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Autore: londra555    16/06/2013    23 recensioni
Santana vorrebbe solo allontanarsi da quello che rimane della sua vita. Vorrebbe semplicemente passare qualche giorno tranquillo in un hotel di provincia.
Invece scoprirà cosa significa trovarsi nel posto giusto ma al momento sbagliato.
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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28 settembre 2013

 

 

Il taxi si fermò davanti ad un grande edificio fin troppo barocco per i gusti della donna che scese dall'auto. Borbottò un mezzo ringraziamento al tassista che, nel frattempo, stava scaricando la sua valigia prima di sollevare gli occhiali da sole che nascondevano il suo sguardo. Sospirò rumorosamente mentre guardava l'Hotel Providence, il miglior albergo di tutta Newport! O almeno questo diceva la pubblicità in quel vecchio opuscolo scolorito. La realtà era molto più triste e spenta. Quello forse era stato il miglior albergo di Newport e forse dell'intero Maine. Ma quei tempi felici erano passati. E, per l'ennesima volta negli ultimi tre giorni, si domandò perché diavolo avesse deciso di andare davvero in quel posto sperduto nell'universo.

Scosse la testa infastidita da se stessa, dalla sua vita, dagli stupidi tacchi che aveva indossato quel giorno, dagli inutili occhiali da sole che rendevano l'atmosfera ancora più oscura di quanto non facesse già quella nube bassa e grigia che copriva il sole.

Poi prese un profondo respiro e decise che, in fondo, la scelta di cambiare aria per un po', era stata la migliore che avesse mai potuto prendere, date le circostanze. Perciò chiuse gli occhiali rimettendoli nella borsa, afferrò la sua valigia ed entrò nella hall del maledettissimo miglior hotel di tutta Newport, Maine!

Sollevò gli occhi al cielo quando vide che, non solo l'esterno dell'edificio, ma anche l'interno con il suo mobiliario antico, le vecchie fotografie in bianco e nero alle pareti e, persino, le chiavi delle porte delle varie stanze appese dietro il bancone dove si registravano i clienti, urlavano quanto quel posto fosse ormai decadente. Nonostante ciò, soffocò l'impulso di girare sui suoi altissimi tacchi e uscire fuori per fermare un altro taxi che la riportasse nella più vicina cittadina civile.

Invece, stupendo anche se stessa, riuscì a raggiungere il bancone in legno scuro e a suonare il piccolo campanello per richiamare il personale, senza maledire a voce alta nemmeno una volta.

Dopo una brevissima attesa, da una porticina, scura come tutti i mobili lì dentro, apparve un uomo anziano vestito in modo decisamente troppo elegante che le sorrise cordialmente mentre si sistemava degli occhialini a mezza luna che erano scivolati sulla punta del suo naso.

-In cosa posso esserle utile? - domandò con voce lenta ed impostata.

-Ho una prenotazione per una stanza. Ho chiamato tre giorni fa, visto che non ho trovato la vostra pagina internet – rispose rapidamente.

-Certo che non l'ha trovata! Non abbiamo una pagina internet.

L'uomo le sorrise ancora prima di inchinarsi per prendere un enorme librone scuro. Lo aprì lentamente ed iniziò a scorrere il dito nodoso su una serie di date e nomi scritti con un inchiostro azzurro e con una calligrafia elegante.

-Grandioso! - sbuffò la donna.

-Lei è la signorina Lopez, immagino.

-Sì, esatto. Santana Lopez. Sono proprio io! Ora cortesemente potrebbe darmi la tessera magnetica della mia stanza? Ho attraversato tutti gli Stati Uniti e avrei davvero bisogno di una doccia.

L'uomo sollevò appena gli occhi sistemandosi nuovamente gli occhiali. Manteneva in volto il sorriso cortese. E, Santana, ebbe l'impulso di prendere quell'enorme libro e di farglielo mangiare. Ma fu solo un attimo, poi si voltò prendendo una chiave in ottone talmente decorata che sembrava finta.

