Ghosts.

di Pervinca Potter 97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Edizione. ***
Capitolo 2: *** Quarta Edizione. ***
Capitolo 3: *** Settima Edizione. ***
Capitolo 4: *** Quindicesima Edizione. ***



Capitolo 1
*** Prima Edizione. ***


Prima Edizione
Jack nell'arena dei soli





Che i primi Hunger Games abbiano inizio!
Nessuno aveva davvero idea di cosa aspettarsi. Per tutta la settimana precedente all'inizio vero e proprio del gioco si era parlato di corni, di armi ed assassini, ma per tutti i tributi quelle parole non erano significate molto.
Alcuni a dire la verità speravano, in modo molto infantile, di svegliarsi di colpo da tutta quella faccenda, come da un incubo brutto ed irreale.
Altri, già abituati al massacro dalla guerra appena conclusa, avevano dato il meglio di sé nelle interviste e negli allenamenti per sperare di vincere, ignorando di assecondare in questo modo il volere del loro vero nemico.
Altri ancora credevano che Capitol City stesse semplicemente scherzando con i sentimenti della loro gente, e che in realtà sapesse che lo spavento inflitto ai distretti al solo pensiero di un'istituzione tanto disumana sarebbe bastato a calmare una volta per tutte gli animi della ribellione.
Jack Elias, distretto 2, apparteneva a quest'ultima categoria.
Di soli sembravano esserne sorti dieci, la prima mattina della prima arena della Storia.
Nessuno dei ventiquattro tributi, trasportati dall'hovercraft su una piattaforma rotonda d'acciaio, riusciva a vedere al di là della punta del proprio naso senza chiudere almeno tre volte le palpebre, infastidite dall'accecante luminosità.
Presi dall'agitazione e da attacchi di panico, tre tributi scesero dai loro posti prima del tempo, infrangendo così una delle pochissime regole dette loro il primo giorno di allenamento.
La regola dei sessanta secondi. Per calmarsi e cominciare tutti insieme.
Boom, boom, boom.
Le tre esplosioni provocarono non poche grida. Jack Elias sentì la propria gamba sporcarsi del sangue unticcio di quel genio di tributo al suo fianco, che si era precipitato verso terra per primo.
Jack fu costretto a ricredersi in fretta su Capitol City, mentre i tre colpi di cannone dei frettolosi morti riecheggiavano nell'aria, ancora prima del bagno di sangue.
La città non scherzava affatto, quello non sarebbe stato un gioco.
O almeno, non per lui.
Molto, molto tempo dopo la curiosità avrebbe preso il sopravvento su di lui e avrebbe scoperto che a morire per primi, esplodendo con la piattaforma, erano stati la bambina del 7, la ragazza del 12 e il ragazzo del 10.
Una volta dato volto a quei tre sconosciuti non si era più sentito di definirli idioti.
Anzi aveva cominciato ad invidiarli per essere usciti fuori ancora prima che il vero inferno cominciasse.
Perché tutti erano veramente caduti preda di un incubo alla fine. Ma nessuno aveva potuto risvegliarsi.
Il gong suonò ma l'atmosfera ci mise un po' a riscaldarsi. La luce sembrava essere diminuita ma guardarsi attorno con gli occhi spalancati risultava comunque molto difficile.
Jack azzardò un passo verso l'ignoto incappando in un vero e proprio colpo di fortuna: la sua scarpa di gomma infatti calpestò e ruppe una lente di un bel paio di occhiali.
Raccattandoli e intuendo il loro scopo, senza riuscire a trattenere un sorriso di gioia se li mise addosso ed attraverso la lente sana riuscì a prendere consapevolezza di quanto lo circondava.
I venti avversari rimasti ciondolavano tutti a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro, coprendosi il volto con le mani. Sembravano degli zombie con il mal di pancia. Ai loro piedi stavano diversi paia di occhiali come quelli che lui aveva indosso, ma nessun altro per il momento era riuscito a vederli, tantomeno a metterci mano.
Decise di rubarne il più possibile, probabilmente erano contati ed il suo paio scassato poteva essere utile fino ad un certo punto. S'inginocchiò e si costrinse a gattonare, a carponi come un bambino, per quanto la situazione lo umiliasse e si sentisse incerto sul proprio futuro.
Appena afferrato un paio decente, non molto lontano da dove era partito, si tolse i propri occhiali e distrusse con il gomito anche la lente sana. Una scheggia di vetro gli penetrò la pelle, dovette mettersi l'intero pugno in bocca per non gridare.
Si alzò di scatto, la vista che andava annebbiandosi per l'azione fulminea e per il dolore.
Camminò alla cieca per qualche istante, con l'intento di distruggere con le scarpe più occhiali possibili e non scontrarsi con gli altri tributi.
Capitol City intanto si stava annoiando, gli ascolti stavano cominciando gradualmente a calare. Lo show degli zombie era stato simpatico, ma gli abitanti provati dalle sofferenza della guerra volevano di più.
Volevano sangue.
Gli Strateghi cominciarono a sudare freddo, non era previsto che dovessero, per accelerare le cose, lanciare ibridi così presto.
Poi successe.
Jack Elias, ormai già segnalato come colonna portante dei primi giochi e centro di tutte le scommesse, si riprese dallo sbalzo di pressione.
Anche se tutti i danari dei civili ricadevano su di lui, il suo undici alla sessione con gli strateghi e la sua forza bruta, alla gente il tributo del distretto 2 non piaceva.
I distretti uno due e quattro erano stati infatti il volto della guerra da poco conclusa, la rabbia e l'energia che aveva contagiato e permesso una rivolta in tutti gli altri distretti.
Quello stesso ragazzo avrebbe potuto benissimo essere un soldato ammazza bambini solo pochi mesi prima.
Ma davanti alla possibilità di arricchirsi i frivoli cittadini avevano poco da fare i sensibili.
Il Presidente e le persone che in quei giochi contavano davvero si ritrovarono invece con le mani legate, tra il desiderio di distruggere i tributi di quei distretti ma la consapevolezza di deludere in questo modo le aspettative del pubblico.
Intanto Jack Elias si era ripreso.
Un istinto quasi animale, una voglia incontenibile lo spinse a lottare e dare inizio per davvero alla prima edizione degli Hunger Games.
La voglia di ritornare a casa.
Spinto da essa si affrettò verso la Cornucopia, che riusciva a vedere in modo chiaro ed in tutta la sua interezza.
Notò una lunghissima lancia a doppia lama spuntare fuori dalla bocca: era stata progettata per Gerard, la bestia del primo distretto che aveva preso il massimo dei punti alla sessione, ma faceva anche a caso suo.
Si affrettò ad afferrarla e si guardò intorno, domandandosi chi uccidere.
Optò per quelli che avevano preso i punteggi più bassi, un po' per averla vinta facilmente e un po' anche per risparmiare loro qualunque cosa terribile fosse venuta dopo.
Infilzò l'asmatica del 3 e tagliò la gola al quindicenne del 12, caduti a carponi nel tentativo di coprirsi gli occhi. Lanciò l'arma verso una indefinita piccola ombra che tentava di scappare, uccidendo così il maschio del sesto distretto.
Avrebbe continuato il suo massacro personale non fosse stato per il fischio.
Era iniziato infatti a risuonare con il vento un fastidiosissimo rumore di provenienza incerta.
Prese consapevolezza di quanto aveva fatto, e tappandosi le orecchie corse via da lì, tra il dolore e fastidio, mollando a terra la sua preziosa arma.
