Il Matrimonio Del Mio Migliore Amico… Non S’Ha Da Fare di Lady Vibeke (/viewuser.php?uid=32775)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Notizia ***
Capitolo 2: *** La Westling Che? ***
Capitolo 3: *** I Guai Non Vengono Mai Soli ***
Capitolo 4: *** L'Idea Geniale ***
Capitolo 5: *** Imprevisti ***
Capitolo 6: *** Pimp My Tari (titolo idiota, suggerito da un fratello idiota) ***
Capitolo 7: *** Lezioni di Finlandese ***
Capitolo 8: *** Addio Al Celibato... O Quasi ***
Capitolo 9: *** Una Spalla Su Cui Sorridere ***
Capitolo 1 *** La Notizia ***
Nota dell'Autrice: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
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[ GEORG ]
La situazione mi puzza di bruciato.
C’è qualcosa di
inquietante nel sentirsi chiamare al cellulare da Gustav
Klaus Wolfgang Schäfer
il venerdì sera per un invito a cena per il giorno seguente,
tanto più che non
credo di aver conosciuto persone meno inclini di lui ad autoimmolarsi
nel
caotico sabato sera di Amburgo, in piena frenesia pre-estiva, per giunta.
Sapevo
che c’era
qualcosa sotto prima ancora che lui aprisse bocca, e ora sono qui,
seduto da
due ore al tavolo migliore del più rinomato ristorante della
città con
l’artefice della serata e due alquanto perplessi gemelli
Kaulitz, a domandarmi
quale metaforico coniglio bianco stia per saltare fuori dal cilindro.
È da
ieri, veramente, che me lo chiedo.
Gustav
è nervoso. È
facile da notare, perché fa di tutto per non farlo notare
affatto: se ne sta
tranquillo nella sua sedia, ad osservare con aria annoiata il bicchiere
pieno
di vino rosso, e non solleva gli occhi di mezzo millimetro dalla
tavola, anche
mentre intenta una conversazione casuale su questi tre mesi di pausa
assoluta
che ci sono stati generosamente concessi. Per la verità il
management non aveva
una gran scelta, stavamo tutti e quattro per essere ricoverati
d’urgenza per
esaurimento nervoso.
“Allora,
Schäfer,”
esordisce Tom, spingendo da parte il piatto ormai vuoto per appoggiare
i gomiti
al tavolo, sfidando apertamente ogni legge di galateo e buona
educazione.
“Fuori il rospo.”
La faccia
da finto
tonto che Gustav si affretta a procurarsi non convincerebbe nemmeno la
forchetta che tiene distrattamente in mano. Non potrà mai
farci niente, è
sincero ed onesto per natura, non è fisicamente in grado di
mentire, e nessuno
meglio di noi lo sa.
“Su,
Jutschel, vuota
il sacco,” lo esorto io. “È tutta la
cena che hai qualcosa sulla punta della
lingua che deve saltar fuori, si vede lontano chilometri che devi dire
qualcosa.”
Gli sto
direttamente
di fronte, ed è inequivocabile il modo in cui il suo pomo
d’adamo sale e scende
mentre deglutisce: è a disagio. Devo dire che comincio ad
essere leggermente
preoccupato.
“Beh…”
Gustav
tentenna come un topo in mezzo ad un branco di gatti affamati. Non
sarà mica
così grave? “Si tratta di
Michelle…”
Ah, lo
sapevo! Lo sapevo! Ha finalmente
aperto gli
occhi ed ha capito che Miss Figlia di Papà non fa per lui.
Meno male, cominciavo
a pensare che prima ho poi avrebbe commesso qualche sciocchezza,
tipo…
“Ci
sposiamo.”
Tipo
questa.
Avverto
distintamente la mia mascella cedere e precipitare verso il basso,
assieme alle
mie braccia. Bill e Tom sono due mie perfette immagini speculari:
atterriti,
scioccati, sconvolti, e chi più ne ha più ne
metta. Ci guardiamo a corto di
parole, e tutti e tre sappiamo cosa gli altri due stanno pensando.
Michelle
è, a suo
modo, una ragazza deliziosa, e certamente esistono interi eserciti di
uomini
che darebbero volentieri qualche organo vitale pur di averla, ma, mi
duole
dirlo, con Gustav ha davvero ben poco a che fare. Lo so che la
diversità in
genere completa vicendevolmente una coppia, ma in questo caso si tratta
dell’eccezione che conferma la regola: non funziona.
L’unico problema è che
sembra che Gustav e Michelle siano gli unici due al mondo a non vederlo.
Eravamo
all’inaugurazione di un nuovo locale, l’anno
scorso, quando abbiamo conosciuto
Michelle Keller, figlia poco più che ventenne del facoltoso proprietario del locale
stesso.
Devo ammettere che a prima vista ha fatto colpo: alta e snella, con un
minuto
abito bianco che le faceva risaltare l’abbronzatura, e due
occhi neri che
incantavano. Sembrava perfetta, un musa scesa in terra per fare la
felicità di chiunque
la incontrasse, ma il problema è proprio quello: Michelle
è veramente perfetta.
Troppo perfetta, per un ragazzo
semplice e alla mano come Gustav. Insomma, hanno cominciato a uscire praticamente per scherzo! E ora stanno per sposarsi. Non ha senso!
“Congratulazioni,
sono felice per voi!” esclama Bill, e mi chiedo dove abbia
trovato abbastanza
faccia tosta da sparare una palla così grossa. Anche per i
suoi standard, è
davvero notevole.
Gustav
pare
rilassarsi un po’ e si concede una mezzo sorriso tirato.
“Grazie.”
Poi guarda
me e Tom, evidentemente aspettandosi degli auguri, o quantomeno un
minimo cenno
di vita.
“Ehm,”
Mi inumidisco
le labbra, supplicando i miei neuroni di tirare fuori al più
presto qualcosa di
intelligente da dire. “A quando il gran giorno?”
Okay,
potevo fare di
meglio, ma se non altro sono riuscito a ricacciare
quell’imbarazzante ‘È
un’emerita cazzata, cretino!’ in qualche oscuro
anfratto della mia testa, dove
spero che resti, almeno finché questa storia non
sarà chiarita.
“Il
diciassette di
luglio.” Risponde lui in tono casuale, vuotando il bicchiere
in un sorso.
Come? Il
diciassette luglio? Scherza, giusto?
“Il
diciassette luglio di che anno?”
indaga Bill, che
evidentemente è scettico quanto me. Gustav lo guarda come se
fosse scemo.
“Duemilaundici.”
Specifica in tono ovvio. Per poco non mi viene una sincope.
“Gustav,”
replico
allibito. “Il diciassette luglio duemilaundici è fra
due mesi.”
Lui inarca semplicemente le sopracciglia.
“Sette
settimane,
per la precisione.” Puntualizza.
“Ma
vi conoscete da
meno di un anno!” insisto, infervorato.
“E
allora?” Gustav
sembra genuinamente stupito. “Stiamo bene insieme.”
Ma che
cazzo di
risposta è?
“Che
cazzo di
risposta è?” prorompe Bill, in perfetta sintonia
con la mia lunghezza d’onda.
Gustav si
limita a
guardarci tutti quanti con espressione vacua, neanche fossimo un trio
di alieni
che parlano lingue strane.
“Un
anno non è
poco,” dice. “Conviviamo da sei mesi, tanto vale
ufficializzare la cosa.”
Okay,
fermi tutti:
chi ha fatto il lavaggio del cervello a quest’uomo? Lui che a
stento riusciva a
stare con una ragazza per più di qualche settimana, adesso
se ne esce con un
annuncio di matrimonio, così su due piedi?
Il mio
impulso è
quello di afferrarlo per il colletto della camicia e scuoterlo fino a
che non
riacquisti un briciolo di sanità mentale, ma ho come la
sensazione che la cosa
darebbe nell’occhio.
“Ed
è stata un’idea
di Michelle?” azzarda Tom, occhieggiandolo circospetto.
Un tempo ci
sarebbe stata l’ombra del suo cappellino da baseball a
coprirgli lo sguardo, ma
ora porta gli irriducibili rasta semplicemente legati sulla nuca.
Un
principio di
rossore sale a sfiorare le orecchie di Gustav, ma lui non si scompone
di una
virgola. Dio, come vorrei che fosse ancora come quindici anni fa,
quando
bastava fissarlo negli occhi per farlo capitolare in una confessione
dettagliata.
“Non
esattamente,”
mormora, sistemandosi meglio sulla sedia. “Noi…
Beh, stavamo guardando un film,
e alla scena del matrimonio Michelle ha detto ‘Che bello,
dovremmo sposarci
anche noi!’ e io, senza nemmeno pensarci, ho risposto
‘Già’, e da lì abbiamo
cominciato a discuterne…”
“E
tu ti sei fatto
infinocchiare.” Completa Tom, con tutto il suo solito tatto.
Gustav
rotea gli
occhi spazientito, emettendo un suono gutturale frustrato.
“Va
bene, vi ho
invitato qui stasera per rendervi partecipi del passo più
importante della mia
vita, ma vedo che siamo in vena di polemiche…”
Sento
dell’acidità
nella sua voce. Qui urge un dietrofront repentino.
“Dai,
non fare
così,” mi affretto a sdrammatizzare. “Ci
hai colti alla sprovvista, tutto qui.”
“Esatto,”
mi da man
forte Bill. “Non ce lo aspettavamo, ecco.”
Gustav ci
scruta uno
ad uno dubbioso e noi cerchiamo di sorridere nel modo più
efficace possibile, e
a quanto pare funziona: Gustav sospira ed annuisce, rasserenato.
“Meglio
così,” dice,
e abbozza un sorriso timido. “Perché ci sarebbe
una cosa che vi devo dire…”
Alt.
Cos’è questa
serietà improvvisa? Cerco di scrutare nei suoi occhi per
capire cosa diamine
stia covando, ma lui non me lo permette. Maledetto, ormai conosce tutte
le mie
mosse e le relative contromosse. Cos’altro potrebbe avere da
rivelare? Non c’è
niente di più eclatante di un matrimonio, nulla di
più sconvolgente, a parte
forse…
No. No,
non può
essere. Mi rifiuto di pensare che loro…
“Non
sarà mica
incinta?” mi precede Tom, quasi urlando, dimostrando per
l’ennesima volta la
propria delicatezza. A Gustav va di traverso il vino; diventa subito
paonazzo
ed è costretto a premersi un tovagliolo sulla bocca per non
sputare in giro.
“Non
dire
stronzate!” biascica, ansimando, mentre Bill ha
l’accortezza di versargli
dell’acqua e dargli delle piccole pacche sulla schiena, ma ha
un’energia tale
che dubito Gustav sia in grado anche solo di accorgersene. Sempre
delicato, il
nostro Bill, non cambierà mai.
Non
appena il
rischio di annegamento asciutto è sventato, Gustav si
ricompone e ci osserva
solenne. Adesso ho seriamente paura.
“Insomma,
abbiamo
fissato una data relativamente vicina, e Michelle ha già
tutte le sue cose in
mente, io le ho dato carta bianca,” borbotta.
“Però c’è un dettaglio che
spetta
solo a me decidere, e questo dettaglio comprende voi tre.”
Sento una
strana
tensione crescere dentro di me, come se il mio sangue stesse diventando
denso e
freddo e faticasse a scorrermi nelle vene, provocandomi un profondo
senso di
stordimento. Dove vuole andare a parare?
Io, Bill
e Tom ci
scambiamo delle occhiate ansiose, pronti per il peggio. Dannazione,
credevo che
questo giorno esistesse solo nei miei peggiori incubi, ma evidentemente
ho
sbagliato qualche calcolo. Gustav inspira e alla fine si decide a
parlare.
“Vorrei
che mi faceste da testimoni.”
Sto per
scoppiare a
ridere, quando mi rendo conto che non è una battuta. Parla
sul serio. Non sta
scherzando, vuole davvero che io e questi due gli facciamo da testimoni.
È
legale fare da
testimone ad un matrimonio al quale si è contrari? E cosa
faremo quando il
prete o chicchessia arriverà al punto del ‘Chi
è a conoscenza di qualche
impedimento per il quale quest'uomo e questa donna non dovrebbero
unirsi in
matrimonio, parli ora o taccia per
sempre’?
Non si
può fare, non
esiste. Adesso tiriamo fuori le palle e riveliamo a Gustav tutte le
nostre
perplessità in merito a questa sua folle decisione.
Proprio
adesso.
Tra un
attimo aprirò
la bocca e gli dirò che non può commettere un
errore simile. Al tre.
Uno…
Due…
“Ne
sarei onorato.”
Mi sento rispondere, ed inorridisco all’istante, ma non posso
certo darlo a
vedere. Bill e Tom sembrano pesci rossi a cui è stato
asportato il cervello:
boccheggiano interdetti, forse sforzandosi di trovare una manciata di
sillabe
da appiccicare l’una all’altra nella speranza che
abbiano un senso compiuto.
“Grazie,
amico, sono
commosso.” risponde Tom, ma il suono della sua voce
è impercettibilmente
strozzato. Bill si schiarisce la gola e in qualche modo riesce a
riesumare un
embrione di sorriso.
“Mi
farebbe piacere.”
Siamo
tutti pazzi,
qui dentro, uno più rincoglionito dell’altro, a
partire da quest’idiota che
vuole accasarsi con la Principessa Perfezione.
Prima che
io possa
mordermi la lingua e sferrare un calcio sottobanco ai due Kaulitz,
Gustav si
alza e in automatico ci alziamo anche noi, ed un istante più
tardi ci stiamo
tutti e quattro abbracciando e dando pacche sulle spalle. Questo non va
bene,
sto mentendo spudoratamente. Mi sto congratulando per qualcosa di cui
sono
tutt’altro che lieto. Io, Georg Moritz Hagen Listing, sono un
amico di merda
che non è capace di dire ciò che pensa veramente
ad una delle persone che più
gli sono care sulla faccia della terra. Grandioso, non
c’è che dire.
“Grazie,
ragazzi.”
Sussurra Gustav, mentre ci risiediamo, e sembra veramente felice.
Che io e
gli altri
ci sbagliamo su di lui e Michelle?
No,
assolutamente
no.
Però
magari…
No! Non
posso essere
complice di questo delitto, mi rifiuto!
Anzi,
dobbiamo
trovare il modo di impedire questo scempio, ma al momento sono
così sconvolto
che la mia mente è tabula rasa.
Gustav fa
portare
dello champagne per brindare, ma i miei pensieri sono già
volati alla scelleratezza
che tra due mesi sarà compiuta: Michelle infiocchettata in
una nuvola di pizzi
e trine candidi, il mio amico intrappolato in uno smoking ridicolo, e
io, Tom e
Bill a fare da spettatori impotenti a tutta la tragica commedia.
In una
sola parola:
disastro.
Tracanno
il mio
calice di champagne con tutta la disperazione consentitami dalle mie
vesti di
neoeletto testimone di nozze che deve dimostrarsi felice e partecipe
della
gioia del momento, pregando che la sveglia suoni e mi riporti alla
realtà, nella quale Gustav ha ancora un senno e nessuno mi da notizie tragiche come
quella che
ho appena ricevuto, ma tanto non succederà.
Farò
così: discuterò con
Bill e Tom di questa storia e insieme troveremo una soluzione. Non
possiamo
lasciare Gustav in balia degli eventi e permettere che si rovini la
vita
legandosi alla persona sbagliata. Siamo dei veri amici, lo salveremo,
punto e
basta.
Questo
matrimonio
non s’ha da fare.
__________________________________________________________________________________
A/N:
bene, eccomi qui, dopo lunghi secoli, con una nuova ff! Sarà
a più capitoli, decisamente diversa dai miei lavori
precedenti: una commedia romantica con tanto umorismo e tre Tokio Hotel
che cercano disperatamente di salvare il quarto dal matrmonio
sbagliato... Immaginate un po' voi. Come vedete la storia sarà narrata in prima persona, sotto diversi punti di vista, che saranno sempre specificati ad inzio capitolo. Questo è un capitolo di
introduzione ed è relativamente breve, ma i prossimi saranno
leggermente più lunghi, quindi non temete, ora che vi ho
introdotti nella storia, si potrà entrare nella storia vera
a propria... Aspettatevi di tutto!
Ringrazio già ora chi ha
letto e soprattutto chi commenterà. Dedico questa storia alle mie care MS e ai nostri amati US, BS, OS e PS... Tutte per i Tokio Hotel, Tokio Hotel per tutte!
|
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Capitolo 2 *** La Westling Che? ***
[ BILL ]
Dolore. Un lancinante, insoffribile,
disumano dolore. È
tutto ciò che provo quando acquisto conoscenza, reduce dal
sonno più tormentato
della mia vita. La mia testa pulsa talmente forte che per un attimo mi
viene il
dubbio che il cuore mi sia schizzato nel cranio e lì abbia
deciso di mettersi a
martellare contro le mie tempie come un metallaro sotto cocaina, ma poi
mi
ricordo dei cinque Sex On The Beach extraforti che mi sono ingollato
ieri sera
e tutto ha un senso. Dannati postumi!
Apro prima un occhio, poi
l’altro, e mi guardo pigramente
intorno, non senza una buona dose di timore: riconosco
l’armadio e i vari
dischi d’oro e di platino appesi alle pareti. Bene,
è la mia stanza, una buona
notizia.
Richiudo gli occhi quasi subito,
infastidito dalla lama di luce
che penetra dalle imposte, e mi torna in mente l’incubo che
ho fatto stanotte,
una di quelle cose assurde che sai che nella vita reale non succedono, ma che ti spaventano a morte comunque.
Ho sognato che Gustav annunciava di
voler sposare Michelle.
Ridicolo, no? Insomma, è più che evidente che una
simile eresia non potrà mai e
poi mai…
Un momento…
Questa maledetta sbronza me la sono
presa con Tom e Georg in
quel bar di infima categoria vicino al Luna Park. E ci siamo andati
dopo la
cena al Florence. Cena offerta da Gustav perché…
Già, perché?
Per quale motivo Gustav avrebbe dovuto…?
Oh, cazzo.
Ora ricordo! Quel coglione vuole davvero sposare Michelle!
Se la mia testa non mi stesse
uccidendo, mi metterei a
sbatterla contro il muro, ma meglio evitare. I vicini hanno
già abbastanza da
ridire sul casino che facciamo di solito, soprattutto quando io e Tom
ci
mettiamo a litigare. Il che non capita spesso. Quell’una o
due volte al giorno.
Fortuna che raramente siamo in casa.
Sto già per far partire
una lunga e lamentosa serie di
riflessioni su questa cavolata del matrimonio, quando mi accorgo che
c’è
qualcun altro nel letto con me.
Non può essere Tom, non mi
sento soffocare dalle esalazioni
pestilenziali del suo nuovo dopobarba. Ma se non è lui,
allora chi è?
Merda, vuoi vedere che mentre ero
ubriaco qualcuno si è
approfittato di me? Dio, spero di non essere finito a letto con Georg.
Gustav
mi pagherà anche questa, giuro.
Mentre un brivido di raccapriccio mi
scuote, cerco di farmi
forza e coraggio e lentamente riapro gli occhi, voltandomi piano di
lato.
L’ignota presenza non si muove. Anzi, non da proprio segni di
vita.
Non ho commesso un omicidio, vero?
Sollevo esitante una mano e la
allungo verso la grossa
sagoma che si cela sotto le coperte, poi afferro un lembo del lenzuolo
e lo
scosto con uno scatto deciso, pronto a tutto.
O quasi.
Per poco non mi viene un infarto: un
paio di abnormi occhi
neri e lucidi mi fissa in modo inquietante e piuttosto insistente. Mi
ci vuole
una manciata di secondi per riuscire a mettere a fuoco il proprietario:
si
tratta di un gigantesco coniglio rosa che occupa più di
metà del letto e porta
un orrido fiocco rosso al collo.
Beh, se non altro non è
Georg.
Ma che diamine ci fa un coniglio rosa
alto un metro e mezzo
nel mio letto?
Mi sforzo di ricordare cosa sia
successo ieri sera, dopo la
cena, e vaghi flash emergono nella mia mente, tra cui anche
l’ingresso al Luna
Park. Non voglio sapere cosa ci abbiamo fatto, noi tre, in quel Luna
Park, per
portarci a casa questo bestione di peluche.
E poi, perché è
nel mio letto? Dovrebbe stare nella stanza
di Georg, è lui il collezionista di peluche.
Mosso da un impellente desiderio di
ficcare la testa in un
secchio di acqua gelata e poi scolarmi almeno una dozzina di
caffè forti, mi districo
dalle lenzuola e, barcollando, mi alzo. Quando finalmente ho raggiunto
un
equilibrio quasi stabile e mi sono accertato di indossare almeno i
boxer,
recupero un paio di occhiali da sole dal pavimento e me li infilo alla
meno
peggio, poi afferro l’ospite indesiderato e me lo trascino
dietro attraverso il
corridoio, che non mi è mai parso così accecante
e tremendamente luminoso.
Mentre cammino mi appoggio con la mano libera alla parete, onde evitare
sbilanciamenti eccessivi della mia già scarsa
stabilità. Ignoro deliberatamente
lo specchio che c’è a metà strada:
preferisco non sapere in quale vergognoso
stato di trascuratezza io sia ridotto al momento.
Arrivo in cucina con un cerchio alla
testa di intensità
triplicata rispetto a quando mi sono svegliato e trovo Georg e Tom
stravaccati
al tavolo su due sedie ciascuno, una per sedersi ed una su cui hanno
allungato
le gambe. Sono entrambi nelle mie medesime condizioni: boxer e occhiali
da sole
calcati sul naso, le teste reclinate all’indietro con
espressioni di stoica
sofferenza, e stringono in mano una tazza di fragrante caffè
fresco che devo
assolutamente avere anch’io, e al più presto.
“Buongiorno.”
Mormoro ancora mezzo addormentato, piantando
il coniglio sul tavolo senza minimamente curarmi di cosa ci sia sotto.
“Non gridare, ti
prego.” Rantola Tom, in un tono da
moribondo.
“Non sto affatto
gridando,” mi difendo io. “Riesco a
malapena a parlare.”
“Allora non
parlare.” Interviene Georg, con lo stesso tono
di Tom. “Anzi, non respirare nemmeno.”
Grandioso. Siamo tutti e tre in piena
fase di stronzaggine
post-bevuta e nel pomeriggio dobbiamo incontrare la famiglia di
Michelle,
perché – l’avevo dimenticato –
lei e Gustav fra due mesi si sposano.
Sono subito assalito da
un’ondata di panico, ma cerco di
sedarla versandomi tutto il caffè rimasto nella caffettiera
della macchinetta
(mi chiedo come abbiano fatto a farlo, tra l’altro, visto che
qui dentro
l’unico che sappia usare quest’aggeggio sono io),
poi mi prendo un Mars dalla
credenza e lo scarto con i denti.
“Hey, che fine ha fatto la
pattumiera?” domando quando apro
l’anta sotto il lavandino e la trovo sprovvista del solito
cestino.
“Sul balcone” Mi
comunica Georg. “Ci hai vomitato dentro
ieri sera.”
Ah. Buono a sapersi. Ecco
perché non ho la nausea, adesso.
“Poi ti toccherà
pulire, ovviamente.” Soggiunge Tom, amabile
come sempre.
“E dovresti anche dare da
mangiare al criceto.” Prosegue
Georg, sorseggiando il suo caffè.
“Noi non abbiamo un
criceto.” Faccio notare io, ma Tom punta
un dito verso un piccolo scatolone in un angolo della stanza che non
avevo
notato.
“Adesso
sì.”
Mi avvicino riluttante allo
scatolone. All’inizio mi sembra
vuoto, a parte uno straccio appallottolato, ma poi vedo qualcosa
muoversi, e
accanto allo straccio individuo un batuffolino di pelo bianco che
rosicchia
felicemente il cartone. Strano, non ricordo di aver svaligiato un
negozio di
animali, ieri sera, ma effettivamente non ricordo un bel niente delle
ultime
dodici ore.
“Non chiedermi
come,” dice Tom. “Ma l’hai vinto ieri
sera al
tiro al bersaglio. L’hai chiamato Elvis e gli hai promesso
che quando sarà
grande gli permetterai di farsi un giro su Jumbie.”
Che? Sono posso aver detto una cosa
simile. Ad un criceto,
per di più. Io, Bill Kaulitz, il ragazzo più
serio e maturo…
Ehm…
Okay, è possibile che io
l’abbia detto, ma ora non ha
importanza, abbiamo cose ben più urgenti di cui preoccuparci.
“Qualcuno di voi rammenta a
che ora dobbiamo essere alla
tana del lupo?” domando, mentre comincio ad aprire tutte le
ante del mobile e
metto tutto a soqquadro alla ricerca delle confezioni di popcorn da
microonde.
Tom fa schioccare la lingua.
“Se intendi il solenne
ricevimento a Villa Keller, Gustav ha
lasciato un messaggio in segreteria, ha detto che è
rimandato a dopodomani.”
“Vogliono unire
l’utile al dilettevole e approfittarne per
presentarci la wedding planner.” Aggiunge Georg, schifato.
Io batto le ciglia perplesso.
“La wrestling
che?”
“La wedding
planner!” sbuffa Tom. “Quella che si occupa di
organizzare il matrimonio.”
Io gli rispondo con uno sguardo vacuo.
“Dai, Bill, non hai mai
visto il film con Jennifer Lopez?”
“Sai, Tom, non siamo tutti
tv-dipendenti come te, a qualcuno
piace farsi una vita.” Ribatto, indignato. Se per lui queste
sono le cose
importanti da sapere nella vita, comincio a spiegarmi molte, moltissime
cose.
“Meglio essere
tv-dipendenti che ‘farsi una vita’ con
Michelle Keller.” Borbotta allora Georg, e stavolta non posso
contraddirlo. Ha
assolutamente ragione. Dobbiamo risolvere questa folle storia del
matrimonio al
più presto.
“Si può sapere
che cazzo stai facendo?” mi chiede Tom,
mentre io sono ancora immerso nella mia ricerca.
“Devo dare da mangiare al
criceto, no?” rispondo,
disseppellendo finalmente l’ultima busta di popcorn da sotto
un cumulo di
sacchetti di caramelle gommose.
“Guarda che i criceti
mangiano semi di girasole ed affini,” Bofonchia
lui. Deve sempre avere qualcosa da ridire. “I popcorn non
sono esattamente il
loro piatto preferito.”
“I popcorn no, ma il mais
sì, e visto che in casa non
abbiamo niente di meglio, dovrà accontentarsi. A meno che
non abbia voglia di
un panino al prosciutto.”
“Fate come vi pare con il
roditore, io mi metto a mollo in
una bella vasca di acqua fresca e mi faccio un
idromassaggio.” Annuncia Georg.
“Bastardo!” si
lamenta Tom. “Lo volevo io!” Ma non ha la
forza di opporsi oltre, così Georg posa la propria tazza sul
tavolo, proprio
tra le zampe del coniglio gigante, e se ne va, lasciandosi dietro una
scia di
lamenti e brontolii.
Io intanto mi sono versato dei
piccoli chicchi di mais sulla
mano e sto tornando verso lo scatolone.
“Vieni qui piccolo Elvis,
vieni dalla mamma…”
“Non confondere quella
povera creatura,” mi rimprovera Tom,
non pago di aver già abbondantemente rotto nei precedenti
minuti. “Avrà già i
suoi dubbi sulla tua identità sessuale, se poi ti ci metti
anche tu…”
Ma quanto è simpatico.
Almeno quanto un riccio di mare
conficcato nella pianta del piede, solo molto più spinoso e
fastidioso. Un
giorno gli rivelerò che quella foto che tiene in bella vista
sulla sua
scrivania di me vestito da mucca Milka, in realtà
è sua.
Lui si alza in piedi, va verso il
lavandino e si riempie un
bicchiere d’acqua.
“Sai dove teniamo le
aspirine?” mi chiede, rovistando freneticamente
in tutti gli armadietti che ho lasciato aperti.
Io sollevo lo sguardo dal mio piccolo
amico peloso, a cui
sono già irrimediabilmente affezionato (anche se nemmeno
ricordavo esistesse),
ed inarco le sopracciglia. Mio fratello non è molto sveglio,
ma, poverino, non
è colpa sua se i geni dell’intelligenza sono
passati tutti a me.
“In bagno?”
suggerisco, con tutto il mio notevole buonsenso.
“No,” grugnisce
Tom, richiudendo bruscamente un cassetto.
“Erano qui, da qualche parte.”
Io sospiro, mentre Elvis comincia a
rubare ad uno ad uno i
chicchi di mais e se li divora alla velocità della luce,
riempiendosi le guance
fino a sembrare una pallina di pelliccia con gli orecchioni.
“Hai guardato nella
biscottiera?” ritento allora. Lui rotea
gli occhi, come se stesse parlando con un minorato mentale e cercasse
di non
perdere la pazienza, giusto per buona educazione.
“Perché dovremmo
tenere delle aspirine della biscottiera?”
obietta ostinato.
Che male ho fatto perché
il mio dna avesse una copia così
ottusa?
Assumo un’aria che sia il
più possibile compassionevole per
quel suo cervello raggrinzito e sottosviluppato e cerco di non fargli
pesare la
sua inferiorità.
“Perché i
biscotti stanno nel cestino della frutta,” gli
spiego affabile. “Il quale non ha mai contenuto frutta da
quanto è entrato qui
dentro.”
