Per sempre sepolto nel cuore

di queen of night
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scherzi del destino ***
Capitolo 2: *** Incontro ravvicinato con il nemico ***
Capitolo 3: *** Sgradite sorprese ***



Capitolo 1
*** Scherzi del destino ***


Non poteva ancora crederci.

Con un moto di ottimismo, puntò l’indice sul foglio appeso alla parete dell’aula e scorse nuovamente tutti i nomi, elencati per ordine alfabetico, finché non arrivò al suo.

Mc Quinn Nathan, matricola 078952, N.C.

Sbuffò, irritato. Sperava di aver letto male all’inizio, ma non era stato così.

N.C., ovvero “non classificato”.

Stavolta mio padre mi taglia davvero i fondi, pensò desolato.

Il cicaleccio della stanza aumentò, segno che gli altri studenti stavano entrando e che l’inizio della lezione era prossimo.

“Ehi, Nath! Allora?” chiese una voce squillante dietro di lui.

Percepì forte e chiara, ma soprattutto forte, una pacca sulla spalla.

Si voltò per lanciare all’amico un’occhiataccia.

“Allora ho fatto pena anche stavolta! Non sono passato…” ringhiò, amaramente, aggrottando le sopracciglia. Quando Nathan era di quell’umore, la cosa più ragionevole da fare era lasciarlo in pace e aspettare che sbollisse la rabbia da solo. Chi lo conosceva almeno un po’ lo sapeva bene.

Il compagno di corso, quindi, optò per un’azione sicura e salutare per tutti: tacere. O meglio, ne aveva tutte le intenzioni del mondo, ma, in quel preciso momento, arrivarono a frotte tutti gli altri membri del loro gruppetto. Le ragazze subito circondarono Nathan, come api attratte da una profumata e sontuosa orchidea. Era quello un avvenimento piuttosto comune nella vita di lui: fascino da bello e impossibile, Nathan Mc Quinn era figlio di un ricco imprenditore e di una ereditiera. Unico successore dell’ingente patrimonio famigliare, era un bocconcino appetibile per qualunque creatura di sesso femminile. Nathan non aveva mai fatto nulla di troppo faticoso durante la sua esistenza per assicurarsi sempre e dovunque un nutrito gruppo di fans, ma quello sembrava nascere quasi spontaneamente, qualunque luogo frequentasse. Come del resto i suoi cosiddetti “amici”, i suoi compagni di corso: nemmeno loro li aveva conquistati con la sua simpatia. Infatti, tolto l’aspetto fisico più che piacevole, il rampollo di casa Mc Quinn non aveva, quel che si dice, un bel caratterino: viziato, lunatico ed egocentrico. Tre aggettivi che lo descrivevano a meraviglia.

Subito il chiacchiericcio delle tre studentesse, che l’avevano circondato (era braccato praticamente), cominciò a stordirlo e fu subissato di domande.

“Come va? Passato il dolore il dolore alla schiena?”

“Ci vieni alla festa stasera, vero?”. A parlare era stata una rossa (tinta, ovviamente) piuttosto chiassosa, assieme alla sua compagna di progettazione.

“Certo che viene, Christina. Ci vado io, non vedo perché lui dovrebbe mancare” disse la sua amica, una bionda, piuttosto ammiccante.

“La solita smorfiosa!”

“Com’è andata Nathan?” domandò la terza del gruppo, una brunetta con sguardo da cerbiatta. Forse la più sopportabile delle tre.

“Zitta, Ethel! Non l’hai ancora capito che non ha preso nemmeno la sufficienza?! Non mettere il dito nella piaga” sbottò la bionda di prima.

“Grazie mille, Brooke. Sei proprio un’amica” commentò il giovane in questione, con palese ironia.

Che la ragazza evidentemente non colse.

“Di nulla, Nath!”

“Avanti, lasciatelo in pace”. Per sua immensa fortuna, il fedelissimo amico Neil intervenne in sua difesa e, buttandogli un braccio al collo, se lo portò via, uscendo dall’aula, nonostante fosse consapevole dell’arrivo imminente del professore.

Si diressero, tacitamente d’accordo, verso la macchinetta delle bevande calde e lì Neil cominciò a frugare freneticamente all’interno dei suoi pantaloni, in cerca di spiccioli.

“Caffè?” chiese.

“Macchiato, thanks” rispose l’altro, poggiandosi con la schiena al muro, sempre imbronciato.

Stettero in silenzio per un po’. Nathan guardava con pigro interesse l’amico, mentre questo infilava le monete e pigiava i tasti della macchinetta.

Neil era, senz’ombra di dubbio, come un fratello, per lui. Non solo perché si conoscevano praticamente da una vita (elementari, scuole medie, liceo ed ora università), ma soprattutto perché erano sempre stati assieme ed ormai l’altro lo conosceva meglio di se stesso.

Solitamente, lui non era un tipo sdolcinato, ma dava molto valore al legame di amicizia che c’era tra loro. Era bello avere vicino una persona come Neil, sempre pronto ad aiutarlo e a condividere tutto con lui. Anche le esperienze più assurde e stupide, come sbagliare treno e capirlo solo all’arrivo, quando ormai si trovavano a chilometri e chilometri di distanza dalla loro meta e da casa loro. Rise dentro di se, ripensando a quell’episodio.

Se c’era qualcuno che dal principio non l’aveva avvicinato, perché figlio di una ricca e prestigiosa famiglia, quello era Neil. E non perché anche lui fosse nella sua stessa posizione sociale, anzi: era figlio di un fotografo e di una cameriera. I suoi genitori avevano divorziato mentre lui era ancora piccolo ed il padre se n’era andato all’estero, in cerca di un’assunzione stabile; quando la madre si era risposata con un nuovo compagno, lui era ormai divenuto adolescente. In quel periodo erano cominciati i primi litigi famigliari: Neil non sopportava proprio il suo patrigno e così, non appena Nathan gli aveva proposto di andare a vivere con lui in una lontana città universitaria, non ci aveva pensato su due volte. Aveva fatto i bagagli e se n’era andato, libero ed indipendente.

Ma quanto gli costava ora la sua indipendenza: per mantenersi, Neil era costretto a lavorare, ma non poteva permettersi di scegliere un impiego a tempo pieno: le lezioni erano obbligatorie e lui non voleva rischiare di diventare uno studente fuori corso. Così, aveva optato per un part-time come corriere espresso.

Nonostante questo, la sua media scolastica era buona e aveva dato tutti gli esami previsti. Ciò gli permetteva di usufruire di una sostanziosa borsa di studio, che gli consentiva di condurre una vita piuttosto discreta.

“Eccole il suo caffè macchiato, signore” gli disse Neil, scherzando e porgendogli un bicchierino di plastica fumante.

Nathan rispose con un grugnito, come ringraziamento.

L’amico sospirò, vedendolo così, e tentò di tirarlo su di morale.

“Non ha senso abbattersi, Nath. Piuttosto, dovresti cercare di rimediare” gli consigliò caldamente.

“Fosse facile! Stavolta mio padre si incazzerà da morire”

“Ma dai, è normale. Poi gli passa”

“No che non gli passa! Non mi darà più un soldo!” sbottò Nathan, buttandosi a sedere su uno degli scranni in plastica, posti lungo tutta la parete del corridoio, in cui si trovavano.

“Puoi sempre cercarti un lavoretto da fare. Ormai hai ventun’anni belli che compiuti! Ne saresti in grado” ribatté l’amico, fermamente convinto delle sue parole.

“Non siamo tutti come te, Neil” inveì l’altro, in un moto di stizza, che gli passò subito non appena si accorse di quello che aveva detto. “Ah, no…! Scusa! Non volevo dirlo in quel senso… lo sai”. Non era stato molto carino da parte sua rinfacciare a Neil la sua condizione. Lui non aveva un padre che gli manteneva vitto e alloggio, studi e divertimenti vari. Lui badava a se stesso e lavorava per mantenersi.

Neil lo guardò, scuotendo il capo. “Non preoccuparti: conosco il tuo caratteraccio. Ci ho fatto il callo, ormai” sospirò, finendo di bere il suo caffè tutto d’un sorso.

“Non dire così”

“Comunque sia, penso sia proprio il caso che tu vada a far ripetizione da qualcuno o non passerai nemmeno l’esame orale” dichiarò, serio, mentre accartocciava il bicchierino di plastica e poi lo lanciava verso il cestino dei rifiuti, facendo canestro.

“Grazie mille, Neil! Sei confortante” rispose Nathan, più amareggiato che mai.

“Sono realistico”

“E dove dovrei andare, sentiamo?! Credi davvero sia facile trovare uno che faccia ripetizioni di questo tipo? Perché non mi aiuti tu?” lo supplicò, sapendo tuttavia la sua risposta.

“Lo sai che, se potessi, lo farei volentieri. Però, tra il part-time e lo studio, ho davvero poco tempo da dedicare a me stesso, figurarsi a te. Per fortuna viviamo insieme, altrimenti non so come faremmo per Progettazione”

“Allora sono fottuto” proclamò, cupamente, alzandosi per buttare anche lui il bicchiere, ormai vuoto.

Neil lo seguì con lo sguardo, poi la sua attenzione fu catturata da ben altro.

“Non direi. Guarda un po’ là”. Indicò uno dei mille foglietti appesi alla parete di fronte alle macchinette delle bevande e degli snack. Il muro era quasi completamente ricoperto di annunci: affitti di monolocali, bilocali, posti letto, vendita di libri usati o appunti, eccetera. Una sorta di bacheca collettiva.

Nathan seguì con gli occhi la direzione del suo indice e, dopo due secondi, focalizzò un pezzo di carta, che sembrava essere stato strappato da un quaderno.

Ripetizioni di Statica e Meccanica delle strutture. Per chi è interessato, contattare il seguente numero durante le ore dei pasti.

“Fa al caso tuo” gli fece notare Neil.

Senza rispondergli, Nathan tirò fuori dalla tasca dei jeans il cellulare e si segnò il numero di telefono.

“Quindi, immagino seguirai il mio consiglio” disse l’amico, incamminandosi verso l’aula.

Di nuovo, il giovane dai capelli scuri grugnì in senso affermativo.

“Allora dillo”

Nathan si fermò in mezzo al corridoio. “Cosa?”

“Neil, avevi ragione, come sempre” recitò il ragazzo, cercando di imitare la voce dell’altro.

“…”

“Sto aspettando”

“Neil… vai a fanculo”

 

Quando entrarono in aula, il professore era appena entrato e alla cattedra stava cercando di accendere il microfono. I due ragazzi ne approfittarono per andare verso l’altro capo della sala, dove c’era il loro gruppo.

Naturalmente il posto che era stato tenuto per Nathan si trovava in mezzo a Christina, Ethel e Brooke, che lo accolsero tra loro, più che felici.

Neil si dovette accontentare di un posto vicino a Ralph e al silenzioso Yuri, che quella mattina non aveva ancora aperto bocca.

“Buon giorno a tutti” cominciò il professore. “Come vi avevo già annunciato ieri, ho corretto i vostri test e ho appeso in bacheca i risultati, per chi non li avesse ancora visti. Sono stato molto soddisfatto, eccetto qualche insufficienza”. Nathan a queste parole rimise il broncio.

Dopo una raccomandazione affinché gli studenti carenti si impegnassero per recuperare, perché “l’orale era alle porte”, l’uomo, papillon giallo a pois rossi su completo marrone scuro, cominciò la lezione del giorno.

La spiegazione, come al solito, fu noiosissima e Nathan ben presto smise di prendere appunti e, spalmatosi comodamente contro lo schienale della sedia, cominciò a scarabocchiare il suo block-notes. Dello studente modello lui non aveva proprio nulla.

Quando le due ore di tedio finirono, tirò un sospiro di sollievo, mentre tutti i presenti cominciavano ad alzarsi in piedi per uscire dall’aula.

“Ehi, avete visto chi ha totalizzato di nuovo il punteggio più alto?!” chiese Christina alle compagne. Dal tono si intuiva che lei conoscesse già la risposta.

“No, dai! Se mi dici ancora quella, cambio facoltà!” rispose Brooke, melodrammatica come sempre.

“Allora sbrigati a fare domanda per il passaggio, cara, perché la numero uno del corso continua ad essere lei” confermò Ethel, prendendo in braccio dei libri.

“Giura!” trillò la bionda, inorridita.

“Di chi parlate, ragazze?” chiese loro Ralph, incuriosito dal loro spettegolare.

Le tre lo guardarono in tralice, contemporaneamente.

“Ma di Morticia, ovvio” dissero, quasi in coro. Nathan le guardò disgustato: possibile che non avessero ancora intuito quanto l’argomento “test” gli desse fastidio? E poi perché dovevano sempre parlare di quelle cose così inutili?

“Intendete Fay Heather, la cocca dei professori”. Per la prima volta, tutti ammutolirono e si voltarono in un’unica direzione: Yuri, colui che eccezionalmente aveva parlato!

“Amico, mi inquieti a volte” decretò Neil, poggiandogli le mani sulle spalle. Quello lo guardò, interrogativo.

“Comunque sia, non capisco proprio perché quella strega riesca sempre ad ottenere il massimo dei voti in tutto! Non posso credere che sia davvero così brava” sbottò Brooke, volgendo lo sguardo in direzione della cattedra, dove il professore ancora sedeva, riordinando dei fogli. Una ragazza gli si era appena avvicinata e sembrava gli stesse chiedendo qualcosa.

“Secondo me, va a letto con metà corpo docente” insinuò maliziosamente Christina, guardando anche lei nella stessa direzione della compagna.

