La peste dei non-morti

di Book boy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1: l'inizio della peste ***
Capitolo 2: *** Parte 2: La peste della follia ***



Capitolo 1
*** Parte 1: l'inizio della peste ***


Parte 1: l’inizio della peste
1189, Francia Meridionale.
Il cavaliere galoppava a bordo del suo fedele destriero, guardandosi intorno e ammirando le bellezze che la natura poteva offrire. Si trovavano in aperta campagna, percorrendo una stretta via fra gli alberi e gli arbusti del sottobosco. Il cavallo perse per un attimo la presa sul terreno e scivolò leggermente di lato. Il fantino allora con un colpo dei talloni lo rimise sul sentiero –Ehi! Vai con calma, non c’è fretta… hai visto com’è bello qui, ci sono alberi di tutti tipi, alcuni non li ho nemmeno mai visti.- Veniva dal nord della Francia, si chiamava Pierre ed era in viaggio per raggiungere Bordeaux ormai da parecchi giorni, dove una nave mercantile lo avrebbe portato in terra Santa. Voleva andare a combattere gli infedeli aiutando così i crociati già presenti sul luogo. Era il figlio di un ricco borghese proprietario di qualche terreno che, dopo averlo coltivato, gli fruttò un bel guadagno, con cui compro cavallo, corazza e spada al figlio che partì immediatamente per quel viaggio ai confini del mondo. Era circa mezzodì e il caldo era insostenibile. –Ehi bello, sarà meglio che ci fermiamo, almeno per un po’, questo caldo sta uccidendo me e figuriamoci te con anche il mio peso addosso. Fece accostare la cavalcatura lì vicino, scese e si tolse l’elmo normanno di metallo, ma appena lo toccò nella parte superiore lo lasciò cadere per terra: era bollente. Sembrava quasi incandescente. Lo prese per il rivestimento interno di pelle e s’incamminò tenendo con l’altra mano le briglie dell’equino. Andò nei pressi dell’ombra di un albero, dove legò il cavallo a un tronco vicino a un piccolo ruscello dove potesse abbeverarsi mentre lui si sedette sull’erba con le spalle contro la corteccia –Per ora rimaniamo un po’ qui, tanto prima di altri due giorni non saremo a Bordeaux.- Si guardò
ancora intorno mentre il cavallo beveva avidamente dopo lo sforzo compiuto di portare il suo padrone in groppa per parecchi chilometri. Pierre respirò a pieni polmoni poi appoggiò anche la testa al tronco e chiuse gli occhi. Il calore dei raggi del sole lo inondava completamente facendo sì che la corazza di ferro scottasse come l’elmo. Iniziò a sonnecchiare. Il cavallo nitrì ma lui nemmeno se ne accorse.
Si risvegliò di soprassalto. Aveva appena avuto un incubo dove il suo cavallo stava venendo smembrato dai demoni di Satana. Guardò il tronco dove aveva legato l’animale e… era scomparso. Rimanevano soltanto le briglie spezzate da un colpo forte e deciso, sicuramente il cavallo si era liberato perché qualcosa lo aveva spaventato a morte. Pierre si alzò e subito estrasse la spada aspettandosi che un brigante avesse rubato il suo cavallo e che non si fosse ancora allontanato. Ma non era così. Fece qualche passo in avanti, poi si voltò tornò indietro e prese in mano il suo elmo che ora non era più caldo. Se lo infilò bene sul capo ed alzò lo sguardo sulla strada. Vi era un uomo fermo nel centro. A prima vista poteva sembrare un pellegrino in viaggio verso qualche cattedrale o qualche monastero lì vicino, ma aveva qualcosa di strano. Si stava dirigendo verso Pierre strisciano i piedi –Ehi! Ehi voi! Dov’è il mio cavallo?!- L’uomo non gli rispose ma continuò ad avvicinarsi sempre più velocemente –Vi ho chiesto di dirmi dov’è il mio…- Si blocco pietrificato. Un brivido freddo gli scese giù per la schiena. L’uomo non era più umano, sembrava… un mostro! Gli colava sangue dalla bocca, gli occhi erano vitrei, la pelle e la carne ormai in putrefazione erano di un colore marrone-verdastro e i pochi brandelli di vestiti che indossava erano ormai a pezzi e pieni di macchie e sporcizia. Pierre non riusciva ad emettere alcun suono fino a ché quella creatura non lo attaccò ringhiando. Non aspettandosi quell’attacco, il cavaliere cadde a terra di schiena e perse la presa sulla spada che cadde pochi metri più in là. Il mostro tentava con tutto se stesso di mordere l’armigero che tentava di tenerlo lontano da sé ma era un’impresa titanica: nonostante fosse molto magro e le ossa gli si vedessero molto nitidamente attraverso la pelle, aveva una forza spropositata, qualcosa di impensabile anche per un cavaliere in ottima forma. Pierre digrignò i denti mentre con tutta la forza che aveva, riuscì a staccarselo di dosso e a gettarlo di lato. Poi si alzò in ginocchio e gettandosi  verso la spada la prese saldamente in mano e, voltandosi, diede un colpo secco con cui piantò la lama nella gola di quel mostro che cadde a terra rantolante e ormai morto. Pierre respirava affannosamente tenendo gli occhi sgranati dalla paura puntati su quell’orribile creatura. Si calmò un attimo ma una volta che si guardò intorno, notò che gli si stavano avvicinando una decina di quei cosi. Si alzò di scatto, prese l’elsa della spada e iniziò a tirare per far fuoriuscire dalla gola del mostro la sua spada. Tirò e strattonò tentando in tutti i modi ma la spada non voleva staccarsi. Si guardò alle spalle e vedendo che quei “demoni” erano ormai troppo vicini per rischiare oltre, lasciò la spada lì dove si trovava e iniziò a scappare nel fitto del bosco. Corse a perdifiato, graffiandosi più volte il viso e le mani con i rami che spuntavano qua e là. Corse ancora e ancora, fino a che, ormai stremato, non riuscì ad uscire dal bosco. Si ritrovò in un'altra stradina molto simile a quella in cui aveva viaggiato fino a poco prima ma quest’ultima, invece, portava ad un’abbazia. Era molto grande e a una prima impressione dovevano viverci parecchi frati. Lui corse verso quest’ultima e si ritrovò di fronte altri di quei mostri e, non essendo armato e non sapendo cosa fare iniziò a chiamare aiuto battendo con le mani sul portone d’ingresso alla chiesa. Batté e batté ancora ma nessuno accorreva in suo aiuto. Le creature erano ormai vicinissime, a pochi metri quando la porta si aprì, spalancata da un frate grasso e con la tonsura –Entrate presto!- Pierre non se lo fece ripetere due volte, con un balzo fu all’interno del luogo di culto ed aiutò a serrare la porta un attimo prima che quei cosi entrassero all’interno. Il frate assicurò un catenaccio alla serratura e poi, aiutato da altri due confratelli, spostò una panca di legno che bloccò la porta. Pierre li guardava con occhi sgranati come se anche loro fossero dei mostri –C-chi sono quelli là fuori…?- Chiese quasi temendo la risposta –Demoni, probabilmente inviati su questa terra dal diavolo per i peccati che tutti noi abbiamo commesso. Non sappiamo cosa sono di preciso ma sta di fatto che sono molto pericolosi ed estremamente forti-
