and I'll be drunk again.

di bipolarry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** and I'll be drunk again. ***
Capitolo 2: *** It was only a kiss. ***
Capitolo 3: *** I think the dog likes me. ***
Capitolo 4: *** Dejà Vu. ***
Capitolo 5: *** you can run away with me anytime you want. ***
Capitolo 6: *** look at the stars, look how they shine for you. ***
Capitolo 7: *** heal their brokenness. ***



Capitolo 1
*** and I'll be drunk again. ***


 
*piccola premessa, ho classificato la storia come os di un solo capitolo,
perchè sono una persona instabile e non so decidere, l'avevo plottata
così come la vedete, ma più scrivevo, più mi venivano in mente idee
fighe per una long, ma non posso assicurarvi che da questo capitolo
ne nascerà una long, tuttavia l'idea non è da scartare. Diciamo che
potrebbe avere un seguito, dove verranno spiegate tante cose ^^
ci vediamo giù c: *



And I'll be drunk again.


“Un altro giro!” gridò Harry con troppo entusiasmo, “Offro io!” sfoggiando un sorriso gentilmente offerto dalla troppa sambuca, “Avanti Liam, se non ci bevi su non la dimenticherai mai!” disse,  rubandogli il cappellino e mettendoselo sulla testa, frugò tra le tasche del jeans nero che stava indossando e ne cacciò una manciata di sterline che poggiò sul bancone in legno del bar. Liam agitò il bicchiere che pochi minuti prima conteneva lo stesso whisky che adesso gli stava portando un leggero mal di testa; il rumore dei cubetti di ghiaccio che ancora non si erano sciolti echeggiò nel bar ormai vuoto, attirando l’attenzione del ragazzo che li aveva serviti per tutta la sera: “doppio, per favore.” Lasciò che prendesse il bicchiere, nell’attesa dell’ennesimo whisky le sue dita tamburellavano sul proprio ginocchio.
“Hey! Hey! Anche per me! Anche io voglio altra sambuca!”
“Harry, non credi di aver bevuto abbastanza? Non posso nemmeno riaccompagnarti a casa, quindi per stasera basta con la sambuca.”
Il più piccolo sospirò teatralmente, “Vodka liscia?”
“Nemmeno.” Disse, portandosi alle labbra il bicchiere di whisky che gli era appena stato servito.
“Però tu continui a bere, non è giusto! Voglio della sambuca!” si mise a piagnucolare come una bambina, guardava insistentemente il ragazzo del bar, cercando comprensione, ma tutto ciò che fece fu alzare le spalle in maniera disinteressata, e tornò a sistemare le bottiglie di alcolici lasciando i due ragazzi alle loro discussioni.
“Questo perché Zayn mi porta a casa sua in macchina, e comunque reggo l’alcol meglio di te” sentenziò con un leggero sorriso, in parte dovuto al whisky, in parte dovuto alla sua faccia da desiderio-di-sambuca. Improvvisamente Harry scese con un salto dallo sgabello su cui era seduto, rispose al cellulare che aveva iniziato a vibrare nella tasca dei jeans, “Si! Liam è con me, m-ma non vuole farmi bere altra sambuca!” Dall’altra parte del telefono, ovviamente, Zayn assecondava Liam, e il sorriso ubriaco di Harry si trasformò dell’ennesimo broncio di breve durata, “Non vi sopporto, la sambuca è un diritto universale!” un sorriso di compassione comparve perfino sulla bocca del barista, che volente o nolente aveva ascoltato le loro discussioni per tutta la sera. “Lo so che Liam deve tornare a casa con te, ma perché hai chiamato me? È perché mi vuoi bene, non è vero?”
Liam non poté trattenersi dal rispondere “No, chiama te perché ho dimenticato il cellulare a casa, digli che sto uscendo, ci vediamo qui fuori.”
La sonora risata del barista fece da sottofondo alla teatrale espressione di delusione di Harry, “Dice Liam che sta uscendo, vi vedete qui fuori..”
Lasciò il cellulare sul bancone e prima che potesse parlare, Liam lo congedò con una pacca sulla spalla e andò via con un ultimo consiglio, “Prendi un taxi per tornare a casa!” E uscì, riprendendo il cappello che era ancora sulla testa di Harry.
Harry lo seguì con lo sguardo finché non uscì. Poi tornò a fissare con aria pensierosa il suo shot di sambuca, shot di sambuca che prima non c’era. “Offre la casa” disse il ragazzo del bar, che agli occhi di Harry era appena diventato il ragazzo più gentile, simpatico, generoso e altruista del mondo.
“Sambuca!” la sua voce sempre gonfia di entusiasmo; la mandò giù come fosse acqua, e dopo sfoggiò il migliore dei suoi sorrisi. E il ragazzo del bar apprezzò quel tipetto dall’aria furbetta, con una strana ossessione per la sambuca, gli occhi grigi e due fossette che non facevano altro che istigare chiunque a farlo sorridere.
Il silenzio calò tra i due, ma non c’era ombra di imbarazzo, Harry osservò i lineamenti del ragazzo generoso, altezza nella media, corporatura magra, viso regolare, capelli castano chiaro, occhi chiari, messi in risalto dalla camicia nera. Il fatto che lo trovasse mediamente attraente era dovuto alla troppa sambuca che aveva in corpo, e soprattutto al fatto che gran parte di quella sambuca gli era stata gentilmente offerta. Che ragazzo gentile, davvero un bravo ragazzo.
Per quanto volesse negarlo a se stesso, aveva effettivamente bevuto troppo. Si guardò intorno, il locale era vuoto, e le pareti si muovevano, si alzò in piedi per placare la nausea, ma anche il pavimento si muoveva, cercando di non sbattere da nessuna parte, decise che era arrivato il momento di tornare a casa e smaltire la sbornia. Con un cenno della mano congedò il ragazzo generoso e si affrettò verso l’uscita. Una volta fuori inspirò profondamente e cercò di rimettersi in sesto, scosse la testa nel tentativo di realizzare dove si trovasse, ma peggiorò solo le cose, il senso di nausea tornò a farsi sentire più di prima, appoggiò un braccio sul lampione più vicino e abbassò la testa, pregando di non vomitare. Aveva difficoltà a mettere a fuoco ed era sicuro di sentire qualcuno che lo stesse chiamando. Giurò a se stesso che non avrebbe mai più bevuto così tanto. Fece passare qualche minuto, ma continuava a sentire il suo nome, come se qualcuno a distanza di migliaia di kilometri lo stesse chiamando.
“Harry! Harry..”
Ebbe un sussulto quando si sentì una mano sulla spalla, alzò la testa, combattendo il senso di nausea, per trovarsi davanti degli occhi chiari che l’avevano osservato tutta la sera.
“Ciao ragazzo gentile, allora sai anche il mio nome.. che gentile, sei stato davvero gentile.” Disse, finalmente lasciando la presa sul lampione, credeva di riuscire a restare in piedi, ma per non cadere fu costretto a tenere entrambe le mani poggiate sulle spalle del ragazzo gentile.
“L’ho sentito dal tuo amico prima, avevi dimenticato questo sul bancone, comunque.” Disse porgendogli il cellulare.
“Ah, Liam. Oh.. che gentile, mi riporti il cellulare, davvero carino, sei gentile, qual è il tuo nome, ragazzo gentile?” continuava ad avere una presa fissa sulle sue spalle, “Louis, mi chiamo Louis”
“Perfetto Louis, ti dispiace mettermelo in tasca?” entrambi mantenevano il contatto visivo da alcuni minuti, e con un’ incertezza che non apparteneva alla sua indole, Louis fece scivolare il cellulare nella tasca del jeans di Harry.
“Grazie mille, sei gentile.” Ad ogni parola, Louis era pervaso da un odore di anice, merito della sambuca, “Prego.” Sussurrò, ottenendo come risposta un sorriso che riportò alla luce quelle due fossette incatenate agli angoli della bocca di Harry.
Carpe diem, pensò Louis, il ragazzino dagli occhi grigi aveva catturato la sua attenzione ormai già da qualche ora, ed era così ubriaco che qualunque cosa fossa successa, non l’avrebbe mai ricordata. E non era certo colpa sua se Harry barcollava e ogni minuto che passava erano sempre più vicini.
“Dio, devo bere di meno” farfugliò Harry, più a se stesso che a Louis.
“Ho appena chiuso il locale, credi di riuscire ad arrivare a casa o vuoi che ti accompagni?”
Aveva un tono sinceramente preoccupato, la stretta di Harry sulle sue spalle si fece più forte, la camicia bianca arrotolata fino al gomito gli permise di vedere i muscoli dell’avambraccio muoversi a causa dello sforzo. Harry sospirò “Sei gentile, non so nemmeno dove sono in questo momento” e cominciò a ridere, “Quante volte ti ho detto che sei gentile?” Troppe, pensò Louis, decisamente troppe, ma non voleva ferirlo, “abbastanza” sorrise, “la mia macchina è a pochi minuti da qui, riesci a camminare o vuoi che ti venga a prendere qui?”
“Vengo con te!” esclamò ancora una volta con troppo entusiasmo.
Louis lo guardò perplesso, finché non decise di prendere in mano la situazione, passò un braccio attorno la vita di Harry e poggiò il suo braccio destro dietro al collo, l’avrebbe trascinato di peso fino alla macchina. Furono i quindici minuti più lunghi della sua vita, Harry continuava farfugliare frasi insensate, e soprattutto era più pesante del previsto. Finalmente riconobbe la propria macchina tra la fila di quelle parcheggiate. Il più piccolo, ancora incapace di reggersi in piedi, aveva la schiena appoggiata alla portiera posteriore, Louis fece per aprigli la porta del passeggero, quando venne interrotto dall’incontrollato flusso di pensieri di Harry: “guarda che bella la luna!”
In effetti riuscire a vedere la luna a Londra ad ottobre era un caso più unico che raro, entrambi si trovarono con il naso verso il cielo a fissare la luna, Harry fu il primo a distogliere lo sguardo “mi gira la testa..” disse, stavolta fissando il marciapiede, Louis gli prese il mento con una mano, “Hey, tutto okay?” lo scrutava con aria interrogativa, “Stiamo andando a casa, va bene?” Harry annuì, incerto.
Carpe diem Louis, carpe diem. Non l’avrebbe comunque mai ricordato.
Si avvicinò con calma, lasciandogli la possibilità di rifiutarlo, una mano ancora sotto il mento di Harry, l’altra che gli accarezzava la nuca, lo guardò negli occhi ormai lucidi e stanchi, si rese conto che anche se avesse voluto rifiutarlo non era sicuro che fosse nelle condizioni di poterlo fare. Quasi preso da un ripensamento stava per tirarsi indietro, ma prima di poterlo fare fu Harry a catturare le sue labbra, le mani avevano una presa ferrea sulla sua vita, la punta delle dita gli sfiorava la schiena, e Louis ne rimase piacevolmente sorpreso, sentiva le ciocche di capelli di Harry scorrergli tra le dita, adesso anche le sue labbra sapevano di anice e alcol, sussultò quando i denti di Harry catturarono il suo labbro inferiore, e una risatina risuonò per la strada completamente vuota.
Non poté fare a meno di fermarsi e guardarlo sorridere un’altra volta.
Così come non poté fare a meno di baciarlo un’altra volta, tenendolo più vicino a sé, una mano ancora tra i capelli, l’altra che dal mento disegna la linea del collo, accarezza il petto, riuscendo a sentire il calore del suo corpo sotto il tessuto della camicia, tuttavia, prima potesse andare oltre decise che quella sera non avrebbe approfittato del ragazzino ubriaco dagli occhi grigi.
Appoggiò la propria fronte su quella di Harry e con le labbra che ancora si sfioravano sussurrò, “và in macchina, per favore, non sai quello che stai facendo.” Non riuscì a reprimere l’istinto di accarezzargli una guancia.
Gli aprì la portiera e lo lasciò entrare, non appena mise in moto, chiese ad Harry di ridargli il cellulare; aveva visto Liam scrivere un biglietto con un indirizzo e metterlo tra il cellulare e la cover, in caso Harry fosse stato troppo ubriaco per dire a un tassista il proprio indirizzo. O in questo caso, di dirlo a Louis.
Sarebbe stato solo un quarto d’ora di macchina, poteva tenerlo a bada per un quarto d’ora, l’unica cosa che davvero avrebbe voluto dirgli in quel momento era ti prego, non vomitare in macchina.
La cosa si rivelò più facile del previsto, Harry si addormentò immediatamente, Louis accese la radio e si ritrovò a canticchiare “welcome to the Hotel California, such a lovely place..” gli occhi fissi sulla strada, le dita che tenevano il tempo tamburellando contro il volante, ogni tanto dava uno sguardo ad Harry per accertarsi che respirasse ancora o che non fosse in coma etilico.
Si ritrovò alle tre del mattino avanti a quello che sembrava un appartamento di discrete dimensioni, tipicamente inglese, con un piccolo giardino all’entrata. Era ancora in macchina e guardava Harry dormire, indeciso se svegliarlo o meno. Ovviamente prima o poi avrebbe dovuto farlo, si tolse la cintura di sicurezza e gli si avvicinò; “Harry.. Harry..” sussurrava.
“Uhm- ” mugugnò ancora dormendo.
“Harry, siamo arrivati, sei a casa.” Alla parola casa, gli occhi di Harry si aprirono, ancora confuso, sorrise guardando Louis.
“Uhm, tu sei il ragazzo gentile del bar” si guardò intorno, “perché sono nella tua macchina?”
Il fatto che quello successo mezz’ora prima fosse già sfuggito dalla sua mente diede quasi un senso di sollievo a Louis. Nessuno avrebbe saputo.
“Ti ho accompagnato a casa, riesci a stare in piedi?”
“Certo, perché non dovrei..” disse aprendo la portiera, ma non appena fu in piedi la nausea si fece sentire, dovette affondare il viso tra le mani e coprirsi gli occhi per riprendersi.
Vedendo la scena, Louis scese dalla macchina “Vieni, ti accompagno fino alla porta” il più piccolo aveva ancora il viso nascosto tra le mani, ma Louis ancora una volta lo teneva in piedi cingendogli la vita. Quando dopo pochi passi entrambi si trovarono avanti la porta, Louis chiese: “Hai le chiavi?”
Le mani di Harry finalmente smisero di nascondere il proprio viso, iniziò a toccarsi le tasche del jeans, finché tremando non cacciò una chiave, e tentò di aprire la porta.
La vista offuscata, il senso di nausea e le mani che tremavano non rendevano facile la cosa, senza nemmeno parlare offrì la chiave a Louis e lasciò che fosse lui ad aprire.
“Dovresti entrare.”
Louis lo guardò scettico, “Come scusa?”
“Dovresti entrare. Sei stato gentile, sei gentile, sei il ragazzo gentile del bar, Louis” e la sambuca regalò un altro sorriso confinato tra quelle fossette.
Quindi ancora non aveva dimenticato.
Avrebbe dovuto rischiare.
E non avrebbe dovuto approfittarne.
“Non posso.” Disse con il tono più risoluto che poté.
“Sì che puoi! Guarda!” con una risata sonora lo prese per un polso e lo trascinò all’interno, chiudendo la porta alle sue spalle. Erano al buio, la presa di Harry ancora stretta, lo costrinse a seguirlo al piano di sopra, prima di aprire la porta di quella che poi si sarebbe rivelata la sua stanza, Harry, nel buio, trovò le labbra di Louis.
Negli ultimi anni Louis ne aveva avuti eccome di ragazzi, ma tutti generalmente sobri, ed ogni volta sapeva che chi aveva davanti aveva le sue stesse esigenze.
Ma questo ragazzino amante della sambuca stava per cacciarsi in situazioni più grandi di lui, e per quanto la filosofia del carpe diem fosse fondamentale, Louis non voleva permetterlo.
“Ho sete!” Si lamentò Harry, seduto sul bordo del letto, “voglio della sambuca!”
“Scordatelo, se vuoi puoi avere dell’acqua.”
“Ma..”
“Acqua o niente.”
“..acqua.”
Con un sospiro Louis lasciò Harry da solo e scese al piano di sotto, dopo aver tentato vari interruttori riuscì ad accendere la luce, la cucina era enorme, piena di attrezzatura professionale, dopo essersi ben guardato attorno prese dal frigo una bottiglina d’acqua.
Diede un’occhiata al resto della casa, era nuova, ben arredata, ordinata, e non se lo aspettava ma era pulita, giunse alla conclusione che il ragazzino doveva essere di buona famiglia. Non c’erano foto che potessero indicare che genere di famiglia avesse, ma la casa parlava da sé. C’era un salone molto grande, con un divano per almeno otto persone, una televisione di dimensioni notevoli, una libreria, e una finestra che dava sul giardino posteriore. Per un momento pensò che non vivesse da solo, ma ad ogni modo era sicuro che in quel momento loro erano gli unici in casa.
Aveva quasi dimenticato di dover portare da bere ad Harry, dopo qualche minuto tornò nella sua stanza solo per trovarlo dormire sul letto ancora vestito.
Una parte di lui voleva davvero andare via, uscire da quella casa il prima possibile, ma un’altra parte gli diceva di stare lì, e dopo aver guardato Harry dormire, la parte di sé che gli diceva resta la ebbe vinta. Spense la luce e si stese sul letto accanto a lui, cercando di non fare rumore gli si avvicinò fino a sfiorare la sua guancia con le sue labbra, che dopo un’ora ancora sapevano di sambuca, nonostante lui non ne avesse bevuta. Incapace di lasciare quella stanza chiuse gli occhi e si addormentò ascoltando il respiro regolare di Harry.