Nathan, che cercava di non farsi coinvolgere in quelle sciocchezze, non poté fare a meno di voltarsi, troppo incuriosito. Eppure sapeva bene di chi parlavano: Fay Heather, una ragazzina che non dimostrava affatto la sua età, dalla fluente chioma corvina e dagli occhi color pece. Per questo veniva chiamata Morticia dall’intera classe, fin dal primo anno accademico: ricordava la protagonista omonima del telefilm per il fatto che vestiva sempre di scuro e per la sua carnagione bianchissima e i lunghi capelli neri. Ma le analogie finivano qui: al contrario di Morticia della famiglia Adams, i lineamenti del viso erano molto femminili e la sua figura magra risultava alquanto gracile nel suo complesso.

Non era simpatica a nessuno, per quel che aveva capito. In effetti, l’aveva sempre vista da sola, in fondo all’aula. Risultava sempre prima agli esami e, per questo e per il suo carattere schivo, si era attirata numerose antipatie.

Dal canto suo, Nathan non l’aveva mai calcolata più di tanto. Certo, non era brutta, ma a lui piacevano le donne più prosperose, come Brooke, che non si portava a letto solo per non avercela poi tra i piedi per l’eternità.

Nathan era piuttosto superficiale e questa sua visione dell’altro sesso ne era la prova inconfutabile.

“Già, guardala là, come si lavora il professore” disse Ralph, unendosi ai commenti delle ragazze.

“Oh, avanti, piantatela una buona volta di fare i perfidi” intervenne Neil. “Se è così brava, evidentemente è intelligente e si applica molto, tutto qui”

Quattro paia d’occhi lo fissarono laconicamente. Possibile fosse il solito guastafeste?

“Neil, non rompere” rispose Brooke a nome di tutti.

“Dopo questo dialogo istruttivo e maturo, penso scapperò in biblioteca per occupare con saggezza quest’ora di buco” dichiarò quello con fare ironico, mettendosi la borsa con i libri a tracolla.

Il silenzioso Yuri lo seguì, senza dire nulla o salutare nessuno. Del resto, era fatto così.

Un marziano, che nessuno si prendeva la briga di comprendere.

“Perché noi, invece, non ce ne andiamo in caffetteria, eh Nathan?” propose Brooke, avvinghiandosi al suo braccio, peggio di un koala.

“No… non mi va. Andate voi” disse in fretta il moretto, prima di liberarsi della ragazza e avviarsi verso il cortile interno dell’edificio.

“Ma che ha?” chiese la bionda, puntandosi le mani ai fianchi: la sua preda era fuggita via.

“Dev’essere per il test che non ha passato… lascialo perdere! Adora fare la vittima. Se vuoi vengo io con te a bere qualcosa” affermò Ralph, sorridendole.

Brooke non lo degnò nemmeno di una risposta e se ne andò, seguita da Ethel e Christina.

 

Nel frattempo, Nathan era arrivato nel porticato del giardino e si era seduto sopra un basso muretto, che faceva da staccionata, poggiando la schiena contro la colonnina di una volta.

Tirò fuori dal taschino del giubbotto il pacchetto morbido di sigarette. Con la bocca ne estrasse una e se la accese. Inalò una lunga boccata di fumo, che poi lentamente espirò. Quei gesti, così semplici e meccanici, avevano il potere di rilassarlo quando era nervoso.

E così quella sera, quando suo padre avrebbe chiamato per sapere com’era andato il test, gli avrebbe dato l’ennesima illusione, pensò tra sé e sé. Ma ormai i genitori dovevano essersi abituati a vederlo fallire. Non era mai stato una cima a scuola, eppure si era ugualmente iscritto all’università, sotto le spinte dei suoi. Purtroppo, non aveva scelto Legge, come il padre aveva sperato (una delle tante altre delusioni), ma Architettura. A volte si chiedeva se l’avesse fatto in un moto di ribellione oppure no. Non importava, comunque.

Doveva solo resistere per altri due anni e mezzo e poi si sarebbe laureato (forse). Non gli importava il voto con cui sarebbe uscito. Tanto, quando sarebbe venuto il momento di cercare lavoro, sapeva già con certezza che suo padre l’avrebbe raccomandato a qualcuno dei suoi amici, così come aveva fatto per fargli superare il test di ingresso alla facoltà di Architettura. La vita era così facile per lui… eppure Nathan si sentiva pieno di problemi ed insofferente.

Considerava ogni cosa una scocciatura e quando, nolente, doveva fare qualcosa, diveniva di cattivo umore ed era a dir poco insopportabile. Rispondeva male a chiunque. Persino a Neil.

E cos’aveva da lamentarsi poi? Il basso profitto all’università? Colpa sua, perché era svogliato e si impegnava poco.

Oppure si lagnava perché il padre lo aveva minacciato nuovamente di non mandargli più un soldo?

O perché delle sue camice firmate non ce n’era nessuna adatta per la festa di domani sera?

Questi erano i grandi problemi di Nathan, eterno insoddisfatto.

Un cattivo ragazzo?

No.

Viziato?

Decisamente.

In fondo, non era proprio colpa sua se era così. Cioè, non tutta colpa sua: in parte, il merito andava anche ai suoi genitori, in realtà segretamente fieri del loro unico figlio maschio, colui che un giorno avrebbe ereditato il Mc Quinn Group, grande impresa edile che costruiva ville extralussuose in tutta la nazione ed anche all’estero.

Nonostante il padre preferisse vederlo iscritto nell’albo degli avvocati, alla fine gli andava bene ugualmente che suo figlio diventasse architetto. Ma questo, naturalmente, non glielo aveva mai detto. E forse non l’avrebbe fatto nemmeno in futuro.

La madre, invece, riteneva il suo ragazzo il migliore in assoluto: non c’era stata una sola volta nei suoi ventunanni di vita che l’avesse rimproverato per qualcosa, anche quando era bambino.

Nathan faceva i capricci perché voleva un giocattolo? Mandava subito un cameriere a comprarglielo.

Nathan voleva avere una Mercedes per i suoi diciotto anni? Nessun problema.

Nathan voleva andare a vivere per conto suo? Gli avrebbe comprato all'istante un piccolo e grazioso loft.

Alla fine, nessuno gli aveva mai detto di no veramente ed era per questo motivo, in sostanza, che il giovane Mc Quinn si era abituato ad avere tutto dalla vita.

Per fortuna, non è solo l’educazione dei genitori a formare il carattere di un bambino: sono anche le persone incontrate lungo il cammino. E Nathan aveva avuto la fortuna di incontrare Neil alle elementari.

Con lui aveva aperto un po’ gli occhi su molte cose che prima dava per scontate. Il ragazzo aveva cambiato un poco il suo punto di vista: grazie a lui, aveva capito, per esempio, il valore di avere accanto un vero amico, su cui poter contare; aveva capito che un’amicizia non si curava da sola, ma andava sempre coltivata (lui era abituato ad essere circondato di gente non interessata davvero alla sua personalità), perché non tutto è dovuto. Molte cose vanno ottenute tramite uno sforzo o un sacrificio. Questo lo aveva capito, anche se non sempre lo applicava.

A ventun’anni si rendeva conto di essere una persona tremendamente vuota. Non aveva mai fatto nulla di buono, tranne accogliere Neil in casa sua. Eppure, anche in questo caso, la situazione andava più a suo vantaggio: per lui, l’amico era essenziale. Un punto fermo in un mare di caos.

Frequentavano lo stesso corso quinquennale di Architettura ed erano finiti per diventare compagni di Progettazione, materia in cui, se si salvava, probabilmente lo doveva a Neil.

“Signor Mc Quinn” lo chiamò una voce baritona e conosciuta.

Riscosso bruscamente dalle sue riflessioni deprimenti, Nathan si stupì di non aver fatto un salto con aggiunta di grida in sottofondo, dato l’accidenti che si era preso. Con il cuore che gli martellava nel petto per lo spavento, visibilmente impallidito, si voltò, trovandosi faccia a faccia con il professore di Statica e Meccanica delle strutture.

“Professor Le Revenant, buon giorno” lo salutò, tentando di chetare il battito del suo cuore.

Si alzò e scese dal muretto su cui era appollaiato. Solo in quel momento si accorse che, dietro all’omino, stava una persona.

Una ragazza piccola, che vestiva in maniera alquanto discutibile, completamente in nero, la cui chioma corvina ricadeva confusa sulle spalle.

Non lo guardava nemmeno, ma fissava un punto impreciso del pavimento.

Era Morticia, quella di cui parlavano prima i suoi compagni.

“Signor Mc Quinn- cominciò il professore, con tono severo- anche questa volta non è riuscito a superare il test” gli disse, guardandolo seriamente.

Il senso di pesantezza che aveva sul cuore aumentò. Inconsciamente Nathan strinse un pugno e aggrottò le sopracciglia.

“Lo so benissimo! È venuto per farmi la solita ramanzina?” chiese, in un moto di arroganza e frustrazione. Doveva proprio mettere il dito nella piaga, quel dannato vecchio?

Il professore si accigliò a quelle parole scortesi, ma non disse nulla: il giovane Mc Quinn era una testa calda, glielo avevano raccontato anche i suoi colleghi. Inoltre, siccome dovevano a suo padre l’ala nuova della biblioteca, preferì non raccogliere la provocazione.

Ci pensò qualcun altro, comunque, a fargli abbassare la cresta.

“Sei un gran cafone. Chiedi scusa al professore!”

Durò un secondo, ma fu come se la temperatura fosse scesa di colpo e avesse ghiacciato l’aria circostante. Nessuno si era mai permesso di parlare così ad un Mc Quinn.

Sia Nathan che l’anziano dal discutibile vestiario si voltarono stupiti nella direzione di colei che aveva parlato.

Era stata la Heather a rivolgersi a lui in quel modo. Il ragazzo fissò con astio le iridi scure di lei, inspiegabilmente inespressive.

“Suvvia, non è successo nulla” si affrettò a dire il professore, cercando di calmare le acque. Come al solito, l’espressione di rara e sadica crudeltà non sparì dal volto dell’uomo, quasi vi fosse stata impressa sopra alla nascita.

“A me non sembra, signore. Questo sbruffone le ha palesemente mancato di rispetto, mentre lei si sta preoccupando per la sua situazione. Non mi sembra educato” insisté la giovane, con tono piatto.

Nathan si maledisse per essere uscito dal proprio letto, quella mattina. Possibile non gliene andasse mai una per il verso giusto? Anche quella piaga nera ci si doveva mettere ad irritarlo?

Voleva solo che quei due sparissero alla velocità della luce e che il mondo intero lo lasciasse in pace, almeno per il resto della giornata.

“Le chiedo scusa, professore” disse il ragazzo, con tono chiaramente falso e sbrigativo. Sia chiaro: non che avesse ubbidito all’ordine di quella tizia stramba, ma aveva semplicemente preferito tagliare corto quella questione e venire subito al sodo.

L’uomo si stupì di nuovo: non si sarebbe mai aspettato che Nathan sapesse anche scusarsi. Sorrise compiaciuto tra sé e sé: forse, dopotutto, non aveva avuto una cattiva idea.

“Di nulla, Mc Quinn- gli disse- ero venuto appunto per proporle una soluzione ai suoi problemi, se le sta bene”

Il moro annuì, con fare non troppo entusiasta. Lanciò un'altra occhiata torva alla giovane, che aveva ripreso a fissare il pavimento, come se nulla di quello che la circondava la interessasse davvero.

Si ritrovò a chiedersi distrattamente per quale motivo quella tipa (ora etichettata nella sua mente come “insopportabile, da evitare come la peste”) fosse lì, come se stesse accompagnando il professore.

In quel momento si ricordò delle parole di Christina, ma non vi diede molto credito. In fondo, il prof. Le Revenant non gli sembrava tipo da fare quelle cose con una studentessa: troppo serio e impostato. Un vecchio di altri tempi, tutto pelle e ossa: era altissimo e secco come un grissino.

“Ecco, lei conosce già la signorina Heather? Siete una quarantina voi del secondo anno, però potreste non esservi ancora presentati” fece il professore, con fare prosaico. Qualunque cosa dovesse dirgli, Nathan sperò lo facesse in fretta. Non sopportava quell’uomo troppo arcigno per i suoi gusti e, inoltre, aveva come un brutto presentimento. Ma soprattutto: perché gli stava presentando quella tizia?

“Infatti non la conosco, ma posso già dire con certezza che non è esattamente il genere di compagnia che potrei amare” sbottò lui, sfidando la giovane con lo sguardo.

Quella, senza alzare la testa, gli rispose: “Hai ragione. Difatti ho notato che di solito preferisci frequentare delle oche. E poi, se non mi conosci e mi stai già classificando come persona sgradevole, dovresti guardarti allo specchio e magari metterti una mano sulla coscienza, prima di parlare”

Nathan la guardò con astio: era davvero una persona insopportabile ed aveva una lingua alquanto velenosa. Se non ci fosse stato il professore, tra loro, l’avrebbe ricoperta volentieri di insulti.

E se non fosse stata una donna, le avrebbe già mollato un pugno sul naso.

Nessuno si era mai permesso tanto con lui. Solo suo padre e Neil potevano farlo liberamente, senza attirarsi il suo disprezzo o il suo odio.

“Stai zitta e lasciami parlare con il professore” le intimò, sperando che la tizia se ne andasse.

Si rivolse all’anziano uomo con un’espressione la quale faceva trapelare chiaramente che aveva raggiunto il livello massimo di sopportazione. Se quel vecchio aveva qualcosa da dirgli, che si sbrigasse!

“Ragazzi, sono spiacente di vedere che non andate d’accordo- sibilò quasi il professore, vedendo sfumare il suo progetto- Mc Quinn, volevo affiancarle la signorina Heather nello studio, così da risollevare la sua situazione. Mi sembrava una buona idea e la signorina è stata già molto gentile nell’accettare di darle una mano” si spiegò.

