Love taught me to lie

di insomnia_
(/viewuser.php?uid=123193)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E cosa me ne faccio del mondo ***
Capitolo 2: *** Infinita campagna ***



Capitolo 1
*** E cosa me ne faccio del mondo ***


Love taught me to lie

 
1. E cosa me ne faccio del mondo

 
24 novembre 2016
 
Le luci delle strade di Londra mi offuscano un poco la vista, mentre le percorro a passo svelto, deciso ad arrivare in tempo al mio muto appuntamento.
Schivo i passanti, e li lascio a lamentarsi delle spallate che poco carinamente ho regalato loro, noncurante delle parole non molto fini a me rivolte.
Sono le cinque meno un quarto, e sono distante solamente quattro isolati dallo scialbo bar italiano dove sono diretto. È un locale piccolo, con la tappezzeria rossa e i tavoli sporchi e disordinati, ma lo amo con tutto me stesso, per una sola ragione: in quel luogo ho imparato ad amare ed a essere amato.
Quando finalmente lo raggiungo sono le cinque meno cinque, puntualissimo, come al solito. Puntualissimo, come da cinque anni a questa parte.
Ancora ricordo l’odore di fumo e di alcool e la musica classica di sottofondo che riempiva il locale la prima volta che ci ho messo piede. Esattamente cinque anni fa, esattamente nel tavolo in cui ora sono seduto.
Un ragazzo dagli occhi blu elettrico – o blu oceano, o blu zaffiro o qualsiasi blu in cui riuscissi a perdermi – si era avvicinato al mio tavolo, chiedendomi l’accendino. Era visibilmente ubriaco e odorava di stantio e di erba. Avevo scosso la testa, anche io inebriato dal whiskey che stavo sorseggiando, e mi scusai con lui per non avere ciò che andava cercando. Lui si era messo a ridere, di una risata cristallina e sincera, di una risata impastata di vodka, di una risata che faceva apparire la musica dell’opera di sottofondo una delle melodie più scadenti di tutta la terra. Avevo riso con lui, e inspiegabilmente avevamo incominciato a parlare. E ringraziai Dio per non aver mai fumato, e ringraziai Dio per non aver avuto quel fottuto accendino, e lo ringraziai per avermi fatto conoscere, in un bar scolorito e maleodorante, Louis Tomlinson.
I look up,
on my knees and out of luck,
I look up.
 
Ora sono seduto allo stesso tavolo di cinque anni fa, esattamente il giorno in cui lo conobbi, ubriaco come me alle cinque del pomeriggio per buttarsi alle spalle tutta la merda in cui aveva vissuto.
Nei due anni a seguire eravamo riusciti a conoscerci meglio. Ce ne fottevamo del mondo all’esterno, e ci rintanavamo nel nostro; spesso con una bottiglia di alcool scadente, spesso vestiti solo delle nostre anime e del nostro amore cieco, spesso logorati dentro.
Ci ritrovavamo a guardare uno negli occhi dell’altro, a scattare foto sfocate dai troppi ricordi, a sussurrarci parole maledette e a gridare “Dio benedica quel bar”, ridendo come se il mondo dovesse finire, ridendo di noi e del nostro amore consumato a lume di candela. Probabilmente lui mi distruggeva senza una fine, mi ha portato giù con lui, ma non ero mai stato così felice di farmi del male.
E sono stati gli anni in cui ho vissuto, in cui ho trovato qualcosa a cui aggrapparmi. Continuavo a pensare che del mondo non me ne facevo proprio un cazzo, quando potevo sfiorare la bocca di Louis e vivere dei suoi respiri.

 
And now I cling to what I knew
I saw exactly what was true

 
Finché un giorno Louis non si presentò più al nostro muto appuntamento. Non seppi più nulla di lui, lo chiamai insistentemente, andai a casa sua e gli feci recapitare qualcosa come duecento fottutissime lettere. Ma lui non rispondeva, e la mia anima ha incominciato a scavare un solco in se stessa; giù, giù, sempre di più, sempre più in profondità. Così decisi, a mio malgrado, di aspettare Louis ogni mese, per tre anni, in quel locale. Lo stesso giorno, sempre alla stessa ora, sempre con quel cazzo di whiskey a riscaldarmi le mani ed a offuscarmi la mente. E ancora del mondo non me ne importava, perché il mio era scomparso e vagava chissà dove, via da me, sempre più lontano ed irraggiungibile.
E così ho fatto oggi. Al nostro quinto freddo anniversario io siedo sempre qui, sempre in questa logorante attesa senza fine, sempre con il whiskey e l’odore di fumo a farmi compagnia. Ma so che il liquido finirà e l’aroma amaro passerà, ma lui no. Louis non se ne andrà mai, nascosto da qualche parte dentro di me.
Mi sembro patetico, quasi. Me ne fotto del mondo e penso semplicemente a lui. Dopo tutti questi anni, per sempre. Perché anche se non mi ama più, o non lo ha mai fatto, io lo farò per sempre.
Ma la speranza c’è, la speranza che quella porta si apra e lasci passare la sua figura, magari incappucciato nel mio vecchio maglione informe che ancora lui non mi ha ridato.
“That’s why I hold,
That’s why I hold with all I have.
That’s why I hold.”

