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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Approccio inusuale ***
Capitolo 2: *** Yoda e i piccoli ***
Capitolo 3: *** Quattro chiacchiere ***
Capitolo 4: *** Distacco ***
Capitolo 5: *** Problemi di meditazione ***
Capitolo 6: *** Consulenze ***
Capitolo 7: *** Livello di coinvolgimento ***
Capitolo 8: *** Amicizia ***
Capitolo 9: *** Ritrattazioni ***
Capitolo 10: *** Il ritorno di Qui-Gon ***
Capitolo 11: *** Piccoli passi ***
Capitolo 12: *** Imprevisti ***
Capitolo 13: *** Un nuovo incarico ***
Capitolo 14: *** Nihilo ***
Capitolo 15: *** Un indiziato ***
Capitolo 16: *** I ladri ***
Capitolo 17: *** Rivelazioni ***
Capitolo 18: *** Oltre il confine ***
Capitolo 1 *** Approccio inusuale ***
IRIDESCENTE
LIBRO
I
Sul
confine
Capitolo
01 – Approccio inusuale
Il refettorio del Tempio Jedi era una
sala molto ampia.
Il
pavimento era rivestito di piastrelle grigie venate
d’azzurro, e il soffitto era sostenuto da alcuni pilastri
cinerini. Da
una parte della mensa, erano allineate alcune lunghe tavolate,
mentre dall’altra si trovavano dei tavolini più
piccoli.
In
un angolo della sala, Qui-Gon Jinn sedeva ad uno di questi. Era
un uomo dal fisico alto ed energico, con lunghi capelli castani ed
una corta barba. Nonostante la posizione appartata, non era riuscito a
passare del tutto inosservato.
Era
mezzodì: nel salone erano presenti molti Iniziati, ed
alcuni di loro gli lanciavano occhiate sfuggenti, quasi intimidite.
L’uomo
non si meravigliò affatto di quel fare
timoroso. Taren Kun – un suo amico di vecchia data che
lavorava coi più piccoli – gli aveva detto che,
tra gli Iniziati, lui era diventato famoso come il Maestro che non
vuole un altro Padawan.
Qui-Gon
non se ne faceva un cruccio. In fin dei conti, era una fama che
corrispondeva alla realtà: erano ormai tre anni che lavorava
da solo, fermandosi al Tempio soltanto quando era strettamente
necessario, e riusciva a portare a termine i suoi incarichi senza
problemi di sorta.
Era
rientrato dall’ultima missione proprio quella mattina, un
po’ stanco e con una gamba malandata.
Aveva
fatto rapporto al Consiglio, aveva fissato un appuntamento con
Von Le – uno dei Guaritori più efficienti del
Tempio – ed era sceso in refettorio.
Distese
la gamba dolorante sotto il tavolino e si guardò
attorno, spinto dall’abitudine di controllare ciò
che lo circondava… Così facendo,
incrociò lo sguardo di uno degli Iniziati.
Era
un bambino umano, che ad occhio e croce poteva avere sui sei, sette anni. Era
piuttosto minuto, con una zazzera disordinata di capelli di un
castano chiaro, rossiccio, e due occhi limpidi.
A
differenza degli altri Iniziati, non sembrava intimidito dallo
sguardo penetrante del Maestro Jedi, ma lo ricambiava con aperta
curiosità.
Qui-Gon
assottigliò appena gli occhi. Aveva già
notato quel bambino quand’era entrato, pur non avendoci fatto
particolarmente caso.
Il
piccolo, infatti, era seduto ad uno dei tavoli più
lunghi, ma invece di essere in compagnia di un gruppo di coetanei era
completamente solo.
Eppure,
a giudicare da come ricambiava senza alcun timore lo sguardo di
Qui-Gon, non doveva essere particolarmente timido.
Prima
che l’uomo potesse decidere di rompere quel contatto
visivo, il bambino aggrottò la fronte e girò la
testa verso l’ingresso del refettorio.
Dal
proprio posto, Qui-Gon seguì automaticamente il suo
sguardo, e vide entrare una giovane umanoide.
Il
volto senza naso, la bocca priva di labbra, la pelle verde
pallido… L’uomo riconobbe la Duros che stava
apprendendo le arti curative sotto la guida di Von Le.
Quando
la giovane si fermò per guardarsi attorno,
l’Iniziato dai capelli rossicci fissò
insistentemente da tutt’altra parte, una mano
sull’avambraccio sinistro.
Qui-Gon
inarcò appena un sopracciglio, mentre la Duros si
diresse verso di lui.
L’uomo
notò che, non appena
l’apprendista Guaritrice lo ebbe sorpassato,
l’Iniziato iniziò a tenerla d’occhio con
aria guardinga… Poi la giovane si fermò di fronte
al tavolo del Maestro Jedi, e Qui-Gon spostò la propria
attenzione su di lei.
«Maestro
Jinn?» chiese la Duros, con un accento
cadenzato che rendeva il suo Basic quasi musicale. «Il
Guaritore Von Le ha chiesto se è possibile anticipare la
visita di oggi pomeriggio».
Qui-Gon
non ebbe bisogno di riflettere: l’unica cosa che
aveva in programma era andare a chiedere un nuovo incarico al
Consiglio. E prima la sua gamba veniva visitata e guarita, prima lui
avrebbe potuto lasciare il Tempio, tornando sul campo.
«Quando
devo passare?»
«Appena
avrete finito di mangiare, se non è un
problema».
Qui-Gon
le rivolse un breve cenno del capo. «Nessun
problema».
La
giovane gli indirizzò un inchino, quindi si
voltò per andarsene.
Quando
passò accanto all’Iniziato, il bambino
distolse lo sguardo, e la sua mano tornò a sfiorare il suo
avambraccio sinistro.
Qui-Gon
tentò di non dar peso alla cosa. Non erano affari
suoi.
A
quel punto, però, si sentiva pressoché certo
che il bambino si fosse fatto male e volesse evitare una visita nelle
Sale dei Guaritori.
Lo
sguardo dell’uomo indugiò sui Maestri che
sorvegliavano gli Iniziati, e lui contemplò l’idea
di informare uno di loro.
Alla
fine, però, sollevò tra le mani il proprio
vassoio, si alzò in piedi e si diresse verso il bambino
seduto in disparte.
Nel
frattempo, l’Iniziato aveva ripreso a mangiare
– o, per meglio dire, a giocherellare col proprio cibo.
Quando alzò la testa e si trovò di fronte un
Maestro Jedi, i suoi occhi chiari si spalancarono, e la forchetta gli
sfuggì di mano, atterrando sul piatto con un tintinnio.
Qui-Gon
accennò col mento alla sedia davanti alla sua.
«Posso sedermi?»
Il
bambino sbatté le palpebre, poi si affrettò a
rispondere: «Sì, Maestro».
Sembrava
sconcertato, e l’uomo non poteva biasimarlo. Non
capitava di frequente, che un Maestro Jedi decidesse di sedersi al
tavolo di un Iniziato.
Allontanando
quelle considerazioni, Qui-Gon appoggiò il
proprio vassoio e prese posto con un movimento fluido.
A
quel punto, il bambino non dedicò più la minima
attenzione al proprio pranzo. Guardava il Maestro Jedi e, pur non
riuscendo a nascondere né la propria fascinazione
né la propria curiosità, tentava disperatamente
di non sembrare troppo sfacciato, col risultato di
un’espressione impagabile.
«Sono
il Maestro Jedi Qui-Gon Jinn»
esordì l’uomo.
L’Iniziato
annuì automaticamente. «Lo
so».
A
quella risposta, Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio.
«Davvero?»
Il
bambino fece nuovamente cenno di sì. «Sei un
Maestro della forma Ataru e…» Si interruppe, come
temendo di aver detto troppo.
«E…?»
indagò l’uomo.
Immaginava
a quale domanda sarebbero arrivati: come mai lui rifiutava
di prendere un nuovo Padawan?
Era
inevitabile che si cadesse su quell’argomento. Il suo
interlocutore sembrava avere l’età giusta per
iniziare a chiedersi quando avrebbe avuto un mentore tutto per
sé.
«E
cambierai una vita, penso» rispose invece il
bambino, titubante.
Interdetto,
Qui-Gon si domandò se quella fosse una maniera
alquanto originale, da parte dell’Iniziato, di chiedergli di
prenderlo come apprendista. «In che modo?»
La
domanda, però, non ottenne la reazione che si era
aspettato.
L’Iniziato,
infatti, aggrottò la fronte con aria
insicura e rispose: «Non… non lo so».
Gli gettò un’occhiata furtiva, come per accertarsi
di avere la sua attenzione. «È come…
come se ci fossero due porte, adesso. E solo tu puoi decidere quale
aprire».
Accigliandosi
di fronte alla piega inaspettata presa dalla
conversazione, Qui-Gon non poté fare a meno di pensare che
quel bambino doveva aver ricevuto troppe lezioni dal Maestro Yoda. Chi
altri parlava per metafore ed enigmi?
Dal
canto suo, Qui-Gon aveva sempre preferito la concretezza agli
indovinelli. «Non è ciò che accade
sempre, forse?» osservò, cercando di condurre il
discorso su un piano più ragionevole. «Ci vengono
poste davanti delle scelte… e noi possiamo optare per
l’una o per l’altra».
L’Iniziato
si mosse sulla sedia, e l’uomo
percepì una strana frustrazione. «Sì,
ma… non sempre la sensazione è così
definita».
Qui-Gon
lo scrutò, e decise di non insistere.
«Suppongo».
Ci
fu un istante di silenzio.
«Qual
è il tuo nome?» chiese quindi
Qui-Gon, ricordando a se stesso perché era lì.
Il
bambino trasalì lievemente, e la sua vergogna per aver
dimenticato di presentarsi si propagò ad ondate attraverso
la Forza.
«Obi-Wan
Kenobi» si affrettò a
rispondere, con voce un po’ flebile.
«Obi-Wan
Kenobi» ripeté Qui-Gon, piano.
Per qualche ragione, quel nome gli sembrava familiare, ma era una
sensazione così vaga che decise di lasciar perdere.
«Ti sei fatto male al braccio, Obi-Wan?»
Il
bambino si portò istintivamente una mano
all’avambraccio destro. «Non è
niente» rispose, sulla difensiva.
Qui-Gon
tese una mano verso di lui. «Fa’ vedere e
lascia che sia io a giudicare» disse, in un tono che non
ammetteva repliche.
Per
quanto riluttante, allora, Obi-Wan si alzò una manica
della tunica chiara, arrotolandola all’altezza del gomito.
Dopo
un istante, Qui-Gon prese l’avambraccio del bambino tra
le mani – la pelle era calda e liscia, di una morbidezza
infantile – e lo girò appena, in maniera da poter
esaminare al meglio il danno. Era
una bruciatura, della lunghezza del suo indice, e tutto sommato
sembrava abbastanza superficiale.
Non
appena Qui-Gon gli lasciò il braccio, Obi-Wan si rimise
a posto la manica, per poi guardare di sottecchi il Maestro Jedi, in
attesa del verdetto.
«Hai
ragione» disse alla fine l’uomo,
«non sembra grave. Ma dovresti comunque farla vedere da un
Guaritore».
Il
bambino si morse il labbro inferiore e Qui-Gon gli
indirizzò un’occhiata penetrante. «Non
vuoi farla vedere da un Guaritore, Iniziato Kenobi?»
Obi-Wan
esitò. «Io… non
posso» rispose poi. «Non adesso. Oggi pomeriggio ho
lezione col Maestro Yoda. Non voglio perdermela».
Detto
ciò, abbassò gli occhi.
Qui-Gon
ripensò all’affermazione del bambino sulle
due porte e si disse che, probabilmente, trascorrere del tempo lontano
dal Gran Maestro non gli avrebbe fatto male.
L’Iniziato,
dal canto suo, continuava a fissare il proprio
piatto.
Qui-Gon
lo osservò discretamente, riflettendo sul da farsi.
Dopotutto, il bambino gli era parso sincero, e la bruciatura sembrava
trascurabile… Era davvero il caso di avvertire un altro
Maestro?
«Molto
bene».
Gli
occhi grigio-azzurri di Obi-Wan si alzarono immediatamente su di
lui.
«Va’
pure alla lezione del Maestro Yoda, ma poi
fatti vedere da un Guaritore. Intesi, Iniziato Kenobi?»
Il
bambino si raddrizzò, chiaramente sollevato.
«Intensi, Maestro Jinn» disse, obbediente.
L’uomo
gli rivolse un cenno del capo, quindi si
alzò in piedi.
Non
si guardò indietro, mentre cedeva il proprio vassoio ad
uno dei droidi che facevano avanti e indietro per la sala,
né si voltò prima di uscire dalla mensa.
Ciononostante,
avvertì gli occhi del bambino su di
sé per tutto il tempo.
Qui-Gon
non poteva dire che l’Ala dei Guaritori fosse una
delle sue zone preferite del Tempio.
Per
un Jedi come lui, così legato alla Forza Vivente,
l’ambiente bianco e asettico di quei corridoi era alquanto
desolante.
Se
non altro, le stanze dove veniva ricoverato chi ne aveva bisogno
erano più accoglienti.
Qui-Gon
sostò alla piccola reception situata appena dopo la
porta. Dietro il bancone, si trovava un Guaritore incaricato di
rispondere alle comunicazioni d’emergenza e di indirizzare
chi arrivava nella giusta direzione.
«Salve,
Maestro Jinn. Il Guaritore Von Le vi aspetta nella
seconda stanza a destra».
Senza
batter ciglio, l’uomo si diresse dove indicato.
Von
Le lo accolse con la silenziosa cortesia di un inchino. Era un
Vultan: somigliava ad un Umano, ma la sua pelle era olivastra, e la sua
testa era sormontata da alcune creste cartilaginee.
Abituato
all’indole pratica del Guaritore, Qui-Gon non si
meravigliò quando l’altro, senza perdere tempo in
chiacchiere, lo fece sedere su un lettino.
Il
Maestro Jedi gli mostrò la propria ferita, ed il Vultan
la pulì e vi applicò un po’ di bacta.
«Dovrebbe
bastare» disse poi, «ma vorrei
che tu rimanessi qui per qualche momento. Occorre un bendaggio
provvisorio per tenere il bacta al suo posto».
Qui-Gon
annuì, e l’altro gli scoccò
un’occhiata.
«Niente
proteste?» commentò, mentre
iniziava ad armeggiare con la fasciatura. «È un
sollievo. Suppongo di essermi fin troppo abituato a trattare con gli
Iniziati».
Quell’osservazione
fece venire in mente a Qui-Gon una certa
bruciatura…
«Iniziati?»
domandò. «Conosci
Obi-Wan Kenobi, per caso?»
Von
Le inarcò un sopracciglio. «Se lo
conosco?» Per un istante, parve riportare alla mente
qualcosa. «Umano. Sette anni standard. Nato sul pianeta
Stewjon. Capita qui molte volte».
Qui-Gon
lo guardò. «Veramente?»
Il
Guaritore annuì senza fare una piega. «Vedo
più spesso lui della mia apprendista» rispose.
«Ma mentre lei apprezza essere qui, all’Iniziato
Kenobi non piace per niente».
A
quelle parole, Qui-Gon si accigliò appena. Iniziava a
domandarsi se aveva fatto bene, a non dire nulla della
bruciatura…
Se
al bambino non piacevano le Sale dei Guaritori… era
possibile che avesse mentito sulla gravità della ferita?
Forse
la bruciatura gli faceva male.
«Come
mai capita qui tanto spesso?» si
trovò a domandare Qui-Gon.
Von
Le aveva un’espressione indifferente.
«Intraprendenza, immagino… Così come
stanno le cose, spero solo che con l’età impari ad
essere più prudente».
Qui-Gon
annuì senza dir nulla.
Forse,
quella sera, avrebbe fatto meglio a contattare il Guaritore per
chiedere se Obi-Wan Kenobi si era presentato da lui.
Von
Le gli diede un’ultima controllata alla gamba.
«Credo che così possa bastare»
dichiarò. «Sei libero di andare. Nel caso dovesse
darti ancora fastidio, fammelo sapere».
«Certamente»
rispose l’uomo, scendendo
dal lettino.
Dopo
essersi congedato dal Vultan, uscì a passo spedito
dall’Ala dei Guaritori.
Sentiva
di aver bisogno di meditare.
Note agghiacciantemente lunghe:
Questa storia si attiene al G-Canon. In altre parole, è
basata essenzialmente sulle informazioni date dai film…
Anche se per lo più ignora l’EU, da esso ho preso
alcuni spunti. Ad esempio, Qui-Gon non vuole un nuovo apprendista come
nella serie Jedi Apprentice di Dave Wolverton e Jude Watson (anche se,
come si vedrà, il motivo è un po’
diverso).
Per il pianeta natale di Obi-Wan Kenobi, si ringrazia George Lucas che
– in un’intervista con Jon Stewart – ha
dichiarato: “He comes from the planet Stewjon” (:D).
Sempre lo zio George, nel commento audio de “La minaccia
fantasma”, afferma che i bambini vengono addestrati da Yoda
sino ai sette/otto anni, per poi divenire Padawan di un Jedi.
Per finire, spero di non aver fatto idiozie con la caratterizzazione
dei personaggi, e ringrazio Sylvia Naberrie per
l’incoraggiamento.
Se tutto va bene, il nuovo capitolo dovrebbe arrivare
martedì prossimo, il 17
settembre.
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Capitolo 2 *** Yoda e i piccoli ***
Capitolo 02 – Yoda e i
piccoli
Le zone verdi, a Coruscant, erano
più uniche che rare.
Il
Tempio Jedi, per fortuna, poteva vantare dei superbi giardini.
Situati
all’interno del possente edificio, erano scaldati e
nutriti da una luce artificiale, e ospitavano una gran
varietà di piante, nonché alcuni corsi
d’acqua che confluivano in un lago dalle acque cristalline.
La
loro atmosfera di pace – e, perché no, la loro
bellezza – li rendeva uno dei luoghi più
frequentati del Tempio.
Trascorrervi
ore intere, dunque, non era solo prerogativa degli
Iniziati e dei Padawan più giovani; anche i Cavalieri ed i
Maestri più esperti vi sostavano a lungo per rilassarsi e
meditare.
Qui-Gon
non faceva eccezione, anche perché la presenza di
vegetali e piccoli animaletti era un toccasana per chi desiderava
immergersi nella Forza Vivente.
Quel
giorno, l’uomo andò a sedersi a gambe
incrociate sull’erba verde, rilassando le spalle e chiudendo
gli occhi.
Non
molto tempo dopo, però, una voce interruppe la sua
meditazione.
«Maestro
Qui-Gon. Un piacere vederti è».
Il
Jedi sospirò leggermente. «Maestro
Yoda» replicò, prima di aprire gli occhi.
Davanti
a lui, si trovava un piccolo troll verde, con mani nodose
appoggiate pesantemente ad un bastone sottile.
«Se
non sbaglio, ti ho visto qualche ora fa, quando ho fatto
rapporto al Consiglio sulla mia ultima missione».
Il
Maestro Yoda ignorò le sue parole. «Da tempo,
qui non ti fermavi. Qualcosa su cui meditare, tu hai?»
L’uomo
non batté ciglio.
«C’è sempre qualcosa su cui meditare,
Maestro».
Il
suo interlocutore era tra chi più insisteva che lui
prendesse un nuovo allievo, così Qui-Gon ritenne
più opportuno non dirgli nulla del suo incontro con Obi-Wan
Kenobi.
Quasi
certamente, il vecchio Maestro lo avrebbe rivestito di un
significato che non aveva.
«Mmm»
rimuginò Yoda, tenendo gli occhi
puntati sull’uomo.
Quello
sguardo, così penetrante, riusciva a farlo apparire
intimidatorio a dispetto della statura ridotta, ma Qui-Gon non mosse un
muscolo sotto il suo esame.
«Bisogno
di una pausa, tu hai» sentenziò
Yoda, alla fine.
L’uomo
si accigliò lievemente. Era nelle sue
intenzioni, infatti, chiedere che il Consiglio gli affidasse al
più presto un nuovo incarico. «Con tutto il
rispetto, mio Maestro, non sono dell’opinione
che…»
«Una
proposta, la mia non era» lo interruppe Yoda.
«Un ordine, più propriamente lo
chiamerei».
Qui-Gon
inarcò un sopracciglio. «E cosa desideri
che faccia?»
«Lezione
coi piccoli Iniziati del Clan del Dragone, oggi
ho» rispose Yoda. «Che tu venga con me, io
desidero».
L’uomo
pensò che avrebbe dovuto aspettarselo.
«Non sono qui per scegliere un Padawan, Maestro. Dovresti
saperlo».
«Parlato
di un Padawan, nessuno ha»
replicò prontamente Yoda. «Solo la tua presenza,
io richiedo».
Qui-Gon
cercò di declinare l’invito.
«Col dovuto rispetto, mio Maestro, penso che farei meglio
a…»
Fulmineamente,
Yoda lo colpì alla gamba col proprio bastone.
«A seguirmi, faresti meglio! Per cominciare, la lezione
sta».
Qui-Gon
sospirò, alzandosi in piedi, e così
facendo si trovò a torreggiare sul piccolo Maestro.
Stancamente,
pensò al Clan del Dragone. Per rendere
più facile l’organizzazione delle lezioni, gli
Iniziati del Tempio erano divisi in clan, ognuno dei quali richiedeva
– almeno ufficialmente – una dote particolare.
Se
non errava, quella del Clan del Dragone era la costanza.
Per
un istante, Qui-Gon pensò di opporsi nuovamente.
Dopotutto, lui non si era mai posto troppi problemi, quando si trattava
di andare contro le disposizioni di Yoda o del Consiglio.
Tuttavia,
doveva ammettere che le ragioni di rifiutare non erano
troppe…
«Da
questa parte, vieni» disse Yoda, iniziando ad
arrancare verso l’uscita dei giardini.
E,
per quanto riluttante, Qui-Gon lo seguì.
La
saletta d’allenamento era un’ampia stanza dai
muri rosso-oro.
Quando
Qui-Gon ed il Maestro Yoda fecero il loro ingresso, i bambini
erano già arrivati.
Si
trattava di un gruppetto piuttosto omogeneo: tra loro si potevano
scorgere Mon Calamari, Twi’lek, Togruta, Umani e tante altre
razze, certo, ma sembravano avere tutti sui sei, sette anni…
ed ognuno di loro indossava l’uniforme dei Jedi.
«Buongiorno,
Maestro Yoda!»
Dopo
quel saluto corale, molti occhi curiosi si soffermarono su Qui-Gon.
Quest’ultimo
sostò accanto a Yoda ed
incrociò le braccia sul petto, mentre il suo sguardo
scorreva sui bambini… e trovava un visetto familiare.
Obi-Wan
Kenobi lo occhieggiò con espressione
incerta… forse, temeva che Qui-Gon si trovasse lì
perché aveva detto a Yoda della bruciatura… Un
momento dopo, però, i suoi dubbi parvero svanire, e
l’Iniziato sorrise all’uomo.
Qui-Gon
distolse gli occhi, mentre la voce di Obi-Wan sembrava
riecheggiargli nelle orecchie. E
cambierai una vita, penso.
Lui
cercò di scacciarla.
Il
futuro era difficile da decifrare anche per i Maestri più
esperti… Era assurdo, pensare all’affermazione di
un Iniziato come ad una profezia.
La
voce di Yoda lo riscosse: «Questo, il Maestro Qui-Gon Jinn
è. Per molti anni, lontano dal Tempio è
stato… Bisogno di abituarsi nuovamente ad una vita calma,
lui ha».
Un
paio di risolini infantili accolsero l’ultima frase di
Yoda, e lui sorrise soddisfatto prima di battere il bastone contro il
pavimento.
«Lungo
la stanza, disponetevi» disse. «Le
vostre spade laser accedente. Imparare a difendervi coi remoti
d’allenamento, dovete».
Qui-Gon
osservò i visetti che ascoltavano le ulteriori
istruzioni di Yoda con la massima concentrazione, e cercò di
non soffermarsi su quello di Obi-Wan.
Gli
occhi chiari del bambino lo guardarono per un attimo, poi tornarono
al Maestro Yoda, che aveva appena finito di parlare.
A
quel punto, gli Iniziati si disposero lungo la stanza in modo
ordinato, quasi senza fiatare.
«Cominciare,
potete».
Quasi
in sincrono, i piccoli accesero le spade laser da allenamento che
tenevano tra le mani.
In
un angolo della stanza, alcuni oggetti sferici giacevano sul
pavimento… Non appena le lame verdi e azzurre vennero alla
luce, essi si sollevarono, andando a fluttuare davanti agli Iniziati.
Ben
presto, l’aria fu piena del ronzio delle spade laser.
Yoda
camminava lentamente tra i ragazzini. Esaminava le loro mosse e
offriva qualche suggerimento, correggendo gli sbagli senza
severità.
Qui-Gon
rimase in disparte, ma i suoi occhi attenti passavano da un
Iniziato all’altro.
Dopo
un po’, si scoprì a guardare a più
riprese verso Obi-Wan… Sembrava che il bambino non avesse
problemi con la propria bruciatura.
Poi
parve sentirsi osservato, e il suo sguardo cercò il
volto del Maestro Jedi.
Per
un momento, i loro occhi si incrociarono di nuovo.
Qui-Gon
fu rapido a girarsi altrove, ed Obi-Wan dovette riportare la
sua attenzione al remoto che gli ondeggiava davanti.
Eppure,
anche se si trovava in una stanza colma di emozioni infantili,
l’uomo percepì distintamente il disappunto di
Obi-Wan per la sua mossa.
Quando
la lezione giunse al suo termine, i piccoli disattivarono le
loro spade laser.
«Finita,
la lezione è» disse Yoda, in
tono quasi indulgente. «Andare potete».
In
una fila ordinata, ma pervasa da un certo brusio, gli Iniziati
arrancarono verso l’uscita. Prima di unirsi al gruppo,
Obi-Wan guardò verso Qui-Gon.
Dal
canto suo, poco dopo, l’uomo si ritrovò a
seguire con gli occhi una testolina rossiccia.
Si
riscosse non appena Yoda si avvicinò, e portò
la propria attenzione sul membro più importante del
Consiglio.
«Una
lezione considerevole» commentò,
visto che non gli veniva in mente altro.
«Talentuosi
sono» concordò Yoda, prima
di riservargli un’occhiata penetrante. «Di un
Maestro, avranno bisogno entro breve».
Quell’allusione
molto poco velata infastidì
Qui-Gon. L’uomo, però, fu rapido a rilasciare
quell’emozione nella Forza, e parlò in tono
cortese. «Sono certo che, vedendoli combattere, non molti
esiteranno prima di sceglierli come Padawan».
Ci
fu un istante di silenzio.
«Uno
dei giovani Iniziati, notato tu hai, mmm?»
s’informò Yoda, sagacemente.
Qui-Gon
mantenne un’espressione neutra. «Sembrano
piuttosto promettenti».
«Una
risposta, questa non è!» lo
ammonì il piccolo Maestro, per poi assottigliare lo sguardo.
«Evasivo sei diventato, Maestro Qui-Gon».
«Può
darsi» concesse l’uomo.
«E imparare da me un comportamento simile non beneficerebbe
certo alcun Iniziato».
«Umph!»
sbuffò Yoda, allungando il
proprio bastone per punzecchiare la gamba di Qui-Gon.
«Ostinato come un bambino, sei divenuto!»
L’uomo
si spostò.
«Sì» rispose, lentamente, «e
vorrei utilizzare questa ostinazione ad uno scopo utile, come ad una
nuova missione…»
«La
mia risposta, tu già hai»
sbottò Yoda, tornando a spingere la punta del bastone contro
gli stinchi dell’uomo. «Ora vai, vai… La
tua irragionevolezza, mal di testa mi sta facendo venire!»
Qui-Gon
accennò un inchino. «Mio
Maestro…»
Anziché
rispondere, il troll abbatté di nuovo
– senza pietà – il bastone sulle sue
gambe, e l’uomo scivolò via senza attendere oltre.
C’era
un tempo in cui, all’interno del suo
alloggio, Qui-Gon si sentiva davvero a casa.
Nei
periodi di riposo dalle missioni, soleva occuparsi personalmente
della pulizia delle stanze, occupazione che trovava piacevole e
familiare.
La
finestra dell’area comune – un misto di cucina e
salotto – era quasi sempre aperta, e i raggi di sole
bastavano ad illuminare l’ambiente.
Un
tempo, tutto appariva così accogliente… Il
comodo divano, il modesto tavolo e le quattro sedie che lo
circondavano…
Ora
come ora, quando si trovava nel suo alloggio, a Qui-Gon sembrava
che tutto ruotasse attorno ad un unico dettaglio: la porta chiusa di
una delle due camere da letto.
Quella
era stata la stanza dei suoi apprendisti, e l’uomo non
vi metteva piede da anni, ormai.
Sospettava
che il letto e la scrivania al suo interno fossero ormai
coperti da un velo di polvere, ma non se ne curava. Dopotutto, quella
camera non avrebbe accolto più nessuno.
Con
un sospiro, l’uomo entrò nella propria stanza.
Ai piedi del letto, giaceva ancora la sua sacca da viaggio.
Il
Maestro Jedi andò a recuperarla, così da
sistemare al loro posto gli effetti personali che conteneva.
Aveva
appena concluso di riordinare, quando udì il trillo
che annunciava un visitatore.
Il
primo pensiero di Qui-Gon fu che si trattasse il Maestro Yoda, ma
non avvertiva la presenza – saggia, forte e tutto sommato
inconfondibile – del vecchio troll.
Aggrottando
la fronte, andò ad aprire.
La
porta scivolò di lato con un sibilo, rivelando
l’identità del suo visitatore.
Un
ragazzino dagli arruffati capelli ramati, con due occhi
grigio-verde-azzurro.
Obi-Wan
Kenobi.
L’uomo
trattenne un sospiro.
«Sì?» chiese.
La
sua voce era un po’ stanca, ma il suo sguardo era attento
e penetrante come sempre.
L’Iniziato
si esibì in un inchino rispettoso.
«Maestro Jinn» disse, risollevando su di lui due
occhi colmi d’aspettativa, «il Maestro Yoda mi
manda a chiederti se hai bisogno di qualcosa».
Qui-Gon
grugnì interiormente. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Ovviamente,
il vecchio troll era riuscito a capire qual era
l’Iniziato che aveva catturato la sua attenzione. Come ci
fosse riuscito, poi, restava un mistero…
«Riferiscigli
che sono a posto così,
grazie».
Obi-Wan
annuì. «Vuole anche invitarti ad assistere
alla sua prossima lezione» accennò, ma Qui-Gon lo
fermò prima che potesse dargli altri dettagli.
«Un’offerta
generosa, ma la declino».
Cercò
di parlare in tono gentile. Visita gradita o meno,
l’Iniziato Kenobi non aveva colpa.
Obi-Wan
si sforzò di restare impassibile, ma Qui-Gon colse
con nitidezza la delusione che serpeggiò sul suo viso
infantile.
Per
un istante, provò quasi l’impulso di
ritrattare la propria risposta.
Si
controllò. Era assurdo; soddisfare i desideri di un
bambino di sette anni non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Al limite, avrebbe potuto solo alimentare certe speranze…
Speranze che era meglio stroncare sul nascere.
«Glielo
riferirò» disse Obi-Wan.
Qui-Gon
annuì. «Molto bene».
Ci
fu un momento di silenzio, e l’uomo abbassò lo
sguardo sul bambino.
Era
la prima volta che si trovavano l’uno di fronte
all’altro a distanza così ravvicinata, e il
Maestro Jedi torreggiava sul minuto Iniziato.
Il
ragazzino s’inchinò nuovamente, e i capelli gli
ricaddero sulla fronte. «Buona giornata, Maestro
Jinn» salutò poi, raddrizzandosi. «Che
la Forza sia con te».
«Che
la Forza sia con te» replicò
l’uomo.
Il
bambino fece per voltarsi, ma la voce di Qui-Gon lo
fermò: «Iniziato Kenobi?»
Obi-Wan
si bloccò immediatamente. «Sì,
Maestro Jinn?» domandò, tornando ad alzare i suoi
occhi sull’uomo.
Aveva
di nuovo quello sguardo pieno di aspettativa.
Qui-Gon
cercò di ignorarlo. «Sei stato dai
Guaritori, come ti avevo raccomandato?»
s’informò.
Il
senso di colpa che s’irradiò attraverso la
Forza fu una risposta più che sufficiente. «Non
ancora» ammise il bambino.
«Allora
faresti meglio ad andarci, adesso»
replicò Qui-Gon. «E con adesso, Iniziato Kenobi,
intendo subito».
Obi-Wan
si affrettò ad annuire. «Certo, Maestro
Jinn».
Dopo
l’ennesimo, concentrato inchino, il ragazzino diede
un’ultima occhiata all’uomo ed iniziò ad
allontanarsi di buon passo.
Qui-Gon
lo seguì con lo sguardo, constatando che adesso,
effettivamente, Obi-Wan Kenobi stava andando nella direzione
dell’Ala dei Guaritori.
Rientrò
nel proprio alloggio, ed impiegò qualche
istante, prima di identificare il vago malessere che si era
impossessato di lui.
Le
emozioni del bambino. Era dovuto alle emozioni del bambino.
In
modo più specifico, a ciò che Obi-Wan aveva
provato quando lui, Qui-Gon, lo aveva chiamato col suo cognome.
In
quel momento, il bambino si era sentito felice, e piacevolmente
sorpreso che l’uomo ricordasse come si chiamava.
Qui-Gon
si avvicinò al divano e si lasciò cadere
su di esso. «Perfetto» sospirò.
Col
pensiero, ripercorse i suoi due incontri con Obi-Wan Kenobi, in
mensa e nella sala di allenamento.
In
fin dei conti, non aveva fatto niente per avvicinarsi
all’Iniziato…
Certo,
lo corresse pungente la sua testa, a parte andare a sedersi al
suo tavolo e fare una bella chiacchierata con lui.
Qui-Gon
si rialzò di colpo.
Aveva
bisogno di sgranchirsi un po’ le gambe, così
iniziò a percorrere a grandi passi il perimetro della stanza.
Quella
sera si premurò di andare a cena ad un’ora
molto tarda, per essere sicuro di non incontrare un certo Iniziato dai
capelli rossicci, e il pomeriggio seguente decise di visitare un
vecchio amico.
Note:
Una lezione di Iniziati era d’obbligo, visto e considerato
quanto vado in visibilio davanti alla scena di AOTC dove viene mostrato
Yoda che insegna ai piccoli.
A proposito di Yoda, spero di non averlo caratterizzato troppo
male… Dato che ho visto di recente TESB, penso mi abbiano
ispirato soprattutto le scene di quel film.
La faccenda dei Clan degli Iniziati è contemplata nel libro
The Jedi Path di Daniel Wallace.
Da quanto mi risulta, non si sa quale sia stato il clan di Obi-Wan. Ho
optato per quello del Dragone in luce del fatto che i suoi membri siano
costanti (dato che, in quanto a testardaggine, Obi-Wan non scherza).
Ah, la scorsa volta mi sono dimenticata di dirlo… ma il
titolo “Sul confine” viene da una canzone di
Cristiano De André.
E a questo punto… mi pare di aver detto tutto (mi chiedo se
le note a questa fanfiction saranno sempre così lunghe XD).
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A martedì 24 settembre!
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Capitolo 3 *** Quattro chiacchiere ***
Capitolo 03 – Quattro
chiacchiere
Taren Kun era un Umano dai ricci
capelli neri.
Aveva
lineamenti ben disegnati e, sebbene non fosse estraneo
all’arte dell’autocommiserazione, era uno dei Jedi
che sapevano lavorare meglio con i piccoli Iniziati.
Se
il Maestro Yoda teneva lezioni sulla Forza e li faceva allenare coi
remoti da combattimento, Taren insegnava loro a duellare. Li istruiva
principalmente sulla prima forma di combattimento, ma eventualmente
dava loro anche un’infarinatura di altri stili più
complessi.
Qui-Gon
trovò l’amico in una palestra nella quale,
durante la loro giovinezza, si erano spesso sfidati a duello.
L’uomo
avrebbe saputo descrivere ogni angolo ad occhi chiusi.
Le
pareti verderame, il soffitto altissimo, i pilastri
ruvidi… Le linee che, sul pavimento, suddividevano lo spazio
in vari settori, cosicché più Jedi potessero
allenarsi contemporaneamente con maggior comodità.
Taren
era l’unica persona presente nella sala, al momento.
Era
seduto su una delle panche allineate contro una parete, ed era
intento a lucidare l’impugnatura della propria spada laser.
Qui-Gon
gli si avvicinò in silenzio.
«Sei
tornato, finalmente» commentò
Taren, senza alzare la testa.
«Sono
tornato» convenne Qui-Gon.
“E
forse” aggiunse mentalmente, “sarebbe
stato meglio se non lo avessi fatto”.
L’altro
sollevò lo sguardo. «Ti offrirei
di duellare in memoria dei vecchi tempi» disse, «ma
stamattina mi sono occupato del Clan dello Squall e del Clan del
Dragone».
Fece
un sospiro, mettendo da parte il panno e agganciandosi la spada
laser alla cintura.
«Mi
hanno sfinito».
Clan
del Dragone. La prima cosa che pensò Qui-Gon, fu che
era il clan di Obi-Wan Kenobi… e ciò non gli
piacque.
«Effettivamente»
disse, «loro hanno
qualcosa che tu non hai».
Taren
lo indagò coi propri occhi castani. «La
giovinezza?» s’informò.
«Battuta debole».
«Lo
so» sospirò Qui-Gon.
L’altro
scrollò le spalle e si alzò in
piedi. «Eppure tu non dovresti essere sfiancato. Da quanto mi
risulta, non hai dovuto allenare un bel branco di Iniziati».
«Effettivamente
no» ammise Qui-Gon.
«Però ho assistito ad una delle lezioni del
Maestro Yoda al Clan del Dragone».
Taren
emise uno sbuffo soffocato. «Sono dei bei tipetti, non
è vero?»
«Non
saprei» rispose Qui-Gon. «Era solo
una lezione. Tu che mi dici? Li alleni spesso?»
«Più
di quanto vorrei, visto come mi
riducono» brontolò Taren.
Qui-Gon
restò in silenzio per qualche istante.
«Sapresti dirmi qualcosa… di Obi-Wan
Kenobi?»
«Kenobi?»
L’uomo gli rivolse
un’occhiata in tralice. «Hai intenzione di prendere
un Padawan, per caso?»
Ecco
perché non avrebbe dovuto chiederglielo.
Perché avrebbe portato, inevitabilmente, a quella domanda.
«La
mia è solo una curiosità, a dire il
vero» disse Qui-Gon, asciutto.
Taren
lo guardò con espressione critica, ma alla fine
scrollò le spalle. «Come vuoi». Si
accarezzò il mento con fare pensoso.
«Kenobi… è intelligente. Obbediente,
rispettoso, ma talvolta troppo incline ad avere l’ultima
parola».
Qui-Gon
non poté farne a meno. Inarcò un
sopracciglio. «Non è anche questo segno
d’intelligenza?»
«Nel
tuo caso, amico mio, è segno
d’impertinenza…»
«Credevo
parlassimo di Obi-Wan» commentò
Qui-Gon.
«…e
nel caso dell’Iniziato
Kenobi» concluse Taren, «è segno di un
senso dell’umorismo… particolare.
Innocuo, per
ora, ma sospetto che con la crescita si farà più
pungente».
Qui-Gon
scosse appena la testa. «Va’
avanti».
«È
forte nella Forza Unificante» riprese
Taren. «Talvolta, ha delle visioni o dei presentimenti, ma
sono per lo più inaffidabili, e noi agiamo di
conseguenza».
Qui-Gon
si accigliò. Visioni? A sette anni?
«Lui,
però, è piuttosto
insicuro» continuò l’altro.
«Temo che scambi il nostro non dar troppo peso alle sue
visioni come mancanza di fiducia nelle sue parole. Così,
oramai, quando ha una visione, non informa quasi più
nessuno. Immagino si senta preso poco sul serio».
Nell’ascoltare
quelle parole, Qui-Gon sentì un
vuoto allo stomaco.
Improvvisamente,
sentiva che il fatto che Obi-Wan, nel refettorio, si
fosse fatto coraggio e avesse deciso di confidargli le sue sensazioni,
era più significativo di quanto avrebbe creduto.
E
lui cos’aveva fatto?
Agli
occhi del bambino, si era comportato come tutti gli altri: non lo
aveva preso sul serio.
«Fortunatamente,
sembra fidarsi del Maestro Yoda».
Taren, inconsapevole dei suoi pensieri, aveva continuato a parlare.
«E, credici o no, il vecchio troll è sempre molto
interessato a ciò che l’Iniziato Kenobi ha da
dire. Sembra proprio che il marmocchio abbia trovato la maniera di
cucinarselo a dovere, la Forza sola sa come ci sia
riuscito…»
Qui-Gon
ripensò alla lezione del Maestro Yoda col Clan del
Dragone, ma non gli riuscì di richiamare alla mente nessuna
interazione particolare tra Yoda e l’Iniziato Kenobi.
D’altro
canto, Obi-Wan Kenobi era stato scelto come
messaggero…
«Se
parliamo di combattimento con la spada laser…
be’, forse è ancora presto per dirlo, ma mi sembra
molto promettente».
Qui-Gon
riportò di colpo l’attenzione su Taren.
«E riguardo il suo carattere? Cos’altro mi puoi
dire?»
«È
cocciuto… tenace, forse?»
Un’immagine
si presentò alla mente
dell’uomo: Obi-Wan solo al tavolo della mensa.
«È poco socievole?»
Anche
mentre lo domandava, si sentì ridicolo.
L’Iniziato
Kenobi non era il suo Padawan, né mai
lo sarebbe diventato. Non era compito suo preoccuparsi di
un’eventuale carenza di amicizie.
Taren
alzò le spalle. «Bah… ho lavorato
con bambini più estroversi, ma non è nemmeno un
emarginato. Per interagire coi suoi coetanei, interagisce».
Qui-Gon
si ritrovò ad annuire.
«Capisco…»
Taren
gli lanciò un’occhiata. «Lo
sai?» domandò. «È la prima
volta che ti vedo mostrare tanto interesse nei confronti di un
Iniziato».
Quando
uscì dalla sala – senza aver risposto
all’osservazione dell’amico – Qui-Gon
s’imbatté nell’Iniziato Kenobi.
Si
bloccò, e per un momento desiderò essere una
di quelle persone che credono nel caso e nelle coincidenze.
Dal
canto suo, Obi-Wan si arrestò di colpo, un lampo di
sorpresa negli occhi chiari.
Per
un lungo istante, entrambi rimasero immobili.
Qui-Gon
contemplò l’idea di rivolgergli un secco
cenno del capo e di andare per la propria strada, ma per qualche motivo
gli fece segno di avvicinarsi.
Il
ragazzino obbedì immediatamente. «Salve,
Maestro Jinn» lo salutò, chinando la testolina
rossiccia.
«Salve,
Iniziato Kenobi. Sei stato dai Guaritori?»
si trovò a domandare l’uomo.
Obi-Wan
alzò la testa ed annuì, tirandosi su la
manica sinistra per mostrargli la fasciatura sottile che gli avvolgeva
l’avambraccio. «Il Guaritore Von Le ha detto che
non era niente di grave» spiegò, doverosamente,
«ma per precauzione ha voluto bendarla».
«Capisco»
disse l’uomo.
Ebbene,
poteva chiudere lì la conversazione.
Ora
che si era informato sullo stato di salute del bambino, poteva
riprendere la propria camminata…
La
Forza Vivente, però, sembrava sussurrare ed
accarezzarlo… sembrava quasi spingerlo verso Obi-Wan.
«Mi
stavo recando a fare una passeggiata nei
giardini» disse infine Qui-Gon. «Vorresti camminare
con me?»
Il
sorriso si aprì sul visetto di Obi-Wan come un fiore che
sboccia. «Sì, Maestro Jinn»
accettò subito l’Iniziato. «Mi
piacerebbe molto».
Qui-Gon
annuì brevemente e, quando riprese a camminare, il
bambino gli trottò dietro.
Nei
giardini del Tempio, l’aria era più fresca, e
profumava di fiori ed erba.
Qui-Gon
inspirò profondamente. «È molto
bello, vero?» domandò, accennando al paesaggio che
li circondava.
Obi-Wan
annuì, trotterellando al suo fianco.
«Sì, Maestro Jinn».
«In
questi giardini, ci sono piante provenienti da tutta la
galassia» aggiunse l’uomo, guardandosi attorno.
«Lo
so» disse Obi-Wan. «L’anno
scorso, il Maestro Kun ci ha detto che c’era anche un
cespuglio carnivoro, e che dovevamo stare attenti».
Continuando
a camminare, Qui-Gon gettò un’occhiata
al bambino. E così Taren faceva di questi scherzi agli
Iniziati?
«Non
devi preoccuparti» disse ad Obi-Wan,
«ti posso assicurare che non c’è nessun
cespuglio carnivoro».
«Lo
so, Maestro Jinn».
Qui-Gon
inarcò lievemente un sopracciglio.
«Davvero?»
Il
bambino annuì. «Sì. Quando il
Maestro Kun ce l’ha raccontato, ero… preoccupato.
Così sono andato negli Archivi e ho cercato informazioni su
quel cespuglio, per sapere come riconoscerlo e come non farmi
mangiare».
Il
sentiero di ghiaietto che stavano percorrendo
s’incurvò appena verso sinistra.
«Quando
Madama Nu mi ha chiesto perché mi
interessava, gliel’ho spiegato. Lei era stizzita, e mi ha
detto che non era affatto vero che un cespuglio del genere si trovava
nei nostri giardini».
Immaginando
la reazione dell’Archivista, che mal sopportava
ogni genere di falsa informazione, Qui-Gon dovette trattenere un
sorriso.
Poi
gli venne in mente una cosa. «Hai detto che è
successo l’anno scorso?»
Obi-Wan
annuì, cercando di tenere il suo passo.
«Sì, Maestro Jinn».
«Quindi
avevi sei anni» aggiunse l’uomo.
«E facevi già ricerche negli
Archivi…»
Il
bambino parve ponderare la questione.
«Be’» disse, «è
molto interessante. E avevo imparato a leggere da un anno intero,
ormai».
«Giusto»
concordò Qui-Gon, divertito
proprio malgrado. «Sarebbe stato un sacrilegio, sprecare
più a lungo una simile dote…»
«Forse
non proprio un sacrilegio» disse Obi-Wan,
dubbioso. «Più un peccato».
Qui-Gon
agitò una mano come per scacciare quel discorso.
In
quel momento, si accorse che il bambino stava praticamente
saltellando per tenere il suo passo, e rallentò il ritmo
delle proprie falcate.
Obi-Wan
gli rivolse uno sguardo riconoscente.
«Grazie…»
«Avresti
potuto dirmi che andavo troppo veloce»
osservò Qui-Gon.
Il
bambino rimase per un attimo in silenzio, poi domandò:
«Che Cavaliere Jedi posso diventare, se neanche affretto un
po’ il passo?»
Qui-Gon
non poté fare a meno di ripensare al loro primo
incontro.
In
mensa, l’Iniziato stava cercando di nascondere una
bruciatura. Qui, la propria difficoltà a tenere il suo passo.
Certo,
un Jedi doveva imparare a non lamentarsi, ma l’uomo
aveva l’impressione che Obi-Wan Kenobi fosse restio ad
ammettere qualsiasi sorta di debolezza.
Decise
di rigirargli la domanda. «Non saprei. Che Cavaliere
Jedi potresti diventare?»
Obi-Wan
lo guardò, sorpreso, quindi mormorò:
«Un Cavaliere Jedi molto riposato».
Qui-Gon
rimase serio, ma una luce divertita brillò nei suoi
occhi. Era quello l’umorismo di cui parlava Taren? Era
bizzarro, in un bambino di sette anni.
L’uomo,
tuttavia, non lasciò cadere il discorso,
cercando di ottenere una risposta seria. «Molte
cose» disse, «non si ottengono col riposo, ma
soltanto col duro lavoro».
Obi-Wan
lo guardò, come per cercare di capire se si trattava
di un rimprovero, poi annuì quasi solennemente.
«Lo so, Maestro Jinn».
Qui-Gon
gli lanciò un’occhiata penetrante.
«È per questo che sei voluto andare a lezione con
un braccio ferito?»
Il
bambino si portò una mano al punto dove si trovava la
fasciatura. «Non era niente» rispose, sulla
difensiva.
«Non
mi hai raccontato come te lo sei fatto»
osservò Qui-Gon.
Un’altra
frase che non avrebbe voluto dire. Perché
mai l’Iniziato Kenobi avrebbe dovuto raccontarlo a lui?
