tutto il corridoio con lo sguardo ma non vide anima viva.
Uscì a passo lento dalla propria camera, in camicia da notte e a piedi nudi. Si guardò di nuovo intorno, forse sperando in una miracolosa riapparizione, ma quel maledetto corridoio rimaneva vuoto. Lo sguardo le cadde sulla porta della stanza accanto alla sua: la camera di Tom. Realizzò solo che l’uscio era socchiuso. Non si chiese perché, non si domandò se le interessasse, si ritrovò semplicemente a spingere lentamente la porta con una mano. Tutto quello che vide fu Tom, in piedi al centro della stanza, già vestito, che chiudeva la zip della custodia della sua chitarra. Quando il suo sguardo cadde su di lei, quasi trasalì e calciò in un angolo una specie di borsone che Haylie non aveva ancora notato.
- Haylie… -
La ragazza gli voltò le spalle e uscì in fretta, diretta nella propria camera, ma non fece nemmeno in tempo a chiudere la porta che si trovò Tom dietro le spalle. – Haylie, aspetta! –
Lei si voltò, guardandolo con occhi imploranti. – Ti prego Tom, vattene –
- Perché? – Era come se la discussione del giorno prima non fosse mai esistita.
- Va’ via – lo supplicò ancora lei, ma lui rimase fermo dov’era. Nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, capì. Capì perché lo stava mandando via.
Capì che gliel’aveva detto.
Fece come per ribattere, quando la vide fare un brusco passo all’indietro e aggrapparsi al piccolo scrittoio, al che voltò la testa… e lo vide.
Bill era fermo sulla soglia, appoggiato con una mano allo stipite della porta, e lo fissava. Lo fissava come se gli costasse un enorme sforzo. Haylie fu scossa da un tremito nell’incrociare quello sguardo. 

- Tom, esci di qui, per favore – 

~ Soundtrack - Hollow years, Dream Theater: http://www.youtube.com/watch?v=29qRCzTYg2o ~
 
Bill pronunciò lentamente quelle poche parole, a bassa voce, come se volesse farle suonare come un comando. Invece risultò molto più simile a un disperato appello.
- Bill… - cominciò Tom, ma l’altro lo interruppe.
- Tom. Esci – Alzò di poco il tono, così che il leggero tremore assunto dalla sua voce risultò più evidente.
Haylie lo guardò: sembrava lo stesso della sera prima. I capelli erano a posto, i jeans e la maglietta non lasciavano intravedere più di qualche piega, il viso era pallido come sempre. Solo gli occhi avevano cambiato totalmente espressione. Erano colmi dello smarrimento più puro, disperazione silenziosa che presto sarebbe uscita fuori con la violenza di un uragano.
Tom gli si avvicinò solo per chiudere la porta alle sue spalle. – No, Bill, aspetta - Non appena la sua mano lo sfiorò per caso, Bill si ritrasse violentemente.
- Stammi lontano, cazzo! – gli inveì contro, – Non devi toccarmi! – Tom lo guardò a metà fra lo spaventato e il supplichevole.
- Ti prego, Bill, non… Parliamone, almeno… - Il moro strinse i pugni. Le mani gli tremavano.
- Cos’è che devi dirmi? – La parole gli uscirono fuori in un soffio, sembrava che non avesse neanche la voce per scaricargli addosso tutto il dolore che teneva intrappolato dentro di sé. – Che ti dispiace? Che… è stato uno sbaglio, che non è colpa di nessuno? Che… che mi vuoi bene? –
Bill deglutì, e improvvisamente Haylie sentì tutta la pesantezza di quella situazione direttamente sul cuore. Era come se Bill non l’avesse neanche vista, come se fosse troppo preso dal rancore che provava nei confronti di Tom. Lo vide puntare il suo sguardo accusatore in quello del fratello, lo sentì parlare a scatti, quasi ansimando.
- Quella notte ero venuto a scusarmi con te, Tom… Perché mi sentivo un verme per averti insultato in quel modo, perché avevo paura di poterti perdere anche solo per… per una parola sbagliata – Haylie trattenne il fiato. Non sapeva di cosa stesse parlando. – Tu mi hai consolato. Mi hai abbracciato… Mi hai detto che era tutto a posto, che io non avevo sbagliato, che mi vuoi bene… Erano bugie, Tom, erano tutte bugie… - Tom era ammutolito, la mano ferma a mezz’aria, la mente annebbiata. Non aveva il coraggio di controbattere, non quando si rendeva conto che era colpa sua se suo fratello stava così male.
Bill voltò lentamente la testa fino a incrociare lo sguardo di Haylie, al che lei non desiderò altro che essere inghiottita dalla terra. Non poteva reggere quello sguardo.
- Cosa avete fatto mentre io ero a spaccarmi il culo per la nostra tournée? – gridò, mentre le sue guance si tingevano di un insolito rosa acceso. – Cosa avete fatto mentre io ero ai sound check, mentre ero a farmi fare quattro stupide fotografie, cosa avete fatto mentre io non mi accorgevo di niente?! –
Haylie non seppe dove riuscì a trovare la voce per balbettare un debole:
- Bill, io… mi dispiace… -
- No, non è vero! – sbraitò Bill, sbattendo un pugno sullo scrittoio. – Non ci credo, non è vero che vi dispiace! – Tirò un profondo respiro e la guardò con rabbia. Una rabbia disperata, vulnerabile, una rabbia che faceva molto peggio a lui che a loro. – Noi aspettiamo un bambino, Haylie! Come hai potuto… cosa… perché, Haylie?! –
- Io… - Haylie lo guardò terrorizzata, non l’aveva mai visto in quello stato. – Io… non lo so… -
- Ma tu non c’eri, Bill! – Haylie alzò lo sguardo in direzione di Tom. Sembrava che non potesse più trattenersi, che volesse solo sputargli in faccia tutte le accuse che aveva messo da parte durante quei mesi. – Tu non te ne sei accorto, non hai visto niente, eri assente! –
Haylie tremò, avrebbe voluto imporgli di fermarsi, dirgli che non era vero, che era colpa sua…
…ma fu bloccata. Non dal martellante senso di colpa, ma dallo sguardo che Bill rivolse a Tom. Non era più disperazione, non era più rabbia. E non era neanche odio.
Era… una richiesta d’aiuto. Era un abbandonarsi di fronte alla realtà più dura.
- Io… io posso aver fatto tutti gli errori di questo mondo, ma non pensavo di meritare questo! – gemette Bill, con la voce spezzata, portandosi le mani tremanti al petto. Sembrò che improvvisamente le forze venissero a mancargli. Solo in quel momento Haylie scorse uno strano luccichio sul suo viso.
Una lacrima.
Bill stava piangendo.
Persino Tom non ebbe più il coraggio di ribattere, e lasciò che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi. Dalla bocca di Bill uscì un singulto soffocato. – Io mi fidavo di te… mi fidavo di voi… p-perché l’avete fatto? – Nessuno gli rispose. Bill si rivolse ad Haylie. – Perché, Haylie, perché? – urlò, con la voce rotta dai singhiozzi. – Forse non sono mai stato il meglio che tu potessi desiderare, forse meritavi di più, ma perché proprio lui? Perché mio fratello?! –
Haylie deglutì. Sentiva la gola bruciare e le gambe tremarle.
Non rispose. Parlare era la cosa peggiore che potesse fare in quel momento.  

Eppure… eppure era l’unica cosa che avrebbero dovuto fare molto prima per prevenire tutto quello che stava succedendo. 

Chinò il capo e affondò il viso tra le mani. Voleva solo che tutto quello finisse.
Basta, basta, ti prego, basta… Falli smettere, fammi morire…
- Bill, lei non c’entra, non è stata colpa sua! – Quasi non si accorse dell’esclamazione di Tom. Alzò la testa solo quando si rese conto che era calato il silenzio.
Bill aveva avanzato pochi, lenti passi in direzione di Tom. Ansimava ancora, le sue guance erano rosse e bagnate di lacrime, le mani gli tremavano.
- Tu… tu non devi parlare. Non devi parlare
Si fermò solo a pochi centimetri da lui, stringendo i pugni. Tom lo guardò quasi impaurito.
- Bill, io… - Bill fu scosso da un tremito di rabbia.
- DEVI STARE ZITTO! – gli urlò contro. Fece un altro passo vacillante verso di lui, piegò un braccio e lo colpì con uno schiaffo in pieno viso. Un po’ per la vista quasi annebbiata, un po’ per il dolore scottante, un po’ per il tremore che si era impossessato del suo corpo, la sua mano non centrò esattamente la guancia di Tom, ma non per questo mancò di potenza.
Subito dopo, Haylie vide il biondo chinato in avanti, con entrambe le mani premute sul naso, il respiro affannoso.
- Tom! – Si precipitò accanto a lui, ma quando si trovò a pochi centimetri di distanza, le mancò il coraggio di allungare una mano e toccarlo. Quando Tom spostò una mano dal viso, vide solo una piccola goccia di sangue scivolargli dal labbro spaccato fino al mento, mentre alle sue spalle Bill si lasciava sfuggire un singulto soffocato.
Haylie si voltò verso di lui. Guardava il gemello con l’orrore e la paura dipinti in viso, un orrore diverso da quello che aveva manifestato sfogandosi per il loro tradimento. Chinò lentamente il capo, guardando la propria mano arrossata, la mano con cui aveva colpito suo fratello.
- Io… non volevo… - balbettò, così piano che entrambi lo sentirono appena.
Non c’erano tracce evidenti sul viso di Tom, a parte il piccolo taglio sul labbro e la guancia arrossata, ma Bill lo guardava come se l’avesse appena pestato a sangue in preda al suo accesso d’ira.
- Non volevo… - Il suo sguardo e quello di Tom si incrociarono per un istante, al che Bill si coprì il viso con le mani e riprese a piangere sommessamente. – Non volevo farlo… non volevo! – singhiozzò senza alzare la testa, mentre le sue spalle prendevano a tremare incontrollatamente. 

Fu lì che Haylie si rese completamente conto di quello che lei e Tom gli avevano fatto.
Se fosse stato vero che a Bill, in fondo, importava poco e niente di lei, non avrebbe visto in lui l’immagine della disperazione. Bill avrebbe potuto persino sforzarsi di apparire furioso, ma… ma non così.
Non era solo furioso o semplicemente abbattuto. Era incredulo, distrutto, annientato. Un bambino a cui avevano tolto un pilastro, il suo punto d’appoggio, dicendogli che non l’avrebbe più avuto indietro.
Un bambino abbandonato dalla mamma e sperduto al centro di un modo sconosciuto, di un’umanità crudele.
Haylie ricordò improvvisamente. Si ricordò di quella sera.
Un battibecco per le canzoni da mettere in un album. L’irritazione serpeggiante. Due parole di troppo. Uno schiaffo. Un senso di colpa, una richiesta di scuse. 

