Hotel Providence

di londra555
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 28 Settembre 2013 ***
Capitolo 2: *** In bianco e nero ***
Capitolo 3: *** 314 ***
Capitolo 4: *** Newport Tribune ***
Capitolo 5: *** Cose preziose ***
Capitolo 6: *** Cotton Club ***
Capitolo 7: *** Emily L. Robertson ***
Capitolo 8: *** La scogliera ***
Capitolo 9: *** Risvegli ***
Capitolo 10: *** 10 ottobre 1925 ***
Capitolo 11: *** Un anno dopo ***
Capitolo 12: *** L'ultimo viaggio ***



Capitolo 1
*** 28 Settembre 2013 ***


28 settembre 2013

 

 

Il taxi si fermò davanti ad un grande edificio fin troppo barocco per i gusti della donna che scese dall'auto. Borbottò un mezzo ringraziamento al tassista che, nel frattempo, stava scaricando la sua valigia prima di sollevare gli occhiali da sole che nascondevano il suo sguardo. Sospirò rumorosamente mentre guardava l'Hotel Providence, il miglior albergo di tutta Newport! O almeno questo diceva la pubblicità in quel vecchio opuscolo scolorito. La realtà era molto più triste e spenta. Quello forse era stato il miglior albergo di Newport e forse dell'intero Maine. Ma quei tempi felici erano passati. E, per l'ennesima volta negli ultimi tre giorni, si domandò perché diavolo avesse deciso di andare davvero in quel posto sperduto nell'universo.

Scosse la testa infastidita da se stessa, dalla sua vita, dagli stupidi tacchi che aveva indossato quel giorno, dagli inutili occhiali da sole che rendevano l'atmosfera ancora più oscura di quanto non facesse già quella nube bassa e grigia che copriva il sole.

Poi prese un profondo respiro e decise che, in fondo, la scelta di cambiare aria per un po', era stata la migliore che avesse mai potuto prendere, date le circostanze. Perciò chiuse gli occhiali rimettendoli nella borsa, afferrò la sua valigia ed entrò nella hall del maledettissimo miglior hotel di tutta Newport, Maine!

Sollevò gli occhi al cielo quando vide che, non solo l'esterno dell'edificio, ma anche l'interno con il suo mobiliario antico, le vecchie fotografie in bianco e nero alle pareti e, persino, le chiavi delle porte delle varie stanze appese dietro il bancone dove si registravano i clienti, urlavano quanto quel posto fosse ormai decadente. Nonostante ciò, soffocò l'impulso di girare sui suoi altissimi tacchi e uscire fuori per fermare un altro taxi che la riportasse nella più vicina cittadina civile.

Invece, stupendo anche se stessa, riuscì a raggiungere il bancone in legno scuro e a suonare il piccolo campanello per richiamare il personale, senza maledire a voce alta nemmeno una volta.

Dopo una brevissima attesa, da una porticina, scura come tutti i mobili lì dentro, apparve un uomo anziano vestito in modo decisamente troppo elegante che le sorrise cordialmente mentre si sistemava degli occhialini a mezza luna che erano scivolati sulla punta del suo naso.

-In cosa posso esserle utile? - domandò con voce lenta ed impostata.

-Ho una prenotazione per una stanza. Ho chiamato tre giorni fa, visto che non ho trovato la vostra pagina internet – rispose rapidamente.

-Certo che non l'ha trovata! Non abbiamo una pagina internet.

L'uomo le sorrise ancora prima di inchinarsi per prendere un enorme librone scuro. Lo aprì lentamente ed iniziò a scorrere il dito nodoso su una serie di date e nomi scritti con un inchiostro azzurro e con una calligrafia elegante.

-Grandioso! - sbuffò la donna.

-Lei è la signorina Lopez, immagino.

-Sì, esatto. Santana Lopez. Sono proprio io! Ora cortesemente potrebbe darmi la tessera magnetica della mia stanza? Ho attraversato tutti gli Stati Uniti e avrei davvero bisogno di una doccia.

L'uomo sollevò appena gli occhi sistemandosi nuovamente gli occhiali. Manteneva in volto il sorriso cortese. E, Santana, ebbe l'impulso di prendere quell'enorme libro e di farglielo mangiare. Ma fu solo un attimo, poi si voltò prendendo una chiave in ottone talmente decorata che sembrava finta.

-Ecco la sua chiave. Abitazione 314. La migliore di questo albergo, sa in passato era la stanza che veniva lasciata per le celebrità locali! Ultimo piano.

Santana prese la chiave con sguardo scettico. La rigirò tra le dita per una manciata di lunghissimi secondi e poi guardò quel vecchietto che, per chiunque altro, sarebbe risultato simpatico.

-Mi sta prendendo in giro? - domandò con una punta di irritazione nella voce.

-Certo che no. Può lasciare la valigia qui, il facchino la porterà nella sua stanza per lei.

Santana sollevò lentamente la chiave.

-Mi vuole davvero far credere che questa sia la chiave della mia stanza?

-Certo.

La donna socchiuse gli occhi scrutando quel simpatico vecchietto.

-Questo albergo è rimasto fermo al secolo scorso! - sbottò infastidita.

L'uomo davanti a lei sembrò per un attimo scuotersi dalla sua patina di cordiale apatia, forse gli brillarono gli occhi, mentre un sorriso più marcato e più vero si disegnava sul suo volto.

-Magari fosse così. Magari.

Santana decise che ne aveva abbastanza. Si voltò e si diresse verso l'ascensore. Lo guardò solo per un decimo di secondo prima di decidere che, anche quello, probabilmente aveva ricevuto l'ultima manutenzione nel secolo scorso. Così, maledicendo tutto ciò che incontrava, fosse anche solo un innocuo ed incolpevole corrimano, salì le tre rampe di scale che la separavano dal suo piano.

Raggiunse un corridoio stretto e svoltò a sinistra, il suono dei suoi tacchi veniva attutito da un polveroso tappeto che, probabilmente anni prima, doveva essere stato elegante e raffinato. Ma ora sembrava solo un covo per piccoli e striscianti animaletti che, lì in mezzo, dovevano vivere felici e contenti. Santana rabbrividì a quell'immagine. Finalmente raggiunse la porta in legno con il numero 314 decorato in ottone. Infilò la chiave e fece scattare la serratura riuscendo, si stupì lei stessa, ad entrare nella sua stanza.

Santana si guardò intorno immediatamente. C'era un grande letto illuminato dalla luce del sole che entrava direttamente dalla grande porta finestra che dava sul terrazzo. Sulla destra c'era un tavolino con due poltrone in pelle scura che, come tutto lì dentro, avevano visto tempi migliori.

-La migliore stanza dell'albergo? - sussurrò Santana tra sé e sé – Immagino le altre!

Un gemito stanco lasciò le sue labbra mentre apriva la porta che dava sulla piccola terrazza dopo aver buttato la sua borsa sul letto. Con un sospiro stanco si appoggiò alla ringhiera in metallo e guardò le onde del mare che, pigramente, si infrangevano sul bagnasciuga. Da lì poteva vedere il lungomare e parte di quella cittadina. Newport era tutto ciò che lei odiava. Un luogo di villeggiatura a basso costo per famiglie, che viveva del turismo da maggio, quando la stagione si apriva con la festa dei granchi, ad agosto, quando tutto veniva chiuso da una banalissima festa di fine estate con ridicoli fuochi d'artificio.

L'unica cosa che la rendeva differente era un grande teatro che, durante gli anni venti e trenta del secolo precedente era stato centro artistico della zona. Ma, ormai, Newport era solo una banale cittadina decadente che viveva immersa nei ricordi di un passato felice e ricco che non sarebbe più tornato. E l'hotel Providence era lo specchio di quel posto.

Santana odiava posti così dannatamente provinciali. Lo sapevano tutti. Il suo migliore amico l'avrebbe convinta a non avvicinarsi nemmeno a quella cittadina. Se lei avesse avuto ancora il suo migliore amico!

Ma quello era la radice del problema. Ciò che l'aveva spinta ad attraversare l'intera nazione dalla sua amata Los Angeles a quel buco disperso nella costa del Maine. Il problema era che lei non aveva più un migliore amico! Ad essere sinceri praticamente aveva perso tutti i suoi amici. E la sua ragazza. E la sua vita.

Piegò la testa per nasconderla tra le sue braccia mentre una fitta terribile le stringeva il cuore a quel pensiero. La sua ragazza l'aveva lasciata.

No, non era corretto. La sua ragazza non solo l'aveva lasciata ma l'aveva anche tradita. Ma quella non era la parte più ironica. La vera ironia stava nel fatto che le aveva spiegato che la colpa era sua. Santana non aveva capito subito. Come poteva essere colpa sua se era stata tradita e lasciata? Qualcosa doveva sfuggirle. Così aveva cercato consiglio nel suo migliore amico che l'aveva guardata come se fosse una spietata assassina prima di spiegarle ciò che lei non capiva.

-Ovvio che sia colpa tua! Hai un caratteraccio. Mi sorprende che non ti abbia lasciato prima. Non le davi abbastanza, non eri mai presente!

Santana avrebbe voluto davvero rispondere a tono. Ma non aveva trovato la forza di farlo perché aveva perso ciò che lei riteneva fosse tutta la sua vita. Stavano insieme da anni ormai e lei l'amava. Amava tutto di lei. Dai suoi capelli biondi ai suoi occhi azzurri. Amava quel modo così gentile di porsi nei confronti di tutti. E non era la sola. Tutti i suoi amici si erano schierati immediatamente dalla parte di Elisabeth. Anche se era lei che l'aveva tradita. Anche se era lei che la stava abbandonando.

Santana scosse la testa lasciando che il vento accarezzasse la sua pelle ed asciugasse un paio di lacrime.

La sua vita era diventata improvvisamente, nel giro di una settimana, un piccolo inferno. Aveva dovuto lasciare la casa che divideva con Elisabeth e il suo capo le aveva dato un mese di vacanze forzate. Perché, naturalmente, non riusciva a combinare niente nel suo ufficio. Non riusciva a pensare a niente che non fosse lei, provando un misto di rabbia e dolore che le faceva accapponare la pelle.

Entrò di nuovo dentro la stanza e si sedette sul letto aprendo la borsa e estraendo una busta che conteneva una lettera. La rigirò tra le dita sentendo la consistenza della carta, ingiallita dal tempo. Poi l'aprì con un gesto brusco, tanto che si formò un piccolo strappo, ed estrasse un vecchissimo opuscolo che pubblicizzava l'hotel Providence ed una lettera.

La guardò per un attimo. Quello era il motivo per cui si trovava lì. E, sinceramente, non riusciva ancora a capacitarsi di cosa fosse successo realmente. Chiuse gli occhi mentre ripensava a quella strana mattinata di soli tre giorni prima. Il suo telefono suonava insistentemente e lei, nonostante il forte mal di testa dovuto agli eccessi della notte prima con il solo amico che le era rimasto, il famoso Mr. Jack Daniels, aveva allungato la mano per rispondere.

-Pronto – aveva biascicato con una voce che, se fosse provenuta dall'oltretomba, sarebbe risultata più chiara.

-La signorina Santana Lopez? - le aveva chiesto una voce maschile che non aveva riconosciuto.

-Dipende da chi lo chiede.

-Sono Michael Porter, avvocato associato dello studio Thomason and C.

-Allora se sei un avvocato la risposta è no, non sono Santana Lopez.

Era stata sul punto di riattaccare e, probabilmente, l'avrebbe fatto davvero. Se non fosse stato per i suoi riflessi che, ancora, nuotavano in mezzo all'alcol.

-Signorina Lopez, dobbiamo contattarla per consegnarle la chiave di una cassetta di sicurezza del Regent Bank.

Questo aveva attirato la sua attenzione. Di quale cassetta di sicurezza stava parlando?

-Di cosa stai parlando?

-L'aspetto nei nostri uffici per spiegarle tutto.

Così Santana si era trovata, quasi contro la sua volontà in una elegante sala d'attesa di uno dei più importanti studi di avvocati ad aspettare che qualcuno le spiegasse cosa stesse succedendo.

Michael Porter era un uomo di mezza età curato e dai modi gentili. L'aveva fatta accomodare nel suo studio e le aveva messo davanti una chiave con un numero inciso sopra.

-Anni fa ci è stata consegnata questa chiave per la signorina Lopez con il suo numero di telefono e con l'ordine tassativo di contattarla solo oggi.

Santana aveva spalancato la bocca e l'aveva guardato confusa.

-Anni fa? - riuscì a ripetere.

L'uomo davanti a lei aveva annuito lentamente come se fosse la cosa più normale del mondo.

-Quanti anni fa? - provò ad insistere Santana.

-Mi dispiace ma non possiamo fornire informazioni sui nostri clienti.

-Ma sono io la vostra cliente! La chiave è per me!

-Tecnicamente la nostra cliente è chi ha pagato per contrattare i nostri servizi.

Santana aveva provato a balbettare un paio di parole confuse ma alla fine si era data per vinta e si era presentata alla Regent Bank con la sua anonima chiave e con la vaga speranza che, quella misteriosa cassetta di sicurezza, nascondesse l'eredità di qualche vecchia zia di cui lei avesse dimenticato l'esistenza.

Ma con sua grande sorpresa, e disappunto ancora maggiore, l'unica cosa che aveva trovato era una stupida lettera e un ancora più stupido opuscolo pubblicitario dell'hotel Providence.

In nessun momento della sua vita avrebbe mai pensato di recarvisi davvero.

In nessun momento meno quello, naturalmente.

Non aveva niente. Non le era rimasto niente se non la voglia, forte e pulsante, di trovarsi il più lontana possibile da ciò che era rimasto della sua vita. E magari, almeno per qualche giorno, di dimenticare i suoi problemi.

Rigirò la lettera tra le mani prima di sbuffare ed aprirla per leggerla per quella che poteva essere la millesima volta negli ultimi tre giorni.

 

Newport 10 ottobre 1925.

Cara Santana,

io ti conosco bene quanto tu conosci me. Quindi andiamo al sodo. Prendi un aereo e vai nel Maine. Newport per l'esattezza. Non ti piacerà, lo so. Lo so bene, meglio di quanto tu possa immaginare. Ma devi farlo.

Prenota all'hotel Provence. Ed aspetta che il tempo faccia il suo corso.

 

 

Santana fu tentata di strappare quella carta ingiallita dal tempo. Perché, naturalmente, doveva trattarsi di uno scherzo. Uno stupido e ridicolo scherzo. Uno scherzo ben congeniato ad essere sinceri. Ma pur sempre uno scherzo.

Ed allora perché aveva davvero preso il primo volo infilando nella valigia poche cose e aveva prenotato in quell'albergo?

La risposta era semplice. Stava scappando.

Si alzò di scatto dal letto guardandosi intorno nella stanza. Entrò nel piccolo bagno attiguo e vide che non c'erano asciugamani. Tornò nella stanza accorgendosi che non c'era il telefono per chiamare nella reception. Sbuffò pensando che, tra tutte le idee che aveva mai avuto nella sua vita, quella avrebbe senza dubbio vinto il premio alla più stupida. Stava per aprire la porta quando vide un grande armadio incastonato nella parete. Si avvicinò per aprire l'anta sperando di trovare lì ciò che cercava per non dover scendere i tre piani di scale.

Ma l'armadio era vuoto. Desolatamente vuoto. Stava per sbattere violentemente l'anta di legno, ignorando il fatto che probabilmente sarebbe caduta a pezzi, quando qualcosa attirò la sua attenzione.

La luce che penetrava dalla finestra brillava su qualcosa di metallico. Qualcosa circolare che sembrava un pomolo di una porta. Ma era ridicolo. Chi mai avrebbe messo una maniglia in un armadio?

Eppure la luce rifletteva su quella piccola maniglia circolare così lucida da sembrare nuova. Qualcosa che era stato appena fabbricato. Santana inclinò la testa. Confusa. E poi la sua mano si mosse. Quasi come se non fosse la sua, la vide mentre si allungava appena e percorreva, lentamente, i centimetri che la separavano da quella maniglia. L'avrebbe toccata, stretta per un attimo prima di girarla. Anche se era stupido. Stupido ed infantile. Perché quella non era la maniglia di una porta. Semplicemente non poteva esserlo.

Perché chi può essere tanto stupido da mettere una maniglia in un armadio?

Eppure era lì, con la mano protesa ormai a pochi centimetri.

L'avrebbe toccata.

Anche se era stupido.

Fu in quel momento che, qualcuno, bussò con forza alla porta. Santana sobbalzò mentre si voltava di scatto e con gli occhi spalancati come piatti. Chiuse con un tonfo l'armadio ed aprì la porta. Un giovanotto con una ridicola uniforme le porse la sua valigia!

-Tutto bene? - le domandò il ragazzo guardandola in modo strano.

-Sì, certo! - biascicò Santana – Mancano gli asciugamani.

-Le chiedo scusa. Provvederò immediatamente.

Poi si voltò e si diresse verso le scale.

Santana rientrò nella stanza e si guardò intorno. Il suo sguardo cadde sulla porta chiusa dell'armadio e le sfuggì una risatina poco convinta. Aveva bisogno d'aria.

Prese la borsa ed uscì, forse un po' troppo rapidamente. Scese le scale dandosi mentalmente dell'idiota per il suo comportamento e raggiunse l'ampio atrio deserto. Puntò decisa la porta d'ingresso mentre guardava, con la coda dell'occhio le foto d'epoca. Erano tutti ritratti.

E si fermò.

Perché uno aveva attirato decisamente la sua attenzione. Fece pochi passi in quella direzione e guardò l'immagine studiandola con attenzione.

C'era una donna vestita in modo elegante che sorrideva. Era bella. Questo si poteva vedere anche senza i colori. I capelli erano raccolti in una complicata acconciatura ed erano chiari. Santana era sicura che fossero biondi. Sì, non aveva dubbi. Dovevano esserlo. Poi i suoi occhi si posarono sul naso e sulle labbra sottili che disegnavano un sorriso felice e sincero.

E, solo alla fine, scrutarono quegli occhi immortalati in quell'immagine. Santana deglutì. Avrebbe voluto che l'immagine fosse a colori solo per vederne la vera sfumatura.

Anche se era certa che fossero azzurri. Un azzurro di ghiaccio.

Infine si rese conto che, sotto ogni foto, vi era una piccola targhetta con il nome in caratteri dorati. Lesse quello della donna. Lo fece un paio di volte prima di ripeterlo a bassa voce.

-Brittany Pierce.

 

 

 

 

 

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Eccomi di ritorno! Vi sono mancata?

Allora, come potete immaginare siamo davanti a una nuova AU brittana (siete sorpresi?). Direi che è un tema che mi girava in testa da molto tempo ma, per un motivo o per un altro non l'avevo mai scritta!

Alcune cose che più che altro sono curiosità: il Maine è stato scelto per Stephen King e ogni tanto citerò alcune cose sue ma non importa se non lo conoscete o non l'avete mai letto, non saranno mai importanti ai fini della storia! Poi, Newport non esiste e non esiste nessun hotel Providence! In realtà immagino esistano tante Newport ma questa in particolare sarà totalmente frutto della mia mente.

Bene non aggiungo altro. Se avete curiosità o dubbi o semplicemente volete lasciarmi un commento sarò ovviamente felice di rispondere a tutti. Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui e a chi seguirà la storia!

Un abbraccio e benvenuti all'hotel Providence.

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Capitolo 2
*** In bianco e nero ***


In bianco e nero

 

Santana non era sicura di quanto tempo fosse rimasta in piedi davanti a quella foto vecchia e scolorita. Fissava gli occhi di quella donna immortalata in quell'immagine e ripeteva mentalmente il suo nome, o almeno quello che pensava fosse il suo nome, come recitava la piccola targhetta d'ottone.

Sobbalzò quando sentì la porta della hall aprirsi e si voltò giusto in tempo per vedere l'uomo che l'aveva accolta e che le aveva dato le chiavi della sua abitazione.

-Posso aiutarla, signorina Lopez?

Santana lo guardò per qualche secondo. Poteva aiutarla davvero? Probabilmente sì, perché, l'unica cosa che voleva in quel momento era qualche informazione in più sulla donna della foto.

-Sì, mi chiedevo...

Fece una pausa mordendosi il labbro e lanciando una rapida occhiata alla hall, polverosa, piena di mobili scuri e decorazioni dorate. Scosse la testa dandosi mentalmente della stupida. Va bene, la sua vita era ormai un disastro, ma mai si sarebbe fatta trascinare dall'atmosfera malinconica di quel posto. Del resto perché doveva interessarsi alla donna di quella foto?

-E' incuriosita dalle foto?

La domanda la fece ritornare alla realtà. Come se, quell'anziano impiegato, fosse riuscito a capire ciò che stesse pensando. Sbuffò con supponenza cercando di riprendere il controllo di quella discussione prima che le sfuggisse di mano definitivamente. Ma l'uomo non sembrò farci caso, anzi, non la guardava nemmeno. Sembrava che fissasse un punto indefinito mentre i suoi ricordi danzavano nell'aria. E, Santana, riuscì quasi a vederli prendere forma davanti a lei, irrazionalmente rabbrividì.

-Sono tutte degli anni ruggenti! Quando questo posto era un paradiso! E c'era musica e ospiti sempre! Sa quante feste sono state celebrate oltre questa porta? - l'uomo indico una doppia porta alla sua destra.

Santana seguì il suo gesto accorgendosi effettivamente che, oltre l'ingresso, doveva esserci un'altra sala. Il vecchio sospirò.

-Sono anni che non viene nemmeno aperto agli ospiti!

Santana guardò con la coda dell'occhio la foto della donna che tanto l'attirava e l'affascinava. C'era qualcosa di male a fare qualche domanda? Quel vecchio sembrava davvero aver voglia di parlare.

-Sa che qui è stato celebrato il matrimonio del secolo? - chiese improvvisamente l'uomo guardandola negli occhi con un sorriso raggiante – Lei era splendida e lui un pianista superbo!

Santana scosse la testa piano, a malincuore doveva ammettere di essere affascinata dalle parole che l'uomo pronunciava. Era come se stesse dipingendo il passato di quel luogo, regalandogli colori più vivi. Seguì il suo gesto automatico per portare gli occhialini che erano scivolati sulla punta del naso, nella giusta posizione.

-Vuole vedere la grande sala?

Santana si fermò con la risposta sulle labbra, dovette fermarsi perché era quasi certa che avrebbe risposto sì. E non voleva. Perché non voleva vedere niente. Non voleva sapere niente di quel luogo. Era solo uno stupido albergo che, un tempo, era stato famoso ma che ora era poco più di un guscio vuoto. Come la sua vita.

E lei non voleva averci niente a che fare. Aveva sufficienti problemi a convivere con quello che era rimasto della sua vita, non voleva stupide storie di uno stupido passato che non poteva tornare, voleva solo allontanarsi il più possibile da Los Angeles, dai suoi ex amici, dalla sua ex fidanzata, dalla sua inutile ex vita. Non aveva bisogno di questo, non aveva bisogno di favole e racconti. Aveva bisogno di uscire fuori, prendere aria e trovare un buon posto dove bere qualcosa. Per tutta la notte. Per poi trascinarsi dentro la sua stanza in uno stato tale da riuscire a non pensare a quanto quel luogo riuscisse ad inquietarla.

-No! - sbottò facendo sobbalzare il vecchio, per un secondo provò una fitta di dispiacere ma non addolcì il tono mentre concludeva – Sto uscendo.

Detto ciò girò sui tacchi e, senza voltarsi indietro uscì all'aria aperta e si fermò un attimo appena raggiunse il marciapiede. Chiuse gli occhi inspirando profondamente. L'odore di salsedine era forte e persistente, come in tutti i luoghi di mare. Ma c'era anche un leggero retrogusto meno piacevole causato dallo smog. Strinse i denti e iniziò a camminare. Si diresse a sinistra. Era una cosa che faceva sempre quando non sapeva dove andare o semplicemente camminava senza meta, lei girava sempre alla sua sinistra. Sempre. Senza eccezioni.

Così iniziò a camminare piano, studiando le strade tutte ampie e piene di negozietti di souvenir a basso costo per famiglie. Studiava i colori, un po' opachi, quasi come se tutto fosse coperto da una lieve patina causata dal passare tempo. E studiava la gente, soprattutto anziani che approfittavano degli sconti di un luogo turistico in bassa stagione.

Ma non trovò quello che cercava: un buon locale dove bere qualcosa. A dire il vero si sarebbe accontentata di qualunque cosa, a quel punto. Anche di un pessimo locale. Anche di una bettola scura.

Si fermò ancora guardandosi intorno e socchiuse gli occhi quando una vecchia insegna attirò la sua attenzione. Attraversò la strada senza guardare e senza neppure voltarsi quando un automobilista suonò il clacson in segno di protesta per aver dovuto inchiodare di colpo per evitare di investirla. Ma Santana non si scompose nemmeno, camminò decisa sino a raggiungere un locale. Tutto, lì intorno, sembrava aver vissuto tempi migliori ma, quello, superava di gran lunga ciò che aveva visto fino a quel momento. Lasciò che il suo sguardo percorresse le travi di legno inchiodate alla porta d'ingresso e guardò la parete di mattoni rossi che appariva così fuori posto. Poi, di nuovo, lesse la vecchia insegna.

Cotton Club.

Era certa di aver già sentito quel nome. Ma dove? Lei non era mai stata lì e, inoltre, quel posto sembrava essere stato chiuso prima che lei nascesse. Socchiuse gli occhi ed inclinò il capo, come se volesse concentrarsi su quello che aveva davanti. Come se la risposta fosse a un passo da lei. Come se bastasse solo allungare una mano per sfiorarla.

-Si ferma tanta gente a guardarlo!

Quella voce, apparsa quasi dal nulla, la fece voltare di scatto. Davanti a lei un giovane uomo con un sorriso sicuro di se e un'espressione da conquistatore incallito, la guardava, o meglio, la squadrava lentamente.

Il primo impulso di Santana fu quello di dirgli, poco gentilmente, di tornare da dove fosse venuto. Ma non fece nemmeno in tempo perché lui prese posto al suo fianco e sollevò lo sguardo verso l'insegna.

-Era un club notturno degli anni venti – disse indicando l'insegna – Cotton Club.

-Interessante – sbuffò ironicamente Santana.

Lui sembrò non cogliere l'ironia.

-Molti si fermano a guardarla. Aveva lo stesso nome del più famoso club di New York.

-Immagino.

Questa volta l'uomo sembrò leggere il lieve sarcasmo nella voce di Santana e si voltò a guardarla ma non sembrava infastidito, anzi, il suo sorriso appariva intatto.

-Puoi non crederci ma questo posto era meglio di quello di New York! C'era un gran pianista e venivano a sentirlo suonare da ogni parte del Paese. E poi c'era lei... - fece una pausa spostando lo sguardo - … pare che fosse bellissima, che avesse una voce splendida e che si muovesse sul palco come se fosse solo spirito...

-A vederti non sembri un poeta... ed invece guarda qui! - lo interruppe Santana sempre più infastidita.

Lui rise passando una mano sui corti capelli neri e guardandola.

-Non mi credi?

-Non sei troppo giovane per sapere tanti particolari di questo posto?

-Mio nonno me ne parlava sempre, lavorava qui – iniziò a spiegare – Sai, il Cotton era famoso in piena epoca del proibizionismo ma mi ha raccontato che c'era una porticina nascosta dietro il locale che portava a delle scale che scendevano nella cantina. E lì c'era il vero bar! La polizia non l'ha mai trovato!

Santana lo squadrò con aria scettica. Poi decise di lasciar perdere l'ennesimo commento pungente che non sembrava avere effetto su di lui.

-Parlando di questo – disse invece – Sapresti suggerirmi dove andare a bere qualcosa?

-Posso offrirti un drink? - domandò lui speranzoso.

-No. Vado sola.

-In questo caso, no, non ho nessun posto da suggerirti.

Santana sollevò gli occhi al cielo e si voltò. Decise che, per quella giornata, ne aveva avuto abbastanza di quel posto. Sarebbe tornata in albergo, avrebbe fatto la doccia che ancora l'attendeva da quando era arrivata lì e poi avrebbe chiesto al vecchio della reception un posto dove andare a bere. O avrebbe chiesto che le venisse portata una bottiglia in camera.

-Se cambi idea puoi chiedere di David Puckerman! E' il mio nome! Mio nonno si chiamava Noah, Noah Puckerman! Il miglior barman di tutto il Maine! Qui si ricordano ancora tutti di lui!

Santana non rispose. Non si voltò. Non sollevò nemmeno una mano per salutare. Semplicemente camminò decisa verso l'albergo.

Ne aveva abbastanza di quel posto. La mattina seguente sarebbe ripartita. Poco importava se aveva prenotato tutta la settimana.

 

 

Raggiunse la sua stanza e chiuse la porta con un sonoro sbuffo. Passò lo sguardo sugli asciugamani puliti che riposavano sul letto e ringraziò mentalmente almeno l'efficienza del personale. Era l'unica nota positiva e, sinceramente, non era molto, ma era pur sempre qualcosa. Prese l'asciugamano e si voltò quasi come se qualcosa avesse attirato il suo sguardo. La pesante porta dell'armadio non era chiusa del tutto. Il pensiero di Santana corse immediatamente a ciò che aveva visto poco prima. O forse a ciò che aveva pensato di aver visto. Scosse la testa ridendo di se stessa per l'ennesima volta. Quel posto non faceva per lei. Forse non era stata per niente una buona idea arrivare sin lì. Così si avvicinò all'armadio e lo chiuse con un colpo secco prima di prendere l'asciugamano e dirigersi nel bagno, si infilò sotto la doccia e, mentre l'acqua calda l'accarezzava, prese quella che reputava la miglior decisione della sua vita: la mattina dopo sarebbe ripartita per andare via da lì. Avrebbe raggiunto New York e si sarebbe dedicata a far sparire tutti i suoi risparmi in una settimana di shopping disperato.

Aveva un sorriso soddisfatto mentre si asciugava i capelli e un ghigno divertito mentre indossava uno stretto abito nero. Perché aveva deciso che quella sera, anche se quel Puckerman non le era stato per niente d'aiuto, sarebbe uscita e si sarebbe divertita. Avrebbe trovato il miglior locale di quella noiosa cittadina. A costo di dover tornare indietro nel tempo!

Diede un'ultima occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio ed annuì soddisfatta. Appariva esattamente come voleva: sicura di se e bellissima. Anche se la sua vita si era sgretolata in praticamente ogni suo aspetto e si sentiva a miglia di distanza da quella sicurezza che voleva ostentare.

Chiuse gli occhi per fermare il corso dei suoi pensieri prima che tornasse, per l'ennesima volta, a ciò che aveva perso. Quando li riaprì socchiuse lievemente le palpebre quando si accorse che la porta dell'armadio era nuovamente aperta. Per un attimo non seppe come reagire ma poi, razionalmente, si rese conto che era evidente che la chiusura non funzionasse bene. Così percorse a grandi passi la distanza che la separava e spalancò la porta con un movimento secco.

Non lo voleva fare. Quella era la verità. Nella sua mente voleva solo controllare perché mai non rimanesse chiusa. Ma fu più forte di lei. I suoi occhi corsero immediatamente all'interno dell'armadio.

Quella piccola e luccicante maniglia era ancora lì.

Santana si morse il labbro inferiore e si guardò intorno, come se avesse paura che qualcuno potesse guardarla comportarsi da idiota. Dopo essersi assicurata che, effettivamente, era sola nella sua stanza, decise di fare l'ultima cosa che, chiunque avrebbe fatto. Allungò la mano con un movimento rapido e sicuro, la strinse intorno alla maniglia rotonda che era fredda nel suo palmo, e spinse come se davvero si trattasse di una porta. Fece solo due passi e si guardò intorno.

Naturalmente scoppiò a ridere.

Rise per la sua assoluta e ridicola stupidità.

Cosa si aspettava? La verità è che lei stessa non ne aveva idea. Ma, naturalmente, si trovava ancora nella sua stanza dell'hotel Providence. E non poteva essere altrimenti!

Prese un respiro profondo e rimase interdetta. Era come se l'aria fosse più profumata. Inspirò ancora con maggior vigore e chiuse gli occhi. Era il profumo della salsedine che arrivava dalla finestra socchiusa. Ma era come se fosse più puro, come se mancasse quel lieve retrogusto di smog che aveva notato quando era uscita all'aperto. Pensò che, probabilmente, doveva esserci meno traffico a quell'ora.

Si voltò verso la porta della stanza e l'aprì senza guardarsi intorno. Se l'avesse fatto, probabilmente, avrebbe notato un piccolo baule in pelle scura al lato di quello che doveva essere il suo letto e che, evidentemente non le apparteneva.

Ma Santana era stata attirata fuori dalla musica che proveniva, leggera, dal pian terreno. Mise entrambi i piedi nel corridoio che l'avrebbe portata alle scale e si fermò di colpo. Il tappeto che lo copriva era di un rosso acceso, come se fosse stato appena messo. Per un attimo pensò di inchinarsi per passarci sopra le dita perché era certa che l'avrebbe trovato morbido e delicato al tatto. Ma rinunciò immediatamente, pensando a quanto quel gesto sarebbe sembrato stupido se qualche impiegato fosse passato proprio in quel momento.

Così proseguì diretta verso le scale e mise piede sul primo gradino. Di nuovo si fermò di colpo. Voltò il busto e guardò l'ascensore che, solo poche ore prima le era sembrato una trappola mortale. Socchiuse gli occhi mentre si avvicinava e toccò la rete metallica nera che chiudeva la cabina. Era perfetta. La tirò per aprirla e guardò il legno all'interno. Sembrava luminoso, sembrava lucido. Sembrava, semplicemente, nuovo.

Come avevano fatto a mettere tutto in perfetto ordine in così poco tempo?

Santana si voltò verso le scale di nuovo, nonostante l'avessero pulito, non sarebbe mai salita su quella macchina infernale chiamata impropriamente ascensore. Scese le scale con fin troppa foga e si fermò non appena raggiunse la hall, con la bocca spalancata per lo stupore.

Quella sala era piena di gente e musica. E anche la doppia porta che il vecchio le aveva mostrato poco prima era aperta rivelando una grande sala con tavoli rotondi e sedie in ferro battuto e un grande bancone di un bar che occupava la parete più lontana.

Inconsciamente lo sguardo di Santana corse dove, sapeva c'era la foto in bianco e nero di quella donna, quella Brittany Pierce. Si accorse immediatamente che non c'era più. Né lei né le altre foto.

Solo allora si concentrò sulla gente che affollava le sale. C'erano molti uomini, vestiti elegantemente. Tutti indossavano cravatta e completi scuri. Santana si accorse immediatamente che sembravano apparsi da qualche film di gangstar, tutti impeccabili, con le sigarette tra le dita e i capelli lucidi e schiacciati da troppo gel. Santana camminò piano tra loro accorgendosi anche che vi erano diverse donne tutte con complesse acconciature o con capelli corti e collane di perle lunghe che avvolgevano il collo.

Santana sentì troppi sguardi su di lei mentre cercava di raggiungere il bancone del bar ma li ignorò. Guardò il grammofono che suonava quando gli passò al lato e quasi scoppiò a ridere. Perché era evidente quello che fosse successo: l'albergo aveva organizzato una festa a tema. Tutti erano vestiti come se fossero nel pieno degli anni venti, anche la musica, anche se non era esperta di jazz, doveva essere più o meno dello stesso periodo. E, naturalmente, molti la guardavano perché era l'unica anacronisticamente vestita. Raggiunse il bancone del bar pensando che avrebbe protestato con il vecchio della reception non appena l'avesse visto. Avrebbe almeno potuto avvisarla di quella ridicola festa!

Ma c'era una cosa positiva in tutto ciò: non sarebbe dovuta andare lontano per ottenere da bere.

Mosse la mano attirando l'attenzione del barman che si avvicinò con un sorriso da conquistatore incallito che la fece vacillare per un attimo, era quasi certa ce le ricordasse qualcuno, ma, allo stesso tempo, era anche certa che non aveva mai visto quell'uomo in vita sua.

-Cosa posso servirle? - chiese elegantemente l'uomo.

-Una birra – sbottò lei immediatamente.

Lui sembrò aver ricevuto uno schiaffo. Aprì la bocca e poi scoppiò a ridere.

-Mi piaci! - le disse poi si voltò e le mise davanti un grosso bicchiere di limonata.

Santana lo guardò interdetta per un attimo ma non riuscì a dire niente prima che si allontanasse.

-Sei una donna eccentrica. E lo dico io che ne ho viste molte!

La voce la fece voltare e dimenticare per un attimo la sua birra.

-Di cosa parli? - domandò passando lo sguardo su un uomo elegantissimo, dalla pelle chiara e gli occhi azzurri.

-Hai il vestito più particolare che ho visto in molto tempo – spiegò con tranquillità – E uno strano senso dell'umorismo! In pochi fanno battute sull'alcol in questo periodo.

-E tu saresti?

-Hummel, Kurt Hummel – rispose immediatamente allungando la mano.

-Santana Lopez – tagliò corto lei.

-E' la prima volta che ti vedo da queste parti.

-Sono arrivata oggi, un paio di giorni fa ho prenotato per una settimana.

Lui sembrò stupito.

-Sei riuscita a trovare una stanza? In questo periodo?

-Non mi sembra che ci fosse la fila per questa catapecchia!

Santana bevve un sorso di limonata, trovandola incredibilmente buona, mentre Kurt la guardava sconvolto.

-Catapecchia? L'hotel Providence?

Santana fece un gesto supponente con la mano. Ovvio che quel posto fosse una catapecchia. Non sarebbe bastata una stupida festa per farle cambiare idea. Poi guardò Kurt che continuava a fissarla indignato e le venne da ridere mentre un'idea si faceva largo nella sua mente.

-Kurt, che giorno è oggi?

-Il 28 settembre – rispose lui sempre più stranito.

-Di che anno? - insistette con un ghigno divertito lei.

-Del 1925, naturalmente!

Santana scoppiò a ridere e si passò una mano sul volto. Come aveva fatto a non capirlo subito? Tutto era troppo ben curato. Quella non era solo una festa a tema. Quello era uno di quegli stupidi giochi di ruolo che erano tanto di moda. Ricordava ancora quando aveva accompagnato il fratello di Elisabeth a quella ricostruzione di una battaglia della guerra d'indipendenza. Quando era stato “ucciso” si era rifiutato di alzarsi per ore, sinché tutto non fosse finito.

Perciò decise di dargli corda. Perché naturalmente era l'unica cosa che poteva fare.

-Giusto! - disse allegra – Ti prego di scusarmi ho avuto una giornataccia.

-Ti fermerai per il matrimonio? - chiese Kurt decisamente più rilassato – Io sono il testimone dello sposo. E anche il suo agente!

-No, non credo. Penso proprio che partirò domani mattina. Questo posto non fa per me!

-Vai via senza passare per il Cotton club?

Santana sollevò un sopracciglio. Quella gente era davvero fissata con queste cose. Pensò se fosse il caso di rispondergli a tono ma lasciò perdere. In fondo fingere di essere un'altra persona, a volte, poteva essere divertente.

-Non credo.

-E' un vero peccato! Aspetta – Kurt si voltò verso il bancone e si rivolse al barman – Noah, un'altra limonata per la signorina.

Santana si accorse che effettivamente il suo bicchiere era vuoto ed anche che il barman si chiamava Noah, e lei era quasi certa di aver già sentito quel nome in quella giornata.

-Ecco a te – disse posando un bicchiere colmo davanti e prendendo quello vuoto – Noah Puckerman, ogni amica di Kurt è anche amica mia – concluse facendole l'occhiolino.

Santana socchiuse gli occhi guardandolo mentre si presentava a sua volta. Ma solo per un istante prima che lui si voltasse per tornare a lavoro.

-Dovresti rimanere davvero – la voce di Kurt la riportò alla realtà – Blaine Anderson è il miglior pianista di tutta la costa est.

-Blaine Anderson?

-Sì, immagino tu abbia sentito parlare di lui. E' lui lo sposo – Kurt sembrava divertito dall'espressione confusa di Santana, come se non fosse possibile che non sapesse chi fosse.

-Mai sentito.

-Davvero?

Kurt aggrottò le sopracciglia. Poi si illuminò.

-Ma immagino tu conosca la sua futura sposa! Lavorano insieme da tempo ormai. Lei canta e balla sul palco come se fosse solo spirito.

Santana iniziava a sentirsi strana. Era come se il suo cervello stesse cercando di unire tutte quelle informazioni per capire cosa stesse succedendo davvero. Ed i suoi occhi, stranamente non si staccavano da una donna che le dava le spalle. Era poco distante da loro. Poteva vedere solo le spalle leggermente scoperte e il lungo collo messo in evidenza da una cascata di capelli biondi perfettamente acconciati. Si voltò appena ed il cuore di Santana iniziò a battere più forte, come se avesse capito per primo ciò che i suoi occhi avevano visto.

La voce di Kurt era solo un ronzio in sottofondo.