Nathan lo guardò con orrore: stava scherzando, vero? A parte il fatto che, dopo quelle brevi battute che si erano scambiati, non aveva la minima intenzione di passare un minuto di più in compagnia di quella strega, come poteva un’estranea accettare di aiutare nello studio uno che neanche conosceva? Cioè, lui non l’avrebbe mai fatto, al posto suo.

In quel momento, la risposta fu semplice: tutti sapevano chi fosse e di chi era il figlio, quindi, presumibilmente quella ragazza voleva solo quello che volevano un po’ tutti.

Dopo averle lanciato l’ennesima occhiataccia, che lei non colse, troppo impegnata ad ammirare le piastrelle del pavimento, rispose negativamente.

“Signor Mc Quinn, ci pensi prima di rifiutare. Questa ragazza è molto dotata: potrebbe essere una vera manna dal cielo, per lei” insisté il professore, poggiandogli una mano sulla spalla, con fare minaccioso.

“No, grazie- gli rispose Nathan, vincendo l’impulso di scansare quelle lunghe dita scheletriche dal proprio omero- ho già trovato una soluzione al mio problema. La ringrazio comunque dell’interessamento”. Per fortuna che Neil aveva trovato quel volantino circa le ripetizioni! Alla fine, ancora una volta si ritrovava salvato dall’amico.

Il professore ne fu sorpreso e soppesò le sue parole, come a considerarne la veridicità.

“Perfetto, Mc Quinn. Lieto di vedere che è corso ai ripari” sentenziò, con tono freddo “Ora la saluto, a domani”. Si allontanò, diretto probabilmente verso il suo ufficio, con Morticia che lo seguiva passo passo, come un pulcino segue una chioccia.

Nathan sbuffò, infastidito da quell’episodio. Il gesto gentile di Le Revenant gli era indifferente: era, infatti, convinto che l’uomo non fosse così felice di bocciarlo, sapendo che poi avrebbe dovuto fare i conti con il Rettore della facoltà.

L’unica cosa che l’aveva colpito era stato fare la conoscenza della Heather, che si era dimostrata ancor più insopportabile di come la dipingevano Brooke e gli altri. A questo proposito, chissà cosa avrebbe detto la bionda se le avesse raccontato di aver avuto un tète a tète con la tanto odiata Fay Heather, innegabilmente la “cocca” dei professori, o almeno di Le Revenant.

Quella giornata, in ogni caso, era stata orribile. E Neil avrebbe lavorato la sera, quindi non poteva nemmeno chiedergli di uscire con lui e andare in qualche pub, per distrarsi un po’. Purtroppo si sarebbe dovuto accontentare della compagnia di Ralph.

L’ora di buco passò in un battito di ciglia e, dopo un’altra sigaretta e un tramezzino con troppo formaggio (per i suoi gusti), Nathan si avviò su per le scale esterne del giardino sul retro, quello in cui vi era il parcheggio per le auto dei docenti. I gradini portavano al piano superiore, dove vi era l’aula della prossima lezione. Inutile dire che prestò attenzione per i soli primi cinque minuti, dopodiché si dedicò a scarabocchiare il suo notes.

Finita anche quell’ultima ora, Nathan agguantò l’amico e uscì in fretta dall’aula, sperando di seminare la fastidiosa Brooke, che tutti i giorni cercava di scroccargli un passaggio a casa. Non che non volesse farle un piacere, anzi: non gli costava nulla, dato che il suo appartamento era vicino al proprio, se soltanto lei durante il tragitto avesse tenuto la bocca chiusa. Il fatto era che ciò non si era mai verificato in passato, figurarsi nel prossimo futuro.

“Ma scusa, Nath, non potresti accontentarla una volta sola? Così smetterebbe di ronzarti attorno in modo ossessivo” gli fece notare Neil, mentre tornavano a casa sulla Mercedes dell’altro.

“Guarda che otterrei esattamente l’effetto contrario. Tu non le conosci le donne come lei, Neil” replicò il ragazzo, scalando di una marcia, mentre effettuava un sorpasso.

“Per fortuna che ci sei tu ad illuminarmi” rispose l’amico, ironicamente.

“Oggi Le Revenant è venuto da me” disse d’un tratto, fissando la strada davanti a sé.

Neil lo guardò, interrogativo.

“Voleva propormi di studiare con la Heather, per rimediare ai miei voti… non ti dico che piacevole incontro c’è stato” rise amaramente.

“E tu?”

“E io cosa?”

“Hai accettato o no?”

“Cavolo, Neil! E c’è da chiederlo?! Certo che non ho accettato!” sbottò Nathan, girando il voltante a sinistra.

“Scusami tanto, principino sul pisello, posso sapere perché? La Heather sarà pure strana, ma è la migliore del corso e Le Revenant ha avuto un’ottima idea” disse l’altro, che proprio non capiva come facesse l’amico ad essere sempre così arrogante ed indisponente. Si abbassava a chiedere aiuto solo a lui, ma, se si trattava di chiederlo ad altri, apriti cielo!

“Quella tizia è insopportabile. Non chiedermi oltre. E poi ho già trovato la soluzione al mio problema, no?” gli fece notare.

Erano arrivati sotto il condominio dove abitavano. In due manovre, Nathan parcheggiò abilmente la Mercedes nel viale.

“Intendi dire le ripetizioni del volantino? A volte mi stupisci, Nath: studiando con la Heather non avresti avuto problemi di sorta, ma un bel voto assicurato e avresti passato i pomeriggi con una bella ragazza. Ora, immagina se quello dell’annuncio è un ragazzo, un brutto brufoloso puzzolente ragazzo… rimpiangerai a vita la proposta di Le Revenant” sghignazzò Neil, aprendo il portone, che dava sull’atrio del palazzo.

Inutile dire che Nathan lo guardò malissimo.

“Preferisco mille volte il ragazzo brutto brufoloso e puzzolente a quella stregaccia in nero” sbottò, prima di rendersi conto di un particolare. “Scusa un attimo, Neil. Sbaglio o hai appena detto bella ragazza?”

L’amico annuì, perplesso, poiché non capiva dove l’altro voleva andare a parare.

“Ma hai qualche problema alla vista? Definire bella quel coso nero e incazzoso, puah!” fece il ragazzo, palesemente schifato.

Salirono in fretta le scale illuminate dalla luce, che filtrava dalle ampie vetrate dei corridoi di ogni piano.

“Tu non sei oggettivo” disse Neil, tra un gradino e un altro.

“E tu dovresti farti una visita oculista”

“Sei prevenuto”

“Ho le mie ragioni”

“Ho capito… durante il vostro breve ma intenso incontro, lei ti ha detto qualcosa” esultò lui, convintissimo di aver scoperto l’incognita x della situazione. Nel mentre armeggiò con le chiavi e aprì la porta del loro appartamentino.

“Taci, Neil” lo minacciò l’altro.

“Qualcosa che non ti è proprio piaciuto”

“La smetti, pseudo-indovino dei miei stivali?!”

“Va bene, spocchiosissimo principino sul pisello”

“Spilungone”

“Cocco di mamma”

“Secchione del cavolo”

“Egocentrico del cazzo”

“Ho fame”

“Pennette o risotto?”

“Pennette. Con panna e salsiccia”

“… Viziato”

 

 Dopo pranzo (inutile dire chi aveva cucinato), Nathan si spalmò sul comodo sofà del salottino e accese il televisore lcd, per cercare di passare in modo indolore quel noiosissimo pomeriggio.

Ad un certo punto sentì Neil raggiungerlo a grandi falcate dalla sua camera e, quando questo arrivò sulla soglia della stanza, lo vide infagottato nel suo giubbotto con il solito vecchio zaino in spalla.

“Vado in biblioteca, Nath. Perché non vieni anche tu? Si studia molto bene” cercò di convincerlo il ragazzo.

Due cerulei occhi si posarono su di lui, palesemente annoiati.

“No, grazie”

“Intendi startene lì come un pesce lesso tutto il pomeriggio?”

“Neil, perché cerchi di occupare inutilmente il ruolo di mia madre?”

“Almeno chiama il tipo/a delle ripetizioni” propose Neil, lanciandogli al volo la cornetta del cordless.

Purtroppo Nathan non aveva scelta: l’amico, peggio di una governante sovietica, stava là impalato e lui credeva fermamente che non si sarebbe schiodato di lì, finché non avesse sentito con le sue orecchie chiamare quel benedetto numero.

Così Nathan digitò i numeri che si era segnato sul cellulare e attese.

“Pronto” disse una voce cupa e bassa dall’altro capo del telefono. Sembrava quasi famigliare. A Nathan non piacque per nulla il formicolio che avvertì propagarsi dalla base della testa fino alle spalle.

“Ehm… Ciao… Io chiamo per le ripetizioni” spiegò, col presentimento sempre più pulsante che avrebbe fatto meglio a terminare immediatamente quella telefonata.

“Sì… quando vuoi fissare la prima?” chiese la voce, che Nathan riconobbe appartenere ad una ragazza. Anche se non era del tutto sicuro.

“Oggi sarebbe l’ideale”

“Alle quattro. A casa mia. Via Selvino numero 19. Terzo piano, a sinistra” spiegò sbrigativa la voce, come se all’improvviso avesse avuto molta fretta.

Non gli diede nemmeno il tempo di dire qualcosa, che aveva buttato giù la cornetta e Nathan si ritrovò perplesso, con il cordless ancora sollevato all’altezza dell’orecchio, mentre questo non smetteva di produrre un fastidioso tu.tu.tu.tu…

“Tutto ok?” chiese Neil, che aveva seguito la breve scenetta.

“Non è un ragazzo brutto brufoloso e puzzolente, questo è certo” disse l’altro dopo alcuni secondi di silenzio.

“Meglio se è una ragaz…”

“In compenso è una ragazza strana, cupa e acida” replicò Nathan, ripresosi dallo stato catalettico.

Neil rise di gusto, prima di salutarlo e uscire di casa, lasciandolo sul divano, ancora scombussolato per essere stato trattato in quel modo da una sconosciuta.

Lui, Nathan Mc Quinn, non era abituato ad essere trattato così.

Da nessuno.

Durante l’ora seguente, il ragazzo, frustrato più che mai, dormì sul divano, ma il suo non fu un buon sonno ristoratore, così quando si svegliò alle quattro meno venti era ancor più scontroso di prima.

Resosi conto dell’ora, andò velocemente in bagno a rinfrescarsi un po’. Dopo cinque minuti, uscì quasi correndo dall’appartamento, con in mano le chiavi della Mercedes e il giubbotto di pelle.

Scapicollò per le scale e a momenti fece cadere la vecchia signora del piano di sotto.

Inforcò i Rayban e saltò sul sedile della sua auto: partì con uno scatto rabbioso e la Mercedes schizzò in avanti.

Era maledettamente in ritardo.

Inoltre, proprio come se la sfiga ce l’avesse con lui quel giorno, si rese conto che via Selvino era dall’altro capo della città, lontana dal centro, in uno di quei quartieri cosiddetti “poco raccomandabili”.

Sperò vivamente di trovare ancora tutta intera la sua bella auto, una volta finita la ripetizione.

Se ci mise quasi venti minuti per arrivare nella via giusta, in compenso identificò subito il numero 19: un orribile palazzo rozzissimo e ultracentenario svettava tra case grigiastre e decadenti come un pugno in un occhio.

O-mio-dio, pensò Nathan, schifato oltre ogni dire.

Parcheggiò l’auto davanti al condominio e la lasciò a malincuore.

Si inoltrò nel giardino attraverso un tracciato di terra battuta, costeggiato da erba alta, che nessuno sembrava aver tagliato da secoli. Qua e là, notò sacchi d’ immondizia abbandonati, vecchie ruote e alcuni bidoni di metallo arrugginito.

Un vero tugurio, pensò.

Il palazzo non aveva nemmeno il portone d’ingresso, così Nathan entrò valicando una soglia vuota. Il suo umore non migliorò affatto: dentro era come fuori, se non peggio. C’erano graffiti ovunque e spazzatura agli angoli. Un odore nauseabondo di marcio e di piscio veniva da quei cumuli schifosi.

Nathan si tappò il naso e si avviò veloce lungo la rampa di scale, dato che l’ascensore naturalmente era guasto. Salendo notò disgustato qualche scarafaggio schizzare da un lato all’altro dei pianerottoli.

Finalmente arrivò davanti alla porta consunta e scolorita del terzo piano, a sinistra. Non c’era il campanello, così bussò.

Mentre attendeva che qualcuno gli aprisse, si ritrovò a pensare per quale motivo una ragazza (no, dico, una ragazza!) avesse deciso di vivere in un posto così disgustoso e… poco igienico. E sicuramente pieno di gente malfamata.

E i suoi genitori? Come potevano permetterle di stare in quella topaia? Non amavano la loro figlia?

Nathan si stava trastullando con quei pensieri, dettati più che altro dalla curiosità (di certo non per bontà d’animo), quando un rumore secco proruppe dall’altra parte della porta. Una serratura era stata fatta scattare.

Un secondo dopo, l’uscio si aprì lentamente e sulla soglia apparve la figura snella di una ragazza, vestita con un maglia nera aderente che le arrivava sopra le ginocchia.

Nathan avrebbe potuto anche apprezzare la mise della sconosciuta, se questa non fosse stata proprio una sconosciuta.

Due occhi neri come la notte affondarono nelle sue iridi cerulee, facendolo quasi gelare dalla sorpresa.

“Sei in ritardo” disse Fay, con voce sottile e cupa.

 

 

Note personali:

Che dire? I commenti sono molto graditi, anche perchè se la fic non piace, non perdo nemmeno tempo a continuare. Spero commenterete in tanti! Ah, il personaggio Neil è stato venduto a Urdi, la mia meravigliosa beta, che ringrazio come sempre!!!