-Ma tutto questo… tutto questo quando è iniziato? Io ero in viaggio da molti giorni verso Bordeaux ma non ho mai sentito di niente del genere, l’ultimo contatto che ho avuto con un villaggio risale a due giorni fa.-
-Allora non sai cos’è successo… bè siediti qui- E gli indicò con la mano aperta e il palmo rivolto al soffitto, una panca di legno fra le ultime file di quelle nella chiesa. Il cavaliere si accomodò e il frate, sedutosi di fianco a lui, congedò i confratelli, poi cominciò –Tutto è iniziato la notte scorsa. In poche ore una specie di… apocalisse. I morti sono fuoriusciti dalle loro tombe.- Pierre restò di sasso. –Dal cimitero dietro l’abbazia ne è uscito uno mentre fra’ Paul stava togliendo le erbacce. Successe così, all’improvviso. Una mano è uscita dalla terra ed ha iniziato ad aiutare il resto del corpo a uscire- Il cavaliere non riusciva a crederci né tanto meno a capire con precisione come possa essere successo e soprattutto perché –Poi hanno iniziato ad uscirne altri, fino a che tutto il cimitero non si è vuotato. Frate Vincent è stato assalito da quelle bestie immonde e l’hanno… trasformato in uno di loro.-
-Cosa?! Come diavolo!?-
-Sappiamo solo che l’ha morso a un braccio e lui in pochi minuti è diventato come loro.- Pierre era incredulo, esterrefatto e terrorizzato al tempo stesso –Ma i contatti con le altre città? Ce ne sono stati?-
-No, le città, appena hanno visto le ondate di non morti avanzare verso le mura, hanno sbarrato le porte ed ora quasi tutte sono isolate dall'interno. Invece non va così bene ai paesi e agli insediamenti che non hanno delle mura o anche solo delle palizzate di legno. Molti villaggi sono ormai distrutti e tutti i loro abitanti tramutati in quei cosi. Noi siamo uno dei pochi avamposti che resiste ancora, forse perché siamo isolati. O forse perché è un luogo di culto e sono dei demoni di Satana, risvegliati da loro sonno eterno per sconfiggerci e invadere il nostro mondo, direttamente dall’aldilà. Sta di fatto che noi stiamo resistendo con i mezzi a nostra disposizione.-
-Ma come sapete queste cose? Intendo: se siete stati chiusi qui tutto il tempo?-
-Quando è iniziata, alcuni nostri confratelli erano fuori per affari e quando sono tornati per fortuna sani e salvi ci hanno detto le cose come stavano.- L’armigero ora guardava a terra, tenendosi le mani fra i capelli. Chiuse gli occhi alcuni secondi, li riaprì e chiese –Ma il re? E Parigi? Si sa niente dal monarca? Sta preparando le controffensive per respingere questo nemico? L’esercito regolare dove si trova? Perché nessuno fa niente?!-
-Calmati! Devi stare calmo, so che per te dev’essere un duro colpo, sia fisico che mentale ma ora dobbiamo ragionare con calma ed essere razionali, prima di tutto dobbiamo mantenere la nostra calma e pace interiore.-
-Va bene, va bene. Avete delle armi? Io ho perso la mia spada.-
Be, normalmente non teniamo armi, però al momento un’ arma ci sarebbe, seguimi- Si alzò dalla panca e si diresse verso la sacrestia laterale, seguito a ruota da Pierre. Vi entrarono e trovarono al suo interno un frate intento a pulire le ampolline dove si metteva il vino benedetto durante le messe –Buon giorno Padre- Lo salutò il cavaliere –Buon giorno a lei avventuriero, ben venuto a Sainte-Fleur-.
-Grazie- Il frate che gli aveva aperto la porta andò vicino ad un armadio e lo spalancò. All’interno vi erano alcune immagini sacre e dei bastoni, ma sul fondo vi era anche un forziere di legno che, con l’aiuto dell’armigero posarono a terra. Era molto pesante. Il frate prese una chiave che teneva sopra a un tavolo pieno di candele e candelabri. Lo aprì e alzò il coperchio. All’interno vi erano alcuni oggetti che fecero strabuzzare gli occhi a Pierre, primo fra i quali un elmo in metallo lucidissimo elmo di forma conica, molto bello e ben realizzato. Poi Posò gli occhi sulla spada, non molto lunga, di metallo finissimo e sicuramente molto affilata e tagliente. Infine vi erano anche una cuffia di cotta di maglia e due parastinchi di metallo battuto. Il frate spiegò il perché il monastero possedesse quel materiale bellico –Qualche tempo fa, un uomo arrivò qui morente, era un armigero, come te e aveva una ferita all’altezza del petto, dalla qualche poco prima si era estratto una freccia scagliata da qualche brigante che aveva incontrato sulla strada. Cadde fra le mie braccia e m’implorò di non seppellirlo con la sua arma e i suoi oggetti ma di riporli in un luogo sicuro visto che magari un domani sarebbero potuti servire. Quel giorno è arrivato.- Prese in mano i parastinchi e li passò a Pierre che immediatamente li provò. Andavano alla perfezione. Sembrava quasi un segno del destino. Forse lo era. Prese in mano la spada ma lasciò nello scrigno l’elmo, indossando solo la cuffia di cotta di maglia sopra alla quale mise l’elmo di fattura normanna. Sembrava davvero un paladino di Cristo. L’ultimo appunto fu una mantella bianca con una croce nera che il frate gli assicurò sulle spalle con due cordini di spago. Ora poteva vincere le tenebre –Sembri davvero un guerriero di Dio!- Pierre sorrise in quel momento di sconforto –Comunque io sono Pierre- Disse.
-Io invece sono frate Andrè-.
Nel tardo pomeriggio, dopo aver conosciuto la maggior parte dei frati presenti nell’abbazia di Sainte-Fleur, Pierre andò nel chiostro. Era molto bello, con la tipica forma quadrata al centro della quale vi era un bellissimo giardino con fiori di ogni colore, e proprio nel centro un pozzo da cui i religiosi traevano acqua. I portici invece sembravano antichi, dovevano almeno avere settanta o anche ottant’anni. Probabilmente prima era soltanto una chiesa con un cortile interno. Pierre si sedette su uno sgabello di legno e tenne lo sguardo puntato sul muretto di fronte a lui. Si era tolto sia i parastichi che la corazza e l’elmo. Tenendo soltanto la cotta di maglia e la giubba sopra di essa. Stava riflettendo sulla situazione attuale. Era davvero l’apocalisse? Il giudizio universale stava avvenendo? Perché si meritavano tutto quello? Che cosa avevano fatto per far scaturire l’ira divina? O forse no, forse era stato Satana a liberare le sue schiere demoniache e forse anche in paradiso in quel momento, gli angeli stavano combattendo una guerra contro i demoni e i diavoli del re del male. Il re del terrore. Il diavolo.
