Antique love

di MeikoBuzolic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6.1 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6.2 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1.
Il viaggio durò a lungo. L’altoparlante comunicò «Stiamo per arrivare all’aeroporto di Mystic Falls».
L’atterraggio fu brusco, mi mossi in difficoltà nel piccolo corridoio, scesi, mettendomi le mani alle orecchie per il rumore degli aerei vicini che decollavano. Dopo diversi minuti, arrivarono le mie valige, le misi nel carello, e seguì i cartelli di uscita. La porta scorrevole si aprì, cercai con lo sguardo la nonna, e la vidi, non era cambiata, sempre vestita con le sue gonne a tubo e le camicie color pastello, i suoi capelli colore del miele, e i suoi occhi verdi. Mi sorrise e le andai incontro «Caitlyn, Tesoro come sei fatta grande» esclamò sorridente, e mi abbracciò. Poi mi guardò attentamente «Che cosa hai combinato?» mi domando, fissandomi. Mi guardai, e la riguardai in modo interrogativo, lei precisò «I tuoi capelli? E quei blue jeans».
«Ah! Ora capisco» sorrisi «Sì, l’ho tagliati e l’ho tinti. Mentre per i jeans, mi piacciono così» spiegai.
Alzò un sopracciglio «Quindi vorresti dire che lì in Italia, si vestono tutti con i blue jeans strappati, e i capelli c’è li hanno tutti corti e rossi?» disse ironica.
Sbuffai «Nonna, lasciami fare, so che sotto sotto ami il mio look» sorrisi.
Lei rise «Si vede che sei mia nipote. Andiamo in auto» e mise il suo braccio tra le mie spalle.
Posai le mie cose in auto «Dov’è il resto della tua roba» disse la nonna, mettendosi la cintura di sicurezza.
«Le porterà il corriere fra qualche giorno» spiegai. Guardai l’orologio dell’auto, e misi l’ora del mio cellullare sette ore indietro.
Accesi la radio, appoggiai la testa nel vetro del finestrino, e fissavo il panorama, poi all’udire di quelle note che risuonavano alla radio, mi scese una lacrima «My heart will go on» sussurrai. Nella mia mente percorsero tutti i ricordi: quando i miei padri me la cantavano prima di addormentarmi, quando la suonavano al pianoforte per non farmi piangere. Quando li supplicavo di raccontarmi il giorno in cui mi adottarono: erano in ufficio, e il direttore dell’orfanotrofio per smozzare la tensione, accese la televisione, un canale musicale, e quando l’infermiera sbucò dalla porta con me in braccio, risuonarono le melodie di “My heart will go on”, e dissero che quando mi presero in braccio, guardavo la televisione e sorridevo – mi mancate papà – mi asciugai gli occhi – maledetto sia quell’uomo che vi ha ucciso, che possa bruciare all’inferno – pensai.
 
Arrivammo nel grande cancello, che si aprì automaticamente, e vidi la grande villa «Tesoro siamo arrivati» comunicò.
Guardai la grande villa, con occhi spalancati «Nonna non ricordavo che era così grande» dissi sorpresa.
Lei sorrise «Ho fatto anche impiantare una nuova piscina, con idromassaggio» disse eccitata.
Le sorrisi, e mi precipitai dentro, era tutto nello stile classico inglese, e le stanze erano tante e immense. La nonna entrò, con una cameriera che teneva le mie valigie «Tesoro, lei è Carla. Lei viene qua due o tre volte a settima e si prende cura della casa, visto che ormai le mie ossa non lo permettono» sorrise «La tua camera, lo trasferta, nell’ultima porta a destra nel piano superiore» m’informò.
Salì le scale di fretta, ed entrai nella camera, le mura erano di un color crema, il letto a due piazze di ferro battuto bianco, e i mobili erano di uno stile classico e dal colore chiaro, fronte a me c’era una grande portafinestra, dove affacciava nel giardino, dove si trovava la piscina, e il giardino dai cespugli di rose e gli alberi. Anche se la porta era aperta, bussarono, mi voltai ed era Carla «Signorina, dove posso posare le sue valigie?» domandò gentilmente.
«Lasciale pure lì, dopo le sistemerò io» le risposi «Non darmi del lei, chiamami Caitlyn» aggiunsi.
Carla annuì «Certo, ci vediamo a pranzo» e se ne andò.
Mi sedetti nella poltroncina del terrazzo, c’era anche una villa accanto alla nostra, vidi un ragazzo di sfuggita – grazie a Dio, non vivono solo vecchietti – pensai.
Sistemai le mie valige, e andai nel mio bagno, e mi feci un lavai nella vasca dalle zampe di leone. Uscì dalla vasca, diedi una leggera asciugata ai miei capelli corti rossi, e tolsi il trucco sbavato dai miei occhi verdi a causa del bagno.
Scesi le scale, e andai dalla nonna in giardino, che si stava prendendo cura delle sue rose «Ciao nonna» dissi.
«Tesoro, hai sistemato le tue cose?» domandò.
Annuì «Ho visto che nella villa accanto ci vivono delle persone» le dissi.
Lei s’irrigidì «Tesoro, devi farmi un favore: stare lontano da quelle persone» il suo tono era da comando.
«Ok» risposi semplicemente – perché? – mi chiesi.
 
Ci sedemmo nel grande tavolo, accanto la nonna mangiava posata: dalla schiena ben retta «Tesoro, su con la schiena» disse.
Sbuffai, e con sguardo noioso mi misi bene retta.
Mentre mangiavo la carne, la nonna improvvisamente mi domandò «Tesoro, ti succedono ancora quegli strani avvenimenti?».
Spalancai gli occhi, e la carne mi andrò di traverso, bevvi velocemente la coca «Ecco perché ti dico di fare piccoli morsi» ribadì.
Mi composi – la nonna non vuole mai parlare dei miei “avvenimenti”, perché me lo sta chiedendo – pensai dubbiosa «Beh! Ora riesco a controllarli» risi.
«Perché ridi?» chiese la nonna, un po’ turbata.
«No, non sono pazza. E che stavo pensando a quando ero piccola, a tutti i danni che combinavo a causa dei miei poteri» spiegai.
La nonna rise «Oh santo cielo! Ricordo ancora come fosse ieri: Era il giorno del ringraziamento, tu volevi i biscotti prima di cena, ed io non te li diedi. Mi guardasti con occhi furiosi, e il tacchino iniziò a fluttuare».
«Ricordo, che iniziasti a correre per casa urlando: “Il tacchino ha preso vita! Aiuto” mentre avevi il tacchino che ti “inseguiva”» risi «Tranquilla, non ti farò inseguire da nessun cibo» aggiunsi.
Guardai le candele sul tavolo, chiusi gli occhi e mi concentrai, li riaprì, la nonna era stupefatta «Ora li so controllare» le sorrisi, e lei fece altrettanto, le candele tutta la camera si accesero.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.
Il cielo era sereno, si vedevano le stelle e la mezza luna, nell’aria c’era quiete, l’unico suono che disturbava il silenzio della sera era la musica della casa accanto.
Rientrai in camera, mi misi a letto, ma la musica si sentiva ancora – Oddio! Non sopporto più questa musica. Domani ho scuola – pensai innervosita.
Chiusi gli occhi, ma la musica non cessava, mi alzai innervosita – ora ci penso io – pensai.
Andai fuori nel terrazzo e mi concentrai nella casa, sorrisi, e le luci della casa si spensero – Grazie a Dio! Vediamo se riuscirete ad accenderla ora – pensai soddisfatta, e me ne tornai a letto.
La sveglia suonò «No, per favore» mi lamentai.
Mi buttai sotto le coperte, e lanciai la sveglia al muro senza muovere un muscolo – Cavolo devo comprare un'altra sveglia – pensai.
Mi alzai con fatica, e andai in bagno a lavarmi, indossai i miei soliti jeans strappati, una canottiera, e la mia affezionata camicia a quadri. Mi piastrai i miei capelli corti, e misi la matita nera attorno i miei occhi verdi.
Presi lo zaino e andai in cucina.
«Buongiorno tesoro» disse la nonna sorridente, mentre sorseggiava il suo thè.
«’Giorno» dissi assonata – come fa ad avere quest’energia di mattina presto – pensai, e presi un tazza di caffè.
«Caitlyn, non fai colazione?» domandò la nonna.
Scossi la testa, mentre bevevo il caffè. Guardai l’orologio «Nonna io vado, prima che arrivo in ritardo il primo giorno» spiegai.
«Vuoi un passaggio?» chiese la nonna.
«Sì, visto che in Italia non ho potuto prendere la patente per l’auto, perché ho ancora diciassette anni» spiegai.
Salimmo nella piccola fiat 500 – sembra la macchina di barbie – pensai mentre allacciavo la cintura di sicurezza.
Arrivammo a scuola «Ciao nonna» salutai dandole un bacino nella guancia.
«Tesoro vuoi che entri con te?» chiese.
«No, grazie. So cavarmela da sola» le feci l’occhiolino  e sorrisi.
«Okay» sorrise. Prese dei dollari dalla borsetta, la guardai stranita «Tieni i soldi per la mensa» spiegò.
La guardai sorpresa – ci vogliono i soldi per la mensa – pensai sbalordita, scesi dall’auto, e mi avviai all’entrata.
Andai in segreteria, dove mi consegnarono il materiale: libri, orario, e il codice dell’armadietto.
Suonò la campanella, non ebbi il tempo di posare i libri, guardai l’orario – cavolo alla prima ora storia – pensai, mi annoiava quella materia, cercai la classe. Quando entrai erano già tutti ai loro posti, il professore stava facendo ancora l’appello «Buongiorno» salutai con un sorriso sforzato, e sentivo tutti quei occhi fissarmi.
«Lei dovrebbe essere la signorina Evans» precisò il professore.
«Sì, professore» risposi.
«Io sono il signor Alaric Saltzman, il suo professore di storia» si presentò.
Sorrisi – quello l’avevo capito che eri il professore di storia, tanto bello e tanto intelligente – pensai.
«Si sieda vicino alla signorina Bennett» aggiunse, indicando il posto vuoto, vicino alla ragazza dalla carnagione olivastra.
«Ok» sorrisi, e mi sedetti. La ragazza mi guardo con i suoi grandi occhi verdi, dove una frangetta castana li risaltava «Piacere Bonnie Bennett» disse con sorriso dolce.
«Piacere Caitlyn Evans» sorrisi a mia volta, e le allungai la mano, lei la strinse e in quel preciso istante sentì un brivido percorrermi in tutto il corpo.
«Signorina Evans è appena arrivata e già inizia a chiacchierare durante la lezione» rimproverò il professore, mentre scriveva alla lavagna.
Mi scusai, sorrisi a Bonnie, aprì il libro e il quaderno – cavolo devo prendere appunti – sbuffai.
Presi la penna e l’appoggiai al quaderno – avanti muoviti e scrivi gli appunti – pensai.
La penna iniziò a muoversi e scrisse le parole che scriveva il signor Saltzaman alla lavagna, dovevo stare attenta a cosa scriveva prima che nel foglio spuntassero parole poco sensate.
Mi guardai attorno, Bonnie era seduta accanto a una ragazza dai capelli castani e lisci – che bella – pensai.
Dietro di me un ragazzo biondo, dai occhi blu – tipico ragazzo americano – pensai.
La mia attenzione l’attirò quel ragazzo seduto alla finestra, capelli castani, occhi verdi e i lineamenti decisi, lo fissai. Lui si voltò, e mi guardò, arrossì e mi girai. Notai Bonnie guardare la mia penna, m’irrigidì – Cazzo! – pensai, e presi la penna in mano, e gli sorrisi.
«La battaglia Willow Creek si svolse qui a Mystic falls. Qualcuno sa dirmi quante vittime caddero? Signor Donovan?» chiese il professore.
Mi voltai, e il ragazzo dagli occhi blu si irrigidì «emmm… non saprei un centinaio» disse.
«Mi dispiace ma non così poche, ricordiamoci che era una guerra» precisò il professore.
«Trecentoquaranta sei, escludendo i civili» intervenne il ragazzo accanto alla finestra.
«Giusto, signor Salvatore» disse il professore, ma non sembrava molto sorpreso.
Lo guardai – Forse sarà un secchione, ma è pur sempre bello – pensai.
La campanella suonò, posai la mia roba nello zaino – speriamo che riuscirò a posare tutti questi libri – pensai.
Mi avviai all’armadietto, mentre posavo i libri.
«Ciao Caitlyn» disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai «Ciao Bonnie» sorrisi agitata – spero che non mi abbia visto – sperai.
«Sai prima in classe, ti ho visto» disse.
Spalancai gli occhi «C-che cosa hai visto?» domandai agitata.
«La penna… scriveva da sola» specificò.
«Cosa dici? Le penne non scrivono da sole!» esclamai sforzando un sorriso.
Lei mi sorrise, la guardai dubbiosa, prese la penna dal suo astuccio, e chiuse gli occhi e vidi la penna che teneva nella mano iniziò a fluttuare.
La guardai scioccata «Anche tu, hai ipoteri» sussurrai l’ultima parola.
Lei annuì «Tu da che dinastia di streghe discendi?» mi domandò naturalmente.
«Streghe?» dissi stranita – ha detto veramente dinastia di streghe?– pensai.
«Sì, streghe. Sennò come ti spiegheresti i tuoi poteri» sussurrò.
«Non credevo di essere una strega, pensavo ch’esso, una cosa del tipo, che fossi caduta in qualcosa di nucleare o fossi un alieno» le spiegai.
Lei rise «Sei una strega, lo sento dall’energia che emani» disse «Beh! Almeno sai la tua dinastia? La mia sono le streghe di Salem» m’informò.
Sbarrai gli occhi – forse è pazza – pensai «Non saprei, sono stata adottata» le spiegai.
Lei fece un’espressione turbata «Mi dispiace» disse.
Sorrisi «E di cosa? Io sono stata felice, i miei padri mi avevano trattato sempre bene e forse anche viziato» risi.
Lei mi guardò confusa «Perché parli al passato?» domandò.
Sforzai un sorriso «Sono morti quattro mesi fa, ora vivo con mia nonna» le raccontai.
Il suo sguardo era rintristito «Mi dispiace, anche una mia amica, forse l’avrai notata all’ora di storia accanto a me, Elena Gilbert. Anche a lei gli sono morti i genitori qualche anno fa» m’informò.
«Ah! Mi dispiace» dissi. Suonò la campanella «Beh! Ora vado, ho letteratura» dissi.
Lei sorrise «Ok! Io invece ho matematica» affermò «Ciao!» disse.
«Ciao» dissi a mia volta, e se ne andò, dalla parte opposta alla mia.
 
Le ore passarono velocemente – meglio non andare alla mensa, se è come nei film visti, non voglio pranzare sola mentre gli altri sono tutti raggruppati – pensai, e infilai una banconota nella macchinetta degli snack.
Mi diressi fuori in giardino, e mangia una della barrette che avevo preso – le conserverò per dopo – pensai.
Mi accesi una sigaretta, e una ragazza dai lunghi e lisci capelli biondi e dagli occhi chiari, si avvicinò «Non si può fumare a scuola» disse con aria possente.
«Ah! Non lo sapevo, e la prima volta che frequento una scuola americana» mi giustificai – deve essere la solita saputella – spensi la sigaretta, e la misi in un fazzolettino.
«Si sente, sei italiana?» chiese sempre con la solita aria.
«Sì. Come hai fatto a capirlo?» chiesi.
«Semplice dal tuo accento» rispose «Sono Rebekah Mikaelson» si presento porgendomi la  mano.
«Piacere Caitlyn Evans» gli strinsi la mano fredda, mi venne il capo giro, e un immagine confusa e scura infase la mia mente. Lei mi guardò stranita «Tranquilla, un calo di zuccheri» inventai.
«Beh! Spero di esserti stata d’aiuto. Ciao» disse.
«Ciao» salutai, vibrò il telefono, il tempo di prenderlo e lei sparì dalla mia vista.
Accettai la chiamata «Ciao nonna».
«Tesoro come sta andando?» chiese ansiosa.
«Tutto apposto, ti avevo detto che me la sarei cavata» ribadì «Nonna conosci per caso una ragazza di nome Mikaelson?» chiesi. Ci fu silenzio dall’altra parte della connetta «Nonna?» la chiamai.
«Si tesoro ci sono» il suo tono era rigido «Tesoro, non credo che tu e lei potreste andare d’accordo, quindi evitala» rispose «Ora vado» disse.
«Ciao nonna» salutai con tono stranito.
La campanella risuonò, e sospirai – dai le ultime tre ore e andrò a casa – m’incoraggiai.
 