Alle spalle, mentre correva via verso quella che sembrava una foresta, cominciò a sentire grida e rumori di morte.
Qualcun altro doveva aver trovato il paio di occhiali.
Era quasi giunto all'entrata della foresta quando un urlo più forte lo spinse automaticamente a voltarsi. Non era un urlo di dolore, piuttosto una lunga emissioni di vocali che lo riguardavano. Lo stavano chiamando.
«J A AA AAA A A A A CK! JAAAACK EEELIA AAA AA AS!»
Una ragazza gli stava correndo incontro, la sua lancia in mano: la stava agitando impazzita, a destra e a sinistra come un giocattolo. Jack si nascose terrorizzato dietro ad un grosso albero dai rami frondosi.
Era disarmato, non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivenza nello scontro diretto, sebbene la ragazza sembrava non avere evidentemente nessuna dimestichezza con l'arma.
«Non voglio ucciderti! Non ora almeno! Ho una cosa interessante da dirti!» aveva preso a gridare lei, rallentando il passo. Lo aveva perso di vista.
Ora che aveva smesso di correre e la sua voce si era fatta più chiara Jack poté riconoscerla.
I lunghi, lunghissimi capelli neri della ragazza corrispondevano a nome Elena, del distretto 1. Una ragazza estroversa e solare ma molto impacciata nei movimenti. Dubitava che sarebbe riuscita ad ucciderlo al primo colpo.
«Cosa sarebbe questa cosa interessante?» decise di urlare in risposta, per poi cambiare in fretta albero.
Scoprì di avere fatto una mossa abbastanza inutile. Il vento soffiava infatti nell'arena in maniera irregolare ed imprevedibile, impedendo di poter stabilire da dove un suono prendesse origine.
Elena aprì bocca, dopo essersi guardata attorno un paio di volte, ma prima che potesse rispondere Jack gli rivolse un'altra domanda.
«Come mai te ne sei andata dalla Cornucopia? Hai sentito il fischio?»
«Fischio? Quale fischio? Comunque no, avevi perso la tua lancia e appena trovati gli occhiali ho preferito riportatela insieme ad un paio di informazioni interessanti, per chiederti un grosso favore.»
Mentre il presentatore del primo anno di Hunger Games si affrettava a spiegare che il fischio non era stato sentito da Elena perché diretto esclusivamente al troppo frettoloso Jack, quest'ultimo rimuginava su quanto la ragazza gli aveva appena detto. Sembrava sincera, e decise di credergli.
«Che genere di favore?»
«Sono molto brava con i coltelli, è da una vita che sgozzo bestiame, ma pur avendoli cercati non sono riuscita a trovarli alla Cornucopia. Ho come l'impressione che siano dentro al corno. I nostri compagni di distretto hanno preso il largo disarmati una volta che tu hai iniziato ad affettare la gente. Mi chiedevo se con la lancia potessi andare a fare fuori i tributi rimasti lì procurandomi le mie armi. In cambio, ti dirò una cosa abbastanza interessante sull'arena e non ti ucciderò una volta messo mano su quei coltelli.» Elena fece un respiro profondo, soddisfatta di essersi spiegata così bene. «Solo per questa volta.» Si sentì in dovere di aggiungere.
Jack non se lo fece dire due volte, balzò fuori e con uno scatto corse verso di lei, strappandole la lancia dalle mani.
Per un momento gli balenò in mente di ucciderla, ma la curiosità stroncò quel pensiero sul nascere.
Jack Elias era sempre stato un bambino piuttosto curioso.
In pochi minuti era tornato alla Cornucopia, poco prima che i cannoni suonassero e gli hovercraft portassero via i cadaveri di sei tributi. Evidentemente qualcun altro si era messo all'opera.
Metà dei concorrenti eliminata in un giorno, avvenimento che Capitol City avrebbe fatto in modo che non si ripetesse mai più.
Non dovette uccidere nessuno per conquistare i coltelli: presi anche un paio di piccoli zaini e una nuova lancia per sé tornò indietro.
«Togliti gli occhiali, solo per qualche secondo.» fu la prima cosa che disse Elena accarezzando i manici del piccolo e ben fornito set portatole.
Jack lo fece, scoprendo una luce notevolmente diminuita ma ancora insopportabile.
«C'erano ventiquattro soli, al nostro arrivo. Hai sentito i cannoni. Ora ne sono rimasti dodici. Uno per ogni tributo.» gli disse Elena, placida. Jack si sorprese della sua calma.
«Sei molto sveglia.» commentò semplicemente, pensando a come in questo modo Capitol City li spingesse ad uccidere per poterci vedere.
Gli occhiali infatti provocavano alla lunga un forte senso di nausea.
«Grazie. Ti concedo dieci minuti di distacco come bonus.» rispose Elena, d'un tratto acida, voltandosi per inoltrarsi nel bosco.
«Fermati.» le disse inaspettatamente Jack «tu sei brava con i coltelli ed io me la cavo con le lance. Mio nonno mi allena a lanciarle da quando ero bambino, se può bastarti. Che ne dici di allearci per uccidere quanti hanno fatto fuori tutti quei tributi?»
Elena ascoltò interessata, ma parve soppesare quella proposta anche più del dovuto.
Non era sicura che fosse la scelta migliore, ma d'altronde non c'era neppure nessuna regola che lo vietasse. Da sola poi non ce l'avrebbe mai fatta agli inizi, non con così tanti bestioni pronti a spezzarle il collo. Lei giocava di astuzia, avendo un corpo magro e gracilino.
Così il presentatore fu costretto ad improvvisare davanti a tutta Panem, dicendo che certi elementi erano partiti favoriti rispetto ad altri per lo stile di vita tipico del loro distretto (Favoriti li aveva definiti e Favoriti erano rimasti) mentre Jack ed Elena si scambiavano una stretta di mano consacrando così la prima alleanza della storia degli Hunger Games.
Alleanza non prevista, e che il presentatore si affrettò a descrivere come espediente degli Strateghi per rendere gli Hunger Games ancora più cruenti e tenere sempre vivo l'ammonimento contro la guerra, anche a distanza di anni.
Ma non era vero, e lo avevano visto tutti.
Era stata un'iniziativa di Jack Elias.
I due nei giorni seguenti riuscirono insieme ad ammazzare quattro tributi dei distretti periferici, prima che una trappola consistente in una tana di talpe ibrido riuscisse ad afferrare con i denti la gamba di Elena.
Jack tentò addirittura di tagliarla per così liberarla, ma la furia degli animali la portarono dentro il loro buco prima che ci riuscisse.
Pianse tutta la notte, se di notte si poteva parlare, con sette palle di luce sempre accese nel cielo.
Il giorno dopo, la sua furia risuonò da tutte le parti del l'arena, e la sua lancia trafisse da parte a parte anche la testa di Richard, tributo maschio del 4 con lui in cima alle classifiche.
Quando l'hovercraft lo portò a casa, il primo vincitore della storia, tra feste ed interviste Jack scoprì che non esisteva più una famiglia da cui tornare.
Un incendio aveva raso al suolo tutta la zona dove era cresciuto.
Jack Elias perse definitivamente la sua voglia di curiosare, capendo cosa dietro a quelle fiamme si fosse veramente nascosto.
Visse a Capitol City il resto dei suoi giorni, decise di vivere in solitudine in una casa totalmente oscurata: era finito per odiare qualunque fonte di luce.
Solo una volta all'anno era costretto ad uscire, per partecipare ai giochi sotto una veste speciale, cucita apposta per lui.
«Farai il mentore, visto che ti piace così tanto allearti con le persone.»
Usciva solo una volta all'anno. Disperato. Con una benda sugli occhi.