«È
stato un incidente» spiegò
Obi-Wan.
«Quindi
nessun altro Iniziato ti ha ferito
intenzionalmente».
Il
bambino lo fissò, come se trovasse che un’idea
simile fosse impensabile. «No, Maestro Jinn».
Qui-Gon
lo valutò un istante, e decise che era sincero.
«E se fosse stato così?»
domandò poi, quietamente. «Se ti avesse ferito un
altro degli Iniziati, cosa avresti fatto?»
Obi-Wan
aggrottò la fronte, ma la sua incertezza ebbe vita
breve. «Lo avrei detto ai Maestri»
affermò.
L’uomo
lo guardò. Il bambino sembrava candidamente
convinto che i Maestri potessero risolvere qualsiasi cosa. «E
cos’avresti voluto che loro
facessero?»
Obi-Wan
rimase di stucco. «Non… non lo
so» disse poi, evidentemente in difficoltà.
Il
pensiero di decidere che linea d’azione dovessero adottare
dei Maestri sembrava disturbarlo.
Obbediente, rispettoso,
aveva detto Taren.
“Forse
troppo” pensò Qui-Gon.
«Be’…»
disse infine Obi-Wan,
esitante. «Il Maestro Yoda dice che, quando qualcuno si
comporta male, imbocca la strada sbagliata. Quindi penso che vorrei che
lo facessero tornare sulla strada giusta».
Qui-Gon
lo fissò con intensità. Intelligente,
senza dubbio. «Perché non tu?» gli
domandò.
Il
bambino lo fissò, sorpreso. «Cosa?»
«Non
potresti essere tu, a riportarlo sulla strada
giusta?»
Obi-Wan
smise improvvisamente di camminare, e Qui-Gon si
fermò a propria volta, girandosi lentamente verso
l’Iniziato.
La
fronte del bambino era aggrottata. «Non penso
funzionerebbe».
A
quelle parole, Qui-Gon lo osservò con un certo interesse.
«E perché mai?»
Obi-Wan
sollevò su di lui quei suoi occhi grigio-azzurri.
«Perché… perché…
perché non sarei sicuro di farlo per il motivo giusto,
no?»
Qui-Gon
inclinò appena la testa, senza distogliere lo
sguardo dal bambino. Lo trovava sempre più
intrigante… «Cosa intendi?»
L’Iniziato
strusciò i piedi per terra, ma non
abbassò gli occhi. «Voglio dire: magari non lo
farei per aiutarlo, ma perché voglio che mi lasci in
pace».
Poi
si morse il labbro, come pentendosi di aver implicato di poter
covare rancore. Nemmeno allora, però, distolse gli occhi da
quelli di Qui-Gon.
Quest’ultimo
pensò che, forse, un altro Maestro si
sarebbe premurato di evidenziare quanto fosse sbagliato lasciare che il
risentimento influenzasse le azioni…
Lui
non disse nulla.
Finalmente,
Obi-Wan Kenobi aveva ammesso una debolezza, dimostrandosi
consapevole di avere dei limiti… E Qui-Gon si
scoprì ad apprezzare molto la cosa.
«Quindi»
esordì, spezzando il silenzio,
«tu credi che non importino solo le azioni, ma anche le
motivazioni che ci sono dietro».
Obi-Wan
sbatté le palpebre.
«Sì» disse. «Cioè,
a volte. Non lo so».
Di
fronte all’imbarazzo del bambino, Qui-Gon scosse la testa.
«Non importa» disse. «È una
domanda difficile».
Obi-Wan
azzardò un’occhiata verso il viso
dell’uomo.
«Facciamo
così» disse allora il Maestro
Jedi, cercando di quietare la sua vergogna, «mi dirai la
risposta quando capirai qual è».
Il
bambino lo guardò più apertamente.
«Anche se saranno passati tanti giorni?»
«Anche
se saranno passati tanti giorni»
confermò Qui-Gon.
E
così, dopo nemmeno due dì che lo conosceva,
aveva già esteso ad una data imprecisata il suo rapporto con
quell’Iniziato.
L’uomo
volse lo sguardo verso un cespuglio carico di gemme
rosate, sospirando interiormente.
“Pazienza”
pensò. “Quando il
ragazzo verrà preso da un Maestro, non impiegherà
molto a dimenticarsi di me”.
Quel
pensiero gli parve stranamente liberatorio.
Era
rassicurante, l’idea che Obi-Wan avrebbe trovato la sua
via… che non coincideva assolutamente con la sua.
Checché
potessero dirne Yoda, o Taren.
Pensando
a Taren, a Qui-Gon vennero in mente le parole
dell’amico. Aveva detto che Obi-Wan non si sentiva preso sul
serio da coloro a cui confidava le proprie sensazioni.
Forse…
lui poteva rimediare a ciò che aveva fatto
in mensa.
«Ieri,
in refettorio…»
accennò, rivolgendosi al bambino. «Hai detto che
cambierò una vita».
Il
cambiamento di Obi-Wan fu repentino. L’Iniziato lo
fissò quasi guardingo, poi annuì lentamente.
«Sai
di chi fosse, la vita di cui parlavi?»
Il
bambino esitò nuovamente. «No, Maestro
Jinn» disse infine, «è tutto
molto… confuso».
«Il
futuro spesso lo è» convenne
Qui-Gon, senza sforzo. «Ma che mi dici del
presente?»
«Il
Maestro Yoda dice di fare attenzione al futuro»
rispose Obi-Wan, compitamente.
«Certo»
disse Qui-Gon. «Senza il
presente, però, non ci sarebbe nessun futuro. Sei
d’accordo con me?»
Il
bambino parve valutarlo per qualche istante.
«Sì» ammise alla fine.
Qui-Gon
accennò al sentiero che si snodava davanti a loro.
«Se vogliamo continuare la nostra
passeggiata…»
Obi-Wan
annuì energicamente. «Certo, Maestro
Jinn!»
Note:
Uh, spero che il calo di recensioni non corrisponda a un calo di
qualità (ma quale qualità? XD) della storia.
E spero che questo capitolo sia almeno decente e che la
caratterizzazione dei personaggi non sia un gran pasticcio.
Il nome Taren dovrebbe essere una sottospecie di omaggio a Taran, il
protagonista de “Le cronache di Prydain” di Lloyd
Alexander. Ho cambiato la “a” in
“e” soltanto perché mi suonava meglio
(del resto, anche nella trasposizione della Disney hanno cambiato una
vocale. “Taron e la pentola magica” vi dice
niente?).
Bien, c’est tout.
A martedì 1° ottobre!
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Capitolo 4 *** Distacco ***
Capitolo
04 – Distacco
Quella
sera, l’uomo uscì nelle intricate strade di
Coruscant per fare qualche acquisto, in modo da poter cenare nel
proprio appartamento.
L’Iniziato
Kenobi si era rivelato una compagnia molto
più piacevole e stimolante di quanto Qui-Gon avesse creduto,
e l’uomo si sorprese più volte a ripensare ad
alcune battute che si erano scambiati, nonché alle
espressioni del bambino.
In
effetti, aveva notato che Obi-Wan tendeva a corrucciarsi spesso.
Rientrato
nel proprio alloggio, cercò di scrollare via quei
pensieri, e si preparò un pasto frugale ma soddisfacente.
Prima
di andare a dormire, meditò per qualche ora, quindi
controllò la ferita alla gamba. Grazie al bacta, si stava
rimarginando in fretta.
Annuendo
la propria approvazione, l’uomo si coricò.
Ebbene,
se si illudeva che le sue notti fossero diventate tranquille,
si sbagliava.
Probabilmente,
la spossatezza della sera prima aveva impedito alla sua
mente di indugiare su certi ricordi… Ora che era
più riposato, però, una voce accusatoria
iniziò subito a martellargli nella testa.
È colpa tua! Soltanto tua!
La
cosa più terribile, in quelle parole, non era il
veleno… bensì la loro assoluta
autenticità.
Qui-Gon
sapeva che era vero, che era effettivamente stata colpa sua.
Sapeva di aver peccato di presunzione e di aver fallito, e
così facendo aveva distrutto i sogni di un ragazzo brillante.
La
sua boria aveva avuto conseguenze sul suo allievo… e la
frustrazione del suo allievo aveva avuto risultati deprecabili.
Risultati
ai quali, in quanto Jedi e in quanto essere umano, non poteva
pensare se non con orrore.
E
anche se la sua stanza era buia, anche se i suoi occhi erano chiusi,
Qui-Gon vedeva con chiarezza quel volto… Ed era una ragione
più che ottima per rifiutarsi di prendere un altro allievo.
Quando
si alzò, il mattino successivo, l’uomo si
disse che aveva sbagliato. Non avrebbe dovuto passare tanto tempo in
compagnia di Obi-Wan Kenobi.
Cosa
gli era saltato in mente? Voleva ripetere gli stessi errori del
passato?
Dopo
una colazione veloce, si recò a cercare il Maestro Yoda.
Quest’ultimo
si trovava nella Sala delle Mappe, una stanza
circolare dal soffitto a cupola, ed era in piedi al centro del
pavimento.
I
suoi occhi verdi erano puntati verso la miriade di ologrammi
– pianeti, asteroidi, stelle – che fluttuavano
nell’aria.
Qui-Gon
sostò sulla soglia. «Maestro
Yoda?» chiamò. «Hai un
momento?»
Yoda
si girò a guardarlo, un’espressione grave
dipinta sul volto rugoso. Dopo un istante, annuì.
Agitò
in aria la sua mano con tre dita, e tutti i pianeti
scomparvero.
«Maestro
Qui-Gon. Avanti vieni».
A
quell’invito, l’uomo avanzò di qualche
passo nella stanza.
«Chiedermi
qualcosa, tu devi?» gli chiese Yoda.
Qui-Gon
annuì. «Sì».
Gettò un’occhiata attorno a sé, poi
tornò a guardare il Gran Maestro dell’Ordine Jedi.
«Quand’è che il Consiglio mi
assegnerà una nuova missione?»
«Un
piccolo Iniziato, tu sembri» lo
redarguì Yoda. «La pazienza, il tuo Maestro non ti
ha insegnato?»
«Me
l’ha insegnata, sì»
rispose con calma Qui-Gon. «Ma non mi ha insegnato a perdere
tempo quando potrei fare qualcosa di utile».
«Perdere
tempo!» sbuffò Yoda.
«Da due giorni soltanto, tornato tu sei!»
Qui-Gon
incrociò le braccia, e lo guardò senza
dir nulla.
«Dieci
giorni almeno, al Tempio dovresti restare».
«Dieci
giorni?» polemizzò Qui-Gon.
«È molto più del necessario».
«Stancante,
la tua ultima missione è
stata» replicò Yoda.
«E
dopo una visita dai Guaritori e due notti di sonno sono
tornato perfettamente in forma» osservò
l’uomo. «Di sicuro, in giro per la galassia,
c’è qualcosa da sistemare…»
«Di
sicuro, nel Tempio, altri Jedi ci sono»
puntualizzò Yoda.
Qui-Gon
mantenne la calma. «E ci sono anche molti altri
Maestri a cui cercare di affibbiare un nuovo Padawan».
Yoda
non sembrò gradire quell’uscita, e
l’uomo decise di non insistere sull’argomento.
Non
aveva voglia di parlarne, in realtà, e dopotutto il Gran
Maestro sapeva bene qual era la sua opinione in proposito.
«Potrei
ripartire domani».
Il
vecchio troll lo guardò assottigliando gli occhi.
«Tra tre giorni» disse, stringendo il proprio
bastoncino.
Qui-Gon
non era del tutto soddisfatto da quella controproposta. In
fondo, Obi-Wan Kenobi era riuscito a riscuotere il suo interesse in una
manciata di ore. E, come gran parte dei bambini della sua
età, aveva un modo tutto suo di conquistare
l’affetto di chi gli stava accanto.
Tuttavia,
l’uomo sapeva che non avrebbe ottenuto nulla di
più – e dopotutto era già riuscito ad
ottenere uno sconto di sette giorni.
Così,
chinò brevemente il capo. «Molto
bene».
«Più
produttivo, parlare coi piccoli
è» brontolò Yoda, mentre usciva
zoppicando dalla stanza.
Qui-Gon
rimase fermo dov’era, emettendo un lento sospiro.
Ebbene,
non era stata una conversazione particolarmente
piacevole… Ma raramente – soprattutto negli ultimi
tempi – le sue chiacchierate con Yoda lo erano.
Infilando
le mani nelle larghe maniche della propria toga,
l’uomo uscì dalla stanza, incamminandosi lungo il
vasto corridoio.
Non
era più abituato all’inattività, e
decidere come occupare il proprio tempo sembrava essere diventato
più difficile.
Non
gli sarebbe dispiaciuto duellare con Taren, ma sospettava che al
momento l’altro fosse occupato con qualche
Iniziato… Il suo vecchio Maestro, Dooku, era in missione,
così come la gran parte dei Jedi che avrebbe definito amici.
Percependo
una presenza alle proprie spalle, Qui-Gon
accelerò appena il passo.
Non
riuscì ad evitare di provare una fitta di irritazione, e
la rilasciò immediatamente nella Forza. Il Tempio era
così vasto. Possibile che s’imbattessero
l’uno nell’altro così di frequente?
«Maestro
Jinn!»
Sospirando
appena, l’uomo si fermò e si
voltò.
Obi-Wan
Kenobi lo raggiunse in pochi istanti. Sembrava lieto di vederlo.
«Iniziato
Kenobi. Non dovresti essere col tuo
clan?» domandò Qui-Gon, più aspramente
di quanto avrebbe voluto.
Il
suo tono colse il bambino alla sprovvista.
«Io…»
L’uomo
inspirò. «Immagino che ci siano
delle lezioni, adesso» disse, distaccato. «Tu non
hai nessun impegno?»
La
confusione passò sul viso di Obi-Wan. A disagio, il
bambino spostò il proprio peso da una gamba
all’altra. «Stavo… stavo andando a
lezione di storia, veramente…»
«Bene»
tagliò corto Qui-Gon, per evitare
che il suo proposito traballasse di fronte all’espressione
dell’Iniziato. «Allora non dovresti
tardare».
Poi,
senza attendere oltre, si girò e riprese a camminare
lungo il corridoio.
Sentiva
che Obi-Wan era rimasto immobile in mezzo
all’androne, là dove l’aveva lasciato, e
chiuse brevemente gli occhi.
Era
per il bene del bambino, si disse, ma ciò non lo fece
sentire meglio.
«Maestro
Qui-Gon?»
Al
suono di quella voce – adulta e familiare –
Qui-Gon alzò lo sguardo.
Un
uomo biondo e robusto, dal volto liscio e dagli occhi azzurri, gli
indirizzò l’accenno di un inchino.
«Feemor»
lo salutò il Maestro Jedi,
sentendosi piacevolmente sorpreso. «Credevo fossi in
missione».
«Sono
appena tornato» replicò
l’altro. «In verità, ho fatto rapporto
appena un’ora fa».
«E
com’è andata?» Qui-Gon
mosse un passo verso di lui. «Racconta. Hai avuto
successo?»
Un
sorriso si fece largo sul volto di Feemor. «Un successo
completo» affermò l’uomo.
«Tanto da ottenere un elogio dal Maestro Yoda».
Qui-Gon
quasi sorrise. «Allora dev’essersi svolta
alla perfezione».
L’altro
annuì, ed iniziò a raccontare.
Mentre
parlava, i due uomini si spostarono lungo il corridoio.
Rivolgendo qualche domanda a Feemor, Qui-Gon fu avvolto da una
sensazione di cameratismo che riuscì quasi – quasi
– a fargli dimenticare il proprio rimorso nei confronti di
Obi-Wan.
Senza
troppi indugi, lui e l’uomo biondo si aggiornarono
sugli ultimi viaggi compiuti.
Nel
sentire che continuava a svolgere una missione dopo
l’altra, Feemor gli scoccò un’occhiata,
ma non disse nulla.
«Comunque»
confidò alla fine,
«pensavo di iniziare a guardarmi attorno… ad
osservare qualche Iniziato».
Qui-Gon
sbatté le palpebre e si fermò. Sapeva,
però, che Feemor non voleva insinuare nulla; la sua era
semplicemente una schietta confessione.
«Che
ne pensi?» s’informò poi
l’uomo biondo. «È troppo
presto?»
«Troppo
presto?» ripeté Qui-Gon.
«Hai solo tre anni in meno di me…»
«Accidenti»
commentò Feemor.
«Così mi fai sentire vecchio».
Qui-Gon
scosse la testa. «In ogni modo» disse,
onestamente, «credo che tu abbia la stoffa
dell’insegnante. Qualunque Iniziato sceglierai,
sarà un Padawan molto fortunato».
L’altro
uomo gli rivolse un sorriso grato. Poi
tornò serio, e disse francamente: «Sai, Qui-Gon,
io non sono il solo ad essere tagliato per fare il Maestro».
«Lascia
perdere» disse Qui-Gon, ma con gentilezza.
Il suo animo, però, era un po’ dolente, forse
anche a causa del ricordo dell’espressione di Obi-Wan Kenobi.
«Io credo che l’esperienza mi abbia insegnato che
non sono nato per essere un Maestro».
«Con
me hai fatto un ottimo lavoro»
obiettò Feemor.
«Ho
solo completato l’ottimo lavoro fatto dal tuo
vecchio Maestro» lo contraddisse Qui-Gon, e l’altro
scosse la testa.
Senza
una parola, ripresero a camminare.
Qui-Gon
osservò discretamente l’uomo al suo
fianco. Feemor era stato il suo primo allievo.
Lo
aveva conosciuto pochi mesi dopo esser stato fatto Cavaliere.
L’altro aveva appena perso il proprio Maestro in un
conflitto, e temeva di non riuscire a trovare qualcuno che portasse a
termine il suo addestramento.
Avevano
parlato, si erano piaciuti… E Qui-Gon si era recato
subito dal Consiglio, domandando di poter prendere l’altro
come proprio Padawan.
I
primi tempi insieme, in realtà, non erano stati semplici.
Feemor
era riluttante a lasciare che qualcuno prendesse il posto del
suo defunto Maestro, e trovava difficile accettare come guida un
giovane più vecchio di lui di soli tre anni.
Qui-Gon,
però, non si era arreso… Poco a poco, le
riserve di Feemor erano crollate, e lui aveva iniziato a nutrire un
genuino rispetto verso il suo nuovo Maestro.
Dopo
due anni, Feemor era stato fatto Cavaliere, e loro erano diventati
qualcosa di simile a fratelli.
«Ho
sentito che il Maestro Dooku, qualche tempo fa, ha tenuto
alcune lezioni di telecinesi per gli Iniziati» disse
improvvisamente Feemor.
Qui-Gon
lo guardò. «Ma davvero?»
L’idea
di Dooku che insegnava a dei bambini suonava
stranamente divertente, per lo meno alle sue orecchie. E gli sarebbe
sembrata ancor più divertente, se soltanto il pensiero degli
Iniziati non lo avesse portato a ricordare il suo ultimo incontro con
Obi-Wan Kenobi…
Aveva
voluto suonare distaccato per allontanare il bambino, ma ora
avrebbe voluto avergli parlato con meno durezza.
Feemor
annuì. «Non ne sapevi nulla?»
Qui-Gon
riportò di colpo l’attenzione sul suo
interlocutore e scosse la testa. «Se me ne fosse giunta voce,
sarei tornato di gran carriera al Tempio per cercare di
assistere…» affermò, quando
riuscì a recuperare il filo del discorso. «Per
quanto tempo sono andate avanti, queste lezioni?»
L’altro
dovette trattenere un sorriso. «Non lo so
con esattezza» rispose, «ma credo che alla seconda
settimana fosse già stanco…»
«Non
mi stupisce» disse Qui-Gon, per poi aggiungere
con rispetto: «Non fraintendermi, il Maestro Dooku
è stato un grande insegnante… ma non credo abbia
mai amato occuparsi dei bambini».
«Forse
avrebbe preferito cercare di insegnare loro qualche
mossa del Makashi» propose Feemor – quasi tutti, al
Tempio, sapevano qual era la forma di combattimento prediletta
dall’uomo.
«Non
so se avrebbe avuto pazienza con degli Iniziati che
agitano all’impazzata una spada laser» ammise
Qui-Gon.
«Al
contrario di te, che di pazienza ne hai avuta sempre in
abbondanza» replicò Feemor, in un eccesso di
galanteria. «Ricordi quella volta in cui hai sfidato me
e…»
Si
interruppe prima di pronunciare il nome del secondo allievo di
Qui-Gon.
Il
senso di colpa balenò nei suoi occhi.
«Scusami».
Qui-Gon
scosse la testa, rilasciando un respiro pesante. «Non
importa».
Note:
Devo andare in giardino a cercare una buca in cui sotterrarmi?
Chissà se il mio cane può aiutarmi, in tal
senso…
Lasciando perdere la mia enorme
autostima… Dovrebbe esserci
un fumetto (o qualcosa del genere) dell’EU in cui compare un
primo apprendista di Qui-Gon chiamato Feemor.
Io non ho mai letto tale fumetto, ma visto che sono una frana ad
inventare nomi degni dell’universo di Star Wars, ho preso
spunto da quello.
Per finire, il prossimo aggiornamento sarà sabato
5
ottobre…
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Capitolo 5 *** Problemi di meditazione ***
Capitolo 05 – Problemi di
meditazione
Il Maestro Jedi, più
avanti, ebbe altre occasioni di
passeggiare e chiacchierare con Feemor.
Quest’ultimo,
sebbene un po’ trepidante alla
prospettiva di prendere un Padawan, era comunque una compagnia
piacevole.
Un
paio di volte, invitò Qui-Gon a recarsi con lui ad
assistere alle lezioni degli Iniziati, ma l’uomo
declinò cortesemente.
Invece,
andò a duellare con Taren. Ebbe persino la calma
soddisfazione della vittoria, anche se l’amico sostenne
– più o meno scherzosamente – di aver
perso perché i piccoli gli avevano succhiato tutta
l’energia.
Da
parte sua, Qui-Gon continuava ad evitare Obi-Wan Kenobi. Nonostante
la vastità del Tempio, lo vide di sfuggita un paio di volte,
ma si guardò bene dall’avvicinarlo.
E
a dispetto della presenza del suo ex allievo e del suo vecchio amico,
continuava a trascorrere molto tempo in solitudine.
Qualsiasi
cosa facesse, sembrava che il ricordo del suo secondo
apprendista aleggiasse su di lui come un’ombra, e
l’urgenza di andarsene dal Tempio crebbe rapidamente.
Alla
fine, i tre giorni di pausa obbligatoria stavano per volgere al
loro termine.
L’indomani
sarebbe potuto andare dal Consiglio, ad insistere
affinché gli assegnassero un nuovo incarico.
Immerso
nella quiete dei giardini del Tempio, trasse un respiro
profondo, e si alzò dall’erba tenera del prato.
Aveva
meditato in un angolo appartato, nascosto da sguardi indiscreti
grazie a qualche cespuglio in fiore.
Diede
una sistemata alla propria toga, e si diresse verso
l’uscita dei giardini.
Se
la Forza voleva, l’indomani alla stessa ora si sarebbe
trovato in viaggio verso un qualche pianeta dell’Orlo
Esterno… verso un luogo dove c’era davvero bisogno
di lui.
Iniziò
a camminare sul vialetto di ghiaia – lo
stesso che aveva percorso insieme all’Iniziato Kenobi qualche
giorno prima – e si guardò attorno.
Quel
posto gli sarebbe mancato.
Lì,
l’ombra del suo secondo apprendista era meno
opprimente, forse per merito della vasta presenza della Forza
Vivente… o forse perché i giardini non erano mai
stati il posto preferito del ragazzo.
Era
ormai sera, e le luci artificiali si stavano attenuando.
In
giro per i prati era rimasto solo qualche gruppetto di giovani
Padawan e Cavalieri, e una manciata di Maestri.
Per
un improvviso impulso, Qui-Gon guardò verso il
lago… e là, a qualche metro dalla sponda,
intravide una figurina familiare.
Obi-Wan
Kenobi aveva gli occhi chiusi e la schiena dritta, e sedeva a
gambe incrociate sull’erba.
La
sua posa era tra le più adatte alla meditazione, ma
Qui-Gon si fermò automaticamente, percependo che qualcosa
non andava.
La
Forza attorno al bambino non era placida e liberatoria come avrebbe
dovuto, e trasmetteva un sentimento ben diverso dalla
tranquillità: frustrazione.
L’uomo
tese i propri sensi, e comprese senza
difficoltà dove l’Iniziato stava sbagliando.
Anziché accogliere la Forza, Obi-Wan cercava di agguantarla.
Qui-Gon
indugiò un istante, gli occhi puntati sul profilo
del bambino. Provò l’impulso di attraversare il
prato e raggiungerlo, ma si trattenne.
Era
ridicolo. Tre giorni prima, aveva tracciato una linea tra
sé ed Obi-Wan… oltrepassandola, non avrebbe certo
fatto un favore al bambino.
L’Iniziato
Kenobi non era il suo Padawan, né era
sua intenzione che lo diventasse, quindi non spettava a lui fargli
notare i suoi errori.
Certamente,
il Maestro Yoda si sarebbe accorto che il bambino
sbagliava, e ci avrebbe pensato lui ad aiutarlo.
Lentamente,
seppur invaso dal rimpianto, Qui-Gon fece per riprendere a
camminare.
In
quel momento, però, percepì una nuova emozione
irradiare da Obi-Wan.
Non
frustrazione, bensì… dolore.
Una
pena profonda e angosciosa, di quelle che sanno provare soltanto i
bambini.
Là
sul prato, Obi-Wan teneva gli occhi serrati.
Per
quanto si impegnasse, non riusciva a far sì che la Forza
lo avvolgesse.
Più
si protendeva verso di lei, più lei lo
evitava… Gli sembrava quasi di cercare di afferrare del
fumo: non otteneva altro che striature sulle dita ed una sensazione di
sporco.
Era
inutile. Non ci riusciva.
Non
era abbastanza bravo.
Stava
fallendo, e avrebbe fallito sempre.
Dal
nulla, una mano si posò fermamente sulla sua spalla.
Obi-Wan
trasse un respiro brusco, ed una voce profonda parlò
con gentilezza accanto al suo orecchio: «Con calma».
Il
bambino ebbe un sussulto di sorpresa: la persona accanto a lui era
il Maestro Qui-Gon.
Obi-Wan
tenne gli occhi chiusi, mentre il suo sbigottimento si
trasformava in una sensazione più calda, ed il peso che
aveva sentito sullo stomaco si alleggeriva notevolmente.
«La
Forza è già con te, Obi-Wan. Devi
solo rilassarti».
Senza
farsi domande, il bambino si affidò a quella voce,
facendo come gli suggeriva. La sua posa si allentò, la
tensione abbandonò le sue spalle nel tempo di un respiro.
«Non
devi cercare di abbrancarla»
continuò la voce del Maestro Jinn. «Più
cerchi di stringere la presa su di lei, più lei ti
sfuggirà. Lascia che la Forza ti avvolga, Obi-Wan. Non
essere impaziente. Aspettala, abbi fede in lei».
E
così, Obi-Wan aspettò, fidandosi… E
dopo un istante eccola, la pace che aveva tanto cercato. Lo
avviluppò come una coperta, scacciando le sue inquietudini.
Quando
il bambino aprì gli occhi, girò la testa
verso Qui-Gon. L’uomo era inginocchiato dietro di lui, ed
aveva ancora una mano sulla sua spalla.
Obi-Wan
si limitò a guardarlo, senza sapere cosa dire. Aveva
avuto l’impressione che l’altro non volesse avere
più niente a che fare con lui.
Lentamente,
il Maestro Jedi gli rivolse un sorriso di approvazione.
«Hai visto? Ce l’hai fatta».
Il
bambino non poté non sorridere di rimando.
«Grazie» sussurrò, riconoscente.
Qui-Gon
gli strinse brevemente la spalla, quindi tolse la mano.
«Di niente».
Obi-Wan
si dispiacque per la fine di quel contatto, ma non disse nulla.
L’uomo
si alzò in piedi, e dopo un istante
l’Iniziato lo imitò. Si pulì le mani
sfregandole tra loro, poi sollevò due occhi esitanti su
Qui-Gon.
L’uomo
lo stava scrutando. «Ti capita
spesso… di avere problemi con la meditazione?»
Obi-Wan
si morse il labbro. Per qualche motivo, non voleva deludere
quell’uomo… ma mentirgli sarebbe stato peggio,
così annuì. «Sì, Maestro
Jinn. Sbaglio… sbaglio sempre qualcosa».
Qui-Gon
lo osservò in silenzio per qualche istante.
“La missione” pensò. E poi:
“È meglio evitare di farmi coinvolgere
troppo”.
«Che
programma hai, per domani, Iniziato Kenobi?»
si sentì chiedere.
Il
bambino lo guardò. «Avrò lezioni
sulla Forza al mattino, sulla storia e la politica a
mezzodì, e allenamenti nel pomeriggio».
Qui-Gon
annuì consapevolmente. Sapeva che Obi-Wan stava
aspettando che lui parlasse, ma per un po’ rimase in silenzio.
Che
cosa stava facendo, in nome della Forza? Lui doveva partire
l’indomani, non poteva… No, in realtà
poteva. Più che altro non voleva.
Perché
ogni Iniziato – persino Obi-Wan –
sembrava ricordargli dolorosamente il suo secondo apprendista. Sembrava
ricordargli che persino quel giovane rancoroso era stato un bambino, ed
aveva avuto fiducia in lui.
In
quel momento, però, tutta la sua cautela, tutto il suo
disagio nel sentire l’ombra del suo ultimo
allievo… Sbiadivano, di fronte al bisogno d’aiuto
di Obi-Wan Kenobi.
Chiuse
un istante gli occhi. «Che ne diresti di venire nel
mio alloggio, domani sera?» propose, quando li
riaprì. «Potrei aiutarti a meditare
meglio».
Obi-Wan
si immobilizzò, come se stentasse a credere a
ciò che sentiva. «Mi piacerebbe molto»
rispose, d’impulso, «se non è un
disturbo. Maestro Jinn».
Qui-Gon
annuì lentamente. «Allora siamo
d’accordo» disse. «Parlerò io
con il Maestro Yoda».
Insieme,
si diressero verso il sentiero, e lo percorsero in silenzio
sino all’uscita dei giardini.
«Che
la Forza sia con te» disse a quel punto
Qui-Gon, rivolto all’Iniziato.
Obi-Wan
si inchinò rispettosamente. «E con te,
Maestro Jinn».
Poi,
con un sorriso fugace, si voltò e si diresse in
direzione delle stanze degli Iniziati, mentre Qui-Gon si recava verso
il proprio alloggio.
Il
pomeriggio successivo, Qui-Gon intercettò il Maestro Yoda
mentre quest’ultimo usciva da una saletta
d’allenamento.
«Neanche
che io vada nella Torre del Consiglio, puoi
aspettare?» lo accolse il vecchio troll, con
un’occhiata carica di disapprovazione.
«Veramente,
mio Maestro, non sono qui per richiedere una
nuova missione».
Yoda
parve di colpo molto più interessato.
«Perché qui tu sei, allora?»
«Vorrei
chiedere il tuo permesso, Maestro, per lavorare con
uno degli Iniziati del Clan del Dragone» rispose Qui-Gon, in
tono formale.
Una
scintilla attraversò gli occhi di Yoda.
«Cambiato opinione, tu hai?»
«No»
rispose Qui-Gon, un po’ seccamente.
«Ho solo notato che lui ha difficoltà con la
meditazione, e credo che potrei aiutarlo».
«Di
quale Iniziato, parlando stai?»
s’informò il Maestro Yoda, anche se
l’uomo sospettava che in realtà lo sapesse
benissimo.
Rispose
brevemente: «Obi-Wan Kenobi».
Yoda
annuì con fare pensoso.
«Sì… sì…
Difficoltà, il giovane Kenobi ha…» Per
un istante, parve riflettere, e le sue orecchie si abbassarono appena.
Poi i vecchi occhi verdi del Gran Maestro si alzarono su Qui-Gon.
«Aiutarlo, tu puoi» decretò, con
decisione.
L’uomo
chinò il capo. «Ti ringrazio, mio
Maestro».
«A
lezione da me, tra poco il Clan del Dragone
verrà» aggiunse Yoda. «Assistere,
desideri?»
Qui-Gon
esitò. Poi, però, scosse la testa. Il suo
coinvolgimento con l’Iniziato Kenobi era già
eccessivo… se si fosse messo anche ad osservarlo mentre
combatteva, era probabile che Obi-Wan iniziasse a sperare che Qui-Gon
lo prendesse come apprendista. «No, Maestro».
Yoda
non sembrò sorpreso dalla sua risposta.
«Capisco» disse. «A fine lezione, nel tuo
alloggio l’Iniziato Kenobi manderò».
«Ti
ringrazio» replicò Qui-Gon.
«Che la Forza sia con te, Maestro».
«Che
la Forza sia con te» rispose Yoda.
L’uomo
gli rivolse un mezzo inchino, e si
allontanò a passo spedito sino al proprio alloggio.
Entrò,
ed andò a sedersi sul divano con un
datapad in mano, immergendosi nella lettura senza attendere oltre.
I
suoi pensieri, però, facevano fatica a concentrarsi sulle
parole che gli scorrevano sotto gli occhi, e tornavano continuamente ad
Obi-Wan.
Qui-Gon
non era del tutto sicuro di aver fatto la scelta giusta. La
scelta giusta sarebbe stato continuare ad evitare il bambino…
“Davvero?”
si interrogò
l’uomo. In tal caso, come mai la Forza continuava a
sospingerlo verso l’Iniziato Kenobi?
Probabilmente,
era suo volere che lui aiutasse quel bambino.
E
lui non si era mai sottratto al volere della Forza.
Si
proibì con fermezza, però, di pensare di poter
fare di più, perché fare di più
avrebbe potuto soltanto arrecare danno ad Obi-Wan.
Quando
finalmente udì il trillo che annunciava un
visitatore, Qui-Gon lasciò il datapad sul divano e si
diresse rapido ad aprire la porta.
Obi-Wan
lo salutò con un inchino. «Il Maestro Yoda
mi ha detto di venire qui dopo la lezione».
Qui-Gon
annuì. «Lo so. Entra pure».
Si
tirò indietro, ed il bambino avanzò un
po’ esitante all’interno dell’alloggio.
Era
dal suo fallimento che Qui-Gon non aveva invitato più
nessuno in quelle stanze… Se voleva vedere Taren, o Feemor,
o qualcun altro, si recava nei loro
alloggi.
Obi-Wan
Kenobi, realizzò improvvisamente, era la prima
persona oltre a lui che entrava lì dentro da tre anni, ormai.
Il
bambino si guardava attorno, e nei suoi occhi c’era
più attenzione che curiosità.
Su
una delle pareti più vicine al divano, si apriva una
grande finestra. Qui-Gon guidò Obi-Wan in quella direzione.
Al
di là del vetro, si poteva ammirare una bella porzione
del traffico aereo di Coruscant.
Qui-Gon
si sedette a gambe conserte sotto la finestra, e fece segno al
bambino di mettersi di fronte a lui.
Obi-Wan
obbedì, accomodandosi con cautela sul pavimento.
«Pensavo
di cominciare con qualche esercizio di
respirazione» esordì Qui-Gon, quietamente,
«così che il tuo corpo sia più
rilassato».
«Sì,
Maestro Jinn» concordò
subito Obi-Wan.
L’uomo
lo guardò in viso. «Sai
perché sono importanti, questi esercizi?»
«Il
Maestro Yoda ha detto che ci servono ad imparare a
controllare il nostro corpo» rispose diligentemente il
bambino. «Ha detto che più avanti impareremo anche
come fare per rallentare il battito del nostro cuore».
Qui-Gon
non riuscì a trattenere l’insegnante che
era dentro di lui. «E questo perché è
importante?»
«Perché
il corpo di un Jedi è il suo
strumento, insieme alla spada laser. Bisogna saperlo controllare
bene».
Qui-Gon
lo osservò. «Come mai hai utilizzato la
parola “strumento”?»
Obi-Wan
lo guardò con aria confusa. «Come, Maestro
Jinn?»
«Perché
hai detto “strumento”?
Perché non “arma”?»
Il
bambino, se possibile, parve ancora più confuso.
«Le armi servono per distruggere»
obiettò, come se fosse una cosa ovvia, «e i Jedi
non devono distruggere, devono… devono costruire».
Parve piuttosto soddisfatto di quel collegamento, mentre aggiungeva:
«Gli strumenti servono per costruire».
Qui-Gon
si chiese se Obi-Wan, dopotutto, fosse un usuale frequentatore
degli Archivi… Accantonò quella questione,
però, e spiegò al bambino cosa voleva da lui.
Almeno
in quegli esercizi, Obi-Wan sembrava eccellere, ma non era una
sorpresa, dato che venivano insegnati agli Iniziati sin dalla
più tenera età.
Alla
fine, il respiro di Obi-Wan era tranquillo e regolare, quasi
quanto durante il sonno.
«Bene»
approvò il Maestro Jedi.
«Ora, penso che possiamo cominciare con la
meditazione».
I
modi di meditare erano diversi.
Ai
bambini sui sette anni, come Obi-Wan, veniva insegnata una
meditazione relativamente leggera. A quell’età,
infatti, non possedevano ancora le conoscenze necessarie per
sprofondare nel flusso della Forza senza esserne travolti.
Qui-Gon
ne era ben consapevole, e si comportò di conseguenza.
Obi-Wan
iniziò subito a mostrare le prime
difficoltà.
Il
suo problema, comprese istantaneamente l’uomo, non erano
solo i suoi insuccessi… ma anche il modo in cui reagiva a
questi insuccessi.
Non
appena sbagliava, infatti, veniva riempito da una frustrata
impotenza, che ad ogni tentativo andato a vuoto minacciava di
trasformarsi in vero e proprio panico.
Per
calmare il bambino, Qui-Gon dovette tendersi verso di lui e
posargli una mano sulla spalla. «Obi-Wan».
L’Iniziato
sussultò e spalancò gli
occhi. «Mi… mi dispiace, Maestro Jinn»
disse. «Continuo a sbagliare».
Qui-Gon
scosse appena la testa. «Non è
importante» replicò, con fermezza.
«Sbagliare è spesso necessario. È
sbagliando che s’impara».
Il
bambino deglutì. «Allora a questo punto dovrei
aver imparato molto…»
Qui-Gon
si concesse un rapido sorriso. «Infatti hai imparato
molto» rispose, guadagnando uno sguardo poco convinto da
parte di Obi-Wan. «Tu capisci già quando sbagli,
ma reagisci male ai tuoi errori. Quindi dobbiamo correggere due cose:
gli errori, e la tua frustrazione. Come primo passo, devi cercare di
dominarla. Accetta l’errore…»
Rifletté un attimo. «Vedila così:
quando sbagli non hai fallito, hai solo scoperto un modo in cui non si
medita».
Obi-Wan
si lasciò scappare un sorriso, e i suoi occhi
splendettero come il mare sotto il sole.
«Hai
capito?» chiese Qui-Gon.
«Sì»
rispose il bambino, per poi
rettificare: «Almeno credo, Maestro Jinn».
L’uomo
gli rivolse un’occhiata incoraggiante.
«Allora riproviamo».
Note:
La frase di Qui-Gon: «quando sbagli non hai fallito, hai solo
scoperto un modo in cui non si medita» è un
adattamento dell’aforisma di Edison:
«Io non ho
fallito duemila volte nel fare una lampadina; semplicemente ho trovato
millenovecento-novantanove modi su come non va fatta una
lampadina» :D
Per il resto, non posso che augurarmi che il capitolo vi sia
piaciuto…
A mercoledì 9 ottobre col prossimo
aggiornamento!
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Capitolo 6 *** Consulenze ***
Capitolo 06 – Consulenze
Le pecche di Obi-Wan,
però, non potevano essere corrette in
una sola lezione.
Così,
Qui-Gon prolungò la propria permanenza al
Tempio, e la sera – dopo l’ultima lezione della
giornata – il bambino si presentava nel suo alloggio, dove
rimaneva sino all’ora di cena.
Obi-Wan
era un buon allievo, volenteroso ed obbediente.
A
dirla tutta, talvolta Qui-Gon avrebbe voluto che il bambino
contestasse qualcuna delle sue disposizioni, e soprattutto gli sarebbe
piaciuto vederlo più indipendente da quelle regole e da
quelle lezioni che sapeva ripetere tanto bene.
In
fondo, però, l’Iniziato aveva solo sette anni;
era logico che la sua autonomia fosse ancora tutta da svilupparsi.
«Maestro
Jinn?» chiamò Obi-Wan, alla
fine della quarta lezione. «La Maestra Yula mi ha chiesto di
riferirti che le piacerebbe parlare con te».
Qui-Gon
increspò la fronte. «La Maestra
Yula?»
«È
uno dei supervisori del mio clan»
spiegò il bambino.
«Capisco»
disse l’uomo, in tono asciutto.
Obi-Wan
lo guardava con tutta l’aria di essere seduto in un
roveto. «Credi che non le stia bene?» chiese a
bruciapelo. «Che io venga qui la sera, voglio dire».
Effettivamente,
Qui-Gon si era domandato se i supervisori del Clan del
Dragone vedessero di buon occhio quelle lezioni.
Dopotutto,
dovevano esserci
altri Iniziati che avevano
difficoltà con la meditazione. Era giusto che Obi-Wan Kenobi
ricevesse un ulteriore aiuto?
Per
lui, francamente, l’importanza di quella domanda era
relativa.
Ciò
che contava, era che davanti a lui c’era un
bambino che aveva bisogno d’aiuto… Voltargli le
spalle sarebbe stato intollerabile.
Era
vero: due giorni dopo averlo conosciuto, Qui-Gon aveva cercato di
allontanare il bambino, ma allora pensava che fosse meglio in quel
modo. Che Obi-Wan non avesse alcun bisogno di lui.
Ora
la situazione era cambiata.
Accorgendosi
che l’Iniziato stava aspettando la sua risposta,
l’uomo gli fece notare: «Non la conosco nemmeno.
Come potrei intuire la sua opinione?»
«È
vero». Obi-Wan si morse il labbro
inferiore, chiaramente ansioso.
«Non
preoccuparti prima di quando sia necessario»
lo ammonì allora il Maestro Jedi. «È
inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta».
Il
bambino parve un po’ imbarazzato. «E se non le
andasse bene?» si lasciò scappare.
Qui-Gon
aggrottò la fronte. Durante quelle lezioni, era
incoraggiante quanto bastava, ma cercava di non portare il suo rapporto
con Obi-Wan ad un piano troppo personale, e teneva le loro
conversazioni incentrate sulla meditazione… Ma
l’Iniziato sembrava davvero inquieto al pensiero di non avere
più appuntamento col Maestro Jedi.
«Se
non le andasse bene…»
L’uomo lanciò uno sguardo ad Obi-Wan, poi, deciso
a non promettere nulla, affermò: «Penseremo al
problema quando il problema si porrà».
«Sì,
Maestro Jinn» mormorò il
bambino.
«E
quando e dove vorrebbe incontrarmi, la Maestra
Yula?» indagò l’uomo.
«Domani
dopo l’ora di pranzo, nel suo
alloggio» rispose diligentemente il bambino, per poi dare a
Qui-Gon le indicazioni necessarie.
Dalla
sua espressione concentrata, pareva che le avesse imparate a
memoria.
Il
Maestro Jedi annuì. «Molto bene»
disse, «fa’ sapere alla tua Maestra che
sarò lieto di parlare con lei».
«Sì,
Maestro Jinn» rispose Obi-Wan, ma
sembrava ancora un po’ preoccupato.
L’uomo
si alzò in piedi. «Penso sia ora
di cena, ormai… E non vorrei farti perdere il
pasto».
Obi-Wan
si tirò su a propria volta.
«Sì» disse, e poi: «Grazie per
la lezione, Maestro Jinn».
«Di
nulla» replicò Qui-Gon.
Lo
accompagnò sino alla porta, e tenne gli occhi sul bambino
fino a quando quella sua testolina arruffata non scomparve dalla sua
vista.
Così,
il giorno successivo, Qui-Gon si recò alla
porta della Maestra Yula.
Quest’ultima
era una donna dal fisico atletico, con lunghi
capelli neri che teneva raccolti in una crocchia, e lo accolse con
grande cortesia.
Lo
fece accomodare sul divano, e gli offrì un tè
caldo mentre iniziavano a parlare.
«Allora»
esordì lei, quando ebbe preso
una tazza anche per sé, «come se la cava il
piccolo Kenobi?»
Il
Maestro Jedi rispose con onestà: «Ha ancora
delle difficoltà, ma impara in fretta».
La
donna parve quasi compiaciuta. «Sì,
è un ragazzino brillante. Penso che il Maestro che lo
prenderà come Padawan sarà molto soddisfatto
dalla sua intelligenza».
Qui-Gon
la fissò da sopra la propria tazza, ma il commento
della Maestra Yula non pareva un modo per chiedergli se voleva prendere
Obi-Wan come apprendista.
«Lo
penso anch’io» si
arrischiò perciò a rispondere.
«In
effetti» disse lei, scrutando con aria assorta
dentro alla propria tazza, «c’è chi
sospetta che il Maestro Yoda abbia messo un occhio su di
lui». Sollevò lo sguardo sull’uomo e
sorrise. «Forse vorrà attendere ancora qualche
anno… ma ormai, il piccolo Kenobi ha proprio
l’età giusta per essere preso. Anche il giovane
Cin Drallig sembra pensarla così, e lui conosce molto bene
il Gran Maestro».
Qui-Gon
si accorse di essersi immobilizzato, e chinò il viso
per prendere un sorso di tè.
Conosceva
il ragazzo a cui aveva accennato la Maestra Yula; Cin Drallig
era un Umano ventunenne, dai capelli scuri, col naso un po’
largo e gli occhi luminosi, molto bravo nel combattimento.
Era
ancora un Padawan, ma spesso riceveva lezioni di spada dal Maestro
Yoda in persona.
Ciò
che aveva preso Qui-Gon alla sprovvista, piuttosto, era
l’ipotesi che Yoda avesse intenzione di prendere Obi-Wan come
allievo.
D’altra
parte, Taren gli aveva detto che tra il bambino ed il
vecchio troll sembrava esserci un rapporto speciale…
Si
scrollò di dosso quei pensieri.
Yoda
era un grande Maestro. Se era vero che intendeva allenare
personalmente Obi-Wan, lui avrebbe dovuto rallegrarsi per il bambino.
Ma
non riusciva a liberarsi dell’idea che il Maestro Yoda
avrebbe incoraggiato l’obbedienza dell’Iniziato,
così come il suo legame con la Forza Unificante…
e questo non gli piaceva del tutto.
La
Maestra Yula lo trattenne un altro po’, narrandogli
qualche aneddoto su Obi-Wan. Non sembrava lo facesse per pettegolezzo:
quei racconti parevano uscirle dalle labbra senza che lei ci pensasse.
Alla
fine del loro incontro, la donna lo ringraziò per
l’aiuto che stava dando all’Iniziato, Qui-Gon
ringraziò lei per il tè, si inchinò ed
uscì dall’alloggio.
Nel
corridoio, avvertì immediatamente una presenza
familiare. Aggrottò la fronte, e con un paio di ampie
falcate svoltò l’angolo… sorprendendo
un bambino dai capelli ramati e gli occhi chiari.
«Iniziato
Kenobi».
Obi-Wan
ebbe un sussulto colpevole, ma fu svelto a nasconderlo.
«Salve, Maestro Jinn» lo salutò, in tono
sin troppo innocente.
«Adesso
dovresti essere davvero col tuo clan, o mi
sbaglio?»
Il
bambino si fissò i piedi, quindi rialzò gli
occhi. «Volevo sapere cosa ti ha detto la Maestra
Yula» ammise.
Qui-Gon
non ne fu affatto sorpreso. «Mi ha chiesto come
stanno andando le nostre lezioni, e mi ha ringraziato per
l’aiuto che ti sto dando».
Obi-Wan
parve sollevato. «Vuol dire che posso continuare a
venire?»
«Puoi
continuare a venire» confermò
l’uomo. «Ora, però, dovresti tornare dai
tuoi compagni di clan…»
«Va
bene, Maestro Jinn» si sottomise il bambino, ma
prima di scappar via gli rivolse un sorriso luminoso… forse
un po’ impertinente?
Qui-Gon
lo seguì con lo sguardo. Obi-Wan era piccolo per la
sua età, e quando si trovava negli ampi corridoi del Tempio
sembrava ancora più minuscolo.
L’uomo
scosse appena la testa, e si recò a cercare
Taren.