*angolo dello squilibrio mentale,
eccovi un'altra delle mie cacchette, come vi dicevo questa os lascia in sospeso molte cose, e mi ha fatto venire in mente qualche idea per una long, ma la costanza non è il mio forte, quindi a meno che non abbia plottato tutto per filo e per segno, non voglio promettere nulla.
Allora, lasciatemi dire solo una cosa, sono tantissimo affezionata a questo Harry, un po' cagaminchia ma allo stesso tempo tenero aw
La canzone che Louis ascolta in macchina è Hotel California degli Eagles, e credetemi non so perchè ma (a parte che ho sempre avuto un amore sconfinato per quella canzone) l'ho sempre immaginata come la canzone da acoltare quando sei in macchina con qualcuno e quel qualcuno si addormenta. (penso cose strane, lo so.) 
ugh sono una fanatica del "vogliamoci bene perchè sono nuova sia su efp che nel fandom quindi vi prego diventate miei amici" quindi idk se leggete magari lasciate una recensione, così almeno so chi devo amare ;-; 
grazie mille per esservi sofferti me, il mio essere logorroica, le mie note e la mia oneshot. 
much love,
- Chris.*

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Capitolo 2
*** It was only a kiss. ***


 
It was only a kiss.




Harry aprì gli occhi maledicendo il sole che entrava dalla finestra della sua stanza. Aveva un mal di testa atroce, e moriva di sete. Come se qualcuno gli avesse letto nel pensiero, trovò una bottiglina d’acqua accanto al letto. Aveva ricordi confusi della notte precedente, ma quando si rese conto di essere a casa, sano e salvo, non si preoccupò di ricordarne i dettagli. Ancora incerto su cosa fosse accaduto prese in mano il cellulare, tre chiamate perse: Liam. Ormai era ordinaria amministrazione che suo fratello si preoccupasse eccessivamente per lui, e senza premurarsi di richiamarlo si diresse verso il bagno, dove trascorse una buona mezz’ora sotto la doccia. Ancora aveva addosso l’odore di alcol e anice, l’acqua calda gli scorreva sulla schiena alleviando i dolori post-sbornia, li odiava. Uscì dalla doccia quasi sentendosi meglio, ancora stordito, ma più leggero. Passò l’avambraccio sullo specchio appannato dal vapore in modo da rendere l’atmosfera meno spettrale, i capelli ancora umidi gli lasciavano cadere gocce d’acqua sulle spalle, tutto sommato non doveva essere stata una cattiva serata, aveva sulle labbra ancora il gusto dell’alcol.
Decise di vestirsi e chiamare Liam, ma non ottenne il risultato sperato, “Harry! Sai che ore sono? Sono le quattro del pomeriggio! Sono dodici ore che non so nulla di te, non avevo idea di dove fossi!” disse tutto d’un fiato.
“H-hey, Liam.. come va?” riusciva a sentire Liam che inspirava profondamente dall’altro lato del telefono.
“Dove sei stato?”
Vorrei davvero riuscire a ricordarlo, pensò Harry, “A casa..” concluse, il tono interrogativo non aveva convito né lui né Liam.
“Ah davvero? Allora come mai quando ho bussato per mezz’ora alla porta, nessuno mi ha aperto?” Era parecchio arrabbiato, e Harry lo capiva, era una vita che si prendeva cura di lui, sapeva di non essere un tipo facile da gestire, e non era la prima volta che affrontavano quel genere di discussione.
“Beh.. dormivo..” disse con il tono più innocente che riuscì a trovare.
Liam sospirò, “Sono da Zayn, vieni qui, stasera c’è la festa di Gemma, dobbiamo essere lì per le undici, sai quanto ci tiene.”
Gemma era la migliore amica di Liam, una ragazza di diciott’anni in grado di far girare la testa a qualunque ragazzo. Alta, capelli castani, occhi chiari, delle ciglia lunghe che sfioravano le guance sempre rosa, e un sorriso dolce, di quelli che ti migliorano la giornata. Lei e Liam si conoscevano da quando erano bambini, era di famiglia. D’estate, quando erano più piccoli, era l’unica disposta a giocare con Harry.
“Ci vediamo tra un’ora.” Disse buttando il telefono sul materasso, pregando che non cadesse.
Aprì l’armadio e lo scrutò perplesso, scelse un jeans scuro, una camicia bianca e delle converse bianche.
Prima di uscire cercò le chiavi ovunque, per poi trovarle accanto alla bottiglina d’acqua in camera sua. Non aveva idea di come ci potessero essere arrivate, senza pensarci si guardò un’ultima volta allo specchio e uscì.
Prima che potesse rendersene conto era già in macchina con Liam e Zayn. È una serata come le altre, continuava a ripetersi, non ti annoierai a morte, pensava. Non vedeva Gemma da un anno, non aveva idea di quali fossero i suoi amici al di fuori di suo fratello, ma aveva la sensazione che non gli sarebbero piaciuti. C’era una sola cosa che sapeva, ed era la ragione di quel mezzo sorriso sulle sue labbra, ci sarebbe stata una sua grande amica, l’unica di cui si fidava, la sambuca.
 
Il locale era angusto, buio, umido, con un odore di chiuso e alcol, troppo affollato e la musica era troppo forte. Harry dovette farsi spazio tra ragazzine troppo truccate e ragazzi già ubriachi, e dopo essersi fatto pestare i piedi da almeno dieci persone, riuscì ad arrivare al bar, “sambuca” disse rassegnato al ragazzo biondo dietro il bancone.
“Facciamo due” sentì una voce alle sue spalle, le labbra di Louis gli sfioravano l’orecchio.
Harry sobbalzò guardandolo confuso, quel ragazzo aveva un’aria conosciuta, l’aveva sicuramente già visto. Il buio del locale non gli permetteva di osservare bene i suoi lineamenti, tutto gli era familiare, ma non lo riconobbe finché le luci intermittenti non illuminarono per un secondo i suoi occhi. Erano gli occhi azzurri che la sera prima lo avevano accompagnato a casa, che gli avevano aperto la porta e che gli avevano portato dell’acqua. E poteva giurare che quelle erano le stesse labbra che lui stesso aveva impregnato di sambuca non più di ventiquattro ore prima.
Approfittò dell’atmosfera cupa per nascondere l’espressione confusa che aveva in quel momento, si passò entrambe le mani sugli occhi, fingendosi infastidito dalle luci, e sfruttò quel momento per ricomporsi. “Dov’è che ti ho già visto?” Riuscì finalmente a dire.
Un sorriso appena accennato comparve sulle labbra di Louis, “lavoro al Jack Bar, ieri sera ti ho riportato il cellulare che avevi dimenticato sul bancone.” Scrutò Harry per qualche secondo, “davvero non ti ricordi?” Aggiunse.
“Avevo bevuto troppo, grazie per il cellulare comunque, quando sono ubriaco tendo a dimenticare le cose.” E in quel momento sperava davvero di essere così ubriaco da poter dimenticare la conversazione appena avvenuta.
“Buono a sapersi.” Disse, e mandò giù la sambuca.
Harry lo guardò impaurito, prese la sua sambuca e lo imitò.
Alzò lo sguardo, e trovò ancora quei due occhi azzurri intenti a scrutarlo.
“Beh..” disse Harry chiaramente in imbarazzo, “come mai qui? Conosci Gemma?” Le mani gli sudavano e continuava a strofinare il palmo sui jeans.
Quel sorriso saccente non sembrava voler sparire dalle sue labbra, “Diciamo che era un’assidua frequentatrice del Jack, vedo spesso lei e il tuo amico, Liam, giusto?”
Deglutì, i dettagli della sera precedente ancora non erano chiari nella sua mente, e non si spiegava come conoscesse il nome di Liam. “È mio fratello, lei è la sua migliore amica.”
“È così che li chiamano qui? Migliori amici?”
Harry si strinse nelle spalle, si sentiva a disagio, continuava a ripetersi che non avrebbe mai più bevuto così tanto come la sera precedente.
“Ieri sera mi hai baciato.” Sentenziò Louis, come se fosse la cosa più normale al mondo.
“Okay, facciamo che per me va bene un altro giro di sambuca.” Disse al ragazzo biondo dietro il bar. Nonostante la musica assordante, riuscì a sentire la sonora risata di Louis. Lo shot di sambuca non venne nemmeno poggiato sul bancone che Harry l’aveva già mandato giù. Fece un respiro profondo: “non so di che parli.” Disse guardandolo negli occhi, cercando di sembrare più che credibile che poteva.
“Vuoi che ti aiuti a ricordare?” Ridacchiò, le labbra appoggiate ad un mojito che Harry non gli aveva nemmeno visto ordinare.
“Senti, non so a che gioco stai giocando, ma qualunque cosa sia successa ieri, è successa perché avevo bevuto troppo.” Sospirò, “Se fossi stato sobrio non sarebbe mai successo.”
Era come se i loro sorrisi si scambiassero. Il viso di Louis divenne una maschera indecifrabile, seria. Harry aveva ritrovato la sua sicurezza, e un sorriso furbo aveva riportato le fossette sulle sue guance.
Louis prese quella frase come una sfida, un giorno il ragazzino dagli occhi grigi sarebbe stato sobrio e avrebbe comunque voluto baciarlo. E Louis vinceva sempre.
Senza rispondergli si alzò e andò via. Harry rimase perplesso, ma l’alcol iniziava a farsi sentire, e con un mezzo sorriso sulle labbra dopo dieci minuti aveva già trovato una di quelle ragazzine truccate con cui passare la serata.
 