PP Space

E niente, l'ispirazione per questa fan fiction mi è venuta leggendo di Katniss che non si ricorda di aver mai visto in televisione la replica dell'edizione di Haymitch.
Chissà quanti anni di Hunger Games Capitol City ha censurato, perché sapevano troppo di ribellione o perché andavano contro ciò che loro volevano, ossia contro il vero nemico?
Spero di riuscire a soddisfare tutta la vostra curiosità, sana e più che lecita ma che a volte, come ad esempio per Jack, sfocia in sorprese del tutto spiacevoli.
Mi auguro che quanti hanno letto, e che ringrazio calorosamente, abbiano colto il significato del titolo.
L'arena dei soli, le stelle che tanto perseguiteranno Jack in vita, ma anche dei "soli" le persone "sole" che Capitol City voleva ci fossero.
Non fosse stato per Jack, parecchi tributi in futuro senza alleanze avrebbero perso la vita.
Come Peeta Mellark, per esempio.
Se vi è piaciuta, ma soprattutto se non vi è piaciuta non esitare a recensire, ho assolutamente bisogno di pareri per migliorare il mio stile :)
Un caro saluto, a presto!

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Capitolo 2
*** Quarta Edizione. ***


Quarta Edizione
Persefone nell'arena dei veleni





Persefone era sempre stata egoista, in un tempo ed in un distretto dove non ci si poteva proprio permettere di esserlo.
A tavola con la sua numerosa famiglia aveva sempre preteso il piatto più grande, lamentandosi a gran voce ed architettando estenuanti torture per fare sentire in colpa gli altri, se così non accadeva fin da subito.
A scuola guardava con odio chi andava meglio di lei, non perché ci tenesse particolarmente a studiare ma perché non eccellere e non essere la prima le provocava un fastidio enorme.
Non aveva amici, il suo inadatto ed ingiustificato egoismo la rendevano antipatica a tutti. La sua famiglia le voleva bene, ma disperata non poteva che chiedersi come una tale capricciosa potesse essere nata in un territorio traboccante di umiltà e fratellanza.
Persefone era del distretto 11, mai davvero soddisfatta da niente, voluta da nessuno.
Aveva rifiutato più volte di comprare tessere, nonostante ai suoi genitori e ai tre fratellini più piccoli avrebbe fatto comodo una razione in più.
Si apprestava alla sua penultima mietitura con un sorriso sulle labbra, con il passare degli anni si era infatti sempre più tranquillizzata prima degli Hunger Games, anzi non credeva di avere mai avuto paura di essere estratta.
Sapeva di essere la diciassettenne con meno foglietti del suo distretto, e che ci fossero ragazzine nominate più volte di lei.
Quelli dei giochi della fame erano per lei i giorni più difficili di tutto l'anno, pur essendo terrorizzata da quanto vedeva non riusciva a staccare gli occhi dal televisore fino a quando entrambi i tributi del suo distretto cadevano morti.
Una volta accaduto, si scioglieva in un pianto liberatorio che le restituiva quel poco di sensibilità che aveva perso pensando sempre esclusivamente a sé stessa.
In quei primi quattro anni avevano vinto tre tributi dei distretti Favoriti, con la sola eccezione di un bestione proveniente dal quinto distretto.
Con un brivido quel pomeriggio, mentre alzando la corda del proprio riquadro prendeva posto accanto a qualche compagna di classe, ricordò come quel ragazzo avesse strangolato il figlio del calzolaio, due anni prima.
Il sole era alto e cocente quel giorno, tanto da sciogliere la pittura violacea sul volto dell'accompagnatore, un uomo di nome Tullio, di Capitol City.
Ogni tanto qualche grossa goccia dalla sua fronte scivolava sulla sua guancia, per poi cadere a terra con un rumore sordo che si perdeva nel chiacchiericcio della piazza, impegnata a riempirsi.
Qualcuno avrebbe riso della comica espressione che l'uomo assumeva ad ogni perdita di liquido, in circostanze diverse.
Persefone a fatica trattenne lo scoppio di ilarità.
Con l'arrivo dei ritardatari, fra i quali un ragazzino magro come un chiodo, la piazza venne dichiarata al completo.
Persefone era contenta che i suoi fratelli fossero ancora troppo piccoli per la mietitura. Più o meno.
Anche se così fosse stato non sarebbe stata comunque costretta ad offrirsi al loro posto, essendo tutti e tre maschi, ma nel suo egoismo Persefone si impegnò lo stesso ad immaginare a quanto farlo sarebbe parso eroico da parte sua.
Le dispiaceva pensare che, oltre a non affrontare quell'esperienza con lei, in futuro tutti e tre avrebbero dovuto viver quel giorno molto più volte.
All'istituzione dei giochi lei aveva infatti già compiuto i quattordici anni.
Persefone si apprestava alla sua penultima mietitura con il sorriso sulle labbra. Poi era stata estratta.
In seguito si sarebbe resa conto che l'aver sottovalutato il tutto l'aveva resa più debole. Escludere a priori l'eventualità di partecipare agli Hunger Games le aveva impedito di prepararsi all'idea di morire.
Nel momento in cui l'impensabile era accaduto, non era riuscita a capacitarsene.
Due Pacificatori uscirono dal Palazzo della Giustizia e, una volta individuata, dovettero portarla di peso sul palco. Tre anni prima un ragazzo di un altro distretto aveva tentato di scappare, e la sicurezza da allora aveva ritenuto opportuno stringere la morsa durante le mietiture. Le sue gambe faticavano a muoversi, mentre le guance si imporporavano per la vergogna di essere scortata sul palco in quel modo. Lacrime di umiliazione cominciarono a rigarle le guance. A differenza del sudore di Capitol City, non avevano colore.
Alle sue spalle sentiva la folla delle sue coetanee sospirare di sollievo, rilassando i petti e le spalle all'unisono. Alcune avevano già cominciato a parlare concitatamente fra di loro, altre aspettavano la mietitura maschile prima di concedersi il lusso di un sorriso.
Nessuno stava pensando davvero a Persefone, era anzi certa che molte avessero già dimenticato suo nome, una volta appurato che non corrispondesse al proprio.
Avesse avuto un'amica, forse, sarebbe stato diverso. Avrebbe ottenuto più compassione, magari.
E invece, una volta sul palco, l'unica consolazione la ebbe dai suoi genitori. Si stavano abbracciando, scossi da tremiti tristi. Avevano evidentemente lasciato i fratellini a casa.
Per la prima volta in vita sua, Persefone si sentì veramente grata a qualcuno, senza sotterfugi e secondi fini.
Se suo padre lo avesse saputo, si sarebbe sentito fiero di quel seme di cambiamento che lui stesso aveva piantato.
Seme che, però, perse qualsiasi occasione di germogliare, perché Persefone gli Hunger Games li vinse. Ad un prezzo più salato del solito.
I primi due giorni successivi alla mietitura la ragazza li trascorse fra pianti e capricci. Chiunque guardandola scuoteva la testa, irritato per il suo continuo lamentarsi. Solo durante i pasti smetteva di gemere, per saziarsi finalmente quanto aveva sempre voluto. Tutto lo staff era certo sarebbe morta alla Cornucopia, e per certi versi non vedeva l'ora che questo accadesse. Il suo compagno di distretto la ignorava, evitando ogni suo minimo contatto. Ma Persefone, di tutto questo, sembrava non accorgersene.
I pianti cessarono solo arrivati a Capitol City.
