L'amore vince, sempre di Alexis Cage (/viewuser.php?uid=450143)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 1 *** I ***
Ricordo che pioveva, quel giorno.
Avevo percepito subito che nell'aria
aleggiava una novità. Mi pareva quasi di udirla, di sentirla con le
orecchie dell'anima.
Ne ebbi la conferma appena scesi per la
colazione: i miei genitori non erano seduti agli estremi del tavolo,
come solevano fare, ma uno accanto all'altra, e non era presente
alcun membro della servitù. Appena notai queste due faccende
insolite, mi chiesi cosa fosse accaduto di così grave, e dopo
qualche istante ovviamente compresi. Certo, era così scontato.
Litigammo, ovviamente. Io volevo essere
libera, loro volevano che seguissi le regole di ogni nobildonna, che
naturalmente disprezzavo. Fu il litigio peggiore che ebbi mai con i
miei genitori, e infine vinsero loro.
Fu così che venne decretato il mio
matrimonio. E la mia morte.
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Capitolo 2 *** II ***
Lo conobbi il giorno prima quello della
piccola e privata cerimonia allestita in brevissimo tempo.
Presenziavano i nostri rispettivi
genitori, e notai subito gli sguardi soddisfatti dei miei, convinti
di assicurarmi un lungo e roseo futuro. Avevano la stessa espressione
i genitori di lui, alle sue spalle.
Invece il mio futuro marito non
mostrava emozione alcuna. Aveva il volto impassibile, una posa pacata
e comune a ogni nobil uomo, e certamente tutti vedevano in lui un
giovane sicuro di sè e con un futuro di certa ricchezza avanti a
lui.
Ma io lo riconobbi subito per ciò che
era davvero.
Quell'ombra nei suoi occhi neri come la
pece. Quel suo tic dell'inclinare la testa mentre osservava uno
sconosciuto, come stava facendo in quel momento. Lo stringersi le
mani dal nervosismo dietro la schiena. E quello sguardo tormentato
che avrei amato così tanto per il resto della mia breve vita.
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Capitolo 3 *** III ***
I primi giorni del matrimonio non lo
vidi quasi mai.
Ci eravamo stabiliti nella villa di
campagna che i genitori di lui gli avevano regalato, e il mio novello
sposo aveva subito chiarito che sapeva la vera natura della nostra
unione. Disse che era d'accordo coi miei pensieri e che avrei potuto
svagarmi nella proprietà senza timore che lui volesse comandarmi.
In quel momento gli fui immensamente
grata; insomma, quale giovane sposa aveva la possibilità di cavalcare,
leggere, passeggiare ed esplorare i boschi a suo piacimento?
I giorni volarono velocemente senza che
io lo incontrassi mai al di fuori dell'edificio. Sapevo che lui
passava molto tempo rinchiuso nel suo studio a lavorare, e ci
trovavamo nella stessa stanza solo quando facevamo colazione, momento
in cui lui mi chiedeva cortesemente cosa avevo pianificato di fare per
la giornata e io gli chiedevo se voleva unirsi a me, qualche volta,
inutilmente.
Non pranzai nè cenai mai con lui,
restava sempre rinchiuso nel suo studio. Quando ne chiesi il motivo a
un servitore, lui mi rispose che lo stesso padrone aveva ordinato che
nessuno varcasse la porta di quella stanza, pena il licenziamento, e
alcuna persona aveva mai osato trasgredire.
Non so quando iniziai a capire che
c'era qualcosa di sbagliato, tremendamente sbagliato. Forse nel momento in cui
notai le fortemente marcate occhiaie di mio marito, a colazione.
Forse nel momento in cui iniziò a divenire pallido e la pelle del suo volto si
fece tirata, mentre il suo fisico cambiava a vista d'occhio,
diventando sempre più magro.
L'unica cosa certa è che nulla mi fu
chiaro sino a quella tremenda malattia.
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Capitolo 4 *** IV ***
Anche quel giorno, ironia della sorte,
iniziò con un temporale.
Scesi per fare colazione con la
convinzione che nella stanza adibita a essa avrei trovato il mio
sposo, e rimasi semplicemente senza parole quando scoprii di essere
sola. Era passato un mese dal matrimonio, per me era diventata
un'abitudine trovare mio marito già sveglio a leggere il giornale e
bere una tazza di the.
Fu per l'insolita situazione o per un
oscuro presentimento? Non so la risposta a questo quesito, ma so che
appena non lo vidi a colazione ebbi la certezza che lui era nel suo
studio e aveva bisogno di me.
