L'amore vince, sempre

di Alexis Cage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***



Capitolo 1
*** I ***


Ricordo che pioveva, quel giorno.

Avevo percepito subito che nell'aria aleggiava una novità. Mi pareva quasi di udirla, di sentirla con le orecchie dell'anima.

Ne ebbi la conferma appena scesi per la colazione: i miei genitori non erano seduti agli estremi del tavolo, come solevano fare, ma uno accanto all'altra, e non era presente alcun membro della servitù. Appena notai queste due faccende insolite, mi chiesi cosa fosse accaduto di così grave, e dopo qualche istante ovviamente compresi. Certo, era così scontato.

Litigammo, ovviamente. Io volevo essere libera, loro volevano che seguissi le regole di ogni nobildonna, che naturalmente disprezzavo. Fu il litigio peggiore che ebbi mai con i miei genitori, e infine vinsero loro.

Fu così che venne decretato il mio matrimonio. E la mia morte.

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Capitolo 2
*** II ***


Lo conobbi il giorno prima quello della piccola e privata cerimonia allestita in brevissimo tempo.

Presenziavano i nostri rispettivi genitori, e notai subito gli sguardi soddisfatti dei miei, convinti di assicurarmi un lungo e roseo futuro. Avevano la stessa espressione i genitori di lui, alle sue spalle.

Invece il mio futuro marito non mostrava emozione alcuna. Aveva il volto impassibile, una posa pacata e comune a ogni nobil uomo, e certamente tutti vedevano in lui un giovane sicuro di sè e con un futuro di certa ricchezza avanti a lui.

Ma io lo riconobbi subito per ciò che era davvero.

Quell'ombra nei suoi occhi neri come la pece. Quel suo tic dell'inclinare la testa mentre osservava uno sconosciuto, come stava facendo in quel momento. Lo stringersi le mani dal nervosismo dietro la schiena. E quello sguardo tormentato che avrei amato così tanto per il resto della mia breve vita.

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Capitolo 3
*** III ***


I primi giorni del matrimonio non lo vidi quasi mai.

Ci eravamo stabiliti nella villa di campagna che i genitori di lui gli avevano regalato, e il mio novello sposo aveva subito chiarito che sapeva la vera natura della nostra unione. Disse che era d'accordo coi miei pensieri e che avrei potuto svagarmi nella proprietà senza timore che lui volesse comandarmi.

In quel momento gli fui immensamente grata; insomma, quale giovane sposa aveva la possibilità di cavalcare, leggere, passeggiare ed esplorare i boschi a suo piacimento?

I giorni volarono velocemente senza che io lo incontrassi mai al di fuori dell'edificio. Sapevo che lui passava molto tempo rinchiuso nel suo studio a lavorare, e ci trovavamo nella stessa stanza solo quando facevamo colazione, momento in cui lui mi chiedeva cortesemente cosa avevo pianificato di fare per la giornata e io gli chiedevo se voleva unirsi a me, qualche volta, inutilmente.

Non pranzai nè cenai mai con lui, restava sempre rinchiuso nel suo studio. Quando ne chiesi il motivo a un servitore, lui mi rispose che lo stesso padrone aveva ordinato che nessuno varcasse la porta di quella stanza, pena il licenziamento, e alcuna persona aveva mai osato trasgredire.

Non so quando iniziai a capire che c'era qualcosa di sbagliato, tremendamente sbagliato. Forse nel momento in cui notai le fortemente marcate occhiaie di mio marito, a colazione. Forse nel momento in cui iniziò a divenire pallido e la pelle del suo volto si fece tirata, mentre il suo fisico cambiava a vista d'occhio, diventando sempre più magro.

L'unica cosa certa è che nulla mi fu chiaro sino a quella tremenda malattia.

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Capitolo 4
*** IV ***


Anche quel giorno, ironia della sorte, iniziò con un temporale.

Scesi per fare colazione con la convinzione che nella stanza adibita a essa avrei trovato il mio sposo, e rimasi semplicemente senza parole quando scoprii di essere sola. Era passato un mese dal matrimonio, per me era diventata un'abitudine trovare mio marito già sveglio a leggere il giornale e bere una tazza di the.

Fu per l'insolita situazione o per un oscuro presentimento? Non so la risposta a questo quesito, ma so che appena non lo vidi a colazione ebbi la certezza che lui era nel suo studio e aveva bisogno di me.