Per una volta nella vita, quella ragazza assolutamente inadatta si era sentita a casa. Osservava meravigliata i vestiti proposti dalla sua stilista, sognando di poter indossarli tutti nel corso di quelle giornate. Aveva nascosto la realtà degli imminenti Hunger Games in una nuvoletta rassicurante, che aveva poi posta in un angolo oscuro della propria mente. Nonostante ogni cosa le ricordasse che mancava ormai poco, Persefone si dipingeva sul volto un sorriso smagliante, con il quale dimostrava di godere di ogni agio e conforto.
Al momento della cerimonia d'apertura Persefone di era entusiasmata non poco al caloroso benvenuto degli abitanti di Capitol City. Vedendoli così impomatati e alla moda gli altri tributi torcevano il naso schifati ma non lei. Lei si ritrovo a desiderare di essere una loro concittadina. E realizzò per la prima volta che per riuscirci, avrebbe dovuto fare una sola cosa.
Che curiosamente coincideva con quanto più le piaceva. Essere la migliore.
Fu alla sessione degli allenamenti che studiò da sola un piano per farcela. Mentre tentava di impugnare un coltello, scatenando così le risa dei suoi avversari, Persefone riusciva a studiare con la sua vista perfetta tutte le piante descritte nel grande cartellone dall'altra parte della sala.
Alcune le conosceva già, ricordava gli insegnamenti di una nonna morta da tempo. Una nonna che drogava il logorroico ed insopportabile marito con poche foglie nel the, e una polvere nera nel cibo.
Persefone era rimasta semplicemente stregata a quella vista, ed ora era decisa a portare con sé nell'arena quella magia per vincere la vita dei suoi sogni.
Nessuno tributo fino ad allora aveva prestato particolare attenzione a quel cartello, quindi lei era sicura che quell'anno si sarebbe dimostrato fondamentale.
Il sette che prese con gli Strateghi, riconoscendo tutte le piante velenose, fu la conferma.
Dicono che gli Hunger Games cambino irrimediabilmente la psicologia ed il carattere di tutti i vincitori. Per Persefone, la vincitrice più odiata della storia dei giochi, non fu così.
Il giorno delle interviste si presentò in uno sfarzoso abito rosa, conquistò il pubblico con parole accattivanti. Il suo distretto a casa la osservò nauseato.
Alcuni speravano che si trattasse di una qualche tattica. Chi conosceva Persefone sapeva bene che tutte quelle adulazioni verso la città che aveva, così crudelmente, taciuto la ribellione la ragazza le stava pensando sul serio.
I suoi genitori e fratelli si barricarono in casa due giorni, imbarazzati. Ma lei questo non lo avrebbe mai saputo.
Che i quarti Hunger Games abbiano inizio!
Senza neanche guardarsi intorno Persefone aveva preso la rincorsa ed era partita verso quello che le era parso un frutteto. Alle sue spalle, i primi tributi cadevano sotto le spade dei Favoriti, quell'anno meno talentuosi del solito. Nessuno alle sessioni aveva infatti superato l'otto.
Persefone sentì suonare il cannone quattro volte, una volta superato il frutteto. Era arrivata in un campo di grano, con certe spighe alte il doppio di lei. Decise di fermarsi a riposare, doveva inoltre cercare dell'acqua. Correndo si era fatta un'idea dell'arena, e all'apparenza doveva trattarsi di campi enormi con coltivazioni diverse, tutti collegati fra di loro. Li ricordavano il suo distretto, se non fosse stata per la mancanza di alberi. Alberi su cui non aveva mai voluto salire per lavorare. Alberi che in quel momento avrebbero potuto offrirle nascondiglio e riparo.
In qualche modo in quell'arena era come se giocasse in casa. Ma una casa spesso non si limita a rispecchiarsi in un luogo.
La prima giornata trascorse noiosa, una volta appurato che le spighe fossero commestibili. Si era tenuta lontano da quelle giganti, preoccupata per la diversità fisica che, ne era sicura, nascondeva anche una pericolosità intrinseca. Si congratulò con sé stessa per la sua intelligenza. Si chiese perché la sua professoressa di italiano non l'avesse mai colta davvero.
Quella sera non si curò di vedere i volti di quanti erano morti. Voleva sorprendersi con quelli che si sarebbe trovata ad uccidere.
Non avrebbe mai pensato che dentro di sé risiedesse quella voglia così malsana dell'assassinio. Ma a pensarci bene, aveva sempre desiderato di liberarsi degli altri in quel modo.
La notte si svegliò più volte, scossa dalla sete. Dormire sul grano era poi alquanto scomodo, con tutte quelle spighe che le pungevano e solleticavano il viso. Decise di camminare ancora, alla ricerca di una qualche fonte d'acqua.
Fu così che incontrò il suo compagno di distretto, dando inconsapevolmente inizio al declino dei sogni che si era prescritta.
Si erano guardati terrorizzati per qualche secondo, poi avevano appurato di essere entrambi disarmati. Entrambi cercavano la stessa cosa. Decisero di allearsi per trovarla.
Intanto il cervello di Persefone lavorava sommessamente per pensare a come ucciderlo.
Non aveva lontanamente pensato che la cosa potesse non venire gradita dal pubblico a Capitol City e da quello del distretto 11.
Le alleanze, particolarmente quelle dei distretti più poveri, erano cose da gente molto legata che poi tragicamente doveva separarsi: non era previsto che una stessa persona all'interno di questo patto lo infrangesse uccidendo l'altro. Ma Persefone a questo non pensava. Lei voleva semplicemente essere la migliore.
Così, quando trovò a pochi metri dal fiume due foglie di cicuta, le colse alla luce della luna, senza farsi vedere.
Così, riempiendo due borracce recuperate dal suo compagno alla Cornucopia, alla luce della luna le sbriciolò nella sua, porgendogliela con un grande sorriso.
Così, inaspettatamente quell'idiota sorrise a sua volta, pur tradendo un certo astio nei suoi confronti.
Prima di contorcersi, alla luce della luna.
Quell'azione aveva a Capitol City prodotto reazioni contrastanti. Molti pretendevano l'eliminazione di quella ragazza così insensibile, ma gli sponsor lottavano fra di loro per averla sotto protezione. Fu la ricchezza di quest'ultimi a vincere. Ma ancora una volta gli abitanti di Capitol City ignorarono i distretti.
Nell'11 odio ed indignazione crescevano come spighe di grano.
I quarti Hunger Games durarono altri quattro giorni, nei quali con lo stesso metodo Persefone riuscì ad uccidere altri tre tributi. Gli ultimi due rimasti, oltre a lei, si uccisero praticamente fra di loro.
A lei bastò sfregare delle foglie di aconito sulle ferite del ragazzo a malapena sopravvissuto, del distretto 4.
Le trombe suonarono e con gioia Persefone stava già pregustandosi la sua nuova casa. Sperava di essere piaciuta tanto da poter essere in città.
Invece no.
La fama è un'amica volubile.
Non riuscì a vedere né salutare la sua famiglia, una volta tornata nel distretto 11.
Grossi contadini, famiglie intere di lavoratori aspettavano l'odiosa infelice, le pietre in mano.
Il pacificatore assodato per servirla arrivò troppo tardi, così firmando la sua stessa condanna a morte.
Il Presidente fece bruciare le case degli assassinii della vincitrice per placare i possibili moti.
La storia di Persefone venne sepolta dal veleno dell'odio.
I tributi da quel momento evitarono bene di uccidersi fra di loro.