 

 

 

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Capitolo 2
*** Incontro ravvicinato con il nemico ***


La consapevolezza di chi aveva di fronte lo colpì in pieno, proprio come un potente pugno alla bocca dello stomaco. Nathan, infatti, a quella visione boccheggiò, shockato e al tempo stesso inorridito.

No, no, no, no, no, no… continuava a ripetersi, anche se il negare ciò che stava avvenendo in realtà era proprio come ammettere che stava davvero accadendo…

La iella non poteva amarlo così tanto, pensò, sconsolato. Non era proprio possibile che capitassero tutte a lui!

Fece mente locale e ripercorse su per giù la sua vita fino a quel momento: ok, in effetti qualcosa di male lo aveva fatto per meritarsi la sfortuna nera di quel giorno.

In ogni caso doveva riprendersi.

Si impose, quindi, di riassumere un aspetto composto e dignitoso. Inspirò ed espirò. Si calmò. E solo allora sbirciò con nonchalance l’espressione della ragazza che gli stava di fronte.

Dall’altra parte della scena, che qualcuno avrebbe potuto definire comica, Fay, sorpresa quanto il giovane Mc Quinn, si limitava a squadrarlo dalla soglia con sguardo ostile, dall’alto in basso; almeno finché, senza spiccicare parola, si avviò all’interno del suo appartamento, lasciando il portone d’ingresso aperto.

Un tacito invito ad entrare.

Rapidamente Nathan fece un calcolo mentale sui pro e i contro della situazione: varcare quella soglia avrebbe voluto dire passare un’ora del suo tempo in compagnia di una tizia dannatamente odiosa e la cui sola presenza bastava a metterlo di cattivo umore. Inoltre, diamine, lui era un Mc Quinn! In facoltà tutti sapevano chi era ed aveva una reputazione da difendere: non poteva certo farsi dare delle ripetizioni da una nullità come la Heather! D'altronde, quella tipa era anche la migliore del suo anno e la percentuale di superare l’esame orale di Statica e Meccanica sarebbe senz’altro salita di molto, frequentando Morticia… E poi, chi mai sarebbe venuto a sapere che studiava con lei? Più tardi si sarebbe premurato di avvisare Neil di non raccontarlo a nessuno… anzi, ora che ci pensava, Neil non sapeva nemmeno che la ragazza in questione fosse proprio Fay Haether. Avrebbe anche potuto nasconderglielo…

Cavolo, alla fine il beneficio risultava maggiore del danno sotto ogni punto di vista e non aveva più scuse per rifiutare una simile occasione. Avrebbe sopportato quella strega, si disse, almeno finché non avesse superato l’esame.

E, presa la fatidica decisione, Nathan Mc Quinn avanzò con andatura insolente all’interno dell’ appartamento, sbattendo la porta alle proprie spalle.

Per prima cosa si guardò attorno con circospezione: a differenza del resto del condominio, notò subito il moretto, quell’ alloggio era in condizioni decisamente migliori: le pareti bianche e linde rivelavano una recente e meticolosa passata di vernice e quel poco di mobilio che poté scorgere dalla sua posizione gli parve tirato a lucido ed in buono stato.

Percorse guardingo il lungo corridoio, passando davanti a due porte chiuse, e arrivò in un ampio salotto, che conteneva in un angolo anche la cucina. Cercò la ragazza e la vide in fondo alla stanza, mentre riordinava libri e quaderni su un tavolo basso e rotondo. E lo ignorava palesemente…

Come padrona di casa, pensò Nathan, lasciava alquanto a desiderare.

Così, senza dire o chiedere nulla, si tolse il giubbotto e lo buttò di mal garbo sul divano.

Che situazione assurda! E pensare che aveva rifiutato la proposta di Le Revenant solo per incappare comunque nella stessa identica prospettiva di dover studiare insieme a Morticia!

Bella figura, davvero…

Nel frattempo Fay continuava a trafficare con un astuccio e dei fogli e non sembrava nemmeno un po’ intenzionata ad accoglierlo benevolmente nella sua casa. Il silenzio che era calato tra loro come una pesante cappa e stava divenendo intollerabile per il povero Mc Quinn (che tanto povero non era, volendo proprio dirla tutta, ma questi sono dettagli).

“Ehm…”

Cavoli, non sapeva nemmeno cosa dire… eppure doveva pur rompere il ghiaccio in qualche modo, no? Se proprio doveva passare un’ ora con la Heather, almeno che ci fosse un’atmosfera rilassata. E che diamine, si sentiva teso come una corda di violino e non sapeva nemmeno spiegarsene la ragione! Probabilmente era l’ambiente, pensò. In effetti, anche se il locale pareva grande, luminoso e pulito, aveva un qualcosa di insolito, che Nathan non riusciva bene a classificare.

“Intendi passare ancora molto tempo a guardarti intorno e a criticare l’arredamento oppure ti siedi e cominciamo?” gli chiese Fay d’un tratto, sempre dandogli le spalle.

Imbronciandosi ancora di più ed ignorando le sue parole ironiche, Nathan si avvicinò al tavolo, ricordandosi solo allora di non avere portato con sé la borsa dei libri. Si maledisse mentalmente, prima di sedersi dall’altro capo del tavolo, il più lontano possibile da Fay.

La ragazza parve accorgersi di quella ritrosia nei suoi confronti, poiché gli scoccò un’altra delle sue occhiatacce attraverso ciuffi neri di capelli, che le ricadevano scomposti sul viso.

Poi, senza dire nulla, si alzò e si avvicinò a lui, mettendogli davanti il proprio libro.

“Ora fammi vedere quali argomenti non ti sono chiari” gli disse, con voce sottilmente cupa e bassa.

Il fatto di averla in piedi di fianco a sé, provocò a Nathan un moto di fastidio. Inutile: quella ragazza non gli piaceva neanche un po’. Prendere ripetizioni da lei sarebbe stato più difficile del previsto.

Distrattamente si ritrovò a chiedersi cosa Neil ci avesse trovato di vagamente attraente in lei, dato che poco prima, a casa loro, l’aveva definita una bella ragazza… personalmente, a lui non diceva nulla. A parte il fatto che sembrava, anzi, era troppo scorbutica, non gli piaceva il colore spettrale della sua pelle, né tanto meno quei suoi occhi scuri, d’un nero così profondo da inghiottire nel nulla persino le pupille…

Mentre era distratto da quei pensieri, una cosa altrettanto scura gli piombò all’improvviso davanti e lo spavento fu così grande, che Nathan si arrovesciò indietro con la sedia, andando a cozzare con il pavimento.

Fay lo guardò, perplessa.

“Paura dei felini?” gli chiese, con voce sottilmente canzonatoria, mentre, la ragazza si avviava verso la cucina: un angolino ricavano all’interno della sala e separato da essa da una porzione di parete.

Nathan, bestemmiando a mezza voce, si rialzò e guardò sul tavolo, incrociando così un paio di occhi verdissimi, che lo scrutavano incuriositi.

Un gatto. Nero.

Digrignò i denti, frustrato. Ecco: ora aveva anche fatto la figura dell’idiota, e che cavolo! Proprio davanti a una come lei… Si sentì arrossire a poco a poco, forse per l’imbarazzo, ma anche per l’irritazione.

“Vuoi qualcosa da bere?” domandò la ragazza dalla cucina “Tranquillo… Mr. Mao non ha mai morso nessuno” lo schernì, di nuovo.

Nathan le fulminò la schiena con uno sguardo di fuoco. Era troppo. Doveva mettere in chiaro alcuni concetti.

Si avvicinò a lei, veloce, e, afferratola per una spalla, la fece voltare, incontrando così i suoi occhi neri e freddi.

“Senti, tu non mi piaci” ringhiò, a un centimetro dal suo viso “Per niente! Ma sono nei casini per colpa di quest’ esame del cazzo e ho bisogno delle tue ripetizioni… sto cercando di sopportarti, quindi piantala di sfottere!!” gridò, minaccioso.

Fay non ebbe affatto paura: lo ascoltò senza batter ciglio. Non si scompose: nemmeno una rughetta di disappunto solcò la sua pelle lattea.

“Anche tu non mi piaci” affermò sicura, prima di liberarsi della sua presa e di tornare a fare quello che stava facendo, ovvero versare del latte in una piccola ciotola blu.

Nathan, invece di sbollire la rabbia dopo quello sfogo momentaneo, si accigliò ancora di più di fronte all’indifferenza di lei. Non era abituato ad essere così poco calcolato.

Stava, quindi, per insultarla, quando, sentì qualcosa strusciarsi contro i suoi stinchi e abbassando lo sguardo, vide una palla di pelo nero fargli le fusa.

“A quanto pare, però, c’è almeno qualcuno che in questa casa ti trova simpatico” commentò Fay, sarcastica, mentre poggiava a terra la ciotola di latte per Mr. Mao, che vi si fiondò all’istante, goloso.

Nathan sospirò, passandosi una mano tra i capelli neri e imponendosi l’autocontrollo. Contò fino a dieci. Doveva stare calmo. Non raccogliere le sue provocazioni. Casomai le avrebbe risposto con frecciatine dello stesso calibro, si concesse.

“Non mi è molto chiaro il calcolo del metodo delle forze” disse ad un tratto, decidendo di lasciare perdere la piccola discussione e di spostare l’attenzione su ciò che gli premeva e per cui stava sopportando tutta quella situazione.

Fay lo fissò, apatica. “Non è difficile.”

Un muscolo del viso di lui guizzò, come per un tic nervoso.“Ma davvero??!!” disse, tra i denti.

“Apri il libro a pagina 196 e vedrai.”

“Non fare la saccente.”

“E tu non farmi perdere tempo.”

“Adesso capisco la causa di tutte quelle voci su di te… e capisco perché tutti in classe ti evitano come la peste” la schernì lui, con la speranza che, se avesse toccato un tasto dolente, l’avrebbe azzittita. Ferirla sarebbe stato meschino, ma in quel momento non gliene fregava nulla. Lui voleva ferirla, perché odiava il modo in cui lei gli mancava perennemente di rispetto: nessuno si era mai permesso tanto, benché meno una sconosciuta e reietta come Morticia!

“Solo gli stupidi danno retta alle voci di corridoio…” commentò Fay, dopo un po’.

“Non sono solito prestare ascolto alle dicerie, ma oggi ho appurato con i miei occhi che sei proprio come si dice in giro” disse lui, malevolo e con aria di superiorità. Si sedette di nuovo al tavolo, recuperando la sedia da terra e aprendo il libro alla pagina da lei indicata, certo che ora avrebbe taciuto.

Ed infatti quella volta Fay non rispose, ma si limitò a fissarlo, cupa come al solito.

Da lì in poi, i due tacquero e si limitarono a parlare solo quando Fay doveva spiegare a Nathan qualche passaggio, a lui incomprensibile. Oppure quando lui le chiedeva di ripetere qualche concetto, che non era riuscito ad afferrare.

L’ora, praticamente, volò via e allo scoccare delle cinque, il ragazzo si alzò, soddisfatto. A malincuore, dovette ammettere con se stesso che, seppure antipatica e repellente, Fay era una brava insegnante. Era paziente. Spiegava le cose con semplicità e gli dimostrava sempre tutto con degli esempi chiari e concisi. Nathan si era appuntato ogni cosa su un foglio che la ragazza gli aveva passato ed in quell’istante stava ripercorrendo con uno sguardo veloce quello che aveva scritto, scoprendosi pago di quella lezione di ripasso.

“Fanno 30 $ all’ora” proruppe Fay d’un tratto, tamburellando le dita sul tavolo.

Senza dire nulla, lui aprì il portafogli ed estrasse una banconota da cinquanta.

“Non li hai cambi? Non so se ho il resto…”

“Me lo darai la prossima volta.”

“No, io… aspetta un attimo...” La vide allontanarsi e sparire dalla stanza.

E in quel momento il telefono suonò.

Nathan spostò indolente lo sguardo sull’entrata del salotto. La Heather l’aveva sentito? Doveva avvisarla?

Decise di non preoccuparsene, dato che, dopo il primo squillo, era scattata subito la segreteria telefonica.

“Non sono in casa. Lasciate un messaggio e sarete richiamati…”

Non sapendo cos’altro fare nel frattempo, il ragazzo si alzò ed andò alla finestra, per controllare le condizioni della sua Mercedes, parcheggiata di fronte all’edificio. Sembrava ancora tutta d’un pezzo.

“Ehi, Fay! Fay Heather!”

Una voce di ragazza trillò rabbiosa dall’apparecchio telefonico.

“Insomma, Fay… la vuoi piantare di filtrare le telefonate? Rispondi al telefono, una buona volta!”

Nathan, ascoltando quei rimproveri così amichevoli, si ritrovò distrattamente a stupirsi del fatto che anche una come la Heather potesse avere un’amica.

Poi la modulazione della voce cambiò, divenendo ansiosa e quasi… sofferente.

“Sono giorni che sia io che Julia proviamo a chiamarti… stai bene?… Ti è successa ancora quella cosa, vero? …Oddio, Fay…”

Strano. La telefonata stava acquisendo un tono strano, che Nathan non poté non notare.

“Fay, smettila di comportarti in questo modo… smettila anche di chiuderti in te stessa… ci fai preoccupare tantissimo, se fai così… stai mangiando a sufficienza, vero? Se hai bisogno di qualcosa, non hai che da chiedere, lo sai…”

Ma di cosa diavolo stava parlando quella ragazza? Forse la Heather si drogava? Era una che si bucava?

“Ok, ho capito:  non sei in casa… chiamami, però, eh? Un bacio tesoro…”

E fine.

Nathan rimase a fissare la lucetta rossa lampeggiante della segreteria telefonica, come imbambolato. Quella telefonata gli aveva lasciato addosso una strana sensazione, ma non sapeva bene come classificarla… forse era sorpreso. Forse non si aspettava che l’esistenza di Fay Heather potesse avere un risvolto… come definirlo? Losco? Enigmatico?