- Io… non so perché l’ho detto… -
- Se l’avessi saputo, non l’avresti fatto –
Haylie si morse le labbra, sfregandosi le mani lungo i fianchi.
- E’ vero – mormorò lui, abbassando lo sguardo. Haylie gli si avvicinò di più.
- Scusami per quello schiaffo. Non volevo… -
- No – Per la prima volta nella serata, Bill sorrise. Ma era un sorriso tirato, stanco. – Hai fatto bene a darmelo. Sono… sono stato uno stronzo con Tom – Haylie non ebbe la forza di dissentire.
- Va’ a chiedergli scusa, Bill – mormorò. Lui sospirò e si strinse nelle spalle, scuotendo la testa.
- Forse è meglio che lo faccia domani… magari adesso non ha tanta voglia di parlarmi –
Haylie non poté trattenersi dal rispondere: - Posso capirlo –
Lui la guardò con una punta di stupore. Poi sospirò una seconda volta, e le sfiorò una guancia con la punta delle dita.
- Non litighiamo, Haylie. Ti prego. E’ l’ultima cosa che voglio – Haylie si morse le labbra e annuì. Bill posò un bacio tra i suoi capelli, stringendole una spalla con una mano.
 

Lei e Bill non erano poi così diversi come aveva creduto, o meglio, come si era sforzata di credere in quegli ultimi mesi.
Tradirlo era stato come tradirsi a sua volta. Non era fuggita da una relazione che non procedeva come avrebbe voluto, era fuggita da se stessa. Non lo aveva odiato, non lo aveva accusato, non gli aveva serbato rancore.
Si era odiata lei stessa, si era accusata, aveva serbato rancore verso la sua stessa persona.
 

Tom fece qualche passo avanti, tese una mano verso di lui.
- Bill, ti prego –
Lui scosse la testa, il viso ancora sepolto tra le mani. Quando le dita di Tom lo sfiorarono, ebbe un sussulto, ma non si ritrasse. – Bill, io… -
Ma gli impedì di parlare.
- No – gemette. I singhiozzi erano cessati quasi del tutto, ma il tremore non lo aveva ancora abbandonato. Sembrò che volesse riprendere fiato prima di proseguire. Alzò la testa e guardò Tom con occhi colmi di tristezza. – Non dire niente. Non dirmi che mi vuoi bene – Guardò Haylie. – Non dirmi che mi ami. Non… non voglio sentire niente di tutto questo. Io… - Il suo sguardo si spostò febbrilmente dal viso del fratello a quello di lei. Fece un passo indietro. Fu un passo incerto, e per un attimo Haylie ebbe paura di vederlo cadere a terra, come ubriaco, privo di forze. – Mi dispiace… mi dispiace – mormorò con la voce rotta, allontanandosi bruscamente e dirigendosi verso la porta.
- Bill, aspetta, non… - tentò di fermarlo Haylie, ma la porta si era già richiusa.
Subito calò il silenzio, il silenzio più opprimente possibile.
Nessuno dei due ebbe il tempo di parlare o anche solo rimettere in ordine le idee, che sentirono bussare leggermente alla porta. Haylie alzò la testa di scatto e si precipitò ad aprire. Quasi si stupì di scoprirsi tanto delusa quando vide Georg comparirle davanti.
Si aspettava forse che Bill tornasse indietro, gettandosi ai suoi piedi?
Deglutì quando incrociò lo sguardo del ragazzo dai lunghi capelli castani.
- Io… perdonami, Haylie, forse non è il momento adatto –
Oh, bene. Quello era l’eufemismo del secolo. Chissà se sarebbe mai arrivato, un momento adatto.
- Non preoccuparti – mormorò. – Dimmi –
Georg sembrava piuttosto imbarazzato.
- Ehm… è che ho… Cioè, io, scusami, non avrei voluto ascoltare, ma Bill urlava così forte che… insomma, mi sono preoccupato – Haylie non rispose. Si limitò a mordersi il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. Già, Tom aveva accusato Bill di non essersi accorto di loro, ma a nessun altro era saltata la mosca al naso. E nessuno, tra le persone con cui avevano a che fare giornalmente, mancava di una certa intelligenza. Forse non era stata poi tutta colpa di Bill… - Haylie? –
La ragazza alzò di scatto la testa, come risvegliata da un sogno.
- Cosa? – La voce le uscì fuori più stridula del normale, e Georg parve più impacciato che mai.
- Allora… è così? –
Haylie deglutì per la seconda volta prima di voltare lentamente la testa e guardare dietro di sé. Tom era a pochi passi di distanza da lei, fermo al centro della stanza, le braccia incrociate sul petto e il capo chino. Solo quando calò nuovamente il silenzio li guardò di sottecchi.
Il suo sguardo si spostò rapidamente da Haylie a Georg, poi di nuovo ad Haylie.
- No – rispose bruscamente, assottigliando le labbra. Attraversò la camera a grandi passi e, prima di uscire, li fissò entrambi con rabbia. – No, non è più così –
Haylie fu scossa da un tremito, Georg non era meno intimorito. Tom rimase a guardarlo in silenzio per qualche istante, prima di sospirare pesantemente.
- Scusami, Georg. Scusami. Dimenticalo –
E uscì dalla stanza senza guardarsi indietro.
Seguì qualche altro minuto di imbarazzato silenzio, poi Georg si voltò di nuovo verso Haylie, e sembrò che solo in quel momento si rendesse conto della gravità della situazione.
- Cosa… cosa ne sarà del gruppo? Di voi… di noi? –
Haylie non riuscì neanche a sentirsi egoista di fronte a quella considerazione. Si sentiva come se ogni singola emozione che potesse provare fosse arrivata al limite, e come se non potesse più aggiungerne altre. Era satura, al limite.
- Non lo so, Georg… Non so neanche cosa ne sarà di me –
E richiuse lentamente la porta, sperando –illudendosi, forse- di poter lasciare tutti gli errori e i rimpianti fuori da quella stanza.



ndA: esasperato, dite? Io non credo, ma... ai posteri l'ardua sentenza! E' proprio così che volevo i "miei" Bill e Tom in questa scena, e Haylie.... Haylie mi è sfuggita di mano, e non è venuta fuori come l'avrei voluta io.
Commentate numerosi!!!
p.s. l'illustrazione c'è ma non la metto perchè fa schifo :P

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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***


E i preferiti diventarono 23 °__°'' Mi sono pure stufata di dire che continuo a usare “Dimentica” di Raf, ma si sa, non si è mai troppo sicuri. Questo capitolo, a dire il vero, non mi piace granché, ma… non è del tutto inutile. Passando ai singoli ringraziamenti:
EtErNaL_DrEaMEr: devo deluderti, questa è l’unica canzone dei Dream Theater che conosco ^^’ Wow, me felice di averti appassionata così, soprattutto considerato che le tue recensioni sono sempre più belle (e dannosissime per il mio spropositato ego). Anche a me piace la parte della manata, come la chiami tu XD così ricca di pathos *.* (se mi sentisse la mia prof di letteratura…) Perdona la mia tardoneria, ma non ho capito a cosa ti riferissi parlando di Tom che “ha mollato lì Haylie”… sarà che ho sonno, boh XD E poi ti dico che hai citato un particolare che forse non tutti hanno notato… beh, non mi pronuncio, vedrai da te! ^.* ; TVB: eh, tragedia sì XD Comunque benvenuta, finalmente le famose “ragazze dei preferiti” (ovvero le silenziose che hanno messo la mia storia nei preferiti) cominciano a farsi sentire!; lilistar: benvenuta anche a te! Sì, lo so, il classico triangolo. Ma che ci possiamo fare? La materia prima scarseggia e poi è inevitabile riciclare le trame. Bene, sono contenta di aver soddisfatto le tue aspettative! Resta da vedere se il finale (che si avvicina a grandi passi) sarà per te allo stesso livello… ci spero veramente! Bacio; moonwhisper: sì, ora che rileggo, non mi sembra poi così esagerata. E sappi che il tuo giudizio su Haylie è lo stesso della mia amica (che commenterà solo quando avrò finito di postare, come mi ha promesso). Adesso, quasi la odio, sai? Della serie, io ti ho creato e io ti posso distruggere. La verità è che non la volevo così come è venuta fuori. Però… però mi rendo anche conto che è così che doveva essere. E, quando la ff sarà terminata e posterò i ringraziamenti, vi spiegherò perché. Baciotto; Freiheit: tutto quello che hai detto mi è piaciuto moltissimo, sai? E’ anche –e soprattutto- per questo che spero di trovare i tuoi interventi fino alla conclusione della mia ff. Quello che dici di Bill è vero per certi versi, e per altri… beh, lo scoprirai andando avanti con i capitoli. No, Hay non ama Tom. Questo posso dirlo apertamente perché penso si sia già capito… Beh, sono contenta che anche la canzone ti abbia emozionata, e… vedrai che tra qualche capitolo l’immagine nella tua mente cambierà, e magari sarà qualcun altro a cantarla ;) valux91: grazie dei complimenti… sia per la dieta che per la storia! XD Eh, porca miseria sì. Però visto che se non ci fosse stato Georg, nessuno avrebbe compreso l’entità del danno? Ihihi… ; simmyListing: eheh, il Billozzo XD Oddio, dici che non pecco di banalità però ti aspettavi questa reazione… vabbè, certo, contento non poteva essere (Vitto si picchietta la fronte annuendo come una cretina). Però sono contenta io dei tuoi complimenti! *.* E comunque hai ragione: chi, nei panni di Bill, non ce l’avrebbe con suo fratello? Temperance_Booth: azzardato nel senso di fuori luogo? O_O Beh, qualcuno con un po’ di sale in zucca ci vuole xD


Capitolo 18

“Dimentica l’amore
forse anche il dolore passerà,
dimentica le cose belle
e tutto il male sai di colpo sparirà”