Forse era soltanto un incubo, uno scherzo del destino, fatto a loro soltanto perché la loro mente gli diceva di aver peccato ma in realtà nemmeno esisteva Dio? No, non voleva credere a questa ipotesi. Lui era un cristiano convinto e mai nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea. Mentre pensava a queste cose, gli si avvicinò uno dei frati. In realtà era solo un novizio ma non c’era tempo per finire gli studi e diventare frate, perciò lo avevano fatto “salire di grado” automaticamente. Gli si sedette accanto, prendendo uno sgabello lì vicino. Anche se giovane, poiché non poteva superare i sedici - diciassette anni, aveva già la sua tonsura. Pierre allora gli chiese –Perché sei frate? Insomma perché hai voluto studiare per prendere i voti invece che diventare cavaliere o magari artigiano o fabbro?- Il fraticello rimase alcuni secondi senza dire niente, quasi stesse ragionando su quale fosse la risposta più adatta da dare, poi disse –Be, fin da quando sono molto piccolo, ho sempre creduto in Dio, perciò penso che fin da bambino io abbia sempre voluto essere un uomo di chiesa. Inizialmente volevo divenire prete, ma poi mi sono avvicinato ai frati e così ho iniziato a studiare per diventarlo anch’io. E poi già i miei tre fratelli più grandi erano uomini d’arme perciò mio padre mi esortò a prender e una carriera più religiosa, ma non fu molto contento quando gli dissi che sari diventato frate e non diacono o prete.-
-Hai altri fratelli oltre quei tre?-
-Sì, in realtà ho anche una sorella più piccola, che ha cinque anni e sinceramente spero stia bene…- Poi si rattristò tutto d’un colpo e in pochi attimi fu in lacrime. Pierre lo abbracciò, comprendendo il suo dolore e comprendendo che era un peso molto grande per un ragazzo come lui a cui, in pratica, era appena sputata un’ombra di barba e non era ancora un uomo vero e proprio. Anche Pierre passò un brutto momento alla sua età, quando suo fratello morì in un incendio, carbonizzato vivo. Se ci ripensava, immancabilmente gli occhi gli si inumidivano e quasi sempre piangeva come un vitello. Aveva sempre voluto bene alla sua famiglia e con quel suo fratello maggiore era molto legato, talmente tanto che quando era mancato a lui parve come aver perso una parte di se stesso. Il giovane frate tirò su con il naso e si sciolse dall’abbraccio, poi si asciugò gli occhi con la manica del saio e si alzò dallo sgabello avvertendo Pierre che se avesse avuto bisogno di qualcosa oppure di parlargli l’avrebbe potuto trovare in biblioteca a leggere, lui allora annuì e gli auguro una buona lettura. Pierre purtroppo era analfabeta e non sapeva neppure scrivere il suo nome ma gli sarebbe piaciuto imparare ora che si trovava in un’abbazia e ne aveva occasione, però ci ripenso subito dopo costatando che in un momento come quello, oltre a non sembrargli il caso più adatto, non era di estrema importanza imparare a leggere e scrivere. Per quello ci sarebbe stato sempre tempo. Se fosse sopravvissuto all’apocalisse. Per l’ultima volta sperò che fosse tutto un incubo e, stupidamente, si tirò un pizzicotto fortissimo sul dorso della mano, sperando di risvegliarsi ai piedi di quell’albero, nell’ombra protettrice da un caldo cocente e con il suo cavallo ancora legato al tronco dell’albero appena fuori dal ruscello. Era tutto un sogno? Tutto soltanto una realtà immaginata dalla sua mente che lui credeva vera? Chiuse di nuovo gli occhi sperando, quando li avesse riaperti di trovarsi altrove, in un altro luogo, in un altro tempo. Espresse molto intensamente questo desiderio. Aspettò qualche secondo. Poi riaprì le palpebre. Era ancora seduto sullo sgabello, di fronte al giardino del cortile interno del chiostro. E i suoi occhi erano puntati sul pozzo, che, apparentemente, non aveva fine.
Alla sera Pierre si spostò nella mensa del monastero, dove per la  prima volta da quando era lì costatò quanti frati ci fossero in quell’Abbazia: erano tantissimi! Saranno stati quasi quattrocento, non aveva mai visto tanti uomini di chiesa in un luogo solo! Si sedette di fianco a frate Andrè, su una panca di legno di fronte ad un tavolo su cui era collocata una tovaglia, un candelabro e le ciotole dove avrebbero mangiato il loro pasto. Dopo aver detto la preghiera rituale, un frate salì su un piedistallo e iniziò a leggere una pagina della Bibbia che parlava di Adamo ed Eva. Pierre si chiese quante volte nella loro vita quei frati abbiano sentito quel sermone sul paradiso terrestre.  Dopo pochi minuti, dalle cucine, uscirono i cuochi e gli sguatteri del monastero che erano sempre i più giovani novizi che non superavano i sedici anni d’età. Gli servirono una fetta di pane che misero sul fondo della ciotola, poi in essa servirono un mestolo di brodo caldo speziato, che la fetta di pane avrebbe imbevuto in parte prendendo il sapore della minestra. Infine fu servita un'altra piccola fetta di pane su cui misero due acciughe. Pierre divorò tutto avidamente, accompagnando il cibo con un piccolo bicchiere di vino rosso fatto dai frati che però trovò amaro e non molto saporito. La cena era stata frugale ma all’armigero andava bene così: anche solo un tozzo di pane gli sarebbe andato bene in quel momento. Il frate, terminato il pasto scese dal suo piedistallo e tutti insieme iniziarono a pregare ma a un tratto si sentì un rumore agghiacciante. Del legno che si spezzava. Subito Pierre balzò in piedi e dopo aver sentito altri colpi simili a quelli precedenti corse verso la celletta che gli era stata data per riposare alla notte. Lì aveva lasciato la spada. Entrò e prese al volo la sua arma, poi corse fuori e si diresse nella chiesa, seguendo padre Andrè e altri quattro o cinque frati che, armati di bastoni e accette con cui spaccavano la legna, correvano nel luogo sacro per capire ciò che stava succedendo. Appena entrarono si trovarono di fronte uno spettacolo raccapricciante: Stavano sbranando letteralmente un povero novizio che per primo era andato a controllare cosa stesse succedendo. Quest’ultimo urlava e si dimenava per cercare di liberarsi. Pierre corse per primo in suo soccorso e con due fendenti recise le gole ai due mostri che gli erano sopra. Nel frattempo Andrè e gli altri tenevano lontano gli altri di loro penetrati. Il ragazzo perdeva molto sangue sia dalla gola che da una ferita sul fianco, all’altezza delle costole. Premette, sulla ferita al collo, con uno strofinaccio che teneva nel sacchetto legato alla cintura, ma non servì a bloccare l’emorragia. Andrè invece iniziò a urlare –Dobbiamo respingerli altrimenti perderemo la chiesa ed io non voglio che loro l’abbiano! Morirete tutti mostri di Satana! Dannati satanassi!- E così dicendo frantumò il cranio ad uno di loro utilizzando una grossa mazza di legno che normalmente usavano per scacciar le volpi o le faine. Il cavaliere alzò lo sguardo e vedendo che un morto vivente gli si stava avvicinando prese in mano la spada, ma no appena la alzò una mano gli si serrò sul polso: era la mano del novizio. Lo guardò in viso e vide che aveva gli occhi vitrei come i non-morti. Sgranò gli occhi e senza capire bene cosa stesse succedendo, quasi d’istinto alzò la spada ben alta sulla sua testa e la calò con tutta la forza che aveva in corpo sul capo pelato del frate. Il rumore delle ossa della calotta cranica che si spezzavano era raccapricciante e in pochi attimi un rivolo di sangue bagnò la tonsura del giovane. Uno dei frati lì accorsi rimase di sasso e non si accorse che un morto vivente gli andò dietro, lo prese per le spalle e lo tirò a terra, iniziando a mordergli le testa all’altezza della fronte. Lui iniziò a urlare mentre altri frati accorrevano nella chiesa per supportare gli altri a difendere il luogo sacro. Pierre tentava di estrarre la lama dalla carne del giovane. Non si muoveva. Tirò ancora, con tutta la forza in corpo, aiutandosi anche con i piedi ma niente, la spada non si staccava –No! Non ancora porco diavolo! Staccati grandissima bastarda!- Digrignò i denti e nuovamente fece forza e alla fine dopo vari tentativi ci riuscì. Subito si voltò e notò con piacere che i frati stavano respingendo l’ondata di non-morti con grinta e molto coraggio per uomini di chiesa. Forse era proprio perché si trovavano in un luogo sacro che la loro forza cresceva, per difendere quel luogo avrebbero usato ogni parte della loro anima. Anche a costo della loro stessa vita. Pierre se ne ritrovò di fronte un altro e schivò una sua “zampata” che diede con la mano, dopodiché con un fendente gli squarciò il petto e con un secondo taglio gli recise di netto la gola, schizzando sangue da tutte le parti, imbrattando un arazzo lì vicino che rappresentava Adamo ed Eva nel paradiso terrestre. Proprio come la lettura durante la cena. Forse era un segno. Cosa gli stavano comunicando? Ma soprattutto chi? Pierre respinse quest’idea e pensò si trattasse semplicemente di un caso, una coincidenza molto strana. Niente di più. Forse. Comunque si accostò agli altri frati presenti e li aiutò respingendo i morti con dei calci e dei colpi di piatto. Quando riuscirono a raggiungere la porta, notarono che era stata completamente sfondata e ormai non so poteva più riparare perciò si attivarono tutti per spostare le panche incontro all’entrata, a mo’ di barricata. Pierre gestì i “lavori” indicando ai frati come disporre nel migliore dei modi i vari oggetti per far sì che tenessero e non crollassero dopo qualche colpo di troppo. Utilizzando poi le sue poche conoscenze militari e belliche ordinò ad alcuni frati di disporsi in “falange”, uno di fianco all’altro di fronte all’entrata, per tenere fuori i cadaveri ambulanti e dare così il tempo agli altri confratelli di innalzare la barricata che avrebbe bloccato l’avanzata dei nemici. Oltre alle panche utilizzarono anche sedie e sgabelli di legno per rinforzare la barricata e per rendere più resistente il tutto misero dei barili vuoti sotto al tutto come delle fondamenta. Quando ebbero finito, i morti rimasero fuori, senza riuscire più ad entrare. Ce l’avevano fatta, li avevano respinti, ma nessuno festeggiò. Quella non poteva essere considerata vittoria, anche perché avevano perso due confratelli. Pierre solo in quel momento pensò al secondo frate morto e ritornò al suo cadavere di corsa. Non c’era più. Una striscia di sangue indicava che si era diretto nel chiostro. Pierre corse seguendo quella striscia e quando arrivò nel cortile interno trovò il frate trasformato sopra al ragazzo che poche ore prima lui aveva consolato perché si era messo a piangere. –Levati, vile mostro!- Corse verso di lui e con un affondo deciso gli conficcò la spada fra le scapole, poi gli strinse le mani introno ai gomiti e lo tirò su di peso, gettandolo di lato. Vide che il giovane frate era disteso a terra con gli occhi sgranati e la bocca aperta, ma non sembrava ferito per fortuna. Gli diede una mano ad alzarsi e lo strinse fra le braccia. Non seppe perché lo fece, ma sentiva che era legato a quel ragazzo, forse lo vedeva come un fratello. Non lo capiva ma avrebbe dato la sua stessa vita pur di proteggerlo.