PP Space

Questo capitolo è stato un parto, di quelli difficili con il bambino, il testo podalico. Più volte ero per abbandonare l'idea, ma ho stretto i denti ed ho provato a darle una conclusione. Ho utilizzato la storia fantasma meno originale che mi passava per la mente, semplicemente perché voglio tenere le idee migliori per i tempi di carestia. Spero di non aver annoiato nessuno, davvero. Fatemi sapere se l'avete apprezzata o disprezzata, è solo con i vostri pareri che posso migliorarmi.
Perdonatemi in ogni caso, credo che la prima sia stata un po' più appassionante.
Grazie lo stesso per avermi letto :)

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Capitolo 3
*** Settima Edizione. ***


Settima Edizione
Francis nella valle di lacrime





Aveva cominciato a piangere quando quella donna, dalle dita di strega, aveva letto il suo nome sbagliando l'accento.
Non aveva trovato il coraggio di dirle, dopo aver stretto la mano al tributo femmina di tre anni più grande, che lui si chiamava Fràncis, non Francìs.
Le lacrime poi scorrevano così fitte da impedirgli anche solo di aprirla, la bocca.
Così aveva permesso che sbagliassero a chiamarlo tutti, da quel momento.
Non che facesse la differenza. Una volta morto, cosa mai avrebbe significato la pronuncia di quello che una volta era stato il suo nome?
Lui stesso non sarebbe significato nulla. Nulla più.
Allora aveva pianto, dicendo addio a suo padre, che amava più di sé stesso. Aveva pianto per lui, perché sapeva di essere la sola cosa che avesse al mondo. La sola cosa che lo spingesse a vivere. E che Capitol City avrebbe spinto a morire.
Francis aveva pianto sul treno, aveva pianto alla cerimonia di Apertura.
Aveva pianto senza riserve, quasi consumando tutta l'acqua che aveva nel corpo.
Aveva pianto prendendo la propria anima e strizzandola come un panno, spremendola come un arancio.
Ma nessuno, com'era accaduto in precedenza a tributi difficili, gli aveva dato un calmante.
Nessuno, la prima notte al centro di addestramento, era venuto a picchiarlo per i suoi lamenti.
Perché Francis aveva qualcosa, qualcosa che era arrivata a penetrare persino i cuori disattenti del suo frivolo staff di Capitol City.
Francis era bello, ed irresistibilmente tenero.
Biondo, dagli occhi grandi e grigi.
Aveva ciglia lunghissime, trasparenti alla luce del sole. In quei giorni si ritrovava a muoverle spesso, perché erano così sottili da non riuscire a reggere il peso delle sue lacrime.
Ogni volta che le sbatteva, sdraiato su un lettino troppo bianco in una stanza troppo chiara a subire cose troppo strane, un membro dei suoi preparatori si lasciava scappare o un sospiro od un buffo mugolio di pietà.
La stilista dopo lo aveva addirittura riempito di carezze, stringendolo a sé, soffocandolo quasi nel suo grosso seno.
«Mi ricordi coosì tanto mio nipote!»
Fino ad allora nessun tributo proveniente dal distretto 3 aveva vinto, sebbene quasi tutti si fossero contraddistinti in dimostrazioni di grande intelligenza, una volta in arena.
Nemmeno Francis era uno stupido, con tutte le sue A in matematica e in fisica. Nel suo distretto l'istruzione veniva prima di qualsiasi altra cosa, di qualsiasi altro posto.
Intrappolato in quello scomodo abbraccio capì allora che per gli abitanti di Capitol City lo spettacolo era tutto.
Mostrandosi disperato forse avrebbe catturato l'attenzione degli sponsor. Ed ottenuto una minima, piccolissima possibilità per tornare da suo padre.
Restava un solo problema, ed una volta riemerso dal gigantesco corpo dalla stilista sfruttò il conseguente sconforto per un altro pianto.
Francis non avrebbe mai potuto uccidere.
Ed osò, e all'intervista lo disse.
Confessò tra i singhiozzi di aver trascorso le ore di allenamento tra le piante e le trappole, qualche tiro di fionda e centro con l'arco.
Era riuscito a prendere 6 alla sessione di addestramento perché aveva preso con una freccia il fegato del manichino. Ma era stato solo un caso. Ed era sicuro che la sua espressione abbattuta avesse aiutato.
Parlò di suo padre e, allo scadere dei tre minuti, si ritrovò davanti l'intera Capitol City in silenzio.
Persino l'intervistatore sembrava aver perso la voglia di parlare.
Qualche sporadico singhiozzo si unì ai suoi, mentre si allontanava nel suo smoking volutamente troppo grande, contento di aver fatto centro.
Meno contenti erano i vertici del governo: non era bene che gli abitanti di Capitol City si rendessero conto della vera crudeltà che stava dietro ai giochi che tanto li divertivano.
Era meglio averli al proprio cospetto rincitrulliti ma obbedienti, affascinati dai giochi tanto da comprare armi di plastica ai loro figli.
Che i settimi Hunger Games abbiano inizio!
La Cornucopia si trovava al centro di una gigantesca valle a U. Riuscì a realizzare solo questo, durante lo scorrere del minuto più veloce della sua giovane vita.
Poi iniziò a correre, via dal massacro ma anche dalle provviste. Sapeva che non aveva altra scelta ed andava veloce, guardando solo davanti a sé: tutte le tonalità di verde possibili penetravano nei suoi occhi grigi.
Si fermò solo davanti ad una quercia, e decise di tentare di arrampicarsi. Era abbastanza lontano dalla Cornucopia e nessun cannone aveva preannunciato la fine del bagno di sangue.
Studiò con attenzione l'albero prima di salire, vagliando ogni increspatura, ipotizzando il peso dei rami che gli sarebbero serviti.
Solo grazie a quel l'attenzione tipica del suo distretto riuscì a salire in cima, lui che di alberi a casa ne aveva visti al massimo cinque.
Si fece piccolino contro il tronco, ed attese. Al primo cannone cominciò a piangere, e a lanciarsi in una struggente lamentela su quanto gli mancasse il suo papà.