Inutile dire che mi fiondai davanti
alla porta di quella stanza e bussai con timore, pensando che mi
avrebbe cacciata via. Ma quando mi annunciai, non rispose nessuno.
Riprovai due volte, invano, e quando sentii un tonfo mi decisi e
aprii la porta.
Rimasi senza parole.
C'era un unico termine per descrivere
quella stanza: sgabuzzino. Era piccolissima, senza finestre, con una
semplice scrivania piena di scartoffie che occupava quasi tutto lo
spazio e, accanto ad essa, la sedia su cui era seduto mio marito. Non
riuscivo a credere che lui avesse passato più di un mese là dentro,
rinchiuso nella penombra dell'unica lampada ad olio presente, giorno
dopo giorno.
Aveva il volto, posato sulla scrivania,
sudato e cadaverico, il suo respiro era affannoso e tremava
visibilmente.
Grazie a una mia zia infermiera avevo
appreso, tempo addietro, cosa fare in casi di malattia, quindi in una
spinta d'adrenalina trasportai mio marito fino alla sua stanza, lo
stesi sul letto, gli tolsi la camicia madida di sudore e lo coprii
con parecchie lenzuola, bagnai un panno con acqua fredda e gli
tamponai la fronte.
Dio, se stava male. Tremava, faticava a
respirare e soffriva, soffriva troppo.
Lo vegliai per tutto il giorno. Sapevo
che avrei dovuto chiamare un medico ma, tra le parole deliranti che
lui talvolta pronunciava, mi aveva supplicato di non chiedere aiuto a
un dottore, e quando smise di tremare e si addormentò decisi di
accontentarlo.
Restai con lui tutta la notte. Venni
vinta dal sonno solo quando l'orologio battè tre colpi, dopo ore di
riflessioni. Perchè era rimasto nel suo studio tutto il tempo?
Perchè si era ridotto così?
Riaprii gli occhi che il sole non era
ancora sorto. Nonostante le poche ore di sonno mi sentii rinvigorita,
e guardai subito il malato, ansiosa per ciò che temevo di vedere.
Restai senza parole, quindi, quando
vidi che era sveglio.
Mi stava fissando con i suoi occhi
tormentati. Mi parve che stesse riflettendo, come se dovesse decidere
se narrarmi o no un terribile segreto.Infine, decise.
Mi chiese se volessi sapere cosa lo
tormentava tanto da farlo ammalare così gravemente. Io gli risposi
subito che lo volevo, ovviamente, ma lui aggiunse che quello che mi
avrebbe detto probabilmente mi avrebbe portata in un mondo
pericoloso, dove avrei rischiato la vita. Il suo mondo.
Conscia che dovevo prendere una
decisione che avrebbe cambiato tutto, gli dissi che volevo sapere. E
lui mi raccontò ogni cosa.
Sin da quando era un bambino, aveva
avuto la capacità innaturale di vedere cose invisibili al resto del
mondo. Le ombre, le chiamava lui. Quando capì che solo lui le poteva
vedere, iniziò a cercare una spiegazione logica per ciò che i suoi
occhi gli mostravano. Trascorse ore e ore in ogni biblioteca del
paese alla ricerca del minimo indizio, e solo quando giunse in un
luogo sperduto tra le montagne trovò la risposta tanto ambita.
Le ombre esistevano dalla notte dei
tempi, invisibili agli occhi degli umani ma sempre presenti. Ricordi
degli angeli caduti assieme a Lucifero, pezzi dell'anima del demonio,
le incarnazioni della sofferenza umana, erano state chiamate in
tantissimi nomi, ma nessuno sapeva la loro reale natura.
Semplicemente, esistevano, e non gradivano di essere sconosciute al
mondo.
Nell'oscurità, manovravano le persone
più influenti del mondo, guidando l'umanità al futuro che loro
bramavano, controllando quegli umani ignari.
E, una volta ogni secolo, nasceva una
persona capace di vederle, capace di fermarle. Mio marito.
Poichè nessuno era mai riuscito a
fermarle, le ombre avevano deciso di tormentare il mio povero sposo,
ben sapendo che alcuna persona gli avrebbe mai creduto. E
avevano ragione: neanche i suoi genitori lo ascoltarono, nemmeno
quando iniziò a manifestare sintomi di pazzia, sostenendo di essere
inseguito dalle ombre, nemmeno quando disse loro che aveva trovato un
modo per fermarle, nemmeno quando fallì miseramente, schiacciato dal
loro potere. Nemmeno quando lo portarono a un passo dalla morte.
Ma io gli credetti. E decisi di non
abbandonarlo.
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Capitolo 5 *** V ***
La malattia passò in una settimana.