La sera vi fu una riunione in mensa fra tutti i frati presenti nell’abbazia. Si decise che si sarebbe dovuto barricare tutto, porte finestre, uscite varie, tutto. E si decise anche, che per la sicurezza di tutti i confratelli la chiesa sarebbe rimasta barricata e la porta di accesso dal chiostro sarebbe stata sprangata. Di fatti le barricate non avrebbero retto in eterno, alla fine avrebbero ceduto e Andrè, il monaco più ammirato dopo l’Abate che era morto appena rima che quell’apocalisse iniziasse, non voleva rischiare che qualche frate o novizi non si trovasse in chiesa nel caso succedesse. Molti frati ne furono sconfortati ma non replicarono né contestarono la scelta del monaco.
Il giorno seguente tutti si aiutarono a vicenda per sbarrare e sprangare tutto, chi le finestre, chi le porte. Pierre aiutò a sprangare la porta di accesso alla chiesa. Per farlo utilizzarono delle assi e dei pannelli di legno. Prima inchiodarono i pannelli alla porta e poi inchiodarono le assi a questi ultimi, chiudendo definitivamente l’accesso al luogo di culto. Andrè tirò su con il naso rumorosamente e una lacrima gli rigò il viso. Poi si scusò e si ritirò nella sua celletta dicendo che voleva pregare un po’. Pierre ormai sfinito, non avendo quasi dormito quella notte ma avendo riflettuto nuovamente sulla situazione e sulla cosa migliore da fare in quel momento, disse di voler anche lui riposare un po’ la mente e si andò a sdraiare sul suo pagliericcio. Era davvero stanco morto. Quando appoggiò la testa sul fondo di paglia, iniziò a pensare a un modo per uscire da quella spiacevole situazione, a un modo per portare tutti i frati in un luogo più sicuro, ma quale? Se era vero che tutte le città avevano sbarrato le porte e i villaggi erano spopolati, non sapeva dove avrebbe potuto trovare riparo. L’unico luogo che gli venne in mente fu il castello di suo padre, nel nord della Francia, ma raggiungerlo sarebbe stato impossibile con circa 400 monaci al suo seguito. La strada era troppo lunga. Si girò e rigirò sul suo letto di fortuna fino a che, dopo aver spremuto le sue meningi non chiuse gli occhi e si addormentò subito dopo. Si svegliò alle quattro del mattino, quando i monaci andarono in mensa per iniziare le loro prime preghiere della giornata. Li seguì anche lui, non sapendo cos’altro fare. Anche se normalmente, pur essendo credente, non continuava a pregare per tutto il giorno, trovò molto bello avere un momento di riflessione in cui poter staccare da tutto ciò che era intorno a lui. Era una sensazione bellissima. S’inginocchiò di fronte al piedistallo su cui, a ogni pasto, normalmente si leggevano alcuni passi della Bibbia e che ora era diventato l’altare per la messa e le preghiere anche diurne. Unì le mani nel tipico gesto di preghiera, chinò il capo e iniziò ad invocare il signore nella sua mente mentre i monaci iniziavano i canti “Signore, Mio Dio grandissimo e altissimo. Ti prego di aiutarmi e di guidarmi nel mio cammino, indicandomi la strada più giusta per salvare questi uomini che hanno dedicato e dedicano tutt’ora la loro vita alla tua adorazione. Ti prego mio Dio, aiutami, supportami ma soprattutto confortami nel difficile cammino che comporteranno le mie scelte e mi porterà il mio cuore. Ti prego. Amen” Rimase così ancora un po’, pregando anche Maria e Gesù, sperando che anche loro lo proteggessero e lo guidassero nell’arduo cammino che lo aspettava. Se avesse avuto il loro supporto, non avrebbe temuto niente e nessuno. Avrebbe salvato quei monaci, a costo della propria vita. Li avrebbe salvati da qualunque cosa, perché in quel momento capì qual era il suo destino, fin da subito. Diventare un soldato di Cristo. Difendere i deboli dalle forze del male. Difendere gli uomini dai non-uomini. Difendere i cristiani dalle forze di Satana.
Quando fu mattino inoltrato a Pierre venne in mente una cosa. Si diresse verso Andrè che stava aiutando in cucina affettando il pane, e gli chiese –Andrè, si può accedere al campanile senza passare dalla chiesa?- Questi lo guardò, mise sul tavolo il coltello con cui stava tagliando e, dopo averci pensato su per qualche secondo, rispose –Un modo c’è- Si diressero verso una stanza al primo piano del monastero, dove vi erano i dormitori riservati ai novizi e qui Andrè guidò Pierre all’interno di una stanzetta laterale che fungeva da sgabuzzino, dove si tenevano i secchi e gli strofinacci con cui i novizi pulivano tutto il dormitorio. Indicò il muro laterale e disse –Qui vi è una piccola porticina, che conduce al campanile- Pierre la notò solo in quel momento, oscurata in precedenza dal buio e dall’ombra della stanza non illuminata. Andrè la aprì e si vide che una piccola striscia di cemento, lunga sì e no due metri conduceva ad una seconda porta da cui si accedeva al campanile –Questo passaggio fu costruito- Spiegò Andrè –Quando, nel 1161 la chiesa crollò in parte a seguito di un cedimento strutturale. Da lì non si poteva più accedere al campanile per suonare le campane, perciò noi monaci ci attivammo per costruire questo piccolo passaggio, dal quale il campanaro sarebbe potuto passare per suonare gli strumenti di Dio.- Così dicendo il monaco aprì la porta, mentre con sua sorpresa Pierre gli domandò –Scusi padre…-
-Dimmi figliolo-
-Quanti anni avete?- Il frate rimase un po’ spiazzato dalla domanda, ma poi disse –Ne ho 56. E voi?-
-Io ne ho 31-
-non siete più un giovincello allora…- Continuò il monaco mentre salivano gli scalini per raggiungere la sommità dell’altra torre di pietra rivestita di marmo.