“Fermati, credo di dover vomitare.”
Zayn incrociò lo sguardo di Harry nello specchietto retrovisore, aveva gli occhi semichiusi e l’aria persa. Harry litigava con la maniglia per aprire la portiera, “Qualcuno la apra prima che vomito.”
Zayn sbuffò e si rivolse a Liam, “Aiutalo ad uscire, per favore.”
Era la terza volta che si fermavano, ed erano in macchina da soli dieci minuti. “Perché servono da bere ai diciassettenni..” mormorò, ma nessuno lo sentì.
Liam si accostò al finestrino del guidatore, “Noi torniamo a piedi, resto a casa con Harry stanotte, passami a prendere domani mattina alle nove e andiamo all’università insieme”
Zayn tirò un sospiro di sollievo, annuì e mise in moto, lasciando Liam alle prese con suo fratello minore.
“Come fai a farti servire alcol se hai diciassette anni? Guardati, non puoi ridurti così ogni giorno.” Liam era abituato alla condotta del fratello, ma ancora era stupito del fatto che la gente servisse alcol ad un ragazzino come lui.
“Ha! Sai perché? Vuoi sapere perché?” disse Harry trascinandosi ogni parola, “perché piaccio ai ragazzi del bar! Questo è il mio segreto!” La sua risatina nervosa riempì il silenzio.
“Oh davvero? E come li conquisti, fammi sentire..” cercava in tutti i modi di tenerlo sveglio, Harry era appoggiato con tutto il suo peso sulla sua spalla destra e iniziava a stancarsi, se fosse svenuto lì non avrebbe saputo come riportarlo a casa.
“Sicuro di volerlo sapere? Sicuro, sicuro?” Continuava a ridere, “a quanto pare quando bevo tendo a baciare i ragazzi del bar.” Rise ancora.
L’espressione di Liam cambiò, “Come, scusa?”
Harry non riusciva a smettere di ridere, “Il ragazzo gentile del bar, quello con gli occhi azzurri e l’aria di uno che ci sa fare, io l’ho baciato.” Il solito sorriso ubriaco stampato sulla faccia. Una piccola parte di sé, una piccolissima parte di sé che ancora era sobria, stava pensando: domani mattina rimpiangerai tutto ciò che stai dicendo.
“Sei ubriaco Harry, non sai cosa di che parli.”
E rise ancora, rise come se gli fosse appena stata detta una delle battute più divertenti al mondo, “è la stessa cosa che mi ha detto lui ieri sera! Và in macchina, per favore, non sai quello che stai facendo.” Giurava di essere ubriaco, non c’era nulla che filtrasse i suoi pensieri, diceva tutto quello che pensava, ma in quel momento si rese conto di ricordare le parole esatte che gli erano state dette da Louis, e quella consapevolezza bastò a tenerlo zitto fino al mattino seguente.
 
Erano le otto di sera, e Louis stava lavorando da sette ore consecutive, avrebbe dato tutto quello che aveva pur di andare a fumare una sigaretta.
Non vedeva l’ora che quella giornata di lavoro finisse, ma il peggio doveva ancora venire.
Il suo peggiore incubo si era appena seduto sullo sgabello dall’altro lato del bancone.
“Chi si rivede.. Harry il ragazzo sobrio” gli lanciò un’occhiataccia, “a cosa devo l’onore di riaverti qui al Jack?” Louis aveva sempre avuto un unico amico fedele, il sarcasmo.
“Ci ho pensato,” disse Harry con aria concentrata, “io non sono mica come te.” Ci mise tanto impegno in quella frase, come se avesse avuto per tutta la giornata un foglio bianco d’avanti e tutto ciò che era riuscito a tirarne fuori era un ‘io non sono mica come te.’
“Sei più simpatico quando è la sambuca a parlare.” Sentenziò Louis con una punta di veleno. Non aveva voglia di prendere troppo sul serio le parole di un diciassettenne confuso.
“Ieri sera poi ci sono stato con quella ragazza alla festa.” Harry cercò di intimidirlo, “Vedi, non sono come te.” Cercava di convincere più se stesso che Louis.
“Gay, intendi?” aveva il gomito appoggiato sul bancone di legno e il mento poggiato sul palmo della propria mano.
“..Sì, quello lì insomma.” Abbassò lo sguardo, cercando una via d’uscita. “Mi piacciono le ragazze, non quelli come te.” Aggiunse prendendo coraggio.
“Non sono stato io ad averti baciato, Harry.”
Scacco matto.
L’espressione di Harry era di panico puro.
Finalmente alzò lo sguardo, e odiava la divisa che Louis era costretto a portare, odiava quella maledetta camicia nera che faceva sembrare quegli occhi ancora più azzurri.
“Beh non ero io, era la sambuca.”
“Non devi giustificarti, non è successo niente, è stato solo un bacio.” Gli sorrise disinteressato.
Harry si guardò attorno, il bar era semipieno, odore di alcol e di chiuso, fuori era buio, avrebbe tranquillamente potuto replicare gli eventi di due sere prima. Avrebbe potuto prenderlo per il colletto della camicia, avvicinare il viso di Louis al suo e avrebbe potuto baciarlo ancora. Ma a lui piacciono le ragazze.
“Dimentichiamo quello che è successo, okay? Ricominciamo d’accapo.” Disse Harry guadagnando tempo, non voleva andare via, il Jack non era poi così male, era un bel bar, è frequentato da brave persone, da ragazzi gentili.
Louis non avrebbe mai permesso al ragazzino dagli occhi grigi di ‘dimenticare quello che è successo’. “Certo,” disse. “Pietra sopra?”
Harry annuì, si era promesso di non bere troppo, ma la presenza di Louis lo metteva così in difficoltà che aveva bisogno che la sua mente fosse leggermente offuscata. Gli bastò guardarlo, e un minuto dopo si trovò della sambuca sotto il naso. La mandò giù tutta in un sorso e tornò a osservare Louis che asciugava dei bicchieri, il viso rilassato, i ciuffi di capelli più lunghi poggiati dietro le orecchie, le maniche della camicia nera arrotolate fino al gomito, e muoveva la testa seguendo il ritmo della musica.
“È quasi mezzanotte, io tra dieci minuti stacco, torniamo a casa insieme?” gli propose Louis, con lo sguardo più innocente che riuscì a trovare. Quella testolina piena di ricci sarebbe diventato il suo nuovo passatempo.
Harry deglutì. “Non vorrei addormentarmi nella tua macchina come l’altra volta..” cercò una vita d’uscita.
“Nessun problema, torno con la metropolitana.” Gli angoli delle sue labbra si piegarono in un sorriso pieno di sarcasmo.
“E va bene..” si arrese, guardando l’orologio sul suo polso destro aggiunse, “Uhm, hai un quarto d’ora prima che la metropolitana chiuda..”
Louis si strinse nelle spalle, “dovremmo farcela.” Posò lo strofinaccio con cui asciugava i bicchieri ed uscì da dietro il bancone, Harry rimase seduto ma lo seguì con lo sguardo mentre apriva una porta con la targa staff only sopra. Accese la luce, iniziò a sbottonarsi la camicia, aprì il suo armadietto e ne cacciò una polo blu scura e un jeans, si cambiò rapidamente ed uscì.
Per un momento ebbe la sensazione che il ragazzino poteva essere andato vita, ma lo trovò ancora seduto sul suo sgabello, intento a giocare con il cellulare. Si chiese che fine aveva fatto il suo lato spregiudicato, quel lato furbo e caparbio che due sere prima lo aveva incuriosito, ma evidentemente quel lato non apparteneva ad Harry, era solo il risultato della troppa sambuca.
“Andiamo?” Disse, distraendolo da qualunque cosa stesse facendo al cellulare.
Il più piccolo alzò lo sguardo, “Uhm-m” annuì, e saltò giù dallo sgabello. Louis salutò con un cenno i suoi colleghi ed uscì dalla porta principale.
“Fumi?” disse porgendogli un pacchetto ormai quasi finito di Marlboro, Harry lo scrutò con attenzione, e senza rispondere ne prese una, dal modo incerto con cui se la poggiò tra le labbra, Louis poté confermare che quella era probabilmente la seconda sigaretta che Harry fumava in tutta la sua vita. Sorrise, ma decise di non fare domande. Dopo aver acceso la propria, fece segno ad Harry di avvicinarsi fino a far toccare le estremità delle due sigarette. Louis osservò le guance del ragazzino incavarsi mentre aspirava, gli occhi grigi incontrarono quelli azzurri, e rimasero a guardarsi per più del necessario. Aveva sottovalutato gli occhi di Harry, non erano solo grigi, avevano delle venature verdi chiaro che si scurivano man mano che si avvicinavano all’iride, ogni volta che chiudeva gli occhi le ciglia di sfioravano le guance. Prese la sigaretta tra l’indice e il medio e ancora confuso, ruppe il contatto visivo.
I due camminarono per qualche minuto in silenzio, il clima era umido e Harry pregò che a breve non iniziasse a piovere un’altra volta. Arrivarono nella piazza di Piccadilly solo per trovare i cancelli della metropolitana chiusi.
“Cazzo.” Protestò Louis, “Cazzo.
“Ci sono sempre i pullman notturni.. Possiamo prendere quelli..” disse buttando per terra il mozzicone di sigaretta.
“Odio i pullman notturni.” Si guardò intorno nella speranza di trovare una soluzione. Si malediceva di aver prestato a Niall la macchina.
“Passiamo di qui, in dieci minuti saremo alla fermata del pullman.” Piangnucolò Harry trascinandolo per un braccio.
I due si ritrovarono a camminare all’una di notte per Old Bond Street, luogo raramente frequentato da entrambi, era una zona notoriamente ricca, Louis rimase quasi un quarto d’ora ad osservare le vetrine di Dolce & Gabbana e Ralph Lauren, mentre Harry iniziò a sentire delle gocce di pioggia bagnargli la testa. Sapeva che sarebbe venuto a piovere, lo sapeva. Viveva a Londra da troppo tempo per non avere la certezza che entro pochi minuti quelle poche gocce sarebbero diventate un temporale. Prese il polso di Louis e iniziò a correre, “Muoviti! Sta per piovere!” e per la priva volta in quella sera, sorrise.
“Aspetta! Il modello nella fotografia in vetrina è davvero bello!” gli venne da ridere, e lasciò che Harry lo strascinasse verso la fermata del pullman. “Perché corri? Credevo che vivendo a Londra ti fossi abituato alla pioggia!”
“Io odio la pioggia!” gridò ancora correndo.
“E vivi a Londra? Ottima scelta, Harry!” finalmente trovarono riparo alla fermata del pullman, guardarono il piccolo schermo sulla destra e quando Louis vide ’16 mins, imprecò. Detestava i pullman notturni.
I due erano soli, Harry si era seduto sulla piccola panchina rossa, le mani poggiate sulle ginocchia, lo guardo abbassato e il fiato corto. Louis con una spalla poggiata al cartellone pubblicitario che faceva da parete alla fermata del bus, il petto che si alzava e abbassava rapidamente mentre cercava di riprendere fiato, diede un’altra occhiata allo schermo con gli orari e decise che non sarebbe stato in piedi per un quarto d’ora, si sedette accanto ad Harry, che ancora non aveva ripreso fiato, e disse: “Non sei abituato a correre, eh?” chiese non riuscendo a trattenere una risata.
Alzò la testa per incontrare ancora una volta quei maledetti occhi azzurri. “Odio correre, odio la pioggia, e più di tutto: odio correre sotto la pioggia.” Per quanto volesse sembrare serio non riuscì a trattenere un sorriso, che si trasformò in una risata. Gli piaceva ridere della pioggia, se fosse riuscito a ridere ogni volta che la pioggia cadeva su Londra, avrebbe visto l’inverno sotto una nuova luce.
Ancora con le fossette tra le guance, Harry si avvicinò a Louis, era così vicino da poter osservare tutti i dettagli delle sue labbra, avevano un contorno ben delineato, regolari, sottili, perennemente piegate in un sorriso presuntuoso.
Non sei come lui. Disse una voce nella testa di Harry.
E ancora una volta non diede ascolto a quella voce, si avvicinò al viso di Louis quasi come una calamita, gli prese il viso con una mano e lo baciò. Il fatto che fosse sobrio amplificò tutte le sensazioni provate due giorni prima. Lo aveva voluto lui. Il cuore ricominciò a battere ad una velocità spropositata, e fu quasi sicuro di aver perso un battito nel momento in cui la lingua di Louis gli accarezzò il labbro inferiore, con la punta delle dita gli sfiorò la guancia, e in quel momento la voce nella sua testa gli disse: e se fossi come lui?
Con l’indice tracciò il contorno delle labbra di Louis, alzò lo sguardo riportando in vita le fossette che gli occhi azzurri di Louis catturarono immediatamente. Le dita di Harry iniziarono a creare disegni immaginari sul collo del più grande, che chiudendo gli occhi si lasciò trasportare in un altro bacio, la mano sinistra tra i capelli ricci Harry, quella destra poggiata sulla sua gamba, si trovò a sorridere contro le sue labbra, “Sicuro che fosse solo la sambuca?”
“Sta’ zitto!” e trasformò la carezza in un leggero schiaffo, prima che potesse aggiungere altro gli stampò un altro bacio sulle labbra, e lo tenne zitto qualche altro secondo. 