E poi quella donna si voltò e Santana ne incrociò gli occhi. Occhi color ghiaccio, esattamente come aveva immaginato anche attraverso il bianco e nero di quella vecchia foto.

-Davvero non conosci nemmeno Brittany Pierce? - la voce di Kurt la raggiunse in quel momento,

Quel nome era l'ultimo che si aspettava di sentire. Perché davanti a lei c'era davvero Brittany Pierce. Non poteva sbagliare. Nella sua mente era rimasta impressa a fuoco quella foto.

Solo che non poteva esserlo.

Così scappò.

Corse attraverso la sala sentendo quegli occhi di ghiaccio su di se. Salì le scale di corsa e raggiunse la sua stanza. Si buttò sulla porta dell'armadio e l'aprì notando immediatamente la stessa maniglia di metallo all'interno. La strinse e tirò facendo solo due passi.

 

 

 

 

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Secondo capitolo! La prima cosa che vorrei dirvi è grazie per come è stata accolta questa storia! Vi vorrei ringraziare uno per uno perché mi avete lasciato tantissime recensioni e tantissimi hanno già messo la storia tra preferiti seguiti e ricordati! Grazie davvero per la fiducia! Speriamo bene!!

Immagino che da questo capitolo si capisca definitivamente come si sviluppa e qual'è il fulcro! Non so se fosse ciò che vi aspettavate!

Grazie ancora a tutti.

A presto.

 

 

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Capitolo 3
*** 314 ***


314

 

Gli occhi di Santana si aprirono di colpo, forse infastiditi dalla luce che penetrava dalla finestra. Sbatté le palpebre confusa guardandosi intorno per alcuni lunghi secondi prima che ricordasse che quella era la sua stanza d'albergo. Contemporaneamente si accorse che indossava ancora l'abito nero della notte precedente e, dopo un primo istante in cui la sua fronte si corrugò per lo sforzo di ricordare come mai si fosse addormentata perfettamente vestita, saltò a sedere con gli occhi spalancati, portandosi una mano a coprire la bocca.

Il suo primo istinto fu quello di sollevare appena la testa e guardare l'armadio alla sua sinistra ma vi si oppose con forza. Si alzò mantenendo lo sguardo sui suoi piedi che si dirigevano automaticamente verso il bagno e, una volta raggiunto, chiuse la porta appoggiandovi le spalle e chiudendo gli occhi mentre prendeva profondi respiri.

Quel posto la stava facendo impazzire.

Non poteva essere spiegato in nessun altro modo. Doveva andare via da lì e doveva farlo in fretta. Non le era mai capitato di avere allucinazioni così vivide. Perché ora, con la luce calda del sole, era certa che di allucinazione si fosse trattato. Soprattutto perché sapeva bene di non aver bevuto la notte prima quindi non poteva dare la colpa all'alcol ma solo all'atmosfera di quel luogo.

Rabbrividì al ricordo di un paio d'occhi di ghiaccio che la scrutavano da lontano.

Scosse la testa decidendo che una doccia sarebbe stata l'ideale per schiarirsi le idee e cancellare quell'immagine.

Quando, poco più di mezz'ora dopo, chiuse alle sue spalle la porta della stanza, ormai tutti i dubbi che, nonostante cercasse di nasconderlo anche a se stessa, quell'incontro potesse essere avvenuto davvero, erano spariti. Poco importava che avesse accuratamente evitato di guardare nell'armadio per paura che, quella maniglia dorata, fosse ancora al suo posto. Brillante e lucida come fosse nuova.

Tutto a causa di quel maledetto hotel.

Continuava a ripetersi mentalmente, mentre scendeva lentamente i gradini che l'avrebbero portata nella hall, che sarebbe dovuta ripartire quella stessa mattina.

Raggiunse l'ingresso e fu grata che non ci fosse nessuno così si diresse verso l'uscita dedicando solo una rapida occhiata alla foto che immortalava Brittany Pierce.

Per un attimo, uno solo, le sembrò che i suoi occhi fossero color ghiaccio, incastonati in quel ritratto in bianco e nero.

Santana scosse la testa, resistendo all'impulso di voltarsi per guardare meglio.

Questa volta, raggiunto il marciapiede, si voltò per andare a destra. Sapeva che, se fosse andata dall'altra parte, avrebbe visto di nuovo il Cotton Club e, stranamente, non voleva rivedere quelle assi inchiodate alla porta e quei mattoni rossi.

Così, dopo qualche metro, persa nei suoi pensieri che non erano coerenti ma solo sensazioni che le producevano uno strano e lieve formicolio della pelle, iniziò a camminare alla ricerca di un posto qualunque dove poter fare colazione con un caffè nero e forte.

-Ci si rivede, straniera! Il mondo è piccolo!

Santana quasi sobbalzò a quella voce ma si riprese rapidamente voltandosi per incrociare lo sguardo sicuro ed il sorriso sornione di David Puckerman.

-Il mondo non è piccolo, questo buco lo è! - rispose secca.

L'uomo rise, per niente infastidito dal suo tono.

-Vedo che ancora non sei stata conquistata dalla magia di questo posto! - disse spalancando le braccia.

-Non credo che possa succedere. Ora, se non ti dispiace, ancora non ho potuto bere un caffè.

-Conosco un posto dove fanno i migliori pancake del Maine.

-Lo dubito.

-Seguimi!

Santana si fermò di colpo accorgendosi che non sembrava voler mollare la presa. Chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro.

-Senti, David, non mi interessi. Non voglio avere niente a che fare con te! Lasciami in pace, vuoi?

-Un caffè e ti lascio in pace.

-Non puoi semplicemente lasciar perdere?

-No! Mio nonno, che mi ha insegnato tutto ciò che so, non mi perdonerebbe mai per averti lasciata sola!

Improvvisamente, Santana, si concentrò sul sorriso dell'uomo davanti a lei e, prima che potesse capire cosa stesse per chiedergli, le parole lasciarono le sue labbra.

-Gli assomigli?

David aggrottò le sopracciglia confuso da quella domanda. Santana si prese mentalmente a schiaffi, accorgendosi di quanto sembrasse stupido ciò che aveva appena chiesto.

-A mio nonno? Mi hanno sempre detto che ho il suo stesso sorriso.

Santana strinse la mascella mentre un pensiero incontrollato attraversava la sua mente.

Oh non sai quanto sia vero.

Ma fu solo un attimo. Chiuse gli occhi scuotendo la testa e cercando di schiarirsi le idee.

-Tutto bene? Allora, mi concedi questo caffè?

Santana non ebbe la forza per negarsi anche questa volta e si ritrovò ad annuire lentamente. Prima di sapere come fosse successo si ritrovò in un piccolo divanetto rosso anni cinquanta con un enorme piatto di pancake ricoperti di sciroppo d'acero.

-Ora pensi di dirmi almeno il tuo nome? - domandò David bevendo un sorso di caffè – Penso di meritarmelo dopo questa splendida colazione!

-Santana. Santana Lopez.

Disse portando la forchetta alle labbra e, suo malgrado, ammettendo che quelli erano effettivamente i migliori pancake che avesse mai provato.

-Vuoi sposarmi Santana?

La donna quasi sputò quello che stava masticando e lo guardò con gli occhi sgranati.

-Stavo scherzando. Ma comunque volevo provare – disse lui con il solito sorriso dipinto sulle labbra mentre afferrava la forchetta.

-Senti David, grazie per la compagnia. Ma se speri che questo caffè possa aiutarti a finire nella mia camera l'albergo ti sbagli di grosso!

-Va bene anche casa mia!

Santana sbuffò mentre girava gli occhi verso il soffitto domandandosi perché fosse ancora lì. E, subito dopo ignorò la risposta ovvia.

Perché voglio informazioni sul passato di questo posto.

-Sono gay David!

-Oh naturalmente! Ma solo perché ancora non sei stata con me!

Santana si colpì la fronte con la mano lasciando andare un profondo sospiro infastidito.

-Davvero, David? Hai appena detto davvero la battuta più stupida che potessi dire?

L'uomo si passò, imbarazzato, la mano sulla nuca distogliendo lo sguardo.

-Mio nonno diceva sempre che funzionava!

-Senti grazie per il caffè, davvero. Ma ora vado via – Santana si alzò mentre pronunciava quelle poche parole ma la mano di David si strinse intorno al suo polso.

-Va bene. Sono un idiota, è vero! Ma in questo posto non si incontrano spesso nuove persone. Possiamo ricominciare da capo? Piacere, sono David Puckerman e vivo a Newport da quando sono nato.

Santana sollevò gli occhi al cielo ma sorrise e riprese posto. In fondo non aveva finito i suoi pancake ed era sola. Dare una seconda possibilità non era da lei ma, per una volta, avrebbe fatto un'eccezione.

-Va bene David. Ma solo perché non ho finito di fare colazione.

L'uomo sorrise e si rilassò sulla finta pelle del divanetto.

-Allora cosa ti porta in questo posto sperduto, Santana?

-A dire il vero non lo so nemmeno io. Ho lasciato Los Angeles solo perché la mia vita è un disastro! - sbottò allargando le braccia.

-Direi che è un buon motivo.

-Sì, per finire nel peggior posto del mondo!

-Ehi non è tanto male qui!

-Solo perché non sei mai stato al Providence! - sbuffò in risposta.

-Era splendido! - David fece una pausa - Un tempo, almeno. Ora è effettivamente un po' decadente.

-Solo un po'? Mi hanno dato la stanza 314 dicendo che era la migliore! Immagino le altre!

David sollevò lo sguardo e fece un sorrisino divertito.

-Ah sei nella stanza maledetta?

Santana quasi si strozzò per la seconda volta in pochi minuti. Quando riuscì a smettere di tossire sollevò lo sguardo.

-Cosa?

-Davvero non ne hai mai sentito parlare? Durante gli anni alcune persone sono sparite e l'ultimo posto dove sono state è proprio quella stanza!

-Dici davvero? - chiese con voce ancora rotta Santana.

David si strinse nelle spalle.

-Sì. Ma ovviamente non ti aspettare nessun vero mistero. Secondo me sono persone che sono andate via senza pagare il conto – l'uomo rise – Ma la tua faccia è stata splendida! Avresti dovuto vederla!

-Già – ringhiò in risposta – Molto divertente.

-Comunque puoi trovare qualche articolo nel Newport Tribune. E' il giornale della città. Hanno cercato di sfruttare questa cosa per attirare turisti.

-Direi che non ha funzionato.

David si alzò e le rivolse un sorriso.

-Ora devo andare.

-Cosa? Mi stai lasciando qui?

-Santana, io ho un lavoro!

-Sì ma cosa dovrei fare qui?

David la guardò sollevando un sopracciglio e spalancando le braccia.

-Fai un giro e scopri la città! Vedrai che ti piacerà!

Santana spalancò la bocca mentre l'uomo la salutava con la mano e si allontanava dopo aver lasciato qualche banconota alla cameriera. Finì lentamente il suo caffè guardandosi intorno e qualcosa attirò la sua attenzione. Si alzò accorgendosi che, una parete, era quasi interamente ricoperta di vecchi articoli di giornale. In quel posto erano decisamente tutti troppo legati al loro passato glorioso.

Nonostante ciò Santana si fermò davanti alla prima pagina di una vecchissima edizione del Newport Tribune. I suoi occhi fissavano un primo piano di Brittany Pierce. Era curioso, in quella foto ingiallita dal tempo, sembrava che non stesse guardando l'obbiettivo, ma qualcosa che si trovava oltre. Santana deglutì cercando di combattere il desiderio che le bruciava dentro di sapere cosa stesse guardando. Cosa aveva attirato l'attenzione di quella donna?

Si morse il labbro per cercare, a fatica, di distogliere lo sguardo da quei tratti che stavano diventando fin troppo familiari. Poteva vedere il biondo dorato dei suoi capelli, la pelle chiara ed il ghiaccio dei suoi occhi.

Serrò con forza le palpebre per tagliare fuori quei pensieri. Non poteva sapere di che colore fossero i suoi occhi, né che sfumatura avessero i suoi capelli. Doveva smetterla di credere che un sogno fosse la realtà.

Li riaprì lentamente fissando ancora la foto.

Cosa stai guardando?

Se lo chiese come se la risposta non fosse difficile da ottenere. Come se davvero fosse a solo un paio di passi da lei e Brittany avrebbe potuto risponderle.

E se fosse vero?

Richiuse di nuovo gli occhi e prese un respiro profondo. Quando li aprì cercò di concentrarsi su qualcos'altro. Fissò la data del giornale. Era di un paio di giorni dopo la festa a cui aveva assistito la notte prima.

Non sono stata a nessuna festa, ieri.

Santana lesse qualche riga. Per un attimo si gelò quando lesse che si trattava della festa di fidanzamento per il matrimonio tra Brittany Pierce e Blaine Anderson che si sarebbe celebrato in poco meno di due settimane. Strinse i denti perché lei non avrebbe dovuto saperlo.

A meno che non fossi stata lì davvero.

Continuò a leggere piano, sino a fermarsi su un nuovo nome: Kurt Hummel.

Non aveva senso.

In quel momento si voltò e uscì fuori dalla caffetteria. Prima di rendersi conto di quello che stava facendo arrivò all'hotel Providence. Si fermò davanti alle foto appese e, per la prima volta, non guardò non solo quella di Brittany Pierce.

Si fermò davanti a un immagine ben precisa. La targhetta d'ottone recitava: Kurt Hummel.

Sorrise a se stessa. Era lo stesso giovane uomo che aveva visto la notte prima. O che aveva sognato di vedere. Naturalmente doveva aver visto la foto, pur senza farci troppo caso, e la sua immaginazione unita alla strana atmosfera che circondava quel luogo, avevano fatto il resto.

E allora come sapevi del matrimonio.

Santana scosse la testa. Avrebbe chiuso quella faccenda. E l'avrebbe fatto in quell'esatto momento. E poi, una volta messo ordine nella sua testa, avrebbe fatto le valigie e sarebbe andata via.

Così salì le scale, ignorando il vecchio che era apparso nella hall e l'aveva gentilmente salutata proprio in quel momento. Aprì la porta della sua stanza e si diresse verso l'armadio. Spalancò l'anta e strinse la maniglia dorata, come aveva fatto la notte prima.

Un brivido attraversò la spina dorsale mentre chiudeva gli occhi sentendosi una perfetta idiota.

 

 

La prima cosa che notò, non appena aprì gli occhi, fu il profumo. Nell'aria c'era quell'aria inconfondibile di salsedine ma senza quel retrogusto acre di smog. Santana sollevò la testa lasciando che quella sensazione la cullasse e, solo dopo un attimo, decise di guardarsi intorno.

Andiamo, Santana, questa è la tua stanza d'albergo.

Ed era vero. Era esattamente la sua stanza.

Solo che sembrava brillare.

Tutto era lucido e perfetto, come le foto in una rivista patinata di design. Passò lentamente una mano sul legno della testiera del letto e, mentre il suo sguardo accarezzava lentamente ciò che la circondava, sobbalzò.

Quella non è la mia valigia.

Si avvicinò piano alla sedia che si trovava al lato del letto. No, quella non era decisamente la sua valigia. Era più simile a un baule in pelle scura con una piccola chiusura in bronzo, o almeno così le sembrava. Socchiuse gli occhi e lottò con l'impulso di aprirlo. Si voltò di scatto e si catapultò fuori dalla stanza.

Questa volta non si fermò a guardare i dettagli. Non si fermò ad ammirare il tappeto e l'ascensore che sembravano essere stati appena tirati a lucido. No. Si limitò a dirigersi verso le scale e arrivare al piano terra. Solo allora si fermò di colpo.

Tutto era esattamente come la notte precedente. Mancavano le foto alla parete e c'erano uomini impeccabili nei loro completi chiari da giorno, accompagnati da signore ben vestite, con eleganti cappellini che coprivano le loro perfette acconciature.

Santana si guardò intorno con la bocca spalancata.

Mantieni la calma.

Riuscì a serrare la bocca sperando di non aver attirato troppo l'attenzione. Ma nessuno sembrava fare troppo caso a lei. Tranne una donna che la guardava da lontano con gli occhi socchiusi, come se la stesse valutando. Santana era quasi certa di averla già vista: era lì anche la notte prima. Incrociò i suoi occhi, le sembrarono color nocciola ma, quando si mosse, la luce li colorò di riflessi verdi. Aveva i capelli biondi sotto un cappellino nero che si abbinava perfettamente al suo abito. In quel momento le sorrise, quasi divertita. Come se sapesse qualcosa che Santana ignorava. E poi si diresse verso di lei con passo sicuro, Santana quasi si fece prendere dal panico per un attimo, ma quella donna la guardò con la coda dell'occhio mentre la superava per salire le scale.

-A volte non ti senti come se fossi nel posto giusto ma al momento sbagliato?

Santana si voltò di scatto sentendo quella voce, ma la donna non si fermò. Continuò a salire le scale fischiettando un motivetto che, per qualche motivo, le risultava familiare.

Avrebbe voluto seguirla. Santana l'avrebbe fatto davvero se, in quell'esatto momento un brusio proveniente dalla porta principale non l'avesse fatta voltare di scatto.

Incrociare quegli occhi color ghiaccio le sembrò la cosa più naturale del mondo. Anche se non poteva essere vero. Anche se non poteva essere lì.

Non può davvero essere Brittany Pierce.

E lo pensava davvero. Ma questo non cambiava le cose. Davanti a lei c'era una donna bellissima che aveva visto per la prima volta in una vecchia foto solo il giorno prima. Ma, nonostante fosse certa che tutto quello non poteva essere vero, non riuscì a fermarsi. Si trovò a camminare verso quella donna che, sorprendentemente, stava guardando lei. Quando fu a un paio di metri si fermò schiarendosi la voce.

Cosa dovrei dire?

-Signorina Pierce, sono una sua grande ammiratrice – Santana si complimentò con se stessa per la sua fantastica prontezza di spirito.

Brittany inclinò la testa e la fissò per un istante.

-Strano, Kurt ieri notte mi ha detto che non sapevi chi fossi.

Santana arrossì immediatamente schiarendosi di nuovo la voce, improvvisamente non era più sicura che fosse stata una buona idea. Anche se fosse solo un'allucinazione. Ma poi le implicazioni di quella frase la fecero sorridere.

-Hai chiesto di me a Kurt? - domandò.

Questa volta fu il turno di Brittany di arrossire, ma solo per un attimo.

-Sì, non ti avevo mai vista prima ed eri alla mia festa di fidanzamento. Ero solo curiosa.

Santana si irrigidì alla menzione del fidanzamento ma riuscì ad annuire piano.

Maledizione, se è un sogno si suppone che debba cadere ai miei piedi! Non sposarsi!

-Mi accompagni? - la voce di Brittany la riscosse.

Così si trovò a seguirla sino al bancone del bar e questa volta chiese una limonata.

-Dov'è Noah Puckerman? - domandò una volta che un giovane che lei non aveva mai visto le servì.

-Oh Puck non lavora qui. E' il barman del Cotton Club. Ieri era qui solo per farmi un favore. Sai è il migliore – sorrise Brittany mentre giocava col suo bicchiere – Lo conosci?

-No, no – si affrettò a rispondere – L'ho conosciuto solo ieri. Ma mi avevano parlato di lui.

-Davvero? Chi?

-Suo ni... - Santana si fermò in tempo fingendo di tossire sotto lo sguardo confuso di Brittany – Nessuno.

La donna davanti a lei la guardò ancora per un attimo ma poi sorrise sembrando divertita.

-Quindi, tu sai chi sono ma io non ti conosco.

-Santana, Santana Lopez.

-E da dove spunti fuori Santana Lopez?

Oh meglio che tu non lo sappia.

-Los Angeles.

-Un lungo viaggio. Cosa ti porta qui, non certo la musica, a quanto ho capito.

Santana si strinse nelle spalle.

-Avevo bisogno di cambiare aria.

-E ci sei riuscita?

Non sai quanto.

-Sì. Potrei dire di sì. Anche se non come mi aspettavo.

Brittany si sporse in avanti accorciando le distanze, Santana smise di respirare mentre guardava come il pollice e l'indice della donna davanti a lei si chiudevano intorno al colletto della sua camicia.

-Sei misteriosa, Santana. Una donna apparsa dal nulla e con uno strano gusto nei vestiti.

Santana deglutì mentre guardava come Brittany si allontanava nuovamente. Più lentamente di quanto fosse necessario.

-Buona giornata, signore.

Santana si voltò riuscendo a distogliere gli occhi da quelli di ghiaccio di Brittany per trovarsi davanti un sorridente Noah Puckerman. Non sapeva se essere felice per quella interruzione che le aveva impedito di allungare la mano per toccare la donna davanti a lei ed assicurarsi così che fosse vera, o se esserne infastidita perché, diciamocelo, per quella giornata ne aveva avuto abbastanza della famiglia Puckerman.

-Puck, è bello vederti.

L'uomo si sporse per lasciarle un bacio sulla guancia e Santana provò una fitta di gelosia irrazionale.

Concentrati, Santana. E' solo un sogno.

Puck si voltò verso di lei e le prese la mano inchinandosi per un impeccabile baciamano. Santana dovette trattenersi dal ridergli in faccia.

-Ci rivediamo, straniera. Ieri sei scappata.

Santana dovette lottare con l'impulso di sbuffare ironicamente. David aveva ragione, suo nonno gli aveva insegnato tutto quello che sapeva.

-Ho dovuto – rispose senza aggiungere altro.

Lui sorrise prima di rivolgersi nuovamente a Brittany.

-Sei qui per l'intervista? - chiese.

-Sì, Blaine è al Cotton con Kurt. Sai che non gli piacciono queste cose. Manda sempre me.

-I giornalisti sono noiosi. Fanno sempre le stesse domande, non trovi? - sogghignò lui.

-Già, e sono sempre quelle sbagliate.

Il sorriso che si scambiarono i due fece sentire di troppo Santana. Come se stessero parlando di qualcosa di preciso che lei non poteva capire. Come se fossero più che semplici frasi di circostanza e che dietro ci fosse qualcos'altro. Scosse la testa.

La mia fantasia è senza controllo.

-Parli del diavolo...

Santana si voltò per guardare nella direzione che indicava Puck con la testa e vide due uomini in abito beige che camminavano verso il loro tavolo.

Non le ci volle molto per capire che erano i giornalisti. Dopo i saluti presero posto in un tavolo vicino e, quello più alto estrasse dalla borsa una grossa macchina fotografica nera.

-Il dovere mi chiama – disse Brittany mentre si alzava – Ti lascio con Puck.

Santana si trovò ad annuire mentre la guardava allontanarsi lentamente. Un lieve sospiro abbandonò le sue labbra.

-Quindi Santana, ti fermerai a lungo con noi?

La donna sobbalzò, era troppo presa nell'osservare le labbra di Brittany che si muovevano per rispondere alle domande che le venivano poste, per accorgersi che l'uomo aveva preso posto al suo fianco.

-Non credo.

-Ma è davvero un peccato! Sai mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio.

Santana sollevò gli occhi al soffitto incredula. Non era stato sufficiente David, adesso doveva anche affrontare il secondo Puckerman della giornata.

-Non credo ci siano possibilità che questo avvenga – tagliò corto.

-Magari potresti venire stanotte al Cotton Club. Potrei farti cambiare idea.

Santana scosse la testa con un ghigno. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo per un sacco di ragioni, la più importante tra tutte era che, improvvisamente, non le sembrava più tanto improbabile che quelli fossero davvero gli anni '20 e non una sua allucinazione. E, se così fosse stato davvero, non erano gli anni adatti per sbandierare certe informazioni. Ma, stranamente, si sentiva particolarmente sicura di quell'uomo. Così si sporse appena per stringere la sua cravatta.

-Non credo che tu possa farmi cambiare idea.

-E perché no?

-Perché decisamente preferisco le donne.

Puck, dopo un attimo di sorpresa, dettata da quella confessione così diretta, sorrise di nuovo.

-Solo perché non sei mai stata con me!

Santana lasciò andare la sua cravatta con uno sbuffo. Poi si sentì osservata e si voltò trovando, come sospettava, lo sguardo di ghiaccio di Brittany puntato su di lei. Solo allora si accorse che il fotografo stava per scattare la foto. Ma Brittany non guardava l'obbiettivo. No, lei stava guardando Santana.

Ed improvvisamente questa fu certa che quella era la foto che aveva visto pubblicata in quel giornale.

Un brivido attraversò la sua schiena.

-Devo andare.

-Cosa? Aspetta, Brittany ha quasi finito! - cercò di fermarla Puck.

-Non posso.

-Ci rivedremo?

-No! Sì... non lo so.

Si voltò per fermarsi subito dopo e riguardare Puck puntandogli il dito contro.

-Oh un'ultima cosa! Non osare dire a nessuno che quella stupida frase funziona sempre!

Puck la guardò confuso mentre lei si dirigeva verso le scale. Anche allora poteva sentire lo sguardo di Brittany. Ma, di nuovo, aveva bisogno di fuggire.

Così salì le scale e raggiunse la sua camera. Entrò e si diresse con passo deciso verso l'armadio. La maniglia era lì, lucida e dorata, che l'aspettava.

Chiuse gli occhi e la strinse facendo solo due passi.

 

 

 

---------------------------

 

 

Vorrei davvero ringraziarvi per l'entusiasmo che avete per questa storia, vi abbraccerei tutti uno per uno per ringraziarvi!!

Spero davvero che continui ad intrigarvi, visto che aggiungiamo altre informazioni e personaggi.

Di nuovo (e non sarà mai abbastanza quindi continuerò a dirvelo) GRAZIE!

A presto!

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Capitolo 4
*** Newport Tribune ***


 

Newport Tribune

 

Santana riaprì gli occhi e, la prima cosa sulla quale si concentrò, fu la sua valigia aperta con gli abiti disposti disordinatamente intorno.

Tirò un sospiro di sollievo mentre chiudeva l'anta dell'armadio senza guardare dentro. E chiuse fuori anche tutti i suoi pensieri. Non voleva cercare nessuna spiegazione a ciò che aveva appena vissuto. Perché l'unica cosa che riusciva a pensare era che tutto fosse vero. Ma, decisamente, non era ancora pronta ad ammetterlo. Così semplicemente decise di non pensarci.

Si accorse di avere fame ed uscì dall'hotel con passo sicuro dirigendosi verso uno dei piccoli ristorantini che si trovavano sul lungomare. Si sedette a un tavolino nella terrazza all'aperto, guardando le onde che, pigramente, bagnavano la sabbia. Ordinò un sandwich all'aragosta senza nemmeno consultare il menù e lo consumò con calma riuscendo, incredibilmente, a rimanere concentrata solo sul verso fastidioso dei gabbiani che volavano lì intorno.

Almeno per la maggior parte del tempo. Ma, lo sapeva bene, non poteva sperare di riuscire ad impedire alla sua mente di ritornare al suo chiodo fisso: Brittany Pierce.

Così richiamò il cameriere per chiedere un caffè da portar via ed il conto ma, soprattutto, per potergli fare la domanda che, nel profondo la stava divorando.

-Se volessi sapere qualcosa della storia di Newport dove posso andare?

Il cameriere non ci pensò su nemmeno un secondo e, mentre posava un grosso bicchiere di carta pieno di caffè nero bollente sul suo tavolino, le rispose:

-Nella biblioteca. Sono conservati tutti gli articoli che parlano di Newport. Credo che ci sia anche un libro scritto da un qualche professore dell'Università del Maine.

Santana annuì lentamente mentre gli porgeva una banconota.

-Dove si trova?

-Proprio alla fine di questa strada. C'è un grande edificio, forse un po' barocco. Non può sbagliare, sopra la porta di legno c'è scritto biblioteca con lettere di metallo.

Santana annuì di nuovo e si incamminò nella direzione indicatagli. Trovare il palazzo non fu difficile e non si stupì di comprovare che, esattamente come si aspettava, aveva un aspetto decadente e malinconico. Come tutto del resto. Sopra la porta vi era la scritta “biblotca” perché il passare del tempo aveva fatto staccare alcune lettere e, quelle rimaste, mostravano il tipico colore rossastro del ferro ossidato.

Santana si lasciò sfuggire un lieve sospiro rassegnato. Quel posto aveva davvero bisogno di un restauro e lei ancora non riusciva a capire come potesse essere rimasta tanto a lungo.

Ma la risposta era ormai ovvia. Era così chiara che era inutile anche solo provare a nasconderla. Almeno a sé stessa.

Sono ancora qui perché viaggio nel tempo grazie a una maniglia che si trova dentro l'armadio della mia stanza d'albergo.

Quasi sobbalzò. Era la prima volta che lo ammetteva. Era la prima volta che, quel pensiero era coerente nella sua mente. Solo allora si accorse che, forse, era ancora troppo presto. Così decise di fare ciò che stava diventando la sua specialità: ignorare anche l'evidenza e chiudere fuori ogni pensiero.

Spalancò la porta d'ingresso della biblioteca, che cigolò rumorosamente, e si diresse verso una grossa scrivania in legno scuro dietro la quale stava compostamente seduta una signora decisamente anziana. Questa sollevò lo sguardo severo sulla nuova arrivata mentre si sfilava gli occhiali e chiudeva il libro che stava leggendo. Santana la fissò per un attimo prima di deglutire, improvvisamente in imbarazzo. Quella vecchia signora le ricordava troppo la sua insegnante di storia del liceo, l'unica che riuscisse a terrorizzare tutti gli studenti. Per un momento le sembrò di essere di nuovo un'adolescente insicura.

-Si è persa? - domandò la donna con aria sempre più rigida.

Santana si riscosse immediatamente.

-No! Sto cercando informazioni su questa splendida – fece una pausa per dare maggior enfasi a quell'evidente menzogna – cittadina.

-Quindi?

La domanda stupì Santana che sperava di non dover aggiungere altro e che, l'entusiasmo che quella sconosciuta avrebbe dovuto provare per una forestiera interessata alla storia di quel buco sperduto del Maine, avrebbe fatto il resto. Ma, evidentemente, non sarebbe stato così facile.

-E quindi – iniziò rapidamente cercando di mascherare la sua irritazione – Speravo di poter trovare qualcosa in questa biblioteca.

La bibliotecaria sollevò un sopracciglio.

-Che tipo ti informazioni?

Santana si trattenne dal roteare gli occhi e sbuffare, forzò un sorriso che, mai come in quel momento, le sembrava vuoto e falso e provò ad aggiungere qualche informazione in più ricordandosi di ciò che le aveva detto poco prima il cameriere.

-Mi hanno parlato di un libro scritto da un professore dell'Università del Maine...

-Ah certo, il professor Jackson!

Santana quasi tirò un sospiro di sollievo mentre l'anziana bibliotecaria si alzava e spariva in una porticina alla sua sinistra che, probabilmente, portava alla sala dove venivano conservati i libri. Riapparve pochi secondi dopo con un libro scuro e lo mise tra le mani di Santana.

-Le rocce sedimentarie della costa di Newport, Maine?

-Sì, il libro che cercava. Può consultarlo qui. Ma in silenzio, questa è una biblioteca.

Santana si schiarì la voce guardandosi intorno cercando di mantenere la calma e domandandosi, per l'ennesima volta, per quale motivo fosse ancora lì.

-Io in realtà cercavo un libro di storia della città non di storia geologica! Magari qualcosa che parli degli anni venti, soprattutto.

La bibliotecaria la fulminò con lo sguardo, come se avesse commesso il peggior crimine che potesse esistere facendole perdere del tempo preziosissimo mentre era immersa nel suo lavoro.

-Non esiste nessun libro su tale argomento.

-E lei non sa dove potrei trovare delle informazioni al riguardo?

-Potrebbe consultare i vecchi numeri del Newport Tribune. Li conserviamo tutti qui.

Santana sorrise e, quasi, ebbe voglia di abbracciare la bibliotecaria.

-Fantastico! Posso consultare il computer?

Per la prima volta la donna davanti a lei sorrise. Poi le diede le spalle facendo cenno di seguirla. Si incamminò lungo una sala spaziosa e completamente deserta, piena di librerie in legno chiaro ma non si fermò sinché non si trovò di fronte a una porta chiusa. Inserì la chiave e l'aprì. Santana, prima di capire esattamente dove fosse, si ritrovò in una polverosa stanza senza finestre con un tavolo al centro e le pareti totalmente nascoste da anonimi armadi di metallo.

-Tutti i giornali sono conservati qui. Cerchi di non fare disordine.

La donna sparì dalla sala mentre ancora Santana cercava di riprendersi guardandosi intorno con la bocca spalancata per lo stupore.

-Devo consultarli manualmente? - domandò alla stanza ormai vuota.

-Silenzio! - sentì gridare dalla bibliotecaria.

Masticando a denti stretti qualche protesta, Santana si avvicinò al primo armadio, aprendolo. I giornali, per fortuna, erano almeno divisi per anni e mesi. Così, dopo un paio di tentativi infruttuosi trovò quello che stava cercando e, sbuffando silenziosamente, iniziò nella sua ricerca.

Poco più di un'ora, ed una quantità spaventosa di maledizioni, dopo si rese conto di essere ancora al punto di partenza. Non aveva scoperto niente di rilevante o nuove informazioni su quella donna che si era trasformata nella sua ossessione. Come prima di iniziare, sapeva solo che era una specie di celebrità locale e che, insieme al suo promesso sposo, lavoravano al Cotton Club di cui erano anche proprietari.

Il suo promesso sposo.

Quel pensiero la fece riscuotere ed iniziò a cercare ciò che davvero voleva sapere. Incredibilmente non le ci volle molto per trovarlo.

Il Newport Tribune dell'undici novembre 1925 titolava in prima pagina: le nozze dell'anno. E lì c'era Brittany Pierce, sorridente come non mai, stretta al braccio di suo marito. Santana strinse la mascella e, in un gesto di rabbia, chiuse il pugno colpendo la foto e la faccia di quel Blaine Anderson. Poi chiuse gli occhi cercando di respirare normalmente. Cosa si aspettava del resto?

Che non fosse un sogno.

Per la prima volta, almeno una parte di sé lo ammetteva. Avrebbe voluto davvero che non fosse un sogno. Avrebbe voluto che, quello che, sino a poco prima, considerava alla stregua di una strana allucinazione causata da qualche sostanza sconosciuta che vagava nell'aria di quella cittadina, fosse in realtà una possibilità concreta.

Santana si massaggiò le tempie confusa. I suoi pensieri si inseguivano tra loro confusi e opposti.

Poi riaprì gli occhi leggendo qualche parola sulla cerimonia e sulla festa che, evidentemente, si era svolta nel Providence. Improvvisamente, una figura a lei conosciuta attirò la sua attenzione. Poco dietro Brittany, sullo sfondo, poteva vedere al braccio di Noah Puckerman, la donna bionda che aveva incontrato. Si alzò di colpo. Aveva bisogno di risposte e lei sembrava sapere più di quanto avrebbe dovuto.

Santana richiuse il giornale dentro l'armadio di metallo ed uscì dalla stanza senza indagare oltre. Aveva una nuova meta. Se solo avesse avuto un poco più di pazienza ed avesse voltato pagina si sarebbe stupita di vedere una foto con alcuni invitati del matrimonio. Ed allora avrebbe riconosciuto sé stessa al braccio di Kurt Hummel

 

 

 

Santana tornò al Providence più velocemente che poté e non si stupì di trovare la hall completamente deserta. Come la maggior parte del tempo del resto. In effetti era quasi certa di essere lei l'unico cliente. Così suonò il piccolo campanello del bancone con insistenza ed attese pazientemente che apparisse qualcuno.

Il solito vecchietto aprì la porticina che dava alla zona riservata solo ai dipendenti e, mentre si sistemava gli occhialini che, come al solito, erano scivolati sulla punta del suo naso, le sorrise educatamente.

-Posso aiutarla, signorina Lopez?

Il primo impulso di Santana fu quello di dirgli, irritata, di smetterla di chiamarla “signorina” ma decise che sarebbe stata una battaglia persa e, in quel momento, non aveva intenzione di aggiungere problemi a quelli che già aveva trovato in quell'albergo ad attenderla.

-Sì. Senta avrei bisogno di fare acquisti, ho bisogno di un abito nuovo per... - si fermò pensando rapidamente - … una festa!

L'uomo annuì tranquillamente.

-Certo. Sul lungomare ci sono alcune boutique dove può trovare quello che cerca.

Santana dovette mordersi la lingua e prendere un profondo respiro a quella risposta perché quei piccoli negozietti di vestiti economici ed asciugamani da mare non potevano essere definiti, sotto nessun aspetto, boutique.

-No! - disse con troppa forza – Quello che cerco è qualcosa di diverso.

-Si spieghi meglio signorina Lopez.

-Se avessi bisogno di un vestito in stile anni venti, potrei trovarlo qui?

L'uomo socchiuse le palpebre fissandola. Per un attimo Santana si sentì completamente esposta e, quasi, credette che quel vecchio conoscesse perfettamente il motivo di quella richiesta.

-Ci sarebbe un piccolo negozietto, nascosto in una via laterale dietro l'edificio dove prima c'era il cinema.

-Grazie.

-Ma dovrà aspettare domani mattina. Adesso è sicuramente chiuso.

Santana soppresse una smorfia di disapprovazione e si limitò ad annuire.

-Tornerò in camera. Grazie per l'informazione.

Si voltò e raggiunse le scale mentre sentiva il vecchio dipendente che apriva la porticina dietro la quale spariva ogni volta.

-L'hotel Providence è sempre il posto giusto – lo sentì dire – Solo che, a volte, è il momento sbagliato.

Santana si fermò di scatto con la mano già stretta intorno al corrimano, le ci volle solo un attimo per assimilare quelle parole. E allora si voltò. Ma l'uomo era già sparito. Resistette all'impulso di tornare indietro e di suonare il piccolo campanello per richiamarlo e chiedergli cosa volesse dire, ma ebbe la sensazione che non sarebbe tornato.

Strinse la mascella. Tutti sembravano essere sempre un passo davanti a lei.

Salì le scale con lentezza lottando contro la voglia e la paura di trovarsi di nuovo nella sua stanza. Quando finalmente la raggiunse prese qualche secondo prima di aprire la porta, infine entrò trattenendo il respiro. I suoi occhi corsero, come attirati da una calamita, verso l'armadio. Come sempre era socchiuso e uno degli ultimi raggi di sole che entravano dalla finestra, illuminava quella piccola maniglia dorata.

Santana maledisse a voce bassa, fece due passi ed allungò la mano. Le sue dita sfiorarono il metallo, ma non lo strinsero. Chiuse gli occhi portando le mani alle tempie.

Tutto questo è una dannata pazzia.

Si voltò, afferrò qualcosa dalla valigia e si chiuse nel bagno. L'acqua calda sulla pelle fu meravigliosa per i suoi muscoli tesi, ma non aiutò la sua mente a distrarsi dal suo unico pensiero. E, per quanto volesse, l'unica cosa a cui riusciva a pensare erano un paio di occhi color ghiaccio di una donna che era vissuta quasi cento anni prima. Una donna che si era sposata quasi cento anni prima. Soppresse una risata a quel pensiero perché, nonostante tutto, ciò che più attirava la sua attenzione era quanto fosse attratta da lei. Come se la chiamasse da lontano e fosse irraggiungibile. Solo che a lei bastava chiudere gli occhi per raggiungerla.

Uscì dal bagno perfettamente vestita, come se fosse pronta per uscire. Invece si fermò davanti alla porta dell'armadio. Immobile come una statua.

Doveva avere pazienza. La mattina dopo avrebbe raggiunto quel negozietto e avrebbe comprato un bell'abito vintage degli anni venti. Qualcosa che non avrebbe attirato tanto l'attenzione una volta che fosse passata dall'altra parte. Una volta che fosse tornata indietro.

Sbuffò buttandosi sul letto e fissando il soffitto.

Ci credeva davvero? Sì, non aveva dubbi.

Sapeva come fosse possibile? No, non aveva nessuna idea.

Ma aveva la sensazione che avrebbe potuto avere qualche risposta da quella donna misteriosa che le aveva parlato.

Doveva solo avere pazienza.

Doveva solo chiudere gli occhi e lasciare che Morfeo l'abbracciasse.

Un secondo dopo era di nuovo in piedi e, questa volta, la sua mano strinse la piccola maniglia.

Di nuovo sentì quel brivido lungo la schiena e, quando aprì gli occhi vide il baule vicino al letto. Non riuscì a sopprimere un sorriso. Era successo di nuovo. E, no, non le importava come fosse possibile. Non le importava che non sarebbe dovuto succedere. Non le importava nemmeno che, tecnicamente, avrebbe dovuto preoccuparsi perché quella poteva essere una semplice allucinazione causata da qualche tumore al cervello.

Niente aveva importanza perché lei sapeva che era vero. Lo sentiva nell'aria e nella pelle. Lo sentiva in ogni respiro che prendeva. Lo percepiva dalla luce e dal profumo che la circondava.