-Ecco la sua chiave. Abitazione 314. La migliore di questo albergo, sa in passato era la stanza che veniva lasciata per le celebrità locali! Ultimo piano.

Santana prese la chiave con sguardo scettico. La rigirò tra le dita per una manciata di lunghissimi secondi e poi guardò quel vecchietto che, per chiunque altro, sarebbe risultato simpatico.

-Mi sta prendendo in giro? - domandò con una punta di irritazione nella voce.

-Certo che no. Può lasciare la valigia qui, il facchino la porterà nella sua stanza per lei.

Santana sollevò lentamente la chiave.

-Mi vuole davvero far credere che questa sia la chiave della mia stanza?

-Certo.

La donna socchiuse gli occhi scrutando quel simpatico vecchietto.

-Questo albergo è rimasto fermo al secolo scorso! - sbottò infastidita.

L'uomo davanti a lei sembrò per un attimo scuotersi dalla sua patina di cordiale apatia, forse gli brillarono gli occhi, mentre un sorriso più marcato e più vero si disegnava sul suo volto.

-Magari fosse così. Magari.

Santana decise che ne aveva abbastanza. Si voltò e si diresse verso l'ascensore. Lo guardò solo per un decimo di secondo prima di decidere che, anche quello, probabilmente aveva ricevuto l'ultima manutenzione nel secolo scorso. Così, maledicendo tutto ciò che incontrava, fosse anche solo un innocuo ed incolpevole corrimano, salì le tre rampe di scale che la separavano dal suo piano.

Raggiunse un corridoio stretto e svoltò a sinistra, il suono dei suoi tacchi veniva attutito da un polveroso tappeto che, probabilmente anni prima, doveva essere stato elegante e raffinato. Ma ora sembrava solo un covo per piccoli e striscianti animaletti che, lì in mezzo, dovevano vivere felici e contenti. Santana rabbrividì a quell'immagine. Finalmente raggiunse la porta in legno con il numero 314 decorato in ottone. Infilò la chiave e fece scattare la serratura riuscendo, si stupì lei stessa, ad entrare nella sua stanza.

Santana si guardò intorno immediatamente. C'era un grande letto illuminato dalla luce del sole che entrava direttamente dalla grande porta finestra che dava sul terrazzo. Sulla destra c'era un tavolino con due poltrone in pelle scura che, come tutto lì dentro, avevano visto tempi migliori.

-La migliore stanza dell'albergo? - sussurrò Santana tra sé e sé – Immagino le altre!

Un gemito stanco lasciò le sue labbra mentre apriva la porta che dava sulla piccola terrazza dopo aver buttato la sua borsa sul letto. Con un sospiro stanco si appoggiò alla ringhiera in metallo e guardò le onde del mare che, pigramente, si infrangevano sul bagnasciuga. Da lì poteva vedere il lungomare e parte di quella cittadina. Newport era tutto ciò che lei odiava. Un luogo di villeggiatura a basso costo per famiglie, che viveva del turismo da maggio, quando la stagione si apriva con la festa dei granchi, ad agosto, quando tutto veniva chiuso da una banalissima festa di fine estate con ridicoli fuochi d'artificio.

L'unica cosa che la rendeva differente era un grande teatro che, durante gli anni venti e trenta del secolo precedente era stato centro artistico della zona. Ma, ormai, Newport era solo una banale cittadina decadente che viveva immersa nei ricordi di un passato felice e ricco che non sarebbe più tornato. E l'hotel Providence era lo specchio di quel posto.

Santana odiava posti così dannatamente provinciali. Lo sapevano tutti. Il suo migliore amico l'avrebbe convinta a non avvicinarsi nemmeno a quella cittadina. Se lei avesse avuto ancora il suo migliore amico!