Quest’ultimo,
naturalmente, si trovava nella
palestra… A quell’ora del giorno,
c’erano anche alcuni Jedi che si allenavano a coppie.
«Sei
qui per duellare?» gli chiese Taren, senza
preamboli.
«Penso
che sarebbe un buon modo per passare il tempo,
sì» confermò Qui-Gon.
L’amico
gli rivolse un’occhiata indecifrabile.
«A proposito di passatempi» replicò,
«ho sentito che trascorri preziose ore delle tue serate con
Kenobi».
«Ha
problemi con la meditazione» rispose Qui-Gon,
impassibile. «Io gli do qualche suggerimento, così
che non ne abbia più».
Taren
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Obi-Wan
Kenobi non è il primo Iniziato ad aver problemi con la
meditazione, né sarà
l’ultimo» osservò, «ma da
quanto mi risulta è l’unico a cui tu abbia deciso
di dare i tuoi suggerimenti».
Qui-Gon
non aveva intenzione di discutere di quell’argomento.
Con naturalezza, portò una mano alla propria cintura.
«Riguardo al duello?» chiese.
«Riguardo
al duello mi dispiace, sono prenotato»
ribatté Taren. «Devo aiutare due bambini del Clan
del Katarn… E il Padawan Drallig mi ha già
chiesto se più tardi posso duellare con lui».
Metaforicamente
parlando, Qui-Gon drizzò le orecchie.
«Il Padawan Drallig?»
«Già»
disse Taren, un po’
laconico. «Dovresti vederlo combattere. È
bravo».
«Ricordo
che studiava lo stile Ataru…»
Un’ombra
di sorriso comparve sulle labbra di Taren.
«Sei rimasto nel passato, amico mio. Di questi tempi, Cin
Drallig padroneggia bene le basi dei primi quattro stili».
Qui-Gon
tacque, colpito. «La pratica col Maestro Yoda sta
dando i suoi frutti…»
«Quello»
concordò Taren,
«più il fatto che il ragazzo è uno
spadaccino nato. Penso che, dopo essere diventato Cavaliere,
arriverà persino ad imparare la settima forma di
combattimento».
Qui-Gon
si concesse un attimo di silenzio pensoso. La settima forma, lo
Juyo, era accuratamente evitata da gran parte dei Jedi, e coloro a cui
veniva insegnata erano selezionati con attenzione.
Questo
perché, a differenza degli altri stili di
combattimento, lo Juyo richiedeva di far leva sulle proprie emozioni
per rendere gli attacchi più vigorosi… E
ciò conduceva al rischio di passare al Lato Oscuro.
Qui-Gon
tornò a concentrarsi su Taren. «Non temi
che possa sottrarti il posto di Maestro d’Armi?»
«Certo
che me lo sottrarrà»
replicò l’altro, imperturbabile. «Ma
credimi, non sarà tragico dovergli cedere il ruolo.
Così sarà lui a divertirsi con gli
Iniziati…»
Qui-Gon
sorrise appena. «Ho il sospetto»
commentò poi, «che il Maestro Dooku non
approverebbe la versatilità di Drallig. Lui è
dell’opinione che un Jedi debba imparare bene un solo stile,
quello che più gli si addice. Dilettante in tutte, esperto
in nessuna… questo sostiene».
«Il
Maestro Dooku è difficile da
compiacere» osservò Taren. «Riguardo
Drallig, non fatico a immaginare cosa lo spinga ad immergersi con tanta
devozione nello studio del combattimento con la spada laser. Essere
l’allievo del suo Maestro non sembra molto
eccitante».
«Vale
a dire?» chiese Qui-Gon.
«Non
conosci il Maestro di Cin Drallig?»
domandò l’altro. «Ha una sessantina
d’anni, una passione smodata per i nostri Archivi, e va
raramente in missione. Va bene che il vecchio troll non si fa pregare
ad istruire Drallig, ma tra le lezioni agli Iniziati e le sedute del
Consiglio, non ha poi tutto questo tempo libero. E così, a
quel povero ragazzo, non resta altra scelta che elemosinare un duello
con altri Jedi».
Qui-Gon
aggrottò la fronte, pensando ad Obi-Wan.
Non
poté fare a meno di tracciare un parallelismo con Cin
Drallig. Visti i suoi doveri al Tempio, anche Yoda andava raramente in
missione. Se Obi-Wan fosse diventato il Padawan del Gran Maestro, si
sarebbe trovato bloccato su Coruscant?
«Non
che il Padawan Drallig si lamenti» aggiunse
Taren. «Devo dire che affronta la situazione con
più serenità di quanto riuscirei a fare io, e
sembra sinceramente felice del fatto che il suo vecchio Maestro
l’abbia scelto come apprendista…»
Già,
pensò Qui-Gon. Era probabile che anche
Obi-Wan sarebbe stato felice, se Yoda lo avesse scelto come allievo.
Dopotutto, era un bell’onore.
«Talvolta»
disse a Taren, «sembri una di
quelle vecchie comari che sanno sempre tutto di tutti».
«Sono
solo un Maestro Jedi che sa guardarsi bene
attorno» replicò l’altro, quasi con
sussiego.
«Oppure
hai trovato degli informatori eccellenti»
commentò Qui-Gon.
«Per
lo meno» rispose Taren, senza pensarci,
«io non faccio affidamento su informatori che il Consiglio
disapprova apertamente e a ragione».
Un
istante dopo, parve pentirsi di quell’uscita, e distolse
lo sguardo.
Qui-Gon,
dal canto suo, aveva capito benissimo a chi si riferiva
l’uomo. «Stai parlando di Daken?»
Con
una certa riluttanza, Taren tornò a guardarlo.
«Sai, Qui-Gon, non ho mai capito come tu facessi a lavorare
con lui» ammise. «Mi dava i brividi».
L’uomo
rimase in silenzio per un istante, mentre alcuni
ricordi si affacciavano alla sua mente.
Aveva
conosciuto il suo informatore dopo aver preso un secondo
apprendista.
Daken
era l’abitante medio dei bassifondi di Coruscant:
famiglia disastrata, scarsa istruzione, fedina penale
tutt’altro che immacolata.
Che
ai Jedi piacesse o meno, però, talvolta era necessario
conoscere qualcuno della sua risma… Daken conosceva bene
la criminalità della capitale galattica. Per forza: si sarebbe potuto dire che ne faceva parte.
Prima
della maggiore età, era stato arrestato diverse volte
per furto. A diciannove anni, era stato coinvolto nell’omicidio
di un adolescente, ma era stato rilasciato dopo aver denunciato gli effettivi assassini, due criminali che il Corpo di Polizia di Coruscant
cercava da tempo d’incastrare.
Qui-Gon
era al corrente di tutto… ma aveva deciso di dare al
suo informatore il beneficio del dubbio.
Primo
di tre fratelli, Daken era cresciuto senza padre, con una madre
alcolizzata che non si era mai curata molto dei propri figli. Non aveva
mai trovato una famiglia adottiva, ed in sostanza aveva trascorso
l’infanzia ad entrare ed uscire dal riformatorio.
Alla
fine, la compassione di Qui-Gon aveva superato il suo orrore nei
riguardi dei gesti compiuti dal ragazzo… E, almeno
all’apparenza, Daken aveva reagito bene alla gentilezza del
Jedi. Si era spesso rivelato un prezioso aiuto, e in un paio di
occasioni gli aveva anche salvato la vita.
Poi,
un anno prima che il secondo apprendista di Qui-Gon lasciasse
l’Ordine, era andato tutto a rotoli.
L’uomo
serrò le labbra. Non amava ricordare quegli
eventi. «A quanto pare» disse, «ho
talento a scegliere i miei informatori tanto quanto ho talento ad
insegnare».
Taren
si accigliò. «Questa storia l’ho
già sentita…»
Qui-Gon
scosse la testa. Non avrebbe dovuto dare una
possibilità a Daken, così come avrebbe dovuto
lasciare che qualcun altro addestrasse il suo secondo allievo.
«Se
assistessi al tuo duello con Drallig»
domandò a Taren, cambiando argomento, «ti
dispiacerebbe?»
L’altro
gli scoccò un’occhiata, poi fece
un cenno di diniego. «Fai come vuoi».
Così,
quando Taren fu tornato dalla sua lezione ai due
piccoli del Clan del Katarn, e Cin Drallig si presentò nella
palestra, Qui-Gon era già lì… Seduto
su una panca con le mani in grembo, osservò tutto il duello.
L’apprendista
era davvero dotato, e riuscì a
duellare abilmente con Taren – un Maestro Jedi che, di fatto,
aveva circa il doppio dei suoi anni e della sua esperienza.
Osservandoli,
Qui-Gon non poté fare a meno di pensare che
non c’era da meravigliarsi, se il Maestro Yoda trascorreva un
po’ del suo tempo ad insegnare a quel Padawan.
Alla
fine del match, Taren e Cin Drallig si avvicinarono alla panchina
dov’era seduto Qui-Gon.
Quando
il ragazzo vide l’uomo, ebbe un sussulto.
«Maestro Jinn» lo salutò, «non
so se vi ricordate di me, sono…»
«Certo
che mi ricordo di te, Padawan Drallig» lo
interruppe Qui-Gon, gentilmente. «E devo dire che,
dall’ultima volta che ti ho visto combattere, il tuo Ataru
è ulteriormente migliorato».
Il
ragazzo sorrise al complimento. «Tuttavia, dubito di
averne la padronanza che ne avete voi… o il Maestro
Yoda…» Fece una pausa. «Vi andrebbe di
duellare con me?»
Qui-Gon
portò una mano alla spada laser, sfiorando il
metallo con le dita. «Sarà un piacere».
Fu
un piacere davvero.
Il
Padawan Drallig era già stanco, e fu Qui-Gon ad
aggiudicarsi il match senza troppe difficoltà, ma il ragazzo
si batté bene e l’uomo rimase abbastanza
soddisfatto.
«Certe
sequenze dell’Ataru sono molto
aggressive» commentò l’apprendista,
asciugandosi un po’ di sudore dalla fronte, «ma
dopotutto è una forma offensiva… e secondo il
Maestro Yoda si adatta bene al mio stile di combattimento».
«Non
ha torto» disse Qui-Gon.
«Mi
chiedo» intervenne Taren, guardando
l’altro Maestro, «se l’Iniziato Kenobi
sarebbe portato per l’Ataru».
L’uomo
lo ignorò, ma Cin Drallig si
voltò verso di lui. «Obi-Wan Kenobi?»
chiese.
Quella
domanda attirò l’attenzione di Qui-Gon.
«Lo conosci?»
Il
giovane annuì. «Certo»
assicurò, con un breve sorriso. Sembrava che per lui fosse
una risposta quasi scontata, ma non si dilungò sul
perché. «Sapevate che c’è chi
crede che potrebbe essere il prossimo Padawan del Maestro
Yoda?»
«L’ho
sentito dire proprio oggi» rispose
Qui-Gon.
«Avevo
interrogato il Gran Maestro in
proposito…» accennò Drallig.
«Gliel’ho proprio chiesto: “È
vero che vuoi prendere Obi-Wan Kenobi come tuo futuro
Padawan?”».
«E
lui cos’ha risposto?» chiese Qui-Gon.
«Ha
risposto a modo suo» rispose il Padawan.
«Certe cose – mi ha detto – non dipendono
solo dalla volontà dei singoli, ma anche e soprattutto dalla
volontà della Forza».
«Sarà
stata un’impresa, capire se si
trattasse di un sì o di un no» osservò
Taren, con l’aria di simpatizzare pienamente col giovane.
«Direi
che è caratteristico del Maestro
Yoda» commentò Qui-Gon.
Cin
Drallig si limitò a scrollare il capo. «Ci
sono abituato, ormai».
Quella
sera, quando si presentò nell’alloggio di
Qui-Gon, Obi-Wan sembrava piuttosto provato.
Poiché,
durante il loro breve incontro di quel pomeriggio,
il bambino gli era sembrato vispo come di consueto, Qui-Gon suppose che
la lezione di Yoda fosse stata abbastanza impegnativa.
Fortunatamente,
la meditazione non richiedeva un gran dispendio di
energie… Con un gesto, Qui-Gon invitò Obi-Wan ad
accomodarsi nel solito posto, sotto la finestra.
Il
bambino era quieto, e questa non era una novità, ma
sembrava anche un po’ distratto.
«Iniziato
Kenobi» chiese Qui-Gon ad un certo punto,
«va tutto bene?»
Obi-Wan
lo guardò. «Sì, Maestro Jinn.
Mi sento solo un po’ strano».
«Strano?»
ripeté Qui-Gon, in tono
indagatore. «E da quanto?»
L’Iniziato
sembrò doversi impegnare, per
rifletterci su. «Da… dalla fine della lezione del
Maestro Yoda, mi sembra».
«Avresti
dovuto dirglielo» affermò
Qui-Gon.
«Perché?»
domandò Obi-Wan.
Strizzò gli occhi. «Sono… sono solo un
po’ stanco».
Lui
diceva così, ma la Forza e l’esperienza
sembravano suggerire a Qui-Gon tutta un’altra cosa…
L’uomo
si protese verso il bambino e gli posò una
mano sulla fronte, scoprendola ben più calda di quanto fosse
normale.
«Invece
hai una bella febbre, temo» disse, mentre
Obi-Wan tirava indietro la testa. «Sarà meglio
fare un salto dai Guaritori».
Quando
si alzò, prese un braccio di Obi-Wan per aiutarlo a
sollevarsi a sua volta.
Il
bambino sembrava un po’ frastornato.
«Ma… e la nostra lezione?»
obiettò.
«La
nostra lezione aspetterà che tu sia tornato in
salute» replicò Qui-Gon, guidando Obi-Wan verso
l’uscita dell’alloggio.
L’Iniziato
guardò in su, verso il volto del
Maestro Jedi. «Vuol dire che non te ne andrai?»
Qui-Gon
fu sorpreso da quella domanda, o forse dal modo in cui venne
posta. «Di certo non me ne andrò domani»
rispose alla fine.
Obi-Wan
non sembrò molto soddisfatto, ma non aggiunse
nient’altro.
Ben
presto, la sua testa iniziò a ciondolare, e i suoi passi
si fecero più incerti; Qui-Gon, dal canto suo, gli teneva
una mano sulla spalla per guidarlo.
Presero
l’ascensore, e Obi-Wan si poggiò
pesantemente contro il Maestro Jedi, chiudendo gli occhi.
«Obi-Wan?»
lo chiamò Qui-Gon.
«Mi
fa male la testa» mugolò il bambino,
premendosi una mano contro le palpebre.
«Siamo
quasi arrivati» lo confortò
l’uomo.
Le
porte dell’ascensore si aprirono, e i due uscirono,
arrivando alle Sale dei Guaritori.
Obi-Wan
doveva essere davvero una faccia nota, da quelle parti.
L’apprendista dietro al bancone della reception, infatti, non
parve per nulla sorpreso di vederlo.
«Il
Guaritore Von Le è in
ambulatorio…» si limitò a dire.
«Seconda porta a destra».
Qui-Gon
annuì, e guidò Obi-Wan dove indicato.
La
stanzetta in questione comprendeva un lettino e una piccola
scrivania. Dentro c’era solo il Vultan, che gettò
ad Obi-Wan uno sguardo quasi rassegnato.
Aiutò
il bambino a sedersi sul lettino, e gli
sentì la fronte col dorso della mano.
Obi-Wan
aveva le dita strette ad un lembo della toga di Qui-Gon,
così l’uomo dovette star fermo lì
accanto.
«Ha
detto che si sente strano da un po’ di tempo, e
mentre venivamo qui ha iniziato a fargli male la testa»
spiegò al Guaritore.
Von
Le annuì, e visitò rapidamente il bambino.
«Influenza» fu il verdetto. «È
una forma virale che è in giro in questi
giorni…»
Obi-Wan
alzò su di lui i propri occhi. «Devo
restare qui?» chiese, con una manifesta mancanza di
entusiasmo.
«Lo
preferirei» gli rispose Von Le, con franchezza.
«Ma non preoccuparti: la febbre e gli altri sintomi
dovrebbero passare in quattro giorni al massimo».
Il
bambino non sembrò trovarlo un lasso di tempo
trascurabile, e strinse la presa sulla toga di Qui-Gon.
Gli
occhi di Von Le balenarono per un istante sulla mano di Obi-Wan.
«Vediamo di sistemarti in una delle stanze» disse
poi. «Informerò la Maestra Yula che il Maestro
Jinn ti ha portato qui».
Dopodiché
lui, Qui-Gon ed il bambino uscirono in corridoio.
Von
Le li fece entrare nella prima camera libera… Qui-Gon
prese subito nota dell’ambiente: un letto dalle lenzuola
immacolate, un paio di sedie per eventuali visitatori, alcuni monitor
spenti.
Siccome
il Guaritore aveva da fare, lui restò per aiutare
Obi-Wan a cambiarsi nel camice azzurro chiaro dei pazienti…
La
febbre si era alzata: la pelle del bambino era diventata bollente, e
lui tremava come una foglia.
Si
raggomitolò subito sotto le coperte, e Qui-Gon gli
passò una mano sulla schiena inarcata. «Dovresti
distenderti» gli suggerì.
Battendo
i denti, Obi-Wan gli lanciò uno sguardo con due
occhi arrossati.
«Se
ti distendi» disse allora l’uomo,
«il sangue circola meglio… e dovresti
scaldarti».
Un
po’ riluttante, il bambino seguì il consiglio
dell’uomo… All’inizio, rabbrividiva
quasi convulsamente, ma poco a poco i tremiti si attenuarono.
«Maestro
Jinn» chiese il bambino, «puoi
spegnere la luce? Mi dà fastidio».
Un
gesto dell’uomo, e la stanza si oscurò.
Qui-Gon
era chino sul bambino e, quando si sollevò, si
accorse che Obi-Wan aveva nuovamente chiuso una mano sulla sua toga.
«Iniziato
Kenobi…» iniziò.
«Puoi…
puoi restare?» implorò
il bambino. «Solo un po’. Per favore».
Qui-Gon
esitò, una mano su quella di Obi-Wan, già
pronta a staccare quelle piccole dita dalla stoffa scura. Lentamente,
l’uomo si sedette sul bordo del letto. «Va
bene».
Quasi
un’ora più tardi, Obi-Wan si
addormentò.
Qui-Gon
si alzò con cautela, continuando a guardare verso il
letto. Contro il cuscino, poteva vedere la sagoma della testa del
bambino.
Piano,
gli sfiorò la nuca, quindi si raddrizzò e
se ne andò in silenzio.
Note:
Mmm. Capitolo chilometrico, introduzione di altri
personaggi… Siete ancora vivi?
Cin Drallig fa la sua – brevissima
– comparsa nel
terzo film: interpretato da Nick Gillard (il coordinatore degli stunt
della nuova trilogia), è uno dei Jedi che Obi-Wan vede nelle
registrazioni di sorveglianza del Tempio… E, da quanto ho
capito, deve avere un ruolo più consistente nel videogioco
de “La vendetta dei Sith”…
Un grazie a tutti coloro che leggono!
(Per inciso, qualsiasi recensione sarebbe riverita come se si trattasse
di George Lucas in persona u.u)
A martedì 15 ottobre!
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Capitolo 7 *** Livello di coinvolgimento ***
Capitolo
07 – Livello di coinvolgimento
Il giorno successivo, Qui-Gon
cercò di tenersi lontano
dall’Ala dei Guaritori.
Il
suo livello di coinvolgimento con quell’Iniziato stava
diventando troppo alto… Per il bene del bambino, avrebbe
fatto meglio a tenersi alla larga.
Aveva
forse dimenticato il suo secondo apprendista? Voleva forse che
anche Obi-Wan Kenobi si ritrovasse con nient’altro che una
manciata di sogni infranti?
Quel
pensiero lo fece fremere. No, si rispose. Certo che no.
Il
ricordo del malessere del bambino, però, continuava a
martellargli in testa… e nel pomeriggio gettò ai
rovi le proprie riserve e decise di andare a vedere come stava
l’Iniziato.
Obi-Wan
era seduto sul letto, i cuscini arrangiati in modo da
sorreggergli la schiena, ed aveva un’espressione piuttosto
demoralizzata. Ciononostante, sembrò illuminarsi non appena
vide il Maestro Jedi.
«Come
stai?» gli chiese Qui-Gon, tenendosi ben
lontano dalla sedia accanto al letto del bambino.
Voleva
sottolineare che la sua visita sarebbe stata breve,
così rimase in piedi.
«Mi
annoio» rispose Obi-Wan, sconfortato.
«E adesso mi fa male anche la gola».
Qui-Gon
ripensò alla riluttanza del bambino ad ammettere le
proprie debolezze. A quanto pareva, era rassegnato all’idea
di non poter nascondere un’influenza.
«Sembri
più lucido di ieri sera»
commentò. «La febbre si è abbassata, o
sbaglio?»
«Lo
ha fatto» ammise il bambino, «ma
secondo il Guaritore Von Le non è niente di straordinario, e
non ha voluto dimettermi. Ha detto che di solito di giorno la febbre
è più bassa, ma è probabile che
stanotte…» Fece una pausa eloquente.
«Capisco»
sospirò Qui-Gon. «Se
non altro, sei in buone mani».
«È
vero» concordò Obi-Wan,
alzando uno sguardo curioso sull’uomo. Dopo qualche istante,
volle sapere: «Tu ti ammali mai, Maestro Jinn?»
La
domanda era così candida che l’uomo
rischiò di farsi sfuggire un sorriso.
«Sono
un adulto» replicò. «Mi
ammalo sì, ma più raramente rispetto a quando
avevo la tua età».
Per
un istante, Obi-Wan parve impegnato a immaginare Qui-Gon da
bambino, poi guardò verso il soffitto. «Allora non
vedo l’ora di diventare adulto».
«Non
avere troppa fretta» gli disse Qui-Gon, con
una certa tristezza. «Essere adulto ha anche i suoi
svantaggi».
«Ad
esempio?» domandò Obi-Wan.
“Ad
esempio, finché sei bambino è
improbabile che tu conosca il tradimento, o il fallimento”.
«Ad
esempio, i capelli ingrigiscono e iniziano a sbiancare,
mentre i muscoli perdono elasticità» rispose
Qui-Gon.
Il
bambino si accigliò. «No» disse, con
sicurezza, «questo succede ai vecchi. Non agli
adulti».
Qui-Gon
lo guardò, divertito. «Dunque tu fai
distinzione tra le due categorie» commentò.
«E io in quale mi trovo, se posso chiedere?»
Obi-Wan
non ebbe la minima esitazione. «In quella dei
vecchi».
Un
sorriso ammorbidì i lineamenti leonini
dell’uomo. «Ma davvero?»
domandò lui, in tono divertito. «Allora non oso
immaginare di che categoria faccia parte il Maestro
Yoda…»
Il
bambino ci pensò su. «Be’»
disse infine, giocherellando con l’orlo del lenzuolo,
«penso che il Maestro Yoda dovrebbe avere una categoria tutta
per lui».
«La
categoria dei troll?»
s’informò Qui-Gon.
Obi-Wan
lo fissò con espressione sbalordita.
«Ecco…»
Qui-Gon
percepì il suo smarrimento nel mancare di rispetto
al Maestro Yoda, e scosse la testa. «Non importa»
disse.
Il
bambino lo guardò come per valutarlo. «Ti ho
offeso, quando ho detto che sei nella categoria dei vecchi?»
L’uomo
avanzò di un passo verso il letto.
«Certo che no» assicurò.
«Perché
non è vero» ci tenne
a precisare Obi-Wan. «Sei in quella degli adulti, in
realtà».
Qui-Gon
si ritrovò a sorridere di nuovo. «Senza
dubbio, questo mi fa sentire molto meglio»
commentò.
Il
bambino abbozzò un sorriso, poi emise un sospiro stanco e
la sua schiena affondò più profondamente nei
cuscini.
In
quel momento, l’apprendista di Von Le entrò
nella stanza, le dita verde pallido che reggevano un vassoio. Vedendo
Qui-Gon, si bloccò con aria sorpresa. «Oh, Maestro
Jinn… non sapevo che foste qui».
«Venite
pure» replicò l’uomo,
«stavo per andarmene».
Obi-Wan
sbatté le palpebre, e la sua espressione si fece
delusa. «Vai via?»
«Penso
che adesso tu debba mangiare qualcosa,
Obi-Wan» rispose Qui-Gon.
«Esatto»
confermò la Duros,
avvicinandosi al letto del bambino.
Vedendo
la minestra e la purea che riempivano i piatti, Obi-Wan
arricciò il naso. «Non ho fame»
dichiarò.
«Cerca
comunque di mangiare un po’» disse
la giovane.
Qui-Gon
protese i sensi verso Obi-Wan, e quando percepì lo
stordimento dato dalla febbre, il bruciore della sua gola e la mollezza
del suo stomaco, non si meravigliò affatto della mancanza di
appetito del bambino.
«Iniziato
Kenobi…» insistette
l’apprendista Guaritrice.
«Obi-Wan»
intervenne l’uomo,
«tu vuoi rimetterti in forze, giusto?»
Lo
sguardo del bambino si spostò su di lui.
«Giusto» rispose controvoglia l’Iniziato,
che probabilmente si aspettava un trabocchetto.
«Lo
immaginavo» disse l’uomo.
«In questo caso, faresti meglio a mangiare. Senza cibo,
è probabile che impiegherai più tempo a
guarire».
Il
bambino spostò gli occhi sul piatto, e
sospirò.
«D’accordo…»
Qui-Gon
gli lanciò uno sguardo d’approvazione.
«Molto bene» disse.
«Che
la Forza sia con te» gli augurò
Obi-Wan.
«E
con te» replicò Qui-Gon, prima di
rivolgere un inchino alla giovane Duros ed uscire dalla stanza.
A
metà strada tra la camera di Obi-Wan e
l’accettazione, incrociò il Guaritore Von Le.
«Maestro Qui-Gon» lo salutò
quest’ultimo. «Stavo andando a cenare…
Vorresti unirti a me?»
L’uomo
indugiò un istante. Alla fine,
però, annuì. «Certo».
Così,
lui ed il Guaritore si diressero nel refettorio. Von
Le era una compagnia abbastanza silenziosa, ma dopo che si furono
accomodati tennero una breve conversazione su alcune ricerche che stava
svolgendo il Corpo Medico dei Jedi.
Avevano
quasi finito di mangiare, quando il Vultan aggrottò
la fronte. «Scusami un momento» disse, rivolto a
Qui-Gon.
Prese
il proprio comlink e si allontanò un poco dal tavolo
per rispondere alla propria apprendista.
Quando
si riavvicinò al Maestro Jedi, disse brevemente:
«Pare che Obi-Wan Kenobi abbia di nuovo la febbre
alta».
«Capisco»
disse Qui-Gon, calmo, anche se una parte
di lui si sentì punta dal pensiero del bambino ammalato.
«Va’ pure».
Von
Le annuì e iniziò ad allontanarsi…
Era ormai uscito dal refettorio, quando il Maestro Jedi si
alzò e gli andò dietro. Il Guaritore gli
lanciò un’occhiata, ma non commentò.
Quando
giunsero sulla soglia della stanza di Obi-Wan, Qui-Gon fu
investito dall’agitazione e dal malessere del bambino.
L’Iniziato
batteva i denti e si teneva rannicchiato su un
lato del letto, sordo alle parole dell’apprendista che
cercava di fargli mandar giù una pillola.
Von
Le fu al fianco del letto in un istante, e dopo un po’ di
tempo riuscì ad attirare l’attenzione del bambino
e a convincerlo ad inghiottire il medicinale.
Con
aria infelice, Obi-Wan affondò il viso contro il cuscino.
Qui-Gon
arrischiò ad avvicinarsi. «Quando dovrebbe
far effetto, quella pillola?» chiese piano, gli occhi puntati
sul bambino raggomitolato.
«È
probabile che domattina starà
meglio» rispose Von Le, nello stesso tono sommesso.
Obi-Wan
continuava ad essere scosso dai brividi, così
l’apprendista Guaritrice si chinò su di lui per
rimboccargli al meglio la coperta.
«Domattina?»
chiese Qui-Gon.
Il
Guaritore lo guardò. «La pillola serve a
combattere il virus, non la febbre. La febbre è un sintomo,
non la causa del malore. È il modo in cui il suo corpo
combatte il virus».
Prima
che Qui-Gon potesse replicare, un altro Jedi si
affacciò alla porta. «Signore?»
chiamò e, per riguardo verso il bambino malato, tenne la
voce ridotta ad un sussurro. «Ci serve una mano».
Von
Le annuì. «Arrivo subito» disse.
Lanciò un’occhiata a Qui-Gon. «Resti tu
con Obi-Wan?»
L’uomo
fece segno di sì senza esitare.
Il
Vultan, allora, si diresse verso la porta, facendo segno alla sua
apprendista di seguirlo.
Rimasto
solo nella stanza, Qui-Gon riportò lo sguardo su
Obi-Wan.
Lo
stress del bambino lo investì come un’ondata
rovente. D’impulso, l’uomo si chinò su
di lui e gli accarezzò la schiena tesa e i capelli madidi di
sudore.
«Calmo,
Obi-Wan» disse, «non è
niente».
Gli
occhi arrossati del bambino lo cercarono, e le sue mani si tesero
ad afferrare la sua toga, per attirarlo più vicino. Qui-Gon
lo lasciò fare.
Quel
che seguì, fu una lunga nottata. Per la maggior parte
del tempo, Obi-Wan si agitò, emettendo qualche lamento,
sudando e tremando dalla testa ai piedi.
Ad
un certo punto, toccando le guance bollenti del bambino, Qui-Gon fu
pressoché sicuro di sentire l’umidità
di alcune lacrime di dolore.
Era
quasi mattino, quando Obi-Wan alzò sull’uomo i
propri occhi pesti e arrossati e farfugliò qualcosa.
Qui-Gon
si fece immediatamente attento. «Cosa?»
domandò, con voce sommessa.
«…altissimo…»
mormorò confusamente il bambino. «…non
avevo capito… nella visione non avevo capito… che
eri così alto…»
L’uomo
sbatté le palpebre, ma a quel punto Obi-Wan
scivolò in un sonno agitato.
A
mezzogiorno stava ancora dormendo, e sembrava finalmente
più tranquillo. Qui-Gon gli sfiorò la fronte, e
notò che la febbre doveva essere scesa.
Da
parte del bambino, percepiva un grosso sfinimento… Tanto
che, se Obi-Wan avesse dormito sino a quella sera, non se ne sarebbe
affatto stupito.
In
silenzio, l’uomo si alzò in piedi. Mosse
qualche passo per sgranchirsi i muscoli indolenziti, poi –
dato che Obi-Wan sembrava star meglio – decise di tornare nel
proprio alloggio.
Dopo
aver messo qualcosa sotto i denti ed essersi un po’
riposato, si trovò a pensare alle parole del bambino.
Aveva
detto di non aver capito che lui fosse così alto. E la
prima volta che si erano incontrati aveva sostenuto che lui avrebbe
cambiato una vita.
Allora
Obi-Wan Kenobi aveva davvero avuto una visione su di lui?
L’uomo
aggrottò la fronte, chiedendosi cosa fare.
Era il caso di reintrodurre l’argomento col bambino?
Altrimenti,
a chi altri avrebbe potuto chiedere qualche chiarimento?
A
Yoda? Taren diceva che Obi-Wan, solitamente, confidava le proprie
visioni al vecchio Maestro…
Dopo
aver riflettuto, Qui-Gon prese la sua decisione. Uscì
dal proprio alloggio, dirigendosi a cercare il Gran Maestro.
Lo
incrociò lungo un corridoio, in compagnia del Padawan Cin
Drallig.
«Maestro
Yoda?» chiamò, avvicinandosi.
«Potrei parlarti un momento?»
Gli
occhi del piccolo Maestro si alzarono su di lui, indagatori. Dopo
un momento, Yoda annuì e si rivolse al giovane Drallig:
«Da soli lasciarci puoi, Cin?»
Il
ragazzo annuì. «Sì,
Maestro».
Rivolse
un inchino ad entrambi, e si allontanò a grandi
passi.
Yoda
attese un momento, poi riprese a camminare, appoggiandosi
pesantemente al proprio bastone. «Parlare di cosa, tu
desideri?»
Qui-Gon
evitò qualsiasi preambolo: «Di Obi-Wan
Kenobi».
«Mmm»
fece Yoda. «Che si è
ammalato, saputo ho. Meglio, si sente?»
L’interessamento
del Gran Maestro era genuino, e Qui-Gon
rispose con onestà: «Questa notte ha avuto la
febbre molto alta, ma verso mezzodì sembrava star meglio.
Ora credo che stia dormendo».
«Passato
la notte al suo capezzale, tu hai, mmm?»
L’uomo
lasciò andare un respiro.
«Sì, Maestro».
Stranamente,
Yoda non ne approfittò per tornare a premere
sul tasto del Padawan. «Successo qualcosa
è?» domandò invece.
Qui-Gon
annuì, incrociando le braccia.
«Sì, in effetti» rispose, mentre si
spostavano lungo il corridoi al ritmo dello zoppicare di Yoda.
«Stanotte, ad un certo punto, ha detto qualcosa sul fatto
che, quando mi aveva visto nella sua visione, non aveva capito che
fossi così alto…»
Yoda
non disse nulla, aspettando che l’altro continuasse.
«E
quando l’ho conosciuto, il giorno del mio
ritorno» disse allora Qui-Gon, «mi aveva detto che
sapeva che avrei cambiato una vita».
Yoda
rifletté, poi annuì tra sé e
sé.
Qui-Gon
attese che dicesse qualcosa. Quando non lo fece, lui
incalzò: «Obi-Wan ti ha detto di aver avuto una
visione su di me?»
Il
Gran Maestro parve ponderare la domanda. «Di una visione,
parlato mi aveva» ammise alla fine. «Di un uomo che
una vita cambiato avrebbe…» Si fermò,
ed alzò su Qui-Gon uno sguardo grave. «Che la
visione su di te fosse, non sapevo».
Allora
era vero.
«Cosa
credi significhi?» chiese Qui-Gon,
aggrottando la fronte. «Obi-Wan mi aveva anche parlato di due
porte, del fatto che solo io avrei potuto scegliere quale
aprire…»
Yoda
si portò una mano pensosa al mento.
«Enigmatico, il futuro è» disse alla
fine. «Indefinite, le visioni del giovane Obi-Wan sono. Dare
un’interpretazione… complicato
è».
L’uomo
sospirò. Per questo preferiva la Forza
Vivente. Era chiara e limpida come un ruscello di montagna, mentre
quella Unificante era buia e burrascosa come un cielo in tempesta.
«A
te, di porte ha parlato» aggiunse Yoda.
«A me, di strade».
La
fronte di Qui-Gon si increspò appena.
Strade
da imboccare, porte da aprire… Obi-Wan doveva aver
usato quelle immagini per meglio spiegare che l’uomo della
sua visione avrebbe dovuto affrontare una scelta importante.
E
in mensa, quel giorno, aveva riconosciuto in Qui-Gon
quell’uomo.
Ma
perché un Iniziato avrebbe dovuto avere una visione su di
lui? C’era qualcosa che lo legava a quel bambino, qualcosa
più grande di entrambi?
Qui-Gon
scosse la testa. Erano domande, quelle, alle quali solo il
tempo avrebbe potuto rispondere.
Se
non altro, la parte peggiore dell’influenza sembrava
essere passata.
Allo
scadere del quarto giorno, Obi-Wan non aveva più la
febbre e la sua gola era guarita. Aveva ricevuto la visita di un
terzetto di Iniziati, della Maestra Yula e del Maestro Yoda, e alla
fine arrivò anche Qui-Gon.
Il
bambino gli chiese subito di poter riprendere le lezioni, e
l’uomo acconsentì.
A
visita conclusa, mentre si dirigeva al suo alloggio, scorse Feemor in
compagnia di una piccola Twi’lek.
Lei
aveva un visino tondo, arancione, due grandi occhi blu, e da uno
dei suoi lekku pendeva una fila di perline.
Qui-Gon
non ebbe bisogno di avvicinare il suo ex apprendista per
chiedere chiarimenti. Per le specie senza capelli, le perline erano
un’alternativa alla treccia da Padawan.
Tenendosi
in disparte, osservò l’uomo biondo
parlare con la ragazzina, ed avvertì una sorta di vuoto allo
stomaco. La
Padawan sembrava avere dieci anni… Il secondo allievo di
Qui-Gon, quando lui l’aveva scelto, ne aveva undici.
Il
silenzio, prima che Feemor potesse accorgersi della sua presenza,
l’uomo si voltò e si allontanò.
Quella
sera, Obi-Wan si presentò da lui, puntuale come al
solito. Aveva l’aria un po’ smunta, ma sembrava
essere tornato in salute.
Qui-Gon,
però, lo colse più volte intento a
guardarlo con una strana espressione, a metà tra lo
scoraggiamento e la ponderazione.
«Qualcosa
non va, Obi-Wan?» gli domandò
alla fine.
Il
bambino sussultò. «No, Maestro Jinn»
si affrettò a rispondere, «è solo
che…»
Esitò,
chiaramente indeciso se continuare o meno.
«Sì?»
lo spronò il Maestro
Jedi.
«Solo
che un’Iniziata è stata presa come
Padawan, oggi» completò il bambino, in un sussurro.
Qui-Gon
annuì lentamente, ripensando a Feemor e alla sua
nuova apprendista. «Lo so».
Le
sue parole parvero riecheggiare in modo strano, ed il silenzio
calò nella stanza.
L’uomo
aggrottò la fronte. Non gli serviva avere
un gran legame con la Forza Unificante, per capire che la situazione
stava andando ad incagliarsi in qualcosa che non gli sarebbe piaciuto.
Alla
fine, Obi-Wan trasse un respiro e alzò i suoi occhi
grigio-azzurri su Qui-Gon. Quando parlò, il suo tono era
rassegnato, a malapena udibile. «Non mi prenderai come
apprendista, vero?»
L’uomo
rimase interdetto. Per qualche istante, non rispose.
«Tu hai un buon potenziale, Obi-Wan»
iniziò poi, lentamente, «e hai anche delle
mancanze. Ti occorre un Maestro che sappia aiutarti a sviluppare il
primo e a correggere le seconde. E questo Maestro non posso essere
io».
Aveva
parlato con calma, e Obi-Wan attese un momento, prima di
replicare. «Dici così perché
è successo qualcosa di brutto col tuo ultimo
allievo?»
Qui-Gon
lo fissò, sentendosi come se fosse stato investito
da un vento gelido. «Cosa?» chiese, più
freddamente di quanto avrebbe voluto.
Il
bambino si ritrasse al suo tono, ma lo guardò in faccia
mentre rispondeva, esitante: «Si dice che è
successo qualcosa di brutto col tuo allievo. Per questo non vuoi
più prendere un Padawan».
Per
un momento, ci fu di nuovo silenzio.
«L’unica
cosa che è successa col mio
allievo» disse poi Qui-Gon, con voce misurata,
«è che io ho fallito
nell’addestrarlo».
Obi-Wan
inghiottì a vuoto.
«Non
ho saputo guidarlo verso il grado di Cavaliere, e questo
è quanto» concluse il Maestro Jedi, in tono
tagliente. «Perciò sì, Iniziato Kenobi,
non credo di essere all’altezza del compito di Maestro, e
penso che tu abbia troppa poca esperienza per convincermi del
contrario».
«Ma
tu mi hai insegnato» obiettò
Obi-Wan. «Mi hai insegnato a meditare, e io sono diventato
più bravo, davvero».
Qui-Gon
attese un attimo, così da rilasciare le proprie
emozioni nella Forza. Quando parlò, cercò di
ammorbidire la propria voce: «Insegnare a meditare non
è come insegnare ad un Padawan. E io non mi sento
all’altezza di quel compito».
Obi-Wan
trasse un respiro tremulo, guardandolo. «Ma a
me…» osò dire, «a me
piacerebbe… tanto… essere il tuo
Padawan».
Qui-Gon
rimase a corto di parole.
Avrebbe
dovuto saperlo. Avrebbe dovuto tenersi lontano da quel bambino.
Ma
non lo aveva fatto, ed ora era successo precisamente ciò
che aveva cercato di evitare.
«Sono
sicuro che riuscirai a trovare un Maestro che sappia
insegnarti al meglio» disse infine.
Obi-Wan
abbassò lo sguardo.
Rimase
immobile a lungo, fissandosi le gambe e mordicchiandosi il
labbro. «E se…» sussurrò poi,
«e se nessuno mi scegliesse?»
«Allora
sarebbe un segno che non è volere della
Forza che tu divenga un Jedi» rispose stancamente Qui-Gon.
Il
bambino non ribatté. Sembrava aver esaurito tutto il suo
coraggio.
Alla
fine, Qui-Gon ruppe il silenzio. «Credo sia ora che tu
vada a cena».
Obi-Wan
alzò la testa, ma evitò lo sguardo
dell’uomo. «Sì, Maestro Jinn».
Si
alzò in piedi, e Qui-Gon lo accompagnò alla
porta. Per tutto il tempo, l’uomo fu sul punto di dirgli
dell’altro, ma rimase in silenzio.
Aveva
già fatto abbastanza danni.
Quando
il bambino se ne fu andato, Qui-Gon andò a sedersi
sul divano. Con un sospiro, affondò il viso tra le mani.
***
Il ragazzo piangeva, ma senza
tristezza né disperazione.
I suoi singhiozzi erano aspri,
rabbiosi, e sembravano farsi strada a
forza nella sua gola.
Qui-Gon gli si avvicinò,
senza desiderare altro che
alleviare la sua pena. «Possiamo sistemare le cose,
Padawan» gli disse, con voce sommessa. «Possiamo
provarci».
I singulti cessarono di colpo, e il
ragazzo sollevò i propri
occhi pesti e arrossati sull’uomo, le tracce delle lacrime
che si seccavano rapidamente sulla pelle delle sue guance.
Il suo sguardo, però, non
cercava né pace,
né consolazione.
«Come?»
sibilò, velenosamente.
«Ho le mani sporche di sangue, vecchio, capisci? No, non lo
capisci. Ho le mani sporche di sangue».
Si era scostato, le labbra tese in
una smorfia quasi feroce.
«E indovina di chi
è la colpa».
Non era una domanda, e Qui-Gon
conosceva la risposta. Il dolore che
sentiva all’altezza del petto
s’intensificò.
Ma non era la propria sofferenza,
quella che voleva cancellare,
così tese una mano verso il ragazzo.
«Non mi toccare! Non
provare a toccarmi, mai. Non
più».
***
La sera successiva, Obi-Wan non si
presentò per la lezione.
Dapprima,
Qui-Gon credette che il bambino fosse in ritardo, anche se prima di
allora era sempre stato puntuale come un cronometro. Poi,
pensò che dovesse raccogliere un po’ di coraggio,
data la conversazione del giorno prima.
Alla
fine, però, quando l’ora di cena
arrivò e passò, l’uomo dovette
arrendersi all’evidenza.
L’Iniziato
Kenobi non sarebbe venuto. Doveva aver scambiato
il suo congedo per un addio.
Qui-Gon
si avvicinò alla finestra, e osservò le
astronavi che volavano nel cielo, gli speeder che sfrecciavano tra gli
edifici di Coruscant.
Trasse
un sospiro.
Sino
a quel momento, non si era reso conto di quanto avesse trovato
piacevoli quelle lezioni che erano entrate a far parte della sua
routine.
Insegnare
ad Obi-Wan non era stato solo un metodo efficace per evitare
di pensare al suo secondo allievo… lavorare con quel bambino
lo soddisfaceva.
Già.
In fin dei conti, non era stato solo lui a prendersi un
posto nel cuore di Obi-Wan.
Anche
quel bambino, poco a poco, si era insediato nel suo petto.
Qui-Gon
si posò una mano stanca sul viso. Forse era il caso
di andare a letto…
Si
diresse verso la propria stanza, e si fermò un istante
davanti a quella che era stata del suo secondo apprendista.
Il
tempo di un respiro, e passò oltre.
Note:
Prima o poi saranno felici, giuro! (Per la serie: non capisco se sto
maltrattando di più Obi-Wan o Qui-Gon, mi sento un mostro!)
Intanto, per rinfrancarvi un po’ lo spirito, vi lascio il
link (qui)
di un’immagine che mi ha fatto ridere sino alle
lacrime…
Ah, oggi è il mio compleanno, i commenti sono sempre regali
graditissimi e ringrazio tutti i lettori di questa storia…
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Appuntamento a martedì 22 ottobre!
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Capitolo 8 *** Amicizia ***
Capitolo 08 – Amicizia
Il giorno dopo, l’uomo si
recò a cercare Obi-Wan.
Non
fu un’impresa molto facile: il Tempio era immenso, e la
presenza del bambino nella Forza non era facilmente rintracciabile come
quella del Maestro Yoda.
Riuscì
a trovarlo solo a mezzogiorno, e lo
intercettò all’uscita del refettorio.
Nel
vederlo, il bambino sgranò gli occhi come se
l’uomo fosse stato un’apparizione… Si
bloccò proprio di fronte a lui, mentre altri Iniziati
sciamavano fuori dalla mensa e li superavano.
«Possiamo
parlare?» chiese Qui-Gon, semplicemente.
Obi-Wan
esitò. I suoi occhi guizzarono verso gli altri
ragazzini, poi tornarono sull’uomo. «Va
bene».
Seguì
Qui-Gon lungo i corridoi, ma teneva gli occhi bassi.
Accorgendosene, l’uomo si sentì dolere il petto.
«Che
ne dici?» domandò. «I
giardini potrebbero essere il posto giusto?»
Il
bambino azzardò un cenno affermativo.
Il
Maestro Jedi, allora, lo guidò sino ai giardini del
Tempio… Non c’era tanta gente, poiché
molti erano ancora a mangiare.
«Sai,
Obi-Wan» esordì Qui-Gon.
«Quel che ho detto l’altro ieri… non
significava che tu non potessi più venire a lezione da
me».
Il
bambino alzò di scatto la testa. Sembrava confuso.
«Ma io… credevo… avevo
capito…»
«Lo
so» disse Qui-Gon. «Ma, vedi, il
fatto che tu non sia il mio Padawan non ti vieta di parlare con
me… né di essere mio amico».
Si
erano fermati in mezzo al viale. Obi-Wan doveva tenere il viso
inclinato verso l’alto per guardare in faccia
l’uomo.
Notando
una volta di più la loro differenza
d’altezza, Qui-Gon ammise tra sé che era bizzarro,
che un quarantaduenne chiedesse ad un bambino di sette anni di essere
suo amico.
«Davvero?»
domandò alla fine Obi-Wan.
Qui-Gon
annuì. «Davvero».
Il
bambino rifletté. «Ma io sono solo un Iniziato
e tu un Maestro» disse poi, «sei sicuro che non ti
annoierai, ad avermi come amico? Sai molte più cose tu di
me».
Qui-Gon
si concesse un breve sorriso. «Non mi
annoierò, ne sono certo». Trasse un respiro.
«E come amico, presumo di doverti delle scuse. Non sono stato
molto gentile con te, l’alta sera».
Obi-Wan
sbatté le palpebre. «Maestro Jinn, non
devi. Non erano affari miei, io…»
L’uomo
lo fermò con un gesto della mano.
«Obi-Wan. Dimmi solo se accetti le mie scuse».
Il
bambino chiuse le labbra e annuì.
«Sì, Maestro Jinn».
Qui-Gon
gli rivolse un cenno del capo. «Ti
ringrazio».
Obi-Wan
sorrise, e ripresero a camminare.
«Maestro
Jinn?» chiese il bambino dopo un
po’. «Tu hai mai visto un Sarlacc?»
L’uomo
gli gettò un’occhiata in tralice,
un po’ sorpreso dalla domanda, e congiunse le mani dietro la
propria schiena. «No, non ne ho mai visto uno»
ammise. «Ma dopotutto è una bestia molto rara. Gli
esemplari di cui si sa qualcosa sono uno su Felucia ed uno su
Tatooine…»
«Tatooine?»
domandò Obi-Wan, in tono
perplesso. «Che pianeta è?»
Qui-Gon
fece un gesto vago. «Non ci sono mai stato»
rispose, «ma so che si trova nell’Orlo
Esterno».
«Oh».
Il bambino tacque per un istante.
«Sul Sarlacc… sai com’è
fatto?»
L’uomo
annuì. «Ne ho visto delle
immagini… È una creatura dotata di tentacoli, con
un’enorme bocca e denti affilati».
Obi-Wan
aggrottò la fronte. «E come
vive?»
«Be’,
dato che sono molto pericolosi e vivono in
zone inospitali, non se ne sa molto. È una bestia onnivora,
che scava dei nidi a forma di pozzo… e attende che un
animale cada nel buco per poter mangiare».