Comunque non erano affari suoi.

“Ecco, ho trovato degli spicci” disse Fay, entrando nella stanza con delle banconote e monete in mano.

Il ragazzo prese il resto senza proferire parola, recuperò giubbotto e appunti e si avviò verso l’uscita, tallonato da Fay e da Mr. Mao.

Davanti all’uscio, però, si fermò e si voltò. I suoi occhi non erano più ostili, ma tradivano una nota indefinibile, che poteva essere curiosità mista a qualcos’altro.

Avrebbe voluto farle delle domande, era vero, ma in fondo loro erano due estranei… E poi era noioso e inutile impicciarsi dei fatti altrui e lui aveva già i suoi problemi a cui pensare.

“Quando posso tornare?” le chiese.

“Dopodomani, stessa ora.”

“Ok…”

Abbassò la maniglia del portone, ma poi sembrò esitare un attimo.

Si voltò ancora e fulminò Fay con i suoi occhi azzurrissimi. Lei non fece una piega.

“Continui a non piacermi, non farti illusioni.”

“Sei troppo abituato ad avere tutti ai tuoi piedi… sei tu che non devi farti illusioni” rispose lei, pacata, mentre accoglieva Mr. Mao tra le braccia.

“Tsk”

Nathan diede una carezza veloce al gatto e poi uscì, sbattendo il portone con alterigia.

 

 

Nell’ala nord della biblioteca, a quell’ora, non c’era praticamente nessuno. Vuoi perché era un luogo abbastanza tetro, essendo poco illuminato, o vuoi perché la calda e confortevole sala lettura era da tutt’altra parte, poche persone si spingevano fino a quella zona dell’edificio, per consultare qualche vecchio testo.

Ma proprio per questo Yuri la trovava invitante. Difatti quel pomeriggio, come tante altre volte, si era recato in biblioteca per studiare ed aveva scelto di rifugiarsi dove nessuno lo avrebbe potuto disturbare.

Lui, Yuri, detto anche il Marziano fin dalle elementari, mal sopportava i luoghi affollati e le ciarle studentesche, preferendo piuttosto la quiete ed il silenzio. Trovava noioso il dover per forza esprimersi a parole: era infatti, un ragazzo taciturno di origini nordiche, dai bellissimi occhi di un azzurro pallido sconfinato. E per via di questa sua indolenza al dialogo in facoltà si comportava sempre da perfetto asociale. L’unica comitiva che frequentava sin dal primo anno era quella dell’amico Ralph, suo ex compagno di liceo e attuale coinquilino. Certo, anche in quel gruppo le ciarle non mancavano grazie a Brooke, Christina ed Ether, ma perlomeno nessuno di loro lo seccava, rimproverandogli di continuo il suo essere così taciturno. Vero era che a volte ci scherzavano su, ma non lo facevano mai con cattiveria, come invece gli era capitato in passato.

Tutto sommato, con loro stava bene, anche perché non erano eccessivamente invadenti. Nessuno lo maltrattava, credendosi superiore e lo accettavano per quello che era.

Così, come altre volte, anche quel pomeriggio il biondino si avviò verso l’angusta ala nord della biblioteca e puntò dritto verso l’ultima libreria di quel settore, per cercare un volume di arte post-moderna.

Gli occhi azzurro chiaro saettarono da una scansia all’altra alla ricerca dell’oggetto interessato ed infine si posarono sull’ultimo scaffale in alto.

Troppo alto, per la sua statura.

Nonostante ciò, Yuri si protese lo stesso verso quel libro, alzandosi in punta di piedi e tendendosi tanto da sfiorarne la copertina con la punta della dita. Era inutile: non riusciva a toccarlo più di così.

E in quel medesimo istante, vide una mano sbucare da dietro la sua spalla e allungarsi, fino a prendere con facilità quel tomo color crema per lui.

Si voltò, percependo un odore familiare.

Due occhi d’un verde profondo lo scrutavano, a pochi centimetri dal suo viso. E una bocca si era appena piegata in un sorriso accattivante.

“Yuri” disse il nuovo arrivato, a mò di saluto. Poi  abbassò il braccio e gli consegnò il libro recuperato.

“… che ci fai qui?” gli chiese il ragazzo, mentre il batticuore cresceva a dismisura.

L’altro poggiò le mani contro lo scaffale dietro al biondino, ai lati della sua testa.

“Ti cercavo” rispose.

Yuri si strinse il volume al petto, agitato. Lui gli faceva sempre questo effetto.

“A-avevi bisogno di qualcosa?” deglutì, improvvisamente accaldato.

Il ragazzo dagli occhi verdi sorrise e posò lo sguardo sulle labbra dell’altro.

“In effetti, di una cosa ho bisogno” sussurrò, con voce roca e sensuale.

Lentamente, inclinò il proprio viso verso quello di Yuri e catturò le sue labbra con le proprie, rapace.

Yuri chiuse gli occhi, assaporando uno di quei baci che solo Lui sapeva caricare di così tanta passione. E d’istinto lasciò cadere il libro a terra, incurante del fatto che avrebbe potuto rovinarsi, e si aggrappò alla schiena dell’altro. Ricambiò il bacio con foga e bisogno, mugolando di tanto in tanto per via delle voluttuose carezze di cui Lui lo stava beneficiando.

Finché non si rese conto di cosa stavano facendo e soprattutto dove.

Con grande fatica, si staccò da lui, puntando i palmi delle mani contro il suo petto solido.

Come da copione, sentì su di sé lo sguardo di disappunto dell’altro e preferì non alzare il capo, per non dover incappare in quei due smeraldi che erano gli occhi del compagno.

“Potrebbe vederci qualcuno…” disse come a scusarsi e arrossì nel constatare di essersi eccitato per quelle poche carezze. Si sentiva uno stupido. Era così maledettamente stupido.

Quante volte ancora lo avrebbe amareggiato con il suo comportamento vigliacco ed insicuro?

Ma la domanda giusta era un’altra, solo che Yuri era troppo codardo persino per porsela.

Per quanto ancora pazienterai?

Una mano calda e rassicurante si posò sulla sua guancia.

“Anche se ci vedesse qualcuno, non mi importerebbe… lo sai.”

“I-io non voglio…” balbettò Yuri, pur sapendo che quelle parole avrebbero ferito l’altro.

Difatti, sentì l’altro sospirare affranto e scostarsi da lui. Lontano dal calore del suo corpo, il biondo tornò a percepire nuovamente il freddo di quella sala, in modo repentino e quasi violento.

D’istinto, ebbe l’impulso di fermarlo, per verificare che, nonostante tutto, le cose tra di loro rimanevano sempre le stesse. Che era tutto a posto. Che nulla sarebbe cambiato, ancora e ancora. Aveva bisogno di sicurezze. Aveva bisogno del suo viso sorridente.

Così lo afferrò per una manica, in un atto urgente e deciso, guardandolo finalmente negli occhi.

L’altro ragazzo si sorprese un poco, ma poi si ricordò quanto il compagno prediligesse esprimersi con i fatti, piuttosto che con le parole. Dimostrare qualcosa con un gesto può essere mille volte più semplice ed efficace di un discorso ben argomentato.

Lo fissò con sguardo neutro per qualche secondo, ma poi non poté fare a meno di addolcire la propria espressione, davanti a quella triste e bisognosa di lui. In fondo, gli piaceva anche per questo.

“Aspetterò, te l’ho già detto” gli disse, scompigliandogli affettuosamente i capelli, di un biondo così chiaro da sembrare quasi bianco, sotto la luce del sole. “Beh, ora vado…”

Un ultimo bacio a fior di labbra e l’altro si incamminò verso l’uscita dell’ala nord, mentre Yuri rimaneva a fissarlo, come impossibilitato a distogliere lo sguardo.

Quanto gli piaceva… con quelle spalle larghe e forti e quegli occhi così dolci e buoni. Era così paziente con lui. Così attento. Ed il suo odore era così buono…

“Neil!”

Il ragazzo in questione, mani in tasca, si voltò verso di lui con cipiglio curioso.

“Stasera… ehm, stasera Ralph esce e torna tardi” lo informò Yuri, esitante. In fondo, l’aveva appena respinto in malo modo ed ora aveva una bella faccia tosta a chiedergli di andare da lui.

Ma l’altro fugò tutti i suoi dubbi, sorridendogli, d’un sorriso caldo e radioso.

“Aspettami …”

 

 

 

Non appena Nathan se ne fu andato, Fay posò il gatto a terra e sospirando pesantemente, si afflosciò contro la parete del corridoio.

Non si sarebbe mai aspettata di trovare proprio lui, aprendo l’uscio di casa. Infatti, non aveva dato a vederlo (ormai era molto brava a dissimulare le emozioni), ma la cosa l’aveva sorpresa non poco.

Quando quel giorno, subito dopo pranzo, il telefono aveva suonato, aveva sperato con tutto il cuore si trattasse di qualche studente della sua facoltà che, visto il suo annuncio, la stesse cercando per le ripetizioni. Aveva bisogno di soldi, inutile negarlo. Non poteva contare su quelli della borsa di studio: quelli servivano per le spese universitarie. E lo stipendio come cameriera andava tutto per l’affitto dell’appartamento e per le bollette. Fay faceva molta fatica a mettere da parte qualcosa, anche se risparmiava moltissimo, stando ben attenta alle spese che faceva.

Proprio per quel motivo, il lavoro extra come insegnante privata le era parsa una buona soluzione per i suoi problemi economici.

La mattina aveva fissato l’annuncio in bacheca e lo stesso pomeriggio l’avevano contattata. Non poteva essere più fortunata di così.

Ma trovarsi proprio Nathan Mc Quinn fra i piedi aveva eclissato quel pizzico di buon umore.

Il ragazzo si era permesso anche di arrivare in ritardo, tanto per farsi i propri comodi, e non aveva nemmeno portato la borsa con i libri. Aveva dovuto fornirgli tutto lei. Quanto lo odiava. Così arrogante e presuntuoso… lo detestava. La sua sola vista bastava ad irritarla. Non lo poteva soffrire.

In altri casi, qualcuno avrebbe potuto collegare questo suo odio all’invidia: insomma, Nathan era figlio di genitori ricchi e chissà com’era lussuoso e moderno il suo appartamento. Mentre lei, Fay Heather, i genitori non li aveva, non navigava certo nell’oro e viveva in un quartiere dove era meglio non girare da soli dopo il tramonto.

Chiunque avrebbe pensato che la sua fosse invidia.

Eppure non era così.

Il motivo c’era, ma era un altro.

Dal suo cantuccio contro il muro, Fay sospirò ancora una volta. Avrebbe tollerato la presenza di Nathan in casa sua, solo perché gli faceva comodo guadagnare qualcosa per arrotondare il mensile. Punto. E poi, presto si sarebbe fatta nuovi clienti tra la massa studentesca di Architettura. E avrebbe ridotto le visite di lui il più possibile.

Mr. Mao miagolò per attirare l’attenzione dalla sua padrona e Fay non tardò ad accontentarlo, cominciando ad accarezzarlo affettuosamente.

“Mi spieghi perché quel tipo ti piace, eh Mr. Mao?” gli chiese lei, guardandolo negli occhi verdi come fondi di bottiglia.

In tutta risposta, il gatto dal pelo nero lucente strusciò la testolina contro il palmo della sua mano, facendo le fusa.

“Sei un ruffiano, lo sai?”

Fay prese il felino in braccio e, alzatasi, si recò in salotto.

Fu in quel momento che si accorse che la segreteria telefonica conteneva un messaggio.

Pigiò il tasto e poco dopo la voce di Alys risuonò nella stanza, prima arrabbiata, poi triste.

La mora ascoltò silenziosa e cupa il monologo della ragazza e alla fine cancellò il tutto.

Alys… e Julia… le sue migliori amiche. L’unico legame che le era ancora rimasto con la sua piccola città natale. Uno dei pochi.

Forse Nathan aveva ascoltato quella chiamata, pensò Fay, un po’ disturbata da quella eventualità. Era una persona molto riservata e detestava l’idea che qualcuno come Nathan potesse apprendere i particolari della sua vita privata.

Non che Alys avesse detto chissà cosa di così rilevante, a ben pensarci.

Sia lei che Julia la chiamavano spesso, quasi ogni giorno. Volevano sapere se stava bene. Se mangiava. Si preoccupavano per lei da quando avevano scoperto in che razza di quartiere vivesse.

Sentirsi amata da loro, la riempiva di calore nel cuore.

Alys e Julia erano due persone meravigliose, indubbiamente le amiche migliori del mondo… e lei non se le meritava affatto, poiché spesso le trascurava. A volte non rispondeva alle loro chiamate, mettendo la segreteria telefonica. Altre volte le ignorava non richiamandole, come invece loro la pregavano di fare.

Semplicemente perché quel legame, se da un lato le faceva piacere, dall’altro le pareva… soffocante. Ma, anche se i suoi sentimenti al riguardo erano contraddittori, alla fine Fay non riusciva a tranciare i rapporti con loro, perché, a discapito di tutto, Alys e Julia rappresentavano qualcosa di molto importante per lei. L’ultimo legame affettivo che le rimaneva. Una di quelle cose che riuscivano ad ancorarla saldamente alla realtà. Che le impedivano di perdersi…

Ma se da una parte quel legame era tanto intenso quanto importante, dall’altra era tagliente come la lama di un rasoio. E Fay sapeva bene che, anche volendolo mantenere, non poteva avvicinarsi troppo ad esso, o si sarebbe fatta male.

Per questo, si limitava a curarlo un poco ogni tanto, giusto per non perderlo (anche se sapeva che le sue amiche non l’avrebbero mai lasciata), ma poi faceva un passo indietro e, prese le distanze, lo fissava da lontano, accontentandosi di ciò.