*angolo dello squilibrio mentale,
hello cutiepies!
sapevo che alla fine quella os sarebbe diventata una long, ugh mannaggia a me che ho deciso di rovinarmi la vita shippando larry e.e (those two i swear)
dio, aver vissuto a londra per tre mesi mi ha aiutata come che, descrivere i luoghi e soprattutto l'atmosfera mi è uscito molto più facile ugh. Per la prima volta vediamo un Harry sobrio che deve fare i conti con quello successo la sera prima, e Louis ovviamente gli darà del filo da torcere, (sorry è che sono una sostenitrice del Louis in versione sassy queen) i due avranno mooooolto da dirsi u.u
Volevo anche farvi sapere che nella versione originale del plot, Zayn e Liam erano felicemente fidanzati, ma poi mi sono resa conto che nel primo capitolo aveva scritto 'se non bevi non la dimenticherai mai' ero tentata dal cambiare la frase, ma alla fine ho deciso di cambiare leggermente il plot, anche perchè se 4 su 5 fossero stati gay la cosa sarebbe stata poco credibile, i mean, quante sarebbero state le effettive probabilità? ._. Comunque devo ammettere che tra i due personaggi di Zayn e Liam c'è una grande tensione, quindi feel free to ship them.
Per la prima volta è stato nominato Niall, è un personaggio fantastico, ha delle caratteristiche uniche e non vedo l'ora di scrivere qualche capitolo in cui avrà un po' più di rilevanza ^-^ e diciamocelo, se non avesse preso in prestito la macchina.. co' sta minchia che quei due si baciavano in piena notte alla fermata del bus u.ù (thanksniall)
#fact il Jack Bar si chiama Jack Bar perchè sono una pazza malata che ama gli all time low (ascoltateli se non li conoscete aww) e in onore di Jack Barakat ho deciso di chiamare così il bar e.e
#fact Liam e Harry sono fratelli, nella fanfic il nome completo di Liam è Liam Styles, quindi è lui ad aver preso il cognome reale di Harry.

Il titolo del capitolo viene da una canzone dei the killers, mr brightside. (ascoltatela se non la conoscete perchè è davvero bella.)
E infine ci tenevo solo a dire che porca cacca ho il tasto della lettera H che funziona manco la merda, quindi se da qualche parte trovate scritto 'arry' o 'ce' o cose del genere sappiate che è colpa della mia tastiera penosa, io ho riletto il capitolo 50 volte e non credo ci siano ancora errori ma comunque vi prego di avvisarmi in caso ne troviate qualcuno ;w; 

scusate, logorroica come al solito.
tantolove, *

chris-  

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Capitolo 3
*** I think the dog likes me. ***





I think the dog likes me.



“Niall, mi devi quindici sterline!” Louis lasciò le chiavi di casa sul tavolo della cucina, vide il suo coinquilino sotto l’arco della porta e ammiccò.
“Non ci credo! Il ragazzino ti ha baciato ed era sobrio!?” il tono incredulo di Niall portò un sorriso sulle labbra di Louis.
“Dovevi vederlo, totalmente perso..” diede le spalle all’amico e aprì il frigo in cerca di cibo, “i ragazzini confusi sono così facili da manipolare..” ritornò al tavolo con una mela tra i denti.
“Non credevo ti ci sarebbe voluto così poco,” sentenziò Niall, “le tue capacità di conquista stanno migliorando.” La sua risata riempì la stanza. Conosceva Louis meglio di chiunque altro, i due vivevano insieme da un anno, e non c’era mai stato nulla che li avesse fatti litigare.
Niall era un tipo ambiguo, mai violento, e con un mezzo sorriso sempre sulle labbra, di origini irlandesi, aveva le guance sempre rosa e i capelli biondi incorniciavano un viso dolce con due occhi turchesi, spesso lucidi e arrossati a causa di quella insana passione che aveva per l’erba. Aveva la grande dote di saper ascoltare senza fare domande, un grande consigliere e di animo genuino, nutriva un grande rispetto nei confronti di Louis, e riusciva a gestire con ottimismo i suoi continui sbalzi d’umore.
“Lo so.” Si strinse nelle spalle.
Solo un’ora prima era riuscito a giocare con i sentimenti di quel ragazzino, e ora era nella sua stanza, sulla sua tshirt ancora il profumo dolciastro Harry. Di certo non gli importava, non era la prima persona con cui si divertiva un po’, e prendere in considerazione i sentimenti degli altri non era esattamente il suo forte. Sostituì i vestiti con il pigiama e si mise nel letto, era sfinito, non dormiva da quasi ventiquattro ore.
Contava di allontanare Harry dalla sua vita entro qualche giorno, era un gioco, e il gioco è bello quando dura poco. Non avrebbe trascinato quella situazione per molto tempo. Non voleva problemi, non voleva nulla che potesse compromettere la sua stabilità.
Nonostante ciò, quel ragazzino aveva qualcosa in più, qualcosa che impediva a Louis di fargli del male. Forse era il modo in cui lo guardava, gli occhi lucidi, bagnati dalla sambuca, il modo in cui lo trascinava in situazioni assurde, e la sua perenne capacità di prendere ogni cosa con leggerezza.
La sua etica gli impediva di ferire chi non lo meritava, agli occhi di tutti era sempre stato un cinico bastardo, ed in parte era vero, ma lo faceva per difendere se stesso, adesso sentiva il bisogno di difendere anche Harry.
Dopo quasi due mesi ancora si ritrovava ancora all’una di notte a correre per strada con Harry per ripararsi dalla pioggia londinese, ancora riusciva a rubargli un bacio prima di tornare a casa, e ancora poteva guardarlo e contare le venature verdi che abitavano i suoi occhi. Ma Harry era un gioco. Era dicembre, e  si era dato una scadenza. Entro tre settimane avrebbe trovato qualcun altro con cui divertirsi, qualcuno di meno sincero, di meno ingenuo – qualcuno che meritava di essere preso in giro.
Era nuovamente fasciato in una camicia nera, un sorriso ammiccante sulle labbra, pronto a soddisfare le richieste dei clienti del bar, gli occhi puntati sulla piccola sala, i tavolini in legno uno accanto all’altro, aveva il naso abituato a quell’odore di alcol e chiuso, in un angolo Liam e Gemma avevano d’avanti rispettivamente il solito Whisky con ghiaccio e un hawaiian cocktail, uno di quei cocktail colorati alla frutta che tanto piacciono alle ragazzine. Harry aveva ancora il coraggio di chiamarli migliori amici – quel ragazzino era un ingenuo, andava in giro a bere fino a non reggersi in piedi ma non aveva il tempo di fermasi pochi secondi a capire cosa accadesse nella vita del fratello. Sovrappensiero si ritrovò a fissare Liam, che si girò verso di lui, sentendo il peso del suo sguardo. Sorrise a Gemma e si alzò dalla sedia, dirigendosi verso il bancone: si avvicinò a Louis con aria decisa, iniziò: “Smettila di giocare con mio fratello.” Lo guardò, il viso colmo di una calma apparente. Ma chi aveva di fronte non era certo un tipo da perdere la calma sul posto di lavoro, Louis avrebbe preferito mille volte rispondere con sarcasmo, e così fece.
“Non gioco con quel ragazzino confuso, è lui ad aver cominciato” l’angolo della sua bocca piegato in un leggero sorriso, “tu piuttosto, quando pensi di dirglielo?” con il mento indicò Gemma ancora seduta al tavolino da sola. “Sai, vi crede migliori amici. Non ho avuto il cuore di dirgli che ti fai mia sorella.”
La rabbia attraversò gli occhi di Liam, teneva a Gemma più di qualunque altra cosa e non si spiegava come quei due venissero dalla stessa famiglia. “Harry non se lo merita, non sa quello che sta facendo.”
“Oh avanti, sa benissimo cosa sta facendo, non è così stupido come credi.”
“Lascialo perdere.”
La curiosità di Louis non fece altro che aumentare, il ragazzino si faceva sempre più interessante, e infastidire il fratello maggiore rendeva il tutto più divertente. “Certo, domani pomeriggio andiamo a pattinare sul ghiaccio, vi va di venire con noi?”
Il viso di Liam tornò ad assumere un’espressione dura, “grazie davvero ma ho altro da fare.”
“Mia sorella?” alzò il sopracciglio destro in segno di finto stupore.
“Non so mio fratello cosa ci trovi di tanto speciale in te.”
“Tuo fratello mi trova speciale?” si portò una mano al petto, fingendosi  colpito da quell’affermazione. “Sono lusingato, la sera giocate a pettinarvi i capelli e parlate di me?” disse con tutto il veleno che aveva in corpo.
Liam fece schioccare la lingua in segno di disprezzo e si allontanò.
“Allora domani ti aspetto, ci vediamo da me alle sette!” disse Louis, ancora sputando veleno.
 