Ma quello era la radice del problema. Ciò che l'aveva spinta ad attraversare l'intera nazione dalla sua amata Los Angeles a quel buco disperso nella costa del Maine. Il problema era che lei non aveva più un migliore amico! Ad essere sinceri praticamente aveva perso tutti i suoi amici. E la sua ragazza. E la sua vita.

Piegò la testa per nasconderla tra le sue braccia mentre una fitta terribile le stringeva il cuore a quel pensiero. La sua ragazza l'aveva lasciata.

No, non era corretto. La sua ragazza non solo l'aveva lasciata ma l'aveva anche tradita. Ma quella non era la parte più ironica. La vera ironia stava nel fatto che le aveva spiegato che la colpa era sua. Santana non aveva capito subito. Come poteva essere colpa sua se era stata tradita e lasciata? Qualcosa doveva sfuggirle. Così aveva cercato consiglio nel suo migliore amico che l'aveva guardata come se fosse una spietata assassina prima di spiegarle ciò che lei non capiva.

-Ovvio che sia colpa tua! Hai un caratteraccio. Mi sorprende che non ti abbia lasciato prima. Non le davi abbastanza, non eri mai presente!

Santana avrebbe voluto davvero rispondere a tono. Ma non aveva trovato la forza di farlo perché aveva perso ciò che lei riteneva fosse tutta la sua vita. Stavano insieme da anni ormai e lei l'amava. Amava tutto di lei. Dai suoi capelli biondi ai suoi occhi azzurri. Amava quel modo così gentile di porsi nei confronti di tutti. E non era la sola. Tutti i suoi amici si erano schierati immediatamente dalla parte di Elisabeth. Anche se era lei che l'aveva tradita. Anche se era lei che la stava abbandonando.

Santana scosse la testa lasciando che il vento accarezzasse la sua pelle ed asciugasse un paio di lacrime.

La sua vita era diventata improvvisamente, nel giro di una settimana, un piccolo inferno. Aveva dovuto lasciare la casa che divideva con Elisabeth e il suo capo le aveva dato un mese di vacanze forzate. Perché, naturalmente, non riusciva a combinare niente nel suo ufficio. Non riusciva a pensare a niente che non fosse lei, provando un misto di rabbia e dolore che le faceva accapponare la pelle.

Entrò di nuovo dentro la stanza e si sedette sul letto aprendo la borsa e estraendo una busta che conteneva una lettera. La rigirò tra le dita sentendo la consistenza della carta, ingiallita dal tempo. Poi l'aprì con un gesto brusco, tanto che si formò un piccolo strappo, ed estrasse un vecchissimo opuscolo che pubblicizzava l'hotel Providence ed una lettera.

La guardò per un attimo. Quello era il motivo per cui si trovava lì. E, sinceramente, non riusciva ancora a capacitarsi di cosa fosse successo realmente. Chiuse gli occhi mentre ripensava a quella strana mattinata di soli tre giorni prima. Il suo telefono suonava insistentemente e lei, nonostante il forte mal di testa dovuto agli eccessi della notte prima con il solo amico che le era rimasto, il famoso Mr. Jack Daniels, aveva allungato la mano per rispondere.

-Pronto – aveva biascicato con una voce che, se fosse provenuta dall'oltretomba, sarebbe risultata più chiara.

-La signorina Santana Lopez? - le aveva chiesto una voce maschile che non aveva riconosciuto.

-Dipende da chi lo chiede.

-Sono Michael Porter, avvocato associato dello studio Thomason and C.

-Allora se sei un avvocato la risposta è no, non sono Santana Lopez.

Era stata sul punto di riattaccare e, probabilmente, l'avrebbe fatto davvero. Se non fosse stato per i suoi riflessi che, ancora, nuotavano in mezzo all'alcol.

-Signorina Lopez, dobbiamo contattarla per consegnarle la chiave di una cassetta di sicurezza del Regent Bank.

Questo aveva attirato la sua attenzione. Di quale cassetta di sicurezza stava parlando?

-Di cosa stai parlando?