Scettico, Tom allunga una mano verso
la biscottiera di
ceramica che sta sul bancone e la apre, estraendone subito dopo una
manciata di
confezioni di farmaci, tra cui l’aspirina. Ne scarta un paio
e le scioglie nel
bicchiere senza dire una parola, nemmeno uno dei suoi soliti
‘grazie’ mugugnati
tra i denti.
Di niente, fratellone.
“Abbiamo già un
piano per impedire a Gustav di buttarsi così
irresponsabilmente tra le braccia
dell’autodistruzione?” domando, tanto per
cambiare argomento e non dovermi così ritrovare costretto a
massacrare di botte
il mio amato gemello, il quale replica sollevando le spalle.
“Ci sono due opzioni: o
riusciamo a somministrargli una
massiccia dose di buonsenso e troviamo il modo di fargli capire che
sposare Michelle
è una mossa saggia quanto mettere il sale nel
caffè, o eliminiamo direttamente
Michelle, e visto che il caro Gustav sembra aver sviluppato degli
invincibili
anticorpi contro ogni forma di ragione, direi che possiamo buttarci
direttamente sulla seconda.”
Già, proprio quello che
temevo.
-------
Sono circa le cinque di
lunedì pomeriggio quando usciamo di
casa e nessuno di noi ha ancora completamente smaltito la sbornia.
Sostanzialmente siamo tre zombie con un’emicrania da record a
bordo di un’auto
che sfiora i cento chilometri orari, per recuperare il quarto
d’ora di ritardo
accumulato per via del battibecco tra Georg e Tom su chi dei due
dovesse usare
l’ultima goccia di crema idratante (poi la diva sono io,
giustamente). Affidabilità
è il nostro secondo nome.
Tom è al volante della sua
Escalade e guida come se ci
stessimo dirigendo al patibolo.
Beh, non è che abbia tutti
i torti.
Non sappiamo molto sulla famiglia di
Michelle, o, per meglio
dire, su suo padre. Sua madre è morta quando lei era
piccola, e non ha mai
avuto fratelli o sorelle, quindi immagino che il suo ricco ed acido
padre in
carriera l’abbia abituata ad ottenere qualunque cosa
semplicemente schioccando
le dita. Forse nemmeno.
Beh, mi spiace, ma Gustav non
finirà sulla lista dei suoi
capricci soddisfatti e dimenticati.
Me ne sto seduto sul sedile
posteriore in compagnia di Iwen,
il coniglio rosa, che abbiamo deciso di chiamare così
seguendo l’acrostico dell’unica
risposta che abbiamo saputo trovare alla domanda
‘Sarà maschio o femmina?’,
ossia: non lo so. È stata un’idea mia quella di
portarlo con noi, così avrò
qualche cosa da premere sul naso a punta di Michelle appena lei
aprirà bocca.
Iwen mi sta seduto accanto, la
cintura di sicurezza
premurosamente allacciata, e anche lui sembra chiedersi
cos’abbiamo mai fatto
per meritare questa spinosa faccenda del matrimonio.
Nessuno fiata per tutto il tragitto,
a parte occasionali
insulti ed imprecazioni misti che Tom accompagna alle sue strombazzate
contro i
pochi malcapitati che incontriamo per queste stradine secondarie di
campagna.
Ci vuole mezz’ora per arrivare agli eleganti cancelli
spalancati della villa
dei Keller e mentre li varchiamo mi sento come Dante alle porte
dell’Inferno: ‘lasciate
ogni speranza voi ch’entrate’.
Parcheggiamo nello spiazzo davanti
all’ingresso, accanto ad
una Mercedes metallizzata nuova fiammante, e Tom ha a stento il tempo
di
togliere le chiavi dall’accensione che un acuto strillo
familiare ci accoglie,
e io non posso fare a meno di rabbrividire d’istinto.
“Eccovi, finalmente! Che
piacere avervi qui!”
Michelle è sulla soglia e
ci sorride con tutti e trentadue i
suoi impeccabili denti candidi. È vestita con un abitino da
cocktail di un
atroce rosa confetto e un paio di sandali coordinati dai tacchi a
spillo che
fanno spavento. Sembra più magra dell’ultima volta
che l’ho vista, o forse è
solo il grosso brillante che porta all’anulare sinistro che
crea
quest’illusione.
Scende gli scalini di marmo
ticchettando e ci corre incontro
con le braccia tese, portandosi dietro un alone di Allure Chanel che mi
fa
quasi venire un attacco d’asma.
Ci bacia tutti e tre sulle guance,
poi si tira su, battendo
le mani concitata, e sfodera un sorriso abbagliante.
“Allora,” esclama
entusiasta. “Come ci si sente ad essere
dei testimoni?”
Mi mordo la lingua, rimangiandomi la
battuta sui testimoni
di omicidio che mi attraversa la mente, e mi sforzo di ricambiare il
sorriso.
“Ehm…
Emozionante,” balbetta Tom, insolitamente diplomatico.
Georg annuisce e basta. Saggia decisione.
“Scioccante,”
rispondo io, senza riuscire a tenere del tutto
a freno il sarcasmo. “Una vera sorpresa.”
Michelle mulina la lunga chioma
bionda e ci fa cenno di
seguirla in casa.
“Venite,”
gorgoglia radiosa. “Aspettavamo solo voi!”
Ci guida attraverso un corridoio
pavimentato con un
elaborato motivo di mosaico e noi la seguiamo come cani al guinzaglio.
Sembra
veramente di essere sulla via del patibolo.
Alla fine il corridoio sbocca su
un’ampia sala,
completamente illuminata dalla forte luce del sole che entra in
abbondanza
dalle grandi vetrate che danno sulla piscina.
Evviva, la mia emicrania è destinata a peggiorare drasticamente! Mi è anche toccato togliere gli occhiali da sole, e se non l'avessi fatto io, le due amebe comotose che mi accompagnano nemmeno si sarebbero scomodati a pensarci.
Gustav è seduto sul
lunghissimo divano scamosciato e ci
saluta con un cenno della mano. Non ha un’aria
particolarmente rilassata.
In piedi poco lontano, un uomo
corpulento in abbigliamento
formale (presumibilmente il signor Keller) sta conversando con una
donna sulla
quarantina dalla vistosa acconciatura rossa che indossa un tailleur
pantalone
che sembra essere stato sfornato di fresco da una boutique di Gucci.
“Papà!”
chiama Michelle, introducendoci. “Ecco qui gli amici
di Gugu: Bill, Georg e Tom,” Ci spinge in avanti in modo un
po’ troppo ansioso,
ed è un miracolo che Georg non inciampi nel tappeto.
“Ragazzi, lui è Michael
Keller, mio padre.”
Keller ci osserva tutti
dall’alto con un’espressione strana.
Per la verità non ha affatto espressioni, nemmeno quando ci
stringe la mano,
borbottando qualcosa che non riesco ad afferrare, ma che suppongo sia
da
interpretare come ‘piacere’.
Quest’uomo incute timore e
soggezione in modo raggelante.
Intanto non mi è sfuggito
il fatto che Gustav abbia storto
il naso nel sentirsi chiamato in quel modo ridicolo dalla sua adorabile
fidanzata. Un altro argomento che poterò a sostegno della
nostra tesi quando
dovremo farlo tornare con i piedi per terra.
“E questa è
Leila Strauss,” prosegue Michelle, indicando la
donna. “Sarà lei ad occuparsi di qualunque
dettaglio tecnico delle nozze, dalla
cerimonia fino al banchetto.”
Leila Strauss ci porge una mano con
una manicure perfetta.
“Lieta di
conoscervi,” dice in tono annoiato. La sua
stretta di mano è fiacca come la sua voce.
Ci squadra uno ad uno accigliata,
come se si trovasse
davanti ad una nuova specie mai vista, gli occhi azzurri e penetranti
che
sembrano intenzionati ad esplorare ogni centimetro, visibile e non,
delle
nostre persone.
“A semplice titolo
informativo,” riprende compunta,
sollevando un sopracciglio disegnato. “Cos’avete
intenzione di fare?”
Oh, merda. Come fa a saperlo?
Possibile che sia così
evidente? Cazzo, doveva essere una guerra fredda, senza spargimenti
di…
“Avete intenzione di
partecipare alla cerimonia con quei
capelli?”
Capelli? È di questo che
parlava? Quindi non siamo stati
scoperti!
“Che cos’hanno i
nostri capelli che non va?” domanda Tom, un
po’ sgarbato, e, onestamente, lui è
l’ultimo dei tre che può permettersi di
porre un interrogativo come questo. Quei rasta ormai sono fossili.
“Non ci facciamo un bel
niente!” segue Georg, toccandosi
protettivamente la coda che ha sulla nuca.
Leila si ravvia i capelli, facendo
tintinnare i molti
bracciali d’oro che porta al polso, senza nascondere il
proprio disappunto.
“Ah, giusto,”
replica con una specie di smorfia. “Avevo
dimenticato che siete delle rockstar. Pazienza, troveremo una
soluzione.”
Una soluzione per
cosa,
di grazia?
Questa messinscena ridicola deve
finire, e al più presto.
“Sono spiacente, ma ora
devo lasciarvi,” si scusa poi Leila, raccogliendo
una borsa di pelle dal divano. “Ho molte cose di cui
occuparmi.”
“Venga,”
interviene Michelle prontamente. “La accompagno
alla porta.”
“Lieta di avervi conosciuti
tutti quanti,” saluta Leila, ma
non c’è la minima traccia di
espressività nelle sue parole. “Arrivederci,
signor Keller, è stato un piacere.”
Keller riesce a restituirle un
‘altrettanto’, poi il suo
cellulare si mette a squillare e lui si congeda in fretta,
rinchiudendosi a
parlare nella stanza attigua.
Leila sta per seguire Michelle fuori
dalla stanza, quando sembra
ricordarsi improvvisamente di qualcosa.
“Oh, signor
Schäfer, quasi dimenticavo,” si volta verso
Gustav, sempre impassibile. “Domani le manderò la
mia assistente Almila a sbrigare un
paio di informalità noiose, ma necessarie alla buona
riuscita del matrimonio,”
Sfila un palmare da una tasca della borsa e comincia a digitarci sopra
con
l’apposito pennino. “Le va bene domani mattina alle
dieci?”
Gustav batte le ciglia, evidentemente
preso in contropiede.
“Beh, suppongo si possa
fare,” mormora. “Avrei dovuto
rivedere gli arrangiamenti per un paio di nuovi brani,
ma…”
“Perfetto,” lo
interrompe Leila, sbrigativa. “Arrivederci
allora, e ancora congratulazioni per il fidanzamento.”
Gustav esibisce un sorriso tirato, e
le due finalmente se ne
vanno, parlottando tra loro di location adeguate. Non chiedetemi a cosa.
Rimasti soli, io, Tom e Georg ci
giriamo verso Gustav incrociando
le braccia e lui si lascia cadere indietro contro il morbido schienale.
“Per favore, non una
parola.” Ci supplica ad occhi chiusi,
apparentemente esausto.
Ecco, è così
che è destinato a finire, se sposa questa
piccola strega boccoluta. Dovrebbe solo rendersene conto, sarebbe un
gran bel
passo avanti.
“Solo una cosa,”
dice Georg, facendosi avanti con un
sogghigno malcelato. “Crudelia Demon era proprio
necessaria?”
Gustav gli alza un dito medio senza
nemmeno aprire gli
occhi. Tom e io ci scambiamo un’occhiata divertita, ma non
troppo. Le cose si
stanno facendo serie e il tempo vola, urge passare all’azione.
Bene, credo proprio che domani
mattina andremo da Gustav a
ficcare un po’ il naso. Chissà se questa
assistente è uguale alla deliziosa
Leila.
__________________________________________________________________________________
A/N:
grazie della calorosissima accoglienza a tutti quanti, è
bello essere di nuovo in pista. Un grazie soprattutto a valux91 (i punti di
vista dei capitoli sono specificati all'inzio!), L_Fy (mia adorata,
è sempre bello ritrovarti tra i miei recensori! Quando posti
qualche TokioHotellica novità anche tu?), bluebutterfly (il
tuo commento mi ha dato alla testa, sappilo, sono compiacuta come un
Bill con in mano un premio nuovo fiammante), loryherm (graziegraziegrazie,
sei sempre la migliore!), SiSi
(sì, il nostro amato Gustav si chiama proprio
così. tra lui e Georg, hanno dei nomi impegnativi!), NeraLuna (mi metto
in ginocchio da quanto ti sono grata per i complimenti), Lidiuz93 (lol, no,
non andrà esattamente così, ma quasi!), dark_irina (resto in
ginocchio anche per te! Danke!), darkettone
(e grazie anche a te! Spero di essere stata all'altezza delle
aspettative), e poi le mie Anime Gemelle #1 e #2, starfi e sakura_kinomoto (vi
adoro, leute!) e le mie stimatissime e adoratissime colleghe MS, RubyChubb, CowgirlSara e _Princess_. Un bacio
a tutti!
P.S. per chi se lo domandasse, Iwen sta per Ich Weiss Es Nicht, che, per l'appunto, significa Non lo So in tedesco.
|
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Capitolo 3 *** I Guai Non Vengono Mai Soli ***
[ GUSTAV ]
Va tutto
bene.
Va tutto
armoniosamente, splendidamente bene.
Ho un
matrimonio che
si avvicina, una fidanzata con la mania delle cose in grande e tre
amici fuori
di testa che non sembrano troppo entusiasti dei primi due punti, ma non
è un
problema. Tutto va alla perfezione.
Mi passo
una mano
sulla fronte, sospendendo per un attimo il mio giro di flessioni
mattutine. Le
temperature sono già discretamente elevate per essere solo
maggio, e anche se
sono sul terrazzo e indosso solo un paio di bermuda, mi sembra di
scoppiare dal
caldo.
Michelle
è al lavoro
(se lavoro può chiamarsi fare la PR per conto del proprio
padre), e questo
significa che ho circa un’oretta per prepararmi prima che
arrivi questa
famigerata assistente.
Com’è
che si
chiamava? Almila, mi pare. Che strano nome.
Già
mi figuro una
Leila un po’ più giovane ma ugualmente snob che si
presenta in tenuta griffata
fino ai denti e trucco raffinatamente pesante.
Dio, che
incubo!
Prima di
riprendere
con le flessioni, credo di aver bisogno di una botta di liquidi e sali
minerali, quindi vado in cucina e mi tiro fuori del succo
d’arancia, bevendo
direttamente dal cartone. Michelle lo odia, ma occhio non vede, cuore
non
duole. Tanto lei nemmeno beve questa roba piena di pericolosissimi
zuccheri.
Sono
sudato come se
avessi corso la Parigi-Dakar in tre minuti, ma se non altro ho appena
dimostrato che il nuovo deodorante funziona, e anche bene. Lo devo
consigliare
a Tom.
Mi
tampono il viso
con la salvietta, pronto a terminare la sessione di esercizi, quando
sento
suonare alla porta. Sarà il postino.
Vado ad
aprire con
calma, psicologicamente pronto ad incassare la solita mazzata di
bollette ed
estratti conti della banca (il novanta per cento dei quali indirizzati
a
Michelle), ma non è la solita faccia del postino che mi
ritrovo davanti.
È
una ragazza di età
indefinibile, vestita in un modo che Bill definirebbe ‘Tripla
S’: sciatto,
scialbo, squallido, che mi guarda da dietro le lenti di un paio di
occhiali
rettangolari. Regge tra le braccia esili una gran quantità
di materiale
cartaceo e su una spalla porta una borsa nera da computer portatile.
Che sia
una
testimone di Geova?
No,
troppo
malvestita.
“Buongiorno,
signor
Schäfer,” dice con un sorriso che forse dovrebbe
apparire professionale, ma che
nasconde una timidezza piuttosto evidente. “Sono
l’assistente della signora
Leila Strauss.”
È
molto rossa in
viso e sembra non sapere bene dove guardare, così mi viene
in mente che sono a
torso nudo e discretamente sudato. A mia difesa posso dire che se fosse
arrivata
all’orario prestabilito, quest’imbarazzante
inconveniente si sarebbe evitato.
Cosa ci
fa qui così
presto?
“Ah,
piacere,”
biascico, preso in contropiede, e la invito ad entrare.
“Scusa se mi presento
così, ma ti aspettavo per le dieci.”
Lei si
blocca nell’ingresso,
pietrificata, e solleva il polso destro per controllare
l’orologio.
“Oh,
accidenti!”
impreca, battendo un piede a terra. “Avevo dimenticato che la
mia sveglia è
avanti di un’ora!”
Si scosta
una ciocca
di capelli biondi dal viso, ma dubito che la matita che le fissa lo
chignon
molle sulla nuca tratterrà gli altri ancora a lungo.
“Sono
desolata,” si
scusa, assennata. “Davvero, torno tra un’ora, non
volevo disturbarla…”
Cerco di
allentare
il suo disagio con una breve risata rassicurante.
“Ma
no, figurati,
stavo solo facendo un po’ di esercizio.”
Lei
azzarda uno
sguardo fugace e mi squadra di sotto in su, come per dire
‘Questo lo vedo’.
Potrei sbagliare, ma ora non sembra poi così disturbata
dalla mia relativa
nudità.
“Allora…
Almila,
giusto?” le chiedo, temendo di ricordarmi male, ma lei
annuisce. Bene. “Hai un
nome molto esotico.” Osservo, facendole strada attraverso
l’attico.
Lei mi
segue,
guardandosi intorno curiosa e quasi rovina a terra, inciampando nel
tappeto del
salotto.
“In
realtà Almila è
il mio cognome.” Dice, recuperando in fretta
l’equilibrio. Io mi volto stupito.
“E
il tuo nome
allora qual è?”
Lei esita.
“Suometar.”
Risponde, mentre le cedo il passo per entrare in cucina. Io aggrotto la
fonte,
non del tutto certo di aver compreso.
“Eh?”
“Sì,
sì, lo so,” fa
lei, appoggiando la tonnellata di fascicoli che tiene tra le braccia
sul tavolo
con un sospiro di sollievo. “Suona abbastanza assurdo qui. Il
fatto è che sono
di origini finlandesi.”
“Capisco,”
Dev’essere
qui da sempre, perché non c’è la minima
traccia di accento nella sua parlata. In
compenso il suo nome mi risulta comunque incomprensibile.
“Potresti ripeterlo,
per favore?”
“Suometar.”
Scandisce lei, più lentamente.
“Suometar,”
Me lo
ripeto un paio di volte a mente, ma già so che tra un
istante me lo sarò
dimenticato. “Non me lo ricorderò mai. Posso
chiamarti Tari?”
Lei
comincia a
dividere la roba che ha portato in piccole pile e fa cenno di
sì con la testa.
“Certo,
signor
Schäfer.”
Ancora
con questo signor Schäfer?
Vuole per caso farmi sentire
vecchio prima del tempo?
“E
tu potresti
chiamarmi Gustav, magari?” suggerisco speranzoso, ma lei mi
getta un’occhiata
oltraggiata.
“Ah,
no, è fuori
discussione, mi spiace,” decreta compunta. “Leila
mi licenzia in tronco se
dimostro troppa confidenza con i clienti, soprattutto con quelli del
suo
calibro, e la sua lista di moventi per la mia esecuzione è
già abbastanza
lunga.”
“Prego?”
“Sono
una maldestra
senza speranze,” spiega lei, in tono sconfortato.
“Sono da Leila per uno stage
e farle da assistente è un incubo, ma se passo questo
periodo di prova, verrò
assunta regolarmente.” Appoggia delicatamente la borsa sul
quadrato di tavolo rimasto
sgombro e la apre. “Purtroppo sono un vero disastro e sembra
che io non ne
combini una giusta.”
“Suvvia,
non puoi
essere così terribile.” Sdrammatizzo io.
“Vuole
sapere perché
Leila si è comprata una nuova Mercedes?”
Veramente
non è che
la cosa mi interessi – anche perché sono troppo
occupato a chiedermi cosa sia
tutto quel materiale che ha sparso in giro – ma suppongo si
tratti di una
domanda retorica.
“Perché?”
“Perché
quella che
aveva prima aveva un minuscolo graffietto sul fianco e lei mi ha
chiesto di
farla riverniciare con un nuovo colore, perciò io ho faxato
alla concessionaria,
ma anziché il codice del nuovo colore, ho lasciato quello di
quello vecchio,
così Leila si è ritrovata nuovamente con una
Mercedes color champagne, e
ovviamente il color champagne è out, quindi non ne ha
più voluto sapere di
rivederla.” Tari si lascia cadere su una delle sedie del
tavolo, come se il
semplice ricordo la stremasse. “L’ha venduta e se
n’è comprata una nuova, non
senza sottopormi ad una massacrante tirata di rimproveri.”
Se non
avessi
conosciuto personalmente Leila Strauss, penserei che stia gonfiando un
po’ la
storia, ma devo dire che effettivamente non mi riesce difficile
immaginare
quella donna dare in escandescenze per un inezia simile. A dire il vero
mi
vengono i brividi solo a pensarci.
“Certo,”
dice
solidale. “Capisco.”
Tari si
porta un
ciuffo vagante dietro all’orecchio e si mette a picchiettare
sulla tastiera del
portatile, ma quasi subito il suo viso si contrae spiacevolmente.
“Accidenti,
ho
dimenticato di caricare le batterie!” geme lamentosamente.
Perché
ho la
sensazione che questa mattinata sarà molto lunga e sfibrante?
“Puoi
alimentarlo a
corrente, se vuoi,” soggiungo. “Ecco,”
Tolgo il mio cellulare dalla presa in
cui è in carica. “Puoi attaccarlo qui.”
“La
ringrazio.”
Mormora lei, e, dopo aver estratto un cavo dalla borsa, comincia a
dipanarlo da
una parte all’altra della stanza.
Sto per
chiederle se
posso offrirle qualcosa, ma proprio in questo momento il campanello
suona di
nuovo.
“Faccia
pure,” mi
dice lei, trafficando goffamente con una serie di dispositivi USB.
“Io intanto
sistemo qui.”
“D’accordo.”
La lascio
sola, un
po’ preoccupato per cosa potrebbe accadere in mia assenza, e
vado alla porta.
Sarà
davvero il
postino, stavolta.
“Buongiorno,
principessa!” Mi salutano tre voci fresche e pimpanti.
No, non
è il
postino.
[ TOM ]
Non
riesco a fare a
meno di sogghignare quando la porta si apre: adoro fare questo tipo di
sorprese
scioccanti. Gustav ci guarda a bocca aperta, palesemente colto di
sorpresa. È a
torso nudo e abbastanza sudato, e mi viene da domandarmi
perché, visto che
Michelle è in ufficio, a quest’ora, e
l’assistente di Leila dovrebbe arrivare
solo tra mezz’ora.
Wow, vuoi
vedere che
il bravo ragazzo per eccellenza ha già un’amante?
E non si è nemmeno ancora
sposato! Ah, sono così fiero di lui!
“E
voi tre cosa ci
fate qui?” domanda dopo qualche secondo di comprensibile
smarrimento.
“Oh,
beh, sai…” Bill
si stringe nelle spalle ed esibisce uno dei suoi sorrisi innocenti che
fanno la
felicità di qualunque donna e anche di diversi uomini.
“Siamo capitati nei
paraggi e abbiamo pensato di passare a farti un salutino.”
“Abitate
dall’altra
parte della città,” puntualizza Gustav seccamente.
“Come diavolo potevate capitare nei
paraggi?”
“Il
mondo è piccolo,
sai?” ribatto io, anche se non possiedo nemmeno un briciolo
dell’innata
innocenza di Bill. Gustav però non demorde.
“E
di solito a
quest’ora siete incollati ai rispettivi cuscini.”
“Siamo
caduti dal
letto.” Insiste mio fratello.
“Non
vi sareste
svegliati comunque.”
Oh, ma
insomma,
quant’è pignolo! Non è molto carino da
parte sua trattare così dei cari amici
che si preoccupano tanto per lui e per il suo futuro.
“Quanto
sei
scortese, Gugu!” lo rimbecca Georg, guadagnandosi
un’occhiata assassina.
“Non
mi chiamare mai
più in quel modo.”
“Michelle
sì e io
no?” Georg fa una faccia offesa. “Brutto
cattivone!”
“Tu
non sei la mia
fidanzata.” Specifica Gustav a denti stretti. Non sembra poi
così felice di
vederci. Chissà come mai.
Georg
sorride
sornione.
“È
una proposta?” Si
porta le mani al cuore con fare teatrale. “Gustav, non vorrei
ferirti, ma lo
sai che ci tengo alla nostra amicizia…”
“Zitto,
cretino,” Gustav
lo afferra per un braccio e praticamente lo scaraventa
all’interno dell’attico.
“Venite dentro, muovetevi.”
Noi,
obbedienti,
entriamo. La casa è silenziosa e sembra tutto in ordine, ma
con questo ragazzo
non si può mai dire. Il bello di avere la reputazione
dell’angelo del gruppo è
che nessuno sospetta mai che tu possa combinare qualcosa di losco, ma a
me non
la si fa.
“Gustav,
posso farti
una domanda intelligente e molto sensata?”
“Non
ne saresti in
grado.”
Georg e
Bill ridono.
Io faccio dignitosamente finta di non aver sentito.
“Perché
sei mezzo
nudo e sudato?”
“Stavo
facendo un
po’ di esercizio.”
“Ah,
certo,”
annuisco io. “Lei chi è?”
Gustav,
come da
manuale, fa lo gnorri.
“Lei
chi?”
“Quella
con cui
stavi facendo esercizio,”
chiarisco
io, ammiccando. “Abbiamo interrotto qualcosa?”
“Sì,
la mia
conversazione con Tari.”
“Chi?”
domandiamo
io, Bill e Georg all’unisono.
Una
misteriosa
sconosciuta! Lo sapevo! Lo sapevo!
Quando
sbuchiamo in
cucina, scorgo una ragazza seduta al tavolo, con aperti davanti una
mezza
dozzina di cataloghi e un portatile. Non sembra in condizioni fisiche
compromettenti.
“Abbiamo
visite.” Le
annuncia Gustav, e lei alza lo sguardo, per poi alzarsi in piedi in
modo non
proprio aggraziato.
Questa
sarebbe lei?
Non
è esattamente il
tipo di ragazza con cui intavolerei una torrida relazione clandestina,
ma
sinceramente nemmeno una conversazione di cortesia.
Non
è molto alta,
una spanna meno di Gustav, e spaventosamente pallida. Gli occhiali
dalla
sottile montatura metallica non riescono a nascondere le profonde
occhiaie che
le segnano i contorni degli occhi di uno strano grigo-verde, il viso a
forma di
cuore è leggermente scavato nelle guance, mentre gli zigomi
risaltano
particolarmente. Ad occhio e croce le darei venticinque anni, forse
ventisei,
ma il suo abbigliamento casual è troppo trasandato per una
così matura. Forse,
con molto ottimismo, potrebbe risultare vagamente carina con un
po’ di trucco
ben studiato e magari una camicia che non sia di un così
infelice color giallo
canarino che la sbatte tanto.
Ci
sarebbe solo un
dettaglio insignificante che mi preme sapere: chi diavolo è?
Fortuna
che Gustav
sembra intuire i punti interrogativi dipinti a caratteri cubitali sulle
nostre
facce.
“Ragazzi,
lei è l’assistente
di Leila.”
Ah. Ma
non doveva
arrivare alle dieci?
La
ragazza si fa
avanti timidamente, inciampando nel cavo del portatile e scampando per
miracolo
un bel ruzzolone a terra, e ci stringe educatamente la mano in un modo
un po’
impacciato.
“Suometar
Almila,
piacere.” Si presenta, ma io non riesco a decifrare il nome,
e Bill e Georg non
sembrano molto più convinti di me.
“Come,
scusa?”
Lei
sospira, come se
fosse abituata a questa perplessità, e francamente non
stento a crederlo.
“Suometar,”
Ripete
paziente. “Tari, se preferite.”
“Sì,
grazie,
preferisco,” approvo io, mentre ricambiamo le presentazioni.
“Che diavolo di
nome è?”
Lei
arrossisce.
Mmm,
forse dovrei
rivedere un po’ i miei approcci con gli sconosciuti. Ho idea
che ‘Che diavolo
di nome è?’ potrebbe sembrare un po’
troppo aggressivo e maleducato, a primo
impatto, ma forse mi sbaglio.
“Finlandese,”
spiega, e, di nuovo, ho l’impressione che anche questa parte
sia abituata a replicarla
più e più volte. “Nella mitologia
scandinava, Suometar è la figlia umana della
Finlandia.”
Però,
mica male.
Chissà se anche la Germania ha una figlia umana.
Esteticamente decente, magari.
“Wow,”
fa Bill, gli
occhi che si illuminano. “Questo spiega tutto, anche questi
tuoi lineamenti
così spigolosi.”
Tari
abbozza un sorriso
nervoso.
“Lei
dice?”
Gustav
pare in piena
fase rimuginativa: si vede lontano anni luce che sta cercando di capire
cosa
siamo venuti a fare qui a quest’ora, per noi normalmente
notturna, a seminare
il caos per il suo perfetto loft da mezzo milione di euro. Non penso
che possa
arrivare ad intuire il nostro attentato di sabotaggio matrimoniale.
“Puoi
anche darci
del tu.” Si intromette Georg, con tutta la mia approvazione.
“Ah,
non ci
contare,” interviene Gustav. “Vi
chiamerà signor Listing e signori Kaulitz a
vita.”
“Mio
padre è il
signor Kaulitz!” esclama Bill, inorridito. “Io sono
Bill!”
“E
io la fata
turchina.” Borbotto io, sospirando, poi mi dirigo al tavolo
della cucina e mi
metto a curiosare tra la roba che c’è sopra.