Non so come, non so perchè, ma dopo esattamente sette giorni si
risvegliò guarito completamente.
Appena si rivestì e uscì dalla sua
stanza io gli ordinai di non tornare nel suo studio. Lui si mostrò
sorpreso, forse perchè voleva proprio farlo, e gli intimai che non
l'avrei mai perdonato se avesse tentato di rientrare in quel mondo
maledetto, anche se avevo capito che era quel mondo, a non volerlo
lasciare libero.
Forse perchè mi ero aspettata che
protestasse, rimasi sorpresa quando lui disse che avrebbe tentato di
resistere lontano dalle ombre.
E cominciò un periodo completamente
diverso per il nostro matrimonio.
Gli feci vedere ogni valle, ogni
animale, ogni tramonto del paese. Viaggiammo, visitammo le città più
belle, mi fece vedere per la prima volta l'oceano, andammo alle
migliori feste mondane mai organizzate, e ci divertimmo tanto che
riuscii anche a farlo ballare. Ci facemmo conoscere, e tutti
invidiarono il profondo sentimento che ci legava, forse rafforzato
dal segreto che lui aveva deciso di condividere con me.
Fu il periodo più bello della mia
breve vita, probabilmente. E fu per quello, forse, che le ombre
decisero di porvi fine.
Accadde durante la festa organizzata da
una mia lontana parente, un'anziana donna sempre aggiornata su ogni
pettegolezzo del paese, che probabilmente voleva riallacciare i
rapporti con me solo perchè tutti avevano sentito parlare di noi.
Accettai di andare a quella festa solo perchè il mio sposo si
sarebbe divertito a prendere in giro i presenti, tratto in comune tra
noi che avevo felicemente scoperto un mese prima, durante una festa
simile.
Arrivammo in perfetto orario, come
dovevano fare le persone cortesi, e salutammo la nostra ospite
cercando di non ridere, poichè per tutto il tragitto percorso per
arrivare lì l'avevamo presa in giro. Ovviamente l'anziana padrona di casa ci
studiò per bene prima di guidarci in un gruppetto di nobil uomini e
nobil donne che conoscevamo di vista per discorrere un po', mentre i
musicisti, in un'angolo dell'ampia sala, si preparavano per
cominciare a suonare.
Volarono due ore tra discorsi pomposi e
moine alla padrona di casa, mentre tutti coloro che ci parlavano non
notavano gli sguardi di divertita ironia che io e mio marito ci
lanciavamo di nascosto, prendendoli silenziosamente in giro.
Dopo l'ennesima presentazione di un
ospite sconosciuto, io e lui ci avvicinammo al tavolo delle bevande.
Avevo notato che era un po' pallido, ma immaginai fosse per i pochi
bicchieri di alcolici che aveva bevuto, poichè non li sopportava
molto, e quando giungemmo al tavolo si appoggiò ad esso con aria
stanca. Gli chiesi se si sentisse male, forse perchè una piccola
parte della mia mente mi ricordava in ogni momento quella notte di
poco più di un mese prima, ma lui scosse la testa con un sorriso
rassicurante, come a dire che andava tutto bene.
E dopo un secondo spalancò gli occhi
con un'espressione di puro terrore.
Io lo fissai spaventata e sopresa, e
dopo qualche istante seguii il suo sguardo, puntato sul centro della
pista da ballo. Danzavano già parecchie persone, ma capii subito
cosa aveva spaventato mio marito. E cosa spaventava me.
Erano esattamente al centro. Ballavano
lentamente, con sicurezza, sapendo che nulla avrebbe potuto far loro
del male. Avevano delle maschere scure che nascondevano metà del
loro volto, ma erano perfettamente visibili i loro occhi.
Erano neri come la pece, come la notte,
come l'oscurità. Ed erano fissi su di noi.
Lentamente, con così tanta calma da
quasi farmi morire di terrore, le labbra delle due ombre si piegarono
verso l'alto. E a noi due fu chiaro il loro messaggio.
"Vi troveremo. E non ci sarà
alcun posto dove potrete nascondervi, perchè è inutile fuggire da
noi."
Con una forza che non avrei mai
immaginato di avere spostai gli occhi da loro per guardare mio
marito. Era così pallido da sembrare un cadavere, e stava iniziando
a tremare, come se avesse visto il suo peggiore incubo.
E, come quella lontana notte, toccò a
me salvarci entrambi.
In qualche modo riuscii a vincere il
mio istinto di conservazione, che mi urlava di abbandonare l'uomo che
amavo e fuggire per sempre da quel mondo, da quelle ombre, lo presi
per il braccio e lo trascinai con fatica verso l'uscita
dell'edificio.
