Sul confine

di 9Pepe4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Approccio inusuale ***
Capitolo 2: *** Yoda e i piccoli ***
Capitolo 3: *** Quattro chiacchiere ***
Capitolo 4: *** Distacco ***
Capitolo 5: *** Problemi di meditazione ***
Capitolo 6: *** Consulenze ***
Capitolo 7: *** Livello di coinvolgimento ***
Capitolo 8: *** Amicizia ***
Capitolo 9: *** Ritrattazioni ***
Capitolo 10: *** Il ritorno di Qui-Gon ***
Capitolo 11: *** Piccoli passi ***
Capitolo 12: *** Imprevisti ***
Capitolo 13: *** Un nuovo incarico ***
Capitolo 14: *** Nihilo ***
Capitolo 15: *** Un indiziato ***
Capitolo 16: *** I ladri ***
Capitolo 17: *** Rivelazioni ***
Capitolo 18: *** Oltre il confine ***



Capitolo 1
*** Approccio inusuale ***


IRIDESCENTE

LIBRO I

Sul confine

Capitolo 01 – Approccio inusuale

Il refettorio del Tempio Jedi era una sala molto ampia.
Il pavimento era rivestito di piastrelle grigie venate d’azzurro, e il soffitto era sostenuto da alcuni pilastri cinerini. Da una parte della mensa, erano allineate alcune lunghe tavolate, mentre dall’altra si trovavano dei tavolini più piccoli.
In un angolo della sala, Qui-Gon Jinn sedeva ad uno di questi. Era un uomo dal fisico alto ed energico, con lunghi capelli castani ed una corta barba. Nonostante la posizione appartata, non era riuscito a passare del tutto inosservato.
Era mezzodì: nel salone erano presenti molti Iniziati, ed alcuni di loro gli lanciavano occhiate sfuggenti, quasi intimidite.
L’uomo non si meravigliò affatto di quel fare timoroso. Taren Kun – un suo amico di vecchia data che lavorava coi più piccoli – gli aveva detto che, tra gli Iniziati, lui era diventato famoso come il Maestro che non vuole un altro Padawan.
Qui-Gon non se ne faceva un cruccio. In fin dei conti, era una fama che corrispondeva alla realtà: erano ormai tre anni che lavorava da solo, fermandosi al Tempio soltanto quando era strettamente necessario, e riusciva a portare a termine i suoi incarichi senza problemi di sorta.
Era rientrato dall’ultima missione proprio quella mattina, un po’ stanco e con una gamba malandata.
Aveva fatto rapporto al Consiglio, aveva fissato un appuntamento con Von Le – uno dei Guaritori più efficienti del Tempio – ed era sceso in refettorio.
Distese la gamba dolorante sotto il tavolino e si guardò attorno, spinto dall’abitudine di controllare ciò che lo circondava… Così facendo, incrociò lo sguardo di uno degli Iniziati.
Era un bambino umano, che ad occhio e croce poteva avere sui sei, sette anni. Era piuttosto minuto, con una zazzera disordinata di capelli di un castano chiaro, rossiccio, e due occhi limpidi.
A differenza degli altri Iniziati, non sembrava intimidito dallo sguardo penetrante del Maestro Jedi, ma lo ricambiava con aperta curiosità.
Qui-Gon assottigliò appena gli occhi. Aveva già notato quel bambino quand’era entrato, pur non avendoci fatto particolarmente caso.
Il piccolo, infatti, era seduto ad uno dei tavoli più lunghi, ma invece di essere in compagnia di un gruppo di coetanei era completamente solo.
Eppure, a giudicare da come ricambiava senza alcun timore lo sguardo di Qui-Gon, non doveva essere particolarmente timido.
Prima che l’uomo potesse decidere di rompere quel contatto visivo, il bambino aggrottò la fronte e girò la testa verso l’ingresso del refettorio.
Dal proprio posto, Qui-Gon seguì automaticamente il suo sguardo, e vide entrare una giovane umanoide.
Il volto senza naso, la bocca priva di labbra, la pelle verde pallido… L’uomo riconobbe la Duros che stava apprendendo le arti curative sotto la guida di Von Le.
Quando la giovane si fermò per guardarsi attorno, l’Iniziato dai capelli rossicci fissò insistentemente da tutt’altra parte, una mano sull’avambraccio sinistro.
Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio, mentre la Duros si diresse verso di lui.
L’uomo notò che, non appena l’apprendista Guaritrice lo ebbe sorpassato, l’Iniziato iniziò a tenerla d’occhio con aria guardinga… Poi la giovane si fermò di fronte al tavolo del Maestro Jedi, e Qui-Gon spostò la propria attenzione su di lei.
«Maestro Jinn?» chiese la Duros, con un accento cadenzato che rendeva il suo Basic quasi musicale. «Il Guaritore Von Le ha chiesto se è possibile anticipare la visita di oggi pomeriggio».
Qui-Gon non ebbe bisogno di riflettere: l’unica cosa che aveva in programma era andare a chiedere un nuovo incarico al Consiglio. E prima la sua gamba veniva visitata e guarita, prima lui avrebbe potuto lasciare il Tempio, tornando sul campo.
«Quando devo passare?»
«Appena avrete finito di mangiare, se non è un problema».
Qui-Gon le rivolse un breve cenno del capo. «Nessun problema».
La giovane gli indirizzò un inchino, quindi si voltò per andarsene.
Quando passò accanto all’Iniziato, il bambino distolse lo sguardo, e la sua mano tornò a sfiorare il suo avambraccio sinistro.
Qui-Gon tentò di non dar peso alla cosa. Non erano affari suoi.
A quel punto, però, si sentiva pressoché certo che il bambino si fosse fatto male e volesse evitare una visita nelle Sale dei Guaritori.
Lo sguardo dell’uomo indugiò sui Maestri che sorvegliavano gli Iniziati, e lui contemplò l’idea di informare uno di loro.
Alla fine, però, sollevò tra le mani il proprio vassoio, si alzò in piedi e si diresse verso il bambino seduto in disparte.
Nel frattempo, l’Iniziato aveva ripreso a mangiare – o, per meglio dire, a giocherellare col proprio cibo. Quando alzò la testa e si trovò di fronte un Maestro Jedi, i suoi occhi chiari si spalancarono, e la forchetta gli sfuggì di mano, atterrando sul piatto con un tintinnio.
Qui-Gon accennò col mento alla sedia davanti alla sua. «Posso sedermi?»
Il bambino sbatté le palpebre, poi si affrettò a rispondere: «Sì, Maestro».
Sembrava sconcertato, e l’uomo non poteva biasimarlo. Non capitava di frequente, che un Maestro Jedi decidesse di sedersi al tavolo di un Iniziato.
Allontanando quelle considerazioni, Qui-Gon appoggiò il proprio vassoio e prese posto con un movimento fluido.
A quel punto, il bambino non dedicò più la minima attenzione al proprio pranzo. Guardava il Maestro Jedi e, pur non riuscendo a nascondere né la propria fascinazione né la propria curiosità, tentava disperatamente di non sembrare troppo sfacciato, col risultato di un’espressione impagabile.
«Sono il Maestro Jedi Qui-Gon Jinn» esordì l’uomo.
L’Iniziato annuì automaticamente. «Lo so».
A quella risposta, Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio. «Davvero?»
Il bambino fece nuovamente cenno di sì. «Sei un Maestro della forma Ataru e…» Si interruppe, come temendo di aver detto troppo.
«E…?» indagò l’uomo.
Immaginava a quale domanda sarebbero arrivati: come mai lui rifiutava di prendere un nuovo Padawan?
Era inevitabile che si cadesse su quell’argomento. Il suo interlocutore sembrava avere l’età giusta per iniziare a chiedersi quando avrebbe avuto un mentore tutto per sé.
«E cambierai una vita, penso» rispose invece il bambino, titubante.
Interdetto, Qui-Gon si domandò se quella fosse una maniera alquanto originale, da parte dell’Iniziato, di chiedergli di prenderlo come apprendista. «In che modo?»
La domanda, però, non ottenne la reazione che si era aspettato.
L’Iniziato, infatti, aggrottò la fronte con aria insicura e rispose: «Non… non lo so». Gli gettò un’occhiata furtiva, come per accertarsi di avere la sua attenzione. «È come… come se ci fossero due porte, adesso. E solo tu puoi decidere quale aprire».
Accigliandosi di fronte alla piega inaspettata presa dalla conversazione, Qui-Gon non poté fare a meno di pensare che quel bambino doveva aver ricevuto troppe lezioni dal Maestro Yoda. Chi altri parlava per metafore ed enigmi?
Dal canto suo, Qui-Gon aveva sempre preferito la concretezza agli indovinelli. «Non è ciò che accade sempre, forse?» osservò, cercando di condurre il discorso su un piano più ragionevole. «Ci vengono poste davanti delle scelte… e noi possiamo optare per l’una o per l’altra».
L’Iniziato si mosse sulla sedia, e l’uomo percepì una strana frustrazione. «Sì, ma… non sempre la sensazione è così definita».
Qui-Gon lo scrutò, e decise di non insistere. «Suppongo».
Ci fu un istante di silenzio.
«Qual è il tuo nome?» chiese quindi Qui-Gon, ricordando a se stesso perché era lì.
Il bambino trasalì lievemente, e la sua vergogna per aver dimenticato di presentarsi si propagò ad ondate attraverso la Forza.
«Obi-Wan Kenobi» si affrettò a rispondere, con voce un po’ flebile.
«Obi-Wan Kenobi» ripeté Qui-Gon, piano. Per qualche ragione, quel nome gli sembrava familiare, ma era una sensazione così vaga che decise di lasciar perdere. «Ti sei fatto male al braccio, Obi-Wan?»
Il bambino si portò istintivamente una mano all’avambraccio destro. «Non è niente» rispose, sulla difensiva.
Qui-Gon tese una mano verso di lui. «Fa’ vedere e lascia che sia io a giudicare» disse, in un tono che non ammetteva repliche.
Per quanto riluttante, allora, Obi-Wan si alzò una manica della tunica chiara, arrotolandola all’altezza del gomito.
Dopo un istante, Qui-Gon prese l’avambraccio del bambino tra le mani – la pelle era calda e liscia, di una morbidezza infantile – e lo girò appena, in maniera da poter esaminare al meglio il danno. Era una bruciatura, della lunghezza del suo indice, e tutto sommato sembrava abbastanza superficiale.
Non appena Qui-Gon gli lasciò il braccio, Obi-Wan si rimise a posto la manica, per poi guardare di sottecchi il Maestro Jedi, in attesa del verdetto.
«Hai ragione» disse alla fine l’uomo, «non sembra grave. Ma dovresti comunque farla vedere da un Guaritore».
Il bambino si morse il labbro inferiore e Qui-Gon gli indirizzò un’occhiata penetrante. «Non vuoi farla vedere da un Guaritore, Iniziato Kenobi?»
Obi-Wan esitò. «Io… non posso» rispose poi. «Non adesso. Oggi pomeriggio ho lezione col Maestro Yoda. Non voglio perdermela».
Detto ciò, abbassò gli occhi.
Qui-Gon ripensò all’affermazione del bambino sulle due porte e si disse che, probabilmente, trascorrere del tempo lontano dal Gran Maestro non gli avrebbe fatto male.
L’Iniziato, dal canto suo, continuava a fissare il proprio piatto.
Qui-Gon lo osservò discretamente, riflettendo sul da farsi. Dopotutto, il bambino gli era parso sincero, e la bruciatura sembrava trascurabile… Era davvero il caso di avvertire un altro Maestro?
«Molto bene».
Gli occhi grigio-azzurri di Obi-Wan si alzarono immediatamente su di lui.
«Va’ pure alla lezione del Maestro Yoda, ma poi fatti vedere da un Guaritore. Intesi, Iniziato Kenobi?»
Il bambino si raddrizzò, chiaramente sollevato. «Intensi, Maestro Jinn» disse, obbediente.
L’uomo gli rivolse un cenno del capo, quindi si alzò in piedi.
Non si guardò indietro, mentre cedeva il proprio vassoio ad uno dei droidi che facevano avanti e indietro per la sala, né si voltò prima di uscire dalla mensa.
Ciononostante, avvertì gli occhi del bambino su di sé per tutto il tempo.

Qui-Gon non poteva dire che l’Ala dei Guaritori fosse una delle sue zone preferite del Tempio.
Per un Jedi come lui, così legato alla Forza Vivente, l’ambiente bianco e asettico di quei corridoi era alquanto desolante.
Se non altro, le stanze dove veniva ricoverato chi ne aveva bisogno erano più accoglienti.
Qui-Gon sostò alla piccola reception situata appena dopo la porta. Dietro il bancone, si trovava un Guaritore incaricato di rispondere alle comunicazioni d’emergenza e di indirizzare chi arrivava nella giusta direzione.
«Salve, Maestro Jinn. Il Guaritore Von Le vi aspetta nella seconda stanza a destra».
Senza batter ciglio, l’uomo si diresse dove indicato.
Von Le lo accolse con la silenziosa cortesia di un inchino. Era un Vultan: somigliava ad un Umano, ma la sua pelle era olivastra, e la sua testa era sormontata da alcune creste cartilaginee.
Abituato all’indole pratica del Guaritore, Qui-Gon non si meravigliò quando l’altro, senza perdere tempo in chiacchiere, lo fece sedere su un lettino.
Il Maestro Jedi gli mostrò la propria ferita, ed il Vultan la pulì e vi applicò un po’ di bacta.
«Dovrebbe bastare» disse poi, «ma vorrei che tu rimanessi qui per qualche momento. Occorre un bendaggio provvisorio per tenere il bacta al suo posto».
Qui-Gon annuì, e l’altro gli scoccò un’occhiata.
«Niente proteste?» commentò, mentre iniziava ad armeggiare con la fasciatura. «È un sollievo. Suppongo di essermi fin troppo abituato a trattare con gli Iniziati».
Quell’osservazione fece venire in mente a Qui-Gon una certa bruciatura…
«Iniziati?» domandò. «Conosci Obi-Wan Kenobi, per caso?»
Von Le inarcò un sopracciglio. «Se lo conosco?» Per un istante, parve riportare alla mente qualcosa. «Umano. Sette anni standard. Nato sul pianeta Stewjon. Capita qui molte volte».
Qui-Gon lo guardò. «Veramente?»
Il Guaritore annuì senza fare una piega. «Vedo più spesso lui della mia apprendista» rispose. «Ma mentre lei apprezza essere qui, all’Iniziato Kenobi non piace per niente».
A quelle parole, Qui-Gon si accigliò appena. Iniziava a domandarsi se aveva fatto bene, a non dire nulla della bruciatura…
Se al bambino non piacevano le Sale dei Guaritori… era possibile che avesse mentito sulla gravità della ferita?
Forse la bruciatura gli faceva male.
«Come mai capita qui tanto spesso?» si trovò a domandare Qui-Gon.
Von Le aveva un’espressione indifferente. «Intraprendenza, immagino… Così come stanno le cose, spero solo che con l’età impari ad essere più prudente».
Qui-Gon annuì senza dir nulla.
Forse, quella sera, avrebbe fatto meglio a contattare il Guaritore per chiedere se Obi-Wan Kenobi si era presentato da lui.
Von Le gli diede un’ultima controllata alla gamba. «Credo che così possa bastare» dichiarò. «Sei libero di andare. Nel caso dovesse darti ancora fastidio, fammelo sapere».
«Certamente» rispose l’uomo, scendendo dal lettino.
Dopo essersi congedato dal Vultan, uscì a passo spedito dall’Ala dei Guaritori.
Sentiva di aver bisogno di meditare.


















Note agghiacciantemente lunghe:
Questa storia si attiene al G-Canon. In altre parole, è basata essenzialmente sulle informazioni date dai film…
Anche se per lo più ignora l’EU, da esso ho preso alcuni spunti. Ad esempio, Qui-Gon non vuole un nuovo apprendista come nella serie Jedi Apprentice di Dave Wolverton e Jude Watson (anche se, come si vedrà, il motivo è un po’ diverso).
Per il pianeta natale di Obi-Wan Kenobi, si ringrazia George Lucas che – in un’intervista con Jon Stewart – ha dichiarato: “He comes from the planet Stewjon” (:D).
Sempre lo zio George, nel commento audio de “La minaccia fantasma”, afferma che i bambini vengono addestrati da Yoda sino ai sette/otto anni, per poi divenire Padawan di un Jedi.
Per finire, spero di non aver fatto idiozie con la caratterizzazione dei personaggi, e ringrazio Sylvia Naberrie per l’incoraggiamento.
Se tutto va bene, il nuovo capitolo dovrebbe arrivare martedì prossimo, il 17 settembre.

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Capitolo 2
*** Yoda e i piccoli ***


Capitolo 02 – Yoda e i piccoli

Le zone verdi, a Coruscant, erano più uniche che rare.
Il Tempio Jedi, per fortuna, poteva vantare dei superbi giardini.
Situati all’interno del possente edificio, erano scaldati e nutriti da una luce artificiale, e ospitavano una gran varietà di piante, nonché alcuni corsi d’acqua che confluivano in un lago dalle acque cristalline.
La loro atmosfera di pace – e, perché no, la loro bellezza – li rendeva uno dei luoghi più frequentati del Tempio.
Trascorrervi ore intere, dunque, non era solo prerogativa degli Iniziati e dei Padawan più giovani; anche i Cavalieri ed i Maestri più esperti vi sostavano a lungo per rilassarsi e meditare.
Qui-Gon non faceva eccezione, anche perché la presenza di vegetali e piccoli animaletti era un toccasana per chi desiderava immergersi nella Forza Vivente.
Quel giorno, l’uomo andò a sedersi a gambe incrociate sull’erba verde, rilassando le spalle e chiudendo gli occhi.
Non molto tempo dopo, però, una voce interruppe la sua meditazione.
«Maestro Qui-Gon. Un piacere vederti è».
Il Jedi sospirò leggermente. «Maestro Yoda» replicò, prima di aprire gli occhi.
Davanti a lui, si trovava un piccolo troll verde, con mani nodose appoggiate pesantemente ad un bastone sottile.
«Se non sbaglio, ti ho visto qualche ora fa, quando ho fatto rapporto al Consiglio sulla mia ultima missione».
Il Maestro Yoda ignorò le sue parole. «Da tempo, qui non ti fermavi. Qualcosa su cui meditare, tu hai?»
L’uomo non batté ciglio. «C’è sempre qualcosa su cui meditare, Maestro».
Il suo interlocutore era tra chi più insisteva che lui prendesse un nuovo allievo, così Qui-Gon ritenne più opportuno non dirgli nulla del suo incontro con Obi-Wan Kenobi.
Quasi certamente, il vecchio Maestro lo avrebbe rivestito di un significato che non aveva.
«Mmm» rimuginò Yoda, tenendo gli occhi puntati sull’uomo.
Quello sguardo, così penetrante, riusciva a farlo apparire intimidatorio a dispetto della statura ridotta, ma Qui-Gon non mosse un muscolo sotto il suo esame.
«Bisogno di una pausa, tu hai» sentenziò Yoda, alla fine.
L’uomo si accigliò lievemente. Era nelle sue intenzioni, infatti, chiedere che il Consiglio gli affidasse al più presto un nuovo incarico. «Con tutto il rispetto, mio Maestro, non sono dell’opinione che…»
«Una proposta, la mia non era» lo interruppe Yoda. «Un ordine, più propriamente lo chiamerei».
Qui-Gon inarcò un sopracciglio. «E cosa desideri che faccia?»
«Lezione coi piccoli Iniziati del Clan del Dragone, oggi ho» rispose Yoda. «Che tu venga con me, io desidero».
L’uomo pensò che avrebbe dovuto aspettarselo. «Non sono qui per scegliere un Padawan, Maestro. Dovresti saperlo».
«Parlato di un Padawan, nessuno ha» replicò prontamente Yoda. «Solo la tua presenza, io richiedo».
Qui-Gon cercò di declinare l’invito. «Col dovuto rispetto, mio Maestro, penso che farei meglio a…»
Fulmineamente, Yoda lo colpì alla gamba col proprio bastone. «A seguirmi, faresti meglio! Per cominciare, la lezione sta».
Qui-Gon sospirò, alzandosi in piedi, e così facendo si trovò a torreggiare sul piccolo Maestro.
Stancamente, pensò al Clan del Dragone. Per rendere più facile l’organizzazione delle lezioni, gli Iniziati del Tempio erano divisi in clan, ognuno dei quali richiedeva – almeno ufficialmente – una dote particolare.
Se non errava, quella del Clan del Dragone era la costanza.
Per un istante, Qui-Gon pensò di opporsi nuovamente. Dopotutto, lui non si era mai posto troppi problemi, quando si trattava di andare contro le disposizioni di Yoda o del Consiglio.
Tuttavia, doveva ammettere che le ragioni di rifiutare non erano troppe…
«Da questa parte, vieni» disse Yoda, iniziando ad arrancare verso l’uscita dei giardini.
E, per quanto riluttante, Qui-Gon lo seguì.

La saletta d’allenamento era un’ampia stanza dai muri rosso-oro.
Quando Qui-Gon ed il Maestro Yoda fecero il loro ingresso, i bambini erano già arrivati.
Si trattava di un gruppetto piuttosto omogeneo: tra loro si potevano scorgere Mon Calamari, Twi’lek, Togruta, Umani e tante altre razze, certo, ma sembravano avere tutti sui sei, sette anni… ed ognuno di loro indossava l’uniforme dei Jedi.
«Buongiorno, Maestro Yoda!»
Dopo quel saluto corale, molti occhi curiosi si soffermarono su Qui-Gon.
Quest’ultimo sostò accanto a Yoda ed incrociò le braccia sul petto, mentre il suo sguardo scorreva sui bambini… e trovava un visetto familiare.
Obi-Wan Kenobi lo occhieggiò con espressione incerta… forse, temeva che Qui-Gon si trovasse lì perché aveva detto a Yoda della bruciatura… Un momento dopo, però, i suoi dubbi parvero svanire, e l’Iniziato sorrise all’uomo.
Qui-Gon distolse gli occhi, mentre la voce di Obi-Wan sembrava riecheggiargli nelle orecchie. E cambierai una vita, penso.
Lui cercò di scacciarla.
Il futuro era difficile da decifrare anche per i Maestri più esperti… Era assurdo, pensare all’affermazione di un Iniziato come ad una profezia.
La voce di Yoda lo riscosse: «Questo, il Maestro Qui-Gon Jinn è. Per molti anni, lontano dal Tempio è stato… Bisogno di abituarsi nuovamente ad una vita calma, lui ha».
Un paio di risolini infantili accolsero l’ultima frase di Yoda, e lui sorrise soddisfatto prima di battere il bastone contro il pavimento.
«Lungo la stanza, disponetevi» disse. «Le vostre spade laser accedente. Imparare a difendervi coi remoti d’allenamento, dovete».
Qui-Gon osservò i visetti che ascoltavano le ulteriori istruzioni di Yoda con la massima concentrazione, e cercò di non soffermarsi su quello di Obi-Wan.
Gli occhi chiari del bambino lo guardarono per un attimo, poi tornarono al Maestro Yoda, che aveva appena finito di parlare.
A quel punto, gli Iniziati si disposero lungo la stanza in modo ordinato, quasi senza fiatare.
«Cominciare, potete».
Quasi in sincrono, i piccoli accesero le spade laser da allenamento che tenevano tra le mani.
In un angolo della stanza, alcuni oggetti sferici giacevano sul pavimento… Non appena le lame verdi e azzurre vennero alla luce, essi si sollevarono, andando a fluttuare davanti agli Iniziati.
Ben presto, l’aria fu piena del ronzio delle spade laser.
Yoda camminava lentamente tra i ragazzini. Esaminava le loro mosse e offriva qualche suggerimento, correggendo gli sbagli senza severità.
Qui-Gon rimase in disparte, ma i suoi occhi attenti passavano da un Iniziato all’altro.
Dopo un po’, si scoprì a guardare a più riprese verso Obi-Wan… Sembrava che il bambino non avesse problemi con la propria bruciatura.
Poi parve sentirsi osservato, e il suo sguardo cercò il volto del Maestro Jedi.
Per un momento, i loro occhi si incrociarono di nuovo.
Qui-Gon fu rapido a girarsi altrove, ed Obi-Wan dovette riportare la sua attenzione al remoto che gli ondeggiava davanti.
Eppure, anche se si trovava in una stanza colma di emozioni infantili, l’uomo percepì distintamente il disappunto di Obi-Wan per la sua mossa.
Quando la lezione giunse al suo termine, i piccoli disattivarono le loro spade laser.
«Finita, la lezione è» disse Yoda, in tono quasi indulgente. «Andare potete».
In una fila ordinata, ma pervasa da un certo brusio, gli Iniziati arrancarono verso l’uscita. Prima di unirsi al gruppo, Obi-Wan guardò verso Qui-Gon.
Dal canto suo, poco dopo, l’uomo si ritrovò a seguire con gli occhi una testolina rossiccia.
Si riscosse non appena Yoda si avvicinò, e portò la propria attenzione sul membro più importante del Consiglio.
«Una lezione considerevole» commentò, visto che non gli veniva in mente altro.
«Talentuosi sono» concordò Yoda, prima di riservargli un’occhiata penetrante. «Di un Maestro, avranno bisogno entro breve».
Quell’allusione molto poco velata infastidì Qui-Gon. L’uomo, però, fu rapido a rilasciare quell’emozione nella Forza, e parlò in tono cortese. «Sono certo che, vedendoli combattere, non molti esiteranno prima di sceglierli come Padawan».
Ci fu un istante di silenzio.
«Uno dei giovani Iniziati, notato tu hai, mmm?» s’informò Yoda, sagacemente.
Qui-Gon mantenne un’espressione neutra. «Sembrano piuttosto promettenti».
«Una risposta, questa non è!» lo ammonì il piccolo Maestro, per poi assottigliare lo sguardo. «Evasivo sei diventato, Maestro Qui-Gon».
«Può darsi» concesse l’uomo. «E imparare da me un comportamento simile non beneficerebbe certo alcun Iniziato».
«Umph!» sbuffò Yoda, allungando il proprio bastone per punzecchiare la gamba di Qui-Gon. «Ostinato come un bambino, sei divenuto!»
L’uomo si spostò. «Sì» rispose, lentamente, «e vorrei utilizzare questa ostinazione ad uno scopo utile, come ad una nuova missione…»
«La mia risposta, tu già hai» sbottò Yoda, tornando a spingere la punta del bastone contro gli stinchi dell’uomo. «Ora vai, vai… La tua irragionevolezza, mal di testa mi sta facendo venire!»
Qui-Gon accennò un inchino. «Mio Maestro…»
Anziché rispondere, il troll abbatté di nuovo – senza pietà – il bastone sulle sue gambe, e l’uomo scivolò via senza attendere oltre.

C’era un tempo in cui, all’interno del suo alloggio, Qui-Gon si sentiva davvero a casa.
Nei periodi di riposo dalle missioni, soleva occuparsi personalmente della pulizia delle stanze, occupazione che trovava piacevole e familiare.
La finestra dell’area comune – un misto di cucina e salotto – era quasi sempre aperta, e i raggi di sole bastavano ad illuminare l’ambiente.
Un tempo, tutto appariva così accogliente… Il comodo divano, il modesto tavolo e le quattro sedie che lo circondavano…
Ora come ora, quando si trovava nel suo alloggio, a Qui-Gon sembrava che tutto ruotasse attorno ad un unico dettaglio: la porta chiusa di una delle due camere da letto.
Quella era stata la stanza dei suoi apprendisti, e l’uomo non vi metteva piede da anni, ormai.
Sospettava che il letto e la scrivania al suo interno fossero ormai coperti da un velo di polvere, ma non se ne curava. Dopotutto, quella camera non avrebbe accolto più nessuno.
Con un sospiro, l’uomo entrò nella propria stanza. Ai piedi del letto, giaceva ancora la sua sacca da viaggio.
Il Maestro Jedi andò a recuperarla, così da sistemare al loro posto gli effetti personali che conteneva.
Aveva appena concluso di riordinare, quando udì il trillo che annunciava un visitatore.
Il primo pensiero di Qui-Gon fu che si trattasse il Maestro Yoda, ma non avvertiva la presenza – saggia, forte e tutto sommato inconfondibile – del vecchio troll.
Aggrottando la fronte, andò ad aprire.
La porta scivolò di lato con un sibilo, rivelando l’identità del suo visitatore.
Un ragazzino dagli arruffati capelli ramati, con due occhi grigio-verde-azzurro.
Obi-Wan Kenobi.
L’uomo trattenne un sospiro. «Sì?» chiese.
La sua voce era un po’ stanca, ma il suo sguardo era attento e penetrante come sempre.
L’Iniziato si esibì in un inchino rispettoso. «Maestro Jinn» disse, risollevando su di lui due occhi colmi d’aspettativa, «il Maestro Yoda mi manda a chiederti se hai bisogno di qualcosa».
Qui-Gon grugnì interiormente. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Ovviamente, il vecchio troll era riuscito a capire qual era l’Iniziato che aveva catturato la sua attenzione. Come ci fosse riuscito, poi, restava un mistero…
«Riferiscigli che sono a posto così, grazie».
Obi-Wan annuì. «Vuole anche invitarti ad assistere alla sua prossima lezione» accennò, ma Qui-Gon lo fermò prima che potesse dargli altri dettagli.
«Un’offerta generosa, ma la declino».
Cercò di parlare in tono gentile. Visita gradita o meno, l’Iniziato Kenobi non aveva colpa.
Obi-Wan si sforzò di restare impassibile, ma Qui-Gon colse con nitidezza la delusione che serpeggiò sul suo viso infantile.
Per un istante, provò quasi l’impulso di ritrattare la propria risposta.
Si controllò. Era assurdo; soddisfare i desideri di un bambino di sette anni non l’avrebbe portato da nessuna parte. Al limite, avrebbe potuto solo alimentare certe speranze… Speranze che era meglio stroncare sul nascere.
«Glielo riferirò» disse Obi-Wan.
Qui-Gon annuì. «Molto bene».
Ci fu un momento di silenzio, e l’uomo abbassò lo sguardo sul bambino.
Era la prima volta che si trovavano l’uno di fronte all’altro a distanza così ravvicinata, e il Maestro Jedi torreggiava sul minuto Iniziato.
Il ragazzino s’inchinò nuovamente, e i capelli gli ricaddero sulla fronte. «Buona giornata, Maestro Jinn» salutò poi, raddrizzandosi. «Che la Forza sia con te».
«Che la Forza sia con te» replicò l’uomo.
Il bambino fece per voltarsi, ma la voce di Qui-Gon lo fermò: «Iniziato Kenobi?»
Obi-Wan si bloccò immediatamente. «Sì, Maestro Jinn?» domandò, tornando ad alzare i suoi occhi sull’uomo.
Aveva di nuovo quello sguardo pieno di aspettativa.
Qui-Gon cercò di ignorarlo. «Sei stato dai Guaritori, come ti avevo raccomandato?» s’informò.
Il senso di colpa che s’irradiò attraverso la Forza fu una risposta più che sufficiente. «Non ancora» ammise il bambino.
«Allora faresti meglio ad andarci, adesso» replicò Qui-Gon. «E con adesso, Iniziato Kenobi, intendo subito».
Obi-Wan si affrettò ad annuire. «Certo, Maestro Jinn».
Dopo l’ennesimo, concentrato inchino, il ragazzino diede un’ultima occhiata all’uomo ed iniziò ad allontanarsi di buon passo.
Qui-Gon lo seguì con lo sguardo, constatando che adesso, effettivamente, Obi-Wan Kenobi stava andando nella direzione dell’Ala dei Guaritori.
Rientrò nel proprio alloggio, ed impiegò qualche istante, prima di identificare il vago malessere che si era impossessato di lui.
Le emozioni del bambino. Era dovuto alle emozioni del bambino.
In modo più specifico, a ciò che Obi-Wan aveva provato quando lui, Qui-Gon, lo aveva chiamato col suo cognome.
In quel momento, il bambino si era sentito felice, e piacevolmente sorpreso che l’uomo ricordasse come si chiamava.
Qui-Gon si avvicinò al divano e si lasciò cadere su di esso. «Perfetto» sospirò.
Col pensiero, ripercorse i suoi due incontri con Obi-Wan Kenobi, in mensa e nella sala di allenamento.
In fin dei conti, non aveva fatto niente per avvicinarsi all’Iniziato…
Certo, lo corresse pungente la sua testa, a parte andare a sedersi al suo tavolo e fare una bella chiacchierata con lui.
Qui-Gon si rialzò di colpo.
Aveva bisogno di sgranchirsi un po’ le gambe, così iniziò a percorrere a grandi passi il perimetro della stanza.
Quella sera si premurò di andare a cena ad un’ora molto tarda, per essere sicuro di non incontrare un certo Iniziato dai capelli rossicci, e il pomeriggio seguente decise di visitare un vecchio amico.






















Note:
Una lezione di Iniziati era d’obbligo, visto e considerato quanto vado in visibilio davanti alla scena di AOTC dove viene mostrato Yoda che insegna ai piccoli.
A proposito di Yoda, spero di non averlo caratterizzato troppo male… Dato che ho visto di recente TESB, penso mi abbiano ispirato soprattutto le scene di quel film.
La faccenda dei Clan degli Iniziati è contemplata nel libro The Jedi Path di Daniel Wallace.
Da quanto mi risulta, non si sa quale sia stato il clan di Obi-Wan. Ho optato per quello del Dragone in luce del fatto che i suoi membri siano costanti (dato che, in quanto a testardaggine, Obi-Wan non scherza).
Ah, la scorsa volta mi sono dimenticata di dirlo… ma il titolo “Sul confine” viene da una canzone di Cristiano De André.
E a questo punto… mi pare di aver detto tutto (mi chiedo se le note a questa fanfiction saranno sempre così lunghe XD).
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A martedì 24 settembre!

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Capitolo 3
*** Quattro chiacchiere ***


Capitolo 03 – Quattro chiacchiere

Taren Kun era un Umano dai ricci capelli neri.
Aveva lineamenti ben disegnati e, sebbene non fosse estraneo all’arte dell’autocommiserazione, era uno dei Jedi che sapevano lavorare meglio con i piccoli Iniziati.
Se il Maestro Yoda teneva lezioni sulla Forza e li faceva allenare coi remoti da combattimento, Taren insegnava loro a duellare. Li istruiva principalmente sulla prima forma di combattimento, ma eventualmente dava loro anche un’infarinatura di altri stili più complessi.
Qui-Gon trovò l’amico in una palestra nella quale, durante la loro giovinezza, si erano spesso sfidati a duello.
L’uomo avrebbe saputo descrivere ogni angolo ad occhi chiusi.
Le pareti verderame, il soffitto altissimo, i pilastri ruvidi… Le linee che, sul pavimento, suddividevano lo spazio in vari settori, cosicché più Jedi potessero allenarsi contemporaneamente con maggior comodità.
Taren era l’unica persona presente nella sala, al momento.
Era seduto su una delle panche allineate contro una parete, ed era intento a lucidare l’impugnatura della propria spada laser.
Qui-Gon gli si avvicinò in silenzio.
«Sei tornato, finalmente» commentò Taren, senza alzare la testa.
«Sono tornato» convenne Qui-Gon.
“E forse” aggiunse mentalmente, “sarebbe stato meglio se non lo avessi fatto”.
L’altro sollevò lo sguardo. «Ti offrirei di duellare in memoria dei vecchi tempi» disse, «ma stamattina mi sono occupato del Clan dello Squall e del Clan del Dragone».
Fece un sospiro, mettendo da parte il panno e agganciandosi la spada laser alla cintura.
«Mi hanno sfinito».
Clan del Dragone. La prima cosa che pensò Qui-Gon, fu che era il clan di Obi-Wan Kenobi… e ciò non gli piacque.
«Effettivamente» disse, «loro hanno qualcosa che tu non hai».
Taren lo indagò coi propri occhi castani. «La giovinezza?» s’informò. «Battuta debole».
«Lo so» sospirò Qui-Gon.
L’altro scrollò le spalle e si alzò in piedi. «Eppure tu non dovresti essere sfiancato. Da quanto mi risulta, non hai dovuto allenare un bel branco di Iniziati».
«Effettivamente no» ammise Qui-Gon. «Però ho assistito ad una delle lezioni del Maestro Yoda al Clan del Dragone».
Taren emise uno sbuffo soffocato. «Sono dei bei tipetti, non è vero?»
«Non saprei» rispose Qui-Gon. «Era solo una lezione. Tu che mi dici? Li alleni spesso?»
«Più di quanto vorrei, visto come mi riducono» brontolò Taren.
Qui-Gon restò in silenzio per qualche istante. «Sapresti dirmi qualcosa… di Obi-Wan Kenobi?»
«Kenobi?» L’uomo gli rivolse un’occhiata in tralice. «Hai intenzione di prendere un Padawan, per caso?»
Ecco perché non avrebbe dovuto chiederglielo. Perché avrebbe portato, inevitabilmente, a quella domanda.
«La mia è solo una curiosità, a dire il vero» disse Qui-Gon, asciutto.
Taren lo guardò con espressione critica, ma alla fine scrollò le spalle. «Come vuoi». Si accarezzò il mento con fare pensoso. «Kenobi… è intelligente. Obbediente, rispettoso, ma talvolta troppo incline ad avere l’ultima parola».
Qui-Gon non poté farne a meno. Inarcò un sopracciglio. «Non è anche questo segno d’intelligenza?»
«Nel tuo caso, amico mio, è segno d’impertinenza…»
«Credevo parlassimo di Obi-Wan» commentò Qui-Gon.
«…e nel caso dell’Iniziato Kenobi» concluse Taren, «è segno di un senso dell’umorismo… particolare. Innocuo, per ora, ma sospetto che con la crescita si farà più pungente».
Qui-Gon scosse appena la testa. «Va’ avanti».
«È forte nella Forza Unificante» riprese Taren. «Talvolta, ha delle visioni o dei presentimenti, ma sono per lo più inaffidabili, e noi agiamo di conseguenza».
Qui-Gon si accigliò. Visioni? A sette anni?
«Lui, però, è piuttosto insicuro» continuò l’altro. «Temo che scambi il nostro non dar troppo peso alle sue visioni come mancanza di fiducia nelle sue parole. Così, oramai, quando ha una visione, non informa quasi più nessuno. Immagino si senta preso poco sul serio».
Nell’ascoltare quelle parole, Qui-Gon sentì un vuoto allo stomaco.
Improvvisamente, sentiva che il fatto che Obi-Wan, nel refettorio, si fosse fatto coraggio e avesse deciso di confidargli le sue sensazioni, era più significativo di quanto avrebbe creduto.
E lui cos’aveva fatto?
Agli occhi del bambino, si era comportato come tutti gli altri: non lo aveva preso sul serio.
«Fortunatamente, sembra fidarsi del Maestro Yoda». Taren, inconsapevole dei suoi pensieri, aveva continuato a parlare. «E, credici o no, il vecchio troll è sempre molto interessato a ciò che l’Iniziato Kenobi ha da dire. Sembra proprio che il marmocchio abbia trovato la maniera di cucinarselo a dovere, la Forza sola sa come ci sia riuscito…»
Qui-Gon ripensò alla lezione del Maestro Yoda col Clan del Dragone, ma non gli riuscì di richiamare alla mente nessuna interazione particolare tra Yoda e l’Iniziato Kenobi.
D’altro canto, Obi-Wan Kenobi era stato scelto come messaggero…
«Se parliamo di combattimento con la spada laser… be’, forse è ancora presto per dirlo, ma mi sembra molto promettente».
Qui-Gon riportò di colpo l’attenzione su Taren. «E riguardo il suo carattere? Cos’altro mi puoi dire?»
«È cocciuto… tenace, forse?»
Un’immagine si presentò alla mente dell’uomo: Obi-Wan solo al tavolo della mensa. «È poco socievole?»
Anche mentre lo domandava, si sentì ridicolo.
L’Iniziato Kenobi non era il suo Padawan, né mai lo sarebbe diventato. Non era compito suo preoccuparsi di un’eventuale carenza di amicizie.
Taren alzò le spalle. «Bah… ho lavorato con bambini più estroversi, ma non è nemmeno un emarginato. Per interagire coi suoi coetanei, interagisce».
Qui-Gon si ritrovò ad annuire. «Capisco…»
Taren gli lanciò un’occhiata. «Lo sai?» domandò. «È la prima volta che ti vedo mostrare tanto interesse nei confronti di un Iniziato».

Quando uscì dalla sala – senza aver risposto all’osservazione dell’amico – Qui-Gon s’imbatté nell’Iniziato Kenobi.
Si bloccò, e per un momento desiderò essere una di quelle persone che credono nel caso e nelle coincidenze.
Dal canto suo, Obi-Wan si arrestò di colpo, un lampo di sorpresa negli occhi chiari.
Per un lungo istante, entrambi rimasero immobili.
Qui-Gon contemplò l’idea di rivolgergli un secco cenno del capo e di andare per la propria strada, ma per qualche motivo gli fece segno di avvicinarsi.
Il ragazzino obbedì immediatamente. «Salve, Maestro Jinn» lo salutò, chinando la testolina rossiccia.
«Salve, Iniziato Kenobi. Sei stato dai Guaritori?» si trovò a domandare l’uomo.
Obi-Wan alzò la testa ed annuì, tirandosi su la manica sinistra per mostrargli la fasciatura sottile che gli avvolgeva l’avambraccio. «Il Guaritore Von Le ha detto che non era niente di grave» spiegò, doverosamente, «ma per precauzione ha voluto bendarla».
«Capisco» disse l’uomo.
Ebbene, poteva chiudere lì la conversazione.
Ora che si era informato sullo stato di salute del bambino, poteva riprendere la propria camminata…
La Forza Vivente, però, sembrava sussurrare ed accarezzarlo… sembrava quasi spingerlo verso Obi-Wan.
«Mi stavo recando a fare una passeggiata nei giardini» disse infine Qui-Gon. «Vorresti camminare con me?»
Il sorriso si aprì sul visetto di Obi-Wan come un fiore che sboccia. «Sì, Maestro Jinn» accettò subito l’Iniziato. «Mi piacerebbe molto».
Qui-Gon annuì brevemente e, quando riprese a camminare, il bambino gli trottò dietro.
Nei giardini del Tempio, l’aria era più fresca, e profumava di fiori ed erba.
Qui-Gon inspirò profondamente. «È molto bello, vero?» domandò, accennando al paesaggio che li circondava.
Obi-Wan annuì, trotterellando al suo fianco. «Sì, Maestro Jinn».
«In questi giardini, ci sono piante provenienti da tutta la galassia» aggiunse l’uomo, guardandosi attorno.
«Lo so» disse Obi-Wan. «L’anno scorso, il Maestro Kun ci ha detto che c’era anche un cespuglio carnivoro, e che dovevamo stare attenti».
Continuando a camminare, Qui-Gon gettò un’occhiata al bambino. E così Taren faceva di questi scherzi agli Iniziati?
«Non devi preoccuparti» disse ad Obi-Wan, «ti posso assicurare che non c’è nessun cespuglio carnivoro».
«Lo so, Maestro Jinn».
Qui-Gon inarcò lievemente un sopracciglio. «Davvero?»
Il bambino annuì. «Sì. Quando il Maestro Kun ce l’ha raccontato, ero… preoccupato. Così sono andato negli Archivi e ho cercato informazioni su quel cespuglio, per sapere come riconoscerlo e come non farmi mangiare».
Il sentiero di ghiaietto che stavano percorrendo s’incurvò appena verso sinistra.
«Quando Madama Nu mi ha chiesto perché mi interessava, gliel’ho spiegato. Lei era stizzita, e mi ha detto che non era affatto vero che un cespuglio del genere si trovava nei nostri giardini».
Immaginando la reazione dell’Archivista, che mal sopportava ogni genere di falsa informazione, Qui-Gon dovette trattenere un sorriso.
Poi gli venne in mente una cosa. «Hai detto che è successo l’anno scorso?»
Obi-Wan annuì, cercando di tenere il suo passo. «Sì, Maestro Jinn».
«Quindi avevi sei anni» aggiunse l’uomo. «E facevi già ricerche negli Archivi…»
Il bambino parve ponderare la questione. «Be’» disse, «è molto interessante. E avevo imparato a leggere da un anno intero, ormai».
«Giusto» concordò Qui-Gon, divertito proprio malgrado. «Sarebbe stato un sacrilegio, sprecare più a lungo una simile dote…»
«Forse non proprio un sacrilegio» disse Obi-Wan, dubbioso. «Più un peccato».
Qui-Gon agitò una mano come per scacciare quel discorso.
In quel momento, si accorse che il bambino stava praticamente saltellando per tenere il suo passo, e rallentò il ritmo delle proprie falcate.
Obi-Wan gli rivolse uno sguardo riconoscente. «Grazie…»
«Avresti potuto dirmi che andavo troppo veloce» osservò Qui-Gon.
Il bambino rimase per un attimo in silenzio, poi domandò: «Che Cavaliere Jedi posso diventare, se neanche affretto un po’ il passo?»
Qui-Gon non poté fare a meno di ripensare al loro primo incontro.
In mensa, l’Iniziato stava cercando di nascondere una bruciatura. Qui, la propria difficoltà a tenere il suo passo.
Certo, un Jedi doveva imparare a non lamentarsi, ma l’uomo aveva l’impressione che Obi-Wan Kenobi fosse restio ad ammettere qualsiasi sorta di debolezza.
Decise di rigirargli la domanda. «Non saprei. Che Cavaliere Jedi potresti diventare?»
Obi-Wan lo guardò, sorpreso, quindi mormorò: «Un Cavaliere Jedi molto riposato».
Qui-Gon rimase serio, ma una luce divertita brillò nei suoi occhi. Era quello l’umorismo di cui parlava Taren? Era bizzarro, in un bambino di sette anni.
L’uomo, tuttavia, non lasciò cadere il discorso, cercando di ottenere una risposta seria. «Molte cose» disse, «non si ottengono col riposo, ma soltanto col duro lavoro».
Obi-Wan lo guardò, come per cercare di capire se si trattava di un rimprovero, poi annuì quasi solennemente. «Lo so, Maestro Jinn».
Qui-Gon gli lanciò un’occhiata penetrante. «È per questo che sei voluto andare a lezione con un braccio ferito?»
Il bambino si portò una mano al punto dove si trovava la fasciatura. «Non era niente» rispose, sulla difensiva.
«Non mi hai raccontato come te lo sei fatto» osservò Qui-Gon.
Un’altra frase che non avrebbe voluto dire. Perché mai l’Iniziato Kenobi avrebbe dovuto raccontarlo a lui?
«È stato un incidente» spiegò Obi-Wan.
«Quindi nessun altro Iniziato ti ha ferito intenzionalmente».
Il bambino lo fissò, come se trovasse che un’idea simile fosse impensabile. «No, Maestro Jinn».
Qui-Gon lo valutò un istante, e decise che era sincero. «E se fosse stato così?» domandò poi, quietamente. «Se ti avesse ferito un altro degli Iniziati, cosa avresti fatto?»
Obi-Wan aggrottò la fronte, ma la sua incertezza ebbe vita breve. «Lo avrei detto ai Maestri» affermò.
L’uomo lo guardò. Il bambino sembrava candidamente convinto che i Maestri potessero risolvere qualsiasi cosa. «E cos’avresti voluto che loro facessero?»
Obi-Wan rimase di stucco. «Non… non lo so» disse poi, evidentemente in difficoltà.
Il pensiero di decidere che linea d’azione dovessero adottare dei Maestri sembrava disturbarlo.
Obbediente, rispettoso, aveva detto Taren.
“Forse troppo” pensò Qui-Gon.
«Be’…» disse infine Obi-Wan, esitante. «Il Maestro Yoda dice che, quando qualcuno si comporta male, imbocca la strada sbagliata. Quindi penso che vorrei che lo facessero tornare sulla strada giusta».
Qui-Gon lo fissò con intensità. Intelligente, senza dubbio. «Perché non tu?» gli domandò.
Il bambino lo fissò, sorpreso. «Cosa?»
«Non potresti essere tu, a riportarlo sulla strada giusta?»
Obi-Wan smise improvvisamente di camminare, e Qui-Gon si fermò a propria volta, girandosi lentamente verso l’Iniziato.
La fronte del bambino era aggrottata. «Non penso funzionerebbe».
A quelle parole, Qui-Gon lo osservò con un certo interesse. «E perché mai?»
Obi-Wan sollevò su di lui quei suoi occhi grigio-azzurri. «Perché… perché… perché non sarei sicuro di farlo per il motivo giusto, no?»
Qui-Gon inclinò appena la testa, senza distogliere lo sguardo dal bambino. Lo trovava sempre più intrigante… «Cosa intendi?»
L’Iniziato strusciò i piedi per terra, ma non abbassò gli occhi. «Voglio dire: magari non lo farei per aiutarlo, ma perché voglio che mi lasci in pace».
Poi si morse il labbro, come pentendosi di aver implicato di poter covare rancore. Nemmeno allora, però, distolse gli occhi da quelli di Qui-Gon.
Quest’ultimo pensò che, forse, un altro Maestro si sarebbe premurato di evidenziare quanto fosse sbagliato lasciare che il risentimento influenzasse le azioni…
Lui non disse nulla.
Finalmente, Obi-Wan Kenobi aveva ammesso una debolezza, dimostrandosi consapevole di avere dei limiti… E Qui-Gon si scoprì ad apprezzare molto la cosa.
«Quindi» esordì, spezzando il silenzio, «tu credi che non importino solo le azioni, ma anche le motivazioni che ci sono dietro».
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Sì» disse. «Cioè, a volte. Non lo so».
Di fronte all’imbarazzo del bambino, Qui-Gon scosse la testa. «Non importa» disse. «È una domanda difficile».
Obi-Wan azzardò un’occhiata verso il viso dell’uomo.
«Facciamo così» disse allora il Maestro Jedi, cercando di quietare la sua vergogna, «mi dirai la risposta quando capirai qual è».
Il bambino lo guardò più apertamente. «Anche se saranno passati tanti giorni?»
«Anche se saranno passati tanti giorni» confermò Qui-Gon.
E così, dopo nemmeno due dì che lo conosceva, aveva già esteso ad una data imprecisata il suo rapporto con quell’Iniziato.
L’uomo volse lo sguardo verso un cespuglio carico di gemme rosate, sospirando interiormente.
“Pazienza” pensò. “Quando il ragazzo verrà preso da un Maestro, non impiegherà molto a dimenticarsi di me”.
Quel pensiero gli parve stranamente liberatorio.
Era rassicurante, l’idea che Obi-Wan avrebbe trovato la sua via… che non coincideva assolutamente con la sua.
Checché potessero dirne Yoda, o Taren.
Pensando a Taren, a Qui-Gon vennero in mente le parole dell’amico. Aveva detto che Obi-Wan non si sentiva preso sul serio da coloro a cui confidava le proprie sensazioni.
Forse… lui poteva rimediare a ciò che aveva fatto in mensa.
«Ieri, in refettorio…» accennò, rivolgendosi al bambino. «Hai detto che cambierò una vita».
Il cambiamento di Obi-Wan fu repentino. L’Iniziato lo fissò quasi guardingo, poi annuì lentamente.
«Sai di chi fosse, la vita di cui parlavi?»
Il bambino esitò nuovamente. «No, Maestro Jinn» disse infine, «è tutto molto… confuso».
«Il futuro spesso lo è» convenne Qui-Gon, senza sforzo. «Ma che mi dici del presente?»
«Il Maestro Yoda dice di fare attenzione al futuro» rispose Obi-Wan, compitamente.
«Certo» disse Qui-Gon. «Senza il presente, però, non ci sarebbe nessun futuro. Sei d’accordo con me?»
Il bambino parve valutarlo per qualche istante. «Sì» ammise alla fine.
Qui-Gon accennò al sentiero che si snodava davanti a loro. «Se vogliamo continuare la nostra passeggiata…»
Obi-Wan annuì energicamente. «Certo, Maestro Jinn!»

