“La
prego, non
tocchi niente!” Tari corre verso di me e mi sottrae da sotto
al naso un’agenda
elettronica prima che io la possa toccare. Io la guardo confuso e le
sue guance
si tingono di un rosa acceso. “Mi dispiace,”
balbetta, imbarazzata. “È che ho
assoluto bisogno che le mie cose restino in un ordine preciso e
rigoroso,
quindi preferirei che nessuno a parte me le toccasse.”
Ho
capito. È una di
quelle pazze psicotiche con l’ossessione
dell’ordine. Va bene, assecondiamola.
“Scusami.”
Mi faccio
rispettosamente da parte e lascio che lei posi nuovamente il palmare
tra le
varie scartoffie, gran parte delle quali costituite da depliant e
riviste di
matrimoni. Non me ne accorgo subito, ma parecchie immagini raffigurano
l’Italia, e la homepage aperta sullo schermo del portatile
mostra un primo
piano molto suggestivo di una panoramica su Milano, ed i link sono
tutti in
italiano.
Ti prego,
fa’ che
non abbiano intenzione di sposarsi in Italia!
Un conto
è mandare
all’aria un matrimonio giocando in casa, un altro
è doversi muovere in campo
straniero e ritrovarsi così in doppia difficoltà.
“Ehm,
Gustav,” Mi
sfrego dubbioso il mento, quasi temendo di chiedere. “Vi
ispirerete all’Italia
per le decorazioni e tutto?”
Qualcosa
mi dice che
ho toccato un tasto dolente, perché lui assume
un’espressione afflitta e si
passa una mano tra i capelli umidi.
“Michelle
ha sempre
sognato di sposarsi nel Duomo.”
“Il
duomo di
Magdeburgo?” fa Georg, stupito. Gustav sospira.
“Macché
Magdeburgo. Quello
di Milano!”
Ti
pareva. La legge
di Murphy non sbaglia mai: se qualcosa può andare male, lo
farà.
Questo
costituisce
una potenziale, drammatica complicazione.
“Organizzeremo
là
gran parte delle cose,” spiega Tari, in tono efficente.
“Verso metà giugno
andremo sul posto a sistemare tutto.”
Rettifico:
questo
costituisce una drammatica complicazione.
Mettiamo
caso, per
assurdo, che non dovessimo riuscire a trovare un piano efficace per
uccidere
Michelle e farla franca: dovremmo trovare allora il modo di seguire
questo
disastro ambulante di ‘Gugu’ fino a Milano e
perseguire là la nostra causa.
Beh,
forse non
sarebbe poi così male, no? Voglio dire, stiamo parlando
dell’Italia, e a
giugno, per giunta! Ci saranno migliaia di ragazze in minigonne e top
scollati
in giro per la città, e anche i locali ne
pulluleranno…
No! Tom,
controllati.
Sono un
buon amico,
devo pensare al bene di Gustav prima che alla soddisfazione dei miei
pur
fondamentali bisogni. Se riusciamo a non arrivare fino a Milano
è meglio.
Getto uno
sguardo a
Bill e Georg e, se il primo sembra solo ed esclusivamente preoccupato,
il
secondo ha tutta l’aria di pensarla come me, per filo e per
segno.
Non che ne dubitassi, comunque.
“Quindi,” Georg
si schiarisce la voce, facendosi avanti a
braccia conserte. “Ci sarà una trasferta di massa
per il gran giorno?”
Tari si spinge gli occhiali sul naso
ed annuisce.
“In effetti,”
dice. “È sostanzialmente per questo che sono
qui.” Scocca uno sguardo a Gustav, poi riporta la propria
attenzione su Georg.
“La signorina Keller ha espressamente richiesto il pieno
coinvolgimento del
signor Schäfer nei preparativi, e siccome Leila si
occuperà della sposa, io
seguirò lo sposo.”
Lo sposo. Suona veramente disgustoso.
Soprattutto se penso a
chi è associato quel ‘la sposa’.
Gustav, amico mio, vedrai che ti
caveremo da quest’impiccio
in cui tu stesso ti sei masochisticamente invischiato.
Raggiungo Georg al tavolo e mi piazzo
davanti a lei, le mani
poggiate sul bordo.
“Sono invadente se ti
chiedo quanti anni hai?”
Lei si irrigidisce e, con la coda
dell’occhio, vedo Bill
passarsi sconsolato una mano sul viso, ed è come se potessi
leggere
telepaticamente i suoi pensieri: ‘No, Tomi, figurati,
invadente tu?’
Scuote il capo incredulo, ma io lo
lascio perdere. Trovo
molto più costruttivo molestare la qui presente assistente
del demonio, la
quale si rifiuta categoricamente di alzare gli occhi dal monitor.
“Lei quanti me ne
da?”
Risposta audace, per una piccola nerd.
Un punto per lei.
Mi sporgo in avanti e mi metto a
studiarla attentamente,
valutando ogni suo tratto.
“Non saprei,”
rispondo, vago. “Venticinque?”
L’intenso rossore che le
compare sulle guance mi dice che
non è la risposta esatta, ma sarà più
giovane o più vecchia?
“Ne ho ventidue.”
Leggasi: la mia età. Mi
dispiace per lei, però: non ha
affatto l’aspetto fresco e rilassato che dovrebbe avere una
ragazza così
giovane. Sembra addirittura un po’ malaticcia.
“Non dovresti essere
all’università, alla tua età?”
La sua fronte si corruga lievemente,
ma la sua espressione
resta pressoché inalterata.
“Anche lei, se è
per questo.”
Sento Bill che ridacchia alle mie
spalle e Georg, alla mia
sinistra, sta lottando per trattenersi. Due a zero per lei.
“Comunque, se la cosa la
può rassicurare,” aggiunge Tari.
“Sono iscritta ai corsi di Mediazione Linguistica
dell’Università di Berlino.”
“E cosa studi?”
indaga Georg.
Tari sembra un po’
scocciata dalla nostra presenza e non fa
che occhieggiare Gustav ogni volta che uno di noi le rivolge la parola,
ma lui
non sembra cogliere il messaggio. Secondo me sotto sotto è
ben lieto di questa
nostra intrusione e ci tollera volentieri, pur di non doversi sorbire
questa
cavolate sulle nozze.
“Inglese, Italiano e da
quest’anno Spagnolo, con affini
culture.”
“Forte!” commenta
Bill, con il suo solito, incontenibile
entusiasmo verso qualunque cosa. “Parli anche il Finlandese,
però, vero?”
“Luonnollisesti minä osaan suomea.”
Risponde lei, disinvolta.
Bill
le sorride.
“Lo
prendo per un sì.”
“Secondo
me ti ha detto di andare
a quel paese.” Lo stuzzica Georg.
“Anche
secondo me.” Gli faccio
eco.
“Ragazzi,”
ci interrompe Gustav.
“Lasciatela in pace, non vedete che le state facendo perdere
tempo?”
Mi
chino verso di lei al di sopra
del tavolo e le chiedo tutto preoccupato:
“Ti
stiamo facendo perdere tempo,
Tari?”
Noto
che lei si fa sempre più
concentrata sul suo sito, ma quelle piccole increspature sulle sue
labbra si
direbbero proprio le conseguenze di un sorriso represso.
“Effettivamente
dovrei illustrare
al signor Schäfer diversi dettagli….”
“Fantastico!”
approvo, mostrandomi
partecipe. “Illustrali anche a noi!”
“Ma
veramente…”
“Siamo
i testimoni,” proclama
Georg. “Vogliamo essere coinvolti anche noi!”
Tari
boccheggia in direzione di
Gustav, quasi sperasse in una sua smentita, ma lui non fa altro che
spingerci
via, afferrare una sedia e mettersi accanto a lei, imbronciato.
“Togliamoci
il pensiero.”
Perfetto.
Ora entreremo in
possesso di preziose informazioni riservate che ci saranno utilissime
per
l’elaborazione del nostro piano.
Mentre
Tari mostra a Gustav alcune
delle location che ci sono in lizza per il banchetto, a me viene
un’idea
geniale, talmente geniale che mi stupisce che non l’abbia
avuta prima.
Questo
dannato matrimonio ha i
giorni contati.
___________________________________________________________________________
A/N: sono
di frettissima, quindi ringrazio ancora una volta tutti voi che leggete
e soprattutto commentate, sono davvero felice che la storia vi stia
piacendo. La frase in Finlandese che dice Tari significa "Naturalmente
parlo Finlandese", e non so proprio spiegarmi come Bill possa non aver
compreso!
Le recensioni sono sempre le benvenute, qualunque osservazione abbiate
da fare per me è preziosa, quindi se vorrete rendermene
partecipe ve ne sarò grata.
Tschüss Leute, bis zum nächsten Mal!
|
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Capitolo 4 *** L'Idea Geniale ***
[ BILL ]
“Dobbiamo
trovare un
bel bocconcino appetitoso per Gustav.” Dichiara Tom,
addentando un trancio di
pizza come se fosse a digiuno da mesi.
“Pensi
non si nutra
adeguatamente?” domando, la schiena appoggiata alla tonda
pancia di Iwen, che
siede dietro di me con aria molto tediata. Come lo capisco.
Io, lui,
Tom e Georg
siamo spaparanzati sul divano a guardare The Wedding Planner, in cerca
di
spunti interessanti per il nostro progetto estremo, con una teglia di
pizza
gigante davanti e una scorta epocale di coca cola e birra.
La cena
ideale.
Anche se
sono quasi
le undici e tecnicamente quella che doveva essere la nostra cena giace
miseramente
carbonizzata nel lavandino. Causa della combustione una certa Karin, che
ha
telefonato a Georg nel bel mezzo della cottura e lui ha dovuto per
forza andare
a parlare nell’altra stanza, abbandonando così lo
spezzatino sul fuoco. Tutto
questo per dare il benservito a Karin in dieci sillabe nette.
Sta di
fatto che ora
ce ne stiamo qui a strafogarci beatamente di deliziose schifezze, anche
se
l’intrattenimento è a dir poco scadente.
Anzi,
questo film è
una noia, se proprio lo devo dire.
J.Lo e il
suo
fondoschiena latino dovrebbero fare visita a qualche palestra, di tanto
in
tanto, giusto per evitare di obliare ogni altra cosa che tenti di
apparire
sullo schermo assieme a loro.
“Ma no, scemo!” sbotta Tom, con un rutto dalla
straordinaria finezza. “Una
ragazza!”
Georg
apre una
lattina a caso e ingurgita una lunga sorsata di birra.
“Ce
l’ha già una
ragazza,” ricorda a Tom. “È proprio
questo il nostro problema, ricordi?”
“Per
questo dobbiamo
trovargliene una nuova!” rincara Tom, accalorato.
“In questo film il
protagonista sta per sposarsi, ma alla fine salta tutto
perché si riscopre
innamorato della ragazza che gli ha organizzato il
matrimonio!”
“Ecco,
grazie, mi
hai rovinato il finale.” Si lamenta Georg.
“Gustav
non si
innamorerà mai di Leila!” sentenzio saggiamente.
Adoro puntualizzare ovvietà.
Il
grugnito ironico
di Tom si sovrappone ad uno strillo isterico proveniente dalle casse
dell’home-theatre: J.Lo ha un tacco incastrato in un tombino
e sta per essere
investita da un cassonetto in discesa libera.
“Non
intendevo
Leila.”
“E
di Tari tanto
meno.” Mi permetto di osservare, urtato dal ricordo
raccapricciante del pietoso
stato in cui versava l’immagine di quella poverina.
“Gente,
sveglia,”
biascica Tom a bocca piena, i piedi graziosamente appoggiati al
tavolino. “Il
film era solo una metafora per farvi capire il mio
ragionamento.”
“Il
tuo cosa, scusa?”
“Chiudi
quella fogna,
Georg!
Forse – e dico forse
– però Tom non è proprio un deficiente
completo. Non ha tutti i torti, infondo.
Magari se Gustav trova una ragazza più adatta a lui,
rinsavisce e si rende
conto di quello che sta facendo, vale a dire un’immane
cazzata.
C’è anche da
dire che se è riuscito ad arrivare fino a
questo punto, probabilmente ha qualche grosso problema da risolvere a
monte.
Tipo: se fosse sadico e non lo sapesse? Il sadismo spiegherebbe la
perversione
del suo stare bene con Michelle. E anche il fatto che si alzi di prima
mattina
per fare le flessioni.
Dai, nessuna persona normale farebbe
mai l’una o l’altra
cosa, figuriamoci entrambe!
Sto cominciando a sbocconcellare la
mia seconda fetta di
pizza quando il telefono comincia a squillare.
“Rispondete.”
Dico, voltandomi verso Georg e Tom. Georg a
sua volta si volta verso Tom.
“Rispondi.”
Senza scontarci un sonoro ruggito di
lamentela, Tom allunga
alla cieca la propria mano verso il telefono che gli sta accanto ed
attiva il
vivavoce.
“Chi è che rompe
i coglioni?” ringhia nel bel mezzo della
masticazione.
Viva la cortesia. Se è la
mamma è fritto: l’ultima volta che
l’ha beccato a sputacchiare volgarità, gli ha
tagliato un rasta. Fortunatamente
ci vede di rado, o Tom sarebbe condannato a restare pelato per il resto
della propria
vita, e secondo me anche per quelle future.
“Tom, tagliati la
lingua.” replica seccamente la voce di
Gustav.
Mmm, devo parlare alla mamma di
quest’alternativa ai rasta.
Con un gesto rapido tolgo
l’audio al film, incuriosito da
questa chiamata..
Che cavolo vuole a
quest’ora?
“Ciao, Gugu!”
salutiamo Georg ed io all’unisono. Il diretto
interessato ci manda serenamente a faci fottere.
“Hai interrotto il nostro
momento di solenne raccoglimento
spirituale, lo sai?” fa Tom, deglutendo mezzo trancio in una
volta.
“Se tutto va
bene,” sbuffa Gustav. “Siete in panciolle sul
divano a divorare pizza davanti ad un film stile Matrix.”
Ci fermiamo tutti e tre a fissare per
un paio di secondi lo
schermo della tv su cui campeggia un primo piano abbastanza sconvolto
di miss
Lopez e ci guardiamo con un certo imbarazzo. Sarebbe uno scoop da
record se un
giornalista ci beccasse adesso: ‘I
Tokio
Hotel si danno alle commedie romantiche in compagnia di un coniglio
rosa
gigante!’
Tom dovrà lavare il bagno
per un mese per averci convito a
sorbire questa schifezza su dvd.
“Ne hai beccate due su
tre.” Si complimenta Georg, ma è
inutile che facciamo finta di niente, è virilmente umiliante
sapere cosa in
realtà stiamo guardando.
Improvvisamente mi viene in mente
che, mentre noi ci
abbuffiamo, c’è qualcun altro che non ha ancora
avuto la cena.
“Ragazzi,”
piagnucolo, nella speranza che uno dei due mi dia retta.
“Qualcuno dovrebbe
sfamare Elvis.”
“Chi
è Elvis?”
interviene Gustav, curioso.
“Il
nostro criceto.”
Rispondiamo noi tre all’unisono.
“Voi
non avete un
criceto.”
“Sì
che ce
l’abbiamo,” asserisce Georg. “Bill ed
Iwen l’hanno adottato.”
“E
chi è Iwen?”
chiede Gustav. “No, aspetta,” ci ripensa subito
dopo. “Non lo voglio sapere.”
Tom
sorride beffardo
al telefono, e non vedo perché dovrebbe, visto che tanto
Gustav non lo può
vedere.
“Allora,
a che
dobbiamo l’onore di una telefonata notturna?”
“Tom,
sono le
undici, non le tre del mattino,” Da come lo dice, sembra che
Gustav sia sull’orlo
di una crisi di nervi. “E non è con
mia nonna che sto parlando, ma con il settantacinque percento della
band che crede
che la notte inizi all’alba.”
“Va
bene, va bene,”
lo zittisce Georg, abbandonandosi sulla morbida spalla di Iwen mentre
sgranocchia popcorn (nello specifico, fatti con il mais avanzato dal
primo
pasto di Elvis in questa casa). “Ora dicci cosa
vuoi.”
“Ho
scordato di
dirvi che domani ho gli assaggi della torta nuziale
e…”
Torta? Ha
detto
proprio torta? Credo che darò una breve tregua a questa
guerra contro il
matrimonio. Solo per domani mattina, un armistizio a fin di bene.
“E
hai pensato di
invitare anche noi, perché ci vuoi bene e sai che ci farebbe
tanto piacere
venire!” Esclamo, commosso, ma il mio entusiasmo viene
smorzato senza pietà.
“No.”
“Allora
vuoi che
veniamo a spiaccicare il bel visino di Michelle in una delle
torte?” sghignazza
Tom, prima che qualcuno possa fargli chiudere il becco. Gustav esita,
probabilmente chiedendosi quanto abbiamo bevuto e se ci siamo limitati
a
quello.
“Cosa?”
“Ehm…
No, niente,”
si corregge Tom in fretta. “Cancella.”
“Volevo
solo
avvisarvi che probabilmente arriverò un po’ in
ritardo allo studio.” Ci
comunica Gustav.
Mi sento
un tantino
offeso. Non può farci venire l’acquolina
così e poi mandare tutto in fumo come
nulla fosse!
Cerco di
rivolgermi
a lui con disinteressato distacco, pieno di dignitosa indignazione.
“Quindi
ora oseresti
riattaccare senza invitarci a questi assaggi?”
“Era
quello che
contavo di fare, sì.” Risponde lui, affatto
impressionato.
Accidenti.
“Siamo
i tuoi
testimoni!” protesta Georg, tirandosi su per rivolgersi
direttamente al
telefono. Devo spiegare a questi due che non abbiamo la videochiamata.
“E basta con questa stupida scusa!”
“Dai,
Gugu, portaci!”
lo supplico soave. “Faremo i bravi!”
“Sì,
certo,” Gustav non
è per niente persuaso. “E Tom è
gay.”
Tom salta
subito su,
punto nel vivo.
“Hey!”
“Daaai,
Gustaaav!”
pigolo, implorante, sporgendomi al di sopra delle gambe di Georg e di
mio
fratello, affacciandomi sul mobile del telefono per parlare
direttamente
nell’uscita del vivavoce.
Giunge
una lunga
pausa dall’altro capo, presumibilmente dovuta
all’impegno che Gustav sta
mettendo nell’elencarsi a mente le schiere avverse di pro e
contro riguardanti
il portarsi appresso tre mine vaganti come noi. Immagino siano i contro
ad
allungare tanto la riflessione.
“E
va bene,
d’accordo,” acconsente alla fine, con un sospiro
non proprio fiducioso. “Ma voi
non mi chiamerete mai più in quel modo.”
“Quale
modo?” fa
Tom. “Gugu?”
Testa di
cazzo.
“Affare fatto!” Irrompo io, prima che faccia altri
danni, magari irreparabili.
“Dove e a che ora ci vediamo?”
[ GEORG ]
Undici in
punto,
celeberrima Pasticceria Niederegger, Lubecca.
Ad Amburgo non c’erano
abbastanza pasticcerie famose, Leila
ha dovuto per forza convincere Michelle che dovevamo arrivare fin qui
per
trovare il meglio, anche se per farlo abbiamo dovuto sopportare
un’ora di coda
in autostrada accompagnata da una deliziosa pioggerellina torrenziale
che mi ha
fatto temere che saremmo tutti quanti finiti annegati nel giro di pochi
minuti.
Alla fine, dopo peripezie degne di un
Ulisse ostacolato da
un intero esercito di Giunoni incazzate e in piena sindrome
premestruale, siamo
giunti a destinazione in orario (l’idea di partire
mezz’ora prima in caso di
intoppi è stata geniale, e mia, fra parentesi). Gustav,
Michelle, Leila e Tari
erano già arrivati, avendo lasciato la città
circa due ore prima, evitando così
l’intero ingorgo di traffico che ha fregato noi. Li abbiamo
incontrati qui,
alla casa del marzapane per antonomasia, bellamente accomodati
all’interno a
sorseggiare cappuccini mentre noi abbiamo dovuto fare mezzo chilometro
per posteggiare,
a piedi e sotto l’acqua.
Giuro, la prossima volta che Tom
insiste per andare da
qualche parte con quella sua dannata Cadillac imparcheggiabile lo
eviro.
Io e Bill entriamo nel locale quasi
disperati, entrambi
imprecando come scaricatori di porto reumatici per via dei danni subiti
dai
nostri capelli a causa dell’umidità. Tom si
è permesso di ridere e si è beccato
un bello scappellotto da entrambi.
Leila ha fatto una faccia di
sufficienza da voltastomaco
quando ci ha visti entrare, proprio mentre Tari rompeva un bicchiere di
cristallo di Boemia nel tentativo di non farlo rovesciare.
Benedetta ragazza.
È proprio una salopette di
jeans quella mostruosità che ha
addosso? Possibile che nessuno le abbia mai insegnato almeno i
fondamenti
teorici di Abbigliamento Adeguato? Non dico che debba presentarsi in
tailleur e
scarpe di Prada, ma conciata così, più che una
wedding planner, sembra una
bracciante campagnola.
“Buongiorno a
tutti.” Salutiamo, mollando gli ombrelli zuppi
in un angolo.
“Siete in
ritardo.” Sibila Crudelia senza nemmeno ricambiare.
Oh, ma che palle.
Perché non si trova un
marito, anziché occuparsi di
matrimoni altrui?
“Scusate, ma abbiamo avuto
un piccolo contrattempo.” Ci
giustifica Bill, che è sempre il più indicato per
porgere scuse. Un suo sorriso,
anche solo appena accennato, basterebbe a sciogliere su due piedi un
blocco di
gelido marmo.
Leila però
dev’essere una di quelle persone così aride
dentro da non essere scalfibile nemmeno dall’onnipotenza di
Bill. La cosa è
preoccupante, a ben pensarci. Scocca a tutti e tre
un’occhiata colma di
disappunto e si volta dall’altra parte.
Oggi la sua tenuta è un
tailleur color crema bordato di
pelliccia e stivali scamosciati, il tutto coronato da un rossetto che
è meglio
che non definisca. Le mancano solo i centouno dalmata e siamo a posto.
“Carino qui.”
Commenta Bill, guardandosi intorno.
Questo posto fa proprio per lui:
tutto vetri e rifiniture in
oro, elegante e raffinato, pieno di luci scintillanti e arredamento in
acciaio.
Ci sono vetrinette a non finire stracolme di dolci e dessert di ogni
tipo, e
solo a vederli mi viene la nausea. Non avessi quest’urgenza
di tenere a bada i
due incompetenti (Bill e Tom), me ne sarei già andato, ma
dobbiamo seguire ogni
movimento possibile di questi preparativi e ogni minimo indizio
potrebbe essere
fondamentale.
Ad esempio non è che
Gustav sembri sprizzare gioia ed
entusiasmo da tutti i pori, buttato lì su una sedia come uno
straccio usato.
L’unica che abbia una parvenza veramente soddisfatta
è Michelle, che sta
divorando con occhi avidi i capolavori gastronomici esposti.
Questa pasticceria è
veramente enorme, ci devono lavorare un
mucchio di persone per mandarla avanti.
La cosa sconcertante è che
hanno chiuso per tutta la
mattina, solo perché noi dovevamo venire qui ad assaggiare
qualche campione! E
non è tutto: la squadra di pasticceri che si
occuperà della famigerata torta,
verrà in trasferta con tutti gli invitati a Milano, per
preparare il dolce sul
luogo.
Devo ancora capire perché
Keller abbia tanta voglia di
dilapidare il proprio ingente patrimonio per finanziare
un’unione
ingiustificabile come questa.
Anzi, no,
lo so:
vuole sbarazzarsi di sua figlia. Che razza di scaricabarile. Poteva
pensarci
ventidue anni e qualche mese fa, magari.
Ad un
tratto le
doppie porte di vetro opaco dietro al bancone si aprono e ne esce una
donna in
grembiule, che si dirige svelta verso di noi.
“Eccomi
qui, scusate
l’attesa.” Proclama con voce stentorea e sicura.
È
bassa e tarchiata,
sui sessant’anni, i capelli ingrigiti raccolti in una
crocchia, ed ispira una
simpatia istantanea. Non ha nulla a che vedere con l’aspetto
formale della
pasticceria, ma meglio così.
“Ci
scusi lei,
signora Schumann,” Leila si avvicina alla donna, artica ed
imperturbabile come
non mai. “Direi che, se nessuno ha obiezioni, possiamo
cominciare.”
Avverto
una sottile
frecciatina pungente in queste parole, soprattutto quando passa davanti
a me,
Bill e Tom e ci incenerisce con quei suoi terrificanti occhi metallici.
Non
fosse per le sei o sette lampade che deve essersi fatta in questi
giorni e per
la borsa formato famiglia di Vouitton, potrebbe essere tranquillamente
scambiata per una stalagmite di ghiaccio.
“Chiamatemi
Leah,”
dice la donna con un sorriso intercontinentale che le illumina il viso
rotondo.
“Venite, tutti quanti, da questa parte.”
Ci
conduce nel
retrobottega, dove troviamo una stanza enorme piena di tavoli, a loro
volta
completamente ricoperti da piatti su cui sono state adagiate coppie di
fette di
torta che sembrano opere d’arte. In un angolo, in disparte,
c’è un tavolo solitario
che ospita una ventina di bottiglie di vini e spumanti vari,
più una discreta
quantità di calici.
Io e Tom
ci
intercettiamo l’un l’altro e facciamo del nostro
meglio per non dare
l’impressione di voler prendere d’assalto quel
piccolo angolo di paradiso
all’istante. Gustav ci vede e alza gli occhi al soffitto.
Bill, invece, sembra
essere troppo occupato a convincersi di non stare sognando per curarsi
di noi.
Quando
mai.
Noto che
ci sono quattro
belle statuine (due ragazzi e due ragazze) con indosso grembiuli
identici a
quello di Leah che guardano dall’uscita opposta alla porta da
dove siamo
entrati noi, ma non si muovono né aprono bocca.
Molto
decorativi,
però.
“Molto
bene,” Leah
abbraccia la stanza con un ampio gesto della mano,
un’espressione orgogliosa
dipinta in faccia assieme a due tondi pomi rossi. “Questa
è la migliore
selezione di dolci nuziali che la casa ha da offrire. Vi
descriverò brevemente ciascun
tipo e poi potrete assaggiare quelle che più vi
stuzzicano.”
“Perfetto!”
Michelle
batte le mani estasiata e guarda Gustav come se si aspettasse la
medesima
reazione da parte sua. Povera illusa. L’ho visto rimanere
impassibile davanti
alla denudazione in diretta di una delle fan più belle e
dotate di cui i Tokio
Hotel possano vantare, ad un concerto a Kempten, non mi stupisco
più di niente.
Intanto
mi domando
come le sia venuto in mente di mettersi addosso una minigonna come
quella con
il freddo polare che fa oggi. Non che mi dispiacciano le sue gambe
nude, ma ho
freddo io per lei.
“Questa
è una
millefoglie delicatissima con glassa di rose e farcitura di chantilly e
crema
di fragole.” Illustra Leah, indicando il piatto
più vicino a noi.
Farei la
figura del
cafone se mi offrissi di assaggiare i vini, mentre loro banchettano a
spese
della loro glicemia?
No, credo
di no.
Meglio sorvolare, però, non si sa mai. Crudelia sembra
disposta a farsi saltare
la mosca al naso anche per una molecola di ossigeno fuori posto, non
voglio
diventare materia prima per la sua prossima pochette.
Vedo Tari
seguire
mansueta gli assaggi, un’accesa avidità che le
brilla negli occhi mentre
Michelle ficca in bocca a Gustav l’ennesimo boccone. Lui
sorride ed annuisce,
buttando lì monosillabi alternati a mugolii di assenso, ma
potrei vedere un
entusiasmo minore, in lui, solo se non avesse la distrazione di Bill
che ronza
attorno ai tavoli con occhi luccicanti, come un’ape sul
miele. Tra l’altro Leah
sembra aver preso il nostro piccolo Kaulitz in simpatia,
perché gli ha appena
servito un’enorme porzione di torta al cioccolato grondante
di panna montata e
ora lo guarda deliziata mentre afferra la forchettina e comincia a
papparsela
tutto giulivo.
Quest’esserino
cotonato di un metro e novanta riuscirebbe a fare tenerezza ai muri.
“Posso
offrire
qualcosa anche a voi?” chiede Leah a me e a Tom.
“Qualche stuzzichino? Qualcosa
da bere?”
“Grazie
mille!”
esclama Tom, con evidente soddisfazione.
Io le
sorrido,
trasudando gratitudine da queste membra provate da tutto il cinguettio
zuccheroso di Michelle (non bastassero le torte), e accetto di buon
grado.
“Vi
faccio versare
subito qualcosa,” Leah fa un gesto verso le quattro statuine
ornamentali e uno
di loro scatta prontamente verso la zona vini. “Avete
preferenze? Prosecco?
Dolce?”
“Dolce.”
rispondiamo
in un baleno.
Ci fa
versare del
Dom Pérignon e ci porge due calici, sorridendo gioviale.
“Ecco
qui,” Stiamo
per afferrarli, quando lei li ritrae all’improvviso,
scrutandoci sospettosa.
“Non è che poi dovete guidare, vero?”
Il
sorriso compiaciuto
sulle labbra di Tom si sbriciola in un nanosecondo e leggo nei suoi
occhi il
conflitto esistenziale in corso nella sua mente: non bere e poter
così guidare
la sua adorata Cadillac in tutta tranquillità, o bere e
lasciare la Cadillac in mano
mia o, peggio, di Bill?
Non devo
ridere. Non
devo. Non posso ridere.