«Ma
se vivono in zone inospitali, non ci devono essere molti
animali pronti a cadere nel suo buco» obiettò
Obi-Wan.
Sì,
pensò Qui-Gon, osservando il bambino, la
Maestra Yula aveva ragione. Chiunque avrebbe preso Obi-Wan come
Padawan, sarebbe stato davvero soddisfatto dalla sua intelligenza.
«A
questo proposito» rispose, «mi sembra
di ricordare che il Sarlacc abbia sviluppato un sistema digestivo che
fa sì che una singola preda gli sia sufficiente per migliaia
di anni…»
Obi-Wan
sembrò rimuginare su quelle parole, poi si
fermò e scosse la testa con aria confusa. «Non
capisco» borbottò.
Qui-Gon
si fermò a propria volta. «Che cosa non
capisci?» chiese.
«Non
capisco perché la prima forma di
combattimento con la spada laser sia chiamata anche via del
Sarlacc» rispose il bambino. «Non potevano
scegliere un altro animale?»
Qui-Gon
sbatté le palpebre. Per un istante, sentì
quasi l’impulso di mettersi a ridere.
In
effetti, lo Shii-cho, la prima forma di combattimento, quella dalla
quale derivavano tutte le altre e che veniva insegnata agli Iniziati,
era chiamato anche via del Sarlacc.
«Hai
ragione» concesse Qui-Gon,
«è stata una scelta infelice».
Obi-Wan
scosse di nuovo la testa. «Almeno non hanno chiamato
così un clan» disse poi, con aria estremamente
seria. «Non penso che mi piacerebbe, far parte del Clan del
Sarlacc».
Qui-Gon
si lasciò sfuggire un sorriso. «Sono
d’accordo».
Il
bambino esitò un istante, poi domandò:
«Tu in che clan eri, Maestro Jinn?»
«Nel
Clan dello Heliost» replicò
l’uomo.
«Oh»
disse Obi-Wan, con un’espressione
che il Maestro Jedi non seppe decifrare.
Quel
momento di silenzio, però, ebbe vita breve, e Obi-Wan
– con fare un po’ cauto, come se temesse di
infastidirlo – pose all’uomo alcune domande sui
pianeti su cui era stato.
Qui-Gon
fu più che lieto di rispondere, e finì
per raccontare al bambino una delle missioni che aveva portato a
termine molti anni prima.
Obi-Wan
era un ottimo ascoltatore, ma rimase piuttosto basito quando
l’uomo ammise di non aver seguito alla lettera le
disposizioni dategli dal Consiglio.
«E
perché no?»
«Perché
era meglio così»
rispose l’uomo.
«Ma
il Consiglio ti aveva chiesto di comportarti in un altro
modo» obiettò il bambino.
Qui-Gon
annuì. «È vero.
Però, vedi, quando mi sono ritrovato sul pianeta, ho
scoperto che avrei fatto meglio ad agire diversamente. Spesso, in
missione, si scopre che le direttive del Consiglio non sono la
soluzione più adatta».
«Ho
capito» disse Obi-Wan, ma non sembrava molto
convinto.
Si
guardarono un po’ attorno, poi il bambino
trasalì. «Maestro Jinn»
chiamò.
L’uomo
si voltò verso di lui.
«Sì, Iniziato Kenobi?»
«Mi
sono appena ricordato che adesso ho lezione col Maestro
Kun…» rispose Obi-Wan, con aria imbarazzata.
«Non
preoccuparti» disse l’uomo,
«va’ pure. Ci vediamo stasera nel mio
alloggio».
Quelle
parole fecero sorridere un poco Obi-Wan. «Ci vediamo
stasera» confermò. «Che la Forza sia con
te, Maestro Jinn».
L’uomo
annuì. «Che la Forza sia con te,
Iniziato Kenobi».
Il
bambino fece un inchino, poi scappò via.
Rimasto
solo, Qui-Gon trasse un profondo respiro. Ora che le cose erano
sistemate, si sentiva meglio.
«Un
buon Maestro, tu sei».
Quel
commento parve giungere dal nulla, ma l’uomo non ebbe
neanche un sussulto. Si limitò a voltarsi, scoprendo il
Maestro Yoda a qualche passo di distanza, intento a fissarlo.
Il
vecchio troll si trovava tra due cespugli, ed aveva
un’espressione impensierita.
«Mi
stavi spiando, mio Maestro?» domandò
Qui-Gon, inarcando un sopracciglio.
Yoda
scosse la testa, unendo le mani sul proprio bastone.
«Meditando poco lontano, stavo» rispose.
«Sentito le emozioni del piccolo Obi-Wan, io ho».
«Capisco»
disse Qui-Gon, senza aggiungere altro.
In
effetti, non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni. Le
aveva sentite anche lui, quelle emozioni…
«Ciò
che col tuo allievo successo è,
colpa tua non è stata» disse Yoda.
Qui-Gon
sbatté le palpebre. Aveva già sentito
quelle parole, e in passato aveva reagito con un’occhiata
muta e con l’andarsene. Stavolta, rimase dov’era.
«Aveva
talento» disse, «sarebbe potuto
diventare un gran Cavaliere Jedi».
«Con
le congetture, nulla si ottiene»
replicò Yoda. «Di fatto, un Cavaliere diventato
non è».
«Di
fatto» rispose Qui-Gon, «non ho
saputo insegnargli. Non mi sono reso conto di quanto la sua
frustrazione stesse crescendo… O meglio, ho chiuso gli occhi
davanti alla sua insoddisfazione. Mi sono detto che doveva essere un
malumore passeggero… Non è stato
così».
«La
causa del suo malumore, tu non sei stato»
affermò il Maestro Yoda.
L’uomo
sospirò. «Lui ha sostenuto il
contrario» rispose. «Quando è esploso,
alla fine… Mi ha detto che era stata colpa mia. Che non
avevo saputo insegnargli. Che ero stato un cieco davanti alle sue
esigenze».
«Esigenze?»
sbuffò Yoda. «Che
esigenze? Un bambino, non era, ma un Padawan Jedi».
«Aveva
ragione, dicendomi che sono stato un cieco»
replicò Qui-Gon. «I segnali erano stati tanti,
Maestro. Nel corso degli anni, ha persino ucciso due criminali
– due persone – che invece avremmo potuto
arrestare. So che nel primo caso la situazione era… critica, e nel secondo per catturarlo avremmo impiegato
più tempo e fatica… ma cosa sono tempo e fatica,
se evitano la morte di qualcuno? Quelle vite sono andate perse per
colpa mia».
«Mmm»
disse Yoda. «Grande frustrazione,
dentro il ragazzo c’era. Troppo voleva. Impossibile era, che
della vita di un Jedi si accontentasse… La sua indole, non i
tuoi errori, la possibilità di diventare Cavaliere gli hanno
precluso».
Qui-Gon
scosse la testa, gli occhi puntati verso un albero poco lontano.
«Molto
diversa, l’indole del giovane Obi-Wan
è» aggiunse Yoda. «Grande desiderio di
diventare un Jedi, il bambino ha. Il suo sentiero, questo
è…»
L’uomo
non rispose, ma aggrottò appena la fronte.
«Cosa vuoi dirmi?» chiese, stancamente.
«Un
tuo fallimento, non è stato» disse
Yoda, pazientemente. «Un grande Maestro, tu sei. Esasperante,
ma grande».
Ciò
detto, si voltò e zoppicò via
senza attendere una replica.
Qui-Gon
sospirò e chiuse gli occhi.
Lui
ed il suo secondo allievo avevano lavorato insieme per otto anni.
Lo aveva visto crescere da un undicenne ad un diciannovenne.
E
ricordava perfettamente il giorno in cui era finito tutto.
Ricordava
che il suo apprendista aveva sgozzato quel nemico
che stavano cercando di catturare… Ricordava di avergli rivolto parole dure, e di
averlo punito col proprio silenzio durante il viaggio in astronave.
Poi,
quando erano giunti al Tempio, nel loro alloggio, lo aveva
rimproverato aspramente.
Il
ragazzo era rimasto immobile ad ascoltarlo, ma i suoi occhi non
avevano mostrato né vergogna né rimorso. Il suo
sguardo era freddo e tempestoso.
Quando
Qui-Gon aveva taciuto, era stato lui a parlare.
Si
era alzato e aveva affrontato il suo Maestro. Lo aveva accusato di
averlo addestrato male, di non avergli insegnato a controllare le
proprie emozioni.
Ora non sarò mai un
Jedi, ed è colpa tua, aveva
sibilato.
Qui-Gon
ricordava ancora il proprio shock di fronte
all’espressione feroce del suo apprendista.
Aveva
cercato di calmarlo, di parlargli, ma il ragazzo non aveva voluto
ascoltarlo. Aveva continuato ad incolparlo, invece, poi era entrato
come una furia nella propria stanza, aveva infilato tutti i suoi averi
in una borsa… e se n’era andato.
Qui-Gon
aveva cercato di farlo tornare, ci aveva provato
davvero… Lo aveva persino visto piangere di rabbia in una
stanza d’albergo, e non aveva desiderato altro che lenire
quella pena… Ma tutti i suoi tentativi di riconciliazione
erano andati a vuoto.
Il
suo secondo apprendista si era presentato davanti al Consiglio, e
aveva lasciato l’Ordine dei Jedi.
Circa
una settimana più tardi, se n’era andato da
Coruscant, senza nemmeno parlare un’ultima volta col suo
vecchio Maestro.
Qui-Gon
chiuse un istante gli occhi.
Le
prime settimane, il vuoto lasciato dove un tempo c’era
stato il suo legame con l’apprendista era stato…
devastante.
Non
riusciva a concentrarsi su nient’altro.
Poi
aveva chiesto una missione al Consiglio. E, appena era rientrato,
ne aveva chiesta un’altra. E un’altra. E
un’altra ancora.
Erano
passati tre anni, da quando il suo allievo se n’era
andato.
E,
in tutto quel tempo, l’unica persona che fosse riuscita a
farlo fermare di sua volontà al Tempio… era stato
Obi-Wan Kenobi.
Note:
Capitolo un po’ corto, lo so… Prometto che mi
rifarò col prossimo :)
Intanto mi auguro di non aver combinato pasticci con Yoda…
il modo in cui parla è un attentato alla salute mentale di
qualsiasi fanwriter… Ma bando alle ciance!
Vorrei ringraziare di nuovo Sylvia Naberrie, chi_lamed
e ilgladiatore99
per le ultime recensioni con auguri di compleanno allegati ^^
E che altro? Grazie a tutti coloro che sono abbastanza coraggiosi da
leggere questa storia, spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto!
A martedì 29 ottobre!
P. S. Oh, già. Il Sarlacc è quella creaturina
adorabile che, ne “Il ritorno dello Jedi”, per poco
non si mangia Luke e compagnia… E sul clan di Qui-Gon non
abbiamo informazioni come su quello di Obi-Wan, così ho
deciso io dove collocarlo (questo mi fa tanto Cappello Parlante).
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Capitolo 9 *** Ritrattazioni ***
Capitolo
09 – Ritrattazioni
Dopo un
po’, Qui-Gon decise di tornare al proprio alloggio.
Stava
camminando lungo il corridoio a passi più pesanti del
solito, quando sentì qualcuno di familiare alle proprie
spalle.
Si
girò, e i suoi occhi individuarono prima Taren e poi
Obi-Wan. Il Maestro Jedi e l’Iniziato erano fianco a fianco,
e il bambino si teneva una mano premuta sulla spalla.
Qui-Gon
andò loro incontro. Taren parve sorpreso di vederlo,
mentre Obi-Wan s’illuminò.
«Cos’è
successo?»
domandò Qui-Gon, senza preamboli.
«Nulla
di grave» replicò Taren.
«L’Iniziato Kenobi ha avuto un piccolo
incidente».
L’uomo
spostò immediatamente lo sguardo su
Obi-Wan. «Ti sei fatto male?»
L’imbarazzo
irradiò dal bambino, e lui premette
con più forza contro la propria spalla. «Non
è niente, Maestro Jinn. L’abbiamo già
messo sotto l’acqua fredda».
«È
vero» confermò Taren, con
un’espressione che non prometteva nulla di buono.
«Ma ha comunque bisogno di vedere un Guaritore. Ti dispiace
accompagnarlo, mentre io torno dal resto del suo clan?»
Qui-Gon
tacque un istante, ma poi annuì.
«Certamente».
«Bene»
disse Taren, in tono sin troppo neutro.
Dedicò un’occhiata significativa a Qui-Gon, quindi
si allontanò a lunghi passi.
L’uomo
lo seguì con lo sguardo, poi si rivolse ad
Obi-Wan. «Andiamo».
Mentre
si dirigevano verso l’Ala dei Guaritori, Qui-Gon si
ritrovò ad osservare il bambino e a pensare alle parole di
Yoda.
Lui
era sin troppo abituato a pensare che la faccenda col suo allievo
fosse stata colpa sua… ma se non fosse stato
così? Se il Maestro Yoda aveva ragione?
Se
il suo secondo apprendista non fosse mai stato tagliato per
diventare un Jedi?
Per
certi versi, quel pensiero era stranamente doloroso. Per
altri…
Se
– ed il “se” andava sottolineato
– non era stata colpa sua, poteva valutare l’idea
di prendere un nuovo Padawan?
Obi-Wan
fece una piccola smorfia, e l’attenzione di Qui-Gon
si focalizzò immediatamente sul bambino. «Ti fa
male?»
L’Iniziato
si morse il labbro. «Un
po’» ammise.
L’uomo,
allora, gli strinse una spalla con fare
incoraggiante. «Siamo quasi arrivati…»
Obi-Wan
annuì appena, ed entrarono in ascensore.
Qui-Gon
scosse la testa tra sé e sé. Il bambino
aveva una stretta connessione con la Forza Unificante… Forse
era il caso che venisse scelto da un Maestro col suo stesso talento,
che potesse meglio insegnargli come gestire visioni e presentimenti.
D’altra
parte, lui avrebbe potuto aiutarlo a non cadere nelle
pecche più frequenti di coloro che preferivano la Forza
Unificante – ossia il focalizzarsi troppo sul futuro, a
discapito del momento presente…
Un
attimo. Stava davvero
considerando questa cosa?
Appena
due sere prima aveva rifiutato con fermezza il bambino. Gli
erano bastate quattro chiacchiere con Yoda per passare a valutare la
possibilità di prendere Obi-Wan Kenobi come proprio Padawan?
Chiuse
brevemente gli occhi.
L’ascensore
si fermò, e lui ed Obi-Wan uscirono.
No,
si disse Qui-Gon, guardando il bambino che camminava al suo fianco.
Non gli erano bastate… Le ipotesi di prendere un nuovo
apprendista… erano solo farneticazioni.
Entrò
con Obi-Wan nell’Ala dei Guaritori, e quella
volta non dovettero nemmeno chiedere all’accettazione.
Von
Le, infatti, si trovava proprio davanti al bancone.
«Iniziato
Kenobi» salutò, senza alcuna
sorpresa. «La febbre è tornata?»
«No»
rispose Qui-Gon per il bambino. «Si
è fatto male durante una lezione di spada».
Il
Vultan annuì, e condusse i due nel primo ambulatorio
libero. «Fammi dare un’occhiata» disse
poi, rivolto ad Obi-Wan.
Quest’ultimo
staccò la mano dalla propria spalla.
La
stoffa della tunica era annerita, e lasciava vedere la pelle, lucida
e arrossata.
Qui-Gon
aggrottò la fronte. Le spade laser da allenamento
avevano la lama regolata ad una bassa intensità…
Era raro che causassero un danno simile.
«Come
te lo sei fatto?» chiese, rivolto al bambino.
Von
Le gli lanciò un’occhiata, ma non disse nulla,
aiutando Obi-Wan a togliersi la tunica e a restare a torso nudo.
«Io…
ho sbagliato, Maestro Jinn» disse
il bambino, quasi mortificato.
«Tutti
fanno errori» replicò
l’uomo, sentendosi chiamato in causa in modo particolare.
Checché ne dicesse il Maestro Yoda, lui aveva sbagliato.
«Sì,
e sbagliando s’impara»
aggiunse Von Le, spalmando una pomata sulla pelle ustionata del bambino.
Qui-Gon
sbatté le palpebre e fissò il Guaritore.
Obi-Wan,
dal canto suo, arricciò un po’ il naso
per l’odore acre dell’unguento. «Me
l’aveva detto anche il Maestro Jinn»
riferì poi.
«Il
Maestro Jinn è un uomo saggio»
affermò Von Le.
Qui-Gon
era completamente immobile. Sbagliando
s’impara… Sì, l’aveva detto
lui stesso ad Obi-Wan, la prima volta che il bambino era andato da lui
per i suoi problemi con la meditazione.
Lui
aveva sbagliato, ed aveva imparato… Quegli errori che
aveva fatto col suo secondo allievo non li avrebbe più
commessi… O almeno ci avrebbe provato.
Improvvisamente,
a riecheggiargli nella testa non fu più la
voce arrabbiata del suo ultimo apprendista… Bensì
quella tentennante di Obi-Wan: Ma
a me… a me
piacerebbe… tanto… essere il tuo Padawan.
«Ecco
fatto» decretò Von Le.
«La tua spalla dovrebbe tornare come nuova al più
presto».
«Sì…»
mormorò
Obi-Wan, iniziando a rivestirsi.
«Però»
aggiunse il Guaritore,
«questa bruciatura è più brutta della
scorsa. Ti consiglio di non fare più allenamenti, per
oggi».
Obi-Wan
sbatté le palpebre. «Ma… ho
ancora la lezione del Maestro Yoda…»
«Niente
allenamenti».
Il
bambino abbassò la testa. «Sì,
signore».
Il
Guaritore spostò lo sguardo su Qui-Gon, e
l’uomo si ritrovò ad assicurare:
«Controllerò che mantenga la parola».
«Molto
bene» sospirò Von Le.
«Io lo comunicherò al Gran Maestro».
Qui-Gon
ed Obi-Wan rivolsero un inchino al Guaritore, quindi uscirono
dall’ambulatorio e dall’Ala dei Guaritori.
Per
un po’, camminarono in silenzio.
«Obi-Wan»
esordì quindi Qui-Gon,
«eri sincero, quando hai detto che sono un bravo
insegnante?»
Il
bambino aggrottò la fronte. «Sì,
Maestro Jinn» rispose poi.
Qui-Gon
si fermò, e l’Iniziato si
bloccò a propria volta, confuso.
Erano
in un tratto breve del corridoio, al momento completamente
deserto salvo loro due.
Il
Maestro Jedi guardò Obi-Wan Kenobi, e pensò a
tutto il potenziale che aveva visto nel bambino… Una parte
di lui, si erse piena di dubbi: sentiva ancora di aver rovinato il
talento del suo secondo allievo… non voleva rovinare quello
di questo bambino. Un’altra parte, però, quella
più fedele alla sua dottrina del vivere l’attimo,
prese il sopravvento in un istante.
L’uomo
si avvicinò al bambino, e si
accovacciò in modo da essere alla sua altezza.
Obi-Wan
restituì il suo sguardo con aria confusa.
Qui-Gon
trasse un respiro. «Obi-Wan Kenobi» chiese,
quietamente, «vorresti essere il mio Padawan?»
Il
bambino lo fissò, chiaramente sbalordito.
Per
un istante, lo guardò come se fosse convinto che si
trattasse di uno scherzo – vista la conversazione che avevano
avuto solo la sera prima, Qui-Gon non poté biasimarlo
– ma poi, pian piano, parve convincersi che l’uomo
stava parlando sul serio.
Il
Maestro Jedi non lo forzò, attendendo pazientemente.
Poi
Obi-Wan deglutì, e sussurrò:
«Sì».
Non
disse altro, e a Qui-Gon parve che non fosse mai stato pronunciato
monosillabo più significativo.
Per
un istante, provò un senso di vertigine.
Ma
la Forza vorticava attorno a loro, ed esprimeva solo approvazione
per quella situazione.
L’uomo
si ritrovò a sorridere. «Molto
bene» disse, rialzandosi.
«Non…
non dobbiamo chiedere
l’autorizzazione del Consiglio?» chiese Obi-Wan,
timidamente.
«Prima
volevo sentire la tua opinione»
replicò Qui-Gon, con calma. «Ora che la conosco,
chiederò un incontro… ma credo che non avranno da
obiettare».
Obi-Wan
si aprì in un sorriso. Nella Forza, la sua gioia era
splendente come un sole.
«Forse
è meglio che tu vada nella tua stanza a
fare le valigie» aggiunse Qui-Gon, sorridendo appena di
quella felicità. «Ti passerò a prendere
tra poco per andare dal Consiglio».
Obi-Wan
annuì. «Sì, Maestro
Jinn».
Fece
un inchino un po’ goffo, e rialzando la testa rivolse un
ultimo sorriso all’uomo.
Dopodiché,
si affrettò in direzione della sua
camera da letto… E sembrò che dovesse trattenersi
dal mettersi a correre.
Quando
fu sparito alla sua vista, Qui-Gon sentì che il
sorriso crollava dalla sua faccia. Non ci aveva pensato, prima, ma
effettivamente Obi-Wan sarebbe andato a vivere con lui… E la
stanza del suo secondo allievo sarebbe stata occupata da qualcun altro.
Quell’idea
gli diede uno strano malessere.
L’uomo
lo rilasciò nella Forza e si
voltò, muovendosi verso il proprio alloggio.
Era
più o meno a metà strada, quando si vide
venire incontro il Maestro Yoda… Forse era la sua occasione
di chiedere un incontro con Consiglio per sé ed Obi-Wan.
A
quel punto, però, notò il Jedi accanto al Gran
Maestro. Era Kal Tani – un’Umana scura di pelle e di capelli
con cui aveva svolto un paio di missioni – ed aveva
l’aria più cupa del mondo.
«Maestro
Qui-Gon» disse Yoda, quando i tre Jedi
furono vicini. «Un problema, abbiamo».
Qui-Gon
aggrottò la fronte, guardando verso Kal Tani.
Quest’ultima
saltò qualsiasi convenevole:
«Ricordi Daken, il tuo vecchio informatore?»
Qui-Gon
lo fissò. «Certo» rispose.
Come
avrebbe potuto dimenticarlo? Assieme al suo secondo apprendista,
era forse la parte più dolorosa del suo passato…
Se, per lui, il suo vecchio allievo rappresentava il fallimento, Daken
era l’emblema del tradimento.
«Si
è rifatto vivo oggi, su un pianeta
dell’Orlo Mediano» affermò Kal Tani, in
tono grave. «A quanto pare, ha saputo che lì
c’eravamo io ed altri Jedi in missione. Ed ha ritenuto che
fossimo il modo più veloce per contattarti».
Qui-Gon
restò impassibile, ma sentì il sangue
congelarsi nelle sue vene. «Ha ucciso qualcuno?»
domandò.
Kal
Tani scosse la testa. «No, però ci ha provato.
Ha lasciato un messaggio per te: è tempo di una rimpatriata
tra vecchi amici. Ripercorri i nostri passi».
Qui-Gon
si accigliò. «Che pianeta era?»
«Naalath».
L’uomo
si portò una mano alla fronte.
«Non è comparso lì perché
c’erano alcuni Jedi in missione» disse, lentamente.
«Certo, gli è tornato utile, ma il motivo era un
altro».
La
fronte grinzosa di Yoda si aggrottò ancora di
più.
«Cioè?»
chiese Kal Tani.
Qui-Gon
trasse un respiro. «È stato il primo
pianeta su cui ho lavorato con lui, al di fuori di Coruscant».
La
comprensione passò negli occhi della donna.
«Ripercorri i nostri passi…»
mormorò.
Qui-Gon
annuì. «È probabile che si
farà trovare sugli altri pianeti su cui abbiamo lavorato
insieme…» La sua mente iniziò subito a
lavorare, cercando di ricordare i sistemi sui quali si era ritrovato
con Daken…
«Io
e la mia squadra siamo disposti ad occuparci di
lui» chiarì Kal Tani, «ma probabilmente
il tuo aiuto ci farebbe comodo. Se potessi dirci…»
Qui-Gon
scosse la testa. «Verrò con voi»
affermò, con decisione. «In fondo, sta cercando
me, ed io conosco il suo modo di agire».
Kal
Tani annuì. «Grazie…»
«Occuparti
di questa missione, tu desideri?»
domandò in quel momento Yoda, guardando il Maestro Jedi in
modo strano.
Qui-Gon
annuì. «Sì, Maestro,
cer…»
Un
pensiero improvviso gli attraversò la mente, bloccandolo.
Obi-Wan.
Per
un istante, a Qui-Gon mancò il respiro.
Lui
sapeva che, se avesse preso Obi-Wan come Padawan, il Consiglio
– Yoda compreso – sarebbe stato contrario a
mandarlo sulle tracce di Daken.
Era
una missione troppo pericolosa per un bambino di sette anni, ed era
verosimile pensare che avrebbe richiesto non poco tempo…
Prendere
Obi-Wan come Padawan, per poi partire e lasciarlo al Tempio,
condannandolo ad aspettare per mesi e mesi… Sarebbe stato
ingiusto, nei confronti del bambino.
In
un battito di ciglia, Qui-Gon si rese conto che doveva scegliere.
Quella
consapevolezza fu come un macigno improvviso sulle sue spalle:
come poteva ritirare la propria offerta? Allo stesso tempo,
però, come poteva stare con le mani in mano, sapendo che per
lui sarebbe stato più facile rintracciare Daken?
«Maestro
Qui-Gon?»
L’uomo
guardò Yoda e trasse un respiro profondo,
cercando di sopprimere il dolore sordo che gli martellava nel petto.
«Certo che voglio occuparmi di questa missione».
Il
piccolo Maestro lo fissò con intensità, ma non
si oppose. «Molto bene» disse invece.
«Partire stasera con la Maestra Tani, puoi».
Zoppicò
via, lasciando soli gli altri due.
Kal
Tani guardò verso Qui-Gon, e quest’ultimo
disse: «Avrei una faccenda da sbrigare, prima della
partenza… Ci vediamo nell’hangar?»
Lei
annuì. «Certo, Maestro
Qui-Gon».
Accennarono
un inchino, e si separarono.
Mentre
Kal Tani andava a richiedere un’astronave, Qui-Gon si
diresse a grandi falcate verso le stanze degli Iniziati.
Dai
due ai quattro anni circa, i bambini erano alloggiati in dormitori
che potevano accogliere sino a quindici letti… Dai cinque
anni, venivano loro affidate delle stanzette singole.
Al
primo Maestro che incrociò su quel piano, Qui-Gon chiese
dove fosse la camera di Obi-Wan Kenobi, e per sua fortuna
l’altro seppe dargli quell’informazione.
L’uomo
lo ringraziò, ed andò a bussare
alla porta del bambino. Dall’altra
parte, udì uno scalpiccio, poi la porta
scivolò di lato con un sibilo, rivelando Obi-Wan.
Non
appena lui vide Qui-Gon, gli occhi dell’Iniziato si
illuminarono. «Maestro Jinn…»
iniziò.
L’uomo
lo fermò con un gesto della mano.
«Obi-Wan» disse. «Devo
parlarti».
Lo
smarrimento passò sul viso del bambino, ma lui
annuì. «Va bene…»
Indietreggiò,
in modo che anche Qui-Gon potesse entrare
nella stanza – e la porta si richiuse alle spalle
dell’uomo.
Quest’ultimo
si guardò attorno. Le
pareti bianche, le scarse dimensioni, il letto abbastanza spartano,
la piccola finestra che si apriva sull’esterno… La
cameretta di Obi-Wan era molto simile a quella che aveva avuto lui.
Non
poté fare a meno di notare che l’Iniziato
aveva già preparato le sue cose: una sacca gonfia giaceva ai
piedi del suo giaciglio.
A
quella vista, Qui-Gon sentì il proprio stomaco contrarsi.
Quasi a fatica, riportò gli occhi sul bambino.
«Siediti».
Obi-Wan
aggrottò la fronte ma obbedì,
accomodandosi sul materasso. Poi alzò lo sguardo sul Maestro
Jedi, in attesa.
Qui-Gon
trasse un profondo respiro. «Mi dispiace,
Obi-Wan» disse infine. «Non posso prenderti come
Padawan».
Il
bambino non replicò. Rimase immobile a fissarlo, e dopo
un istante la sua postura si fece innaturalmente rigida, e i suoi occhi
si dilatarono appena.
Ancora,
non emise un fiato.
«Io
devo…» Qui-Gon sapeva che
probabilmente Kal Tani lo stava aspettando, ma doveva spiegare al
bambino come stavano le cose. Gli doveva almeno quello.
«C’è una missione che devo svolgere. Gli
altri Jedi non saprebbero come agire, io devo dare loro una
mano».
Di
nuovo, calò in silenzio.
Obi-Wan
continuava a fissarlo senza dire niente.
«Obi-Wan?»
chiamò Qui-Gon, in tono cauto.
Il
bambino si riscosse e abbassò gli occhi.
«Io… capisco, Maestro Jinn» disse, e
l’uomo sentì con dolore la rassegnazione nel suo
tono. «Sei un Maestro Jedi, ci sono delle… delle
cose che devi fare. Delle cose importanti».
Qui-Gon
provò l’impulso di mettere una mano sotto
il mento dell’Iniziato e di alzargli la testa, ma si
trattenne. «Obi-Wan» disse invece, «sono
davvero dispiaciuto. Credimi».
Il
bambino si strinse nelle spalle, continuando a guardare a terra.
«Non devi esserlo, Maestro Jinn. Stai andando ad aiutare
qualcuno. È una cosa onorevole».
Già,
pensò Qui-Gon. Avrebbe dovuto continuare a
dirselo.
«Obi-Wan?»
chiamò nuovamente.
Piano,
il bambino sollevò gli occhi.
«Che
la Forza sia con te» gli augurò il
Maestro Jedi, con tutto il cuore.
Obi-Wan
annuì lentamente. «Che la Forza sia con
te, Maestro Jinn» rispose.
Qui-Gon
accennò un inchino, poi si voltò e se ne
andò.
Nella
sua vita, aveva affrontato molti addii. In quel momento,
però, gli sembrò che l’impulso di
guardarsi indietro non fosse mai stato tanto forte.
Sarebbe
trascorso un anno intero, prima che lui completasse la missione
e tornasse al Tempio.
Note:
…
…non uccidetemi, vi prego.
Non ho niente da dire a mia discolpa (né niente da dire in
generale), quindi mi limito a darvi appuntamento a martedì
5
novembre. |
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Capitolo 10 *** Il ritorno di Qui-Gon ***
Capitolo
10 – Il ritorno di Qui-Gon
Era un pomeriggio sereno.
Il
cielo di Coruscant, visibile tra le arcate e i grattacieli della
città, era azzurro, attraversato da file interminabili di
astronavi.
Il
sole entrava abbondante attraverso le vetrate della Torre del
Consiglio.
Nella
sala circolare erano presenti, oltre ad undici dei dodici
Consiglieri, due Maestri Jedi – Qui-Gon Jinn e Kal Tani.
Questi
ultimi erano in piedi al centro della stanza, impegnati a far
rapporto sul loro ultimo incarico.
Era
stata una missione abbastanza lunga – per un anno intero,
i due Jedi si erano spostati da un pianeta all’altro, al
seguito del vecchio informatore di Qui-Gon – ma se non altro
aveva avuto un esito positivo.
Pochi
giorni prima, infatti, erano finalmente riusciti a catturare
Daken.
L’uomo
era stato preso in consegna dalle autorità
di Coruscant, e i due Maestri erano tornati al Tempio.
Il
rapporto sulla missione richiese abbastanza tempo.
Sia
Qui-Gon che Kal Tani, tuttavia, furono precisi ed esaurienti, e se
non altro i membri del Consiglio non ebbero bisogno di fare altre
domande.
«Vorrei
rimarcare» ci tenne a sottolineare Kal
Tani, «la preziosità della presenza del Maestro
Jinn. È stato grazie a lui se, alla fin fine, siamo riusciti
a catturare Daken».
Qui-Gon
le rivolse un’occhiata in tralice, ma non disse
nulla.
In
realtà, non vedeva l’ora che
quell’incontro finisse… e non si
impegnò più di tanto a nasconderlo. A differenza
di molti altri Jedi, lui non si faceva tantissimi scrupoli a far sapere
ai membri del Consiglio ciò che pensava.
Finalmente,
dopo aver riassunto i pianeti percorsi da Daken –
che, come era stato preannunciato dal messaggio dell’uomo,
erano stati quelli in cui aveva lavorato con Qui-Gon –
ottenne quello che voleva.
Lui
e Kal Tani furono congedati.
Qui-Gon
si sentiva piuttosto stanco. Credeva che catturare Daken gli
avrebbe portato sollievo, ma non era stato così…
rivedere quell’uomo, che un tempo era suo amico, aveva
riaperto delle vecchie ferite… tra le quali quella mai
rimarginata del suo secondo allievo.
Prima
di partire per quella missione, Qui-Gon era quasi riuscito ad
accattonare il proprio passato. Ora, gli era stato nuovamente ricordato
che le sue azioni, anche se compiute anni e anni prima, continuavano ad
avere un’influenza sul suo presente.
Si
strofinò stancamente la fronte.
«Sei
tornato. Di nuovo».
Qui-Gon
si voltò, e Taren Kun lo raggiunse in pochi passi.
Il
primo scosse la testa. «Tu non vai mai in
missione?» chiese.
«Veramente»
rispose Taren, «sono stato su
Dantooine, qualche settimana fa… Una disputa trascurabile,
l’ho risolta in pochi giorni».
Qui-Gon
lo guardò con aria sfinita. «Sarai molto
riposato, allora».
«Ti
ricordo che, quando sono qui al Tempio, lavoro con gli
Iniziati» disse Taren. «Mi è impossibile
essere molto riposato».
Iniziati…
Immediatamente, la mente di Qui-Gon corse ad
Obi-Wan Kenobi.
Durante
l’ultimo anno, aveva spesso pensato a quel bambino.
Si era chiesto se la delusione per non essere diventato il suo Padawan
gli fosse passata, se stesse bene, se riuscisse a meditare…
Si
fermò, e Taren lo imitò, girandosi in modo da
essergli di fronte. «Che succede?»
Qui-Gon
decise di non porsi troppi problemi. Era inutile nascondere il
suo interesse per Obi-Wan, visto e considerato che Taren
l’aveva già notato.
«Obi-Wan…
Come sta l’Iniziato
Kenobi?»
A
quella domanda, l’espressione di Taren si
irrigidì. «Obi-Wan Kenobi?» chiese lui,
in modo strano.
Qui-Gon
si chiese il perché di quella reazione.
«Sì» rispose, inarcando un sopracciglio.
Taren
lo guardò dritto in faccia. «Devo
chiedertelo, Qui-Gon» affermò, con una
serietà che non gli si addiceva. «Che intenzioni
hai, riguardo quell’Iniziato?»
Qui-Gon
lo fissò. «Che vuoi dire?»
L’altro
trasse un respiro, ma il suo sguardo rimase
inflessibile. «Voglio dire che dovresti mantenere le
distanze, se non hai intenzione di prenderlo come Padawan».
Subito,
Qui-Gon pensò di aver capito male. Taren gli stava
intimando di star lontano da Obi-Wan Kenobi?
«Prego?»
Taren
si schiarì la gola. «Dopo che te ne sei
andato» disse, scandendo per bene le parole,
«l’Iniziato Kenobi ha avuto… alcune
difficoltà».
Qui-Gon
aggrottò la fronte. «Che genere di
difficoltà?»
Mentre
lo chiedeva, il suo stomaco si contrasse. Sapeva che per Obi-Wan
era stata dura, quando lui se n’era andato dopo essersi
offerto di prenderlo come Padawan… ma forse era stata
più dura di quanto avesse pensato.
«Soprattutto
incubi» rispose Taren, asciutto.
L’altro
Jedi si accigliò maggiormente.
«E credi che io ne sia la causa?»
«Oh,
non sono arrivato a questa conclusione da solo, se
è questo che pensi» rispose Taren. «La
prima a notarlo, ovviamente, è stata la Maestra
Yula… Non so se la conosci,
è…»
«È
una dei supervisori del Clan del Dragone. Lo
so».
Taren
gli scoccò un’occhiata e riprese:
«Esattamente. Si occupa spesso di controllare che gli
Iniziati dormano senza problemi, e non ha tardato ad accorgersi che
Kenobi, di problemi a dormire, ne aveva parecchi».
«E
con problemi intendi incubi?» dedusse Qui-Gon.
L’altro
annuì. «Degli incubi
tosti» sottolineò. «Spesso si svegliava
urlando, in un bagno di sudore…»
Qui-Gon
si trattenne dall’intervenire. Il pensiero di Obi-Wan
che gridava lo scombussolava, ma non riusciva a capire come mai Taren
ritenesse che lui fosse la causa di quegli incubi.
Obi-Wan
era forte nella Forza Unificante, giusto? Non era
più verosimile che a svegliarlo fossero stati dei
presentimenti, delle visioni?
«All’inizio,
la Maestra Yula non si è
preoccupata troppo. I bambini hanno
gli incubi, in fondo…
Poi, però, abbiamo iniziato ad accorgerci che aveva problemi
anche durante il giorno».
La
fronte di Qui-Gon, se possibile, si aggrottò ancora di
più.
«Certe
volte – parlo delle mie lezioni –
si distraeva senza nessun motivo apparente, come se
qualcos’altro attirasse di colpo la sua
attenzione… Ed era nervoso e stressato, e non era normale
che un bambino della sua età lo fosse. Alla fine, ci siamo
rivolti tanto al Guaritore Von Le quanto al Maestro Yoda».
Qui-Gon
lo guardò. «E…?»
«E
il vecchio troll, dopo un po’, è
risalito alla causa».
«Che
sarei io» disse Qui-Gon. Voleva essere sicuro
di aver capito bene.
Taren
annuì. «A quanto pare» disse,
«dev’essersi formato un legame nella Forza, tra te
e il bambino».
Qui-Gon
sussultò. Per due persone, se unite da un legame
simile, era possibile avvertire l’una le sensazioni
dell’altra anche ad anni luce di distanza.
I
suoi pensieri andarono subito alla missione. C’erano stati
dei momenti, in effetti, in cui gli era sembrato quasi di percepire la
presenza di Obi-Wan… Ma li aveva accattonati come ricordi
particolarmente vividi.
«Così»
concluse Taren, «ogni
volta che tu ti trovavi in pericolo, Kenobi passava una notte in
bianco, o perdeva la concentrazione durante una lezione».
Qui-Gon
serrò le labbra. Ogni volta che si trovava in
pericolo… Ossia un numero considerevole di volte.
Nel
corso della missione, Daken aveva provato continuamente ad
ucciderlo, e certamente non era stato piacevole.
Lui
era abituato a quel genere di pericolo… ma non
immaginava come avrebbe potuto recepirlo la mente di un bambino.
Si
portò una mano al viso, e chiuse per un istante gli
occhi. «Non me n’ero reso conto» disse,
in tono sommesso. «Per la Forza, come ho fatto a non
rendermene conto?»
Quando
guardò Taren, l’altro sembrava essersi un
po’ ammorbidito. «È naturale»
osservò. «Tu hai degli scudi mentali robusti,
allenati. Il vecchio troll ha detto che il legame non è
forte come quello tra un Padawan ed un Maestro, ma Obi-Wan non ha
ancora imparato del tutto come schermarsi… era
più vulnerabile alle tue emozioni».
Qui-Gon
annuì piano, assorbendo le parole
dell’amico. Aveva senso.
«E
allora?» chiese. «Adesso come si
procede?»
Se
poteva fare qualcosa, per aiutare Obi-Wan, l’avrebbe fatta
senza batter ciglio.
Taren
sospirò. «Secondo il Maestro Yoda, recidere
il legame potrebbe portare più danno che altro…
Dopotutto, per farlo, bisognerebbe andare accanto alla mente di Kenobi.
Così, la linea d’azione consigliata per voi due
è: schermatevi dal legame, e
s’indebolirà sino a svanire per conto
proprio…»
«Ma
hai detto che Obi-Wan non ha ancora imparato
come…» iniziò ad obiettare Qui-Gon.
«Il
Maestro Yoda gli ha dato delle lezioni al
riguardo» lo interruppe Taren.
L’uomo
annuì, inspirando profondamente.
«Oppure,
certo, potresti prendere Kenobi come
Padawan» aggiunse Taren. «Allora, quel legame
diventerebbe la base da cui partire per costruirne uno più
forte».
Qui-Gon
avrebbe voluto replicare, ma non sapeva cosa dire.
Una
parte di lui, a dire il vero, stava ancora assimilando
l’idea di Obi-Wan che aveva degli incubi, che sentiva
pericoli dai quali avrebbe dovuto essere protetto… per colpa
sua.
E
poi, come spiegare a Taren che cosa aveva fatto? Come dirgli che
aveva già proposto al bambino di diventare il suo Padawan, e
poi l’aveva deluso?
Gli
aveva dato ben più di una speranza. Gli aveva dato una
certezza, e poi gliel’aveva strappata senza riguardo.
Pensarci
lo addolorava, ma sapeva di aver danneggiato la fiducia di
Obi-Wan. Come avrebbe potuto essere altrimenti?
Adesso
non poteva semplicemente ripiombare dal bambino, e fargli
nuovamente quella proposta… Anche perché la
missione aveva riaperto vecchi dubbi. Sarebbe stato davvero in grado di
insegnare ad Obi-Wan Kenobi?
Aveva
davvero imparato dai propri errori?
«Comunque»
disse Taren, «tu hai una
faccia orrenda e io devo occuparmi dei miei adorabili Iniziati. Quindi
ti auguro un buon riposo».
Qui-Gon
lo fissò. «Che la Forza sia con
te» disse, mentre l’altro già si
allontanava.
Rimasto
solo, emise un sospiro molto profondo, e si diresse verso il
proprio alloggio.
Siccome
aveva molto su cui meditare, andò ad accomodarsi nel
suo posto prediletto, sotto la finestra.
Trasse
un respiro profondo, rilassandosi e chiudendo gli occhi.
Cautamente,
abbassò i propri scudi mentali, e
cercò il legame di cui aveva parlato Taren.
Era
simile ad un filo di luce, sottile e tenue, ma Qui-Gon non riusciva
a capacitarsi di non averlo notato prima.
Fu
tentato di saggiarlo… Alla fine, però,
lasciò stare. Come aveva detto Taren, era meglio che sia lui
che Obi-Wan si schermassero da quel legame.
Riaprì
gli occhi e sospirò, pensando
all’intimazione dell’amico di stare lontano
dall’Iniziato Kenobi.
Se
ripensava allo sguardo che Obi-Wan gli aveva rivolto
l’ultima volta che si erano visti, non poteva fare a meno di
pensare che mantenere le distanze fosse la scelta più saggia.
Allo
stesso tempo, sapendo che il bambino aveva avuto dei problemi a
causa sua, sentiva il bisogno di controllare che stesse bene.
Si
alzò in piedi, strofinandosi le tempie.
Ecco
perché alcuni Maestri preferivano prendere un Padawan
che avesse già undici, dodici anni…
Più giovani erano, più stimolavano un istinto di
protezione che era sì naturale, ma che per un Jedi poteva
rivelarsi anche pericoloso.
Alla
fine, Qui-Gon giunse ad una sorta di compromesso.
Decise
di scendere nel refettorio del Tempio. Non avrebbe parlato con
Obi-Wan, non gli si sarebbe avvicinato… ma almeno avrebbe
potuto dargli un’occhiata.
Tra
l’altro, aveva bisogno di mangiare qualcosa.
Quando
arrivò in mensa, si unì ai Jedi in fila
per il buffet, e lanciò uno sguardo verso le tavolate degli
Iniziati.
Lo
trovò quasi subito: Obi-Wan Kenobi non sedeva da solo
come la prima volta che Qui-Gon lo aveva visto, ma il suo viso ed i
suoi capelli arruffati erano quelli di sempre.
Continuando
ad osservarlo con la coda dell’occhio mentre
riempiva il proprio vassoio, Qui-Gon notò che sembrava
essere cresciuto, dal loro ultimo incontro.
Trasse
un respiro.
Un
anno. Non era passato più di un misero anno…
Ma i bambini crescono in fretta.
Troppo
in fretta, si ritrovò a pensare Qui-Gon, mentre la
sua mente veniva attraversata dall’immagine del suo secondo
apprendista.
Quando
qualcuno si fermò dietro di lui, Qui-Gon non ebbe
bisogno di girarsi a controllare. «Taren» disse,
con una punta di rassegnazione.
Si
voltò, e l’amico replicò:
«Mi raccomando, non suonare troppo entusiasta».
«Eri
tu a lamentarti del senso dell’umorismo di
Obi-Wan?» chiese Qui-Gon. «Anche il tuo mi sembra
alquanto deviato».
Taren
lo guardò, assottigliando appena gli occhi.
«A quanto pare non scordi una sola conversazione, quando si
tratta di Kenobi» commentò.
«Interessante». Poi, prima che l’amico
potesse replicare, aggiunse: «Lascia perdere. Ti siedi con
me?»
Qui-Gon
indugiò, poi fece un cenno affermativo.
Si
guardò attorno, e scelse i loro posti in base alla
posizione di Obi-Wan. In altre parole, optò per un tavolo
che il bambino avrebbe potuto vedere solo girando scomodamente il collo.
«Allora
stai seguendo la prima opzione»
commentò Taren, mentre si accomodavano l’uno di
fronte all’altro.
Qui-Gon
lo guardò. «Prego?»
«La
prima opzione» ripeté Taren.
«Tenere Kenobi a distanza e schermarti dal vostro
legame».
Gli
occhi dell’uomo guizzarono verso l’Iniziato.
Obi-Wan stava ascoltando qualcosa che gli stava dicendo il suo vicino
di posto.
«Credevo
ne saresti stato contento» disse Qui-Gon,
riportando gli occhi su Taren.
Quest’ultimo
replicò: «C’era
anche la seconda opzione, sai. Prenderlo come Padawan e fortificare il
legame».
«Lo
so» rispose l’uomo, asciutto.
«È solo che… è
complicato».
«Complicato?»
Taren aggrottò la fronte,
spezzando una pagnotta e usandola per raccogliere una zuppetta che
aveva nel piatto. «Solitamente non ti fai tutti questi
problemi».
«La
scelta di prendere un Padawan non va presa alla
leggera» disse Qui-Gon, seriamente, tralasciando di parlare
dell’addio che, un anno prima, c’era stato tra lui
e il bambino. «Specie se si hanno i miei trascorsi».
Taren
scosse la testa, masticando lentamente. «Credevo
bisognasse seguire l’istinto» osservò
poi. «Sai, ascoltare la Forza… Tu sei sempre stato
bravo, in questo».
Qui-Gon
si passò una mano sul viso. «Se avessi
avuto un buon istinto, non avrei sbagliato col mio secondo
apprendista».
«Credevo
fosse un argomento chiuso»
commentò Taren.
«Il
passato non
è mai chiuso. Sto iniziando ad
impararlo». Per qualche istante, Qui-Gon tenne lo sguardo
fisso sul proprio vassoio. «Sai che Daken mi aveva salvato la
vita, anni e anni fa? Lavoravamo bene, insieme».
Taren
sospirò. «Lo so».
Qui-Gon
sollevò gli occhi. «Adesso mi odia.
Durante questa missione, ha cercato di uccidermi così tante
volte… Ha anche coinvolto degli innocenti».
«Be’,
non è mai stato uno stinco di
santo» considerò Taren, cautamente.
«E
io ho pensato valesse comunque la pena di lavorare con
lui» rispose Qui-Gon. «Il mio istinto non
è buono quanto credevo».
Ma,
soprattutto, c’era il fatto che aveva ferito
l’Iniziato Kenobi.
Forse,
ora come ora, era quello a trattenerlo più del resto.
Se
lo avrebbe preso come apprendista… Doveva prima porre
rimedio al danno fatto un anno prima.
Taren
scosse la testa. «Lo sai» disse, guardando
verso Obi-Wan, «ieri ha sconfitto un ragazzino di dieci anni.
Un Umano robusto, e alto almeno due teste più di lui. Avevo
ragione: ha talento, nel combattimento con la spada laser».
Qui-Gon
inarcò un sopracciglio di fronte al brusco cambio
d’argomento. «Mi dici di stargli lontano, e poi mi
parli di ciò che ha fatto?»
«Temo»
replicò Taren, «che tu
non abbia riflettuto molto sulla seconda opzione… E
ciò mi fa pensare che è un bene, che tu abbia
deciso di tenerti a distanza».
Senza
aggiungere altro, si alzò in piedi e si
allontanò col proprio vassoio.
Rimasto
solo, Qui-Gon si portò una mano alla fronte e
sorrise amaramente. Sbagliava, il suo amico, a credere che lui non
avesse riflettuto sulla seconda opzione…
Gettò
un’altra occhiata verso Obi-Wan, e
notò che il bambino sembrava distratto ed irrequieto.