Note:
Uh, spero che il calo di recensioni non corrisponda a un calo di qualità (ma quale qualità? XD) della storia.
E spero che questo capitolo sia almeno decente e che la caratterizzazione dei personaggi non sia un gran pasticcio.
Il nome Taren dovrebbe essere una sottospecie di omaggio a Taran, il protagonista de “Le cronache di Prydain” di Lloyd Alexander. Ho cambiato la “a” in “e” soltanto perché mi suonava meglio (del resto, anche nella trasposizione della Disney hanno cambiato una vocale. “Taron e la pentola magica” vi dice niente?).
Bien, c’est tout.
A martedì 1° ottobre!

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Capitolo 4
*** Distacco ***


Capitolo 04 – Distacco

Quella sera, l’uomo uscì nelle intricate strade di Coruscant per fare qualche acquisto, in modo da poter cenare nel proprio appartamento.
L’Iniziato Kenobi si era rivelato una compagnia molto più piacevole e stimolante di quanto Qui-Gon avesse creduto, e l’uomo si sorprese più volte a ripensare ad alcune battute che si erano scambiati, nonché alle espressioni del bambino.
In effetti, aveva notato che Obi-Wan tendeva a corrucciarsi spesso.
Rientrato nel proprio alloggio, cercò di scrollare via quei pensieri, e si preparò un pasto frugale ma soddisfacente.
Prima di andare a dormire, meditò per qualche ora, quindi controllò la ferita alla gamba. Grazie al bacta, si stava rimarginando in fretta.
Annuendo la propria approvazione, l’uomo si coricò.
Ebbene, se si illudeva che le sue notti fossero diventate tranquille, si sbagliava.
Probabilmente, la spossatezza della sera prima aveva impedito alla sua mente di indugiare su certi ricordi… Ora che era più riposato, però, una voce accusatoria iniziò subito a martellargli nella testa.
È colpa tua! Soltanto tua!
La cosa più terribile, in quelle parole, non era il veleno… bensì la loro assoluta autenticità.
Qui-Gon sapeva che era vero, che era effettivamente stata colpa sua. Sapeva di aver peccato di presunzione e di aver fallito, e così facendo aveva distrutto i sogni di un ragazzo brillante.
La sua boria aveva avuto conseguenze sul suo allievo… e la frustrazione del suo allievo aveva avuto risultati deprecabili.
Risultati ai quali, in quanto Jedi e in quanto essere umano, non poteva pensare se non con orrore.
E anche se la sua stanza era buia, anche se i suoi occhi erano chiusi, Qui-Gon vedeva con chiarezza quel volto… Ed era una ragione più che ottima per rifiutarsi di prendere un altro allievo.
Quando si alzò, il mattino successivo, l’uomo si disse che aveva sbagliato. Non avrebbe dovuto passare tanto tempo in compagnia di Obi-Wan Kenobi.
Cosa gli era saltato in mente? Voleva ripetere gli stessi errori del passato?
Dopo una colazione veloce, si recò a cercare il Maestro Yoda.
Quest’ultimo si trovava nella Sala delle Mappe, una stanza circolare dal soffitto a cupola, ed era in piedi al centro del pavimento.
I suoi occhi verdi erano puntati verso la miriade di ologrammi – pianeti, asteroidi, stelle – che fluttuavano nell’aria.
Qui-Gon sostò sulla soglia. «Maestro Yoda?» chiamò. «Hai un momento?»
Yoda si girò a guardarlo, un’espressione grave dipinta sul volto rugoso. Dopo un istante, annuì.
Agitò in aria la sua mano con tre dita, e tutti i pianeti scomparvero.
«Maestro Qui-Gon. Avanti vieni».
A quell’invito, l’uomo avanzò di qualche passo nella stanza.
«Chiedermi qualcosa, tu devi?» gli chiese Yoda.
Qui-Gon annuì. «Sì». Gettò un’occhiata attorno a sé, poi tornò a guardare il Gran Maestro dell’Ordine Jedi. «Quand’è che il Consiglio mi assegnerà una nuova missione?»
«Un piccolo Iniziato, tu sembri» lo redarguì Yoda. «La pazienza, il tuo Maestro non ti ha insegnato?»
«Me l’ha insegnata, sì» rispose con calma Qui-Gon. «Ma non mi ha insegnato a perdere tempo quando potrei fare qualcosa di utile».
«Perdere tempo!» sbuffò Yoda. «Da due giorni soltanto, tornato tu sei!»
Qui-Gon incrociò le braccia, e lo guardò senza dir nulla.
«Dieci giorni almeno, al Tempio dovresti restare».
«Dieci giorni?» polemizzò Qui-Gon. «È molto più del necessario».
«Stancante, la tua ultima missione è stata» replicò Yoda.
«E dopo una visita dai Guaritori e due notti di sonno sono tornato perfettamente in forma» osservò l’uomo. «Di sicuro, in giro per la galassia, c’è qualcosa da sistemare…»
«Di sicuro, nel Tempio, altri Jedi ci sono» puntualizzò Yoda.
Qui-Gon mantenne la calma. «E ci sono anche molti altri Maestri a cui cercare di affibbiare un nuovo Padawan».
Yoda non sembrò gradire quell’uscita, e l’uomo decise di non insistere sull’argomento.
Non aveva voglia di parlarne, in realtà, e dopotutto il Gran Maestro sapeva bene qual era la sua opinione in proposito.
«Potrei ripartire domani».
Il vecchio troll lo guardò assottigliando gli occhi. «Tra tre giorni» disse, stringendo il proprio bastoncino.
Qui-Gon non era del tutto soddisfatto da quella controproposta. In fondo, Obi-Wan Kenobi era riuscito a riscuotere il suo interesse in una manciata di ore. E, come gran parte dei bambini della sua età, aveva un modo tutto suo di conquistare l’affetto di chi gli stava accanto.
Tuttavia, l’uomo sapeva che non avrebbe ottenuto nulla di più – e dopotutto era già riuscito ad ottenere uno sconto di sette giorni.
Così, chinò brevemente il capo. «Molto bene».
«Più produttivo, parlare coi piccoli è» brontolò Yoda, mentre usciva zoppicando dalla stanza.
Qui-Gon rimase fermo dov’era, emettendo un lento sospiro.
Ebbene, non era stata una conversazione particolarmente piacevole… Ma raramente – soprattutto negli ultimi tempi – le sue chiacchierate con Yoda lo erano.
Infilando le mani nelle larghe maniche della propria toga, l’uomo uscì dalla stanza, incamminandosi lungo il vasto corridoio.
Non era più abituato all’inattività, e decidere come occupare il proprio tempo sembrava essere diventato più difficile.
Non gli sarebbe dispiaciuto duellare con Taren, ma sospettava che al momento l’altro fosse occupato con qualche Iniziato… Il suo vecchio Maestro, Dooku, era in missione, così come la gran parte dei Jedi che avrebbe definito amici.
Percependo una presenza alle proprie spalle, Qui-Gon accelerò appena il passo.
Non riuscì ad evitare di provare una fitta di irritazione, e la rilasciò immediatamente nella Forza. Il Tempio era così vasto. Possibile che s’imbattessero l’uno nell’altro così di frequente?
«Maestro Jinn!»
Sospirando appena, l’uomo si fermò e si voltò.
Obi-Wan Kenobi lo raggiunse in pochi istanti. Sembrava lieto di vederlo.
«Iniziato Kenobi. Non dovresti essere col tuo clan?» domandò Qui-Gon, più aspramente di quanto avrebbe voluto.
Il suo tono colse il bambino alla sprovvista. «Io…»
L’uomo inspirò. «Immagino che ci siano delle lezioni, adesso» disse, distaccato. «Tu non hai nessun impegno?»
La confusione passò sul viso di Obi-Wan. A disagio, il bambino spostò il proprio peso da una gamba all’altra. «Stavo… stavo andando a lezione di storia, veramente…»
«Bene» tagliò corto Qui-Gon, per evitare che il suo proposito traballasse di fronte all’espressione dell’Iniziato. «Allora non dovresti tardare».
Poi, senza attendere oltre, si girò e riprese a camminare lungo il corridoio.
Sentiva che Obi-Wan era rimasto immobile in mezzo all’androne, là dove l’aveva lasciato, e chiuse brevemente gli occhi.
Era per il bene del bambino, si disse, ma ciò non lo fece sentire meglio.
«Maestro Qui-Gon?»
Al suono di quella voce – adulta e familiare – Qui-Gon alzò lo sguardo.
Un uomo biondo e robusto, dal volto liscio e dagli occhi azzurri, gli indirizzò l’accenno di un inchino.
«Feemor» lo salutò il Maestro Jedi, sentendosi piacevolmente sorpreso. «Credevo fossi in missione».
«Sono appena tornato» replicò l’altro. «In verità, ho fatto rapporto appena un’ora fa».
«E com’è andata?» Qui-Gon mosse un passo verso di lui. «Racconta. Hai avuto successo?»
Un sorriso si fece largo sul volto di Feemor. «Un successo completo» affermò l’uomo. «Tanto da ottenere un elogio dal Maestro Yoda».
Qui-Gon quasi sorrise. «Allora dev’essersi svolta alla perfezione».
L’altro annuì, ed iniziò a raccontare.
Mentre parlava, i due uomini si spostarono lungo il corridoio. Rivolgendo qualche domanda a Feemor, Qui-Gon fu avvolto da una sensazione di cameratismo che riuscì quasi – quasi – a fargli dimenticare il proprio rimorso nei confronti di Obi-Wan.
Senza troppi indugi, lui e l’uomo biondo si aggiornarono sugli ultimi viaggi compiuti.
Nel sentire che continuava a svolgere una missione dopo l’altra, Feemor gli scoccò un’occhiata, ma non disse nulla.
«Comunque» confidò alla fine, «pensavo di iniziare a guardarmi attorno… ad osservare qualche Iniziato».
Qui-Gon sbatté le palpebre e si fermò. Sapeva, però, che Feemor non voleva insinuare nulla; la sua era semplicemente una schietta confessione.
«Che ne pensi?» s’informò poi l’uomo biondo. «È troppo presto?»
«Troppo presto?» ripeté Qui-Gon. «Hai solo tre anni in meno di me…»
«Accidenti» commentò Feemor. «Così mi fai sentire vecchio».
Qui-Gon scosse la testa. «In ogni modo» disse, onestamente, «credo che tu abbia la stoffa dell’insegnante. Qualunque Iniziato sceglierai, sarà un Padawan molto fortunato».
L’altro uomo gli rivolse un sorriso grato. Poi tornò serio, e disse francamente: «Sai, Qui-Gon, io non sono il solo ad essere tagliato per fare il Maestro».
«Lascia perdere» disse Qui-Gon, ma con gentilezza. Il suo animo, però, era un po’ dolente, forse anche a causa del ricordo dell’espressione di Obi-Wan Kenobi. «Io credo che l’esperienza mi abbia insegnato che non sono nato per essere un Maestro».
«Con me hai fatto un ottimo lavoro» obiettò Feemor.
«Ho solo completato l’ottimo lavoro fatto dal tuo vecchio Maestro» lo contraddisse Qui-Gon, e l’altro scosse la testa.
Senza una parola, ripresero a camminare.
Qui-Gon osservò discretamente l’uomo al suo fianco. Feemor era stato il suo primo allievo.
Lo aveva conosciuto pochi mesi dopo esser stato fatto Cavaliere. L’altro aveva appena perso il proprio Maestro in un conflitto, e temeva di non riuscire a trovare qualcuno che portasse a termine il suo addestramento.
Avevano parlato, si erano piaciuti… E Qui-Gon si era recato subito dal Consiglio, domandando di poter prendere l’altro come proprio Padawan.
I primi tempi insieme, in realtà, non erano stati semplici.
Feemor era riluttante a lasciare che qualcuno prendesse il posto del suo defunto Maestro, e trovava difficile accettare come guida un giovane più vecchio di lui di soli tre anni.
Qui-Gon, però, non si era arreso… Poco a poco, le riserve di Feemor erano crollate, e lui aveva iniziato a nutrire un genuino rispetto verso il suo nuovo Maestro.
Dopo due anni, Feemor era stato fatto Cavaliere, e loro erano diventati qualcosa di simile a fratelli.
«Ho sentito che il Maestro Dooku, qualche tempo fa, ha tenuto alcune lezioni di telecinesi per gli Iniziati» disse improvvisamente Feemor.
Qui-Gon lo guardò. «Ma davvero?»
L’idea di Dooku che insegnava a dei bambini suonava stranamente divertente, per lo meno alle sue orecchie. E gli sarebbe sembrata ancor più divertente, se soltanto il pensiero degli Iniziati non lo avesse portato a ricordare il suo ultimo incontro con Obi-Wan Kenobi…
Aveva voluto suonare distaccato per allontanare il bambino, ma ora avrebbe voluto avergli parlato con meno durezza.
Feemor annuì. «Non ne sapevi nulla?»
Qui-Gon riportò di colpo l’attenzione sul suo interlocutore e scosse la testa. «Se me ne fosse giunta voce, sarei tornato di gran carriera al Tempio per cercare di assistere…» affermò, quando riuscì a recuperare il filo del discorso. «Per quanto tempo sono andate avanti, queste lezioni?»
L’altro dovette trattenere un sorriso. «Non lo so con esattezza» rispose, «ma credo che alla seconda settimana fosse già stanco…»
«Non mi stupisce» disse Qui-Gon, per poi aggiungere con rispetto: «Non fraintendermi, il Maestro Dooku è stato un grande insegnante… ma non credo abbia mai amato occuparsi dei bambini».
«Forse avrebbe preferito cercare di insegnare loro qualche mossa del Makashi» propose Feemor – quasi tutti, al Tempio, sapevano qual era la forma di combattimento prediletta dall’uomo.
«Non so se avrebbe avuto pazienza con degli Iniziati che agitano all’impazzata una spada laser» ammise Qui-Gon.
«Al contrario di te, che di pazienza ne hai avuta sempre in abbondanza» replicò Feemor, in un eccesso di galanteria. «Ricordi quella volta in cui hai sfidato me e…»
Si interruppe prima di pronunciare il nome del secondo allievo di Qui-Gon.
Il senso di colpa balenò nei suoi occhi. «Scusami».
Qui-Gon scosse la testa, rilasciando un respiro pesante. «Non importa».





















Note:
Devo andare in giardino a cercare una buca in cui sotterrarmi?
Chissà se il mio cane può aiutarmi, in tal senso…
Lasciando perdere la mia enorme autostima… Dovrebbe esserci un fumetto (o qualcosa del genere) dell’EU in cui compare un primo apprendista di Qui-Gon chiamato Feemor.
Io non ho mai letto tale fumetto, ma visto che sono una frana ad inventare nomi degni dell’universo di Star Wars, ho preso spunto da quello.
Per finire, il prossimo aggiornamento sarà sabato 5 ottobre

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Capitolo 5
*** Problemi di meditazione ***


Capitolo 05 – Problemi di meditazione

Il Maestro Jedi, più avanti, ebbe altre occasioni di passeggiare e chiacchierare con Feemor.
Quest’ultimo, sebbene un po’ trepidante alla prospettiva di prendere un Padawan, era comunque una compagnia piacevole.
Un paio di volte, invitò Qui-Gon a recarsi con lui ad assistere alle lezioni degli Iniziati, ma l’uomo declinò cortesemente.
Invece, andò a duellare con Taren. Ebbe persino la calma soddisfazione della vittoria, anche se l’amico sostenne – più o meno scherzosamente – di aver perso perché i piccoli gli avevano succhiato tutta l’energia.
Da parte sua, Qui-Gon continuava ad evitare Obi-Wan Kenobi. Nonostante la vastità del Tempio, lo vide di sfuggita un paio di volte, ma si guardò bene dall’avvicinarlo.
E a dispetto della presenza del suo ex allievo e del suo vecchio amico, continuava a trascorrere molto tempo in solitudine.
Qualsiasi cosa facesse, sembrava che il ricordo del suo secondo apprendista aleggiasse su di lui come un’ombra, e l’urgenza di andarsene dal Tempio crebbe rapidamente.
Alla fine, i tre giorni di pausa obbligatoria stavano per volgere al loro termine.
L’indomani sarebbe potuto andare dal Consiglio, ad insistere affinché gli assegnassero un nuovo incarico.
Immerso nella quiete dei giardini del Tempio, trasse un respiro profondo, e si alzò dall’erba tenera del prato.
Aveva meditato in un angolo appartato, nascosto da sguardi indiscreti grazie a qualche cespuglio in fiore.
Diede una sistemata alla propria toga, e si diresse verso l’uscita dei giardini.
Se la Forza voleva, l’indomani alla stessa ora si sarebbe trovato in viaggio verso un qualche pianeta dell’Orlo Esterno… verso un luogo dove c’era davvero bisogno di lui.
Iniziò a camminare sul vialetto di ghiaia – lo stesso che aveva percorso insieme all’Iniziato Kenobi qualche giorno prima – e si guardò attorno.
Quel posto gli sarebbe mancato.
Lì, l’ombra del suo secondo apprendista era meno opprimente, forse per merito della vasta presenza della Forza Vivente… o forse perché i giardini non erano mai stati il posto preferito del ragazzo.
Era ormai sera, e le luci artificiali si stavano attenuando.
In giro per i prati era rimasto solo qualche gruppetto di giovani Padawan e Cavalieri, e una manciata di Maestri.
Per un improvviso impulso, Qui-Gon guardò verso il lago… e là, a qualche metro dalla sponda, intravide una figurina familiare.
Obi-Wan Kenobi aveva gli occhi chiusi e la schiena dritta, e sedeva a gambe incrociate sull’erba.
La sua posa era tra le più adatte alla meditazione, ma Qui-Gon si fermò automaticamente, percependo che qualcosa non andava.
La Forza attorno al bambino non era placida e liberatoria come avrebbe dovuto, e trasmetteva un sentimento ben diverso dalla tranquillità: frustrazione.
L’uomo tese i propri sensi, e comprese senza difficoltà dove l’Iniziato stava sbagliando. Anziché accogliere la Forza, Obi-Wan cercava di agguantarla.
Qui-Gon indugiò un istante, gli occhi puntati sul profilo del bambino. Provò l’impulso di attraversare il prato e raggiungerlo, ma si trattenne.
Era ridicolo. Tre giorni prima, aveva tracciato una linea tra sé ed Obi-Wan… oltrepassandola, non avrebbe certo fatto un favore al bambino.
L’Iniziato Kenobi non era il suo Padawan, né era sua intenzione che lo diventasse, quindi non spettava a lui fargli notare i suoi errori.
Certamente, il Maestro Yoda si sarebbe accorto che il bambino sbagliava, e ci avrebbe pensato lui ad aiutarlo.
Lentamente, seppur invaso dal rimpianto, Qui-Gon fece per riprendere a camminare.
In quel momento, però, percepì una nuova emozione irradiare da Obi-Wan.
Non frustrazione, bensì… dolore.
Una pena profonda e angosciosa, di quelle che sanno provare soltanto i bambini.

Là sul prato, Obi-Wan teneva gli occhi serrati.
Per quanto si impegnasse, non riusciva a far sì che la Forza lo avvolgesse.
Più si protendeva verso di lei, più lei lo evitava… Gli sembrava quasi di cercare di afferrare del fumo: non otteneva altro che striature sulle dita ed una sensazione di sporco.
Era inutile. Non ci riusciva.
Non era abbastanza bravo.
Stava fallendo, e avrebbe fallito sempre.
Dal nulla, una mano si posò fermamente sulla sua spalla.
Obi-Wan trasse un respiro brusco, ed una voce profonda parlò con gentilezza accanto al suo orecchio: «Con calma».
Il bambino ebbe un sussulto di sorpresa: la persona accanto a lui era il Maestro Qui-Gon.
Obi-Wan tenne gli occhi chiusi, mentre il suo sbigottimento si trasformava in una sensazione più calda, ed il peso che aveva sentito sullo stomaco si alleggeriva notevolmente.
«La Forza è già con te, Obi-Wan. Devi solo rilassarti».
Senza farsi domande, il bambino si affidò a quella voce, facendo come gli suggeriva. La sua posa si allentò, la tensione abbandonò le sue spalle nel tempo di un respiro.
«Non devi cercare di abbrancarla» continuò la voce del Maestro Jinn. «Più cerchi di stringere la presa su di lei, più lei ti sfuggirà. Lascia che la Forza ti avvolga, Obi-Wan. Non essere impaziente. Aspettala, abbi fede in lei».
E così, Obi-Wan aspettò, fidandosi… E dopo un istante eccola, la pace che aveva tanto cercato. Lo avviluppò come una coperta, scacciando le sue inquietudini.
Quando il bambino aprì gli occhi, girò la testa verso Qui-Gon. L’uomo era inginocchiato dietro di lui, ed aveva ancora una mano sulla sua spalla.
Obi-Wan si limitò a guardarlo, senza sapere cosa dire. Aveva avuto l’impressione che l’altro non volesse avere più niente a che fare con lui.
Lentamente, il Maestro Jedi gli rivolse un sorriso di approvazione. «Hai visto? Ce l’hai fatta».
Il bambino non poté non sorridere di rimando. «Grazie» sussurrò, riconoscente.
Qui-Gon gli strinse brevemente la spalla, quindi tolse la mano. «Di niente».
Obi-Wan si dispiacque per la fine di quel contatto, ma non disse nulla.
L’uomo si alzò in piedi, e dopo un istante l’Iniziato lo imitò. Si pulì le mani sfregandole tra loro, poi sollevò due occhi esitanti su Qui-Gon.
L’uomo lo stava scrutando. «Ti capita spesso… di avere problemi con la meditazione?»
Obi-Wan si morse il labbro. Per qualche motivo, non voleva deludere quell’uomo… ma mentirgli sarebbe stato peggio, così annuì. «Sì, Maestro Jinn. Sbaglio… sbaglio sempre qualcosa».
Qui-Gon lo osservò in silenzio per qualche istante. “La missione” pensò. E poi: “È meglio evitare di farmi coinvolgere troppo”.
«Che programma hai, per domani, Iniziato Kenobi?» si sentì chiedere.
Il bambino lo guardò. «Avrò lezioni sulla Forza al mattino, sulla storia e la politica a mezzodì, e allenamenti nel pomeriggio».
Qui-Gon annuì consapevolmente. Sapeva che Obi-Wan stava aspettando che lui parlasse, ma per un po’ rimase in silenzio.
Che cosa stava facendo, in nome della Forza? Lui doveva partire l’indomani, non poteva… No, in realtà poteva. Più che altro non voleva.
Perché ogni Iniziato – persino Obi-Wan – sembrava ricordargli dolorosamente il suo secondo apprendista. Sembrava ricordargli che persino quel giovane rancoroso era stato un bambino, ed aveva avuto fiducia in lui.
In quel momento, però, tutta la sua cautela, tutto il suo disagio nel sentire l’ombra del suo ultimo allievo… Sbiadivano, di fronte al bisogno d’aiuto di Obi-Wan Kenobi.
Chiuse un istante gli occhi. «Che ne diresti di venire nel mio alloggio, domani sera?» propose, quando li riaprì. «Potrei aiutarti a meditare meglio».
Obi-Wan si immobilizzò, come se stentasse a credere a ciò che sentiva. «Mi piacerebbe molto» rispose, d’impulso, «se non è un disturbo. Maestro Jinn».
Qui-Gon annuì lentamente. «Allora siamo d’accordo» disse. «Parlerò io con il Maestro Yoda».
Insieme, si diressero verso il sentiero, e lo percorsero in silenzio sino all’uscita dei giardini.
«Che la Forza sia con te» disse a quel punto Qui-Gon, rivolto all’Iniziato.
Obi-Wan si inchinò rispettosamente. «E con te, Maestro Jinn».
Poi, con un sorriso fugace, si voltò e si diresse in direzione delle stanze degli Iniziati, mentre Qui-Gon si recava verso il proprio alloggio.

Il pomeriggio successivo, Qui-Gon intercettò il Maestro Yoda mentre quest’ultimo usciva da una saletta d’allenamento.
«Neanche che io vada nella Torre del Consiglio, puoi aspettare?» lo accolse il vecchio troll, con un’occhiata carica di disapprovazione.
«Veramente, mio Maestro, non sono qui per richiedere una nuova missione».
Yoda parve di colpo molto più interessato. «Perché qui tu sei, allora?»
«Vorrei chiedere il tuo permesso, Maestro, per lavorare con uno degli Iniziati del Clan del Dragone» rispose Qui-Gon, in tono formale.
Una scintilla attraversò gli occhi di Yoda. «Cambiato opinione, tu hai?»
«No» rispose Qui-Gon, un po’ seccamente. «Ho solo notato che lui ha difficoltà con la meditazione, e credo che potrei aiutarlo».
«Di quale Iniziato, parlando stai?» s’informò il Maestro Yoda, anche se l’uomo sospettava che in realtà lo sapesse benissimo.
Rispose brevemente: «Obi-Wan Kenobi».
Yoda annuì con fare pensoso. «Sì… sì… Difficoltà, il giovane Kenobi ha…» Per un istante, parve riflettere, e le sue orecchie si abbassarono appena. Poi i vecchi occhi verdi del Gran Maestro si alzarono su Qui-Gon. «Aiutarlo, tu puoi» decretò, con decisione.
L’uomo chinò il capo. «Ti ringrazio, mio Maestro».
«A lezione da me, tra poco il Clan del Dragone verrà» aggiunse Yoda. «Assistere, desideri?»
Qui-Gon esitò. Poi, però, scosse la testa. Il suo coinvolgimento con l’Iniziato Kenobi era già eccessivo… se si fosse messo anche ad osservarlo mentre combatteva, era probabile che Obi-Wan iniziasse a sperare che Qui-Gon lo prendesse come apprendista. «No, Maestro».
Yoda non sembrò sorpreso dalla sua risposta. «Capisco» disse. «A fine lezione, nel tuo alloggio l’Iniziato Kenobi manderò».
«Ti ringrazio» replicò Qui-Gon. «Che la Forza sia con te, Maestro».
«Che la Forza sia con te» rispose Yoda.
L’uomo gli rivolse un mezzo inchino, e si allontanò a passo spedito sino al proprio alloggio.
Entrò, ed andò a sedersi sul divano con un datapad in mano, immergendosi nella lettura senza attendere oltre.
I suoi pensieri, però, facevano fatica a concentrarsi sulle parole che gli scorrevano sotto gli occhi, e tornavano continuamente ad Obi-Wan.
Qui-Gon non era del tutto sicuro di aver fatto la scelta giusta. La scelta giusta sarebbe stato continuare ad evitare il bambino…
“Davvero?” si interrogò l’uomo. In tal caso, come mai la Forza continuava a sospingerlo verso l’Iniziato Kenobi?
Probabilmente, era suo volere che lui aiutasse quel bambino.
E lui non si era mai sottratto al volere della Forza.
Si proibì con fermezza, però, di pensare di poter fare di più, perché fare di più avrebbe potuto soltanto arrecare danno ad Obi-Wan.
Quando finalmente udì il trillo che annunciava un visitatore, Qui-Gon lasciò il datapad sul divano e si diresse rapido ad aprire la porta.
Obi-Wan lo salutò con un inchino. «Il Maestro Yoda mi ha detto di venire qui dopo la lezione».
Qui-Gon annuì. «Lo so. Entra pure».
Si tirò indietro, ed il bambino avanzò un po’ esitante all’interno dell’alloggio.
Era dal suo fallimento che Qui-Gon non aveva invitato più nessuno in quelle stanze… Se voleva vedere Taren, o Feemor, o qualcun altro, si recava nei loro alloggi.
Obi-Wan Kenobi, realizzò improvvisamente, era la prima persona oltre a lui che entrava lì dentro da tre anni, ormai.
Il bambino si guardava attorno, e nei suoi occhi c’era più attenzione che curiosità.
Su una delle pareti più vicine al divano, si apriva una grande finestra. Qui-Gon guidò Obi-Wan in quella direzione.
Al di là del vetro, si poteva ammirare una bella porzione del traffico aereo di Coruscant.
Qui-Gon si sedette a gambe conserte sotto la finestra, e fece segno al bambino di mettersi di fronte a lui.
Obi-Wan obbedì, accomodandosi con cautela sul pavimento.
«Pensavo di cominciare con qualche esercizio di respirazione» esordì Qui-Gon, quietamente, «così che il tuo corpo sia più rilassato».
«Sì, Maestro Jinn» concordò subito Obi-Wan.
L’uomo lo guardò in viso. «Sai perché sono importanti, questi esercizi?»
«Il Maestro Yoda ha detto che ci servono ad imparare a controllare il nostro corpo» rispose diligentemente il bambino. «Ha detto che più avanti impareremo anche come fare per rallentare il battito del nostro cuore».
Qui-Gon non riuscì a trattenere l’insegnante che era dentro di lui. «E questo perché è importante?»
«Perché il corpo di un Jedi è il suo strumento, insieme alla spada laser. Bisogna saperlo controllare bene».
Qui-Gon lo osservò. «Come mai hai utilizzato la parola “strumento”?»
Obi-Wan lo guardò con aria confusa. «Come, Maestro Jinn?»
«Perché hai detto “strumento”? Perché non “arma”?»
Il bambino, se possibile, parve ancora più confuso. «Le armi servono per distruggere» obiettò, come se fosse una cosa ovvia, «e i Jedi non devono distruggere, devono… devono costruire». Parve piuttosto soddisfatto di quel collegamento, mentre aggiungeva: «Gli strumenti servono per costruire».
Qui-Gon si chiese se Obi-Wan, dopotutto, fosse un usuale frequentatore degli Archivi… Accantonò quella questione, però, e spiegò al bambino cosa voleva da lui.
Almeno in quegli esercizi, Obi-Wan sembrava eccellere, ma non era una sorpresa, dato che venivano insegnati agli Iniziati sin dalla più tenera età.
Alla fine, il respiro di Obi-Wan era tranquillo e regolare, quasi quanto durante il sonno.
«Bene» approvò il Maestro Jedi. «Ora, penso che possiamo cominciare con la meditazione».
I modi di meditare erano diversi.
Ai bambini sui sette anni, come Obi-Wan, veniva insegnata una meditazione relativamente leggera. A quell’età, infatti, non possedevano ancora le conoscenze necessarie per sprofondare nel flusso della Forza senza esserne travolti.
Qui-Gon ne era ben consapevole, e si comportò di conseguenza.
Obi-Wan iniziò subito a mostrare le prime difficoltà.
Il suo problema, comprese istantaneamente l’uomo, non erano solo i suoi insuccessi… ma anche il modo in cui reagiva a questi insuccessi.
Non appena sbagliava, infatti, veniva riempito da una frustrata impotenza, che ad ogni tentativo andato a vuoto minacciava di trasformarsi in vero e proprio panico.
Per calmare il bambino, Qui-Gon dovette tendersi verso di lui e posargli una mano sulla spalla. «Obi-Wan».
L’Iniziato sussultò e spalancò gli occhi. «Mi… mi dispiace, Maestro Jinn» disse. «Continuo a sbagliare».
Qui-Gon scosse appena la testa. «Non è importante» replicò, con fermezza. «Sbagliare è spesso necessario. È sbagliando che s’impara».
Il bambino deglutì. «Allora a questo punto dovrei aver imparato molto…»
Qui-Gon si concesse un rapido sorriso. «Infatti hai imparato molto» rispose, guadagnando uno sguardo poco convinto da parte di Obi-Wan. «Tu capisci già quando sbagli, ma reagisci male ai tuoi errori. Quindi dobbiamo correggere due cose: gli errori, e la tua frustrazione. Come primo passo, devi cercare di dominarla. Accetta l’errore…» Rifletté un attimo. «Vedila così: quando sbagli non hai fallito, hai solo scoperto un modo in cui non si medita».
Obi-Wan si lasciò scappare un sorriso, e i suoi occhi splendettero come il mare sotto il sole.
«Hai capito?» chiese Qui-Gon.
«Sì» rispose il bambino, per poi rettificare: «Almeno credo, Maestro Jinn».
L’uomo gli rivolse un’occhiata incoraggiante. «Allora riproviamo».






















Note:
La frase di Qui-Gon: «quando sbagli non hai fallito, hai solo scoperto un modo in cui non si medita» è un adattamento dell’aforisma di Edison: «Io non ho fallito duemila volte nel fare una lampadina; semplicemente ho trovato millenovecento-novantanove modi su come non va fatta una lampadina» :D
Per il resto, non posso che augurarmi che il capitolo vi sia piaciuto…
A mercoledì 9 ottobre col prossimo aggiornamento!

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Capitolo 6
*** Consulenze ***


Capitolo 06 – Consulenze

Le pecche di Obi-Wan, però, non potevano essere corrette in una sola lezione.
Così, Qui-Gon prolungò la propria permanenza al Tempio, e la sera – dopo l’ultima lezione della giornata – il bambino si presentava nel suo alloggio, dove rimaneva sino all’ora di cena.
Obi-Wan era un buon allievo, volenteroso ed obbediente.
A dirla tutta, talvolta Qui-Gon avrebbe voluto che il bambino contestasse qualcuna delle sue disposizioni, e soprattutto gli sarebbe piaciuto vederlo più indipendente da quelle regole e da quelle lezioni che sapeva ripetere tanto bene.
In fondo, però, l’Iniziato aveva solo sette anni; era logico che la sua autonomia fosse ancora tutta da svilupparsi.
«Maestro Jinn?» chiamò Obi-Wan, alla fine della quarta lezione. «La Maestra Yula mi ha chiesto di riferirti che le piacerebbe parlare con te».
Qui-Gon increspò la fronte. «La Maestra Yula?»
«È uno dei supervisori del mio clan» spiegò il bambino.
«Capisco» disse l’uomo, in tono asciutto.
Obi-Wan lo guardava con tutta l’aria di essere seduto in un roveto. «Credi che non le stia bene?» chiese a bruciapelo. «Che io venga qui la sera, voglio dire».
Effettivamente, Qui-Gon si era domandato se i supervisori del Clan del Dragone vedessero di buon occhio quelle lezioni.
Dopotutto, dovevano esserci altri Iniziati che avevano difficoltà con la meditazione. Era giusto che Obi-Wan Kenobi ricevesse un ulteriore aiuto?
Per lui, francamente, l’importanza di quella domanda era relativa.
Ciò che contava, era che davanti a lui c’era un bambino che aveva bisogno d’aiuto… Voltargli le spalle sarebbe stato intollerabile.
Era vero: due giorni dopo averlo conosciuto, Qui-Gon aveva cercato di allontanare il bambino, ma allora pensava che fosse meglio in quel modo. Che Obi-Wan non avesse alcun bisogno di lui.
Ora la situazione era cambiata.
Accorgendosi che l’Iniziato stava aspettando la sua risposta, l’uomo gli fece notare: «Non la conosco nemmeno. Come potrei intuire la sua opinione?»
«È vero». Obi-Wan si morse il labbro inferiore, chiaramente ansioso.
«Non preoccuparti prima di quando sia necessario» lo ammonì allora il Maestro Jedi. «È inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta».
Il bambino parve un po’ imbarazzato. «E se non le andasse bene?» si lasciò scappare.
Qui-Gon aggrottò la fronte. Durante quelle lezioni, era incoraggiante quanto bastava, ma cercava di non portare il suo rapporto con Obi-Wan ad un piano troppo personale, e teneva le loro conversazioni incentrate sulla meditazione… Ma l’Iniziato sembrava davvero inquieto al pensiero di non avere più appuntamento col Maestro Jedi.
«Se non le andasse bene…» L’uomo lanciò uno sguardo ad Obi-Wan, poi, deciso a non promettere nulla, affermò: «Penseremo al problema quando il problema si porrà».
«Sì, Maestro Jinn» mormorò il bambino.
«E quando e dove vorrebbe incontrarmi, la Maestra Yula?» indagò l’uomo.
«Domani dopo l’ora di pranzo, nel suo alloggio» rispose diligentemente il bambino, per poi dare a Qui-Gon le indicazioni necessarie.
Dalla sua espressione concentrata, pareva che le avesse imparate a memoria.
Il Maestro Jedi annuì. «Molto bene» disse, «fa’ sapere alla tua Maestra che sarò lieto di parlare con lei».
«Sì, Maestro Jinn» rispose Obi-Wan, ma sembrava ancora un po’ preoccupato.
L’uomo si alzò in piedi. «Penso sia ora di cena, ormai… E non vorrei farti perdere il pasto».
Obi-Wan si tirò su a propria volta. «Sì» disse, e poi: «Grazie per la lezione, Maestro Jinn».
«Di nulla» replicò Qui-Gon.
Lo accompagnò sino alla porta, e tenne gli occhi sul bambino fino a quando quella sua testolina arruffata non scomparve dalla sua vista.