“Oh,
che peccato,”
sospiro, afferrando il mio calice con disinvoltura.
“È proprio una sfortuna,
vero, Tom?”
Lui tenta
di
riassemblare il sorriso a tempo di record e da una scrollatina di
spalle
nemmeno lontanamente convincente.
“Pazienza.”
Dice, ed
è con grande rammarico che guarda Leah far portare via
l’altro calice, ma si
lascia corrompere con una bella porzione di crostata ai frutti di bosco.
So che
l’unica cosa
che lo trattiene dal prendermi a calci sugli stinchi è la
consapevolezza che si
farebbe più male lui di me, ma non esiste solo la violenza
come mezzo di
vendetta, e la diabolicità di Tom non va sottovalutata.
Mentre
Michelle
continua ad ingozzare impietosamente Gustav sotto la supervisione e il
consiglio di Leila, l’occhio mi cade su Tari, mogia mogia
appoggiata ad una
parete, sempre con quell’aria da svenimento imminente.
“Hey,”
bisbiglio
rivolto a Tom. “Secondo te perché ha sempre
quell’aspetto così malandato?”
Tom la
guarda in
tralice per un attimo.
“Non
so,” mormora,
non troppo interessato. “Ha il cancro? È
anoressica?”
Mmm,
ipotesi
interessanti, anche se dubito fortemente che una ragazza con il cancro
si metta
a fare i salti mortali per farsi assumere per un posto che
probabilmente non
occuperà a lungo.
È
macabro, lo so, ma
ho appena dimostrato che non può avere il cancro.
Sto per
passare alla
valutazione della seconda opzione, quando scorgo Leah che si avvicina
ad
un’esitante Tari con un vassoietto di praline
dall’aspetto invitante e gliene
offre qualcuna, l’espressione di Tari mi ricorda molto quelle
delle nostre fan
davanti a noi: ha davanti a sé la cosa che più
brama al mondo, ma è come se non
potesse raggiungerla.
Comincio
seriamente
a pensare che Tom abbia ragione.
“Almila,
stiamo
lavorando, non è professionale magiare davanti ai propri
clienti!” abbaia
Crudelia, facendo sussultare Gustav e Michelle, che stanno valutando
con lei le
cinque torte che hanno scelto per l’elezione finale.
Tari
ringrazia Leah e
rifiuta educatamente l’offerta. Non è anoressica,
ma gli effetti sono gli
stessi. Credo che nella lingua corrente si definisca schiavismo.
“Hey,
Tari,” la
chiama Tom. “Vieni qui.”
Lei si
avvicina con
passo quasi strascicato e ci rivolge un sorriso tirato.
“Buon
giorno signor
Kaulitz, signor Listing.”
Senza
emettere un
suono, Tom le spiattella la propria crostata sotto il naso e poco ci
manca che
lei ci si avventi sopra senza il minimo ritegno.
“Mangia.”
Le intima, mettendole in mano piatto e forchetta.
Lei si
trattiene,
anche se è evidente che sta morendo dalla voglia di far
sparire tutto in un sol
boccone.
“Ti
copriamo noi,” la
rassicuro, e io e Tom ci mettiamo fianco a fianco davanti a lei,
nascondendola
alla vista di Crudelia. “Se non metti qualcosa sotto i denti,
ci svieni
davanti.”
“Non
sarebbe una
gran novità per noi avere ragazze che ci cadono ai
piedi,” scherza Tom, con uno
dei suoi ghigni maliziosi. “Ma forse Leila ti riterrebbe
inefficiente, se tu ti
accasciassi a terra così, no?”
Tari
sembra aver
ingaggiato una lotta selvaggia con il proprio timore di essere
scoperta, ma non
resisterà ancora a lungo. Penso le darò il colpo
di grazia, prima che sia troppo
tardi.
“Che
se ne fa di
un’assistente morta?”
I suoi
occhi stanchi
si sollevano su di me e Tom, il quale le fa un cenno di esortazione con
la
testa.
Tari si
lecca le
labbra, ma alla fine ci sorride riconoscente.
“Grazie.”
La
osserviamo
divertiti mentre divora la generosa fetta in un minuto scarso e pulisce
minuziosamente ogni briciola e goccia di panna. Aveva davvero fame.
Mi viene
da
chiedermi se non sarebbe più carina dopo qualche pasto
decente e un paio di
notti di sonno.
“Almila,
vieni qui,
mi serve l’agenda!” la chiama Leila imperiosa, e
Tari salta come una molla in
tensione.
“Grazie.”
Ripete
un’altra volta a voce bassa, poi lascia piatto e forchetta a
Tom ed accorre.
Il mio
cervello,
intanto, sta elaborando un pensiero sorprendentemente sottile e sagace,
che
spero Tom sarà in grado di afferrare.
“Senti,”
gli
sussurrò, tirandolo da parte. “La tua idea della
ragazza alternativa è buona,
ma Gustav dovrebbe passare molto tempo con lei per innamorarsene,
giusto?”
Con mio
grande
sollievo, Tom afferra subito il concetto.
“Non
riusciremmo mai
a convincerlo a vedersi con una ragazza,” riflette.
“E, anche se il miracolo
dovesse accadere, non avrebbe tempo per conoscerla senza far sorgere dei sospetti.”
Ecco, qui
arriva il
punto critico.
“Quindi,”
aggiungo
io. “A noi serve una ragazza che già passi del
tempo con lui e di cui nessuno
sospetterebbe mai.”
Tom mi
fissa interdetto,
le sopracciglia corrugate, poi sembra realizzare quello che ho tentato
di
comunicargli. Allunga un’occhiata incredula verso Tari, poi
torna a guardare
me, poi ancora Tari, ed infine me.
“Georg,
ci serve un
piano concretizzabile, non fantascientifico.”
“Ma
immaginatela con
un colorito umano, vestita bene e con un po’ di trucco, senza
occhiali…”
Sento la
fervida
immaginazione di Tom mettersi in moto e cominciare ad elaborare quanto
gli ho
appena suggerito. Poco dopo la sua espressione si illumina lievemente e
il suo
sguardo schizza verso Bill, intento ad assaporare beato una nuova fetta
di
torta sotto agli occhi adoranti di Leah.
“Avremo
bisogno di
lui e di ogni briciolo della sua esperienza estetica,” dice serio, e la
determinazione che
dimostra mi fa capire che ripone fiducia in questa prospettiva.
“Ma non è
del tutto impossibile.”
______________________________________________________________________
A/N:
sono consapevole della relativa banalità dell'idea di
tramutare il brutto anatroccolo in un cigno, ma abbaite fede, non si
tratterà della classica cignificazione suvrannaturale, ma
ben altra cosa. Avrete modo di scoprirlo più avanti,
comunque. Inoltre, vorrei rassicurare chi si stesse ventualmente domandando che ne è delle sensazioni di Gustav. Anche questo avremo tempo per affrontarlo nell'imminente futuro, quindi niente panico!
Ora vorrei finalmente ringraziarvi
uno per uno in modo decente, quindi...
Schwesti:
li amo anch'io, ma forse tu questo non lo sapevi, perché non
te l'ho mai detto, giusto? Del resto nemmeno io sapevo che tu li
amassi. Che cose scioccanti che si vengono a scoprire!
sososisu:
spero che il capitolo meriti una recensione più
approfondita, anche se ti assicuro che quelle tue poche parole mi hanno
fatta gongolare non poco!
tokiohotellina85:
concordo con la preferenza verso il terzo capitolo, anche se devo dire
che sono affezionata ad Elvis ed Iwen e sono un po' combattuta con il
secondo. Magari più avanti ci saranno capitoli ancora
più meritevoli di preferanza, o almeno spero.
loryherm:
carissima, è sempre un piacere sapere che la mia lettrice
più fidata apprezzi le mie fatiche. sono sempre in attesa
della tua opinione!
Lidiuz93:
magari sapessi il Finlandese! No, in realtà mi sono sono
solertemente documentata ed informata, anche se sono innamorata dei
paesi nordici e il Finlandese è la lingua che più
mi affascina al mondo, ha delle sonorità irresistibili, per
me.
dark_irina:
eccotela qui l'idea geniale (geniale... certo, come no), riveduta e
corretta dalle brillanti menti dei nostri combinaguai preferiti. Non
dirò nulla in merito alle tue ipotesi su Tari, ma ti rimando
al futuro per scoprire cos'ha in serbo per noi.
NeraLuna:
non morire dal ridere al terzo capitolo, c'è tutta una
storia da leggere davanti! Grazie mille, però, dei
complimenti!
RubyChubb:
MS power! Mi piace l'idea delle citazioni di tratti di storia nelle
recensioni, lo sai, e vedo che ti sei sbizzarrita... Bene, spero di
averti dato altri spunti in questo nuovo capitolo, sai che amo le
recensioni lunghe chilometri!
CowgirlSara:
appoggio anch'io! Appoggiare è sempre la cosa migliore,
soprattutto se si tratta di questi quattro. Mi auguro di non averti
delusa nemmeno stavolta e di averti fatta rotolare ancora.
_Princess_:
anche tu, mille mila chilometri di recensione... Ti adoro! Vedi di
darti da fare con Lullaby, perché sai quanto le mie crisi di
astinenza siano devastanti. E comunque sì, Tari rievoca
senza ombra di dubbio una certa divinità nordica di nostra
conoscenza, ma, come hai giustamente puntualizzato, certa gnocchezza
non è raggiungibile da noi umili esseri umani.
L_Fy:
mia adorata! Sono sempre così fiera di meritare l'onore di
una tua recensione che riesco a stento a formulare parole per
ringraziarti. Mi sto leggendo la tua favolosa storia pian piano(sono al
capitolo 6) e posso affermare conuna certa sicurezza di voler sposare
Dieci... credi sia possibile?
Vorrei inoltre scusarmi con i miei lettori e commentatori per via
dell'intrusione di Facy.
Ci sono persone che non sono in grado di accettare le critiche
costruttive e finisce che decisono di vendicarsi in modo abbastanza puerile
com'è successo con le due maturissime recensioni che
è venuta a snocciolare qui, violando tranquillamente il
regolamento del sito e la buona educazione. Verranno cancellate,
comunque, Ladynotorius
se ne occuperà al più presto.
Per il resto, un grazie generale a tutti quanti, sapete che ogni
commento per me è prezioso e ben accolto, quindi se vorrete
spendere le solite due paroline per il capitolo, ve ne sarò
grata.
Hasta la vista!
|
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Capitolo 5 *** Imprevisti ***
[ GUSTAV ]
Sono estremamente irrequieto.
Non c’è una
ragione precisa, ma qualcosa mi dice che faccio
bene ad esserlo. Il sospetto mi nasce dal fatto che quei tre ficcanaso
abbiano
evitato di ficcanasare per tutta la settimana, quindi che significa
tutto ciò?
La calma prima della tempesta, esatto.
Abbiamo inciso un paio di brani nuovi
e abbiamo riveduto un
altro paio di demo che avevamo nel cassetto. Fin qui nulla di strano:
quando
c’è da lavorare, né io né i
ragazzi abbiamo granché da lamentarci – ci piace,
ce lo siamo cercati noi, ci mancherebbe – ma la cosa strana
è che, durante le
pause, nessuno di loro ha fatto il minimo accenno al matrimonio, a
Michelle o
qualunque altra cosa possa avere a che vedere con essi, dopo che per
giorni non
hanno fatto altro che immischiarsi spudoratamente nei miei affari.
Non mi è forse legittimo
essere preoccupato?
A ben pensarci, è
abbastanza squallido doversi preoccupare
quando i propri amici rispettano la privacy altrui, ma non è
colpa mia se ho
tre fratelli di vita con qualche strana anomalia cerebrale.
Può dipendere dal
fatto che ci vediamo di meno, ultimamente, e, in effetti, da quando
sono venuto
a vivere con Michelle, credo che il vecchio appartamento non sia
più lo stesso.
Dio, non voglio immaginare che casino ci sia là dentro, in
balia di Georg e
Tom, e figuriamoci se la principessina Bill alza un dito per mettere un
po’
d’ordine.
Devo ricordarmi di andare a
verificare lo stato di degrado
e, eventualmente, denunciare qualche ratto annidatosi qua e
là.
Quei tre sono proprio persi senza di
me.
Sono in salotto, al momento, e sto
disperatamente cercando
di montare il nuovo mobile per la tv. Le istruzioni sono chiarissime,
ci
mancherebbe, e i pezzi sono relativamente pochi da assemblare. Peccato
solo che
sono lavori che andrebbero fatti in due, ma è
venerdì, e Michelle il venerdì ha
la sua giornata Fitness e Beauty Center con le sue amiche, quindi
l’uomo di
casa deve fare da sé.
Che bellezza.
Mi asciugo una goccia di sudore con
il dorso della mano e
tento nuovamente l’impresa impossibile di tenere dritto il
ripiano superiore
per fissarlo ai supporti laterali, ma è un fiasco completo.
Con un gesto irritato, sbatto tutto
sul tappeto e mi alzo in
piedi, fiaccato dalla fatica e dal caldo insopportabile. Mi chiedo
quando il
pianeta impazzirà definitivamente: ventinove gradi a maggio
sono pura follia.
Vado in bagno e butto la maglietta
sudata nel cesto della
biancheria da lavare, poi mi sciacquo il viso con l’acqua
fredda e torno di là,
pregando che sia rimasto qualche cosa da bere che non sia qualche
abominevole intruglio
erboristico di the ed erbe officinali.
Apro il frigo e resto incredibilmente
sollevato nel notare
che all’incetta salutistica new age di Michelle è
riuscita a scampare una
lattina di aranciata. Avrei anche un certo languorino, ma non so se ho così fame da arrivare a
sgranocchiare
quei cracker al delizioso gusto di nulla con cui è stata
stipata la dispensa.
Ripiegherò su una mela, credo.
Prendo la golden più
grossa che scovo nel cesto della frutta
e la lavo. Sto già per addentarla, quando il suono del
campanello mi distrae.
Getto un’occhiata
all’orologio appeso sopra la porta: le dieci
e trentacinque.
Chi sarà mai a
quest’ora? Non aspettavo nessuno.
Mollo la mela sul bancone e vado ad
aprire. Se sono quei
tre, giuro che sbatto loro la porta in faccia prima che possano anche
solo
aprir bocca.
Ma quando apro la porta non potrei
essere più stupito di chi
mi ritrovo davanti: non è il pacchetto convenienza
‘Doppio Kaulitz + Listing’,
bensì un articolo singolo che proprio non mi aspettavo di
vedere.
“Tari,” saluto,
dissimulando un certo stupore. “Ciao.”
La vedo rossa in viso ed
apparentemente accaldata,
probabilmente per via del fatto che l’ascensore è
rotto e si deve essere fatta
sei piani a piedi, o forse, semplicemente, perché
è la seconda volta che le
apro la porta in condizioni di seminudità.
Grandioso.
C’è
forse una legge
di cui io non sono a conoscenza che le vieta di vedermi completamente
vestito?
“La
prego, sono
mortificata,” farfuglia, imbarazzata. “So che avrei
dovuto essere qui mezz’ora
fa, ma avevo completamente scordato…”
“Tari,
calmati,” La
interrompo educatamente. “Di cosa stai parlando?
L’appuntamento era per le dieci,
ma di domani.”
Lei
smette di
mordicchiarsi il labbro e mi guarda a bocca aperta.
“Cosa?”
L’espressione
che ne
consegue sta per strapparmi una risata, ma non credo sia saggio cedere
alla
tentazione, la poveretta mi sembra già abbastanza costernata
così.
“Hai
detto che oggi
ti saresti occupata delle partecipazioni, ricordi?” le
rammento gentilmente.
“Oh,
dio, è vero!” Si
porta una mano alla fronte con una smorfia. “Mi perdoni, sono
un disastro.”
Vacilla
mentre si
sistema la maxi borsa sulla spalla e deve appoggiarsi al muro per non
perdere
l’equilibrio. Mi sembra ancora più pallida del
solito, e forse è un’impressione,
ma anche il suo viso è più affilato.
“Hai
fatto
colazione?” le domando, già immaginandomi la
risposta.
“Beh,
no, non ne ho
avuto il…”
“Per
curiosità,” la
interrompo. “Da quant’è che non
mangi?”
Lei si
tira indietro
i capelli pensosa.
“Ho
mangiato un
panino ieri a pranzo.” Dice, come se la cosa dovesse
rassicurarmi.
Sono
senza parole.
Ma questa ragazza crede veramente di poter vivere d’aria?
“Dai,
entra,” le
dico, impietosito. “Metto su un po’ di
caffè, ti offro qualcosa.”
“Non
posso!” fa lei,
inorridita, neanche le avessi proposto di scuoiare vivo un bambino.
“Perché
no?”
“Sarebbe
un segno di
confidenza, e Leila è stata adamantina su questo punto: mi
è severamente
proibito di…”
Appunto
mentale:
chiarire con Leila questa ridicola storia della confidenza. Ne ho fin
sopra i
capelli di essere apostrofato come ‘Signor
Schäfer’.
“Tari,
sei matta?”
esclamo. “Di questo passo morirai di fame prima del
matrimonio!”
“Ma
io…” Lei si
strige nelle spalle, palesemente allettata dall’invito, ma
altrettanto frenata dalla
perenne incombenza del fantasma di Leila.
“Devo essere
costretto a portarti da mangiare
qui sul pianerottolo?” minaccio, portandomi le mani sui
fianchi.
Tari
getta uno
sguardo verso sinistra: la signora Braun, una vecchia pensionata molto
educata
ma disgustosamente snob, ha appena messo il lungo naso adunco fuori
dalla porta
e ci spia con tutta l’indiscrezione possibile.
“Ehm…”
Tari le
sorride goffamente. “Non mi sembra il caso.”
Mi
incrocio le
braccia sul petto ed inarco un sopracciglio con fare ovvio.
“Allora?”
“La
prego…”
Tari
è praticamente
violacea in faccia e non fa che fissarsi le scarpe, sollevando gli
occhi solo
per brevi istanti.
Cazzo,
avevo
dimenticato di essere mezzo nudo. Mi affretto a sciogliere le braccia,
cercando
una posizione che non le faccia pensare che io mi voglia mettere in
mostra o
chissà che, ma proprio adesso mi viene un’idea.
“Dirò
a Leila che ci
hai provato con me.”
Tari
impallidisce
sensibilmente e si porta le mani alla bocca, gli occhi sgranati dal
terrore.
Ah!
Centro!
“No!
Non oserebbe!”
“Oh,
sì che oserei.”
Mi schiarisco la gola e le illustro il mio ipotetico discorso
minatorio. “‘Lo
sa, Leila, la sua assistente è davvero molto espansiva. Ieri
si è addirittura
presentata al mio appartamento senza il minimo preavviso, e quando ho
aperto la
porta a torso nudo…’”
“Va bene, d’accordo, ha vinto lei!”
strilla Tari, impotente, e finalmente si
lascia invitare ad entrare.
Venti minuti dopo siamo seduti al
piccolo tavolo bianco
della cucina, con una tazza di cappuccino freddo (gentilmente preparato
dalla
macchinetta) e un paio di toast alla marmellata di mirtilli senza
zucchero in
un piatto per Tari.
“Insomma, il lavoro mi
piace veramente tanto,” mi sta
raccontando, mentre sbocconcella uno dei toast. “Ma Leila
ogni tanto è
veramente difficile da seguire,” Un sorso di cappuccino.
“Voglio dire, sapevo
che avrei dovuto sgobbare, ed onestamente credevo che il lavoro duro
sarebbe
giustamente spettato a me, ma le assicuro che in confronto a lei io non
faccio praticamente
niente.” Un altro sorso. “È anche
così gentile dal non caricarmi troppo con
quelle cose odiose sugli abbinamenti di colori e
tonalità… Con quelli sono un
disastro, devo ancora imparare tutto, ma l’argomento non
è dei miei preferiti,
diciamo, anche se c’è da dire che questi dettagli
modaioli non fanno per me,
ecco…”
Questa ragazza ha una parlantina
degna di Bill. Chi
l’avrebbe mai detto?
Non ha ancora ripreso fiato da quando
l’ho fatta sedere e
finora ho già scoperto più cose di lei di quante
non ne abbia scoperte su Michelle
dopo tre settimane che uscivamo. Per esempio, i genitori di Tari si
sono
trasferiti in un cottage in Scozia da qualche anno, lei è
figlia unica e abita
nella vecchia casa dei suoi, appena fuori Berlino, con un terranova che
si
chiama Blue e due soriani gemelli dagli occhi azzurri di nome Taivas e
Meri,
che in Finlandese significano rispettivamente Cielo e Mare, tutti e tre
curati
in sua assenza dalla sua migliore amica e dirimpettaia Franziska (come
mia
sorella).
È bastato metterle davanti
del cibo perché perdesse completamente
ogni traccia di timidezza e si trasformasse in una mitraglia di parole
a
profusione.
Temo di averla sottovalutata.
“Ma mi dica lei,
piuttosto,” Tari si rivolge a me con lo
sguardo che le brilla. “Non è entusiasta di questo
matrimonio così fastoso?”
Ehm…
Come glielo posso dire senza
offenderla indirettamente e
compromettere la mia stessa posizione?
“Diciamo che sono molto,
molto stupito.”
Tari annuisce mentre mastica con
calma. Ha qualche briciola
attorno alla bocca e anche un po’ di marmellata, e io non devo assolutamente ridere.
“Sa, non sono in molti
quelli che possono permettersi delle
cose così,” dice. “Lei e la signorina
Keller siete molto fortunati.” Un sorriso
luminoso le affiora sulle labbra. “È molto
importante essere ben affiatati in
certi eventi, vedere come voi due condividete tanto serenamente tutto
mi
rincuora. Non sa quante coppie che ho visto litigare per sciocchezze
come il
colore della glassa della torta!”
Glassa? Cosa me ne importa del colore
della glassa della
torta?
“Beh, non sono certo quelle
le cose che mettono in crisi una
coppia, no?” osservo.
“Oh, no, certo che
no!” specifica lei in fretta, pulendosi
la bocca con un tovagliolo. “Ma sa, se manca
l’affiatamento, è una pessima
avvisaglia, non le pare?” Allunga la mano verso il piatto ed
afferra il secondo
toast. “Voglio dire, magari fossero tutti come lei e la sua
fidanzata! Non vi
ho mai visti discordare su qualcosa, sembrate perfettamente in
sintonia! Certo, è anche vero che dove non si vedono problemi, è perché si nascondono bene, ma non credo sia il vostro caso, dopotutto.”
Il suo entusiasmo è
così genuino che mi manca il cuore di
dirle che tutto questo succede perché sono un tipo
decisamente accomodante. Se
non andassi incontro a Michelle su determinate questioni, credo
finiremmo per
accapigliarci al minimo screzio.
“Mmm,
già.”
“E poi,” prosegue
Tari. “Anche i suoi amici sembrano molto
partecipi! Non ho mai visto dei testimoni cercare un tale
coinvolgimento
nei preparativi di un matrimonio!”
Oh, mia piccola Tari, quanto sei
deliziosamente ingenua.
Se conoscesse veramente quei tre, non
parlerebbe così. Anzi,
credo li abbia presi in simpatia solo perché le hanno
offerto quella fetta di
torta, a Lubecca.
“Lei cosa ne pensa di tutto
questo?”
Sollevo gli occhi dalla mia tazza e
la guardo accigliato.
“Di tutto questo cosa?”
“Beh, delle nozze, della
cerimonia, del banchetto… di
Milano!”
“Oh,” Per la
verità non è che ci abbia riflettuto poi molto.
Cioè, che differenza c’è tra sposarsi
in chiesa o in comune, o tra un banchetto
principesco o uno come tanti? O a Milano piuttosto che ad Amburgo? Il punto è che ci si sposa, non come ci si sposa, no?
“Ehm, è
molto… Molto interessante.”
“Sa, non vado in Italia da
ormai diversi anni,” dice Tari.
“L’ultima volta è stato nel
duemilacinque, per una vacanza studio.”
“E ti è
piaciuto?”
“Bellissima esperienza, ho
migliorato tantissimo il mio
Italiano, in quel mese di permanenza a Firenze,” Assume
un’espressione
indefinibile, come se stesse ricordando qualcosa di buffo. “E
ingrassai di
cinque chili.”
La squadro un attimo, pensando che
cinque chili in più non
guasterebbero alla sua immagine, ma, anzi, credo che la aiuterebbero a
riempire
meglio quel top rosso scolorito, e magari anche i jeans le starebbero
meglio.
Tari si lecca le dita, a quanto pare
soddisfatta dallo
spuntino, e io la guardo divertito. Dopo un
po’ lei se ne accorge ed avvampa.
“Oh, mi
dispiace!” Afferra il tovagliolo le di pulisce
frettolosamente
le mani. “Che maleducata, non intendevo…”
“Ma figurati!”
rido io. “La spontaneità è sempre
apprezzata,
credimi. Anzi, ti preferisco così che tutta seria ed
impacciata come al
solito.”
Tari cerca di sorridermi, ma la vedo
piuttosto agitata. Se
arrossisce ancora un po’ sarà più rossa
della sua maglietta.
Noto che sta per dire qualcosa, ma
vengo distratto dal
rumore della porta d’ingresso che si apre e dalla voce
squillante di Michelle
che mi saluta.
“Amore! Sono
tornata!”
È tornata? Sono le undici,
a quest’ora non aveva la seduta
al Beauty Center?
“Hey, ciao!”
entra trafelata in cucina, lasciandosi dietro
una scia di profumo di bagnoschiuma al muschio bianco, i capelli
raccolti in
una coda alta. Si ferma davanti a Tari, un po’ perplessa.
Accidenti! Devo spiegare, prima che…
“Suometar!”
Esclama frizzante, chinandosi su Tari per
baciarle le guance. Non mi spiego come faccia a ricordare quel cavolo
di nome
impossibile. “Che bella sorpresa! Come mai qui?”
“Beh,
ecco…” Tari mi lancia un’occhiata che
implora
soccorso.
Non ci credo. Michelle torna a casa
in anticipo, mi trova a
petto nudo in compagnia di un’altra e non batte ciglio?
“Michelle,” mi
alzo in piedi. “Tari si è confusa con le date
e…”
Ma lei fa un gesto incurante, la sua
Louis Vouitton nuova
fiammante ancora al braccio, mi si avvicina e mi stampa un bacio sulle
labbra.
“Scusa
l’improvvisata, ma ho avuto un’idea grandiosa e ho
disdetto l’appuntamento con Klara al centro di
bellezza.”
Un’idea grandiosa.
Se non
ricordo male è quello che ha detto
quando ha organizzato quel pigiama party con le sue vecchie compagne di
liceo e
io mi sono ritrovato messo alla porta con il borsone in una mano e le
chiavi
della Volvo nell’altra, finendo così per chiedere
asilo ai tre scapoli reietti
che da giorni non si fanno vivi.
“Tesoro, ho bisogno della
casa,” dice Michelle, e dentro di
me mi dico che non dovrei affatto esserne stupito. “Le altre
sono andate a casa
a farsi una doccia, poi vengono qui, pranziamo e ci mettiamo a provare
i
campioni di vestiti che ha mandato la sartoria,” dice
elettrizzata. “Sai,
quelli delle damigelle.”
No, non so, ma meglio non indagare
oltre.
Michelle molla la borsa sul bancone,
prende la mela che io
avevo lavato e ne prende un morso.
“Perché non vai
a trovare Georg e gli altri?” mi suggerisce.
“O a farti un giro…” Ad un tratto la sua
espressione si illumina. “Anzi, porta
Suometar fuori a pranzo, che ne dici?” si volta a guardare la
diretta interessata.
“Così potete continuare la conversazione senza che
noi quattro vi disturbiamo.”
Tari sembra volersi fare piccola
piccola sotto al suo sguardo
esortativo.
“Ma…
Michelle…”
“Dai, Gustav, non vorrai
restare tra i piedi mentre io e le
ragazze ce ne andiamo in giro per casa mezze nude!”
Fossi matto. So bene come vanno a
finire queste riunioni fra
donne: risolini isterici e pettegolezzi su pettegolezzi, accompagnati
da musica
di Norah Jones e Cosmopolitan a fiumi.
No, grazie, non fa per me.
“D’accordo,”
mi arrendo alla fine, scambiando con Tari
un’occhiata impotente. “Mi faccio una doccia e sono
pronto.”
Mentre vado di là, sento
una sedia che si sposta e Michelle
che inizia a parlare con Tari.
“Secondo te,” la
sento chiedere. “Per le damigelle è meglio
il rosa antico o rosa salmone?”
Ridacchio tra me e me, e quasi mi
pare di sentire Tari che
prega nel panico: ‘Signor Schäfer, si sbrighi, per
l’amor del cielo!’
-------
Tari e io sediamo sotto ad un gazebo
nel giardino di uno dei
ristorantini del quartiere ed attendiamo che ci portino le insalate che
abbiamo
ordinato. Ogni tanto scorgo qualcuna delle persone sedute agli altri
numerosi
tavoli allungare occhiate interessate verso di me, ma fortunatamente
è
praticamente tutta gente di mezza età, che al massimo mi
conosce perché qualche
figlia è nostra fan, ma di certo non verranno a chiedermi un
autografo nel bel
mezzo del pranzo.
O almeno lo spero.
Tari sembra ancora abbondantemente
scioccata
dall’atteggiamento di Michelle, ma io penso di aver capito
perché si sia
dimostrata così assurdamente tranquilla: non vede tari come
una minaccia, ed
onestamente capisco perché. Primo, Tari pare del tutto
disinteressata a qualunque
cosa abbia a che vedere con l’ambito femminile, a partire dal
trucco e dai
vestiti trendy; secondo, non ha esattamente l’aspetto sexy e
provocante che
dovrebbe avere una presunta ‘minaccia’.