Il tutto in un equilibrio assai precario. Lo stesso su cui, dopotutto, si basava la sua vita da quando aveva lasciato la sua città, per trasferirsi nella capitale a studiare Architettura.

A volte si chiedeva perché lo facesse. A cosa le sarebbe servito laurearsi?

Non riusciva a vedere se stessa all’interno di un ipotetico futuro… per lei era alieno quel termine: futuro

Eppure, sapeva che una volta l’aveva desiderato. Una volta divenire architetto era stato il suo sogno. Fay, infatti, aveva sempre amato l’arte: dipingeva per hobby dall’età di 10 anni ed il suo era un vero e proprio talento. Il suo senso artistico la portava spesso a fare bozzetti a matita di scenari o soggetti che maggiormente la impressionavano. Camminando per strada le veniva naturale analizzare l’urbanistica intorno a sé, per valutarla ed eventualmente apprezzarla o criticarla. E collezionava libri con fotografie delle opere di Escher. Ma tutto questo fervore artistico, da tempo aveva preso in lei una piega diversa, che si discostava alquanto da ciò che l’arte e affini avevano rappresentato per lei in passato. Era come se, una volta, la sua fosse stata una passione genuina, mentre ora fosse solo l’unico canale con cui Fay riusciva in qualche modo ad esprimere ciò che dentro la tormentava. Una sorta di metodo di sfogo. Un appiglio per dimenticare e insieme rivivere ricordi incisi a fuoco nella sua mente.

E così, concentrata solo su quello, non pensava ad altro. Non si interessava al futuro.

Ma dov’era rimasta la mente di Fay per non riuscire nemmeno a guardare al domani?

Questa sarebbe stata un’ottima domanda da porre. E presto anche Nathan se ne sarebbe accorto.

 

 

 

 

 

 

 

Note personali:

 

Bah... non so che dire di questo capitolo! A volte mi piace a volte no.. giudicatelo voi!

Mi farebbe piacere sapere che ne pensate dei personaggi, perchè è la prima volta che ne muovo così tanti tutti insieme^^

Piccolo avviso: tutte le mie fic sono betate da Urdi e, in particolare per questa, lei mi ha dato ispirazione per molteplici cose!

Spero commenterete in molte: ci tengo molto a questa fic!

Ed ora un pensiero ad ognuna di voi^^

 

Fenice87: certo che ti sei sprecata ç_ç e pensare che io ti lascio commenti lunghissimi, cattiva! Scrivimi un bel commento, dai su! E aggiorna presto le tue fic (o meglio, mandami presto i nuovi cap da betare *_*)

 

Urdi: non ti sarò mai abbastanza grata per tutto il sostegno che mi dai! Se non ci fossi dovrebbero inventarti! Te l'ho già detto che senza di te e senza i tuoi pareri non posterei nemmeno, vero? Grazie a te e agli spunti che mi dai, questa fic mi sta riuscendo bene^^ La coppia Neil/Yuri è in tuo onore, darling^^

 

Valentina78: ho riso un sacco quando ho letto la tua "minaccia".. comunque, grazie del sostegno. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! Non esitare a dirmi se qualche punto non mi è venuto bene, mi raccomando! Conto anche su di te ^_-

 

Mozzi84: oddio, grazie infinite per i complimenti! Il tuo commento mi ha fatto davvero felice, perchè cominciavo a credere che la storia non piacesse a tanti.. ma un commento in più mi ha dato una enorme gioia! Cosa ne pensi di questo capitolo, Mozzi?

 

Ciao!!

 

 

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Capitolo 3
*** Sgradite sorprese ***


Sopravvissuto alla prima ripetizione, Nathan decise di armarsi di pazienza e di continuare a frequentare casa Heather. Aveva constatato che le spiegazioni di Fay, essendo molto semplici e concise, riuscivano a rimanere bene impresse nella sua mente. La ragazza, oltre a fargli delle lezioni di ripasso su tutti gli argomenti principali della teoria, gli proponeva tutte le volte degli esercizi pratici, in cui lui si cimentava da solo a casa propria.

Statica e Meccanica delle Strutture era sempre stata una materia odiosa per la maggior parte degli studenti: era molto impegnativa e, inoltre, il professore la spiegava in modo incomprensibile. Per questo lui non stava mai attento a lezione: a cosa gli sarebbe servito, se tanto non avrebbe capito nulla ugualmente?

Però da quando ascoltava Fay, quella materia non gli sembrava più tanto ostica. Anzi: Nathan, ora che riusciva a svolgere senza troppa fatica gli esercizi, provava una grande soddisfazione anche nei confronti di se stesso.

Si stava impegnando molto per recuperare e i suoi sforzi avrebbero dato i lori frutti: ormai l’esame era vicino.

Erano passati circa una quindicina di giorni dalla prima volta che aveva messo piede in quel quartiere putrescente. Aveva preso l’abitudine di andare da Fay solo due volte a settimana, perché le sue ripetizioni, anche se prodigiose, erano molto costose.

Però alla fine erano soldi spesi bene, si trovò a riflettere Nathan, mentre si stava recando proprio da lei.

Nonostante avesse passato in sua compagnia non più di quattro pomeriggi, non era ancora riuscito a sciogliere il ghiaccio tra loro. Non che la cosa gli importasse più di tanto, intendiamoci: lui era sempre stato così pieno di sé da non avere occhi che per se stesso, salvo qualche caso eccezionale.

Però Fay rimaneva costantemente sulle sue: era cordiale, ma in modo distaccato, e non diceva mai un parola di troppo. Si limitava a parlare quando doveva spiegargli qualcosa, ma non avevano mai fatto una conversazione che vertesse su qualcos’altro.

Ed era proprio questa totale mancanza di interesse da parte di lei che lo infastidiva: non era abituato a non essere considerato dagli altri, né tanto meno a rivolgersi a qualcuno per primo. Di solito erano le persone a cercare lui, non viceversa.

Quindi Nathan, di fronte a Fay, si trovava spesso combattuto tra il desiderio di farle qualche domanda ed uno spiccato sentimento di orgoglio, che gli impediva di cominciare per primo un discorso.

Quando si rendeva conto di pensare queste cose, si arrabbiava con se stesso e si dava dello stupido: in fondo, che vantaggio avrebbe avuto a parlare con una come lei? Avrebbe ottenuto soltanto un accenno di gastrite, probabilmente. Già, gli sarebbe venuta per il nervoso.

Però la tentazione di sapere qualcosa in più era troppo forte. Insomma, Fay era oltremodo enigmatica come persona. Osservando il suo appartamento, Nathan non aveva raccolto nessuna informazione. Non sapeva nulla di lei, eccetto che era scorbutica, strana e frequentava il suo stesso corso. Ah, sì: conosceva il luogo dove viveva (ma di questo ne avrebbe fatto volentieri a meno) e aveva incontrato il suo gatto, una palla di pelo nero molto simpatica, che lo accoglieva sempre con grandi fusa.

Se qualcuno lo avesse visto interrogarsi ostinatamente su Fay Heather, gli avrebbe dato del maniaco. Ma Nathan non era un maniaco: solo simpatizzava per la filosofia “conosci bene il tuo nemico”.

Così, decise che quel giorno avrebbe conosciuto bene il suo nemico.

 

 

Fay quel pomeriggio lavorava ad un prospetto per Progettazione sul suo laptop. Per comprarselo, il primo anno aveva dovuto risparmiare parecchio e tagliare tutte le spese superflue, ma alla fine aveva racimolato abbastanza soldi per potersi permettere un buon modello di portatile.

Tra poco sarebbe arrivato Nathan, per la solita ripetizione, e doveva sbrigarsi a finire il compito, perché poi quella sera avrebbe lavorato e non ci sarebbe stato il tempo nemmeno per qualche ritocco.

D’un tratto bussarono alla porta, frettolosamente.

Fay, che era concentrata in ciò che stava facendo, sobbalzò sulla sedia. Anche Mr. Mao, che poco prima dormiva acciambellato sul divano, ora era sceso a terra con un balzo e guardava fisso l’uscio di casa.

Bussarono di nuovo e con molta prepotenza.

Fay capì subito che non poteva trattarsi del compagno di corso: assurdo pensare che fosse in anticipo e, inoltre, nonostante la loro antipatia reciproca, lui non era un ragazzo maleducato. Non avrebbe colpito il portone con tanta violenza.

Quando aprì la porta, si ritrovò davanti un ragazzo alto, capelli neri sparati in aria (modello porcospino, per intenderci), occhi truccati di nero e sorriso sghembo. Portava dei jeans tutti strappati, tenuti su da una cintura borchiata. Il torso era ben evidenziato da una t-shirt epidermica e in mano teneva un guinzaglio al cui capo stava un enorme dobberman. Questi, non appena fiutò l’odore del gatto di lei, cominciò ad abbaiare e a dimenarsi per entrare dentro l’appartamento, solo che il suo padrone lo trattenne. E per fortuna!

“Cosa vuoi?” chiese subito Fay, senza perdere tempo. In realtà aveva già una vaga idea di cosa volesse il suo dirimpettaio.

“Sai, passavo di qui per portare il cane a spasso e ho pensato di fare una capatina dalla mia vicina” disse lui, in finto tono amichevole.

Fay, più bassa del giovane di due spanne e mezzo, lo guardò in cagnesco.

“Non li ho i tuoi maledetti soldi, ok?!” sbottò. Poi fece per sbattergli la porta in faccia, ma quello mise un piede tra l’uscio e il muro bloccandola.

Tenendo sempre con una mano il guinzaglio del cane, con l’altra prese un polso di Fay, portandole il braccio dietro la schiena. Lei trattenne a stento un gemito di dolore.

“Non si scherza con il fuoco, ragazzina!” le sibilò a pochi centimetri dal volto. Il suo alito caldo puzzava di alcol. “Io ti do quello che vuoi, ma mi devi pagare. Salda il debito o non avrai altra roba” la minacciò, fissando gli occhi blu da pazzo schizofrenico in quelli neri di lei.

La presa sul polso faceva malissimo, ma Fay resisteva stoicamente, trattenendo le lacrime.

“Sei uno sporco ricattatore… così ti giochi un cliente.” ribatté, guardandolo con astio.

Quello sghignazzò, divertito.

“Volendo, puoi sempre pagarmi in natura.. sarebbe un pagamento bene accetto, lo sai” le propose, prima di scendere a leccarle il collo, lasciandole una scia umida sulla pelle.

Sentendo la sua lingua su di sé, Fay si divincolò all’istante, impaurita. “Smettila subito, schifoso animale! Ti darò i tuoi fottuti soldi la prossima settimana!” gridò, con voce acuta.

L'altro la lasciò andare, tornando serio.

“Sarà meglio per te.”

“La prossima settimana mi pagano” lo informò Fay, per dar credito alle proprie parole.

In realtà avrebbe potuto dargli il denaro dovuto anche in quel momento: la sua non era una situazione economica semplice, ma non era così povera. Senza contare che faceva due lavori per mantenersi. Tuttavia in quel quartiere, e soprattutto con Zed come vicino, era meglio non farsi notare troppo e fingersi dei poveracci, se non si volevano avere delle sgradite sorprese.

Fay alzò gli occhi sul ragazzo in questione e si accorse che la fissava come un lupo fissa una debole pecorella. Famelico e cattivo.

Rabbrividì dentro di sé, stringendo i pugni.

E ora perché la guardava così? Cosa voleva ancora?

Fortunatamente non ebbe l’occasione di scoprirlo, perché in quel momento, come per volere del destino, udirono dei passi provenire dalla tromba delle scale, segno che qualcuno stava arrivando. E poco dopo in corridoio comparve Nathan, perfettamente vestito di tutto punto, con il solito giubbotto di pelle e i Rayban.

La ragazza all’inizio fu felice di vederlo: non avrebbe voluto passare da sola un secondo di più con quello sciroccato e il suo cane. Ma poi una sensazione di timore la invase, insieme a tanti brutti pensieri: e se Zed avesse fatto qualcosa a Nathan, che non c’entrava nulla con quella faccenda? E se avesse detto qualche battuta inopportuna su di lei proprio in quel momento?

Dal canto suo, il giovane Mc Quinn, salite le scale fino al secondo piano, si stupì nel trovare Fay fuori di casa, soprattutto perché davanti a lei stava un tizio stranissimo, pieno di piercing nei lobi delle orecchie e con un irrequieto dobberman accanto. Avvicinandosi, vide anche che aveva gli occhi truccati di nero.

Che amici strani aveva Morticia, fu il suo primo pensiero.

Con disappunto vide Fay guardare nella sua direzione come se qualcosa di orribile e viscido fosse appena uscito da una fogna, mentre lo sconosciuto si limitava a sorridergli con strafottenza.

Nathan si avvicinò guardingo alla ragazza, con la sensazione crescente di avere interrotto qualcosa e di essersi trovato nel luogo giusto, ma al momento sbagliato.

Non fece in tempo a salutare, che lei lo agguantò per un braccio, spingendolo in malo modo dentro casa.

“Aspettami in salotto e non toccare niente” si raccomandò in fretta, prima di socchiudersi l’uscio alle spalle.

Nathan fissò la porta con tanto d’occhi. Che aveva adesso quella pazza?

Senza protestare, però, percorse il corridoio lungo e stretto, passando sempre davanti alle solite stanze chiuse. Probabilmente la camera da letto e il bagno.

Mentre poggiava la borsa dei libri sul divano, si rese conto che, anche da lì, riusciva a sentire la conversazione dei due. E allora perché non ascoltare?

“Ti sei fatta il ragazzo, Fay?”

“Assolutamente no.”

La Heather sembrava nervosa.

“Sembra un figlio di papà… magari potresti chiederli a lui, i soldi.”

Soldi?

“Non ci pensare nemmeno! Lascialo stare!”