Solo che, questa volta, la stanza non era vuota. Poteva sentire una donna che cantava nell'abitazione attigua, quella che doveva essere il bagno. Santana sobbalzò e si buttò, cercando di essere silenziosa, contro la porta per uscire fuori. Chiunque fosse non avrebbe certo reagito bene trovando un'estranea in piedi davanti al proprio letto.

Sogghignò appena si trovò nel corridoio e si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Solo allora si inchinò per fare ciò che desiderava dalla prima volta che era passata dall'altra parte: passare la mano sul tappeto. Ed era esattamente come l'aspettava. Morbido e denso. E vero.

Sorrise sinceramente mentre si alzava sollevando lo sguardo ed incrociando quello perplesso di Kurt Hummel che era appena uscito da una delle stanze vicine.

Santana balzò mettendosi perfettamente dritta e schiarendosi la voce imbarazzata. Il giovane continuava a guardarla con un sopracciglio sollevato ed un'espressione che era un misto di sorpresa, confusione e divertimento.

-Santana Lopez, giusto? - chiese alla fine.

Lei si limitò ad annuire sperando che non risultasse troppo evidente il rossore sul suo viso.

-Sbuchi fuori sempre dal nulla? - domandò ancora lui questa il tono indicava chiaramente che, alla fine, il sentimento che aveva avuto la meglio era il divertimento.

-Sono ospite di questo hotel – rispose stringendosi nelle spalle.

E, in fondo, non era una bugia.

-Già. Sei ospite di un hotel interamente occupato dagli invitati di questo matrimonio, di cui tu non sapevi niente!

Il tono sarcastico era evidente ma Santana, decisamente, preferiva lasciar correre.

-Sì, il matrimonio dell'anno, giusto? - chiese cercando di sviare l'attenzione su un terreno più sicuro.

-Esatto – Kurt la guardò per un attimo prima di scuotere la testa – Andiamo, ti offro qualcosa da bere.

Santana annuì mentre lo seguiva lungo le scale, sospirando di sollievo quando si rese conto che non aveva intenzione di entrare nell'ascensore. Arrivarono alla solita grande sala, scambiandosi semplici frasi di cortesia, e si sedettero in uno dei tavolini rotondi. Kurt ordinò qualcosa che Santana non capì, ma che doveva essere un semplice cocktail analcolico. La sala era, come sempre, piena di persone che parlavano e ridevano, il grammofono era spento perché, al fondo, c'era un lucido piano nero davanti al quale era seduto un uomo dagli scuri capelli neri. Santana non poteva vederlo in volto perché, dal suo angolo le dava le spalle, ma si accorse che anche Kurt lo fissava sorridendo. L'uomo sembrava concentrato sui tasti, le note si inseguivano formando una melodia che faceva da sottofondo alle chiacchiere.

-E' davvero bravo – commentò non riuscendo a trattenersi.

-Blaine? E' il migliore.

Santana fissò lo sguardo su Kurt.

-Quello è Blaine Anderson? - domandò stupita cercando di venire a patti con il forte nodo di gelosia che le si era appena formato in gola.

-Naturalmente! - rispose stringendosi nelle spalle come se fosse la cosa più ovvia del mondo – Mi vuoi dire da dove sei apparsa tu per non saperlo?

La vera domanda è da quando!

-Te l'ho detto, vengo da Los Angeles.

Kurt sembrò soppesarla ancora e Santana iniziò a guardarsi intorno cercando una via d'uscita o almeno un nuovo argomento per deviare l'attenzione. Non si era mai sentita più inadeguata. Anche il suo abito e le sue scarpe alte le sembravano completamente fuori luogo. Si sentiva come se ogni suo gesto e parola la smascherasse.

-Tutti quelli che vengono a Newport, lo fanno per il Cotton Club e per la musica.

-Io stavo scappando, sono qui per caso – disse in un sussurro.

-Da cosa?

-Dalla mia vita che si distruggeva.

Kurt si morse il labbro e si guardò intorno fissando il suo sguardo sulla schiena di Blaine che continuava a stare curvo sui tasti.

-E ci sei riuscita? A scappare, dico - domandò piano.

Santana guardò il suo profilo pensando alla risposta da dargli. Improvvisamente le tornò alla mente la frase che le aveva detto il vecchio della hall: l'hotel Providence è sempre il posto giusto. Solo che, a volte, è il momento sbagliato.

Quelle parole sembravano così simili a quelle della donna misteriosa che avrebbe voluto trovare.

-Non del tutto – rispose alla fine.

Kurt annuì comprensivo.

-Questo è uno splendido posto dove stare.

-Può essere, ma non posso fermarmi. Non a lungo.

In quel momento dalla porta nel fondo entrò la donna bionda che aveva visto la sera prima, la stessa che aveva visto in una delle foto del matrimonio. Santana si accorse che anche l'altra l'aveva vista. Si fissarono solo per un istante prima che la bionda le rivolgesse un sorriso divertito per poi dirigersi a uno dei tavoli occupati da altri ospiti.

-Chi è lei? - domandò Santana facendo un gesto con la testa e indicandola.

Kurt si voltò.

-Quinn Fabray. Ricordi Noah Puckerman?

-Certo.

-Si sposeranno alla fine di quest'anno.

Santana aggrottò le sopracciglia. Questo non era possibile.

-Puckerman? Il barman?

-Sì, lui. Non esiste nessun altro Puckerman qui a Newport. Perché ti stupisce?

-Ieri sembrava essere troppo... – fece una pausa cercando le parole giuste - ...interessato a me.

Kurt, per sua sorpresa, scoppiò a ridere mentre annuiva.

-Sì, tipico. Secondo lui deve mantenere la sua reputazione con le donne! Ma, in realtà, non ho mai visto nessuno più innamorato di lui!

-Non devi preoccuparti di Puck. E' il suo strano modo di scherzare.

Santana sollevò lo sguardo a quelle parole, riconoscendo immediatamente quella voce. Non l'avrebbe mai potuta dimenticare né mai avrebbe voluto farlo. Davanti a lei c'era Brittany Pierce con una mano elegantemente posata sulla spalla di Kurt che, a sua volta, sorrise alzandosi in piedi per spostare la sedia e far accomodare la nuova arrivata. Santana avrebbe voluto sorriderle. Ma era troppo impegnata a guardare quella figura fasciata da una abito da sera di seta azzurra completato da lustrini che, semplicemente, la rendeva ancora più splendida. Il trucco era leggero tranne per il rossetto di un rosso acceso che incorniciava le labbra. Ed il suo collo sinuoso veniva posto in risalto da una lunga collana di perle. Santana pensò che non aveva mai visto nessuna creatura più bella. Per un attimo la sua mente immaginò di alzarsi in piedi, stringere tra le mani quella collana per attirarla a se e provare quelle labbra, il loro sapore. Avrebbe voluto dirle, per lo meno, quanto fosse bella e meravigliosa, ma non sapeva se sarebbe stato appropriato.

-Ci rivediamo di nuovo.

La voce di Brittany la fece risvegliare da quel sogno ad occhi aperti.

-Sì – cercò di dire qualcosa di interessante ma le parole le morivano in gola, l'unica cosa a cui riusciva a pensare erano le labbra rosse dell'altra che si muovevano davanti a lei.

-Sai dovresti smettere di sparire nel nulla – continuò con tono dispiaciuto Brittany.

-Mi dispiace – sussurrò in risposta.

-Oh ma le scuse non servono. Promettimi solo che non capiterà ancora.

Gli occhi di Santana fissarono Brittany che si inclinava appena verso di lei mentre pronunciava quella frase e quasi svenne quando si accorse che posava la mano sulla sua. Cercò di sopprimere un brivido e forzò un sorriso.

-Cercherò di fare in modo che non accada di nuovo – disse questa volta con maggior sicurezza.

Anche se sapeva che era una promessa vana e che, naturalmente sarebbe scomparsa di nuovo. Forse per sempre. Ma in quel momento non le importava altro che ciò che il destino le aveva riservato: la possibilità di conoscere una donna meravigliosa.

Kurt si schiarì la gola in quel momento e, Santana, si rese conto che non c'era più musica nella stanza. Così sollevò lo sguardo a fatica dagli occhi azzurri di Brittany e vide che Blaine Anderson era arrivato al loro tavolo. Soppresse il desiderio impellente di cancellare quel suo sorriso amichevole rovesciandogli il contenuto del bicchiere che aveva davanti, e che aveva appena toccato, su quei ricci impomatati.

Brittany si alzò appena lo vide lasciando andare la mano di Santana, gli lanciò le braccia al collo per lasciargli un bacio sulla guancia mentre Kurt guardava la scena divertito. Poi si voltò mantenendosi stretta al braccio destro di Blaine.

-Blaine, lei è Santana. La donna misteriosa di cui ti abbiamo parlato.

L'uomo sorrise e porse la mano per salutarla, Santana la strinse con fin troppa forza.

-Finalmente ho il piacere di conoscerti anche io. Qui non si parla d'altro che di te. Credo che tu sia più interessante anche del nostro matrimonio.

Santana si morse la lingua per evitare di dirgli che il piacere era solo suo e che, fosse stato per lei, adesso lui sarebbe schiacciato sotto quel maledettissimo piano che, tanto talentuosamente, stava suonando.

-Non credo che niente possa essere più importante del vostro matrimonio.

Immediatamente si pentì di quella frase che, senza dubbio, era suonata troppo irritata e, Santana, era consapevole del fatto che non fosse il luogo adatto per fare una incomprensibile scenata di gelosia. Ma nessuno sembrò farle caso, anzi, se possibile il sorriso di Blaine si allargò appena di più.

-Ci sarai, vero?

-Dove? - domandò stupita Santana.

-Al matrimonio, ovviamente! - rispose ancora Blaine come se fosse la cosa più naturale del mondo.

-Non ci sono possibilità! - sbottò con fin troppa convinzione Santana, ma, accorgendosi dello sguardo deluso di Brittany ammorbidì il tono – Non credo che mi fermerò così tanto.

-Devi tornare a casa? - le chiese con espressione triste.

-In un certo senso... - sospirò mentre si perdeva, per l'ennesima volta, in quegli occhi di ghiaccio.

-C'è sempre tempo per tornare a casa.

Quinn Fabray era in piedi davanti a loro con un sorrisino divertito dipinto sulle labbra. Santana strinse i pugni. Quella donna le dava delle sensazioni contrastanti, si sentiva come se stesse giocando con lei, come se sapesse più di quello che avrebbe dovuto. Ma com'era possibile?

-Il tempo è proprio quello che non mi manca – sbottò infastidita più da se stessa e dal fatto che non riuscisse a prendere il controllo di quella situazione, che da altro.

-Bene allora! E' deciso, rimarrai – esclamò con entusiasmo Quinn.

Santana spalancò la bocca confusa. Non aveva detto niente di simile. Ma Brittany sorrise così dolcemente che, in fondo, non importava altro in quel momento. Anche se vederla sposarsi con quel giovane inamidato non era esattamente il suo desiderio più nascosto.

-Forse avrai bisogno di un abito un po' più... - Kurt la guardò con attenzione - … tradizionale.

Santana abbassò lo sguardo, indossava un semplice abito nero che arrivava poco sopra il ginocchio e cadeva morbido sui suoi fianchi. Deglutì nervosa pensando a quanto fosse distante da ciò che indossavano tutti gli altri.

-Ti sta benissimo – disse Brittany fissandola con attenzione – Ma è vero, non avevo mai visto niente di simile. E' una nuova moda di Los Angeles?

Santana spalancò la bocca senza riuscire a dire niente, improvvisamente dovette lottare contro delle fitte di panico che l'attanagliavano. Perché era tutto così difficile? Sarebbe dovuta restare nella sua stanza ed attendere di trovare un abito adeguato prima di passare dall'altra parte. Ma non c'era riuscita. La voglia di rivedere Brittany era troppo forte, aveva annullato anche il suo giudizio e la sua prudenza.

-E' francese – disse Quinn attirando l'attenzione di tutti – Ho sentito che va molto di moda nella Provenza. Giusto Santana?

Si limitò ad annuire rapidamente. La stava aiutando? O era solo una curiosa coincidenza?

-Sei stata in Francia? - domandò Brittany – Vorrei andare anche io ma Blaine soffre di mal di mare!

Santana aggrottò le sopracciglia e si preparò a chiedere cosa avesse a che fare il mal di mare con un viaggio in Francia.

-Sarebbe bello poterci arrivare in volo, vero Santana? - domandò invece Quinn facendola sobbalzare.

Molti risero e Kurt scosse la testa.

-Credo proprio che non sarà possibile, alla fine gli aerei rimarranno solo delle armi da guerra!

Blaine si alzò estraendo un orologio da taschino e premendo un piccolo pulsante affinché si aprisse. Guardò l'ora con attenzione prima di dargli corda e richiuderlo per riportarlo al suo posto.

-Credo che sia ora di andare, Brittany. Il lavoro ci chiama.

Kurt si mise in piedi immediatamente.

-Vieni con noi, saremmo lieti di averti ospite al Cotton Club.

Ma Santana scosse la testa, aveva bisogno di maggiori informazioni, non voleva stare lì per troppo tempo.

-Mi dispiace, stanotte non posso.

Brittany allungò la mano e prese quella di Santana tra le sue.

-Sparirai di nuovo?

-No. Ci rivedremo domani – rispose con sicurezza sentendo lo sguardo di Quinn su di sé.

Brittany annuì e andò via accompagnata dai due uomini. Quinn si alzò a sua volta e si guardò intorno.

-Immagino tu voglia andare a riposare – disse.

-Esatto.

-Ci rivedremo, Santana.

E poi si voltò andando via. Di nuovo fischiettando quel motivetto che sembrava così familiare. Per un attimo Santana pensò che, forse, sarebbe stato meglio approfittare di quel momento per fermarla e di chiederle spiegazioni. Ma poi lasciò perdere. Avrebbe avuto tempo, ora sentiva solo il bisogno di ritrovarsi al sicuro. Si sentiva stanca e aveva bisogno di riposare.

Così salì le scale e aprì con cautela la porta della sua stanza assicurandosi che, chiunque fosse l'ospite, in quel momento non ci fosse. Tirò un sospiro di sollievo e percorse i pochi passi che la separavano dall'armadio.

 

 

 

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Ho notato che pubblico i capitoli con più lentezza del solito ma che sono anche un pochino più lunghi. Spero che questo compensi l'attesa.

Non so se sia stata una sorpresa il fatto che abbia trovato un giornale con il matrimonio ma credo che inizi a rispondere a qualcuna delle domande che mi avere posto nei primi tre capitoli!

Grazie a tutti coloro che recensiscono, e a chi ha messo la storia tra preferite, seguite e ricordate!

Un abbraccio.

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Capitolo 5
*** Cose preziose ***


 

Cose Preziose

 

La mattina successiva, Santana, balzò in piedi non appena i primi raggi di sole entrarono dalla finestra lasciata leggermente aperta. La notte precedente era riuscita a prendere sonno a fatica. Non riusciva a pensare ad altro che a Brittany, al suo vestito di seta azzurra, alla collana di perle intorno al suo collo. Ogni dettaglio era impresso a fuoco nella sua mente. Anche il modo in cui aveva abbracciato Blaine non appena questo si era avvicinato. Santana era ossessionata. Voleva sapere di più su quella donna e voleva vederla al Cotton Club.

Quello si era trasformato nel suo unico pensiero e desiderio, facendole dimenticare anche della necessità di parlare con Quinn, dimentica del fatto che, quella donna, sembrava nascondere qualcosa.

Ma, mentre inforcava gli occhiali da sole per dirigersi al piccolo negozietto che gli era stato indicato, la sua mente riusciva solo a concentrarsi sugli occhi di ghiaccio di Brittany.

Così giunse alla piazza dove c'era un vecchio edificio che, come tutto ciò che aveva visto sino al momento, avrebbe potuto descrivere solo come decadente, e che, un tempo, doveva essere stato un cinema. Si guardò intorno trovando la stretta stradina che l'avrebbe condotta alla sua meta e, senza esitare ancora, si decise a percorrerla. Più o meno a metà trovò quello che cercava: un piccolo negozietto con, in vetrina, alcuni vestiti di diverse epoche. Sollevò la testa per guardare la semplice insegna che capeggiava sulla porta a vetri. Cose Preziose, recitava. Santana dovette reprimere un brivido, quel nome aveva qualcosa d'inquietante anche se non riusciva a definirlo. Ma, comunque, prese un profondo respiro ed aprì la porta che cigolò appena ma non oppose maggiore resistenza.

L'interno era immerso nella semioscurità, forse dovuta al fatto che era esposto a nord e, a quell'ora, la luce del sole non riusciva a raggiungerlo. C'erano file di abiti ordinati per stile e alcuni manichini in pose plastiche. Per il resto sembrava non ci fosse anima viva.

Santana dovette combattere l'impulso di girare sui tacchi e tornare da dov'era venuta dato che era evidente che, quel posto, non poteva essere altro che il covo di un serial killer che attirava le sue vittime con l'allettante idea di abiti d'epoca per poi ucciderle. Probabilmente colpendole con la gamba di qualche manichino.

-C'è nessuno? - chiese alla fine titubante e domandandosi dove fosse finito lo spray al peperoncino che aveva comprato un paio d'anni prima. Si ripromise che, se fosse uscita viva da quella situazione, non sarebbe mai più uscita di casa senza.

Proprio in quel momento apparve, praticamente dal nulla, una donna che dimostrava almeno una sessantina d'anni, magrissima e con i capelli legati in una stretta acconciatura. Santana si morse la lingua per non gridare mentre la nuova arrivata le sorrideva amichevolmente.

-Benvenuta, signorina!

Santana balbettò un saluto confuso sotto lo sguardo gentile della donna che sembrava essere totalmente entusiasta di avere una cliente.

-Posso aiutarla in qualcosa? Ho delle splendide camice degli anni settanta in offerta!

-No! - rispose scuotendo la testa pensando che avrebbe potuto cercare lei stessa quello di cui aveva bisogno.

Ma, un momento dopo, si rese conto che non aveva idea di ciò che avrebbe dovuto cercare. Così, visto che quella donna continuava a fissarla con un sorriso ben piantato in volto e non sembrava volersi allontanare, decise che, tanto valeva, approfittare della sua presenza.

-Avete una sezione dedicata agli anni venti? - chiese tutto d'un fiato.

-Ma naturalmente! - esclamò entusiasta prima di voltarsi.

Santana la seguì guardandosi intorno confusa, forse quella donna non l'avrebbe uccisa colpendola con una gamba di un manichino, ma non per questo era meno inquietante. Chi poteva essere tanto entusiasta e sorridente?

Nonostante ciò il suo desiderio di tornare a vedere Brittany, possibilmente senza sentirsi un pesce fuor d'acqua, più di quanto comunque si sarebbe sentita, ebbe la meglio.

Prima di rendersene conto si trovò tra le braccia vari abiti con tonalità che andavano dal beige al celeste per finire in un rosa antico che le diede i brividi.

-Cara, sta cercando anche abiti da sera?

Santana si morse il labbro cercando di decidere se odiasse di più essere chiamata “signorina” o “cara”.

-No, no! Va benissimo così. Cerco qualcosa di semplice, ma vero. Cosa mi consiglierebbe se potessi tornare indietro al 1925 proprio ora?

La donna valutò la situazione come se quella fosse una domanda normale e, infine, annuì prendendo un semplice abito di taglio lineare di un beige chiaro che lasciava scoperte le spalle. Santana si fece guidare come un automa verso il camerino e ne uscì pochi minuti dopo sentendosi abbastanza inadeguata. Per non dire ridicola. Sensazione che aumentò a dismisura quando si accorse che la proprietaria di quel posto aveva tra le mani un cappellino a cuffietta abbinato al colore del suo abito e, non appena la vide, lo calò sulla sua testa. Infine le mise tra le mani una pochette dove difficilmente sarebbe riuscita a far entrare il suo cellulare.

Hai davvero intenzione di portare uno smartphone con te?

Santana scacciò quel pensiero scuotendo la testa e si guardò allo specchio.

-E' assolutamente deliziosa. Dovrebbe solo tagliare i capelli e sarebbe una perfetta donna degli anni ruggenti!

Santana si voltò scettica. Lei si sentiva solo ridicola. Anche se, dovette ammettere dopo un secondo sguardo, probabilmente era vero che le donava, semplicemente ai suoi occhi era anacronistico.

Non lo sarà una volta che passi dall'altra parte.

-Credo che lo prenderò – sussurrò causando un applauso entusiasta da parte della donna che continuava a guardarla con un sorriso soddisfatto.

Quella cittadina era piena di strani personaggi e lei sembrava avere uno strano talento per scovarli tutti.

Così pagò rapidamente senza ascoltare le chiacchiere di quella donna ed uscì fuori riprendendo a respirare liberamente. Aveva un solo obbiettivo: tornare in fretta nella sua stanza.

Ma naturalmente, il destino non era dalla sua parte.

-Vedo che la maledizione della stanza 314 ancora non ha avuto effetto su di te!

La voce di David Puckerman la raggiunse mentre era ormai lanciata verso la sua meta.

-David, hai la capacità di apparire sempre quando meno me l'aspetto!

-E' che questo posto è piccolo, l'hai detto tu stessa! Vedo che, alla fine, ti piace! - disse stringendosi nelle spalle – Pensavo che saresti sparita.

-Andrò via tra poco. Ma prima vorrei risolvere un paio di cose in sospeso.

-Posso invitarti a pranzo?

Santana scosse la testa. Non voleva perdere altro tempo.

-No, oggi no.

-Andiamo, Santana! Cosa devi fare di tanto importante?

Viaggiare nel tempo.

-Niente! Ho solo bisogno di riposo!

-Sai che non cedo tanto facilmente, vero? Conosco un posto dove hanno i migliori crostacei della zona.

-David, dico davvero...

-Domani?

Santana sollevò gli occhi al cielo.

-Non credo di...

-Domani a quest'ora passo davanti al Providence e ti ci porto!

Quel ragazzo era un osso duro e non sembrava voler cedere. Così decise di arrendersi, pur di non perdere altro tempo.

-Va bene. Domani – sospirò.

David sorrise vittorioso.

-Se non sei sparita per via della maledizione!

Santana scosse la testa e proseguì per la sua strada sollevando una mano in segno di saluto.

Pochi minuti dopo era nuovamente dentro la sua stanza pronta per indossare l'abito che aveva appena acquistato. Si guardò allo specchio e tirò un sospiro preoccupato. Era davvero adeguato quello che aveva indossato? Non lo sapeva. L'unica cosa che le era chiara era che, se si fosse guardata ancora a lungo, avrebbe rinunciato e si sarebbe sentita ancora più stupida di quanto già facesse.

Così, con un lungo sospiro si voltò per dirigersi verso l'armadio e, senza più pensare a niente, strinse la piccola e, ormai, familiare maniglia dorata.

 

 

Prima ancora di aprire gli occhi sorrise. Lo fece perché sapeva benissimo che, anche questa volta, era passata dall'altra parte. Lo poteva sentire dall'aria, quell'ormai familiare profumo di salsedine così puro e così diverso, seppur simile, a quello che sentiva prima di toccare la maniglia.

Poi un pensiero improvviso la fece sobbalzare e aprì gli occhi guardandosi intorno. Si era dimenticata che, la sera prima, c'era qualcuno in quella stanza. Pensò per un attimo alla reazione che avrebbe potuto avere l'ospite di quella stanza vedendo apparire dal nulla un'estranea. Lei come avrebbe reagito? Probabilmente urlando e attirando l'attenzione del personale. Sarebbe stato difficile spiegare come fosse arrivata lì. Quindi smise di respirare per cercare di concentrarsi su ogni piccolo rumore e tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che era sola. Così uscì dalla stanza e percorse il corridoio, riuscendo persino a non fissare per l'ennesima volta il morbido tappeto sotto i suoi piedi come se fosse la cosa più meravigliosa che avesse mai visto.

Quando finalmente raggiunse la hall si rese conto che aveva un sorriso soddisfatto dipinto in volto. Come sempre, quando passava dall'altra parte, l'hotel era frequentato da diverse persone che chiacchieravano tranquillamente. Santana si accorse che, qualcuno le lanciava rapide occhiate con la coda dell'occhio, ma stranamente, non si sentiva a disagio. Anzi, l'abito che sino a pochi minuti prima le era sembrato così innaturale, ora le sembrava un perfetto scudo. Si sentiva come se fosse a casa, come se quello fosse il suo posto.

A volte non ti senti come se fossi nel posto giusto ma al momento sbagliato?

Nella sua mente rimbombò improvviso il ricordo di quella frase di Quinn. Quella donna sapeva più di quello che sembrava. Santana ne era certa. Doveva trovarla e parlare con lei. Certo ancora non aveva idea di come intavolare un qualunque discorso ma era praticamente sicura che sarebbe stata in grado di strapparle qualche informazione.

Così, ignorando gli sguardi che si posavano su di lei, probabilmente per curiosità visto che, in quel posto, tutti sembravano conoscersi, iniziò a camminare per raggiungere la sala. Avrebbe chiesto una limonata e si sarebbe guardata intorno sperando di trovare qualcuno a cui chiedere dove avrebbe potuto trovare Quinn. O, se fosse stata sufficientemente fortunata, avrebbe potuto trovarla proprio lì.

Così percorse i pochi metri che la separavano dalla grande porta che l'avrebbe portata al bancone del bar concentrata su cosa dire e come farlo, non appena avesse trovato Quinn. Non voleva essere troppo diretta perché, qualora la sua idea fosse sbagliata, avrebbe rischiato di farsi rinchiudere in qualche centro psichiatrico, ammesso che ce ne fossero in quegli anni. Perciò doveva andare con i piedi di piombo e cercare di scoprire quante più cose potesse senza mai scoprire il fianco.

Ed era immersa in questi pensieri quando sobbalzò perché una mano aveva stretto il suo polso, trattenendola. Si voltò cercando di mascherare il suo cuore impazzito per lo spavento con una delle sue tipiche espressioni aggressive e rimase a fissare per una lunga manciata di secondi gli occhi color ghiaccio di Brittany.

-Ogni volta che vai via, ho sempre paura di non vederti più.

Santana rispose al sorriso che accompagnava quelle parole ma non disse niente, troppo impegnata a seguire quegli occhi che sembravano impegnati a studiarla da capo a piedi. Come se fosse la prima volta che la vedesse. Brittany si morse il labbro un attimo prima di sostenere il suo sguardo.

-Stai benissimo – sussurrò.

Santana si sentì stranamente orgogliosa di quel complimento e decise che, tutto sommato, andare in quel negozietto inquietante era valsa la pena.

-Grazie – rispose.

Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, magari rispondere a sua volta con un complimento perché Brittany indossava un leggero abito turchese che sembrava perfetto per lei. Ma si rese conto di non trovare le parole. Così si limitò ad accarezzare con lo sguardo la donna davanti a lei e a chiedersi, per la prima volta, come sarebbe stato incontrarla dall'altra parte, nel suo tempo. Perché avrebbe potuto invitarla a uscire con lei. Ma si ritrovò a scuotere la testa ripensando a come l'aveva vista abbracciare Blaine solo la notte prima. Quella donna era bellissima e ne era attratta senza alcun dubbio. Ma non poteva negare l'evidenza: era qualcosa di impossibile.

Così si schiarì la voce e sorrise sinceramente.

-Cosa fai qui? - le chiese Brittany.

Santana decise di prendere la palla al balzo e approfittare di quel piacevole incontro.

-Stavo cercando Quinn, sai dove posso trovarla?

-Quinn Fabray?

-Sì – rispose.

Brittany distolse lo sguardo e Santana si accorse che sembrava delusa.

-Non so dove sia. Non l'ho ancora vista oggi.

Lo disse con tono basso e guardando un punto indefinito vicino ai suoi piedi. Santana deglutì a vuoto mentre la studiava. Avrebbe giurato che davvero ci fosse delusione nel suo atteggiamento, come se fosse dovuto a ciò che le aveva appena detto. E, anche se sembrava improbabile, provò a correggere il tiro.

-Ma non è niente d'importante. Sono felice di aver incontrato te.

Brittany sollevo la testa guardandola di sottecchi come se volesse assicurarsi che quello che aveva appena sentito fosse vero. Infine si morse appena il labbro cercando di nascondere il sorriso che le stava spuntando in volto.

-Davvero?

Santana annuì piano mentre cercava di mantenere la mente lucida. Non poteva permettersi di pensare a quanto sembrasse essersi illuminata alla sua frase. Perché probabilmente era solo una coincidenza.

-In questo caso – iniziò di nuovo Brittany spostando il peso del corpo da un piede all'altro e dando modo a Santana di pensare a quanto sembrasse insicura, come se si stesse muovendo in un terreno instabile ed avesse paura di fare un passo falso – Ti andrebbe di accompagnarmi a pranzo?

-Pranzo? - chiese incerta.

Brittany arrossì, o almeno così sembrò a Santana, e poi portò avanti le mani scuotendole, come se volesse cancellare ciò che aveva appena detto. Di nuovo aveva smesso di guardarla e sembrava stranamente impacciata, così diversa dalla donna elegante in ogni gesto che aveva sempre avuto davanti sino ad allora.

-No, no! Capisco se non puoi, è stata una domanda inaccettabile da parte mia. Immagino tu abbia altre cose a cui pensare! Stavo solo andando in quel piccolo ristorante sul boulevard...

-Brittany – provò a intervenire per cercare di fermare quel fiume di parole.

-Magari non lo conosci nemmeno, ha una piccola terrazza coperta dove mi piace pranzare perché si vede la spiaggia...

-Brittany – riprovò questa volta con maggiore enfasi e trattenendo un sorriso divertito.

-Insomma non avrei dovuto chiedertelo nemmeno, del resto mi hai detto che stavi cercando Quinn. Immagino che tu preferisca continuare a cercarla e...

Santana scosse la testa e le prese la mano stringendola per attirare la sua attenzione. Brittany si fermò di colpo guardandola. Questa volta Santana ne era sicura. Era decisamente arrossita. Poteva vedere le sue gote arrossate sotto il leggerissimo trucco.

-Mi piacerebbe – disse.

-Cosa? - domandò confusa Brittany.

-Accompagnarti a pranzo – rispose con una risata.

Brittany sembrò incerta per un'altra manciata di secondi prima di decidersi a sorridere sollevata.

-Allora andiamo?

Solo allora Santana si accorse che ancora le stringeva la mano e la lasciò andare un po' a malincuore, domandandosi cosa avrebbe provato nel poterla stringere ogni volta che avesse voluto.

Così si voltò e la seguì fuori dall'hotel andando a scontrarsi con una luminosissima giornata. Si pentì immediatamente di aver dimenticato gli occhiali da sole nella sua stanza. Ma poi si ricordò che, probabilmente, la marca RayBan non era ancora stata inventata e si guardò intorno facendosi ombra con la mano. Quello che vide la lasciò a bocca aperta. Sembrava di essere in un altro posto. Quella non era la stessa Newport che aveva conosciuto lei. Tutto sembrava risplendere, era viva e animata, ogni tanto, nella strada passavano alcune auto dai colori scuri e le linee squadrate ma, per la maggior parte sembrava che la gente amasse passeggiare.

La risata di Brittany la riscosse e si voltò sentendosi osservata. Chiuse la bocca di colpo sperando di non essere sembrata troppo stupita.

-Sembra che sia la prima volta che vedi Newport!

Santana strinse le labbra sentendosi avvampare, di nuovo si era comportata in modo inadatto ed aveva attirato l'attenzione. Decisamente non aveva ancora imparato niente. Sorrise imbarazzata.

-In un certo senso... - sussurrò più a se stessa che a Brittany.

-Preferisci che faccia venire l'autista? Lo scorso anno Blaine ha comprato una Cadillac Landau – fece una pausa guardandosi intorno e poi allungò la mano per indicare un'auto nera poco distante – E' quella laggiù. Il ristorante non è lontano e io non amo troppo quell'affare a quattro ruote – fece una pausa guardandosi intorno prima di abbassare la voce come se volesse assicurarsi che nessuno ascoltasse ciò che avrebbe detto – Sai, non mi piace il rumore che fa – poi sorrise nuovamente – E mi piace camminare.

Santana scosse la testa divertita, era incredibile come sembrasse così sicura in ogni suo gesto ma, allo stesso tempo, adesso che aveva avuto la possibilità di parlare con lei più a lungo e lontana dalle altre persone, si rendeva conto di quanto fosse una donna spontanea e solare. E le piaceva.

Non che prima non le piacesse, altrimenti sarebbe scappata da quel posto a gambe levate e probabilmente avrebbe cercato uno strizzacervelli che le ricettasse qualche pillola. Ma in soli pochi minuti aveva iniziato a capire come ci fosse molto altro dietro. E avrebbe voluto scoprirlo.

Se solo avessi tempo.

-Preferisco anche io camminare – rispose nonostante l'innegabile curiosità che provava per salire su quell'auto che risplendeva al sole. Da quella distanza poteva vedere i sedili in pelle chiara e, anche se sembravano essere rigidi e scomodi, la incuriosivano. Aveva sempre avuto un debole per le auto e, tuttora, aveva nel suo garage una Chevrolet Corvette degli anni settanta che conservava come se fosse un tesoro.

Ma del resto, in quel momento, l'unica cosa che le interessava davvero era solo Brittany e il suo sorriso solare mentre si incamminava verso la spiaggia. Le piaceva vederla sorridere o ridere. Le piaceva guardarla con la coda dell'occhio mentre le raccontava qualche aneddoto su Newport e sui nuovi edifici che stavano sorgendo nella periferia.

La passeggiata fu breve e, prima di accorgersene, si trovò davanti a un piccolo ristorantino. Il cameriere, evidentemente, conosceva Brittany perfettamente perché le fece un inchino mentre la salutava gentilmente.

-Il solito tavolo? – le chiese.

Ma in realtà non aspettò nemmeno una risposta prima di voltarsi e fare strada verso uno degli angoli più riservati della terrazza. Santana ebbe, per un attimo, la sensazione di essere osservata e giudicata. Ma scosse la testa cercando di rilassarsi. In fondo voleva solo godersi quell'occasione. Così ringraziò il cameriere e cercò di scacciare la netta sensazione che si fosse irrigidito quando l'aveva fatto. Sensazione che aumentò quando vide lo sguardo serio di Brittany sul giovane che, rapidamente, portò dell'acqua e un paio di menù prima di sparire e lasciarle sole.

-Dovresti provare il sandwich di aragosta – le disse senza nemmeno consultare il menù.

Santana giocò con il suo bicchiere facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio mentre annuiva. Brittany sollevò la mano facendo accorrere il cameriere e ordinò per entrambe prima di riportare tutta la sua attenzione sulla donna davanti a lei incrociando per un attimo il suo sguardo.

-Quindi vieni da Los Angeles?

Santana sembrò riscuotersi, si schiarì la voce accorgendosi che quella poteva diventare una conversazione pericolosa. Del resto lei non aveva idea di cosa rispondere a domande troppo dirette, l'unica cosa che avrebbe potuto dire erano bugie.

-Sì – rispose prima di aggiungere rapidamente – E tu? Sei nata e cresciuta qui?

-Oh no! No no! - rispose scuotendo la testa – Io sono nata e cresciuta a Derry.

Santana aggrottò le sopracciglia.

-Mai sentita.

-Non credo che tu ti sia persa niente. E' una cittadina nel nord del Maine – spostò lo sguardo nervosamente – Io l'ho sempre trovata inquietante.

-Per questo ti sei trasferita qui? Preferisci il mare e il sole?

Brittany le sorrise appena.

-E' stato merito di Blaine.

Santana lottò contro la voglia di ruotare gli occhi alla sola menzione di quel nome. Era quasi riuscita a dimenticarlo e ora era quasi certa che quella conversazione avrebbe preso una piega per niente desiderata: stava per sentire la storia di come il suo cavaliere con brillante armatura l'avesse salvata da una orrida cittadina di provincia.

-Blaine, giusto. Il tuo futuro marito!

Brittany aggrottò la fronte mentre la guardava ma vennero interrotte dal cameriere che posò i piatti davanti a loro. Entrambe ringraziarono a mezza voce.

-Vuoi sentire la mia storia? - domandò improvvisamente Brittany.

Santana non era sicura di volerlo. Sapeva che Blaine aveva un ruolo fin troppo centrale. Ma, del resto, non poteva riportare il discorso su se stessa. Ed inoltre era ridicola la sua gelosia per una donna che aveva vissuto quasi cento anni prima e che, naturalmente, non avrebbe mai dovuto nemmeno conoscere.

-Mi piacerebbe – sussurrò alla fine rendendosi conto che, nel fondo, provava davvero un forte desiderio di sentirla.

-Blaine è stato il mio vicino di casa da quando avevo quindici anni. Mio padre era appena tornato dalla Grande Guerra – fece una pausa- Durante l'avanzata in Francia divenne amico di suo padre, credo che si trovassero nello stesso battaglione.

Brittany si fermò di nuovo, mosse appena il piatto davanti a lei cercando qualcosa che tenesse occupate le mani. Poi sembrò ritrovare il filo del discorso.

-Sai, non so com'è stato sulla costa ovest, ma qui quando gli uomini tornarono era tutto in fermento! Come se le cose andassero più rapidamente! Come se tutto fosse possibile.

Santana si ritrovò a fissare negli occhi Brittany che si era fermata nuovamente e la guardava come in attesa di qualcosa. Si accorse che aspettava che confermasse le sue parole o che, per lo meno, commentasse qualcosa. Così distolse lo sguardo.

-Certo, anche dalle mie parti – iniziò a borbottare vagamente.

Brittany inclinò la testa guardandola per un lungo istante prima di decidersi a continuare.

-Così anche mio padre, che era sempre stato un semplice calzolaio, riuscì a creare un piccolo negozietto di scarpe – sorrise tra sé come se stesse ricordando qualcosa – Mi è sempre piaciuto l'odore del cuoio appena tagliato.

Santana si ritrovò a sorridere guardandola muovere le mani e gesticolare lievemente. Avrebbe aggiunto anche quello alle cose che le piacevano di quella donna.

-Insomma divenne famoso – aggrottò le sopracciglia – Insomma, famoso nella piccola cittadina dove vivevo! Credo che sia stato anche merito del signor Anderson. Lui, appena ritornato, si dedicò alla politica. Divenne sindaco in poco tempo, tutti l'amavano.

-E così hai conosciuto Blaine?

Brittany annuì mentre provava un boccone di quello che avevano ordinato.

-Mi piaceva sentire come suonava il piano!

-Quindi tuo padre era amico di suo padre, eravate destinati a sposarvi – disse con un sospiro cercando di mascherare il lieve fastidio che, nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva a sopprimere.

Incredibilmente Brittany sembrò incupirsi a quella frase e scosse la testa. Santana si sporse in avanti.

-No. Mio padre non amava Blaine – spostò ancora lo sguardo lasciando cadere il sandwich nel piatto – Lui era... un uomo rude. Diceva che suonare il piano non era lavoro da uomini.

-Ma tu non eri d'accordo.

-Quello che pensavo io non era importante – disse immediatamente.

Santana la fissò per un attimo passando lo sguardo sui suoi lineamenti. Poi Brittany sollevò lo sguardo con un sorriso triste.

-Lui era un uomo all'antica. L'ho visto colpire mia madre tante volte, quando la cena non era pronta per tempo, lui la schiaffeggiava. Con forza. Spesso lei aveva un livido per qualche giorno.

Santana spalancò la bocca indignata.

-Cosa? Non avrebbe dovuto farlo! Avrebbe dovuto lasciarlo immediatamente!

Brittany la guardò aggrottando le sopracciglia come se fosse un'idea irrealizzabile e scosse la testa lentamente.

-No, lei pensava di meritarselo. Era come se fosse giusto. Mi diceva sempre che se fosse stata attenta non sarebbe successo.

-Ma non è vero! - sbottò Santana guardandola, allungò la mano e la posò su quella della donna seduta davanti a lei. Era fresca e morbida.

-Lo so. Era frustrante sentirlo.

-Ti ha mai colpita? - chiese immediatamente Santana combattendo il desiderio di alzarsi in piedi e guidare sino a trovare quell'uomo.

-No, certo che no! - scosse la testa con vigore.

-Tua madre avrebbe avuto bisogno d'aiuto!

-Non voleva aiuto. Anche se qualcuno avrebbe potuto darglielo, non l'avrebbe accettato. In fondo non si può aiutare chi non vuole essere aiutato. E lei semplicemente era convinta che lui avesse ragione. Lui era un uomo buono, per lei. Provvedeva alla sua famiglia come doveva.

-Sciocchezze! - sbottò ancora stringendo appena di più la mano.

Brittany sorrise, apparentemente sorpresa e grata per una tale manifestazione d'empatia.

-Un giorno arrivò a casa con uno dei suoi apprendisti. Un giovanotto di quasi vent'anni. Mi disse che mi sarei sposata con lui perché l'azienda di famiglia aveva bisogno di qualcuno che la continuasse. Ed io ero solo una ragazzina.