Del resto, Michelle non è
mai stata il tipo da soffrire di
gelosia o sentirsi inferiore a qualcuno. Non sarebbe da lei farsi certe
paranoie.
Tari, in compenso, sembra sopraffatta
dal nervosismo. Non fa
che mangiucchiarsi le unghie e guardarsi febbrilmente intorno, come se
dovesse
per forza tenersi occupata ed evitare me.
“Che ne diresti di lasciare
in pace quelle povere unghie
innocenti?” esordisco con una piccola risata, quando arrivo
ai limiti della
sopportazione.
Tari sobbalza e si volta
così in fretta che quasi temo che
si sia rotta qualche legamento del collo.
“Mi dispiace!”
mugola affranta, e nella fretta di togliersi la mano da davanti alla bocca fa rovesciare il bicchiere
d’acqua che ha
davanti.
È un disastro senza
speranze.
“Smettila di
scusarti,” Incrocio le braccia sul tavolo e mi
sporgo leggermente in avanti. “Hai la pessima abitudine di
chiedere sempre
scusa, qualunque cosa ti si dica.” Le sorrido incoraggiante.
“Non ti viene mai
in mente che magari siano gli altri a sbagliare, ogni tanto? Anche se
sulle
unghie mi reputo dalla parte della ragione.” Aggiungo infine.
Lei è colpita. Sbatte le
ciglia chiare da dietro agli
occhiali e mi scruta perplessa.
“Beh, sì,
ma…” Sta per riprendere a mangiarsi le unghie, ma
si ferma quando nota il mio sorrisetto beffardo. “Il cliente
ha sempre ragione,
no?”
“Sì, certo, ma
questo entro certi limiti che…”
“Heylà,
Gusti!”
La voce di Bill mi chiama, e un
brivido istantaneo mi
percorre la schiena.
Cosa ci fa la voce di Bill qui?
“Ciao! Ciao,
Tari!” Una mano ossuta mi si posa sulla spalla
e sul tavolo incombe la familiare ombra di una testa dalla
voluminosissima
chioma spinosa.
Mi giro e mi ritrovo davanti un paio
di occhi nocciola tutti
allegri e sorridenti, una delle espressioni angeliche meglio riuscite
che abbia
mai visto.
Cosa ci fa Bill qui?
Prima che io possa dire qualcosa,
altre due voci ben note mi
precedono:
“Ciao, Gustav!”
Tom.
“Buongiorno, voi due, vi
spiace se ci aggreghiamo?”
Georg.
Diverse teste si allungano per
riuscire a vedere e perfino
qualche cameriere si ferma a metà strada. Devo dire che
questi tre sanno
perfettamente come non dare nell’occhio.
So che dovrei in qualche modo
sentirmi sollevato nel vedere
che sono vivi e rompiballe come e peggio del solito, ma mi viene anche
da
chiedermi come facciano a scovarmi ogni volta.
Qui i casi sono due: ho mi hanno
impiantato una cimice
sottopelle, oppure hanno assunto un investigatore privato per tenermi
d’occhio.
“Abbiamo chiamato a casa
tua,” annuncia Tom. “Michelle ha
detto che eri qui.”
Oppure la mia fidanzata mi odia a tal
punto da
sguinzagliarmi contro senza pudore l’ottava piaga
d’Egitto.
“Ciao, Tari, come
va?” fa Georg, accomodandosi con assoluta
nonchalance accanto a lei. I gemelli lo imitano, prelevando una sedia
libera
dal tavolino accanto.
“Buongiorno signor
Listing,” risponde lei, riacquisendo la
sua solita timidezza. “Tutto bene, la ringrazio. Buongiorno
anche a voi,
signori Kaulitz.”
“Allora,” Bill
allunga una mano ed afferra il menu,
cominciando a sfogliarlo, passandosi l’altra tra i capelli
lisci. “Cos’hai
preso di buono, Tari?”
“Una… Una
insalata mista con germogli di soia.” Risponde lei
titubante, e Bill storce il naso.
Lui, Georg e Tom si scambiano qualche
strana occhiata e
scuotono impercettibilmente il capo.
Che diavolo…?
“Niente insalata per
te,” dichiara Tom, perentorio. “Per te
ci vuole…” Scorre con il dito la lista dei primi,
fermandosi a metà pagina.
“Penne ai quattro formaggi. E poi…”
Volta pagina e cerca tra i secondi. “Spezzatino
con contorno di patate arrosto.” Volta di nuovo pagina ed
arriva ai dolci. “E
un bel tiramisù per concludere.”
“Ma io ho già
ordinato.” Tenta di obiettare lei. Tom prò la
zittisce con un gesto della mano.
“La tua insalata la mangia
Georg.”
Ma che sta succedendo qui?
Prima arrivano e si intromettono come
fossero a casa loro,
poi pretendono di decidere chi mangerà cosa… Mi
è forse sfuggito qualcosa?
“Perché proprio
io?” si lamenta Georg.
“Perché
sì.” Replica Tom seccamente.
“’Perché
sì’ non è una risposta.”
“Sì che lo
è.”
“No che non lo
è.”
“Invece
sì.”
“Nient’affatto!”
Tom sbuffa e chiude bruscamente il
menu.
“E va bene, prendi quello
che ti pare,” sbotta. “L’insalata
la prende Bill.”
“Hey, un
momento!” protesta Bill. “Io volevo un hamburger
con patatine!”
Tom sospira e gli mette un braccio
sulle spalle, guardandolo
dritto negli occhi.
“Bill, io sono tuo fratello
maggiore, mi devo occupare di te
e della tua salute,” dice serio. “Pensa a cosa ne
sarebbe delle tue minuscole
coronarie delicate se tu ingurgitassi l’ennesimo concentrato
di colesterolo!”
Bill fa una faccia sdegnata.
“Non dire
cazzate,” sbuffa. “È da quando abbiamo
sei mesi
che cerchi di farmi fuori perché sei geloso del fatto che io
sia il gemello
carino!”
Tom boccheggia come se fosse stato
preso a schiaffi e si
ritrae sconcertato.
“Dirò ad Elvis
che è stato adottato!”
Oh, dio, mi tirano in ballo il
criceto!
Sconvolto, Bill si porta le mani alla
bocca.
“No!”
“Oh,
sì.”
“Basta!” esclamo
esasperato, sbattendo le mani sul tavolo.
Li scruto uno ad uno, mentre loro abbassano la testa con fare
colpevole. “Ma
che vi prende, si può sapere?”
Tari fa da spettatrice, schiacciata
contro lo schienale
della propria sedia con un’espressione atterrita.
“Scusa.”
Mormorano tutti e tre.
È una fortuna che il
ristorante si così affollato e
rumoroso, altrimenti credo mi avrebbero sentito fino in Australia. O
anche su
Marte, penso.
Grazie al cielo arriva il cameriere a
prendere le nuove
ordinazioni e per un paio di minuti la pace è garantita.
Quando tutti hanno
ordinato – compreso il quintale di roba unta che intendono
propinare a Tari –
l’atmosfera è leggermente più rilassata.
In attesa che ci portino da mangiare,
ammazziamo il tempo
chiacchierando un po’ del più e del meno, le
solite cose di rito, come il
tempo, il lavoro e simili. Quando Tom tira fuori l’argomento
‘vacanze’, mi
metto a scongiurare che a nessuno venga in mente di…
“Gustav, dove pensate di
andare in viaggio di nozze?”
Fare domande sul viaggio di nozze.
Appunto.
Sgranocchio distrattamente un
grissino, alzando le spalle.
“Non so, in qualche posto
assolato, immagino.”
Il che è quasi vero. Il
fatto è che Michelle ed io non abbiamo
ancora finito di discuterne: lei insiste nel voler andare in uno di
quei
villaggi turistici ai carabi, dove tutto è organizzato da
cima a fondo e ci
sono più comodità che in un hotel a cinque
stelle, io invece preferirei vedere
un po’ qualche bella capitale, ad esempio quelle della zona
britannica e
scandinava. Sarebbe perfetto: Londra, Belfast, Dublino, Edimburgo,
Copenaghen,
Oslo, Stoccolma e Helsinki.
Il massimo.
Ma a Michelle non piacciono molto i
luoghi freddi e così
incontaminati, né tanto meno girare a piedi per le
città. A meno che non si
tratti di shopping, in quel caso nessuno ha più energia e
volontà di lei, e io
e la sua collezione di scarpe lo sappiamo meglio di chiunque altro.
Nel frattempo un gruppo è
salito su un piccolo palco in un
angolo del giardino e si stanno mettendo a suonare della musica
esotica, tutta
tamburelli ed ukulele.
“Wow, suonano!”
Bill salta in piedi, battendo le mani. “Chi
viene a ballare?”
Io, Georg e Tom rispondiamo alla
vecchia loquace maniera:
dito medio alzato e silenzio eloquente.
Bill ci manda al diavolo nel modo
fine che solo a lui
potrebbe mai riuscire, poi si volta verso Tari e le prende una mano.
“Dai, andiamo, questi
idioti non sanno cosa si perdono.”
Tari si artiglia con la mano libera
alla sedia di vimini e
mi lancia segnali disperati di aiuto, ma la determinazione di Bill
è un
avversario invincibile, anche per un esperto veterano come me.
“Signor Kaulitz, la
prego,” piagnucola. “Io non so ballare!”
“Ti insegno io!”
Tari guarda di nuovo me,
supplichevole.
“Signor
Schäfer…”
Non ho comunque il tempo di aprire
bocca: Bill la tira su di
peso – e se lei non fosse più bassa di lui di
almeno trenta centimetri , sono
certa che gli sarebbe risultata troppo pesante, pur magra
com’è – e se la
trascina nel piccolo circolo di spazio che si trova davanti al
palchetto, dove
già qualche coppia si è messa a ballare.
Tom e Georg sghignazzano nel vedere
Tari che cerca di
seguire – in maniera decisamente imbranata – le
movenze fluide e sicure di Bill,
ma io la trovo adorabile, così rigida e sconnessa, mentre
pesta i piedi a Bill
e lo fa ridere come un matto.
Quando Bill le fa fare una specie di
piroetta su se stessa,
lei mi getta un’occhiata imbarazzata e io le
sorrido sollevando i pollici, poi lei torna a concentrarsi sui
passi
e io scuoto la testa, divertito.
È veramente senza speranze.
________________________________________________________________________________________
A/N:
grazie mille a tutti! Soprattutto alla carissima Samia, che
è tornata alla vita EFPiana dopo tanto tempo che non si
faceva vedere in giro! Mi raccomando, qualunque sia il vostro giudizio,
lasciatelo, per me è tutto importante, ed un commentino,
anche di poche righe, non costa niente a voi, ma serve tantissimo a me.
Grazie ancora e al prossimo aggiornamento!
|
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Capitolo 6 *** Pimp My Tari (titolo idiota, suggerito da un fratello idiota) ***
[ GEORG
]
Il pranzo di venerdì
è stato una mossa a dir poco
strategica, devo dire. Non ci fossi stato io a suggerire
l’incursione pro
monitoraggio interazioni Gustav/Tari, credo non avremmo mai scoperto un
sacco
di cose. Una fra queste è che dovremo accantonare uno dei
punti fondamentali
del piano ‘Pimp My Tari’, ossia quello che prevede
di farle assumere una forma
più femminile con un buon anticipo rispetto al matrimonio,
perché tanto sarebbe
impossibile, visto l’andazzo: alla fine siamo riusciti a
convincerla a prendere
quello che Tom aveva scelto per lei, ma non è nemmeno
riuscita a finire le
penne, così io e i ragazzi ci siamo divisi il resto.
Potrebbe essere stata solo una
sensazione, ma Gustav
sembrava molto soddisfatto delle pietanze eccedenti che gli abbiamo
somministrato quasi con la forza.
Magari Michelle lo sottopone a regimi
alimentari dispotici e
lui la lascerà per non morire di fame. Sarebbe giustificato,
no?
Comunque sia, Bill, Tom ed io siamo
in macchina, a litigare
sulla direzione da prendere per raggiungere l’hotel dove
alloggiano Tari e
Leila. Niente Cadillac, stavolta, troppo vistosa. Tom ha allora
suggerito, in
alternativa, la mia Lamborghini, ma gli è stato saggiamente
fatto notare che
aveva solo due posti, e che comunque di più vistoso di una
Cadillac nera, ad
Amburgo, ci può essere solo una Lamborghini rossa.
Alla fine abbiamo optato per
l’auto relativamente meno
vistosa: la Mini blu di Bill.
Siamo tutti e tre vestiti il
più casual possibile, il che si
traduce in baggy jeans e maglietta XXL per Tom, jeans D&G e
maglietta
bianca Carhartt per Bill, jeans Diesel e t-shirt Affliction per me.
Assolutamente irriconoscibili.
Più o meno.
È anche merito degli
occhiali da sole e delle pettinature
alternative: io e Bill ci siamo fatti la coda e lui se
l’è nascosta sotto ad un
cappellino bianco, mentre Tom non ne ha voluto sapere di tagliarsi i
rasta per
l’occasione (per quanto l’effetto mimetico sarebbe
stato garantito) ed ha
preferito infilarsi una di quelle sue orrende cuffie alla Bob Marley
che prima
o poi Bill ed io gli bruceremo in massa.
“Se evitiamo il centro,
siamo lì in dieci minuti.” Dico a
Bill, quando lo vedo mettere la freccia verso destra.
Accanto a me, lui sbuffa e toglie la
freccia, cambiando
corsia all’ultimo momento per spostarsi su quella che tira
dritto,
conquistandosi così un coro di strombazzate irritate da
parte degli altri
guidatori.
“Ma vaffanculo!”
strilla, profondendosi in una serie di gesti non proprio educati.
Tom ed io ci guardiamo dallo
specchietto retrovisore.
Non gliel’abbiamo mai detto
e non lo faremo certo ora, ma il
suo stile di guida non è proprio quel che si dice una
meraviglia. Ha la patente
da tre anni, ormai, eppure guida ancora come uno che l’ha
appena avuta in mano,
e di gran lunga più sconsideratamente.
Il semaforo scatta sul verde e Bill
riparte con un brusco
strattone, non molto salutare per la povera Bonnie (ha chiamato
così la Mini,
perché l’ha comprata a Bonn, e questo la dice
lunga sulla funzionalità dei suoi
neuroni).
Nel tentativo di dimenticarmi che la
mia vita è appesa a un
filo, rileggo ancora una volta la nostra bozza del piano che abbiamo
studiato,
trascritto dall’ordinata calligrafia di Bill:
PIANO B:
PIMP MY TARI (titolo idiota, suggerito da un fratello
idiota)
farla
diventare bella
sperare
in un mirac
- truccarla
in modo da far
risaltare un po’ la sua parte più attraente,
cioè gli occhi
- convincerla
a continuare a truccarsi
metterle
un po’ di carne e qualche curva addosso
- procurarle
qualche vestito decente
- farle
indossare il vestito decente
- toglierle
gli occhiali
insegnarle
a ballare
- insegnarle
ad arrossire il meno possibile
- portarla
ad una seduta intensiva dall’estetista
- in
caso di fallimento dei precedenti punti, pregare Dio, Buddha, Allah,
etc…
Il tutto allo scopo di salvare il
futuro di Gustav, in caso
in piano A (Farlo Ragionare) non dovesse funzionare.
Non abbiamo ancora tentato la via del
piano A, veramente, ma
lo faremo presto. Gustav ha bisogno che qualcuno gli inculchi un
po’ di
buonsenso in quella sterminata distesa di nulla che è il suo
cranio,
soprattutto in vista dell’imminente attuazione del piano B.
Sospiro, infilando nuovamente il foglio nel portaoggetti davanti a me. Salvo sfiducia completa negli ultimi
quattro punti, direi
che come piano è più o meno fattibile.
Bill svolta a sinistra
all’ultimo momento, facendomi
sbattere la testa contro il finestrino, mentre Tom per poco non cade a
terra,
stravaccato sul sedile posteriore assieme ad Iwen, su cui stava
sonnecchiando.
Ora, io mi domando: come si fa a
sonnecchiare in un’auto al
cui volante sta un simile pazzo scriteriato? Va bene che sono gemelli
omozigoti
e che i neuroni inibiti di uno sono gli stessi dell’altro,
ma, anche senza
cervello in attività, uno lo deve pur avere un minimo di
istinto di
sopravvivenza, no?
Tom gli impreca contro e si mette a
sedere, Bill restituisce
l’affetto con un epiteto decisamente colorito e accelera.
Ci siamo preparati una scusa
ineccepibile per attirare Tari
con noi: ufficialmente la porteremo al centro commerciale per farci
aiutare a
scegliere il regalo di nozze a Gustav; in realtà, una volta
là, cercheremo di
convincerla – molto velatamente – a comprare
qualche capo d’abbigliamento che
non sembri uscito dall’armadio di un cieco, poi –
idea discretamente
intelligente di Bill (cosa davvero stupefacente) – magari
riusciremo anche a
trascinarla in una di quelle profumerie dove fanno il make up gratuito
alle
clienti, e vediamo come procede.
Se il fato ci assiste, forse
riusciremo a renderla
remotamente appetibile entro breve.
La giornata non è delle
più soleggiate: ci sono delle nuvole
grigiastre che ricoprono quasi completamente il blu del cielo e
l’umidità che
c’è nell’aria indica pioggia a venire.
Spero che il clima si rinfreschi un po’,
non se ne può più di questo caldo, anche se un
temporale significherebbe danni
mostruosi ai miei capelli.
Questo mi fa sovvenire un
particolare.
“Hey, ragazzi,”
Riprendo la lista e la scorro con lo sguardo.
“Ci siamo dimenticati il punto
‘parrucchiere’.”
Bill si sta sistemando una ciocca di
capelli sfuggita al
berretto, mentre aspettiamo che il semaforo ci dia il via libera.
“Non ce lo siamo
dimenticati,” dice Bill. “È
semplicemente
troppo complicato da attuare.”
“Un tentativo lo potremmo
anche fare…”
“Cosa vorresti
fare?” replica. “Narcotizzarla, legarla e
portarla priva di sensi da un coiffeur?”
Tom e io ci guardiamo nuovamente
attraverso lo specchietto,
irritati. È qualche tempo che Bill ha preso la fastidiosa
abitudine di usare
termini stranieri ovunque possibile, spesso decisamente a sproposito.
Così sono
capitati episodi come quello del mese scorso, a quella cena con i sommi
capi
della Universal, in cui ha ordinato escargot,
credendo che si trattasse di gamberi, e ha poi scoperto che invece
erano
viscide lumache all’aglio; o ancora (esperienza che voglio
dimenticare al più
presto) quando, a Roma, con la candida convinzione che per parlare
italiano
bastasse mettere una ‘o’ alla fine di qualunque
parola, ha detto a quel
vecchiettino che sfamava i randagi del Colosseo che aveva un bellissimo
‘katzo’.
È stato un pessimo modo di scoprire a cosa corrispondesse
quel suono in
italiano (la nostra dotta cultura si fermava alla conoscenza di termini
quali
‘vaffanculo’ e ‘scopami’).
Stavamo per essere denunciati per molestie sessuali.
Se andiamo a Milano dovremo mettergli
una museruola
preventiva.
“I capelli di Tari non sono
messi male.” Interviene Tom, con
uno sbadiglio grosso come lui.
“Sono molto
belli,” fa Bill, sfrecciando per il viale quasi
deserto. “Solo che avrebbero bisogno di un tocco di
personalità.”
Sto per concordare, quando lui sterza
bruscamente a destra e
poi inchioda due metri dopo l’angolo, proprio davanti
all’Hotel Mayfair, la
nostra destinazione.
“Cristo, Bill!”
abbaia Tom, sballottato assieme ad Iwen
dalla parte opposta dell’abitacolo. “Ma quanto hai
pagato gli esaminatori che
ti hanno dato quella cazzo di patente?”
Due riccioli compaiono agli angoli
della bocca di Bill.
“Niente,” dice
con modestia. “Ho sorriso.”
Io e Tom non possiamo fare a meno di
guardarci per
l’ennesima volta.
Ha sorriso.
Ha sorriso.
Gli hanno messo in mano una licenza
di uccidere perché lui ha sorriso!
Beh, se devo essere del
tutto sincero, anch’io ho sorriso.
Il fatto è che l’esame era andato alla perfezione,
ma proprio non avevo visto
quelle strisce pedonali e stavo per investire una coppia con tanto di
passeggino, ma l’esaminatore era una donna a cui stavo
particolarmente
'simpatico', quindi… Insomma, il punto è che io so guidare, Bill no.
Scendiamo dall’auto e
solleviamo lo sguardo verso
l’imponente altezza della lussuosa struttura. Mi sorge
spontaneo chiedermi
quale misterioso meccanismo scricchioli nella mente malata di Leila: il
suo
studio e il suo loft stanno a poco più di un’ora
dal centro, chi glielo fa fare
di alloggiare in un albergo come questo? Spende di più qui
che a fare avanti e
indietro ogni santo giorno.
Bah, suppongo non capirò
mai la logica di un’ultraquarantenne
zitella ed inacidita.
Tom, Bill ed io ci scambiamo un cenno
di intesa: si
comincia.
Saliamo rapidamente i gradini ed
entriamo attraverso le
enormi porte scorrevoli, ritrovandoci in una hall grossa quanto il
nostro
appartamento (e non è che abitiamo in un buco), arredato in
modo troppo
raffinato per i miei gusti, ma suppongo che Leila ci sguazzi in
ambienti snob
come questo.
Andiamo alla reception e Tom si
appoggia al bancone con un
gomito, con la sua solita aria da spaccone annoiato, salutando
l’austero
receptionist:
“Salve,” gli fa,
disinvolto. “Siamo qui per vedere Tari.”
L’uomo (Ludwig, stando alla
targhetta che porta appuntata al
taschino della camicia) si sofferma brevemente su ciascuno di noi,
valutandoci
come se stesse cercando di decidere in che bidone della raccolta
differenziata
andremmo buttati, poi assume un’aria professionale e
vagamente schifata.
“Il nome completo,
prego?”
Tom si gratta la fronte perplesso.
“La signorina…
Ehm…” Guarda me e Bill con espressione
interrogativa. “Com’è che si
chiama?”
“Almila,”
risponde Bill. “Di cognome fa Almila.”
“E di nome?”
“Non guardate
me,” li avverto, sollevando le mani, quando si
voltano nella mia direzione. “Non sono bravo con gli
scioglilingua.”
Sospirando come se il peso
dell’universo intero stesse sulle
sue spalle, Tom torna a rivolgersi al receptionist.
“Era qualcosa di bizzarro e
incomprensibile. Tipo Solestar,
o qualcosa del genere…”
Onestamente, non so come si possa
pretendere che ci
ricordiamo quel nome assurdo. Me lo dovrò scrivere da
qualche parte, non si sa
mai.
Ludwig arriccia quei suoi baffetti
ridicoli e consulta il
registro informatico, ritto e rigido come un palo.
“Immagino stiate parlando
della signorina Suometar Almila.”
“Sì, proprio
lei!” esultiamo noi tre.
“Ce la potrebbe chiamare,
per favore?” aggiunge Bill.
“I signori sono
attesi?” domanda, con una cortesia così
finta che praticamente è come se ci avesse chiesto se siamo
autorizzati a
rompere determinate parti anatomiche nel suo preziosissimo hotel.
“No,” rispondo
affabile. “Ma siamo suoi amici.”
“Chi devo
annunciare?”
Tom si passa una mano sul viso,
sospirando. C’è una nostra
gigantografia pubblicitaria proprio qui fuori, come fa a non sapere chi cavolo
deve
‘annunciare’?
“I Tokio Hotel.”
Specifica Tom, come se stesse parlando ad
un idiota (e secondo me lo sta facendo).
“Certo,”
L’uomo inarca un sopracciglio, ben poco convinto.
Solleva il ricevitore e digita un codice sulla tastiera.
“Buongiorno, signorina
Almila, è la reception. Mi dispiace disturbarla, ma ci sono
delle visite per
lei,” Una breve pausa, durante la quale ci occhieggia
sospettoso. “I Tokio
Hotel.”
“Le dica che è
piuttosto urgente.” suggerisco.
Lui obbedisce con chiara riluttanza e
infinite occhiatacce
verso di noi, poi annuisce un paio di volte e chiude la chiamata.
“Allora?”
“La signorina scende tra un
minuto.” Ci comunica.
“Oh, bene, grazie
mille!” cinguetta Bill, sgraffignando una
caramella dalla ciotola di cristallo sul bancone. La scarta con gusto
sotto gli
occhi pieni di spocchia di Ludwig e se la gusta compiaciuto.
Quando finalmente Tari arriva, Bill
ha già fatto incetta di
tutte le caramelle della ciotola ed ha anche avuto la faccia tosta di
chiedere
a Ludwig se ne avesse altre. Io e Tom lo abbiamo trascinato via prima
che
venisse elegantemente defenestrato.
Tari scende precipitosamente le scale
e quasi manca l’ultimo
gradino, ma alla fine riesce a raggiungerci sana e salva (per quanto
sana possa
essere una ragazza del duemila che porta una salopette di jeans).
“Signor Listing, signori
Kaulitz,” ci saluta uno ad uno, ansante.
“Buongiorno.”
Ogni volta che la vedo mi sembra
più pallida, quasi
consumata. Mi domando quando comincerà a diventare
trasparente. Sicuramente non
finché si mette certe magliette viola che la sbattono tanto.
“Dire Georg, Bill e Tom non
sarebbe molto più comodo?” borbotta
Tom in tono spiccio.
La reazione di Tari è
esattamente quella che avevo previsto:
“Non ricominciamo, la
prego,” piagnucola implorante. Si
passa una mano tra i capelli arruffati, parzialmente tenuti fermi da un
fermaglio verde mela. Tom e Bill hanno ragione: ha dei capelli
piuttosto belli,
in effetti, ma non ha la minima idea di come tenerli e, come direbbe
Bill, di
come valorizzarsi. “Allora,” fa poi. “Di
cosa si tratta?”
“Di cosa si tratta cosa?”
mugugna Bill, intento a succhiare la sua ultima caramella.
“L’emergenza.”
“Oh, giusto, è
vero,” Tom si affretta a sorridere soave.
“L’emergenza!”
Bill gli da man forte:
“Ecco, noi avremmo bisogno
che tu ci aiutassi a scegliere il
regalo di nozze.”
Tari è lievemente confusa.
“C’era bisogno
che veniste fin qui a chiedermelo?”
“Ci servi adesso.”
“Adesso?”
“Proprio
così,” annuisce Bill. “Dai,
andiamo,” Le afferra un
polso e se la trascina dietro verso l’ingresso, sotto gli
occhi esterrefatti di
Ludwig. “È già tardi.”
“Ma non ho la
borsa,” si oppone Tari, spaesata. “E nemmeno
un centesimo in tasca!”
“Non ti
serviranno,” la mette a tacere Bill. “Adesso
andiamo, prima che rimuovano Bonnie dal passo carrabile.”
Tari gli barcolla dietro e poi
giù per i gradini, senza
smettere per un secondo di battere le ciglia smarrita.
“Chi è
Bonnie?”
“La sua macchina.” Sospiro, seguendoli assieme a Tom.
Tari mi guarda come per dire ‘Scherzi?’, ma io
faccio significativamente spallucce.
Lei fa una faccia strana.
Pensa che siamo pazzi, tutti e tre,
questo è poco ma sicuro.
Non ho la faccia tosta di darle torto, soprattutto mentre Bill le apre
la
portiera e lei resta immobile lì davanti, fissando
l’interno della vettura.
“C’è
qualche problema, Tari?” le chiede Tom, avvicinandosi.
“C’è
un coniglio rosa gigante sul sedile.” Ci fa notare lei.
Bill le sorride allegramente.
“Non ti preoccupare,
è Iwen.”
“Iwen?” Tari
sembra davvero sul punto di chiamare un manicomio.
“Teneva compagnia a Tom
mentre venivamo qui.” spiega Bill, come se questo chiarisse alcunché.
Mi accosto a Tari e le do un paio di
pacche rassicuranti sulla schiena.
“Se ci tieni alla tua
salute mentale,” le consiglio. “Non fare
domande.” E prendo posto davanti.
“Tutti a bordo!”
miagola Bill, sventolando le chiavi felice
e contento.
Tom sale dopo Tari, imprigionandola
così tra sè e la
discreta mole pelosa di Iwen. Lei non pare particolarmente rilassata.
“Preparati,” le
sussurra Tom, mentre Bill riesce ad avviare il
motore, dopo il terzo tentativo fallito. “Sarà un viaggio
avventuroso.”
L’eufemismo del secolo.
[ TOM
]
Se volevamo sconvolgere una povera
ragazza innocente, ce
l’abbiamo fatta.
Tari è sbiancata fin dal
momento in cui Bill si è messo in
carreggiata senza controllare, rischiando così di farci
tamponare da un camion
della frutta, fortunatamente vuoto, che ci ha mancati di un pelo, e non
ha
ripreso il minimo accenno di colore fino a che è scesa dalla
macchina, al
sicuro nel parcheggio del centro commerciale.
Per farci perdonare le abbiamo
offerto un milkshake al
cioccolato (che lei ha spontaneamente accettato dietro ad esplicite
minacce e
ricatti vari), così ora ci aggiriamo oziosi per i vasti
corridoi pieni di
vetrine, con lei e Bill che si gustano i loro frappè e Georg
ed io che mandiamo
messaggi cifrati a quel cretino di mio fratello per ricordargli che
siamo qui
per una missione ben precisa, e non fare shopping ed ingozzarci di
schifezze.