“Su, non ti scaldare, ragazzina… l’hai nascosto dentro casa come se io fossi un appestato.”

“Non lo sei, forse?”

“Attenta… ti ho già detto di non scherzare con il fuoco.”

“Vattene! Non mi fai paura! La prossima settimana salderò il conto.”

“Sarà meglio che tu lo faccia… se no chiederò direttamente al tuo amichetto.”

Ma che voleva quel tizio? Perché lo metteva in mezzo? Nathan fu tentato di uscire in corridoio e chiarire che lui ben poco c’entrava con Fay.

“Ti ho dato la mia parola, idiota! Se ti avvicini a lui e gli fai qualcosa, ti manderà contro tanti di quegli avvocati che neanche ti immagini.”

Era strano sentire la Heather difenderlo, pensò distrattamente.

“Cos’è? Una minaccia? Sai, il mio cucciolotto non vede l’ora di giocare un po’ con quella palla di pelo del tuo gatto…”

 “Fanculo!” e così dicendo, la ragazza sbatté la porta in faccia al tizio.

Una risata eruppe al di là della soglia e andò perdendosi lungo le scale del condominio.

Fay espirò profondamente. Doveva stare calma.

Tuttavia, quando si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con Nathan, sussultò per lo spavento.

“Chi era quel tale?” le chiese subito lui.

La mora alzò gli occhi neri al cielo e lo sorpassò senza degnarlo di una risposta.

“Heather, hai degli strani amici.”

“Non è un mio amico. È solo il mio vicino. Abita nell’appartamento a fianco… Mr. Mao, vieni fuori!” chiamò, facendo poi schioccare la lingua in bocca più volte, per richiamare l’animale.

Il gatto sbucò dall’angolo cucina, ancora agitato per via del cane.

“Ho sentito quello che ti ha detto.”

Fay, dando le spalle al ragazzo, si inginocchiò e prese il felino tra le braccia, per tranquillizzarlo.

“Non lo sai che è da maleducati origliare, Mc Quinn?”

Nathan fece una smorfia con la bocca. Quel giorno era deciso a scoprire qualcosa in più su di lei e non poteva lasciarsi sfuggire quell’occasione.

“Cos’hai fatto al braccio?” le chiese, notando che il suo polso era d’un rosso quasi violaceo.

“Nulla che ti riguardi” rispose fredda Fay, lasciando il gatto su una sedia e rimettendosi al computer, per salvare i dati del suo lavoro.

“È stato quel tizio, vero?”

“Pensi di assillarmi tutto il pomeriggio con le tue domande oppure cominciamo la lezione?”

“Guarda che ho sentito tutto! Comprese le minacce rivolte a me. Quindi non puoi dire che non sono anche affari miei.”

Fay finalmente lo guardò negli occhi. Sembrava ancora più pallida del solito. Evidentemente l’incontro con il tipo del pianerottolo doveva averla spaventata molto più di quello che lei lasciava intendere.

“Senti…” cominciò a dire, dopo un lungo sospiro “.. per il tuo bene, se vedi Zed in giro, quando vieni qui, tira dritto e non parlare con lui. Mi hai capito, Mc Quinn?”

“No che non ho capito! Perché dovrei avere paura di quel tizio? E poi, che razza di nome è Zed?” sbraitò quello, gesticolando.

“Si fa chiamare così … comunque, non è questo il punto. Fai come ti dico. Per oggi abbiamo parlato anche troppo di cose inutili… cominciamo la lezione” disse stancamente, massaggiandosi una tempia.

Che stesse poco bene?

Stizzito, Nathan agguantò i proprio libri e il quaderno con gli esercizi.

Aveva come il sospetto che, quel pomeriggio, non sarebbe riuscito ad ascoltare una parola della spiegazione.

 

 

Quando la lezione terminò, i due si salutarono come se niente fosse accaduto. O meglio, Fay faceva finta di nulla, mentre Nathan le lanciava di continuo lunghe occhiate indagatrici, come se, guardandola, prima o poi avrebbe potuto carpire i suoi segreti.

Dopo la telefonata strana che aveva ascoltato la prima volta che aveva messo piede in quella casa, non era accaduto più nulla di insolito, fino a quel pomeriggio, in cui aveva fatto la “conoscenza” di Zed.

Da quello che aveva potuto capire, Fay gli doveva dei soldi e lui l’aveva minacciata. Sembrava un tipo abbastanza pericoloso e forse avrebbe potuto davvero spingersi fino a farle del male. Ma che gli importava? Non erano fatti suoi, anche se sarebbe stato poco cavalleresco da parte sua lasciare una ragazza indifesa nei guai.

Se soltanto avesse potuto parlarne con Neil, forse lui gli avrebbe consigliato qual era la cosa migliore da fare. Ma l’amico non sapeva che si vedeva con Morticia, per le ripetizioni. Non l’aveva detto con nessuno, perché si vergognava di lei. Ed ora pagava le conseguenze per quella piccola bugia.

Riflettendo su ciò, arrivò in fondo alle scale ed uscì dal condominio, ancora soprappensiero.

Fu solamente quando le fu abbastanza vicino che si accorse delle gomme bucate della sua Mercedes.

Gli venne un colpo.

Subito fece il giro completo dell’auto, per controllare che non vi fossero altri danni. Alla fine constatò che, ruote a parte, la macchina sembrava intatta.

Scioccato, estrasse velocemente il cellulare dalla borsa a tracolla e chiamò l’officina a cui si rivolgeva di solito. Quello scherzo gli sarebbe costato un occhio della testa. Ma se beccava lo stronzo che glielo aveva giocato, l’avrebbe sistemato lui a suon di pugni…

Fu quel momento che venne l’illuminazione: era stato quel tizio! Come si chiamava?? Zed!

Travolto da un’ondata di collera che gli fece ribollire all’istante il sangue nelle vene, Nathan corse di nuovo dentro la vecchia palazzina e si recò al secondo piano, da Fay.

“Hai dimenticato qualcosa?” gli chiese lei, in tono sorpreso, quando se lo trovò davanti al portone di casa.

“Il tuo amico mi ha bucato tutte e quattro le ruote!” gridò incollerito, come se la colpa ricadesse sulla ragazza.

Sgranando gli occhi, il volto di lei, a quella notizia, divenne ancora più smunto.

Sussurrò delle scuse, invitandolo ad entrare.

Sembrava veramente dispiaciuta per l’episodio. E anche atterrita: forse non si aspettava che quel Zed potesse davvero mettere in atto le sue minacce.

In tacito accordo, entrambi andarono alla finestra del salotto, per controllare la Mercedes dall’alto.

“E adesso?” chiese lei, dopo un po’ che stavano in silenzio.

“Ho chiamato qualcuno che la venga a prendere” rispose lui, voltandosi a guardarla. Era pallidissima e il fatto che, come al solito, vestiva di scuro metteva ancora più in evidenza la cosa.

La vide massaggiarsi il polso leso e solo allora si accorse di come fosse rosso e gonfio.

“Dovevi metterci il ghiaccio, stupida” sbottò.

Poi, senza che nessuno glielo avesse chiesto e prima che lei potesse protestare, si avvicinò al frigorifero. Aprì lo scomparto freezer e lì trovò del ghiaccio.

Fay lo osservò in silenzio, mentre avvolgeva alcuni cubetti all’interno di un canovaccio.

Nathan le si avvicinò di nuovo, le prese il polso con delicatezza e vi poggiò sopra l’impacco gelido.

Probabilmente lui stesso, per primo, si stupì del suo gesto gentile, poiché lasciò subito che fosse la ragazza a reggere l’involucro contenente il ghiaccio, allontanandosi per andare a buttarsi sul divano. Poggiò la testa contro lo schienale, sprofondando la testa tra i cuscini.

“Posso rimanere?”

Fay tacque e lui capì che poteva restare. Si guardò attorno, in cerca del telecomando. Ma non lo trovò né vi era una televisione. Peccato, avrebbe potuto ingannare l’attesa del carro attrezzi.

“Niente tv?” chiese alla padrona di casa, tanto per fare conversazione.

“Non avrei tempo per guardarla.”

“E cosa fai nel tempo libero? Non ti annoi?” chiese, scrutandola. Il suo sguardo, quando si soffermava curioso su qualcosa, aveva un’intensità pari solo a quella dell’azzurro delle sue iridi.

Fay lo raggiunse sul divano, sedendosi compostamente, a differenza di lui.

“Mi dispiace” disse, dopo un po’.

Nathan sbuffò.

“Non è colpa tua…”

Poi alzò lo sguardo sulla libreria accostata alla semi-parete che divideva l’angolo cucina della sala. Sugli scaffali c’erano molti libri di architettura e di arte.

Così si alzò e andò ad osservarli più da vicino, aprendone qualcuno di tanto in tanto. Non aveva nulla da fare, finché non arrivava il tipo dell’officina che aveva chiamato.

“L’architettura ti piace molto” commentò, sfogliando pigramente un libro sul Futurismo.

“Mi ha sempre affascinato…” rispose lei, alzandosi e sedendosi di nuovo di fronte al portatile. Doveva terminare ancora il suo lavoro, così lasciò perdere l’impacco freddo, anche se il polso ancora le doleva.

Nathan abbandonò il libro e, curioso, si avvicinò allo schermo. In quel momento Fay sembrava particolarmente disponibile al dialogo, complice forse il suo senso di colpa.

“Mi pare un bel prospetto.”

“Grazie.”

“Non ci lavori con qualcuno?” Effettivamente, ora che ci pensava, chissà chi era il suo compagno di Progettazione?! Non l’aveva mai vista insieme a qualcuno in facoltà.

“No. Preferisco agire per conto mio” rispose semplicemente lei, mentre faceva gli ultimi ritocchi.

Passarono ancora venti minuti, ma nessun carro attrezzi si era ancora profilato all’orizzonte.

“Io dovrei uscire” lo avvisò d’un tratto la ragazza, spegnendo il computer.

Nathan annuì, andando a recuperare il proprio giubbotto e le sue cose.

“Dove abiti?”

La domanda giunse alquanto inaspettata. Lei che si interessava a lui? Si sentiva davvero così in colpa? Oppure voleva venire a rubargli in casa? Dopotutto, aveva pur sempre bisogno di soldi, o almeno così aveva udito prima.

“In centro, vicino al parco” le disse, curioso di sapere dove lei volesse andare a parare.

“Se vuoi un passaggio, ti posso lasciare in quella zona, così non devi aspettare in strada” gli propose cordialmente.

Nathan la guardò come se fosse un aborto della natura.

“Perché sei così gentile adesso?”

“Ma… come ti permetti? Io lo sono sempre!”

“Le prime volte che ti ho parlato eri talmente acida che per poco non mi scioglievo.”

“Lo vuoi questo passaggio o no?!” ringhiò quella.

“Ecco, così ti riconosco.”

Spazientita, Fay prese la borsa e le chiavi, raggiungendo poi la porta d’ingresso. Salutò con una carezza il gatto e attese che Nathan la raggiungesse.

Insieme scesero le scale e raggiunsero il retro del palazzo, dove stava un garage sotterraneo.

“Quello sarebbe il tuo bolide?” la schernì lui, osservando divertito un motorino alquanto dimesso e dall’aria vissuta. Fay si crucciò un po’: quello era stato l’ultimo regalo di sua nonna e lo possedeva dai tempi del liceo. Tempo fa il padre di Alys, che dirigeva una ditta di traslochi, glielo aveva gentilmente trasportato fino alla lontana capitale dove lei studiava.

“Puoi sempre aspettare il famoso auto carro” gli propose lei candidamente, mentre gli allungava un casco e metteva la borsa nel sottosella.

“E tu?”

“Ne ho solo uno.”

“Allora non darlo a me, stupida!”

“Volevo essere cortese.”

“Ti ripeto che la cosa mi inquieta.”

“Vaffanculo, Mc Quinn”

“Che ragazza fine! Ehi, cosa vuoi fare? Non penserai che io stia dietro, eh?”

“Il motorino è mio e mi sembra ovvio che sia io a guidare.”

Ma Nathan nemmeno la calcolò. Mentre lei apriva il lucchetto della catena, lui si impadronì del mezzo, rubandole poi le chiavi dalle mani.

“Ehi!!”

“Monta e taci.”

“Non sai la strada.”

“La conosco meglio di te.”

“Posso sapere perché dovrei fidarmi?”

“Perché l’alternativa è rimanere qui finché non ti decidi a salire.”

Con il viso corrucciato, Fay salì nel posto del passeggero, allacciando le braccia attorno alla vita di lui e sbuffando come un moka di caffè sul fornello.

E così partirono, uscendo dal garage e trovandosi subito in strada. Mentre percorrevano le vie di quell’orribile quartiere, diretti verso il centro della città, Nathan sorrise, pensando all’assurdità della situazione.

Certo che il destino sapeva davvero sorprendere. Due settimane prima non si sarebbe mai sognato di rivolgere la parola a Fay Heather, mentre ora ce l’aveva appiccicata contro la schiena. La spiò dallo specchietto e la vide poggiare la guancia contro la proprio spalla. Aveva lo sguardo basso e sembrava persa nei suoi pensieri. La folta chioma corvina danzava dietro di lei, come una lingua di fuoco nero.

Forse non era bella nel senso comune del termine, ma era quantomeno affascinate come persona. Sembrava in gamba, perché viveva da sola in un postaccio dove lui non avrebbe mai messo piede per tutto l’oro del mondo. Sapeva arrangiarsi e questo un po’ gli ricordava Neil. Inoltre aveva appurato che non erano assolutamente vere le voci di corridoio che la dipingevano come l’amante di qualche professore influente della facoltà. Fay era molto intelligente. L’aveva capito subito. E comunque sembrava abbastanza ostinata e orgogliosa da non abbassarsi a tanto solo per qualche buon voto.