Lui non si voltò neanche. Si lasciò
trascinare come un peso morto, non staccando mai gli occhi dalle due
ombre al centro della pista da ballo.
Aprii la porta e lo spinsi attraverso
essa senza tanti complimenti. Poi, non so dove trovai il coraggio di
farlo, mi voltai.
Mi stavano ancora fissando con quei
sorrisi. "È inutile fuggire
da noi".
Varcai
la porta senza voltarmi indietro.
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Capitolo 6 *** VI ***
Si
ammalò ancora, ma quella volta stette tremendamente male per due
settimane intere. Continuò a vaneggiare e delirare, dicendo che
l'avrebbero preso, che l'avrebbero punito perchè era stato felice,
che dovevo fuggire, e che mi avrebbe fatto fuggire lui con qualunque
mezzo.
Dopo
quindici giorni che mi sembrarono quindici anni, lui guarì nel
corpo. Ma la sua mente, la sua anima era ormai spezzata, non sarebbe
più stato come prima. Era ancora l'uomo che amavo, ma non era più
felice, e sapevo non lo sarebbe stato mai più.
Era
peggio di prima. Prima aveva tentato di vivere, aveva tentato ancora
di sconfiggerle, di sconfiggere le ombre. In quel momento invece
cercava solo qualunque cosa potesse salvarci. Qualunque cosa potesse
salvare me, perchè lui sapeva di essere condannato.
Cercai
in tutti i modi di rassicurarlo, di convincerlo che eravamo al
sicuro, che le ombre avevano solo voluto spaventarci. Ma fu tutto
inutile: come potevo dirgli quelle parole, se non ci credevo nemmeno
io?
Non
potevo vederle, ma sentivo la loro presenza, in ogni corridoio della
villa, nell'angolo oscuro di ogni stanza, nei riflessi degli specchi.
Erano lì con noi, lo sapevo, come sapevo che non c'era modo di
salvarci.
Ma
non dovevo perdere la speranza, non quando ero l'unica che poteva
continuare a credere.
In
quel momento non seppi come, ma riuscii a convincere mio marito ad
andare a una festa vicina, per illuderci ancora che andava tutto
bene. Quando lui accettò fui felice, e la mia felicità nascose in
un angolo recondito della mia anima ciò che i miei occhi videro nei
suoi. No, dovevamo tentare, non potevamo vivere nel terrore. Doveva
esserci ancora speranza.
Mi
preparai con calma, come avevo sempre fatto quando credevo che ci
fosse ancora un futuro, per noi. Prima il vestito, poi i gioielli, i
capelli, il trucco. Per ultimo, come sempre, il rossetto. Presi il
mio preferito senza pensarci; era lo stesso tipo di colore, una
tonalità scura di rosso, da anni, e forse lo scelsi per illudermi,
ancora e ancora, che nulla fosse cambiato.
Me
lo misi sulle labbra, poi mi alzai, pronta ad andare. Mi bloccai
subito.
Lui,
l'uomo che amavo, era lì, in un angolo d'oscurità della stanza. Mi
fissava con i suoi occhi profondi e sofferenti, come se attendesse
qualcosa. Aveva un oggetto, in mano, un oggetto che riluceva
nell'ombra.
E
in un istante capii.
Caddi
senza accorgermene, sentendo un'enorme stanchezza prendermi.
Lui
mi fu subito accanto. Mi prese tra le braccia, cullandomi come una
bambina, mentre tutto attorno a me diventava sempre più buio.
Vidi,
come in un sogno, l'oggetto che stringeva tra le dita: una boccetta
che conteneva un liquido trasparente. Le sue dita erano sporche di un
colore strano, un colore che conoscevo bene. Non avrei mai potuto
confondere quella tonalità scura di rosso.
L'ultima
cosa che vidi furono i suoi occhi, colmi di disperazione e lacrime.
Poi
il sonno eterno mi ghermì, e venni inghiottita dall'oscurità.
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Capitolo 7 *** VII ***
Sono
qui, ti sto aspettando.
Hai
trovato il modo di salvarmi, di sottrarmi alle ombre, e hai vinto.
Hai
vinto, amore mio. Sono morta, ma non per le ombre, non per l'odio di
quegli esseri.
Per
il tuo amore, perchè tu mi hai salvata.
So
che riuscirai a tornare da me. Sei forte, le ombre non riusciranno a
piegarti, non riusciranno a sconfiggerti.
Raggiungimi,
e non potranno più farti male, qui, perchè sarai con me.
Torna
da me, e potremo stare insieme, lontani dalle ombre, lontani da
tutto.
In
pace, per sempre.
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