In
via del tutto eccezionale, l’uomo desiderò
poter parlare col Maestro Yoda.
Non
solo sembrava essere il più esperto di tutti, quando si
trattava di Obi-Wan… Secondo ciò che aveva detto
Taren, era stato proprio lui ad individuare la causa del malessere del
bambino.
Purtroppo
per Qui-Gon, il Gran Maestro era attualmente in missione con
Cin Drallig e il mentore di quest’ultimo…
In
pochi bocconi, l’uomo finì il proprio cibo.
Dopo aver bevuto un sorso d’acqua, fu pronto per uscire dal
refettorio.
Note:
Buondì!
Contenti che il nostro Maestro Jedi preferito sia tornato?
Vi dirò, il progetto iniziale comprendeva alcuni capitoli
sulla missione di Qui-Gon, ma poi mi sono accorta che stonavano troppo
col resto della trama.
Così, evviva i salti temporali, ed evviva il fatto che
questa dovrebbe essere la prima di una serie di
storie su Qui-Gon e
Obi-Wan (ma è autoconclusiva, don’t worry
:D)… Di Daken me ne occuperò meglio
più avanti.
Al prossimo capitolo, con (SPOILER), la
più o meno felice
riunione tra Qui-Gon e Obi-Wan.
A martedì 12 novembre!
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Capitolo 11 *** Piccoli passi ***
Capitolo 11 – Piccoli passi
Le premesse per trascorrere una notte
insonne c’erano tutte.
Per
dirne una, nell’ultimo anno si era abituato a restare
sempre vigile.
Per
dirne un’altra, nemmeno un Jedi consumato poteva rimanere
indifferente al fatto che una sua vecchia conoscenza, qualcuno con cui
aveva collaborato più e più volte, avesse cercato
di ucciderlo con tanto zelo.
E
poi, naturalmente, c’era Obi-Wan Kenobi.
Se
Qui-Gon fosse stato meno esperto nel calmare la propria mente, era
probabile che non sarebbe riuscito a chiudere occhio, invece
riuscì ad addormentarsi poche ore dopo l’essersi
coricato.
Ormai
gli capitava raramente di sognare il suo ex allievo… E
quello, se non altro, era un indubbio miglioramento.
Quando
l’uomo si svegliò, il mattino successivo,
fu colmato dall’appagante sensazione che la notte avesse
portato consiglio.
Taren
era nel torto a pensare che lui stesse trattando con troppa
cautela la faccenda di Obi-Wan, ma aveva ragione su una cosa.
Qui-Gon
avrebbe dovuto seguire il suo istinto, e la Forza. Invece aveva
considerato subito il lungo termine, come se esistessero soltanto le
opzioni – senza dubbio approvate dal Consiglio –
che gli aveva presentato l’amico.
Si
stava preoccupando del futuro, mentre la sola cosa che importasse
era il presente.
Ed
il presente non richiedeva progetti elaborati, come non interagire
mai più con Obi-Wan Kenobi o prendere immediatamente il
bambino come Padawan… Il presente si accontentava di piccoli
passi, e Qui-Gon sapeva già quale sarebbe stato il primo:
iniziare a riallacciare i rapporti col giovanissimo Iniziato.
Così,
dopo una rapida colazione, l’uomo si
recò a cercare Obi-Wan. Dato che il Tempio era immenso,
decise di servirsi – con molta cautela – del
minuscolo filo di luce nella propria mente.
Quel
tenue legame lo guidò sino agli Archivi, la sala in cui
era custodita la conoscenza dell’Ordine Jedi.
Per
la loro ampiezza e la loro atmosfera solenne, gli Archivi potevano
essere paragonati alle cattedrali che alcuni popoli
dell’universo innalzavano in onore dei loro dèi.
Quando
vi entrò, Qui-Gon portò lo sguardo sui
busti bronzei dei Jedi Perduti, coloro che avevano lasciato
l’Ordine.
Quelle
facce, immobili e austere, sembravano recare un monito inciso
nei loro lineamenti.
Se
il suo secondo apprendista se ne fosse andato dopo essere diventato
un Cavaliere, si ritrovò a pensare Qui-Gon, anche lui si
sarebbe trovato tra quelle sculture…
L’uomo
distolse lo sguardo, spostandolo sul corridoio davanti
a lui.
Era
diviso in tre corsie: in quelle laterali, passeggiavano
silenziosamente alcuni Jedi, i volti rischiarati dalla luce azzurrina
degli olo-dati. In quella centrale, invece, si trovavano alcuni tavoli
muniti di schermi che venivano utilizzati per consultare sul posto i
chip di memoria.
Obi-Wan
si trovava proprio lì, gli occhi fissi sul monitor
che aveva davanti, le dita indugianti sulla tastiera.
La
sua sedia era grande come un trono, e i piedi del bambino non
toccavano terra.
Qui-Gon
gli si avvicinò in silenzio.
Quando
gli fu alle spalle, fece per dire qualcosa… ma non ce
ne fu bisogno. Obi-Wan ebbe una sorta di sussulto, e si girò
verso di lui.
I
suoi occhi chiari incontrarono quelli dell’uomo, e il
bambino s’impietrì.
Le
sue labbra si dischiusero in un moto di sbalordimento, e Qui-Gon
vide che gli mancavano due denti da latte nell’arcata
superiore: gli incisivi laterali.
Dopo
un istante, il bambino riuscì a ricomporre il proprio
viso.
«Iniziato
Kenobi» lo salutò
sommessamente Qui-Gon.
Si
rese conto di provare uno strano sollievo, nell’avere
Obi-Wan davanti a sé… Lo aveva visto in mensa,
sì, ma a una tale distanza…
Il
suo sguardo esaminò accuratamente il volto del bambino,
dai capelli ramati alla fossetta sul suo mento.
Era
davvero cresciuto, non v’era dubbio.
«Maestro
Jinn» rispose Obi-Wan, con una certa
cautela. I suoi occhi grigio-azzurri guizzarono sullo schermo, poi
tornarono sull’uomo. «Devo cederti il
posto?»
Qui-Gon
pensò che avrebbe dovuto aspettarselo. Non avrebbe
dovuto stupirsi, se il bambino pensava che l’unica cosa che
gli potesse interessare fosse il suo posto.
«Veramente»
disse, «vorrei che
parlassimo».
Obi-Wan
evitò di ricambiare direttamente il suo sguardo.
«Ma siamo negli Archivi» obiettò,
giocherellando con l’orlo delle proprie maniche.
«È
una cosa importante»
replicò Qui-Gon, piano.
«Ah»
si limitò a dire il bambino.
L’uomo
decise di andare subito al punto. «Vorrei
chiederti scusa per essermene andato senza preavviso».
«Non
capisco perché ti scusi, Maestro
Jinn» replicò Obi-Wan, a testa bassa.
«Tutti i Jedi devono andarsene senza preavviso».
Parlò
con un tono ragionevole che non piacque del tutto al
Maestro Jedi.
Una
parte di lui, infatti, avrebbe voluto che Obi-Wan fosse
più spontaneo e infantile. In fondo, però, quale
Jedi era mai stato davvero bambino?
L’uomo
accennò col mento allo schermo.
«Posso chiederti su cosa stai lavorando?»
Obi-Wan
girò la testa, e Qui-Gon si trovò la sua
nuca arruffata sotto gli occhi. «È una ricerca sul
pianeta Nihilo» spiegò il bambino. «Io e
il mio clan andremo a visitarlo tra qualche settimana».
Data
la sua età, era probabile che prima Obi-Wan non avesse
mai fatto alcuna gita al di fuori di Coruscant, eppure Qui-Gon non
percepì molto entusiasmo, da parte sua.
Corrugando
la fronte, pensò al pianeta Nihilo. Lo conosceva
piuttosto bene: nonostante non fosse molto distante dalla Capitale
Galattica, era scarsamente popolato, e non aveva una tecnologia molto
avanzata.
Se
era spesso meta della prima gita degli Iniziati fuori da Coruscant,
era perché su di esso si trovavano alcuni Ysalamiri. Questi
animali, simili a grossi lucertoloni, vivevano sugli alberi ed avevano
la capacità di creare vuoti nella Forza,
all’interno dei quali potevano nascondere la loro energia da
eventuali predatori.
A
causa della loro presenza, su Nihilo la Forza era più
difficile da ascoltare ed utilizzare, perciò qualche giorno
di allenamento su quel pianeta si trattava di una bella prova per i
più piccoli.
Gli
Ysalamiri, in realtà, erano originari di Myrkr, un altro
pianeta dell’Orlo Interno… Là,
però, erano talmente numerosi da creare vuoti tali da
mettere in seria difficoltà persino un Jedi
addestrato… Ragion per la quale Myrkr non veniva mai preso
in considerazione come meta per le gite degli Iniziati.
In
quel momento, Obi-Wan tornò a girarsi verso il Maestro
Jedi. Quieto, sottomesso.
L’Iniziato
modello che attende la parola di una persona
superiore a lui.
A
Qui-Gon non piaceva molto quell’atteggiamento.
Pensò a qualcosa da dire. «Hai ancora
difficoltà con la meditazione?»
Il
bambino continuava a non guardarlo in faccia. «Un
po’» ammise, riluttante. «Però
sono migliorato, rispetto a prima. Non credo di aver più
bisogno di lezioni».
Qui-Gon
non se lo aspettava.
L’Obi-Wan
che aveva imparato a conoscere, quello che si era
lasciato alle spalle un anno prima… era probabile che
avrebbe voluto andare a lezione da lui anche senza averne bisogno.
L’Obi-Wan
che aveva davanti adesso, invece, aveva respinto
l’ipotesi di poter essere aiutato da lui.
“E
dunque? Credevo forse che non sarebbe cambiato
nulla?” s’interrogò l’uomo.
Sapeva
bene che ogni azione aveva le sue conseguenze, così
come sapeva che la sua missione aveva scosso il suo rapporto con quel
bambino.
Eppure,
l’idea di essersi guadagnato la diffidenza di Obi-Wan
Kenobi… Si rivelò faticosa da digerire.
“Non
importa” si disse. Lui aveva pazienza e, un
passo per volta, avrebbe cercato di riconquistare la fiducia
dell’Iniziato.
«Va
bene» disse, con calma. «In tal caso,
ti andrebbe di meditare assieme a me, questa sera?»
Obi-Wan
non accettò con prontezza come avrebbe fatto un
tempo. Ci rifletté sopra, come per valutare tutti gli
aspetti di quella proposta, e infine annuì.
«D’accordo, Maestro Jinn».
«Prima
di cena? Alla stessa ora delle lezioni
dell’anno scorso?»
Il
bambino si prese nuovamente qualche istante per pensarci, e il cuore
di Qui-Gon si strinse un poco.
«Va
bene» disse Obi-Wan, infine.
«Nei
giardini del Tempio?» aggiunse
l’uomo.
L’Iniziato
annuì. «Ci sarò,
Maestro Jinn».
Qui-Gon
cercò di non dare troppo peso al fare guardingo del
bambino.
Dal
canto suo, Obi-Wan si schiarì la gola. «Adesso
dovrei andare a lezione».
Sembrava
sincero, ma sembrava anche molto desideroso di sgusciare via
da lì.
L’uomo
si allontanò di un passo dalla sedia.
«Va’ pure» replicò,
più gentilmente che poté. «Non voglio
certo farti arrivare in ritardo».
Obi-Wan
scivolò giù dal proprio posto, e
lanciò una mezza occhiata all’uomo.
«Arrivederci, Maestro Jinn».
«A
stasera» replicò l’uomo.
Per
un istante, il bambino sembrò sul punto di aggiungere
qualcos’altro, ma poi si limitò a girarsi e si
diresse verso l’uscita degli Archivi. Qui-Gon lo
seguì con lo sguardo.
«Un
ragazzino interessante, non è vero?»
domandò una voce alle sue spalle.
L’uomo
si voltò. Ad aver parlato, era stata
Jocasta Nu, l’Archivista del Tempio Jedi. La donna aveva una
decina d’anni in più di lui, ma il suo portamento
regale non sembrava cambiare mai.
I
suoi capelli color mogano, però, raccolti come di consueto
in un’impeccabile crocchia, erano ormai ingrigiti, e vicino
alla sua bocca ed ai suoi occhi azzurri cominciavano ad imprimersi
alcune rughe d’espressione.
«Maestra
Nu» disse Qui-Gon, con un inchino
rispettoso. «È un piacere vedervi».
La
conosceva da quando lui era un ragazzino e lei non era ancora
Archivista, specie perché Jocasta Nu era una cara amica del
suo vecchio Maestro, Dooku.
«Il
sentimento è reciproco, Maestro
Jinn» replicò lei, con grazia. «Vedo che
hai fatto amicizia col giovane Kenobi».
Qui-Gon
la guardò. L’Archivista sembrava trovare
del tutto ragionevole l’idea che un bambino di otto anni ed
un uomo di quarantatre fossero amici. «Se così si
può dire…»
«Dev’essere
una buona compagnia» disse
Jocasta Nu. «Ed è anche un assiduo frequentatore
di questi Archivi».
Qui-Gon
non mancò di notare l’approvazione nel suo
tono, e ne fu stupito. La donna non aveva certo un cuore di ghiaccio,
ma era assai difficile guadagnarsi una sua lode.
«Non
lo ero forse anch’io?» chiese,
scherzando solo a metà. In verità, era curioso di
vedere la sua reazione.
«Oh,
sì» concesse la Maestra,
riservandogli uno sguardo ammonitore, «ma ho perso il conto
delle volte in cui hai dimenticato di rimettere al loro posto le fonti
che consultavi. Il giovane Kenobi, invece, non ha mai mancato di
farlo».
«Capisco»
disse Qui-Gon.
Senza
dubbio, era un’ottima spiegazione del calore nello
sguardo della donna.
«Ora,
se vuoi scusarmi» aggiunse Jocasta Nu,
«devo finire di riordinare l’ala dedicata alla
storia e alla filosofia del nostro Ordine».
L’uomo
accennò un inchino. «Lungi da me
impedirvi di fare il vostro dovere, Maestra Nu» disse.
«Che la Forza sia con voi».
«Che
la Forza sia con te, Maestro Jinn»
replicò lei, con un cenno del capo.
Si
allontanò in silenzio, accompagnata soltanto dal fruscio
leggero della sua veste.
Il
resto della giornata fu privo di eventi significativi.
Poiché
l’inattività non faceva per lui,
Qui-Gon ne approfittò per pulire e riordinare il proprio
alloggio – anche se, come al solito, non mise piede nella ex
stanza del suo allievo – e per prendersi qualche momento di
meditazione.
Nel
pomeriggio, dopo un pranzo leggero, scese in palestra.
Taren
non era lì: o era occupato con qualche Iniziato,
oppure era finalmente riuscito a concedersi una pausa.
Così,
Qui-Gon contemplò l’idea di
proporre un duello ad uno dei Jedi presenti, ma alla fine
optò per ripiegare su un droide, per allenarsi a deflettere
i colpi con la lama della propria spada laser.
Poi
arrivò la sera, e l’uomo si recò
nei giardini del Tempio.
Obi-Wan
era già là; Qui-Gon lo trovò
seduto a gambe incrociate vicino alle sponde del lago.
Per
qualche istante, l’uomo lo osservò a distanza.
Obi-Wan stava strappando distrattamente alcuni fili d’erba
con la mano destra, e Qui-Gon ricordò che quello era lo
stesso luogo dove l’aveva visto cercare di meditare senza
successo.
Ricordò
come il bambino aveva seguito i suoi consigli,
d’istinto, con una fiducia infantile ed assoluta.
Trasse
un respiro, e si avvicinò.
Quando
lo vide, il bambino si bloccò. I suoi occhi
guizzarono sull’uomo, mentre l’ultimo stelo
d’erba gli cadeva dalla mano, quindi Obi-Wan si
alzò in piedi in segno di rispetto, esibendosi in un inchino.
«Buonasera,
Maestro Jinn» disse, educatamente.
«Buonasera
a te» replicò Qui-Gon.
«Scusami se ti ho fatto aspettare».
Obi-Wan
sbatté le palpebre. «Non
importa» si affrettò a dire.
L’uomo
lo osservò per un istante, poi
domandò: «Com’è andata la tua
giornata?»
«Bene,
grazie» rispose Obi-Wan. «E la
tua, Maestro Jinn?»
Qui-Gon
non poté fare a meno di pensare che, un anno prima,
l’Iniziato avrebbe cercato di raccontargli qualcosa di
più.
«È
andata bene anche la mia, ti
ringrazio».
Per
un istante, nessuno dei due disse nulla.
«E
quest’ultimo anno?» aggiunse poi
Qui-Gon. «Com’è stato?»
Obi-Wan
scrollò appena le spalle. «Come tutti gli
altri anni».
«Non
ti è accaduto nulla che fosse degno di
nota?»
«No»
rispose il bambino. Succinto.
«Davvero?»
domandò l’uomo,
evitando di far trapelare il proprio disappunto per quelle repliche
così concise. «Eppure, ricordo che le giornate
degli Iniziati sono cariche di attività».
Il
bambino gli diede un’occhiata in tralice.
«Lezioni, allenamenti e cinque sessioni obbligatorie di
meditazione al giorno» disse. «Niente di insolito.
Non siamo Maestri Jedi. Non andiamo in missione».
Per
quanto il suo tono fosse rimasto rispettoso, quasi remissivo,
Qui-Gon percepì l’urto delle ultime due frasi, che
gli sembrarono un’allusione al suo anno d’assenza.
Dopotutto, anche i Padawan e i Cavalieri andavano in missione, ma il
bambino si era riferito soltanto alla categoria dei Maestri.
C’era
forse stata una nota di biasimo, nella voce
dell’Iniziato?
Le
labbra dell’uomo si contrassero. A quanto pareva, Obi-Wan
non era ancora disposto ad abbassare la guardia.
Il
silenzio calò di nuovo, almeno sinché Qui-Gon
non lo spezzò. «Vogliamo iniziare con la
meditazione?»
Obi-Wan
chinò il capo. «Va bene, Maestro
Jinn».
Si
sedettero l’uno di fronte all’altro. Il bambino
tenne d’occhio i movimenti dell’uomo, ma
abbassò la testa non appena Qui-Gon incrociò il
suo sguardo.
«Possiamo
cominciare?» domandò, fissando
un punto del terreno erboso accanto al Maestro Jedi.
«Ma
certo» assicurò
quest’ultimo.
A
dispetto di quelle parole, non aprì la propria mente alla
Forza per prepararsi alla meditazione, ma osservò
discretamente il bambino.
Obi-Wan
sembrava un po’ innervosito dalla loro vicinanza.
Continuava
a fissare con intensità una chiazza
d’erba… Poi inspirò un paio di volte,
profondamente, e Qui-Gon riconobbe l’esercizio di
respirazione che gli aveva consigliato di eseguire prima di una
meditazione.
A
quel punto, Obi-Wan chiuse gli occhi. Mentre la sua mente si
immergeva nella Forza, la sua posa si rilassò, e
l’uomo realizzò quanto fosse stata rigida sino ad
un momento prima.
Provò
un certo rimpianto, mescolato ad un’altra
sensazione che subito non identificò… Orgoglio,
comprese poi.
Anche
se in modo un po’ doloroso e nostalgico, lui si sentiva
orgoglioso del bambino.
Perché
Obi-Wan non aveva mentito, dicendo di essere
migliorato. Certo, aveva ancora un po’ di
difficoltà, ma mentre un anno prima non era stato in grado
di superarle, ora ce la fece dopo un paio di tentativi.
Per
la prima volta, Qui-Gon si rese conto di quanto la presenza del
bambino nella Forza fosse brillante.
Non
c’era da stupirsi, in fondo, che il Maestro Yoda lo
guardasse con un certo interesse…
Nonostante
la sua insicurezza, nonostante il suo desiderio –
talvolta quasi disperato – di compiacere chi aveva attorno,
l’Iniziato Kenobi sembrava avere le carte in regola per
diventare un ottimo Cavaliere Jedi.
Forse
era una sua impressione, ma a Qui-Gon sembrò che la
Forza fosse attratta da Obi-Wan in modo particolare.
“Lo
adora” pensò.
Un
Jedi che prestasse più ascolto alla Forza Unificante,
probabilmente, avrebbe interpretato la cosa in modo differente. Ad
esempio, avrebbe potuto ipotizzare che il bambino, in futuro, si
sarebbe trovato al centro di grandi eventi, e – anche se
forse non ne sarebbe stato il protagonista – avrebbe svolto
un ruolo essenziale nella storia della galassia.
La
Forza Vivente era più gentile.
Riemergendo
dalla meditazione, Obi-Wan aprì gli occhi e
guardò Qui-Gon.
Non
fu uno sguardo guardingo… Fu uno sguardo di una
trasparenza fiduciosa, e il bambino parve sul punto di dire qualcosa.
Subito
dopo, però, l’autodifesa tornò a
scattare.
L’espressione
di Obi-Wan si chiuse, così come le
sue labbra.
A
Qui-Gon parve di star perdendo un’occasione preziosa, e
chiamò: «Obi-Wan? Hai qualcosa da dirmi?»
Il
bambino sbatté le palpebre.
«Io…» iniziò, per poi
interrompersi.
Qui-Gon
non distolse lo sguardo da lui. “E ora?” si
chiese. Che passo avrebbe fatto il bambino? Sarebbe avanzato verso di
lui, o sarebbe tornato a indietreggiare?
Dopo
un istante, Obi-Wan annuì quasi impercettibilmente.
Aveva
optato per l’avvicinarsi con cautela, dunque.
Qui-Gon
s’impose di non mettergli pressione. Ma quando
Obi-Wan non aggiunse altro, l’uomo lo incoraggiò:
«Qualsiasi cosa sia, puoi chiedermela. Siamo amici, te ne
ricordi?»
Il
bambino girò il viso di lato, e lo studiò con
la coda dell’occhio. «Va bene, Maestro
Jinn» disse infine, distogliendo lo sguardo
dall’uomo. «Ho sentito che sei tornato ieri, dalla
tua missione».
Qui-Gon
credeva di sapere dove stesse andando a parare
l’Iniziato, ma si limitò a confermare:
«È vero».
Obi-Wan
aggrottò la fronte, voltando la faccia verso
l’uomo. «Pensavo non lo fosse. Non ti ho visto,
prima di stamattina».
Qui-Gon
non si mosse.
Non
sapeva cosa pensare. Quelle frasi erano soltanto osservazioni
innocenti, o era intenzionale, da parte di Obi-Wan, rigirare la
vibrolama nella piaga?
D’impulso,
l’uomo si protese verso il bambino, come
se annullare la distanza fisica potesse avvicinarli anche in altri
sensi. «Forse tu no» rispose. «Ma io ho
visto te. A cena, in refettorio. Volevo premurarmi che stessi
bene».
A
quelle parole, Obi-Wan lo guardò. Apertamente, questa
volta. «Allora» chiese, serio,
«perché non mi hai salutato?»
Poteva
anche essere un Iniziato del Tempio Jedi, poteva anche avere una
lingua affilata, ma alla fine era vulnerabile come qualsiasi altro
bambino della sua età.
Qui-Gon
si passò una mano sulla fronte.
«È complicato» disse. Come spiegargli il
discorso di Taren? «Non sapevo se ti avrebbe fatto piacere
vedermi, e non volevo disturbarti».
Obi-Wan
rimase in silenzio. Con la lingua, esplorò gli spazi
vuoti lasciati dai dentini che gli erano caduti.
Improvvisamente,
Qui-Gon sentì il desiderio di fargli mille
domande. Voleva
sapere – davvero – com’era andato
quell’anno. Voleva sapere cosa il bambino aveva percepito
della sua missione.
Taren,
dopotutto, non era davvero sceso nei dettagli. Gli
aveva detto che il bambino aveva avuto degli incubi e gli aveva
detto che il Maestro Yoda gli aveva insegnato a schermarsi.
Ma
quanto erano stati nitidi, quegli incubi? Obi-Wan
aveva capito che erano dovuti a lui? Aveva compreso che
esisteva un legame tra di loro? Se no, Taren e Yoda glielo avevano
spiegato? Quanta
paura aveva avuto il bambino? Quanta angoscia, per lui?
Alla
fine, l’uomo si trattenne dal sommergerlo di domande. Il
bambino aveva appena iniziato ad aprirsi; porgli quesiti tanto
personali avrebbe potuto indurlo a chiudersi a riccio.
«Possiamo
rimediare al tempo perduto, se vuoi»
disse Qui-Gon. «Che ne dici di meditare di nuovo con me,
domani?»
Obi-Wan
esitò. «Ecco…»
«Puoi
dirmelo, se non te la senti» lo
rassicurò subito l’uomo, anche se quella
possibilità gli fece sentire un peso sullo stomaco.
Quelle
parole parvero spingere il bambino ad abbassare le proprie
difese. «Mi piacerebbe, Maestro Jinn».
Qui-Gon
dovette lottare contro l’impulso di sorridere.
«È
solo che…»
La
fronte dell’uomo si increspò. Solo che?
Le
parole successive del bambino alleviarono la sua tensione:
«Nel pomeriggio, domani, il Maestro Kun fa una lezione sulla
forma Ataru, e chi vuole può assistere… E
io… ecco, io volevo andarci».
L’uomo
tornò a sentire una breccia
d’ottimismo. Cercò di tranquillizzare il bambino
con un’occhiata. «Non importa, Obi-Wan»
gli assicurò, «tu va’ pure alla lezione.
Noi potremo vederci dopodomani».
Note:
Ed eccoli finalmente riuniti, com’è giusto che sia!
Spero tanto di non aver scritto idiozie…
Riguardo la ricerca di Obi-Wan, gli Ysalamiri e Myrkr non sono di mia
invenzione, mentre lo è il pianeta Nihilo (e come dubitarne,
con un nome così?).
E Jocasta Nu fa la sua comparsa nel secondo film; è la donna
che sostiene che, se qualcosa non è registrato negli
Archivi, allora non esiste. Per qualche oscuro motivo, ho una specie di
debole per lei…
Appuntamento a martedì 19 novembre!
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Capitolo 12 *** Imprevisti ***
Capitolo 12 – Imprevisti
Invece si videro anche il giorno
successivo.
Qui-Gon,
infatti, decise di scendere in palestra. Appena entrato,
scorse Taren in compagnia di sei Iniziati, tra i quali
individuò subito Obi-Wan, e si fermò accanto alle
panche allineate lungo la parete, così da poter osservare la
lezione in tutta tranquillità.
Senza
dubbio, era uno spettacolo degno di questo nome.
Coi
piccoli, Taren riusciva a mostrare una pazienza esemplare, e a
quanto pareva gli sarebbe servita tutta, dato che, per i bambini,
imparare le mosse dell’Ataru sembrava tutt’altro
che semplice.
Quando
vide Obi-Wan impugnare la propria spada laser con
l’aria più perplessa del mondo, Qui-Gon non
poté trattenere un sorriso.
Senza
pensare, si fece avanti.
Taren
fu il primo a percepirlo, naturalmente, e si girò a
guardarlo con espressione accigliata. Lui, però, lo
ignorò.
«Iniziato
Kenobi» esordì, con voce
chiara, e anche gli occhi degli Iniziati schizzarono verso di lui,
«mi permetti di correggere la tua presa?»
Obi-Wan
sbatté le palpebre e, d’istinto, mosse un
passo verso l’uomo. Taren, però, si mise tra il
proprio amico e l’Iniziato.
«Maestro
Qui-Gon» disse, fissando in volto
l’altro adulto, «non hai qualcos’altro a
cui dedicare il tuo tempo?»
La
sua voce era calma, ma l’avvertimento nei suoi occhi era
chiaro.
Qui-Gon
lo guardò per un istante, poi spostò
l’attenzione su Obi-Wan. Quest’ultimo, al pari dei
suoi piccoli coetanei, fissava la scena senza capire.
Agendo
come gli era congeniale, Qui-Gon sorpassò Taren, e
posò la mano su quella con cui Obi-Wan reggeva la propria
spada laser, aggiustando la posizione delle dita del bambino.
«È
così che devi tenerla»
disse, sommessamente, e gli occhi chiari dell’Iniziato si
alzarono su di lui. «Hai capito?»
Obi-Wan
annuì, ed abbozzò persino un sorriso,
mostrando chiaramente i due denti mancanti. «Sì,
Maestro Jinn».
Qui-Gon
gli rivolse un cenno del capo, dopodiché si
raddrizzò. «Molto bene»
affermò. Il suo sguardo guizzò su Taren, che era
fermo a fissarlo. «Vi lascio alla vostra lezione».
Ciò
detto, il Maestro Jedi si diresse verso
l’uscita della palestra. Si sentiva più sereno di
quanto non gli accadesse da un po’ di tempo a quella
parte… Continuava a pensare ad Obi-Wan, che gli aveva
sorriso.
Aveva
appena mosso qualche passo lungo il corridoio, quando venne
raggiunto da Taren.
«Non
dovresti sorvegliare quegli Iniziati?» gli
domandò.
«Sapranno
cavarsela da soli, per un paio di minuti»
replicò Taren. «Tu, piuttosto, vuoi spiegarmi cosa
significava quella scena?»
Qui-Gon
lo guardò, inarcando appena un sopracciglio.
«Cosa dovrebbe significare?» domandò, in
tutta calma. «L’Iniziato Kenobi era in
difficoltà e io l’ho aiutato».
«D’accordo»
disse Taren, scrollando il
capo. «Dimmi quale parte dell’invito a star lontano
da Obi-Wan Kenobi non hai capito».
«Ho
capito perfettamente ogni parola, ti ringrazio»
replicò Qui-Gon, asciutto.
Taren
gli scoccò un’occhiata. «Allora
vuoi prenderlo come Padawan?» incalzò.
Qui-Gon
si fermò. «No» disse.
«Sarebbe troppo prematuro».
L’altro
sbuffò. «Prematuro?»
ripeté, incredulo. «Qui-Gon, ti rendi conto che
hai conosciuto quel bambino un anno fa, vero?»
«Ciononostante»
rispose Qui-Gon, «non
credo che sarebbe opportuno».
«E
reputi più opportuno stargli attorno in questo
modo?» chiese Taren, scettico.
«Gli
ho offerto la mia amicizia, un anno fa»
replicò Qui-Gon, senza batter ciglio. «Non siamo
Maestro e Padawan, siamo… amici».
L’altro
lo guardò come se fosse impazzito.
«Certo» disse. «In effetti, i
cinquantenni fanno spesso amicizia con bambini di nemmeno dieci
anni».
«A
me risultava di averne quarantatre, di anni»
osservò Qui-Gon, con calma.
Taren
fece una smorfia, come se si trattasse di una precisazione
superflua. «Naturalmente, perché questo rende la
vostra differenza d’età davvero minima»
ironizzò.
Rimase
in silenzio per qualche istante, poi scosse la testa.
«Tieni
a mente questo, Qui-Gon: è vero, quel
bambino ha ancora otto anni, ma presto o tardi avrà bisogno
di un Maestro. E se questo Maestro non vuoi essere tu, è
meglio che lasci spazio a chi è davvero disposto ad
insegnargli».
Detto
ciò, si voltò e tornò verso la
palestra senza aggiungere altro.
Rimasto
solo in mezzo al corridoio, Qui-Gon si accigliò
appena. Come sempre quando aveva bisogno di schiarirsi le idee, si
recò nei giardini.
Là,
tra gli alberi e i piccoli corsi d’acqua, la
vivacità della Forza Vivente fu una vera e propria
benedizione.
L’uomo
passeggiò a lungo, osservando le piante e i
fiori che crescevano in quella sala. La sua mente, però,
indugiava sulle parole di Taren e su Obi-Wan.
Tutta
la storia di quel bambino era una tale confusione…
L’unica cosa che Qui-Gon sapeva con certezza, era di aver
danneggiato la fiducia che l’Iniziato nutriva nei suoi
confronti, e che un rapporto tra Padawan e Maestro non poteva esistere,
senza la fiducia.
Prendere
Obi-Wan come allievo, a questo punto, sarebbe stato davvero
troppo prematuro.
L’uomo
si fermò nei pressi del lago. Un paio di
ragazzini sedevano sulle sponde, i piedi immersi nell’acqua,
e chiacchieravano tranquillamente.
Qui-Gon
li osservò distrattamente, e dopo un po’
sentì che qualcuno gli si avvicinava.
Non
era una presenza conosciuta.
«Maestro?
Scusate, Maestro?»
L’uomo
si girò.
Davanti
a lui, c’era una giovane Twi’lek. A
giudicare dall’altezza, sembrava avere all’incirca
undici anni, ed aveva la pelle color mattone.
I
suoi occhi erano blu, così come le perline che le
pendevano dal lekku destro.
Dopo
un istante, Qui-Gon realizzò di averla già
vista… in compagnia di Feemor, l’anno prima.
Doveva essere la Padawan scelta dal suo ex apprendista.
«Sì?»
le domandò
l’uomo, gentilmente.
Lei
esitò, forse intimidita dalla stazza del Maestro Jedi.
«Mi dispiace disturbarvi» disse infine.
«Ma voi… siete il Maestro Qui-Gon Jinn?»
«Sono
io» rispose l’uomo.
«Oh».
La Twi’lek accennò un
inchino. «Io sono Talia Hiro» si
presentò poi. «Sono la Padawan di Feemor
Crus».
Qui-Gon
annuì appena. Come aveva immaginato…
«Il
mio Maestro mi ha parlato di voi» aggiunse la
ragazzina, timidamente. «Spero di non avervi
disturbato…»
L’uomo
le rivolse uno sguardo rassicurante.
«Nient’affatto» rispose.
«È stato un piacere conoscerti, Padawan
Hiro».
Talia
riuscì a tirare fuori un piccolo sorriso.
«Il piacere è stato mio, Maestro Jinn».
Con
la grazia caratteristica dei Twi’lek, eseguì
un bell’inchino, quindi si allontanò lungo il
prato.
Sentendo
qualcun altro che si avvicinava – e questa, di
presenza, era alquanto familiare – Qui-Gon si girò.
Obi-Wan
era a pochi passi da lui, e guardava Talia allontanarsi con
occhi pieni di diffidenza.
Per
un istante, però, tutto ciò che Qui-Gon
notò fu che il bambino era venuto a cercarlo.
«Obi-Wan» disse, sentendosi incredibilmente bene.
«È tutto a posto?»
Il
bambino si riscosse, e i suoi occhi chiari saettarono verso il
Maestro Jedi. «Sì, Maestro Jinn» rispose.
«Hai
bisogno di qualcosa?»
Obi-Wan
parve impiegare qualche momento, prima di ricordare come mai si
trovava lì. «Io volevo… volevo solo
farti una domanda».
Qui-Gon
annuì. «Quale?»
In
quel momento, avrebbe risposto volentieri a qualsiasi quesito.
Dopo
qualche istante di indugio, il bambino riferì
cautamente: «Domani comincia un Torneo per noi Iniziati, e io
volevo… ecco, volevo chiederti se vorresti assistere.
Combatterò anch’io».
Qui-Gon
lo guardò. Spesso,
era proprio assistendo a quei Tornei che i Maestri sceglievano
i loro futuri Padawan… Qui-Gon era stato notato da Dooku in
un’occasione simile, ed anni e anni più tardi
aveva osservato il proprio futuro apprendista durante uno di quei
combattimenti…
Immaginava
che Taren non sarebbe stato contento di vederlo tra il
pubblico, ma come poteva rifiutare?
Gli
sembrava che quella richiesta fosse, per Obi-Wan, un modo di
metterlo alla prova. Di scoprire se l’uomo aveva davvero
intenzione di riavvicinarsi a lui.
Inoltre,
Qui-Gon sentiva come un quieto orgoglio, nel bambino, la
consapevolezza di essere bravo a fare qualcosa, e la speranza che
l’uomo lo vedesse… Fu quest’ultima
emozione, a far capitolare definitivamente il Maestro Jedi.
«Molto
bene, allora» si sentì rispondere
lui. «Ci sarò».
Obi-Wan
lo ricompensò con un sorriso – un sorriso
un po’ esitante, forse, ma pur sempre un sorriso –
per poi tornare serio un momento dopo.
No,
più che serio sembrava assillato da qualcosa.
«C’è
dell’altro?»
chiese allora Qui-Gon.
Il
bambino esitò. «Chi… chi era la
Twi’lek con cui parlavi?» domandò poi,
in tono strano.
«È
la Padawan di un mio caro amico»
rispose Qui-Gon.
Obi-Wan
sbatté le palpebre. «Oh» fu
tutto ciò che riuscì a dire, cercando di suonare
indifferente.
Qui-Gon
lo scrutò, ma decise di non indagare.
«Com’è andata la lezione sulla forma
Ataru?» chiese invece.
«Abbastanza
bene… credo» rispose il
bambino. Fece una pausa, poi alzò uno sguardo serio sul
Maestro Jedi. «Grazie per avermi mostrato come tenere la
spada».
«Sono
stato felice di aiutarti» replicò
Qui-Gon, ed era la verità. E a proposito di verità… «Ma è stato scortese, da parte mia, intromettermi nella lezione del Maestro Kun… Lui è un ottimo insegnante, e tu sei un bravo allievo. Ti garantisco che lo avresti imparato anche senza il mio aiuto».
Obi-Wan
spostò il proprio peso da una gamba
all’altra. «È quasi ora di
cena» disse infine. «Tu vieni in mensa?»
Sembrava
dovesse sforzarsi un po’, per informarsi su Qui-Gon
senza stare sulle sue.
L’uomo
declinò con un cenno del capo.
“Un passo alla volta” si ricordò.
«Io mangerò nel mio alloggio».
«Va
bene» rispose il bambino. «Buon
appetito, Maestro Jinn».
«Buon
appetito a te» ricambiò il Jedi.
Obi-Wan
gli rivolse un cenno, un inchino fugace, e si
allontanò.
Qui-Gon
aveva la fronte aggrottata. Ripensò a Talia, e alla
reazione di Obi-Wan dopo che l’aveva visto parlare con la
giovanissima Twi’lek.
Era
possibile che il bambino avesse creduto che lui stesse chiedendo a
quella ragazzina di diventare la sua Padawan?
Certo
che sì. E non c’era stato solo timore, di
fronte a quella possibilità.
Gelosia. Quando lo
aveva visto parlare con Talia, Obi-Wan si era
ingelosito.
Alla
luce di quell’avvenimento, era probabile che qualunque
Jedi di buonsenso avrebbe deciso di tagliare i ponti con
quell’Iniziato. Era chiaro che Obi-Wan, nonostante
l’anno di separazione, si stava rapidamente affezionando a
Qui-Gon, più profondamente di quanto avrebbe
dovuto… persino la sua cautela ne era indice… e
ciò poteva essere pericoloso per il bambino.
Qui-Gon,
però, non era mai stato un uomo di buonsenso.
Il
Torneo tra gli Iniziati si teneva in palestra.
Erano
state aggiunte alcune panche, così che ci fossero
più posti per eventuali spettatori.
A
quanto pareva, l’età dei giovani partecipanti
andava dai sei ai dodici anni… Era probabile,
però, che i match fossero stati organizzati in modo da far
combattere tra loro dei coetanei.
Di
solito, infatti, sino ai dieci anni, i bambini conoscevano solo la
prima forma, e da lì in poi ricevevano anche una spolverata
di nozioni riguardanti altri stili di combattimento.
Obi-Wan
non era tra i primi due duellanti. Con gli altri bambini in
attesa del loro turno, stava seduto su una panca sistemata dalla parte
opposta rispetto al pubblico.
E
nonostante in mezzo ci fossero gli Iniziati che avevano cominciato il
primo match, gli occhi chiari del bambino trovarono subito Qui-Gon.
L’uomo
si rese conto che Obi-Wan non aveva avuto bisogno di
cercare in mezzo alla folla… aveva guardato con precisione
verso di lui, come se sapesse in anticipo dove l’avrebbe
trovato.
“Il
legame” pensò il Maestro Jedi, e
istintivamente sfiorò quel filo di luce nella propria mente.
Forse
si era un po’ indebolito, da quando Qui-Gon ed Obi-Wan
avevano preso a schermarsi da esso, ma era ancora lì.
L’uomo
si domandò se il bambino se ne fosse
servito con consapevolezza, poi i suoi occhi si spostarono su Taren.
Quest’ultimo
era tra i Maestri che facevano da
giudici… Se avesse cercato di cacciare Qui-Gon dalla
palestra, però, l’uomo era già
determinato a non farsi mandar via.
Quell’invito
da parte di Obi-Wan… era stato come
se il bambino muovesse finalmente un passo nella sua direzione.
Forse,
l’Iniziato Kenobi aveva ricominciato a fidarsi di lui.
Taren
guardò l’amico, ma si limitò a
scuotere la testa e a tornare ad osservare gli Iniziati intenti a
combattere.
Più
avanti, un duello vide come avversari una bambina dai
capelli neri ed un piccolo Mon Calamari – minuto, con grandi
occhi argentei e la pelle grigiastra.
Tra
gli spettatori, ci fu un attimo di apprensione – mista,
forse, ad una certa ilarità – quando i due
Iniziati riuscirono a darsi una bella zuccata, e il maschietto
scoppiò in un pianto disperato.
Un
simile spettacolo era un evento più unico che raro, al
Tempio Jedi, ma fortunatamente l’intervento della Maestra
Yula bastò a sistemare le cose.
Con
una mossa più pratica che materna, prese in braccio il
Mon Calamari, trasportandolo lontano dagli occhi del pubblico,
così da permettergli di calmarsi in poco tempo…
Qui-Gon
seguì la donna e il piccolino con lo sguardo, ma
riportò di colpo gli occhi davanti a sé quando
vennero annunciati i successivi oppositori: era arrivato il turno di
Obi-Wan.
Per
la prima volta, Qui-Gon ebbe modo di osservare il bambino durante
un duello. E se, da un lato, Obi-Wan aveva una certa goffaggine
tipicamente infantile, dall’altro l’uomo
riuscì a vedere con chiarezza il talento di cui aveva
parlato Taren.
Anche
l’avversario di Obi-Wan era abbastanza bravo, ma alla
fine la vittoria venne attribuita all’Iniziato Kenobi.
Senza
pensarci, Qui-Gon si ritrovò ad annuire con
approvazione. Gli occhi del bambino guizzarono verso di lui, ma a quel
punto Taren lo fece andare a sedersi di nuovo.
Un
po’ più duro, per Obi-Wan, si rivelò
il match successivo.
Il
suo opponente era un Abyssino: aveva un unico, grande occhio in
mezzo alla fronte, pelle verde chiaro, ed alcuni peli bianchi sulla
nuca… nonché una grande energia.
Obi-Wan
rischiò più volte di perdere
l’equilibrio sotto gli assalti della spada laser avversaria,
e inizialmente non riuscì a far altro che stare sulla
difensiva.
Poco
a poco, però, iniziò a
contrattaccare… e Qui-Gon, con una certa sorpresa, riconobbe
alcune mosse dell’Ataru. La tecnica era molto criticabile, ma
ebbe un buon risultato… L’Abyssino perse
gradualmente terreno, e alla fine, con un colpo deciso, Obi-Wan
riuscì a fargli cadere la spada laser di mano.
Comprensibilmente,
il suo avversario parve un po’
contrariato, e dopo aver raccolto la propria arma scappò
verso gli Iniziati seduti sulla panca.
Obi-Wan
si inchinò al pubblico, quindi corse via a sua volta.
Combatté
altri tre duelli: uno lo perse in modo clamoroso,
inciampando nei propri piedi in seguito ad un attacco elementare, ma se
non altro riuscì a vincere gli altri due.
Quando
il Torneo giunse al termine, alcuni spettatori iniziarono subito
ad andarsene, mentre una manciata di Iniziati sciamava attorno ai
Maestri che avevano giudicato i match.
Obi-Wan,
invece, si girò verso il pubblico.
I
suoi occhi chiari incrociarono quelli di Qui-Gon, e il bambino
abbozzò un sorriso. L’uomo ricambiò con
un cenno del capo, quindi fece per alzarsi.
In
quel momento, però, fu oltrepassato da un altro Maestro,
un Balosar dalla corporatura piuttosto robusta. Come gli altri membri
della sua razza, avrebbe potuto essere facilmente scambiato per un
Umano, non fosse stato per gli antennapalmi che sporgevano dai suoi
capelli scuri ed ispidi.
Si
diresse con sicurezza verso Obi-Wan, e gli occhi sorpresi del
ragazzino si puntarono su di lui.
Qui-Gon
si bloccò, e restò a guardare mentre il
Balosar si complimentava con l’Iniziato.
Anche
a quella distanza, riuscì a distinguere
l’accenno di sorriso che piegava le labbra del bambino.
Inconsciamente,
strinse le mani, per poi riaprirle un istante dopo.
Fortunatamente,
dopo qualche minuto, il Balosar diede una pacca gentile
sulla spalla di Obi-Wan e se ne andò. Qui-Gon non
indugiò oltre: si alzò e si avvicinò
rapidamente all’Iniziato.
Tutta
l’attenzione del bambino si concentrò
immediatamente su di lui e l’uomo non poté evitare
di provare una punta di soddisfazione.
«Maestro
Jinn» lo salutò Obi-Wan.
«Un’ottima
prova, Obi-Wan»
approvò Qui-Gon, che non voleva tenerlo sulle spine.
A
quelle parole, il volto del bambino si aprì in un sorriso.
«Davvero?»
L’uomo
annuì. «Il Maestro Kun mi aveva
detto che eri bravo con la spada laser, ma devo dire che hai superato
le mie aspettative».
Quasi
evocato dal proprio nome, Taren spuntò alle spalle del
piccolo Iniziato. Dopo aver lanciato un’occhiata di biasimo a
Qui-Gon, chiamò: «Kenobi?»
Obi-Wan
si girò verso di lui. «Sì,
Maestro Kun?»
«Credo
sia il caso che tu vada a fare una doccia»
gli suggerì l’uomo.
Il
bambino sbatté le palpebre. «Sì,
Maestro Kun» disse, in tono remissivo. Riportò lo
sguardo su Qui-Gon. «Allora ci vediamo, Maestro
Jinn».
«Certamente»
gli assicurò
l’interpellato, ignorando lo sguardo di Taren.
Il
bambino rivolse un inchino ai due Maestri, dopodiché si
allontanò. A
quel punto, gli occhi castani di Taren si fermarono su Qui-Gon.
Quest’ultimo
gli si rivolse con disinvoltura: «Se
gli Iniziati che ho visto hanno imparato da te… Sei un
insegnante migliore di quanto credevo».
«Grazie»
disse l’uomo.
Aggrottò la fronte. «Credo».
Qui-Gon dovette sorridere, poi tornò serio. «Seriamente, però. Sei un bravo insegnante. E mi scuso per aver interrotto la tua lezione, ieri».
Taren parve sorpreso. «Scuse accettate» si limitò a dire.
In
quel momento, il minuscolo Mon Calamari che si era messo a piangere
durante il Torneo parve comparire dal nulla, ed andò ad
attaccarsi alla gamba di Taren.
Lui
non fece una piega, quasi fosse del tutto abituato ad avere dei
marmocchi avvinghiati a sé.
Qui-Gon,
invece, scambiò un’occhiata col piccolo,
che lo fissava con due occhi liquidi colmi di curiosità,
tenendo la testona appoggiata contro il fianco di Taren.
«Il
Maestro che si è fermato a parlare con
Obi-Wan» esordì quindi Qui-Gon, rivolto
all’amico. «Lo conosci, per caso?»
Taren
corrugò la fronte. «Sto assistendo ad una
scenata di gelosia?»
Qui-Gon
non batté ciglio. «Non è un
problema, per me, rivolgere questa domanda a qualcun
altro…»
Taren
alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
«Vedi, Bali?» disse, rivolto al piccolo Mon
Calamari. «Non sono solo i bambini ad essere irragionevoli,
talvolta».
L’Iniziato
si aprì in un largo sorriso, e si
aggrappò più saldamente all’uomo.
Taren
tornò a guardare Qui-Gon. «Per tornare alla
tua domanda… sì, lo conosco. È il
Maestro Quail. Sembra che Kenobi gli stia simpatico, vero?»
E,
senza aggiungere altro, si allontanò, trascinando con
sé il Mon Calamari.
Qui-Gon
rimase fermo sul posto, accigliato. Una parte di lui, si chiese
se avrebbe dovuto andare da Obi-Wan e… no. Era ancora troppo
prematuro; aveva appena iniziato a ricostruire il suo rapporto con quel
bambino.
Non
voleva fare gli stessi errori che aveva fatto col suo ultimo
apprendista. Non poteva.