Quando furono finalmente in cima, anche se un po’ stanchi e affannati per la salita furono contenti. Andrè aprì la porta e… rimase senza fiato. Pierre lo seguì fuori, vicino alle campane e come lui rimase in silenzio e senza fiato per lo spettacolo che gli riservava l’esterno: dall’orizzonte s’innalzavano decine d’incendi. Non avevano mai notato questo fatto perché gli alberi fuori dal monastero oscuravano la vista, ma da lì in alto si poteva osservare tutto ciò che accadeva in un raggio di almeno dieci chilometri, se non di più. Ma Pierre rimase ancor più sbalordito quando guardò in basso: I non-morti erano a centinaia, si schiacciavano contro i muri dell’Abbazia tentando invano di entrare e di distruggere le barricate innalzate dentro la chiesa. Non erano mai stati così tanti. Forse qualcuno di loro aveva mandato una sorta di “segnale” agli altri, un “messaggio” in cui comunicava che all’interno di quest’edificio vi erano degli umani. Era uno scenario raccapricciante. Ovunque si posasse lo sguardo era raccapricciante, dall’orizzonte fino al cielo, pieno di nubi. Ebbe paura. Paura di essere stato abbandonato. Paura… di essere solo.
 
 

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Capitolo 2
*** Parte 2: La peste della follia ***


Parte 2: la peste della follia
 
Pierre era sdraiato sul pavimento. Guardava il soffitto soprappensiero. Rifletteva nuovamente su ciò che doveva fare. Non faceva altro, pensava a come uscire da lì. Nient’altro. Era terrorizzato da quei mostri, aveva addirittura coperto la finestra della sua stanza con un telo pur di non vederli, nemmeno da lontano. Paura, non pensava ad altro. La paura di morire, di trasformarsi in un demone. Trasformarsi in un mostro. Ripensava poi a quel ragazzo. A quel giovane frate che aveva salvato da quel cadavere. Gli aveva salvato la vita, ma non era più lo stesso. Non riusciva più a fare nulla, stava sotto le coperte, sul suo pagliericcio con gli occhi sbarrati e di notte non riusciva quasi mai a dormire, se non per poche ore, svegliandosi subito dopo urlando e grondando sudore. La follia lo aveva colto. Forse era proprio questo. Quelle creature erano il seme della follia, una punizione mandata sulla Terra da Dio per punire gli uomini peccatori e trasformandoli in folli senza altro pensiero che per la morte e la paura. Forse anche Pierre era già divenuto uno di loro. Oppure Satana aveva già trionfato e, dopo aver sconfitto le orde di angeli a difesa di Cristo aveva vinto la sua guerra che proseguiva da secoli. Ma non era possibile, non poteva succedere davvero. Satana era potente. Dio era onnipotente. Non poteva avergli permesso di vincere. Non poteva… ormai non sapeva più cosa pensare. Si alzò con calma e fece qualche passo verso la porta, forse per uscire. Ma poi, come se ci avesse ripensato, si lasciò cadere sulla sedia lì di fianco e iniziò a pensare di nuovo a tutto ciò che aveva intorno: i frati; il monastero; la chiesa, all’interno della quale ora non si poteva più accedere; le poche galline che ancora beccavano le briciole di pane che i frati davano a loro, nel tentativo di ingrassarle un po’ e poterle poi mangiarle, arrostendole su uno spiedo. Il cibo scarseggiava, in breve tempo sarebbe finito completamente. Le riserve nello scantinato della chiesa stavano finendo. Tra pochi giorni, all’interno dell’abbazia, vi sarebbe stata la fame. Doveva trovare una soluzione, un modo per salvarsi, un modo per uscire da quel monastero e raggiungere un luogo più sicuro. Ma come? Come fare per spostare 400 frati?! Era un’operazione quasi impossibile. Ma lui doveva riuscirci. Non ne poteva più di starsene lì senza far niente a rimuginare sulle cose superate, doveva reagire. Doveva far capire al suo nemico che non si era ancora arreso. Doveva vincere la follia. Si alzò di scatto, e senza un motivo preciso, spalancò la porta e uscì. Percorse la strada che lo condusse al chiostro, andò sul prato e si fermò appena prima del pozzo. Sentì i ringhi e i versi che i non-morti stavano facendo oltre le mura. Erano agghiaccianti. Chiuse gli occhi. Si fece una promessa. Non avrebbe ceduto alla follia. Non sarebbe caduto, avrebbe lottato fino alla fine pur di resistere. Sarebbe morto pur di cedere a quest’ultima. Riaprì gli occhi. Avrebbe vinto.
Si diresse con passo spedito verso la biblioteca, dove sperava di incontrare Andrè. Spalancò la porta, entrò ma non vi era nessuno. Uscì e si diresse verso lo scriptorium, dove, soprattutto in quegli ultimi giorni, i frati trascrivevano i vecchissimi tomi di latino e greco antico. Entrò e trovò Andrè e altri quattro frati, chinati su pergamene e tomi, per ricamare le varie lettere. Vedendolo fra’ Andrè gli si avvicinò e gli chiese –Sta succedendo qualcosa per caso?-
-No padre, ma dobbiamo andarcene, andarcene via da questo luogo. È troppo pericoloso rimanere qui ancora per molto. Dobbiamo andarcene, ora!- Il frate lo guardò interdetto, senza saper cosa rispondere a cotanta grinta e convinzione. Perciò optò per la calma –Stai calmo, figliolo, so che questo periodo dev'essere molto frustrante per te, ma ciò non significa che serva abbandonare questo posto per essere al sicuro, anzi è qui il luogo in cui dobbiamo…-
-Ma lei non capisce?! Siamo in pericolo! Solo barricandoci in un castello o in una fortezza riusciremmo a sopravvivere! Dobbiamo andarcene- Appena disse quelle parole, come se fosse già stato scritto in precedenza, si sentirono dei colpi battere sulla porta dall’interno della chiesa. Avevano superato le barricate. Erano dentro. In pochi attimi si sentì il tipico rumore del legno che si spezza e, Pierre, guardando fuori, nel chiostro, notò che i morti stavano penetrando all’interno del cortile. Subito corse verso la sua stanza e, appena entrato, prese al volo la sua spada. Si precipitò di nuovo fuori e vide che le creature erano dentro e stavano attaccando i frati che, indifesi, cercavano di sfuggire a quelle bestie malefiche. Erano troppi, non potevano resistere. L’unica via per la salvezza era la fuga. Entrò nello scriptorium e notò che i frati al suo interno si erano armati con assi e bastoni, pronti a dar battaglia per difendere il luogo in cui avevano abitato fino a poco prima –Dobbiamo andarcene!- Gridò Pierre fuori di sé. A volte la testardaggine degli uomini di chiesa superava qualsiasi immaginazione –No!- Rispose risoluto uno dei frati più anziani –Dobbiamo rimanere qui e sconfiggere quei mostri!- Frate Andrè, armato di bastone non sapeva cosa fare, sembrava nel panico. Così fu Pierre a prendere una decisione per lui. Lo afferrò per un braccio e, tirandolo, lo condusse su per le scale di pietra, verso i dormitori. Spalancò la porta della prima stanza, si gettò all’interno e la richiuse alle sue spalle. Fece qualche passo in direzione del letto del giovane frate, di cui non sapeva nemmeno il nome, ma cui si era infinitamente affezionato –Ehi, ehi ragazzino, guardami- Gli prese il viso fra le mani e lo costrinse a guardarlo in faccia –Sono Pierre, il cavaliere, dobbiamo andarcene, dobbiamo andare- Lui lo guardava ad occhi sgranati, senza capire ciò che stesse succedendo. Era davvero impazzito? Pierre non lo sapeva, ma lo avrebbe comunque portato con sé, qualsiasi cosa fosse successa. Frate Andrè lo riportò alla realtà gridando –Stanno salendo, li sento arrivare!-