Francis non stava fingendo, e quando vide scontrarsi il paracadute contro l'albero si scoprì tentato di scagliarlo per terra.
Non lo stava facendo per le telecamere, che guardassero il bagno di sangue.
Ma aveva fame e la vista di tanto pane lo commosse. Addentò il primo, senza smettere di piangere.
I primi giorni passarono per lui fin troppo facilmente. I colpi di cannone che ogni tanto lo sorprendevano arrivavano vacui, ovattati da tutti quegli alberi.
Aveva imparato a trovare nutrimento nella terra, e caso mai avesse avuto bisogno di qualcos'altro gli bastava riprendere a lamentarsi e sbattere le ciglia.
Il secondo giorno aveva ricevuto addirittura un coltellino.
Non riusciva a credere nella sua fortuna spacciata, e con il passare delle ore si mise sempre più in allerta.
L'incendio divampò il terzo giorno, svegliandolo e facendolo cadere dall'albero. Sentì il braccio fratturarsi dopo i tre metri di volo, urlò disperato alzandosi a fatica.
Il calore delle fiamme, sempre più vicino, lo costrinsero a correre, spingendolo verso la Cornucopia.
Francis arrancava disperato, inciampava sui propri passi, sentiva il fuoco bruciare le punte dei suoi capelli.
Quando arrivò nei pressi di un lago, l'inferno smise di bruciare. Si buttò nell'acqua completamente vestito, e mille lame di gocce gelide gli trapassarono la pelle, dandogli però un indescrivibile sollievo al braccio rotto.
Fu quando alzò quello sano che si accorse dei buchi nel tessuto della divisa, e dei tagli che l'acqua gli stava facendo sulla pelle.
Uscì e tentò di utilizzare le proprie lacrime e saliva per cicatrizzarli, riuscendo ad ottenere qualche successo.
Si chiese cosa fosse capitato per quell'improvviso cambio di atteggiamento nei suoi confronti, quando vide arrivare il Favorito.
Francis smarrito nella valle non aveva invece perso i conti: in quel momento oltre a lui erano vivi le ragazze del 1 e 5, ed il maschio del 2.
Era quest'ultimo a venirgli incontro, particolarmente ferito; dal modo in cui si trascinava Francis capì che aveva perso un piede.
Una volta che si fu fatto più vicino confermò la sua ipotesi: una lunga ferita sanguinante, rattoppata con garze, copriva resti di caviglia sbrindellata. Il taglio irregolare dei capelli e varie cicatrici sul volto testimoniavano recenti e brutali combattimenti, l'espressione corrucciata, stanca e rabbiosa dei suoi occhi lasciava intendere una fame ancora insaziata.
Francis tremò di paura, pur non essendo ancora stato notato.
Il Favorito sembrava essere più interessato al lago, che Francis si era lasciato indietro di qualche metro. L'altro aveva già immerso la gamba monca nell'acqua, quando un colpo di cannone fece tremare la terra sotto i piedi di entrambi. Francis sobbalzò, il Favorito scoppiò a ridere, e, dopo aver preso un gran respiro, si tuffò nell'acqua.
Dopo qualche minuto Francis vide le prime gocce di sangue risalire in superficie. L'altro sembrava non essersene accorto. Un piano cominciò a farsi strada nella testa del bambino.
Cercò un albero su cui salire ed iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca del tributo rimasto. Per sua fortuna, la ragazza del distretto 1 stava correndo verso di loro, spinta da una frana di fango. Capitol City aveva deciso che i giochi stavano per concludersi.
Quell'anno il tributo femmina del primo distretto consisteva in una ragazza grassoccia e brutta, ma letale. Le sue dimostrazioni con tridenti e coltelli durante gli allenamenti erano finite in molti dei suoi incubi, i giorni in arena.
Ma Francis aveva capito anche che era una ragazza abbastanza stupida, incapace di adattarsi a diverse situazioni.
Arrivava verso di lui, urlando come una disperata. Francis, con le poche forze rimaste, la chiamò.
«C'è il ragazzo del distretto 2 in acqua, è ferito gravemente, uccidi prima lui» sussurrò, le lacrime agli occhi, una volta che fu individuato.
Inaspettatamente la ragazza lo ascoltò, evidentemente assetata del sangue di quel particolare tributo.
Frances avrebbe poi scoperto che Dean, così si chiamava quello del 2, aveva ucciso il compagno di distretto di quella ragazza.
Lei si tuffò in acqua, schizzi giganteschi arrivarono agli alberi sciogliendo parte della loro corteccia. Se accadde o no un combattimento o se le lame uccisero i due ragazzi né Panem né Francis riuscì mai a scoprirlo. Quest'ultimo finì per assopirsi, e risvegliarsi su un hovercraft. Vincitore.
Gli abitanti di Capitol City lo accolsero con grande festa, insieme a suo padre finì su diversi canali televisivi, strinse la mano ai suoi generosi sponsor (tutti padri di famiglia) in diverse occasioni.
Poi incontrò il Presidente.
Il Presidente avvelenò lui e suo padre, e fece passare la loro morte per una disgrazia imprevedibile.
Passarono due mesi e i due furono completamente insabbiati dalle memorie di Capitol City, già prese ed eccitate per i nuovi Hunger Games imminenti.
Passarono due anni ed anche i distretti di Francis ricordavano poco.
Avevano dimenticato anche la cosa più importante, quella che il bambino aveva urlato al microfono una volta tornato vittorioso.
«Qual è la cosa più importante che hai imparato da questa esperienza, Francìs?»
«Ho imparato a non sottovalutare nulla di me. Il mio nome è Fràncis, non Francìs. »

PP Space

Francis, il bambino che piangeva troppo. Ma che era intelligente. E che ha usato un'arma dell'arena, senza uccidere nessuno. Al prezzo della vita. E quella di suo padre.
Ci tengo molto a questo capitolo...fatemi sapere cosa ne pensate.
Ho dovuto ripubblicarlo perché da cellulare mi dà dei problemi di visione!