Così, il giorno successivo, Qui-Gon si recò alla porta della Maestra Yula.
Quest’ultima era una donna dal fisico atletico, con lunghi capelli neri che teneva raccolti in una crocchia, e lo accolse con grande cortesia.
Lo fece accomodare sul divano, e gli offrì un tè caldo mentre iniziavano a parlare.
«Allora» esordì lei, quando ebbe preso una tazza anche per sé, «come se la cava il piccolo Kenobi?»
Il Maestro Jedi rispose con onestà: «Ha ancora delle difficoltà, ma impara in fretta».
La donna parve quasi compiaciuta. «Sì, è un ragazzino brillante. Penso che il Maestro che lo prenderà come Padawan sarà molto soddisfatto dalla sua intelligenza».
Qui-Gon la fissò da sopra la propria tazza, ma il commento della Maestra Yula non pareva un modo per chiedergli se voleva prendere Obi-Wan come apprendista.
«Lo penso anch’io» si arrischiò perciò a rispondere.
«In effetti» disse lei, scrutando con aria assorta dentro alla propria tazza, «c’è chi sospetta che il Maestro Yoda abbia messo un occhio su di lui». Sollevò lo sguardo sull’uomo e sorrise. «Forse vorrà attendere ancora qualche anno… ma ormai, il piccolo Kenobi ha proprio l’età giusta per essere preso. Anche il giovane Cin Drallig sembra pensarla così, e lui conosce molto bene il Gran Maestro».
Qui-Gon si accorse di essersi immobilizzato, e chinò il viso per prendere un sorso di tè.
Conosceva il ragazzo a cui aveva accennato la Maestra Yula; Cin Drallig era un Umano ventunenne, dai capelli scuri, col naso un po’ largo e gli occhi luminosi, molto bravo nel combattimento.
Era ancora un Padawan, ma spesso riceveva lezioni di spada dal Maestro Yoda in persona.
Ciò che aveva preso Qui-Gon alla sprovvista, piuttosto, era l’ipotesi che Yoda avesse intenzione di prendere Obi-Wan come allievo.
D’altra parte, Taren gli aveva detto che tra il bambino ed il vecchio troll sembrava esserci un rapporto speciale…
Si scrollò di dosso quei pensieri.
Yoda era un grande Maestro. Se era vero che intendeva allenare personalmente Obi-Wan, lui avrebbe dovuto rallegrarsi per il bambino.
Ma non riusciva a liberarsi dell’idea che il Maestro Yoda avrebbe incoraggiato l’obbedienza dell’Iniziato, così come il suo legame con la Forza Unificante… e questo non gli piaceva del tutto.
La Maestra Yula lo trattenne un altro po’, narrandogli qualche aneddoto su Obi-Wan. Non sembrava lo facesse per pettegolezzo: quei racconti parevano uscirle dalle labbra senza che lei ci pensasse.
Alla fine del loro incontro, la donna lo ringraziò per l’aiuto che stava dando all’Iniziato, Qui-Gon ringraziò lei per il tè, si inchinò ed uscì dall’alloggio.
Nel corridoio, avvertì immediatamente una presenza familiare. Aggrottò la fronte, e con un paio di ampie falcate svoltò l’angolo… sorprendendo un bambino dai capelli ramati e gli occhi chiari.
«Iniziato Kenobi».
Obi-Wan ebbe un sussulto colpevole, ma fu svelto a nasconderlo. «Salve, Maestro Jinn» lo salutò, in tono sin troppo innocente.
«Adesso dovresti essere davvero col tuo clan, o mi sbaglio?»
Il bambino si fissò i piedi, quindi rialzò gli occhi. «Volevo sapere cosa ti ha detto la Maestra Yula» ammise.
Qui-Gon non ne fu affatto sorpreso. «Mi ha chiesto come stanno andando le nostre lezioni, e mi ha ringraziato per l’aiuto che ti sto dando».
Obi-Wan parve sollevato. «Vuol dire che posso continuare a venire?»
«Puoi continuare a venire» confermò l’uomo. «Ora, però, dovresti tornare dai tuoi compagni di clan…»
«Va bene, Maestro Jinn» si sottomise il bambino, ma prima di scappar via gli rivolse un sorriso luminoso… forse un po’ impertinente?
Qui-Gon lo seguì con lo sguardo. Obi-Wan era piccolo per la sua età, e quando si trovava negli ampi corridoi del Tempio sembrava ancora più minuscolo.
L’uomo scosse appena la testa, e si recò a cercare Taren.
Quest’ultimo, naturalmente, si trovava nella palestra… A quell’ora del giorno, c’erano anche alcuni Jedi che si allenavano a coppie.
«Sei qui per duellare?» gli chiese Taren, senza preamboli.
«Penso che sarebbe un buon modo per passare il tempo, sì» confermò Qui-Gon.
L’amico gli rivolse un’occhiata indecifrabile. «A proposito di passatempi» replicò, «ho sentito che trascorri preziose ore delle tue serate con Kenobi».
«Ha problemi con la meditazione» rispose Qui-Gon, impassibile. «Io gli do qualche suggerimento, così che non ne abbia più».
Taren sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Obi-Wan Kenobi non è il primo Iniziato ad aver problemi con la meditazione, né sarà l’ultimo» osservò, «ma da quanto mi risulta è l’unico a cui tu abbia deciso di dare i tuoi suggerimenti».
Qui-Gon non aveva intenzione di discutere di quell’argomento. Con naturalezza, portò una mano alla propria cintura. «Riguardo al duello?» chiese.
«Riguardo al duello mi dispiace, sono prenotato» ribatté Taren. «Devo aiutare due bambini del Clan del Katarn… E il Padawan Drallig mi ha già chiesto se più tardi posso duellare con lui».
Metaforicamente parlando, Qui-Gon drizzò le orecchie. «Il Padawan Drallig?»
«Già» disse Taren, un po’ laconico. «Dovresti vederlo combattere. È bravo».
«Ricordo che studiava lo stile Ataru…»
Un’ombra di sorriso comparve sulle labbra di Taren. «Sei rimasto nel passato, amico mio. Di questi tempi, Cin Drallig padroneggia bene le basi dei primi quattro stili».
Qui-Gon tacque, colpito. «La pratica col Maestro Yoda sta dando i suoi frutti…»
«Quello» concordò Taren, «più il fatto che il ragazzo è uno spadaccino nato. Penso che, dopo essere diventato Cavaliere, arriverà persino ad imparare la settima forma di combattimento».
Qui-Gon si concesse un attimo di silenzio pensoso. La settima forma, lo Juyo, era accuratamente evitata da gran parte dei Jedi, e coloro a cui veniva insegnata erano selezionati con attenzione.
Questo perché, a differenza degli altri stili di combattimento, lo Juyo richiedeva di far leva sulle proprie emozioni per rendere gli attacchi più vigorosi… E ciò conduceva al rischio di passare al Lato Oscuro.
Qui-Gon tornò a concentrarsi su Taren. «Non temi che possa sottrarti il posto di Maestro d’Armi?»
«Certo che me lo sottrarrà» replicò l’altro, imperturbabile. «Ma credimi, non sarà tragico dovergli cedere il ruolo. Così sarà lui a divertirsi con gli Iniziati…»
Qui-Gon sorrise appena. «Ho il sospetto» commentò poi, «che il Maestro Dooku non approverebbe la versatilità di Drallig. Lui è dell’opinione che un Jedi debba imparare bene un solo stile, quello che più gli si addice. Dilettante in tutte, esperto in nessuna… questo sostiene».
«Il Maestro Dooku è difficile da compiacere» osservò Taren. «Riguardo Drallig, non fatico a immaginare cosa lo spinga ad immergersi con tanta devozione nello studio del combattimento con la spada laser. Essere l’allievo del suo Maestro non sembra molto eccitante».
«Vale a dire?» chiese Qui-Gon.
«Non conosci il Maestro di Cin Drallig?» domandò l’altro. «Ha una sessantina d’anni, una passione smodata per i nostri Archivi, e va raramente in missione. Va bene che il vecchio troll non si fa pregare ad istruire Drallig, ma tra le lezioni agli Iniziati e le sedute del Consiglio, non ha poi tutto questo tempo libero. E così, a quel povero ragazzo, non resta altra scelta che elemosinare un duello con altri Jedi».
Qui-Gon aggrottò la fronte, pensando ad Obi-Wan.
Non poté fare a meno di tracciare un parallelismo con Cin Drallig. Visti i suoi doveri al Tempio, anche Yoda andava raramente in missione. Se Obi-Wan fosse diventato il Padawan del Gran Maestro, si sarebbe trovato bloccato su Coruscant?
«Non che il Padawan Drallig si lamenti» aggiunse Taren. «Devo dire che affronta la situazione con più serenità di quanto riuscirei a fare io, e sembra sinceramente felice del fatto che il suo vecchio Maestro l’abbia scelto come apprendista…»
Già, pensò Qui-Gon. Era probabile che anche Obi-Wan sarebbe stato felice, se Yoda lo avesse scelto come allievo. Dopotutto, era un bell’onore.
«Talvolta» disse a Taren, «sembri una di quelle vecchie comari che sanno sempre tutto di tutti».
«Sono solo un Maestro Jedi che sa guardarsi bene attorno» replicò l’altro, quasi con sussiego.
«Oppure hai trovato degli informatori eccellenti» commentò Qui-Gon.
«Per lo meno» rispose Taren, senza pensarci, «io non faccio affidamento su informatori che il Consiglio disapprova apertamente e a ragione».
Un istante dopo, parve pentirsi di quell’uscita, e distolse lo sguardo.
Qui-Gon, dal canto suo, aveva capito benissimo a chi si riferiva l’uomo. «Stai parlando di Daken?»
Con una certa riluttanza, Taren tornò a guardarlo. «Sai, Qui-Gon, non ho mai capito come tu facessi a lavorare con lui» ammise. «Mi dava i brividi».
L’uomo rimase in silenzio per un istante, mentre alcuni ricordi si affacciavano alla sua mente.
Aveva conosciuto il suo informatore dopo aver preso un secondo apprendista.
Daken era l’abitante medio dei bassifondi di Coruscant: famiglia disastrata, scarsa istruzione, fedina penale tutt’altro che immacolata.
Che ai Jedi piacesse o meno, però, talvolta era necessario conoscere qualcuno della sua risma… Daken conosceva bene la criminalità della capitale galattica. Per forza: si sarebbe potuto dire che ne faceva parte.
Prima della maggiore età, era stato arrestato diverse volte per furto. A diciannove anni, era stato coinvolto nell’omicidio di un adolescente, ma era stato rilasciato dopo aver denunciato gli effettivi assassini, due criminali che il Corpo di Polizia di Coruscant cercava da tempo d’incastrare.
Qui-Gon era al corrente di tutto… ma aveva deciso di dare al suo informatore il beneficio del dubbio.
Primo di tre fratelli, Daken era cresciuto senza padre, con una madre alcolizzata che non si era mai curata molto dei propri figli. Non aveva mai trovato una famiglia adottiva, ed in sostanza aveva trascorso l’infanzia ad entrare ed uscire dal riformatorio.
Alla fine, la compassione di Qui-Gon aveva superato il suo orrore nei riguardi dei gesti compiuti dal ragazzo… E, almeno all’apparenza, Daken aveva reagito bene alla gentilezza del Jedi. Si era spesso rivelato un prezioso aiuto, e in un paio di occasioni gli aveva anche salvato la vita.
Poi, un anno prima che il secondo apprendista di Qui-Gon lasciasse l’Ordine, era andato tutto a rotoli.
L’uomo serrò le labbra. Non amava ricordare quegli eventi. «A quanto pare» disse, «ho talento a scegliere i miei informatori tanto quanto ho talento ad insegnare».
Taren si accigliò. «Questa storia l’ho già sentita…»
Qui-Gon scosse la testa. Non avrebbe dovuto dare una possibilità a Daken, così come avrebbe dovuto lasciare che qualcun altro addestrasse il suo secondo allievo.
«Se assistessi al tuo duello con Drallig» domandò a Taren, cambiando argomento, «ti dispiacerebbe?»
L’altro gli scoccò un’occhiata, poi fece un cenno di diniego. «Fai come vuoi».
Così, quando Taren fu tornato dalla sua lezione ai due piccoli del Clan del Katarn, e Cin Drallig si presentò nella palestra, Qui-Gon era già lì… Seduto su una panca con le mani in grembo, osservò tutto il duello.
L’apprendista era davvero dotato, e riuscì a duellare abilmente con Taren – un Maestro Jedi che, di fatto, aveva circa il doppio dei suoi anni e della sua esperienza.
Osservandoli, Qui-Gon non poté fare a meno di pensare che non c’era da meravigliarsi, se il Maestro Yoda trascorreva un po’ del suo tempo ad insegnare a quel Padawan.
Alla fine del match, Taren e Cin Drallig si avvicinarono alla panchina dov’era seduto Qui-Gon.
Quando il ragazzo vide l’uomo, ebbe un sussulto. «Maestro Jinn» lo salutò, «non so se vi ricordate di me, sono…»
«Certo che mi ricordo di te, Padawan Drallig» lo interruppe Qui-Gon, gentilmente. «E devo dire che, dall’ultima volta che ti ho visto combattere, il tuo Ataru è ulteriormente migliorato».
Il ragazzo sorrise al complimento. «Tuttavia, dubito di averne la padronanza che ne avete voi… o il Maestro Yoda…» Fece una pausa. «Vi andrebbe di duellare con me?»
Qui-Gon portò una mano alla spada laser, sfiorando il metallo con le dita. «Sarà un piacere».
Fu un piacere davvero.
Il Padawan Drallig era già stanco, e fu Qui-Gon ad aggiudicarsi il match senza troppe difficoltà, ma il ragazzo si batté bene e l’uomo rimase abbastanza soddisfatto.
«Certe sequenze dell’Ataru sono molto aggressive» commentò l’apprendista, asciugandosi un po’ di sudore dalla fronte, «ma dopotutto è una forma offensiva… e secondo il Maestro Yoda si adatta bene al mio stile di combattimento».
«Non ha torto» disse Qui-Gon.
«Mi chiedo» intervenne Taren, guardando l’altro Maestro, «se l’Iniziato Kenobi sarebbe portato per l’Ataru».
L’uomo lo ignorò, ma Cin Drallig si voltò verso di lui. «Obi-Wan Kenobi?» chiese.
Quella domanda attirò l’attenzione di Qui-Gon. «Lo conosci?»
Il giovane annuì. «Certo» assicurò, con un breve sorriso. Sembrava che per lui fosse una risposta quasi scontata, ma non si dilungò sul perché. «Sapevate che c’è chi crede che potrebbe essere il prossimo Padawan del Maestro Yoda?»
«L’ho sentito dire proprio oggi» rispose Qui-Gon.
«Avevo interrogato il Gran Maestro in proposito…» accennò Drallig. «Gliel’ho proprio chiesto: “È vero che vuoi prendere Obi-Wan Kenobi come tuo futuro Padawan?”».
«E lui cos’ha risposto?» chiese Qui-Gon.
«Ha risposto a modo suo» rispose il Padawan. «Certe cose – mi ha detto – non dipendono solo dalla volontà dei singoli, ma anche e soprattutto dalla volontà della Forza».
«Sarà stata un’impresa, capire se si trattasse di un sì o di un no» osservò Taren, con l’aria di simpatizzare pienamente col giovane.
«Direi che è caratteristico del Maestro Yoda» commentò Qui-Gon.
Cin Drallig si limitò a scrollare il capo. «Ci sono abituato, ormai».

Quella sera, quando si presentò nell’alloggio di Qui-Gon, Obi-Wan sembrava piuttosto provato.
Poiché, durante il loro breve incontro di quel pomeriggio, il bambino gli era sembrato vispo come di consueto, Qui-Gon suppose che la lezione di Yoda fosse stata abbastanza impegnativa.
Fortunatamente, la meditazione non richiedeva un gran dispendio di energie… Con un gesto, Qui-Gon invitò Obi-Wan ad accomodarsi nel solito posto, sotto la finestra.
Il bambino era quieto, e questa non era una novità, ma sembrava anche un po’ distratto.
«Iniziato Kenobi» chiese Qui-Gon ad un certo punto, «va tutto bene?»
Obi-Wan lo guardò. «Sì, Maestro Jinn. Mi sento solo un po’ strano».
«Strano?» ripeté Qui-Gon, in tono indagatore. «E da quanto?»
L’Iniziato sembrò doversi impegnare, per rifletterci su. «Da… dalla fine della lezione del Maestro Yoda, mi sembra».
«Avresti dovuto dirglielo» affermò Qui-Gon.
«Perché?» domandò Obi-Wan. Strizzò gli occhi. «Sono… sono solo un po’ stanco».
Lui diceva così, ma la Forza e l’esperienza sembravano suggerire a Qui-Gon tutta un’altra cosa…
L’uomo si protese verso il bambino e gli posò una mano sulla fronte, scoprendola ben più calda di quanto fosse normale.
«Invece hai una bella febbre, temo» disse, mentre Obi-Wan tirava indietro la testa. «Sarà meglio fare un salto dai Guaritori».
Quando si alzò, prese un braccio di Obi-Wan per aiutarlo a sollevarsi a sua volta.
Il bambino sembrava un po’ frastornato. «Ma… e la nostra lezione?» obiettò.
«La nostra lezione aspetterà che tu sia tornato in salute» replicò Qui-Gon, guidando Obi-Wan verso l’uscita dell’alloggio.
L’Iniziato guardò in su, verso il volto del Maestro Jedi. «Vuol dire che non te ne andrai?»
Qui-Gon fu sorpreso da quella domanda, o forse dal modo in cui venne posta. «Di certo non me ne andrò domani» rispose alla fine.
Obi-Wan non sembrò molto soddisfatto, ma non aggiunse nient’altro.
Ben presto, la sua testa iniziò a ciondolare, e i suoi passi si fecero più incerti; Qui-Gon, dal canto suo, gli teneva una mano sulla spalla per guidarlo.
Presero l’ascensore, e Obi-Wan si poggiò pesantemente contro il Maestro Jedi, chiudendo gli occhi.
«Obi-Wan?» lo chiamò Qui-Gon.
«Mi fa male la testa» mugolò il bambino, premendosi una mano contro le palpebre.
«Siamo quasi arrivati» lo confortò l’uomo.
Le porte dell’ascensore si aprirono, e i due uscirono, arrivando alle Sale dei Guaritori.
Obi-Wan doveva essere davvero una faccia nota, da quelle parti. L’apprendista dietro al bancone della reception, infatti, non parve per nulla sorpreso di vederlo.
«Il Guaritore Von Le è in ambulatorio…» si limitò a dire. «Seconda porta a destra».
Qui-Gon annuì, e guidò Obi-Wan dove indicato.
La stanzetta in questione comprendeva un lettino e una piccola scrivania. Dentro c’era solo il Vultan, che gettò ad Obi-Wan uno sguardo quasi rassegnato.
Aiutò il bambino a sedersi sul lettino, e gli sentì la fronte col dorso della mano.
Obi-Wan aveva le dita strette ad un lembo della toga di Qui-Gon, così l’uomo dovette star fermo lì accanto.
«Ha detto che si sente strano da un po’ di tempo, e mentre venivamo qui ha iniziato a fargli male la testa» spiegò al Guaritore.
Von Le annuì, e visitò rapidamente il bambino. «Influenza» fu il verdetto. «È una forma virale che è in giro in questi giorni…»
Obi-Wan alzò su di lui i propri occhi. «Devo restare qui?» chiese, con una manifesta mancanza di entusiasmo.
«Lo preferirei» gli rispose Von Le, con franchezza. «Ma non preoccuparti: la febbre e gli altri sintomi dovrebbero passare in quattro giorni al massimo».
Il bambino non sembrò trovarlo un lasso di tempo trascurabile, e strinse la presa sulla toga di Qui-Gon.
Gli occhi di Von Le balenarono per un istante sulla mano di Obi-Wan. «Vediamo di sistemarti in una delle stanze» disse poi. «Informerò la Maestra Yula che il Maestro Jinn ti ha portato qui».
Dopodiché lui, Qui-Gon ed il bambino uscirono in corridoio.
Von Le li fece entrare nella prima camera libera… Qui-Gon prese subito nota dell’ambiente: un letto dalle lenzuola immacolate, un paio di sedie per eventuali visitatori, alcuni monitor spenti.
Siccome il Guaritore aveva da fare, lui restò per aiutare Obi-Wan a cambiarsi nel camice azzurro chiaro dei pazienti…
La febbre si era alzata: la pelle del bambino era diventata bollente, e lui tremava come una foglia.
Si raggomitolò subito sotto le coperte, e Qui-Gon gli passò una mano sulla schiena inarcata. «Dovresti distenderti» gli suggerì.
Battendo i denti, Obi-Wan gli lanciò uno sguardo con due occhi arrossati.
«Se ti distendi» disse allora l’uomo, «il sangue circola meglio… e dovresti scaldarti».
Un po’ riluttante, il bambino seguì il consiglio dell’uomo… All’inizio, rabbrividiva quasi convulsamente, ma poco a poco i tremiti si attenuarono.
«Maestro Jinn» chiese il bambino, «puoi spegnere la luce? Mi dà fastidio».
Un gesto dell’uomo, e la stanza si oscurò.
Qui-Gon era chino sul bambino e, quando si sollevò, si accorse che Obi-Wan aveva nuovamente chiuso una mano sulla sua toga.
«Iniziato Kenobi…» iniziò.
«Puoi… puoi restare?» implorò il bambino. «Solo un po’. Per favore».
Qui-Gon esitò, una mano su quella di Obi-Wan, già pronta a staccare quelle piccole dita dalla stoffa scura. Lentamente, l’uomo si sedette sul bordo del letto. «Va bene».
Quasi un’ora più tardi, Obi-Wan si addormentò.
Qui-Gon si alzò con cautela, continuando a guardare verso il letto. Contro il cuscino, poteva vedere la sagoma della testa del bambino.
Piano, gli sfiorò la nuca, quindi si raddrizzò e se ne andò in silenzio.






























Note:
Mmm. Capitolo chilometrico, introduzione di altri personaggi… Siete ancora vivi?
Cin Drallig fa la sua – brevissima – comparsa nel terzo film: interpretato da Nick Gillard (il coordinatore degli stunt della nuova trilogia), è uno dei Jedi che Obi-Wan vede nelle registrazioni di sorveglianza del Tempio… E, da quanto ho capito, deve avere un ruolo più consistente nel videogioco de “La vendetta dei Sith”…
Un grazie a tutti coloro che leggono!
(Per inciso, qualsiasi recensione sarebbe riverita come se si trattasse di George Lucas in persona u.u)
A martedì 15 ottobre!

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Capitolo 7
*** Livello di coinvolgimento ***


Capitolo 07 – Livello di coinvolgimento

Il giorno successivo, Qui-Gon cercò di tenersi lontano dall’Ala dei Guaritori.
Il suo livello di coinvolgimento con quell’Iniziato stava diventando troppo alto… Per il bene del bambino, avrebbe fatto meglio a tenersi alla larga.
Aveva forse dimenticato il suo secondo apprendista? Voleva forse che anche Obi-Wan Kenobi si ritrovasse con nient’altro che una manciata di sogni infranti?
Quel pensiero lo fece fremere. No, si rispose. Certo che no.
Il ricordo del malessere del bambino, però, continuava a martellargli in testa… e nel pomeriggio gettò ai rovi le proprie riserve e decise di andare a vedere come stava l’Iniziato.
Obi-Wan era seduto sul letto, i cuscini arrangiati in modo da sorreggergli la schiena, ed aveva un’espressione piuttosto demoralizzata. Ciononostante, sembrò illuminarsi non appena vide il Maestro Jedi.
«Come stai?» gli chiese Qui-Gon, tenendosi ben lontano dalla sedia accanto al letto del bambino.
Voleva sottolineare che la sua visita sarebbe stata breve, così rimase in piedi.
«Mi annoio» rispose Obi-Wan, sconfortato. «E adesso mi fa male anche la gola».
Qui-Gon ripensò alla riluttanza del bambino ad ammettere le proprie debolezze. A quanto pareva, era rassegnato all’idea di non poter nascondere un’influenza.
«Sembri più lucido di ieri sera» commentò. «La febbre si è abbassata, o sbaglio?»
«Lo ha fatto» ammise il bambino, «ma secondo il Guaritore Von Le non è niente di straordinario, e non ha voluto dimettermi. Ha detto che di solito di giorno la febbre è più bassa, ma è probabile che stanotte…» Fece una pausa eloquente.
«Capisco» sospirò Qui-Gon. «Se non altro, sei in buone mani».
«È vero» concordò Obi-Wan, alzando uno sguardo curioso sull’uomo. Dopo qualche istante, volle sapere: «Tu ti ammali mai, Maestro Jinn?»
La domanda era così candida che l’uomo rischiò di farsi sfuggire un sorriso.
«Sono un adulto» replicò. «Mi ammalo sì, ma più raramente rispetto a quando avevo la tua età».
Per un istante, Obi-Wan parve impegnato a immaginare Qui-Gon da bambino, poi guardò verso il soffitto. «Allora non vedo l’ora di diventare adulto».
«Non avere troppa fretta» gli disse Qui-Gon, con una certa tristezza. «Essere adulto ha anche i suoi svantaggi».
«Ad esempio?» domandò Obi-Wan.
“Ad esempio, finché sei bambino è improbabile che tu conosca il tradimento, o il fallimento”.
«Ad esempio, i capelli ingrigiscono e iniziano a sbiancare, mentre i muscoli perdono elasticità» rispose Qui-Gon.
Il bambino si accigliò. «No» disse, con sicurezza, «questo succede ai vecchi. Non agli adulti».
Qui-Gon lo guardò, divertito. «Dunque tu fai distinzione tra le due categorie» commentò. «E io in quale mi trovo, se posso chiedere?»
Obi-Wan non ebbe la minima esitazione. «In quella dei vecchi».
Un sorriso ammorbidì i lineamenti leonini dell’uomo. «Ma davvero?» domandò lui, in tono divertito. «Allora non oso immaginare di che categoria faccia parte il Maestro Yoda…»
Il bambino ci pensò su. «Be’» disse infine, giocherellando con l’orlo del lenzuolo, «penso che il Maestro Yoda dovrebbe avere una categoria tutta per lui».
«La categoria dei troll?» s’informò Qui-Gon.
Obi-Wan lo fissò con espressione sbalordita. «Ecco…»
Qui-Gon percepì il suo smarrimento nel mancare di rispetto al Maestro Yoda, e scosse la testa. «Non importa» disse.
Il bambino lo guardò come per valutarlo. «Ti ho offeso, quando ho detto che sei nella categoria dei vecchi?»
L’uomo avanzò di un passo verso il letto. «Certo che no» assicurò.
«Perché non è vero» ci tenne a precisare Obi-Wan. «Sei in quella degli adulti, in realtà».
Qui-Gon si ritrovò a sorridere di nuovo. «Senza dubbio, questo mi fa sentire molto meglio» commentò.
Il bambino abbozzò un sorriso, poi emise un sospiro stanco e la sua schiena affondò più profondamente nei cuscini.
In quel momento, l’apprendista di Von Le entrò nella stanza, le dita verde pallido che reggevano un vassoio. Vedendo Qui-Gon, si bloccò con aria sorpresa. «Oh, Maestro Jinn… non sapevo che foste qui».
«Venite pure» replicò l’uomo, «stavo per andarmene».
Obi-Wan sbatté le palpebre, e la sua espressione si fece delusa. «Vai via?»
«Penso che adesso tu debba mangiare qualcosa, Obi-Wan» rispose Qui-Gon.
«Esatto» confermò la Duros, avvicinandosi al letto del bambino.
Vedendo la minestra e la purea che riempivano i piatti, Obi-Wan arricciò il naso. «Non ho fame» dichiarò.
«Cerca comunque di mangiare un po’» disse la giovane.
Qui-Gon protese i sensi verso Obi-Wan, e quando percepì lo stordimento dato dalla febbre, il bruciore della sua gola e la mollezza del suo stomaco, non si meravigliò affatto della mancanza di appetito del bambino.
«Iniziato Kenobi…» insistette l’apprendista Guaritrice.
«Obi-Wan» intervenne l’uomo, «tu vuoi rimetterti in forze, giusto?»
Lo sguardo del bambino si spostò su di lui. «Giusto» rispose controvoglia l’Iniziato, che probabilmente si aspettava un trabocchetto.
«Lo immaginavo» disse l’uomo. «In questo caso, faresti meglio a mangiare. Senza cibo, è probabile che impiegherai più tempo a guarire».
Il bambino spostò gli occhi sul piatto, e sospirò. «D’accordo…»
Qui-Gon gli lanciò uno sguardo d’approvazione. «Molto bene» disse.
«Che la Forza sia con te» gli augurò Obi-Wan.
«E con te» replicò Qui-Gon, prima di rivolgere un inchino alla giovane Duros ed uscire dalla stanza.
A metà strada tra la camera di Obi-Wan e l’accettazione, incrociò il Guaritore Von Le. «Maestro Qui-Gon» lo salutò quest’ultimo. «Stavo andando a cenare… Vorresti unirti a me?»
L’uomo indugiò un istante. Alla fine, però, annuì. «Certo».
Così, lui ed il Guaritore si diressero nel refettorio. Von Le era una compagnia abbastanza silenziosa, ma dopo che si furono accomodati tennero una breve conversazione su alcune ricerche che stava svolgendo il Corpo Medico dei Jedi.
Avevano quasi finito di mangiare, quando il Vultan aggrottò la fronte. «Scusami un momento» disse, rivolto a Qui-Gon.
Prese il proprio comlink e si allontanò un poco dal tavolo per rispondere alla propria apprendista.
Quando si riavvicinò al Maestro Jedi, disse brevemente: «Pare che Obi-Wan Kenobi abbia di nuovo la febbre alta».
«Capisco» disse Qui-Gon, calmo, anche se una parte di lui si sentì punta dal pensiero del bambino ammalato. «Va’ pure».
Von Le annuì e iniziò ad allontanarsi… Era ormai uscito dal refettorio, quando il Maestro Jedi si alzò e gli andò dietro. Il Guaritore gli lanciò un’occhiata, ma non commentò.
Quando giunsero sulla soglia della stanza di Obi-Wan, Qui-Gon fu investito dall’agitazione e dal malessere del bambino.
L’Iniziato batteva i denti e si teneva rannicchiato su un lato del letto, sordo alle parole dell’apprendista che cercava di fargli mandar giù una pillola.
Von Le fu al fianco del letto in un istante, e dopo un po’ di tempo riuscì ad attirare l’attenzione del bambino e a convincerlo ad inghiottire il medicinale.
Con aria infelice, Obi-Wan affondò il viso contro il cuscino.
Qui-Gon arrischiò ad avvicinarsi. «Quando dovrebbe far effetto, quella pillola?» chiese piano, gli occhi puntati sul bambino raggomitolato.
«È probabile che domattina starà meglio» rispose Von Le, nello stesso tono sommesso.
Obi-Wan continuava ad essere scosso dai brividi, così l’apprendista Guaritrice si chinò su di lui per rimboccargli al meglio la coperta.
«Domattina?» chiese Qui-Gon.
Il Guaritore lo guardò. «La pillola serve a combattere il virus, non la febbre. La febbre è un sintomo, non la causa del malore. È il modo in cui il suo corpo combatte il virus».
Prima che Qui-Gon potesse replicare, un altro Jedi si affacciò alla porta. «Signore?» chiamò e, per riguardo verso il bambino malato, tenne la voce ridotta ad un sussurro. «Ci serve una mano».
Von Le annuì. «Arrivo subito» disse. Lanciò un’occhiata a Qui-Gon. «Resti tu con Obi-Wan?»
L’uomo fece segno di sì senza esitare.
Il Vultan, allora, si diresse verso la porta, facendo segno alla sua apprendista di seguirlo.
Rimasto solo nella stanza, Qui-Gon riportò lo sguardo su Obi-Wan.
Lo stress del bambino lo investì come un’ondata rovente. D’impulso, l’uomo si chinò su di lui e gli accarezzò la schiena tesa e i capelli madidi di sudore.
«Calmo, Obi-Wan» disse, «non è niente».
Gli occhi arrossati del bambino lo cercarono, e le sue mani si tesero ad afferrare la sua toga, per attirarlo più vicino. Qui-Gon lo lasciò fare.
Quel che seguì, fu una lunga nottata. Per la maggior parte del tempo, Obi-Wan si agitò, emettendo qualche lamento, sudando e tremando dalla testa ai piedi.
Ad un certo punto, toccando le guance bollenti del bambino, Qui-Gon fu pressoché sicuro di sentire l’umidità di alcune lacrime di dolore.
Era quasi mattino, quando Obi-Wan alzò sull’uomo i propri occhi pesti e arrossati e farfugliò qualcosa.
Qui-Gon si fece immediatamente attento. «Cosa?» domandò, con voce sommessa.
«…altissimo…» mormorò confusamente il bambino. «…non avevo capito… nella visione non avevo capito… che eri così alto…»
L’uomo sbatté le palpebre, ma a quel punto Obi-Wan scivolò in un sonno agitato.
A mezzogiorno stava ancora dormendo, e sembrava finalmente più tranquillo. Qui-Gon gli sfiorò la fronte, e notò che la febbre doveva essere scesa.
Da parte del bambino, percepiva un grosso sfinimento… Tanto che, se Obi-Wan avesse dormito sino a quella sera, non se ne sarebbe affatto stupito.
In silenzio, l’uomo si alzò in piedi. Mosse qualche passo per sgranchirsi i muscoli indolenziti, poi – dato che Obi-Wan sembrava star meglio – decise di tornare nel proprio alloggio.
Dopo aver messo qualcosa sotto i denti ed essersi un po’ riposato, si trovò a pensare alle parole del bambino.
Aveva detto di non aver capito che lui fosse così alto. E la prima volta che si erano incontrati aveva sostenuto che lui avrebbe cambiato una vita.
Allora Obi-Wan Kenobi aveva davvero avuto una visione su di lui?
L’uomo aggrottò la fronte, chiedendosi cosa fare. Era il caso di reintrodurre l’argomento col bambino?
Altrimenti, a chi altri avrebbe potuto chiedere qualche chiarimento?
A Yoda? Taren diceva che Obi-Wan, solitamente, confidava le proprie visioni al vecchio Maestro…
Dopo aver riflettuto, Qui-Gon prese la sua decisione. Uscì dal proprio alloggio, dirigendosi a cercare il Gran Maestro.
Lo incrociò lungo un corridoio, in compagnia del Padawan Cin Drallig.
«Maestro Yoda?» chiamò, avvicinandosi. «Potrei parlarti un momento?»
Gli occhi del piccolo Maestro si alzarono su di lui, indagatori. Dopo un momento, Yoda annuì e si rivolse al giovane Drallig: «Da soli lasciarci puoi, Cin?»
Il ragazzo annuì. «Sì, Maestro».
Rivolse un inchino ad entrambi, e si allontanò a grandi passi.
Yoda attese un momento, poi riprese a camminare, appoggiandosi pesantemente al proprio bastone. «Parlare di cosa, tu desideri?»
Qui-Gon evitò qualsiasi preambolo: «Di Obi-Wan Kenobi».
«Mmm» fece Yoda. «Che si è ammalato, saputo ho. Meglio, si sente?»
L’interessamento del Gran Maestro era genuino, e Qui-Gon rispose con onestà: «Questa notte ha avuto la febbre molto alta, ma verso mezzodì sembrava star meglio. Ora credo che stia dormendo».
«Passato la notte al suo capezzale, tu hai, mmm?»
L’uomo lasciò andare un respiro. «Sì, Maestro».
Stranamente, Yoda non ne approfittò per tornare a premere sul tasto del Padawan. «Successo qualcosa è?» domandò invece.
Qui-Gon annuì, incrociando le braccia. «Sì, in effetti» rispose, mentre si spostavano lungo il corridoi al ritmo dello zoppicare di Yoda. «Stanotte, ad un certo punto, ha detto qualcosa sul fatto che, quando mi aveva visto nella sua visione, non aveva capito che fossi così alto…»
Yoda non disse nulla, aspettando che l’altro continuasse.
«E quando l’ho conosciuto, il giorno del mio ritorno» disse allora Qui-Gon, «mi aveva detto che sapeva che avrei cambiato una vita».
Yoda rifletté, poi annuì tra sé e sé.
Qui-Gon attese che dicesse qualcosa. Quando non lo fece, lui incalzò: «Obi-Wan ti ha detto di aver avuto una visione su di me?»
Il Gran Maestro parve ponderare la domanda. «Di una visione, parlato mi aveva» ammise alla fine. «Di un uomo che una vita cambiato avrebbe…» Si fermò, ed alzò su Qui-Gon uno sguardo grave. «Che la visione su di te fosse, non sapevo».
Allora era vero.
«Cosa credi significhi?» chiese Qui-Gon, aggrottando la fronte. «Obi-Wan mi aveva anche parlato di due porte, del fatto che solo io avrei potuto scegliere quale aprire…»
Yoda si portò una mano pensosa al mento. «Enigmatico, il futuro è» disse alla fine. «Indefinite, le visioni del giovane Obi-Wan sono. Dare un’interpretazione… complicato è».
L’uomo sospirò. Per questo preferiva la Forza Vivente. Era chiara e limpida come un ruscello di montagna, mentre quella Unificante era buia e burrascosa come un cielo in tempesta.
«A te, di porte ha parlato» aggiunse Yoda. «A me, di strade».
La fronte di Qui-Gon si increspò appena.
Strade da imboccare, porte da aprire… Obi-Wan doveva aver usato quelle immagini per meglio spiegare che l’uomo della sua visione avrebbe dovuto affrontare una scelta importante.
E in mensa, quel giorno, aveva riconosciuto in Qui-Gon quell’uomo.
Ma perché un Iniziato avrebbe dovuto avere una visione su di lui? C’era qualcosa che lo legava a quel bambino, qualcosa più grande di entrambi?
Qui-Gon scosse la testa. Erano domande, quelle, alle quali solo il tempo avrebbe potuto rispondere.

Se non altro, la parte peggiore dell’influenza sembrava essere passata.
Allo scadere del quarto giorno, Obi-Wan non aveva più la febbre e la sua gola era guarita. Aveva ricevuto la visita di un terzetto di Iniziati, della Maestra Yula e del Maestro Yoda, e alla fine arrivò anche Qui-Gon.
Il bambino gli chiese subito di poter riprendere le lezioni, e l’uomo acconsentì.
A visita conclusa, mentre si dirigeva al suo alloggio, scorse Feemor in compagnia di una piccola Twi’lek.
Lei aveva un visino tondo, arancione, due grandi occhi blu, e da uno dei suoi lekku pendeva una fila di perline.
Qui-Gon non ebbe bisogno di avvicinare il suo ex apprendista per chiedere chiarimenti. Per le specie senza capelli, le perline erano un’alternativa alla treccia da Padawan.
Tenendosi in disparte, osservò l’uomo biondo parlare con la ragazzina, ed avvertì una sorta di vuoto allo stomaco. La Padawan sembrava avere dieci anni… Il secondo allievo di Qui-Gon, quando lui l’aveva scelto, ne aveva undici.
Il silenzio, prima che Feemor potesse accorgersi della sua presenza, l’uomo si voltò e si allontanò.
Quella sera, Obi-Wan si presentò da lui, puntuale come al solito. Aveva l’aria un po’ smunta, ma sembrava essere tornato in salute.
Qui-Gon, però, lo colse più volte intento a guardarlo con una strana espressione, a metà tra lo scoraggiamento e la ponderazione.
«Qualcosa non va, Obi-Wan?» gli domandò alla fine.
Il bambino sussultò. «No, Maestro Jinn» si affrettò a rispondere, «è solo che…»
Esitò, chiaramente indeciso se continuare o meno.
«Sì?» lo spronò il Maestro Jedi.
«Solo che un’Iniziata è stata presa come Padawan, oggi» completò il bambino, in un sussurro.
Qui-Gon annuì lentamente, ripensando a Feemor e alla sua nuova apprendista. «Lo so».
Le sue parole parvero riecheggiare in modo strano, ed il silenzio calò nella stanza.
L’uomo aggrottò la fronte. Non gli serviva avere un gran legame con la Forza Unificante, per capire che la situazione stava andando ad incagliarsi in qualcosa che non gli sarebbe piaciuto.
Alla fine, Obi-Wan trasse un respiro e alzò i suoi occhi grigio-azzurri su Qui-Gon. Quando parlò, il suo tono era rassegnato, a malapena udibile. «Non mi prenderai come apprendista, vero?»
L’uomo rimase interdetto. Per qualche istante, non rispose. «Tu hai un buon potenziale, Obi-Wan» iniziò poi, lentamente, «e hai anche delle mancanze. Ti occorre un Maestro che sappia aiutarti a sviluppare il primo e a correggere le seconde. E questo Maestro non posso essere io».
Aveva parlato con calma, e Obi-Wan attese un momento, prima di replicare. «Dici così perché è successo qualcosa di brutto col tuo ultimo allievo?»
Qui-Gon lo fissò, sentendosi come se fosse stato investito da un vento gelido. «Cosa?» chiese, più freddamente di quanto avrebbe voluto.
Il bambino si ritrasse al suo tono, ma lo guardò in faccia mentre rispondeva, esitante: «Si dice che è successo qualcosa di brutto col tuo allievo. Per questo non vuoi più prendere un Padawan».
Per un momento, ci fu di nuovo silenzio.
«L’unica cosa che è successa col mio allievo» disse poi Qui-Gon, con voce misurata, «è che io ho fallito nell’addestrarlo».
Obi-Wan inghiottì a vuoto.
«Non ho saputo guidarlo verso il grado di Cavaliere, e questo è quanto» concluse il Maestro Jedi, in tono tagliente. «Perciò sì, Iniziato Kenobi, non credo di essere all’altezza del compito di Maestro, e penso che tu abbia troppa poca esperienza per convincermi del contrario».
«Ma tu mi hai insegnato» obiettò Obi-Wan. «Mi hai insegnato a meditare, e io sono diventato più bravo, davvero».
Qui-Gon attese un attimo, così da rilasciare le proprie emozioni nella Forza. Quando parlò, cercò di ammorbidire la propria voce: «Insegnare a meditare non è come insegnare ad un Padawan. E io non mi sento all’altezza di quel compito».
Obi-Wan trasse un respiro tremulo, guardandolo. «Ma a me…» osò dire, «a me piacerebbe… tanto… essere il tuo Padawan».
Qui-Gon rimase a corto di parole.
Avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto tenersi lontano da quel bambino.
Ma non lo aveva fatto, ed ora era successo precisamente ciò che aveva cercato di evitare.
«Sono sicuro che riuscirai a trovare un Maestro che sappia insegnarti al meglio» disse infine.
Obi-Wan abbassò lo sguardo.
Rimase immobile a lungo, fissandosi le gambe e mordicchiandosi il labbro. «E se…» sussurrò poi, «e se nessuno mi scegliesse?»
«Allora sarebbe un segno che non è volere della Forza che tu divenga un Jedi» rispose stancamente Qui-Gon.
Il bambino non ribatté. Sembrava aver esaurito tutto il suo coraggio.
Alla fine, Qui-Gon ruppe il silenzio. «Credo sia ora che tu vada a cena».
Obi-Wan alzò la testa, ma evitò lo sguardo dell’uomo. «Sì, Maestro Jinn».
Si alzò in piedi, e Qui-Gon lo accompagnò alla porta. Per tutto il tempo, l’uomo fu sul punto di dirgli dell’altro, ma rimase in silenzio.
Aveva già fatto abbastanza danni.
Quando il bambino se ne fu andato, Qui-Gon andò a sedersi sul divano. Con un sospiro, affondò il viso tra le mani.

***

Il ragazzo piangeva, ma senza tristezza né disperazione.
I suoi singhiozzi erano aspri, rabbiosi, e sembravano farsi strada a forza nella sua gola.
Qui-Gon gli si avvicinò, senza desiderare altro che alleviare la sua pena. «Possiamo sistemare le cose, Padawan» gli disse, con voce sommessa. «Possiamo provarci».
I singulti cessarono di colpo, e il ragazzo sollevò i propri occhi pesti e arrossati sull’uomo, le tracce delle lacrime che si seccavano rapidamente sulla pelle delle sue guance.
Il suo sguardo, però, non cercava né pace, né consolazione.
«Come?» sibilò, velenosamente. «Ho le mani sporche di sangue, vecchio, capisci? No, non lo capisci. Ho le mani sporche di sangue».
Si era scostato, le labbra tese in una smorfia quasi feroce.
«E indovina di chi è la colpa».
Non era una domanda, e Qui-Gon conosceva la risposta. Il dolore che sentiva all’altezza del petto s’intensificò.
Ma non era la propria sofferenza, quella che voleva cancellare, così tese una mano verso il ragazzo.
«Non mi toccare! Non provare a toccarmi, mai. Non più».

***

La sera successiva, Obi-Wan non si presentò per la lezione.
Dapprima, Qui-Gon credette che il bambino fosse in ritardo, anche se prima di allora era sempre stato puntuale come un cronometro. Poi, pensò che dovesse raccogliere un po’ di coraggio, data la conversazione del giorno prima.
Alla fine, però, quando l’ora di cena arrivò e passò, l’uomo dovette arrendersi all’evidenza.
L’Iniziato Kenobi non sarebbe venuto. Doveva aver scambiato il suo congedo per un addio.
Qui-Gon si avvicinò alla finestra, e osservò le astronavi che volavano nel cielo, gli speeder che sfrecciavano tra gli edifici di Coruscant.
Trasse un sospiro.
Sino a quel momento, non si era reso conto di quanto avesse trovato piacevoli quelle lezioni che erano entrate a far parte della sua routine.
Insegnare ad Obi-Wan non era stato solo un metodo efficace per evitare di pensare al suo secondo allievo… lavorare con quel bambino lo soddisfaceva.
Già. In fin dei conti, non era stato solo lui a prendersi un posto nel cuore di Obi-Wan.
Anche quel bambino, poco a poco, si era insediato nel suo petto.
Qui-Gon si posò una mano stanca sul viso. Forse era il caso di andare a letto…
Si diresse verso la propria stanza, e si fermò un istante davanti a quella che era stata del suo secondo apprendista.
Il tempo di un respiro, e passò oltre.


















Note:
Prima o poi saranno felici, giuro! (Per la serie: non capisco se sto maltrattando di più Obi-Wan o Qui-Gon, mi sento un mostro!)
Intanto, per rinfrancarvi un po’ lo spirito, vi lascio il link (qui) di un’immagine che mi ha fatto ridere sino alle lacrime…
Ah, oggi è il mio compleanno, i commenti sono sempre regali graditissimi e ringrazio tutti i lettori di questa storia… Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Appuntamento a martedì 22 ottobre!