Arrivai a casa «Nonna sono arrivata» dissi ad alta voce, non ricevetti nessuna risposta – dove sarà? – pensai.
Andai in camera mia, posai lo zaino e mi buttai nel letto – cavolo sono stanca! – pensai.
Andai fuori in terrazza, una dolce brezza di vento mi coprì, respirai profondamente, guardai in giardino – la nonna non c’è nemmeno fuori – riflettei.
Dalla villa davanti, vidi un uomo fissarmi – che cavolo vuole quello ? – lo fissai male – Cavolo non riesco a vederlo nemmeno bene, che cavolo! – pensai.
Suonò il campanello «Arrivo!» urlai, scesi le scale di fretta.
Aprì la porta «Bonnie!» esclamai sorpresa.
Lei mi sorrise «Ciao, Caitlyn» salutò.
La guardai stranita «Come facevi a sapere dove vivevo?» domandai.
«È una piccola cittadina, mi è bastato chiedere a mia nonna» spiegò.
«Ah ok!» dissi «Vieni accomodati» la invitai.
Ci accomodammo nel grande salone, nel divano bianco «Vuoi qualcosa da bene o uno snack?» domandai cortesemente.
«Un bicchiere d’acqua» mi rispose.
Andai in cucina, e ritornai con il bicchiere d’acqua, ma vidi che lei già ne aveva uno in mano. La guardai sbalordita «Come hai fatto?» esclamai sorpresa.
«Come fai tu» rispose.
«Io non lo mai fatto» spiegai.
«Ma lo potresti fare» insistette, «Vuoi che ti insegni?» propose.
Annuì sorridente.
Per precauzione ci misimo fuori, seduti nel grazioso tavolino di ferro battuto e vetro.
«È semplice, basta che ti concentri ed immagini l’acqua nel bicchiere. E poi pouf! Comparirà da sola» spiegò Bonnie.
Annuì sicura di me ì, presi il bicchiere di vetro tra le mani, respirai, e chiusi gli occhi, immaginai il bicchiere che si riempiva d’acqua fresca. Sentì dalle mani qualcosa pulsare, e poi un sensazione di freschezza, riaprì gli occhi e il bicchiere era pieno fino all’orlo di acqua fresca.
Bonnie mi guardò sorridente «Bevila» mi incoraggiò.
Lo feci «È buonissima!» esclamai sorpresa.
Bonnie rise «E cosa ti aspettavi, acqua delle fogne?» disse ironica. «Da quanto tempo vivi a Mystic Falls?» domandò.
«Possiamo dire da circa quattro mesi, da quando sono morti i miei genitori, però sai fino a una settimana fa facevo Firenze e Mystic falls di continuo» sorrisi.
«Oddio! Sei Italiana» disse sorpresa «Io ho sempre sognato di andarci» sospirò.
«Beh! Quando vorrai andarci chiamami potrei farti da guida, ovviamente se vuoi andare a Firenze» le dissi.
Lei mi sorrise divertita.
Suonò il campanello della porta, mi alzai, e notai Bonnie seguirmi.
Aprì la porta e vidi Il ragazzo dai capelli corti e mossi di un colore castano chiaro, la barba incolta, il naso al insù, le labbra rosee e i suoi occhi intesi di colore verde –Oh mio Dio! Chi è? – pensai.
«C-ciao, chi sei?» chiesi agitata sentivo le guance calde, e il mio cuore battere a mille – Dio! È bellissimo – pensai.
«Sono il tuo vicino di casa» spiegò.
Rimasi scioccata, non credevo possibile mai il io cuore batté ancora di più, riuscì a dire solo «Ah okay!»
Lui mi guardò interrogativo «Il tuo nome?» chiese con il suo sorriso divertito.
«Caitlyn… Caitlyn Evans» mi presentai «Il tuo?» chiesi col nodo alla gola.
«Klaus Mikaelson » si presentò sorridendomi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.
Arrossii – Klaus Mikaelson – ripetei il suo nome all’infinito dentro la mia mente.
«Abito dietro la tua villa» spiegò.
Annuii, mentre pensavo ancora al suo nome, e lo guardavo in quei intensi occhi.
«Se mi fai entrare, ti posso far vedere dove vivo» propose, e mi sorrise.
Stavo per rispondere, ma Bonnie m’interruppe «Non c’è bisogno Klaus, posso fargli vedere io la tua villa» disse arrogante.
«Bonnie è una delizia vederti» sorrise falsamente Klaus.
«Certo, ma non per me» disse lei «Ora sparisci!» esclamò sempre col solito tono.
«Come siamo cortesi» disse lui ironico.
M’intromisi «Scusa Klaus, ora ho da fare, mi dispiace di non poterti invitare a entrare» dissi dispiaciuta.
«Grazie per la cortesia, e scusa il disturbo, sarà per un'altra volta» disse lui, sorridendomi, e diede uno sguardo freddo e duro a Bonnie.
«Buonasera» salutai, e chiusi la porta.
Mi voltai verso Bonnie «Perché sei così fredda con Klaus?» domandai.
Prima di rispondermi fece una piccola pausa «In poche parole è un uomo spregevole, malvagio, privo di sentimenti. E ti consiglio di stargli lontana» disse duramente.
Riflettei alle sue parole, e poi ricordai – Mikaelson è anche il cognome della ragazza bionda, che incontrai a scuola, e la nonna mi aveva detto di starle lontana. Perché non vogliono che mi avvicini alla famiglia di Klaus? – pensai.
Alla fine dissi «Ok, ritorniamo a quello che stavamo facendo».
Ritornammo fuori in giardino e Bonnie mi raccontò «Le streghe sono le guardiane della natura, bisogna far rispettare il suo equilibrio. Molte volte noi streghe veniamo ricattate da esseri sovrannaturali…»
«Esseri sovrannaturali?» la interruppi con tono sbalordito.
«Sì. Come streghe, licantropi, vampiri…eccetera.» disse naturalmente.
«Okay, tu vorresti dire che i vampiri, licantropi esistono?» domandai, sempre col tono sconcertato.
«Per nostra sfortuna sì. Molto spesso usano le streghe per i loro capricci» spiegò.
«Wow!» esclamai sorpresa.
«Beh! Ti vedo molto sconvolta, ti racconterò il resto un altro giorno» sorrise.
Annuii, sempre col solito sguardo scioccato.
 
Scendemmo le scale, e dalla porta sbucò la nonna «Bentornata nonna!» esclamai sorridente.
La nonna sorrise «Ciao tesoro. Hai già trovato un’amica, vedo»
«Te l’avevo detto che me la sarei cavata» ripetei facendole l’occhiolino.
«Lo sapevo, hai preso tutto da tuo padre» disse con occhi lucidi. Sorrisi nostalgica. Aggiunse «Tesoro ho voluto farti un regalo» sorrise, e la seguimmo fino al garage.
Quando vidi il meraviglioso fiocco rosa, rimasi sorpresa «Grazie nonna!» esclamai gioiosa, e l’abbracciai.
Salì sopra quella vespa bianca «Almeno ti hai un simbolo dell’Italia sempre con te» disse la nonna.
Alzai il sellino, e vidi due caschi «Bonnie, Sali. Andiamo a fare un giro».
Bonnie sorrise «Okay! Ma lo sai guidare?» chiese.
La guardai stranita «Certo che lo so guidare, dopo aver fatto quattro volte di fila l’esame, alla fine ho imparato» sorrisi.
Bonnie si mise il casco, io feci lo stesso «Nonna ci vediamo dopo» sorrisi.
Misi a moto, e usci dal garage, premetti in bottoncino del telecomando e aprì il grande cancello.
Percossi a tutta velocità, le strade larghe e circondate dagli alberi, Bonnie si stringeva forte alla mia vita.
Arrivammo al locale, con la grande scritta “Mystic grill” – che fantasia – pensai ironica.
I muri erano di pietre, e tutto era fatto di legno scuro. Alla destra salendo le scale i tavolini di biliardo, mentre di forte il grande bancone del bar e alla destra i tavoli – che locale carino, pensavo peggio –.
«Allora che ne pensi?» chiese Bonnie sorridente e fiera.
«Sì, mi piace» risposi.
Bonnie si guardò attorno «Andiamo in quel tavolo, ti presento una mia amica» e ci avviammo.
Ci sedemmo nel tavolo, dov’era seduta una ragazza dai capelli lunghi biondi e mossi, gli occhi azzurri e la carnagione chiara «Sono Caroline» si presentò.
«Sono Caitlyn» dissi a mia volta, le strinsi la mano, e rividi quell’immagina sfocata e oscura – di nuovo – pensai.
«Che cos’hai?» mi domandò la ragazza regalandomi un dolce sorriso.
«Niente, non preoccuparti» dissi, facendole gesto con la mano.
Bonnie insisté «Cosa hai visto?» domandò.
«Che cosa avrei dovuto vedere?» finsi di non capire cosa diceva.
«Lei sa» disse Bonnie, mentre con lo sguardo insisteva.
Sbuffai «Non è un immagine chiara, e sempre scura e offuscata, come uno stormo» spiegai.
«Quindi sei una strega» disse Caroline, sussurrando l’ultima parola.
Mi morsi il labbro agitata e annuii «Non lo mai detto a nessuno, per favore mantieni il segreto» la supplicai con lo sguardo.
Lei annuì.
«Cosa stai facendo?» domandò Bonnie a Caroline.
«Sto pensando. Mi è arrivato un invito per la festa della famiglia Mikaelson» rispose, poi mi guardò.
«Chi sono?» chiese Bonnie.
«La famiglia di Klaus» le risposi, Caroline mi guardò sorpresa. «Si è presentato oggi, siamo vicini di casa» spiegai.
Bonnie mi guardò con aria interrogativa «Bonnie l’ha detto oggi» l’informai.
«No, non l’ha detto» insistette.
La guardai stranita – forse non l’ha sentito – pensai – meglio non continuare –.
Arrivò il cameriere «Ragazze volete qualcosa?» domandò il ragazzo alto, con gli occhi blu e i capelli biondi.
«Ciao Matt» dissero le ragazze.
Lui mi fissò con quei occhi blu – io lo conosco, ma dove l’ho visto – pensai.
«Tu vuoi qualcosa?» domandò.
«Dove ci siamo visti? Io ti conosco» risposi con una domanda.
«Facciamo l’ora di storia e letteratura insieme, sono seduto dietro di te a storia» spiegò.
«Giusto! Scusa se ti sono sembrata un po’ matta» sorrisi.
«Tutto a posto» mi sorrise «Allora cosa ti posso portare?» chiese.
«Un cappuccino può andare bene» sorrisi. lo guardai mentre si allontanava – Santo cielo, che culo! –.
Ritornai a fissare le ragazze: Caroline mi stava fissando in modo stano – Cazzo, speriamo che non sia il suo ragazzo – sperai.
Dopo aver bevuto il cappuccino, e aver conosciuto di più Caroline e Bonnie, guardai l’orologio del mio cellulare 18:10.
«Scusate ragazze, ma io vado. Grazie per la bella giornata» le ringraziai «Bonnie ti devo riaccompagnare a casa?» chiesi.
«No, grazie» sorrise «E poi voglio rimanere in vita, sai da come guidi» disse ironica, e rise.
 
Arrivai davanti al cancello di casa, presi il piccolo telecomando dalla tasca, e premetti il bottone, e il cancello lentamente si stava aprendo.
«Caitlyn!» sentì esclamare alle mie spalle.
Mi voltai, verso a quell’irresistibile accento che avrei riconosciuto ovunque «Klaus!» esclamai con un espressione felice.
«Buonasera Caitlyn. Sono qui per darti un invito» sorrise, alzando l’angolino della bocca.
Presi la busta bianca, e la guardai, alzai gli occhi per guardarlo «Graz-» non finì la frase, che lui era sparito – ma sono sempre di fretta la famiglia Mikaelson? –.
Analizzai la lettera, lessi solo il mio nome, l’aprì staccando il sigillo in cera e lessi:
Vi preghiamo di unirvi alla
Famiglia Mikaelson
Questa sera alla sette
Per balli e festeggiamenti
Entrai in casa.
«Nonna la famiglia che vive nella villa accanto mi ha invitato a un ballo» la informai, «Non mi avevi detto che si erano trasferiti da poco».
La nonna era tesa «Tu non andrai a quella festa» ingiunse.
«Perché?» chiesi, guardandola confusa e infastidita.
«Perché non devi frequentare quelle persone» rispose.
Trattenni una risata «Nonna, non sceglievano i miei padri gli amici che dovevo frequentare, e lo dovresti fare tu?» dissi incredula «Ti sono riconoscente per quello che stai facendo, e sai che ti adoro. Ma non puoi scegliere i miei amici o comandare la mia vita, come facevi con tuo figlio» ritenei.
Lei rimase senza parole non disse niente, me ne andai in camera mia.
Mi fissai allo specchio e non riuscivo a guardarmi negli occhi – forse ho esagerato – riflettei – ma non può scegliere la mia vita – sospirai, «Andiamo a scegliere qualche vestito» riflettei ad voce alta.
Aprì la mia cabina armadio, alla ricerca di un abito «Cazzo!» esclami innervosita, mentre riguardavo i miei abiti, dove gli unici abiti che avevo erano quello che indossai a nove anni per il matrimonio di mia zia, e quello per il diploma di mio cugino, che odiavo a morte.
Bussarono alla porta «Avanti» sbuffai innervosita.
Dalla cabina armadio sbucò la nonna con una scatola «Tieni questo è per te».
Presi la scatola mentre le mie mani tremavano senza un motivo specifico, forse, per la rabbia per le parole che aveva detto, o perché ero dispiaciuta per cosa le avevo detto, o entrambe le cose.
Mi avvicinai al letto, dove appoggiai la scatola, e mi sedetti accanto alla nonna.
La nonna appoggiò una mano alla mia spalla «Sono consapevole che non devo intromettermi nella tua vita, ormai sei una donna sai cos’è giusto e cos’è sbagliato. Ma sei la mia nipotina, e ho perso troppe persone a me care, persone che ho visto crescere e fare scelte, a volte sbagliate, e non ho potuto fare niente per aiutarli. Tu sei l’unica persona della nostra famiglia» fece una piccola pausa «Io ci sarò quando sbaglierai, e sarò li ad aspettare e ad aiutarti ad aggiustare ogni tuo piccolo errore» sorrise, mise una mano in tasca «Ogni donna ha bisogno di un gioiello, per splendere» e mi diede una scatolina. «Apparteneva alla mia bis bisnonna. L’ho modificato per renderlo più…giovanile» raccontò.
Aprì la piccola scatolina, e presi delicatamente il ciondolo.
«All’inizio era solo la pietra, ma qualche mese fa ho fatto aggiungere queste ali che lo richiudevano, come segno di protezione» spiegò, e mi sorrise «È un rubino» disse.
All’udire l’ultima parola mi si spalancarono gli occhi dallo stupore «R-rubino» dissi incredula – è la prima volta che vedo un rubino – pensai ancora stupita.
«Il rubino non è solo simbolo di amore ardente, ma simbolo di: energia, vitalità, e protezione» spiegò mentre prese la collana e me la mise al collo.
 – È pesantuccia – mi avvicinai allo specchi, e sfiorai il ciondolo, dalle ali racchiuse in stile vintage, e il rubino in mezzo che luccicava «È meravigliosa» sussurrai incantata.
«Allora non hai visto il vestito!» disse la  nonna alle mie spalle.
 «Vestito?» domandai stranita.
Lei indicò la scatola posata sopra il letto, l’aprì e all’interno un meraviglioso abito nero, corsi in camerino a provarmi tutto. Quando usci mi rispecchiai, facendo una giravolta su me stessa: l’abito che dalla vita alle ginocchia scendeva morbidamente con uno stile a frangia, e la parte superiore leggermente aderente al mio piccolo corpo, che mi copriva tutto il petto, lasciando libero il collo, e copriva le spalle, dove la schiena era rivestita dal pizzo trasparente. In fine dei semplici tacchi neri.
La nonna appoggiò le sue mani sopra le mie spalle «Tesoro sei bellissima. Sarebbero stati fieri di te» disse, e mi baciò la guancia, «È l’ora del trucco!» esclamò eccitata.
 