Haylie era semplicemente affascinata.
Era il primo concerto dei Tokio Hotel a cui assisteva da quando aveva cominciato a lavorare per loro. Cioè, in realtà era il primo in assoluto, fino ad allora aveva praticamente ignorato l’esistenza di quel gruppo. Beh, non c’era poi granché di cui stupirsi. I gemelli Kaulitz avevano solo un anno più di lei, e gli altri due li superavano di poco. Sapeva che avevano cominciato da molto piccoli con la musica, le pareva addirittura di aver capito che il loro primo singolo era stato pubblicato quando avevano non più di quindici anni.
Certo, assistere da dietro le quinte forse non era il massimo della felicità, ma, in qualche modo, era quasi meglio quella sistemazione. Niente pubblico, niente ragazzine impazzite, niente luci abbaglianti, solo una pesante tenda a separarla dai quattro ragazzi già al loro posto sul palcoscenico.
Aveva seguito con grande interesse il susseguirsi delle canzoni, in qualche modo si sentiva vicina a quelle ragazzine in lacrime davanti al palco. Più che altro, non le riusciva difficile capire perché andassero in estasi per quel gruppo, nonostante le madri storcessero il naso.
Davano un’energia tutta loro, certo non fuori luogo per dei ragazzi della loro età. Coinvolgevano il pubblico, sembrava che conoscessero alla perfezione i desideri delle loro fan, che facessero di tutto perché lo spettacolo andasse come volevano quelle ragazze, per non deluderle.
Quel Bill, poi, aveva un carisma tutto particolare.
Era così strano, con il suo fisico acerbo e i lineamenti quasi femminei messi in risalto dal pesante trucco nero e dai capelli lunghi e lisci, neri con qualche ciocca chiara sparsa qua e là. Con i suoi vestiti alla moda, i jeans stretti e gli stivali borchiati, aveva un fascino che l’aveva subito colpita, sia positivamente che negativamente.
Suo fratello Tom sembrava così diverso, e non solo per il modo di presentarsi. Lunghi dread biondi raccolti dietro un cappellino con visiera e vestiti extra-large.
Però il feeling che legava quei due ragazzi era a dir poco invidiabile.
Haylie era figlia unica e pensava che, se avesse avuto un fratello o una sorella, avrebbe voluto che il loro rapporto fosse come quello presente tra i gemelli Kaulitz.
Infatti, qualcosa verso la fine del concerto attirò la sua attenzione.
Dopo un inchino di gruppo, Gustav e Georg si allontanarono e lasciarono il palco ai due fratelli. Tra le braccia di Tom non c’era più la sua Gibson, ma una semplice chitarra classica.
Entrambi si accomodarono su due sgabelli, poi Bill avvicinò il microfono alle labbra e si rivolse al pubblico.
- Come vedete, ora ci siamo solo io e Tom – Era imbarazzato, anche se sorridente, sembrava che non sapesse esattamente cosa dire, il che gli capitava di rado. – La prossima canzone è nata da poco, ma molti di voi la conoscono già. Parla di noi, di me e di Tom, del rapporto che ci lega. Questo rapporto è speciale, è… unico, direi. E… e il resto è tutto qui, in questa canzone… “In die Nacht” –
Haylie non ebbe il tempo di pensare, perché la sua mente fu invasa dai primi accordi e poi la musica rese il sopravvento. Rimase come ipnotizzata ad ascoltare quella canzone dalle parole così dolci.
“Pian piano tutto dentro di me sta diventando freddo / Non staremo qui insieme molto a lungo / Stai qui / L'ombra vuole prendermi / Quando andiamo / andiamo soltanto insieme”.
Era… semplicemente meraviglioso. Qualcosa di indescrivibile.
“Tu sei / tutto quello che sono io / e tutto quello che attraversa le mie vene / Noi ci supporteremo l'uno con l'altro / Non importa dove andremo / Non importa quanto in profondità”.
Quasi le mancò il respiro quando Bill pronunciò quelle parole sulla dolce melodia che usciva dalle corde della chitarra di Tom.
Il pubblico era in delirio quando la canzone finì e i due fratelli si inchinarono. Poi tornarono in scena anche il bassista e il batterista e il concerto proseguì così come era iniziato.
Haylie continuò a pensarci, finché non si decise a parlarne con Bill, mentre scandagliavano il suo guardaroba in vista dell’imminente servizio fotografico.
- Sai che mi è piaciuta moltissimo la canzone che hai dedicato a Tom? –
Bill sorrise. Amava ricevere riconoscimenti per quello che faceva.
- Davvero? L’ho scritta da poco, ma pare che già la conoscano tutti –
- E’ così bella! Mentre la cantavi ero, non so, come incantata… L’hai scritta proprio tu? –
Bill rise.
- Sì, lo so, non sembra. Ma sì, l’ho scritta io –
- E Tom non ti ha detto niente quando l’ha letta? – La imbarazzava più dell’immaginabile fargli tutte quelle domande, ma era rimasta veramente troppo colpita. Bill si strinse nelle spalle.
- Beh, sì, diciamo… Dice che può sembrare equivoca ma che gli piace. Non è molto sentimentale, lui –
- Se avessi avuto un fratello e lui mi avesse dedicato una canzone così, io… Non so cosa avrei fatto –
- Effettivamente non pensavo che avrebbe avuto così tanto successo in poco tempo – ammise Bill, facendosi meditabondo. – Ma da quando l’ho scritta, la canto ad ogni concerto, facendomi accompagnare solo da Tom con la chitarra, e ha sempre portato fortuna. Penso che d’ora in poi faremo sempre così! –

 
E infatti era stato così.
A metà o alla fine di ogni concerto, Georg e Gustav si erano sempre ritirati, lasciando il palco ai gemelli e alla loro “In die Nacht”.
In qualche modo, la domanda di Georg si ricollegava a quella che ora si poneva Haylie.
“Che ne sarà del gruppo?”
Già, non ci aveva pensato, a questo. Certo, oltre ai sentimenti delle persone, pure il destino dei Tokio Hotel era passato in secondo piano.
Haylie attese il concerto di quella sera con il cuore in gola, continuando a chiederselo…

Bill canterà la loro canzone?
Bill non si vide in giro per tutta la giornata. L’ora di pranzo fu un momento carico di imbarazzo, una tortura che Haylie si sarebbe risparmiata più che volentieri. Bill, naturalmente, non c’era, Tom rimase zitto per tutto il tempo mentre Gustav spostava lo sguardo imbarazzato da un punto all’altro e Georg cercava di fare conversazione come se non fosse successo niente.
Poi il momento arrivò.
Si erano fatte le 21;00, era quasi ora di andare in scena. Bill era ricomparso solo pochi minuti prima, vestito di tutto punto ma con la faccia di chi avrebbe solo voluto mandare tutti al diavolo e non curarsi più di nulla.
Haylie ebbe la tentazione di rimanere in albergo, ma quella domanda la tormentava e decise di fare questo sforzo. Non si avvicinò a Bill né a Tom, solo, quando si trovarono allo stadio, si sistemò al suo solito posto dietro le quinte… e attese.
Aveva visto Bill tirare una decina di profondi sospiri prima di entrare in scena. Non riuscì a esprimere un proprio giudizio, non riuscì a capire se mise più o meno energia durante il concerto. Rimase semplicemente ad aspettare che Gustav e Georg lasciassero il palco e che Tom attaccasse le note della loro canzone.
Aspettò, aspettò e aspettò.
Le canzoni si susseguirono a poco a poco, il pubblico li applaudì, i ragazzi ringraziarono…
Ma Haylie non sentì quei tanto agognati accordi, e quella canzone rimase solo un sogno irrealizzabile.

 
Vide David saltare praticamente addosso a Bill quando tutti e quattro si ritirarono dal palcoscenico.
- Cos’è questa storia, Bill? Ma che, stai dormendo? Ma te la ricordavi la scaletta o no?! –
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo.
- Sì, Dave. Io ricordo tutto perfettamente – Per un attimo, Haylie temette che a quel punto avrebbe guardato nella sua direzione e avrebbe incenerito con lo sguardo anche lei, ma Bill continuò solo a guardare in cagnesco il manager.
- E allora da quand’è che salti deliberatamente una canzone della scaletta?! Hai idea dei casini che combini per un tuo capriccio? –
A quel punto, inaspettatamente, intervenne Tom.
- Ci dispiace David, non succederà più –
Il manager stava quasi per attaccare a inveire anche contro di lui, ma Bill si voltò lentamente e socchiuse gli occhi.
- Grazie, Tom, non occorre che mi difendi – Il fratello non ribatté, guardandolo con astio. Bill si rivolse nuovamente a David. – Scusami. La prossima volta ti avvertirò. Anzi, lo faccio adesso – Tirò un profondo respiro prima di continuare, sotto lo sguardo imbarazzato degli altri tre. – Togli quella canzone dalla scaletta dei prossimi concerti, così non ci saranno più problemi. Buonanotte –
Detto questo, si allontanò a passo di marcia, ma a un tratto Haylie sentì la propria voce esclamare:
- Bill, aspetta! –
Il ragazzo si bloccò solo per un attimo, il tempo che gli occorse per voltare di poco la testa e incrociare lo sguardo di Haylie. Lei si morse le labbra e per un istante ebbe la tentazione di andargli dietro, ma Bill, dopo averle rivolto un’ultima occhiata che Haylie non seppe come interpretare, tornò a guardare avanti e si allontanò a passo di carica.
Haylie si accasciò con la schiena contro la parete, passandosi una mano tra i capelli.
Doveva finire. Doveva finire o sarebbe impazzita.


 

Quella sera, rimase a vagare per i corridoi dell’albergo finché l’orario più che inoltrato non bastò a convincerla che Bill doveva essersi addormentato. Infatti, quando entrò silenziosamente in camera, scorse una figuretta raggomitolata su un lato del letto, con il lenzuolo attorcigliato intorno ai piedi.
Gli si avvicinò lentamente. Bill non aveva mai dormito sonni particolarmente tranquilli, anzi, il più delle volte si rigirava nel letto come un ossesso, ma quella notte era diverso. Era immobile, sì, raggomitolato su se stesso, ma… La sua espressione.
Dormiva, ma sembrava che soffrisse anche nel sonno. Aveva le sopracciglia aggrottate, e la bocca socchiusa si muoveva leggermente, come se stesse parlando. Quando Haylie gli sfiorò la testa con un bacio, mugugnò qualcosa e si girò dall’altra parte. La ragazza scivolò al suo fianco, sotto le lenzuola.
Chissà cosa stava sognando Bill. Chissà se sarebbe tornato a sorridere. Chissà se l’avrebbe perdonata.
Queste domande suonavano come un eco nella testa di Haylie, come se non fosse realmente lei a pensarle, come se non gliene importasse davvero. Come se fosse sospesa, in bilico fra la realtà e una dimensione parallela.
E così continuò ad essere. Scivolò nel sonno senza rendersene conto e, quando aprì gli occhi, le sembrò che fossero passati pochi istanti da quando li aveva chiusi. Sussurrò un lieve – Bill…? -, come se niente fosse successo, come se si fosse dimenticata di tutto. Ma sotto le lenzuola c’era solo lei.
Si mise lentamente a sedere sul bordo del letto, guardando fisso davanti a sé. Improvvisamente ricordò.
Il concerto… “In die Nacht”…
Una lacrima silenziosa rigò il suo volto d’avorio. Aveva rovinato tutto. E l’unica persona di cui aveva sempre avuto realmente bisogno ora stava male per colpa sua, e forse non sarebbe più guarita.
Chi era lei per fare tutto questo? Nessuno. Solo una stupida, insignificante bambina capricciosa. Che ci stava a fare lei, in quel piccolo mondo?
Chiuse gli occhi e un’altra lacrima scivolò giù, scomparendo nelle sue labbra.
Se non vi fosse mai entrata, le note di “In die Nacht” avrebbero riempito quello stadio.