Santana strinse i denti, quasi timorosa di sapere come finisse la storia.

-Così lo raccontai a Blaine. In lacrime. Quel ragazzo aveva mani grandi e callose ed io non riuscivo a pensare ad altro che a quanto avrebbero potuto far male – Brittany spostò lo sguardo – Così scappammo insieme.

-Tu e Blaine.

-Lui mi ha salvata. E' sempre stato un amico e così diverso da tutto ciò che avevo visto.

-E siete venuti qui?

-Sì. La sua famiglia, ovviamente, l'ha appoggiato. Abbiamo comprato il Cotton non appena giunti qui e... beh il resto è storia recente.

-E la tua famiglia?

Brittany sorrise malinconicamente.

-Mio padre mi ha disconosciuta. Non li vedo da allora.

-Mi dispiace, Brittany.

A quella frase sembrò tornare in sé, come se improvvisamente fosse tornata indietro dal mare di ricordi in cui era immersa. Scosse la testa e sorrise di nuovo tranquilla, con gli occhi luminosi.

-Non essere dispiaciuta per me. Saresti dovuta esserlo se fossi rimasta a Derry. Ora sono felice.

Santana si morse il labbro. Ovvio che fosse felice. Avrebbe sposato l'uomo che l'aveva salvata e si era liberata di un destino che la voleva chiusa in casa, sposata con qualcuno che non conosceva e che non voleva conoscere. E anche lei si sentì stranamente tranquilla. Sorrise di rimando pensando che era stata una fortuna per lei, qualunque cosa fosse successa, essere lì. Era stata una fortuna insperata e che non aveva una spiegazione. Ma, in fondo, non sempre era necessaria una spiegazione per poter amare qualcosa.

-E tu?

La voce di Brittany la portò fuori dai suoi pensieri.

-Io cosa?

-Tu sei felice, Santana?

Si sorprese lei stessa a pensare, senza nessuna esitazione a una risposta positiva. Ma poi si rese conto che non era vero. Era felice lì. Se ne rendeva conto solo in quel momento, con quella domanda tanto diretta. Ma quello non era il suo mondo. Quello non era il suo tempo. Quella era solo una strana vacanza che sarebbe finita presto. Troppo presto. E, quello che l'aspettava era la sua vera vita, che era andata distrutta solo poco prima e lei laggiù non era felice. Non più. Si accorse che, da quando era giunta a Newport non aveva più pensato ad Elisabeth e a Los Angeles se non per brevi momenti. Forse avevano ragione: il Providence era sempre il luogo giusto. Solo che a volte era il momento ad essere sbagliato.

Così scosse la testa.

-No, non lo sono – si stupì di quanto suonasse sincera.

E si stupì anche di come lo sguardo di Brittany si ammorbidisse immediatamente a quelle parole, la sentì voltare la mano sul tavolo ed intrecciare le dita con le sue. Come se fosse naturale.

-Vorrei che tu fossi felice – sussurrò.

E Santana seppe che era sincera. Come mai nessuno prima era mai stato con lei.

-Lo vorrei anche io.

-Cosa non ti rende felice?

Santana spalancò la bocca. Cosa avrebbe dovuto dirle? Niente di ciò che le era successo poteva essere raccontato, non senza dirle da dove venisse davvero.

Da quando.

Si corresse a se stessa mentre chiudeva gli occhi e scuoteva la testa.

-Questa è una storia davvero troppo lunga e noiosa.

Quando aprì gli occhi si accorse che lo sguardo di Brittany era colmo di delusione, questa volta poteva leggerla benissimo. Improvvisamente sentiva come la sua mano scivolava lontana da lei e ne sentì immediatamente la mancanza.

-Capisco – sussurrò Brittany davanti a lei.

Santana cercava disperatamente una via d'uscita. Non voleva lasciare che pensasse che non si fidasse di lei o che non volesse parlare. Ma sapeva anche che non aveva altra scelta.

Ma non ebbe tempo di pensare a niente prima che l'altra donna estraesse qualche banconota e la lasciasse cadere sul tavolo.

-Devo andare al Cotton.

-Cosa? Sì, sì capisco.

Brittany si alzò piano continuando a fissarla.

-Sparirai di nuovo?

Sembrava una domanda ma, in realtà, suonò più come una triste constatazione. Così Santana si alzò a sua volta. Sapeva che la scelta giusta sarebbe stata tornare. Non sapeva niente di quel luogo, non poteva rischiare di starci troppo a lungo. Dio, nel fondo non era nemmeno sicura che quella dannata maniglia sarebbe rimasta lì per sempre.

-Mi piacerebbe accompagnarti al Cotton – fece una pausa schiarendosi la voce – Posso?

Il sorriso che le dedicò Brittany le fece dimenticare ogni suo pensiero.

 

 

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Ecco il nuovo capitolo, per la prima volta non finisce con Santana che torna indietro e, per chi me l'ha chiesto già da un pochino, nel prossimo vedremo il Cotton Club.

Vi ringrazio davvero per i preferiti, seguiti e ricordati! Vi ringrazio per le recensioni e per la tantissime domande (alle quali do risposte vaghe mi rendo conto) che mi fate! Prometto che, a poco a poco, si scopriranno i dettagli. O almeno spero!

Grazie e a presto!

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Capitolo 6
*** Cotton Club ***


Cotton Club

 

Mentre camminavano in silenzio verso il Cotton Club, la mente di Santana era intenta a convincersi che quella fosse una buona idea. Certo, non appena sollevava appena lo sguardo per guardare Brittany che camminava al suo fianco con passo leggero, era sicura che lo fosse. Ma, una piccola parte di sé, era terrorizzata nel rimanere così a lungo.

Tutte le persone che incrociavano il loro cammino si fermavano per salutare Brittany, gli uomini sollevavano appena il cappello e le signore sorridevano con un gesto del capo. Nessuno sembrava fare caso a Santana, al massimo le dedicavano una velocissima occhiata e questa era l'unica cosa che le confermava di non essere diventata invisibile.

Finalmente raggiunsero la porta del Cotton e, Santana, cercò di nascondere a sé stessa i suoi dubbi e le sue paure. In fondo ormai aveva preso la sua decisione e, certo, non poteva mettersi a correre per tornare al Providence il più in fretta possibile e spalancare la porta dell'armadio.

Il locale era completamente diverso da come l'aveva visto la prima volta. La parete in mattoni rossi non sembrava per niente fuori posto, anzi, sembrava completare perfettamente la lucida porta nera.

Brittany le sorrise mentre l'apriva e la invitava ad entrare per prima. Santana si guardò intorno senza nemmeno sforzarsi di mantenere un contegno. C'era una grande sala con dei piccoli tavolini rotondi in ferro battuto che creava delle decorazioni di curve e linee, scuri così come le sedie. C'era molta luce ma questo non impedì a Santana di immaginarlo con luci basse, magari quelle delle candele che poteva vedere perfettamente sistemate al centro di ogni tavolo. Sul fondo c'era un palco che, pur essendo semplice con un pavimento in legno, era innegabilmente il protagonista di quel luogo. Su un lato vi era un lucido piano nero e, poco distanti, alcune semplici sedie in legno che, probabilmente, ospitavano durante le serate altri musicisti.

-Guarda che sorpresa! Brittany sei riuscita a portare con te la donna misteriosa?

Santana sobbalzò sentendo quella voce, per qualche minuto si era guardata intorno come se fossero sole. Ora, guardando alla sua sinistra, si accorse di un lungo bancone scuro e, dietro, Noah Puckerman che sorrideva in maniche di camicia e tenendo un paio di calici vuoti in ogni mano.

Brittany si avvicinò a lui con un sorriso mentre annuiva, passò lentamente una mano sula cravatta di Puck che riposava su uno sgabello poco distante.

-Non riesci a tenerla per più di un'ora!

Puck posò i bicchieri prima di passarsi la mano nel collo.

-Quell'affare mi strangolerà! Giuro, vorrei non doverla mettere!

Brittany rise e l'uomo davanti a lei si sporse per lasciarle un bacio sulla guancia. Santana guardò l'interazione e dovette ammettere che, quelle persone, sembravano essere davvero amici.

-Dov'è Blaine? - chiese allora Brittany.

-Dietro con Kurt. Stanno decidendo la nuova scaletta.

Brittany sospirò.

-Sì, non appena questo matrimonio verrà celebrato! Non vedo l'ora.

Santana dovette sopprimere l'impulso di sbuffare a quell'affermazione. Era vero, Blaine sembrava davvero un bravo ragazzo ma comunque non voleva che niente le ricordasse di quel dannato matrimonio. Per lo meno non appena lei era riuscita a dimenticarlo per almeno una buona mezz'ora.

-Siete voi che avete voluto fare le cose in grande! - sorrise Puck, comprensivo – Io continuo a pensare che occupare il Providence per quasi due settimane sia decisamente troppo!

Brittany mosse la mano elegantemente, come se volesse scacciare quel pensiero.

-Sai che è stata un'idea di Kurt! - spalancò le braccia come per dar maggior enfasi a quel concetto – Ha detto che dovevano saperlo tutti!

-Lo saprebbero tutti comunque anche se avreste provato a sposarvi di nascosto in una chiesetta di campagna!

-Lo so, lo so – sospirò rassegnata.

Puck poi sollevò lo sguardo per fissare Santana che, a sua volta, si guardava intorno ancora con la bocca spalancata.

-E poi c'è la nostra invitata misteriosa!

Santana si voltò accorgendosi che si stava rivolgendo a lei. Si schiarì la voce.

-Sono capitata qui per caso.

-Sì, mi sembra che questo l'hai già detto.

Brittany posò una mano sull'avambraccio di Puck.

-Lascia in pace la nostra ospite – disse sorridendo.

-Posso servirvi qualcosa?

Entrambe scossero la testa, Santana soprattutto perché aveva capito che era meglio smettere di chiedere una birra. Decisamente aveva abbastanza problemi a schivare le domande che tutti sembravano interessati a farle, per aggiungerne altre.

-A che ora apre questo posto? - domandò Santana.

-Oh no, oggi rimarrà chiuso! - esclamò in risposta Brittany.

Santana cercò di nascondere un sospiro deluso, ma Puck sembrò notarlo e sollevò un sopracciglio. Brittany si alzò per andare incontro a Blaine che era spuntato da una piccola porta nascosta nell'ombra. Il giovane sorrise mentre allungava la mano per posarla sulla guancia di Brittany e lasciarle un bacio sulla guancia.

Santana roteò gli occhi e Puck sollevò, ancor di più se possibile, il sopracciglio. Kurt, apparso un attimo dopo, rivolse un rapido gesto di saluto prima di sedersi su uno sgabello al lato di Santana che lo guardò con la coda dell'occhio.

-Vedo che alla fine Brittany è riuscita a portarti davvero al Cotton, donna misteriosa – le disse voltandosi verso di lei.

-Mi chiamo Santana! - sbottò lei cercando di mascherare un certo nervosismo. Forse, pensò, non sarebbe bastato un abito per farla sembrare a suo agio in quel luogo.

O in quel tempo.

-Già... come se non fossi misteriosa – sussurrò Kurt scuotendo la testa e ottenendo un sorriso divertito di Puck.

Brittany, si avvicinò a loro mentre Blaine si dirigeva verso il palco.

-Non scomparirai all'improvviso, vero? - chiese a Santana.

Lei ruotò per poterla guardare. No, questa volta non l'avrebbe fatto. Non subito per lo meno.

-No – rispose con un filo di voce.

Brittany sorrise prima di allungare la mano per posarla sulla sua. Santana la fissò, era davvero vicina, tanto che poteva osservare bene ogni angolo del suo viso. Si ritrovò a trattenere il respiro. Se solo avesse potuto avere davvero una sola possibilità. L'avrebbe sfruttata. Anche se solo fosse stato una notte.

Brittany si morse il labbro mentre le prime note del piano, leggere, danzavano nell'aria. Santana lasciò andare l'aria che aveva trattenuto solo quando si voltò per avvicinarsi al palco.

Quando si voltò Kurt e Puck la fissavano.

-Che c'è? - sbottò infastidita.

Entrambi smisero di fissarla allo stesso tempo senza rispondere, il primo fingendo di sistemarsi il perfetto nodo della sua cravatta blu e il secondo tornando ai suoi bicchieri.

In quel momento Brittany iniziò a cantare e Santana si voltò.

Stavano solo provando ma, per la prima volta, si rese conto che, tutto ciò che le avevano raccontato di quella donna quando saliva su un palco, non le faceva giustizia. Non aveva la più bella voce che avesse mai sentito e, probabilmente, non era nemmeno il suo genere musicale. Se l'avesse ascoltato in macchina si sarebbe quasi sicuramente addormentata al volante andando a sbattere contro la prima palma di Los Angeles. Ma di una cosa, Santana, era sicura: mai aveva visto nessuno muoversi su un palco come quella donna. Sembrava che danzasse sempre, anche quando, semplicemente, muoveva la mano sul legno nero e lucido del piano.

Santana non riuscì a non pensare che, se fosse nata anni dopo sarebbe stata una ballerina fantastica.

La guardò per un tempo che sembrava infinito, anche quando, tra una canzone e l'altra si fermava per scambiare qualche parola con Blaine, anche quando rideva con lui, evidentemente felice, e una morsa di gelosia le serrava lo stomaco. Ma sarebbe rimasta lì, semplicemente a fissarla, sino alla fine dei suoi giorni.

Quando Blaine, finalmente, sfiorò per l'ultima volta i tasti sollevò la testa e si alzò prendendo la mano di Brittany e sorridendole. Scambiarono qualche parola sotto lo sguardo attento di Santana.

-Ora puoi anche chiudere la bocca, sai?

Si voltò di scatto e chiuse le labbra con uno schiocco, fulminando Puck che continuava imperterrito a pulire dei bicchieri, che già risplendevano, e che sembrava divertito della sua stessa battuta. Santana voltò appena la testa per guardare Kurt che, a sua volta, cercava di nascondere un ghigno dentro un bicchiere mezzo vuoto di limonata.

Santana aprì la bocca per parlare ma ci rinunciò quando un pensiero le passò per la testa. Improvvisamente aveva ricordato una cosa che David le aveva raccontato. Sorrise sorniona perché davvero aveva bisogno di bere qualcosa, sentiva la gola secca e se quei due pensavano di avere il coltello dalla parte del manico e di divertirsi alle sue spalle si sbagliavano di grosso. Era il momento di fargli capire che con Santana Lopez non si scherza, perché lei è sempre un passo avanti. Così fece il giro e passò dietro il bancone, Puck la guardò confuso. Lei gli passò dietro e si diresse verso la parete del fondo, coperta da un ridicolo e decisamente poco adatto a quel locale, pannello di legno. Posò la mano indecisa, del resto quello che stava cercando poteva essere ovunque, ma lei era quasi certa che fosse lì.

-No!

L'esclamazione di Puck la fece sogghignare e confermò il suo sesto senso. Così, prima che potesse raggiungerla, spostò il pannello rivelando una porticina semplice di legno. Poi si voltò trovando anche Brittany e Blaine, ormai erano tornati al bancone del bar, che la fissavano a bocca aperta. Li guardò per un attimo.

-Andiamo, non ne posso più di limonata! - sbottò.

-Come diavolo lo sapevi? - chiese Puck lasciando sul bancone il bicchiere che ancora stringeva.

-Ah già non l'hanno mai trovato, giusto? - chiese ironicamente Santana.

Kurt si alzò scuotendo la testa e, mentre passava al lato di Brittany, le posò una mano sulla spalla.

-E tu continui a dire che non è misteriosa? - le chiese.

Santana si voltò per imboccare la porta ma fu trattenuta da Puck che l'afferrò per la vita.

-Sai cosa c'è ma non sai che ci sono degli scalini? Hai intenzione di cadere rovinosamente? Nemmeno l'influenza di Brittany potrebbe trovarti un medico!

Santana aggrottò le sopracciglia confusa ma sentì una mano che si stringeva intorno alla sua e si voltò incrociando quei familiari occhi di ghiaccio che la scrutavano. Puck fece strada iniziando a scendere una decina di gradini stretti sino a una piccola stanza umida che sembrava scavata direttamente nella terra. Spostò una piccola libreria vuota di metallo e aprì finalmente la porta del vero bar.

Santana vide una grande sala con gli stessi tavoli del Cotton, al centro vi era un tavolo da biliardo e sul fondo un altro pianoforte, molto meno elegante. Puck si diresse direttamente dietro il bancone e scosse la testa mentre prendeva una bottiglia squadrata con del liquido ambrato.

Brittany lo seguì, ancora con la mano di Santana tra le sue, e si sedette in uno sgabello. Kurt e Blaine si diressero invece verso il piano.

-Allora, Santana, cosa vuoi bere? - le chiese mentre metteva davanti a Brittany un bicchiere colmo di un liquido arancione.

-Quello va bene per iniziare – rispose immediatamente indicando la bottiglia tra le sue mani.

Puck sembrò confuso, ruotò la bottiglia tra le mani.

-Sì ho capito, ma con cosa lo preferisci?

-Liscio, grazie! Senza ghiaccio!

L'uomo la guardò sempre più indeciso.

-Liscio? Questo? - chiese quasi balbettando.

Santana gli fece un gesto con la mano per confermare. Lui scosse ancora la testa e ne versò un poco in un bicchiere basso.

Finalmente, Santana lo strinse tra le mani con un sospiro soddisfatto. Si guardò intorno accorgendosi che Brittany e Puck la fissavano come in attesa di qualcosa. Pensò di domandare cosa volessero ma sapeva che il suo tono sarebbe stato brusco e lei, per niente al mondo avrebbe voluto essere brusca. Non con Brittany per lo meno! Così forzò un sorriso e sollevò appena il bicchiere in un brindisi muto. E poi bevve.

Iniziò a tossire un attimo dopo. Si sentiva il volto e la trachea in fiamme. Quella roba doveva essere tossica. Era la cosa più forte che avesse mai provato.

-Che diavolo mi hai dato? - chiese finalmente dopo essere riuscita a ritrovare il respiro.

-L'unica cosa che abbiamo e che tu stai sprecando sputacchiandola in giro! - sbottò Puck – Cosa ti aspettavi? E' alcol di contrabbando, praticamente imbevibile!

Le passò un fazzoletto mentre si voltava verso Brittany che la guardava cercando di non ridere in modo troppo incontrollato.

-Ma da dove viene? - le chiese indicando con il pollice Santana – Sembra che sia la prima volta che mette piede negli Stati Uniti!

Brittany, elegantemente, piegò il braccio puntando il gomito sul balcone e poi posando la sua guancia sul palmo aperto, come se volesse fissarla meglio.

-Perché credi che Puck sia il miglior barman? Perché riesce a rendere quella cosa bevibile grazie al suo talento nell'aggiungere altri ingredienti.

Santana la guardò per un attimo mentre Puck le metteva davanti un bicchiere di un colore rossastro che profumava di frutta.

-Tieni, prova così – le disse mentre, scuotendo la testa si allontanava lentamente verso Kurt e Blaine.

Santana prese il bicchiere e se lo rigirò tra le mani indecisa prima di provare a bagnarsi appena le labbra e decidere così che effettivamente era buono. Sorrise mentre si voltava verso Brittany che la guardava con aria concentrata. Santana si sporse appena verso di lei.

-Sei stata incredibile – le disse prima di cambiare idea, del resto era un semplice complimento che doveva ricevere milioni di volte ogni serata.

Brittany sembrò arrossire nonostante la luce tenue di quella specie di cantina perché, pur essendo molto elegante e curata nei dettagli, era pur sempre un buco nel suolo, o almeno questo era ciò che pensava Santana.

-Grazie – rispose a bassa voce distogliendo per un attimo lo sguardo.

-Dico davvero, non ho mai visto nessuno muoversi su un palco così – si fermò per sorseggiare un po' del liquido nel suo bicchiere.

-Pensavo non avresti mai visto il Cotton – sussurrò ancora Brittany.

Santana si morse il labbro.

-Lo pensavo anche io – rispose guardando un punto indefinito, poi spostò gli occhi per incrociare quelli della sua interlocutrice – Ma sono felice di averlo fatto.

-Blaine è un pianista splendido...

Santana scosse la testa infastidita, avrebbe voluto che quell'uomo sparisse per sempre ma, in mancanza d'altro, si sarebbe accontentata di non sentire il suo nome. Almeno sinché poteva stare con Brittany. Almeno per quell'unica serata. Anche se lui era ancora lì e poteva sentirlo ridere ogni tanto di quello che diceva Kurt. Così rapidamente la interruppe.

-Non avevo occhi che per te – per un attimo pensò di aver esagerato, di avere superato una sottilissima ed invisibile linea perché Brittany di nuovo distolse lo sguardo andando a nasconderlo dentro il suo bicchiere.

-Dici davvero? - chiese un attimo dopo e, Santana, riuscì a vedere l'ombra di un sorriso.

Così si sporse ancora un po' verso di lei, scivolando sullo sgabello e facendo in modo che le loro spalle si sfiorassero.

-Assolutamente – sussurrò in risposta, così vicina che non doveva nemmeno preoccuparsi che potesse non sentirla.

In un'altra situazione non avrebbe esitato o dubitato, se fosse stata nel suo mondo e nel suo tempo sarebbe stata certa che Brittany fosse interessata a lei. Ma lì, in quel momento, non era più sicura di niente. Poteva anche aver frainteso completamente ogni segnale. Del resto l'aveva sentita parlare di Blaine e non aveva dubbi che qualcosa di forte li legasse. Così si schiarì la gola e si voltò guardando il suo bicchiere, ma senza allontanarsi. Le piaceva sentire le loro spalle che si sfioravano ad ogni minimo movimento.

-Cosa stai bevendo? - chiese così improvvisamente.

Brittany sembrò stupita di quel cambio repentino, ma si riprese velocemente sollevando il bicchiere nella sua direzione.

-Succo d'arancia! - esclamò.

-Cosa? Siamo in una bisca clandestina sfidando tutte le leggi e rischiando la vita – disse abbassando la voce con un tono cospiratorio – E tu stringi tra le mani del succo d'arancia?

Brittany rise divertita per il tono e l'espressione di Santana ma annuì piano.

-Sì, non mi piace tanto quello – disse indicando con un piccolo gesto della mano il bicchiere tra le mani di Santana.

Questa sorrise mentre lo allungava verso di lei.

-Non puoi dire che Puck sia il miglior barman se non provi quello che crea, giusto?

Brittany sembrò pensarci un po' poi scosse la testa mentre, lentamente, allungava la sua mano per sfiorare le dita di Santana che ancora stringevano il vetro. Per un momento dimenticò la presenza di Blaine e di tutti gli altri. Santana desiderava solo allungarsi appena e poter, finalmente, provare le sue labbra. Perché era davvero vicina.

-Donna misteriosa? Qualcosa mi dice che sai giocare a biliardo!

La voce di Puck la fece sobbalzare e si voltò rapidamente ruotando sullo sgabello. Con la coda dell'occhio le sembrò di vedere Brittany sospirare e, per un attimo, uno soltanto, pensò che anche lei avrebbe voluto ciò che desiderava lei.

-Ti ho già detto che il mio nome è Santana! - disse allungando la mano per stringere la stecca che le porgeva.

Si guardò intorno sentendo gli occhi di Blaine, in piedi al lato del piano, posati su di lei. Scosse la testa mentre si alzava.

-Ma comunque sì. E sono certa di poterti battere anche con una mano legata dietro la schiena!

Puck sollevò un sopracciglio mentre accarezzava il tappeto verde del biliardo e le rivolse un sorrisino di sfida.

-Vediamo se alle tue parole seguono i fatti!

Santana roteò gli occhi prima di voltarsi verso Brittany che, lentamente, beveva un sorso del suo cocktail.

-Torno subito – le disse sogghignando mentre si avvicinava al tavolo.

Puck si spostò per iniziare la partita che, effettivamente finì in brevissimo tempo lasciando l'uomo a bocca aperta.

-Dannazione! - sbottò – Non è possibile!

-Te l'avevo detto, Puck! Potrei vincere anche con una sola mano! - rispose mentre si dirigeva nuovamente verso il bancone notando Brittany che guardava con le sopracciglia corrugate ed un'espressione stranamente concentrata, il fondo del bicchiere ormai semi vuoto.

Puck però le afferrò un polso e la trattenne.

-Eh no! Merito la rivincita! Sono stato un cavaliere e non ho giocato come avrei dovuto per lasciarti una possibilità!

-Certo! - sbottò ironicamente Santana mentre si rigirava – L'ultima! - si arrese.

Nel frattempo anche Blaine e Kurt avevano lasciato il piano per avvicinarsi al tavolo da biliardo, probabilmente intrigati da quella improvvisata sfida.

Santana dovette ammettere, suo malgrado, che Puck non aveva mentito. La seconda fu decisamente più difficile ma, alla fine, sollevò la stecca in aria con espressione di trionfo e si voltò verso Brittany tra le esclamazioni seccate di Puck che veniva amabilmente preso in giro da Kurt.

Santana non se ne curò, l'unica cosa che le interessava era ritornare al suo sgabello al lato di Brittany così le sorrise ma, un secondo dopo, la sua espressione si trasformò in una maschera confusa.

Brittany sembrava avere le palpebre mezzo chiuse e gli occhi un po' spenti. Inoltre aveva un sorriso sghembo e sembrava non riuscire a stare ben dritta sullo sgabello. Santana spalancò gli occhi mentre le si avvicinava rapidamente.

-Brittany? Stai bene? - le chiese sfilandole dalla mano il bicchiere ormai totalmente vuoto.

Questa sollevò lo sguardo e la fissò per un attimo.

-Sì – biascicò alla fine.

-Oh mio Dio! - disse Kurt che era accorso al fianco di Santana – Ha bevuto?

Santana si spaventò per il tono serio.

-Le ho dato il mio cocktail! - disse cercando di non farsi prendere dal panico.

Blaine, nel frattempo arrivò e cinse la vita di Brittany che gli lanciò le braccia al collo come a volersi reggere a qualcosa. Solo allora Kurt scoppiò a ridere seguito da Puck che si era avvicinato per dare una mano a Blaine.

-Mi ha detto che non le piaceva, ma non pensavo che... - provò ancora confusa Santana cercando di scusarsi.

-No, il motivo per cui non si avvicina ai cocktail di Puck è perché ha una bassissima resistenza! - disse sorridendo divertito Blaine.

-Portiamola al Providence, avrà bisogno di dormire e poi è già abbastanza tardi – disse Kurt controllando il suo orologio da taschino.

-C'è la macchina qua fuori – intervenne Blaine – Puck puoi andare e metterla in moto?

Brittany lo guardò andare via e barcollò un poco così, Santana, automaticamente le fu accanto passando la sua mano dietro la schiena per aiutarla a sostenersi. L'altra si voltò ridacchiando e sfilò le sue braccia dal collo di Blaine per circondare quello di Santana posando la sua testa sulla sua spalla.

-Non sei sparita – sussurrò al suo orecchio.

-No – rispose mentre l'aiutava a uscire da quella sala e, con difficoltà, a salire i ripidi scalini.

La macchina era già in moto davanti alla porta del Cotton, Santana si guardò intorno accorgendosi che era notte e che le strade erano, fortunatamente, deserte. Così la fece sedere nel sedile posteriore e la raggiunse immediatamente. Quando la cadillac partì con un rumore che avrebbe potuto svegliare tutta la cittadina, Santana decise che non era poi così comoda come sembrava vista da fuori. Decisamente erano meglio le macchine moderne.

Il tragitto sino al Providence fu breve e, quando entrarono nella hall c'era solo un giovane dipendente all'ingresso che, non appena vide Brittany e si accorse che, evidentemente, non si reggeva da sola, spalancò gli occhi e sparì dietro una porta fingendo di non aver visto niente.

-Perché siamo qui? - domandò Santana immediatamente – Non sarebbe stato meglio portarla a casa?

-Stiamo qui sino al matrimonio! - rispose Blaine – Pensavo lo sapessi – aggiunse lanciandole un'occhiata.

-Sì, sì certo.

Kurt aveva raggiunto l'ascensore e tirato la lucida grata di metallo nero per farli entrare e, questa volta, Santana non pensò nemmeno per un attimo di rifiutarsi di salire. Non avrebbe potuto certo lasciare Brittany sola, non quando lei la stringeva come se fosse la sua unica ancora in quel mondo. Così, troppo impegnata a pensare alle dita di Brittany che, forse, si muovevano leggere accarezzandole la schiena, non si accorse sino all'ultimo istante che erano ormai giunti davanti alla porta della stanza dove erano diretti. Santana smise di respirare quando si rese conto che era la 314. Quasi urlò un secco “no” quando Kurt l'aprì, ma riuscì a trattenersi e, con le gambe che le tremavano si avvicinò al letto per posare Brittany sul materasso.

La mente di Santana correva come impazzita mentre i suoi occhi corsero verso l'armadio, ben chiuso, alla ricerca di una via d'uscita. Come avrebbe potuto andare via?

E se fosse rimasta bloccata lì? Se la maniglia fosse scomparsa perché lei aveva trascorso troppo tempo dall'altra parte?

Le gambe cedettero e si trovò, senza volere, seduta sul materasso, così vicina a Brittany che ridacchiò mentre si voltava su un fianco verso di lei e le posava la mano sulla sua. In un altro momento, probabilmente, avrebbe dovuto sopprimere un brivido. Ma l'unica cosa sulla quale riusciva a concentrarsi era respirare. Inspirare ed espirare. Per evitare che il panico prendesse il sopravvento.

-Bene! Siamo arrivati sani e salvi! - esclamò Kurt.

Blaine si guardava intorno indeciso, si passò una mano sulla nuca.

-Pensi che sia il caso di lasciarla sola? - domandò a Kurt che si strinse nelle spalle.

Santana sollevò lo sguardo improvvisamente aveva trovato qualcosa che la distraesse dai suoi cupi pensieri.

-Lasciarla da sola? - chiese secca.

-Sì, non sono sicuro se sia il caso che vada nella mia stanza – spiegò meglio.

Santana corrugò le sopracciglia.

-Non è questa la tua stanza?

-Certo che no! - esclamò in risposta cercando di non ridere.

Kurt si schiarì la voce e Blaine lo guardò un attimo poi si rivoltò di scatto verso Santana ed iniziò a gesticolare rapidamente.

-Voglio dire... non siamo sposati!

-Capisco – disse lentamente Santana guardandolo con attenzione.

-Resta tu – biascicò piano Brittany con voce lievemente impastata.

-Non ti dispiace? - chiese Blaine – Puoi rimanere almeno sinché non si addormenta.

Santana annuì piano senza guardarlo. La sua attenzione era decisamente rivolta verso le dita pallide di Brittany che accarezzavano piano le sue. Si morse il labbro domandandosi se fosse davvero quello che sembrava e, soprattutto, perché Blaine non sembrasse farci caso per niente. Forse era davvero tutto nella sua mente e, semplicemente, era un qualche riflesso involontario, probabilmente Brittany non si rendeva nemmeno conto di quello che stava facendo.

Sicuramente non se ne rendeva conto.

Si voltò solo quando sentì un rapido saluto dei due uomini e la porta che si chiudeva. In quel momento il suo cuore riprese a battere violentemente. Era la sua occasione per controllare se ancora aveva l'opportunità di tornare indietro.

Si mosse decisa ma la mano di Brittany si strinse per trattenerla.

-Non andare – sbottò.

-Io... - provò a dire qualcosa.

-Non ancora – la interruppe.

Così Santana ruotò il busto e Brittany le lasciò libera la mano. Le spostò una ciocca di capelli dal viso e la vide sorridere, anche se con gli occhi chiusi. Allora, con la punta delle dita percorse ogni lineamento di quel viso. Lo fece a lungo sinché improvvisamente Brittany aprì gli occhi fissandoli nei suoi. Santana fu colta di sorpresa perché aveva immaginato che si fosse ormai addormentata.

-Sparirai di nuovo – sussurrò.

E Santana scosse la testa, anche se sapeva che era vero, anche se sapeva bene che non era una domanda.

-No, io...

Ma, di nuovo non riuscì a dire niente perché la mano di Brittany si posò sul suo avambraccio accarezzandolo piano.

-Non mentirmi.

Santana non sapeva se, la mattina dopo, avrebbe ricordato qualcosa. Ma, in quel momento non le importava. Semplicemente non voleva mentirle e così decise di non dire niente.

Brittany chiuse di nuovo gli occhi e sembrò rilassarsi tra i cuscini. Santana la fissò mentre la sua mano, quasi per volontà propria, riprese a passeggiare sulla sua pelle e i suoi occhi la seguivano.

Risalì il braccio passando sulla scapola scoperta e poi sul collo sino agli zigomi. Accarezzò quelle palpebre chiuse e poi, piano, scesero appena, finché il pollice non passò un paio di volte sulle labbra sottili.

Santana si morse il labbro, quasi ipnotizzata, avrebbe potuto inclinarsi appena e sostituire il polpastrello con le sue labbra. Era sicura che erano dolci, anche con quel lieve retrogusto di quel cocktail fruttato che lei era riuscita appena ad assaggiare. Inconsciamente si inclinò appena. E Brittany aprì di nuovo gli occhi.

-Puoi farlo – sussurrò e il suo respiro si infranse sul polpastrello di Santana che riposava immobile sulle sue labbra.

In quel momento si rese conto che era davvero vicina e che avrebbe potuto farlo. Bastava un solo passo.

Ma si rese conto che non poteva. Non avrebbe mai potuto approfittare di quella situazione perché avrebbe voluto con ogni fibra del suo essere poterla baciare. Ma non così.

Allora le sorrise e spostò la mano per posare tutto il palmo sulla sua guancia. Brittany chiuse di nuovo gli occhi e mosse il volto, quasi volesse, ampliare quel contatto. Sospirò piano e, a poco a poco, si rilassò e il suo respiro si fece regolare.

Santana non sapeva quanto tempo fosse passato. Semplicemente rimase lì, finché non fu certa che fosse caduta in un sonno profondo. Poi si alzò ed aprì la porta dell'armadio tirando un involontario sospiro anche se non era sicura che fosse di sollievo o di delusione. La maniglia luccicava davanti a lei. Ma si fermò e si voltò per guardare Brittany, per essere certa di poterla lasciare. Poi chiuse gli occhi mentre la sua mano si stringeva intorno al metallo.

 

 

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Nuovo capitolo. Tutto ambientato nel 1925 e finalmente abbiamo fatto un giro al Cotton. Spero vi sia piaciuto, a me personalmente non dispiace ma ovviamente l'insindacabile giudizio è di chi legge.

E, parlando proprio di questo, grazie a tutti! Grazie per leggere, per inserire la storia tra preferiti, seguiti e ricordati, grazie per le splendide recensioni.

Un abbraccio e a presto.

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Capitolo 7
*** Emily L. Robertson ***


 

Emily L. Robertson

 

Santana non riuscì a riposare quella notte. Per quanto ci provasse disperatamente, l'unica cosa che riuscì ad ottenere fu di rischiare di cadere dal letto almeno un paio di volte mentre si rigirava tra le lenzuola, mentre cercava di convincersi che, tornare indietro per controllare che Brittany stesse bene, non fosse una buona idea. Per questo fu grata alla luce del sole che le diede una buona ragione per alzarsi definitivamente accorgendosi che delle profonde occhiaie dimostravano quanto quella notte fosse stata lunga per lei.

Dopo una lunga doccia decise di uscire per bere un caffè nero e bollente ma, un attimo prima di voltarsi verso la porta, la sua attenzione fu richiamata dalla maniglia che splendeva, luccicante come sempre. Così si avvicinò lentamente. Brittany stava nella sua stessa stanza. Ma com'era possibile che non avesse visto la maniglia? Si morse il labbro pensierosa domandandosi se fosse possibile che, per una volta, fosse proprio Brittany a passare dalla sua parte. Scosse la testa con una smorfia. Non sapeva niente di quel posto, non sapeva come fosse possibile per lei tornare indietro e non sapeva nemmeno se fosse l'unica persona ad esserci riuscita.

Ma quello non era il vero problema. Attualmente la cosa che più la preoccupava era che non aveva idea di come ottenere maggiori informazioni. Certo sarebbe potuta scendere nella hall e suonare il piccolo campanello che aveva quel suono così metallico, e attirare così l'attenzione di quel vecchio dipendente. Ma cosa avrebbe potuto dirgli per non essere presa per una pazza psicopatica?

Nella mia stanza c'è una maniglia che mi fa viaggiare all'anno 1925, sa come sia possibile?

No, decisamente non era una possibilità. Si massaggiò le tempie cercando di concentrarsi. Sarebbe impazzita. Ne era certa.

Prima che tutta questa faccenda fosse finita, la sua mente avrebbe alzato bandiera bianca e l'avrebbe abbandonata.

Ma quel pensiero la condusse, per la prima volta a un altro che, inconsciamente, aveva evitato sino a quel momento.

Come finirà questa storia?

Per un attimo mentì a se stessa e si disse che non lo sapeva. Che non poteva saperlo, doveva prendere tutto come una vacanza un po' fuori dagli schemi. Ma poi, la risposta apparve con chiarezza davanti a lei. Sarebbe andata via, sarebbe tornata a Los Angeles e al suo lavoro. E tutto quello si sarebbe trasformato in un semplice aneddoto che non avrebbe mai potuto raccontare a nessuno. Perché era ovvio che quello era ciò che sarebbe successo.

Non c'è futuro.

Una lieve risata, forse lievemente isterica, lasciò le sue labbra a quel pensiero. Perché probabilmente la frase giusta sarebbe dovuta essere che non c'era passato. Non per lei. Non certo con Brittany.

Per quanto l'idea di non vederla mai più le creasse un lieve dolore al petto che, lo sapeva, poteva essere solo un agognare qualcosa che non poteva essere. Che non sarebbe mai potuto avvenire.

Così si voltò e uscì dalla sua stanza con passo deciso. Scese le scale e arrivò nella hall fermandosi davanti alla foto in bianco e nero di Brittany. Le piaceva guardarla, le piaceva colorarla mentalmente.

-Signorina Lopez?

Si voltò trovando il solito anziano dipendente che, con gesto automatico, sollevava gli occhiali a mezzaluna che erano scivolati sulla punta del suo naso. Così fece un paio di passi nella sua direzione in attesa. L'uomo passò la mano sul registro che mostrava i nomi degli ospiti e le date.

-Volevo solo sapere se domani mattina avrà bisogno di un taxi.

Santana spalancò gli occhi. Si era totalmente dimenticata che quella era la sua ultima giornata lì. Almeno ufficialmente.

Così fissò il vuoto per un istante pensando che, forse, quello era un buon momento per andare via. Sarebbe sparita improvvisamente dalla vita di Brittany, una vita in cui non sarebbe nemmeno dovuta entrare. Certo non avrebbe avuto risposte a nessuna delle sue domande. Ma, forse, quelle non le avrebbe mai avute comunque.

E, a volte, era meglio così.

Ma poi si ricordò una cosa. Brittany le aveva chiesto di non mentirle e, anche se probabilmente non avrebbe nemmeno potuto mai dirle la verità, decise che almeno una cosa gliela doveva. Così fece un solo passo avanti.

-Ho deciso di rimanere qualche altro giorno – disse decisa.

L'uomo davanti a lei non si mosse né disse niente.

-Vorrei rimanere sino al dieci ottobre.

Il vecchio inclinò il capo, come se stesse valutando qualcosa. Poi abbassò lo sguardo e iniziò a scrivere qualcosa nel grosso registro.

-Solo sino al dieci. La mattina dopo dovrà andare.

Santana aggrottò un poco le sopracciglia, quasi confusa di quello che sembrava un ultimatum a tutti gli effetti. Si schiarì la voce prima di parlare timidamente.

-E se decidessi di restare qualche altro giorno?

L'uomo alzò la testa e la scosse lentamente.

-Temo che non sarà possibile. L'hotel chiude per la stagione invernale, non c'è più tanto lavoro.

Santana distolse lo sguardo. Dunque quello era davvero il massimo che avrebbe potuto ottenere.

-Il tempo finisce. Prima o poi – aggiunse il vecchietto prima di sparire dietro la solita porta scura.

Santana fissò il legno per un tempo infinito e poi, semplicemente, si voltò per uscire all'aria aperta.

La mattinata passò velocemente mentre passeggiava vicino alla spiaggia, assimilando ogni dettaglio e confrontandolo con quello che aveva visto. Il passato di quel luogo non poteva essere comparato in nessun modo con quello che vedevano ora i suoi occhi. Tutto era così diverso che quasi non sembrava lo stesso posto. Anche la luce pareva diversa. Più stanca quasi.

Si rese conto che era in ritardo per il suo appuntamento con David solo quando ormai era troppo tardi. Così si diresse, senza troppe aspettative, verso il Providence e, con sua grande sorpresa, si accorse che il ragazzo era ancora lì, seduto su una panchina con gli occhiali da sole che coprivano il suo sguardo. Lo raggiunse con un sorriso sincero, alla fine sembrava che volesse con tutte le sue forze restituirle la fiducia che aveva perso per gli esseri umani.