Mi presentai davanti all’immenso edificio con un leggero ritardo di trenta minuti, già dall’esterno si udivano le note dolci degli archi – mi sento una principessa – sorrisi.
Mi guardai attorno, non ero l’unica ad essere arrivata in ritardo.
Entrai, le grandi scale illuminate e tutto in uno stile classico, e i camerieri che camminavano fra gli ospiti servando stuzzichini e champagne – oddio questa non è una casa! Ma una reggia! – mi guardai attorno sbalordita.
Mi guardai attorno sperando di incontrare qualcuno che conoscevo, e dalla porta entrò la ragazza dai lunghi capelli castani «Elena» sussurrai sollevata. Non era accompagnata da un solo cavaliere, ma da due: Stefan Salvatore, mio compagno di storia, e l’altro ragazzo dai capelli neri, e gli occhi color ghiaccio, che non avevo mai visto ma avrei tanto voluto conoscerlo – Cazzo! Che figo! – sospirai cercando di contenere la mia eccitazione.
Presi un bicchiere di spumante per sbollire la tensione, e in lontananza vidi quei capelli biondi, mi avvicinai «Matt?» chiamai incerta.
Lui si voltò e mi guardò con i suoi occhi blu e sorridenti «Caitlyn, giusto?» disse lui.
Annuii «Grazie a Dio! Qualcuno che conosco» ammisi «Con chi sei venuto?»
Lui sorrise «Con Rebekah» rispose.
Non cercai di trattenermi, lo fissai delusa «Ah! Non immaginavo che stavate insieme» dissi imbarazzata.
Lui mi guardò contrariato «No, non stiamo insieme! Siamo diciamo amici»
Lo guardai dubbiosa «“Diciamo amici”?».
Lui girò gli occhi «Dopo ti concederò un ballo» disse sorridente.
«Ci tengo» dissi a mia volta. «Beh! Ora vado a cercare Klaus, gli ho portato una bottiglia di vino» spiegai, mentre scossi leggermente la scatola color crema che tenevo fra le mani.
Lui mi fece cenno di saluto, e io feci lo stesso e cercai Klaus.
Lo vidi lì, vicinò a un tavolino a sorseggiare lo champagne – Quant’è bello! – sospirai, mi sistemai , e mi avvicinai a lui con fare fiero.
«Buonasera, Klaus. Ti disturbo?» dissi a un fiato, dall’agitazione.
«Buonasera, Caitlyn» salutò lui, con uno dei suoi sorrisi che non sapevo mai interpretare.
«Ti ho portato una bottiglia di vino fatto in casa, da generazioni, dalla mia famiglia» spiegai.
Lui prese la scatola color crema «Non è il mio compleanno» dissi ironico.
«Sono italiana, per me è obbligo portare qualcosa quando sei invitato» spiegai e alzai il naso.
Lui rise, il sorriso più bello che abbia mai visto, poi si voltò e si bloccò «Scusami ma devo andare» disse in fine, sparendo nella folla.
«Attenzione prego!» si udì una voce profonda provenire dalle scale.
Mi avvicinai a esse per guardare meglio: e lì c’erano i bellissimi padroni di casa.
«Benvenuti e grazie di essere qui con noi» disse con tono gentile e con fare elegante, il ragazzo dai capelli scuri.
Fissai quella scena e quei ragazzi, con fascino come se sentissi una calamita che mi attraesse a loro. Una donna scese dalle scale, tutti si girarono a guardarla. Il ragazzo continuò «Sapete, ogni volta che mia madre unisce tutta la famiglia, come questa sera. È tradizione iniziare la festa con un ballo» raccontò.
Feci uno sguardo stranito – sono quasi le nove, e la festa deve ancora iniziare? – pensai ironica.
«Stasera abbiamo scelto un valzer di qualche secolo fa, perciò prego tutti di trovarsi un partner e di raggiungerci nella sala da ballo», sorrise.
Tutti i ragazzi scesero, con eleganza e fissavano noi ospiti, li fissavo in modo ipnotico , quando incontrai quello sguardo: i suoi occhi intendi, fecero bloccare il mio cuore, sentivo come se tutto fosse sparito, non riuscivo a respirare e sentivo la testa girare. Era come se, se tutto fosse rinato, e che il mio cuore incominciò a battere in un altro modo, mi sentivo diversa, mi sentivo strana, non me.
Mi sentivo… completa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.
Il mio corpo si muoveva  nella direzione dov’era andata la famiglia Mikaelson, mi sentivo attrarre come se fossi una calamita, anche se la mia testa mi diceva di fermarmi, il mio corpo non ubbidiva. Mi muovevo facendo slalom tra la gente, senza guardare nessuno nel viso «Scusi, devo passare» ripetevo – dov’è andato? – lo cercavo con lo sguardo.
Improvvisamente il mio corpo smise di muoversi, e senti una presa nella mia mano.
«Caitlyn!» mi fissarono felici, quei occhi blu.
«Matt!» esclamai sorpresa.
«Dove vai?» domandò cortese.
«Nella sala da ballo» risposi agitata.
«Anch’io» sorrise «Allora posso chiederti: vuoi concedermi un ballo?» chiese, come un gentiluomo chinò la schiena e mi porse la mano, fissandomi con quei suoi occhi blu e profondi come le acque dell’oceano.
Arrossì a vedere quella scena – nessun ragazzo si è mai chinato, fronte a me – cercai di regalargli il mio sorriso più bello «Certo, dopo tutto me l’avevi promesso» risposi, facendogli l’occhiolino.
Nella grande sala, in un angolo, si trovavano gli archi che suonavano.
Ogni coppia si posizionò in fila, con le mani strette al proprio partner «Matt che bisogna fare, non so ballare!» sussurrai a denti stretti.
«Nemmeno io, ma ti ho promesso un ballo. Seguiamo la massa» disse scherzoso.
La musica partì, e tutti iniziarono a muoversi in modo leggiadro. Matt ed io iniziammo a fissare le coppia accanto a noi, poi ci fissammo, e non ci fu più bisogno di guardare le coppie accanto, perché fissando    quei occhi blu mi sentivo sicura, e il mio corpo seguiva il suo. Danzavamo fissandoci nei occhi, lui sfiorò la mia schiena e posò la mano al centro, quel solo leggero contatto, mi fece venir un brivido, e sentì le mie guance accaldarsi, e mi sentì rilassata, sapevo che potevo fidarmi.
La musica cessò e ci fermammo, fissandoci ancora negli occhi, ci chinammo.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi si avvicinò «Dov’eri finito? Sbaglio o sei il mio cavaliere?» disse irritata.
Mi guardò furiosa, e mi sentì quasi paralizzata dalla paura, deglutii «Buonasera Rebekah»  sforzai un sorriso.
Alzò un angolino della sua bocca  «Ciao!» disse in modo disprezzoso, e se ne andò portando via con se Matt.
«Ciao Caitlyn» disse lui, mentre si allontanava.
Respirai e mi rilassai, uscì fuori e camminai cercando un posto tranquillo – che diamine ci fa un cavallo qui? – penai, mentre camminavo verso il giardino.
Mi sedetti in una panchina e accesi una sigaretta, ispirai profondamente, chiusi le labbra ed espirai.
Pensai a quei occhi profondi che mi fissavano, e i suoi movimenti, immaginavo noi due stretti l’uno all’altro, e immaginavo come fossero le sue labbra – Cazzo! Quant’è bello – pensai. Ricordai anche quel dolce ragazzo – E Matt? Cosa saremo? O cosa siamo? – mi domandai. Appoggiai la sigaretta alle labbra – Cosa devo fare? Iniziare qualcosa che ancora non esiste? O continuare qualcosa che ha un inizio? –.
Mi sedetti sulla panchina di marmo, al contatto rabbrividì, e misi la mia testa fra le mani – Cazzo! Perché tutti questi problemi? – sbuffai.
Buttai la sigaretta a terra, sperando che qualcuno non se ne accorgesse, e mi spostai camminando per il giardino, guardando il meraviglioso cielo stellato.
«Una signorina come te non dovrebbe fumare» disse una voce profonda, con un tono freddo ed educato.
Sussultai, mi voltai «Ah! Signor Mikaelson, non l’avevo sentita arrivare» pronuncia col solito tono – come il resto della metà della popolazione che si trova a Mistyc Fall – pensai ironica. «Come fa a sapere che fumo?» sorrisi, nascondendo la mia espressione stranita.
«Si sente l’odore» rispose. «Sa, non capirò mai cosa prova di piacere la razza umana a fumare» fece una pausa. «Piacere nell’autoinfliggersi con il fumo. Accorciando ogni giorno sempre più la loro breve vita» era come se riflettesse ad alta voce.
«Sa me lo chiedo anch’io, ma non riesco proprio a smettere» ammisi, facendo spallucce, cercando di nascondere il mio lato inquietato.
«C’è qualcosa che la turba?» lui domandò, avvicinandosi.
Sforzai un sorriso, e aggrottai la fronte «No, va tutto bene» cercai di mantenere un tono calmo – parla delle persone come se lui non ne facesse parte, spero che le cose che abbia detto Bonnie siano cavolate – sperai.
«Non mi menta signorina, cosa le turba» disse quasi sussurrando, e sfiorò il mio viso con le sue lunghe dita. Si allontanò di scatto «Signorina Bennett» si voltò.
«Buonasera Elijah» salutò lei, con sguardo cruciato.
«Per avere quello sguardo vuol dire soltanto che questa signorina, è come lei» sostenne.
Bonnie non rispose, io mi limitai ad avvicinarmi a lei.
«Interessante» gesticolò con la mano. «Vi auguro una buona serata signorine» e sparì.
«Caitlyn ma che ti passa per la testa? Stare in un posto isolato con un Originale?!» disse agitata.
«Ehi! Calmati. Cos’è un Originale?» domandai con sguardo interrogativo.
«Gli Originali sono i primi vampiri che sono esistiti, cioè la famiglia di Klaus» fece una pausa «La famiglia di Klaus, prima era una normale famiglia, che viveva in un villaggio qui nei dintorni. Sua madre, Ester, si rese conto che i suoi vicini erano dei licantropi, e decise i fare un incantesimo per proteggere i propri figli, e li trasformò in vampiri» raccontò.
Spalancai gli occhi dallo stupore «Cazzo!» esclamai. Poi mi ripresi «Scusa».
Bonnie sorrise «Andiamo in un altro posto?» propose.
«Ok» sorrisi.
Ci avviammo all’uscita, percorrendo il percorso che avevo fatto precedentemente. Mi fermai fronte alla grande entrata, ammirando l’immensa villa, e poi accadde tutto in un istante.
Qualcuno precipitò dal balcone, cadendo all’ingiù. Rimasi senza parole, mi si fermò la voce . Poi un altro uomo si gettò, e cadde sopra il ragazzo, prese la sua testa fra le mani, e gli ruppe l’osso del collo, anche se mi trovavo a metri di distanza sentì il rumore delle ossa rompersi. Una lacrima accarezzò la mia pelle «C-com’è possibile?» sussurrai.
Il ragazzo che si getto per ultimo, lo riconobbi, quei capelli neri, e gli occhi colore del ghiaccio – il compagno di Elena –.
Sentì una mano di Bonnie sopra la mia spalla «Tranquilla, sopravvivrà» mi sorrise.
La guardai, senza un espressione «È un…» non finì la frase.
Bonnie annuì, e alzai l’angolini della bocca, per il troppo stupore non riuscì neanche a sorridere.
 
Aprii la porta di casa, erano già tutti a dormire.
«Posso offrirti qualcosa?» domandai, mentre nella mia mente rivedevo quella scena, il suono delle ossa, rabbrividì.
«No, ma voglio insegnarti qualcosa. Siamo streghe bisogna proteggerci a vicenda» sorrise.
Ci accomodammo nel grande salone, presi un bicchiere e lo poggiai sopra il tavolino.
«Devi incanalare la tua energia e concentrarti e rompere quel bicchiere con la forza della mente» spiegò Bonnie.
Non ribattei «Ci provo» feci un profondo respiro e chiusi gli occhi.
Sentì tutta la mia energia concentrarsi in un unico punto, il petto, immaginai quel bicchiere rompersi. Quando riaprì gli occhi, guardai fissa l’immagine del bicchiere, e si ruppe, sobbalzai dallo stupore «C’è l’ho fatta!» esclamai entusiasta, abbracciai Bonnie.
«Sentivo che avevi un grande potere, ma non pensavo così forte, impari tutto velocemente» sostenne. «Ora devi fare la stessa cosa quando vedi un vampiro, ma ti devi concentrare sulla testa» m’informò.
«Okay!» esclamai ancora gioiosa.
Passammo la serata a chiacchierare, e dopo di ché l’accompagnai a casa.
 
Mi sdraiai a letto, fissando la debole luce della luna entrare dalla finestra – i suoi occhi – pensai a quell’intenso sguardo che mi fissava, mentre scendeva le scale, quello sguardo che mi fece sentire diversa. Immaginai tutta la scena.
Mi alzai dal letto – forse è meglio bere una tazza di latte caldo – scesi le scale, cercando di non fare rumore.
Misi la tazza nel microonde, pensando ancora alla serata, il tocco di Matt, i suoi occhi blu che mi facevano sentire al sicuro. Il timer del microonde suonò, disturbando i miei pensieri, e risalì le scale.
Mi sedetti accanto alla finestra ammirando la notte, e il silenzio che l’avvolgeva, sorseggiando il latte – quale sarà il suo nome? Chissà se ha provato le mie stessa emozioni? – i dubbi iniziarono a sorgere dentro di me, mentre la fantasia diminuiva.
Un gatto attraversò la strada – che dolce – guardai il suo percorso che andava verso il lampione, e lì il mio cuore smise di battere, sentendo il nodo in gola «È lui» sussurrai, sorrisi, e sentì le lacrime nei occhi – perché sto piangendo? – pensai. Notai che mi stava fissando – non sto sognando, vero? – sperai con tutto il mio cuore, che era pura realtà. Rimasi imbambolata, a guardarlo – ma che sto facendo? – posai la tazza di latte, e mi precipitai da lui.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5.
Corsi il più velocemente possibile, rischiai di inciampare nelle scale, spalancai la porta, e corsi come non avevo mai fatto prima. Iniziai a vederlo, sorrisi, ma quando mi fermai davanti al cancello, lui non c’era. Urlai di rabbia – perché, perché mi sta succedendo tutto questo? – mi domandai.
Tornai in casa, percorrendo lentamente il giardino, fissando le stelle – forse sto impazzendo? – sostenni, e calcia un sassolino – devo smetterla, non ho più dieci anni, è l’ora che faccia la donna matura – cercai di incoraggiarmi, chiudendo la porta alle mie spalle.
Mi buttai nel letto – infondo non lo conosco, basta solo non pensarci, no? – cercai di autoconvincermi, come se fosse facile. Mi buttai sotto le coperte, e strinsi il mio cuscino – non posso provare certi sentimenti per qualcuno che non conosco – sentì il nodo alla gola, e le mie labbra iniziarono a tremare, e le lacrime lentamente iniziarono a scendere – come potevo provare questo, solo con uno scambio di sguardi? – asciugai le mie lacrime con la manica del pigiama, e mi addormentai piangendo.
 