 
Ricordo che mi aveva preso per mano, e avevamo corso sotto quella pioggia acida che bagna i capelli e il cuore, e poi ti lascia lì, inzuppato, senza più un perché. Aveva raccolto un fiore quasi appassito, e me l’aveva regalato con un sorriso in volto dicendo: “Fai finta che sia bello,” ma a me poco importava, perché il fiore non lo vedevo, accecato da quegli occhi che troppo luccicavano sotto il tremolio della pioggia.
E avevamo riso, soprattutto. La nostra ultima risata, in cui io vivo tutt’ora. Mi aggrappo a lei ogni giorno di più, senza mai lasciarla andare, per paura di dimenticare. Ma la verità è che di lui sarà difficile dimenticarsi.

 “I will die alone and be left there.
Well I guess I’ll just go home,
Oh God knows where.”

 
Sono le cinque e dieci, e il whiskey è finito. Ma il tintinnio della porta mi conduce alla realtà, e mi distoglie da tutti i pensieri.
Il tintinnio della porta e un tuffo al cuore. Un tuffo da cui difficilmente ne uscirò. In cui annegherò senza più avere una ragione, in cui nuoterò fino a sciogliermi dentro.
Come nuotavo nei suoi occhi. Come posso farlo ora.
E all’improvviso butto via l’ultima nostra risata, perché sinceramente non so che cazzo farmene quando Louis Tomlinson si siede titubante nel posto di fronte a me.
“Scusa…”, è l’unica cosa che riesce a dire dopo un minuto di assordante silenzio. Lo guardo, senza più sapere che fare, mentre ricordi degli ultimi tre anni mi si lanciano addosso come pallottole, ferendomi da una parte e lacerandomi dall’altra.
Non capisco più nulla, entro in un vortice di emozioni, e ne esco, stremante, solo dopo che le mie nocche si scontrano sulla sua guancia, e la sua bocca incomincia a sanguinare.
Gli occhi dei presenti sono puntati su di me, e sul volto dolorante di Louis.
Avevo sognato a lungo questo momento; avevo sognato di corrergli incontro e sussurrargli un “Fa nulla, ora sei qui”, avevo sognato di accoglierlo con dei fiori, avevo sognato di abbracciarlo e canticchiargli qualche melodia solita di quel bar. Ma semplicemente, avevo sognato.
Eppure lui sorride di rimando al pugno, eppure lui riesce ancora a stupirmi dopo tutti questi anni.
“Scusa,” ripete, “sono stato uno stronzo”.
Ma io ancora non lo ascolto. Io ancora non mi curo della gente intorno, io ancora non capisco più un cazzo.
E, ancora, non so che farmene del mondo quando Louis Tomlinson sorride in quella maniera.

“And there will come a time, you’ll see, with no more tears.
And love will not break your heart, but dismiss your fears.”
 

***
 
Hola chicas.
Cos’è tutto ciò? Uno sclero della sottoscritta, dite?
Beh, avete ragione. E per vostra sfortuna lo sclero non è finito qui.
Sì, proprio così, ci saranno degli altri capitoli (due o tre ancora) ed altre canzoni depresse (e bellissime!) ad accompagnarli. Questo è solo uno stupidissimo inizio.
I capitoli però saranno un po’ come delle one-shot, pur non essendo questa una raccolta, perché gli avvenimenti sono piuttosto collegati tra loro, anche se potrebbero sopravvivere da soli, ecco. Probabilmente mi sono spiegata di merda, ma be’, sono un po’ una capra con i chiarimenti.
Nei prossimi capitoli si scoprirà che cosa è successo in quei cinque anni e, ovviamente, di ciò che ha spinto Louis ad abbandonare così il nostro povero Harry. Diciamo che non sarà tutto rose e fiori, ecco.
Il prossimo capitolo sarà tutto POV del più grande, per scoprire ciò che ci serve scoprire. E nulla, che posso dire? Ho un buco di cinque anni da raccontare, con vari flash back e pochi capitoli.
Non vi so dire quando potrò aggiornare, ma penso nel week end sicuramente.
Insomma, spero sia di vostro gradimento.
*abbraccia chi è arrivato a leggere fin qui  e lancia un muffin a chi recensirà*
Alessia. <3
La canzone di questo capitolo è “After the storm” dei Mumford&Sons