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Capitolo 8
*** Amicizia ***


Capitolo 08 – Amicizia

Il giorno dopo, l’uomo si recò a cercare Obi-Wan.
Non fu un’impresa molto facile: il Tempio era immenso, e la presenza del bambino nella Forza non era facilmente rintracciabile come quella del Maestro Yoda.
Riuscì a trovarlo solo a mezzogiorno, e lo intercettò all’uscita del refettorio.
Nel vederlo, il bambino sgranò gli occhi come se l’uomo fosse stato un’apparizione… Si bloccò proprio di fronte a lui, mentre altri Iniziati sciamavano fuori dalla mensa e li superavano.
«Possiamo parlare?» chiese Qui-Gon, semplicemente.
Obi-Wan esitò. I suoi occhi guizzarono verso gli altri ragazzini, poi tornarono sull’uomo. «Va bene».
Seguì Qui-Gon lungo i corridoi, ma teneva gli occhi bassi. Accorgendosene, l’uomo si sentì dolere il petto.
«Che ne dici?» domandò. «I giardini potrebbero essere il posto giusto?»
Il bambino azzardò un cenno affermativo.
Il Maestro Jedi, allora, lo guidò sino ai giardini del Tempio… Non c’era tanta gente, poiché molti erano ancora a mangiare.
«Sai, Obi-Wan» esordì Qui-Gon. «Quel che ho detto l’altro ieri… non significava che tu non potessi più venire a lezione da me».
Il bambino alzò di scatto la testa. Sembrava confuso. «Ma io… credevo… avevo capito…»
«Lo so» disse Qui-Gon. «Ma, vedi, il fatto che tu non sia il mio Padawan non ti vieta di parlare con me… né di essere mio amico».
Si erano fermati in mezzo al viale. Obi-Wan doveva tenere il viso inclinato verso l’alto per guardare in faccia l’uomo.
Notando una volta di più la loro differenza d’altezza, Qui-Gon ammise tra sé che era bizzarro, che un quarantaduenne chiedesse ad un bambino di sette anni di essere suo amico.
«Davvero?» domandò alla fine Obi-Wan.
Qui-Gon annuì. «Davvero».
Il bambino rifletté. «Ma io sono solo un Iniziato e tu un Maestro» disse poi, «sei sicuro che non ti annoierai, ad avermi come amico? Sai molte più cose tu di me».
Qui-Gon si concesse un breve sorriso. «Non mi annoierò, ne sono certo». Trasse un respiro. «E come amico, presumo di doverti delle scuse. Non sono stato molto gentile con te, l’alta sera».
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Maestro Jinn, non devi. Non erano affari miei, io…»
L’uomo lo fermò con un gesto della mano. «Obi-Wan. Dimmi solo se accetti le mie scuse».
Il bambino chiuse le labbra e annuì. «Sì, Maestro Jinn».
Qui-Gon gli rivolse un cenno del capo. «Ti ringrazio».
Obi-Wan sorrise, e ripresero a camminare.
«Maestro Jinn?» chiese il bambino dopo un po’. «Tu hai mai visto un Sarlacc?»
L’uomo gli gettò un’occhiata in tralice, un po’ sorpreso dalla domanda, e congiunse le mani dietro la propria schiena. «No, non ne ho mai visto uno» ammise. «Ma dopotutto è una bestia molto rara. Gli esemplari di cui si sa qualcosa sono uno su Felucia ed uno su Tatooine…»
«Tatooine?» domandò Obi-Wan, in tono perplesso. «Che pianeta è?»
Qui-Gon fece un gesto vago. «Non ci sono mai stato» rispose, «ma so che si trova nell’Orlo Esterno».
«Oh». Il bambino tacque per un istante. «Sul Sarlacc… sai com’è fatto?»
L’uomo annuì. «Ne ho visto delle immagini… È una creatura dotata di tentacoli, con un’enorme bocca e denti affilati».
Obi-Wan aggrottò la fronte. «E come vive?»
«Be’, dato che sono molto pericolosi e vivono in zone inospitali, non se ne sa molto. È una bestia onnivora, che scava dei nidi a forma di pozzo… e attende che un animale cada nel buco per poter mangiare».
«Ma se vivono in zone inospitali, non ci devono essere molti animali pronti a cadere nel suo buco» obiettò Obi-Wan.
Sì, pensò Qui-Gon, osservando il bambino, la Maestra Yula aveva ragione. Chiunque avrebbe preso Obi-Wan come Padawan, sarebbe stato davvero soddisfatto dalla sua intelligenza.
«A questo proposito» rispose, «mi sembra di ricordare che il Sarlacc abbia sviluppato un sistema digestivo che fa sì che una singola preda gli sia sufficiente per migliaia di anni…»
Obi-Wan sembrò rimuginare su quelle parole, poi si fermò e scosse la testa con aria confusa. «Non capisco» borbottò.
Qui-Gon si fermò a propria volta. «Che cosa non capisci?» chiese.
«Non capisco perché la prima forma di combattimento con la spada laser sia chiamata anche via del Sarlacc» rispose il bambino. «Non potevano scegliere un altro animale?»
Qui-Gon sbatté le palpebre. Per un istante, sentì quasi l’impulso di mettersi a ridere.
In effetti, lo Shii-cho, la prima forma di combattimento, quella dalla quale derivavano tutte le altre e che veniva insegnata agli Iniziati, era chiamato anche via del Sarlacc.
«Hai ragione» concesse Qui-Gon, «è stata una scelta infelice».
Obi-Wan scosse di nuovo la testa. «Almeno non hanno chiamato così un clan» disse poi, con aria estremamente seria. «Non penso che mi piacerebbe, far parte del Clan del Sarlacc».
Qui-Gon si lasciò sfuggire un sorriso. «Sono d’accordo».
Il bambino esitò un istante, poi domandò: «Tu in che clan eri, Maestro Jinn?»
«Nel Clan dello Heliost» replicò l’uomo.
«Oh» disse Obi-Wan, con un’espressione che il Maestro Jedi non seppe decifrare.
Quel momento di silenzio, però, ebbe vita breve, e Obi-Wan – con fare un po’ cauto, come se temesse di infastidirlo – pose all’uomo alcune domande sui pianeti su cui era stato.
Qui-Gon fu più che lieto di rispondere, e finì per raccontare al bambino una delle missioni che aveva portato a termine molti anni prima.
Obi-Wan era un ottimo ascoltatore, ma rimase piuttosto basito quando l’uomo ammise di non aver seguito alla lettera le disposizioni dategli dal Consiglio.
«E perché no?»
«Perché era meglio così» rispose l’uomo.
«Ma il Consiglio ti aveva chiesto di comportarti in un altro modo» obiettò il bambino.
Qui-Gon annuì. «È vero. Però, vedi, quando mi sono ritrovato sul pianeta, ho scoperto che avrei fatto meglio ad agire diversamente. Spesso, in missione, si scopre che le direttive del Consiglio non sono la soluzione più adatta».
«Ho capito» disse Obi-Wan, ma non sembrava molto convinto.
Si guardarono un po’ attorno, poi il bambino trasalì. «Maestro Jinn» chiamò.
L’uomo si voltò verso di lui. «Sì, Iniziato Kenobi?»
«Mi sono appena ricordato che adesso ho lezione col Maestro Kun…» rispose Obi-Wan, con aria imbarazzata.
«Non preoccuparti» disse l’uomo, «va’ pure. Ci vediamo stasera nel mio alloggio».
Quelle parole fecero sorridere un poco Obi-Wan. «Ci vediamo stasera» confermò. «Che la Forza sia con te, Maestro Jinn».
L’uomo annuì. «Che la Forza sia con te, Iniziato Kenobi».
Il bambino fece un inchino, poi scappò via.
Rimasto solo, Qui-Gon trasse un profondo respiro. Ora che le cose erano sistemate, si sentiva meglio.
«Un buon Maestro, tu sei».
Quel commento parve giungere dal nulla, ma l’uomo non ebbe neanche un sussulto. Si limitò a voltarsi, scoprendo il Maestro Yoda a qualche passo di distanza, intento a fissarlo.
Il vecchio troll si trovava tra due cespugli, ed aveva un’espressione impensierita.
«Mi stavi spiando, mio Maestro?» domandò Qui-Gon, inarcando un sopracciglio.
Yoda scosse la testa, unendo le mani sul proprio bastone. «Meditando poco lontano, stavo» rispose. «Sentito le emozioni del piccolo Obi-Wan, io ho».
«Capisco» disse Qui-Gon, senza aggiungere altro.
In effetti, non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni. Le aveva sentite anche lui, quelle emozioni…
«Ciò che col tuo allievo successo è, colpa tua non è stata» disse Yoda.
Qui-Gon sbatté le palpebre. Aveva già sentito quelle parole, e in passato aveva reagito con un’occhiata muta e con l’andarsene. Stavolta, rimase dov’era.
«Aveva talento» disse, «sarebbe potuto diventare un gran Cavaliere Jedi».
«Con le congetture, nulla si ottiene» replicò Yoda. «Di fatto, un Cavaliere diventato non è».
«Di fatto» rispose Qui-Gon, «non ho saputo insegnargli. Non mi sono reso conto di quanto la sua frustrazione stesse crescendo… O meglio, ho chiuso gli occhi davanti alla sua insoddisfazione. Mi sono detto che doveva essere un malumore passeggero… Non è stato così».
«La causa del suo malumore, tu non sei stato» affermò il Maestro Yoda.
L’uomo sospirò. «Lui ha sostenuto il contrario» rispose. «Quando è esploso, alla fine… Mi ha detto che era stata colpa mia. Che non avevo saputo insegnargli. Che ero stato un cieco davanti alle sue esigenze».
«Esigenze?» sbuffò Yoda. «Che esigenze? Un bambino, non era, ma un Padawan Jedi».
«Aveva ragione, dicendomi che sono stato un cieco» replicò Qui-Gon. «I segnali erano stati tanti, Maestro. Nel corso degli anni, ha persino ucciso due criminali – due persone – che invece avremmo potuto arrestare. So che nel primo caso la situazione era… critica, e nel secondo per catturarlo avremmo impiegato più tempo e fatica… ma cosa sono tempo e fatica, se evitano la morte di qualcuno? Quelle vite sono andate perse per colpa mia».
«Mmm» disse Yoda. «Grande frustrazione, dentro il ragazzo c’era. Troppo voleva. Impossibile era, che della vita di un Jedi si accontentasse… La sua indole, non i tuoi errori, la possibilità di diventare Cavaliere gli hanno precluso».
Qui-Gon scosse la testa, gli occhi puntati verso un albero poco lontano.
«Molto diversa, l’indole del giovane Obi-Wan è» aggiunse Yoda. «Grande desiderio di diventare un Jedi, il bambino ha. Il suo sentiero, questo è…»
L’uomo non rispose, ma aggrottò appena la fronte. «Cosa vuoi dirmi?» chiese, stancamente.
«Un tuo fallimento, non è stato» disse Yoda, pazientemente. «Un grande Maestro, tu sei. Esasperante, ma grande».
Ciò detto, si voltò e zoppicò via senza attendere una replica.
Qui-Gon sospirò e chiuse gli occhi.
Lui ed il suo secondo allievo avevano lavorato insieme per otto anni. Lo aveva visto crescere da un undicenne ad un diciannovenne.
E ricordava perfettamente il giorno in cui era finito tutto.
Ricordava che il suo apprendista aveva sgozzato quel nemico che stavano cercando di catturare… Ricordava di avergli rivolto parole dure, e di averlo punito col proprio silenzio durante il viaggio in astronave.
Poi, quando erano giunti al Tempio, nel loro alloggio, lo aveva rimproverato aspramente.
Il ragazzo era rimasto immobile ad ascoltarlo, ma i suoi occhi non avevano mostrato né vergogna né rimorso. Il suo sguardo era freddo e tempestoso.
Quando Qui-Gon aveva taciuto, era stato lui a parlare.
Si era alzato e aveva affrontato il suo Maestro. Lo aveva accusato di averlo addestrato male, di non avergli insegnato a controllare le proprie emozioni.
Ora non sarò mai un Jedi, ed è colpa tua, aveva sibilato.
Qui-Gon ricordava ancora il proprio shock di fronte all’espressione feroce del suo apprendista.
Aveva cercato di calmarlo, di parlargli, ma il ragazzo non aveva voluto ascoltarlo. Aveva continuato ad incolparlo, invece, poi era entrato come una furia nella propria stanza, aveva infilato tutti i suoi averi in una borsa… e se n’era andato.
Qui-Gon aveva cercato di farlo tornare, ci aveva provato davvero… Lo aveva persino visto piangere di rabbia in una stanza d’albergo, e non aveva desiderato altro che lenire quella pena… Ma tutti i suoi tentativi di riconciliazione erano andati a vuoto.
Il suo secondo apprendista si era presentato davanti al Consiglio, e aveva lasciato l’Ordine dei Jedi.
Circa una settimana più tardi, se n’era andato da Coruscant, senza nemmeno parlare un’ultima volta col suo vecchio Maestro.
Qui-Gon chiuse un istante gli occhi.
Le prime settimane, il vuoto lasciato dove un tempo c’era stato il suo legame con l’apprendista era stato… devastante.
Non riusciva a concentrarsi su nient’altro.
Poi aveva chiesto una missione al Consiglio. E, appena era rientrato, ne aveva chiesta un’altra. E un’altra. E un’altra ancora.
Erano passati tre anni, da quando il suo allievo se n’era andato.
E, in tutto quel tempo, l’unica persona che fosse riuscita a farlo fermare di sua volontà al Tempio… era stato Obi-Wan Kenobi.


























Note:
Capitolo un po’ corto, lo so… Prometto che mi rifarò col prossimo :)
Intanto mi auguro di non aver combinato pasticci con Yoda… il modo in cui parla è un attentato alla salute mentale di qualsiasi fanwriter… Ma bando alle ciance!
Vorrei ringraziare di nuovo Sylvia Naberrie, chi_lamed e ilgladiatore99 per le ultime recensioni con auguri di compleanno allegati ^^
E che altro? Grazie a tutti coloro che sono abbastanza coraggiosi da leggere questa storia, spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto!
A martedì 29 ottobre!
P. S. Oh, già. Il Sarlacc è quella creaturina adorabile che, ne “Il ritorno dello Jedi”, per poco non si mangia Luke e compagnia… E sul clan di Qui-Gon non abbiamo informazioni come su quello di Obi-Wan, così ho deciso io dove collocarlo (questo mi fa tanto Cappello Parlante).

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Capitolo 9
*** Ritrattazioni ***


Capitolo 09 – Ritrattazioni

Dopo un po’, Qui-Gon decise di tornare al proprio alloggio.
Stava camminando lungo il corridoio a passi più pesanti del solito, quando sentì qualcuno di familiare alle proprie spalle.
Si girò, e i suoi occhi individuarono prima Taren e poi Obi-Wan. Il Maestro Jedi e l’Iniziato erano fianco a fianco, e il bambino si teneva una mano premuta sulla spalla.
Qui-Gon andò loro incontro. Taren parve sorpreso di vederlo, mentre Obi-Wan s’illuminò.
«Cos’è successo?» domandò Qui-Gon, senza preamboli.
«Nulla di grave» replicò Taren. «L’Iniziato Kenobi ha avuto un piccolo incidente».
L’uomo spostò immediatamente lo sguardo su Obi-Wan. «Ti sei fatto male?»
L’imbarazzo irradiò dal bambino, e lui premette con più forza contro la propria spalla. «Non è niente, Maestro Jinn. L’abbiamo già messo sotto l’acqua fredda».
«È vero» confermò Taren, con un’espressione che non prometteva nulla di buono. «Ma ha comunque bisogno di vedere un Guaritore. Ti dispiace accompagnarlo, mentre io torno dal resto del suo clan?»
Qui-Gon tacque un istante, ma poi annuì. «Certamente».
«Bene» disse Taren, in tono sin troppo neutro. Dedicò un’occhiata significativa a Qui-Gon, quindi si allontanò a lunghi passi.
L’uomo lo seguì con lo sguardo, poi si rivolse ad Obi-Wan. «Andiamo».
Mentre si dirigevano verso l’Ala dei Guaritori, Qui-Gon si ritrovò ad osservare il bambino e a pensare alle parole di Yoda.
Lui era sin troppo abituato a pensare che la faccenda col suo allievo fosse stata colpa sua… ma se non fosse stato così? Se il Maestro Yoda aveva ragione?
Se il suo secondo apprendista non fosse mai stato tagliato per diventare un Jedi?
Per certi versi, quel pensiero era stranamente doloroso. Per altri…
Se – ed il “se” andava sottolineato – non era stata colpa sua, poteva valutare l’idea di prendere un nuovo Padawan?
Obi-Wan fece una piccola smorfia, e l’attenzione di Qui-Gon si focalizzò immediatamente sul bambino. «Ti fa male?»
L’Iniziato si morse il labbro. «Un po’» ammise.
L’uomo, allora, gli strinse una spalla con fare incoraggiante. «Siamo quasi arrivati…»
Obi-Wan annuì appena, ed entrarono in ascensore.
Qui-Gon scosse la testa tra sé e sé. Il bambino aveva una stretta connessione con la Forza Unificante… Forse era il caso che venisse scelto da un Maestro col suo stesso talento, che potesse meglio insegnargli come gestire visioni e presentimenti.
D’altra parte, lui avrebbe potuto aiutarlo a non cadere nelle pecche più frequenti di coloro che preferivano la Forza Unificante – ossia il focalizzarsi troppo sul futuro, a discapito del momento presente…
Un attimo. Stava davvero considerando questa cosa?
Appena due sere prima aveva rifiutato con fermezza il bambino. Gli erano bastate quattro chiacchiere con Yoda per passare a valutare la possibilità di prendere Obi-Wan Kenobi come proprio Padawan?
Chiuse brevemente gli occhi.
L’ascensore si fermò, e lui ed Obi-Wan uscirono.
No, si disse Qui-Gon, guardando il bambino che camminava al suo fianco. Non gli erano bastate… Le ipotesi di prendere un nuovo apprendista… erano solo farneticazioni.
Entrò con Obi-Wan nell’Ala dei Guaritori, e quella volta non dovettero nemmeno chiedere all’accettazione.
Von Le, infatti, si trovava proprio davanti al bancone.
«Iniziato Kenobi» salutò, senza alcuna sorpresa. «La febbre è tornata?»
«No» rispose Qui-Gon per il bambino. «Si è fatto male durante una lezione di spada».
Il Vultan annuì, e condusse i due nel primo ambulatorio libero. «Fammi dare un’occhiata» disse poi, rivolto ad Obi-Wan.
Quest’ultimo staccò la mano dalla propria spalla.
La stoffa della tunica era annerita, e lasciava vedere la pelle, lucida e arrossata.
Qui-Gon aggrottò la fronte. Le spade laser da allenamento avevano la lama regolata ad una bassa intensità… Era raro che causassero un danno simile.
«Come te lo sei fatto?» chiese, rivolto al bambino.
Von Le gli lanciò un’occhiata, ma non disse nulla, aiutando Obi-Wan a togliersi la tunica e a restare a torso nudo.
«Io… ho sbagliato, Maestro Jinn» disse il bambino, quasi mortificato.
«Tutti fanno errori» replicò l’uomo, sentendosi chiamato in causa in modo particolare. Checché ne dicesse il Maestro Yoda, lui aveva sbagliato.
«Sì, e sbagliando s’impara» aggiunse Von Le, spalmando una pomata sulla pelle ustionata del bambino.
Qui-Gon sbatté le palpebre e fissò il Guaritore.
Obi-Wan, dal canto suo, arricciò un po’ il naso per l’odore acre dell’unguento. «Me l’aveva detto anche il Maestro Jinn» riferì poi.
«Il Maestro Jinn è un uomo saggio» affermò Von Le.
Qui-Gon era completamente immobile. Sbagliando s’impara… Sì, l’aveva detto lui stesso ad Obi-Wan, la prima volta che il bambino era andato da lui per i suoi problemi con la meditazione.
Lui aveva sbagliato, ed aveva imparato… Quegli errori che aveva fatto col suo secondo allievo non li avrebbe più commessi… O almeno ci avrebbe provato.
Improvvisamente, a riecheggiargli nella testa non fu più la voce arrabbiata del suo ultimo apprendista… Bensì quella tentennante di Obi-Wan: Ma a me… a me piacerebbe… tanto… essere il tuo Padawan.
«Ecco fatto» decretò Von Le. «La tua spalla dovrebbe tornare come nuova al più presto».
«Sì…» mormorò Obi-Wan, iniziando a rivestirsi.
«Però» aggiunse il Guaritore, «questa bruciatura è più brutta della scorsa. Ti consiglio di non fare più allenamenti, per oggi».
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Ma… ho ancora la lezione del Maestro Yoda…»
«Niente allenamenti».
Il bambino abbassò la testa. «Sì, signore».
Il Guaritore spostò lo sguardo su Qui-Gon, e l’uomo si ritrovò ad assicurare: «Controllerò che mantenga la parola».
«Molto bene» sospirò Von Le. «Io lo comunicherò al Gran Maestro».
Qui-Gon ed Obi-Wan rivolsero un inchino al Guaritore, quindi uscirono dall’ambulatorio e dall’Ala dei Guaritori.
Per un po’, camminarono in silenzio.
«Obi-Wan» esordì quindi Qui-Gon, «eri sincero, quando hai detto che sono un bravo insegnante?»
Il bambino aggrottò la fronte. «Sì, Maestro Jinn» rispose poi.
Qui-Gon si fermò, e l’Iniziato si bloccò a propria volta, confuso.
Erano in un tratto breve del corridoio, al momento completamente deserto salvo loro due.
Il Maestro Jedi guardò Obi-Wan Kenobi, e pensò a tutto il potenziale che aveva visto nel bambino… Una parte di lui, si erse piena di dubbi: sentiva ancora di aver rovinato il talento del suo secondo allievo… non voleva rovinare quello di questo bambino. Un’altra parte, però, quella più fedele alla sua dottrina del vivere l’attimo, prese il sopravvento in un istante.
L’uomo si avvicinò al bambino, e si accovacciò in modo da essere alla sua altezza.
Obi-Wan restituì il suo sguardo con aria confusa.
Qui-Gon trasse un respiro. «Obi-Wan Kenobi» chiese, quietamente, «vorresti essere il mio Padawan?»
Il bambino lo fissò, chiaramente sbalordito.
Per un istante, lo guardò come se fosse convinto che si trattasse di uno scherzo – vista la conversazione che avevano avuto solo la sera prima, Qui-Gon non poté biasimarlo – ma poi, pian piano, parve convincersi che l’uomo stava parlando sul serio.
Il Maestro Jedi non lo forzò, attendendo pazientemente.
Poi Obi-Wan deglutì, e sussurrò: «Sì».
Non disse altro, e a Qui-Gon parve che non fosse mai stato pronunciato monosillabo più significativo.
Per un istante, provò un senso di vertigine.
Ma la Forza vorticava attorno a loro, ed esprimeva solo approvazione per quella situazione.
L’uomo si ritrovò a sorridere. «Molto bene» disse, rialzandosi.
«Non… non dobbiamo chiedere l’autorizzazione del Consiglio?» chiese Obi-Wan, timidamente.
«Prima volevo sentire la tua opinione» replicò Qui-Gon, con calma. «Ora che la conosco, chiederò un incontro… ma credo che non avranno da obiettare».
Obi-Wan si aprì in un sorriso. Nella Forza, la sua gioia era splendente come un sole.
«Forse è meglio che tu vada nella tua stanza a fare le valigie» aggiunse Qui-Gon, sorridendo appena di quella felicità. «Ti passerò a prendere tra poco per andare dal Consiglio».
Obi-Wan annuì. «Sì, Maestro Jinn».
Fece un inchino un po’ goffo, e rialzando la testa rivolse un ultimo sorriso all’uomo.
Dopodiché, si affrettò in direzione della sua camera da letto… E sembrò che dovesse trattenersi dal mettersi a correre.
Quando fu sparito alla sua vista, Qui-Gon sentì che il sorriso crollava dalla sua faccia. Non ci aveva pensato, prima, ma effettivamente Obi-Wan sarebbe andato a vivere con lui… E la stanza del suo secondo allievo sarebbe stata occupata da qualcun altro.
Quell’idea gli diede uno strano malessere.
L’uomo lo rilasciò nella Forza e si voltò, muovendosi verso il proprio alloggio.
Era più o meno a metà strada, quando si vide venire incontro il Maestro Yoda… Forse era la sua occasione di chiedere un incontro con Consiglio per sé ed Obi-Wan.
A quel punto, però, notò il Jedi accanto al Gran Maestro. Era Kal Tani – un’Umana scura di pelle e di capelli con cui aveva svolto un paio di missioni – ed aveva l’aria più cupa del mondo.
«Maestro Qui-Gon» disse Yoda, quando i tre Jedi furono vicini. «Un problema, abbiamo».
Qui-Gon aggrottò la fronte, guardando verso Kal Tani.
Quest’ultima saltò qualsiasi convenevole: «Ricordi Daken, il tuo vecchio informatore?»
Qui-Gon lo fissò. «Certo» rispose.
Come avrebbe potuto dimenticarlo? Assieme al suo secondo apprendista, era forse la parte più dolorosa del suo passato… Se, per lui, il suo vecchio allievo rappresentava il fallimento, Daken era l’emblema del tradimento.
«Si è rifatto vivo oggi, su un pianeta dell’Orlo Mediano» affermò Kal Tani, in tono grave. «A quanto pare, ha saputo che lì c’eravamo io ed altri Jedi in missione. Ed ha ritenuto che fossimo il modo più veloce per contattarti».
Qui-Gon restò impassibile, ma sentì il sangue congelarsi nelle sue vene. «Ha ucciso qualcuno?» domandò.
Kal Tani scosse la testa. «No, però ci ha provato. Ha lasciato un messaggio per te: è tempo di una rimpatriata tra vecchi amici. Ripercorri i nostri passi».
Qui-Gon si accigliò. «Che pianeta era?»
«Naalath».
L’uomo si portò una mano alla fronte. «Non è comparso lì perché c’erano alcuni Jedi in missione» disse, lentamente. «Certo, gli è tornato utile, ma il motivo era un altro».
La fronte grinzosa di Yoda si aggrottò ancora di più.
«Cioè?» chiese Kal Tani.
Qui-Gon trasse un respiro. «È stato il primo pianeta su cui ho lavorato con lui, al di fuori di Coruscant».
La comprensione passò negli occhi della donna. «Ripercorri i nostri passi…» mormorò.
Qui-Gon annuì. «È probabile che si farà trovare sugli altri pianeti su cui abbiamo lavorato insieme…» La sua mente iniziò subito a lavorare, cercando di ricordare i sistemi sui quali si era ritrovato con Daken…
«Io e la mia squadra siamo disposti ad occuparci di lui» chiarì Kal Tani, «ma probabilmente il tuo aiuto ci farebbe comodo. Se potessi dirci…»
Qui-Gon scosse la testa. «Verrò con voi» affermò, con decisione. «In fondo, sta cercando me, ed io conosco il suo modo di agire».
Kal Tani annuì. «Grazie…»
«Occuparti di questa missione, tu desideri?» domandò in quel momento Yoda, guardando il Maestro Jedi in modo strano.
Qui-Gon annuì. «Sì, Maestro, cer…»
Un pensiero improvviso gli attraversò la mente, bloccandolo.
Obi-Wan.
Per un istante, a Qui-Gon mancò il respiro.
Lui sapeva che, se avesse preso Obi-Wan come Padawan, il Consiglio – Yoda compreso – sarebbe stato contrario a mandarlo sulle tracce di Daken.
Era una missione troppo pericolosa per un bambino di sette anni, ed era verosimile pensare che avrebbe richiesto non poco tempo…
Prendere Obi-Wan come Padawan, per poi partire e lasciarlo al Tempio, condannandolo ad aspettare per mesi e mesi… Sarebbe stato ingiusto, nei confronti del bambino.
In un battito di ciglia, Qui-Gon si rese conto che doveva scegliere.
Quella consapevolezza fu come un macigno improvviso sulle sue spalle: come poteva ritirare la propria offerta? Allo stesso tempo, però, come poteva stare con le mani in mano, sapendo che per lui sarebbe stato più facile rintracciare Daken?
«Maestro Qui-Gon?»
L’uomo guardò Yoda e trasse un respiro profondo, cercando di sopprimere il dolore sordo che gli martellava nel petto. «Certo che voglio occuparmi di questa missione».
Il piccolo Maestro lo fissò con intensità, ma non si oppose. «Molto bene» disse invece. «Partire stasera con la Maestra Tani, puoi».
Zoppicò via, lasciando soli gli altri due.
Kal Tani guardò verso Qui-Gon, e quest’ultimo disse: «Avrei una faccenda da sbrigare, prima della partenza… Ci vediamo nell’hangar?»
Lei annuì. «Certo, Maestro Qui-Gon».
Accennarono un inchino, e si separarono.
Mentre Kal Tani andava a richiedere un’astronave, Qui-Gon si diresse a grandi falcate verso le stanze degli Iniziati.
Dai due ai quattro anni circa, i bambini erano alloggiati in dormitori che potevano accogliere sino a quindici letti… Dai cinque anni, venivano loro affidate delle stanzette singole.
Al primo Maestro che incrociò su quel piano, Qui-Gon chiese dove fosse la camera di Obi-Wan Kenobi, e per sua fortuna l’altro seppe dargli quell’informazione.
L’uomo lo ringraziò, ed andò a bussare alla porta del bambino. Dall’altra parte, udì uno scalpiccio, poi la porta scivolò di lato con un sibilo, rivelando Obi-Wan.
Non appena lui vide Qui-Gon, gli occhi dell’Iniziato si illuminarono. «Maestro Jinn…» iniziò.
L’uomo lo fermò con un gesto della mano. «Obi-Wan» disse. «Devo parlarti».
Lo smarrimento passò sul viso del bambino, ma lui annuì. «Va bene…»
Indietreggiò, in modo che anche Qui-Gon potesse entrare nella stanza – e la porta si richiuse alle spalle dell’uomo.
Quest’ultimo si guardò attorno. Le pareti bianche, le scarse dimensioni, il letto abbastanza spartano, la piccola finestra che si apriva sull’esterno… La cameretta di Obi-Wan era molto simile a quella che aveva avuto lui.
Non poté fare a meno di notare che l’Iniziato aveva già preparato le sue cose: una sacca gonfia giaceva ai piedi del suo giaciglio.
A quella vista, Qui-Gon sentì il proprio stomaco contrarsi. Quasi a fatica, riportò gli occhi sul bambino. «Siediti».
Obi-Wan aggrottò la fronte ma obbedì, accomodandosi sul materasso. Poi alzò lo sguardo sul Maestro Jedi, in attesa.
Qui-Gon trasse un profondo respiro. «Mi dispiace, Obi-Wan» disse infine. «Non posso prenderti come Padawan».
Il bambino non replicò. Rimase immobile a fissarlo, e dopo un istante la sua postura si fece innaturalmente rigida, e i suoi occhi si dilatarono appena.
Ancora, non emise un fiato.
«Io devo…» Qui-Gon sapeva che probabilmente Kal Tani lo stava aspettando, ma doveva spiegare al bambino come stavano le cose. Gli doveva almeno quello. «C’è una missione che devo svolgere. Gli altri Jedi non saprebbero come agire, io devo dare loro una mano».
Di nuovo, calò in silenzio.
Obi-Wan continuava a fissarlo senza dire niente.
«Obi-Wan?» chiamò Qui-Gon, in tono cauto.
Il bambino si riscosse e abbassò gli occhi. «Io… capisco, Maestro Jinn» disse, e l’uomo sentì con dolore la rassegnazione nel suo tono. «Sei un Maestro Jedi, ci sono delle… delle cose che devi fare. Delle cose importanti».
Qui-Gon provò l’impulso di mettere una mano sotto il mento dell’Iniziato e di alzargli la testa, ma si trattenne. «Obi-Wan» disse invece, «sono davvero dispiaciuto. Credimi».
Il bambino si strinse nelle spalle, continuando a guardare a terra. «Non devi esserlo, Maestro Jinn. Stai andando ad aiutare qualcuno. È una cosa onorevole».
Già, pensò Qui-Gon. Avrebbe dovuto continuare a dirselo.
«Obi-Wan?» chiamò nuovamente.
Piano, il bambino sollevò gli occhi.
«Che la Forza sia con te» gli augurò il Maestro Jedi, con tutto il cuore.
Obi-Wan annuì lentamente. «Che la Forza sia con te, Maestro Jinn» rispose.
Qui-Gon accennò un inchino, poi si voltò e se ne andò.
Nella sua vita, aveva affrontato molti addii. In quel momento, però, gli sembrò che l’impulso di guardarsi indietro non fosse mai stato tanto forte.
Sarebbe trascorso un anno intero, prima che lui completasse la missione e tornasse al Tempio.















Note:

…non uccidetemi, vi prego.
Non ho niente da dire a mia discolpa (né niente da dire in generale), quindi mi limito a darvi appuntamento a martedì 5 novembre.

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Capitolo 10
*** Il ritorno di Qui-Gon ***


Capitolo 10 – Il ritorno di Qui-Gon

Era un pomeriggio sereno.
Il cielo di Coruscant, visibile tra le arcate e i grattacieli della città, era azzurro, attraversato da file interminabili di astronavi.
Il sole entrava abbondante attraverso le vetrate della Torre del Consiglio.
Nella sala circolare erano presenti, oltre ad undici dei dodici Consiglieri, due Maestri Jedi – Qui-Gon Jinn e Kal Tani.
Questi ultimi erano in piedi al centro della stanza, impegnati a far rapporto sul loro ultimo incarico.
Era stata una missione abbastanza lunga – per un anno intero, i due Jedi si erano spostati da un pianeta all’altro, al seguito del vecchio informatore di Qui-Gon – ma se non altro aveva avuto un esito positivo.
Pochi giorni prima, infatti, erano finalmente riusciti a catturare Daken.
L’uomo era stato preso in consegna dalle autorità di Coruscant, e i due Maestri erano tornati al Tempio.
Il rapporto sulla missione richiese abbastanza tempo.
Sia Qui-Gon che Kal Tani, tuttavia, furono precisi ed esaurienti, e se non altro i membri del Consiglio non ebbero bisogno di fare altre domande.
«Vorrei rimarcare» ci tenne a sottolineare Kal Tani, «la preziosità della presenza del Maestro Jinn. È stato grazie a lui se, alla fin fine, siamo riusciti a catturare Daken».
Qui-Gon le rivolse un’occhiata in tralice, ma non disse nulla.
In realtà, non vedeva l’ora che quell’incontro finisse… e non si impegnò più di tanto a nasconderlo. A differenza di molti altri Jedi, lui non si faceva tantissimi scrupoli a far sapere ai membri del Consiglio ciò che pensava.
Finalmente, dopo aver riassunto i pianeti percorsi da Daken – che, come era stato preannunciato dal messaggio dell’uomo, erano stati quelli in cui aveva lavorato con Qui-Gon – ottenne quello che voleva.
Lui e Kal Tani furono congedati.
Qui-Gon si sentiva piuttosto stanco. Credeva che catturare Daken gli avrebbe portato sollievo, ma non era stato così… rivedere quell’uomo, che un tempo era suo amico, aveva riaperto delle vecchie ferite… tra le quali quella mai rimarginata del suo secondo allievo.
Prima di partire per quella missione, Qui-Gon era quasi riuscito ad accattonare il proprio passato. Ora, gli era stato nuovamente ricordato che le sue azioni, anche se compiute anni e anni prima, continuavano ad avere un’influenza sul suo presente.
Si strofinò stancamente la fronte.
«Sei tornato. Di nuovo».
Qui-Gon si voltò, e Taren Kun lo raggiunse in pochi passi.
Il primo scosse la testa. «Tu non vai mai in missione?» chiese.
«Veramente» rispose Taren, «sono stato su Dantooine, qualche settimana fa… Una disputa trascurabile, l’ho risolta in pochi giorni».
Qui-Gon lo guardò con aria sfinita. «Sarai molto riposato, allora».
«Ti ricordo che, quando sono qui al Tempio, lavoro con gli Iniziati» disse Taren. «Mi è impossibile essere molto riposato».
Iniziati… Immediatamente, la mente di Qui-Gon corse ad Obi-Wan Kenobi.
Durante l’ultimo anno, aveva spesso pensato a quel bambino. Si era chiesto se la delusione per non essere diventato il suo Padawan gli fosse passata, se stesse bene, se riuscisse a meditare…
Si fermò, e Taren lo imitò, girandosi in modo da essergli di fronte. «Che succede?»
Qui-Gon decise di non porsi troppi problemi. Era inutile nascondere il suo interesse per Obi-Wan, visto e considerato che Taren l’aveva già notato.
«Obi-Wan… Come sta l’Iniziato Kenobi?»
A quella domanda, l’espressione di Taren si irrigidì. «Obi-Wan Kenobi?» chiese lui, in modo strano.
Qui-Gon si chiese il perché di quella reazione. «Sì» rispose, inarcando un sopracciglio.
Taren lo guardò dritto in faccia. «Devo chiedertelo, Qui-Gon» affermò, con una serietà che non gli si addiceva. «Che intenzioni hai, riguardo quell’Iniziato?»
Qui-Gon lo fissò. «Che vuoi dire?»
L’altro trasse un respiro, ma il suo sguardo rimase inflessibile. «Voglio dire che dovresti mantenere le distanze, se non hai intenzione di prenderlo come Padawan».
Subito, Qui-Gon pensò di aver capito male. Taren gli stava intimando di star lontano da Obi-Wan Kenobi?
«Prego?»
Taren si schiarì la gola. «Dopo che te ne sei andato» disse, scandendo per bene le parole, «l’Iniziato Kenobi ha avuto… alcune difficoltà».
Qui-Gon aggrottò la fronte. «Che genere di difficoltà?»
Mentre lo chiedeva, il suo stomaco si contrasse. Sapeva che per Obi-Wan era stata dura, quando lui se n’era andato dopo essersi offerto di prenderlo come Padawan… ma forse era stata più dura di quanto avesse pensato.
«Soprattutto incubi» rispose Taren, asciutto.
L’altro Jedi si accigliò maggiormente. «E credi che io ne sia la causa?»
«Oh, non sono arrivato a questa conclusione da solo, se è questo che pensi» rispose Taren. «La prima a notarlo, ovviamente, è stata la Maestra Yula… Non so se la conosci, è…»
«È una dei supervisori del Clan del Dragone. Lo so».
Taren gli scoccò un’occhiata e riprese: «Esattamente. Si occupa spesso di controllare che gli Iniziati dormano senza problemi, e non ha tardato ad accorgersi che Kenobi, di problemi a dormire, ne aveva parecchi».
«E con problemi intendi incubi?» dedusse Qui-Gon.
L’altro annuì. «Degli incubi tosti» sottolineò. «Spesso si svegliava urlando, in un bagno di sudore…»
Qui-Gon si trattenne dall’intervenire. Il pensiero di Obi-Wan che gridava lo scombussolava, ma non riusciva a capire come mai Taren ritenesse che lui fosse la causa di quegli incubi.
Obi-Wan era forte nella Forza Unificante, giusto? Non era più verosimile che a svegliarlo fossero stati dei presentimenti, delle visioni?
«All’inizio, la Maestra Yula non si è preoccupata troppo. I bambini hanno gli incubi, in fondo… Poi, però, abbiamo iniziato ad accorgerci che aveva problemi anche durante il giorno».
La fronte di Qui-Gon, se possibile, si aggrottò ancora di più.
«Certe volte – parlo delle mie lezioni – si distraeva senza nessun motivo apparente, come se qualcos’altro attirasse di colpo la sua attenzione… Ed era nervoso e stressato, e non era normale che un bambino della sua età lo fosse. Alla fine, ci siamo rivolti tanto al Guaritore Von Le quanto al Maestro Yoda».
Qui-Gon lo guardò. «E…?»
«E il vecchio troll, dopo un po’, è risalito alla causa».
«Che sarei io» disse Qui-Gon. Voleva essere sicuro di aver capito bene.
Taren annuì. «A quanto pare» disse, «dev’essersi formato un legame nella Forza, tra te e il bambino».
Qui-Gon sussultò. Per due persone, se unite da un legame simile, era possibile avvertire l’una le sensazioni dell’altra anche ad anni luce di distanza.
I suoi pensieri andarono subito alla missione. C’erano stati dei momenti, in effetti, in cui gli era sembrato quasi di percepire la presenza di Obi-Wan… Ma li aveva accattonati come ricordi particolarmente vividi.
«Così» concluse Taren, «ogni volta che tu ti trovavi in pericolo, Kenobi passava una notte in bianco, o perdeva la concentrazione durante una lezione».
Qui-Gon serrò le labbra. Ogni volta che si trovava in pericolo… Ossia un numero considerevole di volte.
Nel corso della missione, Daken aveva provato continuamente ad ucciderlo, e certamente non era stato piacevole.
Lui era abituato a quel genere di pericolo… ma non immaginava come avrebbe potuto recepirlo la mente di un bambino.
Si portò una mano al viso, e chiuse per un istante gli occhi. «Non me n’ero reso conto» disse, in tono sommesso. «Per la Forza, come ho fatto a non rendermene conto?»
Quando guardò Taren, l’altro sembrava essersi un po’ ammorbidito. «È naturale» osservò. «Tu hai degli scudi mentali robusti, allenati. Il vecchio troll ha detto che il legame non è forte come quello tra un Padawan ed un Maestro, ma Obi-Wan non ha ancora imparato del tutto come schermarsi… era più vulnerabile alle tue emozioni».
Qui-Gon annuì piano, assorbendo le parole dell’amico. Aveva senso.
«E allora?» chiese. «Adesso come si procede?»
Se poteva fare qualcosa, per aiutare Obi-Wan, l’avrebbe fatta senza batter ciglio.
Taren sospirò. «Secondo il Maestro Yoda, recidere il legame potrebbe portare più danno che altro… Dopotutto, per farlo, bisognerebbe andare accanto alla mente di Kenobi. Così, la linea d’azione consigliata per voi due è: schermatevi dal legame, e s’indebolirà sino a svanire per conto proprio…»
«Ma hai detto che Obi-Wan non ha ancora imparato come…» iniziò ad obiettare Qui-Gon.
«Il Maestro Yoda gli ha dato delle lezioni al riguardo» lo interruppe Taren.
L’uomo annuì, inspirando profondamente.
«Oppure, certo, potresti prendere Kenobi come Padawan» aggiunse Taren. «Allora, quel legame diventerebbe la base da cui partire per costruirne uno più forte».
Qui-Gon avrebbe voluto replicare, ma non sapeva cosa dire.
Una parte di lui, a dire il vero, stava ancora assimilando l’idea di Obi-Wan che aveva degli incubi, che sentiva pericoli dai quali avrebbe dovuto essere protetto… per colpa sua.
E poi, come spiegare a Taren che cosa aveva fatto? Come dirgli che aveva già proposto al bambino di diventare il suo Padawan, e poi l’aveva deluso?
Gli aveva dato ben più di una speranza. Gli aveva dato una certezza, e poi gliel’aveva strappata senza riguardo.
Pensarci lo addolorava, ma sapeva di aver danneggiato la fiducia di Obi-Wan. Come avrebbe potuto essere altrimenti?
Adesso non poteva semplicemente ripiombare dal bambino, e fargli nuovamente quella proposta… Anche perché la missione aveva riaperto vecchi dubbi. Sarebbe stato davvero in grado di insegnare ad Obi-Wan Kenobi?
Aveva davvero imparato dai propri errori?
«Comunque» disse Taren, «tu hai una faccia orrenda e io devo occuparmi dei miei adorabili Iniziati. Quindi ti auguro un buon riposo».
Qui-Gon lo fissò. «Che la Forza sia con te» disse, mentre l’altro già si allontanava.
Rimasto solo, emise un sospiro molto profondo, e si diresse verso il proprio alloggio.
Siccome aveva molto su cui meditare, andò ad accomodarsi nel suo posto prediletto, sotto la finestra.
Trasse un respiro profondo, rilassandosi e chiudendo gli occhi.
Cautamente, abbassò i propri scudi mentali, e cercò il legame di cui aveva parlato Taren.
Era simile ad un filo di luce, sottile e tenue, ma Qui-Gon non riusciva a capacitarsi di non averlo notato prima.
Fu tentato di saggiarlo… Alla fine, però, lasciò stare. Come aveva detto Taren, era meglio che sia lui che Obi-Wan si schermassero da quel legame.
Riaprì gli occhi e sospirò, pensando all’intimazione dell’amico di stare lontano dall’Iniziato Kenobi.
Se ripensava allo sguardo che Obi-Wan gli aveva rivolto l’ultima volta che si erano visti, non poteva fare a meno di pensare che mantenere le distanze fosse la scelta più saggia.
Allo stesso tempo, sapendo che il bambino aveva avuto dei problemi a causa sua, sentiva il bisogno di controllare che stesse bene.
Si alzò in piedi, strofinandosi le tempie.
Ecco perché alcuni Maestri preferivano prendere un Padawan che avesse già undici, dodici anni… Più giovani erano, più stimolavano un istinto di protezione che era sì naturale, ma che per un Jedi poteva rivelarsi anche pericoloso.
Alla fine, Qui-Gon giunse ad una sorta di compromesso.
Decise di scendere nel refettorio del Tempio. Non avrebbe parlato con Obi-Wan, non gli si sarebbe avvicinato… ma almeno avrebbe potuto dargli un’occhiata.
Tra l’altro, aveva bisogno di mangiare qualcosa.
Quando arrivò in mensa, si unì ai Jedi in fila per il buffet, e lanciò uno sguardo verso le tavolate degli Iniziati.
Lo trovò quasi subito: Obi-Wan Kenobi non sedeva da solo come la prima volta che Qui-Gon lo aveva visto, ma il suo viso ed i suoi capelli arruffati erano quelli di sempre.
Continuando ad osservarlo con la coda dell’occhio mentre riempiva il proprio vassoio, Qui-Gon notò che sembrava essere cresciuto, dal loro ultimo incontro.
Trasse un respiro.
Un anno. Non era passato più di un misero anno… Ma i bambini crescono in fretta.
Troppo in fretta, si ritrovò a pensare Qui-Gon, mentre la sua mente veniva attraversata dall’immagine del suo secondo apprendista.
Quando qualcuno si fermò dietro di lui, Qui-Gon non ebbe bisogno di girarsi a controllare. «Taren» disse, con una punta di rassegnazione.
Si voltò, e l’amico replicò: «Mi raccomando, non suonare troppo entusiasta».
«Eri tu a lamentarti del senso dell’umorismo di Obi-Wan?» chiese Qui-Gon. «Anche il tuo mi sembra alquanto deviato».
Taren lo guardò, assottigliando appena gli occhi. «A quanto pare non scordi una sola conversazione, quando si tratta di Kenobi» commentò. «Interessante». Poi, prima che l’amico potesse replicare, aggiunse: «Lascia perdere. Ti siedi con me?»
Qui-Gon indugiò, poi fece un cenno affermativo.
Si guardò attorno, e scelse i loro posti in base alla posizione di Obi-Wan. In altre parole, optò per un tavolo che il bambino avrebbe potuto vedere solo girando scomodamente il collo.
«Allora stai seguendo la prima opzione» commentò Taren, mentre si accomodavano l’uno di fronte all’altro.
Qui-Gon lo guardò. «Prego?»
«La prima opzione» ripeté Taren. «Tenere Kenobi a distanza e schermarti dal vostro legame».
Gli occhi dell’uomo guizzarono verso l’Iniziato. Obi-Wan stava ascoltando qualcosa che gli stava dicendo il suo vicino di posto.
«Credevo ne saresti stato contento» disse Qui-Gon, riportando gli occhi su Taren.
Quest’ultimo replicò: «C’era anche la seconda opzione, sai. Prenderlo come Padawan e fortificare il legame».
«Lo so» rispose l’uomo, asciutto. «È solo che… è complicato».
«Complicato?» Taren aggrottò la fronte, spezzando una pagnotta e usandola per raccogliere una zuppetta che aveva nel piatto. «Solitamente non ti fai tutti questi problemi».
«La scelta di prendere un Padawan non va presa alla leggera» disse Qui-Gon, seriamente, tralasciando di parlare dell’addio che, un anno prima, c’era stato tra lui e il bambino. «Specie se si hanno i miei trascorsi».
Taren scosse la testa, masticando lentamente. «Credevo bisognasse seguire l’istinto» osservò poi. «Sai, ascoltare la Forza… Tu sei sempre stato bravo, in questo».
Qui-Gon si passò una mano sul viso. «Se avessi avuto un buon istinto, non avrei sbagliato col mio secondo apprendista».
«Credevo fosse un argomento chiuso» commentò Taren.
«Il passato non è mai chiuso. Sto iniziando ad impararlo». Per qualche istante, Qui-Gon tenne lo sguardo fisso sul proprio vassoio. «Sai che Daken mi aveva salvato la vita, anni e anni fa? Lavoravamo bene, insieme».
Taren sospirò. «Lo so».
Qui-Gon sollevò gli occhi. «Adesso mi odia. Durante questa missione, ha cercato di uccidermi così tante volte… Ha anche coinvolto degli innocenti».
«Be’, non è mai stato uno stinco di santo» considerò Taren, cautamente.
«E io ho pensato valesse comunque la pena di lavorare con lui» rispose Qui-Gon. «Il mio istinto non è buono quanto credevo».
Ma, soprattutto, c’era il fatto che aveva ferito l’Iniziato Kenobi.
Forse, ora come ora, era quello a trattenerlo più del resto.
Se lo avrebbe preso come apprendista… Doveva prima porre rimedio al danno fatto un anno prima.
Taren scosse la testa. «Lo sai» disse, guardando verso Obi-Wan, «ieri ha sconfitto un ragazzino di dieci anni. Un Umano robusto, e alto almeno due teste più di lui. Avevo ragione: ha talento, nel combattimento con la spada laser».
Qui-Gon inarcò un sopracciglio di fronte al brusco cambio d’argomento. «Mi dici di stargli lontano, e poi mi parli di ciò che ha fatto?»
«Temo» replicò Taren, «che tu non abbia riflettuto molto sulla seconda opzione… E ciò mi fa pensare che è un bene, che tu abbia deciso di tenerti a distanza».
Senza aggiungere altro, si alzò in piedi e si allontanò col proprio vassoio.
Rimasto solo, Qui-Gon si portò una mano alla fronte e sorrise amaramente. Sbagliava, il suo amico, a credere che lui non avesse riflettuto sulla seconda opzione…
Gettò un’altra occhiata verso Obi-Wan, e notò che il bambino sembrava distratto ed irrequieto.
In via del tutto eccezionale, l’uomo desiderò poter parlare col Maestro Yoda.
Non solo sembrava essere il più esperto di tutti, quando si trattava di Obi-Wan… Secondo ciò che aveva detto Taren, era stato proprio lui ad individuare la causa del malessere del bambino.
Purtroppo per Qui-Gon, il Gran Maestro era attualmente in missione con Cin Drallig e il mentore di quest’ultimo…
In pochi bocconi, l’uomo finì il proprio cibo. Dopo aver bevuto un sorso d’acqua, fu pronto per uscire dal refettorio.
