Aprì gli occhi, e la luce che penetrava dalla stanza fece bruciare i miei occhi, mi ributtai sotto le coperte, la sveglia iniziò a suonare – ci mancava solo questa – mi concentrai, e sentì la sveglia rompersi. Uscì la testa da sotto le coperte, vidi la sveglia a terra, come se fosse esplosa – non credevo di poter far esplodere le sveglie – feci spallucce.
Andai in bagno, fissandomi allo specchio, avevo due oscure occhiaie – sembro un panda – pesai.
Accesi la radio che si trovava in bagno, e riempì la vasca da bagno, ed entrai – se non sarà lui a farsi avanti sarò io – ma a solo all’idea iniziai a diventare rossa – forse è meglio di no – misi le labbra sotto l’acqua e feci le bollicine.
Scesi le scale, con l’asciugamano in testa, e mi avviai in cucina «Buongiorno Nonna» mi avvicinai alla caffettiera e mi versai del caffè.
«Buongiorno a te» sorseggiò il suo solito the mattutino, mentre leggeva un giornale di gossip, «Non devi bere caffè, almeno non così tanto» mi rimproverò.
«Nonna, ringrazia il cielo che il caffè americano è più acqua che caffè» precisai.
La nonna rimase senza parole «Fai come vuoi. Io lo dico perché tengo alla tua salute, e al tuo stress, e credo che tu sia troppo piccola per il caffè» spiegò.
L’abbracciai da dietro le spalle «Anch’io ti voglio bene» dissi, e lei con una mano, mi strinse dolcemente il braccio.
Improvvisamente il mio cellulare cominciò a vibrare – di chi è questo numero? – riflettei.
«Pronto?» domandai incerta.
«Caitlyn, sono io. Matt» disse la voce dall’altro lato del telefono.
Arrossì «Ciao Matt, come stai?» sentì il suo tocco dietro la schiena.
«Molto bene… Senti, volevo chiederti se…. Se ti va di uscire?» chiese, il suo tono era timido.
Rimasi sorpresa – questo è il destino, che mi sta aiutando a scegliere – sostenni «Okay, va bene!» sorrisi, come se lui potesse vedermi.
«Okay, è fantastico!» il suo tono era allegro. «Ti va bene, fra una mezz’oretta vicino casa tua? Oggi lavoro solo la sera» propose.
«Okay! Dopo Matt Donovan, dovrai rispondere a parecchie mie domande» dissi ironica.
«Okay. Ci vediamo tra poco. Ciao!» il suo tono era gioioso.
«Ciao» dissi dolcemente, e chiusi la chiamata.
La nonna mi guardò con aria interrogativa.
Arrossì «Matt Donovan mi ha invitato uscire» dichiarai, la mia voce si fece acuta e stridula.
La nonna sorrise «Oddio! Tesoro sono talmente felice» mi fece gesto di abbracciarla.
L’abbracciai, e guardai l’orologio del mio cellulare, che tenevo ancora in mano «Cavolo! Devo sbrigarmi, tra venticinque minuti arriverà» esclamai, e mi precipitai in camera.
Mi asciugai di fretta i capelli, e li piastrai. Misi il fondotinta, e un ombretto marrone per mettere in risalto i miei occhi verdi, e in fine matita e mascara. Infilai i miei pantaloncini di jeans, la canottiera beige e la camicia rossa a scacchi. Presi i miei Ray-Ban dal comodino, le misi sopra la testa, e infilai le mie amate converse, presi il cellulare e le chiavi di casa che infilai in tasca, e mi precipitai alle scale «Nonna è arriv-» mi si fermarono le parole.
Rimasi sorpresa – non ho sentito il suo arrivo – alla vista di quei occhi blu il mio cuore batteva all’impazzata, i suoi capelli biondi, e quel suo fisico, mi avrebbe fatto morire.
Mi morsi il labbro «Ciao Matt» dissi imbarazzata.
«Sei molto bella» si complimentò.
Arrossii «Grazie, anche tu non sei male»  – e non lo è affatto, con quella sua maglietta attillata, e quei jeans un po’ aderenti – sospirai.
«Andiamo?» m’invitò a fare, indicando la porta.
«Certo» sorrisi, scegli gli ultimi gradini – non mi ero resa conto di essere ancora nelle scale – salutai la nonna con un bacio sulla guancia.
Arrivammo davanti a un grande pick up azzurro e bianco.
«Non è niente di ché» disse con un tono quasi di scuse.
«È bellissimo, mi sento in un film» sorrisi.
Lui ricambiò il sorriso, e mi aprì lo sportello, salì anche lui «Dove la porto?» disse ironico e rise.
La risata più dolce che avessi mai sentito «In una stella» sbattei gli occhi.
Lui mi guardò stranito.
«È una battuta del Titanic» l’informai, lui mise a moto.
«Non è un film che fa per me» precisò.
«Immaginavo… Tu sei il solito ragazzo che ama i film d’azione e lo sport, ma sotto, sotto è tenero come il burro» sostenni, facendo un sorriso ironico.
Lui rise «Non è vero!» ribatté.
«Io dico che è vero, è un giorno te lo proverò» alzai il naso.
«Vuoi dire che ci sarà una prossima volta?» chiese, e il suo sguardo si fece malizioso.
Mi morsi il labbro «Forse»
«Allora dove vuoi andare?» chiese per la seconda volta.
«Mmm.. Fammi pensare» riflette «Non è ho idea» risi, misi una mano dietro la testa.
Lui sbuffò, come se volesse trattenere una risata «Ok, allora ti sorprenderò» mi sorrise.
Lo fissai, ed ammirai ancora il suo sorriso dolce, per tutto il viaggio non facemmo altro che ridere, scherzare ed io non feci altro che ammirare la sua bellezza. Stavo bene, con lui, mi sentivo a mio agio.
Parcheggiò l’auto in un terreno asfaltato, e scese dall’auto, e mi aprì lo sportello.
Lo ringrazia con un sorriso «Dove siamo?» domandai.
Si guardò attorno «Vicino alla tenuta Lockwood» m’informò, «Iniziamo ad andare» indicò l bosco.
«Starai scherzando, vero?» domandai intimorita.
«Tranquilla no ti succederà niente. Ti proteggo io» mise un braccio attorno alle mie spalle.
Il suo odore era simile a quello del bosco che ci circondava.
Prese una cesta di picnic, e iniziammo ad incamminarci.
Mi portò in un campo, un bellissimo campo di viole, sorrisi e lo guardai «È bellissimo!» esclamai gioiosa.
Mise la coperta plaid per terra lui si sdraiò, ed io lo seguì mettendomi alla sua sinistra «Qui è davvero bellissimo» dissi entusiasta, fissando il cielo, coperto dai rami, da dove penetravano dei leggeri raggi di sole, che riscaldavano la mia pelle.
«Sono felice che ti piccia» mi regalò uno dei suoi sorrisi più dolci.
Mi sdraiai, mentre lui si avvicinò, sfiorandomi con le sue gambe le mie, sentì il battiti del mio cuore accelerare. Lui appoggiò la sua testa sulla mano, e mi fissava, sorridendomi.
«Perché mi fissi?» gli sorrisi.
«Vorrei fare una cosa…» il suo tono serio e dolce.
«Cosa?» chiesi, piegando leggermente la testa.
Lentamente lui si avvicinò, mise la sua mano sul mio fianco destro, sentì un brivido, la sua pelle era calda, con l’altra mano si sosteneva, e l’avvicinò alla mia testa. Le sue labbra si avvicinarono, e toccarono le mie, le sue labbra erano morbide, i suoi baci erano leggeri e dolci, misi la mia mano sulla sua nuca, i baci diventarono sempre più affannosi, e sentì la sua lingua entrare in me, e muoversi armoniosamente con la mia. La sua mano che si trovava nel mio fianco iniziò a salire – dove vuole toccarmi? – pensai, pronta a tirargli uno schiaffo. La mano non si fermò dove mi aspettavo, ma iniziò ad accarezzarmi la guancia, non riuscì a trattenere una risata – Quant’è dolce – pensai.
Lui si allontanò solo di pochi centimetri «Perché ridi?» sorrise dolcemente.
Risi debolmente e riavvicinai le sue labbra alle mie, e gli diedi un piccolo dolce bacio, nelle sue morbide labbra.
Passammo l’intera mattinata a baciarci, e parlare delle nostre vite, conoscendoci sempre più.
 
Arrivai a casa.
Matt fermò il suo pick up davanti al cancello.
«Allora… ciao» dissi aprendo lo sportello.
«Aspetta» disse, e con la mano avvicinò le sue labbra alle mie.
«Ciao» arrossì, camminando ancora rossa, lungo il sentiero del giardino.
Entrai.
«Nonna, sono arrivata» l’avvisai.
«Oh! Tesoro sono qui fuori» la sentì urlare, almeno quanto potesse fare una nonna, da lontano.
Usci in giardino, e la trovai con il suo solito grembiule bianco, il grande capello di paia, e i guanti verdi.
«Ciao Carla» feci cenno della testa.
«Tesoro, mangi?» chiese la nonna.
«No. Ho mangiato un panino fuori con Matt» sorrisi, mordendomi le labbra.
Sì alzò, e si pulì i guanti nel grembiule già sporco di terra «Com’è andata?» domandò.
«Molto bene» sorrisi, «Beh! Adesso vado in camera» feci cenno di salutò ed entrai.
Posai le chiavi e il cellulare nel comodino, e mi sdraiai a letto, presi il telecomando e accesi lo stereo, chiusi gli occhi ripensando alla mattinata passata: I suoi baci morbidi, la sua pelle calda, e i suoi occhi blu, e le sue mani grandi che mi accarezzavano «Oh Dio!» sospirai quelle parole.
Il cellulare vibrò, distraendo i miei pensieri, aprì il messaggio:
 
Da: Bonnie
Ciao! Caitlyn (:
Ti va di andare al Grill, stasera?
         -Bonnie
 
Da: Caitlyn
Ok! Ci vediamo lì.

-Cai
 
Dopo cena mi andai a preparare: presi i miei soliti jeans strappati, la canottiera dei “Thirty second to mars”, e la mia solita camicia, bianca. Mi truccai semplicemente: con fondotinta e eyeliner.
Presi le chiavi e il cellulare e scesi le scale «Nonna esco» comunicai.
«Ok, tesoro. Stai attenta» disse dolcemente.
Misi in moto la mia vespa e partì.
Arrivai al Grill, parcheggiai, e trovai Bonnie li davanti ad aspettarmi, come sempre.
«Ciao Bonnie» salutai.
«Ehi!» sorrise dolcemente come sempre.
«Ti devo dire una cosa» dissi emozionata.
«Cosa?» spalancò gli occhi.
«Entriamo e te lo racconto» feci cenno alla porta, dove appena entrate ci sedemmo.
«Cosa devi dirmi?» i suoi occhi erano incuriositi.
«Oggi ho avuto un appuntamento…» arrossii.
Bonnie mi interruppe, sorrise eccitata.
«… Con Matt Donovan» finì la frase.
La sua espressione cambiò, e si fece più seria.
«Bonnie qualcosa non va?» domandai.
La sua risposta venne interrotta «Volete ordinare?» domandò la voce esterna.
Mi voltai, e un giovane ragazzo dai capelli castani e gli occhi marroni, dolci come quelli di un bambino.
«Sì una coca» ordinai, con tono gentile.
«Per te Bonnie?» domandò il ragazzo.
Li guardai dubbiosa – Si conoscono? –
«Un the» sorrise, «Ah! Jeremy lei è Caitlyn una mia amica» ci presentò.
«Piacere» sorrisi.
«Okay, allora vi porto le vostre ordinazioni» c’informò, e andò.
«Perché hai fatto quella faccia quando ti ho detto di Matt?» domandai, sussurrando il suo nome.
«Sono felice, so che sei una brava ragazza, e che non mi aspettavo che uscissi con Matt, tutto qui?» ammise, facendo spallucce.
«Voglio solo che tu sia d’accordo» affermai.
Lei annuì, e quel esto mi rassicurò.
Mi guardai attorno, vidi Matt che mi sorrise e lo salutai col gesto della mano, il locale era molto frequentato. Guardai il bancone guardando che stesse facendo, ma lì notai quei capelli biondi – Klaus – e accanto a lui, rimasi senza fiato, era il bellissimo ragazzo dai occhi profondi che guardandoli mi sentirei persa.
«Bonnie andiamo a giocare?» indicai in tavolo da biliardo, vuoto.
«Okay, ma aspettiamo le bevande, che stanno arrivando» propose.
Presi le bevande e lo appoggiai al tavolino vicino al biliardo.
«Chi spacca?» domandai, con la stecca tra le mani.
«Io…» rispose una voce estranea.
Bonnie guardava dietro di me, quella voce profonda, mi fece venir il nodo allo stomaco, e rimasi come paralizzata. Mi voltai lentamente, e rimasi di sasso quando vidi quei meravigliosi occhi marroni, profondi, quei occhi che pensavo di continuo, che mi facevano perdere e dimenticavo chi ero, era lui quel ragazzo che mi faceva sentire in quel modo, completa. Non riuscì a dire una parola, lui aveva fatto il primo passo, mi batteva il cuore all’impazzata, e ne mio stomaco quel nodo si stringeva.
«Piacere sono Kol Mikaelson» si presentò.
Strinsi la sua mano «C-Caitlyn Evans» dissi a mala pena – perché ora? perché ora che avevo iniziato una relazione – continuavo a pensare. Quel pensiero mi faceva male, lui non era Matt, e i miei sentimenti per lui erano diversi, forse più veri e profondi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6.1 ***


6.1
A contatto con quella mano mi venne un brivido. I suoi occhi mi facevano perdere la cognizione del tempo, era il color del cioccolato, e mi sentivo catturare come se ci potessi entrare dentro, senza che me ne accorsi sentì le mie guance accaldarsi. Lui sorrise, quasi maliziosamente.
«Kol» Bonnie pronunciò il suo nome con disprezzo, alzò un sopracciglio.
«Bonnie Bennett, è un pia-» il suo tono era ironico, e venne interrotto da Bonnie.
«Non abbiamo bisogno del tuo aiuto, quindi potresti anche andartene» disse lei presuntuosa.
«Okay, non vorrei mai mettermi contro una strega» posò la stecca, ma il suo viso era seccato, e usci dal bar.
Lo guardai, mentre si allontanava – potrebbe essere la mia ultima chance – e lui usci dal locale.
Posai la stecca sul tavolo «Bonnie ho dimenticato una cosa, arrivo» non la fissarla, e mi precipitai fuori.
Mi guardai attorno e non c’era.
«Sono qui» la sua voce intrigante.
Mi voltai, e mi avvicina alla stretta via – sarà il retro del locale – pensai.
«Scusala, Bonnie è molto dolce in realtà» spiegai, ammirando il suo sorriso malizioso, cercando di trattenere la voglia di saltargli addosso – perché sei così per me? – chiesi come se potesse sentirmi.
«Puoi stare serena, sono abituato al suo modo di fare, ma la mia pazienza come quella di tutte a un certo limite» alzò l’angolino della bocca, come un sorriso amareggiato.
«Okay» sussurrai «Come puoi essere così…» aggiunsi, ma non riuscì a continuare a causa di quel tono alla gola, fissandolo in quei suoi occhi, e mi avvicina, solo un passo ci separava.
«Sai, me lo chiedono tutte» disse lui, chinando la testa.
Con le dita sfioro il mio mento e lo alzò avvicinò le sue labbra, non sapevo come fermarmi, o forse non volevo. Sentì le sue labbra vicine alle mie, le sfiorò, ma si sentì la porta del retro del Grill scricchiolare. Sobbalzai dallo spavento, ma in meno di un secondo, mi voltai per guardare Kol, ma lui non c’era, dietro a quella sbucò il ragazzone dai occhi blu.
«Matt» sorrisi, nascondendo l’agitazione.
«Cosa fai qua fuori?» domandò.
«Stavo andando a prendere le sigarette» indicai la mia vespa.
Mi guardò sbalordito «Non sapevo che fumassi».
«Beh! Tesoro, sono tante le cose che non sai di me» gli feci l’occhiolino.
Lui mi sorrise, e si avvicinò «Posso avere un bacio, donna misteriosa?» domandò ironico.
«Certo» sorrisi, misi le mie braccia attorno al suo collo e lo baciai. «Buon lavoro» sorrisi.
Lui entro e notai che le sue guance erano rosse, o forse lo avevo solo immaginato. Mi guardai attorno – è sparito, come diavolo ha fatto! – guardai perfino sopra la mia testa – speriamo che non sia volato come un angelo – sospirai.
Mi avvicinai al motorino, aprì il piccolo sportellino, dove presi una sigaretta, e l’appoggiai sulle labbra, l’accesi, mentre chiusi lo sportellino, notai un foglio attaccato al parabrezza, lo presi e lo lessi:
 
Prego.
 -Kol
 
Guardai incuriosita quel pezzo di tovagliolo, sorrisi – che presuntuoso – e lo infilai nello sportellino.
Fumai la sigaretta, fissando le piccole palazzine, ma in realtà pensavo a lui, Kol – perché penso a te, se dentro a quel locale, a pochi metri di distanza si trova il ragazzo più dolce, e sensibile di questo mondo – buttai la cicca a terra, e con forza la spensi con il piede, espirai l’ultimo tiro ed entrai.
Mi avvicinai a Bonnie, che ormai era seduta «Dove sei stata?» domandò, il suo sguardo era dubbioso.
M’irrigidì «Qua fuori a fumare una sigaretta» risposi, con la mano indicai la porta, e mi sedetti fronte a lei.
Alzò il sopracciglio.
«Puoi dirlo anche a Matt, mi ha visto anche lui» insistei.
«Okay» rise leggermente. Poi fisso l’orologio «Fra poco Matt e Jer finiranno il turno, ti va di aspettarli?» chiese.
«Certo» sorrisi «Però ho bisogno di qualcosa di leggermente più forte» schiacciai l’occhiolino.
Attirai l’attenzione di un cameriere e ordina quattro rum e pera.
«Caitlyn ma sei matta, bisogna guidare dopo» fece come un rimprovero.
«Tranquilla beviamo solo questi, e il tempo che loro finiscono il turno abbiamo già tutto smaltito» l’informai.
Lei annuì, e in poco tempo portarono i quattro piccoli bicchieri «Alla salute» brindai, e lo mandai giù ad un fiato.
Inizia a sentire la guance accaldarsi – maledetto alcool – mi toccai le guance sperando che il colorito sparisse.
«Che fai?» Bonnie alzò un sopracciglio.
«Faccio andare via il colorito dalle guance» spiegai.
Scoppiò a ridere «Non sarai mica ubriaca?».
«No! E che quando bevo le guance mi diventano rosse, e sembra che sono ubriaca ma in realtà non lo sono» spiegai fingendo il broncio.
«Come mai non bevi quest’altro?» domandai.
«Caitlyn, devo guidare» spiego.
«Beh! Anch’io» precisai.
«Bevilo tu» mi avvicinò il piccolo bicchierino.
«Io l’ho preso per te» insistetti, lei avvicinò di più il bicchiere a me. «Okay!» lo presi, e lo alzai  «Alla tua salute» e lo buttai giù, sentì un brivido.
Si sedettero Matt e Jeremy «Ciao tesoro» dissi gioiosa, e lo baciai.
«Non nel luogo dove lavoro» sorrise lui. poi mi guardò attentamente «Hai bevuto?».
«Sì un po’» risposi non dando interesse alla domanda.
«Jer ti accompagno a casa?» chiese Bonnie a Jeremy.
«Sì, grazie» rispose lui, con in suo sguardo innocente. Si alzò «Buona fortuna amico» si rivolse a Matt.
«In che senso?» lo guardai con aria interrogativa.
Lui sorrise «Buonanotte Caitlyn».
E i due si allontanarono, mano per la mano, rimasi sbalordita.
«Bonnie non mi aveva detto che stava con Jeremy» dissi a Matt.
«Stanno da qualche mese insieme» spiegò.
«Okay» feci spallucce.
«Andiamo a fare un giro, basta stare in questo locale per oggi» si lamentò.
Uscimmo dal locale, le strade era quasi deserte, e decidemmo di sederci in una panchina.
Parlammo, per diverse ore, mi raccontò di sua sorella, di come fosse stata trasformata e di come poi fosse stata uccisa, e di sua madre, che non era mai stata presente – era solo – e una lacrima scivolò dal mio viso – almeno io ho la nonna – l’abbracciai.
«Tranquilla» dolcemente cerco di consolarmi.
«Perché mi consoli, mentre io consolo te» protesta, trattenendo le lacrime.
«Perché non voglio che la mia ragazza pianga» sorrise.
Lo guardai, con occhi sbarrati, e sapevo di essere arrossita «Io la tua ragazza?» domandai sorpresa.
«Certo se lo vuoi» sorrise in modo incerto.
Lo bacia, toccai quelle dolci e tenere labbra, sentire come dolcemente la sua lingua danzava armoniosamente con la mia, non ci volle una risposta per capire quale era la mia risposta.
Per precauzione Matt propose di accompagnarmi, e decise di caricare il mio motorino sul suo pick up, non riuscì ancora a capire da dove tirò fuori tutta quella forza.
 