 
 
 
 

Se volete potrete:

Seguirmi su  twitter;

Chiedermi l'amicizia su facebook;

Farmi domande su ask.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Infinita campagna ***


2. Infinita campagna

 
La campagna inglese scorre veloce sotto i miei occhi in tutta la sua bellezza. Più mi avvicino a Londra, più i miei pensieri si fanno gravi, e le mie ansie e preoccupazioni aumentano in modo direttamente proporzionale alla velocità del treno.
E il mezzo ancora non accenna a fermarsi.
Mi piace immergermi con la mente in questi paesaggi, perché qui sembra tutto più tranquillo, sembra tutto più felice, senza problemi aggrappati con cinghie di cuoio al cuore. E immancabilmente, il mio pensiero vola veloce su Harry.
Come da tre anni a questa parte, poi. Ogni giorno mi chiedo cosa stia facendo la mia ragione di vita, e me lo figuro seduto solo in quel bar puzzolente, con il whiskey in mano e la rabbia in corpo. Magari mi ha lasciato correre via e si è ricostruito una vita. Magari mi picchierà a sangue quando mi vedrà; magari mi urlerà contro, o magari non vorrà neanche vedermi. E come cazzo biasimarlo.
Avrei dovuto lasciargli almeno un biglietto, o fargli una telefonata. Avrei dovuto dire qualcosa, ma mi vergognavo. Mi vergognavo e avevo paura che lui decidesse di scappare insieme a  me.
Sono sempre stato un coglione, ma quel giorno del 2013, ho raggiunto livelli che mai avrei pensato di toccare.
Probabilmente Harry penserà che io sia fuggito da lui. Probabilmente penserà che non fossi più interessato, che me lo volessi solo togliere dalle palle. Ma, no!, in quel caso il coglione sarebbe solo lui.
Perché come potrei mai scappare dalle sue labbra carnose e calde, che ancora ogni tanto mi immagino premere sulle mie; come potrei scappare dalla sua voce roca che mi cantava canzoni allegre anche quando la tempesta impazzava fuori dalla finestra.
Perché come cazzo potrei scappare dal mio mondo? Dalla sua risata, dai suoi occhi infiniti, dal suo tocco dolce. Dalla vodka versata sul pavimento insieme ai vestiti, dall’anima lacerata e completa allo stesso tempo.
Se mai, sono scappato per proteggerlo. O per proteggere la sua visione dolce di ciò che sono.
Ma ora sto tornando, dopo tre anni. E i pensieri non potrebbero essere più insistenti di così.
 
Yeah, maybe I'm a 
bad, bad, bad... bad person


 
Era la terza o quarta volta che Louis si rigirava impaziente nel letto, ben attento a non svegliare Harry che dormiva accanto a lui.
Decise di alzarsi perché avrebbe ancora potuto contenere per poco ciò che gli ribolliva dentro. Non sapeva neanche lui che cosa fosse, ma gli dava fastidio e gli contorceva le viscere fino alla nausea.
Dopo essersi vestito si sedette al ciglio del letto, accarezzando dolcemente i capelli del più piccolo.
“Devo andare, Harry”, sussurrò posandogli un bacio sulla fronte.
Il riccio si mosse piano, e con la sua solita voce roca che faceva impazzire Louis mugolò un lieve “Ma è notte…”
A udire quel suono – quella melodia, la sua voce era una fottutissima melodia – Louis si sentì mancare per un momento. Era giusto quel che stava per fare? Era sicuro che fosse l’unica soluzione? Si sentiva come se la terra sotto i suoi piedi fosse scomparsa e lui continuasse a volare e ad essere sbattuto dal vento ovunque, senza una meta.
Davvero non avrebbe potuto fare altro? Dopo questo avrebbe potuto vivere con Harry in pace?
, si disse. Lo stava facendo per Harry, e per loro. Dopo avrebbero potuto anche prendere un castello in cima alla collina più alta senza essere disturbati da nessuno.
“Tornerò presto. Tu dormi e non preoccuparti.”
Ma, purtroppo, non sempre le cose vanno come previsto.