Ora che siamo lontani dai pericoli
mortali della strada (e
della guida di Bill), però, Tari sembra molto più
rilassata e serena e sembra
godersi il suo milkshake con una certa soddisfazione.
“Tari, sai che secondo me
quel vestito azzurro ti starebbe bene?”
esclama Georg mentre passiamo davanti ad unnegozio di abbigliamento, inviando frecciatine piuttosto esplicite a
quell’anima beata di
Bill, il quel, perso com’è nel suo dolce mondo,
non afferra nemmeno a ficcargli
il concetto direttamente in mano.
“Concordo,”
allungo una gomitata esortativa a Tari,
sostenendo Georg. “Perché non lo provi?”
“Ma siamo qui per il regalo
di nozze…”
“Ah, sì,
giusto.” Avevo completamente scordato che dobbiamo attenerci alla scusa.
“Cosa credi che dovremmo
prendere?” interviene Georg, distraendola.
“Avete già
consultato la lista nozze?” chiede lei, e si volta verso di me, come se io sapessi di cosa diamine sta parlando.
“La cosa?”
“La lista nozze,”
sbuffa Georg impaziente. “Sai, dove gli
sposi elencano gli oggetti che farebbe loro comodo ricevere in
regalo.”
“Beh, noi questa cosa non
l’abbiamo vista.” Affermo, un po’
offeso dal suo tono. Cosa cazzo ne so io di liste nozze?
“Potreste andare sul
classico, comunque,” ci blandisce Tari.
“Lavatrice, lavastoviglie, forno,
frigorifero…”
“E cosa succede se, per
assurdo, il matrimonio dovesse… Saltare,
diciamo?”
“Beh, in genere si
può tranquillamente restituire tutto ed
ottenere il pieno rimborso.”
“Cerimonia e banchetto
compresi?”
“Se è stata
stipulata un’assicurazione, sì.”
“E Keller si è
assicurato?”
“Sì,
certo.” Fa lei, aggrottando la fronte sospettosa.
“Lo chiediamo per essere
preparati quando capiterà a noi,”
mente Bill prontamente. “Sposarci, intendo, non stipulare
un’assicurazione.”
Da dietro alle spalle di Tari, Georg
gli fa segno con le
dita di darci un taglio con i farfugliamenti insensati.
Miracolosamente, Bill
capisce e chiude il becco, tornando saggiamente ad occupare le labbra
con la
cannuccia del frappè.
“Prenderemo una
lavastoviglie,” improvviso, fingendo
risoluzione. “Problema risolto.”
Bill vuota rumorosamente il maxi
bicchiere del milkshake e
lo butta in un cestino, leccandosi i baffi.
“Bene,” Esordisce
poi. “Visto che siamo a posto, possiamo farci
un bel giro per negozi, che ne dite?”
Tari, che regge ancora il suo
bicchiere mezzo pieno, si
blocca nell’atto di succhiare dalla cannuccia, con
un’espressione vacua che mi
fa lo stesso effetto del solletico. Questa ragazza è una
comica nata e
naturale.
Potrei suggerirle una carriera
alternativa.
“Io avrei del lavoro che mi
aspetta…” biascica, presa alla
sprovvista. “Leila mi ha dato un paio di libri sulla moda da
leggere…”
Sto per cercare di dissuaderla,
quando mi balugina in testa
un’idea non poco astuta. Un po’ subdola, forse, ma,
a mali estremi, estremi
rimedi. Se funziona, ne varrà la pena, anche se tecnicamente
significherebbe
usare lei e approfittare della sua fiducia, ma non
c’è tempo per i sensi di
colpa, il giorni passano in fretta e il matrimonio si sta avvicinando
pericolosamente.
“Tari, cosa ne diresti se
ti aiutassimo noi?”
Lei fa una cosa strana con il naso,
arricciandolo in modo
buffissimo, come fanno i bambini quando vogliono scacciare via un un insetto.
“Cosa vuole dire?”
“Che abbiamo qui un esperto
di moda e cavolate simili,” dice
Georg, seguendo abilmente la mia lunghezza d’onda, e prende
Bill sottobraccio,
mentre lui grugnisce infastidito. “Possiamo darti una mano ad
imparare, e
direttamente sul campo!” fa un gesto circolare verso i
negozi. “Magari ti diamo
anche qualche consiglio sull’abbigliamento
professionale.” Aggiunge, senza
riuscire ad impedirsi di lasciar scivolare gli occhi verso i suoi
vestiti.
Tari tentenna. Resta immobile per un
attimo, poi abbassa lo sguardo
verso il proprio corpo.
“Secondo voi mi vesto
male?” ci chiede candidamente.
Mi impongo di non ridere,
perché così facendo la offenderei,
ma non sono domande da farsi quando ti vesti come un reperto
archeologico.
“Ma no, affatto!”
Bill mette rapidamente la retro. “Ti vesti
in modo… Ehm…”
“Molto
personale.” Gli viene in aiuto Georg.
“Però,
sai,” azzardo io. “Magari se curassi un
po’ di più
l’aspetto, Leila ti troverebbe una collaboratrice
più papabile, no so se mi
spiego.”
Georg e Bill mi scoccano due occhiate
taglienti, quasi fosse
colpa mia se lei non sa vestirsi in modo decente. Va bene, forse potevo
trovare
un modo più garbato di comunicarglielo, ma perché
se la devono prendere con me?
Sono soltanto sincero, e la sincerità andrebbe premiata, no?
E poi certa gente
è davvero troppo permalosa.
Mi ricordo di una volta che ho
incontrato quella ragazza
strepitosa, Julia, in un locale a Vienna. Era davvero perfetta, il
massimo che
uno come me possa sognare, ma aveva un piccolo difetto: era
spaventosamente strabica.
L’ho voluta comunque invitare a bere qualcosa, premurandomi
però di chiederle,
con tutta l’accortezza possibile, di mettersi un paio di
occhiali da sole
perché se no non riuscivo a concentrarmi, e lei per tutta
risposta mi ha
mollato un ceffone da body builder professionista, senza nessuna
ragione al
mondo. La mia mascella se lo ricorda ancora.
Tari, comunque, sembra colpita da
questa osservazione, e
grazie al cielo non da segni di volermi malmenare (cosa che, in ogni
caso, mi
spaventerebbe ben poco, perché, magra
com’è, deve avere la stessa micidiale potenza
di Bill, cioè zero).
“Leila me l’ha
suggerito un paio di volte di essere più
elegante,” ammette avvilita. “Ma io non mi trovo a
mio agio in certi vestiti,”
Dice ‘certi’ facendo un gesto distratto verso la
vetrina alle nostre spalle,
che espone modelli ultrafirmati di abiti chic.
“L’avete visto anche voi, sono
goffa già di mio, chissà cosa combinerei con una
gonna e dei tacchi. E non
parliamo nemmeno di trucco. L’ultima volta che ci ho provato,
mi sono infilata
lo spazzolino del mascara in un occhio, e mi ha lacrimato per
ore.”
Noto che Bill è vicino
alla disperazione, e credo si stia
demoralizzando per via del crescente calo delle possibilità
di successo del
piano B.
“E quest’ultimo, glorioso
tentativo a che epoca risale?” domanda, con
il tono di chi teme di scoprire la risposta.
“Cinque anni fa.” Confessa Tari, le guance che le
si fanno rosa acceso.
“Va bene, Tari, nulla
è perduto,” dice Bill, determinato,
mettendole le mani sulle spalle. È più alto di
lei di una trentina di
centimetri e lei sembra esserne intimidita. “Se collabori,
possiamo aiutarti a
diventare l’assistente ideale.”
Sono dell’umile parere che,
anche al meglio delle sue
possibilità, Tari sarà ben lungi
dall’essere qualcosa di anche solo lontanamente
simile ad un’assistente ideale, ma me lo terrò per
me. In questo momento è
fondamentale che lei ci creda e ci assecondi.
Se non ricordo male, tra un paio di
giorni dovrà
accompagnare Gustav a fare la prova dello smoking (Gustav in
smoking… Questo la
dice lunga su quanto Michelle lo conosca, e su quanto lui stia per
diventare un
futuro marito represso): se oggi riusciamo nell’intento,
già per domani avremo
una Tari tutta nuova e sensuale (all’incirca), e magari
venerdì Gustav sarà
abbagliato dalla sua stupefacente trasformazione, cadrà ai
suoi piedi e si
accorgeranno di essere follemente innamorati l’uno
dell’altra.
Si conoscono solo da pochi giorni, ma
sono dettagli
trascurabili. Nei film funziona, no?
“Vedrai che poi Leila non
avrà più il benché minimo dubbio
sulla tua assunzione definitiva.” Insisto, supportato da
cenni di approvazione
di Georg.
Tari ci squadra incerta, ma si vede
benissimo che è tentata.
Ci tiene davvero a questo lavoro, e credo che sia disposta a scendere a
questo
tipo di compromessi.
E infatti, dopo
un’esitazione non indifferente, abbassa la
testa ed annuisce remissiva.
“D’accordo,”
Si arrende. “Tentar non nuoce.”
Su questo non ci giurerei.
________________________________________________________________________________________________
A/N:
grazie infinite a voi che avete lasciato tutte quelle lusinghierissime
recensioni, ed anche a voi che avete soltanto letto o avete aggiunto la
storia tra i preferiti. Mille volte ancora grazie! Mi mancano
all'appello le mie adorate Anime Gemelle, ma non importa: Schwesti e Da, ovunque voi
siate, grazie lo stesso, so che avete letto e avrò modo di
fare l'offesa in privato. ;)
Grazie in particolare a: dark011
(anch'io AMO Georg!), L_Fy
(Camden Town è stato il mio paradiso. Ancora oggi si
ricordano di colei che in un pomeriggio da scucito centinaia di
sterline nei vari nogozi gotici), CowgirlSara
(sì, sei imperdonabile, ma Bill mi ha detto che vuole che io
ti perdoni, e a Bill non si può dire di no. MS rule!), carol22 (oh, beh,
che dire, anch'io adoro il pacchetto 'Doppio Kaulitz+Listing', ma mai
quanto il 'Tokio Hotel Deluxe Tutto Compreso'! Grazie mille dei
complimenti, mi hai resa molto molto compiaciuta di me stessa), Loribi (grazie
infinite anche a te! Tari si darà una mossa se e quando
aprirà gli occhi... Ho detto tutto), Muny_4Ever (grazie! Cerco sempre di attenermi il più possibile ai caratteri che loro ci mostrano, per me è fondamentale rispettare le vere personalità dei personaggi che si prendono in prestito), RubyChubb (ho una
sola dichiarazione: appoggio!), Samia (la mia
diletta! Ogni volta che vedo una tua recensione, gongolo come
un'idiota. Danke!), CaTtY
(sono felice di essere riuscita a catturare la tua attenzione
nonostante l'inizio ti avesse convinta poco. Spero continuerai a
seguirmi!), valux91
(Bill balla divinamente sul palco! Lo stesso non si può dire
di quell'impiastro di Tari, ma, poverina, anch'io avrei serie
difficoltà di coordinazione se Bill mi invitasse a ballare),
NeraLuna
(non sono io a farti scompisciare, ma loro, i personaggi: ti giuro che
fanno tutto da soli, io mi limito a trascrivere quello che li sento
dire e fare, qui nella mia testolina), loryherm (mia cara!
Mi eri mancata! Guai se sparisci di nuovo, adesso!), Lidiuz93 (Michelle
sta sulle scatole un po' a tutti, ma sinceramente nemmeno a me
dispiace. Certo, se in alternativa e ìa lei c'è
una finlandese imbranata e adoVabile come Tari, non c'è
storia su a chi vada la mia preferenza), _Princess_ (nooo,
non morire, altrimenti io finisco al rogo per avere ucciso l'autrice
più letta e recensita della sezione! E poi tu mi hai
torturata a non finire con la tua storia, quindi se permetti mi prendo
anch'io qualche libertà!), picchia (grazie!
Sono ben umile cosa in confronto a certe pesonalità, qui
dentro, ma fa sempre piacere sentirsi dare della grandiosa!), btb (temo di doverti
deludere: Michelle non si romperà niente, ma in compenso
sonoriuscita ad aggiornare, finalmente! Anche a te, grazie dei
complimenti!).
A risentirci, leute, e se mi lasciate una recensione, anche piccina, ne
sarò ben lieta!
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Capitolo 7 *** Lezioni di Finlandese ***
[ GUSTAV
]
Sono sinceramente perplesso.
E preoccupato.
E non sono il tipo di persona che si
preoccupa per un
nonnulla.
Anzi, chiunque può
affermare con una certa sicurezza che ho
abbastanza sangue freddo da essere l’unico del gruppo a non
avere sfiorato
un mancamento quando lo scorso anno abbiamo sbancato agli MTV Europe
Music
Awards, portandoci via il Best Intenational Act, Best Band, Best Album
e Best
Video. Quella volta Bill ha avuto una crisi respiratoria, Tom
è inciampato in
se stesso e Georg si è quasi strozzato con la sua stessa
saliva. Io ero l’unico
in grado di gioire senza mettere a repentaglio parti anatomiche vitali.
Ho
detto tutto.
Comunque sia, il fatto che siano le
dieci e cinque, che io
sia perfettamente pronto ad uscire e che l’appuntamento con
la sarta è per le
dieci e mezza mi fa domandare: ce la farà mai Tari
ad arrivare in orario? Doveva essere qui
cinque minuti fa. Ci sono tre possibilità che possono
spiegare questo ritardo,
e sono una meno confortante dell’altra. Uno: ha di nuovo
sbagliato orario; due:
ha di nuovo sbagliato data; tre: le ha sbagliate entrambe.
Come sia finita a fare da assistente
a una precisa e
rigorosa come Leila, nessuno lo sa.
Lo so che non dovrei dimostrare tanta
sfiducia, ma
l’esperienza insegna, e se devo proprio dire la mia, quella
ragazza non è
proprio l’affidabilità personificata, in quanto a
puntualità. Se siamo
fortunati, arriverà per le undici; nel, peggiore dei casi,
arriverà domani.
La casa è vuota, Michelle
è al lavoro, il telefono tace, la
tv è spenta, la pace assoluta regna. Gironzolando per il
salotto mentre aspetto
che il prodigio si verifichi e Tari si presenti alla porta per
l’ora stabilita,
non posso fare a meno di osservare con un’attenzione
superiore al solito i
dettagli dell’arredamento: le pareti sono di un bianco
splendente, che con
questo sole fa quasi male agli occhi, qua e là sono sparsi
vasi di fiori finti
e di colori che oscillano esclusivamente tra il rosa e
l’arancione, in tinta
con i cuscini del divano, anch’esso bianco, con le tende e
con il grande
tappeto. Sparse un po’ in ogni angolo della casa ci sono
quelle ridicole
riviste patinate che, fosse per me, non dovrebbero nemmeno essere
vendute. C’è
un’intensa fragranza di rose nell’aria, proveniente
dal profumatore posato sulla
mensola dell’ingresso. Non è il massimo, a mio
modesto parere.
Ci sono tracce evidenti di Michelle
ovunque, e ci
mancherebbe, è il suo appartamento, ma se uno non va a
rovistare negli armadi o
a guardare in bagno, non si accorgerebbe nemmeno che qui dentro ci vivo
anch’io.
Certo, ho montato io quello stupido
mobile della
televisione, e ho fatto io quella striatura nera sul muro, che Michelle
ha
prontamente coperto con un quadro astratto che non ho mai capito da
che parte
guardare, ma qualunque cosa provenga da me, qui dentro, potrebbe
tranquillamente provenire da chiunque altro, e non farebbe alcuna
differenza.
Dalla finestra aperta entra una
piacevole brezzolina fresca,
che mi si insinua tra i primi bottoni slacciati della camicia e mi fa
venire
voglia di strapparmela di dosso per mettermi qualcosa di più
consono alla bella
giornata, ma, no, non posso presentarmi alla prova dello smoking (a me!
Uno
smoking!) in tenuta casual, ne va dell’immagine che ne darei,
e sono già
fortunato se mi sono stati concessi i jeans.
Come se a quella gente importasse
cosa indossano i loro
clienti. Con un bel fascio di soldi in mano, potrei anche andarci
vestito da
clown.
L’orologio del lettore DVD
scatta sulle dieci e otto minuti.
Sto per sospirare sconfortato, quando finalmente suona il campanello.
Con mio
immenso sollievo, quando apro c’è esattamente che
mi auguravo ci fosse ad
aspettarmi: Tari ansima reggendosi una borsetta al petto, vestita con
un
elegante tailleur grigio perla che non avrei mai creduto di poterle
vedere addosso.
“Ciao,” la saluto
sorpreso. “Ti stavo per…”
“Hyvää
päivää, Herra Schäfer. Anteeksi,
kuinka minä olen
myöhästynyt! Meidän täytyy
mennä!”
Eh?
Sbatto le palpebre interdetto,
cercando di capire se sono io
ad essere completamente impazzito, o lei.
La seconda, probabilmente.
“Oh, dio, mi
scusi!” balbetta lei, portandosi imbarazzata le
mani alla bocca. “Ero al telefono con mia madre, poco fa,
sono ancora in
modalità finlandese. Mi dispiace, non
volevo…”
Non posso fare a meno di ridere. Se
non ci fosse lei, questo
matrimonio sarebbe molto più noioso.
“La prego,”
prosegue lei, ancora ansante. “Mi dica che la
data e l’ora sono giuste. Ritardo a parte,
ovviamente.”
“Ma certo,” la
rassicuro. “Non vedi che sono vestito, per
una volta?”
Lei mi scocca un’occhiatina
torva. Devo riconoscere che così
incute un certo timore.
“Mi risparmi la crudele
ironia, per favore, non è giornata.”
“Qualcosa non va?”
“Questi tacchi mi stanno
facendo impazzire,” si lamenta,
abbassandosi per massaggiarsi un polpaccio sottile.
Soltanto adesso noto che porta un
paio di scarpe con un
tacco a spillo di neanche cinque centimetri, che per Michelle
equivarrebbe
circa a dei comodi mocassini, ma che a vederli portati da lei sembrano
trampoli
vertiginosi ed ingestibili.
“Lei non ha idea di cosa
significhi farsi sei piani a piedi
con queste mostruosità addosso!” Sembra davvero
disperata. “Per non parlare
della gonna, poi! Ho paura di strapparla appena muovo un
passo.”
Una delle tante cose che non
capirò mai delle donne (e di
Bill): farebbero di tutto per la bellezza, compreso sottoporsi a
torture
disumane. Se qualcuno facesse loro ciò che loro fanno a se
stesse, verrebbe
considerato un sadico criminale.
“Perché ti sei
vestita così se non ti trovi bene?” le
domando, attonito.
Lei rantola.
“Perché Leila
esige un’immagine più curata, e se voglio che
mi assuma, devo adeguarmi.”
Si parlava di sadici
criminali…
“La trovo una cosa
parecchio stupida,” osservo, ma poi
scrollo le spalle indulgente. “Ma se è quello che
vuoi, allora fai bene a non
mollare.”
“Grazie,” replica
Tari, ancora china sofferentemente sulle
proprie caviglie. “Senta, prima di
andare…” Solleva timidamente gli occhi su di
me, praticamente implorandomi. “Ehm… Non
è che per caso ha un paio di cerotti e
della pomata per distorsioni?”
-------
Credevo che ci fossero dei limiti,
sebbene ampiamente
estensibili, alla comicità involontaria di Tari, ma ero in
errore.
Quando l’ho fatta entrare
per darle i cerotti e la pomata,
ho notato che zoppicava in modo un po’ troppo marcato e le ho
chiesto di farmi
vedere in che stato fossero le sue caviglie.
Pietoso.
Erano gonfie e leggermente livide, e
c’erano delle vesciche
poco sopra il tallone. Quelle scarpe dovevano farle davvero un male
cane, così
l’ho aiutata a medicarsi e le ho offerto in prestito un paio
di scarpe da
tennis di Michelle, nuove di zecca, che lei si è
naturalmente rifiutata di
accettare, tirando fuori per l’ennesima volta quella stupida
storia del
distacco professionale, ma ormai ho imparato a minacciarla, quindi
alla fine
si è dovuta piegare alla mia cordiale proposta.
Il problema è che adesso
è ridicola, con quel tailleur così
chic e scarpe da ginnastica ai piedi, e quando siamo entrati nel
laboratorio
della sartoria, tutti la guardavano male.
Forse avrei dovuto suggerirle di
cambiarsi anche i vestiti,
ma poi la mole di convincimenti sarebbe diventata ingente, ed eravamo
già in
ritardo. Anzi, è un miracolo che siamo riusciti ad essere
qui quasi puntuali.
Siamo stati fatti accomodare in una
minuscola saletta di
prova, rivestita in legno chiaro, con grandi specchi sparsi in giro e
sgabelli
ammassati in un angolo. È un posto molto pulito e luminoso,
che profuma di
detersivo alla lavanda, e mi sentirei perfettamente a mio agio se non
fossi
appena uscito dal camerino di prova con addosso un’uniforme
da pinguino.
La sarta, la signora Braun,
è una donna sui settanta dai
corti capelli bianchi e ricci, professionale e molto amichevole, che
però
odierò in eterno per aver confezionato questa trappola
mortale che mi sono
appena infilato.
“Su, su vieni avanti,
ragazzo,” mi esorta, facendomi cenni
spicci con la mano. “Qua sopra, svelto.”
Mi indica una specie di rialzo
circolare di legno alto un
paio di spanne e io non posso far altro che obbedire, ritrovandomi
così in
piedi davanti ad uno specchio che non fa che rigirare il coltello nella
piaga.
Faccio ridere.
Tari osserva silenziosa, seduta in
una poltroncina in un
angolo, palmare alla mano, con cui di tanto in tanto traffica
febbrilmente. Si
è portata dietro uno dei libri che le ha dato Leila, ma lo
tiene aperto sulle
ginocchia, senza leggerlo.
Immagino che il sottoscritto che
viene reso un fenomeno da
baraccone sia di gran lunga più interessante.
“Sta’ dritto,
ragazzo!” mi rimprovera la sarta,
bacchettandomi sulla schiena con il dorso della mano. “Con
questi muscoli
dovresti avere una bella postura eretta, non questa gobba da
minatore!”
borbotta, strattonando lembi di tessuto qua e là.
“Che razza di lavoro fai,
giovanotto?”
“Il batterista.”
Rispondo, il colletto inamidato che mi
irrita il collo. La signora Braun mi guarda come se parlassi
Zulù, o qualche
altra lingua strana. Forse una della sua età
l’unica batteria che conosce è
quella di pentole. “Insomma, faccio il musicista.” specifico.
Scorgo Tari nello specchio che
armeggia con i propri lunghi
capelli, attorcigliandoli in malo modo attorno ad una matita. Si
è tolta la
giacchetta del tailleur ed è rimasta con la maglietta
bianca, gli occhiali che
le scivolano un po’ giù dal naso. Adesso
sì che potrebbe passare per una
testimone di Geova.
“Ti guadagni da vivere
suonando?” domanda la donna, con un
tono di rimprovero. “Non si usa più fare lavori
veri, al giorno d’oggi?”
Va bene, questa donna non
è come me l’ero aspettata. Sarà
che questo posto ce lo ha consigliato Leila, sarà che
l’ambiente appare molto
esclusivo, ma me l’ero immaginata un po’ meno
invadente, ecco. Non è proprio
professionale come sembrava all’inizio, quando mi ha sbattuto
in mano questa
roba che ora mi sta sistemando addosso.
Ignoro deliberatamente la sua domanda
e sposto il discorso
altrove.
“Mi va un po’
stretto qui sopra,” le comunico, osservandomi
nello specchio. Mi faccio pietà da solo, così
conciato. Guardo Tari, riflessa
alle mie spalle, e noto che sta seguendo la scena. “Secondo
te dovrei perdere
un paio di chili?” le chiedo, battendomi le mani sul torace.
Lei sorride appena e fa cenno di no
con la testa.
“Sei perfetto
così.”
Cala un attimo di silenzio.
Restiamo a fissarci, entrambi
vagamente sbigottiti, ma è
come se nessuno dei sapesse veramente perché, poi il mio
cervello realizza, e a
quanto pare anche il suo:
“Oh, mi perdoni!”
farfuglia rammaricata, e salva per un pelo
il palmare che stava per sfuggirle di mano. “Non intendevo
darle del tu, mi è
scappato!”
Esigo che ora questa ragazza mi
spieghi perché mi sta
chiedendo scusa per aver fatto una cosa che sono giorni che la supplico
di
fare.
“Tari, non ti devi scusare!”
chiarisco con decisione. “Non mi sono mica offeso.
Anzi…”
Ma lei ha ancora gli occhi sgranati,
come se mi avesse
appena rivolto chissà quale pesante insulto.
Ci rinuncio, credevo che Tom fosse il
top insuperabile delle
teste dure, ma avrei dovuto immaginare che se c’era qualcuno
che poteva
batterlo, quel qualcuno dovesse essere una donna.
La sarta continua a risistemare orli
ed infilare spilli in
ogni dove, con tale rapidità ed energia che temo che
qualcuno finirà conficcato
direttamente nella mia carne.
Ad un certo punto entra una ragazza
benvestita con un grosso
fascicolo in mano, da cui spuntano lembi di tessuto e fili variopinti,
e lo
porge a Tari con un plastico sorriso educato. Tari ringrazia e se lo
appoggia
alle ginocchia, sopra quello che già aveva, e sembra avere
il terrore di
aprirlo. Credo si tratti del campionario per le decorazioni della
chiesa e del
banchetto.
Mi sembra così piccola con
quel colosso cartaceo in mano,
ricurva su se stessa con se la testa le pesasse.
“Caro, lo so che
dev’essere molto
faticoso, ma dovresti
tenere le braccia sollevate.” mi dice la sarta,
costringendomi da assumere una
posa da spaventapasseri in smoking. Colgo una certa ironia nel modo in
cui dice
‘molto faticoso’. Credo che si sia fatta
un’idea del tutto sbagliata su di me:
non sono un perdigiorno mantenuto che se ne sta ad oziare dalla mattina
alla
sera. Il mio è un lavoro vero, e neanche tanto leggero come
può sembrare.
Quando finalmente la donna ripone
spilli e armi varie, ho le
braccia e le spalle indolenzite e non mi sento più il collo.
E io che credevo
che i concerti fossero estenuanti. Vorrei che i ragazzi provassero
anche loro a
starsene un’ora impalato a farsi riempire i vestiti di
spilli, poi vediamo se
mi sfottono ancora quando mi trascino zoppicante nel backstage dopo
un’intera
serata a suonare.
“Bene, puoi andare a
cambiarti,” mi dice la sarta. “Fai
attenzione quando ti sfili le cose.” E mi lancia
un’occhiata penetrante.
Fantastico, mi crede un incapace.
Solo perché suono una
batteria anziché marcire dietro una scrivania, come
probabilmente staranno
facendo i suoi figli.
Non è affatto simpatica
come pensavo.
Barcollo fino a dietro la tenda del
camerino, ben attento a
non pungermi con i quintali di aghi metallici sparsi per giacca e
pantaloni. Mi
ci vogliono cinque minuti per uscire da questa trappola mortale senza
riportare
danni, e quando esco sono più che felice di lasciare i
vestiti alla deliziosa
signora Braun.
“Sarà pronto tra
una settimana,” mi annuncia lei, mettendosi
a piegare tutto con cura sopra un tavolo con svelti movimenti esperti.
“E puoi dire
alla tua fidanzata che è arrivato lo chiffon che aveva
ordinato dalla Francia,
se vuole venire a vederlo, può passare quando
vuole.”
“Benissimo.”
Faccio io, sbrigativo. Muoio dalla voglia di
uscire di qui, arrivare a casa, sbarazzarmi di questa camicia e
divorare un bel
panino pieno di grassi e carboidrati. Non necessariamente
nell’ordine. Anzi,
necessariamente non nell’ordine, visto che grassi e
carboidrati sono un tabù in
casa.
“Ti prego, dimmi che non
hai appuntamenti urgenti.” Dico a
Tari mentre usciamo in strada. Siamo venuti con la sua auto e ho troppa
voglia
di schifezze per tornare subito all’appartamento.
Fortunatamente lei nega.
“Perfetto,”
esulto, sollevato. “Perché ho assoluto bisogno
di un bel pranzo sostanzioso da McDonald’s.”
“McDonald’s?”
Tari pare sorpresa, si stringe l’immenso
librone al petto guardandomi mentre camminiamo. Forse si aspettava un
ristorante di primo livello, o per lo meno una pizzeria.
“Un paio di hamburger,
patatine e coca cola,” tento di
corromperla, prendendole il volume e portandolo per lei. Pesa
più di quanto
sembrasse. “Mezz’ora e abbiamo finito. Non puoi
negarmi un piccolo compenso
dopo quello che mi è toccato sorbire!”
Lei si mordicchia il labbro
screpolato e si mette a
rovistare nella borsetta – per niente consona al suo stile
– e quasi inciampa
in un tratto di marciapiede sconnesso. I miei riflessi, per sua
fortuna, sono
ottimi, e riesco ad afferrarla appena prima che il suo ginocchio picchi
contro
il cemento, ma nello stesso istante si sente un distinto rumore di
stoffa
strappata.
“Perkele!”
esclama lei, e, qualunque cosa abbia detto, ha
tutta l’aria di essere un’imprecazione.