-Straniera! In ritardo come mi aspettavo – le disse senza nemmeno provare ad alzarsi.

Così Santana si sedette al suo fianco.

-Sai com'è, una signora deve sempre farsi attendere!

David sbuffò.

-Mi merito che tu riveda la tua idea di non farmi salire nella tua camera? - domandò con un tono falsamente speranzoso.

-No. Ma puoi ancora portarmi a pranzo! - disse alzandosi e porgendogli la mano.

Lui sollevò gli occhiali, roteò visibilmente gli occhi e, finalmente, le prese la mano per alzarsi.

-E nonostante questo dovrò offrirti il pranzo! - sbuffò ghignando.

-Andiamo, ho davvero fame! – lo incitò.

Così si diressero verso l'ennesimo piccolo locale che fiancheggiava il lungomare e presero posto. Santana si guardò intorno accorgendosi che era davvero molto simile al posto dove l'aveva portata a fare colazione pochi giorni prima. Aveva dei piccoli divanetti di colori pastello anni cinquanta e dei tavolini quadrati bianchi. Sul fondo un lucido e colorato juke box, probabilmente originale, richiamò la sua attenzione mentre Dave le porgeva un menù.

-Fossi in te prenderei l'insalata di granchi – le disse.

-Ti piacciono proprio questi posti! - cambiò argomento Santana senza nemmeno guardare il menù, aveva già deciso di accettare il suo consiglio.

David si strinse nelle spalle, richiamò il cameriere e ordinò per entrambi prima di voltarsi.

-Sì, amo questi posti! Mi sarebbe piaciuto vivere negli anni cinquanta! - esclamò.

Santana annuì mentre ringraziava un secondo cameriere che aveva posato davanti a loro i bicchieri colmi di una bibita fredda.

-Dici sul serio?

-Certo! Tu non hai mai desiderato vivere in un altro tempo? - chiese a bruciapelo.

Santana iniziò a tossire mentre posava sul tavolo il bicchiere dal quale aveva appena bevuto un sorso.

-No! - esclamò con voce strozzata tra le risate di David.

-Sicura? Dalla tua reazione sembrerebbe il contrario!

Santana avrebbe voluto rispondere ma il cameriere li interruppe nuovamente posando i piatti. Così iniziarono a mangiare scambiandosi poche battute di cortesia a proposito del fatto che la cucina di Newport era davvero ottima.

-Sai, mio nonno diceva sempre che gli anni ruggenti sono stati il miglior momento per Newport. Ma non sono d'accordo! Che noia doversi nascondere per un pessimo bicchiere di whisky! - disse improvvisamente Dave mentre posava la forchetta nel piatto.

-Già, tuo nonno – sussurrò improvvisamente interessata.

-Ne parlo troppo?

-No, no – si affrettò a rispondere lei.

Da una parte voleva sapere di più. Voleva che David le raccontasse tutto ciò che sapeva. Ma, d'altra parte, sentiva che era sbagliato. Come se volesse scoprire quelle persone a poco a poco.

Anche se il tempo stava finendo.

Spostò lo sguardo lottando contro i suoi stessi, contrastanti desideri. In quel momento uno dei clienti si alzò giocando con una moneta e dirigendosi verso il juke box. Santana lo guardò pigramente mentre lo vedeva inserire la moneta e premere un paio di tasti per far partire la canzone che aveva scelto.

-Hai conosciuto anche i suoi amici? - domandò improvvisamente.

-Gli amici di chi? - chiese a sua volta David.

-Di tuo nonno – sbottò lei.

David rise mentre le prime note si muovevano piano nel locale.

-Curioso che tu lo chieda! Sì. Lui aveva dei punti fermi nella sua vita. A volte sembravano una famiglia allargata!

Santana si sporse verso di lui e si morse il labbro. L'uomo che aveva appena messo la canzone le passò al lato fischiettando.

-Anche Brittany Pierce? - chiese incapace di trattenersi.

David fece una strana smorfia e si appoggiò allo schienale.

-Brittany Pierce – disse a voce bassa – Mio nonno non ne parlava volentieri, ma quando lo faceva aveva sempre un sorriso sulle labbra.

Santana aggrottò le sopracciglia. Non capiva bene quella risposta. L'aveva conosciuta o no? E cos'era quella strana smorfia? Certo, se quello stupido cliente avesse smesso di fischiettare quella canzone, forse, sarebbe riuscita a pensare in modo più coerente. Invece l'unica cosa sulla quale sembrava concentrarsi la sua mente era quella melodia.

Dannazione!

Santana si voltò di scatto verso il tavolo. Quell'uomo continuava a fischiettare mentre la donna davanti a lui canticchiava le parole. E lei le conosceva. E l'aveva sentita da poco, più volte.

-Yesterday – sussurrò mentre finalmente capiva che cosa fosse.

-Sì, Beatles. La conoscono tutti – disse confuso David dall'improvviso cambio di argomento.

Santana si voltò verso di lui con gli occhi spalancati. Perché aveva ragione, la conoscevano tutti. Anche Quinn. Era quella la melodia che fischiettava ogni volta.

Dannazione!

Perché non poteva conoscerla. Non nel 1925! E fu allora che capì.

Si alzò di scatto e afferrò per il colletto della camicia David che soppresse un'esclamazione sorpresa mentre veniva trascinato fuori dal locale riuscendo a mala pena a lasciare un paio di banconote sul tavolo e urlare al cameriere di tenere il resto.

-Cosa diavolo ti è preso? - le domandò mentre cercava di tenere il suo passo.

-Dobbiamo andare nella biblioteca! Quella stronza mi ha preso per idiota! Pensa quanto deve essersi divertita! - quasi sbraitò.

-Di cosa stai parlando? - insistette David.

Santana si fermò di scatto e lo guardò.

-Hai parlato di una maledizione della stanza 314?

-Sì, ma è una stupida leggenda per attirare turisti e non...

-E hai detto che ci sono articoli sull'argomento?

-Sì. Credo che ci sia uno speciale del Newport Tribune di un paio d'anni fa, ma non...

-Ho bisogno di trovarlo! - chiuse la conversazione Santana dirigendosi a passo spedito verso la poco distante biblioteca.

David la guardò per un istante poi, accorgendosi che non accennava a rallentare per aspettarlo, la seguì correndole dietro fino a raggiungerla. Non scambiarono nessuna parola sinché non raggiunsero la porta della biblioteca, la attraversarono e si trovarono davanti la bibliotecaria che, non appena vide Santana fece una smorfia di disapprovazione.

-Signorina si è persa di nuovo? - le disse seccamente.

-Non mi sono persa nemmeno la prima volta – iniziò puntandole un dito contro e con aria aggressiva – E sono qui per...

-Miss Martin. Oggi è più raggiante del solito! - la interruppe David facendo un passo avanti per prendere la mano della donna e dedicarle uno dei suoi sorrisi.

Questa sorrise da orecchio a orecchio e sembrò addolcirsi immediatamente.

-Dave! Sei il solito cavaliere – ridacchiò come una ragazzina.

Santana roteò gli occhi.

-Io e la mia amica ci chiedevamo se può essere così gentile da lasciarci dare una rapida occhiata agli archivi del Tribune!

-Oh ma naturalmente! Sarà un piacere! Seguitemi!

David si voltò facendo l'occhiolino a Santana e, pochi secondi dopo, si trovarono immersi nella oscura atmosfera della stanza dedicata all'archivio del giornale. Si misero subito al lavoro con grosse difficoltà visto che non erano certi di cosa stessero cercando.

-L'ho trovato! - esclamò improvvisamente David mentre Santana stava per infilare per l'ennesima volta, la testa dentro uno degli armadi di metallo.

Lo raggiunse immediatamente e prese il giornale dalle sue mani. Lesse la prima pagina rapidamente nella quale si spiegava, a grandi linee e con l'intento che il tutto risultasse misterioso, la sparizione di cinque persone. Non avevano niente in comune, se non che l'ultimo posto dove erano stati alloggiati era il Providence e, curiosamente, tutti erano stati nella stanza 314.

Santana girò la pagina e si trovò davanti cinque foto. Ma solo una attirò davvero la sua attenzione. Una foto a colori di una donna che lei aveva visto, con cui aveva parlato. Era Quinn Fabray. Non aveva dubbi. Lesse il trafiletto sotto la foto.

Emily L. Robertson, scomparsa il 27 settembre del 1979, all'età di 21 anni.

Santana spalancò la bocca confusa. Il nome non corrispondeva. Ma era lei. Ne era certa. L'avrebbe riconosciuta tra mille. Ma milioni di altre domande si accavallavano nella sua mente.

David si avvicinò e puntò il dito sulla foto.

-Curioso, questa donna assomiglia davvero tanto a mia nonna da giovane!

Santana si riscosse e guardò il ragazzo al suo fianco. Scosse la testa.

-Non sai quanto hai ragione!

Poi si alzò e si diresse verso la porta. Aveva davvero troppe domande e decisamente la sua pazienza era finita. E c'era una sola persona che potesse davvero darle delle risposte. Qualcuno che era stato già nella 314. Qualcuno che era già tornato indietro.

Quinn o Emily o qualunque sia il tuo nome... mi devi davvero tante risposte.

 

 

Quando raggiunse la sua stanza non si fermò nemmeno per un attimo a pensare, afferrò la maniglia e chiuse gli occhi. Quando li riaprì si guardò intorno trovando la stanza completamente vuota. Si accorse immediatamente che la prima cosa che sentì fu delusione. C'era una parte di lei che avrebbe voluto trovare Brittany lì, magari ancora addormentata. Ma c'era solo il letto così perfetto che, per un momento, penso di aver immaginato ciò che era accaduto la notte prima.

Ma non poteva fermarsi, non quella volta, non a pensare a quel bacio mancato. Anche se, forse, non avrebbe avuto nessun'altra opportunità. Così si voltò e uscì dalla stanza. Quando arrivò al pian terreno si rese conto che, a quell'ora, vi erano davvero molte meno persone e che, tutte, le lanciarono occhiate molto meno discrete questa volta. Ma non aveva il tempo per pensarci. Aveva bisogno di trovare Quinn Fabray e sapeva che avrebbe potuto essere decisamente più diretta senza temere di essere presa per pazza.

Vide un giovane, dietro al lucido bancone della hall, e si diresse verso la sua direzione.

-Mi scusi – chiamò per attirare la sua attenzione – Vorrei sapere dove si alloggia la signorina Quinn Fabray.

Il giovane si voltò con un sorriso cortese che sparì immediatamente appena i suoi occhi si posarono su Santana.

-Togli le tue luride mani da qui! - disse con tono basso, evidentemente per non attirare l'attenzione degli altri clienti, ma irato – Stupida sudaca, come sei entrata qui?

Santana fece un passo indietro con gli occhi spalancati e staccando le mani dal legno del bancone quasi scottasse. Il ragazzo si mosse, come se volesse colpirla o spintonarla via, era rosso in volto per l'ira repressa e gli occhi erano diventati delle piccole fessure scure.

-Io veramente sono un ospite del... - provò a balbettare ma, per la prima volta in vita sua si rese conto che non aveva parole.

-Bugiarda! In questo posto non sono ammessi animali!

In quel momento Santana, fissando gli occhi luccicanti d'odio di quel giovane, capì cosa significasse avere paura. Sapeva che l'avrebbe potuta colpire da un momento all'altro, gli sarebbe bastato allungarsi appena ed era quasi certa che nessuno avrebbe mosso un solo dito per aiutarla. Chiuse gli occhi mentre il cuore le rimbombava nelle orecchie.

-Santana, c'è qualche problema con questo giovanotto?

La voce di Quinn le sembrò la melodia più dolce che avesse mai sentito. Riaprì gli occhi incontrando quelli del ragazzo che sembrava perplesso e infastidito allo stesso tempo. Ma si era zittito serrando le labbra, anche se poteva vedere il suo pugno chiuso stretto come una morsa.

Si rese conto che tutti stavano aspettando qualcosa da lei così provò a balbettare qualche parola.

-Io... - ci pensò cercando di trovare qualcosa che potesse aiutarla – No – si arrese in un sussurro – Non c'è nessun problema.

-Bene – disse Quinn avvicinandosi al giovane – Tu devi essere quello nuovo, giusto?

Lui si limitò ad annuire ancora rosso in volto e con quella smorfia di disgusto chiara come il sole mentre continuava a guardare Santana.

-Allora è meglio che impari a trattare gli ospiti del signor Anderson e della signorina Pierce – continuò serrando le labbra e strappando un sussulto preoccupato del giovane – La signorina Lopez ha fatto un viaggio lungo da New Orleans. Non credi?

Il ragazzo abbassò lo sguardo mentre annuiva ancora.

-Non succederà più signorina Fabray.

Questa lo fissò per ancora un lungo istante prima di afferrare per un braccio una attonita Santana e trascinarla lungo le scale.

-Io non vengo da New Orleans – biascicò con poca convinzione e senza nessun motivo preciso quando giunsero al secondo piano.

Quinn si voltò, la fissò da capo a piedi e poi scosse la testa.

-No, decisamente no – annuì – Ma è quello che ha detto Blaine agli ospiti dell'hotel per giustificare la tua presenza.

-Giustificare la mia presenza? - Santana improvvisamente sembrò ritrovare tutto il suo vigore mentre la paura che sino a pochi attimi prima l'aveva bloccata sembrava sciogliersi sotto la consapevolezza di cosa le fosse appena successo.

Quinn la guardò ancora e serrò le labbra per un istante.

-Tu non hai idea di dove sei finita – sussurrò – E indossi anche dei pantaloni! Come se non attirassi abbastanza gli sguardi da queste parti – sbottò voltandosi e percorrendo un paio di passi fino alla porta di quella che doveva essere la sua porta.

-E tu invece lo sai dove sei finita, Emily? - chiese a bruciapelo, la sua pazienza era davvero finta.

Quinn si voltò piano e la guardò negli occhi, non sembrava per niente sorpresa.

-Ce ne hai messo di tempo, però almeno vedo che hai fatto indagini – sospirò prima di spostarsi appena ed indicare la porta aperta – Entra, dobbiamo parlare.

Santana la seguì dopo un attimo d'esitazione, con la coda dell'occhio vide un uomo che scendeva le scale e che si fermò per lanciarle un'occhiata. E questa volta vide perfettamente che si trattava di disapprovazione e rivide tutte le volte che era passata dall'altra parte, tutte le volte che qualcuno aveva posato gli occhi su di lei. Con quello stesso sguardo.

-Come è possibile? - domandò immediatamente appena raggiunse Quinn e la porta fu chiusa.

Questa si strinse nelle spalle.

-Io ho una teoria, ma forse è meglio che partiamo dall'inizio, non credi?

-Bene! Parliamo del fatto che mi hai trattata da idiota!

Quinn non nascose un sorriso e l'accompagnò con un gesto pigro della mano.

-Solo un po' – disse – Volevo solo vedere quanto tempo avresti tardato a capirlo.

Santana roteò gli occhi infastidita.

-Ti sembrava una buona idea immagino. Almeno ti sei divertita?

Quinn divenne immediatamente seria.

-Non ti ho perso di vista. Sei stata fortunata ad essere piombata qui nel mezzo di quella festa – fece una pausa come se stesse cercando le parole adatte – Nessuno ha avuto il coraggio di sbatterti fuori dall'hotel. E credimi, sono sicura che più d'uno ha pensato di farlo.

-Perché? - domandò a bocca aperta.

Quinn sospirò e distolse lo sguardo mentre la indicava.

-Per i tuoi capelli troppo neri? Per i tuoi zigomi troppo marcati? Per la tua pelle troppo scura? Per il fatto che le tue origini ispaniche sono evidenti?

-E questo cosa vuol dire? - sbottò in un misto di rabbia e paura al ricordo della reazione di quel giovane nella reception.

-Vuol dire che tu non sai niente! Immagino ti sia concentrata solo sui bei colori, sul profumo di sale nell'aria e su quanto sia splendida Newport – disse con forza prima di prendere un respiro e calmarsi – Ma le persone, beh quelle non cambiano in qualunque posto e in qualunque tempo. Non sono mai perfette.

Santana la guardò ancora indecisa. Capiva bene cosa volesse dirle ma, forse, non voleva crederci.

-Legalmente avrebbero potuto chiamare la polizia e farti arrestare. O, peggio, buttarti fuori e colpirti. E nessuno avrebbe detto niente – sbottò Quinn cercando di essere brutalmente onesta.

-Perché non l'hanno fatto? - domandò allora Santana.

-In parte perché nessuno ha avuto il coraggio di rischiare di rovinare la festa del signor Anderson – disse con un sorriso quasi malinconico – Diciamo che è una persona abbastanza eccentrica, lui e Brittany lo sono. Il resto è stata fortuna e, diciamolo, il mio intervento è stato fondamentale!

-Il tuo intervento? - balbettò Santana confusa.

-Ho chiesto io a Kurt di avvicinarsi a te non appena ti ho vista, così che gli altri ospiti si tranquillizzassero ed avessero la conferma che tu fossi solo un'altra invitata. Per quanto insolita.

Santana sembrò pensarci un po' su e poi strinse le labbra.

-Grazie, suppongo – si fermò giocando con le sue dita – E perché Kurt ti ha dato retta.

-Perché, in un modo o nell'altro, sa cosa significa essere diversi in questa società. Come lo sanno Blaine e Brittany – si fermò ponderando le parole – Come lo so io.

-Diversi? - sbuffò Santana ironicamente – In cosa?

Quinn alzò lo sguardo fissandolo in quello scuro della donna in piedi davanti a lei. Scosse la testa.

-Non dovresti farti accecare dalle apparenze. Qui tutti chiudono un occhio. Perché è più facile farlo per persone bianche, ricche e famose. Ma questo non vuol dire che tutto sia esattamente come sembra.

-In cosa è diversa Brittany? - probabilmente non era la domanda adeguata, almeno non rivolta a Quinn. Avrebbe dovuto trovare il coraggio di chiederlo alla diretta interessata. Ma la curiosità ebbe il sopravvento anche su ciò che sapeva essere giusto e ciò che no.

Quinn sorrise inclinando la testa, per niente sorpresa di quella domanda.

-E' stata buttata fuori casa dal padre. E, anche se non ha vissuto con Blaine, tutti sanno che è scappata con lui. Se non fosse così famosa qui non verrebbe perdonata.

Santana si morse il labbro. Ebbe come l'impressione che qualcosa non fosse stato detto, come se Quinn ancora stesse giocando con lei. Come se ci fosse qualcosa che aleggiava nell'aria.

-E Blaine? - chiese allora.

Quinn scosse la testa.

-Stai facendo a me troppe domande che andrebbero fatte a loro – tagliò corto immediatamente.

-E tu? - domandò allora.

-Io non appartengo a questo posto.

-Ma sei rimasta! - sbottò Santana – Potevi tornare indietro e non l'hai fatto!

Quinn annuì lentamente.

-Potevo farlo, sì. In qualunque momento. Ma ho deciso di rimanere qui. Era la scelta migliore.

-Quando è successo?

Quinn girò intorno alla scrivania sulla quale riposava carta e una penna stilografica nera con al lato una piccola bottiglietta colma di inchiostro.

-Ti racconterò la mia storia, Santana. Per quanto possa sembrare davvero incredibile – poi fece una pausa come per valutarla e scoppiò a ridere – Ma credo tu sia l'unica che possa credermi.

Santana annuì divertita. Niente di ciò che avrebbe potuto raccontarle l'avrebbe stupita. Così si sedette sul letto mettendosi comoda e, Quinn, prese quel gesto come un segnale per iniziare il suo racconto.

-Avevo appena compiuto 21 anni quando i miei genitori morirono in un incidente d'auto. Mio padre si schiantò contro un albero con il suo nuovo giocattolino sportivo. Morirono sul colpo.

-Mi dispiace – disse in automatico Santana pur essendo consapevole di quanto quelle parole fossero vuote.

Quinn infatti scosse la testa.

-Io ero solo una ragazzina viziata – si fermò fissando un punto lontano – In realtà lo era Emily Robertson. Mio padre era un pezzo grosso e io avevo un credito illimitato dovunque volessi. O almeno era quello che pensavo.

Santana si morse il labbro cercando di immaginare quella donna che sembrava così forte e decisa, come una semplice ragazzina viziata come si descriveva. Ma ci rinunciò immediatamente e si concentrò nuovamente sul suo racconto.

-Mio padre era coperto di debiti – continuò in un sussurro – Niente ormai ci apparteneva più, né le case, né le auto. L'unica cosa che avevo erano circa cinquantamila dollari in contanti che mia madre mi aveva obbligato a nascondere.

-Dev'essere stato abbastanza sconvolgente.

Quinn rise.

-Non immagini quanto! Sono cresciuta più in fretta nei tre giorni tra il loro incidente e il funerale che negli anni precedenti. Soprattutto quando ho scoperto che mio padre aveva contratto debiti anche con un gruppo di delinquenti. Così scappai. Presi i contanti e me la diedi a gambe arrivando al Providence per puro caso.

-E finisti nella stanza 314. Immagino che la maniglia abbia attirato la tua attenzione così come ha fatto con me.

-Immediatamente! - annuì con forza – Ho capito subito cosa succedeva. E ho deciso che poteva essere la miglior fuga che potessi trovare. O quello o buttarmi dalla scogliera di Newport!

-Sei rimasta subito? - domandò a bocca aperta Santana.

-No, no – si affrettò a dire Quinn negando con la testa – Ma l'ho deciso subito, nell'esatto momento in cui ho capito che non era un sogno. Così sono tornata indietro e ho passato quasi dieci giorni falsificando documenti e trasformandomi in Quinn Fabray.

-Cosa? - a quel punto Santana non riuscì a nascondere il rispetto per la donna che aveva davanti, si era dimostrata molto più pragmatica di lei.

-Sì, grazie a un simpatico responsabile del vecchio museo locale. E' stato facile. Mi ha aiutata anche a trovare un'enorme quantità di denaro con valore legale negli anni venti! Lui pensava mi servisse per ragioni di studio o qualcosa del genere.

-Quando sei arrivata? - domandò improvvisamente Santana.

-Sono passata definitivamente, senza guardarmi indietro, il 27 settembre del 1920.

Santana era incredula.

-Cinque anni fa?

L'altra annuì piano.

-Credo che per ogni persona sia diverso... - iniziò ma Santana sollevò la mano per fermarla.

-Io arrivo dal 2013.

Per la prima volta qualcosa sembrò prendere di sprovvista Quinn che spalancò gli occhi e la bocca per un lungo attimo e, Santana, non trattenne un sorrisino divertito. Poi la sua espressione si rilassò e si passò pensierosa una mano tra i capelli.

-Questo è davvero interessante – sussurrò – E potrebbe confermare la mia teoria.

Prese la penna e, elegantemente, la immerse nell'inchiostro prima di tracciare una perfetta linea retta.

-Vedi – disse costringendo Santana ad alzarsi per guardare cosa stesse facendo – E' facile immaginare che il Tempo sia una linea retta che va da un punto all'altro, mi segui?

-Sì – annuì Santana.

-Bene. Mettiamo che il Tempo non sia una linea ma un cerchio infinito – e così dicendo disegnò un cerchio quasi perfetto – Se si potesse premere due punti sinché si toccano si potrebbe anche passare da una parte all'altra.

-Grazie a una maniglia in un armadio? - domandò ironicamente Santana.

Quinn sbuffò e roteò gli occhi.

-Se hai qualche idea migliore, fammelo sapere!

-Non puoi negare che sia quantomeno improbabile.

Quinn sembrò pensarci un po' su.

-Credo che sia l'albergo – disse con un sussulto.

-Il Providence?

-E' come se sentisse quando una persona è sull'orlo del burrone. E lo porta a quelli che per lui sono stati i migliori anni. Una volta qualcuno mi disse che il Providence è sempre il posto giusto, solo che a volte è il momento quello sbagliato.

Santana si leccò le labbra. Aveva sentito quella frase fin troppe volte. E iniziava a crederci.

-E come ci riesce?

-Mi stai chiedendo come fa a stringere il cerchio per fare in modo che si possa tornare indietro?

Santana annuì. Quinn sospirò.

-Non ne ho idea! - disse allargando le braccia – E credo che non lo saprò mai. Ma è davvero importante, in fondo?

Santana scosse la testa.

-Quindi non sei rimasta per Puck?

-No, certo che no. Sono rimasta perché questo, con tutti i suoi difetti, è il mio posto. Puck l'ho conosciuto solo quando ho iniziato a lavorare al Cotton.

Santana annuì lentamente, mentre una domanda si formava nella sua mente.

Questo è il mio posto?

-Ma credo che con te abbia sbagliato – la voce di Quinn la riportò alla realtà.

-Cosa?

-Il Providence. Questo non è il tuo posto, per te sarebbe un inferno. Hai visto come ti guardano.

Santana pensò allo sguardo di Brittany su di lei e, per un attimo, volle dirle che si sbagliava. Ma poi il ricordo del giovane e del suo pugno chiuso e la sua ira ebbe il sopravvento e un brivido di terrore percorse la sua spina dorsale.

-Ho bisogno di andare – sbottò poi si fermò e pensò a un'ultima domanda che aveva bisogno di avere una risposta – Puck... ti ha creduto quando gli hai raccontato la tua storia?

Quinn, lentamente scosse la testa, Santana si sentì gelare.

-Non gliel'ho mai detto.

-Perché?

-Credi davvero che mi avrebbe creduto?

Santana odiava quando qualcuno le rispondeva con una domanda ma, in quell'occasione, non aveva niente da dire. Capiva benissimo cosa volesse dire.

Quinn si alzò di colpo e prese uno dei suoi vestiti per lasciarlo sul letto.

-Cambiati. Anche se devi arrivare sino alla stanza 314 è meglio che tu non lo faccia con questi abiti.

Poi le dedicò un ultimo sguardo, quasi come se volesse aggiungere qualcosa. Ma, alla fine, sembrò cambiare idea. Così, semplicemente, uscì dalla stanza.

Santana si cambiò rapidamente, prima di uscire a sua volta. Non si sorprese di scoprirsi a tirare un sospiro di sollievo quando si rese conto che il corridoio era vuoto. Così lo percorse rapidamente e salì l'ultimo piano di scale. Aveva lo sguardo basso quando aprì la porta della stanza 314.

Quando lo sollevò si trovò davanti una Brittany seduta sul letto che la guardava con espressione sorpresa.

 

 

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Nuovo capitolo.

Almeno qualche risposta l'abbiamo avuta e, finalmente direi, Santana ha avuto uno scontro con la “realtà” nella quale è finita. Perché decisamente non è tutto così perfetto come pensava.

Lo so niente interazione tra le due protagoniste, però da questo lato fa ben sperare la fine del capitolo, no?

Grazie davvero tantissimo a tutti voi per leggere e per recensire.

A presto!

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Capitolo 8
*** La scogliera ***


La scogliera

 

Santana non era una donna che abbassasse lo sguardo. E se ne era sempre vantata. Le piaceva avere il controllo di ogni situazione e costringere il proprio interlocutore a distogliere la vista dai suoi occhi scuri per primo. Le era sempre piaciuto.

Ma in quel momento lo odiò.

Brittany era rimasta immobile come una statua, seduta perfettamente sul materasso, a guardarla con occhi spalancati e sguardo incredulo.

Poi un violento rossore le aveva acceso le gote ed aveva immediatamente distolto lo sguardo. Santana era certa che avesse ricordato perfettamente cosa fosse successo la notte prima. Era certa che sapesse bene che le loro labbra erano state troppo vicine e che, davvero, era mancato un attimo per congiungerle. E quel bacio mancato sembrava aleggiare ancora, in quel momento, tra quelle pareti.

Se avesse potuto scegliere in quella situazione un qualunque potere di uno dei supereroi dei fumetti che leggeva quando era giovane, nascondendoli sotto il letto come se fossero un segreto di cui vergognarsi, probabilmente Santana avrebbe scelto di poterle leggere la mente. Avrebbe dato qualunque cosa per sapere cosa avesse provocato quel rossore, per sapere la vera ragione che si nascondeva dietro a quel distogliere rapidamente lo sguardo.

Avrebbe voluto credere che fosse imbarazzo. Un imbarazzo legato al fatto che volesse anche lei quel bacio, anche ora, anche senza la notte a nasconderle e quel cocktail di Puck ad aiutarla a lasciare fuori dalla porta ogni inibizione.

Ma non poteva non sapere che c'era anche paura nei suoi pensieri. La paura che quel rossore nascondesse la vergogna per un bacio che in realtà non voleva ma che aveva rischiato di avere.

Così gli occhi di Santana corsero verso l'armadio, la porta era semi aperta e lei lo poteva vedere benissimo quel bagliore metallico che indicava la sua via d'uscita. La sua via di fuga. Perché Quinn aveva ragione e quello non era il suo posto. E Brittany, lei non la voleva lì. Si sarebbe sposata in pochi giorni e non voleva più vederla. Quello era certo. Come aveva fatto a pensare, immaginare, che non si fosse pentita della notte precedente?

Amava Blaine. Ne era quasi certa.

E poi guardò nella sua direzione e vide come Brittany la guardava di sottecchi mordendosi nervosamente il labbro inferiore. Si scambiarono un rapido sguardo prima che lo distogliesse di nuovo puntandolo sui suoi piedi.

Ma per Santana fu sufficiente. Sembrava davvero speranzoso, non spaventato. Sembrava che nascondesse la voglia che lei facesse la prima mossa. Che dicesse qualunque cosa per spezzare quella tensione nell'aria.

-Spero che tu non ti sia svegliata con troppo mal di testa – disse schiarendosi la voce e chiudendo, lentamente, la porta dietro di sé.

Brittany sollevò rapidamente lo sguardo. Un attimo solo mentre l'ombra di un sorriso si disegnava sulle sue labbra.

Scosse la testa timidamente. Come se stesse cercando le parole.

-Non troppo – sussurrò in un sospiro.

Santana ne fu incoraggiata. Perché non sembrava che volesse che sparisse dalla sua vista. Sembrava stranamente timida e, forse, goffa. Come mai l'aveva vista prima. Come se non sapesse come comportarsi. Come se ciò che le diceva la testa e ciò che le suggeriva l'istinto stessero facendo a pugni.

E, in una piccola parte di Santana, si accese una lieve fiammella di speranza. Così fece un paio di passi avanti ancora mentre i suoi occhi scorrevano sul luccichio metallico che la spingeva indietro e quegli occhi azzurri che, ogni tanto, la guardavano rapidamente per poi spostarsi ancora.

Era troppo credere che il Providence fosse davvero sempre il posto giusto?

-Stamattina non c'eri.

La voce di Brittany era vellutata e sembrava accarezzarla. Era un rimprovero mascherato da semplice constatazione. Come se, tra le righe, potesse leggere il suo desiderio di vedere lei, Santana, come prima cosa al mattino.

A quel pensiero il suo cuore accelerò leggermente e i suoi passi si mossero ancora verso quel letto.

-Lo so – fece una pausa pensando a ciò che avrebbe potuto aggiungere - Mi dispiace – sussurrò dolcemente.

Era vero. Mai si era sentita così dispiaciuta per niente al mondo. Nemmeno quando aveva perso la festa di compleanno del suo migliore amico perché era stata trattenuta al lavoro. Nemmeno quando non era riuscita a comprare quei biglietti per quello stupido concerto a cui Elisabeth teneva tanto.

Brittany sollevò lo sguardo e questa volta la guardò a lungo. Questa volta il sorriso sulle sue labbra era fermo e sicuro. Come un perdono. Anche se non c'era niente da perdonare. E Santana decise che non poteva attendere oltre. Perché quelle labbra la chiamavano ed era arrivato il momento di rischiare. E niente di ciò che sarebbe accaduto in seguito avrebbe cancellato quel momento. Non poteva andar via da lì senza prima baciarla. Senza provare quella labbra che erano sue. Al di là del tempo. Anche solo per una volta. E così strinse i pugni e fece altri due passi trovandosi ormai al lato del letto. Stava per allungare le mani e incorniciare quel volto. In quel momento non sarebbe più potuta tornare indietro.

-Questo vestito ti dona – la voce di Brittany era suadente e dolce, forse in attesa, come se avesse capito bene cosa sarebbe successo ma stesse cercando di nascondere il nervosismo dietro qualche parola.

E Santana non pensò più.

-Sì, è di Quinn.

Gli occhi di Brittany si spalancarono appena prima di distogliersi, nuovamente, dai suoi. Santana si morse la lingua accorgendosi di ciò che aveva appena detto. Così si fermò.

-Avevo bisogno di parlare con lei – si giustificò.

-Capisco – la voce di Brittany era bassa ma non più in attesa. Come se si fosse spenta.

-Ho avuto un problema con un giovane dell'hotel – Santana non era sicura del perché l'avesse detto ma guardò immediatamente il pavimento per non incrociare gli occhi di Brittany che, lo sentiva, la scrutarono immediatamente.

-Cos'è successo? - chiese questa volta sicura e, forse, più aggressiva di quanto l'avesse mai sentita.

-Niente – fece una pausa – Quinn era lì.

Improvvisamente sentì la sua mano stretta in quella di Brittany e, di nuovo, sollevò lo sguardo per fissarlo nel suo che sembrava essere così addolorato ed, allo stesso tempo, dolce.

-Mi dispiace.

La stretta si fece più sicura e Santana si sentì protetta. Più di quanto fosse mai stata. Anche in un mondo che sembrava tanto avverso. Così sorrise piano limitandosi a scuotere la testa.

Brittany la guardò ancora, fissando ogni suo lineamento, poi inclinò la testa come se pensasse a qualcosa e chiuse gli occhi per un istante mentre lasciava andare un lungo sospiro per poi ripuntare il suo sguardo serio sui suoi occhi scuri.

-Vieni da Los Angeles? - chiese a bruciapelo.

Santana corrugò la fronte per un attimo, confusa.

-Sì – rispose piano.

Se voleva risposte le avrebbe avute, e sarebbero state la verità, perché l'aveva promesso. Non voleva deluderla. Avrebbe dato qualunque cosa per non farlo.

-E sei ospite dell'Hotel Providence?

Questa seconda domanda lasciò le sue labbra lentamente. Come se non sapesse se potesse chiederlo. O come se avesse paura della risposta.

-Sì – rispose ancora Santana.

Brittany sembrò valutarla ancora. Cercando l'ombra di una menzogna. Ma non sembrò trovarla e Santana si preparò alla domanda successiva. Sentiva il cuore in gola e un misto di eccitazione e paura. Ma non le avrebbe mentito.

-Rimarrai davvero sino al giorno del mio matrimonio?

Santana corrugò la fronte, di nuovo. Non era quello che si aspettava, non era quello a cui avrebbe voluto rispondere.

-Sì – disse comunque.

Gli occhi di Brittany non lasciavano i suoi studiando ogni suo movimento.

-E poi?

Santana lottò alla ricerca di una risposta, annaspando come se fosse alla ricerca d'ossigeno. Voleva rispondere ancora sì, lo voleva ogni fibra del suo essere. Sentiva quel desiderio che si faceva strada in lei. Ma sapeva che non doveva mentirle. Sapeva che la risposta corretta sarebbe stata un netto no. Sarebbe stata la verità e lei lo sapeva. Lo sapeva davvero bene.

Così non disse niente.

E Brittany sembrò capire. Strinse appena di più la sua mano come se volesse dire che tutto andava bene, che la capiva e rispettava il suo silenzio.

-Vieni con me – disse improvvisamente Brittany passandole al lato senza lasciarla andare. Si diresse con passo deciso davanti all'armadio e Santana si sentì gelare. Lo sapeva quindi. Sapeva cosa c'era lì dentro e sapeva dove le avrebbe portate.

Brittany spalancò l'anta e le sorrise mentre la guardava di sottecchi, come se non riuscisse a mantenere i suoi occhi lontani da lei troppo a lungo. E Santana sorrise a sua volta mentre i suoi muscoli si rilassavano. Sarebbe tornata indietro, questa volta con Brittany. Avrebbe potuto smettere di avere paura di ogni gesto. Avrebbe potuto portarla fuori sotto la luce del sole stringendole la mano e mostrarle un mondo che, pur non essendo perfetto, era il suo.

Poi Brittany allungò la mano, le sembrò che passasse vicina alla piccola maniglia dorata ma non la sfiorò nemmeno, semplicemente salì per stringere un piccolo scialle appeso e poi si voltò. Santana la guardò a bocca aperta mentre lasciava andare la sua mano per drappeggiare, elegantemente, la stoffa sulle sue spalle. E poi sembrò dirigersi verso la porta della stanza.

Ma Santana non poteva trattenersi, le afferrò la mano ancora e la fermò. Brittany si voltò di nuovo verso di lei con un sorriso luminoso che sembrò vacillare quando incontrò i suoi occhi, probabilmente indecisa su come interpretare la sua espressione.

-L'armadio – sussurrò Santana, alla ricerca delle parole giuste.

Brittany lo guardò ancora confusa e guardò dentro come se stesse cercando qualcosa. Ma sembrò non trovare niente così si voltò verso Santana.

-Sì? - chiese.

-Non... – si schiarì la voce – Non c'è niente...

-Certo!

Brittany sembrò illuminarsi, le sorrise e prese un secondo scialle, poi lo drappeggiò questa volta sulle sue spalle di Santana, arrossendo appena mentre le sue dita sfioravano la sua pelle.

-Ecco fatto. Ora possiamo andare.

-Brittany – la fermò di nuovo – Non c'è niente di strano dentro?

Santana poteva vederla bene quella maniglia, era luminosa e attirava l'attenzione come una luce rossa e lampeggiante nel cuore di una notte scura e senza luna. Era impossibile non vederla.

A meno che non potesse farlo.

A meno che fosse lì solo per lei.

E Brittany guardò a lungo e poi le sorrise ancora, indecisa e un po' confusa.

-No. Non credo.

Santana scosse la testa. Il Providence aveva scelto lei. Era una strada a senso unico.

E se fosse davvero il posto giusto?

Se quella fosse stata la sua strada?

Sarebbe potuta rimanere lì?

Guardò Brittany che si muoveva indecisa passando il peso da un piede all'altro, sembrava volesse muoversi ma non sapeva se Santana l'avrebbe seguita.

Ma lei era troppo impegnata a pensare a Quinn e a ciò che lei le aveva detto: il Providence aveva sbagliato con lei.

Così scosse la testa dedicando alla donna davanti a sé un sorriso rassicurante. Tutto andava bene. Per il momento l'avrebbe seguita anche in capo al mondo. Le strinse appena la mano e Brittany, raggiante, la trascinò verso la porta della stanza. La aprì e, un istante prima di attraversarla, lasciò la presa come se la sua pelle scottasse. Santana sentì immediatamente freddo a quel gesto e un brivido le attraversò la schiena. Non avrebbe saputo dire se fosse per la mancanza di quel contatto, che già poteva avvertire, o se fosse perché capiva bene il motivo per cui non poteva più stringerla. Non fuori dalle mura sicure di quella stanza.

Ma decise di non pensarci e la seguì lungo le scale per poi raggiungere la hall incrociando lo sguardo con il giovane di poco prima che, evidentemente, non aveva ancora finito il suo turno. Lei distolse lo sguardo da quelle iridi scure che la fissavano senza nascondere lo stesso disgusto che aveva visto e che, mai più, avrebbe dimenticato. Ma Brittany non sembrò farci caso, troppo impegnata a farle strada verso l'esterno. Si fermò davanti alla sua cadillac nera e si rivolse a un uomo in impeccabile completo scuro che leggeva tranquillamente un giornale appoggiato alla carrozzeria dell'auto. Subito chiuse quello che, Santana vide, essere il Newport Tribune e fece un inchino a Brittany.

-Signorina Pierce, è pronta per andare? - chiese con un sorriso e un espressione rilassata in volto.

-James c'è un cambio di programmi. Vorrei che portassi me e la mia ospite alla scogliera.

L'uomo annuì mentre spostava lo sguardo su Santana. Immediatamente il sorriso scomparve e l'espressione si fece seria.

Santana ebbe paura. Paura di ciò che avrebbe potuto dire e di ciò che avrebbe potuto fare. E si domandò se sarebbe stato possibile per lei vivere in un mondo in cui ogni sguardo poteva nascondere una minaccia.

Ci si può abituare alla paura?

L'uomo strinse la mascella mentre si rivolgeva a Brittany che lo fissava con occhi più scuri del normale. Annuì lentamente senza dire niente ma muovendosi rigido, come se lottasse con la voglia di disubbidire a ciò che gli era stato chiesto.

Aprì lo sportello lasciando che entrassero e si accomodassero, per un lunghissimo istante Santana ebbe il dubbio che avrebbe smesso di tenere la portiera aperta per lei, ma lui si mantenne fermo, anche se non la guardava, anche se le sue nocche erano bianche per la forza con cui stringeva la maniglia.

Quando si sedette si accorse che non riusciva a respirare con tranquillità. Si accorse che il suo respiro era strozzato e che l'aria sembrava non bastare. Strinse il sedile e pensò che voleva andar via da lì.