All 'cause you love, love, love 
When you know I can't love”


 
Continuo a rigirarmi i pollici ed a rigirarmi le preoccupazioni nella mente, mentre il treno continua a scorrere avvicinandosi pericolosamente a Londra.
Se solo non avessi fatto ciò che decisi quella notte. Se solo non avessi toccato Matt, e avessi aspettato la polizia. Se solo non mi fossi immischiato in questioni psicotiche e più grandi di me.
Se solo.
Bella merda, la mia vita è piena di "se solo". Se solo non avessi fatto così tante stronzate a quest’ora il castello sulla collina avremmo potuto averlo. Anzi, che dico!, il castello avremmo potuto averlo anche tra le nuvole. Alla fine, ovunque Harry andasse c’era un castello: tra i fili d’erba bagnati dalla rugiada, tra un bicchiere di whiskey e una sigaretta, tra le gocce di pioggia, tra i fulmini e i tuoni e Dio solo sa che cosa. Lui stesso era un castello, era il mio castello.
E io ho sono stato capace di distruggerlo. Di buttarlo a terra con tutte le mie forze, ed abbandonarlo ormai in rovina tra le sterpaglie e la musica dell’opera.
Stronzo. Coglione. Deficiente.
E la cosa che ancora mi urta più di tutte è che, se mai riuscissi a trovarlo nelle luci di Londra, potrei stare con lui solo per un giorno. Per sicurezza. E se decidessi di raccontargli tutto e lui decidesse di scappare con me… mai. Spero mi picchi, spero mi faccia del male, anche dopo che gli avrò spiegato quel che è giusto che sappia. Soprattutto dopo. Voglio che riversi tutto il male che gli ho fatto su di me. Perché me lo merito, perché lui ha sofferto abbastanza. Perché io ormai non so neanche distinguere la differenza tra il dolore e la felicità. Vivo in una costante calma piatta di avvenimenti, senza emozioni. Prosciugato. Derubato del cuore. Derubato da lui.
Ma sono più che felice che il mio cuore ce l'abbia Harry Styles.
“And these fingertips 
Will never run through your skin” 


“Finalmente, Tomlinson”
La voce di Matt rimbombò vorace nei timpani di Louis. Un veloce brivido gli percorse la schiena, ma lui non ci badò.
“Sono puntuale”, biascicò di rimando, guardandosi intorno. Il posto il cui il moro si trovava era terribilmente sinistro, e una sensazione spiacevole gli attanagliò lo stomaco. Era un vecchio palazzo ormai andato in rovina, con i muri scoloriti e il pavimento grigiastro e terribilmente sporco. La stanza sembrava completamente vuota, se non per l’uomo imponente di fronte a Louis, e per la pistola che portava ben saldata alla cintola e che, inspiegabilmente, con la sua presenza riempiva l’edifico più di qualsiasi essere umano.
“Non importa la puntualità, Louis,” riprese Matt incominciando a camminare verso l’altro, “L’importante è che tu abbia i soldi”
Louis lo guardò negli occhi per qualche istante, mentre raccoglieva tutto il coraggio a lui concesso, e rispose: “Ecco, su questo punto penso che ci troviamo un attimo disaccordo”.
A sentire queste parole l’altro, contro ogni aspettativa, scoppiò a ridere, di una risata irritante e strafottente. Di una risata che tutti i mali lasciava trapelare, di una risata che bloccò il sangue nelle vene di Louis.
“Ancora a fare questi stupidi giochetti con me?”, rise ancora, “Diecimila fottute sterline non sono un giochetto.”
Ma questa volta fu il turno del moro a sogghignare. Lo guardò sprezzante, mentre una collera che ben conosceva gli scioglieva il ghiaccio ormai formato nelle vene, e faceva riprendere il cuore a battere, anche più forte del dovuto. “E cosa puoi farmi, Matt? Uccidermi? Non penso…” fece una pausa e si mosse anche lui di qualche passo, “Non finché non ti darò i soldi, almeno.”
Louis rischiò, non sapendo che fare. Lui quei cazzo di soldi non ce li aveva e non ce li avrebbe mai avuti, ma era stanco della situazione. Era stanco di tutte le velate minacce e le domande di Harry; era stanco di dover vedere il viso appuntito di Matt, e di dipendere dai suoi ordini. “Perché hai un debito con me”, gli diceva. E lui era obbligato a fare tutto ciò che gli veniva chiesto, o altrimenti “sarebbero stati cazzi amari”, gli ricordavano.
Matt era il tipico ragazzo ricco e strafottente, che si era dato alla malavita un po’ per gioco e un po’ per noia. Aveva trascinato Louis con sé, inseparabili, come due gemelli, e come due calamite. Finché un giorno, forse preso dagli effetti dell’alcool e delle droghe baciò Louis sotto un lampione ticchettante. Quest’ultimo, consapevole ormai da anni del suo orientamento sessuale  si era sentito felice come un bambino, e aveva risposto al bacio. E poi le cose diventarono molto confuse, molti “frocio di merda” volarono, e molti “non ti voglio più vedere” tornarono indietro. Da lì era stata guerra.
Louis riprese a tremare, senza però distogliere gli occhi da quelli grigi e senz’anima di Matt, aspettando una risposta. Che non tardò ad arrivare, e che distrusse tutte le sue difese.
“Ucciderti? Che sciocco che sei Lou, non lo farei mai.” Pausa, dolorosa e lacerante. “Piuttosto, come si chiama quel bel ricciolino che ti scopi? Harry, forse?”