Aprì lentamente la porta di casa – speriamo che la nonna dorma – sperai, mi tolsi le scarpe per non far rumore.
Sgattaiolai fino alla cucina, il mio stomaco iniziò a brontolare, ma quello a chetarsi fu il mio cuore, la luce si accese da sola.
«Ti sembra questo l’orario per tornare a casa?» domandò la nonna rabbiosa.
Misi la mano al petto, per tranquillizzarmi, e poi fissai la nonna con aria confusa «Nonna sono solo le 1:45» feci notare indicando l’orologio.
Fece uno sguardo insistente, e sempre co fare arrabbiato «Questo non è l’orario in cui deve tornare una ragazzina» continuò il suo rimprovero, spiegando tutti i rischi che potevo correre. Improvvisamente interruppe il discorso ed esclamò «Hai bevuto?».
Mi morsi il labbro «No» risposi, al lungando il suono della “o”.
«Tu hai bevuto, ma hai solo diciassette anni, non puoi bere?» disse furiosa.
«Nonna ho più di sedici anni posso» spiegai.
«Fila in camera» disse in fine.
Scocciata andai in camera – alla fine neanche ho mangiato – sbuffa. 


Angolo Autore.
È la prima vola che faccio un angolo autrice.
Spero che la storia vi stia piacendo (^.^)
Vi volevo semplicemente avvisare che
questo capitolo è stato separato in due parti
solo per creare un po’ più di suspance.
Grazie per aver letto questa FF <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 6.2 ***


6.2
Aprì la porta e la richiusi alle mie spalle, poggiai le cose sul comodino e andai in bagno a cambiarmi. Usci dal bagno con il bigliettino di Kol in mano, e lo nascosi in uno dei miei libri preferiti, e mi sistemai a letto, ma non riuscivo a chiudere occhio. La mia mente era confusa, ero diventata la ragazza di Matt, ma pensavo ad un altro, una persona che non era viva, ma che faceva sentire me viva. Non potevo stare con Kol, io ero mortale, ero una strega, “i vampiri usano le streghe per i loro capricci” mi risuonarono le parole di Bonnie.
«Cosa posso fare?» mi lamentai, mettendomi un cuscino in faccia.
Ero confusa, Matt l’adoravo era dolce, gentile, e mi faceva sentire sicura. Kol al contrario era seducente, sexy, ma provavo insicurezza e anche timore quand’ero con lui, ma mi faceva sentire come nessuno mi aveva fatto sentire.
Sentì ticchettare sulla porta finestra, e mi spaventai – forse me l’ho immaginando – supposi, infilandomi sotto le coperte, ma il ticchettio continuò, il cellulare iniziò a vibrare, lo guardai “Matt”, feci per rispondere, ma smise di suonare – forse è lui – misi una felpa, e mi avvicinai lentamente. Presi con la mano una tenda e la mossi con forza, mi mancò il fiato.
Davanti a me l’irresistibile ragazzo dai occhi dal color del cioccolato – come ha fatto? – era lì davanti, con la testa leggermente chinata, e mi sorrideva, mentre con gesto della mano mi salutava.
Aprì la portafinestra «Che diamine ci fai qui?» esclamai ancora per lo shock.
«Sono venuto a darti una cosa» spiegò, sempre col suo solito modo sensuale, per i miei occhi.
«Prima spiegami come hai fatto a salire?» volevo una risposta normale, e non troppo vaga.
«Sono un vampiro» spiegò fece spallucce, e si avvicinò alla portafinestra, appoggiando la mano nel vetro.
«Cosa devi darmi?» chiesi, incrociando le mani, cercando di avere un atteggiamento duro.
«Invitami ad entrare è lo farò» sorrise malizioso.
«Sai che ho dei poteri» ribadii.
«Certo» il suo atteggiamento era quasi da superiore.
Annuì – spero che non me ne pentirò – sperai «Prego, entra» feci gesto con la mano.
In quell’istante fu dubbioso, e lentamente allungò la sua gamba, sorrise, ed entrò.
«Allora cosa devi darmi?» ripetei.
Lui si avvicinò, e con una sua mano accarezzò la mia guancia, la sua pelle era fredda. Lo fissavo in quei suoi occhi castani, che mi facevano perdere, erano profondi e pieni di qualcosa che non capivo, non riuscivo a capire lui.
«Volevo darti questo» sussurrò.
Chinò la testa, e lentamente si avvicinò, mi alzai con le punte, e le nostre labbra si sfiorarono. Le sue labbra carnose, baciavano dolcemente il mio labbro inferiore, sentivo il suo respiro accelerare, e il mio lo seguì. I nostri baci si fecero più appassionanti, e lui leggermente lecco le mie labbra, sentì come una fitta al cuore, e un brivido mi percorse, e il corpo si riscaldava. Aprì la mia bocca, e lui mise una mano dietro la mia schiena, mentre con l’altra accarezzava il mio viso. La sua lingua entrò nella mia bocca e iniziò a muoversi appassionatamente con la mia.
Con un tale forza, mi ritrovai nel letto, sotto di lui, con una tale agilità tolse la mia felpa, e sfiorando le mie gambe le aprì. Con una mano si sosteneva, mentre con l’alta accarezzava tutto il mio corpo. Sentivo il mio corpo fremere, e con un gesto un  po’ imbranato tolsi la sua maglietta, il suo corpo era perfetto, slanciato, muscoloso. Misi le mani attorno alla sua nuca mentre continuava a baciarmi, con passione.
La sua mano andò ad accarezzarmi il seno, a quel tocco m’irrigidì, e sentì il mio respiro più affannato, e mi sentì ancora più eccitata, la sua mano scese lentamente, fino a quando delicatamente tolse i miei pantaloncini, dall'imbarazzo diventai rossa.
«Tranquilla» sussurrò al mio orecchio.
E mi fidai, sentì le coperte avvolgerci, ero nuda sotto di lui, ero imbarazzata ma allo stesso tempo eccitata.
Sentì lui entrarmi delicatamente, e cercai di trattenere le urla di piacere, e cercai di chetarle baciandolo.
Era duro ed era dentro di me, ed era la sensazione più bella che avessi mai provato.
 
Angolo Autore.
È la prima vola che faccio un angolo autrice.
Spero che la storia vi stia piacendo (^^)
Vi volevo semplicemente avvisare che
questo capitolo è stato separato in due parti
solo per creare un po’ più di suspance.
Grazie per aver letto questa FF <3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


7.
Sorrisi, pensando alla bellissima notte, ero felice. Non avevo il coraggio di aprire gli occhi, avevo paura di non vederlo, e che tutto quello successo fosse stato solo un sogno, ma presi coraggio e lo feci.
Lui non c’era – come immaginavo – sospirai malinconica, e sorrisi alzandomi appoggiando la schiena sulla tastiera del letto, alzai le ginocchia e appoggiai la mia testa, ancora rossa dall’imbarazzo – non posso crederci – sorrisi, e guardai il letto, con le coperte disordinate – lui ha dormito qui – accarezzai il suo lato del letto, presi il suo cuscino, dove c’era ancora il suo odore, dolce e sensuale come lui, lo riposai.
Mi alzai, con il lenzuolo avvolto al mio corpo, provavo vergogna a camminare nuda per casa, andai in bagno, e mi feci una doccia.
Schiumavo il mio corpo, mi resi conto che avevo dei lividi, il mio viso si fece cupo «Come è potuto succedere?» sussurrai sorpresa.  Sfiorai il mio corpo e iniziai a provare dolore in quei punti, però ripensando alla nottata passata, sapevo che quei lividi non avrebbero dovuto rovinare la mia felicità, che è quello che cercavo da tanto tempo, lui era la mia felicità.
Scesi le scale con uno dei miei sorrisi più belli «Buongiorno nonna!»
«Oh! Tesoro oggi ti vedo particolarmente felice. È successo qualcosa con Matt?» domandò allegra anche lei.
Mi fermai, rimasi paralizzata a sentire quel nome – Matt, che cose gli avevo fatto? Nemmeno una settimana, e lo tradito senza pensarci due volte? – sentì il cuore andarmi a frantumi, avevo fatto una cosa orribile «Come ho potuto» sussurrai fra me e me.
«Tesoro, domanda sbagliata?» il viso della nonna era dispiaciuto.
La guardai, sforzai un sorriso «Tranquilla nonna, ho solo dimenticato una cosa» fuggì in camera mia, chiusi tutto e accesi lo stereo e misi il cd che preoccupava tanto i miei papà, e mi sdraiai.
 
 Caitlyn, cosa è successo bocciolo? Sappiamo che stai male, che ti ha fatto quel lurido verme?” –.
 
Era una delle prime frasi che esclamavano, quando sentivano le note del piano, provenire dalla mia camera, sapevano che quando stavo male l’unico dolce suono che poteva farmi stare bene era il piano.
 
–“Tesoro andiamo a suonare?” –.


 
Infine mi proponevano di suonare. Quel dolce ricordo, percorreva la mia mente, i loro sguardi preoccupati, e i loro sorrisi che mi facevano sentire bene, una lacrima cominciò a rigarmi il volto, e inseguito tutto il mio viso fu coperto di lacrime.
 
–Un bacio in fronte “Stai a tenta a scuola, e fai la brava. Manda un messaggio quando sei a casa di Lucia” –.
 
Dicevano sempre quando ogni mattina andavo a scuola o andavo a casa di un’amica, ma quel giorno dovevano essere loro a stare attenti, il mio pianto si fece più forte, quel ricordo lentamente riaffiorava:
 
«Papà sono a casa» aprì la porta, l’aria era fredda.
Andai in cucina «Papà dov-» le parola mi si fermarono in gola, e difronte a me la scena più orribile che un figlio si possa aspettare. Erano immobili, davanti a me, le loro pelli bianche come la neve, mi inginocchiai difronte a loro, erano freddi. Volevo urlare, volevo urlare i loro nomi, ma la paura me lo impediva, li toccai e la mia mano era rossa del loro sangue scarlatto. Sentì le lacrime scendermi in viso, ma la mia pelle era asciutta, e il petto lo sentivo dolente. Le loro mani erano strette e unite, li accarezzai.
Non so quanto tempo passò, anche se mi dissero che passarono quasi dodici ore.
Ricordo solo, il rumore della porta che si spalancava, e che mi allontanavano dai miei papà. Qualcuno mi ha portato via le persone più care di questo mondo, quella persona aveva rovinato la mia vita, quella persona aveva porta via l’amore in me.
 
Ora quell’amore credevo di averlo trovato, almeno un briciolo di quell’amore credevo di aver ricevuto, ma nel frattempo avevo fatto la una cosa orribile a una persona che si meritava l’amore, che io non provavo.
«Scusami Matt» misi le mani al viso, a abbracciai forte il cuscino. Tutto il dolore trattenuto nei mesi lentamente riaffiorava, facendomi provare nausea, era come se il dolore volesse uscire via dal mio corpo, provocandomi forti dolori al petto e alla gola.
«Basta! Basta!» ripetevo silenziosamente, sperando che il dolore sparisse.
Ricordai le parole del medico
-“Prendile quando ti senti molto giù di corda. Ti faranno sentire meglio”-
Mi avvicinai al comodino, senza alzarmi, non ne avevo più le forze, con le dita aprì il primo cassetto e infilai la mano alla ricerca della scatola arancione. La trovai e la presi fra le mani, lessi: “Clomipramina”.
Aprì il barattolo e ne presi una e la ingoiai, sdraiai fissando il soffitto, la mia vista si offuscava e gli occhi si facevano pesanti – sta funzionando – pensai, e mi lasciai trasportare dal sonno.
 
Aprì gli occhi, dalle finestre penetrava una forte luce – che ore sono? – mi voltai verso il comodino, allungai la mano girando la sveglia, guardai l’ora 15:40.
«Cazzo!» esclamai a denti stretti. Notai il silenzio che risuonava in camera, lo stereo era spento,  e le pillole posate ordinatamente sulla scrivania. Il mio sguardo era confuso, e lentamente mi sedetti sul letto «Posso farcela» mi incoraggiai. Mi alzai e forte giramento di testa mi fece perdere l’equilibrio, mi aggrappai alla testiera del letto, e lentamente scesi al piano di sotto.
La  nonna la trovai seduta sulla poltrona del salone, che leggeva uno dei suoi tanti libri.
«Nonna!» Accennai un sorriso assonato.
Lei si tolse gli occhiali e appoggiò il libro sopra il tavolino «Tesoro, come stai?» domandò sorridente, anche se i suoi occhi erano tristi, cercava di nascondere la preoccupazione.
«Ora sto meglio» mi avvicinai, e mi sedetti nel divano.
«Hai avuto una delle tue crisi?» si accodò accanto a me, e mi strinse le mani dolcemente.
Annuii, allontanai una mano da quella stretta, e misi una ciocca dietro l’orecchio «Scusa» sussurrai.
Lei mi guardò sorpresa «Perché ti scusi? Non è colpa tua» mi confortò.
«Lo so, ma ti faccio sempre preoccupare, e questo non è giusto» ammisi, mi asciugai un occhio sperando che le lacrime non uscissero.
La nonna mi abbracciò,  e fu lì che le lacrime iniziarono a scendere senza sosta.
«Su tesoro, sfogati» strinse quell’abbraccio «È un mio compito prendermi cura di te» chiarì.
Strinsi anch’io quella presa, almeno cercai i medicinali mi indebolivano, «Grazie» sussurrai.
Si allontanò dalla presa, e mi fissò nei occhi «Facciamo un po’ di cioccolata?» propose.
Annuii sorridente, cercando di non far più uscire le lacrime.
Sorseggiavo la mia cioccolata, e guardai il mio cellulare, dove trovai una decina di messaggi di Matt, dove chiedevano la stessa cosa:


Da: Matt
“Ti va di vederci?”
-Matt

 
Spalancai gli occhi, e allontanai il cellullare dalla mia vista, ero confusa, triste ma soprattutto mi sentivo una traditrice – sono stata una stronza – appoggiai la tazza sul tavolino, e fissavo il mio cellulare cercando una decisone sul da farsi.






 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


8.
Ero lì, seduta su quella scomoda panchina.
Continuavo a muovermi – l’altra volta sembrava più comoda – riflettei.
Decisi di alzarmi, e inizia a camminare nervosamente intorno alla panchina.
«Caitlyn!» quei occhi meravigliosi esclamavano felici.
Lui si avvicinò a me, fece per baciarmi, lo scansai porgendogli la mia guancia. Lui mi guardò perplesso, sforzai un sorriso per rassicurarlo «Ciao Matt» dissi col nodo alla gola, non riuscivo a guardarlo negli occhi.
Mi sorrise come sollevato «Andiamo a fare un giro?» propose.
Sorrisi ed annuii.
Camminammo vicini, lui sfiorava la  mia mano con le sue dita, sentivo un brivido ogni volta che mi sfioravano,  e sentivo quel nodo alla gola che affiorava, e cercai di buttarlo giù – non c’è la faccio – continuavo a pensare, e allontanai la mano dalla sua, finsi di avere freddo e misi le mani conserte.
Lui come da dolce gentiluomo mise il suo braccio attorno alle mie spalle «Andiamo nel pick-up, prendo la giacca» disse premuroso.
Non riuscivo più a trattenermi, sentivo il nodo alla gola, la stretta al petto, come se qualcosa stringesse il mio cuore, le labbra iniziarono a tramare, e una lacrima scivolò lungo il mio viso, mi fermai, e le lacrime iniziarono a scendere interrottamente.
«Tutto bene?» chinò la testa, e i suoi occhi blu mi guardarono preoccupati.
Il suo sguardo intenso, profondo come l’oceano provava compassione per me, lui era caldo, e mi faceva stare bene, ero in pace con me stessa quando stavo con lui.
«Perdonami» sussurrai a mala pena, misi la mia mano sul suo viso, e mi avvicinai alle sue labbra e le sfiorai dolcemente.
Lui mi strinse a se, e mi baciava teneramente con passione, i nostri respiri era pensanti, ma non sentivo quella passione che provavo con Kol, che mi divorava, mi faceva sentire sua, mi sentivo sua, ed era come se tutto sparisse tranne noi.
Baciando quelle morbide labbra, il mio pensiero andò a lui, e a quei occhi meravigliosamente scuri, che mi facevano perdere, e dimenticare chi ero, mi sentivo insicura, e piena di incertezze, e che l’unica certezza era la passione e lui.
Mentre Matt mi faceva sentire importate, sicura, sapevo come sarebbe finita: magari una relazione lunga e duratura, e un giorno ci saremo lasciati rimanendo buoni amici, o ci saremo sposati, avremo avuto una famiglia con dei figli e poi dei nipoti, e quando sarebbe stato il momento saremo morti.
Arrivammo al pick up, e ci sedemmo al suo interno.
Matt con un abile gesto accese l’aria condizionata, e si avvicinò a me, abbracciandomi.
«Sai è da tanto che non abbracciavo una ragazza, e al contatto con la sua pelle era calda» ammise, e appoggiò la sua guancia fra i miei capelli.
Non capì bene cosa disse, annuii lo stesso, fingendo di star ascoltando – forse dovrei lasciarlo, o pure no? Con lui so già cosa mi succederà e non soffrirò. Mentre Kol potrebbe farlo, e questo mi rende incerta e insicura – cercavo una risposta tra i miei pensieri confusi, ma niente risposte.
Mi allontanai da quella presa, e lo guardai nei occhi «Scusa» sussurrai, ma non sapevo il vero significato di quella parola.
Lui mi guardò incerto, ma prima che potesse dire qualcosa lo interruppi baciandolo.
I suo baci erano dolci, e un po’ timidi. Sentivo il suo respiro pesante, mi sedetti su di lui, leccai le sue labbra, e la sua lingua entro in me muovendosi aggraziata con la mia. Le sue mani mi stringevano forte a me, mentre le mie tenevano il suo viso dai lineamenti forti e decisi, appoggiai le braccia sulle sue spalle cercando si essere più vicina a lui, lui mi strinse più forte, sentivo il mio seno vicino al suo robusto petto. Sentivo i nostri corpi accaldarsi, e sentivo una forza spingere tra le mie gambe, arrossii.
Matt accarezzava i miei seni, mentre le mie labbra scendevano sul suo collo, le mie mani scesero lungo il suo petto e gli tolsi la maglietta, il suo fisico era scolpito, le sue braccia erano possenti, con abile gesto sbottonò i miei jeans ed mise inizialmente la sua mano tra le mie gambe, era fredda al confronto. I nostri respiri erano affannati, ma ad ogni mio bacio lui era come se sorrideva appena, quando ne fui certa sbottonai i suoi pantaloni, e fu lì che entrò in me, non era doloroso ma piacevole, ma nella mia mente intravidi gli occhi di Kol.
 