Nonostante l’inconveniente di Liam, la giornata era andata piuttosto bene, Louis tornava a casa in macchina, ancora una volta canticchiava seguendo i gusti della radio – a moment, a love, a dream, a laugh, a kiss, a cry – adorava cantare in macchina, la sua voce non era niente male, si era sempre promesso che se un giorno si fosse scocciato dei bar – cosa che sarebbe accaduta a breve – si sarebbe dato alla musica. Aveva iniziato a piovere e i tergicristalli gli permettevano di vedere nitidamente la strada solo un secondo su cinque. Parcheggiò l’auto proprio fuori casa, corse verso la porta per evitare di bagnarsi, bussò sperando che Niall fosse ancora sveglio. Aspettò qualche secondo, si guardò attorno, maledicendo le chiavi di casa rimaste nella stanza addetta allo staff del Jack.
Ma chi gli aprì la porta non era Niall.
Il ragazzino dai capelli ricci e gli occhi grigi lo fissava con aria assonnata. “Uhm Louis, sono le tre, torni sempre così tardi?” mugugnò aggiustandosi i capelli.
“E tu che fai in casa mia? Dov’e Niall?” Era quasi infastidito dalla sua presenza, entrò in casa urtandogli la spalla, alla ricerca del coinquilino.
“Ancora sul divano, credo.” Disse stropicciandosi un occhio, ancora assonnato. Capendo di non far parte del discorso, Harry tornò in camera di Louis, dove si stese un’altra volta sul letto, stavolta incapace di prendere sonno.
Louis entrò in soggiorno a passi lunghi, deciso. “Che diavolo ci fa quel ragazzino in questa casa?”
Niall era steso sul divano, gli occhi socchiusi, un sorriso perso sulle labbra. “Oh, è ancora qui?” l’odore acre di erba aveva invaso la stanza. Jay, il pastore tedesco che avevano adottato era accucciato sul tappeto, alla vista di Louis alzò le orecchie e scodinzolò.
“Certo che è ancora qui! E per qualche motivo era a dormire nel mio letto!” sbottò Louis, si passò una mano tra in capelli in preda alla rabbia.
“Oh, Lou, è arrivato piangendo, non ricordo perché ma voleva davvero parlarti e gli ho detto che se voleva poteva aspettarti qui e lui ha detto che andava bene e che gli piacevi e che questa casa era molto carina e che io ero così simpatico. Mi piace il ragazzino, dovresti calcolarlo di più, e tutti quei ricci sono così carini, come puoi ignorare un ragazzo con tutti quei ricci, guardalo.” Parlò tutto d’un fiato. Fu quello il momento in cui Louis capì che era inutile provare a tirare fuori un pensiero sensato dalla testa di Niall.
Non gli rispose e salì al piano di sopra, sperando di ottenere qualche risposta più chiara da parte di Harry.
Lo trovò steso sul letto a fissare il soffitto. “Non ti ho dato il mio indirizzo per piombare in casa mia e occupare la mia stanza.” Sentenziò ancora sulla porta.
“Ho litigato con Liam, non volevo stare in casa con lui.”
“Beh? Cosa avresti fatto se non ci fossi stato io?”
“Non lo so.” Louis ebbe la sensazione che quella risposta non si riferisse solo a ciò che era accaduto quel pomeriggio, ma non volle andare più a fondo.
“Non puoi restare qui.” Constatò con sicurezza.
“Posso dormire sul divano se vuoi, ma ti prego non farmi tornare a casa.” Piagnucolò Harry.
“Sei minorenne, non posso tenerti in casa senza avere dei problemi, e so che tuo fratello non vede l’ora di crearmene.”
“Liam sa che sono qui e non farà nulla. Ha detto che posso fare quello che voglio, che non gli importerà più nulla di quello che faccio.”
Tipico, pensò Louis, adesso gli toccava anche badare al ragazzino ubriaco. Mantieni la calma, si disse. Sospirò, non aveva il cuore di cacciare Harry, sapeva quanto Liam certe volte potesse essere una palla al piede – i suoi pensieri furono interrotti dalla voce del più piccolo.
“Non mi avevi mai detto che tu e Gemma siete fratelli.”
Inoltre, Liam non aveva la capacità di farsi i fatti suoi.
“Tuo fratello non dovrebbe mettere bocca sulla mia famiglia, e nemmeno tu.” Rispose seccato.
Entrambi erano stesi uno accanto all’altro, fissavano il soffitto leggermente illuminato da una piccola lampada che Louis aveva sul comodino accanto al letto.
“Mi chiedevo solo come mai non me l’avessi mai detto. Conosco Gemma da sempre e non mi aveva parlato di te, conosco te da due mesi e non mi hai mai parlato di lei. Non sono stupido, e credo che ci sia qualcosa che manchi.” Non sapeva perché, ma lo disse sussurrando.
Generalmente, una volta giunti alla fase voglio sapere qualcosa sulla tua vita, Louis liquidava gentilmente il ragazzo di turno e ne trovava un altro nel giro di ventiquattro ore. Ma ancora una volta, non con Harry. Avrebbe voluto farlo, ma qualcosa glie lo impediva.
“Io e Gemma abbiamo smesso di parlare quando sono andato via di casa, io avevo sedici anni e lei quattordici,” iniziò, “non è mia sorella. Non sono legato a lei, abbiamo solo gli stessi genitori, ma lei è una persona qualunque. Non mi importa che si faccia tuo fratello, per me è una normale cliente del Jack.”
L’ingenuità di Harry si intromise tra i due. “Perché sei andato via di casa?”
L’ultima cosa di cui Louis aveva voglia di parlare erano le sue scelte. “Non – non mi va di parlarne.”
“È per quello che sei, non è vero?” una punta di genuina curiosità nella voce di Harry.
“Alla mia famiglia non andava bene.”
“Perché?”
L’insistenza di Harry lo metteva a disagio, rimase in silenzio.
“Mi devi una spiegazione, Lou.” Continuò. Niall era l’unico a chiamarlo Lou, era un soprannome che lo faceva sentire bene, mai nessuno gli dava dei soprannomi. E sentirlo pronunciare dal ragazzino gli fece comparire un sorriso sulle labbra.
“Sono persone all’antica, mio padre gridò alla malattia, sperava che un medico avesse potuto curare la mia devianza sessuale, così la chiamava.” Rise, “mia madre piangeva, gridava, tentava in tutti i modi di tenere il suo primogenito a casa, mi adorava, ma amava mio padre, e scelse lui. Quella mattina decisi di andare via.” Si voltò ad osservare il viso di Harry, che aveva ancora lo sguardo puntato verso il soffitto. Non sapeva bene che risposta aspettarsi, ma Harry, invece, gli pose un’altra domanda.
“E come sei arrivato al Jack?” Il ragazzino era diverso perché non lo compativa, era semplicemente interessato alle vicende, gli piaceva conoscere le persone, ascoltare quello che avevano da dire.
E avrebbe ascoltato Louis per ore, perché amava il suono della sua voce.
“Mia madre era proprietaria di un bar a Chelsea, lo ereditò da suo padre, un uomo ricco e terribilmente bigotto. Io ogni giorno, dopo scuola, andavo da lei e passavo i pomeriggi al bar, è lì che ho imparato tutto quello che so. A sedici anni ormai sapevo tutto ciò che c’era da sapere, e farmi assumere non fu un problema. Venni a vivere qui, inizialmente da solo, ma avevo bisogno di una mano per l’affitto, conoscevo Niall perché era sempre al Jack, eravamo buoni amici già da un po’, sapevo che aveva bisogno anche lui di un posto in cui stare, e gli proposi di venire qui, e lui si portò anche il cane.” La sua risata riempì la stanza.
“Quel cane mi vuole bene, credo di piacerle.”
“Davvero? Io credo mi odi.”
La risata stanca di entrambi riecheggiò, stavolta fu Harry a voltarsi verso Louis, e ancora, dopo i mesi passati insieme, rimase affascinato dai suoi lineamenti. Portò la mano vicino il suo viso e con l’indice seguì il contorno nella sua mascella, poi del mento, fino a sfiorargli la gola. Lasciò la mano sul suo petto e si girò su un fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Liam dice che non durerò più di quanto sia durato qualunque altro ragazzo che tu abbia conquistato al Jack.”
Louis si ritrovò ad accarezzare i capelli di Harry, perso. “Tuo fratello dice una marea di stronzate.”
Non era mai stato uno che le mandava a dire, Harry sorrise stampandogli un bacio sul collo. Si addormentò con le labbra che ancora gli sfioravano la pelle, Louis aveva un profumo intenso, penetrante, di quelli che dopo anni sono ancora in grado di risvegliarti i ricordi.
 
Appena aprì gli occhi la prima cosa che vide fu la schiena nuda di Louis, era di spalle, in piedi, avanti al letto. Per la prima volta Harry notò che tra le sue scapole c’era un tatuaggio, non più grande di cinque centimetri. Dovette aggiustare gli occhi alla luce del mattino per riuscire a mettere a fuoco il disegno, era una rondine. Non lo faceva il tipo da tatuaggi, né quantomeno un tipo da rondini. Louis trafficava con le mani nell’armadio cercando chissà quali vestiti, ed ogni volta che il suo braccio si muoveva, i muscoli che gli fasciavano la schiena si muovevano sotto la sua pelle, Harry era concentrato sul suo corpo canonico e regolare, la linea curva della sua spina dorsale, le spalle larghe, i capelli lunghi appena da sfiorargli la nuca, e l’elastico dei pantaloni del pigiama appena sotto le fossette sulla sua schiena. Avrebbe voluto passare così il resto della giornata, nel letto, ad osservare Louis.
Si avvinghiò alle sue spalle larghe, mordendogli il collo, lo trascinò con sé sopra le coperte ancora in disordine. “Dove stai andando?” bisbigliò contro il suo orecchio.
Louis premette le sue labbra contro quelle di Harry, “al Jack, recupero le chiavi di casa e torno. Puoi aspettare qui se vuoi, altrimenti Niall può portarti al negozio.”
“Quale negozio?” Il più piccolo era genuinamente incuriosito.
“Con cosa credi che la paghi tutta quella roba?” Rise, “lavora in un vecchio negozio di vinili a Covent Garden, mi costa ammetterlo.. ma quando parla di musica: sa quello che dice.
Il viso di Harry si illuminò, si sedette con le gambe incrociate sul letto e guardò Louis implorandolo, “ti prego, ti prego, posso davvero andare con lui?”
“Certo che puoi, ormai ci porta chiunque.” Nascose in quella frase tutte le notti passate con la testa sotto il cuscino perché Niall e la ragazza di turno facevano troppo, troppo, casino. La sua considerazione gli valse uno sguardo interrogativo da parte di Harry, che batté le mani e si alzò dal letto, “vado a prepararmi!” morse un’ultima volta il labbro inferiore di Louis e si diresse verso il bagno.
Il ragazzino non era poi così male, non ricordava da quanto tempo non parlasse della sua famiglia, ma era evidentemente troppo. Il problema con Harry era che aveva smesso di essere un gioco, molto, molto tempo fa. Gli importava di lui più di quanto desse a vedere, più di quanto ammettesse a se stesso, più di quanto le circostanze lo permettessero.
Era abituato alle persone che vanno e vengono, alle occasioni colte al volo, alle strade che si separano; sapeva che nessuno, tra quelli che gli erano stati accanto, sarebbe rimasto fino al giorno dopo. Faceva spallucce e andava avanti, non aveva bisogno di essere legato a qualcuno, sapeva di essere forte abbastanza da farcela da solo.
Tutto finché un ragazzino dall’aria furba non si presentò al Jack, completamente ubriaco, un sorrisino confuso sui denti, e dall’aria impacciata. Giocaci ancora un po’, si ripeteva, perché no? Non si sarebbe fatto male nessuno, o almeno, Louis non si sarebbe di certo fatto male.
Poi lo guardava alzarsi dal letto, due mesi dopo, i capelli ricci ancora in disordine, l’euforia di far parte di una nuova realtà, e lo stesso sorriso confuso sui denti. Una strana sensazione gli stringeva il petto, per la prima volta gli importava di qualcuno che non fosse se stesso. Scelse una t-shirt blu e fece per uscire, passò avanti alla porta del bagno e disse, “dopo il Jack passo da voi, ci vediamo tra qualche ora!”
“Va bene!” sentì la voce di Harry provenire dall’altro lato della porta. Con la coda dell’occhio scorse la figura di Niall ancora sul divano, pronto per un altro giorno di ritardo; divertito, gli si avvicinò, “porta il ragazzino con te,” suggerì, “non dovrebbe crearti problemi, entro qualche ora passo a prenderlo” lo rassicurò.
“Oh Lou, abbiamo adottato un figlio? Non credevo che la nostra relazione sarebbe mai arrivata fino a questo punto, ti amo Lou.” Gli mandò un bacio.
“Avanti, porta con te il ragazzino e non fare storie!” Uscendo, la risata di Louis riempì la stanza.
 
Contava di passare al Jack solo per recuperare le chiavi di casa, ma non aveva previsto l’inconveniente Liam, si sentì i suoi occhi addosso non appena mese piede nel bar, si chiedeva solo che genere di richiesta avesse questa volta. Il ragazzo lo seguì nella stanza addetta allo staff: “Fallo tornare a casa.” Disse.
Louis gli dava le spalle, si girò con un sorriso divertito sulle labbra, “Non puoi stare qui,” inclinò leggermente la testa, “e il ragazzino può fare quello che vuole, se preferisce stare da me è perché gli hai reso la vita impossibile.”
“Ti ricordi almeno il suo nome?” il tono inquisitorio si fece sempre più duro.
Harry può fare quello che vuole, se preferisce stare da me è perché gli hai resto la vita impossibile. Contento?” ostentava sicurezza.
Liam sospirò, quasi arreso, la visiera del cappellino che aveva in testa gli coprì gli occhi. “Nostra madre ci morirebbe se sapesse cosa stai facendo ad Harry.”
Cosa sto facendo ad Harry,” gli fece il verso, “non ti seguo, cosa vorresti dire?” aveva capito benissimo a cosa si riferisse, ma voleva sentirlo uscire dalla sua bocca.
“Lascialo tornare a casa.” Il tono quasi supplichevole.
“Tornerà quando vorrà.” Gli passò accanto e fece per uscire, ma Liam gli bloccò il polso destro e aggiunse, “Harry non è come te, e tu non meriti una persona come lui, non è una persona come le altre, se provi qualcosa per lui, sappi che lui la vive amplificata un milione di volte, non è il ragazzino che lasci deluso una sera e si dimentica di te, ho dovuto crescerlo per diciassette anni, non puoi, non puoi entrare nella sua vita e distruggere tutti i miei sforzi, non hai idea di contro chi e cosa ho dovuto combattere per farlo diventare la persona che è oggi. Lascialo tornare a casa, esci dalla sua vita prima che sia troppo tardi.” Concluse.
Non aveva mai sentito Liam parlare così tanto, e sul momento trovò quel discorso abbastanza patetico. Non si sarebbe mai sognato di mettere bocca sul rapporto che lui aveva con Gemma, anzi, era felice che se la facesse, ne traevano vantaggio entrambi.
Con la superficialità che lo contraddistingueva tirò via il polso dalla sua presa, ma prima di dargli le spalle e chiudere la porta, aggiunse, “Non puoi stare qui, esci.”
Con le mani che ancora gli tremavano dalla rabbia, una volta sulla strada, si portò una sigaretta alle labbra. Liam aveva sferrato un duro colpo contro il suo autocontrollo. Aveva in mente la sua voce quando diceva, non meriti una persona come lui. Chiuse gli occhi e inspirò, e provando a lasciarsi alle spalle quella conversazione si diresse verso la fermata del bus, sperando di trovare una soluzione tra i consigli di Niall.
 