“And those bright green eyes 
Can only meet mine across a room 
Filled with people that are 
less important than you”
 
Ancora, lo sferragliante rumore del treno irrompe nelle mie orecchie, ricordandomi dove sono diretto – e da chi – e facendo sfrecciare i miei pensieri come la campagna inglese fuori dall’abitacolo. Lei è così bella e pura, così incontaminata che ancora mi chiedo se sia reale. Era da tanto che non mi immergevo in essa, e mi è mancata.
I miei pensieri, però, sono sempre tristi e turgidi, e mi scavano un po’ dentro l’anima. Dentro il cuore, anche. Ma per quanti ricordi tristi io possa mai contenere, ci sarà sempre quello che mi farà sorridere. Non importa come andrà; non importa se non mi vorrà più vedere, o se magari si è già dimenticato di me. Quello che mi importa è vederlo, e perdermi ancora una volta nei suoi occhi.
I suoi occhi così puliti, che scacciavano via ogni male ed ogni tempesta dai miei. Un po’ come la campagna inglese.
Harry è la mia campagna. Lo è sempre stato. È sempre stato quell’ancora di salvezza a cui non potevo fare a meno di aggrapparmi, anche se, senza accorgermene, lo tiravo sempre più giù nell’abisso oscuro.
Io non volevo amarlo. Io non volevo amarlo perché di amore non ne capisco un cazzo e l’avrei distrutto senza saperlo. Io volevo solo sentire le sue labbra la mattina di Natale; volevo sentire il suo odore la domenica di Pasqua. Volevo semplicemente bearmi di lui senza un perché e senza una fine. Volevo vivere di lui, guardarlo la mattina appena alzato, lanciargli un cuscino per fargli abbassare lo stereo. Volevo sentirlo addosso a me, volevo sentirlo fondersi con la mia pelle. Volevo che diventasse il mio quotidiano e volevo che fosse il mio futuro.
Eppure, sono riuscito lo stesso a distruggerlo, distruggendo me stesso.
Il treno emette un rumore sordo. Lo smog di Londra, le prime case sfasciate, l’odore acre della benzina.
La campagna è finita. Ma spero che la mia non finisca mai.

“All 'cause you love, love, love 
When you know I can't love”

 



***
‘Sera tutti quanti!
Beh, se siete ancora qui dopo questo capitolo (sempre corto, ma che ci posso fare? Cose lunghe non riesco a scriverle!) lasciatemi regalarvi una medaglia. Seriamente, io non so come sia uscito questo coso!
Lo stile in alcuni punti è leggermente diverso, perché immagino Louis molto più impulsivo di Harry, e spero di averlo reso leggermente tale, scrivendo un po’ più “direttamente”, non so come spigarmi.
Ancora non si sa cosa abbia spinto Louis ad andare via, ma lo si può intuire… forse. Beh, ma per le spiegazioni finali dovrete attendere ancora un nuovo capitolo. Che poi, sto incominciando ad affezionarmi alla storia (?), quindi potrei pensare di allungarla leggermente, perché le idee ci sono. Il problema, però, sta nel metterle nero su bianco. Ma provvederò. Devo ancora decidere.
Sicuramente ci sarà ancora un capitolo con il tanto agognato (almeno da me…) incontro dei due, e un epilogo, ma nel mezzo potrei pensare di metterci qualcosa ancora. Cioè, non lo so. Boh. Vedremo.
Intanto, in questo capitolo vediamo inseriti dei flash back, che nel precedente non c’erano, ma che saranno presenti ancora per il prossimo.
Per il resto, spero vi sia piaciuto.
Ringrazio infinitamente le tre persone che hanno recensito lo scorso capitolo e che a momenti mi facevano piangere con i loro commenti. Cattive ragazze. <3
Un bacione, e grazie in anticipo a chi leggerà/seguirà/commenterà la storia,
Alessia. <3
 
La canzone di questo capitolo è “Love love love” dei Of Monsters And Men, che adoro.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2183163