 Tom rimase a fissare per qualche istante la sua chitarra prima di chiudere la zip della custodia.
Stupida, inutile chitarra.
No, non la Gibson. L’altra. La cosiddetta “chitarra classica”.
La sera prima non aveva suonato. E probabilmente non l’avrebbe più fatto per molto tempo. Non vi era motivo perché stesse lì a prendere polvere. La lasciò cadere con malagrazia sul letto, accanto al borsone.
Maledizione. Maledizione a lui, a lei, al mondo…
No. Non a lei. Lei non c’entrava.
Lei era solo caduta in una trappola che lui stesso le aveva teso, convinto di farle del bene. E invece l’aveva annientata. E Bill insieme a lei. Chissà come sarebbe andata…
Chissà cosa c’era adesso nei suoi occhi scuri.


 

Neanche quei crampi sempre più forti al basso ventre riuscivano in qualche modo a riportarla alla realtà. Era come in trance, sospesa.
Le tende di stoffa celeste svolazzavano di fronte a lei, segno che ancora qualcosa si muoveva, nel mondo là fuori. E lei voleva ascoltarlo, lasciarsi cullare dai suoi rumori, non pensare più a niente.
Non fu facile scavalcare il davanzale. Dovette issarsi con l’aiuto di tutt’e due le mani e aggrapparsi a un’anta della finestra prima di riuscire a sedervisi. Appoggiò la schiena alla parete e chiuse gli occhi, raccogliendo le ginocchia al petto per quanto il pancione glielo permettesse.
La finestra dava sul giardino dell’hotel, per fortuna. Chissà che confusione, che vocio, che inutile agitazione, se giù in strada l’avessero vista seduta sul davanzale. Ne avesse avuto la forza, sarebbe pure rimasta in piedi, per sentire il vento fresco batterle sulle gambe.
No, non avrebbero capito. Le avrebbero detto di stare calma, di non fare sciocchezze, ma non avrebbero capito. Lei non voleva mica fare di quelle sceneggiate. Oh, no… Voleva semplicemente star lì…
Era forse un reato?
No, certo che no… E non era niente in confronto al resto che aveva fatto. Tutto era niente in confronto.
Che buffo paragone. Il tutto e il niente. Due parole così grandi ma così piccole, così inutili.
Haylie chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore. Un’altra fitta, questa volta più forte.
E se fosse caduta? Non era da escludere. Con quei dolori ficcanti non era del tutto impossibile che perdesse l’equilibrio e cadesse di sotto. Erano al quinto piano. Avrebbe fatto poi così male?
Haylie non si stupì di prendere in considerazione quell’ipotesi con tanta indifferenza. Serenità, quasi.
Niente era da escludere, quindi era anche inutile programmare. Quel che sarebbe successo, lei l’avrebbe accettato. Non poteva lamentarsi.

 
Aprì la porta con cautela, timoroso di trovarsi di fronte un Bill più infuriato che mai per quell’irruzione, ma di certo non era preparato alla scena cui si trovò ad assistere.
Focalizzò solo un’informazione: Haylie era seduta sul davanzale della finestra aperta, e la stanza si trovava al quinto piano.
Gli ci volle qualche secondo per ritrovare la voce. – C-che cosa stai facendo? –
Lei voltò lentamente la testa. Quando lo vide, non disse nulla e tornò a guardare fuori. Perché, perché non poteva avere un attimo di pace? Perché nessun suo desiderio poteva essere esaudito?
Poco dopo, sentì la voce di Tom avvicinarsi. – Scendi di lì, Haylie – Sembrava quasi un comando.
Haylie scosse piano la testa. – Lasciami in pace – Sentì i muscoli irrigidirsi quando arrivò un’altra fitta, e la sua mano sinistra lasciò il bordo del davanzale per posarsi sul suo ventre.
Fosse stata un’altra circostanza, o un’altra persona, Tom si sarebbe imposto di restare calmo. Ma ora non era possibile.
- Haylie, ti ho detto scendi di lì! – ringhiò, muovendo qualche passo verso di lei.
- No! – Haylie si lasciò sfuggire un gemito, stringendosi la pancia tra le braccia. Non erano normali, quei dolori, e non accennavano neanche a smettere. – Ti prego… vattene… -
Tom avanzò ancora. La distanza tra di loro ormai era minima, non più di qualche centimetro…
- Non fare cazzate – sibilò. Haylie chiuse gli occhi e si morse le labbra, quasi non sentiva la sua voce, era troppo presa da quel dolore insopportabile per farlo… Cosa voleva, lui? Negarle quell’ultimo atto di egoismo? Riprese a respirare con più regolarità quando le sembrò che il dolore si alleviasse, ma ci fu una pausa tanto breve da non poterla calcolare prima che un’altra fitta, ancora più acuta, la facesse sentire come stretta in un’enorme tenaglia. E gli avvenimenti si susseguirono a una velocità sconvolgente.
Perse l’equilibrio. Una gamba le scivolò fuori della finestra e per un attimo si sentì trascinare verso il basso da una forza invisibile, forse da quel vento che aveva creduto amico. E si disse “E’ finita”.
Ma nello stesso momento in cui lo pensò, si sentì afferrare per la vita e tirare bruscamente indietro, e il suo cervello non riuscì a mandarle un comando diverso da quello che le disse di urlare.
- Lasciami! – strillò, aggrappandosi a un’anta della finestra. – Lasciami stare, vattene! –
- Cosa volevi fare, eh? – gridò Tom di rimando. – Pensi che sia una soluzione farsi un volo dalla finestra e rompersi il collo?! – Haylie non lo ascoltò, continuò solo a scalciare disperatamente.
- Ti ho detto… lasciami… - fece per protestare di nuovo, ma la sua esclamazione fu stroncata sul nascere dall’ennesima contrazione, che quasi le tolse il respiro. – Oh… oh dio, Tom! – ansimò, aggrappandosi alle sue braccia. Tom allentò la stretta, ma non la lasciò andare.
- Che succede, che hai? –
- Non… lo so… oh, dio! – Se non ci fosse stato lui a sorreggerla, sarebbe certamente caduta. Haylie non cercò più di tenere a bada il dolore. – Ti prego Tom… fa’ qualcosa… oddio… ti prego! –
Sapeva benissimo che lui non poteva fare niente. Ma le venne naturale chiedergli aiuto, anche se ormai non le era rimasto più nemmeno lui. La sofferenza era tale che non riuscì neanche a sentire cosa lui le disse dopo. Percepì la sua voce, ma non andò oltre. Distinse a malapena qualche parola prima di rendersi conto che Tom l’aveva aiutata a stendersi sul piccolo divano e che ora stava chiamando qualcuno dalla porta aperta.
Un nome familiare, ma che non riusciva a ricollegare a una fisionomia...
Poi un altro nome, il suo… – Haylie! - …pronunciato da un’altra voce ancora…
Lei non lo vide finché i loro visi non furono che a pochi centimetri di distanza, e anche allora credette di avere le allucinazioni. Non poteva essere. Non poteva essere lui…
Eppure poteva sentire quelle mani stringere le sue, quelle mani più che conosciute.
- B-Bill… - mormorò con la voce strozzata. Non ebbe bisogno di conferme, il calore del suo tocco era la prova che sì, lui era veramente lì. E non riuscì a frenare le lacrime. Non più per il dolore, ma per averlo visto lì accanto a lei, quando invece… - Perdonami Bill… - singhiozzò, aggrappandosi a lui.
Avvertì il suo respiro accelerato, i suoi gesti agitati, la sua mano scostarle i capelli dal viso.
- Andrà tutto bene, Haylie –
Come poteva non credergli?
Si aggrappò a quell’ultima speranza forse non del tutto vana, poi tutto si confuse.
Sentì una sirena. Non avvertì più il calore della stanza d’albergo, anzi, per un attimo le parve di percepire il vento fresco di giugno punzecchiarle le guance, nello stesso momento in cui vide due porticine aprirsi e degli sconosciuti parlare ad alta voce tra di loro.
Poi altre voci, più numerose e insistenti, delle pareti bianche, dei camici dello stesso colore.
Si sentì spostare su una barella subito prima che il dolore al basso ventre la accecasse un’altra volta, e poi vide le immagini intorno a sé scorrere come in una pellicola.
Solo una voce risaltava sulle altre, e con essa una figura che sembrava non volersi allontanare. La seguì finché non si vide portata un’altra stanza.
Lo guardò un’altra volta, come se dovesse essere l’ultima.
- Perdonami Haylie! – sentì urlare Bill prima che un’altra figura con il camice bianco lo tirasse via, nel momento in cui due porte bianche gli si chiudevano davanti.
Non riuscì a chiedersi il significato di quelle parole, non riuscì a sperare di morire perché quello strazio finisse. Solo un pensiero si fece strada nella sua mente.
 

Dà a questa bambina il suo destino. Fa’ che non soffra… ti prego. 

Rumori, immagini, odori, tutto si confuse, fino a diventare un enorme vortice nero, che la trascinò giù, sempre più giù…




Sì, lo so che sono una carogna. E sì, lo so che ho esagerato con l'emotività. Ma la scena della finestra (chiamiamola così) ce l'avevo in mente già da un po' e sentivo di doverla mettere. Questo capitolo è stato uno dei più difficili e infatti il risultato non mi lascia per nulla contenta ma, siccome sto già lavorando a qualcosa di nuovo, non mi andava di rifarlo da capo. Perchè sì, sarebbe cosa di riscriverlo. E io, i vostri commenti, li voglio su quello che sentivo realmetne di scrivere, non su un capitolo riveduto e corretto. A voi la parola

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***


Capitolo 19

Innanzitutto mi scuso per il ritardo mostruoso. Giusto adesso che devo postare gli ultimi capitoli, Internet è partito! Quindi ora devo aggiornare dal pc di mio padre (che mi concede di usarlo solo per le emergenze, umpf…). Mi scuso soprattutto con le ragazze le cui fic stanno tra i miei preferiti: mi rifarò con i commenti non appena il mio computer sarà tornato dalla clinica XD Intanto ringrazio chi ha commentato, sia le mie affezionate che le new entry (non è mai troppo tardi!), e vi prego di perdonarmi se l’ultimo capitolo, il prossimo, tarderà ad arrivare. Ebbene sì, questo è il penultimo –e sono già abbastanza immagonata di mio-, anche se, per vedere svelati tutti gli arcani, dovrete aspettare il prossimo. Ok, mi sono già dilungata troppo: vi lascio alla lettura, nella speranza di non deludervi e di trovare i vostri commenti –non sapete quanto mi mancheranno! Baci

Capitolo 19

 
Il suo pensiero volò a lei ancora una volta.
Ora sì, ora sarebbe stata felice.
E anche lui.
Lo meritavano. E, per una volta, fu certo di aver fatto la scelta giusta. Anche a costo di non assistere al momento che aveva aspettato per mesi come se lo riguardasse davvero.