Come fosse diventata un’abitudine, Matt mi riaccompagnò a casa, e scese dal retro del suo furgone il mio motorino.
Tenni tra le mani il mio motorino, lui si avvicinò, e con uno sfioramento di labbra mi salutò.
«Ciao» sorrise.
«Ciao» alzai l’angolino della bocca, e varcai il cancello.
Appena aprì la porta, corsi in camera e mi buttai nel letto, ero confusa, e credevo di star avendo un crollo emotivo – ho fatto sesso con Matt, e lo tradito con Kol. Quindi lo sto illudendo, li voglio entrambi? O forse ho solo paura di Kol? – presi le pasticche dal cassetto del comodino, e ne mandai giù una, bevendo l’acqua nascosta tra il comodino e il letto. Sentì la mia mente più leggera, i mille dubbi e i sensi di colpa lentamente si spensero facendo tornare la tranquillità.
 
La sveglia suonò.
«Spegniti» mi lamentai sotto le coperte, la sveglia si chetò.
Uscì la mano da sotto le coperte e presi il cellulare, lessi la schermata 6:53.
«Cazzo!» esclamai frettolosa mi infilai nella doccia, e asciugai i miei capelli, cercai di truccarmi.
Scesi le scale frettolosa, col rischio di cadere, presi una fetta di pane e marmellata e un sorso di caffè.
«Nonna vado» e chiusi la porta alle mie spalle, e percorsi il tragitto fino a scuola il più velocemente possibile.
La campanella suonò, fissai l’orario:
Storia -  dalle 7:35 alle 8:30
Corsi in classe, e il professore non era ancora arrivato, feci un respiro di sollievo, e mi appoggiai allo stipite della porta.
Ci fu un colpo di tosse dietro alle mie spalle «Scusi signorina Evans, vorrei entrare per fare lezione» il suo tono quasi ironico.
M’irrigidì, e fissai quei occhi chiari.
«Scusi professore» e mi diressi al mio posto, dove c’erano già Bonnie e Matt seduti – non si sono accorti del mio arrivo – mi sedetti, Matt e Bonnie mi sorrisero.
«Ciao» salutai, e loro ricambiarono il saluto.
Presi i libri, e iniziai ad ascoltare la noiosa lezione che mi aspettava.
La campanella suonò, e sentì il bracciò di Matt attorno alle mie spalle.
«Come mai così tardi?» mi sorrise, e mi baciò la guancia.
«Non ho sentito la sveglia, e ho perso un po’ di tempo a prepararmi» spiegai, indicai il mio armadietto, e mi fermai, e lui proseguì avanti verso il suo.
Chiusi l’armadietto e mi precipitai ad affrontare le prossime ore.
La terza campanella suono, ed annunciò il pranzo.
Camminavo lentamente mentre mi dirigevo alla mensa – cavolo sto morendo di fame – sospirai, e misi una mano nello stomaco.
«Caitlyn!» sentì esclamare, mi voltai.
Mi fermai «Bonnie!» sorrisi, ero felice di vederla.
«Com’è andato il weekend?» domandò, sorridente.
Iniziammo ad avviarci alla mensa, sforzai un sorriso «Benino, tu?» domandai a mia volta.
«Bene» sorrise.
Entrammo nella grande sala, e iniziammo a fare la fila «Ti sei esercitata con la magia?» sussurrò l’ultima parola.
Mi diedi un colpetto in testa «Cavolo! L’ho dimenticato, sai ho avuto da fare, poi ieri sono uscita con Matt» raccontai.
Lei sorrise «Ho saputo, mi sa che il caro Matt, si sia preso una bella cotta» espose.
Arrossii, e presi un panino «Vado fuori, sai convivo con un brutto vizio» avvisai.
«Okay, se non ti dispiace preferisco stare dentro» disse con fare dispiaciuto.
Col gesto della mano, scacciai via il suo dispiacere «Okay ci vediamo dopo» pagai, e andai fuori.
Mangia velocemente il panino, e accesi una sigaretta, e faci un profondo tiro ed ispirai.
Mi sedetti sul muricciolo, e rispetto dall’altra parte della scuola qui era piuttosto calmo, forse perché erano la maggior parte strafatti, ma non me ne importava, io stavo bene, espirai.
«Caitlyn» sentì qualcuno nominare il mio nome, con un tono melodico.
Mi guardai a torno, ma nessuno mi veniva incontro o mi fissava – sarà la mia testa – ispirai un altro tiro profondo.
«Caitlyn» di nuovo quella voce.
Feci l’ultimo tiro, e gettai la sigaretta a terra, e camminai dalla parte del giardino isolata – qui dovrei stare meglio – mi sedetti sull’erba giocando col cellulare.
«Caitlyn» la voce sembrava più vicina, alzai lo sguardò, e sobbalzai dallo spavento.
«Kol» sussurrai, spontaneamente sorrisi.
 «Scusa se sono fuggito via, senza salutarti, ma avevo da fare» spiegò sempre col suo modo di fare freddo, ma nel tempo stesso interessato.
«A proposito di quella sera, ti volevo spigare che…» non riuscì a continuare.
Lui intervenne «Cosa? Uno sbaglio? L’errore più grosso della tua vita?» suppose «Ti dico io cos’è stato la scorsa notte: era gola, ira, ma soprattutto lussuria. Tu hai provato piacere, tu mi hai come usato come un tuo sfogo, e ora mi vorresti dire che è stato un errore, perché?» fece una paura «Perché hai trovato il ragazzo giusto?» disse quelle frasi con indifferenza, come se non gli importasse, ma dentro di me qualcosa diceva che non era vero.
Mi alzai, con fare orgoglioso «Hai ragione è stata forse, una delle serate più belle della mia vita, mi sono sfogata…» nel suo volto c’era un mezzo sorriso, ma continuai «Ma, ho fatto un torno a una persona che si merita amore, una persona che sono certa che mi starà accanto, e non sparirà il giorno dopo» spiegai.
Lui si avvicinò, io mi allontanai «Se tu non provassi questo, tu non ti allontaneresti da me» si avvicinò sempre di più.
Mi fermai – forza posso resistere, pensa a Matt, pensa a Matt! – continuai a ripetere nella mia testa.
Lui si avvicinò, sfiorò con le sue dita le mie labbra «Non puoi resistermi!».



 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9.
Sentì come un brivido quando sfiorò le mie labbra, lo fissai nei suoi occhi intensi, il cuore batteva all’impazzata.
Si avvicinò, non avevo la forza di allontanarmi, sentivo il cuore che batteva sempre più forte, e che lentamente tutto ciò che ci circondava sparisse, come se m’ingoiasse nel suo mondo oscuro.
Le sue labbra erano vicinissime alle mie.
«Signorina Evans» un tono forte e rigido.
Kol si girò, con fare divertito «Buongiorno Alaric».
Sbarrai gli occhi – si conoscono? – mi allontanai da Kol «Professore non è come sembra…» cercai nella mia mente una scusa.
Il professor Saltzman si avvicinò «So quello che sta succedendo: un Originale si trova nel cortile nella scuola dove insegno» spiegò.
Kol sorrise divertito, fissai quei due uomini confusa – come fa a sapere dei Originali? – il mio sguardo andava da un uomo all’altro, cercando delle risposte che non ricevevo.
«Mi dispiace averla disturbata, sarà per un'altra volta» disse Kol, con uno sguardo di sfida rivolto al professore. «Ciao Caitlyn» si avvicinò al mio viso, ma mi scansai.
«Ciao Kol» dissi freddamente.
«Fai la difficile» sussurrò, alzò l’angolino della bocca, e sparì.
Il professor Saltzman si avvicinò a me.
«Professore posso spiegare, io-» m’interruppe.
«Chiamami pure Alaric quando siamo fuori dalla classe» mi sorrise dolcemente, fece cenno di fare una passeggiata.
Annuii, e iniziammo a camminare.
«Mi stavo chiedendo che ci fa una ragazza come te, con un tipo come Kol Mikaelson?» chiese.
«In che senso» lo guardai confusa.
«La tua “Razza” per cosi dire, dovrebbe odiare i vampiri» ribadì.
Rimasi pietrificata, non sapevo cosa dire – cosa faccio adesso? – mi morsi labbro nervosamente.
«So che sei una Strega» aggiunse e sorrise come se voleva tranquillizzarmi, e c’è la fece.
Qualcosa mi diceva cha potevo fidarmi «Sì, lo sono» sorrisi «Ed io non odio i vampiri» sostenni.
«Anch’io, non tutti per lo meno» rise fra sé e sé.
Lo guardai confusa «Signor Saltzman, lei come fa a conoscere Kol?» domandai.
Lui fece per rispondermi, ma suonò la campanella.
«Una storia lunga» spiego, mi sorrise «Vai in classe».
Annuii,  mi diressi in classe, il professore era ancora fermo lì, mi voltai e col cenno della mano lo salutai, lui ricambiò.
 
Ero in classe, la professoressa stava spiegando.
Avevo il braccio appoggiato sul banco, dove sostenevo il mio capo.
Mandai un messaggio a Bonnie:
 
Da: Alice
“Bonnie il professor Saltzman, sa che sono una strega. Come fa a saperlo?”

 
Guardai il libro di matematica, cercando di non far vedere che stessi mandando dei SMS.
Il cellulare vibrò:
 
Da: Bonnie
“Non preoccuparti. Ci possiamo fidare”

 
Lessi il messaggio, e stetti a fissarlo per qualche istante – ha usato il plurale, quindi sa anche di lei? – riflettei.
L’acuto urlo del mio nome, mi riportò in classe «Signorina Evans, non so come funzionava in Italia, ma nella mia classe bisogna stare attenti durante le lezioni. Mi auguro che riesca a prendere almeno una C al compito di domani» espose col suo tono arrogante.
Alzai un sopracciglio, la guardai in quei suoi occhi castani «Senta, prima di tutto non si rivolga con quel tono a me. E secondo non stavo facendo niente» odiavo quando usavano quel tono con me, iniziai ad irritarmi.
Lei spalancò gli occhi.
«Non è abituata a essere pagata co la stessa moneta» aggiunsi.
I suo sguardo si fece furioso «Vada fuori!» esclamò, indicando col dito la porta.
Presi il mio zaino, e uscì sbattendo la porta.
«Fottiti» sussurrai a denti stretti.
Andai in infermeria, chiedendo un permesso per uscire prima.
Uscì dalla scuola.
«Già io ho i miei problemi, ora ci si mette pure lei. Che palle!» mi lamentai fra me e me, accesi una sigaretta. «Ho finito pure il pacchetto, bene!» sclamai furiosa, e misi a moto il motorino.
Parcheggiai davanti al Grill.
Entrai, e trovai il professor Saltzman seduto sul bancone – che ci fa qui? Fino a un ora fa era a scuola? – mi diressi al bancone, cercando di non farmi notare dal professore.
«Scusi vendete sigarette?» domandai alla giovane ragazza alla cassa.
Lei annuii «Carta d’identità, prego» chiese.
Presi il portafoglio dallo zaino, e glie la porsi.
«Non sei troppo piccola per fumare» s’intromise l’uomo seduto nel bancone.
Mi guardai a fissarlo – l’uomo della festa in maschera – cercai di non fissarlo in quei occhi color ghiaccio, che m’incantavano.
«Tu non sei un po’ troppo vecchio per farti i cazzi miei?» riposi irritata, facendo un sorriso isterico.
Lui sorrise, si sposto, stiracchiandosi e dietro di lui il professor Saltzman, spalancai gli occhi – cazzo mi ha sentito – sorrisi.
«Buongiorno professore» sforzai un sorriso.
«Buongiorno Signorina Evans» sorrise, tenendo fra le mani un bicchiere vuoto «Vedo che ha conosciuto il mio amico Damon Salvatore» indicò il ragazzo dai occhi color ghiaccio.
Presi le sigarette, e porsi le mani al ragazzo dalla carnagione chiara, e i capelli color corvino, la strinse e nella mia mante l’immagine scura e offuscata. Quando allontanai la sua presa, respirai profondamente.
Scossi la mano dove tenevo le sigarette «Vado a fumare» informai, fissando il ragazzo. «Arrivederci» salutai, sorridendo al professore.
Uscì dal locale, salì nel motorino cercando un posto più tranquillo.
Ci volle solo pochi minuti per arrivare a una piccola pianura nascosta, nelle vicinanze del ponte di Wickery.
Mi sdraia a terra, appoggiando la testa nello zaino, accesi una sigaretta – perché provo questa attrazione – pensai a Kol, non riuscivo a capire. Pensai ai suoi occhi – quei suoi occhi scuri mi risucchiano in quel suo mondo oscuro, leggo rabbia nel suo sguardo, ma sono certa che non mi farà dal male – appoggiai la sigaretta alle labbra, e ispirai.
Presi il cellulare e selezionai una delle mie canzoni preferite, iniziai a canticchiarla
«Tell me would you kill to save a life?
Tell me would you kill to prove you're right?
Crash, crash, burn, let it all burn
This hurricane's chasing us all underground»
Queste parole mi facevano riflettere – se ci provassi, lui mi vorrà veramente? O e solo un modo per rendermi la vita più difficile? – pensai, e infine tornai a casa.
 