Harry era seduto per terra tra una manciata di vinili, il piccolo negozio finalmente vuoto, la sua voce cantilenante continuava a chiedere informazioni a Niall, “Questo di che anno è? E questo quante copie ha venduto? Non ci credo, questo qui è introvabile! Questo è autografato? Vuoi dirmi che Paul McCartney ha toccato questo stesso vinile? Questa è la sua firma? Sul serio?”
Niall rise, “sì, ragazzino, quella è la firma di Sir Paul McCartney” cacciò dalla tasca dei jeans il portafogli e ne estrasse una vecchia polaroid, “quello accanto a Paul è mio padre”
Harry alzò lo sguardo, confrontando l’uomo nella foto con il viso di Niall, “Cazzo, è davvero tuo padre!”
Entrambi risero, ed Harry tornò tra i vinili impolverati.
Dalla vetrina che dava sulla strada, Niall intravide il profilo di Louis. Dicembre aveva già imbiancato le strade, le vie principali erano già piene di lucine natalizie, e lui se ne stava fuori, senza entrare, il naso arrossato e si riscaldava le mani avanti alla bocca.
Agli occhi di Niall, Louis era sempre stato sulle righe, vagamente egoista, fin troppo sicuro di sé, spavaldo, eppure non era mai stato scorretto, sapeva che il motivo di un carattere tanto duro era la paura di perdere se stesso. Gli aveva raccontato di aver vissuto da solo fin dall’età di sedici anni, e tutto ciò che gli era rimasto era se stesso, se avesse concesso a qualcuno di catturare, e portare via, una parte di sé, sarebbe rimasto senza niente. Abbassò lo sguardo e quella testa piena di ricci catturò la sua attenzione; il modo in cui si guardavano, la loro complicità, gli fecero capire che una piccola parte di Louis, sarebbe sempre rimasta con il ragazzino. I suoi occhi tornarono sulla figura magra e snella del suo coinquilino, a cui fece segno di entrare.
I tre passarono l’intero pomeriggio al negozio, un sorriso costante sulle labbra di Louis, che nascondeva e sotterrava la discussione avvenuta poche ore prima. 









*angolo dello squilibrio mentale,
hello girls, (soffritevi i miei riferimenti a supernatural ugh)
dunque, dunque, volevo dirvi che ho scelto questo titolo non a caso, se piaci al cane sei in famiglia. Il fatto che Harry e Jay (ugh i pastori tedeschi sono la mia razza preferita çwç) vadano d'accordo diciamo che segna l'entrata ufficiale di Harry in casa di Louis e Niall.
La scostante crackship Liam/Gemma mi ammazza lol, e davvero mi dispiace aver fatto passare Liam per lo stronzo della situazione, però avevo assolutamente bisogno di qualcuno che si opponesse ad Harry e Louis, e il lavoro sporco è toccato a lui. (sorry, sigh), il fatto che Gemma sia la sorella di Louis mi confonde tantissimo, ma sinceramente non avevo voglia di creare nuovi personaggi, quindi ho scelto Gemma, anche perchè è tanto carina ç_ç 
vabè la canzone che Louis canta in macchina immagino e spero sia stata riconosciuta da tutti, (inoltre lasciatemi dire che a moment, a love, a dream, a laugh, a kiss, a cry  è anche il titolo di una raccolta di drabble larry che ho iniziato a scrivere ugh)
e ultima cosa, quando Harry guarda Louis di spalle, i miei little-things-feels si sono fatti sentire, e ho deciso che Louis ha delle fossette sulla schiena UGH soffro. 
in caso ci dovessero essere degli errori vi prego di avvisarmi ;w;
adesso tornerò miseramente su tumblr a piangere guardando vecchie gif. 
grazie mille a chi ancora legge e a chi ha recensito i primi capitoli. 

tanto love *
chris -

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Capitolo 4
*** Dejà Vu. ***




Dejà Vu.




Natale era alle porte, e controvoglia, Louis si aggirava per i piani affollati di Harrods in cerca di un regalo per Niall, davvero non voleva rifilargli l’ennesimo maglione di lana, ma non aveva idea di cosa potesse piacergli. La sua pazienza non aveva fatto i conti con la vanità di Harry, aveva una quantità indefinita di vestiti da provare, e passò intere ore ad entrare ed uscire dai camerini, “questa mi sta meglio?” disse aggiustandosi la camicia grigia che stava provando.
Louis si guardò attorno, indeciso, “meglio senza.” Affermò, dopo essersi assicurato che nessuno lo potesse sentire.
Le labbra di Harry si piegarono in sorriso che scoprì i denti, “va bene, ho capito, prendo solo quella blu, poi torniamo a casa.”  
L’accordo implicito in quella frase fece ridere entrambi; Harry rientrò nel camerino e tornò nei suoi abiti, sperando improvvisamente di tornare a casa il prima possibile.
Tutti i piani erano decorati con addobbi natalizi, e le classiche musiche ripetitive e atone infestavano l’aria, le madri si dileguavano per i corridoi in cerca del regalo perfetto, trascinandosi i figli incuriositi dalle carte colorate e le caricature di babbo natale; i due dovettero affrontare un lungo quarto d’ora di coda, “Tutto questo per una sola camicia? Davvero? Sono in fila da dieci minuti.. per una camicia?” si lamentò estremizzando il suo essere seccato.
“Mi stava davvero bene, non potevo non prenderla..” ribattè Harry, senza un minimo di senso di colpa.
Alle loro spalle una donna di mezza età convinceva il proprio figlio a lasciare l’ennesimo inutile giocattolo, accertandogli che se avesse smesso di lamentarsi, babbo natale gliel’avrebbe regalato. Louis alzò gli occhi al cielo, si voltò e guardò il bambino negli occhi, “babbo natale non esiste.” Sussurrò con un sorriso maligno sulle labbra. Quello scherzetto gli costò una gomitata nel fianco da parte di Harry, ma ne era valsa la pena, l’espressione delusa del bambino era impagabile, i suoi occhi diventarono lucidi, poi liquidi, il labbro inferiore cominciò a tremare, tutto sotto lo sguardo sconcertato della madre, che ancora non aveva trovato le parole per rimediare alla bomba lanciata da Louis. Harry ridacchiò, ma il suo essere magnanimo lo costrinse ad accovacciarsi di fronte al bambino, asciugargli una lacrima con il dorso della mano e spiegargli come stavano le cose, “Hey, non piangere. Sai una cosa? Quel ragazzo,” – indicò Louis, ancora in piedi, incapace di smettere di ridere, – “quel ragazzo lì, non ci crede perché non ha mai ricevuto un regalo, e crescendo si è detto ‘se non ho ricevuto regali, vuol dire che non esiste nessun babbo natale, no?’ quello che invece non sa, è che non ha mai ricevuto regali perché è sempre stato cattivo, e babbo natale non premia i bambini cattivi, guardalo, ha vent’anni e mai nessun regalo. Tu sei un bambino bravo?” il piccolo annuì, tirando su col naso, “allora non devi preoccuparti, continua ad essere bravo e riceverai tutti i regali che desideri.” Harry si alzò, ricevendo uno sguardo di gratitudine da parte della donna, poi si voltò verso Louis, che si guadagnò uno schiaffo sul braccio, “Ahi!” protestò.
“Cazzo quanto sei stronzo, è un bambino!” sussurrò Harry, ancora ridendo.
“Scusa, è stato più forte di me, hai visto la sua faccia?”
Che bastardo.” Il gomito di Harry ancora gli urtò il fianco.
I due riuscirono a pagare la camicia e si diressero verso casa, il freddo congelava Harry fin dentro le ossa, ogni respiro lo avvolgeva in una nuvola di condensa, le orecchie protette da un cappellino di lana, e le mani avvolte nei guanti. Louis non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, erano passate due settimane da quando aveva parlato con Liam, ed Harry ancora non dava segno di voler tornare. Sarà che ogni volta che prendeva in prestito una maglia di Louis adorava sentire il suo profumo addosso, ed iniziava ad abituarsi a svegliarsi accanto a lui. Louis si accigliò, ancora gli ripassavano per la mente le parole di Liam, Harry non è come te, e lo sapeva, sapeva che quel ragazzino era ingenuo, ed era quello il motivo per cui non gli avrebbe mai fatto del male.
 