Note:
Buondì!
Contenti che il nostro Maestro Jedi preferito sia tornato?
Vi dirò, il progetto iniziale comprendeva alcuni capitoli sulla missione di Qui-Gon, ma poi mi sono accorta che stonavano troppo col resto della trama.
Così, evviva i salti temporali, ed evviva il fatto che questa dovrebbe essere la prima di una serie di storie su Qui-Gon e Obi-Wan (ma è autoconclusiva, don’t worry :D)… Di Daken me ne occuperò meglio più avanti.
Al prossimo capitolo, con (SPOILER), la più o meno felice riunione tra Qui-Gon e Obi-Wan.
A martedì 12 novembre!

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Capitolo 11
*** Piccoli passi ***


Capitolo 11 – Piccoli passi

Le premesse per trascorrere una notte insonne c’erano tutte.
Per dirne una, nell’ultimo anno si era abituato a restare sempre vigile.
Per dirne un’altra, nemmeno un Jedi consumato poteva rimanere indifferente al fatto che una sua vecchia conoscenza, qualcuno con cui aveva collaborato più e più volte, avesse cercato di ucciderlo con tanto zelo.
E poi, naturalmente, c’era Obi-Wan Kenobi.
Se Qui-Gon fosse stato meno esperto nel calmare la propria mente, era probabile che non sarebbe riuscito a chiudere occhio, invece riuscì ad addormentarsi poche ore dopo l’essersi coricato.
Ormai gli capitava raramente di sognare il suo ex allievo… E quello, se non altro, era un indubbio miglioramento.
Quando l’uomo si svegliò, il mattino successivo, fu colmato dall’appagante sensazione che la notte avesse portato consiglio.
Taren era nel torto a pensare che lui stesse trattando con troppa cautela la faccenda di Obi-Wan, ma aveva ragione su una cosa.
Qui-Gon avrebbe dovuto seguire il suo istinto, e la Forza. Invece aveva considerato subito il lungo termine, come se esistessero soltanto le opzioni – senza dubbio approvate dal Consiglio – che gli aveva presentato l’amico.
Si stava preoccupando del futuro, mentre la sola cosa che importasse era il presente.
Ed il presente non richiedeva progetti elaborati, come non interagire mai più con Obi-Wan Kenobi o prendere immediatamente il bambino come Padawan… Il presente si accontentava di piccoli passi, e Qui-Gon sapeva già quale sarebbe stato il primo: iniziare a riallacciare i rapporti col giovanissimo Iniziato.
Così, dopo una rapida colazione, l’uomo si recò a cercare Obi-Wan. Dato che il Tempio era immenso, decise di servirsi – con molta cautela – del minuscolo filo di luce nella propria mente.
Quel tenue legame lo guidò sino agli Archivi, la sala in cui era custodita la conoscenza dell’Ordine Jedi.
Per la loro ampiezza e la loro atmosfera solenne, gli Archivi potevano essere paragonati alle cattedrali che alcuni popoli dell’universo innalzavano in onore dei loro dèi.
Quando vi entrò, Qui-Gon portò lo sguardo sui busti bronzei dei Jedi Perduti, coloro che avevano lasciato l’Ordine.
Quelle facce, immobili e austere, sembravano recare un monito inciso nei loro lineamenti.
Se il suo secondo apprendista se ne fosse andato dopo essere diventato un Cavaliere, si ritrovò a pensare Qui-Gon, anche lui si sarebbe trovato tra quelle sculture…
L’uomo distolse lo sguardo, spostandolo sul corridoio davanti a lui.
Era diviso in tre corsie: in quelle laterali, passeggiavano silenziosamente alcuni Jedi, i volti rischiarati dalla luce azzurrina degli olo-dati. In quella centrale, invece, si trovavano alcuni tavoli muniti di schermi che venivano utilizzati per consultare sul posto i chip di memoria.
Obi-Wan si trovava proprio lì, gli occhi fissi sul monitor che aveva davanti, le dita indugianti sulla tastiera.
La sua sedia era grande come un trono, e i piedi del bambino non toccavano terra.
Qui-Gon gli si avvicinò in silenzio.
Quando gli fu alle spalle, fece per dire qualcosa… ma non ce ne fu bisogno. Obi-Wan ebbe una sorta di sussulto, e si girò verso di lui.
I suoi occhi chiari incontrarono quelli dell’uomo, e il bambino s’impietrì.
Le sue labbra si dischiusero in un moto di sbalordimento, e Qui-Gon vide che gli mancavano due denti da latte nell’arcata superiore: gli incisivi laterali.
Dopo un istante, il bambino riuscì a ricomporre il proprio viso.
«Iniziato Kenobi» lo salutò sommessamente Qui-Gon.
Si rese conto di provare uno strano sollievo, nell’avere Obi-Wan davanti a sé… Lo aveva visto in mensa, sì, ma a una tale distanza…
Il suo sguardo esaminò accuratamente il volto del bambino, dai capelli ramati alla fossetta sul suo mento.
Era davvero cresciuto, non v’era dubbio.
«Maestro Jinn» rispose Obi-Wan, con una certa cautela. I suoi occhi grigio-azzurri guizzarono sullo schermo, poi tornarono sull’uomo. «Devo cederti il posto?»
Qui-Gon pensò che avrebbe dovuto aspettarselo. Non avrebbe dovuto stupirsi, se il bambino pensava che l’unica cosa che gli potesse interessare fosse il suo posto.
«Veramente» disse, «vorrei che parlassimo».
Obi-Wan evitò di ricambiare direttamente il suo sguardo. «Ma siamo negli Archivi» obiettò, giocherellando con l’orlo delle proprie maniche.
«È una cosa importante» replicò Qui-Gon, piano.
«Ah» si limitò a dire il bambino.
L’uomo decise di andare subito al punto. «Vorrei chiederti scusa per essermene andato senza preavviso».
«Non capisco perché ti scusi, Maestro Jinn» replicò Obi-Wan, a testa bassa. «Tutti i Jedi devono andarsene senza preavviso».
Parlò con un tono ragionevole che non piacque del tutto al Maestro Jedi.
Una parte di lui, infatti, avrebbe voluto che Obi-Wan fosse più spontaneo e infantile. In fondo, però, quale Jedi era mai stato davvero bambino?
L’uomo accennò col mento allo schermo. «Posso chiederti su cosa stai lavorando?»
Obi-Wan girò la testa, e Qui-Gon si trovò la sua nuca arruffata sotto gli occhi. «È una ricerca sul pianeta Nihilo» spiegò il bambino. «Io e il mio clan andremo a visitarlo tra qualche settimana».
Data la sua età, era probabile che prima Obi-Wan non avesse mai fatto alcuna gita al di fuori di Coruscant, eppure Qui-Gon non percepì molto entusiasmo, da parte sua.
Corrugando la fronte, pensò al pianeta Nihilo. Lo conosceva piuttosto bene: nonostante non fosse molto distante dalla Capitale Galattica, era scarsamente popolato, e non aveva una tecnologia molto avanzata.
Se era spesso meta della prima gita degli Iniziati fuori da Coruscant, era perché su di esso si trovavano alcuni Ysalamiri. Questi animali, simili a grossi lucertoloni, vivevano sugli alberi ed avevano la capacità di creare vuoti nella Forza, all’interno dei quali potevano nascondere la loro energia da eventuali predatori.
A causa della loro presenza, su Nihilo la Forza era più difficile da ascoltare ed utilizzare, perciò qualche giorno di allenamento su quel pianeta si trattava di una bella prova per i più piccoli.
Gli Ysalamiri, in realtà, erano originari di Myrkr, un altro pianeta dell’Orlo Interno… Là, però, erano talmente numerosi da creare vuoti tali da mettere in seria difficoltà persino un Jedi addestrato… Ragion per la quale Myrkr non veniva mai preso in considerazione come meta per le gite degli Iniziati.
In quel momento, Obi-Wan tornò a girarsi verso il Maestro Jedi. Quieto, sottomesso.
L’Iniziato modello che attende la parola di una persona superiore a lui.
A Qui-Gon non piaceva molto quell’atteggiamento. Pensò a qualcosa da dire. «Hai ancora difficoltà con la meditazione?»
Il bambino continuava a non guardarlo in faccia. «Un po’» ammise, riluttante. «Però sono migliorato, rispetto a prima. Non credo di aver più bisogno di lezioni».
Qui-Gon non se lo aspettava.
L’Obi-Wan che aveva imparato a conoscere, quello che si era lasciato alle spalle un anno prima… era probabile che avrebbe voluto andare a lezione da lui anche senza averne bisogno.
L’Obi-Wan che aveva davanti adesso, invece, aveva respinto l’ipotesi di poter essere aiutato da lui.
“E dunque? Credevo forse che non sarebbe cambiato nulla?” s’interrogò l’uomo.
Sapeva bene che ogni azione aveva le sue conseguenze, così come sapeva che la sua missione aveva scosso il suo rapporto con quel bambino.
Eppure, l’idea di essersi guadagnato la diffidenza di Obi-Wan Kenobi… Si rivelò faticosa da digerire.
“Non importa” si disse. Lui aveva pazienza e, un passo per volta, avrebbe cercato di riconquistare la fiducia dell’Iniziato.
«Va bene» disse, con calma. «In tal caso, ti andrebbe di meditare assieme a me, questa sera?»
Obi-Wan non accettò con prontezza come avrebbe fatto un tempo. Ci rifletté sopra, come per valutare tutti gli aspetti di quella proposta, e infine annuì. «D’accordo, Maestro Jinn».
«Prima di cena? Alla stessa ora delle lezioni dell’anno scorso?»
Il bambino si prese nuovamente qualche istante per pensarci, e il cuore di Qui-Gon si strinse un poco.
«Va bene» disse Obi-Wan, infine.
«Nei giardini del Tempio?» aggiunse l’uomo.
L’Iniziato annuì. «Ci sarò, Maestro Jinn».
Qui-Gon cercò di non dare troppo peso al fare guardingo del bambino.
Dal canto suo, Obi-Wan si schiarì la gola. «Adesso dovrei andare a lezione».
Sembrava sincero, ma sembrava anche molto desideroso di sgusciare via da lì.
L’uomo si allontanò di un passo dalla sedia. «Va’ pure» replicò, più gentilmente che poté. «Non voglio certo farti arrivare in ritardo».
Obi-Wan scivolò giù dal proprio posto, e lanciò una mezza occhiata all’uomo. «Arrivederci, Maestro Jinn».
«A stasera» replicò l’uomo.
Per un istante, il bambino sembrò sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma poi si limitò a girarsi e si diresse verso l’uscita degli Archivi. Qui-Gon lo seguì con lo sguardo.
«Un ragazzino interessante, non è vero?» domandò una voce alle sue spalle.
L’uomo si voltò. Ad aver parlato, era stata Jocasta Nu, l’Archivista del Tempio Jedi. La donna aveva una decina d’anni in più di lui, ma il suo portamento regale non sembrava cambiare mai.
I suoi capelli color mogano, però, raccolti come di consueto in un’impeccabile crocchia, erano ormai ingrigiti, e vicino alla sua bocca ed ai suoi occhi azzurri cominciavano ad imprimersi alcune rughe d’espressione.
«Maestra Nu» disse Qui-Gon, con un inchino rispettoso. «È un piacere vedervi».
La conosceva da quando lui era un ragazzino e lei non era ancora Archivista, specie perché Jocasta Nu era una cara amica del suo vecchio Maestro, Dooku.
«Il sentimento è reciproco, Maestro Jinn» replicò lei, con grazia. «Vedo che hai fatto amicizia col giovane Kenobi».
Qui-Gon la guardò. L’Archivista sembrava trovare del tutto ragionevole l’idea che un bambino di otto anni ed un uomo di quarantatre fossero amici. «Se così si può dire…»
«Dev’essere una buona compagnia» disse Jocasta Nu. «Ed è anche un assiduo frequentatore di questi Archivi».
Qui-Gon non mancò di notare l’approvazione nel suo tono, e ne fu stupito. La donna non aveva certo un cuore di ghiaccio, ma era assai difficile guadagnarsi una sua lode.
«Non lo ero forse anch’io?» chiese, scherzando solo a metà. In verità, era curioso di vedere la sua reazione.
«Oh, sì» concesse la Maestra, riservandogli uno sguardo ammonitore, «ma ho perso il conto delle volte in cui hai dimenticato di rimettere al loro posto le fonti che consultavi. Il giovane Kenobi, invece, non ha mai mancato di farlo».
«Capisco» disse Qui-Gon.
Senza dubbio, era un’ottima spiegazione del calore nello sguardo della donna.
«Ora, se vuoi scusarmi» aggiunse Jocasta Nu, «devo finire di riordinare l’ala dedicata alla storia e alla filosofia del nostro Ordine».
L’uomo accennò un inchino. «Lungi da me impedirvi di fare il vostro dovere, Maestra Nu» disse. «Che la Forza sia con voi».
«Che la Forza sia con te, Maestro Jinn» replicò lei, con un cenno del capo.
Si allontanò in silenzio, accompagnata soltanto dal fruscio leggero della sua veste.

Il resto della giornata fu privo di eventi significativi.
Poiché l’inattività non faceva per lui, Qui-Gon ne approfittò per pulire e riordinare il proprio alloggio – anche se, come al solito, non mise piede nella ex stanza del suo allievo – e per prendersi qualche momento di meditazione.
Nel pomeriggio, dopo un pranzo leggero, scese in palestra.
Taren non era lì: o era occupato con qualche Iniziato, oppure era finalmente riuscito a concedersi una pausa.
Così, Qui-Gon contemplò l’idea di proporre un duello ad uno dei Jedi presenti, ma alla fine optò per ripiegare su un droide, per allenarsi a deflettere i colpi con la lama della propria spada laser.
Poi arrivò la sera, e l’uomo si recò nei giardini del Tempio.
Obi-Wan era già là; Qui-Gon lo trovò seduto a gambe incrociate vicino alle sponde del lago.
Per qualche istante, l’uomo lo osservò a distanza. Obi-Wan stava strappando distrattamente alcuni fili d’erba con la mano destra, e Qui-Gon ricordò che quello era lo stesso luogo dove l’aveva visto cercare di meditare senza successo.
Ricordò come il bambino aveva seguito i suoi consigli, d’istinto, con una fiducia infantile ed assoluta.
Trasse un respiro, e si avvicinò.
Quando lo vide, il bambino si bloccò. I suoi occhi guizzarono sull’uomo, mentre l’ultimo stelo d’erba gli cadeva dalla mano, quindi Obi-Wan si alzò in piedi in segno di rispetto, esibendosi in un inchino.
«Buonasera, Maestro Jinn» disse, educatamente.
«Buonasera a te» replicò Qui-Gon. «Scusami se ti ho fatto aspettare».
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Non importa» si affrettò a dire.
L’uomo lo osservò per un istante, poi domandò: «Com’è andata la tua giornata?»
«Bene, grazie» rispose Obi-Wan. «E la tua, Maestro Jinn?»
Qui-Gon non poté fare a meno di pensare che, un anno prima, l’Iniziato avrebbe cercato di raccontargli qualcosa di più.
«È andata bene anche la mia, ti ringrazio».
Per un istante, nessuno dei due disse nulla.
«E quest’ultimo anno?» aggiunse poi Qui-Gon. «Com’è stato?»
Obi-Wan scrollò appena le spalle. «Come tutti gli altri anni».
«Non ti è accaduto nulla che fosse degno di nota?»
«No» rispose il bambino. Succinto.
«Davvero?» domandò l’uomo, evitando di far trapelare il proprio disappunto per quelle repliche così concise. «Eppure, ricordo che le giornate degli Iniziati sono cariche di attività».
Il bambino gli diede un’occhiata in tralice. «Lezioni, allenamenti e cinque sessioni obbligatorie di meditazione al giorno» disse. «Niente di insolito. Non siamo Maestri Jedi. Non andiamo in missione».
Per quanto il suo tono fosse rimasto rispettoso, quasi remissivo, Qui-Gon percepì l’urto delle ultime due frasi, che gli sembrarono un’allusione al suo anno d’assenza. Dopotutto, anche i Padawan e i Cavalieri andavano in missione, ma il bambino si era riferito soltanto alla categoria dei Maestri.
C’era forse stata una nota di biasimo, nella voce dell’Iniziato?
Le labbra dell’uomo si contrassero. A quanto pareva, Obi-Wan non era ancora disposto ad abbassare la guardia.
Il silenzio calò di nuovo, almeno sinché Qui-Gon non lo spezzò. «Vogliamo iniziare con la meditazione?»
Obi-Wan chinò il capo. «Va bene, Maestro Jinn».
Si sedettero l’uno di fronte all’altro. Il bambino tenne d’occhio i movimenti dell’uomo, ma abbassò la testa non appena Qui-Gon incrociò il suo sguardo.
«Possiamo cominciare?» domandò, fissando un punto del terreno erboso accanto al Maestro Jedi.
«Ma certo» assicurò quest’ultimo.
A dispetto di quelle parole, non aprì la propria mente alla Forza per prepararsi alla meditazione, ma osservò discretamente il bambino.
Obi-Wan sembrava un po’ innervosito dalla loro vicinanza.
Continuava a fissare con intensità una chiazza d’erba… Poi inspirò un paio di volte, profondamente, e Qui-Gon riconobbe l’esercizio di respirazione che gli aveva consigliato di eseguire prima di una meditazione.
A quel punto, Obi-Wan chiuse gli occhi. Mentre la sua mente si immergeva nella Forza, la sua posa si rilassò, e l’uomo realizzò quanto fosse stata rigida sino ad un momento prima.
Provò un certo rimpianto, mescolato ad un’altra sensazione che subito non identificò… Orgoglio, comprese poi.
Anche se in modo un po’ doloroso e nostalgico, lui si sentiva orgoglioso del bambino.
Perché Obi-Wan non aveva mentito, dicendo di essere migliorato. Certo, aveva ancora un po’ di difficoltà, ma mentre un anno prima non era stato in grado di superarle, ora ce la fece dopo un paio di tentativi.
Per la prima volta, Qui-Gon si rese conto di quanto la presenza del bambino nella Forza fosse brillante.
Non c’era da stupirsi, in fondo, che il Maestro Yoda lo guardasse con un certo interesse…
Nonostante la sua insicurezza, nonostante il suo desiderio – talvolta quasi disperato – di compiacere chi aveva attorno, l’Iniziato Kenobi sembrava avere le carte in regola per diventare un ottimo Cavaliere Jedi.
Forse era una sua impressione, ma a Qui-Gon sembrò che la Forza fosse attratta da Obi-Wan in modo particolare.
“Lo adora” pensò.
Un Jedi che prestasse più ascolto alla Forza Unificante, probabilmente, avrebbe interpretato la cosa in modo differente. Ad esempio, avrebbe potuto ipotizzare che il bambino, in futuro, si sarebbe trovato al centro di grandi eventi, e – anche se forse non ne sarebbe stato il protagonista – avrebbe svolto un ruolo essenziale nella storia della galassia.
La Forza Vivente era più gentile.
Riemergendo dalla meditazione, Obi-Wan aprì gli occhi e guardò Qui-Gon.
Non fu uno sguardo guardingo… Fu uno sguardo di una trasparenza fiduciosa, e il bambino parve sul punto di dire qualcosa.
Subito dopo, però, l’autodifesa tornò a scattare.
L’espressione di Obi-Wan si chiuse, così come le sue labbra.
A Qui-Gon parve di star perdendo un’occasione preziosa, e chiamò: «Obi-Wan? Hai qualcosa da dirmi?»
Il bambino sbatté le palpebre. «Io…» iniziò, per poi interrompersi.
Qui-Gon non distolse lo sguardo da lui. “E ora?” si chiese. Che passo avrebbe fatto il bambino? Sarebbe avanzato verso di lui, o sarebbe tornato a indietreggiare?
Dopo un istante, Obi-Wan annuì quasi impercettibilmente.
Aveva optato per l’avvicinarsi con cautela, dunque.
Qui-Gon s’impose di non mettergli pressione. Ma quando Obi-Wan non aggiunse altro, l’uomo lo incoraggiò: «Qualsiasi cosa sia, puoi chiedermela. Siamo amici, te ne ricordi?»
Il bambino girò il viso di lato, e lo studiò con la coda dell’occhio. «Va bene, Maestro Jinn» disse infine, distogliendo lo sguardo dall’uomo. «Ho sentito che sei tornato ieri, dalla tua missione».
Qui-Gon credeva di sapere dove stesse andando a parare l’Iniziato, ma si limitò a confermare: «È vero».
Obi-Wan aggrottò la fronte, voltando la faccia verso l’uomo. «Pensavo non lo fosse. Non ti ho visto, prima di stamattina».
Qui-Gon non si mosse.
Non sapeva cosa pensare. Quelle frasi erano soltanto osservazioni innocenti, o era intenzionale, da parte di Obi-Wan, rigirare la vibrolama nella piaga?
D’impulso, l’uomo si protese verso il bambino, come se annullare la distanza fisica potesse avvicinarli anche in altri sensi. «Forse tu no» rispose. «Ma io ho visto te. A cena, in refettorio. Volevo premurarmi che stessi bene».
A quelle parole, Obi-Wan lo guardò. Apertamente, questa volta. «Allora» chiese, serio, «perché non mi hai salutato?»
Poteva anche essere un Iniziato del Tempio Jedi, poteva anche avere una lingua affilata, ma alla fine era vulnerabile come qualsiasi altro bambino della sua età.
Qui-Gon si passò una mano sulla fronte. «È complicato» disse. Come spiegargli il discorso di Taren? «Non sapevo se ti avrebbe fatto piacere vedermi, e non volevo disturbarti».
Obi-Wan rimase in silenzio. Con la lingua, esplorò gli spazi vuoti lasciati dai dentini che gli erano caduti.
Improvvisamente, Qui-Gon sentì il desiderio di fargli mille domande. Voleva sapere – davvero – com’era andato quell’anno. Voleva sapere cosa il bambino aveva percepito della sua missione.
Taren, dopotutto, non era davvero sceso nei dettagli. Gli aveva detto che il bambino aveva avuto degli incubi e gli aveva detto che il Maestro Yoda gli aveva insegnato a schermarsi.
Ma quanto erano stati nitidi, quegli incubi? Obi-Wan aveva capito che erano dovuti a lui? Aveva compreso che esisteva un legame tra di loro? Se no, Taren e Yoda glielo avevano spiegato? Quanta paura aveva avuto il bambino? Quanta angoscia, per lui?
Alla fine, l’uomo si trattenne dal sommergerlo di domande. Il bambino aveva appena iniziato ad aprirsi; porgli quesiti tanto personali avrebbe potuto indurlo a chiudersi a riccio.
«Possiamo rimediare al tempo perduto, se vuoi» disse Qui-Gon. «Che ne dici di meditare di nuovo con me, domani?»
Obi-Wan esitò. «Ecco…»
«Puoi dirmelo, se non te la senti» lo rassicurò subito l’uomo, anche se quella possibilità gli fece sentire un peso sullo stomaco.
Quelle parole parvero spingere il bambino ad abbassare le proprie difese. «Mi piacerebbe, Maestro Jinn».
Qui-Gon dovette lottare contro l’impulso di sorridere.
«È solo che…»
La fronte dell’uomo si increspò. Solo che?
Le parole successive del bambino alleviarono la sua tensione: «Nel pomeriggio, domani, il Maestro Kun fa una lezione sulla forma Ataru, e chi vuole può assistere… E io… ecco, io volevo andarci».
L’uomo tornò a sentire una breccia d’ottimismo. Cercò di tranquillizzare il bambino con un’occhiata. «Non importa, Obi-Wan» gli assicurò, «tu va’ pure alla lezione. Noi potremo vederci dopodomani».



















Note:
Ed eccoli finalmente riuniti, com’è giusto che sia!
Spero tanto di non aver scritto idiozie…
Riguardo la ricerca di Obi-Wan, gli Ysalamiri e Myrkr non sono di mia invenzione, mentre lo è il pianeta Nihilo (e come dubitarne, con un nome così?).
E Jocasta Nu fa la sua comparsa nel secondo film; è la donna che sostiene che, se qualcosa non è registrato negli Archivi, allora non esiste. Per qualche oscuro motivo, ho una specie di debole per lei…
Appuntamento a martedì 19 novembre!

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Capitolo 12
*** Imprevisti ***


Capitolo 12 – Imprevisti

Invece si videro anche il giorno successivo.
Qui-Gon, infatti, decise di scendere in palestra. Appena entrato, scorse Taren in compagnia di sei Iniziati, tra i quali individuò subito Obi-Wan, e si fermò accanto alle panche allineate lungo la parete, così da poter osservare la lezione in tutta tranquillità.
Senza dubbio, era uno spettacolo degno di questo nome.
Coi piccoli, Taren riusciva a mostrare una pazienza esemplare, e a quanto pareva gli sarebbe servita tutta, dato che, per i bambini, imparare le mosse dell’Ataru sembrava tutt’altro che semplice.
Quando vide Obi-Wan impugnare la propria spada laser con l’aria più perplessa del mondo, Qui-Gon non poté trattenere un sorriso.
Senza pensare, si fece avanti.
Taren fu il primo a percepirlo, naturalmente, e si girò a guardarlo con espressione accigliata. Lui, però, lo ignorò.
«Iniziato Kenobi» esordì, con voce chiara, e anche gli occhi degli Iniziati schizzarono verso di lui, «mi permetti di correggere la tua presa?»
Obi-Wan sbatté le palpebre e, d’istinto, mosse un passo verso l’uomo. Taren, però, si mise tra il proprio amico e l’Iniziato.
«Maestro Qui-Gon» disse, fissando in volto l’altro adulto, «non hai qualcos’altro a cui dedicare il tuo tempo?»
La sua voce era calma, ma l’avvertimento nei suoi occhi era chiaro.
Qui-Gon lo guardò per un istante, poi spostò l’attenzione su Obi-Wan. Quest’ultimo, al pari dei suoi piccoli coetanei, fissava la scena senza capire.
Agendo come gli era congeniale, Qui-Gon sorpassò Taren, e posò la mano su quella con cui Obi-Wan reggeva la propria spada laser, aggiustando la posizione delle dita del bambino.
«È così che devi tenerla» disse, sommessamente, e gli occhi chiari dell’Iniziato si alzarono su di lui. «Hai capito?»
Obi-Wan annuì, ed abbozzò persino un sorriso, mostrando chiaramente i due denti mancanti. «Sì, Maestro Jinn».
Qui-Gon gli rivolse un cenno del capo, dopodiché si raddrizzò. «Molto bene» affermò. Il suo sguardo guizzò su Taren, che era fermo a fissarlo. «Vi lascio alla vostra lezione».
Ciò detto, il Maestro Jedi si diresse verso l’uscita della palestra. Si sentiva più sereno di quanto non gli accadesse da un po’ di tempo a quella parte… Continuava a pensare ad Obi-Wan, che gli aveva sorriso.
Aveva appena mosso qualche passo lungo il corridoio, quando venne raggiunto da Taren.
«Non dovresti sorvegliare quegli Iniziati?» gli domandò.
«Sapranno cavarsela da soli, per un paio di minuti» replicò Taren. «Tu, piuttosto, vuoi spiegarmi cosa significava quella scena?»
Qui-Gon lo guardò, inarcando appena un sopracciglio. «Cosa dovrebbe significare?» domandò, in tutta calma. «L’Iniziato Kenobi era in difficoltà e io l’ho aiutato».
«D’accordo» disse Taren, scrollando il capo. «Dimmi quale parte dell’invito a star lontano da Obi-Wan Kenobi non hai capito».
«Ho capito perfettamente ogni parola, ti ringrazio» replicò Qui-Gon, asciutto.
Taren gli scoccò un’occhiata. «Allora vuoi prenderlo come Padawan?» incalzò.
Qui-Gon si fermò. «No» disse. «Sarebbe troppo prematuro».
L’altro sbuffò. «Prematuro?» ripeté, incredulo. «Qui-Gon, ti rendi conto che hai conosciuto quel bambino un anno fa, vero?»
«Ciononostante» rispose Qui-Gon, «non credo che sarebbe opportuno».
«E reputi più opportuno stargli attorno in questo modo?» chiese Taren, scettico.
«Gli ho offerto la mia amicizia, un anno fa» replicò Qui-Gon, senza batter ciglio. «Non siamo Maestro e Padawan, siamo… amici».
L’altro lo guardò come se fosse impazzito. «Certo» disse. «In effetti, i cinquantenni fanno spesso amicizia con bambini di nemmeno dieci anni».
«A me risultava di averne quarantatre, di anni» osservò Qui-Gon, con calma.
Taren fece una smorfia, come se si trattasse di una precisazione superflua. «Naturalmente, perché questo rende la vostra differenza d’età davvero minima» ironizzò.
Rimase in silenzio per qualche istante, poi scosse la testa.
«Tieni a mente questo, Qui-Gon: è vero, quel bambino ha ancora otto anni, ma presto o tardi avrà bisogno di un Maestro. E se questo Maestro non vuoi essere tu, è meglio che lasci spazio a chi è davvero disposto ad insegnargli».
Detto ciò, si voltò e tornò verso la palestra senza aggiungere altro.
Rimasto solo in mezzo al corridoio, Qui-Gon si accigliò appena. Come sempre quando aveva bisogno di schiarirsi le idee, si recò nei giardini.
Là, tra gli alberi e i piccoli corsi d’acqua, la vivacità della Forza Vivente fu una vera e propria benedizione.
L’uomo passeggiò a lungo, osservando le piante e i fiori che crescevano in quella sala. La sua mente, però, indugiava sulle parole di Taren e su Obi-Wan.
Tutta la storia di quel bambino era una tale confusione… L’unica cosa che Qui-Gon sapeva con certezza, era di aver danneggiato la fiducia che l’Iniziato nutriva nei suoi confronti, e che un rapporto tra Padawan e Maestro non poteva esistere, senza la fiducia.
Prendere Obi-Wan come allievo, a questo punto, sarebbe stato davvero troppo prematuro.
L’uomo si fermò nei pressi del lago. Un paio di ragazzini sedevano sulle sponde, i piedi immersi nell’acqua, e chiacchieravano tranquillamente.
Qui-Gon li osservò distrattamente, e dopo un po’ sentì che qualcuno gli si avvicinava.
Non era una presenza conosciuta.
«Maestro? Scusate, Maestro?»
L’uomo si girò.
Davanti a lui, c’era una giovane Twi’lek. A giudicare dall’altezza, sembrava avere all’incirca undici anni, ed aveva la pelle color mattone.
I suoi occhi erano blu, così come le perline che le pendevano dal lekku destro.
Dopo un istante, Qui-Gon realizzò di averla già vista… in compagnia di Feemor, l’anno prima. Doveva essere la Padawan scelta dal suo ex apprendista.
«Sì?» le domandò l’uomo, gentilmente.
Lei esitò, forse intimidita dalla stazza del Maestro Jedi. «Mi dispiace disturbarvi» disse infine. «Ma voi… siete il Maestro Qui-Gon Jinn?»
«Sono io» rispose l’uomo.
«Oh». La Twi’lek accennò un inchino. «Io sono Talia Hiro» si presentò poi. «Sono la Padawan di Feemor Crus».
Qui-Gon annuì appena. Come aveva immaginato…
«Il mio Maestro mi ha parlato di voi» aggiunse la ragazzina, timidamente. «Spero di non avervi disturbato…»
L’uomo le rivolse uno sguardo rassicurante. «Nient’affatto» rispose. «È stato un piacere conoscerti, Padawan Hiro».
Talia riuscì a tirare fuori un piccolo sorriso. «Il piacere è stato mio, Maestro Jinn».
Con la grazia caratteristica dei Twi’lek, eseguì un bell’inchino, quindi si allontanò lungo il prato.
Sentendo qualcun altro che si avvicinava – e questa, di presenza, era alquanto familiare – Qui-Gon si girò.
Obi-Wan era a pochi passi da lui, e guardava Talia allontanarsi con occhi pieni di diffidenza.
Per un istante, però, tutto ciò che Qui-Gon notò fu che il bambino era venuto a cercarlo. «Obi-Wan» disse, sentendosi incredibilmente bene. «È tutto a posto?»
Il bambino si riscosse, e i suoi occhi chiari saettarono verso il Maestro Jedi. «Sì, Maestro Jinn» rispose.
«Hai bisogno di qualcosa?»
Obi-Wan parve impiegare qualche momento, prima di ricordare come mai si trovava lì. «Io volevo… volevo solo farti una domanda».
Qui-Gon annuì. «Quale?»
In quel momento, avrebbe risposto volentieri a qualsiasi quesito.
Dopo qualche istante di indugio, il bambino riferì cautamente: «Domani comincia un Torneo per noi Iniziati, e io volevo… ecco, volevo chiederti se vorresti assistere. Combatterò anch’io».
Qui-Gon lo guardò. Spesso, era proprio assistendo a quei Tornei che i Maestri sceglievano i loro futuri Padawan… Qui-Gon era stato notato da Dooku in un’occasione simile, ed anni e anni più tardi aveva osservato il proprio futuro apprendista durante uno di quei combattimenti…
Immaginava che Taren non sarebbe stato contento di vederlo tra il pubblico, ma come poteva rifiutare?
Gli sembrava che quella richiesta fosse, per Obi-Wan, un modo di metterlo alla prova. Di scoprire se l’uomo aveva davvero intenzione di riavvicinarsi a lui.
Inoltre, Qui-Gon sentiva come un quieto orgoglio, nel bambino, la consapevolezza di essere bravo a fare qualcosa, e la speranza che l’uomo lo vedesse… Fu quest’ultima emozione, a far capitolare definitivamente il Maestro Jedi.
«Molto bene, allora» si sentì rispondere lui. «Ci sarò».
Obi-Wan lo ricompensò con un sorriso – un sorriso un po’ esitante, forse, ma pur sempre un sorriso – per poi tornare serio un momento dopo.
No, più che serio sembrava assillato da qualcosa.
«C’è dell’altro?» chiese allora Qui-Gon.
Il bambino esitò. «Chi… chi era la Twi’lek con cui parlavi?» domandò poi, in tono strano.
«È la Padawan di un mio caro amico» rispose Qui-Gon.
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Oh» fu tutto ciò che riuscì a dire, cercando di suonare indifferente.
Qui-Gon lo scrutò, ma decise di non indagare. «Com’è andata la lezione sulla forma Ataru?» chiese invece.
«Abbastanza bene… credo» rispose il bambino. Fece una pausa, poi alzò uno sguardo serio sul Maestro Jedi. «Grazie per avermi mostrato come tenere la spada».
«Sono stato felice di aiutarti» replicò Qui-Gon, ed era la verità. E a proposito di verità… «Ma è stato scortese, da parte mia, intromettermi nella lezione del Maestro Kun… Lui è un ottimo insegnante, e tu sei un bravo allievo. Ti garantisco che lo avresti imparato anche senza il mio aiuto».
Obi-Wan spostò il proprio peso da una gamba all’altra. «È quasi ora di cena» disse infine. «Tu vieni in mensa?»
Sembrava dovesse sforzarsi un po’, per informarsi su Qui-Gon senza stare sulle sue.
L’uomo declinò con un cenno del capo. “Un passo alla volta” si ricordò. «Io mangerò nel mio alloggio».
«Va bene» rispose il bambino. «Buon appetito, Maestro Jinn».
«Buon appetito a te» ricambiò il Jedi.
Obi-Wan gli rivolse un cenno, un inchino fugace, e si allontanò.
Qui-Gon aveva la fronte aggrottata. Ripensò a Talia, e alla reazione di Obi-Wan dopo che l’aveva visto parlare con la giovanissima Twi’lek.
Era possibile che il bambino avesse creduto che lui stesse chiedendo a quella ragazzina di diventare la sua Padawan?
Certo che sì. E non c’era stato solo timore, di fronte a quella possibilità.
Gelosia. Quando lo aveva visto parlare con Talia, Obi-Wan si era ingelosito.
Alla luce di quell’avvenimento, era probabile che qualunque Jedi di buonsenso avrebbe deciso di tagliare i ponti con quell’Iniziato. Era chiaro che Obi-Wan, nonostante l’anno di separazione, si stava rapidamente affezionando a Qui-Gon, più profondamente di quanto avrebbe dovuto… persino la sua cautela ne era indice… e ciò poteva essere pericoloso per il bambino.
Qui-Gon, però, non era mai stato un uomo di buonsenso.

Il Torneo tra gli Iniziati si teneva in palestra.
Erano state aggiunte alcune panche, così che ci fossero più posti per eventuali spettatori.
A quanto pareva, l’età dei giovani partecipanti andava dai sei ai dodici anni… Era probabile, però, che i match fossero stati organizzati in modo da far combattere tra loro dei coetanei.
Di solito, infatti, sino ai dieci anni, i bambini conoscevano solo la prima forma, e da lì in poi ricevevano anche una spolverata di nozioni riguardanti altri stili di combattimento.
Obi-Wan non era tra i primi due duellanti. Con gli altri bambini in attesa del loro turno, stava seduto su una panca sistemata dalla parte opposta rispetto al pubblico.
E nonostante in mezzo ci fossero gli Iniziati che avevano cominciato il primo match, gli occhi chiari del bambino trovarono subito Qui-Gon.
L’uomo si rese conto che Obi-Wan non aveva avuto bisogno di cercare in mezzo alla folla… aveva guardato con precisione verso di lui, come se sapesse in anticipo dove l’avrebbe trovato.
“Il legame” pensò il Maestro Jedi, e istintivamente sfiorò quel filo di luce nella propria mente.
Forse si era un po’ indebolito, da quando Qui-Gon ed Obi-Wan avevano preso a schermarsi da esso, ma era ancora lì.
L’uomo si domandò se il bambino se ne fosse servito con consapevolezza, poi i suoi occhi si spostarono su Taren.
Quest’ultimo era tra i Maestri che facevano da giudici… Se avesse cercato di cacciare Qui-Gon dalla palestra, però, l’uomo era già determinato a non farsi mandar via.
Quell’invito da parte di Obi-Wan… era stato come se il bambino muovesse finalmente un passo nella sua direzione.
Forse, l’Iniziato Kenobi aveva ricominciato a fidarsi di lui.
Taren guardò l’amico, ma si limitò a scuotere la testa e a tornare ad osservare gli Iniziati intenti a combattere.
Più avanti, un duello vide come avversari una bambina dai capelli neri ed un piccolo Mon Calamari – minuto, con grandi occhi argentei e la pelle grigiastra.
Tra gli spettatori, ci fu un attimo di apprensione – mista, forse, ad una certa ilarità – quando i due Iniziati riuscirono a darsi una bella zuccata, e il maschietto scoppiò in un pianto disperato.
Un simile spettacolo era un evento più unico che raro, al Tempio Jedi, ma fortunatamente l’intervento della Maestra Yula bastò a sistemare le cose.
Con una mossa più pratica che materna, prese in braccio il Mon Calamari, trasportandolo lontano dagli occhi del pubblico, così da permettergli di calmarsi in poco tempo…
Qui-Gon seguì la donna e il piccolino con lo sguardo, ma riportò di colpo gli occhi davanti a sé quando vennero annunciati i successivi oppositori: era arrivato il turno di Obi-Wan.
Per la prima volta, Qui-Gon ebbe modo di osservare il bambino durante un duello. E se, da un lato, Obi-Wan aveva una certa goffaggine tipicamente infantile, dall’altro l’uomo riuscì a vedere con chiarezza il talento di cui aveva parlato Taren.
Anche l’avversario di Obi-Wan era abbastanza bravo, ma alla fine la vittoria venne attribuita all’Iniziato Kenobi.
Senza pensarci, Qui-Gon si ritrovò ad annuire con approvazione. Gli occhi del bambino guizzarono verso di lui, ma a quel punto Taren lo fece andare a sedersi di nuovo.
Un po’ più duro, per Obi-Wan, si rivelò il match successivo.
Il suo opponente era un Abyssino: aveva un unico, grande occhio in mezzo alla fronte, pelle verde chiaro, ed alcuni peli bianchi sulla nuca… nonché una grande energia.
Obi-Wan rischiò più volte di perdere l’equilibrio sotto gli assalti della spada laser avversaria, e inizialmente non riuscì a far altro che stare sulla difensiva.
Poco a poco, però, iniziò a contrattaccare… e Qui-Gon, con una certa sorpresa, riconobbe alcune mosse dell’Ataru. La tecnica era molto criticabile, ma ebbe un buon risultato… L’Abyssino perse gradualmente terreno, e alla fine, con un colpo deciso, Obi-Wan riuscì a fargli cadere la spada laser di mano.
Comprensibilmente, il suo avversario parve un po’ contrariato, e dopo aver raccolto la propria arma scappò verso gli Iniziati seduti sulla panca.
Obi-Wan si inchinò al pubblico, quindi corse via a sua volta.
Combatté altri tre duelli: uno lo perse in modo clamoroso, inciampando nei propri piedi in seguito ad un attacco elementare, ma se non altro riuscì a vincere gli altri due.
Quando il Torneo giunse al termine, alcuni spettatori iniziarono subito ad andarsene, mentre una manciata di Iniziati sciamava attorno ai Maestri che avevano giudicato i match.
Obi-Wan, invece, si girò verso il pubblico.
I suoi occhi chiari incrociarono quelli di Qui-Gon, e il bambino abbozzò un sorriso. L’uomo ricambiò con un cenno del capo, quindi fece per alzarsi.
In quel momento, però, fu oltrepassato da un altro Maestro, un Balosar dalla corporatura piuttosto robusta. Come gli altri membri della sua razza, avrebbe potuto essere facilmente scambiato per un Umano, non fosse stato per gli antennapalmi che sporgevano dai suoi capelli scuri ed ispidi.
Si diresse con sicurezza verso Obi-Wan, e gli occhi sorpresi del ragazzino si puntarono su di lui.
Qui-Gon si bloccò, e restò a guardare mentre il Balosar si complimentava con l’Iniziato.
Anche a quella distanza, riuscì a distinguere l’accenno di sorriso che piegava le labbra del bambino.
Inconsciamente, strinse le mani, per poi riaprirle un istante dopo.
Fortunatamente, dopo qualche minuto, il Balosar diede una pacca gentile sulla spalla di Obi-Wan e se ne andò. Qui-Gon non indugiò oltre: si alzò e si avvicinò rapidamente all’Iniziato.
Tutta l’attenzione del bambino si concentrò immediatamente su di lui e l’uomo non poté evitare di provare una punta di soddisfazione.
«Maestro Jinn» lo salutò Obi-Wan.
«Un’ottima prova, Obi-Wan» approvò Qui-Gon, che non voleva tenerlo sulle spine.
A quelle parole, il volto del bambino si aprì in un sorriso. «Davvero?»
L’uomo annuì. «Il Maestro Kun mi aveva detto che eri bravo con la spada laser, ma devo dire che hai superato le mie aspettative».
Quasi evocato dal proprio nome, Taren spuntò alle spalle del piccolo Iniziato. Dopo aver lanciato un’occhiata di biasimo a Qui-Gon, chiamò: «Kenobi?»
Obi-Wan si girò verso di lui. «Sì, Maestro Kun?»
«Credo sia il caso che tu vada a fare una doccia» gli suggerì l’uomo.
Il bambino sbatté le palpebre. «Sì, Maestro Kun» disse, in tono remissivo. Riportò lo sguardo su Qui-Gon. «Allora ci vediamo, Maestro Jinn».
«Certamente» gli assicurò l’interpellato, ignorando lo sguardo di Taren.
Il bambino rivolse un inchino ai due Maestri, dopodiché si allontanò. A quel punto, gli occhi castani di Taren si fermarono su Qui-Gon.
Quest’ultimo gli si rivolse con disinvoltura: «Se gli Iniziati che ho visto hanno imparato da te… Sei un insegnante migliore di quanto credevo».
«Grazie» disse l’uomo. Aggrottò la fronte. «Credo».
Qui-Gon dovette sorridere, poi tornò serio. «Seriamente, però. Sei un bravo insegnante. E mi scuso per aver interrotto la tua lezione, ieri».
Taren parve sorpreso. «Scuse accettate» si limitò a dire.
In quel momento, il minuscolo Mon Calamari che si era messo a piangere durante il Torneo parve comparire dal nulla, ed andò ad attaccarsi alla gamba di Taren.
Lui non fece una piega, quasi fosse del tutto abituato ad avere dei marmocchi avvinghiati a sé.
Qui-Gon, invece, scambiò un’occhiata col piccolo, che lo fissava con due occhi liquidi colmi di curiosità, tenendo la testona appoggiata contro il fianco di Taren.
«Il Maestro che si è fermato a parlare con Obi-Wan» esordì quindi Qui-Gon, rivolto all’amico. «Lo conosci, per caso?»
Taren corrugò la fronte. «Sto assistendo ad una scenata di gelosia?»
Qui-Gon non batté ciglio. «Non è un problema, per me, rivolgere questa domanda a qualcun altro…»
Taren alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. «Vedi, Bali?» disse, rivolto al piccolo Mon Calamari. «Non sono solo i bambini ad essere irragionevoli, talvolta».
L’Iniziato si aprì in un largo sorriso, e si aggrappò più saldamente all’uomo.
Taren tornò a guardare Qui-Gon. «Per tornare alla tua domanda… sì, lo conosco. È il Maestro Quail. Sembra che Kenobi gli stia simpatico, vero?»
E, senza aggiungere altro, si allontanò, trascinando con sé il Mon Calamari.
Qui-Gon rimase fermo sul posto, accigliato. Una parte di lui, si chiese se avrebbe dovuto andare da Obi-Wan e… no. Era ancora troppo prematuro; aveva appena iniziato a ricostruire il suo rapporto con quel bambino.
Non voleva fare gli stessi errori che aveva fatto col suo ultimo apprendista. Non poteva.
Sospirò appena. Ricordava ancora quando l’aveva scelto… Lo aveva visto combattere e alla fine del Torneo lo aveva avvicinato.
L’intelligenza spregiudicata di quel ragazzino dai capelli neri lo aveva colpito… Ora, riguardando indietro, pensava agli indizi che non aveva colto, al proprio comportamento troppo indulgente.
Il ragazzino si arrabbiava con eccessiva rapidità? Lui l’aveva attribuito all’età.
Il ragazzino trasgrediva i suoi ordini o commetteva delle infrazioni? A lui bastava una scusa contrita per accordargli il proprio perdono.
Qui-Gon chiuse gli occhi. Che pessimo giudice, che era stato.
Tanto per peggiorare le cose, adesso non vedeva solo i difetti del ragazzo. Ricordava la sua astuzia, la sua agilità, il suo amore per le opere d’arte ed i tramonti…
Checché ne dicesse Yoda, il cuore di Qui-Gon continuava a credere che, con un Maestro migliore, il suo secondo apprendista si sarebbe trasformato in un Jedi straordinario.