Sospirò
appena. Ricordava ancora quando l’aveva
scelto… Lo aveva visto combattere e alla fine del Torneo lo
aveva avvicinato.
L’intelligenza
spregiudicata di quel ragazzino dai capelli
neri lo aveva colpito… Ora, riguardando indietro, pensava
agli indizi che non aveva colto, al proprio comportamento troppo
indulgente.
Il
ragazzino si arrabbiava con eccessiva rapidità? Lui
l’aveva attribuito all’età.
Il
ragazzino trasgrediva i suoi ordini o commetteva delle infrazioni? A
lui bastava una scusa contrita per accordargli il proprio perdono.
Qui-Gon
chiuse gli occhi. Che pessimo giudice, che era stato.
Tanto
per peggiorare le cose, adesso non vedeva solo i difetti del
ragazzo. Ricordava la sua astuzia, la sua agilità, il suo
amore per le opere d’arte ed i tramonti…
Checché
ne dicesse Yoda, il cuore di Qui-Gon continuava a
credere che, con un Maestro migliore, il suo secondo apprendista si
sarebbe trasformato in un Jedi straordinario.
Qualche
giorno più tardi, l’uomo era immerso nella
calma dei giardini del Tempio.
Sentiva
lo scorrere dell’acqua e la frenesia delle bestiole
che correvano da un albero all’altro, e si sentiva
completamente rilassato e a proprio agio.
Quasi
completamente, se non altro.
Negli
ultimi tempi, aveva continuato ad incontrarsi con Obi-Wan.
Avevano meditato insieme, erano stati insieme alla mensa del Tempio, il
bambino gli aveva permesso di aiutarlo un poco con i suoi
esercizi… C’erano ancora dei momenti in cui
l’Iniziato si chiudeva in se stesso senza una ragione
apparente e sembrava recalcitrante a fidarsi di Qui-Gon, ma le cose
stavano innegabilmente migliorando.
Sennonché,
il giorno prima, l’uomo aveva di nuovo
visto il Maestro Quail parlare con Obi-Wan. E, quando aveva
interpellato il bambino in proposito, lui aveva detto che il Balosar
l’aveva già avvicinato altre volte, dopo il Torneo.
Se
avesse avuto un minor controllo sulle proprie emozioni, Qui-Gon si
sarebbe sentito quasi irritato nei confronti di quel Jedi.
Trasse
un respiro profondo, osservando le gemme azzurrine che
iniziavano a spuntare sui rami di una pianta poco lontana.
Poi
avvertì una presenza familiare che gli si avvicinava e
si voltò.
Taren
stava arrancando verso di lui. Non doveva essersi fatto la barba,
quella mattina, a giudicare dalle sue guance ruvide… Ad
attirare l’attenzione di Qui-Gon, però, fu il
volto dell’amico, che sfoggiava un’espressione
mortalmente seria.
Il
Maestro Jedi sospirò appena. Sperava che non fosse in
arrivo un’altra ramanzina riguardante Obi-Wan.
«Buongiorno»
disse, quando l’amico lo
raggiunse.
«Buongiorno
a te» replicò Taren. A
dispetto del saluto, aveva tutta l’aria di pensare che quel
pomeriggio fosse a dir poco orrendo.
«Sembra
che gli Iniziati ti abbiano esaurito»
commentò Qui-Gon, sperando che fosse quella la causa del
cipiglio dell’altro.
Taren
si portò una mano alla fronte. «Non si
tratta di questo».
«Di
cosa si tratta, dunque?» domandò
Qui-Gon, in tono un po’ rassegnato. «Non sarai
venuto a dirmi di tenermi a distanza…»
Taren
lo zittì con un sibilo irritato.
Sorpreso
da quella reazione, decisamente poco consona ad un Jedi,
Qui-Gon guardò l’amico ed inarcò un
sopracciglio.
Taren
trasse un respiro, rilasciando la propria stizza nella Forza.
Quando
si fu calmato a sufficienza, si rivolse all’amico.
«In effetti» disse, «si tratta di
Kenobi».
Qui-Gon
pensò che avrebbe dovuto aspettarselo. Ma cosa
potevano aver fatto lui, o Obi-Wan, per innervosire tanto Taren?
«Cos’è
successo?»
L’altro
lo guardò e per qualche istante rimase in
silenzio. «Il Maestro Quail» disse poi, con voce
pesante, «gli ha chiesto di diventare il suo
Padawan».
Note:
TAN-TAN-TAAAN.
Lasciando da parte le mie uscite idiote, mi scuso per aver rimandato
l’aggiornamento, ma la settimana scorsa mi sono attenuta alla
regola “prima il dovere e poi il piacere”, e dopo
il dovere di tempo per il piacere ce n’era ben
poco…
Che dire? Il Feemor dell’EU non aveva un cognome,
così ho passato ore e ore a cercare di inventarmene
uno… Per fortuna esiste il latino.
Ringrazio di cuore tutti voi che
recensite/preferite/seguite/ricordate/leggete questa storia…
Mi motivate un sacco a continuare a scrivere :’)
Infine, salvo imprevisti, il prossimo capitolo arriverà
martedì prossimo, il 3 dicembre…
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Capitolo 13 *** Un nuovo incarico ***
Capitolo 13 – Un nuovo
incarico
Qui-Gon impiegò un
po’, prima di assorbire
l’informazione.
Il Maestro Quail gli ha chiesto
di diventare il suo Padawan.
Mentre
la voce di Taren sembrava riecheggiargli sinistramente nella
testa, l’uomo sentì i propri muscoli irrigidirsi,
e si scoprì incapace di dire alcunché.
Lui
conosceva la gioia che gli Iniziati mostravano quando si vedevano
offrire l’occasione di diventare Padawan… Per la
Forza, l’aveva già vista persino sul volto di
Obi-Wan…
Ed
ora, immaginare il bambino che sorrideva radioso ad un altro
Maestro, che accettava l’offerta di un altro
Maestro…
«Questa
mattina» disse Taren, in tono misurato,
«il Maestro Quail si è recato nella Torre del
Consiglio, ed ha chiesto di poter prendere Kenobi come Padawan. Il
Consiglio ha accettato, naturalmente».
Qui-Gon
gettò un’occhiata all’amico.
Il
fatto che il Maestro Quail, in primo luogo, si fosse rivolto al
Consiglio, non lo stupiva affatto: spesso, gli Iniziati erano i secondi
ad essere interpellati in proposito.
Improvvisamente,
una domanda aggredì la mente di Qui-Gon.
Perché il Maestro Yoda non aveva respinto la richiesta?
Perché non l’aveva almeno avvertito?
Un
istante dopo, si meravigliò della propria
irrazionalità.
Sapeva
bene che il Maestro Yoda non si trovava al Tempio,
attualmente… E se anche si fosse trovato lì,
perché avrebbe dovuto respingere la richiesta del Maestro
Quail? Perché avrebbe dovuto avvertirlo?
In
fondo, che diritto aveva lui, su Obi-Wan?
Nessuno.
«Così»
continuò Taren,
ignorando le emozioni che Qui-Gon stava reprimendo sistematicamente,
«dopo pranzo, il Maestro Quail è venuto a cercare
l’Iniziato Kenobi… che, per la cronaca, era in
compagnia mia e di altri membri del Clan del Dragone… e gli
ha fatto la sua offerta».
Qui-Gon
non capiva perché l’amico volesse
raccontargli tutta la storia.
Esteriormente,
rimase impassibile. Interiormente, dovette far appello
alla Forza Vivente per mantenere il controllo su di sé.
All’improvviso,
persino l’aria dei giardini gli
parve ridotta e claustrofobica.
Doveva
farsi assegnare un nuovo incarico dal Consiglio,
pensò. Di certo, c’era un qualche pianeta lontano
che aveva bisogno dell’intervento di un Jedi…
Mentre lì al Tempio, a quanto sembrava, non c’era
più nessuno che avesse bisogno di lui.
Obi-Wan
Kenobi aveva trovato il suo Maestro.
Qui-Gon
era quasi irritato con se stesso. In fondo, non era quello che
aveva voluto, sin dalla prima volta che aveva incontrato il bambino?
Allora
perché si sentiva così?
Perché
le cose erano cambiate, gli rispose un sussurro in
fondo alla sua testa.
La
voce secca di Taren lo riscosse dai propri pensieri:
«L’Iniziato Kenobi ha rifiutato».
Qui-Gon
lo fissò. «Cosa?» si
sentì chiedere.
“Rifiutato?”
«Mi
hai sentito» replicò Taren, sempre
seccamente. «Il marmocchio ha detto di no, e avresti dovuto
vedere la faccia di Quail… Probabilmente, anche i membri del
Consiglio si sono sbalorditi, apprendendo questa bella
notizia».
Qui-Gon
non lo stava più ascoltando. La sua mente era ancora
bloccata a Obi-Wan che si lasciava sfuggire – anzi,
respingeva – l’occasione di diventare un
Padawan…
«Devo
parlare con Obi-Wan» disse, di punto in
bianco, scattando verso l’uscita dei giardini, del tutto
sordo ai richiami di Taren.
Obi-Wan
era seduto sul proprio letto, il mento appoggiato alle
ginocchia e l’espressione seria e pensosa.
Quando
sentì il sibilo della porta che si apriva, i suoi
occhi grigio-azzurri si alzarono di colpo, aspettandosi di vedere la
Maestra Yula… e invece trovarono Qui-Gon Jinn.
La
sorpresa passò sul viso del bambino, e lui fu rapido a
tirar giù le gambe e a drizzare la schiena.
«Maestro
Jinn» salutò, in tono quasi
vigile.
L’uomo
gli rivolse un breve cenno del capo.
«Obi-Wan» replicò.
A
quel punto, il bambino scivolò giù dal letto,
mettendosi in piedi, e si affrettò ad eseguire un inchino.
Per
qualche tempo, nessuno dei due disse nulla.
«C’è…
c’è qualcosa che posso fare?»
domandò poi Obi-Wan, incerto.
Qui-Gon
si schiarì la gola. Il bambino era palesemente in
ansia… era meglio chiarire subito il motivo della propria
visita.
«Ho
saputo che il Maestro Quail ti ha chiesto di diventare il
suo Padawan» si decise a dire l’uomo, con voce
contenuta.
Obi-Wan
sbatté le palpebre. «Oh».
«E
ho anche saputo» aggiunse Qui-Gon, senza
staccare gli occhi dal bambino, «che hai rifiutato la sua
offerta».
Obi-Wan
passò il proprio peso da una gamba
all’altra, mentre la sua inquietudine si trasmetteva
nitidamente attraverso la Forza.
«Posso
chiederti perché lo hai fatto?»
chiese Qui-Gon, in tono perfettamente calmo.
Esitante,
Obi-Wan alzò gli occhi sul volto
dell’uomo. «Io…»
cominciò. «Ecco, io…» Si
morse un labbro, poi disse, semplicemente: «Non potevo dirgli
di sì».
Qui-Gon
lo scrutò. «Perché
no?»
Il
bambino si guardò rapidamente intorno, a disagio.
«Io non… non so come spiegarlo». Fece
una pausa, poi riprese: «Non potevo e basta».
Qui-Gon
non disse nulla. Percepiva che Obi-Wan stava cercando di
trovare le parole migliori per spiegarsi.
«Non
potevo perché… non sembrava
giusto».
L’uomo
lo guardò. «Non sembrava
giusto?» ripeté, quietamente.
Obi-Wan
si affrettò ad annuire. «Esatto»
confermò. L’incertezza tornò a balenare
sul suo viso. «Io non… non sono bravo, a capire
cosa vuole la Forza. Però, quando il Maestro Quail mi ha
chiesto di diventare il mio Padawan, io… ho capito subito
che non voleva che dicessi di sì. Non suonava…
giusto».
Qui-Gon
continuò ad osservarlo con aria intenta, quasi
volesse penetrare la mente dell’Iniziato.
Dapprima,
Obi-Wan cercò di ricambiare lo sguardo del Maestro
Jedi, ma alla fine abbassò gli occhi sui propri piedi.
Qui-Gon
si costrinse a parlare. «Capisco».
Lentamente,
gli occhi di Obi-Wan si sollevarono su di lui.
«Non sei arrabbiato».
Davanti
a quelle parole, l’uomo rimase interdetto.
«Perché dovrei esserlo?»
domandò, accigliandosi.
Il
bambino scrollò le spalle.
«Be’… ho detto di no ad un
Maestro» disse, con voce piena di disagio. «Non
è una cosa che…»
«Obi-Wan»
lo interruppe Qui-Gon, in tono gentile,
«ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?»
Il
bambino lo guardò con aria confusa. Chiaramente non
capiva dove volesse arrivare l’uomo, ma annuì.
«Sì, Maestro Jinn».
«Bene»
disse Qui-Gon. «E ricordi che, il
pomeriggio seguente, abbiamo passeggiato nei giardini?»
Obi-Wan
fece nuovamente cenno di sì.
«Ad
un certo punto, ti ho domandato se pensavi che contassero
solo le azioni, o anche la loro motivazione».
«Me
lo ricordo» affermò Obi-Wan.
«Io non sapevo la risposta, e mi hai detto che avrei potuto
dirtela quando avrei capito qual era».
Qui-Gon
pensò che il bambino aveva una buona memoria.
«Esatto» gli disse. «E ci hai pensato
su?»
L’Iniziato
annuì.
«Però… non ho una risposta
precisa…»
«Non
importa» lo tranquillizzò
l’uomo. «A che cosa hai pensato?»
«Ho
pensato che la motivazione importa»
iniziò Obi-Wan, incerto. «Però non
sempre».
«Non
sempre?»
«Dipende
da che cosa una persona fa, no?» chiese
Obi-Wan, esitante. «Se fa qualcosa di molto brutto, non so se
possa essere scusata».
Qui-Gon
annuì. «D’altra parte» non poté trattenersi dall’osservare, «spiegare una cosa è diverso dallo scusarla». Allo sguardo confuso di Obi-Wan, fece un gesto vago. Probabilmente non era il momento di mettersi a filosofeggiare. «Lascia stare. Il tuo è comunque un ragionamento valido». Si inumidì le labbra. «Ti posso assicurare,
però, che ciò che hai fatto tu non è
così brutto. E anche se lo fosse» aggiunse,
notando l’espressione del bambino, «hai seguito il
volere della Forza. Non c’è nulla di male in
questo. Devi esserne fiero, invece».
Il
bambino si mordicchiò il labbro inferiore.
«Allora è vero» disse infine,
scoraggiato. «La Forza non vuole che io diventi un
Jedi?»
Qui-Gon
lo fissò. Un Iniziato avrebbe dovuto almeno
aspettare di avere dodici anni, prima di preoccuparsi di una cosa
simile.
Aprì
la bocca per replicare, ma in quel momento la porta si
aprì di nuovo.
La
Maestra Yula, i capelli legati dietro la nuca in uno chignon scuro,
fece il suo ingresso. «Maestro Jinn»
salutò, con una punta di sorpresa. «Non sapevo che
foste qui».
Qui-Gon
si inchinò. «Maestra Yula».
La
donna sorrise con cortesia, quindi si rivolse ad Obi-Wan.
«Piccolo Kenobi, sei pronto?» gli
domandò.
Il
bambino si riscosse. «Sì, Maestra
Yula» si affrettò a rispondere, per poi chinarsi a
raccogliere il borsone accanto al proprio letto.
«Spero
di non aver interrotto nulla» aggiunse la
donna, rivolta a Qui-Gon.
«Non
vi preoccupate» replicò lui.
«Stavamo soltanto… facendo
conversazione».
Obi-Wan
si fermò accanto ai due adulti.
«Piccolo
Kenobi, puoi andare con gli altri, io vi raggiungo
subito» gli disse la Maestra Yula, con gentilezza.
«Sì,
Maestra» disse il bambino, ma poi
indugiò, guardando verso Qui-Gon. «Andiamo su
Nihilo» spiegò.
«La
gita» ricordò Qui-Gon, rammentando
la ricerca che Obi-Wan stava svolgendo negli Archivi il giorno dopo il
suo ritorno. «Certamente».
Il
bambino gli rivolse un inchino. «Che la Forza sia con te,
Maestro Jinn».
L’uomo
rispose abbassando il capo. «E con te,
Iniziato Kenobi».
Obi-Wan
diede un ultimo sguardo a Qui-Gon e alla Maestra Yula,
dopodiché uscì dalla propria camera.
«Volevate
dirmi qualcosa?» domandò
quindi l’uomo.
La
Maestra Yula attese un istante. «Gli avete chiesto di
diventare il vostro Padawan?» chiese poi.
Qui-Gon
sospirò interiormente. «No».
Mentre
lo diceva, realizzò di non essere stato poi
così lontano dal farlo…
La
donna annuì. «Arrivederci, allora, Maestro
Jinn».
Entrambi
i Maestri uscirono dalla camera dell’Iniziato.
Mentre la Maestra Yula si diresse dove si erano radunati i piccoli
membri del Clan del Dragone, però, Qui-Gon uscì
dall’ala del Tempio riservata alle stanze degli Iniziati.
Due
giorni dopo la partenza di Obi-Wan per Nihilo, Yoda, Cin Drallig e
il Maestro di quest’ultimo rientrarono dalla loro missione.
Quello
stesso pomeriggio, Qui-Gon stava meditando nei giardini del
Tempio. Si sentiva completamente parte della Forza Vivente, che lo
blandiva ed avvolgeva come una coperta di serenità.
Quand’ecco,
qualcosa di duro e sottile gli
punzecchiò la gamba.
L’uomo
aprì lentamente gli occhi.
«Maestro Yoda» salutò, rivolgendo un
cenno al piccolo troll verde davanti a lui. «Sei tornato
dalla missione».
Mentre
parlava, provò una sensazione di
déjà-vu. Anche il giorno in cui aveva conosciuto
Obi-Wan, il Gran Maestro aveva interrotto la sua meditazione nei
giardini.
Sperava
non divenisse un’abitudine.
«Questa
mattina, sono rientrato» rispose Yoda.
«Spero
che tu abbia avuto successo» disse Qui-Gon,
cortesemente.
«Un
gran successo, sì»
confermò Yoda, per poi aggiungere con una certa
soddisfazione: «Il Padawan Cin Drallig, di grande aiuto
è stato».
«Drallig
è un giovane pieno di talento»
concordò Qui-Gon.
«Mmm».
Yoda si sfregò una mano a tre
dita contro il mento. «Qui per parlare della mia missione o
di un Padawan, io non sono».
«No?»
domandò Qui-Gon. «Di
cosa vorresti discutere, dunque?»
«Una
missione per te, io ho» decretò
Yoda.
Per
un istante, l’uomo sentì quasi una fitta di
disappunto, mentre i suoi pensieri correvano istintivamente ad Obi-Wan.
Aveva sperato di poter essere al Tempio, in occasione del ritorno di
Obi-Wan da Nihilo… E invece doveva partire di nuovo.
Stavolta, senza nemmeno poter salutare il bambino.
Il
suo senso del dovere, però, soppresse in fretta qualsiasi
sorta di rammarico.
«Di
che missione si tratta?» chiese
l’uomo.
«Indagare
su un furto, dovrai» rispose Yoda.
Qui-Gon
inarcò un sopracciglio. «Non è
un lavoro per il Corpo di Polizia?» domandò.
«L’intervento di un Maestro Jedi è
davvero necessario?»
Il
suo non era un rifiuto dell’incarico, ma una pura e
semplice richiesta d’informazioni.
«Il
pianeta su cui recare ti dovrai»
replicò Yoda, «un Corpo di Polizia non
ha».
L’uomo
annuì. «Qual è il
pianeta in questione?»
«Il
pianeta Nihilo è».
Qui-Gon
fissò il Gran Maestro. «Il pianeta
Nihilo?» ripeté. «Vuoi dire dove si
trovano attualmente in gita alcuni Iniziati?»
Yoda
annuì, impassibile.
«E
nonostante il furto, gli Iniziati non sono stati fatti
rientrare a Coruscant?» aggiunse Qui-Gon.
«Solo
di un furto, si tratta» gli fece notare Yoda,
ragionevolmente. «Coi bambini, quattro Maestri Jedi ci sono.
In pericolo, non si trovano».
Qui-Gon
si ritrovò a concordare col Gran Maestro. Una parte
di lui si chiese se quella sua apprensione fosse stata causata dal
fatto che Obi-Wan si trovava su quel pianeta, e l’uomo si
alzò in piedi. «Quando posso partire?»
«Prima
nella Sala del Consiglio vieni» disse Yoda.
«I dettagli della missione, darti dobbiamo».
Note:
Okay. Ce l’ho fatta.
Scusatemi, so che avrei dovuto aggiornare la settimana scorsa, e poi
ieri, ma davvero ho avuto pochissimo tempo…
Spero che questo capitolo sia almeno decente.
A martedì 24 dicembre! (Mi duole, ma
dubito fortemente che
riuscirei a finire di scrivere il prossimo capitolo per la settimana
prossima…)
P. S. Oggi è l’11/12/13. LOL. (Va bene, scusate,
dovevo puntualizzarlo a ogni costo.)
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Capitolo 14 *** Nihilo ***
Capitolo
14 – Nihilo
***
Il
secondo apprendista di Qui-Gon era seduto al tavolo con le braccia
conserte, la testa piegata all’indietro e gli occhi chiusi.
Fuori,
il cielo di Coruscant stava imbrunendo, ma le miriadi di luci
artificiali rendevano impossibile vedere le stelle.
Qui-Gon
passeggiava piano per l’area comune
dell’alloggio, tenendo una tazza di tisana calda tra le mani.
Improvvisamente,
il ragazzo raddrizzò il capo e
aprì gli occhi. «È sciocco»
dichiarò.
L’uomo
si girò a guardarlo. «Che
cosa?»
«Mandare
su Nihilo degli Iniziati di neanche nove
anni» replicò l’allievo.
A
quella replica, Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio.
«E perché mai?»
Lui
poteva anche essere in disaccordo con molte decisioni del
Consiglio, ma portare in gita gli Iniziati non gli sembrava affatto
riprovevole.
«Arte»
sillabò in risposta il suo
apprendista. «Su Nihilo vivono alcuni artisti
straordinari».
«Ne
ho sentito parlare» ammise l’uomo.
«Ecco»
puntualizzò il ragazzo.
«Se non fossi stato solo un marmocchio, quando ho visto quel
pianeta, avrei potuto apprezzare meglio la cosa».
Qui-Gon
si concesse un istante di silenzio, mescolando piano
l’infuso col cucchiaino. «Se vuoi»
propose poi, «potremmo cercare di andare a visitarlo, nei
prossimi mesi».
Il
ragazzo lo guardò con incredulità.
«Se voglio? Visitarlo?»
«Sì»
confermò il Maestro
Jedi. «Potremmo chiedere qualche giorno di permesso
e…»
«Ma
per favore» sbuffò il suo
apprendista, alzandosi in piedi. «Siamo Jedi. Non possiamo
mai fare ciò che vogliamo».
Davanti
a quell’affermazione, tanto impietosa quanto
inesatta, Qui-Gon non poté fare a meno di accigliarsi.
Prima
che lui potesse ribattere, però, il ragazzo
attraversò la stanza a passo deciso, andando a chiudersi
nella propria camera da letto.
***
Nihilo
era scarsamente popolato.
Siccome
i nativi del pianeta si erano trasferiti su altri sistemi
più ospitali, gli abitanti erano in stragrande maggioranza
Umani immigrati.
La
civilizzazione – osteggiata da piante dalla ricrescita
rapida e dalla fauna prosperosa – si era adattata alla
natura, anziché combatterla, e si era limitata a ritagliarsi
una cittadina in una valle tranquilla.
Suddetta
città era poco più di un paese: non
poteva vantare che alcune case, un paio di mercati e qualche bottega.
Ai suoi limiti, si trovava una zona industriale, ma era in disuso da
tempo… Qui-Gon ricordava che stava già
cominciando a chiudere i battenti quando lui era stato su Nihilo come
Iniziato.
Dalla
cabina di pilotaggio, vide che il pianeta non era cambiato molto:
il verde delle zone boscose sembrava inghiottire avidamente ogni
centimetro di terra libera, e la città spiccava come una
macchia color ocra.
Il
pilota che lo accompagnava era un uomo molto loquace. Durante il
viaggio, aveva trovato il tempo di illustrargli per filo e per segno
come i pochi abitanti di Nihilo riuscissero a sostentarsi grazie
all’arte e al turismo.
«Anche
se di solito» aveva aggiunto, grattandosi
una guancia, «in questo periodo dell’anno non ci va
nessuno».
Qui-Gon
aveva annuito con cortesia, tralasciando di spiegare che era
proprio per quello che gli Iniziati vi erano stati portati in quei
giorni.
Ai
Jedi, la sola idea di condurre i loro piccoli allievi in mezzo ad
una calca di gente… piaceva molto poco.
Su
Nihilo, i luoghi dov’era possibile atterrare non erano
molti. Per fortuna, il pilota diede prova di non essere bravo solo a
chiacchierare, ma di saper anche manovrare con abilità la
propria astronave.
Dopo
aver lasciato Qui-Gon sul pianeta, ripartì alla volta
di Coruscant.
Forse
sarebbe stato comodo, avere un’astronave a portata di
mano… Ma per la solita mancanza di spazio, era improponibile
che una navicella spaziale attendesse su Nihilo mentre il Maestro Jedi
compiva le proprie indagini.
Per
comodità, Qui-Gon avrebbe alloggiato nella medesima
locanda in cui si trovavano gli Iniziati e i loro accompagnatori.
Si
trattava di un edificio a tre piani, con molte finestre e qualche
balconcino.
Quando
arrivò il Maestro Jedi, il proprietario –
un uomo sulla quarantina, con capelli neri corti e brizzolati
– lo accolse piuttosto giovialmente.
Si
chiamava Jon Tar, e a Qui-Gon piacque immediatamente per le sue
maniere cordiali e per la sua espressione franca e affidabile.
Nell’ingresso
della locanda, si trovava la reception, con un
bancone lucido dietro il quale davano mostra di sé le chiavi
elettroniche inutilizzate… Di fronte al bancone, si apriva
una porta, mentre più avanti si poteva vedere il breve
corridoio che conduceva alla sala da pranzo, nonché le scale
che portavano ai piani superiori.
«Gli
altri Jedi hanno portato i ragazzini a fare un
giro» lo informò il proprietario. «La
Maestra Sin-Mara Yula ha lasciato detto che saranno di ritorno questa
sera».
Dopodiché,
gli porse una chiave.
«Se
volete sistemarvi…»
Dopo
averlo ringraziato, Qui-Gon si recò nella propria
camera. Era una stanzetta modesta, con un letto comodo, una
cassettiera, una poltrona, una sedia e una scrivania…
L’uomo
andò a sedersi cautamente sul materasso,
dopodiché protese i sensi.
A
causa della presenza degli Ysalamiri, la Forza sembrava ottenebrata
ed elusiva. Appena sbarcato, Qui-Gon aveva avvertito un marcato
disagio, ma si era adattato in fretta alla situazione.
Improvvisamente,
si chiese come poteva aver reagito Obi-Wan.
Per
un istante, riuscì quasi a vederlo: un bambino gracile,
dai capelli ramati, che fissava come ipnotizzato verso la
boscaglia… Su un ramo, un lucertolone dalle zampe tozze e le
squame di un marrone giallastro ricambiava lo sguardo
dell’Iniziato con i suoi occhietti lucidi.
O
era più probabile che, davanti ad un Ysalamiri, Obi-Wan
avrebbe serrato le labbra in un’espressione astiosa?
Dopotutto,
quegli animali ostacolavano il suo legame con la
Forza…
Qui-Gon
scosse la testa, e si costrinse a mettere da parte quei
pensieri. Invece, passò a riordinare le informazioni che
aveva sulla propria missione.
Su
Nihilo – come il suo secondo allievo aveva sottolineato in
un giorno ormai lontano – vivevano alcuni artisti famosi in
tutta la galassia… Una buona parte delle loro opere, secondo
ciò che sapeva Qui-Gon, valevano più soldi di
quanti ne occorressero per comprare uno schiavo su remoti pianeti
dell’Orlo Esterno.
Il
nome di uno di questi artisti era Fja Larr… Ed era stata
la sua casa ad essere rapinata.
Qui-Gon
si massaggiò appena le tempie… La buona
notizia, era che molto probabilmente il ladro era ancora sul pianeta.
Ciò
che assillava l’uomo, però, era
un’altra questione.
Perché
il Consiglio aveva ritenuto opportuno inviare un
Maestro Jedi a risolvere un banale caso di furto?
Forse
si sbagliava, ma gli sembrava che ci fosse lo zampino di
Yoda…
Un
discreto bussare alla porta lo distolse da quei pensieri.
Era
il locandiere. «Maestro Jinn? Il signor Larr è
qui. Vorrebbe parlare con voi».
Qui-Gon
sbatté le palpebre. Secondo quanto pattuito, lui
avrebbe dovuto recarsi a casa dell’artista quella
sera…
D’altro
canto, se poteva evitare di trascorrere un pomeriggio
a non far nulla…
«Bene».
L’uomo
fece per uscire dalla stanza, ma il proprietario della
locanda lo fermò con un gesto e un lieve sorriso.
«Vado a chiamarlo. Voi aspettate pure qui».
Qui-Gon
lo ringraziò con un cortese cenno del capo, e
l’uomo scomparve nel corridoio.
Poco
dopo, fu di ritorno, accompagnato da un’altra persona.
Fja
Larr era un uomo abbastanza robusto, dagli occhi verde chiaro e i
capelli biondi. Aveva mani molto belle, affusolate, con dita lunghe e
sottili.
«Il
Maestro Jinn?» chiese, in tono indagatore.
Qui-Gon
annuì. «Sono io».
Dopo
una vigorosa stretta di mano, lo invitò ad entrare.
«Se
volete accomodarvi…»
Larr
accettò l’invito con prontezza, mentre il
locandiere li salutò e tornò alle sue mansioni.
«È
un posto carino» fu il commento
dell’artista, non appena furono soli.
Qui-Gon
diede un’occhiata alla stanza. «Lo
è. Allora…» esordì, con un
cenno che incoraggiava Fja Larr a sedersi sulla poltrona.
«Credevo non vi avrei visto prima di stasera».
L’uomo
biondo ignorò la poltrona e andò
ad accomodarsi con nonchalance sul materasso. «Lo
so» rispose, accavallando le gambe e posando le mani in bella
vista sul ginocchio. «Ma ho pensato fosse necessario un
cambio di programma».
Qualsiasi
membro del Consiglio, certamente, avrebbe concordato sul
fatto che Qui-Gon era uno specialista dei cambi di programma.
In
quel momento, però, l’uomo pensò che
un simile preambolo non prometteva nulla di buono.
«Ovvero?»
«Be’…»
Larr
tamburellò le dita sulla propria gamba. «Non credo
sia… opportuno, ecco… che voi esaminiate casa
mia».
Qui-Gon
inarcò un sopracciglio.
«Scusatemi?»
«Sarebbe
una perdita di tempo» asserì
l’altro. «Sono certo che il ladro non abbia
lasciato alcuna traccia».
«Mi
permetto di dissentire».
«Ma
siete al mio servizio, no?» replicò
Larr. «Il cliente ha sempre ragione».
«Quando
si è in un bar, forse» rispose
Qui-Gon, obbligandosi a mantenere un tono di voce paziente.
«Se volete che io ritrovi ciò che vi è
stato rubato, però, dovete lasciarmi fare il mio lavoro. E
questo comprende anche esaminare casa vostra».
«Oppure»
disse Larr, «potete partire da
un’altra pista».
Calma,
si disse Qui-Gon. Calma. «Vale a dire?»
«C’erano
dei droidi, a sorvegliare le mie
opere» rispose l’altro. «E mi sono stati
rubati anche quelli… Qui», e si sfilò
di tasca un chip di memoria, «ci sono tutti i dati che li
riguardano. Forse potete rintracciarli».
Qui-Gon
prese il chip. «Può essere».
Immediatamente,
Larr si aprì in un sorriso enorme.
«Eccellente» si rallegrò, alzandosi in
piedi, «allora la faccenda può dirsi
sistemata».
Si
diresse verso la porta, premette la mano sul pulsante per aprirla.
«Fatemi
sapere come procedono le indagini».
Qui-Gon
mosse un passo verso di lui. «Signor Larr, questo
chip non toglie che dovrei controllare casa vostra».
L’uomo
si bloccò, un piede già fuori
dalla stanza, e si girò a guardarlo. «Non toglie
nemmeno che io preferirei di no».
«Io
ho un buon motivo per volerlo fare»
osservò Qui-Gon, con calma.
Larr
indugiò, andando a posare una mano contro lo stipite
della porta. «Non siete l’unico con un buon
motivo».
«Voi
il mio lo conoscete» replicò
Qui-Gon. «Potete dirmi il vostro?»
L’uomo
non rispose subito, distogliendo lo sguardo da quello
del Jedi. Dopo qualche istante, tornò ad incrociare i suoi
occhi. «È un motivo…
personale» affermò. «Delicato».
Come
risposta era ambigua, ma Qui-Gon ebbe l’impressione che
Larr fosse sincero. «Vi ascolto».
La
mano dell’artista si serrò appena sullo
stipite. «Si tratta di mia moglie» cedette alla
fine. «Ha avuto… un problema di salute. Vorrei
darle un po’ di tranquillità».
Qui-Gon
sbatté le palpebre. Rimase in silenzio per un
istante. «Un paio di giorni?» domandò
infine.
L’artista
annuì, rivolgendogli un sorriso.
«Poi potrete esplorare la mia casa da cima a fondo».
Sentendosi
decisamente stanco, l’uomo soppesò quel
compromesso.
Sapeva
che, dal punto di vista della sua missione, non era un grande
affare.
Normalmente,
dopo una richiesta simile, avrebbe pensato che Fja Larr
avesse inscenato l’intero furto, così da incassare
i soldi di un’eventuale assicurazione.
Ma
era proprio quello il punto. Secondo le sue informazioni, le opere
di Larr non erano per niente assicurate.
Quindi
lui cosa avrebbe potuto guadagnarci?
Un
po’ di notorietà?
Effettivamente,
sembrava il tipo di persona a cui piace stare al centro
dell’attenzione, ma allo stesso tempo…
«Molto
bene» sospirò Qui-Gon, cercando
di non sentirsi irritato nei confronti dell’artista.
Preferiva
fidarsi del proprio istinto, non delle regole.
«Un’ultima
cosa» chiese.
Larr
lo guardò. «Sì?»
«Avete
richiesto voi l’intervento
dell’Ordine Jedi?»
L’artista
si strinse nelle spalle. «Be’,
sono opere di immenso valore» disse. «Sapete,
subito mi è stato suggerito di rivolgermi a qualcun altro,
ma poi mi hanno ricontattato e detto che avrebbero mandato
qualcuno…» Sorrise ampiamente. «Ed
eccovi qui».
Qui-Gon
dovette impegnarsi per non accigliarsi. Lo zampino di Yoda
sembrava esserci davvero.
«Per
curiosità, avevate mai avuto a che fare con
l’Ordine Jedi, in passato?» domandò,
cercando di venire a capo della questione.
L’artista
aggrottò la fronte, poi fece spallucce.
«No, be’, non particolarmente».
Non
particolarmente?
«Grazie
per la vostra disponibilità, comunque, se
avete bisogno di altre informazioni potete…»
«Farmi
visita?» ironizzò Qui-Gon.
Una
parte di lui pensò che, probabilmente, Obi-Wan avrebbe
detto proprio così.
Larr
sorrise di nuovo. «Contattarmi».
Su
quella nota, uscì dalla stanza e si allontanò
lungo il corridoio.
La
porta si richiuse con un sibilo e Qui-Gon, rimasto in piedi in mezzo
alla propria camera, abbassò lo sguardo sul chip di memoria
che stringeva nel pugno.
Decise
di darci subito un’occhiata, e lo inserì
nel proprio datapad.
A
quel che pareva, i droidi rubati erano facilmente riprogrammabili e,
siccome erano perfettamente capaci di brandire un’arma, erano
anche potenzialmente pericolosi.
Non
per un Jedi, certo, ma per un comune cittadino non sarebbero stati
uno scherzo.
L’uomo
si massaggiò le tempie.
Un’addizionale buona notizia, insomma.
Per
il resto del pomeriggio, Qui-Gon esaminò i dati sui
droidi, riportando alla mente tutte le lezioni di programmazione e
meccanica del Tempio… Ma non gli sembrava che fossero
rintracciabili.
Studiò
anche una piantina della città, e rilesse
le informazioni relative al furto.
Si
rese conto di quanto tempo era trascorso solo quando una donna
arrivò a chiedergli se voleva scendere a cena.
Qui-Gon
rifiutò cortesemente, sebbene sapesse che sarebbe
stata un’occasione per vedere Obi-Wan.
La
pista dei droidi non era così buona come Fja Larr
sembrava credere, e il Maestro Jedi iniziò a chiedersi se
lasciar passare due giorni non fosse troppo.
La
notte lo trovò ancora seduto alla scrivania, intendo a
ragionare sulla missione… quando il rumore di alcuni passi
lo riscosse.
L’uomo
sollevò gli occhi dal datapad e si
alzò in piedi, dirigendosi ad aprire la porta.
Davanti
alla soglia, intento ad andare avanti e indietro per il
corridoio, si trovava Obi-Wan Kenobi.
Il
bambino indossava un completo da notte, e fissò
l’uomo con aria sorpresa.
Qui-Gon
dovette aggrottare la fronte, perché si rese
improvvisamente conto di non aver minimamente percepito la vicinanza
dell’Iniziato. La Forza doveva essere più
disturbata di quanto avesse creduto.
Obi-Wan
fraintese il suo cipiglio, e parve sul punto di indietreggiare.
«Maestro Jinn» disse. «Io non…
non volevo disturbare».
Rapidamente,
Qui-Gon ricompose il proprio volto e gli fece cenno di
entrare. «Non preoccuparti» lo
rassicurò, «non disturbi».
Il
bambino gli gettò un’occhiata quasi austera,
come se pensasse che l’uomo lo avesse detto soltanto per
farlo sentire meglio.
«Piuttosto»
aggiunse Qui-Gon, girandosi e tornando
dentro la stanza, «non dovresti essere a letto?»
E
si voltò nuovamente verso il bambino.
Obi-Wan,
ancora sulla soglia, parve studiare l’uomo per
qualche istante. «Faccio fatica a dormire» ammise
poi.
Qui-Gon
si domandò perché il bambino non
riuscisse a prendere sonno. Nervosismo? Una qualche visione?
Non
voleva pressarlo, tuttavia, e si limitò a sondare il
terreno: «Stando a letto non ti addormenteresti
prima?»
Obi-Wan
lo guardò e si decise ad avanzare di qualche passo.
«Sono in stanza con un Iniziato che ha il raffreddore e il
naso tappato» spiegò. «Fa molto rumore,
quando dorme».
Qui-Gon
per poco non sorrise. Lui aveva pensato subito a problemi ben
più complicati… Per un bambino assonnato,
però, anche un compagno di stanza che russava poteva essere
una bella seccatura.
«Capisco».
Obi-Wan
era arrivato accanto alla poltrona. Quasi senza pensarci,
alzò una mano e la strusciò contro il bracciolo,
avanti e indietro, senza distogliere gli occhi da Qui-Gon.
«Prima
della gita, stamattina» disse il bambino,
«la Maestra Yula ci ha detto che saresti venuto qui per una
missione. L’ha informata il Maestro Yoda, e lei ci ha
raccomandato di non fare nulla che potesse disturbarti».
Qui-Gon
sentì la tentazione di aggrottare la fronte.
Cos’era quel discorso? Era il modo di Obi-Wan di chiedergli,
di nuovo, se lo stava disturbando? Quel bambino cercava sempre di
evitare le domande dirette?
«C’è
stato un furto in
città» si limitò a dire
l’uomo, «e siccome non hanno un Corpo di
Polizia…»
«Non
hanno nemmeno un Corpo Medico» lo
informò Obi-Wan. La sua mano si fermò.
«Per questo è venuto con noi uno dei Guaritori del
Tempio».
«A
proposito» disse Qui-Gon, esaminando il volto
del bambino, «questa è la tua prima gita fuori da
Coruscant, dico bene?»
Il
bambino annuì. «Sì, Maestro
Jinn».
«E
come sta andando?» aggiunse l’uomo.
Obi-Wan
ci pensò un istante, pizzicando con le dita il
bracciolo della poltrona. «Questa città
è davvero piccola» decretò infine.
L’angolo
delle labbra di Qui-Gon
s’incurvò. «Oh, ti assicuro che esistono
città molto più piccole» gli
garantì. «Del resto… suppongo che tutto
sembri minuscolo, se confrontato a Coruscant».
«È
vero» concordò facilmente
Obi-Wan. «Adesso ho capito cosa intendeva il Maestro Yoda,
quando diceva: “Tutto relativo
è”».
Nonostante
il tono serio del bambino – o, forse, proprio per
quello – Qui-Gon avvertì un nuovo moto di
divertimento.
«Inoltre…»
riprese Obi-Wan, per poi
interrompersi.
«Inoltre?»
lo incoraggiò Qui-Gon.
Il
bambino abbassò per un istante lo sguardo sul bracciolo
della poltrona, e vi strofinò energicamente la
mano… Poi rialzò gli occhi sul Maestro Jedi.
«Niente» disse. «C’è
anche molto spazio, tra una casa e l’altra. Non sono abituato
a così tanto spazio».
Per
un istante, Qui-Gon lo scrutò con intensità.
«Hai ragione» ammise poi, lentamente,
«c’è molto spazio».
Rispetto
a Coruscant, dove gli edifici sembravano ammassarsi
l’uno sull’altro, questo paese era molto meno
accatastato.
«È
come la foresta» commentò
Obi-Wan.
L’uomo
aggrottò la fronte. «Che cosa?
Questa città?»
Il
bambino fece un cenno di diniego. «No» rispose,
con naturalezza, «Coruscant».
«In
che modo?» chiese Qui-Gon, mentre il datapad e
le sue ricerche giacevano sulla scrivania, quasi dimenticati.
«Be’,
perché certe volte gli alberi
crescono l’uno aggrovigliato all’altro, per cercare
di stare alla luce del sole» rispose Obi-Wan.
«Anche le costruzioni di Coruscant sembrano tentare di
arrivare il più possibile vicino al cielo».
Qui-Gon
si sentì piacevolmente sorpreso.
Obi-Wan
Kenobi continuava ad essere una compagnia stimolante, non
c’era che dire.
E
aveva ragione… L’uomo riportò alla
mente Coruscant, e trovò in qualche modo ironico che, in una
città del genere, priva di elementi naturali, la metropoli
fosse divenuta una sorta di giungla.
Effettivamente,
se le piante più lontane dal cielo
rischiavano di morire, era nei livelli più bassi di
Coruscant che si trovavano i vicoli più malfamati.
Innalzarsi
era necessario… Serviva alla sopravvivenza.
«Ho
detto qualcosa che non va?» domandò
in quel momento Obi-Wan, reso dubbioso dal silenzio prolungato di
Qui-Gon.
L’uomo
si riscosse e fece segno di no.
«Tutt’altro» replicò.
«Trovo che tu abbia fatto un’osservazione molto
interessante».
Il
bambino lo guardò, sorpreso… Poi, le sue
labbra si contrassero appena, come per un minuscolo sorriso.
Dopo
un istante di silenzio, Qui-Gon domandò: «Era
la prima volta che viaggiavi in astronave? Ti è
piaciuto?»
In
un certo senso, il suo interessamento verso quel bambino sorprendeva
persino lui…
Le
labbra di Obi-Wan si serrarono, e il bambino parve meditare sulla
risposta da dare. «Non mi è sembrato niente di
speciale» disse infine.
Alle
orecchie di Qui-Gon, suonò fin troppo come un
diplomatico eufemismo. «Davvero?» chiese.
Di
solito, gli Iniziati trovavano quanto meno emozionante salire sulle
astronavi.
«Davvero»
rispose Obi-Wan. «Non
è molto diverso dal salire su un aereo-bus… o un
aereo-taxi».
Qui-Gon
inarcò appena un sopracciglio. «Sei la
prima persona che mi dice una cosa del genere»
commentò poi.
«Oh»
disse Obi-Wan.
L’uomo
gli rivolse un lieve sorriso. «Ma non
è nulla di male».
A
quella risposta, il bambino abbozzò un sorriso di rimando.
«E
ora» aggiunse Qui-Gon, girandosi verso la
scrivania, «credo sia tempo che io mi dedichi al mio
lavoro».
Nel
dirlo, provò un certo rimpianto… Trovava
davvero piacevole, conversare con Obi-Wan.
«Va
bene» disse il bambino. «Allora
io… io torno in camera».
Qui-Gon
lo guardò. «Se vuoi rimanere qui, per me
non è un problema» gli assicurò.
Obi-Wan,
però, scosse la testa e mosse un passo indietro.
«No» disse, «vado in camera. Buonanotte,
Maestro Jinn».
L’uomo
gli rivolse un cenno del capo. «Buonanotte,
Obi-Wan».
Il
bambino batté in rapida ritirata, e quando se ne fu
andato Qui-Gon aggrottò la fronte. Aveva detto qualcosa di
male?
Alzò
appena il datapad… No, si disse,
probabilmente il bambino era solo stanco.
Per
qualche motivo, gli venne da pensare a Yoda… Forse,
parte della ragione per cui il Gran Maestro l’aveva mandato
lì in missione, era il volere di fargli incontrare
l’Iniziato Kenobi per l’ennesima volta.
Quel
pensiero, però, non fu fastidioso come sarebbe stato un
tempo.
Note:
Phew.
Questo capitolo mi ha fatto dannare… Quasi non riesco a
credere di averlo finito in tempo! Spero solo che il risultato sia
quantomeno accettabile.
Auguro a tutti una buona Vigilia e buone feste!
A martedì 1 gennaio! ;)
AVVISO: No, niente nuovo capitolo (per ora!).
Visto che continuo a rimandare l’aggiornamento, però, vorrei rassicurarvi sul fatto che non ho abbandonato questa storia. Sto solo avendo un po’ di problemi per tutti gli impegni che ho e per il fatto che sto modificando lievemente la direzione della storia rispetto a ciò che avevo programmato all’inizio (e quindi ho da scervellarmi su alcuni dettagli).
Vi chiedo scusa per l’attesa.
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Capitolo 15 *** Un indiziato ***
Capitolo
15 – Un indiziato
La sala
dove venivano serviti i pasti era abbastanza ampia, ma non
avrebbe retto il confronto col refettorio del Tempio Jedi.
Quando
Qui-Gon scese per la colazione, tre dei cinque tavoli erano
occupati dai piccoli Iniziati e dai loro istruttori.
Considerata
la loro tenera età, i bambini stavano mangiando
in un silenzio ammirevole… Cogliendo un paio di teste ancora
ciondolanti e qualche espressione assonnata, però, Qui-Gon
sospettò che quella quiete fosse più merito della
stanchezza che della disciplina appresa al Tempio.
Dopodiché,
senza riuscire ad evitarlo, l’uomo
cercò Obi-Wan con gli occhi.
Il
bambino era intento a mangiucchiare una tartina arancione. Quando si
accorse dello sguardo di Qui-Gon, gli rivolse un vago cenno del capo.
Il
Maestro Jedi quasi sorrise. L’espressione del bambino gli
dava la netta impressione che Obi-Wan non fosse molto loquace, di prima
mattina.
Dopo
aver mangiato, l’uomo si alzò ed
uscì dalla sala con l’intenzione di tornare in
camera, ma poi si attardò nell’ingresso per
parlare col proprietario della locanda.
«Queste
nuvole gonfie promettono pioggia»
affermò Tar, alludendo al colore bigio del cielo
all’esterno. «Presto ci ritroveremo frotte di
Ysalamiri fin quasi dentro casa».
«Fin
dentro casa?» ripeté Qui-Gon,
inarcando un sopracciglio.
Il
suo interlocutore scrollò le spalle. «Non
esattamente, ma si avvicinano alla città» rispose.
«Fanno sempre così, quando
c’è un temporale, non so se per cercare riparo o
calore».
Il
Maestro Jedi si accigliò lievemente. Con ogni
probabilità, la presenza ravvicinata degli Ysalamiri avrebbe
reso la Forza ancor più disturbata. Non era una prospettiva
allettante, ma non ebbe il tempo di rimuginarci su a lungo.
In
quel momento, infatti, si udì il sibilo della porta che
si apriva, ed una voce femminile: «Scusatemi,
disturbo?»
Sia
Qui-Gon che Jon Tar si voltarono verso l’ingresso.
A
parlare era stata una donna di media statura, dai capelli corvini e i
tratti delicati. Indossava una tunica chiara troppo larga per lei, ma
era comunque possibile indovinare la sua corporatura snella.