La aiuto a rimettersi in piedi,
mentre qualche passante si
volta incuriosito. Tari, rossa come un peperone, farfuglia qualche
ringraziamento e si contorce per guardarsi il retro della gonna.
“Hitto!”
C’è un lungo
spacco che parte dal bordo e arriva fino ad
appena sotto il fondoschiena. Non è rotta, solo scucita, e
non viola nessun
pubblico pudore, ma le lascia scoperte praticamente tutte le gambe, e
non posso
fare a meno di notare che non è ossuta come sembra.
Anzi…
“Mi piacciono molto queste
parolacce finniche,” commento,
mentre lei continua a biascicare interiezioni dal suono buffo.
“Va tutto bene?”
“Sì,
grazie,” Tari sospira. “Fantastico, questo tailleur
era
nuovo di zecca.”
“Si è solo
strappata la cucitura, si può sistemare,” La
rassicuro. “Facciamo così: andiamo a mangiare e
poi la portiamo alla cara
signora Braun a farla riparare.”
Tari esita (che novità),
ma c’è un McDonald’s proprio
dall’altra parte della strada, e prima che lei possa aprir
bocca, la sto già
trascinando sulle strisce pedonali. Tari si tiene una mano sul
didietro,
continuando a gettare occhiate alle proprie spalle per assicurarsi di
non
offrire spettacoli gratuiti e poco ortodossi.
“Lei è diverso
da come mi era sembrato,” mi dice, seguendomi
oltre le porte di vetro dell’ingresso. “Sa, anche a
vederla in televisione,
sembra così…”
Mi volto a guardarla, un sopracciglio
inarcato, sfidandola a
continuare.
“Così
composto.” Termina, sostenendo lo sguardo, anche ha le
guance praticamente in fiamme.
Beh, meglio di
‘noioso’, ‘musone’ o uno di
quegli altri
epiteti che mi toccano di solito.
“Sono solo meno
esibizionista degli altri tre.” Spiego,
accodandomi alla breve fila di persone davanti alla cassa.
Tari annuisce convinta.
“Sì, dal vivo
è molto più allegro e vivace. Insomma…
Non
sembra affatto la stessa persona.”
“È
l’effetto delle telecamere. Tutti noi cerchiamo di essere
il più naturali possibile, di fronte al pubblico, ma avrai
notato che presi in
un giorno qualsiasi, nell’intimità di casa, siamo
altre persone, tutti quanti.”
“Credo di preferire la
versione casalinga.” Afferma,
fissando il pavimento.
“Non parleresti
così se avessi visto quei tre nel loro
ambiente naturale.” Replico, strappandole una risata.
Ordiniamo due menu completi (la
giovane cassiera mi chiede
un autografo tutta eccitata) e devo arrivare nuovamente ai ricatti per
poter
offrire io. Andiamo a sederci in un angolo vuoto e ci mettiamo comodi.
Fortunatamente è presto e non c’è quasi
nessuno in giro.
“Allora,”
esordisco, dopo aver deglutito con estrema
soddisfazione il terzo morso di panino. “Insegnami qualche
bella parolaccia in
finlandese.”
Tari si fa andare di traverso una
patatina e si affretta a
prendere un sorso di coca dal bicchiere.
“Dai, avanti!” la
incito. “Ad esempio, cos’è che voleva
dire
la prima che hai detto? Per…
Per?”
“Perkele,”
completa lei, appena riprende a respirare normalmente.
“È l’equivalente di
‘maledizione’.”
Mi stuzzica l’idea di
imparare questo genere di cose in
un’altra lingua. Potrei insultare Tom senza che nemmeno lui
sappia cosa sto
dicendo.
“E
l’altra?”
“Hitto.
Più o meno è la stessa cosa.”
“Quanti modi avete di dire
‘maledizione’, per curiosità?”
Tari fa spallucce, leccandosi le
punte delle dita.
“Cinque, tradotti in tedesco,” risponde. “In
realtà hanno significati precisi in suomi, ma non hanno
corrispondenti
letterali nelle altre lingue.”
Mastico con calma l’ultimo
boccone del panino e mi pulisco
le mani, sempre più interessato.
“E come si dice –
che so – ‘Che giorno è oggi?’?”
“Mikä
päivä tänään on?”
fa lei con disinvoltura. Spero non
mi stia prendendo in giro. Ricordo fin troppo bene
quell’intervista, anni fa,
con quella stupidissima giornalista inglese, che abbiamo preso per i
fondelli
per tutto il tempo davanti a decina di migliaia di spettatori.
“Non sto
scherzando.” Aggiunge, come se mi avesse letto il
pensiero.
Va bene, diciamo che mi fido.
“E cosa si risponderebbe
dopo, per dire ‘Oggi è il ventidue maggio duemilaundici’?”
Tari non riesce a trattenere un
sogghigno. Si schiarisce la
gola e traduce:
“Tänään
on kahdeskymmenestoinen viidettä
kaskituhattayksitoista.”
“Tana non cadetti minestrone
vedetta…?”
Lei se la ride di gusto, un paio di
lucide lacrime che le
sgorgano agli angoli degli occhi.
“Tänään
significa ‘oggi’, e il resto sono, rispettivamente,
giorno, mese e anno.”
Perfetto, adesso so con certezza che
non imparerò mai il
finlandese. Dio, ti ringrazio per aver reso l’inglese la
lingua internazionale
per eccellenza e non questo groviglio di arrotolamenti vari.
“Tutta quella roba
chilometrica vuol dire ‘Oggi è il ventidue maggio
duemilaundici’?” esclamo, basito.
“Kyllä.”
dice Tari, annuendo. Suppongo significhi
‘sì’.
Questi finlandesi sono dei masochisti
mica da ridere.
“Qualcosa di più
semplice?” propongo, sperando che la
semplicità strutturale tedesca non sia inversamente
proporzionale a quella
finlandese. “Tipo ‘Io mi chiamo
X’…”
Tari sembra divertita dal gioco.
Accartoccia la carta del
suo hamburger di verdure e beve un altro po’ di coca.
“Minun nimeni on Suometar,”
recita poi, e credo che l’ultima
parola che ho sentito fosse il suo nome. “Altrimenti
c’è la forma più semplice,
olen Suometar,
che significa ‘Sono Suometar’.”
“Olen Gustav,”
mi presento galantemente. “Olen Gustav
Schäfer.”
Tari mi stringe la mano che le porgo,
ridendo divertita.
“Ottima
pronuncia,” si complimenta. “Dovrebbe mettersi a
studiarlo!”
“Lo farò
senz’altro. Anzi, sai che ti dico? Proporrò di
spostare il matrimonio in Finlandia, così potrò
andare in giro a dire a tutti
quanti che mi chiamo Gustav. E magari, con un po’
d’impegno, anche che giorno
era oggi.”
Il sorriso sulle labbra di Tari
sbiadisce un po’ e i suoi
occhi chiari si tuffano tra le patatine non appena incontrano i miei.
Sto per chiederle se ho detto
qualcosa di sbagliato, ma lei
risolleva il viso, di nuovo sorridente.
“La ringrazio per il
pranzo,” dice, in un tono non
esattamente naturale. “Erano secoli che non mettevo piede in
uno di questi
posti pieni di junk food.”
“Quando vuoi,”
sollevo il bicchiere a mo’ di cincin. “Ogni
scusa è buona per scampare ai cracker di polistirolo di
Michelle.”
Un angolo della sua bocca si alza
appena e lei ricambia il
cincin.
“Al suo
matrimonio.”
“E ai minestroni dei
cadetti.” Aggiungo, suggellando il
brindisi.
“E ai minestroni dei
cadetti.” Conviene Tari, solenne.
Beviamo entrambi un sorso di coca
cola, senza smetterci di
tenerci d’occhio l’un l’altra, ma proprio
mentre sto deglutendo mi scappa da
ridere e mi finisce di traverso. Tari scoppia a ridere nel vedermi
tossire, e
finisce così per tossire anche lei, il tovagliolo di carta
premuto sulla bocca.
Ridiamo come due cretini, rossi in faccia, gli occhi umidi, e mi fanno
male gli
addominali.
Erano secoli che non mi divertivo
tanto con qualcuno che non
fossero quei tre idioti dei miei testimoni.
__________________________________________________________________________________________
A/N:
parto subito col dire che sono rimasta piacevolmente
colpita dal vostro entusiasmo verso lo scorso capitolo, mi ha fatto un
piacere
immenso vedere tante recensioni positive e ricevere tanti (nel del
tutto
meritati) complimenti. Quindi grazie infinite a loryherm, CaTtY, picchia,
Muny_4Ever, starfi (schwesti!), billa483, NeraLuna, L_Fy,
GodFather, carol22,
CowgirlSara (MS!), dark011,
btb, RubyChubb (MS!), Ladynotorius (ambasciatrice MS, perdono!),
loribi,
_Princess_ (MS!), valux91,
Lidiuz93, e ruka88. Un grazie speciale a Samia, che
mi lascia sempre delle recensioni così lunghe e meravigliose
da farmi sempre
venire gli occhioni a forma di cuore… Ti adoro!
Per i fans di Iwen ed Elvis: non
temete, i vostri beniamini
torneranno prestissimo su questi schermi, stay tuned, e, come sempre, le recensioni sono molto ben accette! ^^
P.S. la frase che dice Tari appena arriva a casa di Gustav significa: buongiorno, signor Schäfer. Mi dispiace, quanto sono in ritardo! Dobbiamo sbrigarci!
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Capitolo 8 *** Addio Al Celibato... O Quasi ***
[ BILL
]
Io ed Elvis dobbiamo fare un bel
discorsetto circa le
attività da svolgersi in determinati orari notturni, come ad
esempio dormire.
Ora, io non so esattamente come
funzioni la vita del criceto
medio, ma nessuno mi aveva avvertito che una bestiolina tanto minuscola
potesse
essere in grado di fare un tale baccano da sola. Voglio dire, gli ho
comprato
una gabbia enorme e piena di comfort, il sogno di ogni roditore
domestico,
praticamente una villa formato criceto, ma lui anziché
godersi uno dei tanti
angolini morbidi ed accoglienti e farsi un bel pisolino, che fa? Corre.
Corre
per ore e ore, tutta la notte, causando un fracasso allucinante.
Mi rigiro nel letto abbracciato ad
Iwen (la nostra intimità
è molto cresciuta, di recente), le sue orecchione soffici
premute contro le mie
per non sentire quel piccolo delinquente che sfreccia
all’impazzata sulla sua
bella ruota.
Sono un uomo disperato.
Basta, ho deciso: domani va in
affidamento allo zio Tomi,
che tanto ha il sonno pesante e non lo sveglia nemmeno la fine del
mondo.
Non sono un genitore snaturato, gli
voglio tutto il bene che
si può volere a dieci grammi di pelliccetta setosa, ma, come
si dice, a mali
estremi, estremi rimedi.
Questa notte, come se non bastasse,
ho avuto un incubo di
quelli che ti fanno svegliare di soprassalto, ansante e tremante, con
il cuore
che batte a mille miglia orarie e la fronte imperlata di sudore, e
tornano a
tormentarti per il resto della vita. È stato davvero,
davvero orribile.
Ho sognato che era il giorno del
matrimonio, ma Gustav non
si presentava alla cerimonia (il che, nella realtà, sarebbe
una buona idea, a
ben pensarci), così Michelle si incazzava come una iena e
pretendeva di sposare
uno di noi tre testimoni. E Tom e Georg hanno mandato me!
Oh, dio, ma perché ci sto
ripensando? Mi serve della
camomilla.
No, un bel bicchiere di whisky.
Afferro alla cieca un orecchio di
Iwen e me lo porto via
verso la porta, lasciando Elvis a scorazzare libero e felice su quella
sua
ruota infernale. È solo quando mi richiudo la porta alle
spalle che sento dei
rumori sospetti provenire dalla cucina.
Le luci sono spente, ma se porgo
l’orecchio, riesco a
sentire distintamente delle voci sommesse che bisbigliano.
Cazzo, i ladri!
E adesso cosa faccio?
Se vado a svegliare Georg o Tom
(preferibilmente Georg, che
è un po’ più utile di Tom, in caso di
necessità di difesa), rischio l’uccisione
istantanea, ma se non faccio niente… Ci ripuliscono
l’appartamento!
Che cosa può fare un
piccolo, indifeso Bill Kaulitz contro
dei feroci assassini?
Facendo piano, striscio furtivo verso
la cucina,
nascondendomi dietro ad Iwen, per sicurezza. Le voci si fanno
più nitide man
mano che mi avvicino.
Oh, dio, ma dove sono le fan
inferocite da aizzare contro i
malintenzionati, quando se ne ha bisogno?
Mi fermo appena dietro alla porta
chiusa, senza osare
toccare la maniglia. Tutte le porte di questa casa cigolano come se
avessero
sei o sette secoli d’età, solo la mia si salva, e
questo perché ho avuto il
buonsenso di ungere i cardini (adesso puzzano un po’ di
oliva, ma quasi non si
nota più).
Mentre sono ancora immerso nei miei
pensieri, con orrore
vedo la maniglia che si abbassa, lentamente, come se stessi guardando
un film
in slow motion.
Il cuore mi balza in gola e le
ginocchia sembrano voler
cedere da un momento all’altro.
All’improvviso la porta si
spalanca con un colpo deciso e io
mi sento urlare a squarciagola, mentre due figure alte e scure mi
appaiono di
fronte. Vorrei scappare, ma le mie gambe non ne vogliono sapere di
muoversi. Mi
stringo convulsamente Iwen al petto, accasciandomi al suolo, strizzando
gli
occhi dalla paura. Mi chiederanno dov’è la
cassaforte. Vorranno i nostri soldi,
i nostri premi… I miei vestiti! Mi picchieranno, mi
molesteranno, forse mi
violenteranno! E poi mi minacceranno di uccidere mio fratello e il mio
amico al
mio cospetto, se non darò loro quello che vogliono!
Oh, no, no, sono troppo giovane,
bello e pieno di talento
per morire così! Ho ancora tante canzoni da scrivere, tante
persone da stupire,
tutta una vita davanti, brillante e piena di prospettive e…
“Bill, ma che cazzo
urli?”
Tom?
Tremante, apro lentamente un occhio,
sbirciando attraverso
la semioscurità. Non vedo che le stesse ombre di prima, ma
mi sembra di
riconoscere una massa di rasta e due spalle muscolose.
“Credo di aver perso
l’udito da un orecchio.” Bofonchia la
voce roca di Georg.
Un momento…
Apro anche l’altro occhio,
proprio mentre la luce del
corridoio viene accesa. Dopo un attimo di cecità, la mia
vista mette a fuoco le
facce sonnolente ed alterate di Tom e Georg, che mi guardano
dall’alto come se
fossi una strana creatura con otto braccia e qualche bizzarra
escrescenza sulla
fronte.
“Bill,” Georg si
accovaccia di fronte a me e mi scruta
preoccupato. “Ti senti bene?”
Sono domande da farsi ad uno che ha
appena avuto dieci
attacchi di cuore consecutivi?
Cerco di darmi una calmata almeno
superficiale e mi rimetto
insieme, alzandomi in piedi con un piccolo aiuto da parte di Tom.
“Benissimo,”
dichiaro, disinvolto. “Però, insomma…
Non è
proprio piacevole vedervi a quest’ora di notte.”
Tom inarca un sopracciglio e incrocia
le braccia.
“Non è che tu
abbia l’aspetto di un bocciolo di rosa,
comunque…”
Indignato, lo allontano a colpi di
Iwen, le mie pulsazioni
che pian piano ritornano a livelli umani. Se solo le mie ginocchia la
piantassero
di tremare così…
Che infarto, cazzo!
“Cosa diavolo ci fai in
piedi a quest’ora?” mi chiede Georg,
che ancora non sembra convinto che io sia pienamente o parzialmente in
possesso
delle mie facoltà mentali.
Mi ficco Iwen sotto ad un braccio,
accendo a livello minimo
la luce della cucina ed entro, andando a lasciarmi cadere su una sedia.
Camomilla. Ora me ne servirà almeno una doppia.
“Non potete immaginare che
razza di incubo ho fatto!”
esclamo, portandomi una mano alla fronte. “Traumatico, vi
giuro! Non potete
proprio immaginare!”
Georg e Tom mi hanno seguito e mi
scrutano appoggiati al
bancone di fronte a me.
“Hai sognato che Gustav
dava forfait al matrimonio e tu eri
costretto a sposare Michelle?”
Sgrano gli occhi, incredulo. Questa
è telepatia!
“Anche voi avete sognato di
essere costretti a sposare
Michelle?!”
“No,” dice Tom
con un sogghigno. “Anche noi abbiamo sognato
che tu eri costretto a sposare
Michelle.”
Sono senza parole. È un
complotto! Un complotto alle mie
spalle! Chi mi assicura che il loro piano non sia stato esattamente
questo fin
dall’inizio? Che non siano d’accordo con Gustav per
sbarazzarsi di me,
affibbiandomi a quella megera ossigenata?
“Ho bisogno di una
camomilla,” sospiro affranto. “Una abbondante
e forte, ben zuccherata.”
Attendo che uno dei due si metta al
lavoro, ma non si muove
un sola molecola.
“Beh?” Li guardo
colmo di indignazione ed impazienza. “Non
vedete che sono provato? Mi servono coccole!”
“E noi
dovremmo
fornirti queste coccole?” fa Georg, con un tono indisponente
che proprio non mi
piace.
Ma insomma, sono il più
piccolo, che fine ha fatto il loro
senso del dovere?
Ehm… Affetto. Volevo dire
affetto. Che fine ha fatto il loro
affetto?
“Sono sotto
shock!” piagnucolo, affondando il viso nella
pancia pelosa di Iwen. “E voi siete degli egoisti schifosi e
meschini che
ridono alle mie spalle e non si curano minimamente del mio stato e
che…”
“Va bene, va
bene,” sbuffa Tom, interrompendomi in modo
piuttosto maleducato. “Ti faccio questa cazzo di
camomilla.”
Ecco, ora si ragiona.
“Mentre Tom ti
accudisce,” esordisce Georg. “Ti spiacerebbe
spiegarmi cosa ci facevi appollaiato dietro alla porta della
cucina?”
“Ehm…”
Non ho la benché minima
intenzione di metterli al corrente
della cosa dei ladri. Ci manca solo che trovino un nuovo spunto per
stressarmi
con i loro simpatici commentini ironici.
“Mi è venuta
un’idea.” Rispondo, sorridendo misteriosamente,
o così spero. Passato lo spavento, mi è tornato
un sonno micidiale e non so
bene se i muscoli del mio viso stiano obbedendo a dovere al cervello.
“Che tipo di
idea?” indaga Tom, versando l’acqua bollente in
una tazza.
Mmh, bella domanda.
“Dobbiamo portare Gustav in
un night club.” Improvviso.
Night club? Gustav in un night
club? Ma cosa diamine mi è saltato in mente?!
C’è una pausa di
silenzio.
“Puoi ripetere,
scusa?”
“Ma
sì!” insisto. Ormai la frittata è
fatta. “Lo portiamo in
un night club, gli facciamo vedere… Ehm… Cosa si
sta per precludere andandosi
ad accasare con la strega, lui rinsavisce e… Puf, addio
matrimonio!”
Di cosa diavolo sto parlando? E da
quando uso termini come ‘precludere’?
Ma soprattutto, conosco termini
come
‘precludere’?
Attimo di silenzio. So già
che diranno che è un’idea
cretina, perché in effetti lo è (ma non ci si
poteva aspettare diversamente,
visto che l’ho montata in due secondi netti, no?).
“Gustav in un night
club.” Ripete Georg, poco convinto.
“Sì.”
“Il nostro
Gustav
in un night club.” Ripete di nuovo.
“Sì!”
Ma lo capiscono il tedesco?
“Non funzionerà
mai.” Osserva Tom, sbattendomi la tazza
sotto al naso. Un po’ di camomilla trabocca e bagna il
tavolo, ma lui se ne
frega.
“Ma l’addio al
celibato glielo dobbiamo fare comunque!”
protesto.
Non che queste feste volgari facciano
per me (e nemmeno per
Gustav, veramente), ma devo pur difendere la mia idea.
L’espressione di Georg si
fa pensosa.
“Anche questo è
vero…” ammette, e un’ombra di
preoccupazione
gli attraversa il viso stanco.
È il più
preoccupato, tra noi. Sarà che lui e Gustav si
conoscono da una vita e che hanno mosso i loro primi passi nel mondo
della
musica insieme, ma Georg si è preso molto a cuore questa
storia e credo che se
pensasse che esista qualche possibilità che davvero Michelle
possa fare felice
il suo migliore amico, lascerebbe correre. Ma Georg vuole bene a
Gustav, così
come gliene vogliamo io e Tom, e farebbe di tutto per salvarlo da un
futuro
infelice, anche trascinarlo brutalmente in un nightclub, facendosi
così
conseguentemente odiare a morte.
Lo vedo che scambia
un’occhiata dubbiosa con Tom e capisco
che stanno cominciando a guardare la cosa sotto un’ottica
diversa. La loro.
“Ma sì,
infondo…” Tom fissa Georg con un sorrisino
beffardo.
“Perché non approfittarne? Bill non ha tutti i
torti, no?”
“No,” conviene Georg, con lo stesso sorrisino.
“L’addio al celibato è di
rito.”
No, rettifico. A questi due non
importa un fico secco di
Gustav. Vogliono solo andare a vedere quelle ragazze mezze nude che si
attorcigliano attorno ai pali e si atteggiano da pornodive.
Francamente, non
riesco a condividere il loro entusiasmo. D’altro canto,
però, sono curioso di
vedere la reazione di terrorizzata claustrofobia di Gustav quando lo
avremo
trascinato là dentro.
Già mi pregusto la
scena…
-------
[ TOM
]
Bill è straconvinto di
essersene uscito con la genialata del
secolo con questa storia del night club, ma se devo essere sincero temo
che un
espediente simile non farà altro che convincere Gustav che
la sua gnocca
fidanzata sia un mogliettina perfetta ed ideale. Ed umile e morigerata,
magari.
Il che potrebbe anche essere vero, per qualcuno, ma per lui proprio no.
A
Michelle serve un ragazzo superficiale e/o smidollato, che non si curi
di certi
suoi vizi vanesi; a Gustav serve una ragazza semplice, senza fronzoli e
manie
di protagonismo (quindi, anche volendo, non potrei rifilargli Bill),
che sappia
accettare il fatto di dover condividere il suo cuore con la musica. In
pratica,
Gustav non troverà mai e poi mai un’anima gemella,
figuriamoci l’anima
gemella, ma di questo si dovrà
preoccupare lui. Come dice sempre mia madre, quel
ragazzo è troppo perfino per se stesso, qualunque
cosa voglia
dire.
Dopo aver definito i dettagli del
piano Night Club durante
il giorno, io e i ragazzi ci siamo organizzati per arrivare a casa di
Gustav e
coglierlo di sorpresa, in modo da non lasciargli il tempo di reagire.
Michelle
non è in casa, grazie al cielo, quindi
l’operazione non dovrebbe risultare poi
così complicata.
Fortunatamente a Bill non piace
guidare di notte, quindi ha
caritatevolmente lasciato Bonnie nel garage ed ha concesso a Georg di
prendere
la sua BMW.
Fra parentesi, prima o poi mi devo
ricordare di fare un
inventario del numero di auto che possiedono questi due,
perché non sono troppo
sicuro di saperlo con esattezza, ma dopotutto secondo me nemmeno loro
lo sanno.
Lancio un’occhiata a Bill,
rannicchiato sul sedile posteriore
con la testa appoggiata all’enorme pancia bianca di Iwen. Non
so perché se lo
sia voluto portare dietro anche stavolta, ma ormai mi sono rassegnato
alle
stranezze di mio fratello, per cui, come si suol dire: beata ignoranza.
Abbiamo deciso che porteremo il caro
Gustav in un posto che
si chiama Hot Pants Party. Non ci
siamo mai stati, ma abbiamo controllato il sito internet e sembra
proprio un
posticino niente male, pieno di ragazze a cui basta sentire il
frusciare di
qualche banconota per spogliarsi. Pare ce ne siano per tutti i gusti,
dai più
ordinari ai più bizzarri. Troveremo per forza qualcosa che
piaccia anche al
nostro neofidanzatino (presto neosingle, se qualcuno, lassù,
ci ama).
“Ci siamo.”
Annuncia Georg, accostando al marciapiede.
Siamo arrivati di fronte al
condominio extralusso che ospita
l’appartamento di Gustav e Michelle: è bianco e
illuminato come se fosse
un’opera d’arte in un museo, e l’ingresso
è sorvegliato da due guardie in
uniforme, impettite ed immobili come statue.
Dio, quanto se la tirano!
Sono le undici passate, penso,
schifato, possibile che
questa gente non abbia voglia di farsi una vita?
Scendiamo dalla macchina e ci
avviciniamo al display dei
citofoni. Bill tenta tre volte di comporre il numero corrispondente
all’appartamento
di Gustav, ma le sue unghie lunghe continuano a premere anche i tasti
sopra.
Alla fine, per evitare di insospettire le guardie, Georg lo scansa e
digita il
codice esatto.
Restiamo a guardarci incerti mentre
il bip intermittente
segnala la connessione all’interno 15 e aspettiamo.
In un modo o nell’altro,
Gustav questa serata non se la
scorderà facilmente.
-------
[ GUSTAV
]
Promemoria per il futuro: mai aprire la porta dopo le undici di
sera, soprattutto se la tua
ragazza è fuori a cena con suo padre e in casa non
c’è nessuno che possa
salvarti da folli incursioni semicriminose.
Io me lo sentivo che non avrei
nemmeno dovuto avvicinarmi al
citofono, ma quando ho visto nello schermo gli occhioni di Bill che mi
sorridevano e lui, Georg e Tom mi hanno detto in coro
“Rimpatriata stile vecchi
tempi?”, ammetto di essermi lasciato trasportare dalla
commozione, ed ho
aperto.
Gravissimo errore.
Anzi, catastrofico errore, visto che
non appena ho dischiuso
la porta sono stato aggredito e brutalmente sequestrato dalla mia
stessa
abitazione, e poi costretto a seguire i miei rapitori nella loro BMW
(nello
specifico, quella di Georg, e, grazie al cielo, non quella di Bill, che
è
quanto di più atroce una macchina possa essere, sotto
molteplici aspetti).
Ho protestato, ho fatto domande, ho
minacciato, ma nessuno
di loro mi ha degnato della benché minima attenzione. Si
sono limitati a
sorridere in modo strano, facendomi salire un’ansia
indicibile. Era palese ed
ovvio che avevano qualcosa in mente. Avevo solo troppa paura di
scoprire cosa,
per insistere a chiedere.
Quando poi abbiamo svoltato in una
delle strade meno
raccomandabili della periferia, ho capito di essere autorizzato a
temere il
peggio.
E infatti eccomi qui, nel club
più squallido e di cattivo
gusto di tutta Amburgo, inchiodato ad un tavolino, costretto a subire
ridicole
esibizioni di ridicole donne, tra cui alcune decisamente giovani ed
altrettante
decisamente mature, il tutto per un prezzo ridicolmente alto, che se
non altro
i miei tre fedeli testimoni hanno avuto la decenza di offrire. Come se
questo
potesse in qualche modo cambiare la mia opinione in merito a tutta
questa
buffonata imbarazzante.
Continuo a non
riuscire a
spiegarmi come sono finito qui, comunque. Sicuramente non sarebbero
riusciti in
questa follia, se Georg non avesse praticamente vissuto in palestra,
negli
ultimi tempi, ma una cosa è certa: voglio uscire.
Il cosiddetto
“locale”, come l’ha
edulcoratamente definito Tom, è uno strip club identico a
quelli che si vedono
nei film americani, fumoso e scarsamente illuminato, pieno di sedicenti
ballerine che si dimenano sui banconi lungo le pareti.
Georg e Tom sembrano
divertirsi
un mondo: bevono dai loro boccali di pilsner e osservano soddisfatti le
due
rosse che “ballano” (se ballare si può
definire un ancheggiamento fronte-retro
nemmeno troppo aggraziato) di fronte a noi. Bill, invece, se ne sta
ricurvo sul
suo cocktail senza mai sollevare lo sguardo, ed ha l’aria
particolarmente
annoiata, e anche un po’ impaurita. In effetti ci sono
diversi uomini dall’aria
poco raccomandabile che da quando siamo entrati non hanno smesso un
attimo di
fissarlo in modo strano. Ho notato che la sua sedia si è
lentamente spostata
attorno al tavolo, fino a raggiungere Goerg, che però non lo
considera di
striscio.
Per quel che mi
riguarda, avrei
solo voglia di infilare la porta e sparire, tanto più che
non riesco nemmeno a
fingere di gradire l’improvvisata. Insomma, sto facendo del
mio meglio per
estraniami da questo schifo volgare, prego (invano, lo so) che tutto
finisca presto
e mi concentro sulla mia cocacola. Niente alcol, nemmeno una goccia. In
posti
come questo è sconsigliabile perdere
anche solo un grammo di lucidità.
Spogliarelliste da
quattro soldi,
ubrianconi pervertiti e cocacola: questo dovrebbe essere il mio addio
al
celibato.
Wow.
Per la
verità non l’ho mai voluto
un addio al celibato, ma se proprio lo dovevo avere, avrei preferito
qualcosa
di diverso, magari un po’ più elegante.
Cioè, lo
so che dovrei apprezzare
il pensiero, ma non mi sto divertendo affatto.
Sto per dire addio
alla mia
libertà, alla mia vita da single, alle nottate brave e alle
pazzie in cui mi
sono sempre lasciato trascinare da questi tre, e lo sto
facendo…. Così.