Qualche giorno più tardi, l’uomo era immerso nella calma dei giardini del Tempio.
Sentiva lo scorrere dell’acqua e la frenesia delle bestiole che correvano da un albero all’altro, e si sentiva completamente rilassato e a proprio agio.
Quasi completamente, se non altro.
Negli ultimi tempi, aveva continuato ad incontrarsi con Obi-Wan. Avevano meditato insieme, erano stati insieme alla mensa del Tempio, il bambino gli aveva permesso di aiutarlo un poco con i suoi esercizi… C’erano ancora dei momenti in cui l’Iniziato si chiudeva in se stesso senza una ragione apparente e sembrava recalcitrante a fidarsi di Qui-Gon, ma le cose stavano innegabilmente migliorando.
Sennonché, il giorno prima, l’uomo aveva di nuovo visto il Maestro Quail parlare con Obi-Wan. E, quando aveva interpellato il bambino in proposito, lui aveva detto che il Balosar l’aveva già avvicinato altre volte, dopo il Torneo.
Se avesse avuto un minor controllo sulle proprie emozioni, Qui-Gon si sarebbe sentito quasi irritato nei confronti di quel Jedi.
Trasse un respiro profondo, osservando le gemme azzurrine che iniziavano a spuntare sui rami di una pianta poco lontana.
Poi avvertì una presenza familiare che gli si avvicinava e si voltò.
Taren stava arrancando verso di lui. Non doveva essersi fatto la barba, quella mattina, a giudicare dalle sue guance ruvide… Ad attirare l’attenzione di Qui-Gon, però, fu il volto dell’amico, che sfoggiava un’espressione mortalmente seria.
Il Maestro Jedi sospirò appena. Sperava che non fosse in arrivo un’altra ramanzina riguardante Obi-Wan.
«Buongiorno» disse, quando l’amico lo raggiunse.
«Buongiorno a te» replicò Taren. A dispetto del saluto, aveva tutta l’aria di pensare che quel pomeriggio fosse a dir poco orrendo.
«Sembra che gli Iniziati ti abbiano esaurito» commentò Qui-Gon, sperando che fosse quella la causa del cipiglio dell’altro.
Taren si portò una mano alla fronte. «Non si tratta di questo».
«Di cosa si tratta, dunque?» domandò Qui-Gon, in tono un po’ rassegnato. «Non sarai venuto a dirmi di tenermi a distanza…»
Taren lo zittì con un sibilo irritato.
Sorpreso da quella reazione, decisamente poco consona ad un Jedi, Qui-Gon guardò l’amico ed inarcò un sopracciglio.
Taren trasse un respiro, rilasciando la propria stizza nella Forza.
Quando si fu calmato a sufficienza, si rivolse all’amico. «In effetti» disse, «si tratta di Kenobi».
Qui-Gon pensò che avrebbe dovuto aspettarselo. Ma cosa potevano aver fatto lui, o Obi-Wan, per innervosire tanto Taren?
«Cos’è successo?»
L’altro lo guardò e per qualche istante rimase in silenzio. «Il Maestro Quail» disse poi, con voce pesante, «gli ha chiesto di diventare il suo Padawan».























Note:
TAN-TAN-TAAAN.
Lasciando da parte le mie uscite idiote, mi scuso per aver rimandato l’aggiornamento, ma la settimana scorsa mi sono attenuta alla regola “prima il dovere e poi il piacere”, e dopo il dovere di tempo per il piacere ce n’era ben poco…
Che dire? Il Feemor dell’EU non aveva un cognome, così ho passato ore e ore a cercare di inventarmene uno… Per fortuna esiste il latino.
Ringrazio di cuore tutti voi che recensite/preferite/seguite/ricordate/leggete questa storia… Mi motivate un sacco a continuare a scrivere :’)
Infine, salvo imprevisti, il prossimo capitolo arriverà martedì prossimo, il 3 dicembre

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Capitolo 13
*** Un nuovo incarico ***


Capitolo 13 – Un nuovo incarico

Qui-Gon impiegò un po’, prima di assorbire l’informazione.
Il Maestro Quail gli ha chiesto di diventare il suo Padawan.
Mentre la voce di Taren sembrava riecheggiargli sinistramente nella testa, l’uomo sentì i propri muscoli irrigidirsi, e si scoprì incapace di dire alcunché.
Lui conosceva la gioia che gli Iniziati mostravano quando si vedevano offrire l’occasione di diventare Padawan… Per la Forza, l’aveva già vista persino sul volto di Obi-Wan…
Ed ora, immaginare il bambino che sorrideva radioso ad un altro Maestro, che accettava l’offerta di un altro Maestro…
«Questa mattina» disse Taren, in tono misurato, «il Maestro Quail si è recato nella Torre del Consiglio, ed ha chiesto di poter prendere Kenobi come Padawan. Il Consiglio ha accettato, naturalmente».
Qui-Gon gettò un’occhiata all’amico.
Il fatto che il Maestro Quail, in primo luogo, si fosse rivolto al Consiglio, non lo stupiva affatto: spesso, gli Iniziati erano i secondi ad essere interpellati in proposito.
Improvvisamente, una domanda aggredì la mente di Qui-Gon. Perché il Maestro Yoda non aveva respinto la richiesta? Perché non l’aveva almeno avvertito?
Un istante dopo, si meravigliò della propria irrazionalità.
Sapeva bene che il Maestro Yoda non si trovava al Tempio, attualmente… E se anche si fosse trovato lì, perché avrebbe dovuto respingere la richiesta del Maestro Quail? Perché avrebbe dovuto avvertirlo?
In fondo, che diritto aveva lui, su Obi-Wan?
Nessuno.
«Così» continuò Taren, ignorando le emozioni che Qui-Gon stava reprimendo sistematicamente, «dopo pranzo, il Maestro Quail è venuto a cercare l’Iniziato Kenobi… che, per la cronaca, era in compagnia mia e di altri membri del Clan del Dragone… e gli ha fatto la sua offerta».
Qui-Gon non capiva perché l’amico volesse raccontargli tutta la storia.
Esteriormente, rimase impassibile. Interiormente, dovette far appello alla Forza Vivente per mantenere il controllo su di sé.
All’improvviso, persino l’aria dei giardini gli parve ridotta e claustrofobica.
Doveva farsi assegnare un nuovo incarico dal Consiglio, pensò. Di certo, c’era un qualche pianeta lontano che aveva bisogno dell’intervento di un Jedi… Mentre lì al Tempio, a quanto sembrava, non c’era più nessuno che avesse bisogno di lui.
Obi-Wan Kenobi aveva trovato il suo Maestro.
Qui-Gon era quasi irritato con se stesso. In fondo, non era quello che aveva voluto, sin dalla prima volta che aveva incontrato il bambino?
Allora perché si sentiva così?
Perché le cose erano cambiate, gli rispose un sussurro in fondo alla sua testa.
La voce secca di Taren lo riscosse dai propri pensieri: «L’Iniziato Kenobi ha rifiutato».
Qui-Gon lo fissò. «Cosa?» si sentì chiedere.
“Rifiutato?”
«Mi hai sentito» replicò Taren, sempre seccamente. «Il marmocchio ha detto di no, e avresti dovuto vedere la faccia di Quail… Probabilmente, anche i membri del Consiglio si sono sbalorditi, apprendendo questa bella notizia».
Qui-Gon non lo stava più ascoltando. La sua mente era ancora bloccata a Obi-Wan che si lasciava sfuggire – anzi, respingeva – l’occasione di diventare un Padawan…
«Devo parlare con Obi-Wan» disse, di punto in bianco, scattando verso l’uscita dei giardini, del tutto sordo ai richiami di Taren.

Obi-Wan era seduto sul proprio letto, il mento appoggiato alle ginocchia e l’espressione seria e pensosa.
Quando sentì il sibilo della porta che si apriva, i suoi occhi grigio-azzurri si alzarono di colpo, aspettandosi di vedere la Maestra Yula… e invece trovarono Qui-Gon Jinn.
La sorpresa passò sul viso del bambino, e lui fu rapido a tirar giù le gambe e a drizzare la schiena.
«Maestro Jinn» salutò, in tono quasi vigile.
L’uomo gli rivolse un breve cenno del capo. «Obi-Wan» replicò.
A quel punto, il bambino scivolò giù dal letto, mettendosi in piedi, e si affrettò ad eseguire un inchino.
Per qualche tempo, nessuno dei due disse nulla.
«C’è… c’è qualcosa che posso fare?» domandò poi Obi-Wan, incerto.
Qui-Gon si schiarì la gola. Il bambino era palesemente in ansia… era meglio chiarire subito il motivo della propria visita.
«Ho saputo che il Maestro Quail ti ha chiesto di diventare il suo Padawan» si decise a dire l’uomo, con voce contenuta.
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Oh».
«E ho anche saputo» aggiunse Qui-Gon, senza staccare gli occhi dal bambino, «che hai rifiutato la sua offerta».
Obi-Wan passò il proprio peso da una gamba all’altra, mentre la sua inquietudine si trasmetteva nitidamente attraverso la Forza.
«Posso chiederti perché lo hai fatto?» chiese Qui-Gon, in tono perfettamente calmo.
Esitante, Obi-Wan alzò gli occhi sul volto dell’uomo. «Io…» cominciò. «Ecco, io…» Si morse un labbro, poi disse, semplicemente: «Non potevo dirgli di sì».
Qui-Gon lo scrutò. «Perché no?»
Il bambino si guardò rapidamente intorno, a disagio. «Io non… non so come spiegarlo». Fece una pausa, poi riprese: «Non potevo e basta».
Qui-Gon non disse nulla. Percepiva che Obi-Wan stava cercando di trovare le parole migliori per spiegarsi.
«Non potevo perché… non sembrava giusto».
L’uomo lo guardò. «Non sembrava giusto?» ripeté, quietamente.
Obi-Wan si affrettò ad annuire. «Esatto» confermò. L’incertezza tornò a balenare sul suo viso. «Io non… non sono bravo, a capire cosa vuole la Forza. Però, quando il Maestro Quail mi ha chiesto di diventare il mio Padawan, io… ho capito subito che non voleva che dicessi di sì. Non suonava… giusto».
Qui-Gon continuò ad osservarlo con aria intenta, quasi volesse penetrare la mente dell’Iniziato.
Dapprima, Obi-Wan cercò di ricambiare lo sguardo del Maestro Jedi, ma alla fine abbassò gli occhi sui propri piedi.
Qui-Gon si costrinse a parlare. «Capisco».
Lentamente, gli occhi di Obi-Wan si sollevarono su di lui. «Non sei arrabbiato».
Davanti a quelle parole, l’uomo rimase interdetto. «Perché dovrei esserlo?» domandò, accigliandosi.
Il bambino scrollò le spalle. «Be’… ho detto di no ad un Maestro» disse, con voce piena di disagio. «Non è una cosa che…»
«Obi-Wan» lo interruppe Qui-Gon, in tono gentile, «ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?»
Il bambino lo guardò con aria confusa. Chiaramente non capiva dove volesse arrivare l’uomo, ma annuì. «Sì, Maestro Jinn».
«Bene» disse Qui-Gon. «E ricordi che, il pomeriggio seguente, abbiamo passeggiato nei giardini?»
Obi-Wan fece nuovamente cenno di sì.
«Ad un certo punto, ti ho domandato se pensavi che contassero solo le azioni, o anche la loro motivazione».
«Me lo ricordo» affermò Obi-Wan. «Io non sapevo la risposta, e mi hai detto che avrei potuto dirtela quando avrei capito qual era».
Qui-Gon pensò che il bambino aveva una buona memoria. «Esatto» gli disse. «E ci hai pensato su?»
L’Iniziato annuì. «Però… non ho una risposta precisa…»
«Non importa» lo tranquillizzò l’uomo. «A che cosa hai pensato?»
«Ho pensato che la motivazione importa» iniziò Obi-Wan, incerto. «Però non sempre».
«Non sempre?»
«Dipende da che cosa una persona fa, no?» chiese Obi-Wan, esitante. «Se fa qualcosa di molto brutto, non so se possa essere scusata».
Qui-Gon annuì. «D’altra parte» non poté trattenersi dall’osservare, «spiegare una cosa è diverso dallo scusarla». Allo sguardo confuso di Obi-Wan, fece un gesto vago. Probabilmente non era il momento di mettersi a filosofeggiare. «Lascia stare. Il tuo è comunque un ragionamento valido». Si inumidì le labbra. «Ti posso assicurare, però, che ciò che hai fatto tu non è così brutto. E anche se lo fosse» aggiunse, notando l’espressione del bambino, «hai seguito il volere della Forza. Non c’è nulla di male in questo. Devi esserne fiero, invece».
Il bambino si mordicchiò il labbro inferiore. «Allora è vero» disse infine, scoraggiato. «La Forza non vuole che io diventi un Jedi?»
Qui-Gon lo fissò. Un Iniziato avrebbe dovuto almeno aspettare di avere dodici anni, prima di preoccuparsi di una cosa simile.
Aprì la bocca per replicare, ma in quel momento la porta si aprì di nuovo.
La Maestra Yula, i capelli legati dietro la nuca in uno chignon scuro, fece il suo ingresso. «Maestro Jinn» salutò, con una punta di sorpresa. «Non sapevo che foste qui».
Qui-Gon si inchinò. «Maestra Yula».
La donna sorrise con cortesia, quindi si rivolse ad Obi-Wan. «Piccolo Kenobi, sei pronto?» gli domandò.
Il bambino si riscosse. «Sì, Maestra Yula» si affrettò a rispondere, per poi chinarsi a raccogliere il borsone accanto al proprio letto.
«Spero di non aver interrotto nulla» aggiunse la donna, rivolta a Qui-Gon.
«Non vi preoccupate» replicò lui. «Stavamo soltanto… facendo conversazione».
Obi-Wan si fermò accanto ai due adulti.
«Piccolo Kenobi, puoi andare con gli altri, io vi raggiungo subito» gli disse la Maestra Yula, con gentilezza.
«Sì, Maestra» disse il bambino, ma poi indugiò, guardando verso Qui-Gon. «Andiamo su Nihilo» spiegò.
«La gita» ricordò Qui-Gon, rammentando la ricerca che Obi-Wan stava svolgendo negli Archivi il giorno dopo il suo ritorno. «Certamente».
Il bambino gli rivolse un inchino. «Che la Forza sia con te, Maestro Jinn».
L’uomo rispose abbassando il capo. «E con te, Iniziato Kenobi».
Obi-Wan diede un ultimo sguardo a Qui-Gon e alla Maestra Yula, dopodiché uscì dalla propria camera.
«Volevate dirmi qualcosa?» domandò quindi l’uomo.
La Maestra Yula attese un istante. «Gli avete chiesto di diventare il vostro Padawan?» chiese poi.
Qui-Gon sospirò interiormente. «No».
Mentre lo diceva, realizzò di non essere stato poi così lontano dal farlo…
La donna annuì. «Arrivederci, allora, Maestro Jinn».
Entrambi i Maestri uscirono dalla camera dell’Iniziato. Mentre la Maestra Yula si diresse dove si erano radunati i piccoli membri del Clan del Dragone, però, Qui-Gon uscì dall’ala del Tempio riservata alle stanze degli Iniziati.

Due giorni dopo la partenza di Obi-Wan per Nihilo, Yoda, Cin Drallig e il Maestro di quest’ultimo rientrarono dalla loro missione.
Quello stesso pomeriggio, Qui-Gon stava meditando nei giardini del Tempio. Si sentiva completamente parte della Forza Vivente, che lo blandiva ed avvolgeva come una coperta di serenità.
Quand’ecco, qualcosa di duro e sottile gli punzecchiò la gamba.
L’uomo aprì lentamente gli occhi. «Maestro Yoda» salutò, rivolgendo un cenno al piccolo troll verde davanti a lui. «Sei tornato dalla missione».
Mentre parlava, provò una sensazione di déjà-vu. Anche il giorno in cui aveva conosciuto Obi-Wan, il Gran Maestro aveva interrotto la sua meditazione nei giardini.
Sperava non divenisse un’abitudine.
«Questa mattina, sono rientrato» rispose Yoda.
«Spero che tu abbia avuto successo» disse Qui-Gon, cortesemente.
«Un gran successo, sì» confermò Yoda, per poi aggiungere con una certa soddisfazione: «Il Padawan Cin Drallig, di grande aiuto è stato».
«Drallig è un giovane pieno di talento» concordò Qui-Gon.
«Mmm». Yoda si sfregò una mano a tre dita contro il mento. «Qui per parlare della mia missione o di un Padawan, io non sono».
«No?» domandò Qui-Gon. «Di cosa vorresti discutere, dunque?»
«Una missione per te, io ho» decretò Yoda.
Per un istante, l’uomo sentì quasi una fitta di disappunto, mentre i suoi pensieri correvano istintivamente ad Obi-Wan. Aveva sperato di poter essere al Tempio, in occasione del ritorno di Obi-Wan da Nihilo… E invece doveva partire di nuovo. Stavolta, senza nemmeno poter salutare il bambino.
Il suo senso del dovere, però, soppresse in fretta qualsiasi sorta di rammarico.
«Di che missione si tratta?» chiese l’uomo.
«Indagare su un furto, dovrai» rispose Yoda.
Qui-Gon inarcò un sopracciglio. «Non è un lavoro per il Corpo di Polizia?» domandò. «L’intervento di un Maestro Jedi è davvero necessario?»
Il suo non era un rifiuto dell’incarico, ma una pura e semplice richiesta d’informazioni.
«Il pianeta su cui recare ti dovrai» replicò Yoda, «un Corpo di Polizia non ha».
L’uomo annuì. «Qual è il pianeta in questione?»
«Il pianeta Nihilo è».
Qui-Gon fissò il Gran Maestro. «Il pianeta Nihilo?» ripeté. «Vuoi dire dove si trovano attualmente in gita alcuni Iniziati?»
Yoda annuì, impassibile.
«E nonostante il furto, gli Iniziati non sono stati fatti rientrare a Coruscant?» aggiunse Qui-Gon.
«Solo di un furto, si tratta» gli fece notare Yoda, ragionevolmente. «Coi bambini, quattro Maestri Jedi ci sono. In pericolo, non si trovano».
Qui-Gon si ritrovò a concordare col Gran Maestro. Una parte di lui si chiese se quella sua apprensione fosse stata causata dal fatto che Obi-Wan si trovava su quel pianeta, e l’uomo si alzò in piedi. «Quando posso partire?»
«Prima nella Sala del Consiglio vieni» disse Yoda. «I dettagli della missione, darti dobbiamo».
















Note:
Okay. Ce l’ho fatta.
Scusatemi, so che avrei dovuto aggiornare la settimana scorsa, e poi ieri, ma davvero ho avuto pochissimo tempo…
Spero che questo capitolo sia almeno decente.
A martedì 24 dicembre! (Mi duole, ma dubito fortemente che riuscirei a finire di scrivere il prossimo capitolo per la settimana prossima…)
P. S. Oggi è l’11/12/13. LOL. (Va bene, scusate, dovevo puntualizzarlo a ogni costo.)

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Capitolo 14
*** Nihilo ***


Capitolo 14 – Nihilo

***

Il secondo apprendista di Qui-Gon era seduto al tavolo con le braccia conserte, la testa piegata all’indietro e gli occhi chiusi.
Fuori, il cielo di Coruscant stava imbrunendo, ma le miriadi di luci artificiali rendevano impossibile vedere le stelle.
Qui-Gon passeggiava piano per l’area comune dell’alloggio, tenendo una tazza di tisana calda tra le mani.
Improvvisamente, il ragazzo raddrizzò il capo e aprì gli occhi. «È sciocco» dichiarò.
L’uomo si girò a guardarlo. «Che cosa?»
«Mandare su Nihilo degli Iniziati di neanche nove anni» replicò l’allievo.
A quella replica, Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio. «E perché mai?»
Lui poteva anche essere in disaccordo con molte decisioni del Consiglio, ma portare in gita gli Iniziati non gli sembrava affatto riprovevole.
«Arte» sillabò in risposta il suo apprendista. «Su Nihilo vivono alcuni artisti straordinari».
«Ne ho sentito parlare» ammise l’uomo.
«Ecco» puntualizzò il ragazzo. «Se non fossi stato solo un marmocchio, quando ho visto quel pianeta, avrei potuto apprezzare meglio la cosa».
Qui-Gon si concesse un istante di silenzio, mescolando piano l’infuso col cucchiaino. «Se vuoi» propose poi, «potremmo cercare di andare a visitarlo, nei prossimi mesi».
Il ragazzo lo guardò con incredulità. «Se voglio? Visitarlo?»
«Sì» confermò il Maestro Jedi. «Potremmo chiedere qualche giorno di permesso e…»
«Ma per favore» sbuffò il suo apprendista, alzandosi in piedi. «Siamo Jedi. Non possiamo mai fare ciò che vogliamo».
Davanti a quell’affermazione, tanto impietosa quanto inesatta, Qui-Gon non poté fare a meno di accigliarsi.
Prima che lui potesse ribattere, però, il ragazzo attraversò la stanza a passo deciso, andando a chiudersi nella propria camera da letto.

***

Nihilo era scarsamente popolato.
Siccome i nativi del pianeta si erano trasferiti su altri sistemi più ospitali, gli abitanti erano in stragrande maggioranza Umani immigrati.
La civilizzazione – osteggiata da piante dalla ricrescita rapida e dalla fauna prosperosa – si era adattata alla natura, anziché combatterla, e si era limitata a ritagliarsi una cittadina in una valle tranquilla.
Suddetta città era poco più di un paese: non poteva vantare che alcune case, un paio di mercati e qualche bottega. Ai suoi limiti, si trovava una zona industriale, ma era in disuso da tempo… Qui-Gon ricordava che stava già cominciando a chiudere i battenti quando lui era stato su Nihilo come Iniziato.
Dalla cabina di pilotaggio, vide che il pianeta non era cambiato molto: il verde delle zone boscose sembrava inghiottire avidamente ogni centimetro di terra libera, e la città spiccava come una macchia color ocra.
Il pilota che lo accompagnava era un uomo molto loquace. Durante il viaggio, aveva trovato il tempo di illustrargli per filo e per segno come i pochi abitanti di Nihilo riuscissero a sostentarsi grazie all’arte e al turismo.
«Anche se di solito» aveva aggiunto, grattandosi una guancia, «in questo periodo dell’anno non ci va nessuno».
Qui-Gon aveva annuito con cortesia, tralasciando di spiegare che era proprio per quello che gli Iniziati vi erano stati portati in quei giorni.
Ai Jedi, la sola idea di condurre i loro piccoli allievi in mezzo ad una calca di gente… piaceva molto poco.
Su Nihilo, i luoghi dov’era possibile atterrare non erano molti. Per fortuna, il pilota diede prova di non essere bravo solo a chiacchierare, ma di saper anche manovrare con abilità la propria astronave.
Dopo aver lasciato Qui-Gon sul pianeta, ripartì alla volta di Coruscant.
Forse sarebbe stato comodo, avere un’astronave a portata di mano… Ma per la solita mancanza di spazio, era improponibile che una navicella spaziale attendesse su Nihilo mentre il Maestro Jedi compiva le proprie indagini.
Per comodità, Qui-Gon avrebbe alloggiato nella medesima locanda in cui si trovavano gli Iniziati e i loro accompagnatori.
Si trattava di un edificio a tre piani, con molte finestre e qualche balconcino.
Quando arrivò il Maestro Jedi, il proprietario – un uomo sulla quarantina, con capelli neri corti e brizzolati – lo accolse piuttosto giovialmente.
Si chiamava Jon Tar, e a Qui-Gon piacque immediatamente per le sue maniere cordiali e per la sua espressione franca e affidabile.
Nell’ingresso della locanda, si trovava la reception, con un bancone lucido dietro il quale davano mostra di sé le chiavi elettroniche inutilizzate… Di fronte al bancone, si apriva una porta, mentre più avanti si poteva vedere il breve corridoio che conduceva alla sala da pranzo, nonché le scale che portavano ai piani superiori.
«Gli altri Jedi hanno portato i ragazzini a fare un giro» lo informò il proprietario. «La Maestra Sin-Mara Yula ha lasciato detto che saranno di ritorno questa sera».
Dopodiché, gli porse una chiave.
«Se volete sistemarvi…»
Dopo averlo ringraziato, Qui-Gon si recò nella propria camera. Era una stanzetta modesta, con un letto comodo, una cassettiera, una poltrona, una sedia e una scrivania…
L’uomo andò a sedersi cautamente sul materasso, dopodiché protese i sensi.
A causa della presenza degli Ysalamiri, la Forza sembrava ottenebrata ed elusiva. Appena sbarcato, Qui-Gon aveva avvertito un marcato disagio, ma si era adattato in fretta alla situazione.
Improvvisamente, si chiese come poteva aver reagito Obi-Wan.
Per un istante, riuscì quasi a vederlo: un bambino gracile, dai capelli ramati, che fissava come ipnotizzato verso la boscaglia… Su un ramo, un lucertolone dalle zampe tozze e le squame di un marrone giallastro ricambiava lo sguardo dell’Iniziato con i suoi occhietti lucidi.
O era più probabile che, davanti ad un Ysalamiri, Obi-Wan avrebbe serrato le labbra in un’espressione astiosa?
Dopotutto, quegli animali ostacolavano il suo legame con la Forza…
Qui-Gon scosse la testa, e si costrinse a mettere da parte quei pensieri. Invece, passò a riordinare le informazioni che aveva sulla propria missione.
Su Nihilo – come il suo secondo allievo aveva sottolineato in un giorno ormai lontano – vivevano alcuni artisti famosi in tutta la galassia… Una buona parte delle loro opere, secondo ciò che sapeva Qui-Gon, valevano più soldi di quanti ne occorressero per comprare uno schiavo su remoti pianeti dell’Orlo Esterno.
Il nome di uno di questi artisti era Fja Larr… Ed era stata la sua casa ad essere rapinata.
Qui-Gon si massaggiò appena le tempie… La buona notizia, era che molto probabilmente il ladro era ancora sul pianeta.
Ciò che assillava l’uomo, però, era un’altra questione.
Perché il Consiglio aveva ritenuto opportuno inviare un Maestro Jedi a risolvere un banale caso di furto?
Forse si sbagliava, ma gli sembrava che ci fosse lo zampino di Yoda…
Un discreto bussare alla porta lo distolse da quei pensieri.
Era il locandiere. «Maestro Jinn? Il signor Larr è qui. Vorrebbe parlare con voi».
Qui-Gon sbatté le palpebre. Secondo quanto pattuito, lui avrebbe dovuto recarsi a casa dell’artista quella sera…
D’altro canto, se poteva evitare di trascorrere un pomeriggio a non far nulla…
«Bene».
L’uomo fece per uscire dalla stanza, ma il proprietario della locanda lo fermò con un gesto e un lieve sorriso. «Vado a chiamarlo. Voi aspettate pure qui».
Qui-Gon lo ringraziò con un cortese cenno del capo, e l’uomo scomparve nel corridoio.
Poco dopo, fu di ritorno, accompagnato da un’altra persona.
Fja Larr era un uomo abbastanza robusto, dagli occhi verde chiaro e i capelli biondi. Aveva mani molto belle, affusolate, con dita lunghe e sottili.
«Il Maestro Jinn?» chiese, in tono indagatore.
Qui-Gon annuì. «Sono io».
Dopo una vigorosa stretta di mano, lo invitò ad entrare.
«Se volete accomodarvi…»
Larr accettò l’invito con prontezza, mentre il locandiere li salutò e tornò alle sue mansioni.
«È un posto carino» fu il commento dell’artista, non appena furono soli.
Qui-Gon diede un’occhiata alla stanza. «Lo è. Allora…» esordì, con un cenno che incoraggiava Fja Larr a sedersi sulla poltrona. «Credevo non vi avrei visto prima di stasera».
L’uomo biondo ignorò la poltrona e andò ad accomodarsi con nonchalance sul materasso. «Lo so» rispose, accavallando le gambe e posando le mani in bella vista sul ginocchio. «Ma ho pensato fosse necessario un cambio di programma».
Qualsiasi membro del Consiglio, certamente, avrebbe concordato sul fatto che Qui-Gon era uno specialista dei cambi di programma.
In quel momento, però, l’uomo pensò che un simile preambolo non prometteva nulla di buono.
«Ovvero?»
«Be’…» Larr tamburellò le dita sulla propria gamba. «Non credo sia… opportuno, ecco… che voi esaminiate casa mia».
Qui-Gon inarcò un sopracciglio. «Scusatemi?»
«Sarebbe una perdita di tempo» asserì l’altro. «Sono certo che il ladro non abbia lasciato alcuna traccia».
«Mi permetto di dissentire».
«Ma siete al mio servizio, no?» replicò Larr. «Il cliente ha sempre ragione».
«Quando si è in un bar, forse» rispose Qui-Gon, obbligandosi a mantenere un tono di voce paziente. «Se volete che io ritrovi ciò che vi è stato rubato, però, dovete lasciarmi fare il mio lavoro. E questo comprende anche esaminare casa vostra».
«Oppure» disse Larr, «potete partire da un’altra pista».
Calma, si disse Qui-Gon. Calma. «Vale a dire?»
«C’erano dei droidi, a sorvegliare le mie opere» rispose l’altro. «E mi sono stati rubati anche quelli… Qui», e si sfilò di tasca un chip di memoria, «ci sono tutti i dati che li riguardano. Forse potete rintracciarli».
Qui-Gon prese il chip. «Può essere».
Immediatamente, Larr si aprì in un sorriso enorme. «Eccellente» si rallegrò, alzandosi in piedi, «allora la faccenda può dirsi sistemata».
Si diresse verso la porta, premette la mano sul pulsante per aprirla.
«Fatemi sapere come procedono le indagini».
Qui-Gon mosse un passo verso di lui. «Signor Larr, questo chip non toglie che dovrei controllare casa vostra».
L’uomo si bloccò, un piede già fuori dalla stanza, e si girò a guardarlo. «Non toglie nemmeno che io preferirei di no».
«Io ho un buon motivo per volerlo fare» osservò Qui-Gon, con calma.
Larr indugiò, andando a posare una mano contro lo stipite della porta. «Non siete l’unico con un buon motivo».
«Voi il mio lo conoscete» replicò Qui-Gon. «Potete dirmi il vostro?»
L’uomo non rispose subito, distogliendo lo sguardo da quello del Jedi. Dopo qualche istante, tornò ad incrociare i suoi occhi. «È un motivo… personale» affermò. «Delicato».
Come risposta era ambigua, ma Qui-Gon ebbe l’impressione che Larr fosse sincero. «Vi ascolto».
La mano dell’artista si serrò appena sullo stipite. «Si tratta di mia moglie» cedette alla fine. «Ha avuto… un problema di salute. Vorrei darle un po’ di tranquillità».
Qui-Gon sbatté le palpebre. Rimase in silenzio per un istante. «Un paio di giorni?» domandò infine.
L’artista annuì, rivolgendogli un sorriso. «Poi potrete esplorare la mia casa da cima a fondo».
Sentendosi decisamente stanco, l’uomo soppesò quel compromesso.
Sapeva che, dal punto di vista della sua missione, non era un grande affare.
Normalmente, dopo una richiesta simile, avrebbe pensato che Fja Larr avesse inscenato l’intero furto, così da incassare i soldi di un’eventuale assicurazione.
Ma era proprio quello il punto. Secondo le sue informazioni, le opere di Larr non erano per niente assicurate.
Quindi lui cosa avrebbe potuto guadagnarci?
Un po’ di notorietà?
Effettivamente, sembrava il tipo di persona a cui piace stare al centro dell’attenzione, ma allo stesso tempo…
«Molto bene» sospirò Qui-Gon, cercando di non sentirsi irritato nei confronti dell’artista.
Preferiva fidarsi del proprio istinto, non delle regole.
«Un’ultima cosa» chiese.
Larr lo guardò. «Sì?»
«Avete richiesto voi l’intervento dell’Ordine Jedi?»
L’artista si strinse nelle spalle. «Be’, sono opere di immenso valore» disse. «Sapete, subito mi è stato suggerito di rivolgermi a qualcun altro, ma poi mi hanno ricontattato e detto che avrebbero mandato qualcuno…» Sorrise ampiamente. «Ed eccovi qui».
Qui-Gon dovette impegnarsi per non accigliarsi. Lo zampino di Yoda sembrava esserci davvero.
«Per curiosità, avevate mai avuto a che fare con l’Ordine Jedi, in passato?» domandò, cercando di venire a capo della questione.
L’artista aggrottò la fronte, poi fece spallucce. «No, be’, non particolarmente».
Non particolarmente?
«Grazie per la vostra disponibilità, comunque, se avete bisogno di altre informazioni potete…»
«Farmi visita?» ironizzò Qui-Gon.
Una parte di lui pensò che, probabilmente, Obi-Wan avrebbe detto proprio così.
Larr sorrise di nuovo. «Contattarmi».
Su quella nota, uscì dalla stanza e si allontanò lungo il corridoio.
La porta si richiuse con un sibilo e Qui-Gon, rimasto in piedi in mezzo alla propria camera, abbassò lo sguardo sul chip di memoria che stringeva nel pugno.
Decise di darci subito un’occhiata, e lo inserì nel proprio datapad.
A quel che pareva, i droidi rubati erano facilmente riprogrammabili e, siccome erano perfettamente capaci di brandire un’arma, erano anche potenzialmente pericolosi.
Non per un Jedi, certo, ma per un comune cittadino non sarebbero stati uno scherzo.
L’uomo si massaggiò le tempie. Un’addizionale buona notizia, insomma.
Per il resto del pomeriggio, Qui-Gon esaminò i dati sui droidi, riportando alla mente tutte le lezioni di programmazione e meccanica del Tempio… Ma non gli sembrava che fossero rintracciabili.
Studiò anche una piantina della città, e rilesse le informazioni relative al furto.
Si rese conto di quanto tempo era trascorso solo quando una donna arrivò a chiedergli se voleva scendere a cena.
Qui-Gon rifiutò cortesemente, sebbene sapesse che sarebbe stata un’occasione per vedere Obi-Wan.
La pista dei droidi non era così buona come Fja Larr sembrava credere, e il Maestro Jedi iniziò a chiedersi se lasciar passare due giorni non fosse troppo.
La notte lo trovò ancora seduto alla scrivania, intendo a ragionare sulla missione… quando il rumore di alcuni passi lo riscosse.
L’uomo sollevò gli occhi dal datapad e si alzò in piedi, dirigendosi ad aprire la porta.
Davanti alla soglia, intento ad andare avanti e indietro per il corridoio, si trovava Obi-Wan Kenobi.
Il bambino indossava un completo da notte, e fissò l’uomo con aria sorpresa.
Qui-Gon dovette aggrottare la fronte, perché si rese improvvisamente conto di non aver minimamente percepito la vicinanza dell’Iniziato. La Forza doveva essere più disturbata di quanto avesse creduto.
Obi-Wan fraintese il suo cipiglio, e parve sul punto di indietreggiare. «Maestro Jinn» disse. «Io non… non volevo disturbare».
Rapidamente, Qui-Gon ricompose il proprio volto e gli fece cenno di entrare. «Non preoccuparti» lo rassicurò, «non disturbi».
Il bambino gli gettò un’occhiata quasi austera, come se pensasse che l’uomo lo avesse detto soltanto per farlo sentire meglio.
«Piuttosto» aggiunse Qui-Gon, girandosi e tornando dentro la stanza, «non dovresti essere a letto?»
E si voltò nuovamente verso il bambino.
Obi-Wan, ancora sulla soglia, parve studiare l’uomo per qualche istante. «Faccio fatica a dormire» ammise poi.
Qui-Gon si domandò perché il bambino non riuscisse a prendere sonno. Nervosismo? Una qualche visione?
Non voleva pressarlo, tuttavia, e si limitò a sondare il terreno: «Stando a letto non ti addormenteresti prima?»
Obi-Wan lo guardò e si decise ad avanzare di qualche passo. «Sono in stanza con un Iniziato che ha il raffreddore e il naso tappato» spiegò. «Fa molto rumore, quando dorme».
Qui-Gon per poco non sorrise. Lui aveva pensato subito a problemi ben più complicati… Per un bambino assonnato, però, anche un compagno di stanza che russava poteva essere una bella seccatura.
«Capisco».
Obi-Wan era arrivato accanto alla poltrona. Quasi senza pensarci, alzò una mano e la strusciò contro il bracciolo, avanti e indietro, senza distogliere gli occhi da Qui-Gon.
«Prima della gita, stamattina» disse il bambino, «la Maestra Yula ci ha detto che saresti venuto qui per una missione. L’ha informata il Maestro Yoda, e lei ci ha raccomandato di non fare nulla che potesse disturbarti».
Qui-Gon sentì la tentazione di aggrottare la fronte. Cos’era quel discorso? Era il modo di Obi-Wan di chiedergli, di nuovo, se lo stava disturbando? Quel bambino cercava sempre di evitare le domande dirette?
«C’è stato un furto in città» si limitò a dire l’uomo, «e siccome non hanno un Corpo di Polizia…»
«Non hanno nemmeno un Corpo Medico» lo informò Obi-Wan. La sua mano si fermò. «Per questo è venuto con noi uno dei Guaritori del Tempio».
«A proposito» disse Qui-Gon, esaminando il volto del bambino, «questa è la tua prima gita fuori da Coruscant, dico bene?»
Il bambino annuì. «Sì, Maestro Jinn».
«E come sta andando?» aggiunse l’uomo.
Obi-Wan ci pensò un istante, pizzicando con le dita il bracciolo della poltrona. «Questa città è davvero piccola» decretò infine.
L’angolo delle labbra di Qui-Gon s’incurvò. «Oh, ti assicuro che esistono città molto più piccole» gli garantì. «Del resto… suppongo che tutto sembri minuscolo, se confrontato a Coruscant».
«È vero» concordò facilmente Obi-Wan. «Adesso ho capito cosa intendeva il Maestro Yoda, quando diceva: “Tutto relativo è”».
Nonostante il tono serio del bambino – o, forse, proprio per quello – Qui-Gon avvertì un nuovo moto di divertimento.
«Inoltre…» riprese Obi-Wan, per poi interrompersi.
«Inoltre?» lo incoraggiò Qui-Gon.
Il bambino abbassò per un istante lo sguardo sul bracciolo della poltrona, e vi strofinò energicamente la mano… Poi rialzò gli occhi sul Maestro Jedi. «Niente» disse. «C’è anche molto spazio, tra una casa e l’altra. Non sono abituato a così tanto spazio».
Per un istante, Qui-Gon lo scrutò con intensità. «Hai ragione» ammise poi, lentamente, «c’è molto spazio».
Rispetto a Coruscant, dove gli edifici sembravano ammassarsi l’uno sull’altro, questo paese era molto meno accatastato.
«È come la foresta» commentò Obi-Wan.
L’uomo aggrottò la fronte. «Che cosa? Questa città?»
Il bambino fece un cenno di diniego. «No» rispose, con naturalezza, «Coruscant».
«In che modo?» chiese Qui-Gon, mentre il datapad e le sue ricerche giacevano sulla scrivania, quasi dimenticati.
«Be’, perché certe volte gli alberi crescono l’uno aggrovigliato all’altro, per cercare di stare alla luce del sole» rispose Obi-Wan. «Anche le costruzioni di Coruscant sembrano tentare di arrivare il più possibile vicino al cielo».
Qui-Gon si sentì piacevolmente sorpreso.
Obi-Wan Kenobi continuava ad essere una compagnia stimolante, non c’era che dire.
E aveva ragione… L’uomo riportò alla mente Coruscant, e trovò in qualche modo ironico che, in una città del genere, priva di elementi naturali, la metropoli fosse divenuta una sorta di giungla.
Effettivamente, se le piante più lontane dal cielo rischiavano di morire, era nei livelli più bassi di Coruscant che si trovavano i vicoli più malfamati.
Innalzarsi era necessario… Serviva alla sopravvivenza.
«Ho detto qualcosa che non va?» domandò in quel momento Obi-Wan, reso dubbioso dal silenzio prolungato di Qui-Gon.
L’uomo si riscosse e fece segno di no. «Tutt’altro» replicò. «Trovo che tu abbia fatto un’osservazione molto interessante».
Il bambino lo guardò, sorpreso… Poi, le sue labbra si contrassero appena, come per un minuscolo sorriso.
Dopo un istante di silenzio, Qui-Gon domandò: «Era la prima volta che viaggiavi in astronave? Ti è piaciuto?»
In un certo senso, il suo interessamento verso quel bambino sorprendeva persino lui…
Le labbra di Obi-Wan si serrarono, e il bambino parve meditare sulla risposta da dare. «Non mi è sembrato niente di speciale» disse infine.
Alle orecchie di Qui-Gon, suonò fin troppo come un diplomatico eufemismo. «Davvero?» chiese.
Di solito, gli Iniziati trovavano quanto meno emozionante salire sulle astronavi.
«Davvero» rispose Obi-Wan. «Non è molto diverso dal salire su un aereo-bus… o un aereo-taxi».
Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio. «Sei la prima persona che mi dice una cosa del genere» commentò poi.
«Oh» disse Obi-Wan.
L’uomo gli rivolse un lieve sorriso. «Ma non è nulla di male».
A quella risposta, il bambino abbozzò un sorriso di rimando.
«E ora» aggiunse Qui-Gon, girandosi verso la scrivania, «credo sia tempo che io mi dedichi al mio lavoro».
Nel dirlo, provò un certo rimpianto… Trovava davvero piacevole, conversare con Obi-Wan.
«Va bene» disse il bambino. «Allora io… io torno in camera».
Qui-Gon lo guardò. «Se vuoi rimanere qui, per me non è un problema» gli assicurò.
Obi-Wan, però, scosse la testa e mosse un passo indietro. «No» disse, «vado in camera. Buonanotte, Maestro Jinn».
L’uomo gli rivolse un cenno del capo. «Buonanotte, Obi-Wan».
Il bambino batté in rapida ritirata, e quando se ne fu andato Qui-Gon aggrottò la fronte. Aveva detto qualcosa di male?
Alzò appena il datapad… No, si disse, probabilmente il bambino era solo stanco.
Per qualche motivo, gli venne da pensare a Yoda… Forse, parte della ragione per cui il Gran Maestro l’aveva mandato lì in missione, era il volere di fargli incontrare l’Iniziato Kenobi per l’ennesima volta.
Quel pensiero, però, non fu fastidioso come sarebbe stato un tempo.




















Note:
Phew.
Questo capitolo mi ha fatto dannare… Quasi non riesco a credere di averlo finito in tempo! Spero solo che il risultato sia quantomeno accettabile.
Auguro a tutti una buona Vigilia e buone feste!
A martedì 1 gennaio! ;)





AVVISO: No, niente nuovo capitolo (per ora!).
Visto che continuo a rimandare l’aggiornamento, però, vorrei rassicurarvi sul fatto che non ho abbandonato questa storia. Sto solo avendo un po’ di problemi per tutti gli impegni che ho e per il fatto che sto modificando lievemente la direzione della storia rispetto a ciò che avevo programmato all’inizio (e quindi ho da scervellarmi su alcuni dettagli).
Vi chiedo scusa per l’attesa.