 “Ovunque io sarò
comunque mi resterà qualcosa di te
forse attimi ma… eterni”

Haylie aprì lentamente gli occhi, ma li richiuse subito dopo a causa della sgradevole sensazione che le suscitò il suo tornare in stato cosciente.
Si passò una mano sul viso. Quanto aveva dormito? Ore, sicuramente. Forse anche di più…
Ritentò di aprire gli occhi, ma, quando lo fece, credette di avere avuto un’altra allucinazione. Non poteva esserci veramente Bill seduto accanto al suo letto.
- S-sei tu…? – biascicò. Fu solo la sorpresa di vederlo ad impedirle di badare al flebile tono della sua voce.
Quando lui le si avvicinò, non vide che una strana macchia deforme. Forse stava sognando.
- Haylie! Oh, Haylie, stai bene? – Anche lui aveva una voce strana, rauca. Sì, c’erano tutti i presupposti perché quella fosse una dimensione parallela, e non la realtà. Haylie corrugò le sopracciglia.
- Bill… - riuscì solo a rantolare. – Da quanto… da quanto sono qui? –
- Un po’ – lo sentì rispondere. Subito dopo, le sembrò che deglutisse. – Come ti senti? –
Haylie richiuse gli occhi. Si sentiva come se un trapano le avesse bucato il cervello da parte a parte.
- Non dovresti… neanche… chiedermelo – Cercò di pescare qualcosa nella propria mente, qualcosa che le dicesse perché si trovava lì, perché si sentiva così estenuata. Un momento dopo, delle immagini affiorarono, accompagnate da pochi, indistinti suoni. Ma bastarono a riportarle tutto in mente. – Bill… la nostra bambina… - mormorò, socchiudendo gli occhi. Questa volta riuscì a vederlo chiaramente. Riuscì a vederlo mentre la sua espressione cambiava di colpo, mentre si mordeva le labbra e distoglieva lo sguardo. Qualcosa non quadrava.
Cercò di tirarsi a sedere. – La bambina, Bill. Dov’è? – insistette, senza curarsi di nascondere lo sforzo. Il ragazzo non fece altro che accompagnarla con la testa sul cuscino e dirle:
- Stai giù, Haylie. Per favore –
Tutto ciò non aveva senso. Di certo, non si sarebbe mai aspettata di trovare Bill accanto a sé, e adesso… cos’era quella faccia, cos’era quella voce, cos’erano quei modi?
- Bill… -
- Ti prego – Bill le rivolse uno sguardo strano, che doveva aver già visto. Supplichevole, forse?
- Dimmi dov’è! – sbottò lei con quel poco di voce che aveva. Lui deglutì e non rispose. – Bill, ti prego – lo implorò Haylie, aggrappandosi alla sua maglietta.
Bill prese le sue mani e le allontanò dalle proprie spalle, per poi stringerle tra le dita. Haylie le sentì fredde come non erano mai state, e quasi rabbrividì nello stesso istante in cui vide le labbra di Bill tremare appena.
- Non c’è – lo sentì sussurrare mentre la sua mano le accarezzava lentamente un braccio, ma non riuscì a dare un senso a quelle parole.
- C-che vuol dire? – Anche quella volta Bill non rispose subito, sembrava che la supplicasse di non farlo rispondere, di risparmiargli qualcosa. Ma lei non era disposta a questo. – Bill
Lui chinò la testa e si coprì il viso con una mano, ma Haylie lesse in quel gesto la risposta che non avrebbe mai voluto sentire.

No
- N-non ce l’ha fatta… E’... è nata morta –
 

Un vuoto. Un enorme, infinito buco nero la stava risucchiando, togliendole la vista, l’udito, tutto. Quella voce non era che un lontano ronzio, quelle parole non racchiudevano la verità, no, non poteva essere…
Quella stanza dalle pareti bianche non era altro che l’Inferno, e quel grido, quel grido che sentiva crescere dentro di sé, era il Diavolo, era la voce che le ricordava, e le avrebbe sempre ricordato i suoi peccati…
- No - L’unica reazione che riuscì ad avere fu quella di scuotere lentamente la testa.
Semplicemente, non era possibile…
E allora perché Bill le accarezzava i capelli e le teneva una mano e aveva gli occhi lucidi? Non aveva senso… - Haylie, io… -
- No, non è vero – La sua voce non era che un lievissimo sussurro, ma la sua affermazione risultò tanto carica di convinzione che Bill non poté fare a meno di guardarla sentendo una sensazione molto simile al timore. Allungò una mano, incerto, e le sfiorò il viso.
- Haylie, è… è terribile, ma… ma è vero… – Non sapeva in che altro modo dirlo. Qualsiasi espressione gli sarebbe sembrata inappropriata. Haylie gli schiaffeggiò via la mano, un’espressione di rabbia cieca dipinta in volto.
- Non è vero! – urlò, la voce ancora roca. – Non ti credo, non è vero… io… n-non… No! – gemette poi, coprendosi il viso con le mani e cominciando a piangere, come se quella verità l’avesse colpita solo in quell’istante. Aveva impiegato più del necessario per assemblarla, e adesso sembrava dieci volte più dolorosa di quanto avrebbe dovuto essere.
Non trovò nessun sollievo nell’abbraccio di Bill, e continuò a singhiozzare inconsolabilmente.
- Tesoro… - mormorò lui, stringendola forte e cercando di calmarla.
- Perché? Perché?! – gemette Haylie, aggrappandosi alle sue spalle fino a fargli male. Quasi prendendosela con lui, lui che non aveva fatto niente, lui che invece era stato ferito, lui che non avrebbe dovuto essere lì, non dopo quel che lei gli aveva fatto.
- Non lo so, piccola. Non lo so – sussurrò lui con la voce spezzata, cullandola piano. Lei continuò a piangere, i singulti soffocati sul petto di Bill.
- E tu… perché sei qui? – singhiozzò, con tono quasi accusatorio. – N-non dovresti neanche… esserci… Non per me… Non dopo… tutto… - Erano frasi senza senso, se ascoltate dal di fuori, ma racchiudevano tutto il dolore, tutta la rabbia accumulata in quei mesi, quello struggimento che ora faceva più male di quanto Haylie si sarebbe aspettata.
- E invece sì, Haylie – Bill la strinse più forte, e provò uno strano sollievo quando sentì i pugni di lei chiudersi attorno a due lembi della sua maglia. – Sono qui. Stai tranquilla –
- Non posso… non posso! – singhiozzò Haylie. Quelle parole avrebbero dovuto consolarla, e invece non fecero che aumentare il suo sconforto. Si era lasciata sfuggire la situazione di mano ed ecco il risultato. Una vita sacrificata per un capriccio, e non una vita qualsiasi. E ora perché Bill faceva così? Perché non la mandava al diavolo una volta per tutte? Come poteva essere lì, abbracciarla, consolarla…? – Tu non devi essere qui… non devi essere con me… Ti ho fatto… troppo male, Bill… -
Lui scosse la testa, accarezzandole i capelli. – Sssh. Non hai fatto nulla, piccola. Non hai fatto nulla –
E ne era persino convinto…
Haylie sentì un’ondata di rabbia. Non voleva niente che non meritasse, e la presenza di Bill rientrava nell’elenco. Anzi, era al primo posto.
- Perché dici così? – gemette, un’evidente nota di sofferenza nella voce. Stava male abbastanza, non voleva altri sensi di colpa… - Non è vero… non è vero… -
Bill la prese per le spalle, allontanandola un po’ da sé. Haylie notò che aveva ancora gli occhi lucidi, ma il suo sguardo era deciso, convinto. – Basta così, Haylie. Stiamo tutti abbastanza male. Ne riparleremo dopo, ok? –
Lei tremò appena nel guardarlo, e si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
- Ne parleremo… vero? –
Bill sorrise. Era un sorriso stanco, malinconico, ma sincero. Sincero come lui era sempre stato. Le sfiorò il viso con una carezza. – Sì, parleremo di tutto. Ma adesso riposati. Per favore –
Lei tirò su col naso e, istintivamente, gli strinse una mano.
- Non andartene – lo supplicò, la voce ancora vibrante. Lui annuì, sorridendo ancora, e la accompagnò con la testa sul cuscino. Posò un bacio sulla sua fronte.
- Sono qui con te – mormorò a fior di labbra.
Haylie chiuse gli occhi, rasserenata da quella consapevolezza. Era inutile chiedersi ancora perché lui fosse lì, era inutile rimuginare. Non doveva fare altro che credergli, affidarsi a lui… e ascoltarlo, quando sarebbe arrivato il momento.
Glielo doveva.