Inutile dire che mi fiondai davanti alla porta di quella stanza e bussai con timore, pensando che mi avrebbe cacciata via. Ma quando mi annunciai, non rispose nessuno. Riprovai due volte, invano, e quando sentii un tonfo mi decisi e aprii la porta.

Rimasi senza parole.

C'era un unico termine per descrivere quella stanza: sgabuzzino. Era piccolissima, senza finestre, con una semplice scrivania piena di scartoffie che occupava quasi tutto lo spazio e, accanto ad essa, la sedia su cui era seduto mio marito. Non riuscivo a credere che lui avesse passato più di un mese là dentro, rinchiuso nella penombra dell'unica lampada ad olio presente, giorno dopo giorno.

Aveva il volto, posato sulla scrivania, sudato e cadaverico, il suo respiro era affannoso e tremava visibilmente.

Grazie a una mia zia infermiera avevo appreso, tempo addietro, cosa fare in casi di malattia, quindi in una spinta d'adrenalina trasportai mio marito fino alla sua stanza, lo stesi sul letto, gli tolsi la camicia madida di sudore e lo coprii con parecchie lenzuola, bagnai un panno con acqua fredda e gli tamponai la fronte.

Dio, se stava male. Tremava, faticava a respirare e soffriva, soffriva troppo.

Lo vegliai per tutto il giorno. Sapevo che avrei dovuto chiamare un medico ma, tra le parole deliranti che lui talvolta pronunciava, mi aveva supplicato di non chiedere aiuto a un dottore, e quando smise di tremare e si addormentò decisi di accontentarlo.

Restai con lui tutta la notte. Venni vinta dal sonno solo quando l'orologio battè tre colpi, dopo ore di riflessioni. Perchè era rimasto nel suo studio tutto il tempo? Perchè si era ridotto così?

Riaprii gli occhi che il sole non era ancora sorto. Nonostante le poche ore di sonno mi sentii rinvigorita, e guardai subito il malato, ansiosa per ciò che temevo di vedere.

Restai senza parole, quindi, quando vidi che era sveglio.

Mi stava fissando con i suoi occhi tormentati. Mi parve che stesse riflettendo, come se dovesse decidere se narrarmi o no un terribile segreto.Infine, decise.

Mi chiese se volessi sapere cosa lo tormentava tanto da farlo ammalare così gravemente. Io gli risposi subito che lo volevo, ovviamente, ma lui aggiunse che quello che mi avrebbe detto probabilmente mi avrebbe portata in un mondo pericoloso, dove avrei rischiato la vita. Il suo mondo.

Conscia che dovevo prendere una decisione che avrebbe cambiato tutto, gli dissi che volevo sapere. E lui mi raccontò ogni cosa.


Sin da quando era un bambino, aveva avuto la capacità innaturale di vedere cose invisibili al resto del mondo. Le ombre, le chiamava lui. Quando capì che solo lui le poteva vedere, iniziò a cercare una spiegazione logica per ciò che i suoi occhi gli mostravano. Trascorse ore e ore in ogni biblioteca del paese alla ricerca del minimo indizio, e solo quando giunse in un luogo sperduto tra le montagne trovò la risposta tanto ambita.

Le ombre esistevano dalla notte dei tempi, invisibili agli occhi degli umani ma sempre presenti. Ricordi degli angeli caduti assieme a Lucifero, pezzi dell'anima del demonio, le incarnazioni della sofferenza umana, erano state chiamate in tantissimi nomi, ma nessuno sapeva la loro reale natura. Semplicemente, esistevano, e non gradivano di essere sconosciute al mondo.

Nell'oscurità, manovravano le persone più influenti del mondo, guidando l'umanità al futuro che loro bramavano, controllando quegli umani ignari.

E, una volta ogni secolo, nasceva una persona capace di vederle, capace di fermarle. Mio marito.

Poichè nessuno era mai riuscito a fermarle, le ombre avevano deciso di tormentare il mio povero sposo, ben sapendo che alcuna persona gli avrebbe mai creduto. E avevano ragione: neanche i suoi genitori lo ascoltarono, nemmeno quando iniziò a manifestare sintomi di pazzia, sostenendo di essere inseguito dalle ombre, nemmeno quando disse loro che aveva trovato un modo per fermarle, nemmeno quando fallì miseramente, schiacciato dal loro potere. Nemmeno quando lo portarono a un passo dalla morte.

Ma io gli credetti. E decisi di non abbandonarlo.

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Capitolo 5
*** V ***


La malattia passò in una settimana. Non so come, non so perchè, ma dopo esattamente sette giorni si risvegliò guarito completamente.