Arrivai a casa.
«Nonna sono a casa» avvisai.
«Ciao, Tesoro!» sentii la sua voce distante.
Mi diressi verso la voce, uscì fuori in giardino, era sotto la tettoia a leggere uno dei suoi libri.
L’abbracciai «Nonna» dissi dolce.
«Tesoro, com’è andata oggi?» chiese, anche se i suoi occhi sapevano tutto.
«Nonna, so che lo sai» ribadii.
Lei mi guardò con aria interrogativa, anche se dentro di me sapevo che fingeva.
Sospirai «Diciamo che in questo periodo non sto molto bene, e che la professoressa mi ha parlato con tono arrogante. E tu sai come sono, e gli ho risposto con lo stesso tono, e mi ha cacciato dall’aula. Io arrabbiata ho chiesto un permesso per uscire prima» spiegai ad un fiato.
La nonna mi abbracciò «Quando sarai pronta, potrai parlarmene» disse saggiamente.
«Lo farò» mi allontanai da quella presa. «Mi serve una serata nonna, devo trovare una risposta» spiegai.
Lei annuì.
Sorrisi, e corsi in camera mia.
Mi infilai sotto la doccia, e iniziai a vestirmi, misi: i miei fedeli jeans strappati, aderenti delineando le mie leggere curve, di un rosso intenso. E una canottiera lunga e larga, con dei tagli obliqui su tutta la parte posteriore, e un teschio nero stampato sulla parte anteriore. Infilai gli anfibi.
Ricorsi in bagno, mi truccai mettendomi: la matita nera, per rendere i miei occhi verdi più grandi, un po’ di eyeliner, e mascara. Piastrai i miei corti capelli rossi.
Presi la mia borsa a tracollo nera, di “Nightmare before christmas”, e scesi giù.
Fissai l’orario del mio cellulare 19:13,  non avevo fame e uscì.
Nel breve tragitto, sentivo lo stomaco contorcersi dall’agitazione, e il mio respiro affannato.
Mi avvicinai al cancello «Niente panico. Posso farcela» m’incoraggiai.
Appoggiai la mano al cancello – dimmi che è aperto – sperai, a quando diedi la spinta, si aprì – grazie al cielo – sospirai, e mi diressi verso la porta.
Sentivo tutto il corpo tremare, quando mi fermai davanti alla porta, non riuscivo a muovermi – posso suonare un campanello non è difficile – ma l’agitazione me lo impediva – da questo gesto dipende tutta la mia vita: Una normale vita con Matt, dove andremo a dei college vicini, e ci sposeremo. O una relazione con Kol dove tutto è buio – strinsi le mie mani tra loro, tritolandole a vicenda dalla troppa ansia.
Improvvisamente la porta si aprì, il nodo allo stomacò aumentò, il mio istinto mi disse di fuggire, ma presi coraggio e stetti immobile.
«Buonasera Caitlyn. Serve qualcosa?» domandò la dolce ed educata voce di Elijah.
«S-sì» balbettai quella semplice parola, «Vorrei parlare con…» mi si fermò il suo nome in gola. Respirai profondamente «Vorrei parlare con Kol, se è possibile» dissi ad un fiato.
Lui sorrise «Certo, accomodati» fece cenno con la mano.
Entrai nella grande casa – non è cambiata affatto – sostenni, mentre l’ammiravo.
Seguì Elijah, ci fermammo vicino alle scale.
Nella mia mente percorsi il ricordo del nostro primo sguardo, sentì i brividi solo a pensarci.
«Kol, c’è qualcuno che ti cerca» disse Elijah, con fare sempre molto raffinato.
Kol scese le scale in modo calmo e graziato, ma questa volta non portava uno smoking, ma dei semplici jeans e una maglietta a maniche lunghe, con i bottoncini aperti, di un colore grigioblu
Quando mi vide sorrise «Sapevo che non potevi resistermi» sostenne.
Sentì quella frase m’infastidì, alzai un sopracciglio «Sono venuta qui solo per parlarti» spiegai.
Elijah ci fissò «Vi auguro buona serata» e salì le scale lasciandoci soli.
«Andiamo a fare un giro» propose Kol.
Mi morsi il labbro, annuii.
Uscimmo dalla grande villa «Andiamo con il mio motorino?» proposi.
«Io ho un mezzo più veloce» informò.
Mi guardai attorno confusa, e lo guardai con sguardo interrogativo.
Lui semplicemente allargò le braccia, e in un istante ero fra le sue braccia.
Lo guardai sbalordita «C-come hai fatto?» domandai.
Lui sorrise «Segreti dei vampiri» sorrise.
Appoggiai la testa fra la cavità tra suo collo e la sua spalla, l’odore della sua pelle era dolce e intenza, in pochi minuti ci fermammo.
Delicatamente mi fece scendere, e ci trovammo in mezzo al bosco, in dei gazebi di legno uniti tra loro. Era tutto illuminato da delle soffuse lanterne, che illuminava tutto dolcemente.
Mi appoggiai sul parapetto in legno, e mi affacciai e vidi il fiume di Wickery.
«È bellissimo» esclamai, fissando la buia foresta che ci circondava, come le luci riflettevano sulle acque scure del fiume, e in lontananza si sentiva una cascata.
Sentì le sue mani appoggiarsi sulle mie spalle, sentì il cuore accelerare, e le mie guance accaldarsi.
«Sono felice che ti piaccia» sussurrò al mio orecchio.
Sentì la pelle d’oca quando sussurrò al mio orecchio, e il mio cuore batté all’impazzata.
Allontanò la presa, e si avvicinò al parapetto dove ci si sedette sopra.
«Kol scendi, è pericoloso. Potresti farti male» dissi preoccupata.
Lui sorrise divertito «Sono già morto» precisò divertito, fece cenno di avvicinarmi a lui.
Mi avvinai lentamente «Non salirò con te» precisai.
Appoggiai la schiena nel parapetto, tra le sue gambe, avvicinò il suo viso al mio orecchio «Chiudi gli occhi» sussurrò.
Lo feci, senza obbiettare, e sentì le sue grandi mani appoggiarsi sul mio viso, coprendo gli occhi.
Quando stavo con lui, era come se stessi sempre ad occhi chiusi, perché tutto mi sorprendeva, anche il più semplice gesto, lui lo rendeva unico e speciale.
«Lo senti?» sussurrò.
Non ebbi il tempo di parlare, che tolse le sue mani dal mio viso. Spalancai gli occhi, e trattenni un urlo.
Ero a pochi centimetri dal precipizio di una cascata.
«È meraviglioso!» esclamai.
Eravamo a pochi centimetri dal fiume al nostro lato, che con una tale forza, scendeva dal precipizio, diventando una potente cascata, e da lontano si vedevano i gazebi illuminati dalle lanterne.
Sentivo il nodo alla gola, dallo stupore, non avevo paura di cadere.
Sentivo che c’era lui a proteggermi per sempre.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


10.
Guardavo il cielo stellato confinare con la buia foresta. I gazebi in lontananza, e la cascata a pochi centimetri da me.
Guardai Kol e gli sorrisi «Kol, perché mi hai portato qui?» domandai, mentre ammiravo il paesaggio.
Lo sentì avvicinarsi al mio orecchio, le sue mani strinsero il mio petto, mi stava avvolgendo.
«Perché te lo meriti» rispose.
La suo voce mi faceva venir un nodo allo stomaco, sorrisi spontaneamente – qualcuno sta facendo qualcosa per me – pensai – dopo tanto tempo – velocemente strinsi il suo corpo a me, abbracciandolo, appoggia il mio viso sul suo petto. 
Sapevo che forse me ne sarei pentita, sapevo che era rischioso, e sapevo che era contro la mia natura, ma non potevo fare almeno di lui, guardare i suoi occhi scuri e perdermi, sorprendermi per ogni suo gesto come un bambino, con lui la vita la percepivo in un nuovo modo, un modo che mi faceva sentire in pace con me stessa, che chetava le urla del mio cuore. 
Alzai il viso per guardarlo, e notai che mi trovavo ormai lontano dalla cascata, eravamo ai dintorni dei gazebi, arrivava una soffuse luce che illuminava lievemente i suoi lineamenti.
«Grazie» alzò l’angolino della sua bocca, e lentamente si avvicinò.
Alzai il mio viso, appoggiando le mie mani sulle sue muscolose spalle. Quando le nostre labbra si sfioravano, sentì come una fiamma che si propagava su tutto il mio corpo. 
Lui mi strinse a sé, e i nostri baci sempre più affannosi, eccitati, aumentavano. Quando sentendo le nostre lingue toccarsi sentì un brivido lungo la schiena, sentì le sue mani toccare il mio corpo, cercando un contatto ancora più fisico, come se quei strati di vestiti ci tenessero troppo distanti. 
«Non possiamo farlo qui» sussurrai.
«Certo» esclamò lui, si tolse velocemente la maglietta, l’appoggiò a terra, e mi appoggiò sopra quella maglia e lui sopra me, tutto nella sua velocità sovrannaturale.
«Così va bene?» domandò, prima di ricominciarmi a baciare.
Annuii, mentre morsi il suo labbro, lui sorrise divertito, ma con un leggero modo di sfida.
Le sue mani entrarono sotto la mia canottiera, sentii i brividi quando toccò il mio seno. 
Alzai una  gamba, e lui si spostò leggermente di lato, lui baciò il mio collo, mentre con l’altra mano percorse i lineamenti del mio esile fisico, sbottonò i miei jeans, e la sua mano entro, sentì la pelle d’oca. 
Sentì il mio respiro affannassi, strinsi le mie mani, afferrando le sue braccia.
Baciando affannosamente le sue morbide labbra, le mie mani accarezzavano il suo corpo, e sbottonai i suoi  jeans, lui sorrise maliziosamente. 
Tolse i miei jeans, e fu un attimo che si ritrovò dentro me, e un urlo si fermò nella mia gola.
una lacrima di gioia percorse il mio viso, sapevo che forse era una scelta sbagliata, ma ero sicura che questo mi avrebbe reso felice. 
La morte mi aveva porato via la mia felicità, e dopo tanto tempo me la riportò sotto forma di uomo.

Eravamo noi due davanti a quel grande cancello, fronte a casa mia.
Ero imbarazzata, non riuscivo a pensare ad altro che alla mia decisione. 
Lui mi fissava sorridendomi.
«Allora... Buonanotte» dissi incerta, anche se il mio cuore mi sussurava di rimanere con lui.
Lui annuì «Buonanotte Caitlyn» e con le labbra sfiorò la mia fronte, e sparì.
Sorrisi fra me e me, entrai in casa, e mi sdraiai a letto sorridente.
Andai in bagno a farmi una doccia, mentre schiumavo il mio corpo, nella mia mente percorrevano le immagini di Kol che mi sfiorava, diventai rossa, scossi la testa per darmi una svegliata e mi sciacquai mettendomi il pigiama.
Mi sdraiai a letto, ma il battito del cuore mi impediva di dormire, ero troppo emozionata. Decisi di alzarmi, accesi lo stereo, e andai fuori. Mi accesi una sigaretta, e appoggiai i miei gomiti sulla ringhiera, guardavo il giardino, quel poco che riuscivo a vedere grazie ai lampioni in ferro battuto. e in lontanaza la dinora Mikaelson, una finestra accesa al piano superiore, poi si spense. 
Gettai la sigaretta, ormai finita, dal terazzo.
«Ehi! Attenta» senti esclamare.
spalancai gli occhi e mi affacciai, e lo vidi la sotto sorridente.
«Che cosa ci fai qui?» domandai sorpresa.
Lui salto, e si appoggio alla ringhiera «Oh, ma quale luce irrompe da quella finestra lassù? Essa è l'oriente, e Giulietta è il sole. Sorgi, bel sole, e uccidi l'invidiosa luna già malata e livida di rabbia, perché tu, sua ancella, sei tanto più luminosa di lei» disse ironico.
Io mi avvicinai a lui, e a pochi centrimetri dalle sue labbra «Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, e rifiuta il tuo nome! O, se non lo vuoi, tienilo pure e giura di amarmi, ed io non sarò più una Capuleti» inizia a ridergli in faccia.
Lui sorrise, e scavalcò la ringhiera «Non sapevo che conoscessi Romeo e Giulietta» disse stupito.
«E' uno dei miei libri preferiti» spiegai, mentre mi dirigevo in camera, mentre lui mi seguiva.
Mi sedetti nel letto incrociando le gambe «Che ci fai qui?» domandai, sorrisi.
Lui si avvicinò a me, con la sua mano tocco le mie gambe.
«Di nuovo?» domandai stupita, e mi sdraiai.
Lui sorrise divertito, e si draio accanto a me «No riesco a dormire» ammise.
Sorrisi «Ma non dovresti avere bisogno di una bara?» domandai ironica.
Lui rise «No... una delle storie che ci siamo inventate io e i miei fratelli in romania, per distogliere le tracce» spiegò.
Annuii.
Parlammo per tutta le notte, fino all'alba. 
Mentre parlavamo draiati, mano per la mano, mentre le nostre gambe si sfioravano mi addormentai, e sentivo le sue braccia stringermi.



Angolo Autrice 
Scusate il ritardo... Ma ho avuto molti impegni.
Spero che il capitolo vi piaccia . 
A presto.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


11.
La forte luce del sole entrava dalla mia finestra, mugulai, mi corprii con le coperte.
Allungai le mani, poi le gambe e l'altro lato del leto era vuoto - bastardo! Ha lasciato la finestra aperta! - sospirai, decisi di alzarmi.
Mi sedetti e infilai le pantofole, mentre il mo sguardo guardava il vuoto, e mi diressi in bagno. 
Scesi le scale, trascinando i piedi, e mi diressi in cucina.
Accanto alla macchinetta del caffè trovai un bigliettino:
"Tesoro, oggi non ci sarò per tutto il pomeriggio, ci vediamo a cena.
                                                                                               - Nonna!"
Spostai il bigliettino e accesi la televisione su un canale musicale, e presi una tazza di cereali e all'interno ci versai del latte e del caffe, e lo mangiai con molta calma.
Spensi la televione, e salii in camera mia per lavarmi.
Uscii dalla doccia e presi il cellulare tra le mani:

Da: Caitlyn
Ti va di venire da me? (:
- Cai

Andai ad asciugare i miei capelli, e il cellulare vibrò:

Da: Bonnie
Okay, vengo tra 10 minui. Finisco di pranzare.
A dopo,
- Bon

Sorrisi, ero felice di vederla, erano passati diversi giorni che non ci si vedeva. Era la mia unica amica, l'unica a riuscire a capirmi, e volevo parlare con lei della mia scelta.

Bonnie entrò.
«Da quanto tempo!» esclamia abbracciandola.
«Eh già!» lei ricambiò la mia stretta.
«Dove vuoi accomodarti?» chiesi, allargando le braccia per indicare la dimora.
«In giardino. Adoro il tuo giardino» sorrise.
Ci accomodammo nelle poltroncine.
«Come va con Matt?» domandò lei.
Accesi una sigaretta.
«Diciamo male...» mi morsi il labbro inferiore.
Lei mi guardò dubbiosa «Lui mi aveva detto che era tutto okay» sostenne.
Respirai profondamente «Male per me. Ieri mi sono vista con Kol Mikaelson» dichiaiai.
Lei spalancò gli occhi «Caitlyn! Non puoi stare con lui! Lui ti usa solo per quello che sei. Non gli interessa nient'altro che il potere a quella famiglia» disse preoccupata.
«Ti prego non dirmi cosa devo fare. Per ora a me sembra una cosa giusta, parlando egoisticamente. Infatti ho intenzione di parlarne con Matt» spiegai le mie intenzioni.
Lei sospirò «Perchè noi streghe siamo così cocciute» sospirò come rassegnata. «Continuerò a esserti amica, ma non contare su di me se ti propone qualcosa».
«Qualcosa? Del tipo?» domandai incuriosita.
«Del tipo: voler uccidere la mia migliore amica Elena perchè è una Doppelgänger, a Klaus serve il suo sangue per creare il suo esercito di ibridi. Ma l'unica complicazione e che Elena è un vampiro, e ora sta cercando la cura per poi dargliela, ma la cura è siggilata con un incantesimo, e a parte me, ci sei pure tu che sei una strega» raccontò in un fianto.
Rimasi senza parole «Cosa? Kol non mi chiederebbe mai una cosa simile, se lo facesse io non l'aiuterei» tirai su il naso.
«Non sai di cosa sono capaci gli Originali» avvisò.
«E loro non sanno di cosa sono capace io» alzai un sopraciglio, sorrisi.
Bonnie rise.
«Beh! non parliamone. Posso offrirti qualcosa?» chiesi.
«Sì! Non innamorarti di un vampiro» impose.
«Al cuore non si comanda, e poi non ne voglio più parlare» ripetei.
Passammo il pomeriggio tra chiacchiere e risate, e poi se ne andò.

Era quasi l'orario di cena, e la nonna non arrivava. Fino a quando;
«Tesoro sono arrivata!» disse la voce familiare.
«Nonna, dove sei stata?» domandai, le diedi un bacio sulla guancia.
«Stavo organizzando Miss Mystic Falls» sorrise «Tu parteciperai, vero?» disse quasi ordinandomelo.
«Nonna, ma che cos'è?» domandai, e mi sedetti sullo sgabello della penisola, mentre lei preparava la cena.
Appoggiava una fetta di carne sulla padella calda «E' la festa dove gli abitanti votano la ragazza più bella di Mystic Falls» spiegò.
«Nonna non ti offendere, ma no! Se io dovessi vincere vuol dire che io sono più bella di un altra ragazza» disse difendendo i miei principi.
«Sì» rispose semplicemente mia nonna.
«No, nonna. Ogni donna è bella, quindi trovo odiosi questi concorsi di belezza, perchè ogniuno è bellissimo così com'è» spiegai.
«Non sapevo che la pensavi in questo modo» disse dispiaciuta.
«Scusa nonna, non volevo ferirti. Ma non tollero certe cose» mi scusai.
Lei sorrise «Beh! Non è la fine del mondo» prese il piatto con la carne e l'insalata e me lo porse davanti.

Dopo cena andai in camera mia.
Presi un libro di scuola e cercai di studiare, e mi appoggiai a letto. Lessi, ma non ci capì niente.
Il cellulare iniziò a vibrare, e lo presi tra le mani.

Da: Matt
Ti va di vederci?
-Matt

Sorrisi - che dolce - ma al tempo stesso mi si strinse il cuore - è l'ora che lui sappia - cercai di scrivere, ma le mie mani non si muovevano, non voleva farlo strare male, lui aveva sofferto come me.
Improvvisamente sentii un ticchettio nella porta finestra, sussultai.
Intravidi un' ombra dall'altra parte. 
Presi il grande il libro di storia con la mano destra e mi avvicinai alla finestra, e poi sospirai.
Aprii la portafinestra «Kol che ci fai qui?» domandai, mentre appoggiai una mano al petto.
«Sono venuto a trovarti» rispose, poi guardò il libro tra le mie mani. «Cosa volevi fare con quel libro» sorrise.
Alzai l libro, per mostrarglielo «Questo non è un semplice libro, questa è un arma contro i vampiri» feci gesto di lanciarglielo.
Con una mano afferrò il mio esile polso, con l'altra afferrò i miei fianchi e mi baciò. Mi cadde il libro tra le mani, sorrisi mentre le mie labbra sfioravano le sue dolcemente.
La mia mano destra si appoggiò dietro il suo collo, e lui con la sua mano accarezzò la mia guancia, e scese fino al mio seno e si fermò a miei finchi, mi strinse forte a se.
Sentii la testa girare, il cuore battere all'impazzata e continuavo a baciarlo, le nostre lingue si sfiorarono e si muovevano armoniosamente, l'una alla ricerca dell'altra.
Si sentii la porta aprirsi.
Allontanai Kol con una spinta, ma davanti a me, non si trovava mia nonna, ma Matt.
 




Angolo Autrice:
Scusate il ritardo,
ma in questo periodo come avete potuto notare
mi sono concentrata più su altre FF.
Scusate.
Grazie per aver letto le mie FF, ve ne sono grata.