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Capitolo 4
*** Quindicesima Edizione. ***


Quindicesima Edizione
Benedict nella montagna di problemi



«Benedict...oh, Benedict non è mai stato un ragazzo dalle molte pretese. Francamente, siamo stupiti che sia arrivato fin qui...»
Esitazione. Gomitata fuori campo.
«E...contenti. Contenti, certo.»

Pioveva, alla mietitura pioveva sempre.
A scuola gli avevano insegnato, tra l'alfabeto e l'addizione, che il clima orribile del suo distretto era stato originato da un grave disastro ambientale causato da ribelli anni prima della pace, se di pace si poteva parlare.
Benedict Coba però, nato l'anno dei primi Hunger Games, non ci aveva mai creduto: suo nonno non mentiva mai.
Anziano mastodontico e caparbio, non faceva che dirgli che in realtà Capitol City aveva avvelenato le fabbriche tessili del distretto 8. Che per questo sua figlia, la mamma di Benedict, era anche morta di un cancro incurabile.
Lei e tutte le sarte specializzate.
Benedict di sua madre ricordava bene le mani, che gli cucivano vestiti splendidi prima che si ammalasse. Erano mani candide, dalle dita lunghe e vigorose. Con la malattia si erano inflaccidite e riempite di pieghe. A soli sei anni, era arrivato a sfuggire alle sue carezze.
Adesso che era morta non poteva neanche desiderarne una, e si pentiva di non averne approfittato, quando avrebbe potuto ancora riceverne.
Da quando era successo aveva deciso di non farsi sfiorare più da nessuno. Il contatto fisico era arrivato a terrorizzarlo, tanto da agire d'impulso ogni volta che il tocco si rivelava intenzionale.
Aveva imparato a fare a pugni, ottenendo così l'isolamento tanto cercato. Soprattutto in quel giorno, che si sarebbe rivelato essere quello della sua mietitura, dove le masse di adolescenti si radunavano sotto la pioggia incessante, in k-way logori ed unti, pecore condotte al macello.
Si abbassò il cappuccio della felpa già fradicia sul viso, cercando di concentrarsi sulla voce della nuova accompagnatrice di Capitol City. Sorrideva, con il microfono la sua voce sovrastava il battere della pioggia, anche se molto poco.
La sua elaborata pettinatura giallo acceso era al sicuro sotto un ombrello dello stesso colore, che gli abitanti del distretto 8 si ritrovavano a guardare bramosi quasi ogni anno.
Poche famiglie potevano permettersi quell'utile riparo contro il mal tempo.
In giro si diceva che Capitol City utilizzassero anche un altro tipo di ombrello per coprirsi dal troppo sole.
Quello spreco, per Benedict che del sole si era beato così troppe poche volte, era inammissibile.
Anche per questo il suo odio per Capitol City non aveva fatto che aumentare, pericolosamente. Si era ormai capito da tempo, un tributo pieno di rancore non avrebbe potuto che rivelarsi fonte di problemi.
Una volta chiamato il tributo femmina, Benedict sentì i coetanei vicino a sé irrigidirsi. Chinò la testa per non guardare chi fosse stata chiamata. Non aveva alcun interesse nell'osservare una morta che cammina...
«Benedict Coba!»
...a meno che non si fosse scoperto spacciato pure lui.
In quel caso, avrebbe guardato negli occhi e nelle occhiaie di Dorothy Pammel pregando di non essere costretto a spegnerli personalmente.
Una volta scortato sul treno dei senzavoce lo avevano subito portato in camera, e gli avevano dato vestiti asciutti che non aveva stranamente riconosciuto come opera del suo stesso distretto.
Erano fatti di un tessuto strano, traspirante. Sia la maglietta sia i pantaloni erano freschi e leggeri sulla pelle.
Durante i primi giorni a Capitol City Benedict era rimasto nell'ombra, ad osservare ogni colore, ogni avvenimento, ogni dettaglio.
Soprattutto questi ultimi: amava le cose nascoste, quelle piccole e semplici, quelle che rendevano le cose magnifiche ed indispensabili.
Sapeva che avrebbe perso, così doveva succedere, Benedict non aveva nessuna intenzione di assecondare gli assassini di sua madre. Ma aveva un onore, e come tutti i problematici tributi fantasma, non se ne sarebbe andato senza combattere. Non con le spade.
Anche perché Benedict, e lo capì ben subito il primo giorno di addestramento, con le armi non si intendeva proprio.
Sollevava anche le più pesanti senza problemi, ma non era per niente in grado di scagliarle contro i manichini, ritrovandosi ad agitarle e sbagliare ripetutamente la mira.
Faceva ridere, chiedere un insegnamento extra a qualche altro tributo era fuori discussione. Cercò di compensare studiando attentamente le piante e le trappole.
Alla sessione con gli strateghi avrebbe puntato tutto sulla forza, così come gli aveva consigliato suo nonno, venuto a salutarlo per l'ultima volta. Già sconvolto in un pianto, suo padre non aveva invece detto niente.
Gettò a terra tutto l'armadio delle lance, e si guadagnò un 8. Il giorno dopo i Favoriti non lo derisero più così tanto.
Che i quindici Hunger Games abbiano inizio!
Nessuno derise nessuno, una volta presa consapevolezza di cosa fosse l'arena.
Passò la voglia, perché la Cornucopia si trovava sulla cima rotonda di una montagna. Erano stati posizionati sulle loro piattaforme in cerchio, ed alle spalle dei tributi opposti si terrorizzarono per il nulla più assoluto che li circondava. Sarebbe bastato un solo passo indietro, e sarebbero caduti per chissà quanti metri.
Sopra di loro un cielo immenso, rosso tramonto. Rosso sangue.
Oltre ad uccidersi fu chiaro che potevano fare una sola cosa; scendere da diverse strade che, da circa metà delle piattaforme, Benedict notò diramarsi verso il basso.
Il grido di un bambino lo riportò alla realtà, e preso lo zaino più vicino a lui si diresse verso quella che sembrava essere la via di fuga più vicina.
Un ragazzo, frettolosamente armatosi di un ascia, lo aveva seguito. Invaso da un forte istinto di sopravvivenza, con una spallata Benedict si era affrettato a spingerlo verso il bordo della montagna, senza preoccuparsi se rischiasse di cadere anche lui stesso.