«Salve»
la salutò il locandiere, con una
punta di sorpresa.
Dal
suo tono, il Maestro Jedi ebbe la netta impressione che non solo
non si aspettasse minimamente di vedere la donna, ma anche che la
conoscesse almeno di vista.
«Posso
fare qualcosa per voi?»
«Veramente»
replicò lei,
«vorrei parlare col Maestro Jedi».
Tar
annuì come se una parte di lui se lo fosse aspettato,
scoccando un’occhiata verso il suo ospite.
La
donna, da parte sua, parve avere un ripensamento, e
valutò Qui-Gon con lo sguardo. «Voi siete il
Maestro Jinn, dico bene?»
«Sono
io» confermò lui, inarcando
lievemente un sopracciglio. «Voi,
invece…?»
«Sono
Maya Larr» si presentò la donna.
«Mio marito vi ha fatto visita ieri».
«Signora
Larr» disse Qui-Gon, non appena si fu
ripreso dal primo stupore. «A cosa devo la vostra
visita?»
Mentre
lo domandava, la guardò con maggiore attenzione.
Fja
Larr aveva detto che sua moglie era stata poco bene, e non sembrava
aver mentito: la donna era pallida, e i suoi occhi erano segnati dalla
stanchezza.
In
più, c’era qualcosa… Anche se il suo
legame con la Forza pareva un po’ disturbato, Qui-Gon
riusciva ad avvertire una certa desolazione provenire da lei. Che
avesse avuto dei problemi di depressione?
«Voi
dovreste controllare casa nostra» rispose Maya
Larr, inconsapevole dei suoi pensieri. «O mi
sbaglio?»
L’uomo
corrugò la fronte. «Vostro marito
ha cambiato idea?»
«Sono
padrona di casa tanto quanto lui, Maestro
Jinn» replicò la donna, con fermezza.
«Se io vi invito, siete il benvenuto».
Le
labbra di Qui-Gon minacciarono di incurvarsi in un sorriso
– lei gli piaceva. «Certamente».
Scambiò
un’occhiata col locandiere, che aveva
assistito in silenzio all’intera conversazione, quindi
tornò a rivolgersi alla donna.
«Se
volete attendere un istante, devo recuperare un paio di
strumenti».
Il
rilevatore di impronte digitali, ad esempio.
Maya
Larr fece per annuire… e si bloccò, fissando
qualcosa alle spalle dell’uomo.
Qui-Gon
aggrottò la fronte e si girò. Tutto
ciò che vide furono due iniziati che stavano uscendo dalla
mensa con la Maestra Yula.
La
donna stava mostrando loro degli oggetti: sfere argentee di circa
dieci centimetri di diametro, utilizzate spesso negli allenamenti degli
Iniziati.
Qui-Gon
suppose che i bambini avrebbero dovuto cercare di fare appello
alla Forza per sollevarle nonostante la presenza degli Ysalamiri.
Tornò
a voltarsi verso la signora Larr, in tempo per vederle
stringere le labbra in una smorfia insofferente.
«Vi
aspetto fuori» dichiarò lei, prima
che l’uomo potesse aprir bocca.
Quindi,
dopo essersi congedata calorosamente dal proprietario della
locanda, uscì in strada.
Qui-Gon
la raggiunse pochi minuti più tardi, dopo aver
recuperato tutto l’occorrente, ed entrambi si misero in
cammino.
Tra
sé e sé, l’uomo si disse che
potersi spostare a piedi era uno dei pregi di Nihilo. Certo, volendo
uno poteva camminare anche a Coruscant… Ma tra
l’inquinamento e la confusione, non era mai piacevole.
Questo
paese, invece… Era tranquillo e vi si respirava aria
pulita.
Obi-Wan
aveva ragione, pensò di sfuggita l’uomo.
C’era davvero molto più spazio.
Le
case, molto diverse dagli edifici torreggianti della capitale
galattica, non erano molto alte, ma avevano uno, due, al massimo tre
piani, ed erano costruite in mattoni e malta anziché in
duracciaio.
Ogni
tanto, attraverso di esse, si poteva intravedere la foresta che
cresceva – ingorda e rigogliosa – attorno alla
città.
Qui-Gon
e Maya Larr, camminando fianco a fianco, passarono davanti a
qualche prato o sotto le fronde verdeggianti di una pianta.
La
donna intavolò una conversazione cortese, chiedendogli
come procedeva il suo soggiorno e se si trovava bene alla locanda.
La
casa dei Larr aveva un unico piano. Avanzando
nell’ingresso, si raggiungeva un salotto accogliente,
arredato da due divani posto l’uno di fronte
all’altro, un tavolino tondo tra loro.
Su
uno dei sofà, sedeva una donna anziana, con un caschetto
di capelli bianchi. Era così rilassata che avrebbe potuto
sembrare addormentata, non fosse stato per gli occhi aperti e attenti
che si puntarono subito su Qui-Gon.
Maya
Larr fece rapidamente le presentazioni: «Lei
è mia madre. Madre, questo è il Maestro Qui-Gon
Jinn».
La
suocera di Larr si limitò a rivolgere al Jedi un cenno
del capo. Non doveva essere una persona di molte parole.
Maya,
dal canto suo, si rivolse a Qui-Gon. «Vi accompagno
nello studio di mio marito».
L’uomo
annuì. Sapeva, infatti, che il furto era
avvenuto in quella stanza.
La
donna lo guidò attraverso un breve corridoio, ed
arrivarono ad una stanza abbastanza ampia, al centro della quale si
trovava un grande tavolo da lavoro.
Lungo
le pareti, invece, erano allineati diversi scaffali. La maggior
parte dei ripiani era vuota, ma a giudicare dal deposito di polvere non
lo era sempre stata.
«È
qui che…?»
«Hanno
rubato le opere di mio marito,
sì». La signora Larr si guardò attorno
per un momento, il capo ritto sul collo sottile. «So che
c’è un po’ di sporco e disordine, ma
abbiamo preferito non toccare nulla».
«Avete
fatto bene» le assicurò Qui-Gon,
facendo scorrere lo sguardo sui trucioli di legno che si trovavano sul
piano del tavolo, e su alcune schegge che dovevano provenire da un
materiale pietroso.
Certo,
ricordò, Fja Larr era soprattutto uno scultore.
A
quel punto, tornò a girarsi verso la donna. Guardandola
curiosamente, fece la domanda che gli premeva da qualche momento.
«Vostro marito non è in casa, dunque?»
«È
in cerca di ispirazione»
replicò lei. «Voleva restare a farmi compagnia, ma
gli ho detto che sarei rimasta con mia madre… e che per
aiutarmi doveva comportarsi come sempre».
«Già»
offrì allora Qui-Gon,
in tono quieto, «mi ha detto che siete stata
malata».
Maya
Larr fece un sorriso tirato, e i suoi occhi si fecero
più lucidi. «Sì»
mormorò. «Sì, qualcosa del
genere».
«Mi
dispiace» disse il Jedi, semplicemente.
Lei
si ricompose abbastanza in fretta, passandosi una mano sotto gli
occhi. «Vi ringrazio». Trasse un respiro profondo.
«È stato carino, da parte di Fja, cercare di
rimandare le indagini per darmi un po’ di
tranquillità… Ma immagino non sia affatto
consigliabile, se vogliamo trovare chi lo ha derubato… e se
non vogliamo che mio marito finisca tra i sospetti».
Mentre
terminava la frase, si girò a rivolgere
un’occhiata franca al Jedi, e quest’ultimo dovette
sorridere.
«Immaginate
bene».
La
donna gli rivolse un cenno del capo. «Vi lascio al vostro
lavoro, allora…»
«Un
momento solo» la fermò Qui-Gon,
staccando il rilevatore di impronte digitali dalla propria cintura.
Si
trattava di un oggetto piatto, di forma rettangolare, dotato di
schermo e abbastanza piccolo da stare comodamente nel palmo
dell’uomo – anche se era probabile che la mano di
Obi-Wan non ne avrebbe coperto l’intera superficie.
«Se
il ladro ha lasciato delle impronte digitali, devo
poterle distinguere dalle vostre» disse l’uomo, a
mo’ di spiegazione.
Maya
Larr lo guardò, e allungò in silenzio una
mano.
Qui-Gon
le sorrise brevemente, poi premette il pulsante accanto allo
schermo. Un fascio di luce blu scaturì dal bordo
dell’oggetto, andando a scannerizzare le dita della donna.
«E
Fja?» domandò lei.
C’era
qualcosa di speciale, nel modo in cui pronunciava il
nome del marito: lo faceva suonare come un soffio di vento.
Qui-Gon
decise di essere onesto. «Quando mi ha visitato,
ieri, non ha fatto altro che toccare lo stipite della porta. Ho
già le sue impronte».
La
donna sbatté le palpebre, ma alla fine sorrise.
«Piuttosto,
vostra madre?»
Maya
Larr scosse la testa. «Mia madre non mette mai piede in
questa stanza. Non ce lo mette nessuno, a dire il vero, a parte me e
mio marito. Spesso qui si trovava delle sue opere incomplete, e Fja
detesta che qualcuno le veda così».
Qui-Gon
annuì con lentezza, ripensando a Fja Larr. Senza
dubbio, sembrava rientrare nel suo personaggio.
«Persino
il suo apprendista non lavorava qui, ma
all’aperto».
«Aveva
un apprendista?» non poté fare a
meno di ripetere l’uomo. Gli era difficile immaginarlo nei
panni di un insegnante.
«Un
paio di anni fa» confermò Maya Larr,
con un piccolo sorriso nostalgico. «Era un ragazzo riservato.
Imparato ciò che gli interessava, si è trasferito
su un altro pianeta».
«Capisco»
mormorò Qui-Gon. Un
apprendista che se ne andava. Questo era decisamente qualcosa con cui
poteva simpatizzare.
Per
un istante, Maya Larr sembrò sul punto di aggiungere
qualcosa sull’argomento, ma poi parve cambiare idea.
«Avete bisogno di altro o…?»
«No,
vi ringrazio. Direi che siamo a posto».
Lei
ricambiò il suo sguardo. «Siamo a
posto» confermò, per poi uscire dalla stanza e
lasciarlo alle sue indagini.
L’uomo
si sforzava di apparire disinvolto, mentre camminava
lungo le strade del paese.
In
realtà, si sentiva teso ed apprensivo, e non perdeva
d’occhio la fila ordinata di Iniziati che stava tornando
verso la locanda di Jon Tar.
Li
aveva visti uscire, quella mattina. Si erano recati nella foresta,
ed erano tornati circa sette ore più tardi.
Ognuno
dei ragazzini teneva nelle mani una sfera argentea. Erano
così composti e obbedienti da sembrare cuccioli ammaestrati.
L’uomo
spostò l’attenzione sui due
bambini che chiudevano la fila: erano entrambi di razza umana, ma le
loro somiglianze finivano qui. Il primo, infatti, era robusto e scuro
di capelli, mentre il secondo era piuttosto gracile, e la sua zazzera
virava decisamente al rossiccio.
Nervosamente,
l’uomo si chiese come avvicinarli. Gli era
giunta voce che un Maestro Jedi era stato inviato ad indagare sul
furto, e immaginava che convincere un bambino a parlarne sarebbe stato
più semplice che persuadere un adulto.
Ma
come porre loro delle domande senza insospettire i loro
accompagnatori?
La
risposta gli si presentò poco dopo, quando la sfera
sfuggì dalle mani del ragazzino dai capelli rossicci e
– complice la lieve pendenza della strada – gli
rotolò incontro.
L’uomo
notò che entrambi i piccoletti ne parvero
sbalorditi. Si guardarono con tanto d’occhi, come se non gli
fosse mai capitato di lasciar cadere qualcosa.
Approfittando
del loro stupore, lui si lanciò in avanti,
chinandosi a recuperare la sfera prima che potesse farlo uno dei due,
quindi si ritrasse contro il cancelletto di una casa.
I
Maestri non si accorsero di nulla, continuando a condurre la fila
degli Iniziati.
I
bambini in fondo si erano fermati del tutto e lo fissarono. Dopo un
istante, quello dai capelli rossicci si staccò dal gruppo,
venendogli incontro.
“Molto
bene” pensò l’uomo,
deglutendo a vuoto.
«Vi
ringrazio» esordì il bambino quando
gli giunse di fronte – era davvero minuto.
«Non
è niente» rispose l’uomo,
rigirandosi la sfera tra le mani sudate. Non la restituì al
suo proprietario, però. Non subito. «Tu sei un
Jedi, vero?»
«Un
Iniziato» puntualizzò il bambino,
senza guardarlo in faccia.
«Oh,
be’, ma immagino tu sappia comunque molte
cose». L’uomo cercò di ammorbidire il
proprio tono nervoso, di renderlo amichevole. «Ad
esempio… Ho sentito che un Jedi sta indagando sul furto
avvenuto da queste parti… Per curiosità, tu sai
chi è?»
Sino
a quel momento, il bimbo aveva alternato un’occhiata
alla sfera e al suo gruppo che si allontanava, ma quella domanda parve
attirare la sua attenzione.
Il
suo sguardo si focalizzò sul viso dell’uomo.
Con un certo interesse.
Ci
fu un momento di silenzio… Poi il bambino
scrollò le spalle.
«Mi
dispiace, signore, non lo conosco»
asserì, in tono serio ed educato. «Non sono sicuro
che un Jedi sia stato incaricato di indagare su un semplice
furto».
L’uomo
cercò di non darlo a vedere, ma dentro di
sé si sentì immensamente sollevato.
«Grazie
mille, ragazzino» disse, cedendogli la
sfera e arrendendosi quasi all’impulso di scompigliargli i
capelli.
Il
bambino prese l’oggetto quasi con cautela, quasi facendo
attenzione a dove lo toccava… Forse pensava avesse le mani
sporche, o una qualche malattia? Chi lo sapeva cosa insegnavano in quel
Tempio a Coruscant…
A
quel punto, l’uomo si ritrasse e fece per andarsene. Appena
in tempo: uno dei Maestri, infatti, una donna dai capelli scuri, parve
accorgersi di qualcosa e si girò, individuando subito il
bambino rimasto indietro.
Persino
a quella distanza, fu evidente che i suoi occhi dardeggiarono
verso l’uomo, e lui si girò per non farsi vedere
in faccia.
«Kenobi!»
L’Iniziato
si girò verso di lei.
«Arrivo, Maestra Yula!» esclamò, per poi
mettersi a correre verso di lei.
L’uomo,
da parte sua, iniziò ad allontanarsi a
grandi passi, ed ebbe l’impressione che un gran peso gli
fosse stato sollevato dal petto.
Finalmente
una buona notizia…
Nel
frattempo, alla locanda, Qui-Gon si trovava nella propria stanza.
Era
seduto alla scrivania, i gomiti poggiati sul tavolo e le mani
alzate a massaggiare le proprie tempie.
Durante
le indagini di quel mattino, aveva trovato due serie di
impronte che non corrispondevano né a quelle di Fja Larr
né a quelle di sua moglie.
A
rigor di logica, dovevano essere quelle dei ladri.
Purtroppo,
le sue ricerche non erano andate molto più
lontano: una volta tornato alla locanda, aveva subito inviato le
impronte al laboratorio del Tempio Jedi.
I
risultati gli avevano confermato che i ladri erano due Umani, ma non
aveva potuto scoprire la loro identità, poiché le
impronte non erano registrate nel database.
Era
probabile che fosse per quello che i rapinatori non si erano
premurati di ripulire la scena: contavano sul fatto che, non avendo
precedenti penali, non sarebbero stati rintracciabili.
Un
bussare incerto fece sì che Qui-Gon si riscuotesse dai
suoi pensieri.
L’uomo
aggrottò la fronte, lasciando cadere le
proprie mani e girandosi verso la porta, quindi si alzò in
piedi e si diresse ad aprire.
Non
si sentì molto sorpreso, quando si trovò
davanti Obi-Wan Kenobi.
Il
bambino aveva i capelli arruffati come di consueto, e
sollevò immediatamente su di lui gli occhi grigio-azzurri.
Qui-Gon
notò che reggeva la sfera di allenamento. Per
qualche motivo, lo faceva tenendo le mani infilate dentro le maniche,
in modo che la sua superficie venisse a contatto solo con la stoffa.
«Obi-Wan»
lo salutò, gentilmente.
«Va tutto bene?»
Forse,
pensò, e fu un pensiero che gli piacque, il bambino
voleva chiedergli un consiglio su come gestire la Forza su Nihilo.
Le
parole di Obi-Wan, però, lo colsero di sorpresa.
«Credo
di aver incontrato uno dei ladri» proruppe
l’Iniziato, guardandolo.
Qui-Gon
sbatté le palpebre, interdetto.
«Come?»
Il
suo aperto sconcerto parve innervosire il bambino.
Quest’ultimo passò il proprio peso da una gamba
all’altra, quindi si affrettò a spiegare:
«Mentre tornavamo qui alla locanda, mi ha fermato un uomo,
e… ecco, si comportava in modo strano. Mi ha chiesto se
sapevo qualcosa sul Jedi che era stato mandato ad indagare sul
furto».
Qui-Gon
lo fissò, ancora sorpreso, poi si fece da parte.
«Vieni dentro».
Obi-Wan
si infilò nella stanza senza farsi pregare,
continuando a tenere saldamente la sfera tra due lembi delle proprie
maniche, e la porta si chiuse dietro di lui con un sibilo.
«Quest’uomo…»
esordì Qui-Gon, poi si bloccò.
Non
sapeva bene come continuare. Da una parte, l’esperienza
gli diceva che era probabile che Obi-Wan avesse incontrato un semplice
ficcanaso. Dall’altra, la sua sensibilità lo
spingeva a non sottovalutare l’istinto di
quest’Iniziato.
«Saresti
in grado di descrivermelo?»
A
quella domanda, il bambino si rilassò visibilmente, e
Qui-Gon intuì che aveva temuto di non venir preso sul serio.
«Ho
le sue impronte digitali» annunciò
Obi-Wan, alzando la sfera in modo che l’uomo la guardasse.
«Mi era caduta, e lui l’ha raccolta».
Per
un istante, Qui-Gon rimase senza parole. Era pronto a sentire una
descrizione minuziosa e dettagliata, ma questo… questo
andava anche oltre le sue aspettative.
«Sono
stato attento a non toccarla dove l’ha presa
lui» aggiunse Obi-Wan, come sempre reso ansioso dal suo
silenzio.
Ormai,
più che sorpreso, Qui-Gon si sentiva…
colpito. Certo, agli Iniziati veniva insegnato molto presto come
gestire un’indagine, ma Obi-Wan sembrava possedere una
scrupolosità tutta sua.
Il
bambino lo guardò con l’aria di sentirsi
decisamente sulle spine… E i lineamenti di Qui-Gon si
ammorbidirono in un sorriso.
«Eccellente»
approvò lui, allargando il
braccio in un gesto di invito. «Vieni, controlliamo
subito».
L’espressione
di Obi-Wan si ruppe in un sorriso colmo di
sollievo.
Quando
l’uomo andò a recuperare il rilevatore di
impronte dalla scrivania, il bambino gli trotterellò dietro.
«Alzala
un poco» istruì Qui-Gon.
L’Iniziato
obbedì senza fiatare, e
l’uomo scannerizzò l’oggetto.
Ci
fu un ronzio mentre il rilevatore elaborava i nuovi dati…
Qui-Gon lo soppesò nella propria mano, mentre Obi-Wan si
mordicchiava il labbro… Poi alcuni simboli comparvero sullo
schermo, confermando che quelle impronte erano già state
esaminate.
Corrispondevano
a quelle che Qui-Gon aveva rilevato nello studio di Fja
Larr.
«Allora,
Maestro Jinn?» si lasciò
sfuggire Obi-Wan, ansiosamente.
L’uomo
abbassò lo sguardo su di lui.
«Obi-Wan Kenobi» gli disse, un sorriso che
minacciava di incurvargli le labbra, «hai trovato uno degli
uomini che sto cercando».
Note:
E finalmente aggiorno questa storia!
Mi dispiace infinitamente per la lunga attesa, ma queste ultime
settimane sono state davvero infernali…
Temo che questo capitolo non sia il massimo… Spero solo di
sbagliarmi.
Per il prossimo aggiornamento, appuntamento a martedì
4
marzo!
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Capitolo 16 *** I ladri ***
Capitolo
16 – I ladri
I Jedi,
per lo più, avevano una concezione particolare degli
spazi.
Non
li percepivano soltanto in termini di lunghezza, larghezza e
profondità, ma anche in rapporto delle persone che li
occupavano.
Su
Nihilo, questa capacità era come ottenebrata, ma almeno
per un momento parve tornare in piena forza.
Qui-Gon,
infatti, avvertì con estrema chiarezza
l’emozione che scaturì da quello scricciolo dai
capelli ramati che era Obi-Wan Kenobi.
Il
bambino lo guardò da sotto in su, le mani strette sulla
sfera. «Davvero?»
Era
chiaro che stentava a credere alle proprie orecchie.
«Davvero»
confermò Qui-Gon, girandosi
per posare il rilevatore d’impronte sulla scrivania.
«Ed ora, se non ti dispiace, vorrei farti alcune
domande… Mi serve l’identikit di
quell’uomo».
Obi-Wan
iniziò ad annuire prima ancora che lui concludesse
la frase. «Certo, Maestro Jinn».
«Molto
bene, allora». Qui-Gon indugiò,
quindi decise di cominciare da una domanda basilare. «Ti
ricordi di che colore aveva occhi e capelli?»
«Capelli
neri e occhi scuri» rispose subito il
bambino.
Qui-Gon
annuì sovrappensiero, prendendo il proprio datapad
ed inserendo quei primi dati in un programma che avrebbe tracciato il
ritratto del suo indiziato. Un Jedi doveva essere in grado di farlo
anche a mano, naturalmente, ma se c’era la tecnologia tanto
valeva approfittarne.
«I
capelli erano un po’ lunghi» aggiunse
Obi-Wan, sporgendosi ansiosamente verso di lui, «e gli occhi
erano a mandorla».
«Ricordi
le sue sopracciglia?»
Le
ricordava sì, così come ricordava la lunghezza
del naso, la forma del volto, il neo sotto l’occhio destro e
fondamentalmente tutte le informazioni che Qui-Gon gli chiese.
Ciononostante,
via via che si entrava nel dettaglio, Obi-Wan iniziava a
farsi più timoroso di dare la risposta sbagliata. Si
mordicchiava il labbro inferiore, e si era messo a giocherellare coi
propri capelli ramati.
Accanto
all’orecchio destro, aveva un ciuffo più
lungo degli altri – sarebbe servito come principio della sua
treccia da Padawan – e continuava a rigirarselo tra le dita.
Nel
momento in cui Qui-Gon gli mise davanti il ritratto completo
dell’uomo, domandandogli se era accurato, Obi-Wan
lasciò ricadere le mani e si immobilizzò.
«Sì»
disse, dopo aver fissato a lungo lo
schermo del datapad. «Sì, Maestro Jinn. Gli
somiglia molto».
L’uomo
gli rivolse un accenno di sorriso.
«Eccellente».
Obi-Wan
sorrise di rimando… Poi parve ricordarsi di qualcosa
e sussultò.
«Tutto
bene?» domandò Qui-Gon.
Il
bambino appoggiò la sfera sulla scrivania e si torse le
mani. «La Maestra Yula» disse infine, in tono
colpevole. «Non sa… Non ho detto a nessuno che
stavo venendo qui».
«Va’»
disse subito Qui-Gon.
A
onor del vero, Obi-Wan parve un po’ deluso da quella
risposta. «Non c’è… non posso
aiutarti con qualcos’altro, Maestro Jinn?»
«Mi
sei già stato di grande aiuto» gli
assicurò Qui-Gon, «ma non vogliamo certo far
preoccupare la responsabile del tuo clan».
«No»
concordò Obi-Wan.
«Bene,
allora» concluse l’uomo, tendendo
una mano verso il bambino ed accompagnandolo alla porta. «E
mi raccomando, spiega alla tua Maestra come mai sei venuto
qui».
«Va
bene, Maestro Jinn».
Obi-Wan
uscì in corridoio, e mentre si allontanava si
girò più volte indietro, verso Qui-Gon. Da parte
sua, l’uomo attese che il bambino fosse scomparso alla sua
vista, e a quel punto rientrò nella propria stanza.
Tentò
di contattare il Corpo di Polizia di Omnia, il pianeta
più vicino a Nihilo, così da fargli avere
l’identikit del suo sospettato. La sola astronave di linea
che passasse per Nihilo, infatti, faceva la spola tra Nihilo e Omnia
– se i ladri avessero cercato di lasciare il pianeta, era
probabile che l’avrebbero fatto con quel mezzo.
Le
comunicazioni, però, avevano ancora qualche problema, e
l’uomo non riuscì a stabilire alcun contatto.
Dopo
quasi un’ora di infruttuosi tentativi, Qui-Gon si
alzò con la mezza idea di scendere dal
locandiere… e qualcuno bussò alla sua porta.
L’uomo
si bloccò per un momento. Stava ricevendo
una visita dopo l’altra.
Chiedendosi
se fosse di nuovo Obi-Wan, si diresse ad aprire la porta, e
si ritrovò davanti la Maestra Yula.
La
donna doveva aver lasciato la toga scura nella propria stanza, ed
aveva i capelli scuri sciolti sulla schiena, liberi dal consueto
chignon.
Erano
davvero lunghi, notò Qui-Gon. Le arrivavano ai fianchi.
«Maestro
Jinn» esordì la donna.
«Potrei parlarvi un momento?»
L’uomo
si fece da parte per lasciarla entrare.
«Naturalmente».
Lei
avanzò nella stanza e si voltò a guardarlo,
mentre la porta si richiudeva alle spalle dell’uomo con un
sibilo sommesso.
«Il
piccolo Kenobi mi ha detto di avervi aiutato nelle vostre
indagini».
«È
così» asserì
Qui-Gon, domandandosi se per caso la donna ne dubitava.
«Ha
detto che lo sconosciuto che lo ha avvicinato questo
pomeriggio si è rivelato essere un sospettato.
Un’incredibile coincidenza, non trovate?»
L’uomo
la fissò. Nessun Jedi credeva nel caso.
Tutto accadeva per una ragione. Commentando che era stata
un’incredibile coincidenza, la donna voleva probabilmente
sottolineare che era stato il volere della Forza.
«In
ogni modo» riprese la Maestra Yula, senza
lasciargli il tempo di replicare, «poco fa ho contattato
Coruscant, per assicurarmi che la navicella del Tempio arrivasse domani
come da programma».
«Domani?»
non riuscì a trattenersi dal
ripetere Qui-Gon, in tono inquisitorio.
«Oh…
Sì. Domani mattina». La
donna incontrò il suo sguardo. «La nostra gita
è giunta al termine».
L’uomo
distolse gli occhi. Non poteva negarlo: gli dispiaceva
che Obi-Wan se ne andasse.
«Ho
parlato col Gran Maestro» proseguì
la Maestra Yula, ricatturando la sua attenzione, «e gli ho
detto quanto ha fatto l’Iniziato Kenobi. E lui ha richiesto
che il bambino rimanga qui su Nihilo con voi».
Qui-Gon
sbatté le palpebre. «Come?»
«È
suo parere» rispose la donna,
«che il piccolo Kenobi meriti di assistere al resto delle
vostre indagini».
Qui-Gon
non disse nulla. Yoda, naturalmente, non si era fatto sfuggire
l’opportunità di affidargli Obi-Wan Kenobi.
La
mente dell’uomo tornò all’inizio del
suo incarico, a quanto gli era sembrato bizzarro che un Jedi dovesse
occuparsi di un semplice caso di furto.
E
se questo fosse stato l’obiettivo di Yoda sin
dall’inizio? Trovare un modo di fargli passare del tempo solo
con Obi-Wan?
No,
si disse poi. La cosa non tornava del tutto.
In
fondo, nemmeno il Gran Maestro avrebbe potuto prevedere che il
bambino avrebbe avuto l’occasione di rendersi tanto utile.
Doveva
esserci dietro qualcos’altro… Qui-Gon
ripensò a quando aveva chiesto a Fja Larr se avesse mai
avuto a che fare con l’Ordine dei Jedi.
Non particolarmente,
aveva risposto l’artista, e
l’uomo si ripromise in silenzio di indagare su quella
replica.
«Naturalmente»
disse la Maestra Yula, facendolo
tornare al presente, «se pensate che l’Iniziato
Kenobi vi sarebbe di disturbo…»
«Tutto
il contrario» la interruppe Qui-Gon,
d’impulso. «Lasciatelo pure con me».
La
donna lo guardò con aria consapevole, come se non avesse
avuto neanche un dubbio su cosa lui avrebbe risposto. Possibile che
fosse diventato tanto trasparente, per quanto riguardava Obi-Wan?
«Molto
bene» disse la donna. «Allora
domani lo lasceremo con voi».
Accennò
un inchino e fece per ritirarsi, quando Qui-Gon
realizzò una cosa.
«Un
momento» disse, «siete riuscita a
contattare il Tempio?»
Lei
inarcò le sopracciglia. «Dopo una decina di
tentativi, sì. Come mai lo chiedete?»
«Niente,
è solo… Ho tentato senza
successo di contattare Omnia».
La
comprensione passò negli occhi della donna.
«Per l’identikit del vostro indiziato? Mmm. Io ho
parlato col signor Tar. Mi ha detto che le comunicazioni stanno dando
problemi, e che domani dovrebbe passare il loro miglior tecnico a dare
una controllata».
«Capisco»
disse Qui-Gon. Se non si sbagliava, la
navicella di linea avrebbe fatto scalo a Nihilo solo tra due giorni.
«Molto bene, dunque».
La
Maestra Yula gli rivolse un sorriso cortese, per poi uscire dalla
stanza.
Il
mattino successivo, quando i suoi coetanei partirono per tornare a
Coruscant, Obi-Wan rimase su Nihilo.
Non
si sarebbe fermato a tempo indeterminato, aveva chiarito la Maestra
Yula al momento di salutarlo. Se le indagini di Qui-Gon non si
sarebbero concluse entro cinque giorni, lei o un altro Maestro
sarebbero comunque venuti a recuperare il bambino.
Nonostante
il lasso di tempo limitato, Obi-Wan sembrava nervoso ed
elettrizzato al contempo. Era chiaro che l’idea di
trascorrere altro tempo in compagnia di Qui-Gon gli piaceva, ma
sembrava anche timoroso che il Maestro Jedi potesse considerarlo un
fastidio.
Per
tentare di alleviare quella sensazione, l’uomo
invitò il bambino nella propria stanza e gli
spiegò le procedure che era solito seguire in
un’indagine come questa.
Fuori
aveva iniziato a piovere, e l’acqua tamburellava
ritmicamente contro la finestra.
Qui-Gon
disse ad Obi-Wan che non era riuscito a contattare Omnia, e
nemmeno Coruscant, e che di conseguenza aveva fornito alla Maestra Yula
una copia dell’identikit del suo sospettato… Una
volta giunta al Tempio, la donna l’avrebbe trasmesso al Corpo
di Polizia di Omnia.
«Così
se vedono quell’uomo lo
fermeranno» disse Obi-Wan, annuendo.
Qui-Gon
sorrise. «Esatto».
A
quel punto, scesero in mensa per il pranzo, e furono servite loro
delle gustose polpette verdi che sembravano piacere parecchio ad
Obi-Wan.
A
fine pasto, fecero per tornare nelle loro stanze, ma si fermarono
nell’ingresso, trovando Jon Tar in compagnia di una ragazza
di circa diciassette anni.
Era
vestita con una tuta da lavoro blu scuro, e portava i capelli neri
legati dietro la nuca, anche se molti ciuffi le ricadevano comunque sul
lato sinistro del volto.
Era
intenta ad ascoltare Jon Tar – che le stava spiegando i
problemi che c’erano stati con le comunicazioni –
ma all’arrivo di Qui-Gon ed Obi-Wan spostò lo
sguardo su di loro e si irrigidì, affrettandosi a volgere
altrove il proprio volto.
Nella
frazione di secondo in cui i loro occhi si erano incrociati,
Qui-Gon aveva avuto modo di individuare il motivo della reazione che
era seguita.
La
metà sinistra del volto della ragazza, infatti, era
sfigurata; la pelle era biancastra e grinzosa, l’occhio
azzurro e opaco anziché scuro e luminoso come il destro.
«Maestro
Jinn» disse Jon Tar, probabilmente per
riempire il silenzio prima che si facesse troppo imbarazzante.
«Iniziato Kenobi».
Accanto
al locandiere, la ragazza si rilassò appena e
tornò a guardare nella loro direzione, anche se teneva la
testa china come per nascondere il proprio volto.
Con
la coda dell’occhio, Qui-Gon notò che Obi-Wan
la stava guardando con una curiosità infantile e priva di
giudizio.
«Questa
è Heri, il nostro tecnico
migliore».
Qui-Gon
si fece avanti ed accennò un inchino, subito imitato
da Obi-Wan.
«Le
stavo giusto dicendo del nostro problema con le
comunicazioni».
La
ragazza aveva preso a giocherellare coi guanti che indossava.
«È un problema che stanno avendo un po’
tutti» disse, guardando ovunque fuorché verso
Qui-Gon. «Ma spero di riuscire a risolverlo entro
domani».
«Ottimo»
disse il Maestro Jedi, con voce carica di
approvazione. «Vi ringrazio davvero».
«Figuratevi.
È il mio lavoro».
Da
vicino, Qui-Gon si rese conto di due cose: il viso della ragazza gli
dava uno strano senso di déjà-vu, anche se era
certo di non averla mai incontrata… E inoltre lei emanava
uno strano odore, un odore pungente, che sembrava essersi attaccato
alla sua pelle e ai suoi vestiti.
Lei
non rimase ancora a lungo; rispose alle domande di Jon Tar, quindi
borbottò qualcosa su un altro appuntamento e fu rapida ad
andarsene.
Da
parte loro, Qui-Gon ed Obi-Wan si diressero al piano di sopra, e il
bambino scosse la testa. «Il tecnico puzzava di vernice di
speeder» dichiarò, arricciando il naso.
Qui-Gon
si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Era vero,
realizzò dopo un momento. Era quello l’odore che
aveva sentito sui vestiti della giovane. Si occupava anche di riparare
mezzi di trasporto, per caso?
Mentre
Obi-Wan si dirigeva a lavarsi i denti, Qui-Gon tornò
nella propria stanza. Dopo una sosta in bagno, riprese in mano il
ritratto del suo indiziato… e si bloccò.
I
capelli neri. Gli occhi a mandorla. La forma del viso. Erano molto
simili a quelli della ragazza, Heri.
«Oh,
Forza» esalò il Maestro Jedi.
Possibile
che fosse una parente del sospettato? Possibile che fosse
coinvolta in qualche modo? Forse il suo nervosismo non era dovuto ad
una sorta di disagio per il propria aspetto, bensì a
qualcosa che sapeva… O forse addirittura a qualcosa che
aveva fatto.
Preso
da una frenesia improvvisa, Qui-Gon recuperò la mappa
cittadina che aveva esaminato in precedenza… Ed eccola, al
limitare della città, la fabbrica di speeder in disuso.
Non
poteva trattarsi di una coincidenza. Una ragazza che somigliava
incredibilmente al suo indiziato, e che poteva esser stata in un posto
che… be’, che sarebbe stato un eccellente
nascondiglio per la refurtiva.
Senza
perder tempo, Qui-Gon indossò la propria toga ed
uscì dalla stanza, imbattendosi in Obi-Wan.
«Maestro
Jinn?»
«Esco
un momento» affermò
l’uomo. «Ho un’idea su dove possano
trovarsi le opere rubate. Tu rimani qui, io vado a verificare. Faremo
la nostra lezione al mio ritorno».
Obi-Wan
aggrottò la fronte. «Sì,
Maestro Jinn».
Quando
l’uomo uscì in strada, cadeva una pioggia
rada e sottile. Camminando in tutta fretta, lui notò degli
Ysalamiri accanto ai muri delle case e sotto le verande.
Dopotutto,
Jon Tar non gliene aveva forse parlato, appena il giorno
prima? Quegli animali, in caso di pioggia, si rifugiavano presso le
abitazioni…
Per
Qui-Gon non era il massimo – poiché
significava che la sua percezione della Forza non era mai stata
così stentata – ma al momento aveva altro a cui
pensare.
Dopo
un po’, non abbastanza da sentirsi stanco ma abbastanza
da iniziare a sentirsi bagnato, uscì dalla città,
e percorrendo una strada sterrata giunse alla fabbrica.
Era
possibile che alcuni edifici secondari fossero stati smantellati
negli ultimi anni: adesso rimaneva soltanto la costruzione centrale, un
fabbricato scuro, di forma cilindrica.
Qui-Gon
si avvicinò al portone e lo spinse, ottenendo un
cigolio orrendo ed una fessura abbastanza ampia da permettergli di
entrare.
Si
ritrovò in un’unica grande stanza, dal soffitto
molto alto, pervasa dall’odore pungente della vernice.
Esattamente quello che aveva sentito sugli abiti di Heri.
C’era
una catena di montaggio ferma, alcuni speeder
incompleti che pendevano dal soffitto… E, davanti a lui,
alcune casse sistemate l’una di fianco all’altra in
una lunga fila.
Qui-Gon
si avvicinò ad aprire la prima, rivelando alcuni
pezzi di ricambio arrugginiti. Li prese uno ad uno e li
lasciò cadere sul pavimento, e quando ebbe svuotato quasi
completamente la cassa trovò una scultura bianca, un Mynock
che pareva sul punto di prendere il volo. Uno dei lavori trafugati di
Fja Larr.
Poi
udì uno sparo fischiargli accanto all’orecchio
destro, e ricordò che all’artista erano stati
rubati anche i droidi di sicurezza. In un istante, la spada laser fu
attiva tra le sue mani, e la lama verde balenò a deflettere
i primi colpi.
Obi-Wan
Kenobi non aveva idea di cosa fare.
Si
trovava di fronte ad un edificio imponente, e siccome non aveva
nessuna mantella stava anche iniziando ad inzupparsi.
Sapeva
che non avrebbe dovuto seguire il Maestro Jinn. Avrebbe dovuto
rimanere alla locanda come gli era stato detto. Non appena
l’uomo se n’era andato, però, lui era
stato invaso da un’ansia schiacciante. Aveva dovuto seguirlo.
Era
stato attento a non farsi notare, a mantenere una buona distanza
tra loro, e il rumore della pioggia e la debolezza della Forza
l’avevano aiutato a passare inosservato… Ma adesso?
Prima
che il bambino potesse decidere il da farsi, la sua mente
registrò un rumore alle sue spalle… E qualcuno lo
afferrò e lo sollevò dal terreno, premendogli una
mano sulle labbra per soffocare il suo grido di sorpresa.
Pur
sbigottito com’era, Obi-Wan riconobbe subito
l’odore pungente di chi lo stava tenendo fermo e a bocca
chiusa.
«Non
ci credo» disse una voce familiare, maschile,
appartenente a qualcuno che il bambino non riusciva a vedere.
«È il marmocchio della sfera».
«Era
alla locanda col Maestro Jedi» rispose la
persona che lo teneva stretto.
Adesso
Obi-Wan non aveva più dubbi. Era lei, Heri, la
ragazza che doveva aggiustare le comunicazioni. Era una complice del
ladro?
«E
il Maestro è dentro».
«Ci
sono anche i droidi» ricordò la
ragazza, senza allentare la presa su Obi-Wan.
«Non
credo lo sconfiggeranno» disse
l’uomo, «ma potrebbero distrarlo».
«Distrarlo?»
ripeté lei, voltandosi
completamente verso il suo complice, e finalmente Obi-Wan
poté vederlo.
Era
decisamente l’uomo che aveva raccolto la sua
sfera… e stava sollevando la mantella per rivelare due
blaster di piccole dimensioni.
«Me
ne occupo io».
Obi-Wan
sbarrò gli occhi e cercò di dimenarsi, ma
la presa della ragazza era ferrea. «Te ne occupi in che
senso?»
L’uomo
le sorrise in un modo che doveva essere rassicurante.
«Entro dalla porta sul retro. Mi nascondo dietro le casse.
Prendo la mira. Non ci darà più
fastidio»
Un
gemito di orrore rimase imprigionato nella gola di Obi-Wan, e
l’uomo si diresse verso la fabbrica… Il bambino
pensò a Qui-Gon con tutte le sue forze, cercando di
avvertirlo, cercando di trasmettere il proprio terrore attraverso la
Forza.
«Aspetta,
no!» esclamò la ragazza.
L’uomo
si bloccò e si voltò a
guardarla, interrogativo.
«Lo
faccio io» affermò lei, con
decisione. «Tu prendi il ragazzino».
L’uomo
era accigliato, ma acconsentì.
«Come vuoi».
Si
sganciò uno dei blaster dalla cintura e lo mise a terra,
dopodiché si fece avanti per prendere Obi-Wan dalla ragazza.
Il bambino tentò disperatamente di liberarsi durante il
trasferimento, dimenandosi e graffiando le braccia dei ladri, ma fu
inutile, e la mano inguantata sulla sua bocca venne subito sostituita
da quella dell’uomo.
La
ragazza si chinò a raccogliere il blaster. Le tremavano
le mani, ma sembrava determinata.
«E
di questo qui?» chiese l’uomo.
«Che ne facciamo?»
Gli
occhi di lei – tanto quello azzurro e opaco quanto quello
scuro e luminoso – guizzarono su Obi-Wan. «Ci
pensiamo dopo. È… è un
bambino».
«Ha
sentito tutto. Ci ha visti».
La
ragazza indugiò. «È un
bambino» ripeté infine, e si avviò
verso l’edificio con una certa fretta, come se volesse
rimandare quella conversazione.
Quando
scomparve dietro l’angolo, certamente diretta
all’entrata sul retro di cui aveva parlato l’uomo,
Obi-Wan cercò nuovamente di liberarsi.
«Fermo»
gli sibilò il ladro, con una
certa cattiveria. «Sei fai un fiato, ti ammazzo».
Ignorando
la minaccia, il bambino tirò indietro la
testa… e poi la spinse in avanti, riuscendo ad affondare i
denti nel palmo dell’uomo.
Quest’ultimo
lo lasciò con
un’imprecazione, e Obi-Wan capitombolò a terra. Si
rialzò incespicando, evitò le braccia che
tentavano di acciuffarlo e si mise a correre.
Il
portone era appena dischiuso, e il bambino sgusciò in
quella fessura, entrando nella fabbrica.
Qui-Gon
era là, e stava abbattendo con metodo i droidi che
gli si stringevano attorno. Non sembrava, però, che si fosse
accorto della ragazza che si stava sollevando da dietro la fila delle
casse, e che stava mirando alle sue gambe.
Obi-Wan
sveltì la corsa, e un grido disperato gli
uscì dalle labbra: «Maestro!»
Note:
…ebbene sì, sono tornata ad aggiornare questa
storia.
Non so bene come scusarmi dell’immenso ritardo, spero almeno
che questo nuovo capitolo non sia stato una lettura deludente.
Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento, arriverà
lunedì 9 maggio (sperando che non ci
siano altri ritardi!).
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Capitolo 17 *** Rivelazioni ***
Capitolo 17 – Rivelazioni
Nell’udire quel richiamo,
Qui-Gon trasalì e prese
visione del pericolo nel giro di un istante. Riconobbe subito Heri, e
le fece sfuggire il blaster dalle mani con un gesto.
Appena
in tempo.
Ma
il suo legame con la Forza era tuttora disturbato, e lui non fece in
tempo a disarmare l’uomo che era entrato correndo dietro
Obi-Wan. Ci fu un lampo, ed un contraccolpo tale da scaraventare il
bambino in avanti, facendolo cadere sul pavimento.
Ci
fu un grido, e Qui-Gon si sentì raggelare. Avrebbe voluto
correre immediatamente accanto ad Obi-Wan, ma i droidi continuavano ad
incalzarlo – ne abbatté uno, e raccolse le proprie
energie per far volare ai propri piedi anche il blaster
dell’altro uomo.
Con
la coda dell’occhio, vide Heri scavalcare la pila di
casse e correre verso il proprio complice… per poi colpirlo
con un pugno in piena faccia, con tanta forza da farlo incespicare
all’indietro e crollare a terra.
Qui-Gon
si liberò anche degli ultimi droidi, quindi
disattivò la spada laser e guardò attorno per un
momento: non sembravano esserci altre minacce, e il suo primo indiziato
giaceva ancora a terra, coprendosi il naso sanguinante.
Heri,
dal canto suo, era andata ad inginocchiarsi accanto al bambino
ferito, e non sembrava sapere dove mettere le mani.
Qui-Gon
si affrettò nella sua direzione, stringendo una mano
sulla propria cintura sino a farsi sbiancare le nocche.
Prestò appena orecchio ai gemiti della ragazza –
«mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace» –
e si inginocchiò accanto a lei.
Obi-Wan
giaceva a pancia in giù, la guancia schiacciata
contro il pavimento lurido. Era stato colpito alla spalla destra, come
denotava la macchia rossa che si stava allargando sulla stoffa chiara.
Era cosciente, ma i suoi respiri erano brevi e spaventati.
«Mi
dispiace».
La ragazza sembrava
sull’orlo delle lacrime.
Qui-Gon
si protese verso il bambino, toccandogli la tempia, e gli occhi
grigio-azzurri di Obi-Wan saettarono su di lui. Per quanto impauriti,
erano lucidi e focalizzati. L’uomo cercò di
rivolgergli un sorriso incoraggiante, e con enorme cautela lo
sollevò e lo attirò nel proprio grembo.
Obi-Wan
strizzò gli occhi e premette il viso contro i suoi
abiti. Stava forse cercando di nascondere le lacrime che gli avevano
rigato le guance?
L’uomo
accattonò quel pensiero e si rivolse alla
ragazza. «C’è un centro
medico?» le chiese con una certa urgenza. «Dove
posso portarlo?»
Lei
lo fissò ad occhi sbarrati. «Io…
non ci sono centri medici, non…»
«Heri»
annaspò il ladro, tirandosi sui
gomiti, una mano ancora sul volto.
Se
non altro, questo sembrò riscuoterla. La ragazza si
girò di scatto verso di lui, la paura che
s’infiammava e diventava rabbia. «Sta’
zitto, Hafli! Sta’ zitto. Se provi a scappare ti sparo nel
fondoschiena».
Né
Qui-Gon né l’altro uomo emisero un
fiato. Di certo, nessuno dei due puntualizzò che la ragazza
era tecnicamente disarmata, e non avrebbe potuto sparare proprio per
niente.
Ora
più lucida, Heri tornò a guardare il Maestro
Jedi. «Potete portarlo a casa di Fja Larr» disse,
in tono deciso.
«Come?»
chiese Qui-Gon, accigliandosi.
«Sua
suocera» rispose la ragazza.
«È un’ottima guaritrice, tutti
vanno…»
L’uomo
non attese nemmeno che lei concludesse la frase, e si
alzò in piedi. «Voi due venite con me».
Ancora
accovacciata a terra, la ragazza lo guardò da sotto
in su e parve esitare. Forse aveva appena ricordato in che guaio era
coinvolta. Tuttavia, annuì e si mise in piedi a propria
volta. Si diresse verso il suo complice, afferrandolo per il gomito ed
aiutandolo ad alzarsi, per poi strattonarlo verso Qui-Gon ed Obi-Wan.
«Lo
avevo avvertito» borbottò Hafli, il
sangue che gocciolava dal naso rotto. «Gli avevo detto che se
apriva la bocca lo avrei colpito».
Qui-Gon
ricambiò con uno sguardo freddo, ed
attirò il bambino più vicino al proprio petto.
Era quasi certo di aver sentito un tremito sotto quelle parole, ma non
si sentiva incline alla comprensione.
«Ti
ho detto di stare zitto, Hafli»
sbottò Heri, la voce vibrante di rabbia. Poi, senza lasciare
la presa su di lui, si rivolse a Qui-Gon: «Da questa
parte».
L’uomo
la seguì, decidendo di sorvolare sul fatto
che sapeva già dove abitava Fja Larr. Non pensava che lei
avrebbe provato a scappare, a questo punto, ma poteva anche darsi che
rimanesse soltanto perché voleva aiutare Obi-Wan.
Fuori
pioveva ancora, e l’uomo mosse impacciatamente il
proprio mantello per coprire il bambino.
Obi-Wan
rivolse il viso – pallido e sudaticcio –
verso di lui, schiudendo gli occhi, e Qui-Gon gli accarezzò
la guancia con un dito.
«Resisti,
Padawan» gli sussurrò.
«Ci siamo quasi».
Mentre
camminava dietro a Heri ed Hafli, cercò di fare un
po’ di pressione sulla ferita, ma desistette di fronte agli
involontari gemiti di dolore del bambino.