Appena si rivestì e uscì dalla sua stanza io gli ordinai di non tornare nel suo studio. Lui si mostrò sorpreso, forse perchè voleva proprio farlo, e gli intimai che non l'avrei mai perdonato se avesse tentato di rientrare in quel mondo maledetto, anche se avevo capito che era quel mondo, a non volerlo lasciare libero.

Forse perchè mi ero aspettata che protestasse, rimasi sorpresa quando lui disse che avrebbe tentato di resistere lontano dalle ombre.

E cominciò un periodo completamente diverso per il nostro matrimonio.

Gli feci vedere ogni valle, ogni animale, ogni tramonto del paese. Viaggiammo, visitammo le città più belle, mi fece vedere per la prima volta l'oceano, andammo alle migliori feste mondane mai organizzate, e ci divertimmo tanto che riuscii anche a farlo ballare. Ci facemmo conoscere, e tutti invidiarono il profondo sentimento che ci legava, forse rafforzato dal segreto che lui aveva deciso di condividere con me.

Fu il periodo più bello della mia breve vita, probabilmente. E fu per quello, forse, che le ombre decisero di porvi fine.


Accadde durante la festa organizzata da una mia lontana parente, un'anziana donna sempre aggiornata su ogni pettegolezzo del paese, che probabilmente voleva riallacciare i rapporti con me solo perchè tutti avevano sentito parlare di noi. Accettai di andare a quella festa solo perchè il mio sposo si sarebbe divertito a prendere in giro i presenti, tratto in comune tra noi che avevo felicemente scoperto un mese prima, durante una festa simile.

Arrivammo in perfetto orario, come dovevano fare le persone cortesi, e salutammo la nostra ospite cercando di non ridere, poichè per tutto il tragitto percorso per arrivare lì l'avevamo presa in giro. Ovviamente l'anziana padrona di casa ci studiò per bene prima di guidarci in un gruppetto di nobil uomini e nobil donne che conoscevamo di vista per discorrere un po', mentre i musicisti, in un'angolo dell'ampia sala, si preparavano per cominciare a suonare.

Volarono due ore tra discorsi pomposi e moine alla padrona di casa, mentre tutti coloro che ci parlavano non notavano gli sguardi di divertita ironia che io e mio marito ci lanciavamo di nascosto, prendendoli silenziosamente in giro.

Dopo l'ennesima presentazione di un ospite sconosciuto, io e lui ci avvicinammo al tavolo delle bevande. Avevo notato che era un po' pallido, ma immaginai fosse per i pochi bicchieri di alcolici che aveva bevuto, poichè non li sopportava molto, e quando giungemmo al tavolo si appoggiò ad esso con aria stanca. Gli chiesi se si sentisse male, forse perchè una piccola parte della mia mente mi ricordava in ogni momento quella notte di poco più di un mese prima, ma lui scosse la testa con un sorriso rassicurante, come a dire che andava tutto bene.

E dopo un secondo spalancò gli occhi con un'espressione di puro terrore.

Io lo fissai spaventata e sopresa, e dopo qualche istante seguii il suo sguardo, puntato sul centro della pista da ballo. Danzavano già parecchie persone, ma capii subito cosa aveva spaventato mio marito. E cosa spaventava me.

Erano esattamente al centro. Ballavano lentamente, con sicurezza, sapendo che nulla avrebbe potuto far loro del male. Avevano delle maschere scure che nascondevano metà del loro volto, ma erano perfettamente visibili i loro occhi.

Erano neri come la pece, come la notte, come l'oscurità. Ed erano fissi su di noi.

Lentamente, con così tanta calma da quasi farmi morire di terrore, le labbra delle due ombre si piegarono verso l'alto. E a noi due fu chiaro il loro messaggio.

"Vi troveremo. E non ci sarà alcun posto dove potrete nascondervi, perchè è inutile fuggire da noi."

Con una forza che non avrei mai immaginato di avere spostai gli occhi da loro per guardare mio marito. Era così pallido da sembrare un cadavere, e stava iniziando a tremare, come se avesse visto il suo peggiore incubo.

E, come quella lontana notte, toccò a me salvarci entrambi.

In qualche modo riuscii a vincere il mio istinto di conservazione, che mi urlava di abbandonare l'uomo che amavo e fuggire per sempre da quel mondo, da quelle ombre, lo presi per il braccio e lo trascinai con fatica verso l'uscita dell'edificio.