E allora Brittany posò la sua mano al lato della sua e sentì come la sfiorava. Si voltò di scatto incrociando i suoi occhi e uno strano senso di tranquillità la invase. Quella donna riusciva a farla sentire sicura. Bastava solo un suo tocco o uno sguardo in quegli occhi limpidi che mai avrebbe potuto dimenticare. Così si rilassò sul sedile ma lasciando la mano nella stessa posizione in modo da poterla sentire ancora vicina.

Il viaggio non fu lungo. Arrivarono ai piedi di una piccola stradina in terra battuta che si snodava in salita protetta da una bassa vegetazione. Brittany uscì per prima ringraziando l'autista e attese che anche Santana scendesse. Questa non disse niente.

-Aspettaci qui, James – sussurrò Brittany all'uomo che si limitò a chiudere lo sportello e a tornare al suo posto.

Santana vide come apriva di nuovo il giornale prima di seguire Brittany lungo il sentiero. Non fu una lunga camminata e il paesaggio meritava sicuramente la fatica rappresentata da quella lieve pendenza.

Ma solo quando arrivarono in cima Santana capì davvero quanto fosse bello lì. Sembrava di essere in mezzo al nulla con solo la vegetazione a fargli da cornice dietro le spalle e una scogliera a picco su un mare calmo e luminoso davanti.

-E' davvero bello qui – sussurrò.

Brittany le prese la mano facendola quasi sussultare e si guardò intorno rendendosi conto che non aveva niente da temere. Erano lontane da tutto.

-Sono felice che ti piaccia.

Santana non era sicura del perché fosse lì, forse Brittany voleva solo portarla lontano da tutto. Forse aveva intuito come si sentiva e come dovesse essere difficile per lei. Anche se non poteva immaginarne il vero motivo. Sorrise al pensiero che le importasse così tanto, sorrise al pensiero che la proteggesse.

-Perché siamo qui?

-Perché da quassù il mondo sembra un posto migliore – rispose immediatamente poi fece una pausa come se pensasse - Anche se non è vero – aggiunse quasi a malincuore.

-Forse – concesse Santana – Ma qui sembra che niente possa far male.

Brittany sorrise, un velo di malinconia che lo dipingeva di tristezza, poi fece un paio di passi avanti. A un metro dalle rocce che cadevano a picco. Santana la seguì ringraziando di non soffrire di vertigini e guardò in basso. Dovette ammettere che era davvero alto e che le onde che si infrangevano erano allo stesso tempo bellissime e spaventose.

-Quando mio padre mi disse che mi sarei dovuta sposare pensai di scappare per venire qui.

Santana aggrottò le sopracciglia confusa.

-Perché? - domandò con un filo di voce mentre si alzava un vento leggero.

-Perché questo posto è famoso per essere scelto spesso come ultimo.

Santana aprì la bocca cercando qualche parola che non trovò. Corrugò la fronte aspettando che continuasse.

-Non ti ho raccontato tutta la verità a pranzo l'altra volta – sollevò lo sguardo per guardare Santana che strinse appena la mano – Quando mio padre mi parlò non lo dissi nemmeno a Blaine. Lo convinsi a portarmi un paio di giorni a Newport, gli dissi che avevo solo voglia di allontanarmi.

-Non sapeva che c'era qualcosa di sbagliato?

-Lo sospettava – si strinse nelle spalle – Ma aspettò che fossi io a parlargliene. Ma non lo feci, una sera uscii dall'albergo e camminai sin qui. Mi sono seduta lì e ho guardato il mare – disse indicando un punto poco distante.

Santana deglutì impaziente. Anche se sapeva quale fosse la conclusione non poteva nascondere un certo nodo alla gola all'idea di lei lassù, sola. Magari con il vento a scompigliarle i capelli e il mare a fare da sottofondo ai suoi pensieri.

-E poi Blaine mi trovò. Io ero in piedi, immobile, e lui mi strinse da dietro. E mi disse che non mi avrebbe mai più riportato a casa, che sarebbe rimasto con me. E così rimanemmo qui.

-Lui ti ha salvata – sussurrò Santana.

-Sì. Anche se non credo davvero che avrei fatto quell'ultimo passo.

Santana annuì e si mosse per trovarsi davanti a lei, avvolse la sua mano con entrambe le sue sentendola fredda e, anche se ora aveva la certezza che lei amasse Blaine e ne era stranamente felice, la portò alle labbra per baciarne la pelle.

-Sono felice che l'abbia fatto – sussurrò.

-Anche io – fece una pausa – Gli devo davvero tanto. Per questo devo sposarlo.

Santana corrugò la fronte indecisa.

-Lo sposi perché lo ami – disse senza sapere nemmeno lei se fosse una domanda o un'affermazione.

Brittany mosse la testa piano in un lentissimo annuire, senza spostare gli occhi dai suoi.

-Lo amo – fece una pausa – Come si ama un fratello. E devo proteggerlo, come lui ha protetto me.

Santana si specchiò in quelle iridi confusa cercando di interpretare le sue parole. La vide indecisa come se avesse paura. Così inclinò la testa piano cercando di leggerle dentro.

Dannazione, perché tutto doveva essere così difficile?

Non riusciva a capirla perché le sembrava di ricevere messaggi opposti. Le aveva raccontato la sua vita ma, nonostante tutto, era come se qualcosa le sfuggisse. Come se Brittany stesse aspettando che capisse qualcosa, come se Brittany si aspettasse che lei facesse qualcosa.

Ma non riusciva davvero a capirla, le sembrava che la attirasse e la allontanasse allo stesso tempo.

Poi sentì la mano di Brittany, quella che lei non stringeva tra le sue, che si posava sul suo braccio e lo percorreva verso l'alto, e la seguì con lo sguardo sinché le fu possibile, sinché non poté sentire solo il tatto sotto il tessuto morbido e fine dello scialle sulle sue spalle. Allora la guardò negli occhi e lo vide di nuovo. Quel luccichio che era un misto di speranza e di paura, di attesa e di dubbio.

Lasciò che prendesse tutto il tempo che necessitava, lasciò che le sue dita percorressero e studiassero la sua pelle, anche quando salirono sino al suo volto. E quando poi sentì il pollice sfiorarle il labbro inferiore trattenne il respiro.

-Perché non l'hai fatto?

La domanda di Brittany fu pronunciata con tono lieve mentre la brezza sembrava volerla portar via. Ma Santana la sentì bene e non aveva bisogno di sapere a cosa si riferisse. Quel bacio mancato le bruciava ancora sulle labbra.

-Non volevo – sentì le dita di Brittany tremare leggermente – Non in quel modo.

Brittany non spostò lo sguardo ma si morse il labbro tirandolo lievemente prima di lasciarlo andare.

-E qui?

Santana liberò le mani e le strinse intorno al suo volto e, un attimo dopo, posò le sue labbra su quelle di Brittany. Con forza e decisione. Prima di lasciarsi andare a un bacio morbido accompagnato dal fragore del vento e del mare sotto di loro. O forse era solo il suo cuore che batteva in petto.

Santana si lasciò andare danzando con le sue labbra su quelle morbide e sottili di Brittany che sembravano stranamente titubanti. Anche se era ovvio che lo desiderasse.

Ma se avesse descriverlo con una sola parola, Santana si stupì a pensare che sarebbe stato inesperto, non incerto.

Così si allontanò appena per guardarla in volto. Brittany stava a pochi centimetri da lei, con gli occhi chiusi e il viso rilassato. Improvvisamente mosse le labbra, come se stesse assaporando quel nuovo sapore. E poi aprì gli occhi. Appena.

E Santana le vide, quelle lacrime che velavano le sue iridi. Ma non sapeva interpretarle.

Brittany distolse lo sguardo quasi perdendosi nei suoi pensieri.

-Pensavo non sarebbe mai successo.

Lo disse a voce bassa, così tanto che poteva essere un semplice pensiero scappato al suo controllo. Santana accarezzò il suo volto che ancora stringeva tra le mani e Brittany riportò gli occhi nei suoi.

-Non pensavo sarebbe stato così bello.

Santana sorrise perché mai aveva sentito niente di così dolce e l'avvolse tra le sue braccia stringendola con forza e baciandole una tempia. Tenne le labbra sulla sua pelle senza muoversi, per un tempo che sembrava infinito, poi scivolò piano sino a ritrovare un nuovo bacio. Adesso che aveva sentito il suo sapore e la sua consistenza, morbida come la seta, non credeva che sarebbe mai potuta vivere senza.

Brittany rispose al bacio, ancora e ancora, più sicura ogni istante che passava e Santana non riuscì a non pensare che lei avrebbe fatto esattamente ciò che aveva fatto Blaine. Sarebbe corsa da lei e l'avrebbe stretta a sé su quella scogliera. Per dimostrarle che niente le avrebbe potuto far male sinché lei fosse stata al suo fianco.

Cercò ossigeno quando le sembrò che fosse finito e sentì Brittany sussurrare una preghiera.

-Portami al Providence.

Santana non avrebbe mai potuto negarle niente. Così la riportò lungo il sentiero maledicendo tutto ciò che le impediva di stringerla, si sedette nella cadillac ignorando lo sguardo truce dell'autista, troppo impegnata a cercare di sfiorarle appena le dita posate sul sedile. Le tenne aperta la porta del Providence senza vedere niente se non i suoi occhi che la cercavano in ogni istante, senza sentire niente se non il battito del suo cuore, o forse era quello di Brittany.

Alla fine giunse davanti alla stanza e l'aprì lasciandola passare. Le cinse la vita da dietro con un solo braccio mentre l'altro scioglieva lo scialle e lo lasciava cadere al suolo. E la baciò, su tutta la pelle che scopriva.

La sentiva lievemente tremare tra le sue braccia e, dopo averle sganciato il vestito le girò intorno per guardarla in volto mentre la stoffa scivolava ai suoi piedi. Brittany aveva gli occhi chiusi e Santana pensò che mai aveva visto niente di più bello, la guidò verso il letto con decisione e dolcezza. La fece sdraiare e, dopo aver fatto cadere anche il suo vestito, la coprì con il suo corpo e la sua pelle.

-Guardami – le disse.

Brittany aprì gli occhi e Santana la baciò perché non aveva altre parole in quel momento. E mentre iniziava a scivolare lungo il suo corpo per venerarne ogni centimetro di pelle, lo sentì tremare ancora.

Ed allora capì.

Anche se nella sua mente sembrava un'idea impossibile da concepire non poteva negare l'evidenza. Se Brittany non amava Blaine, se non come fratello, e se mai aveva potuto vivere libera perché quella società non l'avrebbe permesso, allora quel lieve tremore nascondeva solo una cosa.

Così si allontanò appena per poter accarezzare ogni centimetro del suo corpo, e, a poco a poco, sentì come si rilassava. Santana si sporse per baciarla ancora e ancora, non avrebbe fatto niente che lei non volesse. Non avrebbe fatto niente senza essere sicura che lo volesse almeno quanto lei.

-Fermami – le sussurrò.

Brittany la guardò per un lungo istante, poi allungò la mano per posarla sulla sua nuca e poterla spingere incontro alle sue labbra. Con decisione. Santana allora si lasciò andare. Venerandola come meritava. Perché era un regalo che non sarebbe mai dovuto essere suo. Perché sentiva il suo cuore che seguiva il suo stesso ritmo. E perché ogni pensiero era stato cancellato, se non quello di Brittany tra le sue braccia.

Alla fine, quando esausta si lasciò cadere sul materasso, la guardò sorriderle e, in quegli occhi, vide una richiesta che le sue labbra non osavano comporre. Ma Santana non aveva più bisogno di sentire nessuna parola, non quella notte. Così si sistemò meglio tra le lenzuola e l'avvolse tra le braccia. Le diede un ultimo bacio sulla fronte.

-Dormi – disse piano.

Brittany chiuse subito gli occhi ormai pesanti e si lasciò cullare.

-Domani sarò ancora qui quando li riaprirai – sussurrò infine.

Brittany sorrise e Santana allungò la mano per asciugarle una lacrima che scivolava silenziosa.

 

 

 

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Ecco il nuovo capitolo!

Spero vi sia piaciuto e visto che non ho niente da aggiungere mi limito a un enorme grazie a chi continua a leggere e a seguire la storia!

Un abbraccio!

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Capitolo 9
*** Risvegli ***


Risvegli

 

 

Santana aprì gli occhi un paio di volte al soffitto prima di chiuderli infastidita dalla luce fin troppo forte che penetrava dalla finestra e che dimostrava che non era certo l'alba. Sbadigliò con ancora gli occhi chiusi e si mosse per stirare appena i muscoli della schiena che sentiva piacevolmente indolenziti. Solo allora si accorse di un lieve e assolutamente gradevole peso sul lato destro. Immediatamente i ricordi della notte precedente le invasero la mente ed un ampio sorriso le si dipinse in volto.

Sbatté un altro paio di volte le palpebre cercando di muoversi il meno possibile per evitare di svegliare la donna al suo fianco e, non appena si fu abituata alla luce, voltò appena il viso per poterla guardare. Con sua enorme sorpresa si ritrovò davanti due occhi azzurri completamente svegli che la fissavano con sguardo incredibilmente e deliziosamente stupito, tanto che dalle sue labbra sfuggì una lieve risata divertita.

-Sembra che tu abbia visto un fantasma – le disse con voce ancora incerta per il sonno.

Brittany chiuse la bocca con uno schiocco e sembrò arrossire appena, solo un lieve velo leggermente più rosato che le copriva le gote.

-Sei rimasta davvero.

Il tono era così incredulo e, allo stesso tempo, così incredibilmente dolce che, Santana, si fece immediatamente seria.

-Non ti avrei mai lasciata.

Lo pensava davvero. Non l'avrebbe mai potuto fare, non dopo la notte precedente, perché lei sapeva che quello che aveva vissuto era un dono. Qualcosa di così incredibile anche solo per essere concepito, che la faceva tremare di paura per ciò che rappresentava. Ogni suo battito le diceva quello che aveva stranamente sentito nel momento stesso in cui aveva incrociato gli occhi di Brittany attraverso la patina sbiadita dal tempo di quella foto in bianco e nero. E le sembrava impossibile e le sembrava una follia e le sembrava totalmente assurdo. Ma sapeva bene che si stava innamorando di lei. Lo sapeva esattamente come sapeva che non sarebbe dovuta essere lì.

Ma il Providence è sempre il posto giusto, vero?

Non era così difficile da credere ora. Non con Brittany così vicina.

Così allungò appena il collo per baciarle le labbra, perché sapeva che era stata sveglia a guardarla a lungo e con occhi adoranti, e quello sembrava il premio migliore per quell'attesa.

E poi si voltò sorridendo per voltarsi di fianco e fronteggiarla. Nel movimento il lenzuolo che le copriva scivolò lentamente e gli occhi di Santana corsero, come attirati da una forza impossibile da contrastare, verso i candidi seni di Brittany, immediatamente si passò la lingua sulle labbra improvvisamente secche.

Stava per allungare la mano per poterla sfiorare ma Brittany fu più rapida: afferrò il lembo del lenzuolo e lo tirò sin sotto il mento. Santana sembrò stupita prima di sollevare lo sguardo per fissarlo in quello di Brittany che non la guardava ed era diventata così rossa che le orecchie sembravano quasi luminose nel bianco del cuscino.

Santana, come se avesse bisogno davvero di quell'ulteriore prova, decise che era la creatura più adorabile della terra. E, nuovamente, si domandò se davvero quello non fosse il suo posto. Del resto, chi altri poteva dire di aver attraversato il Tempo per incontrare la sua anima gemella?

Quasi scoppiò a ridere a quel pensiero, perché non aveva mai creduto a quella idiozia! Ma ora non poteva spiegarselo in nessun altro modo. Tutto ciò che era avvenuto doveva avvenire. Lei era destinata a trovarsi lì in quell'esatto momento. Il suo pensiero corse a quella lettera che l'aveva portata lì e aggrottò la fronte. Ancora non si capacitava di chi l'avesse scritta ma, chiunque fosse, avrebbe avuto la sua eterna gratitudine.

Ma quello non era il momento per pensarci. Non con Brittany così dolcemente e deliziosamente imbarazzata. Così si mosse per stringere la sua vita con un braccio e tirarla verso di sé per portare le loro pelli a contatto.

Brittany quasi sobbalzò ma, Santana, sentì come un brivido l'attraversava e così la strinse con più forza. Le lasciò un bacio sulle labbra prima di sussurrare.

-Sei bellissima.

Brittany sorrise anche se, quel rossore, continuava a dipingerle le guance.

-Dici davvero?

Santana spalancò gli occhi domandandosi come potesse avere anche solo il minimo dubbio, poi la strinse e la fece ruotare per portarla sopra di sé facendola ridere e rilassare di nuovo. Quando tornò nella sua posizione di partenza, ed il lenzuolo scivolò ancora, sembrò non preoccuparsene. Anche se guardò Santana di sottecchi e con un sorriso quasi timido.

-Dovrei essere al Cotton, sai? - le disse.

-Davvero? - chiese conferma Santana con un sorriso sornione – Ti sto trattenendo qui?

-Potresti accompagnarmi – disse senza accennare a muoversi.

Santana annuì con entusiasmo.

-Giusto, potrei. Oppure potremmo rimanere ancora un po' qui – suggerì fintamente innocente.

-Povero Kurt, dovrà fare tutto da solo! - esclamò Brittany e Santana sorrise trionfante.

-Sono sicura che se la caverà benissimo! Lo conosci da tanto?

Brittany si strinse nelle spalle mentre, pigramente disegnava immaginari cerchi sulla pelle esposta di Santana.

-Lui è nato e cresciuto a Newport. I genitori possedevano il locale dove adesso c'è il Cotton. E' diventato subito nostro socio. Si occupa dell'organizzazione di tutto.

-Anche del matrimonio? - chiese Santana immediatamente.

Brittany annuì lentamente.

-Sì – sorrise tristemente – Sai, non posso dire di essere davvero interessata – prese un profondo respiro prima di continuare – Quando ero una bambina giocavo con le altre bambine del quartiere ad essere delle perfette casalinghe in attesa del marito perfetto.

Sembrò pensierosa come se stesse cercando di richiamare un vecchio ricordo, uno di quelli che si nascondono in profondità perché si pensa che mai ci serviranno.

-Credo di aver capito con certezza che non sarebbe mai arrivato solo quando mio padre giunse a casa con il suo apprendista informandomi che avrei sposato lui – la sua mano si fermò sulla pelle di Santana così come il suo sguardo – Forse è stato allora che ho capito che non era solo lui che non volevo! Non potevo immaginare nemmeno di innamorarmi di Blaine, come sarebbe stato normale.

Santana annuì. Anche per lei era stato difficile all'inizio, soprattutto quando tutti le dicevano quanto le sarebbero dovuti piacere quei bicipiti pompati degli atleti che passeggiavano pomposi per i corridoi della sua vecchia scuola. Ma pensare a Brittany ed a come dovesse averlo affrontato lei era ancora peggio.

-Ti sei mai... - fece una pausa cercando le parole adatte – Ti sei mai innamorata di qualcuno?

Brittany sollevò lo sguardo improvvisamente e la guardò negli occhi, si morse il labbro quasi con forza e sembrò nuovamente arrossire, quasi sul punto di dire qualcosa. E Santana avrebbe davvero voluto sentire cosa volesse dirle, ogni suo atomo lo voleva, quasi conscia che sarebbe stato importante per lei. Ma Brittany distolse lo sguardo e si schiarì la voce. Quando parlò Santana fu certa che non era quella la prima risposta che le era venuta in mente.

-Quando abbiamo iniziato, nei primi tempi al Cotton, c'era una ragazza che veniva sempre per servire ai tavoli. Lei era – sembrò pensarci – Bella e gentile. Sembrava che cercasse ogni motivo per parlare con me. O forse ero io che lo facevo.

Scosse la testa come se non fosse sicura di niente in quel momento.

-Siete state... ? - Santana fece una pausa perché conosceva bene la risposta a quella domanda che aleggiò nell'aria.

Brittany spalancò di nuovo gli occhi e riprese a scuotere la testa con maggior vigore, questa volta per negare con forza.

-No, certo che no! Io non potevo – di nuovo si perse per un attimo nei ricordi – Non avevo il coraggio. E lei alla fine andò via. Kurt mi diceva che dovevo buttarmi! Ma per lui era facile parlare, lui è stato fortunato a trovare Blaine.

Brittany sorrise sinceramente felice a quella sua frase e Santana, automaticamente, la strinse appena più forte aspettando che continuasse a raccontare. Le piaceva ascoltarla. Era come vedere un pittore che dipinge davanti a te e, ad ogni pennellata, i contorni del quadro si fanno più nitidi sino a che non riconosci l'immagine in ogni sua sfumatura.

-Lui e Blaine si sono riconosciuti subito. Come se si conoscessero da sempre. Io c'ero quando si sono incontrati per la prima volta. Ho visto i loro occhi illuminarsi, è stato... - si fermò come a cercare un aggettivo adatto ma sembrò rinunciare, come se nessuna parola fosse abbastanza - … bello – concluse allora semplicemente.

-Perché vi sposate?

Brittany si morse il labbro.

-Io e Blaine siamo considerati eccentrici. La nostra fama ed il nostro denaro ci danno più libertà di quelle che avremmo in altre circostanze. Ma Newport è piccola.

-E le persone trovano sempre qualcosa di cui parlare – concluse Santana per lei guadagnandosi un lieve cenno d'assenso.

-Insomma una sera arrivò Puck scuro in volto, uno dei suoi conoscenti l'aveva informato di un sermone nella chiesa Protestante. Il Reverendo non ha mai fatto il nome di Blaine, né il mio. Ma tutti sapevano a chi si riferisse.

-Così avete pensato bene di chiudere ogni pettegolezzo?

-Sì. Il rapporto di amicizia troppo forte tra Blaine e Kurt aveva già fatto storcere il naso a più d'uno. Ma se a questo si aggiungeva anche una giovane donna nubile e senza una famiglia... stava diventando inaccettabile. Anche per noi.

Santana annuì, non aveva bisogno di sapere altro. Ma adesso capiva cosa li legasse davvero nel profondo. C'era un filo che li univa, più forte di ogni altra cosa: un sentimento così forte che li spingeva a proteggersi a vicenda.

-E Puck?

Brittany sembrò confusa per un solo istante prima di capire a cosa si riferisse.

-Puck è ebreo. E' scappato dall'Alabama quando un gruppo del Ku Klux Klan prese di mira la sua famiglia. Suo fratello è stato ucciso, forse perché aveva la pelle troppo cotta dal sole: avevano una piccola fattoria. Non so nemmeno se l'abbiano fatto perché era ebreo o perché ai loro occhi sembrava nero. L'hanno impiccato e poi dato fuoco al cadavere.

Santana spalancò la bocca quasi pietrificata a quel racconto e, la cosa che più la spaventò fu il fatto che Brittany lo raccontasse con un dolore così denso nel quale ogni suo pensiero sembrava invischiarsi, ma anche con una consapevolezza che solo ciò a cui si è abituati può dare. Così Santana comprese che non era un fatto isolato.

-Puck arrivò a Newport per caso. Cercava un lavoro. Scoprì di Blaine e Kurt la prima settimana ma non batté ciglio. Non avrebbe mai giudicato niente e nessuno. Non più. Non quando degli stupidi pregiudizi avevano distrutto la sua famiglia. Da allora ci protegge come non è riuscito a fare con suo fratello.

Santana decise che aveva sentito abbastanza. Decise che, quella mattina, non doveva essere fatta per quelle parole. Così allungò la mano per accarezzarle il volto e attirarla a sé piano. Baciandola sinché non sentì un sorriso disegnarsi sulle sue labbra. Sorriso che ricambiò con gli occhi ancora chiusi. Lasciando che il calore la cullasse. Lasciando che la sua pelle si fondesse con la sua, piano.

-Brittany! Si può sapere perché non sei ancora al Cotton? Kurt ti sta cercando....

La voce di Blaine le raggiunse e si staccarono automaticamente mentre si voltavano verso la porta che, fortunatamente, Blaine doveva aver chiuso non appena messo piede nella stanza.

Santana prese automaticamente il lenzuolo tirandolo nuovamente per coprirle entrambe e si fermò a fissare Blaine che aveva un'espressione comicamente stupita. Probabilmente la stessa che aveva lei e la stessa che poteva intravedere con la coda dell'occhio in Brittany.

-Oh mio Dio... - sussurrò Blaine.

Santana sentì il panico che l'attanagliava. Certo Brittany le aveva appena raccontato tutta la sua storia. Sapeva che quello non era un vero e proprio matrimonio ma, comunque, il suo cuore che batteva forsennatamente direttamente nella sua gola, non sembrava per niente d'accordo. Rivide milioni di scene di film dove il marito estraeva la pistola e sparava all'amante della moglie. In questo caso della quasi moglie ad essere precisi.

Così quasi sentì il cuore che si fermava quando lo vide rilassarsi e infilare le mani in tasca, per un attimo si domandò se negli anni venti fosse legale girare armati. Probabilmente sì. Ma Blaine sorrise come un bambino la prima volta che vede il cielo colorarsi di fuochi d'artificio. Così Santana corrugò la fronte.

-Ma è meraviglioso, Brit – disse.

Santana era quasi certa che avesse gli occhi lucidi d'emozione mentre lo diceva, così si voltò appena verso Brittany che lo guardava ora con un lieve sorriso e quel delizioso rossore che le colorava di nuovo le gote.

Le sembrò che sussurrasse un “lo so” ma così basso che non ne era sicura nemmeno lei che si trovava tanto vicina.

-Ma naturalmente puoi rimanere qui! Non preoccuparti di Kurt! Lo terrò a bada io!

Blaine sembrava gonfiarsi d'entusiasmo ad ogni istante che passava.

-Vorrà sapere tutto! Sai com'è fatto! Quindi fossi in voi mi preparerei a una quantità spaventosa di domande!

-Blaine? – sussurrò Brittany.

Il ragazzo la guardò sorridente in attesa, con un'espressione che indicava che era pronto per qualunque richiesta.

-Potresti... - Brittany si schiarì la voce – Potresti per favore lasciarci? Sono un po' nuda. E anche Santana.

Mentre lo diceva mantenne lo sguardo sulle lenzuola, decisamente imbarazzata. Immediatamente anche Blaine sembrò accorgersi della situazione e si voltò di scatto andando quasi a sbattere contro la porta chiusa.

-Naturalmente! - urlò per poi accorgersi che era meglio abbassare la voce – Naturalmente. Quando volete, passeremo la giornata al Cotton. Cerca di esserci per lo spettacolo di oggi, Britt. Buona giornata a voi!

E così dicendo si buttò fuori dalla porta richiudendola dietro di sé con energia. Santana rimase ancora un attimo a fissare la porta per poi rilassarsi contro le lenzuola.

-Potrei morire dallo spavento – sussurrò cercando di riprendere a respirare.

Brittany al suo fianco annuì, poi, lentamente, iniziò a ridere. Santana la guardò per un istante solo, prima di unirsi a lei.

 

 

 

 

 

 

Santana sapeva bene che, probabilmente, sarebbe stato meglio tornare al suo tempo. Tuttavia non poteva ancora farlo. Approfittò del fatto che Brittany si fosse chiusa nella piccola stanza del bagno per fissare la maniglia luccicante e perfettamente al suo posto nell'armadio.

Stranamente, appena la vide, fu invasa da una strana sensazione. Era quasi un misto di sollievo nel trovare la sua via di ritorno al suo mondo ancora lì che l'attendeva, e di delusione perché, nel profondo, pensava che tutto sarebbe stato più facile se fosse scomparsa lasciandola lì.

Non avrebbe dovuto scegliere.

Scosse la testa a quell'idea. Lei non poteva rimanere! Era vero che la sua vita era davvero cambiata, ma non tanto come quella di Quinn. Lei non aveva motivo per fuggire dalla sua realtà per andare a rifugiarsi in un tempo migliore.

Ma allora perché era lì?

In quel momento Brittany l'abbracciò stringendole la vita e lasciandole un soffice bacio sulla spalla ancora scoperta.

-Vuoi che ti lasci un vestito? - le chiese trovandola a fissare l'armadio aperto.

Santana ruotò tra le sue braccia e la fissò per un attimo.

Se fosse lei la risposta che cercava? Non era il tempo, non era il luogo. Era lei ad averla chiamata laggiù. Perché era il suo destino.

Brittany la guardava confusa dal suo silenzio e da quegli occhi che sembravano volerla studiare per imprimere ogni suo lineamento, ogni sua sfumatura. Le sorrise, non sapendo cos'altro fare. Ma non dovette fare altro perché tanto bastò a Santana per scuotersi.

Non doveva decidere in quel momento. E non l'avrebbe fatto. Mancavano ancora una manciata di giorni al suo matrimonio. Così decise di non pensarci, comunque fosse andata in futuro voleva godere di quei momenti. Per portarli con sé per sempre. O per rimanere con loro.

Per sempre.

E, stranamente, quell'ultimo pensiero sembrò riscaldarla.

Così baciò Brittany prima di prepararsi a sua volta e uscire dalla stanza. Il sorriso ed il senso di pace e di calore non durò a lungo. Ogni persona che incontrarono nella breve passeggiata verso il Cotton salutava cordialmente Brittany e rivolgeva una rapida occhiata a Santana. E lei ormai non poteva fare a meno di notarlo. C'era sempre quel lieve luccichio di fastidio o ribrezzo. Era quasi incredibile come fosse riuscita a non mettersi nei guai sino a quel momento.

Brittany le sorrideva appena poteva ma Santana vedeva una lieve preoccupazione nei suoi occhi. Una tensione che aleggiava nell'aria ogni volta che un estraneo indugiava troppo nel guardare Santana o, più probabilmente, la sua pelle. Brittany sembrava sulla difensiva, come se fosse pronta a difenderla da tutto ma anche come se fosse consapevole che non avrebbe potuto.

Santana cercò di reprimere un brivido di terrore all'idea. Ma ogni dubbio, ogni paura, fu scacciata non appena entrarono dentro il Cotton e Brittany le strinse la mano prendendola e trascinandola verso il bancone dove c'erano Kurt e Quinn seduti a discutere animatamente di qualcosa che aveva a che fare con una festa. Santana immaginò che dovesse trattarsi del ricevimento che si sarebbe svolto dopo la cerimonia.

Ma entrambi si voltarono non appena si accorsero della presenza delle due nuove arrivate. Kurt sorrideva con fin troppo entusiasmo per poter anche solo immaginare che Blaine non gli avesse già raccontato tutto. Ma Santana si concentrò su Quinn. Dopo la loro chiacchierata pensava che, nei suoi occhi, avrebbe visto solo un muto rimprovero. Invece, si stupì di notare un sorriso quasi rassegnato e uno sguardo dolce, come se la capisse bene.

Così si rilassò e si sedette in uno sgabello mentre Brittany rimase in piedi al suo fianco posandole una mano sulla schiena. Santana sorrise accorgendosi di quanto amasse quel contatto, soprattutto di quanto amasse poterlo sentire anche fuori dalle quattro mura della stanza 314. Anche se, ormai, quello era diventato il suo luogo preferito in tutto l'universo. Insieme alla scogliera, naturalmente.

Puck apparve quasi dal niente e le fissò per un lunghissimo istante con un sopracciglio sollevato ed un ghigno sul volto che fece ruotare gli occhi a Santana. Era possibile che lo sapessero già tutti?

Proprio in quel momento arrivò anche Blaine sorridendo felice, si fermò a dare un bacio sulla guancia a Brittany, sussurrandole di prendersi tutto il tempo che voleva, prima di dirigersi verso il piano per iniziare a suonare pigramente.

Santana si rilassò ancora guardandosi intorno ed ascoltando, senza concentrarsi davvero, ciò che quelle persone si dicevano. Si soffermò a guardare ogni viso ed ogni espressione. In quel posto si sentiva davvero a casa. Protetta. Anche se sapeva che, fuori, tutto era diverso. Ma non poteva negare che, sempre più spesso, la sua mente fantasticava sul rimanere lì.

Sarebbe stata l'ennesima vittima della maledizione della stanza 314, magari sarebbe stato scritto un fantastico articolo sul Newport Tribune anche per lei. E, del resto, chi avrebbe sentito la sua mancanza? La sua famiglia non aveva mai accettato la sua “scelta”, come la chiamavano loro, di vivere nel peccato innamorandosi di altre donne. Non che avessero mai usato la parola amore, per loro, semplicemente, non era concepibile. Così il loro rapporto si era ridotto a sporadiche telefonate sempre più fredde ed impersonali nelle feste. Spesso si dimenticavano persino del suo compleanno. Nessun altro avrebbe sentito la sua mancanza. I suoi amici erano spariti ed Elisabeth, lei non sarebbe mancata a Santana. Guardò il profilo di Brittany che sorrideva dolcemente di qualcosa che un esasperato Kurt diceva. Ed allora si accorse che l'amava. L'amava davvero. Anche se non era ancora il momento di dirglielo. Si morse il labbro. Sarebbe stato il momento adatto il giorno del suo matrimonio con Blaine? Le scappò una piccola risata e, Brittany, si voltò per fissarla.

-Cosa c'è di tanto divertente? - le chiese curiosa.

Santana scosse la testa. Non poteva certo dirle cosa aveva pensato. Non ora. Forse tra una manciata di giorni.

-Niente. Siete divertenti.

Brittany si sporse, come se volesse dare un bacio, probabilmente uno semplice e amichevole sulla guancia. Ma in quel momento si aprì la porta rivelando alcuni giovani che lavoravano nel locale. Salutarono sulla porta prima di sembrare congelarsi alla vista di Santana seduta al bancone come se fosse una normale cliente. Quinn si alzò e si avvicinò a Brittany e Santana.

-Forse è meglio se vieni con me nel retro.

Brittany scosse la testa con forza.

-No.

Anche Kurt si avvicinò per posarle una mano sulla spalla.

-Brit, tesoro, sai anche tu cosa è meglio fare.

Santana fissava il bancone con sguardo vuoto. Non sapeva se si sarebbe mai abituata a quella situazione. Quel luogo e quel tempo la confondevano. Sembrava che, per ogni passo che la portava a sentirsi a suo agio, ce ne fosse immediatamente uno che la riportasse indietro.

Spostò lo sguardo per guardare Brittany che sembrava irremovibile. Sorrise all'idea che sembrava capace di buttarsi tra le fiamme per lei. Così si voltò del tutto nella sua direzione per attirare il suo sguardo e dedicarle un sorriso che, sperava, risultasse rassicurante.

-Il Cotton aprirà presto, Brit – le disse piano cercando di essere convincente – Potrei aspettarti al Providence.

Non aggiunse altro. Ma sapeva che cosa significasse. Le stava dicendo che sapeva che presto sarebbero arrivati i clienti. Tutte persone che l'avrebbero considerata indegna di stare lì. E che l'avrebbero guardata come si guarderebbe un animale senza padrone che si trova dove non dovrebbe stare. Soppresse un brivido a quel paragone e cercò di mantenere il sorriso intatto.

Kurt si alzò immediatamente.

-L'accompagno io.

Santana aggrottò le sopracciglia prima di capire che fosse effettivamente necessario. Così si alzò sotto lo sguardo serio di Brittany. Provò un lieve senso di oppressione nel non poterla baciare prima di lasciarla.

Non avrebbe mai potuto farlo.

E poi seguì Kurt che l'accompagnò in silenzio sino alla porta della stanza numero 314. Solo allora sospirò, come se si fosse trattenuto sino a quel momento.

-Non so da dove sei spuntata fuori... - iniziò ma Santana lo interruppe immediatamente.

-Se stai preparando un discorso da fratello maggiore, risparmiatelo – disse brusca.

-No, no – scosse la testa l'uomo – Non era mia intenzione – fece una pausa – Non sai quanto sia felice che tu sia apparsa. So che, prima o poi, sapremo tutto. Vedo come la guardi, non sono preoccupato.

Santana lo fissò. Sembrava che volesse arrivare a qualcosa di preciso. Ma non sapesse come esprimersi, così decise di lasciargli tempo. Lui alla fine si guardò intorno prima di continuare.

-La vostra è una situazione delicata. Sarebbe già complicato se non dovessimo aggiungerci il fatto che tu sei... - si fermò mordendosi la lingua - … diversa.

Santana storse il naso, non si era mai sentita tale. Certo aveva subito qualche stupida battuta da qualche idiota che non sapeva nemmeno dove fosse il Messico, figuriamoci conoscere la differenza tra Santo Domingo e Puerto Rico. Ma lei si era sempre difesa con tutto il suo carattere aggressivo. Ma questo? Era tutto un'altra cosa. Era un livello di discriminazione che lei non aveva mai nemmeno immaginato. Aveva letto qualcosa, certo, ma provarlo sulla propria pelle era diverso. Poteva quasi sentire come ogni sguardo solcava la sua pelle disegnando una cicatrice che sarebbe rimasta. Kurt sembrò triste mentre pronunciava quel semplice “diversa”. Come se avesse preferito non conoscerne neppure il significato.

-Qualunque cosa succeda, noi ti proteggeremo – concluse con un sussurro.

Allora Santana sorrise mormorando un grazie mentre rientrava al sicuro nella sua stanza. Guardò il letto e poi l'armadio. Nonostante tutto non aveva pensato neppure un attimo a tornare indietro. Guardò la maniglia e scosse la testa. Poteva immaginare il cuore di Brittany che si spezzava un poco se non l'avesse trovata, e lei non poteva permetterlo. Così chiuse l'anta dell'armadio e aspettò giocando con un vecchio opuscolo pubblicitario del Providence che riposava sulla scrivania, sinché non si annoiò e si addormentò.

Fu svegliata, non sapeva dire quanto tempo dopo, ma dalla finestra penetrava solo un lieve chiarore di luna, dalle dita di Brittany che accarezzavano il suo volto. Aprì gli occhi piano, sbattendo le palpebre e lasciando che si abituassero alla tenue luce. Finalmente poteva vedere i lineamenti della donna davanti a lei.

-Brit, che succede? - le chiese ancora assonnata e un po' preoccupata.

-Sei qui – si limitò a sussurrare.

Santana si portò a sedere posando la schiena sui cuscini.

-Certo, ti avevo detto che ti avrei aspettata qui.

Brittany la baciò con forza e Santana l'assecondò prima di cercare ossigeno. Si allontanò accarezzandole il volto e trovando ancora quello sguardo incredulo e preoccupato allo stesso tempo ad attenderla. Il suo cuore si strinse in una morsa dolorosa all'idea che fosse ritornata in quella stanza pensando che non l'avrebbe trovata. Immaginandola sparita chissà dove.

Voleva dirle che non l'avrebbe mai potuto fare. Ma le aveva promesso di non mentirle. E non voleva farlo. Anche se ogni istante l'avvicinava sempre più al momento in cui avrebbe dovuto fare la sua scelta. Anche se non poteva più immaginare una vita senza di lei.

Così la baciò, perché non aveva parole. Aveva solo la sua anima che ormai non era più sua: aveva attraversato il tempo e sarebbe rimasta per sempre lì. Con Brittany. Anche se il suo corpo fosse tornato indietro.

 

 

 

La mattina successiva Santana si svegliò sola ma sorrise trovando immediatamente un biglietto scritto con quella che doveva essere l'elegante calligrafia di Brittany. Si fermò a rileggerlo varie volte solo per poter studiare le linee nere d'inchiostro che sembravano danzare, perfette, nel foglio bianco. Non aveva mai visto niente di più bello. Anche se, semplicemente, la informava che aveva dovuto lasciarla per alcuni impegni organizzativi e che dormiva così bene che non aveva voluto svegliarla.

Santana si alzò dal letto e guardò un piccolo orologio lasciato sulla scrivania. In fondo poteva permettersi di tornare al suo tempo per un caffè. Strinse la maniglia ritrovandosi immediatamente in quella che era la stanza 314, solo che questa volta vi era un letto perfettamente ordinato e la sua valigia completamente disordinata. Si preparò velocemente per poi uscire e scendere le scale. Appena mise piede nella hall si aprì quella porticina scura e apparve il solito vecchietto che la guardò inclinando la testa ma con il suo solito sorriso gentile.

-Signorina Lopez, buongiorno.

-Salve... - lo salutò a sua volta Santana accorgendosi di non sapere per niente quale fosse il suo nome.

-Sta uscendo? - domandò lui prima che la donna potesse fargli alcuna domanda.

-Ho davvero bisogno di un caffè! - esclamò con entusiasmo.

Lui annuì lentamente prima di voltarsi per dirigersi di nuovo verso la porta scura. Ma sembrò fermarsi.

-Sapevo che le sarebbe piaciuto – disse.

Santana non trattenne un sorriso compiaciuto. Certo che le piaceva.

-Come fa a dirlo? - chiese retoricamente visto il suo evidente sorriso e il suo ritrovato entusiasmo.