-Spranga quella dannata porta!- Andrè colse subito il tono di voce autoritario dell’armigero perciò, senza farselo ripetere due volte, prese una sedia e la mise davanti alla porta, incastrando così la maniglia. Pierre continuò a parare al ragazzo –Come ti chiami? Io sono Pierre, e tu?- Il ragazzo lo guardava a bocca aperta, come se fosse stato una visione e non una persona vera in carne ed ossa –Combatti la follia, tu puoi vincerla. Guardami negli occhi e dimmi come ti chiami- S’iniziarono a sentire i colpi alla porta, mentre i mostri volevano sfondarla. Andrè sembrava terrorizzato ma, nonostante tutto, ancora lucido. Pierre girò lo sguardo osservando per qualche secondo la porta e proprio in quel momento sentì la flebile voce del fraticello annunciare -…Paul. Il mio nome è Paul.- Il cavaliere rimase esterrefatto, si voltò verso il ragazzo e di scatto lo abbracciò. Poi lo aiutò ad alzarsi dal letto e, mentre i cadaveri stavano già iniziando a sfondare, fece cenno ad Andrè di stargli dietro, mentre correva verso la porta comunicante con il campanile. Aprì la porticina, e corsero sulla lingua di pietra che fungeva da ponticello, raggiunsero il campanile e iniziarono la discesa della scala a chiocciola che portava al terreno. Sentirono le urla e le grida dei frati sventrati che tentavano fino all’ultimo di resistere. Andrè si sentiva un traditore nei loro confronti, ma non sarebbe servito a niente rimanere dentro l’Abbazia. Sarebbe morto comunque. Scesero ancora pochi gradini e finalmente furono a terra. Ora però sorgeva un altro problema, il più duro da risolvere. Si trovavano all’interno della chiesa. Pierre estrasse la spada e disse –Statemi vicini, non esponetevi e se quei demoni si dovessero avvicinare troppo voi scappate. Io li terrò a bada. Preparatevi.- E senza dare il tempo agli altri due di ribeccare qualcosa aprì la porta. Il luogo era buio, ma si poteva benissimo notare che all’interno vi erano due o tre due quei cosi. Pierre si fece avanti, alle spalle di uno di loro e, senza preavviso gli recise il capo con un fendente micidiale. Gli altri due lo guardarono e iniziarono ad avvicinarsi a lui. Pierre affondò la lama all’altezza del petto di quello più vicino, ma quando dovette estrarla, non ce la fece. Tirò con tutto le sue forze, maledicendo le spade e quegli esseri immondi. Perché ogni volta la lama si bloccava? Perché?! Quella era carne marcia! Invece niente, non veniva fuori. Forse era ancora la follia. Forse lo metteva alla prova ogni volta. Non sapeva più cosa pensare. Il problema era che l’altro non-morto si stava avvicinando. Provò a tirare ancora ma la spada non si mosse di un millimetro. Il cadavere era ormai a un metro da lui quando… improvvisamente un’asse di legno gli si spezzò sulla testa e cadde a terra come un sacco di patate. Dietro di lui comparve fra’ Andrè. Pierre lo ringraziò con calore e poi, facendosi forza con la gamba e tirando con tutta la forza che aveva, aiutato anche dal frate, estrasse l’arma. Pierre allora disse –Dobbiamo andare alle stalle, sono appena qui di fianco, abbiamo due cavalli da tiro giusto?-
-Sì, ma non ci porteranno molto lontano e poi sono lenti!-
-L’importante è che siano più veloci di queste creature, ora muoviamoci- Corsero nuovamente verso il cortile interno, dove decine di cadaveri ambulanti stavano sbranando le carni dei frati. Uno di loro però combatteva strenuamente, utilizzando come oggetto contundente un bastone per le scampagnate in collina. Loro lo chiamarono a gran voce e, quando li vide, li seguì correndo. Oltrepassarono la porta delle stelle, inseguiti da moltissimi morti viventi. Chiusero il portone e corsero vero i due giovani cavalli da tiro. Paul li slegò e subito montarono a bordo. Andrè con il frate anziano, che si chiamava Richard, mentre Paul avrebbe cavalcato con Pierre, che spalancò i due portoni che davano verso l’esterno. Sembrava libero da quel lato. Montarono tutti a cavallo nel momento stesso in cui le porte cedevano e i non-morti entravano nelle stalle. Iniziarono a galoppare via, allontanandosi da quel posto ormai caduto nelle loro mani. Ce l’avevano fatta. Erano fuggiti.
Cavalcarono per molte miglia prima di fermarsi e guardarsi indietro. Ormai il monastero era un puntino nero e lontano. Non incontrarono molti non-morti sulla strada, probabilmente perché stavano galoppando fra i campi, in aperta campagna, lontano da tutto e da tutti. Quando si fermarono per riposarsi e ristorare un po’ era ormai il tramonto. Nella fretta di scappare non avevano nemmeno portato con loro un po’ di cibo, ma si accontentarono di qualche ghianda e dell’acqua di un ruscello che scorreva lì vicino. Paul era molto taciturno. Andrè rifletteva, ripensando al tempo passato e a quello che si era lasciato alle spalle fuggendo da luogo in cui aveva sempre vissuto. Mentre l’altro frate, Richard era forse troppo anziano per ripensare ai tempi andati, di fatti aveva circa sessantacinque anni, era vecchio e un po’ malandato, ma ancora in gamba e sapeva cavarsela piuttosto bene contro quelle bestie. Mentre stavano tutti seduti, dopo aver legato i cavalli, per la prima volta dopo svariate ore, avvistarono una di quelle creature. Era vicina, a non più di cinquanta metri, sbucata fuori da un cespuglio. Pierre balzò in piedi e prese dal fodero, che aveva appoggiato a terra, la spada. Si mise in guardia e si preparò al combattimento. La belva gli andò subito incontro, gettandosi letteralmente su di lui. Il cavaliere d’istinto scartò di lato e, con un fendente ben piazzato, colpì il suo antagonista all’altezza del collo. La lama non si conficcò nella carne marcia, ma il colpo fu talmente forte che lui cadde a terra. Subito Pierre gli fu addosso e, dopo essersi inginocchiato su di lui, alzò la spada sopra alla testa, si preparò a colpire e, con un poderoso affondo, gli perforò il cranio, spaccando in due la calotta cranica. Il mostro ringhiò per un’ultima volta, prima di accasciarsi definitivamente a terra. Stranamente, questa volta, l’estrazione della lama non richiese un grande forza, ma si sfilò quasi subito, come se il taglio dell’affondo fosse stato pressoché perfetto. Pulì l’arma con un panno che aveva tenuto all’interno di un sacchetto legato alla cintura della casacca che indossava. Purtroppo aveva lasciato al monastero sia i parastichi, che la corazza che l’elmo. Quella notte si diedero degli orari di guardia. Avrebbe iniziato Andrè. Ma quella notte la passarono insonne. Erano troppo sconvolti dalla giornata per dormire, troppo distrutti internamente per reagire alla cosa soltanto chiudendo gli occhi e viaggiando nel mondo dei sogni. E poi avevano paura. Anche se si trovavano in un luogo isolato, dove il primo villaggio era distante ancora parecchie miglia, erano comunque in un luogo aperto, senza quattro muri introno a loro e un tetto a proteggerli, come all’interno dell’abbazia. Non erano più in un posto sicuro. Anche se il monastero non era molto sicuro, visto la fine che aveva fatto. Era capitolato anche lui, anche se resistendo qualche giorno in più rispetto agli altri insediamenti umani, aveva perito davanti all’avanzata dei mostri. La follia si annidava nell’aria. Tutto ciò ch era lì intorno era folle, dagli alberi all’erba, dai cespugli alle bacche velenose sopra di essi. Era un ambiente ostile. Come tutto il mondo d’altronde. Ovunque si trovassero non erano al sicuro dagli attacchi della follia. O forse un luogo sicuro c’era? La roccaforte del padre di Pierre.