Lui non si voltò neanche. Si lasciò trascinare come un peso morto, non staccando mai gli occhi dalle due ombre al centro della pista da ballo.

Aprii la porta e lo spinsi attraverso essa senza tanti complimenti. Poi, non so dove trovai il coraggio di farlo, mi voltai.

Mi stavano ancora fissando con quei sorrisi. "È inutile fuggire da noi".

Varcai la porta senza voltarmi indietro.

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Capitolo 6
*** VI ***


Si ammalò ancora, ma quella volta stette tremendamente male per due settimane intere. Continuò a vaneggiare e delirare, dicendo che l'avrebbero preso, che l'avrebbero punito perchè era stato felice, che dovevo fuggire, e che mi avrebbe fatto fuggire lui con qualunque mezzo.

Dopo quindici giorni che mi sembrarono quindici anni, lui guarì nel corpo. Ma la sua mente, la sua anima era ormai spezzata, non sarebbe più stato come prima. Era ancora l'uomo che amavo, ma non era più felice, e sapevo non lo sarebbe stato mai più.

Era peggio di prima. Prima aveva tentato di vivere, aveva tentato ancora di sconfiggerle, di sconfiggere le ombre. In quel momento invece cercava solo qualunque cosa potesse salvarci. Qualunque cosa potesse salvare me, perchè lui sapeva di essere condannato.

Cercai in tutti i modi di rassicurarlo, di convincerlo che eravamo al sicuro, che le ombre avevano solo voluto spaventarci. Ma fu tutto inutile: come potevo dirgli quelle parole, se non ci credevo nemmeno io?

Non potevo vederle, ma sentivo la loro presenza, in ogni corridoio della villa, nell'angolo oscuro di ogni stanza, nei riflessi degli specchi. Erano lì con noi, lo sapevo, come sapevo che non c'era modo di salvarci.

Ma non dovevo perdere la speranza, non quando ero l'unica che poteva continuare a credere.

In quel momento non seppi come, ma riuscii a convincere mio marito ad andare a una festa vicina, per illuderci ancora che andava tutto bene. Quando lui accettò fui felice, e la mia felicità nascose in un angolo recondito della mia anima ciò che i miei occhi videro nei suoi. No, dovevamo tentare, non potevamo vivere nel terrore. Doveva esserci ancora speranza.

Mi preparai con calma, come avevo sempre fatto quando credevo che ci fosse ancora un futuro, per noi. Prima il vestito, poi i gioielli, i capelli, il trucco. Per ultimo, come sempre, il rossetto. Presi il mio preferito senza pensarci; era lo stesso tipo di colore, una tonalità scura di rosso, da anni, e forse lo scelsi per illudermi, ancora e ancora, che nulla fosse cambiato.

Me lo misi sulle labbra, poi mi alzai, pronta ad andare. Mi bloccai subito.

Lui, l'uomo che amavo, era lì, in un angolo d'oscurità della stanza. Mi fissava con i suoi occhi profondi e sofferenti, come se attendesse qualcosa. Aveva un oggetto, in mano, un oggetto che riluceva nell'ombra.

E in un istante capii.

Caddi senza accorgermene, sentendo un'enorme stanchezza prendermi.

Lui mi fu subito accanto. Mi prese tra le braccia, cullandomi come una bambina, mentre tutto attorno a me diventava sempre più buio.

Vidi, come in un sogno, l'oggetto che stringeva tra le dita: una boccetta che conteneva un liquido trasparente. Le sue dita erano sporche di un colore strano, un colore che conoscevo bene. Non avrei mai potuto confondere quella tonalità scura di rosso.

L'ultima cosa che vidi furono i suoi occhi, colmi di disperazione e lacrime.

Poi il sonno eterno mi ghermì, e venni inghiottita dall'oscurità.

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Capitolo 7
*** VII ***


Sono qui, ti sto aspettando.

Hai trovato il modo di salvarmi, di sottrarmi alle ombre, e hai vinto.

Hai vinto, amore mio. Sono morta, ma non per le ombre, non per l'odio di quegli esseri.

Per il tuo amore, perchè tu mi hai salvata.

So che riuscirai a tornare da me. Sei forte, le ombre non riusciranno a piegarti, non riusciranno a sconfiggerti.

Raggiungimi, e non potranno più farti male, qui, perchè sarai con me.

Torna da me, e potremo stare insieme, lontani dalle ombre, lontani da tutto.

In pace, per sempre.

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