Nulla era in grado di allietare Louis più del connubio ‘Harry & Sambuca’. Aveva continui flash della sera in cui si conobbero, ma quella notte non erano solo i suoi ricordi ad avere l’odore di anice, quel profumo fresco e distinto aveva impregnato le sue lenzuola. Con la scusa del freddo, Harry aveva passato la serata a fissare Louis dietro il bancone del Jack, “dovresti provare a coprirti al posto di racimolare calore con l’alcol.” Louis cercò per la millesima volta di non dover portare a casa il suo ragazzo in stato pietoso.
“N-non ho bevuto tantissimo.. solo.. solo un po’.. ma poco.” Gesticolava in modo compulsivo, mimando ogni singola parola. Restava per alcuni minuti con il gomito appoggiato sul bancone e il palmo della mano che gli sosteneva la guancia. Chiudeva gli occhi, e lasciava che il tempo passasse, portandosi via anche quella tremenda nausea e il mal di testa. Nonostante fosse ancora confuso a causa della sambuca, quel momento gli sembrava di averlo già vissuto. Quasi sobbalzò quando si sentì toccare il polso da Louis, che posando le chiavi della macchina sul bancone, disse: “è parcheggiata proprio qui fuori, va’ a dormire, cerco di staccare il prima possibile e ti porto a casa, okay?” lo guardava dritto negli occhi, sperando che avesse capito.
“Ma io sto benissimo, non devo dormire.” Le palpebre socchiuse e lo sguardo lucido suggerivano il contrario.
“Va’. Ti porto a casa tra un po’.” Ordinò Louis, e come ogni volta pregò che non vomitasse in macchina. In meno di un’ora riuscì a farsi sostituire, si cambiò e raggiunse Harry, che nonostante avesse lottato con tutte le sue forze, si era addormentato. Bussò sul vetro del finestrino, il furbetto si era chiuso dentro, ma ovviamente quel ragazzino sveglio quanto una volpe aveva un sonno a dir poco pesante. Gli ci vollero dieci minuti per svegliarlo, quando lo vide finalmente muoversi tirò un sospiro di sollievo, non perché non fosse morto, ma perché davvero non aveva voglia di tornare a casa a piedi.
“Ti senti meglio?” chiese mettendo in moto.
Harry si massaggiava le tempie con le dita, “meglio, quanto ho dormito?” sbatteva le palpebre confuso.
“Un’oretta, credo.” Rispose. Harry scavalcò il sedile per potersi sedere d’avanti, lo spazio angusto lo metteva ancora a disagio, ma avrebbe potuto sopportare per i venti minuti che lo separavano da casa. Aveva sempre avuto un principio di claustrofobia, ma Liam ne era l’unico a conoscenza, e in quel momento non era comunque abbastanza sobrio da poterne accusare i sintomi.
“Smettila, Harry! H-Harry!” Ridacchiò, “Ti ho detto di smetterla! Sto guidando!” Si lamentava mentre il più piccolo era impegnato a distrarlo, con le labbra che gli sfioravano il collo e la lingua che gli accarezzava la pelle. Adorava giocare con Louis. “Andiamo a casa.” Il tono languido di Harry riempì l’abitacolo, osservava il profilo canonico del più grande, le ciglia che gli accarezzavano le guance ogni volta che chiudeva gli occhi, la linea regolare della mascella, le labbra arrossate a causa del freddo. Louis sorrise, “torna a dormire, con questa neve non saremo a casa prima di mezz’ora.” Un broncio comparì sul viso del più piccolo, che demotivato incrociò le braccia, ancora una volta combattendo contro Morfeo.
Passò più di un’ora prima che Louis riuscisse a parcheggiare la macchina, era a pochi passi da casa, scosse la spalla di Harry, che come al solito si era abbandonato a quel sonno tutt’altro che leggero che si impadroniva di lui quando beveva troppo.
“Harry.. Harry..” la mano indugiava sulla sua nuca, tra le ciocche ricce che gli sfioravano il collo. Non l’avrebbe mai portato in braccio fino a casa, e non aveva la minima intenzione di trascinarlo. “Harry..” il più piccolo, controvoglia, aprì gli occhi, si guardò attorno, spaesato. “Uhm?”
“Siamo a casa, andiamo.” Era ancora chino su di lui, lo aiutò ad uscire, l’aria umida di Londra gli riempì i polmoni. Si fece coraggio e aiutò Harry a reggersi in piedi.
“Sto bene! Posso camminare da solo, guarda!” disse trascinandosi le parole, leggermente incerto si guardò attorno, un braccio attorno alle spalle di Louis, “hai un buon odore.” Sussurrò respirandone il profumo. “Mi piace.” Fece una pausa. “No, mi piaci tu.” Ridacchiò.
Louis rimase in silenzio, ormai abituato alle dichiarazioni offerte dall’alcol.
Cercava le chiavi mentre il più piccolo gli torturava il collo, baciandolo.
Ancora vittima dei dejà vu, non appena riuscì ad aprire la porta, lasciò che Harry lo trascinasse per un polso, intravide Niall dormire sul divano, era assurdo come quel ragazzo fosse sempre troppo fatto per salire le scale ed arrivare fino al proprio letto.
Harry lo bloccò tra il proprio petto e il muro della camera da letto, era un diciassettenne ubriaco, ma comunque più forte fisicamente dei vent’anni di Louis. Sapendo di non essere dotato della sua stessa presenza fisica non tentò nemmeno di fermare la mano di Harry, che ormai già da qualche minuto indugiava sulla sua cintura. Lo lasciava fare, osservando la sua espressione concentrata, quasi infastidito dall’incapacità di maneggiare la cintura di Louis senza che ci vedesse doppio. Il più grande sorrise, conoscendo il disastro che aveva d’avanti, stava con Harry perché quel ragazzino causava più problemi di quanti ne avesse, ad ogni sua mossa gli equilibri si rompevano, e la stessa cosa accadeva nella testa di Louis, tutti gli equilibri, le convinzioni, le certezze, perdevano di significato. Non aveva mai dovuto rinunciare a nulla, aveva rimandato tantissime cose ma sapeva che un giorno tutto ciò a cui aspirava si sarebbe realizzato, e non aveva intenzione di rinunciare ad Harry. Vedendolo ancora in difficoltà si avvicinò lentamente ed iniziò a sbottonare la camicia a quadri blu, guadagnandosi un bacio che Harry riuscì a rubargli nel giro di pochi secondi, il più piccolo guardò a destra e sinistra del corridoio ormai buio, l’aria furbetta e il sorriso sicuro erano ormai ricordi lontani, era troppo sobrio per essere sicuro di sé e troppo ubriaco per avere il conrollo della situazione. Ed era quando si dimostrava più debole e vulnerabile che Louis percepiva la differenza d'età tra loro, era il ritratto della incoscienza, in quel momento non gli importava di quello che stava affrontando, come al solito non aveva pensato alle conseguenze, voleva stare con lui finché poteva, finché la situazione l’avrebbe permesso, quasi integrando il carpe diem che era alla base dell’etica di Louis. Harry, in futuro, forse, avrebbe pensato a tutto ciò che sarebbe derivato da quella sera. Stranamente, quel sorriso incosciente rassicurò Louis, si fidò del ragazzino. Il più piccolo ancora aveva il sorriso che gli illuminava gli occhi. I due erano estremamente vicini, e solo in quel momento Louis fu abbastanza lucido da lasciar cadere sul pavimento la camicia che pochi minuti prima fasciava il corpo asciutto di Harry.
Il ragazzino per un momento sperò di avere più alcol nel sangue; non era un uomo vissuto, non beveva certo per dimenticare, beveva per non sentire niente, e ricordava tutto, ma in maniera incerta, non sapeva cosa fosse successo prima e cosa dopo. Era buio, ed era ancora confuso. Ricordava il suono dei respiri soffocati di Louis, risate soppresse, le labbra incollate le une alle altre, i gemiti irregolari, frasi lasciate a metà, bloccate forse dal troppo piacere, forse dal troppo dolore. Il dolore, la grande paura di Harry. Niente lo spaventava di più che il dolore fisico, non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva quando sarebbe passato; il dolore è sempre stato una delle cose più infami al mondo, ti fa prendere decisioni tramite un giudizio falsato, decisioni dettate dalla paura, il dolore è segno di debolezza, solitudine, malinconia. Tendenzialmente l'essere umano non è portato a recare dolore a chi ama, a meno che questo non porti piacere, le persone uccidevano per piacere, si amavano per piacere, litigavano per piacere, nonostante sapessero che tutto ciò avrebbe portato dolore. Eppure ci sono momenti in cui devi fare delle scelte, sai che certe cose non durano per sempre, sai che oltre che portare dolore fisico portano dolore morale, ma le fai lo stesso, perchè quei minuti di felicità sono incedibili, senza prezzo, non possono essere rimpiazzati da nulla, non li faresti fuggire per niente al mondo. Aveva imparato a fottersene del dolore, lo accettò come parte integrante di sé, imparò a conviverci, e la stessa cosa accadde quella notte, le conseguenze tra i due sarebbero state solo dolorose, nient'altro, ma quel dolore portava piacere ad entrambi, e scelsero di sopportarlo, insieme.
L'odore nella stanza cambiò, l'umore cambiò, era tutto diverso. C'era tensione, paura, era una situazione inusuale, diversa da tutte le altre volte. Era una malattia, erano nel pieno di una malattia, irrimediabile, era iniziata, e non potevano guarirne.
Forse quella sarebbe stata l’ultima notte, forse ce ne sarebbero state altre mille, non potevano saperlo, eppure quella notte c'era stata, era esistita, erano stati loro a crearla, e inevitabilmente non avrebbero potuto più distruggerla; poteva restare un segreto, poteva essere raccontata al mondo, non importava più, ormai era successo, niente l’avrebbe cambiato.
 
Louis fu svegliato dalle mani di Harry tra i suoi i suoi capelli, “mi piacciono così, dovresti portarli sempre di questa lunghezza.” Disse, il tono ancora assonnato, il freddo invernale gli risvegliò un brivido lungo la spina dorsale.
“Uhm..” gli occhi chiusi, strofinò il viso contro il collo di Harry. “Li lascerò così.”
L’aria natalizia aveva infestato la casa, e senza premurarsi di bussare, Niall aprì la porta della camera di Louis, “oh, interrompo qualcosa?” li guardò facendosi scivolare addosso lo sguardo da terzo incomodo, “vi rubo solo un minuto, come ben sapete durante le vacanze di Natale non potrò essere presente, ma non voglio che questa casa venga soffocata dal gusto kitsch che vi contraddistingue. Dunque, la vera domanda è: palline di natale blu e argentate, o palline di natale rosse e dorate?” Un sorriso degno della migliore pubblicità nacque sulle sue labbra mentre faceva penzolare sulla punta delle dita quattro palline natalizie, una per ogni colore.
“I miei gusti non sono eccentrici!” protestò Harry.
“Vai a letto con Louis, i tuoi gusti sono eccentrici.” Sentenziò Niall.
“Niall!” Louis non poté fare a meno di controbattere, “sta zitto!” gli lanciò un cuscino che lo colpì in pieno petto, “sei sicuro che Andy ti voglia da lei per tutte le vacanze di Natale?”
“Certo, mi ama, non vede l’ora di vedermi!”
“Quella ragazza deve essere una santa.” Si intromise Harry, stuzzicando Niall.
“Ha. Ha. Ha. Divertente. Pensate di volermi dire di che colore volete queste palline di Natale o no?”
“Blu e argento, ovviamente.” Dissero all’unisono, si guardarono per poi scoppiare a ridere.
“Perfetto, vada per il rosso e dorato, è stato un piacere avere la vostra opinione.” Il tono gonfio di sarcasmo, prima che potessero replicare tornò a decorare la casa come se fosse il salone della Casa Bianca.
“Quel ragazzo prende il Natale troppo sul serio.” Disse Louis non troppo sorpreso.
“È letteralmente un leprecauno, e mancano quindici giorni al Natale, cosa ti aspettavi?” Rise.
“Mi aspettavo che – ” il ronzio causato della vibrazione del cellulare di Harry lo interruppe. Nessuno dei due sembrò troppo felice di vedere il nome Liam lampeggiare sullo schermo.









[angolo dello squilibrio mentale,
ladies questo capitolo mi ha stressata come che, ero davvero in difficoltà, ero partita con tutte altre idee ma alla fine ne è uscito questo. Il capitolo è leggermene più corto degli altri, ma sinceramente non vedevo l'ora di finirlo. Tra l'altro mi rendo conto di averlo finito in un bel modo di merda hahaha 
tra i miei credi religiosi troviamo il louis tops quindi da questo capitolo in poi sappiate che il destino di harry è segnato. (oops!) - no no no no qualcuno impedisca alla mia mente di pensare Hi, okay troppo tardi, addio. 
Grazie sempre a chi ha letto a che leggerà a chi ha recensito e a chi recensirà. Vi amo tantissimo okay. 
Vi lascio il mio  twitter e il mio tumblr in caso decidiate di volermi rivolgere la parola ^-^]

love,
chris -





 

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Capitolo 5
*** you can run away with me anytime you want. ***


you can run away with me anytime you want.