Non voleva svegliarsi.
Sprofondare in un sonno perenne, ecco cosa avrebbe voluto. Morire? No, forse quello no. Ma lasciarsi andare, chiudere gli occhi e farsi cullare, questo sì. Non per spiare il mondo dall’esterno, non per guardare senza essere guardata lei stessa. Anzi, non voleva saperne più niente…
Si costrinse ad aprire gli occhi. Non doveva essere passato molto tempo: dalla finestra semi aperta filtrava un sottile fascio di luce non tanto intensa quanto quella che aveva lasciato scivolando nel sonno. Forse era passato un giorno, o due. Per quel che la riguardava, poteva anche essere trascorsa una settimana, lei non sentiva nessun cambiamento.
Una macchia indistinta si mosse accanto alla finestra e tutt’a un tratto la stanza si riempì della luce pomeridiana. Haylie sbatté le palpebre, ma prima che potesse mettere a fuoco la figura, questa parlò.
- Haylie…! –
Le bastò per capire che Bill era ancora lì. Chissà se, mentre lei dormiva, si era allontanato o le era rimasto accanto.
L’unica cosa che sentì quando il ragazzo tornò a sedersi accanto al letto fu l’improvviso bisogno di rimanere desta. La sua vicinanza contribuì ad allontanare almeno un po’ il desiderio del sonno perenne.
- …sei già sveglia? –
Voleva anche mettersi a sedere, star lì ferma e ben dritta di fronte a lui, le aveva promesso che avrebbero parlato… ma si rese conto che era ancora presto per raccogliere le forze necessarie e si limitò a chiamarlo fievolmente per nome. – Bill… -
Le parve che un angolo della sua bocca si alzasse.
- Come stai? –
Il suo tono era basso, delicato, e in quel momento Haylie non avrebbe potuto desiderare di sentire altro. Non aveva bisogno di confusione o di rumore.
Avrebbe voluto che qualcuno le cantasse una ninna-nanna per farle dormire sonni tranquilli, per una volta…
Questo pensiero le riportò in mente il motivo per cui non avrebbe potuto rispondere positivamente alla domanda di Bill. Tirò un profondo respiro, voltando la testa verso di lui. Nel suo sguardo riuscì solo a leggere il pentimento per averle posto quella domanda.
- Uno schifo – rispose sinceramente, a voce ancora più bassa. Sembrava che avesse urlato per tre ore consecutive, dal bruciore che e aveva attanagliato la gola.
Deglutì. Non voleva riportare in mente quel pensiero. Cercò qualche parola da mettere insieme pur di non parlare di quello. – Quanto ho dormito? – sussurrò, lasciandosi sfuggire un piccolo colpo di tosse.
- Meno di due ore – Bill non sembrava arrabbiato, solo… imbarazzato, ecco. – Ma dopo che… beh… che sei arrivata qui, non hai aperto gli occhi per un giorno intero. Ti hanno riempita di sedativi. Ero… preoccupato da morire – ammise, con una nota di angoscia negli occhi.
Nonostante le forze ridotte al minimo le impedissero persino di provare emozioni troppo forti, Haylie sentì un’improvvisa ondata di tenerezza per lui. Miracolosamente, riuscì a trovare le energie per tirarsi un po’ su, con le spalle sui cuscini.
- Non avresti dovuto – mormorò, chinando la testa. Bill le prese una mano e sospirò sorridendo.
- Non dire sciocchezze. Non aspettavo altro che tu ti svegliassi –
Lei alzò lo sguardo verso di lui, non potendo nascondere un certo timore.
- Bill, perché sei qui? – si sentì chiedergli. – Come fai a… parlarmi così dopo… dopo tutto…? –
Lui sospirò pesantemente e il sorriso scomparve dalle sue labbra.
- Haylie, sono successe tante cose. Io ho detto la mia, ma… ma non ho ascoltato quello che avevi da dire. Non siamo stati in pochi a sbagliare – Si costrinse a mettere su un sorriso, ma ebbe l’impressione di non risultare molto convincente. – Anch’io ti devo le mie scuse. Forse… forse quel giorno, in camera, non avrei fatto la scena madre se non… insomma, se non ci fosse stato anche lui
Haylie trasalì quando gli sentì pronunciare quel “lui”. Se avesse chiamato suo fratello per nome, forse il tutto sarebbe risultato meno pesante.
- Bill, voi… vi siete visti, avete parlato… vero? –
La sua domanda risultò simile ad un’accorata richiesta, una ricerca di conferme, una supplica, quasi. Ma quando Bill sollevò lo sguardo fino a incrociare il suo, sentì le sue speranze disintegrarsi di colpo.
- No – La sua risposta secca e lapidaria fu come un colpo di frusta. – Non mi andava di vederlo, ma pare che anche lui fosse dello stesso avviso –
Lei sbatté le palpebre, incerta. - Che vuoi dire? –
Bill la guardò in silenzio per qualche istante prima di voltarsi e cercare qualcosa nella tasca posteriore dei suoi jeans. Ne estrasse una busta da lettere piegata in quattro, aperta. La spiegò senza guardarla, e Haylie notò che all’esterno non vi era scritto nulla, né il mittente né il destinatario, sebbene non le riuscisse troppo difficile immaginare da parte di chi fosse. – E’ così che Gustav me l’ha data… - Prese un profondo respiro. – Tom… - pronunciò lentamente, a voce più bassa, come se gli costasse un enorme sforzo, - non si è più fatto vedere dopo che ti hanno portata qui. Ha lasciato questa a Gustav – La fissò per pochi attimi, poi sollevò nuovamente lo sguardo. – Io non l’ho letta, e… non so se ho intenzione di farlo –
La mise lentamente in mano ad Haylie, che lo guardò senza capire.
- Perché no…? – Lui non rispose, si limitò ad incrociare le braccia sul petto. – Bill, perché con me vuoi scusarti e lui non vuoi neanche vederlo? –
- Aprila tu – disse seccamente Bill, glissando sulla domanda. – Sicuramente è per te –
- Se non la leggi anche tu, puoi buttarla nel cestino – replicò fermamente Haylie. Per un attimo, fu come se tutto ruotasse attorno a quella lettera, come se esistessero solo lei e Bill, come se quell’avvenimento drammatico per cui si trovava ancora in ospedale non fosse mai esistito. La sua voce tornò a un tono più basso: - Ti prego. Voglio che anche tu la legga – Si bloccò per qualche istante. - …tanto non ho niente da nasconderti –
Bill la guardò in silenzio per pochi attimi prima di annuire sospirando. – Va bene –
Fu con mani tremanti che la ragazza tirò fuori dalla busta un foglio ricoperto da una grafia piccola e irregolare.

 
Ragazzi,
non ho idea di come dovrei cominciare questa lettera, quindi… comincio e basta. Non escludo la possibilità di riempirla dei miei deliri, ma proverò a scrivere qualcosa di sensato.
Sento innanzitutto il bisogno di scusarmi con entrambi. Non ho niente da offrirvi oltre alle mie scuse, e spero davvero che le accetterete, ma non pretendo che voi mi perdoniate. Sarebbe davvero troppo. Ho fatto molti errori e poche scelte sensate, ma penso che, se i miei ultimi capricci da bambino irresponsabile hanno superato ogni aspettativa, per una volta sarò anche certo di aver preso la decisione giusta.
Prima di tutte, quella di intestare questa lettera a tutti e due. Non al fratello che ho tradito, non alla ragazza che ho amato nel modo sbagliato, ma alla coppia che formano e che non dovrà sfaldarsi mai. So che siete entrambi troppo puliti, troppo onesti per portarvi rancore. Quello che lo meriterebbe sono io, ma… beh, decidete voi cosa pensare di me.
Ma io preferisco facilitarvi questo compito. Come dire…? Parto, me ne vado per un po’, cambio aria. Ora starete scuotendo la testa, alzando gli occhi al cielo e pensando che cambierò idea in tre giorni perché non so neanche badare a me stesso. Forse avete ragione, ma prima o poi dovrò imparare, no? , e allora questo è il momento più adatto per farlo. E ora devo rivolgermi singolarmente a ognuno di voi.
Bill, non ti provare a mettere in giro voci del tipo “i Tokio Hotel si sono presi una pausa”, perché tanto lo verrò a sapere.
Tu sei i Tokio Hotel, tu sei la voce, tu sei la musica. Trovati un altro chitarrista, oppure fate a meno di me per un po’, ma manda avanti il gruppo. Tornerò, non ti credere. E’ che… non so quando. Per allora spero che tu sarai lì ad accogliermi… ma forse chiedo troppo.
Haylie: e tu, non provare a colpevolizzarti. E’ vero, forse avresti potuto renderti più forte, ma… chi può dirlo? E’ inutile stare a cercare un responsabile. In te c’è una nuova vita, e questo deve bastarti. Adesso ce ne sono due che devi portare avanti assieme alla tua: quella di Bill e quella della bambina che nascerà. Io avei voluto esserci, Haylie, ma… beh, semplicemente non mi sembra giusto. E’ il vostro momento, siete voi che dovete festeggiarlo.
Ti ho amata, Haylie, e ti amo ancora, ma forse non nel modo che credevamo. Ti amo come persona, come amica, come la ragazza che farà felice mio fratello. Perdonami Haylie, ma sono sicuro che capirai cosa voglio dire e ti accorgerai di pensarla come me. Ti ci vorrà meno tempo di quanto immagini, credimi. E poi… amare è gioia, no? E allora devo aver sicuramente sbagliato qualcosa, perché la tua gioia non è con me.
Non ho il diritto di togliere alle persone più importanti della mia vita ciò che
per loro è importante.
Amatevi, ragazzi. Magari non scordatevi completamente di me, provate a considerarmi come il piccolo impiccio che ha messo alla prova il vostro amore. Ora che sarò lontano avrete tutto il tempo di spiegarvi e di parlare.
Sì, parlare. Davvero, è l’unica cosa che dovete fare, perché il resto… beh, il resto ce l’avete già.
Un abbraccio
Tom

“Dimentica tutti quei giorni, perché l’amore è fisico,
gli addio e i ritorni, era una storia che viveva in bilico
un sentimento così forte che spesso passa il limite
non vuoi lasciarlo andare
perché in fondo sai che non ti lascerà.
Dimentica il dolore e forse l’amore ti ripagherà
Dimentica, tu fallo per me
che ancora non so dimenticare te”

(Raf, “Dimentica”)

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Capitolo 20
*** Epilogo - Superstiti ***


Non voglio rovinarvi con troppe parole la lettura di quest’ultimo capitolo. Vi rimando ai ringraziamenti in fondo alla pagina.

 
Epilogo – Superstiti

“Senza incontrare mai gli sguardi
parliamo a lungo dei tuoi sbagli
di storie in cui hai creduto
e foto che poi hai strappato
e di ferite aperte, di parole sempre le stesse,
dette ma svuotate, perciò dimenticate.
Sai che c’è, c’è che prima o poi
ti accorgerai che
io sono quello che hai voluto,
che da sempre hai cercato…”
 