Quando al mattino il cavaliere parlò con gli altri superstiti del suo intento di viaggiare verso nord, dirigendosi al castello della sua famiglia, tutti furono inizialmente contrari. Il primo problema era la strada. Vi avrebbero impiegato svariati giorni per raggiungere la loro meta. Poi sarebbe stato pericolosissimo. Sarebbero dovuti passare attraverso vari villaggi e incontrare svariate città, con il rischio di essere individuati da quelle bestie. Ed ultimo, ma non meno importante, le provviste. Dovevano assolutamente trovare qualcosa da mangiare che potessero portarsi dietro, oltre a trovare una scorta d’acqua per dissetarsi. Il loro primo obbiettivo comunque sarebbe stato quello di raggiungere il vicino avamposto di Jenuì. Non era lontano, forse un’ora a cavallo. preferirono quel luogo, poiché era abbastanza isolato e gli unici abitanti erano quattro o cinque pastori che andavano lì a far pascolare le loro pecore. Se gli fosse andata davvero bene, avrebbero trovato un montone o un animale da portare con loro. Ma comunque avrebbero sicuramente trovato della ricotta e del formaggio. In oltre vi era anche una grande cisterna per l’acqua piovana da cui si dissetavano i pecorari quando andavano lì. Se avessero trovato delle borracce, anche il problema dell’acqua, sarebbe stato risolto. Partirono quando il sole era già alto nel cielo. Cavalcarono per un po’, ma poi furono costretti a fermarsi per lasciar riposare i cavalli. Erano cavalli da tiro, non da corsa o da guerra. Non erano in grado di correre velocemente e con dei pesi eccessivi come due uomini sulle spalle. Smontarono e proseguirono a piedi, tenendo in mano le briglie del cavallo. Un altro problema da risolvere era quello di trovare due selle da poter mettere sulla schiena agli animali. Questi ultimi avevano soltanto un cuscinetto a mo’ di sella e le briglie al morso. Pierre sperava di trovare anche delle selle per riposare le proprie cosce ormai martoriate dal continuo cavalcare. Proseguendo rifletté nuovamente sulla follia. Non pensava ad altro. Era ormai entrato nel vastissimo mondo della follia. Era quello il suo nemico. Era la follia. Non doveva cedere. Non doveva impazzire. Non poteva permetterselo. Arrivarono ai piedi di una collinetta coperta di arbusti e lì avvistarono altre creature a diverse centinaia di metri di distanza, mentre Andrè iniziò a dire –Bene, oltre quella collina vi è l’avamposto. Non so proprio cosa aspettarmi però- Pierre annuì e, senza farselo ripetere due volte, iniziò a tirare il cavallo per la breve salita. Arrivato in cima, si aprì a sé uno spettacolo magnifico e terribile al tempo stesso: l’avamposto era vuoto. Da una parte la cosa lo sollevò, d'altronde significava che non vi erano cadaveri viventi, ma dall’altra voleva dire che tutti gli abitanti erano morti o forse semplicemente erano fuggiti. Sperò che si trattasse della seconda ipotesi. Iniziò la discesa con cautela, ma, appena prima di addentrarsi tra le poche costruzioni presenti, rimontò a bordo del destriero sentendosi più al sicuro. L’animale fece qualche passo, mentre Pierre estraeva dal fodero la sua arma. Esortò il cavallo a proseguire, ma appena poté vedere cosa c’era all’interno di una delle costruzioni, un conato di vomito lo costrinse a smontare in fretta e rigettare tutto ciò che aveva in corpo. All’interno dell’edificio, che si rivelò il magazzino dove si conservavano le merci, vi era il cadavere di una donna sventrata, da cui uscivano gli organi e le budella. Queste ultime, sparse sul pavimento, grondavano sangue e puzzavano in una maniera terribile. Tutti i muri poi erano imbrattati con i vari liquidi interni. Era davvero uno spettacolo orribile, che avrebbe fatto accapponare la pelle anche al più duro degli insensibili. Anche quella era una prova. Anche quello un ostacolo da superare. La follia stava intervenendo di nuovo per ostacolare Pierre. Non doveva cedere.
Ma se invece fosse stato il contrario? Si chiese il cavaliere. E se fosse stato lui stesso a convincersi che la follia lo volesse trarre in inganno con delle “finte” e delle “montature”, così che non noti le vere manifestazioni di quest’ultima? Se fosse stato davvero così come avrebbe fatto a capire quali fossero le manifestazioni vere e quali no? Sarebbe stato capace di individuarle? Scosse la testa con forza, ricacciando indietro quel pensiero. Non poteva essere così. Era impossibile. Chiuse gli occhi e proseguì oltre, tirando il cavallo per le briglie, mentre sopra di esso vi era ancora Paul che, tenendosi forte al dorso dell’animale, si guardava intorno con occhi sgrananti dall’orrore. Pierre guardò oltre un basso muretto e notò altri mostri lontani e non se ne preoccupò. Andrè nel frattempo aveva trovato alcune ceste di mele, sicuramente abbandonate lì da un mercante fuggito via. Proseguendo ancora oltre poté notare con piacere che altri mercanti avevano abbandonato dell’altra merce. Vide alcune ceste colme di pesci e altre ancora con pezzi di pane e di carne, probabilmente lepre. Pierre osservò anche all’interno degli altri tre edifici ma, per sua fortuna, non vi erano altri cadaveri, se non quello di un cane circondato da un nugolo di mosche. Il tanfo, però, era ugualmente insopportabile. Paul a un tratto urlò impaurito e Pierre, dopo essersi voltato di scatto, vide che un non-morto si stava avvicinando al cavallo. Impugnando saldamente la spada, fendette l’aria e recise la testa al cadavere. Questa cadde ai suoi piedi rotolando vorticosamente. L’armigero la guardò mentre un altro conato gli saliva su per la gola. Velocemente ordinò ad Andrè di prendere le cassette di mele e tutto il cibo che riusciva a trovare e di portarlo vicino ai cavalli. Lui nel frattempo si aggirò nuovamente lì intorno per tentare di trovare una cosa che sarebbe stata infinitamente utile: un carretto. Superò una casa e non trovò nulla, andò oltre il muretto ma niente, fino a che… aprì la porta del magazzino e trovò un piccolo carretto appena oltre il cadavere sventrato. Tenendo una mano sulla bocca nell’estremo e inutile tentativo di coprire il fetore davvero insopportabile e infinitamente nauseabondo, prese il carretto e lo portò fuori. Vedendolo Richard esultò alzando le braccia al cielo e ringraziando il signore. Caricarono la cesta di mele, quella dei pesci e del pane, infine presero un’altra cesta in cui misero tutte le ghiande che si erano portati dietro dal bosco. Infine caricarono anche un piccolo barilotto d’acqua. Il carretto era piccolo ma abbastanza capiente. Lo legarono al cavallo, collegandolo con le briglie del morso, non avendo trovato delle selle. Rimontarono a cavallo, tutti e quattro e ripartirono per fare ancora qualche miglio prima che fosse ritornato di nuovo buio.
Si accamparono in una radura in mezzo agli alberi. Non vi erano bestie nei paraggi e questo confortò tutti ma, allo stesso tempo, tutti temevano che sarebbero potuti uscire all’improvviso dalla boscaglia. Pierre era tranquillo, anche se, comunque, si trovavano all’esterno. L’indomani sarebbero partiti e avrebbero raggiunto un castello, dove, se tutto fosse andato secondo i loro piani, avrebbero potuto chiedere asilo. Il problema era uno soltanto: vi erano ancora dei vivi in quel castello? Lui non lo sapeva. L’avrebbero scoperto domattina. Poi si coricò, chiuse gli occhi e, stremato, si addormentò all’istante.
All’alba Andrè fu il primo ad alzarsi, controllò che non vi fosse nessuno e svegliò gli altri. Si alzarono, mangiarono qualcosa e si rimisero subito a cavallo, per coprire la distanza maggiore che avessero potuto durante la giornata, per raggiungere il castello di Schievall. Cavalcarono per lunghe ore, passando da campi coltivati ancora da poco, a villaggi disabitati o pieni di cadaveri. Attraversarono a guado un fiume e arrivarono in vista della rocca quando ormai mezzodì era alle porte. Ci avevano messo poco, molto meno di quanto Pierre si fosse mai aspettato.