-L'aspetto nei nostri uffici per spiegarle tutto.

Così Santana si era trovata, quasi contro la sua volontà in una elegante sala d'attesa di uno dei più importanti studi di avvocati ad aspettare che qualcuno le spiegasse cosa stesse succedendo.

Michael Porter era un uomo di mezza età curato e dai modi gentili. L'aveva fatta accomodare nel suo studio e le aveva messo davanti una chiave con un numero inciso sopra.

-Anni fa ci è stata consegnata questa chiave per la signorina Lopez con il suo numero di telefono e con l'ordine tassativo di contattarla solo oggi.

Santana aveva spalancato la bocca e l'aveva guardato confusa.

-Anni fa? - riuscì a ripetere.

L'uomo davanti a lei aveva annuito lentamente come se fosse la cosa più normale del mondo.

-Quanti anni fa? - provò ad insistere Santana.

-Mi dispiace ma non possiamo fornire informazioni sui nostri clienti.

-Ma sono io la vostra cliente! La chiave è per me!

-Tecnicamente la nostra cliente è chi ha pagato per contrattare i nostri servizi.

Santana aveva provato a balbettare un paio di parole confuse ma alla fine si era data per vinta e si era presentata alla Regent Bank con la sua anonima chiave e con la vaga speranza che, quella misteriosa cassetta di sicurezza, nascondesse l'eredità di qualche vecchia zia di cui lei avesse dimenticato l'esistenza.

Ma con sua grande sorpresa, e disappunto ancora maggiore, l'unica cosa che aveva trovato era una stupida lettera e un ancora più stupido opuscolo pubblicitario dell'hotel Providence.

In nessun momento della sua vita avrebbe mai pensato di recarvisi davvero.

In nessun momento meno quello, naturalmente.

Non aveva niente. Non le era rimasto niente se non la voglia, forte e pulsante, di trovarsi il più lontana possibile da ciò che era rimasto della sua vita. E magari, almeno per qualche giorno, di dimenticare i suoi problemi.

Rigirò la lettera tra le mani prima di sbuffare ed aprirla per leggerla per quella che poteva essere la millesima volta negli ultimi tre giorni.

 

Newport 10 ottobre 1925.

Cara Santana,

io ti conosco bene quanto tu conosci me. Quindi andiamo al sodo. Prendi un aereo e vai nel Maine. Newport per l'esattezza. Non ti piacerà, lo so. Lo so bene, meglio di quanto tu possa immaginare. Ma devi farlo.

Prenota all'hotel Provence. Ed aspetta che il tempo faccia il suo corso.

 

 

Santana fu tentata di strappare quella carta ingiallita dal tempo. Perché, naturalmente, doveva trattarsi di uno scherzo. Uno stupido e ridicolo scherzo. Uno scherzo ben congeniato ad essere sinceri. Ma pur sempre uno scherzo.

Ed allora perché aveva davvero preso il primo volo infilando nella valigia poche cose e aveva prenotato in quell'albergo?

La risposta era semplice. Stava scappando.

Si alzò di scatto dal letto guardandosi intorno nella stanza. Entrò nel piccolo bagno attiguo e vide che non c'erano asciugamani. Tornò nella stanza accorgendosi che non c'era il telefono per chiamare nella reception. Sbuffò pensando che, tra tutte le idee che aveva mai avuto nella sua vita, quella avrebbe senza dubbio vinto il premio alla più stupida. Stava per aprire la porta quando vide un grande armadio incastonato nella parete. Si avvicinò per aprire l'anta sperando di trovare lì ciò che cercava per non dover scendere i tre piani di scale.

Ma l'armadio era vuoto. Desolatamente vuoto. Stava per sbattere violentemente l'anta di legno, ignorando il fatto che probabilmente sarebbe caduta a pezzi, quando qualcosa attirò la sua attenzione.

La luce che penetrava dalla finestra brillava su qualcosa di metallico. Qualcosa circolare che sembrava un pomolo di una porta. Ma era ridicolo. Chi mai avrebbe messo una maniglia in un armadio?