Tutto quello che venne dopo fu silenzio. Un silenzio insopportabile, rotto solo dal respiro di Bill, regolare anche se un po’ accelerato. Haylie ripiegò la lettera, in un movimento quasi meccanico.
- Non si è neanche degnato di dirmelo in faccia – disse infine Bill, la voce bassa, metallica.
- Bill… - Haylie lo guardò quasi intimorita. – Non… non essere così duro. Non hai letto quello che ti ha scritto? – Le sembrava quasi inopportuno parlare così, ma non poteva sopportare l’espressione di Bill. – Ti ha detto di continuare con i Tokio Hotel, nonostante tutto… -
- Può scommetterci che continuo – ribatté aspramente lui. – Prima o poi smetterà di credere che il mondo ruoti attorno a lui – Haylie sospirò, mettendo da parte la lettera, e gli rivolse uno sguardo implorante.
- Bill, ti prego – L’espressione del ragazzo era risoluta, ma sembrò che si addolcisse quando i loro sguardi si incontrarono. – Non dire così. Perché te la prendi solo con lui? E’ anche colpa mia. Anzi no, è soprattutto colpa mia – Bill non disse nulla, si limitò a rivolgerle uno sguardo che chiunque avrebbe definito combattuto, ma Haylie non vi prestò attenzione. – Perché allora non te la prendi anche con me? Non voglio che… che mi tratti bene solo per… - La sua voce si abbassò. Non voleva dire quella parola, ma si costrinse a cavarla fuori dalla bocca. - …per pena –
Bill aggrottò le sopracciglia. – Come? –
- Hai capito. Non voglio che tu sia gentile con me solo per quello che è successo… per la bambina – Le costò un enorme sforzo dirlo, ma era effettivamente quello il dubbio che la tormentava. Per un attimo, sembrò che i lineamenti di Bill si indurissero di nuovo.
- Quella bambina l’ho persa anch’io – disse tra i denti. Haylie deglutì, incapace di parlare, e chinò la testa. Non sapeva come chiamare la sensazione che quelle parole risvegliarono in lei, ma di certo non era nulla di piacevole.
Quando sentì la mano di Bill sfiorarle una spalla, per un attimo ebbe la tentazione di allontanarla, ma il bisogno di un conforto era troppo intenso per permetterle di rifiutare quel contatto. – Dio, scusami. Scusami Haylie, non volevo dire questo – mormorò lui.
- No, hai ragione – bisbigliò impercettibilmente Haylie, senza neanche guardarlo. Subito dopo, le dita di Bill le sfiorarono il mento, per poi sollevarle la testa, facendo sì che i loro occhi si incrociassero.
E Haylie non vide più la minima traccia di ira sul suo viso.
- Ti prego, smettila di dire che ho ragione. Non lo sopporto – Bill si morse il labbro inferiore. – E non è vero – Haylie non disse nulla. – E’ che… ho perso da talmente tanto tempo l’abitudine di parlare che… quando lo faccio, dico solo cose sbagliate –
Haylie passò oltre quell’affermazione. Bill non aveva ancora risposto alla sua domanda.
- Perché non te la prendi anche con me? –
Aveva quasi paura che Bill venisse colto nuovamente dalla rabbia a quell’ennesima ripetizione, ma, quando lui la guardò, nei suoi occhi non riuscì a leggere altro che il senso di colpa.
- Perché sono io che ho sbagliato tutto. Tu… tu mi hai solo visto dall’esterno, ci sei stata male e… e hai cercato conforto. Tom non ne aveva bisogno, lui non c’entrava niente in questa situazione –
Anche a quel proposito avrebbe avuto molto da dire. Tom era suo fratello.
Ma capì anche che, almeno per il momento, era inutile insistere. Fu il resto del breve discorso di Bill a colpirla. Dunque aveva capito che lei aveva sofferto per qualcosa. E allora…?
- Come fai a sapere che…? –
Non seppe come continuare la domanda. Bill sospirò lievemente.
- Haylie, non sono tanto diversi i difetti che mi vengono rimproverati. E’ vero, sono distratto, sono egocentrico. Ma non sono completamente stupido. O meglio… - Si interruppe solo per lasciarsi andare a una strana risata, una risata debole e carica di amarezza. - …credevo di non esserlo. Forse dovrei rivedere un po’ i miei giudizi a questo proposito –
Lei tacque, in attesa.
- Haylie, tu mi conosci. Io… mi sono sempre sentito inadatto. In questi anni non è passato giorno senza che io mi chiedessi se era davvero questo che volevi. Se volevi questa vita, questo mondo… se volevi me. Forse è vero che ho sempre dato tutto per scontato, ma… del resto, ci si abitua. Dopo un po’ pensi che tutto ti sia dovuto. Ma se c’è qualcosa che non ho mai, mai dato per scontato, era… eri tu, Haylie –
Adesso avrebbe voluto ribattere, ma, stranamente, le mancavano le parole.
Si limitò a fissarlo, immobile, le labbra socchiuse, ancora in attesa.
Poteva leggere di tutto nei suoi gesti: paura di cadere nella banalità, di peccare di ipocrisia, e chissà quant’altro. Ma forse, senza rendersene conto, Bill non stava facendo altro che dirle quelle parole che Haylie, inconsapevolmente, aspettava da anche troppo tempo.
- Quando mi hai detto che eri incinta, mi sono sentito così felice che per un attimo non ho badato a quel tuo timore nel dirmelo. Era qualcosa che non aspettavo, sì, anzi forse era l’ultimo dei miei pensieri… ma quando me l’hai detto, mi sono sentito come se non avessi bisogno di altro per essere felice – Bill proseguiva a parlare a bassa voce, quasi stesse raccontando una favola, una storia inventata. Teneva il capo chino, non osava alzare lo sguardo per paura di incontrarne uno carico di odio, di disprezzo. Se solo avesse visto quale effettivamente fosse lo sguardo di Haylie, non ci avrebbe messo molto a ricredersi. – All’inizio vedevo tutto rose e fiori, tu sembravi contenta, e anche gli altri lo erano. Certo, per i primi giorni sono stato preso da uno strano timore, come se… se non mi fossi reso ancora completamente conto di quello che stava succedendo. Ho cominciato a chiedermi come sarei stato come padre, e anche lì… per un attimo, anche se avevo paura ad ammetterlo, ho sentito odore di fallimento –
Il tono di Bill si abbassò ulteriormente e Haylie trattenne il respiro.
- Ero felice. Non avevo idea di come avremmo fatto dopo, ma ero felice. Perché se lo eri anche tu, voleva dire che… che mi amavi. Che ti bastavo –
Haylie si sentì punta sul vivo, e tutti i suoi sensi di colpa le si rovesciarono addosso come un torrente. Era ovvio che la spiegazione di Bill non era terminata, anzi, era appena cominciata, ma a quel punto la ragazza non riuscì a frenarsi.
- Bill, io non… - Ma lui la interruppe con un gesto della mano.
- No, Haylie. Lasciami spiegare. Avrei dovuto farlo molto prima –
Haylie si zittì, vergognandosi –se possibile- ancora di più, e Bill riprese a parlare.
- Ti ricordi di quel giorno, quando tu volevi per forza lavare i piatti e io non te l’ho permesso? – Ne accennò come se fosse stato un ricordo molto lontano, un qualcosa di astratto, quasi. Haylie annuì lentamente. – Quel giorno… e non per la prima volta, io… ho avuto paura che non avrei mai capito cosa tu volessi davvero. Tu volevi muoverti, e io volevo che tu ti riposassi. Tu sentivi il bisogno di stare all’aperto, e io volevo che tu restassi dentro. Forse era egoismo, forse era paura… chiamala come vuoi. So solo che era… qualcosa di insopportabile. Tutto quello che desideravo era che tu stessi bene, ma evidentemente lo desideravo in modo diverso da te. E questo… non lo sopportavo –
I mesi passati, i primi giorni di tensione, tutto riaffiorò, come in un film, forse a causa di quel tono nostalgico e malinconico che riempiva il vuoto di quella stanza…
- Avevo una paura folle di sbagliare, di rovinare tutto, di perderti. Mi dicevo che era un’esagerazione, ma poi… Poi un giorno mi hai detto che niente è sottinteso. Me lo ricordo come se fosse ieri. Credevi che io quel bambino non lo volessi, che io non capii perché… Ero stato anche troppo assillante perché tu potessi avere questo dubbio. Ed è stato lì che non ho più avuto paura di sbagliare. Ormai ne ero certo
Era come se lo stesse vedendo morire lentamente davanti ai suoi occhi, sotto le sue stesse mani, per una seconda volta…
- Quel periodo sarebbe stato il più bello della mia vita, e volevo che fosse così anche per te. Volevo che tu ti sentissi felice, libera, tranquilla, e invece… non riuscivo a vederti così. Era come se tu covassi qualcosa, un segreto che ti logorava dentro. Ogni tanto dovevo assentarmi, ma questo è successo così tante volte che non pensavo sarebbe stato un problema… Anche perché avevo preso la mia decisione. Se non fossi riuscito a capire e accontentare i tuoi desideri, io… beh, mi sarei messo da parte. Era questo che pensavo, che tu volessi goderti questo momento, senza che io ti mettessi ansia addosso con la mia iper protezione. Non volevo che tu ti rovinassi la gioia dell’attesa… -
Ci fa una breve pausa, e lei si sarebbe messa a urlare. Era davvero l’unica cosa che l’istinto le suggerisse…
- Però mi mancavi. Avrei voluto passare tutto il giorno accanto a te, avrei mandato al diavolo tutte le interviste, tutti i concerti… alla fine non era quello che mi importava. Tutto quello che volevo era vederti sorridere, ma questo capitava sempre più raramente, e io… mi disperavo, perché ancora una volta non riuscivo a interpretare i tuoi pensieri. Eri distante, ogni tanto mi sembrava che tutto fosse tornato come prima… e invece non era così. Non desideravo altro che entrare nella tua testa e leggerti nel pensiero, perché non sapevo in che altro modo avrei potuto… capire. Avevo quasi paura di toccarti, perché non sapevo che reazione avresti avuto. Sembravi ogni giorno più triste e io ancora non capivo. Le notti in cui sono rimasto sveglio a rimuginare le avrei passate a fare l’amore con te, ma… più ti vedevo lontana, più mi riusciva difficile fare un passo avanti. Mi chiedevo cosa potessi fare, ma non trovavo mai risposta. Ho chiesto aiuto, ho cercato conforto… -

Ti prego, dillo. Pronuncia quel nome. Dì che gli vuoi bene…
- …e ho pure creduto che bastasse. Ma non ce l’ho fatta. E poi… quando mi hai detto che… quando mi hai raccontato quello che era successo, io… non ho fatto altro che pensare che era vero, che avevo sbagliato tutto -