 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


12.
«Matt!» esclamai sorpresa.
Lui era immobile davanti ai miei occhi, ci guardava con quei suoi meravigliosi occhi azzurri.
«Che ci fai qui?» disse Matt duramente, guardando Kol.
Prima che Kol potesse rispondere intervenni «Non volevo che tu lo venissi a sapere in questo modo, volevo che tu non soffrirsi» spiegai.
Lui strinse i pugni «Dimmi solo che ti ha soggiogata» suppose, ma sembrava più una preghiera.
Sospirai «Matt» mi avvicinai a lui, quei pochi metri sembravano chilometri.
Lui si allontanò schivandomi.
Guardò Kol furioso, camminnò verso di lui «Mi avete rotto il Cazzo! Voi succhiasangue!» e strinse il pugno destro, e tirò un pugno dritto alla faccia di Kol.
Kol piegò il volto, indirezione a dove lo spinse il pugno, sorrise divertito.
Corsi in mezzo ai due uomoni, che erano così diversi ma entrambi perticolarmente belli, guardai gli occhi scuri di Kol «Kol non farlo!» ordinai.
Kol e Matt continuavano a scambiarsi uno sguardo di sfida.
«Non gli farò del male, per ora. Ma quarterback tieni gli occhi aperti» disse con tono minaccioso. 
«Non mi fai paura» ringhiò lui.
Kol rise divertito «Vado» baciò la mia fronte, fece per andarsene.
«Non c'è bisogno. Sono io quello di troppo, adesso vado» disse Matt furioso, si diresse alla porta.
«Matt! Aspetta!» esclamai, ma lui non si fermò.
Matt sparì dalla mia vista, ma ebbi l'impressione che sparì anche dalla mia vita.
Guardai Kol, ero triste, avevo perso una persona speciale.
Sentivo la tristezza aumentare, il petto mi faceva male e sentivo il freddo dolore espandersi, sapevo che quella semplice tristezza poteva diventare qualcosa di molto peggio.
Mi diressi alla scrivania, presi il cd con gesto automatico, lo misi allo stereo e lo accesi. Le note di quel piano risuonavano su tutta la stanza.
Aprii il primo casetto del comodino e presi le mie pasticche, e mi sdraiai a letto allontanando i brutti ricordi. La stanchezza si fece sentire prima del previsto, guardai Kol che mi guardava turbato, come se provasse pena per me.
«Ti prego non fissarmi con quello sguardo» sorrisi, sentivo gli occhi appesantirsi, «Sono solo delle pasticche, le prendono tutti».
Lui si avvicinò, sdraiandosi a letto.
«Per cosa ti servono?» domandò stringendo la mia mano, mi guardò con quei intensi occhi marroni che mi stordivano più di quelle stupide medicine.
«Sono antidepressivi» spiegai. «Ora non ho voglia di raccontarti, lo farò un altro giorno» mi avvicinai a lui, appoggiandomi al suo petto, le sue braccia mi avvolsero dolcemente, come se solo quell'abbraccio potesse difendermi.
«Io posso aiutarti» disse lui.
«Non puoi, sono una strega» ammisi, caddi in un sonno profondo.

La sveglia suonò.
Mugulai, infilandomi sotto le coperte.
Smise di suonare.
Affacciai il viso da sotto le coperte, accanto a me si trovava Kol, seduto con la sveglia tra le mani - che ci fa qui? - pensai, e gli sorrisi - sto sognando? - supposi. 
La luce del sole batteva sulla sua pallida pelle, i suoi occhi scuri avevano riflessi nocciola, mi sorrise dolcemente, era la cosa più bella che mi fosse capitata dal giorno che la morte era entrata nella mia casa.
«Che ore sono?» domandai ancora assonnata.
«L'ora di andare a scuola» disse lui divertito.
«Stai scherzando?» il mio tono si fece serio.
«No!» sorrise. 
Mi alzai di scatto, mi precipitai in bagno.
Mi guardai allo specchio: capelli arruffati, trucco sbavato e occhiaie scure attorno agli occhi - lui mi ha visto in queste condizioni e non è scappato dalla paura? - fui stupita.
Entrai nella doccia, uscii con l'asciugamano rosa e mi asciugai i capelli velocemente e mi piastrai. 
Uscii dal bagno per vestirmi, quando Kol mi guardò alzò il sopraciglio.
Lo guardai inizialmente dubbiosa poi guardai la corta asciugamano.
«Kol, girati!» rotai il dito indice.
«Ti ho già visto nuda?» disse con smorfia stranita.
«Non m'interessa lì è l'eccitazione che nasconde la mia purità» spiegai, anche se il concerto era poco chiaro. 
Infilai i jeans, la canottiera, la camicia blu, e gli anfibi. Presi lo zaino e scesi giu le scale di fretta, Kol mi seguì.
«Kol che fai? Mia nonna potrebbe vederti!» dissi allarmata.
«E' uscita» avvisò.
«Ah!» sorrisi.
Buttai lo zaino vicino alla porta, mi diressi in cucina, ma Kol mi spinse a sedermi.
«La colazione è il pasto più importante» disse, mettendosi ai fornelli.
In pochi minuti preparò una veloce colazione, Toas con burro e marmellata, latte freddo con cereali e pancakes con sciroppo d'acero.
Spalancai gli occhi. «Non riuscirò a finire tutto questo da sola» esclamai sorpresa.
«E chi ti dice che sia solo per te» sorrise, e si accomodò accanto a me, facendo una dolce colazione, tra chiacchiere e risate.
Mi fermai alla porta e la chiusi.
«Buono studio» mi baciò Kol dolcemente, come una di quelle coppie perfette.
Arrossii «Buona giornata» augurai, e partii col mio motorino.

La campanella suonò e mi diressi in classe.
Camminai tra il corridoio affollato alla ricerca della classe.
«Buongiorno professor Salzman» sorrisi allegra - ha ragione, una buona colazione mette di buon umore - e mi sedetti al mio solito posto.
Dietro di me, si trovava uno strano ragazzo dai capelli rossi, la lezione iniziò. 
Cercai Matt con lo sguardo, ed era seduto dietro al ragazzo dagli occhi verdi accanto alla finestra, cioè Stefan Salvatore.
Notò il mio sguardò e ricambiò con un sgurado agghiacciante.
Bonnie ed Elena entrono in classe.
«Scusi il ritardo» si riferirono al professore.
«Ciao» salutai, sorrisi a Bonnie.
«Buongiorno» disse la ragazza dai capelli castani, Elena.
«Ciao, Cai» disse Bonnie.
«Oggi verrai alla festa Miss Mystic Falls?» domandò Bonnie.
«Non so...» risposi indecisa.
«Ci sarà da divertirsi» disse Elena, regalandomi un dolce sorriso.
Quel sorriso mi convinse «Okay! Ci verrò, come devo vestirmi?» sussurrai per non farmi sentire.
«Elegante» rispose Elena.
«Tua nonna è una delle organizzatrici» avvisò Bonnie.
«Si ne sono consapevole, voleva farmi partecipare» raccontai.
«E tu?» domandò Elena incuriosita.
«Ho rifiutato. Non amo i concorsi di bellezza» spiegai.
Le ragazze si guardarono scoppiando in una risata complice.
Le guardai incuriosite.
«La nostra amica Caroline è il tuo opposto» ammise Bonnie.
«Ah!» risi.
«Ragazze volete uscire fuori?» domandò ironico il professore.
Fra di noi calò il silenzio.
Le lezioni finirono e io mi diressi a casa.
«Ciao, nonna» salutai.
«Ciao tesoro!» urlò lei dalla cucina. «Prepapro il pranzo, vuoi qualcosa?» domandò.
«No, grazie. Ho saputo che oggi pomeriggio a Miss Mystic Falls ci sarà un buffet» sorrisi, e andai in cucina.
«Allora parteciperai?» disse gioiosa la nonna.
«No» risposi freddamente, «Vengo perchè so che ti fa piacere» le sorrisi.
Lei aprì le braccia, io mi avvicinai, mi abbracciò «Sono felice lo stesso» e mi baciò la fronte.
«Per fortuna ho comprato un abito per te» disse eccitata.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13.
Mi guardavo allo specchio, non riuscivo a riconoscermi. 
Con un trucco molto semplice la nonna mise in risalto i miei occhi verdi. Con delle extension allungò i miei capelli rossi, facendomi un semplice chignon e con una mollettina legò la punta del mio ciuffo per farlo cadere dolcemente. L'abito dal color crema arrivava sopra il mio ginocchio, aveva un piccolo fiocco nero al centro che divideva il petto con la vita, la parte superiore era ricoperta di pizzo nero dalle maniche a sbuffo. Le calze color carne e infine delle decoltè nere. 
Mia nonna mi ammirava, ammirava il mio riflesso.
«Sei una bellissima donna» mi guardò orgogliosa, si avvicinò a me.
Ammiravo il mio riflesso, per la prima volta mi sentii bella.
Mia nonna prese tra le mani una collana di perle, le legò al mio collo.
«Ogni donna a bisogno delle sue perle» sorrise e baciò la mia fronte.
Sorrisi, accarezzai le preziose pietre.
«Grazie» la guardai dritta nei suoi occhi verdi, non era solo per il trucco era per tutto quello che faceva, lei mi stava accentando così com'ero.

Mi ritrovai in un delizioso giardino dove si trovava una fontana dalla scultura che rappresentava un angelo e si trovava davanti al grande edificio a due piani di mattoni rossi, dalle grandi colonne bianche decorate con delle grandi coccarde e dei teli beige. Salimmo i scalini, ai lati si trovavano delle sedie con dei tavolini, e davanti a noi la porta dall'arco dallo stile retrò. 
Etrammo ritrovandoci in un delizioso ed elegante salotto, dove si trovava una scalinata alla mia destra, percorremmo un corridoio andando dal lato opposto della palazina. 
Uscimmo da una porta finestra ritrovandoci in un balcone e davanti a me si trovò un bel quadretto: dei tavoli sparpagliati per il prato con una posizione ben precisa, a sinistra un palco in legno, accanto una piccola orchestra di archi, infondo un tavolo nero per i giudici e un bellissimo sfondo di un lago dove al centro si trovavano delle fontane.
Scesi le scale, guardandomi intorno, ogni donna dal bellissimo vestito elegante e gli unomini dal solito smoking nero. Mi guardai a torno, nessuno che conoscevo.
«Vieni tesoro, quello e in nostro tavolo» indicò un tavolo al centro, dove già sedevano tre persone.
«Buonasera» disse mia nonna saluntado i due uomini e la donna, all'incirca della sua età.
Mi sedetti accanto alla donna dai capelli castani, aveva una camicia rosa pastello, e la gonna a tubo nera, mi sorrise gentilmente e accanto a lei un uomo dai baffi e capelli bianchi che le stringeva la mano, accanto alla nonna un uomo dalla carnaggiose scura, dai pochi capelli corti e bianchi e dallo smooking bianco - l'unico originale - pensai.
«Buonasera» salutai cordialmente.
«Questa è mia nipote Caitlyn. Loro sono la signora e il signor Smith, e lui è il signor Martin» quando indicò l'uomo dalla carnaggione scura le sue guancie si arrossirono.
«Piacere» sorrisi.
I camieri facendo slalom da un tavolo a l'altro portavano dei antipasti o dello champagne.
Mi guardavo a torno e ancora nessuno, inizia a scoragiarmi.
«Cai, sei tu?» domandò una voce dietro di me.
Mi voltai «Bonnie!» sorrisi, il mio sguardo pieno di gioia.
«Sei venuta?» domandò lei.
«Sì» risposi. 
Lei con un abito color crema dalla tinta unita e dallo stile vintage, indossava una collana dalla pietra color giallo-dorato.
«Sei bellissima» mi complimentai.
«Lo sei anche tu» rispose lei. «Vieni andiamo a fare un giro» propose.
Guardai la nonna, lei approvò annuendo.
Mi alzai velocemente, presi Bonnie a braccietto trascinandola via «Mi hai salvata, stavo invecchiando ogni secondo di più» dissi ironica.
Lei rise.
Camminanno senza una rotta, tra le persone e le chicchiere.
Il sindaco salì sul palco.
«Benvenuti a questa nuova edizione di Miss Mistyc Falls» tutti applaudirono «Siamo lieti di presentarvi alcune fra le personalità emergenti più rapresentative della nostra comunità» disse aprendo il concorso.
«Andiamo?» dissi a Bonnie.
Ci avviammo verso il parco ma mi scontrai con qualcuno.
«Scusa!» asclamai dispiaciuta.
«Non fa niente, signorina...» disse la voce calda.
Alzai il viso guardando quei bellissimi occhi.
«Caitlyn Evans» disse lui sorrise diventito.
«Buonasera Klaus» salutai, quell'uomo riusciva a rendermi timida, sentii le mie guance accaldarsi.
«Ho saputo che frequenti mio fratello minore Kol» affermò.
«Sì, spero che non ti dispiaccia» affermai.
«Certo che no, mio fratello si merita una donna come te. Sei veramente graziosa quest'oggi» si complimentò.
«Grazie, anche tu» sorrisi, sentii Bonni spingermi per un braccio, «Adesso vado. Buona serata» augurai.
«Anche a voi» disse lui sorridente.
Atraversammo un piccolo ponticino, che portava al laghetto e ci sedemmo in una panchina in pietra.
Le mani mia e di Bonnie si sfiorarono e un forte vento ci venne incontro, ci guardammo sorprese, lei allungò la mano e strinse la mia, sentii una grande forza entrare i me, come una scarica di adrenalina, mi sentivo invincibile. Guardai Bonnie ed ebbi la certezza che anche lei provasse lo stesso.
L'acqua del lago iniziò ad agitarsi, il vento soffiava intorno a noi, sentivamo la natura parlarci e le nostre meti unizrsi, e l'acqua iniziò a vorticare energicamente. Mi lasciai trascinare da quella forza, un'energia mai sentita e ne desideravo di più. 
Improvisamente tutto si fermò, non mi sentii l'aria ed era come se il mio cuore avesse smesso di battere per qualche istante, respirai profondamente. Guardai Bonni, lei accentuò un sorriso, eravamo senza fiato, e le nostre mani erano non si toccavano . quando ha lasciato la presa? - pensai.
«Cos'è successo?» domandai. «Era una sensazione...magnifica».
«Non so, credo che le nostre forze si siano unite, come se fossimo due opposti, come due calamite che si attraggono, ci siamo uniti ed era fortissimo» spiegò ma il sguardo era altrove.
«Stai bene?» domandai, preoccupata.
«Sì, sto bene» mi sorrise.
Chiacchierammo per tutto il tempo, ma evitando il contatto delle nostre mani, avendo paura che questa volta il cuore non cominciasse a battere.
La musica cessò, da lontano guardammo il palco e sulle scalinate notammo Caroline, la sua voce veniva trasportata dal vento fino a noi.
«Ciao a tutti! Sono Caroline Forbs. Come Miss Mistyc Falls in carica e per me un onore annunciare le ragazze di Mistyc Falls» si sentì il suono degli applausi, Caroline iniziò ad elencare le giovani ragazze, e ogni volta che pronunciava un nome una di loro scendeva la gradinata per raggiungere il loro accompagnatore.
Ammirai le ragazze, una più bella di un altra, ma attirò l'attenzione la giovane ragazza dai occhi azzurri e il vestito rosso - che bella! - pensai. Scese le scale aggraziatamente, e lì ad aspettarla c'era Matt, rimasi stupita, ma ero felice che aveva trovato un'altra ragazza a rederlo felice.
Si posizionarono uno fronte a l'altra e danzarono un antico ballo, dove non c'era nessuno tocco, era un gioco di sguardi, uno sfioramento di mani. Li ammiravo, come poteva un semplice sfioro essere così sensuale e misterioso.
«Buonasera signore» sentii una voce che mi distrasse, attirando la mia attenzione.
Rimasi sorpresa.
«Buonasera Kol» salutai, il giovane ragazzo davanti ai miei occhi, con un bellissimo smoking. Non era la prima volta che lo vedevo in ambiti così eleganti, ma l'effetto che mi faceva era come il primo.
«Te la rubo un attimo» disse Kol.
Mi prese per mano e mi prese fra le sue braccia, corse con la sua velocità sovranaturale ed io nascosi il viso appoggiandolo sulla sua spalla assaporando il suo dolce profumo. 
Ci trovammo in mezzo alla natura, si sentiva ancora il suono dell'orchestra - non dovremo essere lontani - pensai.
Lui mi appoggiò a terra, mi voltai e dietro di noi un orchestra d'archi - dove sono? - pensai sorpresa.
«Dove siamo?» domandai, fissando ancora la piccola orchestra d'archi.
«Siamo soli» rispose, con le punta delle sue dita sfiorò i miei lineamenti, e sfiorando il mio mento avvicinò le mie labbra alle sue baciandomi dolcemente.
Mi guardò intensamente, appoggiò la sua mano sinistra dietro la schiena e la mano destra l'alzò in alto - il ballo che facevano i partecipanti al concorso - sorrisi.
I violini e il violoncello iniziarono a suonare, ed io iniziai a seguire i passi di Kol, danzando quel lento ballo circondati dagli alberi, il fruscio delle foglie e il vento che ci accarezzava.






 
Abito Caitlyn: http://image6.oasap.com/o_img/2013/04/07/28214-161433-big/Elegant-Short-Puff-Sleeves-Dress-With-Lace-Bodice.jpg

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