Durò tutto pochi secondi. L'altro ragazzo, mingherlino e veloce, si divincolava, deciso a non farsi spingere nel dirupo ma anche a non mollare la sua arma. Con la lama tentava di colpire Benedict, ma il terrore e la terra sgretolante sotto i suoi piedi si dimostravano un ostacolo efficace.
Benedict si decise di spingerlo giù a piene mani, e urlando, senza più ragionare, lo fece. Non si fermò nemmeno a sentire il tonfo, alla Cornucopia poco distante il bagno di sangue stava continuando e non aveva alcuna intenzione di contribuire.
Corse di nuovo verso la stradina, ciottolosa e piena di ghiaia. Solo una volta cominciato a scendere, esaurita l'adrenalina accumulata, si accorse della mano piena di sangue. L'ascia lo aveva colpito. E non se ne era neppure accorto.
Si strofinò la mano sulla divisa, scoprendo un taglio profondo e doloroso.
Stringendo i denti, continuò a scendere sul profilo della montagna, mentre i primi tuoni di cannone cominciavano a risuonare per tutta l'arena. Fu dopo qualche minuti che si rese conto che la discesa non sarebbe stata affatto facile. Ad ogni passo il terreno si sgretolava di più, a volte assottigliandosi in maniera preoccupante. Era arrivato a camminare con la schiena rivolta alla parete spoglia, muovendo i piedi lateralmente. Aveva provato a vedere cosa si stagliava sotto quel monte così aspro, ma i suoi occhi erano stati stravolti da un bianco uovo così finto. Pensando con il cuore dispiaciuto alla persona che aveva ucciso, decise di battezzarlo bianco morte.
Sperò di non rivederlo, una volta trapassato pure lui.
Se mai ci fosse stato qualche posto in cui rivedere qualcuno. Sperò anche di non sognarlo quella notte, anche se sapeva che come desiderio era addirittura più improbabile del primo.
Dopo un lasso di tempo esagerato al punto da sembrare infinito, i piedi di Benedict arrivarono finalmente a poggiarsi su qualcosa di diverso dal terriccio. Qualcosa di morbido ed intenso. Qualcosa come l'erba. Il suo cuore fece un balzo di gioia: forse avrebbe potuto trovare delle piante con cui medicare la mano, che aveva cominciato a pulsare.
Ma il sibilo che nel silenzio cominciava ad alzarsi non prometteva niente di buono, e fu costretto ad ammetterlo. Quando vide il serpente strisciare verso di lui, si affrettò a tornare indietro. Ma era troppo tardi, la sua gamba era stata già avvolta nelle sue spire.
Urlando cercò di toglierselo di dosso, ma il dannato non faceva che stringere la presa. Benedict una ventina di minuti a cercare di strozzare il suo collo, una volta appurato che l'animale non era velenoso. La mano ferita però scivolava sul suo corpo viscido causandogli scariche insopportabili di dolore.
Il ragazzo del 5 arrivò con il suo arco giusto un attimo prima che la gamba andasse in cancrena, ed inaspettatamente lo liberò. Si ritrovarono a stringere un accordo, lui era così debole e schiva da volere una protezione, almeno fino a quando tutti i Favoriti non fossero morti. Gli disse una cosa che avrebbe ricordato, gli disse che se doveva morire almeno si sarebbe assicurato di non soffrire.
Con Karl, così si chiamava il ragazzo del quinto, Benedict riuscì a scendere per altri quattro anelli.
Avevano chiamato così i diversi stadi della montagna con un terreno diverso.
Nel terzo, oltre che alla neve, avevano trovato un tributo mezzo congelato, quasi morto di fame. Karl aveva posto fine alle sue sofferenze con una freddezza ammirevole.
Benedict era stato fortunato a prendere uno zaino pieno di pane, e più passavano i giorni più gli sponsor sembravano essere a loro favore. Il cielo restava sempre rosso tramonto, impedendo loro di riuscire a dormire. A Benedict cominciò a mancare il ticchettio della pioggia tanto odiata ma che sapeva di casa. Sapeva che il momento stava per arrivare. Tributo dopo tributo l'arena andava svuotandosi. Il sesto giorno, secondo i loro calcoli erano rimasti in sei. Erano arrivati tra gli ultimi senza che si sporcassero più le mani. Poi avevano incontrato i Favoriti.
Si erano ritrovati faccia a faccia sull'anello fangoso. Avevano deciso di risalire alla Cornucopia per prendere qualche arma, confidando nel fatto che chi l'aveva assediata stesse scendendo per fare fuori i pochi rimasti.
Così era successo, ma la sorte non era stata al loro favore in quanto alle strade intraprese.
Benedict decise di scappare, riuscendo a realizzare il pericolo impediente prima dell'alleato. Karl non fu ugualmente veloce, e la sua morte prevista non si rivelò come l'aveva desiderata.
Nascosto dietro ad un gigantesco masso poco distante, Benedict riuscì a cavarsela. I tre Favoriti avevano infatti cominciato a litigare, nella foga uno aveva lanciato la lancia di un altro nel bianco morte.
Il terzo ne approfittò per ucciderli entrambi. Benedict spinse il masso in avanti per buttarlo giù dal dirupo.
Erano rimasti in due, e non sapeva chi fosse l'altro.
Non lo avrebbe mai scoperto.
Incamminandosi sulla cima della Cornucopia, deciso per l'ultimo spettacolo, Benedict capì di dover porre fine a quell'anno di giochi che Panem avrebbe ricordato come deludente, per la mancanza di sangue nonostante la magnificenza dell'arena. Impiegò due ore a risalire in cima. Pozze di sangue coprivano le ventiquattro piattaforme che avevano fatto da confine tra la montagna ed il mondo reale. Salì sulla propria, ed in tono solenne guardò verso l'alto.
«Non ucciderò più nessun altro, per voi. Mi avete tolto tutto, ma almeno per merito vostro adesso potrò farmi accarezzare da mia madre, ancora una volta.» sputò per terra, voltandosi verso il bianco morto «Fottiti, Capitol City!»
Prese la rincorsa, e morì imbattuto.
Capitol City avrebbe oscurato il suo discorso, additandolo come un folle. La storia avrebbe dimenticato sia lui sia Harry, il ragazzo del distretto 12 che si ritrovò a vincere pur non avendo ucciso.
I venti leggeri che spirano sulle case del distretto 8, però, ai bambini si racconta ancora che siano le carezze della madre sarta di un tributo di tanti anni prima.

PP Space

Sembra che per questa fan fiction sia destinata a pubblicare un capitolo soddisfacente ed uno no...spero però che Benedict sia riuscito ad esservi simpatico!

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