E allora dì che mi odi. Dì che ci odi tutti e due.
Bill seppellì il viso tra le mani e fu scosso da un tremito. Haylie non riuscì a muovere un muscolo.
L’unico gesto che le riuscì di compiere fu quello di sbattere le palpebre e biascicare un debole:
- Perché non mi hai detto niente? –
- Io avevo paura… una fottuta paura di perderti… - La voce di Bill era già diversa, incrinata. Le mani gli tremavano leggermente, e il suo viso rimase nascosto tra le dita. – E mi sono accontentato… di averti accanto senza dirti… senza spiegarti il motivo… che se mi sono allontanato, era perché credevo l’avessi fatto tu, e… - Bill alzò la testa di qualche centimetro, e Haylie si sentì morire quando vide quella terribile desolazione, quel vuoto riempire i suoi occhi. - …ed è bastata una semplice dimenticanza… una distrazione… per farti credere che non me ne importasse nulla di te –
E ricordò. Un’ecografia… un impegno passato di mente. Cosa poteva importarle del sesso della creatura che aveva portato dentro per mesi? Ormai l’aveva persa per sempre.
Haylie si morse le labbra, quasi lacerandosi la carne con i denti. Non le importava. Anzi no, se si fosse ferita sarebbe stato anche meglio, dopo quello che era stata costretta a sentire. – E se sei arrivata a credere questo vuol dire che… che devo aver sbagliato per forza, perché… perché anche se non sono riuscito a dimostrartelo, tu sei sempre stata la persona più importante della mia vita! – gemette Bill, nascondendo un’altra volta il viso tra le mani, mentre le sue spalle venivano scosse da un sussulto e la sua voce si spezzava in un singhiozzo.
Per pochi, infiniti attimi, Haylie non seppe cosa fare né cosa dire.
Aveva paura che, se avesse compiuto un qualsiasi gesto o pronunciato una sola parola, poi l’avrebbe visto definitivamente annientato, distrutto. Ucciso dai suoi errori e dai suoi capricci.
Poi l’istinto le suggerì di compiere quel semplice e forse inutile gesto che in quei mesi non aveva mai pensato di fare.
Lo abbracciò. Lo strinse a sé con delicatezza, tremando, con paura. Paura che la respingesse. Ma poi lo sentì chinare la testa e abbandonarsi a un pianto convulso, nascondendo il viso nel suo seno, lo sentì aggrapparsi a lei e allora niente ebbe più senso che stringerlo forte e assorbire il suo dolore.
Posò le labbra sui suoi capelli, sentendolo sussultare.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma, ancora una volta, le parole non uscirono fuori. E lei le odiò. Tutte le cose non dette, tutte le parole lasciate in sospeso che, giorno dopo giorno, li avevano lentamente annientati.
Gli accarezzò dolcemente i capelli quando sentì i suoi singhiozzi diminuire, e aspettò che la sua testa si alzasse di poco per prendergli l viso tra le mani e incontrare il suo sguardo.
Era un bambino. Un bambino con gli occhi rossi e il respiro affannoso, un bambino dai sogni dispersi.
- E’ stata… tutta colpa mia – disse con la voce arrochita dal pianto. E lei non sopportò di sentirglielo dire ancora.
- Non è vero, Bill, non è stata colpa tua – Cercò di sorridergli, scostandogli una ciocca di capelli dal viso.
- Anche Tom mi aveva detto così… e invece non era vero. Non era vero niente –
- Tom era distrutto dal senso di colpa nei tuoi confronti. E lo era perché io non ho saputo dargli altro che rabbia, e risentimento… - Bill la guardò in silenzio per qualche secondo, poi la sua voce si levò come un alito di vento.
- Eri felice con lui? – Lo chiese a voce bassa, come se neanche lui volesse sentirsi. Haylie deglutì. Ormai non gli avrebbe più mentito.
- No, perché credevo di aver perso te – Le mani di Bill si chiusero sui suoi piccoli pugni, stringendoli con delicatezza. – Forse all’inizio ho pensato di vedere te in lui, ma non era così. Non ho fatto altro che renderlo infelice – Bill tirò su col naso, ma quell’ultima frase non risvegliò in lui nessuna emozione.
- Non voglio più vederlo – mormorò, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Per Haylie fu come un pugno. Non importava più cosa potessero pensare di lei, voleva solo che si abbracciassero.
- Non dire così – lo supplicò, ma Bill non rispose, seguitando a fissare il pavimento. Haylie mandò giù il nodo che le si era formato in gola.
- Se ci fossimo detti tutto quello che c’era da dire… questo non sarebbe successo – Bill si strinse il busto tra le braccia, come se sentisse freddo. – E ora è troppo tardi – Haylie fu colta da un improvviso senso di terrore nel sentirlo parlare così.
- Perché? – Bill alzò la testa e la guardò. Le bastò quel semplice gesto per farle girare lo stomaco.
- Cosa senti… adesso… verso di me? – le chiese lentamente. Haylie esitò prima di rispondere.
- Rimorso – disse infine. – E senso di colpa… e rabbia, per quello che ho fatto… - Tacque per qualche istante. – E tu? –
- Lo stesso, credo – Bill si torturò le unghie con i denti per qualche istante. – Avrei voluto dirti così tante cose… -
La presa di Haylie sulle sue dita si rafforzò istintivamente. – Dimmele adesso –
- Penso di poterle riassumere in una parola – Bill esitò. – Io… oh, mi sento pure stupido a dirlo, ma è la verità. Ti amo, Haylie. Ti amo... più di quanto tu immagini –
Quel ti amo sottinteso, che lo era stato per mesi, impedendole di dormire la notte, ora se l’era ritrovato davanti. E non ci volle molto per capire che quelle erano le uniche parole che aspettava.
Non ebbe il tempo di rispondere, perché Bill prese nuovamente la parola, se possibile con ancor più timidezza. – Tu… mi ami, Haylie? – Ci fu una breve pausa. Bill interpretò il suo silenzio nel modo sbagliato. – Non sei costretta a dirmi niente. Io voglio solo… che tu sia sincera –
Quel silenzio non era dettato dall’indecisione. Era solo un confuso ricordare, un’assemblare immagini che andavano pian piano a definirsi meglio. Aveva già sentito quella domanda, e non aveva risposto. Da lì era cominciato tutto. O meglio, tutto aveva cominciato a finire.
Se solo si fosse sentita sicura, prima.
Se solo si fosse sentita sicura come lo era adesso.
- Sì, Bill. Ti amo –
Lui sbatté le palpebre, incerto. Sembrò che fosse incredulo, che cercasse qualcosa di più nei suoi occhi. Mai come allora Haylie aveva sentito il bisogno di donargli sicurezza, una certezza data dal cuore.
- Ti amo. Ho bisogno di te, Bill, e mi odio per quello che ho fatto passare a tutti prima di riuscire a dirtelo… a far sì che tu mi creda – Lui rimase in silenzio, e Haylie sentì il bisogno di riempire quel vuoto.
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
Lo baciò come non faceva da mesi che si erano lentamente trasformati in un’eternità.
Solo poche ore prima lo avrebbe pensato come un insulto nei confronti della bambina che aveva lasciato quel mondo ancor prima di entrarvi. Ma in fondo… era anche a lei che lo doveva.
Si rese conto di quanto le fosse mancato solo quando le loro labbra si separarono, ma quella volta fu Bill a riempire il vuoto. – Oh, Haylie… - sospirò, intrecciando le dita dietro la sua schiena e annullando la piccola distanza che si era creata fra loro.
Non sapeva come fosse possibile, ma era successo. Si erano allontanati per il troppo bisogno di sentirsi vicini. Avevano messo da parte i ricordi più belli per paura di dimenticare quelli che avrebbero dovuto accantonare davvero.
Si erano persi solo per potersi ritrovare.
Anche quando si staccarono, Haylie si trovò a desiderare che la mano di Bill non si allontanasse mai dalla sua guancia.
- Promettimi che non dovremo più arrivare a questo punto per ricordarci quello di cui abbiamo bisogno – sussurrò lui, socchiudendo gli occhi e sfiorandole il viso con le dita. Haylie posò una mano sulla sua.
Lui non le aveva mai chiesto niente. Non meritava che lei mancasse ancora una volta a quella promessa.
- Te lo giuro – Rimase in silenzio per qualche istante. – E tu puoi promettermi che parlerai con Tom? – Forse era troppo metterlo davanti a quell'interrogativo, dopo tutto ciò che era successo, ma non poté farne a meno.
Bill sospirò, chinando la testa.
- Scusami, Haylie. Non credo di poterlo promettere – Fece una pausa. – E poi è stato lui ad andarsene –
La ragazza inclinò la testa di lato fino a incrociare il suo sguardo.
- Solo per far sì che noi potessimo parlare, ritrovarci… -
Bill rialzò lentamente la testa e, per la prima volta in quella giornata, Haylie vide le sue labbra incresparsi in un lieve sorriso.
- Ma noi l’abbiamo già fatto, vero? –
Nonostante tutto, non riuscì a non ricambiare il sorriso.  Le sembrò persino strano, perché fino a poche ore prima non avrebbe nemmeno potuto immaginare di sorridere.
Ma doveva iniziare a farlo. Per sé stessa, e per lui. Per tutto il tempo che avevano davanti.
- Certo – mormorò, lasciando che lui le stringesse una mano.
Non riuscì a rattristarsi per quella risposta affermativa che lui non si era sentito di darle. Non riuscì a insistere un’altra volta perché, improvvisamente, le sembrò di avere tutto quello di cui aveva bisogno: lui.
In fondo, ne avrebbero avuto di tempo, per parlare…

 
“Sai non voglio, non pretendo
cose che non mi vuoi dare
non so dire frasi fatte
per un letto da disfare che
poi non ti è rimasto niente,
é solo che io ero già nel tuo futuro,
nel passato nel presente.
Sono qui per farti credere ai miracoli
sono qui per sovvertire i pronostici
l’amore è una marea, come distrugge crea
e tu non puoi respingermi,
lo sanno anche gli angeli.
Sono qui e adesso son venuto a prenderti
sono qui se non mi riconosci guardami
mi amavi già, ora lo sai, non finirà mai
di una specie estinta noi,
unici due superstiti.”

(Raf, “Superstiti”)
 

 

Sorrise, guardando il paesaggio rimpicciolirsi lentamente, accompagnato dal rombo del motore.
Le parole che aveva impresso su carta gli ronzavano ancora in testa.
Chissà, forse un giorno ci avrebbe creduto anche lui.

 

 

_Fine

 

 
Ebbene sì, la fine è giunta!
Non vi è piaciuta? Vi ha commosso? Vi ha lasciate perplesse? Qualunque sia il vostro giudizio, non trattenetevi dal farmelo sapere. Anche chi ha messo la storia tra i preferiti senza mai commentare.
E’ un finale che non avevo programmato, questo sì. Avevo pensato a tutt’altra situazione, quasi un trionfo del non-amore, ma… mi sono resa conto che era giusto così. Ho voluto fare un piccolo dispetto a questi miei personaggi che mi hanno messo continuamente alla prova: all’inizio erano loro a non parlare, ora sono io a non dire nulla. Lascio la parola a loro, voglio che siano loro stessi a spiegarvi i motivi delle loro scelte.
Scusatemi ragazze, scusatemi davvero, ma, per questa volta, mi risparmio i ringraziamenti ad personam. Ho troppa paura di dimenticare qualcuno, o di non rivolgere a ognuno i dovuti ringraziamenti (e li meritate tutti). Ringrazio le 30 persone che hanno aggiunto la mia fic alle loro “hit parade”, i 7 che mi hanno inserita tra gli autori preferiti, le affezionate che mi hanno sempre accompagnata con i loro consigli e complimenti, oltre ai tanti che hanno letto senza lasciare traccia. Tengo molto a questa storia, e in particolare al “mio” Bill, in cui ho involontariamente messo un po’ di me. Sviluppare gli avvenimenti e la psicologia dei personaggi mi ha aiutata molto sia nella scrittura che nella vita. Sì, è vero, ho sempre avuto una predilezione per Tom, ma… ho cercato di rendere i miei personaggi quanto più umani possibile. Spero davvero di esserci riuscita.
Però, ora ci sono altre due “categorie” da ringraziare:
coloro che, anche se da lontano, mi hanno ispirata, e cioè il mio amato Raf, i cui brani scandiscono le mie giornate, e i gemelli Kaulitz che, per quanto io non li conosca, mi hanno offerto uno spunto interessante. Non li immagino affatto come li ho descritti, soprattutto Bill, ma mi piace immaginarmeli così (e probabilmente non avrò mai il piacere di essere dissuasa da queste mie convinzioni).
Poi c’è chi merita un ringraziamento più “sentito”. Grazie a mia madre e mia nonna, che hanno letto questa storia in anteprima e mi hanno incoraggiata ad andare avanti, pur non senza qualche sano suggerimento per migliorare. Grazie a Chiara che ha letto la mia fic con un po' di ritardo e (a quanto dice ;) ) l'ha amata, e grazie anche per avermi promesso la lattura del suo racconto. Grazie a Elisa che si è sorbita una storia in cui non è stato presente un solo personaggio che lei amasse ( XD ), grazie a Valeria che chissà quando commenterà!, per sopportarmi continuamente, regalarmi giornate indimenticabili e per aver aspettato pazientemente che io finissi questa storia, prima di leggerla (e soprattutto per aver goduto segretamente delle angherie appioppate al suo povero Billino…).
Siete state tutte indispensabili e mi mancheranno un sacco i piccoli stacchi alla giornata per controllare i nuovi commenti e le aggiunte ai preferiti. Durante l’estate sarò sprovvista di Internet, ma comincerò a lavorare a un piccolo “regalo” per voi: a settembre tornerò con “Di pioggia e di sole”, il seguito di “Dimentica”! Spero di ritrovarvi tutte e di non deludervi mai! Un bacio!!!!

Vittoria

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