Eppure la luce rifletteva su quella piccola maniglia circolare così lucida da sembrare nuova. Qualcosa che era stato appena fabbricato. Santana inclinò la testa. Confusa. E poi la sua mano si mosse. Quasi come se non fosse la sua, la vide mentre si allungava appena e percorreva, lentamente, i centimetri che la separavano da quella maniglia. L'avrebbe toccata, stretta per un attimo prima di girarla. Anche se era stupido. Stupido ed infantile. Perché quella non era la maniglia di una porta. Semplicemente non poteva esserlo.

Perché chi può essere tanto stupido da mettere una maniglia in un armadio?

Eppure era lì, con la mano protesa ormai a pochi centimetri.

L'avrebbe toccata.

Anche se era stupido.

Fu in quel momento che, qualcuno, bussò con forza alla porta. Santana sobbalzò mentre si voltava di scatto e con gli occhi spalancati come piatti. Chiuse con un tonfo l'armadio ed aprì la porta. Un giovanotto con una ridicola uniforme le porse la sua valigia!

-Tutto bene? - le domandò il ragazzo guardandola in modo strano.

-Sì, certo! - biascicò Santana – Mancano gli asciugamani.

-Le chiedo scusa. Provvederò immediatamente.

Poi si voltò e si diresse verso le scale.

Santana rientrò nella stanza e si guardò intorno. Il suo sguardo cadde sulla porta chiusa dell'armadio e le sfuggì una risatina poco convinta. Aveva bisogno d'aria.

Prese la borsa ed uscì, forse un po' troppo rapidamente. Scese le scale dandosi mentalmente dell'idiota per il suo comportamento e raggiunse l'ampio atrio deserto. Puntò decisa la porta d'ingresso mentre guardava, con la coda dell'occhio le foto d'epoca. Erano tutti ritratti.

E si fermò.

Perché uno aveva attirato decisamente la sua attenzione. Fece pochi passi in quella direzione e guardò l'immagine studiandola con attenzione.

C'era una donna vestita in modo elegante che sorrideva. Era bella. Questo si poteva vedere anche senza i colori. I capelli erano raccolti in una complicata acconciatura ed erano chiari. Santana era sicura che fossero biondi. Sì, non aveva dubbi. Dovevano esserlo. Poi i suoi occhi si posarono sul naso e sulle labbra sottili che disegnavano un sorriso felice e sincero.

E, solo alla fine, scrutarono quegli occhi immortalati in quell'immagine. Santana deglutì. Avrebbe voluto che l'immagine fosse a colori solo per vederne la vera sfumatura.

Anche se era certa che fossero azzurri. Un azzurro di ghiaccio.

Infine si rese conto che, sotto ogni foto, vi era una piccola targhetta con il nome in caratteri dorati. Lesse quello della donna. Lo fece un paio di volte prima di ripeterlo a bassa voce.

-Brittany Pierce.

 

 

 

 

 

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Eccomi di ritorno! Vi sono mancata?

Allora, come potete immaginare siamo davanti a una nuova AU brittana (siete sorpresi?). Direi che è un tema che mi girava in testa da molto tempo ma, per un motivo o per un altro non l'avevo mai scritta!

Alcune cose che più che altro sono curiosità: il Maine è stato scelto per Stephen King e ogni tanto citerò alcune cose sue ma non importa se non lo conoscete o non l'avete mai letto, non saranno mai importanti ai fini della storia! Poi, Newport non esiste e non esiste nessun hotel Providence! In realtà immagino esistano tante Newport ma questa in particolare sarà totalmente frutto della mia mente.

Bene non aggiungo altro. Se avete curiosità o dubbi o semplicemente volete lasciarmi un commento sarò ovviamente felice di rispondere a tutti. Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui e a chi seguirà la storia!

Un abbraccio e benvenuti all'hotel Providence.

  
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