Di certo non aveva un carattere semplice, era strana e amava isolarsi, però sembrava una brava ragazza a dispetto di quello che si diceva in giro.

Quanto si sbagliava…

 

 

Una volta giunto a casa- si era fatto lasciare a qualche isolato di distanza, tanto per essere sicuro di non incontrare nessun conoscente- vide Neil sbucare dalla sua stanza per salutarlo. Sopra i vestiti indossava un grembiule macchiato di inchiostro e aveva un pennellino infilato dietro l’orecchio.

Nathan lo guardò male.

“Ma come sei conciato?”

“Stavo finendo dei rilievi… ah, ti ha chiamato Ralph” lo avvisò lui, prima di dimenticarsi della cosa.

 “Oh… cosa voleva?”

“Chiedeva se andavi fuori a cena con lui e le ragazze, questa sera.”

“Oh…”

Neil inarcò un sopracciglio.

“Qualcosa non va? I tuoi oh esclamativi mi preoccupano” scherzò, notando il viso smorto e stanco. Ottenne un grugnito in risposta, mentre Nathan afferrava il cordless e digitava in pochi attimi il numero di Ralph.

“Ciao, sono io… sì, me l’ha appena detto… no, non mi va di uscire stasera… e chi se ne frega se c’è Brooke… … uffa, sei un rompipalle… e va bene! Ma passami a prendere tu: non ho la macchina. Ciao.”

Nei pochi secondi della telefonata, Neil era rimasto a guardarlo, basito.

“Mi dici che hai?”

Due liquidi occhi azzurro cielo lo guardarono di sbieco.

“Mi hanno bucato le ruote dell’auto… e naturalmente la cosa mi irrita alquanto, anche perché chissà quanto mi costerà… mio padre è già abbastanza incazzato per la storia del test” commentò il moro amaramente, prima di tuffarsi nel divano, come a voler scomparire tra i suoi cuscini.

“Cosa?! E dove?” trillò l’altro, che l’aveva seguito in salotto “Sai chi è stato?”

“Ho una mezza idea di chi sia stato, ma non ho le prove… è successo vicino alla zona industriale” spiegò, facendo il vago. Non poteva dirgli che era da Fay!

“La zona indu.. ma che ci facevi là? Credevo fossi in compagnia di una ragazza…”

E in effetti c’ero, si ritrovò subito a pensare Nathan.

“Guardavo…” gli occhi gli caddero su una rivista di motori da pista, poggiata sul tavolino basso della sala “…una rivendita di articoli per moto.”

Questa volta Neil lo guardò come se fosse davvero un povero cerebroleso.

“Tu non hai una moto.” commentò, scandendo bene le parole.

“Appunto. Pensavo di comprarla. Nel frattempo mi tengo aggiornato sugli accessori all’ultimo grido.”

Si era palesemente arrampicato sugli specchi.

“Mah, sarà meglio che non perdi tempo e pensi allo studio.”

“Signorsì.”

“Fai poco lo spiritoso. Quindi è tutto a posto?”

“Tutto normale.”

O almeno credo, rifletté un istante dopo, ripensando al vicino di Fay e alla propria, povera, Mercedes.

 

 

Quando Ralph lo passò a prendere in macchina, con lui c’erano già le ragazze, sedute nel sedile posteriore. Naturalmente facevano un gran chiasso, tant’è che tenere la radio accesa dopo poco diventò inutile.

“Nath, sai dove andiamo?” chiese ridendo Christina. Dal tono si presumeva che lei lo sapesse già.

Che aveva da ridere?

“Ma dai, Chri, non rovinargli la sorpresa!” fece Ethel, ridendo anche lei.

“Quale sorpresa?” chiese loro, punto nell’interesse.

La bellissima Brooke, meravigliosa nel suo mini-abito firmato Valentino, si chinò verso il sedile del passeggero, posando una mano sulla spalla di Nathan. Lui si girò, trovandosi davanti un paio di occhi sfavillanti di malizia. Il profumo Chanel di lei gli invase le narici, ricordandogli che era da più di una settimana che non faceva sesso con qualcuna.

“Penso proprio che stasera ci faremo un sacco di risate, Nathan” commentò la bionda, sorridendogli con quel suo fare ammiccante.

E lui si ritrovò a sbirciare la sua scollatura: in fondo, non poteva certo negare la sua bellezza e il suo fascino: Brooke era la tipica girl modello Barbie, ultraperfetta in ogni più piccolo dettaglio, chioma dorata e occhioni azzurri, in più ricca e intelligente… peccato tendesse ad essere sempre così superficiale. Sua madre, invece, non era dello stesso parere: alle cene di ricevimento, dove erano invitati gli imprenditori maggiori dell’ambiente locale (ivi compresa la famiglia di Brooke), la additava sempre come “assolutamente perfetta per il suo cocchino”. Ma per i gusti del giovane, lei era troppo petulante e appiccicosa ed era essenzialmente per questo che il rampollo dei Mc Quinn la escludeva a priori dalla sua lista di possibili “incontri notturni”: dopo averci passato la notte insieme, l’avrebbe perseguitato e lui voleva essere libero.

“Cos’ha di tanto particolare questo ristorante?” chiese Nathan, tornando a guardare fuori dal finestrino e dando le spalle alla bionda.

Brooke si crucciò per essere stata di nuovo, palesemente, ignorata. E che cavolo! Quella sera, come sempre del resto, aveva curato alla perfezione ogni particolare del suo look, dallo smalto delle unghie dei piedi a due microscopiche ciglia che guastavano il perfetto disegno arcuato delle sue sopracciglia.

Eppure Nathan non la notava. Non la apprezzava.

Cosa aveva sbagliato di nuovo? Troppo profumo?

“Non è tanto il ristorante in sé ad essere particolare, ma … presto lo vedrai!” sghignazzò Ralph, mentre fissava la strada davanti a sé.

Pochi minuti dopo arrivarono in una piazzola del centro, poco lontano rispetto alla casa di Nathan.

Il posto in questione non era proprio un ristorante, ma una di quelle tavole calde a buon prezzo, dove si servono cibi semplici e dove l’arredamento ricorda una vecchia osteria.

Si chiamava la “Taverna del Boccale d’Oro” e l’insegna fuori mostrava la caricatura di un uomo grassoccio e con i baffi neri, che innalzava gioioso un boccale colmo di birra schiumante.

“Ma che posto è?” chiese Christina, schifata.

“Una specie di birreria. Però servono anche da mangiare” precisò Ralph, che, come Nathan poté capire in seguito, aveva scoperto per primo l’esistenza di quel posto e della “sorpresa”.

Non appena valicarono la soglia, un odore di malto fermentato e carne ai ferri penetrò rapido nelle loro narici, risvegliando l’appetito.

Si guardarono attorno per trovare un tavolo libero e ne scovarono uno nell’ angolino in fondo alla sala.

Alla fin fine, il posto non era male: l’atmosfera era calda e accogliente, la luce soffusa e vi era un buon odore: merito di un camino dalla bocca enorme, dove una signora cicciotta cuoceva in quel momento delle braciole che aveva speziato a dovere.

Le pareti erano rivestite di legno e ricoperte dalle targhe delle birre di tutto il mondo o quasi. C’erano poi specchi, appendiabiti e anche una testa imbalsamata di orso bruno (cosa che inorridì le ragazze).

La donna grassoccia faceva avanti e indietro dalla cucina, mentre un uomo, uguale all’immagine dell’insegna, stava seduto dietro la cassa e li guardava, incuriosito.

Il Sig. Lästermaul, dopotutto, non aveva mai visto entrare nella sua taverna ragazze con tacchi così alti e minigonne così corte, truccate come top model e profumate come Air-weak, né tanto meno ragazzi tutti impomatati con giacche e camicie firmate.

Da lui venivano persone più… come dire, comuni. Gente che amava la sua birra fatta in casa e che la accompagnava volentieri con un po’ di carne ai ferri. Gente non elegante, è vero, ma nemmeno straccioni. Gente normale insomma.

Forse quei ragazzi erano turisti, pensò il vecchio Lästermaul.

Si alzò, ancheggiando, data la sua mole, e si avvicinò al tavolo di legno massiccio, dove loro sedevano così elegantemente composti.

“Benfenuti, signori. Kosa fi porto da bere?” chiese, con il suo accento tipicamente tedesco.

Brooke e gli altri sembravano guardarsi attorno, come nella speranza di vedere entrare chissà chi, così Nathan ordinò per primo e scelse una birra doppio malto, subito imitato da Ralph.

Le ragazze chiesero del vino, ma Herr Lästermaul quasi rimase scandalizzato.

Lo capirono da come disse subito dopo “ma kvesta è una birreriah!”.

L’oste lasciò le ordinazioni a metà, abbandonandoli con un menù e borbottando qualcosa come “la ragaza arrifa” o “ferrà presto la ragaza”.

Nathan sbuffò, indolente. Sperava di mangiare subito e di sbrigare la serata il prima possibile. Non si sentiva di compagnia quella sera e voleva solo starsene per conto suo. Perché si era fatto convincere? E poi, dov’era la tanto fantomatica sorpresa?

Lui non ci trovava nulla di speciale in quel posto, a parte che era diverso da quelli che frequentavano loro di solito.

Arraffò il menù, studiando attentamente cosa offriva la cucina tedesca.

E di nuovo il destino volle ricordargli quanto poteva essere beffardo.

“I signori sono pronti per ordinare?” chiese una voce a lui ben nota.

Non può essere, pensò inorridito.

E invece lo era.

Come alzò gli occhi dalla carta, incontrò una vita cinta da jeans scuri e da un grembiule rosso; risalì lentamente con lo sguardo, annotando la maglia nera senza maniche e degli scaldamuscoli, sempre neri, in entrambe la braccia, mentre due mani all’altezza del petto reggevano un blocchetto per le ordinazioni e una penna.

Risalì ancora con la sguardo, mentre una goccia di sudore si stava formando su una tempia.

Un collo bianco e sottile.

Mento a punta.

Pelle lattea.

Una coda di cavallo e due occhi neri direttamente posati nei suoi.

E mentre Nathan diventava sempre più bianco, la parola sorpresa prese a rimbombare nella sua testa come un’eco.

 

 

 

 

 

 

 

Note personali:

Caspita, quanti commenti ho ricevuto questa volta! Ne sono molto lusingata *_*

Come avrete notato, le cose si stanno muovendo ed ho inserito un nuovo personaggio, giusto per avere il "cattivo" della situazione.

Sono colpita nel vedere che alcuni sono rimasti un pò sorpresi dalla coppietta yaoi che ho inserito^^ In fondo, la fic vuole rispecchiare il più possibile realtà giovanili e spaccati di vita quotidiana. Vero è che io tendo a rendere i personaggi molto caricaturali, ma è il mio modo per dipingerli e dare loro un colore definito.

Spero che la storia non vi stia annoiando e un grazie speciale va come sempre alla mia beta Urdi!!! Chi lo sapeva che "eco" fosse un nome femminile? XD

 

 

Urdi: non sarà farina del tuo sacco, ma stai contribuendo davvero molto alla realizzazione della fic! E non solo come mia beta ufficiale! Per quanto riguarda gli spoiler, lo sai che me li puoi chiedere in privato^^ Anche perchè così posso avere il tuo parere, per me preziosissimo! Detto ciò, ci sentiamo presto come al solito e grazie ancora per i bellissimi commenti che mi lasci ç_ç

Fenice87: proprio tu che sei amante e autrice delle yaoi ti sciocchi per una coppia normalissima??!! Eddai, e poi sono carini assieme.. spero di riuscire a renderli bene!

Valentina78: che commento lunghissimo ç_ç mi hai commossa! Ti ringrazio tanto per avermi detto cosa ne pensi dei personaggi principali. Devo dire che il tuo punto di vista mi è servito per capire meglio come i lettori interpretano il carettare dei miei protagonisti e, credimi, è davvero una cosa importante! Per quanto riguarda le amiche di Fay, loro recitano un ruolo marginale, tant'è che compariranno in carne ed ossa solo alla fine della fic; quindi per loro non era ncessario tracciare un profilo, non ti preoccupare! Sono contenta che ti piaccia Neil! Piace molto anche alla mia beta XD chissà perchè! Io pensavo di averlo reso un pò piatto come pg.. mah! Cosa ne pensi della parte finale del capitolo? Mi sembra un pò insipida..

S chan: grazie per i complimenti, collega^^ Sono molto contenta che ti piaccia il mio modo di scrivere e il pg di Fay! Tra l'altro, ho letto una tua storia che mi è piaciuta tanto tanto e spero che aggiornerai presto! Spero di non esserti sembrata troppo spocchiosa quando ti ho dato qualche spunto su come proseguire^^ Anche tu, mi raccomando, se hai dei suggerimenti, non esitare a darmeli! E vedrai: anche se non ti piacciono le yaoi, saprò farti piacere la mia coppietta ;-) Ma in ogni caso, tranquilla: i pg principali sono altri! Ho solo voluto creare una trama più fitta^^

Mozzi84: grazie mille per la recensione scorsa ç_ç anche per avere citato la mia beta: pochi lo fanno,  ma se non ci fosse lei, io dubito andrei avanti per conto mio! Come hai visto, ho cominciato a fare avvicinare Fay e Nathan e spero di averlo fatto in modo non troppo forzoso. Sono molto curiosa della tua teoria sul perchè Fay detesti Nathan: ti prego, dimmela *_* Mi piace che i miei lettori mi espongano le loro idee in merito! Anche tu, come altre, non ami le yaoi: cercherò di non essere volgare nel raccontare di Neil e Yuri e ne farò, anzi, una coppia romantica^^ Inoltre, devi pensare che sono pg di secondaria importanza e che la storia verte principalmente su Fay e Nath! Detto ciò, aspetto con impazienza la tua recensione^^

 

 

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