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Capitolo 15
*** Un indiziato ***


Capitolo 15 – Un indiziato

La sala dove venivano serviti i pasti era abbastanza ampia, ma non avrebbe retto il confronto col refettorio del Tempio Jedi.
Quando Qui-Gon scese per la colazione, tre dei cinque tavoli erano occupati dai piccoli Iniziati e dai loro istruttori.
Considerata la loro tenera età, i bambini stavano mangiando in un silenzio ammirevole… Cogliendo un paio di teste ancora ciondolanti e qualche espressione assonnata, però, Qui-Gon sospettò che quella quiete fosse più merito della stanchezza che della disciplina appresa al Tempio.
Dopodiché, senza riuscire ad evitarlo, l’uomo cercò Obi-Wan con gli occhi.
Il bambino era intento a mangiucchiare una tartina arancione. Quando si accorse dello sguardo di Qui-Gon, gli rivolse un vago cenno del capo.
Il Maestro Jedi quasi sorrise. L’espressione del bambino gli dava la netta impressione che Obi-Wan non fosse molto loquace, di prima mattina.
Dopo aver mangiato, l’uomo si alzò ed uscì dalla sala con l’intenzione di tornare in camera, ma poi si attardò nell’ingresso per parlare col proprietario della locanda.
«Queste nuvole gonfie promettono pioggia» affermò Tar, alludendo al colore bigio del cielo all’esterno. «Presto ci ritroveremo frotte di Ysalamiri fin quasi dentro casa».
«Fin dentro casa?» ripeté Qui-Gon, inarcando un sopracciglio.
Il suo interlocutore scrollò le spalle. «Non esattamente, ma si avvicinano alla città» rispose. «Fanno sempre così, quando c’è un temporale, non so se per cercare riparo o calore».
Il Maestro Jedi si accigliò lievemente. Con ogni probabilità, la presenza ravvicinata degli Ysalamiri avrebbe reso la Forza ancor più disturbata. Non era una prospettiva allettante, ma non ebbe il tempo di rimuginarci su a lungo.
In quel momento, infatti, si udì il sibilo della porta che si apriva, ed una voce femminile: «Scusatemi, disturbo?»
Sia Qui-Gon che Jon Tar si voltarono verso l’ingresso.
A parlare era stata una donna di media statura, dai capelli corvini e i tratti delicati. Indossava una tunica chiara troppo larga per lei, ma era comunque possibile indovinare la sua corporatura snella.
«Salve» la salutò il locandiere, con una punta di sorpresa.
Dal suo tono, il Maestro Jedi ebbe la netta impressione che non solo non si aspettasse minimamente di vedere la donna, ma anche che la conoscesse almeno di vista.
«Posso fare qualcosa per voi?»
«Veramente» replicò lei, «vorrei parlare col Maestro Jedi».
Tar annuì come se una parte di lui se lo fosse aspettato, scoccando un’occhiata verso il suo ospite.
La donna, da parte sua, parve avere un ripensamento, e valutò Qui-Gon con lo sguardo. «Voi siete il Maestro Jinn, dico bene?»
«Sono io» confermò lui, inarcando lievemente un sopracciglio. «Voi, invece…?»
«Sono Maya Larr» si presentò la donna. «Mio marito vi ha fatto visita ieri».
«Signora Larr» disse Qui-Gon, non appena si fu ripreso dal primo stupore. «A cosa devo la vostra visita?»
Mentre lo domandava, la guardò con maggiore attenzione.
Fja Larr aveva detto che sua moglie era stata poco bene, e non sembrava aver mentito: la donna era pallida, e i suoi occhi erano segnati dalla stanchezza.
In più, c’era qualcosa… Anche se il suo legame con la Forza pareva un po’ disturbato, Qui-Gon riusciva ad avvertire una certa desolazione provenire da lei. Che avesse avuto dei problemi di depressione?
«Voi dovreste controllare casa nostra» rispose Maya Larr, inconsapevole dei suoi pensieri. «O mi sbaglio?»
L’uomo corrugò la fronte. «Vostro marito ha cambiato idea?»
«Sono padrona di casa tanto quanto lui, Maestro Jinn» replicò la donna, con fermezza. «Se io vi invito, siete il benvenuto».
Le labbra di Qui-Gon minacciarono di incurvarsi in un sorriso – lei gli piaceva. «Certamente».
Scambiò un’occhiata col locandiere, che aveva assistito in silenzio all’intera conversazione, quindi tornò a rivolgersi alla donna.
«Se volete attendere un istante, devo recuperare un paio di strumenti».
Il rilevatore di impronte digitali, ad esempio.
Maya Larr fece per annuire… e si bloccò, fissando qualcosa alle spalle dell’uomo.
Qui-Gon aggrottò la fronte e si girò. Tutto ciò che vide furono due iniziati che stavano uscendo dalla mensa con la Maestra Yula.
La donna stava mostrando loro degli oggetti: sfere argentee di circa dieci centimetri di diametro, utilizzate spesso negli allenamenti degli Iniziati.
Qui-Gon suppose che i bambini avrebbero dovuto cercare di fare appello alla Forza per sollevarle nonostante la presenza degli Ysalamiri.
Tornò a voltarsi verso la signora Larr, in tempo per vederle stringere le labbra in una smorfia insofferente.
«Vi aspetto fuori» dichiarò lei, prima che l’uomo potesse aprir bocca.
Quindi, dopo essersi congedata calorosamente dal proprietario della locanda, uscì in strada.
Qui-Gon la raggiunse pochi minuti più tardi, dopo aver recuperato tutto l’occorrente, ed entrambi si misero in cammino.
Tra sé e sé, l’uomo si disse che potersi spostare a piedi era uno dei pregi di Nihilo. Certo, volendo uno poteva camminare anche a Coruscant… Ma tra l’inquinamento e la confusione, non era mai piacevole.
Questo paese, invece… Era tranquillo e vi si respirava aria pulita.
Obi-Wan aveva ragione, pensò di sfuggita l’uomo. C’era davvero molto più spazio.
Le case, molto diverse dagli edifici torreggianti della capitale galattica, non erano molto alte, ma avevano uno, due, al massimo tre piani, ed erano costruite in mattoni e malta anziché in duracciaio.
Ogni tanto, attraverso di esse, si poteva intravedere la foresta che cresceva – ingorda e rigogliosa – attorno alla città.
Qui-Gon e Maya Larr, camminando fianco a fianco, passarono davanti a qualche prato o sotto le fronde verdeggianti di una pianta.
La donna intavolò una conversazione cortese, chiedendogli come procedeva il suo soggiorno e se si trovava bene alla locanda.
La casa dei Larr aveva un unico piano. Avanzando nell’ingresso, si raggiungeva un salotto accogliente, arredato da due divani posto l’uno di fronte all’altro, un tavolino tondo tra loro.
Su uno dei sofà, sedeva una donna anziana, con un caschetto di capelli bianchi. Era così rilassata che avrebbe potuto sembrare addormentata, non fosse stato per gli occhi aperti e attenti che si puntarono subito su Qui-Gon.
Maya Larr fece rapidamente le presentazioni: «Lei è mia madre. Madre, questo è il Maestro Qui-Gon Jinn».
La suocera di Larr si limitò a rivolgere al Jedi un cenno del capo. Non doveva essere una persona di molte parole.
Maya, dal canto suo, si rivolse a Qui-Gon. «Vi accompagno nello studio di mio marito».
L’uomo annuì. Sapeva, infatti, che il furto era avvenuto in quella stanza.
La donna lo guidò attraverso un breve corridoio, ed arrivarono ad una stanza abbastanza ampia, al centro della quale si trovava un grande tavolo da lavoro.
Lungo le pareti, invece, erano allineati diversi scaffali. La maggior parte dei ripiani era vuota, ma a giudicare dal deposito di polvere non lo era sempre stata.
«È qui che…?»
«Hanno rubato le opere di mio marito, sì». La signora Larr si guardò attorno per un momento, il capo ritto sul collo sottile. «So che c’è un po’ di sporco e disordine, ma abbiamo preferito non toccare nulla».
«Avete fatto bene» le assicurò Qui-Gon, facendo scorrere lo sguardo sui trucioli di legno che si trovavano sul piano del tavolo, e su alcune schegge che dovevano provenire da un materiale pietroso.
Certo, ricordò, Fja Larr era soprattutto uno scultore.
A quel punto, tornò a girarsi verso la donna. Guardandola curiosamente, fece la domanda che gli premeva da qualche momento. «Vostro marito non è in casa, dunque?»
«È in cerca di ispirazione» replicò lei. «Voleva restare a farmi compagnia, ma gli ho detto che sarei rimasta con mia madre… e che per aiutarmi doveva comportarsi come sempre».
«Già» offrì allora Qui-Gon, in tono quieto, «mi ha detto che siete stata malata».
Maya Larr fece un sorriso tirato, e i suoi occhi si fecero più lucidi. «Sì» mormorò. «Sì, qualcosa del genere».
«Mi dispiace» disse il Jedi, semplicemente.
Lei si ricompose abbastanza in fretta, passandosi una mano sotto gli occhi. «Vi ringrazio». Trasse un respiro profondo. «È stato carino, da parte di Fja, cercare di rimandare le indagini per darmi un po’ di tranquillità… Ma immagino non sia affatto consigliabile, se vogliamo trovare chi lo ha derubato… e se non vogliamo che mio marito finisca tra i sospetti».
Mentre terminava la frase, si girò a rivolgere un’occhiata franca al Jedi, e quest’ultimo dovette sorridere.
«Immaginate bene».
La donna gli rivolse un cenno del capo. «Vi lascio al vostro lavoro, allora…»
«Un momento solo» la fermò Qui-Gon, staccando il rilevatore di impronte digitali dalla propria cintura.
Si trattava di un oggetto piatto, di forma rettangolare, dotato di schermo e abbastanza piccolo da stare comodamente nel palmo dell’uomo – anche se era probabile che la mano di Obi-Wan non ne avrebbe coperto l’intera superficie.
«Se il ladro ha lasciato delle impronte digitali, devo poterle distinguere dalle vostre» disse l’uomo, a mo’ di spiegazione.
Maya Larr lo guardò, e allungò in silenzio una mano.
Qui-Gon le sorrise brevemente, poi premette il pulsante accanto allo schermo. Un fascio di luce blu scaturì dal bordo dell’oggetto, andando a scannerizzare le dita della donna.
«E Fja?» domandò lei.
C’era qualcosa di speciale, nel modo in cui pronunciava il nome del marito: lo faceva suonare come un soffio di vento.
Qui-Gon decise di essere onesto. «Quando mi ha visitato, ieri, non ha fatto altro che toccare lo stipite della porta. Ho già le sue impronte».
La donna sbatté le palpebre, ma alla fine sorrise.
«Piuttosto, vostra madre?»
Maya Larr scosse la testa. «Mia madre non mette mai piede in questa stanza. Non ce lo mette nessuno, a dire il vero, a parte me e mio marito. Spesso qui si trovava delle sue opere incomplete, e Fja detesta che qualcuno le veda così».
Qui-Gon annuì con lentezza, ripensando a Fja Larr. Senza dubbio, sembrava rientrare nel suo personaggio.
«Persino il suo apprendista non lavorava qui, ma all’aperto».
«Aveva un apprendista?» non poté fare a meno di ripetere l’uomo. Gli era difficile immaginarlo nei panni di un insegnante.
«Un paio di anni fa» confermò Maya Larr, con un piccolo sorriso nostalgico. «Era un ragazzo riservato. Imparato ciò che gli interessava, si è trasferito su un altro pianeta».
«Capisco» mormorò Qui-Gon. Un apprendista che se ne andava. Questo era decisamente qualcosa con cui poteva simpatizzare.
Per un istante, Maya Larr sembrò sul punto di aggiungere qualcosa sull’argomento, ma poi parve cambiare idea. «Avete bisogno di altro o…?»
«No, vi ringrazio. Direi che siamo a posto».
Lei ricambiò il suo sguardo. «Siamo a posto» confermò, per poi uscire dalla stanza e lasciarlo alle sue indagini.

L’uomo si sforzava di apparire disinvolto, mentre camminava lungo le strade del paese.
In realtà, si sentiva teso ed apprensivo, e non perdeva d’occhio la fila ordinata di Iniziati che stava tornando verso la locanda di Jon Tar.
Li aveva visti uscire, quella mattina. Si erano recati nella foresta, ed erano tornati circa sette ore più tardi.
Ognuno dei ragazzini teneva nelle mani una sfera argentea. Erano così composti e obbedienti da sembrare cuccioli ammaestrati.
L’uomo spostò l’attenzione sui due bambini che chiudevano la fila: erano entrambi di razza umana, ma le loro somiglianze finivano qui. Il primo, infatti, era robusto e scuro di capelli, mentre il secondo era piuttosto gracile, e la sua zazzera virava decisamente al rossiccio.
Nervosamente, l’uomo si chiese come avvicinarli. Gli era giunta voce che un Maestro Jedi era stato inviato ad indagare sul furto, e immaginava che convincere un bambino a parlarne sarebbe stato più semplice che persuadere un adulto.
Ma come porre loro delle domande senza insospettire i loro accompagnatori?
La risposta gli si presentò poco dopo, quando la sfera sfuggì dalle mani del ragazzino dai capelli rossicci e – complice la lieve pendenza della strada – gli rotolò incontro.
L’uomo notò che entrambi i piccoletti ne parvero sbalorditi. Si guardarono con tanto d’occhi, come se non gli fosse mai capitato di lasciar cadere qualcosa.
Approfittando del loro stupore, lui si lanciò in avanti, chinandosi a recuperare la sfera prima che potesse farlo uno dei due, quindi si ritrasse contro il cancelletto di una casa.
I Maestri non si accorsero di nulla, continuando a condurre la fila degli Iniziati.
I bambini in fondo si erano fermati del tutto e lo fissarono. Dopo un istante, quello dai capelli rossicci si staccò dal gruppo, venendogli incontro.
“Molto bene” pensò l’uomo, deglutendo a vuoto.
«Vi ringrazio» esordì il bambino quando gli giunse di fronte – era davvero minuto.
«Non è niente» rispose l’uomo, rigirandosi la sfera tra le mani sudate. Non la restituì al suo proprietario, però. Non subito. «Tu sei un Jedi, vero?»
«Un Iniziato» puntualizzò il bambino, senza guardarlo in faccia.
«Oh, be’, ma immagino tu sappia comunque molte cose». L’uomo cercò di ammorbidire il proprio tono nervoso, di renderlo amichevole. «Ad esempio… Ho sentito che un Jedi sta indagando sul furto avvenuto da queste parti… Per curiosità, tu sai chi è?»
Sino a quel momento, il bimbo aveva alternato un’occhiata alla sfera e al suo gruppo che si allontanava, ma quella domanda parve attirare la sua attenzione.
Il suo sguardo si focalizzò sul viso dell’uomo. Con un certo interesse.
Ci fu un momento di silenzio… Poi il bambino scrollò le spalle.
«Mi dispiace, signore, non lo conosco» asserì, in tono serio ed educato. «Non sono sicuro che un Jedi sia stato incaricato di indagare su un semplice furto».
L’uomo cercò di non darlo a vedere, ma dentro di sé si sentì immensamente sollevato.
«Grazie mille, ragazzino» disse, cedendogli la sfera e arrendendosi quasi all’impulso di scompigliargli i capelli.
Il bambino prese l’oggetto quasi con cautela, quasi facendo attenzione a dove lo toccava… Forse pensava avesse le mani sporche, o una qualche malattia? Chi lo sapeva cosa insegnavano in quel Tempio a Coruscant…
A quel punto, l’uomo si ritrasse e fece per andarsene. Appena in tempo: uno dei Maestri, infatti, una donna dai capelli scuri, parve accorgersi di qualcosa e si girò, individuando subito il bambino rimasto indietro.
Persino a quella distanza, fu evidente che i suoi occhi dardeggiarono verso l’uomo, e lui si girò per non farsi vedere in faccia.
«Kenobi!»
L’Iniziato si girò verso di lei. «Arrivo, Maestra Yula!» esclamò, per poi mettersi a correre verso di lei.
L’uomo, da parte sua, iniziò ad allontanarsi a grandi passi, ed ebbe l’impressione che un gran peso gli fosse stato sollevato dal petto.
Finalmente una buona notizia…

Nel frattempo, alla locanda, Qui-Gon si trovava nella propria stanza.
Era seduto alla scrivania, i gomiti poggiati sul tavolo e le mani alzate a massaggiare le proprie tempie.
Durante le indagini di quel mattino, aveva trovato due serie di impronte che non corrispondevano né a quelle di Fja Larr né a quelle di sua moglie.
A rigor di logica, dovevano essere quelle dei ladri.
Purtroppo, le sue ricerche non erano andate molto più lontano: una volta tornato alla locanda, aveva subito inviato le impronte al laboratorio del Tempio Jedi.
I risultati gli avevano confermato che i ladri erano due Umani, ma non aveva potuto scoprire la loro identità, poiché le impronte non erano registrate nel database.
Era probabile che fosse per quello che i rapinatori non si erano premurati di ripulire la scena: contavano sul fatto che, non avendo precedenti penali, non sarebbero stati rintracciabili.
Un bussare incerto fece sì che Qui-Gon si riscuotesse dai suoi pensieri.
L’uomo aggrottò la fronte, lasciando cadere le proprie mani e girandosi verso la porta, quindi si alzò in piedi e si diresse ad aprire.
Non si sentì molto sorpreso, quando si trovò davanti Obi-Wan Kenobi.
Il bambino aveva i capelli arruffati come di consueto, e sollevò immediatamente su di lui gli occhi grigio-azzurri.
Qui-Gon notò che reggeva la sfera di allenamento. Per qualche motivo, lo faceva tenendo le mani infilate dentro le maniche, in modo che la sua superficie venisse a contatto solo con la stoffa.
«Obi-Wan» lo salutò, gentilmente. «Va tutto bene?»
Forse, pensò, e fu un pensiero che gli piacque, il bambino voleva chiedergli un consiglio su come gestire la Forza su Nihilo.
Le parole di Obi-Wan, però, lo colsero di sorpresa.
«Credo di aver incontrato uno dei ladri» proruppe l’Iniziato, guardandolo.
Qui-Gon sbatté le palpebre, interdetto. «Come?»
Il suo aperto sconcerto parve innervosire il bambino. Quest’ultimo passò il proprio peso da una gamba all’altra, quindi si affrettò a spiegare: «Mentre tornavamo qui alla locanda, mi ha fermato un uomo, e… ecco, si comportava in modo strano. Mi ha chiesto se sapevo qualcosa sul Jedi che era stato mandato ad indagare sul furto».
Qui-Gon lo fissò, ancora sorpreso, poi si fece da parte. «Vieni dentro».
Obi-Wan si infilò nella stanza senza farsi pregare, continuando a tenere saldamente la sfera tra due lembi delle proprie maniche, e la porta si chiuse dietro di lui con un sibilo.
«Quest’uomo…» esordì Qui-Gon, poi si bloccò.
Non sapeva bene come continuare. Da una parte, l’esperienza gli diceva che era probabile che Obi-Wan avesse incontrato un semplice ficcanaso. Dall’altra, la sua sensibilità lo spingeva a non sottovalutare l’istinto di quest’Iniziato.
«Saresti in grado di descrivermelo?»
A quella domanda, il bambino si rilassò visibilmente, e Qui-Gon intuì che aveva temuto di non venir preso sul serio.
«Ho le sue impronte digitali» annunciò Obi-Wan, alzando la sfera in modo che l’uomo la guardasse. «Mi era caduta, e lui l’ha raccolta».
Per un istante, Qui-Gon rimase senza parole. Era pronto a sentire una descrizione minuziosa e dettagliata, ma questo… questo andava anche oltre le sue aspettative.
«Sono stato attento a non toccarla dove l’ha presa lui» aggiunse Obi-Wan, come sempre reso ansioso dal suo silenzio.
Ormai, più che sorpreso, Qui-Gon si sentiva… colpito. Certo, agli Iniziati veniva insegnato molto presto come gestire un’indagine, ma Obi-Wan sembrava possedere una scrupolosità tutta sua.
Il bambino lo guardò con l’aria di sentirsi decisamente sulle spine… E i lineamenti di Qui-Gon si ammorbidirono in un sorriso.
«Eccellente» approvò lui, allargando il braccio in un gesto di invito. «Vieni, controlliamo subito».
L’espressione di Obi-Wan si ruppe in un sorriso colmo di sollievo.
Quando l’uomo andò a recuperare il rilevatore di impronte dalla scrivania, il bambino gli trotterellò dietro.
«Alzala un poco» istruì Qui-Gon.
L’Iniziato obbedì senza fiatare, e l’uomo scannerizzò l’oggetto.
Ci fu un ronzio mentre il rilevatore elaborava i nuovi dati… Qui-Gon lo soppesò nella propria mano, mentre Obi-Wan si mordicchiava il labbro… Poi alcuni simboli comparvero sullo schermo, confermando che quelle impronte erano già state esaminate.
Corrispondevano a quelle che Qui-Gon aveva rilevato nello studio di Fja Larr.
«Allora, Maestro Jinn?» si lasciò sfuggire Obi-Wan, ansiosamente.
L’uomo abbassò lo sguardo su di lui. «Obi-Wan Kenobi» gli disse, un sorriso che minacciava di incurvargli le labbra, «hai trovato uno degli uomini che sto cercando».



















Note:
E finalmente aggiorno questa storia!
Mi dispiace infinitamente per la lunga attesa, ma queste ultime settimane sono state davvero infernali…
Temo che questo capitolo non sia il massimo… Spero solo di sbagliarmi.
Per il prossimo aggiornamento, appuntamento a martedì 4 marzo!

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Capitolo 16
*** I ladri ***


Capitolo 16 – I ladri

I Jedi, per lo più, avevano una concezione particolare degli spazi.
Non li percepivano soltanto in termini di lunghezza, larghezza e profondità, ma anche in rapporto delle persone che li occupavano.
Su Nihilo, questa capacità era come ottenebrata, ma almeno per un momento parve tornare in piena forza.
Qui-Gon, infatti, avvertì con estrema chiarezza l’emozione che scaturì da quello scricciolo dai capelli ramati che era Obi-Wan Kenobi.
Il bambino lo guardò da sotto in su, le mani strette sulla sfera. «Davvero?»
Era chiaro che stentava a credere alle proprie orecchie.
«Davvero» confermò Qui-Gon, girandosi per posare il rilevatore d’impronte sulla scrivania. «Ed ora, se non ti dispiace, vorrei farti alcune domande… Mi serve l’identikit di quell’uomo».
Obi-Wan iniziò ad annuire prima ancora che lui concludesse la frase. «Certo, Maestro Jinn».
«Molto bene, allora». Qui-Gon indugiò, quindi decise di cominciare da una domanda basilare. «Ti ricordi di che colore aveva occhi e capelli?»
«Capelli neri e occhi scuri» rispose subito il bambino.
Qui-Gon annuì sovrappensiero, prendendo il proprio datapad ed inserendo quei primi dati in un programma che avrebbe tracciato il ritratto del suo indiziato. Un Jedi doveva essere in grado di farlo anche a mano, naturalmente, ma se c’era la tecnologia tanto valeva approfittarne.
«I capelli erano un po’ lunghi» aggiunse Obi-Wan, sporgendosi ansiosamente verso di lui, «e gli occhi erano a mandorla».
«Ricordi le sue sopracciglia?»
Le ricordava sì, così come ricordava la lunghezza del naso, la forma del volto, il neo sotto l’occhio destro e fondamentalmente tutte le informazioni che Qui-Gon gli chiese.
Ciononostante, via via che si entrava nel dettaglio, Obi-Wan iniziava a farsi più timoroso di dare la risposta sbagliata. Si mordicchiava il labbro inferiore, e si era messo a giocherellare coi propri capelli ramati.
Accanto all’orecchio destro, aveva un ciuffo più lungo degli altri – sarebbe servito come principio della sua treccia da Padawan – e continuava a rigirarselo tra le dita.
Nel momento in cui Qui-Gon gli mise davanti il ritratto completo dell’uomo, domandandogli se era accurato, Obi-Wan lasciò ricadere le mani e si immobilizzò.
«Sì» disse, dopo aver fissato a lungo lo schermo del datapad. «Sì, Maestro Jinn. Gli somiglia molto».
L’uomo gli rivolse un accenno di sorriso. «Eccellente».
Obi-Wan sorrise di rimando… Poi parve ricordarsi di qualcosa e sussultò.
«Tutto bene?» domandò Qui-Gon.
Il bambino appoggiò la sfera sulla scrivania e si torse le mani. «La Maestra Yula» disse infine, in tono colpevole. «Non sa… Non ho detto a nessuno che stavo venendo qui».
«Va’» disse subito Qui-Gon.
A onor del vero, Obi-Wan parve un po’ deluso da quella risposta. «Non c’è… non posso aiutarti con qualcos’altro, Maestro Jinn?»
«Mi sei già stato di grande aiuto» gli assicurò Qui-Gon, «ma non vogliamo certo far preoccupare la responsabile del tuo clan».
«No» concordò Obi-Wan.
«Bene, allora» concluse l’uomo, tendendo una mano verso il bambino ed accompagnandolo alla porta. «E mi raccomando, spiega alla tua Maestra come mai sei venuto qui».
«Va bene, Maestro Jinn».
Obi-Wan uscì in corridoio, e mentre si allontanava si girò più volte indietro, verso Qui-Gon. Da parte sua, l’uomo attese che il bambino fosse scomparso alla sua vista, e a quel punto rientrò nella propria stanza.
Tentò di contattare il Corpo di Polizia di Omnia, il pianeta più vicino a Nihilo, così da fargli avere l’identikit del suo sospettato. La sola astronave di linea che passasse per Nihilo, infatti, faceva la spola tra Nihilo e Omnia – se i ladri avessero cercato di lasciare il pianeta, era probabile che l’avrebbero fatto con quel mezzo.
Le comunicazioni, però, avevano ancora qualche problema, e l’uomo non riuscì a stabilire alcun contatto.
Dopo quasi un’ora di infruttuosi tentativi, Qui-Gon si alzò con la mezza idea di scendere dal locandiere… e qualcuno bussò alla sua porta.
L’uomo si bloccò per un momento. Stava ricevendo una visita dopo l’altra.
Chiedendosi se fosse di nuovo Obi-Wan, si diresse ad aprire la porta, e si ritrovò davanti la Maestra Yula.
La donna doveva aver lasciato la toga scura nella propria stanza, ed aveva i capelli scuri sciolti sulla schiena, liberi dal consueto chignon.
Erano davvero lunghi, notò Qui-Gon. Le arrivavano ai fianchi.
«Maestro Jinn» esordì la donna. «Potrei parlarvi un momento?»
L’uomo si fece da parte per lasciarla entrare. «Naturalmente».
Lei avanzò nella stanza e si voltò a guardarlo, mentre la porta si richiudeva alle spalle dell’uomo con un sibilo sommesso.
«Il piccolo Kenobi mi ha detto di avervi aiutato nelle vostre indagini».
«È così» asserì Qui-Gon, domandandosi se per caso la donna ne dubitava.
«Ha detto che lo sconosciuto che lo ha avvicinato questo pomeriggio si è rivelato essere un sospettato. Un’incredibile coincidenza, non trovate?»
L’uomo la fissò. Nessun Jedi credeva nel caso. Tutto accadeva per una ragione. Commentando che era stata un’incredibile coincidenza, la donna voleva probabilmente sottolineare che era stato il volere della Forza.
«In ogni modo» riprese la Maestra Yula, senza lasciargli il tempo di replicare, «poco fa ho contattato Coruscant, per assicurarmi che la navicella del Tempio arrivasse domani come da programma».
«Domani?» non riuscì a trattenersi dal ripetere Qui-Gon, in tono inquisitorio.
«Oh… Sì. Domani mattina». La donna incontrò il suo sguardo. «La nostra gita è giunta al termine».
L’uomo distolse gli occhi. Non poteva negarlo: gli dispiaceva che Obi-Wan se ne andasse.
«Ho parlato col Gran Maestro» proseguì la Maestra Yula, ricatturando la sua attenzione, «e gli ho detto quanto ha fatto l’Iniziato Kenobi. E lui ha richiesto che il bambino rimanga qui su Nihilo con voi».
Qui-Gon sbatté le palpebre. «Come?»
«È suo parere» rispose la donna, «che il piccolo Kenobi meriti di assistere al resto delle vostre indagini».
Qui-Gon non disse nulla. Yoda, naturalmente, non si era fatto sfuggire l’opportunità di affidargli Obi-Wan Kenobi.
La mente dell’uomo tornò all’inizio del suo incarico, a quanto gli era sembrato bizzarro che un Jedi dovesse occuparsi di un semplice caso di furto.
E se questo fosse stato l’obiettivo di Yoda sin dall’inizio? Trovare un modo di fargli passare del tempo solo con Obi-Wan?
No, si disse poi. La cosa non tornava del tutto.
In fondo, nemmeno il Gran Maestro avrebbe potuto prevedere che il bambino avrebbe avuto l’occasione di rendersi tanto utile.
Doveva esserci dietro qualcos’altro… Qui-Gon ripensò a quando aveva chiesto a Fja Larr se avesse mai avuto a che fare con l’Ordine dei Jedi.
Non particolarmente, aveva risposto l’artista, e l’uomo si ripromise in silenzio di indagare su quella replica.
«Naturalmente» disse la Maestra Yula, facendolo tornare al presente, «se pensate che l’Iniziato Kenobi vi sarebbe di disturbo…»
«Tutto il contrario» la interruppe Qui-Gon, d’impulso. «Lasciatelo pure con me».
La donna lo guardò con aria consapevole, come se non avesse avuto neanche un dubbio su cosa lui avrebbe risposto. Possibile che fosse diventato tanto trasparente, per quanto riguardava Obi-Wan?
«Molto bene» disse la donna. «Allora domani lo lasceremo con voi».
Accennò un inchino e fece per ritirarsi, quando Qui-Gon realizzò una cosa.
«Un momento» disse, «siete riuscita a contattare il Tempio?»
Lei inarcò le sopracciglia. «Dopo una decina di tentativi, sì. Come mai lo chiedete?»
«Niente, è solo… Ho tentato senza successo di contattare Omnia».
La comprensione passò negli occhi della donna. «Per l’identikit del vostro indiziato? Mmm. Io ho parlato col signor Tar. Mi ha detto che le comunicazioni stanno dando problemi, e che domani dovrebbe passare il loro miglior tecnico a dare una controllata».
«Capisco» disse Qui-Gon. Se non si sbagliava, la navicella di linea avrebbe fatto scalo a Nihilo solo tra due giorni. «Molto bene, dunque».
La Maestra Yula gli rivolse un sorriso cortese, per poi uscire dalla stanza.

Il mattino successivo, quando i suoi coetanei partirono per tornare a Coruscant, Obi-Wan rimase su Nihilo.
Non si sarebbe fermato a tempo indeterminato, aveva chiarito la Maestra Yula al momento di salutarlo. Se le indagini di Qui-Gon non si sarebbero concluse entro cinque giorni, lei o un altro Maestro sarebbero comunque venuti a recuperare il bambino.
Nonostante il lasso di tempo limitato, Obi-Wan sembrava nervoso ed elettrizzato al contempo. Era chiaro che l’idea di trascorrere altro tempo in compagnia di Qui-Gon gli piaceva, ma sembrava anche timoroso che il Maestro Jedi potesse considerarlo un fastidio.
Per tentare di alleviare quella sensazione, l’uomo invitò il bambino nella propria stanza e gli spiegò le procedure che era solito seguire in un’indagine come questa.
Fuori aveva iniziato a piovere, e l’acqua tamburellava ritmicamente contro la finestra.
Qui-Gon disse ad Obi-Wan che non era riuscito a contattare Omnia, e nemmeno Coruscant, e che di conseguenza aveva fornito alla Maestra Yula una copia dell’identikit del suo sospettato… Una volta giunta al Tempio, la donna l’avrebbe trasmesso al Corpo di Polizia di Omnia.
«Così se vedono quell’uomo lo fermeranno» disse Obi-Wan, annuendo.
Qui-Gon sorrise. «Esatto».
A quel punto, scesero in mensa per il pranzo, e furono servite loro delle gustose polpette verdi che sembravano piacere parecchio ad Obi-Wan.
A fine pasto, fecero per tornare nelle loro stanze, ma si fermarono nell’ingresso, trovando Jon Tar in compagnia di una ragazza di circa diciassette anni.
Era vestita con una tuta da lavoro blu scuro, e portava i capelli neri legati dietro la nuca, anche se molti ciuffi le ricadevano comunque sul lato sinistro del volto.
Era intenta ad ascoltare Jon Tar – che le stava spiegando i problemi che c’erano stati con le comunicazioni – ma all’arrivo di Qui-Gon ed Obi-Wan spostò lo sguardo su di loro e si irrigidì, affrettandosi a volgere altrove il proprio volto.
Nella frazione di secondo in cui i loro occhi si erano incrociati, Qui-Gon aveva avuto modo di individuare il motivo della reazione che era seguita.
La metà sinistra del volto della ragazza, infatti, era sfigurata; la pelle era biancastra e grinzosa, l’occhio azzurro e opaco anziché scuro e luminoso come il destro.
«Maestro Jinn» disse Jon Tar, probabilmente per riempire il silenzio prima che si facesse troppo imbarazzante. «Iniziato Kenobi».
Accanto al locandiere, la ragazza si rilassò appena e tornò a guardare nella loro direzione, anche se teneva la testa china come per nascondere il proprio volto.
Con la coda dell’occhio, Qui-Gon notò che Obi-Wan la stava guardando con una curiosità infantile e priva di giudizio.
«Questa è Heri, il nostro tecnico migliore».
Qui-Gon si fece avanti ed accennò un inchino, subito imitato da Obi-Wan.
«Le stavo giusto dicendo del nostro problema con le comunicazioni».
La ragazza aveva preso a giocherellare coi guanti che indossava. «È un problema che stanno avendo un po’ tutti» disse, guardando ovunque fuorché verso Qui-Gon. «Ma spero di riuscire a risolverlo entro domani».
«Ottimo» disse il Maestro Jedi, con voce carica di approvazione. «Vi ringrazio davvero».
«Figuratevi. È il mio lavoro».
Da vicino, Qui-Gon si rese conto di due cose: il viso della ragazza gli dava uno strano senso di déjà-vu, anche se era certo di non averla mai incontrata… E inoltre lei emanava uno strano odore, un odore pungente, che sembrava essersi attaccato alla sua pelle e ai suoi vestiti.
Lei non rimase ancora a lungo; rispose alle domande di Jon Tar, quindi borbottò qualcosa su un altro appuntamento e fu rapida ad andarsene.
Da parte loro, Qui-Gon ed Obi-Wan si diressero al piano di sopra, e il bambino scosse la testa. «Il tecnico puzzava di vernice di speeder» dichiarò, arricciando il naso.
Qui-Gon si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Era vero, realizzò dopo un momento. Era quello l’odore che aveva sentito sui vestiti della giovane. Si occupava anche di riparare mezzi di trasporto, per caso?
Mentre Obi-Wan si dirigeva a lavarsi i denti, Qui-Gon tornò nella propria stanza. Dopo una sosta in bagno, riprese in mano il ritratto del suo indiziato… e si bloccò.
I capelli neri. Gli occhi a mandorla. La forma del viso. Erano molto simili a quelli della ragazza, Heri.
«Oh, Forza» esalò il Maestro Jedi.
Possibile che fosse una parente del sospettato? Possibile che fosse coinvolta in qualche modo? Forse il suo nervosismo non era dovuto ad una sorta di disagio per il propria aspetto, bensì a qualcosa che sapeva… O forse addirittura a qualcosa che aveva fatto.
Preso da una frenesia improvvisa, Qui-Gon recuperò la mappa cittadina che aveva esaminato in precedenza… Ed eccola, al limitare della città, la fabbrica di speeder in disuso.
Non poteva trattarsi di una coincidenza. Una ragazza che somigliava incredibilmente al suo indiziato, e che poteva esser stata in un posto che… be’, che sarebbe stato un eccellente nascondiglio per la refurtiva.
Senza perder tempo, Qui-Gon indossò la propria toga ed uscì dalla stanza, imbattendosi in Obi-Wan.
«Maestro Jinn?»
«Esco un momento» affermò l’uomo. «Ho un’idea su dove possano trovarsi le opere rubate. Tu rimani qui, io vado a verificare. Faremo la nostra lezione al mio ritorno».
Obi-Wan aggrottò la fronte. «Sì, Maestro Jinn».
Quando l’uomo uscì in strada, cadeva una pioggia rada e sottile. Camminando in tutta fretta, lui notò degli Ysalamiri accanto ai muri delle case e sotto le verande.
Dopotutto, Jon Tar non gliene aveva forse parlato, appena il giorno prima? Quegli animali, in caso di pioggia, si rifugiavano presso le abitazioni…
Per Qui-Gon non era il massimo – poiché significava che la sua percezione della Forza non era mai stata così stentata – ma al momento aveva altro a cui pensare.
Dopo un po’, non abbastanza da sentirsi stanco ma abbastanza da iniziare a sentirsi bagnato, uscì dalla città, e percorrendo una strada sterrata giunse alla fabbrica.
Era possibile che alcuni edifici secondari fossero stati smantellati negli ultimi anni: adesso rimaneva soltanto la costruzione centrale, un fabbricato scuro, di forma cilindrica.
Qui-Gon si avvicinò al portone e lo spinse, ottenendo un cigolio orrendo ed una fessura abbastanza ampia da permettergli di entrare.
Si ritrovò in un’unica grande stanza, dal soffitto molto alto, pervasa dall’odore pungente della vernice. Esattamente quello che aveva sentito sugli abiti di Heri.
C’era una catena di montaggio ferma, alcuni speeder incompleti che pendevano dal soffitto… E, davanti a lui, alcune casse sistemate l’una di fianco all’altra in una lunga fila.
Qui-Gon si avvicinò ad aprire la prima, rivelando alcuni pezzi di ricambio arrugginiti. Li prese uno ad uno e li lasciò cadere sul pavimento, e quando ebbe svuotato quasi completamente la cassa trovò una scultura bianca, un Mynock che pareva sul punto di prendere il volo. Uno dei lavori trafugati di Fja Larr.
Poi udì uno sparo fischiargli accanto all’orecchio destro, e ricordò che all’artista erano stati rubati anche i droidi di sicurezza. In un istante, la spada laser fu attiva tra le sue mani, e la lama verde balenò a deflettere i primi colpi.

Obi-Wan Kenobi non aveva idea di cosa fare.
Si trovava di fronte ad un edificio imponente, e siccome non aveva nessuna mantella stava anche iniziando ad inzupparsi.
Sapeva che non avrebbe dovuto seguire il Maestro Jinn. Avrebbe dovuto rimanere alla locanda come gli era stato detto. Non appena l’uomo se n’era andato, però, lui era stato invaso da un’ansia schiacciante. Aveva dovuto seguirlo.
Era stato attento a non farsi notare, a mantenere una buona distanza tra loro, e il rumore della pioggia e la debolezza della Forza l’avevano aiutato a passare inosservato… Ma adesso?
Prima che il bambino potesse decidere il da farsi, la sua mente registrò un rumore alle sue spalle… E qualcuno lo afferrò e lo sollevò dal terreno, premendogli una mano sulle labbra per soffocare il suo grido di sorpresa.
Pur sbigottito com’era, Obi-Wan riconobbe subito l’odore pungente di chi lo stava tenendo fermo e a bocca chiusa.
«Non ci credo» disse una voce familiare, maschile, appartenente a qualcuno che il bambino non riusciva a vedere. «È il marmocchio della sfera».
«Era alla locanda col Maestro Jedi» rispose la persona che lo teneva stretto.
Adesso Obi-Wan non aveva più dubbi. Era lei, Heri, la ragazza che doveva aggiustare le comunicazioni. Era una complice del ladro?
«E il Maestro è dentro».
«Ci sono anche i droidi» ricordò la ragazza, senza allentare la presa su Obi-Wan.
«Non credo lo sconfiggeranno» disse l’uomo, «ma potrebbero distrarlo».
«Distrarlo?» ripeté lei, voltandosi completamente verso il suo complice, e finalmente Obi-Wan poté vederlo.
Era decisamente l’uomo che aveva raccolto la sua sfera… e stava sollevando la mantella per rivelare due blaster di piccole dimensioni.
«Me ne occupo io».
Obi-Wan sbarrò gli occhi e cercò di dimenarsi, ma la presa della ragazza era ferrea. «Te ne occupi in che senso?»
L’uomo le sorrise in un modo che doveva essere rassicurante. «Entro dalla porta sul retro. Mi nascondo dietro le casse. Prendo la mira. Non ci darà più fastidio»
Un gemito di orrore rimase imprigionato nella gola di Obi-Wan, e l’uomo si diresse verso la fabbrica… Il bambino pensò a Qui-Gon con tutte le sue forze, cercando di avvertirlo, cercando di trasmettere il proprio terrore attraverso la Forza.
«Aspetta, no!» esclamò la ragazza.
L’uomo si bloccò e si voltò a guardarla, interrogativo.
«Lo faccio io» affermò lei, con decisione. «Tu prendi il ragazzino».
L’uomo era accigliato, ma acconsentì. «Come vuoi».
Si sganciò uno dei blaster dalla cintura e lo mise a terra, dopodiché si fece avanti per prendere Obi-Wan dalla ragazza. Il bambino tentò disperatamente di liberarsi durante il trasferimento, dimenandosi e graffiando le braccia dei ladri, ma fu inutile, e la mano inguantata sulla sua bocca venne subito sostituita da quella dell’uomo.
La ragazza si chinò a raccogliere il blaster. Le tremavano le mani, ma sembrava determinata.
«E di questo qui?» chiese l’uomo. «Che ne facciamo?»
Gli occhi di lei – tanto quello azzurro e opaco quanto quello scuro e luminoso – guizzarono su Obi-Wan. «Ci pensiamo dopo. È… è un bambino».
«Ha sentito tutto. Ci ha visti».
La ragazza indugiò. «È un bambino» ripeté infine, e si avviò verso l’edificio con una certa fretta, come se volesse rimandare quella conversazione.
Quando scomparve dietro l’angolo, certamente diretta all’entrata sul retro di cui aveva parlato l’uomo, Obi-Wan cercò nuovamente di liberarsi.
«Fermo» gli sibilò il ladro, con una certa cattiveria. «Sei fai un fiato, ti ammazzo».
Ignorando la minaccia, il bambino tirò indietro la testa… e poi la spinse in avanti, riuscendo ad affondare i denti nel palmo dell’uomo.
Quest’ultimo lo lasciò con un’imprecazione, e Obi-Wan capitombolò a terra. Si rialzò incespicando, evitò le braccia che tentavano di acciuffarlo e si mise a correre.
Il portone era appena dischiuso, e il bambino sgusciò in quella fessura, entrando nella fabbrica.
Qui-Gon era là, e stava abbattendo con metodo i droidi che gli si stringevano attorno. Non sembrava, però, che si fosse accorto della ragazza che si stava sollevando da dietro la fila delle casse, e che stava mirando alle sue gambe.
Obi-Wan sveltì la corsa, e un grido disperato gli uscì dalle labbra: «Maestro!»










Note:
…ebbene sì, sono tornata ad aggiornare questa storia.
Non so bene come scusarmi dell’immenso ritardo, spero almeno che questo nuovo capitolo non sia stato una lettura deludente.
Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento, arriverà lunedì 9 maggio (sperando che non ci siano altri ritardi!).