Il vecchio si voltò e la guardò nuovamente piegando il capo, gli occhialini erano scivolati sulla punta del naso.

-Sono anziano, ho visto tanta gente felice – spiegò.

Santana sollevò un sopracciglio perché non si aspettava una vera risposta alla sua domanda. Ma ormai era abituata alle stranezze degli abitanti di quel posto.

Così scosse la testa e lo salutò con la mano.

-So cosa rende felici – aggiunse il vecchietto.

Santana si fermò e si voltò lentamente, ma l'uomo era già sparito dietro la porta. Così decise di lasciar perdere e si incamminò per le strade di Newport. Sperava davvero di non imbattersi in David, voleva tornare nell'hotel prima possibile per assicurarsi di esserci quando Brittany fosse tornata nella stanza per lei.

Ma sorrise al pensiero di David, lui doveva conoscere cosa fosse successo in quegli anni con suo nonno e con i suoi amici. Si fermò davanti alla vecchia biblioteca e sollevò lo sguardo. Se fosse entrata e avesse cercato nei vecchi numeri del Newport Tribune avrebbe potuto sapere della vita di Brittany e dei suoi amici negli anni successivi. Avrebbe potuto sapere quali successi avessero raggiunto. Magari, pensò, avrebbe potuto trovare qualche indizio e scoprire se lei era rimasta davvero. Si morse il labbro indecisa.

Poi scosse la testa e sorrise. Non voleva saperlo.

Del resto che senso avrebbe vivere una vita conoscendone il finale?

 

 

 

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Nuovo capitolo. Potrebbe sembrare di passaggio prima della fine (che sta arrivando, direi che ci sono tre capitoli) ma in realtà qualche indizio qua e là per sapere cosa succederà c'è!

Scusate se non riesco a pubblicare più di un capitolo a settimana, vorrei potervi promettere che il prossimo arriverà prima ma non ne sono sicura, quindi scusate!

E naturalmente grazie infinite per le splendide recensioni, per leggere silenziosamente e grazie naturalmente a tutti coloro che hanno messo la storia nelle preferite, seguite e ricordate!

Grazie.

 

 

@Martydg15... questo è un messaggio per te... buon quasi compleanno! Lo so che è domani e pensavo di aspettare. Ma poi ho pensato che i regali più graditi sono quelli inaspettati! Quindi quasi auguri!  

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Capitolo 10
*** 10 ottobre 1925 ***


10 ottobre 1925

 

 

Santana non era mai stata, in tutta la sua vita, più consapevole del Tempo. In tutte le sue sfaccettature. Non solo il lento scorrere dei secondi in un quadrante di un orologio che spinge la lancetta dei minuti a ruotare seguita poi da quella delle ore. No. Forse per la prima volta Santana, il Tempo l'aveva sentito davvero. Aveva iniziato a capire che non era qualcosa di esterno ed immateriale che scorre intorno. No. Era semplicemente qualcosa di fisico che ti segna dentro.

Così, in quella manciata di giorni, aveva capito che il tempo non si conta in secondi, si conta in gesti, azioni e sguardi. Si conta in storie vissute e raccontate.

E, dolorosamente, quella mattina si rese conto che ogni storia finisce, prima o poi, andando a concludere la sua corsa in un bivio che, se si è particolarmente fortunati, si biforca semplicemente. Anche se, nella maggior parte dei casi, alla fine di ogni sentiero sembra essere pronto, in paziente attesa, un enorme labirinto.

Il Tempo non le aveva lasciato scampo. L'aveva lasciata per un po' a crogiolarsi dietro una falsa sensazione di tranquillità mentre l'inevitabile si avvicinava a grandi passi, sotto forma di una semplice data: quella era la mattina del dieci ottobre 1925. Il grande giorno del più atteso matrimonio di Newport. Ma soprattutto il giorno in cui Santana sarebbe dovuta tornare indietro.

Si voltò sul materasso, portandosi dietro il lenzuolo che andò a fasciare il suo corpo, per trovarsi davanti il volto rilassato ed addormentato di Brittany. Sorrise a quell'immagine ed allungò una mano per spostare una ciocca di capelli che le copriva una guancia e portarla dietro l'orecchio. Lo fece piano, per non rischiare di svegliarla. Poi chiuse gli occhi e, nella sua mente, la prima cosa che vide fu il contorno chiaro ed ormai così dannatamente familiare della maniglia dorata che, lo sapeva bene, era ancora dentro l'armadio. Negli ultimi giorni l'aveva stretta per tornare al suo Tempo, sempre meno. Solo ogni tanto si faceva vedere nel Providence, più per fare in modo che il vecchietto della hall non pensasse che fosse scomparsa nel nulla, che per un reale desiderio di tornarci.

Perché lo sapeva bene che il suo cuore e la sua anima erano ormai lì. E lo sarebbero stati per sempre. Non perché quello fosse il suo Tempo. Assolutamente. Lei, nel fondo lo odiava. Odiava dover avere paura di ogni sguardo e di ogni gesto. Odiava dover fingere di non esistere. Odiava anche dover per forza passeggiare per quelle strade sempre accompagnata. Odiava dover rimanere nel retro del Cotton a sentire la voce di Brittany attutita dalle pareti, per evitare che i clienti si lamentassero della sua presenza.

Ma, soprattutto, odiava non poterle stringere la mano, non poterla baciare quando voleva.

Odiava non poter vivere.

Ma l'amava.

Amava ogni piccolo dettaglio di lei. Ogni lentiggine che decorava la sua pelle, ogni neo che aveva scoperto. Amava riconoscere ogni cambio nell'intensità del blu dei suoi occhi. Ed ogni gesto che le dedicava.

Per questo sapeva anche che non sarebbe mai riuscita a tornare indietro.

Non era Newport, non erano gli anni venti, non era l'atmosfera, non era il Cotton. E non era nemmeno il Providence.

Santana sapeva che era lì solo per lei. Per Brittany.

Quando riaprì gli occhi, quasi sopraffatta da quel pensiero, trovò ad attenderla quel blu di ghiaccio che l'aveva richiamata lì. E sorrise.

-Sei pronta al gran giorno? - le chiese dolcemente.

Brittany si morse il labbro inferiore nascondendolo tra i denti e scosse piano la testa.

-Devi essere l'unica, in questo momento, in tutta Newport, se non nell'intero Maine, a non essere emozionata! - provò a scherzare ancora Santana.

Ma Brittany sembrava non averne voglia, così le dedicò un lieve sorriso che sembrava decisamente più malinconico che divertito e distolse lo sguardo dai suoi occhi neri.

Santana corrugò la fronte ed allungò la sua mano per poterle accarezzare la guancia. Aspettò pazientemente che condividesse con lei i suoi pensieri, e non dovette farlo a lungo. Brittany chiuse gli occhi solo per un attimo prima di riaprirli lasciando andare un sospiro.

-Vorrei non doverlo fare – disse con una voce che era solo un sussurro.

-Sposarti? - domandò confusa Santana.

Era la prima volta che Brittany mostrava delle riserve per quell'evento. Sembrava che fosse una cosa normale, come andare tutte le sere al Cotton per il suo spettacolo. Niente d'eccezionale, solo un gesto normale che non rappresentava niente se non un modo per vivere tranquilli ed evitare problemi.

Brittany spostò lo sguardo di nuovo, come se non volesse guardarla o non si sentisse sicura di farlo.

-Non con lui.

E, di nuovo, fu un soffio. Fu più leggero di una piuma che cade. Se Santana non fosse stata così vicina non l'avrebbe mai potuto sentire. Ma lo fece. Ed il suo cuore si strinse un po', chiuso dal senso di oppressione così forte che si può provare solo davanti ad un'ingiustizia così crudele ed immotivata da togliere il respiro. E dalla frustrazione che si prova nel sapere che non si può fare niente per eliminarla.

Santana sapeva bene di non poter fare niente. Solo stringerla a sé in un abbraccio che racchiudeva tutto ciò che desiderava ma che non poteva darle. Ed in quel preciso momento, con quei capelli biondi sparsi tutto intorno, seppe con certezza che non poteva lasciarla, mai nella sua vita era mai stata così sicura di nient'altro.

Le diede un bacio sulla fronte.

-Non cambierà niente – le disse e ne era sicura, perché non sarebbe stato certo uno stupido matrimonio di facciata a farla rinunciare a lei.

Così come non sarebbe stata una ridicola società razzista e retrograda. Non che da dove venisse non ci fossero enormi sacche di razzismo e di stupidità di tutti i generi ma, per la prima volta, si rese conto di quanti passi erano stati fatti e di quante vite fossero state calpestate per raggiungere certi traguardi. E di quanta strada, lastricata di sofferenza e lotta, sarebbe stato necessario percorrere ancora prima di raggiungere nuovi traguardi.

Sentì Brittany trattenere il fiato, come se fosse sul punto di fare una domanda. Ma non si sentisse ancora pronta per farla. Santana sapeva bene che, probabilmente, avrebbe voluto dare un nome al loro rapporto, renderlo più concreto e donargli contorni più decisi. Così sorrise nascondendo il suo volto tra i suoi capelli. Aveva deciso che sarebbe rimasta. Avrebbe avuto tempo per raccontarle tutto perché sapeva che le avrebbe creduto. Ma solo dopo il matrimonio.

La strinse a sé per un attimo con maggior forza prima di liberarla per allontanarsi appena da lei.

-Andiamo. Io sarò qui anche dopo la cerimonia.

Quelle parole sembrarono bastare per ottenere uno dei più brillanti sorrisi che Santana avesse mai ricevuto. Così si alzò aiutando Brittany a fare lo stesso e la lasciò andare dentro la stanza attigua per iniziare a prepararsi.

Pochi minuti dopo, quando Quinn entrò, dopo aver bussato per assicurarsi che fossero presentabili, trovò Santana davanti alla porta dell'armadio che fissava la maniglia dorata. Così fece un paio di passi per prendere posizione al suo fianco.

-La vedi? - le domandò Santana.

Quinn fece una smorfia.

-Sì.

Santana si voltò con un'espressione stupita, poi annuì riprendendo a fissare la maniglia come se fosse la cosa più interessante del mondo.

-Cosa pensi che succederebbe se provassi a stringerla? - chiese ancora.

Quinn si strinse nelle spalle.

-Non so. Non ho mai davvero pensato a questa possibilità. Suppongo che anche il mio Tempo sia andato avanti. Importa?

Santana scosse la testa. Non importava davvero. Quinn aveva preso la sua decisione anni prima. Quello era il suo posto.

-Sei sicura di quello che stai per fare? - domandò improvvisamente Quinn.

Santana quasi sobbalzò.

-Non so ancora cosa devo fare – mentì.

-So riconoscere una bugia quando la sento – rise l'altra – Rimarrai.

-Tu pensi ancora che il Providence abbia fatto un errore con me?

La domanda sembrò galleggiare come una nebbia che ricopre ogni cosa ed il silenzio che seguì sembrò solo renderla più densa.

-Sì, il Providence ha sbagliato con te – confermò Quinn – Dovresti davvero andare via.

Santana non riuscì a nascondere una smorfia.

-Ma so anche che non puoi più farlo – aggiunse Quinn senza lasciarle il tempo di dirle niente – Solo vorrei che tu fossi consapevole di ciò che ti aspetta qui.

-Credo di saperlo – rispose lentamente.

Quinn si voltò verso di lei per attirarne lo sguardo e, non appena ci riuscì, iniziò a parlare.

-No, non lo sai. Non potrai mai saperlo. E' qualcosa che, se rimarrai davvero, vivrai sulla tua pelle giorno per giorno. E vorrei prometterti che le cose andranno meglio e che ti proteggeremo sempre. Ma non posso – fece una pausa riprendendo fiato – Semplicemente non posso. Posso assicurarti che ci proveremo sempre. Ma ci saranno giornate nere.

Santana deglutì.

-Posso sopportarlo – disse decisa.

-Anche per Brittany – sussurrò ancora Quinn.

Questo Santana non l'aveva pensato. Non aveva davvero immaginato che Brittany potesse subire delle conseguenze.

-Non posso andare via senza di lei.

Quinn annuì lentamente, lo sapeva. E si permise il lusso di maledire il Providence che l'aveva salvata perché non poteva o non voleva fare lo stesso con Santana. Dentro di sé sapeva che quello non era il suo posto. Ma ormai non potevano tornare indietro. E quella maniglia era lì per Santana, solo per lei.

Brittany apparve improvvisamente con una semplice vestaglia di seta chiara e un sorriso sul volto, che sembrò vacillare quando vide le due donne che si fronteggiavano.

-Va tutto bene?

Entrambe sorrisero immediatamente. Ci sarebbe stato un momento per affrontare le conseguenze di ogni decisione. Ma non era quello.

Così l'aiutarono a vestirsi ed a scendere le scale dove c'era l'auto che l'attendeva. Santana si accorse immediatamente che Puck e Quinn si erano posti al suo fianco non appena aveva varcato la porta della stanza 314 e poteva vedere come cercassero di tenersi defilati per proteggerla da occhiate indiscrete che, comunque, arrivavano.

Certo Blaine aveva raccontato di come Santana fosse una famosa insegnante di musica giunta direttamente da New Orleans. Ma questo non sembrava bastare per giustificare la sua presenza come ospite di quel matrimonio.

Così, quando raggiunsero la chiesa si limitarono ad attendere fuori dalla porta che la cerimonia terminasse. Solo dopo un tempo che sembrò infinito, Kurt giunse al suo fianco e le offrì il braccio che lei accettò spostandosi di lato ad attendere che Brittany uscisse con Blaine.

-Era necessario che io venissi qui? - chiese Santana cercando di ignorare un uomo che, a pochi metri da lei la fissava con insistenza e sguardo serio.

-Meglio che si abituino a te. Prima lo fanno prima smetteranno di fissarti – le rispose – E poi sai meglio di me che Brittany ti voleva qui.

Santana non fece in tempo nemmeno ad annuire che Brittany uscì dall'edificio con un sorriso mentre i suoi occhi la cercarono immediatamente. E, solo allora, il sorriso si fece più sicuro. La coppia di sposi si fermò per fare in modo che riuscissero a scattare una foto e poi tutto sembrò muoversi di nuovo rapidamente. Così si trovarono nel Providence, elegantemente decorato per la cerimonia. C'era musica e tavoli con un buffet freddo ed un paio di giovani che preparavano da bere.

Santana si sentiva già stanca ed irritata da tutta quella gente. Li guardava da un angolo semi nascosto con Puck al suo fianco mentre Blaine, Brittany e Kurt si comportavano da perfetti anfitrioni e parlavano con ogni ospite. Ma Santana non poteva fare a meno di guardare quegli uomini impomatati e ridicolmente tesi nei loro perfetti completi gessati, o quelle donne con abiti di seta scura dal taglio netto, nessuna delle quali riusciva ad avvicinarsi all'eleganza con cui si muoveva Brittany, con una smorfia disgustata sul volto. Perché, si rese conto solo in quel momento, li disprezzava. Almeno quanto loro disprezzavano lei.

-Non ti farai molti amici se continui a guardare tutti in quel modo – le disse Puck mettendole sotto il naso un bicchiere di limonata – A pensarci bene non ti faresti molti amici comunque. Ma comunque è meglio se ricordi di tenere lo sguardo basso.

Santana strinse con forza il bicchiere gelato tra le mani.

Tenere gli occhi bassi?

Come se fosse facile per lei.

-Lo terrò a mente – sbottò – E' analcolico, vero?

Puck la guardò con la coda dell'occhio.

-Sei davvero strana, sai? Fingono tutti di non essere disperatamente curiosi, ma questo non significa che io sia il solo a farmi delle domande!

-Per esempio? - gli chiese prima di sorseggiare la sua bevanda.

Puck allargò le braccia come se quello che stesse per dire fosse la cosa più ovvia del mondo.

-Sembra che tu sia apparsa dal nulla senza nessuna idea di come funzioni il mondo! - esclamò.

Santana si concesse un lieve sorriso perché era decisamente una descrizione accurata di quello che era successo.

-Non preoccuparti. Ogni cosa a suo tempo, per il momento pensiamo a questa ridicola festa.

Puck si voltò di nuovo guardando Brittany che si muoveva tra gli ospiti con uno splendido sorriso.

-Pensa che te ne andrai, sai?

Santana si voltò verso l'uomo al suo fianco mentre l'espressione dolce che, involontariamente, le illuminava il volto mentre guardava Brittany muoversi, veniva sostituita da una confusa.

-Cosa?

-Brittany. Pensa che te ne andrai. Ed anche io.

-Perché?

Puck si strinse nelle spalle.

-Credo che sia perché tu non sembri appartenere a questo luogo. E' come se fossi un fantasma. Un fantasma con un gran bel corpo, lasciamelo dire, ma pur sempre una proiezione di qualcosa che non dovrebbe essere qui.

Santana corrugò la fronte domandandosi se fosse davvero tanto evidente.

-Non voglio lasciarla – disse come se questo avrebbe chiuso ogni discussione.

-A volte non si ottiene ciò che si desidera.

Santana si voltò, indecisa su cosa ribattere, giusto in tempo per vedere Brittany che le si avvicinava. Prese posto appoggiandosi al muro tra Santana e Puck che la guardavano divertiti dalla sua espressione corrucciata.

-Non ne posso più – disse alla fine.

-Di cosa? - domandò Puck – Ti sei appena sposata e già non sopporti tuo marito?

-No, credo che sia stanca di tutta questa gente! - sbottò Blaine apparso quasi dal nulla che si sistemò al fianco di Santana – Di me non ci si può stancare mai!

-Certo, Blaine! Non può vivere senza di te! - commentò sarcasticamente Santana guadagnandosi uno sbuffo indignato di Blaine.

-Sei l'ultima arrivata non credo tu possa parlare! - si difese – Vero Brittany?

Questa si voltò sentendosi chiamata in causa ma ignorando il battibecco.

-Secondo te posso andare via? - domandò speranzosa.

-Via dove? - esclamò Blaine.

-Non lo so! Ovunque meno che qui! - insistette – Magari Puck può guidare sino alla scogliera, San vieni con me?

Blaine si guardò intorno prima di sospirare ed annuire.

-Va bene, andate pure. Io e Kurt ci occuperemo di tutto.

Brittany sorrise vittoriosa mentre anche Puck sembrava felicissimo di essere stato inserito in quel piano di fuga.

-Vado a prenderti uno scialle – intervenne immediatamente Santana.

-Io devo cercare Quinn per avvisarla, vuoi che ti accompagni? - le domandò Puck.

Ma Santana si strinse nelle spalle.

-Non preoccuparti, tu cerca Quinn, Brittany saluta qualche altro ospite e poi appena ritorno possiamo andare.

Fece un paio di passi per attraversare la sala poi sembrò ripensarci e tornò sui suoi passi per fermarsi davanti a Blaine.

-E comunque mi sembra ovvio chi di noi due preferisca! - gli disse con un enorme sorriso mentre l'uomo roteava gli occhi divertito.

Poi Santana si voltò ed attraversò la sala tenendosi vicina alle pareti, raggiunse infine la hall sollevando rapidamente lo sguardo per vedere lo stesso giovane che, pochi giorni prima, l'aveva aggredita aprendole gli occhi al mondo che la circondava. Ma lui era intento a parlare con un ospite e non la vide, così poté raggiungere le scale con un lieve sospiro di sollievo. Per Brittany avrebbe sopportato anche questa lieve tensione che sembrava non volerla lasciare mai se non quando era al sicuro protetta dalle mura della sua stanza. Iniziò a salire le scale con un unico pensiero nella mente: quello di approfittare di quella serata per poter raccontare tutto a Brittany.

Su quella scogliera che era stata lo scenario perfetto per il loro primo bacio, sarebbe stata il luogo perfetto anche per confessarle per la prima volta che l'amava. E che avrebbe rinunciato a tutto per lei. Anche alla sua vita. Anche al suo Tempo.

E, dentro di sé, sempre più forte vi era quella sensazione di pace a quell'idea. Sapeva che poteva dirle tutto perché lei era il suo destino. L'avrebbe accettata e le avrebbe creduto. Di questo era certa come lo era del fatto che il sole sorge ogni mattina.

Forse fu proprio perché era tanto sovrappensiero che, quando un paio di mani le si strinsero sul collo e sulla bocca, soffocando un suo urlo spaventato sul nascere, la colsero tanto di sorpresa. Immediatamente dopo sentì, oltre al furioso battere del suo cuore che le rimbombava direttamente nelle orecchie offuscando i suoi pensieri in una cappa indistinta di paura che sfiorava ormai il terrore, anche come venisse trascinata lungo il corridoio che sembrava totalmente deserto. Le sembrò un percorso infinito e brevissimo allo stesso tempo e poi, quelle stesse mani la spintonarono verso il muro con violenza. Santana sollevò lo sguardo velato di lacrime, di rabbia e paura più che di dolore, per trovarsi davanti due uomini piantati davanti a lei.

-Cosa fai qui, negra? - domandò uno dei due con tono per niente amichevole.

Santana provò ad aprire la bocca per parlare, ma un nodo sembrava voler impedire che passasse qualunque cosa, sia suono che aria. Si trovò involontariamente ad annaspare.

-Non sai parlare? Eh?

Il più basso dei due allungò la mano e la strinse con forza intorno alle sue guance costringendola ad aprire innaturalmente la bocca.

Santana abbassò lo sguardo ricordandosi le parole di Puck, forse se fosse stata zitta alla fine avrebbero perso interesse in lei.

Ma lo schiaffo che la raggiunse in pieno volto, violento ed inatteso, la fece sobbalzare e convincersi che quella non era una possibilità. Così si obbligò a balbettare qualche parola confusa, sperando che fosse sufficiente.

-Io... sono ospite... il Signor Anderson...

I due risero, come se fossero amici da una vita che si scambiano aneddoti divertenti. Santana tacque immediatamente. Non che fosse sicura di poter dire qualunque altra cosa.

-Ospite? Tu? Ma ti sei vista? - disse l'altro stringendole nuovamente la mascella con forza – Al massimo sei il suo giocattolino. Dimmi la verità, come sei riuscita a corrompere un signore come lui?

Santana scosse la testa. Anche se non era sicura che fosse quello che volessero quegli uomini. Ma ormai desiderava solo che tutto finisse.

-Ma certo che sei stata tu a corromperlo! Cosa sai fare, eh? Magari potremmo scoprirlo anche noi. Cosa ne pensi Mark?

L'altro sembrò squadrarla dall'alto in basso con uno sguardo a metà tra l'affascinato ed il disgustato.

-La mia stanza è su questo piano – disse alla fine – Del resto bisogna scoprirlo prima che Blaine si stufi di lei e la ributti nel buco dove l'ha trovata.

Santana scosse ancora violentemente la testa e i due uomini ripresero a ridere.

-No? Pensi che non si stuferà di te? Pensi che continuerai a poter fingere di essere una persona vera ancora per molto? - ad ogni domanda la scuoteva come se fosse l'unico modo per farle arrivare quelli che, per loro, erano concetti semplicissimi.

L'altro rideva tranquillamente.

-E se Blaine non si stancasse rapidamente di te ci penserà la brava gente di questa città a ricordargli come vanno le cose. Il Cotton è un bersaglio facile da bruciare. Mi sono stancato di vederti girare per Newport come se fossi la padrona di questo posto. Sei feccia, mi capisci?

Santana chiuse gli occhi mentre le lacrime iniziarono a scivolare lungo le sue gote, lente e dolorose come una colata di lava. Aveva superato la soglia della paura e del terrore ed ora non sentiva più niente. Solo un enorme vuoto che sperava finisse rapidamente.

-Che diavolo sta succedendo?

Immediatamente i due uomini la lasciarono voltandosi verso la voce. Puck stava fermo davanti a loro con sguardo serio e gli occhi socchiusi che brillavano di rabbia.

-Puckerman, stavamo solo mettendo le cose in chiaro con la nostra ospite – il modo in cui il più alto dei due pronunciò quella parola era carico di sarcasmo e di scherno.

-Fuori da qui – disse semplicemente con un tono che non ammetteva repliche.

Entrambi si mossero immediatamente, senza farselo ripetere.

-Ci rivedremo – sibilò uno dei due e, Santana, seppe per certo che si riferisse a lei.

Puck fu al suo fianco in un battito di ciglia sussurrando parole di conforto che Santana non capiva. La prese quasi di peso e la portò sino alla stanza 314 aprendole la porta e lasciando che si sedesse alla poltrona della scrivania.

-Meno male che stavo cercando Quinn – disse – Stai bene?

Santana annuì, insicura della sua stessa voce. Puck la guardò a lungo.

-Posso lasciarti sola? Vado a chiamare Brittany, va bene?

Di nuovo ricevette solo un cenno col capo come risposta, ma sembrò sufficiente per lasciare la stanza e Santana si ritrovò sola. Sola come non era mai stata in un mondo che non era il suo. Con le parole che le rimbombavano nelle orecchie. Sapeva che non l'avrebbero mai abbandonata. Non aveva paura di quello. Ma ora sapeva anche che proteggerla avrebbe avuto delle conseguenze anche per persone così influenti come Blaine e Brittany. E lei non poteva permetterlo.

Perché il Providence aveva sbagliato.

Per un secondo desidererò non essersi mai recata a Newport. Se non fosse stato per quella dannata lettera lei non sarebbe mai stata lì, non avrebbe mai visto quell'hotel e non avrebbe mai stretto quella maniglia.

Ma non avrebbe mai conosciuto neppure Brittany. E di questo, qualunque cosa fosse successo nelle sua vita, non si sarebbe mai pentita.

Improvvisamente guardò la scrivania dove riposavano alcuni fogli, delle buste, un calamaio di inchiostro nero ed una penna. Ma soprattutto un piccolo volantino che pubblicizzava il Providence. E fu quello il momento in cui capì. Nonostante tutto non poteva desiderare di non aver mai incontrato Brittany, perché lei era sua. Al di là del Tempo. E l'avrebbe voluta incontrare altre mille volte. Così afferrò la penna con mano tremante e scrisse poche righe che conosceva ormai a memoria:

 

Newport 10 ottobre 1925.

Cara Santana,

io ti conosco bene quanto tu conosci me. Quindi andiamo al sodo. Prendi un aereo e vai nel Maine. Newport per l'esattezza. Non ti piacerà, lo so. Lo so bene, meglio di quanto tu possa immaginare. Ma devi farlo.

Prenota all'hotel Providence. Ed aspetta che il tempo faccia il suo corso.

 

La guardò. La sua mano tremante e la poca dimestichezza con la penna stilografica avevano reso la sua calligrafia incerta e quasi irriconoscibile. Anche se, ora che la vedeva, non poteva non chiedersi come avesse fatto a non vederlo. Forse perché nessuno si aspetta di riconoscere la propria mano in una lettera che non si è ancora scritto.

Ma si rese conto di avere poco tempo prima che Brittany tornasse in quella stanza. E lei doveva ancora fare un'ultima cosa. Così ripiegò la lettera e la inserì in una busta con il piccolo volantino che pubblicizzava il Providence chiudendola con un gesto secco. Poi riprese la penna e, questa volta in modo più deciso scrisse una lettera per Brittany.

 

Newport 10 ottobre 1925.

Brittany, non esiste per me niente di così doloroso come scriverti queste poche parole. Non mi dilungherò. Voglio solo che tu sappia che trovarti è stato un dono che so di non meritare.

Ma, nonostante ciò, non vorrei rinunciare a te. Anche se devo farlo. Perché questo non è il mio posto. E, nel fondo, anche tu lo sai bene.

C'è una cosa che avrei voluto dirti di persona oggi ma che non potrò dirti, perciò non mi rimane che scriverla.

Ti amo.

Lo farò sempre con ogni mio respiro ovunque io sarò.

 

Si fermò mentre una lacrima cadde sull'ultima parola diluendo un poco l'inchiostro e lasciando una macchia indelebile. Chiuse gli occhi per un istante prendendo un respiro ed una decisione. Non poteva rinunciare a lei. Non del tutto. Anche se non poteva rimanere.

 

So che questo è egoistico, ma io tornerò per te. Ogni anno, il giorno in cui ti ho vista per la prima volta. Io ti aspetterò qui, in questa stessa stanza. Vieni da me. Anche solo per una notte ogni anno. Anche se ogni addio sarà più doloroso del precedente e so già che il mio cuore si romperà a poco a poco, rimanendo qui, un brandello alla volta.

 

Dovette chiudere gli occhi nuovamente respirando a fatica, contando il Tempo che le mancava non più in secondi, ma in parole scritte su quella carta, trasformate in desideri e speranze e paure e dolore. Trasformate in qualcosa di impossibile che sarebbe stato reale per poche ore ogni anno.

Ma non aveva scelta. Ed anche le parole stavano finendo e Brittany stava per tornare. Santana sapeva che non sarebbe stata in grado di lasciarla se l'avesse vista. Così scrisse velocemente le ultime istruzioni: le spiegò che le lasciava una lettera chiusa che non doveva aprire e che doveva portare a Los Angeles, lasciarla in una cassetta di sicurezza del Regent Bank per poi contattare lo studio di avvocati. Scrisse il suo numero e quando avrebbero dovuto contattarla.

E poi si alzò lasciando tutto in bella mostra sulla scrivania. La maniglia era lì in attesa. Così chiuse gli occhi mentre allungava la mano e, per un istante, le parve di sentire il rumore della porta della stanza che veniva aperta. Ma, un battito di ciglia dopo, si ritrovò nel suo Tempo. Strinse i denti obbligandosi a non pensare. Buttò le sue cose nella valigia e scese le scale di corsa. Senza guardarsi indietro.

Nella hall il vecchietto la guardò stupito. Probabilmente perché doveva avere un aspetto orribile.

-Vado via – gli disse.

-Doveva andar via domani.

Santana scosse la testa.

-No. Vado via – ripeté come se si trattasse di un mantra.

-Non dovrebbe farlo.

Il vecchio la guardava serio, gli occhialini che riposavano sulla punta del suo naso, l'enorme registro davanti a lui. Sembrava davvero stupito. Così Santana scosse la testa e disse la prima cosa che gli passò per la testa.

-Vado via perché anche il Providence sbaglia.

Questo sembrò lasciare senza parole l'uomo, come se fosse stato schiaffeggiato. Scosse la testa a sua volta, fermo nella propria posizione.

-Il Providence è sempre il posto giusto. Solo che, a volte, è il momento sbagliato.

-A volte non esiste il momento giusto.

Santana si rese conto di quanto quella frase suonasse vera e dannatamente falsa allo stesso tempo. Perché quello dove si trovava era il momento giusto. Non significava che era perfetto, era ben lungi dall'essere perfetto. Ma sarebbe stato giusto. Avrebbe potuto varcare la soglia di quell'hotel mano nella mano con Brittany e baciarla. Alla luce rossa del tramonto che bagnava l'esterno. E Santana lo sapeva.

Ma non c'era soluzione perché Brittany non poteva passare. Il Providence aveva scelto Santana.

Ed aveva sbagliato.

Così si voltò dirigendosi verso l'uscita.

-Ci rivedremo. Tra un anno – sussurrò.

Ma non ottenne risposta. Così si voltò prima di lasciare l'hotel ma si accorse che il vecchio era sparito. Probabilmente dietro la solita porta scura, anche se lei, da quella distanza o forse a causa di quella luce, non riusciva più a vederla.

 

 

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Direi che sono le note più difficili che io abbia mai scritto. Diciamo che preferisco non commentare il capitolo anche se avrei milioni di cose da dirvi, mi limito a ringraziare tutti: chi legge silenziosamente, chi recensisce, chi in questo momento non vuole uccidermi! Anche se sono certa che siano una minoranza perché so che avete istinti omicidi nei miei confronti.

Aspetto magari di sapere se qualcuno a questo punto abbia capito chi è il vecchietto!

Grazie davvero per tutto!

 

Ultima cosa... buon compleanno PinkSugar!! Lo so che mi odi (ma nel fondo tu ti fidi di me) in questo momento, ma sappi che ho fatto i salti mortali per poter pubblicare oggi e scriverti questa dedica qui! Un abbraccio!

 

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Capitolo 11
*** Un anno dopo ***


Un anno dopo

 

Santana aveva imparato due cose in quei mesi. La prima era che niente era mai come sembrava e un anno è più lungo di ciò che sembra. Lei aveva dato per scontate fin troppe cose. Dopo essere andata via da Newport quel dieci ottobre di quasi un anno prima, aveva pensato che, per lei, non ci sarebbe stato niente di buono di ritorno a Los Angeles. Del resto la sua vita era stata completamente sconvolta da una serie di eventi su cui lei, diciamocelo, non aveva avuto quasi nessun controllo. Era quasi rassegnata a passare le sue giornate tra l'ufficio e casa in uno stato di perenne depressione in attesa che il tempo passasse. In attesa di quell'unica giornata che l'avrebbe riportata dalla donna che amava ma che aveva lasciato andare.

Ne era certa.

Invece, quasi senza volere, si era ritrovata tra le mani un volantino di un corso di ballo di una nuovissima scuola che, per una strana coincidenza, si trovava ad appena duecento metri da quella che era la sua nuova casa che aveva dovuto acquistare visto che aveva lasciato l'appartamento che divideva con Elisabeth.

Quella pubblicità le aveva fatto pensare a Brittany, come tutto ciò che la circondava ad essere sinceri, e così si era ritrovata a presentarsi per la prima lezione di prova. Non appena messo piede dentro la grande sala aveva quasi seguito il suo istinto e si era voltata per uscire il più in fretta possibile pensando che quella fosse la peggior idea che avesse mai attraversato la sua mente. Ma, mentre cercava di raggiungere la porta per scappare, prima che la giovane donna dai tratti chiaramente asiatici che stava dietro il bancone facesse in tempo a dirle qualunque cosa, si scontrò con un ragazzo che, a sua volta, era appena entrato stringendo lo stesso volantino pubblicitario che aveva lei.

Così Santana si era ritrovata a scusarsi con lui per l'incidente e si era trovata davanti un giovane biondo e con gli occhi chiari con un amichevole sorriso stampato in volto.

-Non preoccuparti – aveva risposto immediatamente.

Santana in effetti non era preoccupata per niente e le sue scuse non erano nemmeno particolarmente sincere, semplicemente pensava fosse più facile scusarsi per poi sparire in fretta piuttosto che lanciarsi in una serie di improperi e maledizioni in almeno un paio di lingue.

Ma quel ragazzo non sembrava volerla lasciar andare così in fretta visto che stava fermo davanti a lei bloccandole ogni via d'uscita.

-Anche tu qui per iscriverti al corso? - le chiese.

Santana avrebbe voluto rispondere di no, che era finita lì per caso pensando che si trattasse di una nuova pizzeria e non di una scuola di ballo. Ma, guardando quel giovane, soprattutto i suoi capelli biondi, non poté fare a meno di ricordare Brittany. Non che fosse strano. Tutto le ricordava lei. Persino la pioggia, anche se mai aveva passato nemmeno una sola giornata di pioggia con lei. Solo che, pensava, le sarebbe piaciuto chiederle se anche lei amava il profumo della terra bagnata.

Così non riuscì a ignorarlo e, dopo una smorfia quasi rassegnata, annuì.

-Sì. Ma non sono sicura che sia una buona idea – aveva borbottato infastidita con se stessa per non riuscire a pensare ad altra cosa che non fosse Brittany.

Lui aveva sorriso ancora di più prima di allungare la mano.

-Sam Evans – si era presentato stringendo con entusiasmo la sua mano prima di fare una smorfia e proseguire – Anche io non sono sicuro che sia una buona idea ma pensavo di fare un regalo alla mia fidanzata.

-Bene, buona fortuna allora – aveva detto Santana già muovendosi di lato per superarlo e cercare di uscire da quella sala.

Ma Sam non sembrava della stessa idea perché la fermò prendendole delicatamente il polso e l'aveva guardata con sguardo supplichevole.

-Andiamo! Non lasciarmi solo! Mercedes non sa che sono qui, volevo farle una sorpresa, facciamo questa prima lezione di prova insieme! Cosa ne pensi?

Santana sospirò e, pur sapendo che era una pessima idea, gli domandò chi diavolo fosse questa Mercedes.

Sam aveva sorriso con quel suo modo un po' impacciato che lo caratterizzava, e che Santana avrebbe imparato a conoscere davvero bene nei mesi successivi, e l'aveva trascinata verso la donna responsabile delle iscrizioni mentre iniziava a raccontarle la sua vita per filo e per segno.

Così, quasi controvoglia e, soprattutto, completamente a sorpresa, Santana si era trovata non solo in un corso di danza che aveva deciso di frequentare perché le ricordava Brittany, ma anche con un nuovo amico, a cui aveva dato una possibilità soltanto perché le ricordava Brittany! Era incredibile quanto la sua vita avesse iniziato a girare tutta intorno a una donna che non poteva avere ma che desiderava così disperatamente. Tutto sommato, dovette ammettere, aveva avuto un ascendente positivo pur essendo distante non solo nello spazio, ma anche nel Tempo.

Fin troppo distante ad essere sinceri.

La seconda cosa che aveva imparato in tutto quel tempo era che si può provare a controllare tutto nella vita, ma c'è sempre una semplice cosa che sfugge ad ogni controllo: il primo pensiero di ogni mattina. Santana l'aveva capito con il passare dei giorni. Perché aveva deciso che, per riuscire a non impazzire, le sarebbe stato necessario concentrarsi su altre cose che non fossero Brittany e la sua scelta di non restare con lei. Mai aveva pensato che fosse la decisione sbagliata.

Non lo era. Ne era certa.

Ma sapeva anche che convivere con quella decisione sarebbe stato difficile e, ogni giorno, si ritrovava a sperare che il suo ricordo sbiadisse piano piano sino a trasformarsi in un piacevole ricordo. Uno di quelli che si conservano sempre nel profondo ma che, forse, sarebbe meglio non far mai risalire in superficie. Così, si concentrava ogni minuto per evitare di pensarci, con un certo successo, a dire il vero. Quasi sempre. Tranne la mattina, quando apriva gli occhi e, ancora assonnata e senza il pieno controllo della sua mente, o forse del suo cuore, si ritrovava a fantasticare su un paio d'occhi color ghiaccio e degli splendidi capelli dorati. E immaginava di averla lì, tra le sue braccia, dove sapeva bene sarebbe dovuta stare.

Così aveva capito che, per quanto si impegnasse non l'avrebbe potuta lasciar andare, non del tutto. E che nemmeno quella stupida distanza avrebbe potuto fare niente. Perché, ogni volta che apriva gli occhi, il suo primo pensiero correva a lei.

A lei e a cosa stesse facendo.

Lei l'aveva forse dimenticata?

Pensava di no.

Nel profondo era certa che non l'avesse fatto.

Così aveva deciso che, in un modo o nell'altro voleva sapere della sua vita e aveva cercato una biblioteca qualunque, a Los Angeles, che conservasse copie del Newport Tribune per poter seguire, almeno indirettamente ciò che aveva vissuto Brittany. O ciò che stava vivendo, del resto per Santana il Tempo era confuso quando ci pensava. Ma non aveva trovato nessuna biblioteca, né museo, che conservasse copie di quel giornale. Non che ci fosse molto da stupirsi a dire il vero. Solo allora si era decisa a fare una brevissima ricerca su un paio di reti sociali per poter contattare David Puckerman. E gli aveva fatto la richiesta più assurda che si può fare a un semplice conoscente con cui si è passato solo qualche giorno: gli aveva chiesto di mandargli le copie del Newport Tribune, ogni giorno una nuova. In un angolo della sua mente non voleva, pur potendo, scoprire cosa fosse successo a Brittany tutto insieme. In un certo senso, voleva “leggere” della sua vita man mano che stava accadendo. Così scoprì che lei e Blaine accompagnati da Kurt, Quinn e Puck erano stati a Los Angeles in viaggio di nozze, lasciando Newport per più di un mese, tornando solo poco prima del Natale del 1925. Santana sospettava che, in quel viaggio, avesse portato la lettera nella cassetta di sicurezza del Regent Bank ma non ne aveva la certezza. E scoprì anche che, a partire dalla primavera del 1926 sembrava apparire sempre meno al Cotton.

Questo la preoccupò abbastanza. Ma pensò che sarebbe stata Brittany stessa a raccontarle cosa l'avesse spinta a quella scelta.

E ormai mancava davvero poco. Così sorrise mentre apriva la porta di casa, dopo una lunga giornata di lavoro. Sorriso che sparì immediatamente non appena si accorse che nel salotto c'era la televisione accesa e questo poteva significare solo una cosa. Così si diresse a passo di marcia verso la sua meta.

-Sam! - urlò facendo sobbalzare il ragazzo che stava tranquillamente sdraiato sul suo divano – Che diavolo fai qui?

-Ciao San! - disse subito dopo essersi ripreso – Vuoi una birra?

-Sì, voglio una delle mie birre! - sbottò lei immediatamente – Sei tu che avresti dovuto chiederlo prima di prenderla!

-Beh tu non c'eri! - provò a difendersi.

Santana si passò una mano sul viso cercando di mantenere la calma.