Non so perché, ma sento
un’improvvisa amarezza in bocca.
Sollevo un attimo gli occhi e vedo
Bill con una faccia
strana, appiattito contro un lato della sua sedia.
“Ciao bella,” gli
sta dicendo un tizio sui quaranta che
sembra appena uscito da una sessione di body building. “Cosa
ci fa una cosina
delicata come te in questa topaia di balordi?”
Vedo Bill che si ritrare stizzito,
un’espressione di puro ed
incomparabile orrore dipinta in volto. Ha gli occhi sgranati e il
labbro
inferiore che trema e, in tutta onestà, è uno
spettacolo. Né Georg né Tom si
sono accorti di niente, imbambolati a rimirare la rossa che ha
cominciato a
toglierswi strati di indumenti pressoché inesistenti.
“Non mi dirai che sei qui
con il tuo ragazzo.” Insiste
l’omaccione, sollevando lo sguardo su noi tre. Io mi affretto
a guardare altrove,
rifuggendo lo sguardo implorante di Bill, così lui
è costretto ad arretrare
ancora, annaspando alla cieca fino a che non riesce a conficcare i suoi
artigli
nel braccio di Georg, senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi
dal
tizio.
Georg sobbalza e si volta
corrucciato, pronto a rifilare a
Bill qualche parolina gentile, ma Bill non gli lascia il tempo di
aprire bocca.
“Sto con lui!”
afferma, aggrappandosi a Georg con entrambe
le braccia. Sorride nel modo più nervoso che io abbia mai
visto e sarei già
scoppiato a ridere, se il colosso umano non avesse un aspetto
così minaccioso.
Georg impallidisce e tenta di
scrollarsi Bill di dosso, ma
lui lo tiene sempre più stretto e ancora un po’
che gli si avvicina, gli
finisce in braccio, ma non escluderei che possa essere esattamente
quello che
vuole.
Il tizio scruta Georg, truce, e per
un fugace momento temo
seriamente che possa scatenarsi una rissa da cui nessuno di noi
uscirà vivo, ma
alla fine l’uomo grugnisce qualcosa e se ne va borbottando
fra sé e sé.
“Gran bel posticino,
vero?” commenta Tom, che non si è
minimamente accorto di niente ed è ancora in fissa sulla
rossa, che, me ne
accorgo solo ora, porta una specie di maschera veneziana che le
nascondo il
viso Soltanto. Immagino sia il pezzo forte dello strip,
l’ultimo che verrà
lasciato cadere, e suppongo questo avverrà presto, visto che
ormai è rimasta in
bikini, e si tratta anche di un bikini particolarmente striminzito, che
non
lascia dubbi sul fatto che le sue doti frontali siano o meno frutto di
un’evidente chrurgia plastica.
Mi astengo da ogni commento e prendo
un sorso di coca, poi
controllo l’ora: mezzanotte e mezza. Soltanto
mezzanotte e mezza.
Siamo qui soltanto da una fottuta
mezz’ora.
Come diavolo è possibile?
Ad un tratto mi accorgo che la rossa
si è sciolta il nastro
che le sorregge la maschera e se la sta sfilando con quello che devo
supporre
voglia essere un movimento sexy. Quando se la scosta dal viso, io,
Bill, Tom e
Georg non riusciamo a trattenere un moto di disgusto.
Non è affatto una ragazza,
ma una donna di mezza età rifatta
da capo a piedi la cui faccia è così carica di
trucco che potrebbe
tranquillamente togliersi una seconda maschera.
Lei evidentemente non ha notato la
nostra reazione e deve
aver interpretato il nostro stupore come attonita ammirazione.
Nulla di più sbagliato.
Inorridisco internamente mentre si
abbassa e mi lancia la
maschera di plastica con un sorriso che forse dovrebbe passare per
seducente,
ma che mi fa rivoltare la cena nello stomaco.
Sembra che questa donna abbia subito
una specie di mummificazione
al silicone: zigomi, labbra e diverse altre parti della sua anatomia a
cui
preferisco non pensare hanno l’aspetto rigido e plastico di
pezzi di gomma
impiantati e, sarò onesto, fanno abbastanza ribrezzo.
Mi fa un occhiolino, increspando le
labbra contornate da
infinite piccole rughe, poi si mette ad attorcigliarsi attorno al palo
lì
accanto, suscitando esclamazioni di approvazione da parte di molti
ospiti del
club. Noi sembriamo gli unici a non apprezzare, forse perché
siamo anche gli
unici sobri o quasi.
Tom appare sconvolto e Georg
improvvisamente sembra quasi
trovare allettante l’idea di tenersi Bill incollato addosso,
piuttosto che
guardare un simile spettacolo.
Butto giù il mio ultimo
sorso di coca, proprio mentre la
rossa scende gli scalini che conducono il piano del bancone al
pavimento e si
dirige verso di me, ondeggiando a destra e a sinistra.
Che qualcuno mi salvi. Chiunque,
qualunque cosa…
Avverto una vibrazione nella tasca
della giacca e
trasalisco, sollevato. È come se qualcuno avesse ascoltato
le mie preghiere: il
mio cellulare sta vibrando.
Non ho la minima idea di chi possa
essere a quest’ora di
notte, ma non mi interessa. Con uno scatto mi alzo in piedi ed estraggo
il
cellulare.
“Esco un attimo a vedere
chi è.” Comunico ai ragazzi e, prima
che possano fermarmi o dire qualcosa, mi precipito fuori.
Una volta al sicuro nella strada
semideserta, prendo un bel
respiro d’aria fresca e finalmente controllo il display:
è un numero che non
conosco.
“Pronto?”
“Signor Schäfer,
grazie al cielo! Non sa che spavento mi ha
fatto prendere!”
Resto interdetto a fissare il vuoto
avanti a me, un po’
disorientato da questo tono pieno di panico. È una voce che
non mi sarei mai
aspettato di sentire, non a quest’ora, non così
spaventata.
“Tari?”
______________________________________________________________
A/N: dedicato
ad Ali e Ale,
per aver pazientemente atteso. Ali, sono in ritardo di almeno
un paio di settimane, ma ce l’ho fatta. ^^ Ale, ti avevo
promesso che avrei
aggiornato lunedì, ma non ce l’ho fatta entro
mezzanotte… è mezzanotte e sette,
ho sforato di sette minuti… sorry. ^^
|
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Capitolo 9 *** Una Spalla Su Cui Sorridere ***
Osservo Tari che sorseggia la sua
birra mentre si guarda
intorno con occhi curiosi. Fa uno strano effetto vederla in questo
contesto, in
mezzo a gente così rumorosa ed espansiva – lei,
così riservata e timida – ma,
anche se ha l’aria leggermente spaesata, sembra trovarcisi
bene. E poi devo
ammettere che questa tonalità di verde le dona molto. Fa
sembrare verdi anche i
suoi occhi e si sposa bene con la sua carnagione chiara.
Scruta pensosa la superficie rovinata
del tavolo, prendendo
piccoli sorsi dalla cannuccia.
Sorrido fra me e me. Quanta gente al
mondo, a parte Bill, è
in grado di bere della birra con una cannuccia?
La risposta è fin troppo
ovvia.
Alla fine tutta
quell’urgenza che sembrava esserci nel suo
tono al telefono era solo inutile apprensione: ha chiamato Michelle per
chiederle se poteva passare a lasciare dei documenti da parte dei Leila
e lei
le ha detto che c’ero io in casa e che poteva tranquillamente
dare tutto a me.
Piccolo dettaglio: io in casa non c’ero, per via del
sequestro subito da tre noti
soggetti poco raccomandabili, quindi quando lei ha suonato e nessuno le
ha
risposto, ha subito pensato al peggio.
A dire la verità, mi
veniva da ridere, al telefono, mentre
mi raccontava tutto questo, perché quasi già
immaginavo lei che chiama i pompieri,
il pronto soccorso e chissà che altro, per poi scoprire che
in casa in realtà
non c’era nessuno. Sarebbe stato divertente, ma poi chi la
sentiva Michelle,
con la sua preziosa porta made in Paris
sfondata e scardinata? Alla fine abbiamo deciso di incontrarci a
metà strada
per quei documenti, e tra una chiacchiera e l’altra, ci siamo
infilati in
questo pub.
Ad un tratto Tari solleva gli occhi
ed arrossisce con un
sorriso imbarazzato, accorgendosi di essere osservata. Le sorrido in
risposta,
portandomi il bicchiere alle labbra.
È incredibile come mi sia
bastato poco per migliorare di
netto il mio umore, non appena mi sono allontanato da
quell’orrendo strip club.
Erano anni che non mettevo piede in questo pub ed avevo dimenticato
quanto
fosse calda e accogliente la sua atmosfera. Michelle preferisce locali
di
classe, l’unica volta che l’ho portata in un pub
come questo aveva quasi schifo
a sedersi, e da allora non gliel’ho più nemmeno
proposto.
Ma è bello essere di nuovo
qui, è come un tuffo nel passato,
un’immersione nei ricordi, quando tutto era semplice e non
dovevo preoccuparmi
di cosa indossavo, di cosa mangiavo o come mi comportavo. Quando io ero
ancora
io e non lo sconosciuto che sono diventato.
Ma cosa mi è successo, in
questi anni?
Mi guardo intorno ed è
come se fossi tornato sul sentiero
principale dopo aver percorso un lungo tratto di deviazione. Passo in
rassegna
i volti ignoti eppure familiari di uomini, donne, ragazzi e ragazze,
gente
comune che, dopo una giornata di studio o lavoro, viene qui a godersi
qualche
ora di meritato svago. Nessuno di loro veste Gucci, nessuno ha una
Porsche
parcheggiata qui fuori, nessuno ha bisogno di milioni per divertirsi,
per
godersi la vita. Sono felici così, perché non
hanno tutto, ma quanto basta.
Mi lascio sfuggire un sospiro
abbacchiato.
“Va tutto bene?”
mi chiede Tari, premurosa, sporgendosi un
po’ in avanti, e nel farlo posa una mano sulla mia.
“Sì,
tranquilla,” la rassicuro. “Stavo solo…
riflettendo.”
Abbasso lo sguardo sulla sua mano, ma
lei la ritrae all’istante
e si ricompone in fretta, tornando a concentrarsi sul tavolo, le guance
rosse.
Sorrido dei suoi modi impacciati e
scuoto la testa. Non so
cosa ci faccio qui con lei, a brindare a quello che avrebbe dovuto
essere il
mio addio al celibato (e che invece si è trasformato in un
epocale disastro),
ma so che sto bene.
Tari sembra farsi piccola piccola
nella sua sedia, esile e
delicata, goffa come suo solito, ma così adorabile e
deliziosa, e io mi
riscopro a pensare che… mi piace.
Tari mi piace.
Non so perché questo
pensiero mi sconvolga tanto. In fondo
lo sapevo già da un pezzo… Mi è
piaciuta fin da subito, anche se era così
strana, o forse proprio per quello. Non è mai stato un
mistero che io la
trovassi simpatica. E poi, perché stupirsi? È
anche normale pensare una cosa
simile. Dopotutto è una ragazza molto dolce, intelligente e
simpatica, carina,
sebbene in un bizzarro modo tutto suo, e poi… beh, non ne ho
conosciute molte
di persone così semplici e alla mano, negli ultimi anni.
Insomma, voglio dire… Che
male c’è se mi piace?
Che male c’è se
sono qui con lei a sorseggiare birra e fare
quattro chiacchiere in tutta rilassatezza? È
senz’altro un modo decisamente più
intelligente di trascorrere una serata, piuttosto che inorridire
davanti ad una
schiera di volgari spogliarelliste siliconate. E più
divertente.
“Oggi ho visto la versione
definitiva dell’abito da sposa
della signorina Keller,” esordisce Tari ad un tratto,
riscuotendomi. “Lo trovo
magnifico, molto lineare ma sontuoso… Sarete incredibili,
all’altare!”
Lo dice con entusiasmo, ma il suo
sguardo sembra appannato,
probabilmente per via dell’alcol. A me non va di parlare di
abiti da sposa, né
di altari, e ancor meno di Michelle.
Non adesso, per favore. Ho bisogno di
relax.
“Sì, penso di
sì.” Rispondo vago, e bevo un altro sorso.
È
la seconda birra della sera e ancora non mi sento nemmeno un
po’ brillo, anche
se credo che vorrei esserlo.
Tari si spinge gli occhiali sul naso
mentre con l’altra mano
stringe il proprio bicchiere.
“Sa, sono convinta che il
suo sarà uno dei matrimoni più
belli che vedrò in tutta la mia carriera.”
Perché insiste?
Perché dobbiamo per forza parlare di questo?
“Lei è un tipo
molto dolce e paziente,” prosegue lei,
imperterrita. “Sono certa che sarà un ottimo
padre, un giorno.”
Tari ha questo potere innato: riesce
a tirare fuori gli
argomenti più spinosi ed imbarazzanti e a parlarne in
completa disinvoltura,
senza rendersi conto del disagio che provocano. È
così ingenua, a volte, che
proprio non so come possa essere l’assistente di un blocco di
rigido
pragmatismo come Leila.
Mi volto all’altra parte,
fingendo di osservare un gruppo di
uomini che gioca a freccette in un angolo della sala.
“No, non credo.”
Ammetto a malincuore.
Questa volta non ne voglio parlare
sul serio. Il fatto è che
è un tasto piuttosto delicato e non mi va di toccarlo
adesso. Io e Michelle ci
siamo ritrovati a parlare di bambini, una volta, qualche mese fa, e lei
è stata
cristallina in merito: niente figli. Non vuole seccature inutili che ci
sarebbero d’intralcio per il lavoro e che non avremmo il
tempo di accudire a
dovere.
Personalmente ho sempre pensato che
avrei avuto dei bambini.
Non mi dispiacerebbe fare il papà, ma effettivamente la tesi
di Michelle ha
molti punti validi, e forse, anche senza contare i vari tour e impegni
ufficiali in giro per il mondo, non sono molto portato per questo ruolo.
Torno a guardare in avanti e scopro
che Tari mi sta
osservando.
“Non le piacerebbe avere
dei bambini?” mi chiede, senza
nascondere un certo stupore.
“Io e Michelle lavoriamo
molto,” rispondo, forzando un
sorriso. “Siamo spesso fuori casa dalla mattina alla
sera… Sarebbe molto
complicato.”
Lei batte le ciglia bionde e non
demorde:
“La mia domanda era
un’altra, però.” Mi fa notare
gentilmente.
La guardo negli occhi e quasi mi
sorprendo a scoprirla così
seria e schietta. Non credevo, ma sa imporsi, quando vuole. Anche se
avrei
preferito che si impuntasse su qualche altra cosa. Tutto, ma non questo.
“Non ti ho ancora
ringraziata per avermi salvato dagli
inquietanti abissi della serata con quei tre.”
Tari inarca le sopracciglia. Sono
bionde e naturali,
leggermente più scure dei capelli, e probabilmente Bill le
consiglierebbe di
sistemarsele, ma personalmente trovo che stia bene così.
È carina, Tari, in
fondo, se la guardi con attenzione. Sono graziose le piccole e pallide
efelidi
che le punteggiano il naso e gli occhiali danno ai suoi occhi un
po’ di risalto
di cui pecca l’assenza di trucco. E, no, decisamente non
è una per cui ci si
girerebbe in strada, ma a suo modo sa affascinare.
Non che io mi senta in qualche modo
affascinato da lei. Sono
fidanzato.
“Era proprio così terribile?” mi domanda
intanto Tari, apparentemente
interessata.
Io mi porto una mano alla fronte con
fare grave.
“Non puoi immaginare cosa sono in grado di architettare quei
pazzi.”
“Personalmente i suoi amici
mi piacciono molto.” Replica
lei, in tono incolore. Quante possibilità ci sono che dica
sul serio?
Irrisorie, credo.
“Davvero?”
Lei annuisce con una carte veemenza.
“Sono molto… genuini.” Afferma.
“Lei, soprattutto, mi sembra il più ordinario
di tutti. Cioè, ordinario in senso tutto positivo, voglio
dire.” aggiunge in
fretta, rossa come un pomodoro. “Non intendevo certo che non
è speciale. Non
che io la trovi speciale.” Farfuglia, sempre più
rossa e adorabilmente
imbarazzata. “O meglio, sì, ma...
ecco…” Mi guarda disperata, annaspando tra le
sue stesse parole, e io non posso che sorriderle comprensivo.
Sento qualcosa di caldo sciogliersi
dentro di me. È una
sensazione strana, che non conosco, ma che mi riscopro a gradire. Forse
è
l’alcol che inizia a fare effetto.
Strano, però,
perché l’ho sempre retto bene.
“Tari, respira! Tranquilla,
non ti accuserò certo di
molestie sessuali per un paio di complimenti.”
“Pyydän sinulta
anteeksi.” Farfuglia lei, in quella sua strampalata lingua
dai suoni ancora più
strampalati.
“Ok. Qualunque cosa tu
abbia detto.”
“Le ho domandato
scusa.” pigola. Sembra una bambina da
quanto è imbarazzata.
“Ammetto che il finlandese
mi affascina.” Rifletto io, come
nulla fosse. “Ha tutti quei suoni arzigogolati e
duri… dimmi qualcos’altro!”
“Che cosa?” mi
chiede allora lei, battendo le ciglia. Io
scrollo le spalle.
“Non so, quello che vuoi tu.”
Tari sembra pensarci su. Resta
assorta per un po’, sondando
il fondo del suo bicchiere come se là sotto possa trovare un
suggerimento, poi
a un tratto mi guarda, illuminata:
“Oman
taivaan tänne
loin. Anna minun päästä pois.”
Ehm… sì.
“Per caso questo simpatico
groviglio significa ‘Che ore
sono?’?” tiro a indovinare.
Tari scuote la testa e sorride.
“A dire la
verità è una poesia.” Mi rivela, gli
occhi che le
brillano. “O meglio, una canzone. Una delle più
belle che siano mai state
scritte, almeno per me.”
“E che cosa significa?”
L’ombra di
un’emozione anima i suoi lineamenti in modo quasi
impercettibile.
Quasi.
“Ho creato qui il mio paradiso personale. Lasciami andare
via.” Recita, e la
sua voce sembra rapita dalle sue stesse parole. Parole che mi entrano
in testa
e risuonano in modo strano – doloroso?
– scuotendomi dentro.
“Di chi
è?”
“Kuolema Tekee Taiteilijan, dei Nightwish.”
Ammetto di essere poco ferrato su
questo gruppo, ma una cosa
la so: qualche anno fa erano una band metal piuttosto famosa.
Metal.
Una band metal.
Tari.
Faccio fatica a metabolizzare il
concetto.
“I Nightwish?”
esclamo basito. Quasi mi vergogno di questo
stupore che sa di sciocco pregiudizio, ma proprio non me
l’aspettavo.
“Li conosce?” fa lei, speranzosa.
“Non molto, ma… i
Nightwish? Tu?”
Tari mette su il broncio:
“Che c’è di strano?”
“Niente.” Rispondo subito. “È
una sorpresa, tutto qui. Mi sa che Bill ha
bisogno di ascoltare un po’ della tua musica. Magari impara
qualcosa.”
“Signor
Schäfer!” sbotta lei, tutta indignata, e io proprio
non riesco a trattenere una risata.
“Beh, è vero. Non dico che sia un incapace,
ma… insomma, bellissimo testo,
punto.”
“Se avesse detto qualcosa
di diverso, mi sarebbe toccato
abbassare l’opinione che ho di lei.” mi avverte
Tari, ed è quasi una minaccia.
“Ah
sì?” Adesso tocca a me fare gli indovinelli.
“La vuoi
sentire un’altra poesia?”
Lei accoglie volentieri la sfida:
“Sentiamo.”
“Come posso essere perduto? Nel
ricordo,
io vivo di nuovo. E come posso biasimarti, se è me stesso
che non riesco a
perdonare?”
“The Unforgiven III,
Metallica.” Risponde lei
immediatamente, sicura, senza la minima esitazione.
Forse l’ho sottovalutata.
“Te l’ho fatta facile. Vediamo se sai questa: sono una porta girevole, ho già visto
tutto questo, ricomincerò da
capo, ma non posso iniziare finché non avrò visto
la fine.”
Tari ci pensa un attimo, ma alla fine
le tocca arrendersi:
“Passo.”
“End Over End, Foo Fighters.”
Lei inclina la testa di lato e
arriccia un po’ le labbra.
“Bel testo, ma non sono il
mio genere.”
“E quale sarebbe il tuo
genere, sentiamo?”
“Qualcosa più tipo: ho
dato inizio a
qualcosa, ti ho costretto verso una certa direzione, ed era chiaro che
tu non
ci dovessi andare. Capelli pettinati e separati, tipico me…”
“Tipico me. Ho dato inizio a
qualcosa, e
ora non sono troppo sicuro.” Termino al posto suo
una frase che conosco
molto bene, ma che avevo dimenticato, e pensarci adesso mi
dà una sensazione
strana, quasi di disagio. “Non amo particolarmente gli
Smiths, ma ammetto che
questa mi piace abbastanza.”
“Non è certo una
delle migliori, in quanto a base musicale.”
Conviene lei. “Ce ne sarebbero un paio che dovrebbe
ascoltare. Penso le
piacerebbero.”
All’improvviso mi rendo
conto di quello che sta accadendo: una
conversazione sulla musica. Sto avendo una conversazione decente sulla
musica con
una ragazza.
Da quanto non accadeva?
Michelle e io stiamo insieme da un
anno circa e ci
conosciamo da poco più. L’ultima volta che abbiamo
parlato di musica in modo
semiserio è stato, se non sbaglio, a quella festa delle
Pussycat Dolls che ha
aiutato a organizzare, la conversazione era stata all’incirca
così:
“Amore,
sei in
ritardo!”
“Avevo un concerto, Michelle, ricordi?”
“Ma
che cosa ti sei
messo? Vuoi farmi fare una figuraccia!”
“Non ho avuto tempo di andare a casa a cercare qualcosa di
meglio.”
“Ah,
lasciamo stare.
Vieni, ti voglio presentare le artiste della serata.”
“Artiste?!
Michelle,
quelle sono pornostar che fanno finta di cantare. L’arte
è un’altra cosa.”
“Oh,
per l’amore del
cielo! Saltiamo la solita diatriba sui nostri gusti musicali, per
cortesia.”
Quella volta ho evitato di replicare
perché non mi era
sembrato il caso di intavolare una faida qualitativa tra Pussycat Dolls
e
Metallica nel bel mezzo di un party dedicato a quelle che sarebbero
state le
indiscutibili perdenti.
“Penso proprio che
darò una seria possibilità agli
Smiths.”
Comunico a Tari. “Ho proprio voglia di qualche bella
novità.”
Le sue guance sono deliziosamente
rosate. Se ne sta lì e mi
guarda senza più parlare, e mi sembra improvvisamente un
po’ malinconica.
Piccola,
assurda,
buffissima Tari…
“Le posso fare una domanda
invadente che sicuramente farei
meglio a tenermi per me?” mi chiede a un tratto.
“Posso avvalermi della
facoltà di non rispondere?”
Lei annuisce.
“La considererei comunque
una risposta esauriente.”
“Allora spara
pure.”
Tari si morde convulsamente il
labbro. La sua indole
discreta sta visibilmente lottando contro uno slancio di
curiosità e penso
proprio che stia per fare la fine delle Pussycat Dolls contro i
Metallica.
“Ha mai pensato di lasciare
i Tokio Hotel?”
La domanda delicata suona strana in
mezzo al chiacchiericcio
vivace del pub.
Sento le mie labbra distendersi in un
sorriso comprensivo.
In un certo senso, posso dire di essermelo aspettato. Non so come
mai… ce
l’aveva come scritto in faccia.
Suppongo sia una di quelle occasioni
in cui una bugia
potrebbe essere condonata e giustificata dalla necessità
diplomatica. Potrei
mentire. Dovrei, forse…
No, non penso che lo farò,
dopotutto.
Mento sempre, a chiunque. Per una
volta posso semplicemente
dire la verità. Una volta soltanto.
“Ci ho pensato diverse
volte.”
Tari, diversamente da qual che mi ero
figurato, non sembra
sconvolta né compassionevole. Mi sorride e basta, in un modo
saccente che mi fa
pensare che, come io avevo previsto proprio quella domanda, anche lei
abbia
previsto proprio questa risposta, e non ne sia affatto rimasta delusa.
“A questo punto mi dovresti
chiedere cosa mi ha sempre
spinto a rimanere.”
Lei sembra genuinamente perplessa.
“Nessuno che abbia avuto
modo di conoscere lei e i suoi
amici e vedervi insieme potrebbe mai fare una domanda così
inutile.”
Qualcosa si blocca tra la mia gola e
lo sterno. Non so bene
cosa sia, ma provo un improvviso moto di affetto verso i tre
squilibrati che
stasera mi hanno regalato questo aborto di addio al celibato da cui
sono così
felicemente scappato.
È difficile avere a che
fare con tre idioti simili. È
difficile per me, molto spesso, attutire gli attriti che i loro
caratteri
rumorosi ed esuberanti creano con la mia introversione patologica.
Non oso immaginare, però,
quanto debba essere difficile per
loro sopportare uno scorbutico lunatico come me.
Lo fanno e basta. Lo faccio. Lo
facciamo.
Siamo cresciuti insieme, che diamine.
Ci siamo
cresciuti
l’un l’altro.
Beh, a parte Bill… lui non
crescerà mai. Ma lui raramente fa
testo, in ogni caso.
Sollevo lo sguardo su Tari, commosso
dalle riflessioni che
mi ha inconsapevolmente suscitato. Lei ricambia con occhi languidi, e
quando
dico languidi, non intendo in senso seducente: sembra che non si senta
del
tutto bene.
“Tari.. che
succede?” chiedo, un po’ preoccupato.
Lei si porta una mano alla fronte,
strizzando gli occhi con
una piccola smorfia.
“Mi sento la testa leggera
come un palloncino.”
“Forse la birra irlandese
è un po’ più forte di quella
tedesca.”
“Lo temo
anch’io.” Rantola lei.
Va bene, forse è ora che
ce ne andiamo di qui. Ci siamo già
trattenuti fin troppo.
“Vieni,” le dico
ridendo, mentre mi alzo e la aiuto a fare
lo stesso. “Ti serve un po’ d’aria
fresca.”
Pago al barista e usciamo, a passo
non proprio stabile. Tari
barcolla al mio fianco come se si fosse ingollata venti vodka pure a
stomaco
vuoto, quando invece ha preso solo una misera birra media.
Fuori è buio, e
l’aria della notte è frizzante e piacevole.
Non so nemmeno che ora sia.
“Äiti,
perché hai
spento la luce?” geme Tari, aggrappata non troppo saldamente
al mio braccio.
Äiti?
Di che diamine sta parlando?
“Sediamoci qui un
momento.” Le dico, sforzandomi di non
ridere. La accompagno verso il muretto che separa lo spiazzo antistante
l’ingresso del pub e il parcheggio e prendo posto accanto a
lei. Sono costretto
a sorreggerla per impedirle di accasciarsi su sé stessa.
È un bel po’ brilla,
poverina.
Sempre stretta al mio braccio, Tari
si appoggia alla mia
spalla con il viso e gli occhiali le si stortano tutti.
“Sei davvero comodo, signor
Schäfer.” Sospira, come se
avesse appena pronunciato la cosa più bella e struggente di
questo mondo. L’alcol
deve proprio averle dato alla testa se le ha addirittura fatto scordare
di
darmi del lei.
Perso nei miei pensieri, sussulto
nell’udire un lieve rumore
nasale. Abbasso lo sguardo e mi accorgo che Tari si è
addormentata. E sta
russando.
“Minä
rakastan sinua.”
Mormora, incosciente, e si abbandona a un sospiro beato.
Qualunque cosa abbia detto, le credo
sulla parola.
Stasera la mia forza di
volontà sta subendo una pressione
notevole, ma giuro che non riderò. Anche perché
se ridessi, lei si
sveglierebbe, e la sua espressione è così serena
e pacifica che mi sentirei un
verme a disturbarla. Non che possiamo restare qui così tutta
la notte, ovvio. Però…
Solo per un po’.
Non c’è niente
di male.
Qualche minuto soltanto…
____________________________________________________________________________
A/N:
ok,
non ho scusanti, quindi non sprecherò nemmeno inutili parole
in sproloqui
chilometrici sulla mia inettitudine. Più di un anno per
aggiornare… che
vergogna. Qualcuno nemmeno ci crederà. Ma avevo detto che
non avrei abbandonato
la storia, e quindi eccomi qui, anche se non so quando
riuscirò ad aggiornare
di nuovo. Spero presto. Perdonate la mia incostanza, ma sono finalmente
riuscita a mettermi a lavorare in modo serio a un’idea che
avevo da un po’ per
un libro e quindi mi porta via tanto tempo e, per fortuna e sfortuna, a
seconda
dei punti di vista, anche tanta inspirazione.
Non so se qualcuno si ricorda ancora
di questa storia e, se
fosse, non vi potrei biasimare… mea culpa, lo so. Se
però, o coraggiosi
lettori, qualcuno di voi avesse ancora memoria di queste antiche
vicende e
volesse comunque lasciare un commento di bentornato (o un inno ai
miracoli, che
dir si voglia), lo apprezzerò moltissimo. (ah, prima che qualcuno lo chieda: la frase in finlandese dell'ultimaq parte ve la tradurrò a suo tempo, quando sarà il momento ;) ) J
Grazie a tutti!
|
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