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Capitolo 17
*** Rivelazioni ***


Capitolo 17 – Rivelazioni

Nell’udire quel richiamo, Qui-Gon trasalì e prese visione del pericolo nel giro di un istante. Riconobbe subito Heri, e le fece sfuggire il blaster dalle mani con un gesto.
Appena in tempo.
Ma il suo legame con la Forza era tuttora disturbato, e lui non fece in tempo a disarmare l’uomo che era entrato correndo dietro Obi-Wan. Ci fu un lampo, ed un contraccolpo tale da scaraventare il bambino in avanti, facendolo cadere sul pavimento.
Ci fu un grido, e Qui-Gon si sentì raggelare. Avrebbe voluto correre immediatamente accanto ad Obi-Wan, ma i droidi continuavano ad incalzarlo – ne abbatté uno, e raccolse le proprie energie per far volare ai propri piedi anche il blaster dell’altro uomo.
Con la coda dell’occhio, vide Heri scavalcare la pila di casse e correre verso il proprio complice… per poi colpirlo con un pugno in piena faccia, con tanta forza da farlo incespicare all’indietro e crollare a terra.
Qui-Gon si liberò anche degli ultimi droidi, quindi disattivò la spada laser e guardò attorno per un momento: non sembravano esserci altre minacce, e il suo primo indiziato giaceva ancora a terra, coprendosi il naso sanguinante.
Heri, dal canto suo, era andata ad inginocchiarsi accanto al bambino ferito, e non sembrava sapere dove mettere le mani.
Qui-Gon si affrettò nella sua direzione, stringendo una mano sulla propria cintura sino a farsi sbiancare le nocche. Prestò appena orecchio ai gemiti della ragazza – «mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace» – e si inginocchiò accanto a lei.
Obi-Wan giaceva a pancia in giù, la guancia schiacciata contro il pavimento lurido. Era stato colpito alla spalla destra, come denotava la macchia rossa che si stava allargando sulla stoffa chiara. Era cosciente, ma i suoi respiri erano brevi e spaventati.
«Mi dispiace». La ragazza sembrava sull’orlo delle lacrime.
Qui-Gon si protese verso il bambino, toccandogli la tempia, e gli occhi grigio-azzurri di Obi-Wan saettarono su di lui. Per quanto impauriti, erano lucidi e focalizzati. L’uomo cercò di rivolgergli un sorriso incoraggiante, e con enorme cautela lo sollevò e lo attirò nel proprio grembo.
Obi-Wan strizzò gli occhi e premette il viso contro i suoi abiti. Stava forse cercando di nascondere le lacrime che gli avevano rigato le guance?
L’uomo accattonò quel pensiero e si rivolse alla ragazza. «C’è un centro medico?» le chiese con una certa urgenza. «Dove posso portarlo?»
Lei lo fissò ad occhi sbarrati. «Io… non ci sono centri medici, non…»
«Heri» annaspò il ladro, tirandosi sui gomiti, una mano ancora sul volto.
Se non altro, questo sembrò riscuoterla. La ragazza si girò di scatto verso di lui, la paura che s’infiammava e diventava rabbia. «Sta’ zitto, Hafli! Sta’ zitto. Se provi a scappare ti sparo nel fondoschiena».
Né Qui-Gon né l’altro uomo emisero un fiato. Di certo, nessuno dei due puntualizzò che la ragazza era tecnicamente disarmata, e non avrebbe potuto sparare proprio per niente.
Ora più lucida, Heri tornò a guardare il Maestro Jedi. «Potete portarlo a casa di Fja Larr» disse, in tono deciso.
«Come?» chiese Qui-Gon, accigliandosi.
«Sua suocera» rispose la ragazza. «È un’ottima guaritrice, tutti vanno…»
L’uomo non attese nemmeno che lei concludesse la frase, e si alzò in piedi. «Voi due venite con me».
Ancora accovacciata a terra, la ragazza lo guardò da sotto in su e parve esitare. Forse aveva appena ricordato in che guaio era coinvolta. Tuttavia, annuì e si mise in piedi a propria volta. Si diresse verso il suo complice, afferrandolo per il gomito ed aiutandolo ad alzarsi, per poi strattonarlo verso Qui-Gon ed Obi-Wan.
«Lo avevo avvertito» borbottò Hafli, il sangue che gocciolava dal naso rotto. «Gli avevo detto che se apriva la bocca lo avrei colpito».
Qui-Gon ricambiò con uno sguardo freddo, ed attirò il bambino più vicino al proprio petto. Era quasi certo di aver sentito un tremito sotto quelle parole, ma non si sentiva incline alla comprensione.
«Ti ho detto di stare zitto, Hafli» sbottò Heri, la voce vibrante di rabbia. Poi, senza lasciare la presa su di lui, si rivolse a Qui-Gon: «Da questa parte».
L’uomo la seguì, decidendo di sorvolare sul fatto che sapeva già dove abitava Fja Larr. Non pensava che lei avrebbe provato a scappare, a questo punto, ma poteva anche darsi che rimanesse soltanto perché voleva aiutare Obi-Wan.
Fuori pioveva ancora, e l’uomo mosse impacciatamente il proprio mantello per coprire il bambino.
Obi-Wan rivolse il viso – pallido e sudaticcio – verso di lui, schiudendo gli occhi, e Qui-Gon gli accarezzò la guancia con un dito.
«Resisti, Padawan» gli sussurrò. «Ci siamo quasi».
Mentre camminava dietro a Heri ed Hafli, cercò di fare un po’ di pressione sulla ferita, ma desistette di fronte agli involontari gemiti di dolore del bambino.
Qualche minuto più tardi, suonarono alla porta di casa Larr, e fu la moglie dell’artista ad aprire.
«Heri?» chiese, fissando il tecnico. E poi, ancora più interdetta, quando notò il resto del gruppetto: «Maestro Jinn?»
Qui-Gon si fece avanti, mostrando il bambino che rabbrividiva contro il suo petto. «Vostra madre è in casa?»
Maya Larr fissò Obi-Wan ed impallidì. «Sì» disse, e si fece da parte. «Venite».
Il gruppetto non se lo fece ripetere due volte – Hafli pareva un po’ riluttante, ma non oppose resistenza quando Heri lo trascinò con sé – e la donna li guidò verso il soggiorno, chiamando: «Madre, hai un paziente!»
La donna anziana si trovava sul divano dove Qui-Gon l’aveva vista per la prima volta, e guardò verso di loro con uno sguardo attento e penetrante.
«Datemelo qui» ordinò.
Il Maestro Jedi si fece avanti, e depositò con attenzione Obi-Wan sulle ginocchia della donna. Quest’ultima gli sfilò qualche strato d’abito con estrema attenzione. Quando il bambino rimase a schiena nuda, Qui-Gon poté finalmente vedere la sua ferita con chiarezza.
Era uno squarcio tra la scapola destra e l’attaccatura del collo… Non era una ferita superficiale, ma nemmeno troppo profonda.
Grazie alla Forza, Hafli non doveva avere una gran mira: aveva colpito il bambino solo di striscio. O forse era stato intenzionale, forse non aveva voluto ferirlo troppo gravemente…
«Maya» disse la vecchia, «prendi le mie cose ed una bacinella d’acqua».
Sua figlia si affrettò ad obbedire, ed era appena scomparsa in corridoio quando Fja Larr fece il proprio ingresso. «Chi…?» Si arrestò di colpo. «Maestro Jinn? Ma che…?»
Notando il bambino sulle ginocchia della suocera, parve rimanere un istante senza parole.
«È… è un piccolo Jedi?» chiese, allungando il collo. «Che cosa gli è successo?»
«Colpo di blaster» rispose Qui-Gon, cupamente.
Fja Larr parve impressionato. «È molto grave?» Aveva un’aria preoccupata, ma non si avvicinò ulteriormente. Forse non gli piaceva la vista del sangue.
«Nah» rispose sua suocera, passando una mano gentile tra i capelli umidi di Obi-Wan. «Solo un colpo di striscio, fortunatamente».
In quel momento, Maya Larr fu di ritorno, e depositò una bacinella d’acqua ed una cassetta marrone sul tavolino davanti alla madre.
La guaritrice prese una garza dalla cassetta e la inzuppò, e a quel punto Fja Larr sembrò finalmente notare anche Heri ed Hafli.
«Heri» disse, con una certa sorpresa, «avevamo un appuntamento?»
Qui-Gon vide le spalle della ragazza afflosciarsi. Sembrava essere conosciuta in casa Larr – ma effettivamente, dato che era il tecnico migliore di Nihilo, doveva essere ben conosciuta in tutta la cittadina.
«O siete qui anche voi per essere ricuciti? Quel naso mi sembra messo male».
«Gliel’ho rotto io» disse Heri, in tono monocorde.
Le sopracciglia bionde di Fja Larr schizzarono verso l’alto. «Oh. Ti ha importunata?»
«No, è mio fratello» rispose la ragazza, lo sguardo basso. «Non siamo qui per rattopparlo. Siamo qui perché… Siamo stati noi a rubare le tue opere».
Ci fu un momento colmo di tensione, e l’unica che non alzò lo sguardo fu la guaritrice, ancora intenta a pulire la ferita di Obi-Wan.
Poi il bambino emise un piccolo lamento, e Qui-Gon si inginocchiò accanto a lui. «Va tutto bene» gli mormorò. «Va tutto bene».
«Mi dispiace» disse Heri, in tono miserabile, chiaramente rivolta ai coniugi Larr.
Ci fu un altro momento di silenzio. «Quindi…» disse infine Fja Larr. «Sei stata tu a disattivare i miei sistemi di sicurezza».
«Già».
Qui-Gon stava ancora guardando Obi-Wan, e notò che aveva le labbra screpolate.
Ma certo. Col sangue che aveva perso, doveva essere disidratato… perché non ci aveva pensato prima?
D’istinto, fece per alzarsi, ma quella mossa parve allarmare Obi-Wan: il bambino, infatti, spalancò gli occhi e fece per allungare un braccio.
La guaritrice lo tenne fermo e rivolse un’occhiata accigliata a Qui-Gon, che si era bloccato, e parve capire subito le sue intenzioni. «Fja» chiamò, «potresti prendere un bicchiere d’acqua per il bambino?»
Qui-Gon la guardò con gratitudine, tornando ad accovacciarsi, e dopo un momento i passi di Fja Larr si allontanarono.
«Forse voi dovreste venire nella stanza degli ospiti» disse Maya Larr, in tono controllato, «finché non riusciremo a contattare il Corpo di Polizia di Omnia».
«Ho oscurato il segnale» affermò Heri. «Le comunicazioni non funzioneranno per un po’. Volevo… La cosa doveva permettere ad Hafli di scappare domani».
Distrattamente, Qui-Gon pensò che le sue supposizioni si erano rivelate esatte. I suoi ladri avevano intenzione di usare un’astronave di linea come via di fuga.
E le parole di Heri svelavano finalmente il motivo del malfunzionamento delle comunicazioni.
«Dovrai mostrarci come porre rimedio alla cosa» fu la replica di Maya Larr, e ci fu un po’ di trambusto mentre la donna guidava Heri ed Hafli in un’altra parte della casa.
Fja Larr fu di ritorno con un bicchiere d’acqua ed una cannuccia, e li passò a Qui-Gon. L’uomo resse il bicchiere mentre Obi-Wan chiudeva le labbra attorno alla cannuccia e succhiava debolmente ma con una certa avidità.
La guaritrice mise da parte le garze insanguinate ed iniziò a preparare con mani esperte un impacco di bacta, che in seguito applicò alla spalla di Obi-Wan.
«Ecco fatto» decretò, e spostò lentamente il bambino dalle proprie ginocchia per farlo distendere sul divano. «Non dovrebbero esserci problemi».
Qui-Gon annuì, e la donna si alzò.
«Tra qualche ora dovrò cambiare l’impacco, ma per adesso può anche dormire. Chiamatemi, se succede qualcosa».
Su quella nota, aiutata da Fja Larr, radunò la cassetta, la bacinella e le garze bagnate, quindi se ne andò col genero.
Rimasto solo con Obi-Wan, Qui-Gon si sedette nel posto lasciato libero dalla guaritrice ed accarezzò cautamente i capelli rossicci del bambino.
«Maestro?» mormorò Obi-Wan, confusamente.
«Sì? Dimmi».
«Pensi che… pensi che resterà… una cicatrice?»
«Non penso proprio» gli assicurò Qui-Gon. «Non con questi impacchi».
Il bambino aggrottò la fronte e cercò di alzare la testa. Poi cambiò idea, probabilmente perché il movimento aveva stirato uno dei muscoli vicini alla ferita.
«Obi-Wan?» chiamò Qui-Gon, gentilmente. «Qualcosa non va?»
Il bambino non rispose subito. «Il Maestro Yoda dice… dice che la prima missione di un Jedi lascia… sempre una cicatrice…»
Qui-Gon inarcò le sopracciglia. Il Maestro Yoda diceva questo agli Iniziati? Rassicurante.
«Ma forse… forse questa non… non è una vera missione» aggiunse Obi-Wan, incerto.
«La è eccome» replicò Qui-Gon, deciso. «Vedi, il Maestro Yoda non parlava di cicatrici nel senso letterale della parola. Voleva soltanto dire che la prima missione di un Jedi non si dimentica mai».
«Uhm» bofonchiò Obi-Wan. «Di sicuro è stata… memorabile».
Qui-Gon si lasciò sfuggire un sorriso, e in quel momento Fja Larr fu di ritorno con qualcosa da mangiare per il bambino. Obi-Wan mangiò qualche boccone, volle un’altra sorsata d’acqua, e poi si addormentò come un sasso.
Il Maestro Jedi rimase a vegliare su di lui, mentre Fja Larr si recava a dire a Jon Tarr dove si trovavano i suoi ospiti e provvedeva anche a recuperare le proprie opere.
Verso sera, la guaritrice si offrì di tener d’occhio il bambino per qualche momento. «Fja vi ha preparato qualcosa da mangiare in cucina. Vi chiamo se il piccolo si sveglia».
Qui-Gon era riluttante, ma alla fine la ringraziò e le cedette il posto. In cucina, trovò un piatto di carne e verdure… E trovò anche Heri, appollaiata su uno sgabello con lo sguardo perso nel vuoto.
L’uomo le si accomodò di fronte, facendola sussultare.
Lei si portò d’istinto una mano a coprire la parte sfigurata del proprio volto, ma poi si rilassò – in parte, almeno.
«Tuo fratello?» chiese Qui-Gon, cercando di assumere un tono casuale.
Un Jedi doveva lasciar andare la propria rabbia.
«Nella camera degli ospiti» rispose Heri. «L’ho chiuso dentro. Avevo bisogno di non vederlo per un po’».
L’uomo pensò che non era l’unica, ma si limitò ad annuire e cominciò a mangiare.
«È stata tutta colpa mia» proruppe Heri, dopo qualche istante. «Mi dispiace. È stata tutta colpa mia».
Qui-Gon alzò lo sguardo su di lei. «È stata una tua idea?»
«No, di Halfi, ma…» La ragazza si premette una mano sulla guancia sfigurata. «Ma non è cattivo. Non si è mai comportato così».
Qui-Gon masticò ed inghiottì. «Perché dici che è stata tutta colpa tua?»
«Be’, perché l’ha fatto per me» rispose Heri, abbassando lo sguardo sul tavolo. «Il furto. Noi non… Da bambini non eravamo molto uniti. Un po’ per la differenza d’età – voglio dire, abbiamo due padri biologici diversi…»
Il Maestro Jedi le rivolse un’occhiata inquisitoria.
«Poi io ho avuto l’incidente» continuò la ragazza, sempre senza guardarlo, «e Hafli mi è stato accanto più di tutti. In ospedale, e poi… Poi io mi sono trasferita qui a Nihilo, perché non mi piace stare in mezzo a troppa gente, e ho trovato questo lavoro, e mio fratello mi è sempre venuto a trovare con frequenza. Quando ha saputo di Fja Larr, gli è venuta questa idea. Voleva rivendere le opere e usare il denaro per pagarmi una ricostruzione facciale».
«E tu l’hai aiutato».
«Sì» disse Heri, con voce molto piccola. «Mi sembrava una prospettiva allettante».
Qui-Gon riprese a mangiare. Non poteva biasimare la ragazza, ma ciò non toglieva che si era comportata in modo sbagliato ed aveva violato la legge. In quanto ad Hafli… Faticava molto a provare empatia nei suoi confronti, dato quello che aveva fatto ad Obi-Wan.
«Non pensavo che saremmo arrivati al punto di ferire qualcuno, tantomeno un bambino».
«Stavi per spararmi alle gambe» osservò l’uomo.
Lei non negò. «Mi dispiace, avevo… Volevo solo immobilizzarvi, volevo guadagnare tempo… So che è stupido, ma pensavo che così saremmo riusciti a far scappare Hafli…»
Qui-Gon non commentò, evitando di dirle che se anche fosse riuscita ad imbarcare suo fratello nella prossima navicella di linea, lui sarebbe stato arrestato, perché grazie alla Maestra Yula il suo ritratto era arrivato nelle mani del Corpo di Polizia di Omnia anche con le comunicazioni fuori uso.
«E poi avevo… avevo paura che se fosse stato lui ad occuparsene… ecco… non avrebbe mirato alle gambe».
Qui-Gon non avvertiva con chiarezza le sue emozioni nella Forza, ma poteva sentirle nella sua voce, leggerle sul suo volto. Paura e vergogna e disperazione.
«Hai mangiato qualcosa?» le chiese infine.
Lei lo fissò come se la domanda l’avesse presa in contropiede. «Maya ci ha… ci ha portato un pasticcio». Si morse il labbro. «Non potrò più guardarli in faccia. Lei e Fja… Li conosco da anni, e ora ho tradito la loro fiducia».
L’uomo non rispose. Non spettava a lui decidere se i due coniugi avrebbero mai scelto di perdonare la ragazza.
Senza ulteriori scambi di parole, finì il proprio pasto ed uscì dalla cucina. In salotto, la guaritrice si alzò e lo lasciò sedere accanto ad Obi-Wan.
Il bambino stava ancora dormendo della grossa, quando Qui-Gon vide Fja Larr dirigersi verso l’ingresso.
«Heri ci ha detto dove sta il dispositivo che ha costruito, quello che causa le interferenze» spiegò l’artista, lottando per infilarsi il cappotto. «Vado a recuperarlo, così possiamo disattivarlo e metterci in contatto con Omnia».
Qualche momento dopo la sua uscita, Maya Larr arrivò in salotto, e si accomodò sul divano di fronte a Qui-Gon.
«Ha smesso di piovere» disse, sommessamente. Era rivolta a Qui-Gon, ma stava guardando Obi-Wan con aria quasi rapita.
Il bambino, dal canto suo, continuava a dormire a pancia in giù, una mano ferma accanto alla guancia.
«Vi chiedete… Vi chiedete mai se alcuni di loro incontrano le loro madri? In strada, per caso. Vi chiedete se le riconoscono? E se le madri dei vostri Iniziati riconoscono i loro bambini?»
Qui-Gon aggrottò la fronte, e ricordò l’espressione della donna quando aveva visto gli Iniziati in compagnia della Maestra Yula. «Avete…» Si schiarì la gola. «Per caso un vostro figlio…?»
Maya Larr lo guardò con aria sorpresa, portandosi d’istinto una mano al ventre. «Se è stato preso dai Jedi? Oh… Oh, no. Ma lo preferirei. Almeno vorrebbe dire che lui esiste da qualche parte… No» ripeté. «Non abbiamo figli. Sono rimasta incinta, qualche tempo fa, ma ho perso il bambino».
Qui-Gon portò una mano sulla nuca di Obi-Wan. «Scusate» disse, «ho creduto…»
«Non avete alcun bisogno di scusarvi» lo interruppe la donna, con decisione.
L’uomo abbozzò un sorriso. «Avevate l’aria di aver riflettuto molto sugli Iniziati Jedi».
«È così» asserì lei, e sembrava non rendersene conto, ma continuava a massaggiare piano il proprio ventre. «Vedete, mio marito aveva un allievo, qualche anno fa…»
«Sì» disse Qui-Gon, «credo mi abbiate già accennato a lui».
Maya Larr annuì. «Ecco. Veniva dal Tempio di Coruscant».
L’uomo sbatté le palpebre, sollevando il capo. «Come?»
«Non era un Jedi» si affrettò a chiarire la donna. «Aveva abbandonato l’addestramento. Non era vita per lui, ci ha detto».
Le orecchie di Qui-Gon cominciarono a ronzare, e lui si sentì quasi mancare il respiro. Possibile che…?
«Aveva talento artistico, ed era bravo a mostrare ammirazione verso mio marito». Maya Larr sorrise. «Fja non è mai stato molto in grado di resistere alle adulazioni, e l’ha preso come allievo».
Qui-Gon dovette portare una mano al bracciolo del divano e serrare le dita, imponendosi di mantenere la calma. Non riusciva a pensare ad altro che al suo secondo apprendista, al modo in cui più di una volta aveva tessuto le lodi degli artisti di Nihilo.
«Gli avevo chiesto, una volta, se avesse mai pensato di tornare dai suoi genitori, visto che ormai non era più un Jedi» concluse Maya Larr. «Lui ha risposto che preferiva di no, che pensava sarebbero stati dei perfetti sconosciuti. Mi ha dato molto da pensare».
Qui-Gon forzò una risposta tra labbra quasi insensibili: «Capisco». Tacque un momento, e Obi-Wan si mosse accanto a lui sul divano. «Posso… posso sapere come si chiamava questo ragazzo?»
Nel suo cuore, lo sapeva di già. Non si stupì affatto, quando Maya Larr disse nome e cognome del suo secondo apprendista.
«Lo conoscevate?» gli chiese poi la donna, inarcando un sopracciglio.
Qui-Gon abbassò lo sguardo su Obi-Wan, che stava sbadigliando. «Qualcosa del genere» si sentì rispondere. «Qualcosa del genere».
«D’accordo». A giudicare dal suo tono, Maya Larr doveva aver intuito che non era tutto, ma non insistette. «Vado a controllare Heri» affermò invece – difficile capire se volesse assicurarsi che la ragazza stesse bene o che non scappasse.
«Certo» disse Qui-Gon, rivolgendole un cenno del mento.
I suoi pensieri erano ancora in tumulto. Dunque era questo che era successo al suo secondo apprendista? Era qui che era venuto, dopo aver lasciato Coruscant? Aveva cercato di diventare un artista? E adesso… adesso dov’era?
«Maestro?»
La voce assonnata di Obi-Wan lo riportò al presente.
Qui-Gon abbassò lo sguardo sul bambino. Quest’ultimo cercò di tirarsi su, e l’uomo si affrettò ad aiutarlo a mettersi seduto in una posizione tale da non appoggiarsi alla spalla ferita.
«Ben svegliato» gli disse, sforzandosi di sorridere. «Ti senti meglio?»
«Credo… credo di sì» mormorò il bambino, ma fece una smorfia nel muovere la mano destra, ed usò invece la sinistra per strofinarsi gli occhi.
«Mi fa piacere» disse Qui-Gon, sinceramente.
Obi-Wan mugolò il proprio assenso, poi sgranò gli occhi e lo fissò, lasciando ricadere la propria mano.
«Qualcosa non va?» chiese l’uomo, inarcando un sopracciglio.
«Io…» Il bambino parve chiamare a raccolta il proprio coraggio. «Tu… Prima, tu… Quando mi hai coperto per non farmi bagnare… Mi hai chiamato Padawan».
Qui-Gon sbatté le palpebre, preso alla sprovvista. «Davvero?»
Non lo ricordava… Tornò col pensiero a qualche ora prima, a quando era uscito dalla fabbrica in disuso col bambino ferito tra le braccia. Lo aveva consolato, questo sì, ma l’aveva davvero chiamato Padawan?
«Credo… Credo di sì». Obi-Wan parve vacillare. «È stato un incidente?»
L’uomo non rispose subito. Ancora non ricordava di aver usato quel termine… ma di fronte all’espressione ansiosa di Obi-Wan, decise che non aveva importanza.
«No» disse, con determinazione. «Non è stato un incidente».
Il bambino si limitò a fissarlo con occhi enormi.
«So che te l’ho già chiesto» aggiunse allora Qui-Gon, tendendo automaticamente una mano verso la sua spalla sinistra. «Ma dimmi… vorresti ancora diventare il mio Padawan?»
Gli sembrò quasi una magra offerta, davanti al fatto che questo bambino aveva messo a rischio la propria vita per aiutarlo.
Non dovette nemmeno rimanere sulle spine, però, perché il visetto di Obi-Wan si ruppe immediatamente in un sorriso. «Sì» rispose il bambino, radioso, guardandolo negli occhi. «Sì, Maestro Jinn».
L’uomo sorrise di rimando. Di colpo, si sentì come se tutti i suoi dubbi passati avessero perso peso, alleggeriti dalla gioia dell’Iniziato.
Persino tutte le preoccupazioni e la tensione delle ultime ore parvero dissiparsi.
«Che mi dici?» chiese Qui-Gon, in tono quasi cospiratore. «Cosa ne pensa la Forza?»
«Mmm». Obi-Wan parve rifletterci su. «Immagino potrebbe funzionare».
L’uomo scosse il capo, ma stava ancora sorridendo, e adesso era sinceramente divertito. Sapeva che Obi-Wan sentiva nella Forza esattamente quello che percepiva lui.
Questo era giusto.









Note:
Prima di tutto, ringrazio di nuovo tutti i lettori, perché wow, non mi aspettavo una simile risposta allo scorso capitolo. Grazie mille, davvero!
Ed era mai possibile che Obi-Wan “Finisce Spesso Nell’Ala Dei Guaritori” Kenobi scampasse alla situazione senza nemmeno un graffio? Ovviamente no. Ma forse è stato finalmente ripagato…
Okay, ho blaterato a sufficienza. Questa settimana sarò impegnata con lo studio perché lunedì ho un esame scritto, quindi vi do appuntamento a giovedì 19 maggio :)
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso!

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Capitolo 18
*** Oltre il confine ***


Capitolo 18 – Oltre il confine

Poco dopo, Fja Larr fu di ritorno, e venne a sedersi sul divano di fronte a Qui-Gon ed Obi-Wan.
«Eccolo qui» annunciò, posando un oggetto sul tavolo con fare teatrale. «Il dispositivo che crea le interferenze».
Obi-Wan allungò il collo, e anche Qui-Gon si protese in avanti. Si trattava di una semisfera dorata, abbastanza piccola da stare comodamente nel palmo di una mano.
«Ora non resta che disattivarla» proclamò l’artista, soddisfatto. «Vado a chiamare Heri».
Balzò in piedi, e si allontanò con una certa fretta.
Da parte sua, Qui-Gon spostò lo sguardo su Obi-Wan; il bambino stava ancora guardando la sfera con un certo interesse, e fece un gesto come per allungare la mano, salvo controllarsi e ritirarla dopo un momento.
«Di qua, di qua».
Nell’udire quelle parole, Qui-Gon si girò, giusto in tempo per vedere Fja Larr che sollecitava Heri in direzione del dispositivo.
«Come vedi, l’ho recuperato. Ora puoi disattivarlo».
La ragazza gettò un’occhiata verso Qui-Gon ed Obi-Wan, soffermandosi in particolare sul bambino come per accertarsi che stesse davvero bene, poi allungò una mano a prendere l’oggetto. Con una certa cura, svitò la piccola cupola e la tirò via come un tappo, rivelando una serie di ingranaggi scintillanti dall’aria delicata.
«Ammirevole» commentò Fja Larr.
Heri non disse nulla, chinandosi invece a posare l’oggetto sul pavimento… per poi calpestarlo con forza, più volte, e Qui-Gon vide le sopracciglia di Obi-Wan guizzare ai cigolii e agli scricchiolii del povero dispositivo.
Alla fine, la ragazza raccolse l’oggetto – ora con gli ingranaggi tutti spaccati – e lo rimise sul tavolo. «Ecco fatto».
«Però!» osservò Fja Larr, arcuando le sopracciglia bionde. «Pensavo avresti fatto qualcosa di più… scientifico».
Heri si limitò a stringersi nelle spalle.
In effetti, pensò Qui-Gon, anche lui si sarebbe aspettato un metodo diverso. In fondo la ragazza aveva dimostrato di saperci fare come tecnico, costruendo il dispositivo, disattivando i sistemi di sicurezza di Fja Larr e riprogrammando i droidi dell’artista per metterli a guarda della refurtiva.
«Ora dovremmo riuscire a contattare Omnia» concluse Fja Larr.
Obi-Wan guardò Qui-Gon, che si alzò in piedi e si mise le mani sui fianchi. «Posso usare la vostra unità di comunicazione?»

Il giorno successivo, arrivarono tre agenti del Corpo di Polizia di Omnia. Indossavano un’uniforme blu scuro, ma le loro somiglianze finivano lì.
La prima era un’Umana dai capelli castani e il naso sottile spruzzato di lentiggini; la seconda una Togruta dall’espressione impenetrabile e uno sguardo che pareva in grado di uccidere; il terzo un Mon Calamari dalla pelle lucida e l’aria gioviale.
Si mostrarono piuttosto efficienti: registrarono le testimonianze di Qui-Gon, Obi-Wan e della famiglia Larr, chiesero al Maestro Jedi di fornire loro i dati delle sue indagini ed ispezionarono lo studio di Fja Larr e la fabbrica in disuso.
Nel via vai, Qui-Gon notò che Obi-Wan – ancora seduto sul divano – seguiva i movimenti degli agenti ad occhi spalancati, e sembrava un po’ ansioso.
Pensando che un diversivo gli avrebbe fatto bene, l’uomo si avvicinò e gli si sedette accanto. «Allora» esordì, e il bambino puntò subito gli occhi su di lui, «vuoi dirmi cosa ne pensi? Quali credi che saranno le accuse contro Heri ed Hafli?»
Il bambino sbatté le palpebre. Per un istante, rimase a fissare l’uomo, poi abbassò lo sguardo e parve rimuginare sulla risposta.
«Be’» iniziò infine, con una punta di incertezza, «a carico di entrambi c’è il furto… sia delle opere del signor Larr che dei suoi droidi. Penso conterà anche il fatto che i droidi sono andati distrutti… e il possesso d’armi».
«Molto bene» approvò Qui-Gon. «Che altro?»
Obi-Wan mosse la mano verso la propria spalla. «Ecco… Hafli mi ha ferito… E credo conterà anche il fatto che Heri stava per sparare a te… Maestro».
«Sì» disse Qui-Gon, ed era tanto un invito a continuare quanto una conferma.
Il bambino non si fece pregare. «Lei ha messo fuori uso le comunicazioni di tutto il villaggio» ricordò, e contò sulle dita le cose che aveva elencato. «Mi sembra abbastanza illegale».
«Già» annuì Qui-Gon, trattenendo un sorriso. «È abbastanza illegale».
Obi-Wan emise un suono pensoso. «Ma… Maestro? Heri è minorenne?»
«Penso di sì» rispose Qui-Gon, sistemandosi meglio sul divano. «Però ha già l’età a cui si viene considerati capaci di intendere e di volere».
Il bambino aggrottò la fronte. «Vuol dire… vuol dire che sarà punita, ma in modo meno severo rispetto a come verrebbe punita se fosse maggiorenne?»
«Possiamo metterla così, sì» annuì Qui-Gon.
I dettagli, immaginava, sarebbero dipesi dall’avvocato che avrebbe difeso i due fratelli, e dalla legislazione a cui avrebbero deciso di appellarsi – se quella di Omnia, di Nihilo o del loro pianeta natale.
Obi-Wan si sfregò il mento con una mano, e in quel momento Fja Larr venne dritto verso di loro.
«E così» esordì, sedendosi sul bracciolo del divano accanto a Qui-Gon e posandosi le mani sulle gambe, «siamo quasi giunti alla fine di quest’avventura».
Il Maestro Jedi inarcò un sopracciglio. «Così sembrerebbe».
Fja Larr rimase in silenzio per un lungo momento, e la sua espressione si fece decisamente più seria. «Heri è una brava ragazza» mormorò infine. «Non mi sarei mai aspettato che facesse una cosa del genere».
Qui-Gon indugiò un istante, poi si allungò verso l’altro uomo. «A quanto mi ha detto, l’hanno fatto perché Hafli voleva pagarle una plastica facciale».
Fja Larr girò di scatto la testa verso di lui. «Oh!» esclamò, allargando gli occhi azzurri in modo quasi comico. Tornò a voltarsi dall’altra parte e ripeté, stavolta in tono sommesso, quasi pensoso: «Oh».
A quel punto, gli agenti del Corpo di Polizia si radunarono in salotto, portando con loro Heri ed Hafli. La ragazza pareva completamente atterrita, anche se l’agente umana le stava spiegando qualcosa in tono gentile.
In quanto ad Hafli, aveva l’aria decisamente avvilita. Forse era deluso di non averla passata liscia, forse era preoccupato per la pena che gli sarebbe toccata.
Personalmente, Qui-Gon pensava che fosse anche colpa dell’atteggiamento freddo e distaccato che sua sorella stava tuttora mantenendo nei suoi confronti.
In ogni caso, questa poteva essere l’ultima volta che vedeva i due fratelli, a meno di non essere chiamato a testimoniare in prima persona. E data la registrazione della sua testimonianza e il numero considerevole di prove raccolte, dubitava sarebbe successo.

Lui e Obi-Wan lasciarono Nihilo poco tempo dopo la partenza degli agenti di Omnia.
Un’astronave arrivò da Coruscant per prelevarli, e al momento dei saluti Maya Larr si abbassò ad abbracciare il bambino, attenta a non fargli male.
Obi-Wan ebbe abbastanza presenza di spirito da rispondere con un buon inchino ed un educato «arrivederci, signora Larr» ma i suoi occhi chiari erano enormi mentre fissava la donna.
Durante il viaggio, fu abbastanza silenzioso, e Qui-Gon notò che si sfregava distrattamente le braccia tra loro.
«Maestro» chiese il bambino, mentre si preparavano ad entrare nell’atmosfera di Coruscant, «credi che i signori Larr avranno un figlio?»
Qui-Gon gli scoccò un’occhiata. «Se è quello che desiderano, glielo auguro».
«Già» disse Obi-Wan, e non aggiunse nient’altro sull’argomento.
Come prima cosa, quando giunsero al Tempio Jedi, Qui-Gon avrebbe dovuto presentarsi a fare rapporto nella Sala del Consiglio, ma decise che era più urgente portare il bambino nell’Ala dei Guaritori.
«Ma adesso sto bene, Maestro» azzardò Obi-Wan, che sembrava tutto fuorché contento di trovarsi lì.
Qui-Gon si limitò a sospingerlo in avanti. «Penso sia comunque meglio fare una visita di controllo».
Ad occuparsene fu Von Le, che esaminò quel che restava della ferita di Obi-Wan con estrema attenzione. «Il tuo primo viaggio fuori da Coruscant ed hai ricevuto un colpo di blaster» commentò. «Per qualche motivo non ne sono affatto sorpreso».
«È stato un colpo di striscio» puntualizzò Obi-Wan.
Il Vultan non rispose. «Per tua fortuna» disse invece, «chi si è occupato di te sapeva il fatto suo. Dovrebbe guarire perfettamente nel giro di qualche giorno. Nel frattempo, sei esentato dagli allenamenti».
«Ancora?!» gemette Obi-Wan, e poi si batté una mano sulla bocca.
Qui-Gon finse di essere intento ad osservare il muro più vicino, ma sentì nitidamente lo sguardo apprensivo che il bambino gettò nella sua direzione.
Dati gli ultimi eventi, aveva smesso del tutto di schermarsi dal legame mentale tra lui ed Obi-Wan, e da quando si erano allontanati da Nihilo aveva percepito molte delle emozioni del suo nuovo Padawan.
«Voglio dire… Ho già dovuto saltare degli allenamenti perché mi ero fatto male…»
«Ma guarda un po’» disse Von Le, e gli diede una piccola pacca sul braccio per fargli capire che la visita era finita. «Evita di farti male e potrai seguire tutti gli allenamenti che vuoi».
«Sissignore» rispose Obi-Wan, un po’ contrariato, prima di tornare a vestirsi.
Quando fu pronto, Qui-Gon lo portò con sé nella Sala del Consiglio. Fece rapporto, tenendo il bambino davanti a sé e posandogli le mani sulle spalle con fare confortante.
Anche senza guardarlo, sapeva che Obi-Wan osava a malapena respirare, e che alternava delle occhiate nervose tra i Consiglieri e il pavimento decorato sotto i loro piedi.
Il comportamento del bambino su Nihilo venne discusso, ma non ci furono sanzioni. Certo, aveva disobbedito all’ordine diretto di un Maestro, ma Yoda osservò che doveva aver seguito il volere della Forza, visto come si era conclusa la missione.
Ci fu un momento di silenzio, poi Qui-Gon si schiarì la gola.
«Maestro Qui-Gon» disse Yoda, fissandolo con aria estremamente interessata. «Chiederci qualcosa tu vuoi?»
«Sì, mio Maestro». L’uomo accarezzò col pollice la spalla sinistra di Obi-Wan. Trasse un respiro. «È mia intenzione prendere Obi-Wan Kenobi come mio nuovo Padawan».
Immediatamente, i Consiglieri attorno a loro iniziarono a scambiarsi occhiate eloquenti, in una danza di teste che si inclinavano e dita che si univano. Qui-Gon era ormai abituato a quelle conversazioni silenziose, ma Obi-Wan si tese ansiosamente sotto le sue mani.
«Molto bene» concluse Yoda, e nella sua voce c’era una punta di pura soddisfazione. «La nostra approvazione tu hai».
Qui-Gon accennò un inchino, mentre il sollievo e la felicità di Obi-Wan lo investivano come un’onda.
Venne stabilito che la cerimonia per il passaggio del bambino da Iniziato a Padawan si sarebbe svolta il giorno seguente, dopodiché Obi-Wan e Qui-Gon furono congedati.
Erano appena usciti dalla Sala del Consiglio, quando udirono dei passi zoppicanti, e Yoda li raggiunse.
«Maestro Qui-Gon» disse. «Parlare con te, io desidero».
L’uomo inarcò un sopracciglio. Accanto a lui, Obi-Wan si mosse con una certa inquietudine.
Qui-Gon poteva sentire la fiducia del bambino nel Gran Maestro, ma sentiva anche il suo nervosismo – sembrava sempre esserci qualcosa che gli impediva di diventare il Padawan del Maestro Jinn.
«Obi-Wan» disse perciò l’uomo, gentilmente, «perché non mi precedi? Recupera le tue cose, e va’ ad aspettarmi davanti al mio alloggio».
Obi-Wan esitò. «Va bene, Maestro» rispose, e rivolse un inchino a Yoda prima di allontanarsi.
Non appena se ne fu andato, Qui-Gon inarcò un sopracciglio e guardò il Gran Maestro, ma quest’ultimo si limitò a scrutarlo da capo a piedi.
«Ebbene?» incalzò l’uomo, dopo cinque minuti buoni di quell’esame silenzioso.
Yoda lo guardò in volto con aria speculativa. «Fruttuosa, la tua missione è stata».
Qui-Gon seppe immediatamente che non parlava della cattura dei ladri, e probabilmente nemmeno di Obi-Wan. «Tu lo sapevi» accusò, senza rancore. «Del mio secondo apprendista. Sapevi che dopo aver lasciato l’Ordine aveva vissuto con Maya e Fja Larr».
Siete rimasti in contatto? avrebbe voluto chiedere. Ti ha chiesto aiuto? O ti sei semplicemente tenuto informato sui suoi spostamenti?
«Mmm» disse Yoda. «Saputo lo hai».
Qui-Gon sospirò, ripensando alla propria conversazione con Maya Larr. Avrebbe voluto chiederle altro, sinceramente, ad esempio se sapeva dove si trovasse adesso il ragazzo, ma alla fine non ci era riuscito.
«Per questo mi hai affidato quest’incarico» disse, tornando a guardare il Gran Maestro. «Volevi che scoprissi cosa gli era successo».
«Successo?» ribatté Yoda. «Successo a chi? Che tu catturassi i ladri, io volevo!»
E su quella nota, senza lasciare a Qui-Gon il tempo di obiettare, tornò zoppicando nella Sala del Consiglio.
Rimasto solo, l’uomo scosse la testa tra sé e sé. Vecchio troll enigmatico.
Per qualche istante, restò fermo dov’era, poi pensò ad Obi-Wan che probabilmente lo stava aspettando, e si diresse verso il proprio alloggio.
Come aveva immaginato, il bambino era già davanti alla porta con una sacca sulla spalla. Come non aveva immaginato, era in compagnia di un Maestro Jedi dai capelli ricci e l’aria molto familiare.
«Taren» salutò Qui-Gon, avvicinandosi.
«Qui-Gon» replicò l’altro, in tono leggero. «Mi sono imbattuto nel giovane Kenobi, qui, e lui mi ha dato la grande notizia».
Qui-Gon notò che Obi-Wan gli lanciava un’occhiata, come per assicurarsi che non fosse contrariato.
«Capisco».
Taren continuò a guardarlo per un altro momento, poi sorrise e fece un passo in avanti per dargli una pacca sulla spalla. «Congratulazioni» gli disse. «Era ora».
«Ti ringrazio» concesse Qui-Gon, mentre Obi-Wan spostava gli occhi da un Maestro all’altro.
«Forse» insinuò Taren, «dovrei dire meglio tardi che mai».
«Oh» si lasciò sfuggire Obi-Wan, sorpreso, «è stato quello che ha detto la Maestra Yula quando le ho spiegato che il Maestro Jinn mi ha preso come Padawan».
Qui-Gon sbatté le palpebre, e a Taren la notizia parve piacere sin troppo. Si astenne dal commentare, però, limitandosi a sorridere e a dire: «Ci vediamo presto, Maestro Jinn. Padawan Kenobi» prima di scivolare via.
Una volta solo con Obi-Wan, Qui-Gon aggrottò la fronte. «Veramente la Maestra Yula ti ha detto così?»
«Sì, Maestro» rispose il bambino, abbozzando un sorriso.
Qui-Gon cedette e sorrise a sua volta, quindi digitò il codice d’accesso ed entrò con Obi-Wan nel proprio alloggio. Nel loro alloggio, d’ora in avanti.
Siccome il bambino conosceva già il posto, non ci fu bisogno di fargli fare un giro, e Qui-Gon lo guidò direttamente in quella che sarebbe stata la sua stanza.
Nei lunghi anni in cui nessuno l’aveva utilizzata, la polvere sembrava aver deciso di prenderne possesso. Si era depositata sul letto, sulla scrivania, sul guardaroba, sugli scaffali… su ogni superficie disponibile, in effetti.
«Lo so» disse Qui-Gon, dirigendosi subito ad aprire la finestra. «C’è un po’ di polvere».
Obi-Wan lo fissò. «Un po’» enfatizzò, e il suo nuovo Maestro non riuscì a trattenere un sorriso.
Non credeva che sarebbe riuscito a sorridere di nuovo, in quella camera da letto.
Nelle ore che seguirono, si dedicarono alla pulizia della stanza. Mentre strofinava la scrivania con uno straccio bagnato, Qui-Gon notò una piccola bruciatura in un angolo. Aggrottò la fronte e venne colpito da un ricordo: il suo secondo allievo che scommetteva con un’amica sulla vicinanza necessaria perché la lama di una spada laser danneggiasse la superficie.
Si riscosse, e fu rapido a rivolgersi ad Obi-Wan. «Allora» disse, «vuoi che ti spieghi come si svolgerà la cerimonia di domani?»
Il bambino era impegnato a fare il letto con delle lenzuola pulite, ma alla domanda si fermò e si girò verso l’uomo. Era probabile che avesse già studiato quella cerimonia di passaggio, ma ciononostante annuì vigorosamente.
«Sì, Maestro».
Era abbastanza semplice, in realtà. Di fronte al Consiglio, il Maestro doveva assumersi il compito di istruire e proteggere il proprio allievo, mentre il Padawan doveva promettere di rispettare il Maestro e seguire i suoi insegnamenti.
Dopodiché, il mentore doveva comporre la treccia da apprendista, i cui tre ciuffi simboleggiavano il Maestro, il Padawan e la Forza.
«L’Ordine Jedi» lo corresse Obi-Wan, aggrottando la fronte. «Abbiamo studiato che il terzo ciuffo rappresenta l’Ordine Jedi».
«Sì, immagino esistano interpretazioni discordanti in proposito» ammise Qui-Gon. «A parer mio, rappresenta la Forza. In fondo, è più importante che il cammino comune di Maestro e Padawan si sviluppi attorno al volere della Forza, non a quello dell’Ordine».
Obi-Wan sembrava un po’ confuso. «Ma non è la stessa cosa, Maestro? Il volere dell’Ordine coincide col volere della Forza».
«Così dovrebbe essere» concesse Qui-Gon, «ma non è sempre vero».
Corrucciato, Obi-Wan si voltò verso il cuscino ed iniziò ad infilarlo nella federa. Non sembrava molto convinto, ma Qui-Gon decise di lasciar cadere l’argomento. In futuro, ragionò, avrebbero avuto tutto il tempo di discutere questi dettagli.

A pulizie terminate, l’uomo si armò di forbici e tagliò i capelli del suo nuovo apprendista, legando in un codino il ciuffo più lungo che gli lasciò dietro la nuca e stando attendo a lasciare intatte le ciocche accanto al suo orecchio destro.
Obi-Wan aveva dei capelli spessi e molto folti, e Qui-Gon si meravigliò della voluminosità del mucchietto che alla fine raccolse e buttò nella spazzatura.
«Se li avessimo tenuti» considerò, «avremmo potuto usarli per imbottire un cuscino».
Obi-Wan, che si stava toccando cautamente la nuca, si fermò e lo fissò. «Un cuscino piccolo» disse infine. «Uno di quelli del divano».
Qui-Gon sorrise e, siccome era ormai ora di cena, si recò a controllare se aveva qualcosa da mangiare. Dal momento che Obi-Wan si era appena trasferito da lui, infatti, gli sarebbe piaciuto cenare nel loro alloggio e non dover scendere in mensa.
Alla fin fine, riesumò l’occorrente per una zuppa di verdura, alcune uova, qualche tozzo di pane congelato e un paio di frutti. Poteva bastare, decise.
Durante la cena, Obi-Wan gli rivolse un paio di domande su come sarebbe cambiato il suo programma giornaliero, e Qui-Gon rispose senza problemi.
Nel guardare il bambino che gli mangiava di fronte, fu colpito dal ricordo della prima volta che si erano incontrati.
«Obi-Wan?»
Nella fretta di inghiottire il proprio boccone per rispondere, il suo nuovo apprendista rischiò di strangolarsi. «Sì, Maestro?»
«Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?» domandò Qui-Gon, dopo avergli dato un momento per riprendersi. «Hai detto che sapevi chi ero…»
L’espressione di Obi-Wan si fece improvvisamente guardinga. «Sì, Maestro».
«Come lo sapevi?»
Il bambino indugiò un istante. «Be’… Avevo sentito parlare di te. Il Maestro Kun ti ha nominato, una volta, perché sei un Maestro della forma Ataru…»
Generoso da parte di Taren, pensò Qui-Gon.
«E poi, ecco, giravano voci sul perché non volevi un nuovo Padawan».
La cosa non gli era nuova. Qui-Gon annuì. «Ma hai anche avuto una visione su di me» osservò.
Obi-Wan quasi si ritrasse. «Sì» ammise, cauto, «anche se non avevo capito che eri tu. È stato solo quando ci siamo visti… quando ho sentito la tua presenza nella Forza… che ho capito che eri la persona che avevo visto».
«Capisco» disse Qui-Gon, ed indugiò un momento.
Personalmente, era restio a dar troppo peso a cose come visioni e premonizioni… ma voleva mostrare ad Obi-Wan che lo stava prendendo sul serio, così che il bambino sentisse di potersi confidare con lui anche in futuro.
«Hai detto che cambierò una vita» ricordò.
Da teso com’era, il bambino parve rilassarsi appena. «Esatto, Maestro».
«La vita di chi?»
Obi-Wan scrollò le spalle con una piccola smorfia, forse segno che la sua spalla destra non era ancora guarita del tutto. «Non lo so» rispose, poi parve pensarci su e sorrise con aria deliziata. «Forse la mia».
«Forse» concesse Qui-Gon, sorridendo di rimando. «Spero solo di cambiarla in meglio».
«Sarà così di sicuro» affermò Obi-Wan, con tutta la fiducia e la lealtà di un bambino di otto anni.
Se non fossero stati due Jedi, Qui-Gon si sarebbe alzato ed avrebbe aggirato il tavolo per andare ad abbracciarlo.
Dopo cena, rimasero seduti ancora per qualche ora, conversando. A lungo andare, Obi-Wan cominciò a sfregarsi gli occhi e nascondere degli sbadigli dietro una mano… Finché, riportando lo sguardo su di lui, Qui-Gon non lo trovò addormentato con la testa sul tavolo.
Lo osservò in silenzio per qualche istante. Pensò di svegliarlo ed invitarlo ad andare a dormire, ma era probabile che Obi-Wan sarebbe stato fulminato dall’orrore, nel rendersi conto di essere crollato mentre parlava col suo Maestro, e non avrebbe più finito di scusarsi.
Così, dopo aver riflettuto per qualche momento, Qui-Gon sollevò il bambino tra le proprie braccia, facendogli posare il mento sulla propria spalla e dirigendosi lentamente verso la sua camera.
Obi-Wan dormiva profondamente, i respiri lenti e regolari, appena un po’ rumorosi.
Senza svegliarsi, passò le braccia attorno al collo dell’uomo, e Qui-Gon si bloccò nel mezzo del corridoio.
Il bambino si stava stringendo a lui come ad un cuscino o ad un pupazzo, ma… ma non era spiacevole.
Qui-Gon scosse impercettibilmente la testa e riprese a camminare, raggiungendo la stanza di Obi-Wan ed andando depositarlo sul letto.
Impiegò qualche istante per fargli lasciare la presa, poi lo mise sdraiato e gli tolse gli stivali. Lo lasciò vestito, perché temeva di non essere in grado di mettergli il completo da notte senza svegliarlo, ma tentò comunque di infilarlo sotto le coperte.
Durante l’operazione, Obi-Wan si rigirò più volte, emise sospiri sonnolenti e quasi diede un pugno in faccia al Maestro Jedi.
Qui-Gon era quasi colpito. Il bambino non si era certo mosso così tanto, mentre dormiva sul sofà dei Larr per recuperare le forze.
Alla fine, comunque, lui riuscì ad imboccargli le coperte in modo soddisfacente, ed uscì dalla stanza cercando di fare meno rumore possibile.
Era incredibile, si disse una parte della sua testa, quanto tutta quella procedura gli fosse sembrata naturale.
Ripensò alla loro conversazione durante la cena. Non sapeva se la visione del bambino si sarebbe mai avverata. Non sapeva se avrebbe cambiato la vita di Obi-Wan o quella di qualcun altro, ma alla luce degli ultimi eventi una cosa era certa: il bambino stava già cambiando la sua, in meglio.














Note:

Prima di tutto, chiedo scusa per aver rimandato l’aggiornamento. Tecnicamente avevo già scritto il nuovo capitolo, ma non mi convinceva per niente (probabilmente dovrei chiedere perdono a Dragasi per tutti i miei piagnucolii su quanto non mi piaceva la prima versione di questo capitolo).
Questa versione è nuova e, spero, migliore. Cioè, ho dei dubbi anche su questa, ma sono meno atroci.

Che altro? Ah, la storia è conclusa, ma va anche detto che è stata concepita come la prima di una serie di long su Obi-Wan e Qui-Gon (e sui Nuovi Personaggi introdotti qui), e spero di iniziare presto a lavorare sul seguito.

In conclusione, ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito, e chi ha aggiunto questa fanfiction tra le preferite, le seguite, e/o le ricordate. Grazie mille, davvero!

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