-Ovvio! Ero in ufficio! E tu cosa ci fai qui?

-Mercedes è partita per lavoro, torna tra un paio di giorni – disse come se questa fosse una spiegazione sufficiente.

-E perché sei a casa mia? Hai le chiavi solo nel caso che mi chiuda fuori per sbaglio!

-Mi annoiavo a casa da solo! - insistette – E poi ho parlato con Mike, stasera usciamo!

Santana scosse la testa. Mike era il loro insegnante di ballo e, con lui e con sua moglie, Tina, avevano raggiunto uno strano rapporto d'amicizia. C'era un unico problema: Santana era l'unica single del gruppo e sembrava che tutti avessero deciso di trovarle una fidanzata.

-Non credo proprio! Devo preparare la valigia, non ricordi che domani parto per un paio di giorni di vacanza?

Sam si accigliò.

-Parti davvero quindi? - chiese.

-Ovvio.

-Devi davvero vedere la tua donna misteriosa?

Santana sbuffò. I suoi amici sapevano che c'era qualcuno che occupava i suoi pensieri ma non riuscivano a comprendere la natura del loro rapporto.

-Sai che non ne voglio parlare – disse sulla difensiva.

-Perché no? Da quando ti conosco hai rifiutato tutti gli appuntamenti che ti abbiamo proposto.

-Non voglio parlarne.

-Non ti merita, San! Non la vedi mai! Non vi sentite mai! Qualunque cosa sia successa è ora che tu vada avanti.

Santana si diresse verso il frigo per aprirlo e poter prendere una birra, più per avere qualcosa tra le mani che per reale desiderio di berla.

-Senti, se vuoi rimanere dammi una mano a preparare la valigia.

Sam scosse la testa. Sapeva che, in quei momenti, era inutile forzare la mano. Così si alzò e fece l'unica cosa che poteva fare: prendere la valigia dall'armadio nella camera di Santana.

 

 

 

Quel 28 settembre era una giornata davvero calda e limpida. Santana scese dal taxi con un sorriso che l'anno prima era un miraggio. Si voltò lasciando una banconota al tassista e dicendoli, distrattamente, di tenere il resto. Poi sollevò i suoi occhiali e, mentre guardava la facciata dell'Hotel Providence, dovette sopprimere il desiderio di mettersi a saltellare come una qualunque adolescente davanti al palco dove, di lì a poco, si sarebbe esibito il suo cantante preferito. Così prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi, prima di dirigersi con passo sicuro e sguardo fiero per attraversare la porta d'ingresso.

La prima cosa che attirò la sua attenzione, e che le sembrò abbastanza strana, era la mancanza dei ritratti in bianco e nero nella hall. Corrugò la fronte perché era la prima cosa che avrebbe voluto vedere: quella foto di Brittany. Era certa che avrebbe immaginato la tonalità di blu dei suoi occhi e, naturalmente, l'oro tra i suoi capelli. Ma scosse la testa senza dargli troppa importanza. Del resto era passato un anno e molte cose potevano essere successe, magari le avevano portate via solo momentaneamente per qualche piccolo lavoro.

Così, sempre con il sorriso ben piantato in volto, si diresse verso il bancone. Ad attenderla un giovane impiegato, doveva avere meno di trent'anni, perfettamente a suo agio nella divisa blu scuro, con un sorriso cortese dipinto in volto.

-Salve, ho una prenotazione a nome di Santana Lopez.

Lui annuì mentre digitava qualcosa nella tastiera del computer che aveva davanti. Santana aggrottò le sopracciglia, le sembrava davvero strano anche se non riusciva a spiegarsi perché.

-Certo. Due notti. Vedo che ha richiesto assolutamente l'abitazione 314 – poi si voltò per prendere una tessera magnetica e la sistemò dentro un elegante cartoncino prima di allungarla gentilmente verso Santana con il sorriso cortese e professionale ancora perfettamente al suo posto.

Santana allungò la mano titubante. In quel momento c'erano davvero fin troppe cose che le sembravano strane. Prima tra tutte l'atmosfera. Nonostante ciò prese il cartoncino con la chiave magnetica e se lo rigirò tra le mani.

Si schiarì la voce.

-Senta, per caso sa che turno fa quel vecchio impiegato che lavora qui?

L'uomo davanti a lei sollevò un sopracciglio.

-Ci sono solo io a dire il vero – disse.

Santana si grattò il mento con aria indecisa, in fondo non sapeva bene cosa dire, né come si chiamasse il vecchio.

-Immagino che sia andato in pensione. In fondo vedo che vi siete modernizzati – fece un gesto indicando il computer – L'anno scorso c'era solo quel vecchio con quel grosso registro e delle chiavi di bronzo.

Il sorriso cortese e professionale vacillò un poco mentre il sopracciglio del giovane impiegato si sollevava appena di più.

-Mi spiace ma davvero non so di cosa mi parla. Io lavoro qui da ormai quasi cinque anni. Sicura che non si sta confondendo con un altro hotel?

Santana aprì la bocca per dire qualcosa mentre si guardava intorno. Il suo sguardo passò sulla parete dietro l'impiegato e quasi smise di respirare. Si sporse in avanti facendo assumere all'uomo davanti al lei un'espressione decisamente poco professionale.

-La porta! Quella porticina scura! Dove diavolo è finita? - domandò.

-Senta è sicura di star bene? - chiese a sua volta l'impiegato – Non c'è mai stata nessuna porta lì, credo davvero che si stia confondendo con un altro albergo! Perché non sale nella sua stanza e cerca di riposare?

Santana cercò di smettere di fissare la parete ed annuì piano. Del resto non poteva permettersi di passare per una folle psicopatica e di venir buttata fuori dal Providence. Così afferrò la sua valigia e si diresse verso le scale. Tutto lì sembrava esattamente come se lo ricordava. Un vecchio albergo che aveva visto tempi migliori, decisamente decadente e con meno manutenzione di ciò che avrebbe necessitato. Questo la tranquillizzò almeno in parte.

Salì le scale rapidamente ed entrò nella stanza 314. Tutto era perfettamente uguale anche lì. Esattamente come lei lo ricordava. Ed ogni dettaglio era impresso a fuoco nella sua mente. I suoi occhi vennero attratti dall'armadio, ben chiuso, e dovette trattenersi dal correre ad aprirlo spalancandolo con veemenza. Invece decise di aprire la finestra per fare entrare i raggi del sole del primo pomeriggio e poi fare una rapida doccia prima di cambiarsi. Sapeva che non era necessario perché non aveva la minor intenzione di allontanarsi dalla stanza 314 ma, ugualmente, decise di indossare un abito in perfetto stile anni venti molto semplice ma che, sperava, Brittany avrebbe apprezzato. Perché non aveva dubbi. Sapeva che, dall'altra parte, ad attenderla c'era lei. Così, finalmente pronta, si diresse verso l'anta dell'armadio e, con un sorriso eccitato, la tirò a sé chiudendo gli occhi. Nella sua mente poteva vederla bene quella maniglia. Lucida e splendida come il sole al mattino che sorge. Un anno di attesa era stato lungo ma sarebbe valsa la pena per poter abbracciare Brittany ancora una volta.

Così aprì gli occhi.

E quello che vide, o meglio che non vide, le fece gelare il sangue.

-No – sussurrò quasi in preda al panico.

La maniglia non era al suo posto.

Ma com'era possibile? Lei era certa che fosse lì per lei. E anche Quinn, nonostante fosse rimasta dall'altra parte, continuava a vederla. Perché il Providence le aveva scelte!

Maledizione, pensò con il cuore che batteva con veemenza in gola e un lieve strato di sudore gelido che le ricopriva la pelle.

Si mise le mani tra i capelli e chiuse di nuovo gli occhi. Doveva esserci una soluzione. Doveva esserci una spiegazione!

Doveva esserci per forza.

Forse non era ancora il momento. O forse la maniglia si era spostata.

Che idea ridicola! Pensò ma, nonostante tutto, iniziò a cercare in ogni angolo della stanza. Come se fosse alla disperata ricerca di un semplice paio di chiavi, controllò persino sotto il letto e dietro ai mobili. Alla fine si sentì ridicola e completamente persa. Si sedette sulla sedia davanti alla scrivania con il volto tra le mani. In quel momento, per la prima volta, pensò di nuovo a Brittany. Stranamente riuscì ad immaginarla solo dall'altra parte, in sua attesa. Pensò al suo sorriso che si sarebbe spento a poco a poco.

Balzò in piedi. Non poteva essere. Ci doveva essere un modo, qualcosa che aveva sbagliato. Qualcosa che potesse aggiustare. Si strappò quasi di dosso il vestito per indossare dei semplici jeans e una maglietta scura. Si precipitò, fuori senza degnare di uno sguardo l'impiegato che la guardò senza nascondere un'espressione preoccupata, e solo una volta raggiunto il marciapiede si guardò intorno. Non sapeva dove andare, non sapeva cosa fare. Ma, soprattutto, non riusciva a pensare a nient'altro che non fosse la reazione di Brittany quando non si fosse presentata. L'avrebbe dimenticata? Si sarebbe stretta nelle spalle e l'avrebbe dimenticata?

Improvvisamente sentì il desiderio di saperlo. Così si diresse verso l'unico posto dove, sapeva, avrebbe potuto trovare ogni risposta.

La vecchia bibliotecaria era ancora al suo posto e sollevò lo sguardo non appena Santana fece irruzione come una furia.

-Ho bisogno di vedere l'archivio del Newport Tribune – sussurrò senza fiato.

Forse fu qualcosa nel suo sguardo o forse il tono di supplica con cui disse quelle poche parole, ma la bibliotecaria non batté ciglio. Si alzò e l'accompagnò direttamente nella piccola stanza nella quale veniva conservato l'archivio. Non disse niente nemmeno quando la lasciò sola.

Santana si buttò immediatamente a lavoro, trovò facilmente quello che cercava, ma non sembrava esserci nessuna notizia su Brittany nelle copie datate fine settembre del 1926. Così passò ad ottobre mentre le mani le tremavano e un senso di panico le chiudeva lo stomaco.

Non dovette andare molto avanti prima di trovare un'enorme foto in prima pagina di una sorridente Brittany nella copia del 11 ottobre 1926. Santana si fermò a guardarla. Era la stessa foto che aveva visto nell'hotel Providence l'anno prima. Le sue dita sfiorarono quel profilo immortalato per sempre mentre i suoi occhi ne seguivano i contorni.

Sinché il titolo dell'articolo non attirò la sua attenzione.

Continuano le ricerche del corpo di Brittany Anderson.

Santana smise di respirare.

Rilesse un paio di volte quella semplice frase mentre cercava di assimilarla. Non era possibile che significasse quello che sembrava. Si accorse che le sue mani avevano ripreso a tremare ancora più forte mentre tirava verso di sé il giornale per leggere l'intero articolo. Perché era certa che ci fosse un errore.

In realtà non vi era quasi nessuna informazione, se non che Brittany era sparita e che un suo foulard era stato trovato sulla scogliera poco fuori Newport. Puck era stato l'ultimo a vederla, aveva dichiarato di averla accompagnata lui ma di essersi fermato in macchina come lei gli aveva chiesto. Santana lesse senza davvero prestare attenzione sino in fondo. C'era una sola cosa che riusciva a pensare: aveva ancora tempo. Se fosse riuscita a tornare indietro lei l'avrebbe salvata. Sarebbe riuscita a raggiungere la scogliera in tempo, avrebbe corso a perdifiato su quel ripido sentiero e l'avrebbe abbracciata prima che facesse quell'ultimo passo. Sapeva che poteva farlo.

Lei poteva cambiare il passato.

Se solo avesse saputo come fare. Se solo avesse ritrovato quel vecchio che sembrava sparito nel nulla. Lui sapeva. Non poteva non sapere.

Santana balzò in piedi frugandosi nelle tasche alla ricerca del suo telefono. Avrebbe chiamato David Puckerman e gli avrebbe detto che era tornata e che aveva bisogno di lui. Perché se c'era qualcuno che conoscesse ogni persona di quella cittadina quello era David e lui l'avrebbe potuta aiutare a ritrovare il vecchio. Si maledisse per non avergli chiesto il nome quando ne aveva avuto l'opportunità. E si maledisse nuovamente quando si rese conto che aveva lasciato ogni cosa nella sua stanza d'albergo. Così riprese a correre perché ora, ogni secondo perso, era un secondo in meno che la separava da ciò che sarebbe potuto accadere.

Raggiunse il Providence prima ancora di rendersene conto ed ignorò, di nuovo, lo sguardo vigile e sempre più preoccupato del dipendente che l'aveva accolta. Afferrò il corrimano e poi prese a salire i gradini a due a due. Raggiunse il suo piano e si voltò a sinistra per raggiungere la sua stanza.

E si fermò di colpo.

Il respiro affannoso e le braccia distese ai suoi fianchi con le mani strette a pugno. Si voltò lentamente dall'altra parte perché era certa che, anche se l'aveva vista con la coda dell'occhio, non poteva sbagliarsi. E, in effetti, alla fine del corridoio, c'era quella porticina scura, lasciò che il suo sguardo la percorresse accorgendosi che era esattamente come la ricordava. Solo nel posto sbagliato. Infine spostò lo sguardo per incrociare quello del vecchietto che la fissava da sopra gli occhialini che erano scivolati, come sempre, sulla punta del suo naso. Nella mano aveva il solito registro scuro di pelle. E in volto un'espressione indecifrabile.

Santana si morse il labbro e fece un paio di passi domandandosi come avesse fatto a non capirlo prima.

-Tu sei il Providence – disse quando si trovò a un paio di metri.

Il vecchio sorrise mentre annuiva. Santana chiuse gli occhi cercando di stabilizzare il suo respiro. Non sapeva come fosse possibile, non poteva immaginare come quell'edificio avesse potuto farlo, non sapeva nemmeno se fosse una cosa unica o se ogni luogo avesse un'anima. Sapeva solo che quello che aveva davanti era chi le aveva permesso di passare da una parte all'altra.

Lo stesso che l'aveva permesso anche a Quinn e a chissà quanti altri prima e dopo di lei. Sempre negli anni venti. Sempre in quello che lui considerava il momento più bello. Perché lo era stato.

-Tu puoi farmi tornare indietro – aggiunse ancora.

Il vecchio serrò le labbra sollevando gli occhialini mentre annuiva.

-Sì.

-Devi farlo – Santana si domandava come riuscisse a mantenersi ancora così calma.

-No.

In quel momento sentì una nuova ondata di panico che l'attraversava sotto forma di brivido che le fece accapponare la pelle. Non poteva dirle di no. Non adesso.

-Hai detto tu che sei sempre il luogo giusto, solo che, a volte, è il momento ad essere sbagliato.

Il vecchio sorrise, ma Santana vide un velo di malinconia nelle sue labbra tirate.

-Signorina Lopez – disse con quel suo modo lento e fuori dal tempo – Lei stessa mi ha detto che, a volte, anche io posso sbagliare.

Santana strinse con forza i pugni e si domandò se avrebbe potuto colpirlo sul naso o se fosse incorporeo. Dovette lottare con se stessa per cercare di trattenersi. Forse quella era la sua unica opportunità per convincerlo e non poteva perderla.

-Devo tornare indietro – disse questa volta con maggior enfasi – Io devo salvarla!

Il vecchio aggrottò le sopracciglia confuso, come se non capisse a cosa si riferisse Santana e questo la fece infuriare ancora di più.

-Mi hai fatto tornare indietro per lei! - sbottò – Lo sappiamo entrambi! Non so com'è possibile ma tu dovevi sapere che eravamo destinate ad incontrarci!

-La signorina Pierce era destinata a conoscerla, certo – disse tranquillamente – Ma questo non cambia le cose. Ho fatto un errore!

-Maledizione! - urlò Santana – Io devo salvarla! Devo cambiare il passato!

Il vecchio aggrottò le sopracciglia nuovamente.

-Signorina Lopez, temo davvero che si sbagli. Non vi è modo per cambiare ciò che è stato.

Santana spalancò la bocca. Non avrebbe versato nemmeno una lacrima. Non ancora. Non finché avesse avuto ancora speranza. Perché lasciare che le lacrime le solcassero il volto sarebbe stato come ammettere che si arrendeva. E non voleva farlo. Non le importava ciò che avrebbe dovuto subire. Lei sarebbe tornata indietro e vi sarebbe rimasta. A costo di obbligare il Providence a lasciarla tornare.

Così si allungò ed afferrò l'uomo per il colletto. La prima cosa che pensò fu che effettivamente poteva prenderlo e sentirlo tra le dita, la seconda fu che era davvero una sensazione strana. Come se fosse innaturalmente freddo. Ma non era spiacevole.

-Fammi tornare indietro.

-No.

Gli occhialini erano nuovamente scivolati sul naso e Santana poteva fissarlo dritto in fondo a quegli strani occhi. Poteva vedere qualcosa che non poteva capire sino in fondo. Una lieve luce che non aveva mai visto in nessun altro. Come se quegli occhi avessero visto fin troppe cose e, quasi senza volerlo, lo lasciò andare e si allontanò di un paio di passi. Il vecchio aprì il registro che aveva davanti e lo guardò attentamente.

-Signorina Lopez devo andare.

-No... io ho bisogno di tornare indietro – la sua voce si incrinò mentre lo diceva.

-Mi dispiace – disse il vecchio – Ma non è proprio possibile.

Poi si voltò ed afferrò la maniglia per aprire la porticina. Santana sapeva che sarebbe sparito, sapeva che, forse, non l'avrebbe più visto. Ma non riuscì a fermarlo. Era come se fosse ipnotizzata.

-E poi, Signorina, come le ho già detto il Providence è sempre il posto giusto.

Santana deglutì a vuoto mentre si sforzava di parlare.

-Ma, a volte sbagli anche tu.

L'uomo annuì piano. Come se fosse d'accordo ma gli costasse davvero ammetterlo e poi aprì la porta per sparirci dentro.

-Ma mai per due volte di fila.

 

 

 

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Siamo quasi alla fine. Ne manca uno solo! Bene direi che abbiamo avuto tante risposte, no? Dunque non aggiungo niente se non i soliti sentitissimi ringraziamenti per chiunque legga e per chiunque recensisca! Prometto che il prossimo capitolo arriva prestissimo! Abbiate pazienza!

Un abbraccio a tutti!

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Capitolo 12
*** L'ultimo viaggio ***


L'ultimo viaggio

 

Santana non sapeva bene come avrebbe dovuto sentirsi.

Come qualcuno che ha appena perso la persona che ama?

Probabilmente sì, ma si sentiva anche come se non fosse successo in quel momento, come se fossero passati anni. Ed era vero, tecnicamente.

Forse più adatto sarebbe stato sentirsi come se ogni speranza fosse persa?

Deglutì a vuoto. Sarebbe andata avanti, lo sapeva. Aveva vissuto tutta la sua vita senza lei, avrebbe potuto farlo ancora e ancora. Ogni giorno della sua vita. Del resto era stato solo un regalo conoscerla, un fortunato dono. Un Tempo che non avrebbe mai dovuto vivere.

E allora perché desiderava così tanto qualcosa che non poteva avere? Qualcosa che non avrebbe dovuto avere.

Alla fine non poteva mancarle qualcosa che non aveva vissuto. Quei pochi giorni non erano stati niente nell'arco della sua vita e, forse, l'unica cosa che aveva fatto era idealizzare una donna che non conosceva davvero.

Ma sentiva un nodo che le stringeva la gola, quella sensazione che precede le lacrime, anche se, lo sapeva, non sarebbero arrivate.

Sentiva lo stomaco chiuso e un lieve dolore alle tempie, un fastidio dovuto al suo pensare troppo a ciò che voleva. Ma non poteva avere.

Voleva salvarla.

Perché se lo meritava, perché sarebbe stato giusto.

Perché l'amava.

E non glielo aveva mai detto. E non avrebbe mai potuto farlo.

Perché ciò che è stato non si può cambiare, le aveva detto il vecchio. E chi più di lui poteva sapere se fosse vero.

Strinse i pugni mentre camminava lungo il corridoio forse, col tempo, avrebbe provato altri sentimenti ma in quel momento riusciva a sentirsi solo impotente. In trappola. Voleva disperatamente fare qualcosa che non avrebbe mai potuto fare. E questo aveva aperto una ferita che ora sanguinava ma che si sarebbe cicatrizzata lasciando per sempre, dentro di sé, indelebile, la prova di ciò che aveva sentito.

Poggiò i pugni chiusi sulla porta della sua stanza. E chiuse gli occhi. Doveva andar via. Perché non c'era niente che avrebbe potuto fare e non voleva stare lì. Non più. Sapeva che non avrebbe trovato la maniglia ad attenderla e sapeva che aveva sprecato la sua possibilità di convincere il vecchio Providence. Ammesso che mai ne avesse avuto una.

Non vi è modo per cambiare ciò che è stato.

Così aprì la porta, piano, con lo sguardo ostinatamente basso rivolto al pavimento, le lacrime incastrate nel fondo dei suoi occhi, e la gola stretta, così tanto che respirare era quasi impossibile. E solo allora aggrottò le sopracciglia.

Fece un passo, lento, mentre la porta scivolava piano alle sue spalle per chiudersi con un rumore sordo.

Santana però non ci fece troppo caso, fece un secondo passo prima di inginocchiarsi e sfiorare con le dita quell'oggetto che aveva attirato la sua attenzione. Era meno luminosa, quasi spenta, ma era lei: la maniglia che aveva cercato così a lungo.

E questo poteva voler dire solo una cosa, era tutto finito, perché era spenta e senza vita. Fuori dal suo posto come se qualcuno l'avesse strappata con forza.

Santana la prese, piano, stringendola delicatamente come se fosse un'antica reliquia di un tempo ormai finito. Lei era stata l'ultima a poter passare dall'altra parte. Probabilmente il Providence intendeva quello quando aveva detto che non avrebbe commesso lo stesso errore due volte. Non l'avrebbe più permesso.

Così si rimise in piedi, gli occhi chiusi e quell'oggetto stretto tra le mani. Sarebbe salita sulla scogliera, avrebbe guardato il mare infrangersi più in basso, avrebbe sentito la salsedine sulle labbra e il vento tra i capelli. E poi l'avrebbe lanciata via, avrebbe lanciato lontano quell'oggetto perché le onde l'inghiottissero.

Così spalancò gli occhi, forse con una scintilla di decisione.

E si fermò di colpo.

La sua espressione doveva essere sorpresa o incredula o assolutamente esterrefatta. Almeno così pensava visto che, era sicura, fosse identica a quella della persona che aveva davanti.

Passò lo sguardo sui suoi lineamenti così dolci, su quegli occhi azzurri che non aveva mai visto così grandi e sorpresi, sui capelli biondi, leggermente mossi ma perfettamente acconciati che ricadevano sulle spalle lasciate scoperte da un abito chiaro. Poi percorse le sue braccia sino alle mani, una stretta in un pugno e l'altra che stringeva un grosso oggetto, probabilmente un accendino da tavolo degli anni sessanta di metallo che doveva essere decisamente pesante, era uno degli oggetti che decoravano quella stanza. Santana lasciò che il suo sguardo continuasse il suo percorso, senza domandarsi perché avesse quell'oggetto in mano, e così accarezzò le sue lunghe gambe accorgendosi che era scalza per poi risalire di nuovo ed incrociare i suoi occhi. E allora chiuse con uno schiocco le sue labbra, ancora spalancate per la sorpresa, e si schiarì la voce.

-Sei scalza.

Fu la prima cosa che disse. Brittany abbassò lo sguardo e, se possibile, sembrò ancora più sorpresa.

-Pensavo che le scarpe sarebbero state scomode.

Santana deglutì mentre annuiva. Era legittimo, giusto?

Mosse appena la mano indicando l'accendino da tavolo che stringeva ancora con forza Brittany nella sua mano destra.

-E quello?

Brittany seguì ancora il suo sguardo e sembrò accorgersi solo allora di avere quell'oggetto in mano, lo lasciò andare come se improvvisamente avesse iniziato a scottare e lo guardò rotolare sul materasso senza cadere e fermarsi quasi al centro perfetto, come se avesse voluto lanciarlo proprio lì.

-Non sapevo con cos'altro rompere la maniglia. Così mi sono guardata intorno e c'era quello ed era davvero pesante – fece una pausa mordendosi il labbro e guardando di sottecchi prima l'armadio poi la mano di Santana che ancora stringeva la maniglia – Così l'ho preso e l'ho colpita. Solo una volta. E poi sei entrata tu. Spero che al vecchietto non dispiaccia.

Santana annuì quasi distrattamente, staccò a fatica gli occhi dai lineamenti di Brittany e, quasi lottando contro se stessa, aprì la mano per guardare la maniglia. Era spenta. Come se le mancasse qualcosa, quel lieve brillare che la rendeva quasi ipnotica.

-Non credo che gli importi. In fondo se è successo vuol dire che doveva succedere.

Santana non era sicura di sapere bene perché mai stesse dicendo quella frase, ma sapeva anche che era vero. Guardò la maniglia di nuovo, guardò Brittany che, a sua volta, guardava lei, e spalancò la bocca nuovamente. La maniglia cadde al suolo mentre Santana si portava la mano al viso e scuoteva la testa.

-Dio... - sussurrò – Sei qui.

Brittany portò le mani davanti a sé e strinse i pugni per poi rilasciarli un paio di volte ed annuire.

-Sì, Quinn mi ha detto tutto e poi ieri quando sono arrivata al Providence c'era questo vecchietto che non avevo mai visto, mi ha sorriso e mi ha detto qualcosa sul fatto che, questa volta non avrebbe sbagliato...

Ma non riuscì a continuare. Santana percorse la distanza che le separava e la trascinò in un abbraccio mentre muoveva le mani con foga su di lei, come se volesse essere ovunque contemporaneamente. Come se volesse assicurarsi che fosse reale e non solo uno scherzo della sua fantasia. Brittany reagì immediatamente, come se il suo corpo fosse stato in paziente attesa di quel momento e fosse pronto prima che la sua mente realizzasse ciò che stava succedendo. Passò le mani dietro la schiena di Santana spingendola verso di se e bloccando, almeno in parte, i suoi movimenti. Poi trovò le sue labbra e le sentì nuovamente sue. Al di là di ogni logica.

Santana rispose al bacio con foga e con urgenza, incapace di separare pensieri, domande e gesti, tutto le sembrava un unico, confuso, miscuglio di calore e pelle e tessuto e sensazioni. Annaspò alla ricerca d'aria allontanandosi quel tanto che bastava per trovare ossigeno, ma le labbra di Brittany la seguirono impedendole di trovare sollievo in una boccata d'aria. Ma non le importava, in fondo non le serviva, non quando poteva respirare lei.

Poi, un momento dopo, o un secolo, fu Brittany stessa a staccarsi per avvolgerla tra le sue braccia e stringerla, così vicine che non c'erano più confini. E tutta la foga di prima sembrò placarsi in un solo istante mentre trovavano il loro posto l'una tra le braccia dell'altra.

Santana teneva gli occhi chiusi, stretti come le sue braccia intorno al corpo di Brittany e, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe risposto che era certa che anche Brittany stesse facendo la stessa cosa. Stavano chiudendo il mondo fuori e con lui ogni altra cosa. C'erano solo loro in un'oscurità che le cullava.

Santana accarezzò la schiena di Brittany sino a raggiungere il suo volto trovandolo umido di lacrime.

-Non piangere – disse e suonò alle sue stesse orecchie come la preghiera più vera che avesse mai pronunciato.

Brittany scosse la testa, voleva che sapesse che andava tutto bene.

-Non posso tornare indietro – sussurrò.

-Perché l'hai fatto? - chiese allora Santana.

-Perché ti amo. E non te l'avevo detto.

Solo allora Santana capì davvero che il Providence era sempre il luogo giusto.

 

 

 

 

Santana aprì gli occhi a fatica mentre i raggi del sole entravano dalla finestra e si trovò a specchiarsi in un paio d'occhi azzurri che già l'aspettavano.

-Buongiorno – sussurrò sulle sue labbra.

Brittany la baciò, come desiderava e si allontanò fissandola.

-Pensavo che non ti avrei mai rivista – disse.

-Mi dispiace. Non sai quanto mi dispiaccia. Ma non potevo restare.

L'altra annuì convinta.

-Sono entrata nella stanza un anno fa, sai? E ti ho vista scomparire – spostò lo sguardo verso l'armadio e sembrò ricordare – Improvvisamente. C'eri, ne ero sicura, ho visto le tue spalle, i tuoi capelli. E poi... - si fermò lasciando che le parole sparissero come era sparita Santana.

-Lo so. Deve essere stato un po'... strano?

Brittany si voltò guardando la scrivania.

-E poi c'era quella lettera – si morse il labbro e abbassò lo sguardo – Stavo per strapparla.

-Ma non l'hai fatto – la rassicurò Santana leggendo una lieve tono quasi colpevole nelle sue parole.

-Quinn me l'ha presa dalle mani prima che potessi farlo – Brittany tornò a guardare Santana – Se non fosse stato per lei non avrei fatto niente.

-Nemmeno dopo avermi vista sparire?

-Pensavo fosse un'allucinazione! - si giustificò – Tu cosa avresti pensato al mio posto?

Santana aprì la bocca per cercare una risposta, ma si limitò a scuotere la testa mentre ci pensava.

-Avrei pensato di aver visto male, che fosse solo uno stupido scherzo della mia testa – ammise anche se a malincuore.

-Quinn mi ha detto che doveva parlarmi. A me e a tutti gli altri! Ha chiamato Kurt e Puck e Blaine e ha chiuso la porta.

Si passò una mano sul volto e ridacchiò.

-Credo che Puck sia ancora sconvolto! - disse improvvisamente – Ma non volevamo crederle! Ha dovuto raccontarci un paio di cose del... - si bloccò per un attimo - ...futuro, perché le credessimo davvero!

Santana si voltò sul fianco per guardarla negli occhi.

-Ma comunque hai fatto quello che ti chiedevo. Hai portato la lettera a Los Angeles.

-Sì – annuì Brittany – E poi ti ho aspettata. Un anno intero. E mi sei mancata così tanto che pensavo non sarebbe mai passato. C'erano giorni in cui non volevo niente, se non rivederti. Allora salivo sulla scogliera e guardavo il mare.

Santana balzò sul letto.

-Stanno cercando il tuo corpo? Com'è possibile? Ti sei buttata? - sapeva che era stupido visto che era proprio lì davanti a lei, ma non poteva farne a meno.

Brittany la trascinò di nuovo tra le sue braccia con un movimento fluido ed aspettò che si rilassasse.

-Un paio di giorni fa... - fece una pausa e rise tra sé e sé – Beh... un paio di giorni fa nel 1926, sono venuta al Providence per prendere la stanza. E non c'era il solito impiegato, solo un vecchietto che sembrava conoscermi. E, quando sono entrata nella stanza 314, l'armadio era aperto e la maniglia brillava. Sapevo cos'era! Non potevo sbagliarmi. Quinn l'aveva descritta così bene!

-Cos'hai fatto?

-Sapevo che non saresti potuta passare mai più perché quello era il mio momento. Solo il mio. E così ho chiamato Quinn e Blaine e gli ho detto cosa avrei fatto.

-Hanno inscenato loro la tua scomparsa? - domandò incredula Santana.

-Sì. Sarà più facile per Blaine. Potrà vivere come un qualunque vedovo sconvolto dalla scomparsa della giovane moglie. Nessuno si stupirà se non si risposa.

Santana accarezzò il suo volto.

-Li hai salutati per sempre.

-Erano lì. Nella stanza con me quando sono passata da questa parte.

-Perché hai rotto la maniglia? Avresti potuto cambiare idea e...

Brittany prese il suo volto tra le mani per poterla baciare.

-Non avrei potuto farlo. Il mio posto è con te.

Santana la fissò per un attimo.

-Il tuo Tempo è con me.

Brittany sorrise mentre l'accarezzava dolcemente. Santana la guardò negli occhi alla ricerca della più piccola ombra di rimorso e rimpianto. Ma non lo vide, non solo perché non c'era, ma perché non ci sarebbe mai stato.

-Ti amo.

L'aveva immaginato diverso. L'aveva immaginato sulla scogliera al tramonto, aveva immaginato persino che suonasse diverso, che fosse più poetico o semplicemente più cinematografico. Ma sorrise pensando che non era meno perfetto. E, probabilmente, lo pensò anche Brittany visto che la baciò piano e dolcemente.

-Andiamo a vedere il mondo! - disse improvvisamente Santana mentre si alzava ridendo per la protesta soffocata dell'altra.

Prese un paio di jeans e incrociò lo sguardo di Brittany che la guardava confusa.

-Che c'è?

-Cosa sono quelli?

Santana sorrise e le prese la mano per tirarla verso di sé.

-Andiamo! Hai tutto un mondo nuovo da conoscere! Direi che inizieremo da un po' di shopping!

 

 

 

Santana continuava a lanciare rapide occhiate verso dove, solo una manciata di secondi prima, era sparita Brittany. Ovviamente era nervosa, anche se fingeva di leggere il menù del ristorante dove l'aveva portata per pranzo. Ma aveva insistito perché la lasciasse andare almeno sino al bagno da sola. Non che Santana fosse sicura che fosse una buona idea, insomma aveva passato il tempo a stupirsi per tutto. Quando Santana aveva cercato di pagare con la carta di credito, dopo averle fatto misurare una quantità spaventosa di vestiti, Brittany l'aveva presa dalla sua mano e l'aveva rigirata tra le sue dita continuando a domandarle se davvero poteva pagare con quell'affare colorato. La commessa le aveva guardate come se provenissero da un altro pianeta. Cosa che, da un certo punto di vista, era assolutamente vera per quello che riguardava Brittany almeno.

Così lanciò l'ennesimo sguardo preoccupato lasciando cadere il menù sul tavolo e muovendosi per alzarsi e andare a controllare di persona che tutto andasse bene. O almeno questo era ciò che avrebbe voluto fare, purtroppo per lei, un trafelato David Puckerman, appena entrato nel ristorante, puntava dritto verso di lei. Le si parò di fronte come se si aspettasse di trovarla esattamente lì.

-Ti ho cercato dappertutto! - sbottò sedendosi in una delle sedie libere del piccolo tavolino.

-Stavi cercando me? Ma se non ti ho detto nemmeno che sarei stata a Newport in questi giorni!

-Esatto! E questa è una delle molte domande che ho da farti.

Santana scosse la testa.

-Senti, David, mi dispiace non averti avvertito. Ma sono qui per qualcosa di... - fece una pausa - … personale.

David la guardò come se non capisse quale fosse il vero problema così le sventolò davanti agli occhi una vecchia busta chiusa.

-Spiegami questo!

-Non ho idea di cosa sia e se non stai fermo non lo saprò mai!

-Ah non lo sai? Te lo spiego io! Ieri pomeriggio mio padre è passato nel mio ufficio per lasciarmi una lettera di mia nonna che gli aveva lasciato delle istruzioni per oggi.

-Tua nonna? Quinn?

David socchiuse gli occhi per studiarla poi riprese a gesticolare.

-Certo! E sai cosa dicevano quelle istruzioni? Che doveva recarsi all'Hotel Providence, proprio oggi, e cercare una certa Santana Lopez per consegnarle questo!

Santana allungò la mano cercando di prendere la busta chiusa curiosa di sapere cosa contenesse. Ma David allontanò di colpo la mano e la fissò.

-Eh no! Non credi che sia il caso di spiegarmi come mai non ti stupisce per niente?

Santana si morse il labbro.

-Ma certo che sono stupita...

David sollevò un sopracciglio.

-Beh dovresti visto che hai appena ricevuto una busta da una donna che tu non avresti mai dovuto conoscere e, soprattutto, che non poteva sapere che tu saresti stata qui proprio oggi!

Si fermò passandosi una mano tra i capelli. Poi scosse la testa e riprese a gesticolare incurante dello sguardo del cameriere che iniziava a sembrare abbastanza interessato a quella strana situazione.

-Dico davvero, niente ha senso! Sono corso al Providence stamattina ma sono arrivato evidentemente tardi perché tu eri già andata via! Ho girato tutta Newport! Pensavo non ti avrei trovata e poi ti ho vista attraverso la vetrata di questo ristorante e...

-Avresti potuto chiamarmi – lo interruppe.

David si fermò.

-Giusto... ma non è questo il punto! Il punto è che mi devi davvero tante spiegazioni e se vuoi che io ti...

Di nuovo si fermò, questa volta attirato da qualcosa alle spalle di Santana, questa si voltò per guardare nella sua direzione e vide arrivare una raggiante Brittany. David sembrava assolutamente incredulo e, se possibile, lo sembrò ancora di più quando questa prese posto al suo fianco.

-C'è una macchina strana, se ci metti le mani sotto parte un getto d'aria! E se poi le togli si ferma! Non è assolutamente incredibile? - domandò Brittany sventolando le mani davanti ad entrambi.

David continuava a fissarla con un'espressione che, difficilmente, sarebbe potuta essere più incredula.

-Io ti ho vista... - sussurrò.

Brittany gli dedicò finalmente tutta la sua attenzione e gli porse la mano.

-Io sono Brittany.

-Oh mio Dio – sbottò David – Oh Dio.

Santana si schiarì la voce.

-Stai bene David?

-Sì... no – si voltò per guardare Santana – Lei sembra davvero, davvero, davvero uguale a quella Brittany!

-Sì – iniziò Santana – Ecco forse è un pochino difficile.

-Lopez tu mi devi molte più spiegazioni di quello che pensavo sino ad un attimo fa – sbottò David.

Santana scosse la testa prima di accorgersi dello sguardo corrucciato di Brittany, così sospirò.

-Brit, lui è David. David Puckerman il nipote di Noah e Quinn.

Brittany spalancò la bocca sorpresa e poi si lanciò su di lui per abbracciarlo come se fossero vecchi amici. David, colto alla sprovvista, reagì un attimo dopo stringendola a sua volta prima di lanciare un'occhiata a Santana. Questa sorrise appena prima di prendere la busta che era ormai stata lasciata sul tavolo per aprirla.

-Assomigli tantissimo a Noah! - esclamò Brittany con entusiasmo.

David si passò una mano tra i capelli imbarazzato, confuso e, forse, ancora un po' incredulo.

-Non posso crederci! - esclamò Santana.

-Cosa? - chiese David.

-C'è un conto aperto a mio nome in una delle più importanti banche del mondo! Qui dentro ci sono gli estremi per accederci, ma come ha fatto?

David prese la lettera dalle sue mani.

-Non mi sembra tanto difficile, sai? Mia nonna aveva un fiuto per gli affari, mi sono sempre chiesto come sembrasse sapere sempre in cosa investire – si fermò facendo una pausa – O sapesse sempre su chi scommettere nelle partite importanti.

Poi lesse la lettera rapidamente e sollevò lo sguardo prima su Brittany e poi su Santana.

-Qui dice che ti ha aperto un conto perché avrete bisogno di fondi per falsificarle i documenti? - sbottò indicando Brittany poi si prese qualche secondo per osservarla - Oh Dio ma è davvero quello che sembra?

Santana annuì piano anche se David non la poteva vedere troppo concentrato nel fissare Brittany che a sua volta sembrava interessata a cercare somiglianze con Noah e Quinn.

-Senti David... - iniziò Santana pensando a quali fossero le parole adatte.

Ma questo si voltò e si alzò.

-Non voglio sapere niente! Credo sia già abbastanza incredibile così anche senza tutti i dettagli!

Guardò Brittany e le sorrise scuotendo la testa. Finalmente si voltò per andare via.

-David?

La voce di Brittany lo fece voltare.

-Sì.

-Sono stati felici? - chiese con un filo di voce.

David sorrise appena di più, si passò una mano tra i capelli e fissò un punto nel vuoto.

-Sì. Lo sono stati. Sono stati così felici che, ogni volta che li guardavo, pensavo che sarebbe piaciuto anche a me esserlo così.

Brittany sorrise mentre Santana allungava una mano per prendere la sua, accorgendosi che aveva gli occhi lucidi.

-Grazie – gli disse solo.

David annuì di nuovo e fissò le loro mani intrecciate.

-E sono certo che lo sarai anche tu.

 

 

Fine

 

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Dunque iniziamo con le mie scuse per questo ritardo! Non era mia intenzione, ovviamente, farvi aspettare tanto! Potrei darvi un sacco di ragioni per questa attesa ma mi limito a dirvi che mi dispiace davvero tanto. Scusate.

Poi siamo arrivati alla fine. Pure di questa. Spero vi sia piaciuta. So che probabilmente sarebbe bello seguire una Brittany degli anni venti nei problemi che un cambio tanto drastico causerebbe, ma sapete che, secondo me, quella sarebbe un'altra storia. Credo che la naturale conclusione di questa sia proprio qui.

Un grazie enorme a tutti voi. Grazie per la pazienza anche!

Un grazie speciale alla mia Elettra che probabilmente uno di questi giorni mi strangolerà!!

Un abbraccio a tutti!

 

 

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