Si avvicinarono con molta cautela. Al passo. Arrivarono nei pressi delle porte, chiuse. Sui bastioni non vi era anima viva. Pierre urlò –C’è nessuno? Non siamo morti! Siamo sopravvissuti all’attacco dei mostri! Ehi!- Per qualche interminabile secondo non si sentì più nulla. Infine però qualcuno rispose, era un armigero che si era appena affacciato fra un merlo e l’altro –Ehi, chi siete?-
-Siamo vivi!- Urlò Pierre –Fateci entrare, vi prego! Vi chiediamo soltanto asilo per sfuggire a quei demoni di Satana!- Il soldato li scrutò e chiese, vedendo l’equipaggiamento da battaglia di Pierre –Siete un cavaliere?-
-Sì, stavo partendo per la crociata quando tutto è iniziato. Ve ne prego, non vi chiediamo altro che un po’ di ristoro. Per favore!- Il soldato li scrutò ancora per qualche secondo, poi sparì dietro al merlo. Subito dopo i grandi portoni di legno furono spalancati e Pierre, seguito da tutti i frati,entrò. Furono accolti da un piccolo gruppetto di armigeri che li tenne d’occhio mentre si avvicinava il capitano di questi ultimi –Voi, come vi chiamate- Disse rivolgendosi a Pierre –Io sono Pierre, loro sono Andrè…-
-Non ho chiesto come si chiamano loro, sono uomini di chiesa, per me sono solo “padre”- Andrè sembrò risentito da questo modo di fare e lo denotò –Scusatemi, ma non mi sembra il caso più opportuno per insultarci!-
-Qui vi ho fatto entrare io e decido io. Che ci facevate là fuori, da dove venite?-
-Il monastero in cui c’eravamo barricati…- Spiegò il cavaliere –Dove vivevamo con molti altri frati, è stato attaccato. Abbiamo tentato di fermare quei cadaveri ma non ci siamo riusciti, siamo stati costretti a fuggire per salvare la pelle. Non potevamo fare nulla. Così il nostro intento è di raggiungere il castello di mio padre, a nord ma non possiamo arrivarci così facilmente come sembra, è molto distante da qui. Quindi vi chiediamo asilo per una notte e un po’ di ristoro, per riposare e riprenderci dalla lunga marcia che abbiamo già compiuto.- Il capitano lo guardò con sguardo intimidatorio ma infine rispose –D’accordo, a un patto, però. Vene andrete all’alba, non un’ora di più. Ci sono già troppi abitanti in questa fortezza, non possiamo ospitarne altri. Volente o nolente, saremmo costretti ad allontanarvi a forza se non vorreste andarvene.- Nel frattempo i quattro scesero da cavallo e il capitano avvicinò le labbra all’orecchio di Pierre, sussurrando –Oppure saremo costretti a uccidervi…- Poi voltò i tacchi e si allontanò sparendo oltre una porta all’interno di una torre.
Si poteva notare subito che, più che un castello, quello era un forte, infatti era molto piccolo, con qualche casupola qua e là e alcuni edifici di pietra, fra cui una caserma per i soldati. All’interno vi erano moltissimi profughi e sopravvissuti accorsi lì dalle campagne, appena la peste era iniziata. Pierre notò che vi erano molte donne e bambini, oltre che uomini e anziani. Tutti i frati andarono nella piccola cappella a pregare mentre Pierre, aiutato da un garzone lì presente, portò i cavalli alle stalle, dove avrebbero mangiato un po’ di fieno. Poi si diresse verso la caserma, entrò e trovò alcuni uomini sdraiati sui pagliericci a dormire. Sicuramente erano gli uomini di sentinella durante  notte. Verso il tramonto, circa, avrebbero dovuto prendere servizio. Pierre vide un forziere di legno, lo aprì e vi appoggiò all’interno la spada, poi si slacciò i parastinchi e li mise dentro, vicino alla lama. Infine lo richiuse e si sdraiò su un pagliericcio. Era stanco, ma almeno ora era al sicuro.
Mai si sarebbe sbagliato tanto.
Dormendo sognò di un grande prato verde, dove vi erano decine e decine di non-morti appena usciti dalle loro tombe. Questi ultimi si avvicinavano rapidi, molto più rapidi di quelli veri. Erano orribili e terribilmente spaventosi.
Pierre si risvegliò di soprassalto urlando. Si guardò intorno e notò che i soldati addormentati non vi erano più. Sentì un urlo. Era Paul a urlare.
Pierre si alzò di soprassalto, senza pensarci due volte. Accorse verso il forziere dove aveva lasciato la sua arma, l’aprì e… era tutto sparito, anche i suoi due parastinchi di metallo. Allora, incurante del pericolo che avrebbe potuto correre, uscì fuori e vide la follia incarnata.
Gli armigeri, guidati dal capitano, avevano impiccato Andrè e Richard su un patibolo di legno, e stavano alzando anche Paul per impiccarlo a sua volta. Quest’ultimo urlava e si dimenava, nell’inutile tentativo di liberarsi dai suoi carnefici –Paul! Lasciatelo mostri!- Pierre corse verso l’impalcatura di legno da cui pendevano i corpi senza vita dei due frati, ma fu fermato da un colpo di scudo vibrato da un armigero, che lo intontì e lo fece vacillare all’indietro, inciampando sulla corteccia di un albero e cadendo di schiena. Il bruciore al petto e al viso era insopportabile, dal naso colava un rivolo di sangue. Alzò la testa, guardando di fronte a sé. Paul aveva già il cappio al collo, il capitano lo stava reggendo fra le braccia, aveva una forza superiore al normale. Quest’ultimo si voltò vero il cavaliere a terra e gli disse –Benissimo! Vi stavo aspettando cavaliere errante della Francia del nord! Questo è il mio castello! Voi morirete, l’ho già detto! Vi volevate venire qua per aprire le porte a quei cosi vero? Voi siete quei mostri, non è così?! Be, perché se non è così allora dovreste provarmelo e c’è solo un modo per saperlo.- All’improvviso lasciò la presa su Paul e questo cadde nel vuoto d’aria appena sotto di lui, fino a che si sentì lo schioccò della corda tesa e la frattura dell’esile collo del ragazzo che, nonostante la ferita mortale si muoveva ancora tentando di liberarsi richiamando l’ultimo flebile attaccamento alla vita terrena. Pierre osservò la scena allibito, mentre una lacrima gli detergeva la guancia sporca di polvere, disegnando un sentiero roseo in quel mare di polvere. Stropicciò gli occhi alcune volte quasi per ricacciare indietro quell’orrenda vista. Poi, con tutta la forza che aveva in corpo, si tirò su e si avventò contro al guerriero che lo aveva colpito al viso. Iniziò a colpirlo con i pugni al viso, con i denti digrignati e un’espressione mostruosa sul viso che fino a pochi giorni prima era il viso di un giovane uomo che si apprestava ad andare in guerra, fra l’eccitazione e la felicità di quel momento. Continuò a colpire il suo assalitore finché la sua faccia non divenne una maschera di sangue vermiglio e il naso quasi spappolato. Le nocche si erano sbucciate e bruciavano come non mai. Un armigero lo attaccò alle spalle armato di lancia, che gli conficcò nella spalla. Pierre gridò tutto il suo dolore e, per un improvviso cedimento delle forze cadde inginocchio. Digrignando i denti, tenendo duro in una maniera sovrumana, riuscì ad alzarsi, si staccò la lancia dalla spalla, si voltò e, con il troncone della punta che gli era rimasto in mano, trafisse in un occhio l’altro avversario.  Altri due gli furono addosso in un baleno, entrambi armati di spada e scudo: uno lo trafisse al petto, l’altro alla coscia. Lui urlò come un dannato mentre il capitano gli arrivò alle spalle con in mano un pugnale. Premette la lama di quest’ultimo sulla sua gola, poi gli disse –Sai, è la fine del tuo viaggio… Ora ne inizierà un altro.- Un sibilo. Nient’altro, a parte sangue che schizza in ogni dove. Pierre cadde a terra. L’ultima cosa che vide fu il sole che sembrava ormai sbiadito, chiuse gli occhi, mentre pensava: Questa è la vera follia. Non i morti, non i mostri. Niente di tutto ciò che aveva creduto potesse essere tale lo era per davvero. La follia era dentro l’uomo. La follia era l’uomo…

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