Qualche
minuto più tardi, suonarono alla porta di casa Larr,
e fu la moglie dell’artista ad aprire.
«Heri?»
chiese, fissando il tecnico. E poi, ancora
più interdetta, quando notò il resto del
gruppetto: «Maestro Jinn?»
Qui-Gon
si fece avanti, mostrando il bambino che rabbrividiva contro il
suo petto. «Vostra madre è in casa?»
Maya
Larr fissò Obi-Wan ed impallidì.
«Sì» disse, e si fece da parte.
«Venite».
Il
gruppetto non se lo fece ripetere due volte – Hafli pareva
un po’ riluttante, ma non oppose resistenza quando Heri lo
trascinò con sé – e la donna li
guidò verso il soggiorno, chiamando: «Madre, hai
un paziente!»
La
donna anziana si trovava sul divano dove Qui-Gon l’aveva
vista per la prima volta, e guardò verso di loro con uno
sguardo attento e penetrante.
«Datemelo
qui» ordinò.
Il
Maestro Jedi si fece avanti, e depositò con attenzione
Obi-Wan sulle ginocchia della donna. Quest’ultima gli
sfilò qualche strato d’abito con estrema
attenzione. Quando il bambino rimase a schiena nuda, Qui-Gon
poté finalmente vedere la sua ferita con chiarezza.
Era
uno squarcio tra la scapola destra e l’attaccatura del
collo… Non era una ferita superficiale, ma nemmeno troppo
profonda.
Grazie
alla Forza, Hafli non doveva avere una gran mira: aveva colpito
il bambino solo di striscio. O forse era stato intenzionale, forse non
aveva voluto ferirlo troppo gravemente…
«Maya»
disse la vecchia, «prendi le mie
cose ed una bacinella d’acqua».
Sua
figlia si affrettò ad obbedire, ed era appena scomparsa
in corridoio quando Fja Larr fece il proprio ingresso.
«Chi…?» Si arrestò di colpo.
«Maestro Jinn? Ma che…?»
Notando
il bambino sulle ginocchia della suocera, parve rimanere un
istante senza parole.
«È…
è un piccolo
Jedi?» chiese, allungando il collo. «Che cosa gli
è successo?»
«Colpo
di blaster» rispose Qui-Gon, cupamente.
Fja
Larr parve impressionato. «È molto
grave?» Aveva un’aria preoccupata, ma non si
avvicinò ulteriormente. Forse non gli piaceva la vista del
sangue.
«Nah»
rispose sua suocera, passando una mano
gentile tra i capelli umidi di Obi-Wan. «Solo un colpo di
striscio, fortunatamente».
In
quel momento, Maya Larr fu di ritorno, e depositò una
bacinella d’acqua ed una cassetta marrone sul tavolino
davanti alla madre.
La
guaritrice prese una garza dalla cassetta e la inzuppò, e
a quel punto Fja Larr sembrò finalmente notare anche Heri ed
Hafli.
«Heri»
disse, con una certa sorpresa,
«avevamo un appuntamento?»
Qui-Gon
vide le spalle della ragazza afflosciarsi. Sembrava essere
conosciuta in casa Larr – ma effettivamente, dato che era il
tecnico migliore di Nihilo, doveva essere ben conosciuta in tutta la
cittadina.
«O
siete qui anche voi per essere ricuciti? Quel naso mi
sembra messo male».
«Gliel’ho
rotto io» disse Heri, in tono
monocorde.
Le
sopracciglia bionde di Fja Larr schizzarono verso l’alto.
«Oh. Ti ha importunata?»
«No,
è mio fratello» rispose la ragazza,
lo sguardo basso. «Non siamo qui per rattopparlo. Siamo qui
perché… Siamo stati noi a rubare le tue
opere».
Ci
fu un momento colmo di tensione, e l’unica che non
alzò lo sguardo fu la guaritrice, ancora intenta a pulire la
ferita di Obi-Wan.
Poi
il bambino emise un piccolo lamento, e Qui-Gon si
inginocchiò accanto a lui. «Va tutto
bene» gli mormorò. «Va tutto
bene».
«Mi
dispiace» disse Heri, in tono miserabile,
chiaramente rivolta ai coniugi Larr.
Ci
fu un altro momento di silenzio.
«Quindi…» disse infine Fja Larr.
«Sei stata tu a disattivare i miei sistemi di
sicurezza».
«Già».
Qui-Gon
stava ancora guardando Obi-Wan, e notò che aveva le
labbra screpolate.
Ma
certo. Col sangue che aveva perso, doveva essere
disidratato… perché non ci aveva pensato prima?
D’istinto,
fece per alzarsi, ma quella mossa parve allarmare
Obi-Wan: il bambino, infatti, spalancò gli occhi e fece per
allungare un braccio.
La
guaritrice lo tenne fermo e rivolse un’occhiata accigliata
a Qui-Gon, che si era bloccato, e parve capire subito le sue
intenzioni. «Fja» chiamò,
«potresti prendere un bicchiere d’acqua per il
bambino?»
Qui-Gon
la guardò con gratitudine, tornando ad
accovacciarsi, e dopo un momento i passi di Fja Larr si allontanarono.
«Forse
voi dovreste venire nella stanza degli
ospiti» disse Maya Larr, in tono controllato,
«finché non riusciremo a contattare il Corpo di
Polizia di Omnia».
«Ho
oscurato il segnale» affermò Heri.
«Le comunicazioni non funzioneranno per un po’.
Volevo… La cosa doveva permettere ad Hafli di scappare
domani».
Distrattamente,
Qui-Gon pensò che le sue supposizioni si
erano rivelate esatte. I suoi ladri avevano intenzione di usare
un’astronave di linea come via di fuga.
E
le parole di Heri svelavano finalmente il motivo del malfunzionamento
delle comunicazioni.
«Dovrai
mostrarci come porre rimedio alla cosa» fu
la replica di Maya Larr, e ci fu un po’ di trambusto mentre
la donna guidava Heri ed Hafli in un’altra parte della casa.
Fja
Larr fu di ritorno con un bicchiere d’acqua ed una
cannuccia, e li passò a Qui-Gon. L’uomo resse il
bicchiere mentre Obi-Wan chiudeva le labbra attorno alla cannuccia e
succhiava debolmente ma con una certa avidità.
La
guaritrice mise da parte le garze insanguinate ed iniziò
a preparare con mani esperte un impacco di bacta, che in seguito
applicò alla spalla di Obi-Wan.
«Ecco
fatto» decretò, e
spostò lentamente il bambino dalle proprie ginocchia per
farlo distendere sul divano. «Non dovrebbero esserci
problemi».
Qui-Gon
annuì, e la donna si alzò.
«Tra
qualche ora dovrò cambiare
l’impacco, ma per adesso può anche dormire.
Chiamatemi, se succede qualcosa».
Su
quella nota, aiutata da Fja Larr, radunò la cassetta, la
bacinella e le garze bagnate, quindi se ne andò col genero.
Rimasto
solo con Obi-Wan, Qui-Gon si sedette nel posto lasciato libero
dalla guaritrice ed accarezzò cautamente i capelli rossicci
del bambino.
«Maestro?»
mormorò Obi-Wan, confusamente.
«Sì?
Dimmi».
«Pensi
che… pensi che
resterà… una cicatrice?»
«Non
penso proprio» gli assicurò
Qui-Gon. «Non con questi impacchi».
Il
bambino aggrottò la fronte e cercò di alzare
la testa. Poi cambiò idea, probabilmente perché
il movimento aveva stirato uno dei muscoli vicini alla ferita.
«Obi-Wan?»
chiamò Qui-Gon, gentilmente.
«Qualcosa non va?»
Il
bambino non rispose subito. «Il Maestro Yoda
dice… dice che la prima missione di un Jedi
lascia… sempre una cicatrice…»
Qui-Gon
inarcò le sopracciglia. Il Maestro Yoda diceva
questo agli Iniziati? Rassicurante.
«Ma
forse… forse questa non… non
è una vera missione» aggiunse Obi-Wan, incerto.
«La
è eccome» replicò
Qui-Gon, deciso. «Vedi, il Maestro Yoda non parlava di
cicatrici nel senso letterale della parola. Voleva soltanto dire che la
prima missione di un Jedi non si dimentica mai».
«Uhm»
bofonchiò Obi-Wan. «Di
sicuro è stata… memorabile».
Qui-Gon
si lasciò sfuggire un sorriso, e in quel momento Fja
Larr fu di ritorno con qualcosa da mangiare per il bambino. Obi-Wan
mangiò qualche boccone, volle un’altra sorsata
d’acqua, e poi si addormentò come un sasso.
Il
Maestro Jedi rimase a vegliare su di lui, mentre Fja Larr si recava
a dire a Jon Tarr dove si trovavano i suoi ospiti e provvedeva anche a
recuperare le proprie opere.
Verso
sera, la guaritrice si offrì di tener
d’occhio il bambino per qualche momento. «Fja vi ha
preparato qualcosa da mangiare in cucina. Vi chiamo se il piccolo si
sveglia».
Qui-Gon
era riluttante, ma alla fine la ringraziò e le
cedette il posto. In cucina, trovò un piatto di carne e
verdure… E trovò anche Heri, appollaiata su uno
sgabello con lo sguardo perso nel vuoto.
L’uomo
le si accomodò di fronte, facendola
sussultare.
Lei
si portò d’istinto una mano a coprire la parte
sfigurata del proprio volto, ma poi si rilassò –
in parte, almeno.
«Tuo
fratello?» chiese Qui-Gon, cercando di
assumere un tono casuale.
Un
Jedi doveva lasciar andare la propria rabbia.
«Nella
camera degli ospiti» rispose Heri.
«L’ho chiuso dentro. Avevo bisogno di non vederlo
per un po’».
L’uomo
pensò che non era l’unica, ma si
limitò ad annuire e cominciò a mangiare.
«È
stata tutta colpa mia» proruppe Heri,
dopo qualche istante. «Mi dispiace. È stata tutta
colpa mia».
Qui-Gon
alzò lo sguardo su di lei. «È
stata una tua idea?»
«No,
di Halfi, ma…» La ragazza si
premette una mano sulla guancia sfigurata. «Ma non
è cattivo.
Non si è mai comportato
così».
Qui-Gon
masticò ed inghiottì.
«Perché dici che è stata tutta colpa
tua?»
«Be’,
perché l’ha fatto per
me» rispose Heri, abbassando lo sguardo sul tavolo.
«Il furto. Noi non… Da bambini non eravamo molto
uniti. Un po’ per la differenza d’età
– voglio dire, abbiamo due padri biologici
diversi…»
Il
Maestro Jedi le rivolse un’occhiata inquisitoria.
«Poi
io ho avuto l’incidente»
continuò la ragazza, sempre senza guardarlo, «e
Hafli mi è stato accanto più di tutti. In
ospedale, e poi… Poi io mi sono trasferita qui a Nihilo,
perché non mi piace stare in mezzo a troppa gente, e ho
trovato questo lavoro, e mio fratello mi è sempre venuto a
trovare con frequenza. Quando ha saputo di Fja Larr, gli è
venuta questa idea. Voleva rivendere le opere e usare il denaro per
pagarmi una ricostruzione facciale».
«E
tu l’hai aiutato».
«Sì»
disse Heri, con voce molto piccola.
«Mi sembrava una prospettiva allettante».
Qui-Gon
riprese a mangiare. Non poteva biasimare la ragazza, ma
ciò non toglieva che si era comportata in modo sbagliato ed
aveva violato la legge. In quanto ad Hafli… Faticava molto a
provare empatia nei suoi confronti, dato quello che aveva fatto ad
Obi-Wan.
«Non
pensavo che saremmo arrivati al punto di ferire
qualcuno, tantomeno un bambino».
«Stavi
per spararmi alle gambe» osservò
l’uomo.
Lei
non negò. «Mi dispiace, avevo…
Volevo solo immobilizzarvi, volevo guadagnare tempo… So che
è stupido, ma pensavo che così saremmo riusciti a
far scappare Hafli…»
Qui-Gon
non commentò, evitando di dirle che se anche fosse
riuscita ad imbarcare suo fratello nella prossima navicella di linea,
lui sarebbe stato arrestato, perché grazie alla Maestra Yula
il suo ritratto era arrivato nelle mani del Corpo di Polizia di Omnia
anche con le comunicazioni fuori uso.
«E
poi avevo… avevo paura che se fosse stato lui
ad occuparsene… ecco… non avrebbe mirato alle
gambe».
Qui-Gon
non avvertiva con chiarezza le sue emozioni nella Forza, ma
poteva sentirle nella sua voce, leggerle sul suo volto. Paura e
vergogna e disperazione.
«Hai
mangiato qualcosa?» le chiese infine.
Lei
lo fissò come se la domanda l’avesse presa in
contropiede. «Maya ci ha… ci ha portato un
pasticcio». Si morse il labbro. «Non
potrò più guardarli in faccia. Lei e
Fja… Li conosco da anni, e ora ho tradito la loro
fiducia».
L’uomo
non rispose. Non spettava a lui decidere se i due
coniugi avrebbero mai scelto di perdonare la ragazza.
Senza
ulteriori scambi di parole, finì il proprio pasto ed
uscì dalla cucina. In salotto, la guaritrice si
alzò e lo lasciò sedere accanto ad Obi-Wan.
Il
bambino stava ancora dormendo della grossa, quando Qui-Gon vide Fja
Larr dirigersi verso l’ingresso.
«Heri
ci ha detto dove sta il dispositivo che ha costruito,
quello che causa le interferenze» spiegò
l’artista, lottando per infilarsi il cappotto.
«Vado a recuperarlo, così possiamo disattivarlo e
metterci in contatto con Omnia».
Qualche
momento dopo la sua uscita, Maya Larr arrivò in
salotto, e si accomodò sul divano di fronte a Qui-Gon.
«Ha
smesso di piovere» disse, sommessamente. Era
rivolta a Qui-Gon, ma stava guardando Obi-Wan con aria quasi rapita.
Il
bambino, dal canto suo, continuava a dormire a pancia in
giù, una mano ferma accanto alla guancia.
«Vi
chiedete… Vi chiedete mai se alcuni di loro
incontrano le loro madri? In strada, per caso. Vi chiedete se le
riconoscono? E se le madri dei vostri Iniziati riconoscono i loro
bambini?»
Qui-Gon
aggrottò la fronte, e ricordò
l’espressione della donna quando aveva visto gli Iniziati in
compagnia della Maestra Yula. «Avete…»
Si schiarì la gola. «Per caso un vostro
figlio…?»
Maya
Larr lo guardò con aria sorpresa, portandosi
d’istinto una mano al ventre. «Se è
stato preso dai Jedi? Oh… Oh, no. Ma lo preferirei. Almeno
vorrebbe dire che lui esiste da qualche parte… No»
ripeté. «Non abbiamo figli. Sono rimasta incinta,
qualche tempo fa, ma ho perso il bambino».
Qui-Gon
portò una mano sulla nuca di Obi-Wan.
«Scusate» disse, «ho
creduto…»
«Non
avete alcun bisogno di scusarvi» lo interruppe
la donna, con decisione.
L’uomo
abbozzò un sorriso. «Avevate
l’aria di aver riflettuto molto sugli Iniziati
Jedi».
«È
così» asserì
lei, e sembrava non rendersene conto, ma continuava a massaggiare piano
il proprio ventre. «Vedete, mio marito aveva un allievo,
qualche anno fa…»
«Sì»
disse Qui-Gon, «credo mi
abbiate già accennato a lui».
Maya
Larr annuì. «Ecco. Veniva dal Tempio di
Coruscant».
L’uomo
sbatté le palpebre, sollevando il capo.
«Come?»
«Non
era un Jedi» si affrettò a chiarire
la donna. «Aveva abbandonato l’addestramento. Non
era vita per lui, ci ha detto».
Le
orecchie di Qui-Gon cominciarono a ronzare, e lui si
sentì quasi mancare il respiro. Possibile che…?
«Aveva
talento artistico, ed era bravo a mostrare ammirazione
verso mio marito». Maya Larr sorrise. «Fja non
è mai stato molto in grado di resistere alle adulazioni, e
l’ha preso come allievo».
Qui-Gon
dovette portare una mano al bracciolo del divano e serrare le
dita, imponendosi di mantenere la calma. Non riusciva a pensare ad
altro che al suo secondo apprendista, al modo in cui più di
una volta aveva tessuto le lodi degli artisti di Nihilo.
«Gli
avevo chiesto, una volta, se avesse mai pensato di
tornare dai suoi genitori, visto che ormai non era più un
Jedi» concluse Maya Larr. «Lui ha risposto che
preferiva di no, che pensava sarebbero stati dei perfetti sconosciuti.
Mi ha dato molto da pensare».
Qui-Gon
forzò una risposta tra labbra quasi insensibili:
«Capisco». Tacque un momento, e Obi-Wan si mosse
accanto a lui sul divano. «Posso… posso sapere
come si chiamava questo ragazzo?»
Nel
suo cuore, lo sapeva di già. Non si stupì
affatto, quando Maya Larr disse nome e cognome del suo secondo
apprendista.
«Lo
conoscevate?» gli chiese poi la donna,
inarcando un sopracciglio.
Qui-Gon
abbassò lo sguardo su Obi-Wan, che stava
sbadigliando. «Qualcosa del genere» si
sentì rispondere. «Qualcosa del genere».
«D’accordo».
A giudicare dal suo tono,
Maya Larr doveva aver intuito che non era tutto, ma non insistette.
«Vado a controllare Heri» affermò invece
– difficile capire se volesse assicurarsi che la ragazza
stesse bene o che non scappasse.
«Certo»
disse Qui-Gon, rivolgendole un cenno del
mento.
I
suoi pensieri erano ancora in tumulto. Dunque era questo che era
successo al suo secondo apprendista? Era qui che era venuto, dopo aver
lasciato Coruscant? Aveva cercato di diventare un artista? E
adesso… adesso dov’era?
«Maestro?»
La
voce assonnata di Obi-Wan lo riportò al presente.
Qui-Gon
abbassò lo sguardo sul bambino.
Quest’ultimo cercò di tirarsi su, e
l’uomo si affrettò ad aiutarlo a mettersi seduto
in una posizione tale da non appoggiarsi alla spalla ferita.
«Ben
svegliato» gli disse, sforzandosi di
sorridere. «Ti senti meglio?»
«Credo…
credo di sì»
mormorò il bambino, ma fece una smorfia nel muovere la mano
destra, ed usò invece la sinistra per strofinarsi gli occhi.
«Mi
fa piacere» disse Qui-Gon, sinceramente.
Obi-Wan
mugolò il proprio assenso, poi sgranò gli
occhi e lo fissò, lasciando ricadere la propria mano.
«Qualcosa
non va?» chiese l’uomo,
inarcando un sopracciglio.
«Io…»
Il bambino parve chiamare a
raccolta il proprio coraggio. «Tu… Prima,
tu… Quando mi hai coperto per non farmi bagnare…
Mi hai chiamato Padawan».
Qui-Gon
sbatté le palpebre, preso alla sprovvista.
«Davvero?»
Non
lo ricordava… Tornò col pensiero a qualche
ora prima, a quando era uscito dalla fabbrica in disuso col bambino
ferito tra le braccia. Lo aveva consolato, questo sì, ma
l’aveva davvero chiamato Padawan?
«Credo…
Credo di sì». Obi-Wan
parve vacillare. «È stato un incidente?»
L’uomo
non rispose subito. Ancora non ricordava di aver usato
quel termine… ma di fronte all’espressione ansiosa
di Obi-Wan, decise che non aveva importanza.
«No»
disse, con determinazione. «Non
è stato un incidente».
Il
bambino si limitò a fissarlo con occhi enormi.
«So
che te l’ho già chiesto»
aggiunse allora Qui-Gon, tendendo automaticamente una mano verso la sua
spalla sinistra. «Ma dimmi… vorresti ancora
diventare il mio Padawan?»
Gli
sembrò quasi una magra offerta, davanti al fatto che
questo bambino aveva messo a rischio la propria vita per aiutarlo.
Non
dovette nemmeno rimanere sulle spine, però,
perché il visetto di Obi-Wan si ruppe immediatamente in un
sorriso. «Sì» rispose il bambino,
radioso, guardandolo negli occhi. «Sì, Maestro
Jinn».
L’uomo
sorrise di rimando. Di colpo, si sentì come
se tutti i suoi dubbi passati avessero perso peso, alleggeriti dalla
gioia dell’Iniziato.
Persino
tutte le preoccupazioni e la tensione delle ultime ore parvero
dissiparsi.
«Che
mi dici?» chiese Qui-Gon, in tono quasi
cospiratore. «Cosa ne pensa la Forza?»
«Mmm».
Obi-Wan parve rifletterci su.
«Immagino potrebbe funzionare».
L’uomo
scosse il capo, ma stava ancora sorridendo, e adesso
era sinceramente divertito. Sapeva che Obi-Wan sentiva nella Forza
esattamente quello che percepiva lui.
Questo
era giusto.
Note:
Prima di tutto, ringrazio di nuovo tutti i lettori, perché
wow, non mi aspettavo una simile risposta allo scorso capitolo. Grazie
mille, davvero!
Ed era mai possibile che Obi-Wan “Finisce Spesso
Nell’Ala Dei Guaritori” Kenobi scampasse alla
situazione senza nemmeno un graffio? Ovviamente no. Ma forse
è stato finalmente ripagato…
Okay, ho blaterato a sufficienza. Questa settimana sarò
impegnata con lo studio perché lunedì ho un esame
scritto, quindi vi do appuntamento a giovedì 19
maggio :)
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso!
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Capitolo 18 *** Oltre il confine ***
Capitolo 18 – Oltre il
confine
Poco dopo, Fja Larr fu di ritorno, e
venne a sedersi sul divano di
fronte a Qui-Gon ed Obi-Wan.
«Eccolo
qui» annunciò, posando un
oggetto sul tavolo con fare teatrale. «Il dispositivo che
crea le interferenze».
Obi-Wan
allungò il collo, e anche Qui-Gon si protese in
avanti. Si trattava di una semisfera dorata, abbastanza piccola da
stare comodamente nel palmo di una mano.
«Ora
non resta che disattivarla»
proclamò l’artista, soddisfatto. «Vado a
chiamare Heri».
Balzò
in piedi, e si allontanò con una certa
fretta.
Da
parte sua, Qui-Gon spostò lo sguardo su Obi-Wan; il
bambino stava ancora guardando la sfera con un certo interesse, e fece
un gesto come per allungare la mano, salvo controllarsi e ritirarla
dopo un momento.
«Di
qua, di qua».
Nell’udire
quelle parole, Qui-Gon si girò, giusto
in tempo per vedere Fja Larr che sollecitava Heri in direzione del
dispositivo.
«Come
vedi, l’ho recuperato. Ora puoi
disattivarlo».
La
ragazza gettò un’occhiata verso Qui-Gon ed
Obi-Wan, soffermandosi in particolare sul bambino come per accertarsi
che stesse davvero bene, poi allungò una mano a prendere
l’oggetto. Con una certa cura, svitò la piccola
cupola e la tirò via come un tappo, rivelando una serie di
ingranaggi scintillanti dall’aria delicata.
«Ammirevole»
commentò Fja Larr.
Heri
non disse nulla, chinandosi invece a posare l’oggetto
sul pavimento… per poi calpestarlo con forza, più
volte, e Qui-Gon vide le sopracciglia di Obi-Wan guizzare ai cigolii e
agli scricchiolii del povero dispositivo.
Alla
fine, la ragazza raccolse l’oggetto – ora con
gli ingranaggi tutti spaccati – e lo rimise sul tavolo.
«Ecco fatto».
«Però!»
osservò Fja Larr,
arcuando le sopracciglia bionde. «Pensavo avresti fatto
qualcosa di più… scientifico».
Heri
si limitò a stringersi nelle spalle.
In
effetti, pensò Qui-Gon, anche lui si sarebbe aspettato un
metodo diverso. In fondo la ragazza aveva dimostrato di saperci fare
come tecnico, costruendo il dispositivo, disattivando i sistemi di
sicurezza di Fja Larr e riprogrammando i droidi dell’artista
per metterli a guarda della refurtiva.
«Ora
dovremmo riuscire a contattare Omnia» concluse
Fja Larr.
Obi-Wan
guardò Qui-Gon, che si alzò in piedi e si
mise le mani sui fianchi. «Posso usare la vostra
unità di comunicazione?»
Il
giorno successivo, arrivarono tre agenti del Corpo di Polizia di
Omnia. Indossavano un’uniforme blu scuro, ma le loro
somiglianze finivano lì.
La
prima era un’Umana dai capelli castani e il naso sottile
spruzzato di lentiggini; la seconda una Togruta
dall’espressione impenetrabile e uno sguardo che pareva in
grado di uccidere; il terzo un Mon Calamari dalla pelle lucida e
l’aria gioviale.
Si
mostrarono piuttosto efficienti: registrarono le testimonianze di
Qui-Gon, Obi-Wan e della famiglia Larr, chiesero al Maestro Jedi di
fornire loro i dati delle sue indagini ed ispezionarono lo studio di
Fja Larr e la fabbrica in disuso.
Nel
via vai, Qui-Gon notò che Obi-Wan – ancora
seduto sul divano – seguiva i movimenti degli agenti ad occhi
spalancati, e sembrava un po’ ansioso.
Pensando
che un diversivo gli avrebbe fatto bene, l’uomo si
avvicinò e gli si sedette accanto.
«Allora» esordì, e il bambino
puntò subito gli occhi su di lui, «vuoi dirmi cosa
ne pensi? Quali credi che saranno le accuse contro Heri ed
Hafli?»
Il
bambino sbatté le palpebre. Per un istante, rimase a
fissare l’uomo, poi abbassò lo sguardo e parve
rimuginare sulla risposta.
«Be’»
iniziò infine, con una
punta di incertezza, «a carico di entrambi
c’è il furto… sia delle opere del
signor Larr che dei suoi droidi. Penso conterà anche il
fatto che i droidi sono andati distrutti… e il possesso
d’armi».
«Molto
bene» approvò Qui-Gon.
«Che altro?»
Obi-Wan
mosse la mano verso la propria spalla.
«Ecco… Hafli mi ha ferito… E credo
conterà anche il fatto che Heri stava per sparare a
te… Maestro».
«Sì»
disse Qui-Gon, ed era tanto un
invito a continuare quanto una conferma.
Il
bambino non si fece pregare. «Lei ha messo fuori uso le
comunicazioni di tutto il villaggio» ricordò, e
contò sulle dita le cose che aveva elencato. «Mi
sembra abbastanza illegale».
«Già»
annuì Qui-Gon,
trattenendo un sorriso. «È abbastanza
illegale».
Obi-Wan
emise un suono pensoso. «Ma… Maestro? Heri
è minorenne?»
«Penso
di sì» rispose Qui-Gon,
sistemandosi meglio sul divano. «Però ha
già l’età a cui si viene considerati
capaci di intendere e di volere».
Il
bambino aggrottò la fronte. «Vuol
dire… vuol dire che sarà punita, ma in modo meno
severo rispetto a come verrebbe punita se fosse maggiorenne?»
«Possiamo
metterla così, sì»
annuì Qui-Gon.
I
dettagli, immaginava, sarebbero dipesi dall’avvocato che
avrebbe difeso i due fratelli, e dalla legislazione a cui avrebbero
deciso di appellarsi – se quella di Omnia, di Nihilo o del
loro pianeta natale.
Obi-Wan
si sfregò il mento con una mano, e in quel momento
Fja Larr venne dritto verso di loro.
«E
così» esordì, sedendosi
sul bracciolo del divano accanto a Qui-Gon e posandosi le mani sulle
gambe, «siamo quasi giunti alla fine di
quest’avventura».
Il
Maestro Jedi inarcò un sopracciglio.
«Così sembrerebbe».
Fja
Larr rimase in silenzio per un lungo momento, e la sua espressione
si fece decisamente più seria. «Heri è
una brava ragazza» mormorò infine. «Non
mi sarei mai aspettato che facesse una cosa del genere».
Qui-Gon
indugiò un istante, poi si allungò verso
l’altro uomo. «A quanto mi ha detto,
l’hanno fatto perché Hafli voleva pagarle una
plastica facciale».
Fja
Larr girò di scatto la testa verso di lui.
«Oh!» esclamò, allargando gli occhi
azzurri in modo quasi comico. Tornò a voltarsi
dall’altra parte e ripeté, stavolta in tono
sommesso, quasi pensoso: «Oh».
A
quel punto, gli agenti del Corpo di Polizia si radunarono in salotto,
portando con loro Heri ed Hafli. La ragazza pareva completamente
atterrita, anche se l’agente umana le stava spiegando
qualcosa in tono gentile.
In
quanto ad Hafli, aveva l’aria decisamente avvilita. Forse
era deluso di non averla passata liscia, forse era preoccupato per la
pena che gli sarebbe toccata.
Personalmente,
Qui-Gon pensava che fosse anche colpa
dell’atteggiamento freddo e distaccato che sua sorella stava
tuttora mantenendo nei suoi confronti.
In
ogni caso, questa poteva essere l’ultima volta che vedeva
i due fratelli, a meno di non essere chiamato a testimoniare in prima
persona. E data la registrazione della sua testimonianza e il numero
considerevole di prove raccolte, dubitava sarebbe successo.
Lui
e Obi-Wan lasciarono Nihilo poco tempo dopo la partenza degli
agenti di Omnia.
Un’astronave
arrivò da Coruscant per prelevarli, e
al momento dei saluti Maya Larr si abbassò ad abbracciare il
bambino, attenta a non fargli male.
Obi-Wan
ebbe abbastanza presenza di spirito da rispondere con un buon
inchino ed un educato «arrivederci, signora Larr»
ma i suoi occhi chiari erano enormi mentre fissava la donna.
Durante
il viaggio, fu abbastanza silenzioso, e Qui-Gon notò
che si sfregava distrattamente le braccia tra loro.
«Maestro»
chiese il bambino, mentre si preparavano
ad entrare nell’atmosfera di Coruscant, «credi che
i signori Larr avranno un figlio?»
Qui-Gon
gli scoccò un’occhiata. «Se
è quello che desiderano, glielo auguro».
«Già»
disse Obi-Wan, e non aggiunse
nient’altro sull’argomento.
Come
prima cosa, quando giunsero al Tempio Jedi, Qui-Gon avrebbe dovuto
presentarsi a fare rapporto nella Sala del Consiglio, ma decise che era
più urgente portare il bambino nell’Ala dei
Guaritori.
«Ma
adesso sto bene, Maestro» azzardò
Obi-Wan, che sembrava tutto fuorché contento di trovarsi
lì.
Qui-Gon
si limitò a sospingerlo in avanti. «Penso
sia comunque meglio fare una visita di controllo».
Ad
occuparsene fu Von Le, che esaminò quel che restava della
ferita di Obi-Wan con estrema attenzione. «Il tuo primo
viaggio fuori da Coruscant ed hai ricevuto un colpo di
blaster» commentò. «Per qualche motivo
non ne sono affatto sorpreso».
«È
stato un colpo di striscio»
puntualizzò Obi-Wan.
Il
Vultan non rispose. «Per tua fortuna» disse
invece, «chi si è occupato di te sapeva il fatto
suo. Dovrebbe guarire perfettamente nel giro di qualche giorno. Nel
frattempo, sei esentato dagli allenamenti».
«Ancora?!»
gemette Obi-Wan, e poi si
batté una mano sulla bocca.
Qui-Gon
finse di essere intento ad osservare il muro più
vicino, ma sentì nitidamente lo sguardo apprensivo che il
bambino gettò nella sua direzione.
Dati
gli ultimi eventi, aveva smesso del tutto di schermarsi dal legame
mentale tra lui ed Obi-Wan, e da quando si erano allontanati da Nihilo
aveva percepito molte delle emozioni del suo nuovo Padawan.
«Voglio
dire… Ho già dovuto saltare
degli allenamenti perché mi ero fatto
male…»
«Ma
guarda un po’» disse Von Le, e gli
diede una piccola pacca sul braccio per fargli capire che la visita era
finita. «Evita di farti male e potrai seguire tutti gli
allenamenti che vuoi».
«Sissignore»
rispose Obi-Wan, un po’
contrariato, prima di tornare a vestirsi.
Quando
fu pronto, Qui-Gon lo portò con sé nella
Sala del Consiglio. Fece rapporto, tenendo il bambino davanti a
sé e posandogli le mani sulle spalle con fare confortante.
Anche
senza guardarlo, sapeva che Obi-Wan osava a malapena respirare, e
che alternava delle occhiate nervose tra i Consiglieri e il pavimento
decorato sotto i loro piedi.
Il
comportamento del bambino su Nihilo venne discusso, ma non ci furono
sanzioni. Certo, aveva disobbedito all’ordine diretto di un
Maestro, ma Yoda osservò che doveva aver seguito il volere
della Forza, visto come si era conclusa la missione.
Ci
fu un momento di silenzio, poi Qui-Gon si schiarì la gola.
«Maestro
Qui-Gon» disse Yoda, fissandolo con aria
estremamente interessata. «Chiederci qualcosa tu
vuoi?»
«Sì,
mio Maestro». L’uomo
accarezzò col pollice la spalla sinistra di Obi-Wan. Trasse
un respiro. «È mia intenzione prendere Obi-Wan
Kenobi come mio nuovo Padawan».
Immediatamente,
i Consiglieri attorno a loro iniziarono a scambiarsi
occhiate eloquenti, in una danza di teste che si inclinavano e dita che
si univano. Qui-Gon era ormai abituato a quelle conversazioni
silenziose, ma Obi-Wan si tese ansiosamente sotto le sue mani.
«Molto
bene» concluse Yoda, e nella sua voce
c’era una punta di pura soddisfazione. «La nostra
approvazione tu hai».
Qui-Gon
accennò un inchino, mentre il sollievo e la
felicità di Obi-Wan lo investivano come un’onda.
Venne
stabilito che la cerimonia per il passaggio del bambino da
Iniziato a Padawan si sarebbe svolta il giorno seguente,
dopodiché Obi-Wan e Qui-Gon furono congedati.
Erano
appena usciti dalla Sala del Consiglio, quando udirono dei passi
zoppicanti, e Yoda li raggiunse.
«Maestro
Qui-Gon» disse. «Parlare con te,
io desidero».
L’uomo
inarcò un sopracciglio. Accanto a lui,
Obi-Wan si mosse con una certa inquietudine.
Qui-Gon
poteva sentire la fiducia del bambino nel Gran Maestro, ma
sentiva anche il suo nervosismo – sembrava sempre esserci
qualcosa che gli impediva di diventare il Padawan del Maestro Jinn.
«Obi-Wan»
disse perciò l’uomo,
gentilmente, «perché non mi precedi? Recupera le
tue cose, e va’ ad aspettarmi davanti al mio
alloggio».
Obi-Wan
esitò. «Va bene, Maestro»
rispose, e rivolse un inchino a Yoda prima di allontanarsi.
Non
appena se ne fu andato, Qui-Gon inarcò un sopracciglio e
guardò il Gran Maestro, ma quest’ultimo si
limitò a scrutarlo da capo a piedi.
«Ebbene?»
incalzò l’uomo, dopo
cinque minuti buoni di quell’esame silenzioso.
Yoda
lo guardò in volto con aria speculativa.
«Fruttuosa, la tua missione è stata».
Qui-Gon
seppe immediatamente che non parlava della cattura dei ladri, e
probabilmente nemmeno di Obi-Wan. «Tu lo sapevi»
accusò, senza rancore. «Del mio secondo
apprendista. Sapevi che dopo aver lasciato l’Ordine aveva
vissuto con Maya e Fja Larr».
Siete rimasti in contatto?
avrebbe voluto chiedere. Ti
ha chiesto
aiuto? O ti sei semplicemente tenuto informato sui suoi spostamenti?
«Mmm»
disse Yoda. «Saputo lo
hai».
Qui-Gon
sospirò, ripensando alla propria conversazione con
Maya Larr. Avrebbe voluto chiederle altro, sinceramente, ad esempio se
sapeva dove si trovasse adesso il ragazzo, ma alla fine non ci era
riuscito.
«Per
questo mi hai affidato
quest’incarico» disse, tornando a guardare il Gran
Maestro. «Volevi che scoprissi cosa gli era
successo».
«Successo?»
ribatté Yoda.
«Successo a chi? Che tu catturassi i ladri, io
volevo!»
E
su quella nota, senza lasciare a Qui-Gon il tempo di obiettare,
tornò zoppicando nella Sala del Consiglio.
Rimasto
solo, l’uomo scosse la testa tra sé e
sé. Vecchio troll enigmatico.
Per
qualche istante, restò fermo dov’era, poi
pensò ad Obi-Wan che probabilmente lo stava aspettando, e si
diresse verso il proprio alloggio.
Come
aveva immaginato, il bambino era già davanti alla porta
con una sacca sulla spalla. Come non
aveva immaginato, era in compagnia
di un Maestro Jedi dai capelli ricci e l’aria molto familiare.
«Taren»
salutò Qui-Gon, avvicinandosi.
«Qui-Gon»
replicò l’altro, in
tono leggero. «Mi sono imbattuto nel giovane Kenobi, qui, e
lui mi ha dato la grande notizia».
Qui-Gon
notò che Obi-Wan gli lanciava un’occhiata,
come per assicurarsi che non fosse contrariato.
«Capisco».
Taren
continuò a guardarlo per un altro momento, poi sorrise
e fece un passo in avanti per dargli una pacca sulla spalla.
«Congratulazioni» gli disse. «Era
ora».
«Ti
ringrazio» concesse Qui-Gon, mentre Obi-Wan
spostava gli occhi da un Maestro all’altro.
«Forse»
insinuò Taren, «dovrei
dire meglio tardi che mai».
«Oh»
si lasciò sfuggire Obi-Wan,
sorpreso, «è stato quello che ha detto la Maestra
Yula quando le ho spiegato che il Maestro Jinn mi ha preso come
Padawan».
Qui-Gon
sbatté le palpebre, e a Taren la notizia parve
piacere sin troppo. Si astenne dal commentare, però,
limitandosi a sorridere e a dire: «Ci vediamo presto, Maestro
Jinn. Padawan Kenobi» prima di scivolare via.
Una
volta solo con Obi-Wan, Qui-Gon aggrottò la fronte.
«Veramente la Maestra Yula ti ha detto
così?»
«Sì,
Maestro» rispose il bambino,
abbozzando un sorriso.
Qui-Gon
cedette e sorrise a sua volta, quindi digitò il
codice d’accesso ed entrò con Obi-Wan nel proprio
alloggio. Nel loro
alloggio, d’ora in avanti.
Siccome
il bambino conosceva già il posto, non ci fu bisogno
di fargli fare un giro, e Qui-Gon lo guidò direttamente in
quella che sarebbe stata la sua stanza.
Nei
lunghi anni in cui nessuno l’aveva utilizzata, la polvere
sembrava aver deciso di prenderne possesso. Si era depositata sul
letto, sulla scrivania, sul guardaroba, sugli scaffali… su
ogni superficie disponibile, in effetti.
«Lo
so» disse Qui-Gon, dirigendosi subito ad aprire
la finestra. «C’è un po’ di
polvere».
Obi-Wan
lo fissò. «Un po’»
enfatizzò, e il suo nuovo Maestro non riuscì a
trattenere un sorriso.
Non
credeva che sarebbe riuscito a sorridere di nuovo, in quella camera
da letto.
Nelle
ore che seguirono, si dedicarono alla pulizia della stanza.
Mentre strofinava la scrivania con uno straccio bagnato, Qui-Gon
notò una piccola bruciatura in un angolo.
Aggrottò la fronte e venne colpito da un ricordo: il suo
secondo allievo che scommetteva con un’amica sulla vicinanza
necessaria perché la lama di una spada laser danneggiasse la
superficie.
Si
riscosse, e fu rapido a rivolgersi ad Obi-Wan.
«Allora» disse, «vuoi che ti spieghi come
si svolgerà la cerimonia di domani?»
Il
bambino era impegnato a fare il letto con delle lenzuola pulite, ma
alla domanda si fermò e si girò verso
l’uomo. Era probabile che avesse già studiato
quella cerimonia di passaggio, ma ciononostante annuì
vigorosamente.
«Sì,
Maestro».
Era
abbastanza semplice, in realtà. Di fronte al Consiglio,
il Maestro doveva assumersi il compito di istruire e proteggere il
proprio allievo, mentre il Padawan doveva promettere di rispettare il
Maestro e seguire i suoi insegnamenti.
Dopodiché,
il mentore doveva comporre la treccia da
apprendista, i cui tre ciuffi simboleggiavano il Maestro, il Padawan e
la Forza.
«L’Ordine
Jedi» lo corresse Obi-Wan,
aggrottando la fronte. «Abbiamo studiato che il terzo ciuffo
rappresenta l’Ordine Jedi».
«Sì,
immagino esistano interpretazioni discordanti
in proposito» ammise Qui-Gon. «A parer mio,
rappresenta la Forza. In fondo, è più importante
che il cammino comune di Maestro e Padawan si sviluppi attorno al
volere della Forza, non a quello dell’Ordine».
Obi-Wan
sembrava un po’ confuso. «Ma non
è la stessa cosa, Maestro? Il volere dell’Ordine
coincide col volere della Forza».
«Così
dovrebbe essere» concesse Qui-Gon,
«ma non è sempre vero».
Corrucciato,
Obi-Wan si voltò verso il cuscino ed
iniziò ad infilarlo nella federa. Non sembrava molto
convinto, ma Qui-Gon decise di lasciar cadere l’argomento. In
futuro, ragionò, avrebbero avuto tutto il tempo di discutere
questi dettagli.
A
pulizie terminate, l’uomo si armò di forbici e
tagliò i capelli del suo nuovo apprendista, legando in un
codino il ciuffo più lungo che gli lasciò dietro
la nuca e stando attendo a lasciare intatte le ciocche accanto al suo
orecchio destro.
Obi-Wan
aveva dei capelli spessi e molto folti, e Qui-Gon si
meravigliò della voluminosità del mucchietto che
alla fine raccolse e buttò nella spazzatura.
«Se
li avessimo tenuti» considerò,
«avremmo potuto usarli per imbottire un cuscino».
Obi-Wan,
che si stava toccando cautamente la nuca, si fermò
e lo fissò. «Un cuscino piccolo» disse
infine. «Uno di quelli del divano».
Qui-Gon
sorrise e, siccome era ormai ora di cena, si recò a
controllare se aveva qualcosa da mangiare. Dal momento che Obi-Wan si
era appena trasferito da lui, infatti, gli sarebbe piaciuto cenare nel
loro alloggio e non dover scendere in mensa.
Alla
fin fine, riesumò l’occorrente per una zuppa
di verdura, alcune uova, qualche tozzo di pane congelato e un paio di
frutti. Poteva bastare, decise.
Durante
la cena, Obi-Wan gli rivolse un paio di domande su come sarebbe
cambiato il suo programma giornaliero, e Qui-Gon rispose senza problemi.
Nel
guardare il bambino che gli mangiava di fronte, fu colpito dal
ricordo della prima volta che si erano incontrati.
«Obi-Wan?»
Nella
fretta di inghiottire il proprio boccone per rispondere, il suo
nuovo apprendista rischiò di strangolarsi.
«Sì, Maestro?»
«Ricordi
la prima volta che ci siamo incontrati?»
domandò Qui-Gon, dopo avergli dato un momento per
riprendersi. «Hai detto che sapevi chi
ero…»
L’espressione
di Obi-Wan si fece improvvisamente guardinga.
«Sì, Maestro».
«Come
lo sapevi?»
Il
bambino indugiò un istante.
«Be’… Avevo sentito parlare di te. Il
Maestro Kun ti ha nominato, una volta, perché sei un Maestro
della forma Ataru…»
Generoso
da parte di Taren, pensò Qui-Gon.
«E
poi, ecco, giravano voci sul perché non volevi
un nuovo Padawan».
La
cosa non gli era nuova. Qui-Gon annuì. «Ma hai
anche avuto una visione su di me» osservò.
Obi-Wan
quasi si ritrasse. «Sì» ammise,
cauto, «anche se non avevo capito che eri tu. È
stato solo quando ci siamo visti… quando ho sentito la tua
presenza nella Forza… che ho capito che eri la persona che
avevo visto».
«Capisco»
disse Qui-Gon, ed indugiò un
momento.
Personalmente,
era restio a dar troppo peso a cose come visioni e
premonizioni… ma voleva mostrare ad Obi-Wan che lo stava
prendendo sul serio, così che il bambino sentisse di potersi
confidare con lui anche in futuro.
«Hai
detto che cambierò una vita»
ricordò.
Da
teso com’era, il bambino parve rilassarsi appena.
«Esatto, Maestro».
«La
vita di chi?»
Obi-Wan
scrollò le spalle con una piccola smorfia, forse
segno che la sua spalla destra non era ancora guarita del tutto.
«Non lo so» rispose, poi parve pensarci su e
sorrise con aria deliziata. «Forse la mia».
«Forse»
concesse Qui-Gon, sorridendo di rimando.
«Spero solo di cambiarla in meglio».
«Sarà
così di sicuro»
affermò Obi-Wan, con tutta la fiducia e la lealtà
di un bambino di otto anni.
Se
non fossero stati due Jedi, Qui-Gon si sarebbe alzato ed avrebbe
aggirato il tavolo per andare ad abbracciarlo.
Dopo
cena, rimasero seduti ancora per qualche ora, conversando. A lungo
andare, Obi-Wan cominciò a sfregarsi gli occhi e nascondere
degli sbadigli dietro una mano… Finché,
riportando lo sguardo su di lui, Qui-Gon non lo trovò
addormentato con la testa sul tavolo.
Lo
osservò in silenzio per qualche istante. Pensò
di svegliarlo ed invitarlo ad andare a dormire, ma era probabile che
Obi-Wan sarebbe stato fulminato dall’orrore, nel rendersi
conto di essere crollato mentre parlava col suo Maestro, e non avrebbe
più finito di scusarsi.
Così,
dopo aver riflettuto per qualche momento, Qui-Gon
sollevò il bambino tra le proprie braccia, facendogli posare
il mento sulla propria spalla e dirigendosi lentamente verso la sua
camera.
Obi-Wan
dormiva profondamente, i respiri lenti e regolari, appena un
po’ rumorosi.
Senza
svegliarsi, passò le braccia attorno al collo
dell’uomo, e Qui-Gon si bloccò nel mezzo del
corridoio.
Il
bambino si stava stringendo a lui come ad un cuscino o ad un
pupazzo, ma… ma non era spiacevole.
Qui-Gon
scosse impercettibilmente la testa e riprese a camminare,
raggiungendo la stanza di Obi-Wan ed andando depositarlo sul letto.
Impiegò
qualche istante per fargli lasciare la presa, poi lo
mise sdraiato e gli tolse gli stivali. Lo lasciò vestito,
perché temeva di non essere in grado di mettergli il
completo da notte senza svegliarlo, ma tentò comunque di
infilarlo sotto le coperte.
Durante
l’operazione, Obi-Wan si rigirò
più volte, emise sospiri sonnolenti e quasi diede un pugno
in faccia al Maestro Jedi.
Qui-Gon
era quasi colpito. Il bambino non si era certo mosso
così tanto, mentre dormiva sul sofà dei Larr per
recuperare le forze.
Alla
fine, comunque, lui riuscì ad imboccargli le coperte in
modo soddisfacente, ed uscì dalla stanza cercando di fare
meno rumore possibile.
Era
incredibile, si disse una parte della sua testa, quanto tutta
quella procedura gli fosse sembrata naturale.
Ripensò
alla loro conversazione durante la cena. Non sapeva
se la visione del bambino si sarebbe mai avverata. Non sapeva se
avrebbe cambiato la vita di Obi-Wan o quella di qualcun altro, ma alla
luce degli ultimi eventi una cosa era certa: il bambino stava
già cambiando la sua, in meglio.
Note:
Prima di tutto, chiedo scusa per aver rimandato
l’aggiornamento. Tecnicamente avevo già scritto il
nuovo capitolo, ma non mi convinceva per niente (probabilmente dovrei
chiedere perdono a Dragasi
per tutti i miei piagnucolii su quanto non
mi piaceva la prima versione di questo capitolo).
Questa versione è nuova e, spero, migliore. Cioè,
ho dei dubbi anche su questa, ma sono meno atroci.
Che altro? Ah, la storia è conclusa, ma va anche detto che
è stata concepita come la prima di una serie di long su
Obi-Wan e Qui-Gon (e sui Nuovi Personaggi introdotti qui), e
spero di iniziare presto a lavorare sul seguito.
In conclusione, ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito, e
chi ha aggiunto questa fanfiction tra le preferite, le seguite, e/o le
ricordate. Grazie mille, davvero!
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