Non si aspettava di trascorrere la vigilia di Natale in compagnia di se stesso, niente nel suo sguardo, nei suoi modi di fare, gli aveva dato adito di prevedere quel momento, nessun segnale, movimento o parola gli fecero credere che si sarebbe ritrovato da solo. Il ragazzino sa mentire, si ripeteva, ed era vero, il ragazzino l’aveva fregato, si era preso la parte migliore di Louis e l’aveva portata via, l’aveva fatta sua, lasciando al più grande nulla se non la sua mancanza. Tutto quello che gli rimaneva era quello che non aveva. Non era mai stato in grado in cucinare, sebbene fosse autosufficiente da sempre, non aveva mai capito i meccanismi della cucina, quindi si ritrovò in una casa troppo grande, troppo allegra, troppo vuota, senza che ci fosse nessuno a preparare qualcosa, non sentiva odori provenire dalla cucina, nessun rumore di stoviglie che urtano tra loro, niente che lo illudesse di non essere solo. Ancora sul divano, e troppo svogliato, stanco, svuotato, per trascinarsi fino alla sua camera, si tirò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, se avesse creduto in Dio avrebbe pregato, ma preferì affidarsi a ciò che sapeva reale. Ricordava le sue mani poggiate sul bancone di legno del Jack, le dita che tamburellavano con un ritmo regolare, monotono, schematico, lo stesso sorriso ubriaco della sera in cui si conobbero; le stesse mani, fredde, congelate, le ricordava sulla sua schiena, sulla sua nuca, le ricordava ovunque, gli tornò in mente quell’odore giovane e ingenuo che aveva, le frasi stupide, quelle lasciate a metà, ricordava anche le frasi non dette, ed era quasi sicuro di ricordare anche i suoi silenzi, perché era lì che aveva trovato le migliori risposte.
“Probabilmente i Beatles sono la mia band preferita.” Gli disse una sera, erano in macchina, e Louis rise sonoramente, “che hai da ridere?” insistette il più piccolo.
“Scommetto che la tua canzone preferita è Hey Jude.” Il tono divertito si ruppe a causa di un’altra risata. Gli occhi, prima fissi sulla strada, si fermarono sull’espressione concentrata di Harry, la carnagione pallida, invernale, le mani arrossate dal freddo, dopo averci pensato su, canticchiò: “Na, na, na, Hey Jude..”
“Sei la persona più banale al mondo.” Represse la smorfia che nacque sulle sue labbra.
“Fammi sentire, uomo dell’originalità, tu cosa ascolteresti?” Un’aria di sfida e un sorriso divertito si contrapponevano.
Frenò di colpo, il cuore di Harry saltò un battito, “sei impazzito o cosa?!” la bocca semiaperta e gli occhi sgranati.
Era notte fonda, Louis lasciò la macchina avanti la vetrina del negozio di vinili in cui Niall lavorava, “Scendi, ti faccio vedere.”
“Ma.. è chiuso.. saranno le tre del mattino..”
“Scendi.” Ripeté, facendo dondolare un leggero mazzo di chiavi avanti i suoi occhi.
“È legale quello che stiamo facendo?” chiese leggermente impaurito.
“Sono quasi dieci mesi che vengo qui, mai nessuno se ne è accorto.” Disse, impegnato a maneggiare la serratura nonostante il buio. Riuscì ad aprire la porta del negozio, ed entrambi furono investiti da un odore di chiuso, di carta, umido, “51779, disattiva l’allarme.” Louis indicò con il mento il quadro, ripetendogli il codice una seconda volta.
La mano ancora gli tremava quando il suo indice sfiorò il nove, si girò verso il più grande e con il respiro che ancora gli mancava, sussurrò: “okay, fatto. Ho ufficialmente infranto la legge.”
“Vieni qui!” aveva una vecchia cassetta tra le mani, “questa è la parte più bella di questo buco di negozio.” Gli indicò una parete con una dozzina di mensole, su ognuna di queste c’erano file e file di cassette, “sono tutte cassette miste, create da chiunque, le persone venivano qui e le vendevano; ognuna di queste cassette ha una storia, sono regali, furti, pensieri, c’è gente lì fuori che le ha ascoltate fino ad addormentarsi, c’è chi si è innamorato e chi ha pianto, su queste mensole ci sono centinaia di vite, colonne sonore, è assurdo.” Era perso, negli ultimi mesi le aveva ascoltate quasi tutte, adorava quella sensazione dinamica di perenne scoperta, non sapere quale sarebbe stata la canzone successiva, di che genere, chi l’avesse scritta, chi prima di lui l’avesse ascoltata. “Abbassati, ti faccio sentire la mia preferita.”
Harry inarcò le sopracciglia, non spiegandosi quale potesse essere l’utilità.
Il più grande inspirò, esasperando il suo essere imbarazzato, “non ci arrivo, è troppo in alto, devi prendermi sulle spalle.” Il suo sguardo non ammetteva repliche; Harry, consapevole della sua presenza notevolmente più imponente e significativa, gli sorrise scoprendo i denti e si abbassò. Aveva le mani sulle sue caviglie, cercando di dargli equilibrio, “Trovata o credi di restare lì su tutta la notte?”
Il sarcasmo gli costò un calcio sulla gabbia toracica, “C-cazzo, Lou!” gli mancò il fiato.
Ancora sulle sue spalle lo colpì un’altra volta, Harry tolse la presa dalle sue caviglie, sbilanciandolo all’indietro; per non cadere, Louis, tenne una mano agganciata alla mensola e l’altra radicata tra i capelli di Harry, “sei cretino?” La risata del più piccolo invase la stanza semibuia.
“Trovata, puoi farmi scendere.” Il tono ancora controvoglia divertito, Harry si abbassò e finalmente gli lasciò toccare terra. “Vieni, ti faccio sentire qualcosa di non banale quanto i Beatles.”
“Tu sei sicuro di essere inglese?”
“Zitto e ascolta.”
Le prime note di Hallelujah riempirono le loro orecchie, Harry si aspettava la voce sensibile, melodica di Jeff Buckley, non poi così originale, e invece fu colpito dal tono sicuro e allo stesso tempo dinamico di Leonard Cohen, a volte dimenticava che quella di Buckley fosse una cover, quella canzone aveva una propria personalità, una propria essenza, in grado di mostrare lati diversi di sé ogni volta che veniva ascoltata. Si voltò a guardare Louis, genuinamente sorpreso dalla scelta della canzone; intanto, un sorriso compiaciuto si era dipinto sul volto del più grande.
Tra la prima e la seconda traccia il silenzio era colmo del ronzio provocato dalle casse del vecchio registratore, le prime note colpirono immediatamente l’attenzione di Harry, le avrebbe riconosciute tra mille, nonostante il nastro fosse stato registrato dal vivo, quindi sporcato da grida e rumori, ancora una volta venne sorpreso, si aspettava una qualsiasi esibizione dal vivo di Imagine, un John Lennon empatico e rilassato, sincero, ma dovette ricredersi ancora, un’altra cover inondò le sue orecchie, i Queen la suonarono come tributo l’8 dicembre del 1980, conosceva bene quell’esibizione, ma sentirla su cassetta lo riportò indietro, in un’epoca che neanche aveva vissuto, eppure si sentiva lì. Passarono quasi un’ora ad ascoltare musica al buio, guardandosi senza parlare, Louis osservava l’espressione di Harry cambiare per ogni canzone, gli piaceva, gli piaceva vederlo cambiare sotto i suoi occhi, l’ingenuità con cui si lasciava sorprendere, la sincerità che si era illuso di vedere nei suoi occhi.
“Sono tutte cover, e tutte piuttosto rare.” Disse una volta finito il nastro.
“Sono.. sono.. nuove.”
“Originali.” Un occhiolino e un mezzo sorriso non tardarono ad arrivare sul volto di Louis, non aveva mai abbandonato quell’aria da te l’avevo detto. “I Beatles sono solo la faccia più ovvia della musica, il canonico, esatto, preciso, ma la musica è ricerca.” Il suo tono risultò più saccente di quanto volesse.
“Piacevano a mio padre, li adorava, e tutte le domeniche, durante l’estate, mangiavamo nel giardino sul retro, e ce li faceva ascoltare finché io e mio fratello non imparammo a memoria tutte le canzoni, quei vinili li aveva quasi consumati, assorbiti, e ogni volta che partiva io li ascoltavo, ogni volta che non era domenica io li ascoltavo, e facevo finta che fossimo ancora tutti insieme, di domenica. E mi calmavo, Liam mi calmava, Liam calmava sia me che mia madre, in realtà.” Era stanco, parlava per inerzia, senza pensare né filtrare i prodotti della sua mente. Louis indugiò prima di fare delle domande, ma alla fine si limitò a fargli da eco.
“Facevi finta?”
“Partiva spesso, il lavoro per l’ambasciata inglese gli ha sempre rubato il nostro tempo, il mio tempo.” Ripensava alla differenza tra se stesso e Liam, il maggiore era cresciuto nell’unità, nelle attenzioni e nel buon senso, ascoltato e autonomo, con grandi progetti per il solo cognome che portava, era l’orgoglio e la fierezza della famiglia, “Liam una volta mi regalò dei vinili, sapendo che li avrei ascoltati di nascosto, quando a casa non c’era nessuno, è sempre stato in grado di vedere oltre, di spiegare lati di me stesso che nemmeno io avevo mai capito.” Sbuffò stropicciandosi l’occhio, Louis volle credere che fosse semplicemente stanco, che gli occhi lucidi fossero dovuti al sonno, solo per un momento si accigliò, indeciso su come comportarsi avanti alla debolezza del più piccolo, che mai gli era sembrato così indifeso, e mai si era sentito così impotente nei suoi confronti; i due erano seduti per terra, con le gambe incrociate, Louis si alzò facendo pressione sulle proprie ginocchia, una volta in piedi tese una mano ad Harry, “vieni, andiamo.” Lo sguardo del più piccolo era incorniciato dalle ciglia incurvate, ancora irrequieto, accettò la sua offerta e prese la sua mano, scrutò il più grande, i colori caldi del suo viso, i capelli spettinati, l’aria assonnata ma con un sorriso contagioso, il più piccolo si rifugiò tra le sue braccia e gli rimase stretto per dei minuti che sembrarono anni, solo quando riuscirono a separarsi Harry notò l’immensa fatica che Louis aveva fatto nello stare sulle punte per tutto quel tempo, si guardarono negli occhi e risero. “51779, riattiva l’allarme.”
I due si allontanarono, chiudendosi alle spalle una porta che li collegava al passato, ai loro segreti, a quello che condividevano senza neanche parlarsi.
Nonostante la stanchezza che gli chiudeva gli occhi, mise in moto la macchina e si diressero a casa. La radio non era accesa, ma Louis continuava a tamburellare le dita sul volante, seguendo un ritmo nascosto nella sua mente.
“Perché non compri quella cassetta?” la curiosità del più piccolo si fece strada tra il silenzio che li divideva.
“Quella con le cover? È inutile comprarla, tornerei sempre lì ad ascoltarla.” Perché quell’odore vissuto, le storie degli sconosciuti, le vite degli altri, lo distraevano dai propri problemi, e lo avrebbero sempre riportato in quel negozio.
“Perché?”
Decise di mentire, di lasciar vincere il suo sarcasmo, “dubito che l’impianto Hi-Fi in salone possa leggere una cassetta mista creata probabilmente 20 anni fa.”
Harry sorrise e scosse la testa, incredulo, incapace di capire come quel ragazzo facesse a vedere sempre le cose dal lato più insolito.
 
Erano ventiquattro ore che ripensava al pacchetto incartato che aveva intravisto sul tavolo della cucina, ma non aveva il coraggio di aprirlo, non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo, né quantomeno toccarlo, sapeva solo che sulla superficie, con un pennarello nero e in una grafia che aveva imparato a conoscere bene, c’era scritto: zitto e ascolta, buon compleanno, H.
Ventun’anni passati a ricostruire se stesso, a rimettere insieme i pezzi, e si ritrovava distrutto da un ragazzino troppo allegro, di quelli che sorridono quando piangono, che fino all’ultimo negano di essere distrutti dentro, era un disastro e aveva accettato le sue condizioni, si guardava allo specchio e alzava le spalle, tanto peggio di ieri non potrà essere, se lo ripeteva ogni giorno.
Svogliato, intorpidito, Louis, si strinse nella camicia in plaid, deciso ad affrontare qualunque cosa fosse nascosta da quella carta rossa, indeciso sul significato della frase zitto e ascolta, lasciò il divano per dirigersi verso la cucina, quasi spaventato, restio, incerto. Fece attenzione a non strappare la carta, aveva sufficientemente distrutto se stesso nelle ultime due settimane, non gli restavano che le piccole cose, e non avrebbe distrutto anche quelle.
Si trovò tra le mani un cd, chiaramente misto, sulla superficie c’erano poche parole scritte con la stessa grafia incerta e familiare ai suoi occhi: per ogni volta in cui vorrai fuggire e non potrai.
Tornò sul divano, vuoto, esausto, chiuse gli occhi mentre le prime note di Hallelujah, insolitamente cantata da Leonard Cohen, riempivano la stanza.
 
Harry guardò il suo riflesso nello specchio, stanco, non motivato, si vedeva sempre più grande e si sentiva sempre più piccolo, vedeva un ragazzino tutt’altro che disincantato, era angosciato, alienato, aveva ottenuto una sola certezza nell’ultimo periodo: se gli venissero poste due scelte giuste, sarebbe ancora in grado di fare la scelta sbagliata, l’avrebbe creata lui stesso la scelta sbagliata, sarebbe stato lui stesso la scelta sbagliata.
Si sentiva stretto nel completo che portava, il colletto della camicia gli dava la sensazione di non avere abbastanza aria, quelli non erano i suoi soliti capelli, le vene sulle mani erano più marcate, gli occhi stanchi, e poteva giurare di aver dimenticato di avere delle fossette. Erano passati più di quindici minuti e ancora non era riuscito ad annodare la cravatta, gli sudavano le mani, sbuffava, era irrequieto; tirò un respiro profondo solo quando sentì la mano di Liam sulla sua spalla, affondò il viso tra le mani e si lasciò andare. Suo fratello era abituato a scene come quella, fin troppe volte gli aveva asciugato le lacrime, e lo lasciò fare, non parlò, poggiò il mento sulla sua testa e un braccio attorno le sue spalle, “non bagnarmi la giacca..” sussurrò Liam.
Harry si passò il dorso della mano sulla guancia e rise, “non potrei mai.” Guardò suo fratello così come aveva fatto altre centinaia di volte, con gli occhi arrossati e il respiro che tremava.
“Faccio io.” Liam sistemò la cravatta nera sotto il colletto della camicia bianca del più piccolo. “Perfetto, sorridi.” Gli passò un fazzoletto e sistemò la giacca affinché cadesse bene sulle spalle. “Abbiamo superato cose peggiori che una delle solite cene con i colleghi di papà.” Liam gli fece un occhiolino, “armati del miglior sorriso, fingi per qualche ora e fregali tutti.” Lo guardò aspettando una risposta, “..e sii educato.”
Harry rise ancora, “io sono sempre educato!”
“E non bere.”
“Va’ via, nessuno vuole i tuoi consigli, grazie mille per il tuo utile contributo!” tentò di cacciarlo dalla stanza, ma le risate gli fecero perdere forza nelle braccia e finì ad essere trascinato al piano inferiore da Liam; i due ancora ridevano quando una platea di circa quindici uomini d’affari, con un’età media di settant’anni, li fissava con aria perplessa. Entrambi i fratelli potevano leggere nei loro occhi il tipico giudizio: gli Styles si fanno sempre riconoscere. Ogni vigilia di Natale erano costretti a condividerla con la gioventù appartenente al lavoro del padre, nel corso degli anni avevano inventato un gran numero di soprannomi per quel plebiscito di assidui lavoratori: il circolo dei bigotti, la lega della gioventù, settant’anni e non sentirli. Ogni anno tornavano tredicenni, giocavano con il cibo, correvano per i corridoi, poco importava che indossassero completi costosi o che inciampassero per le scale, dimenticavano sempre tutto il resto e tornavano indietro di qualche anno.
Ci pensava ogni tanto, alla mattina in cui era andato via, a quando gli aveva baciato la guancia mentre ancora dormiva e non l’avrebbe visto svegliarsi, ai capelli castani che gli accarezzavano la nuca, alle sue mani e al modo in cui rideva, ci pensava spesso, e se lo teneva dentro, si teneva per sé tutti i momenti che amava tenere segreti, tutte le volte in cui gli aveva tenuto la mano o gli aveva sfiorato un braccio, l’odore del suo shampoo e il suo profumo, si teneva tutto dentro perché era lì che voleva che restasse, in un posto sicuro, ovattato, costruito da loro.
Si voltò a guardare Liam, impegnato in una discussione di economia domestica con uno della lega della gioventù, gli sorrise, incapace di respingerlo.









*angolo dello squilibrio mentale,
la regina dell'angst che è in me si è fatta sentire, HELLOOOO, dopo l'esibizione di little things al 1DDay volevo pugnalarmi e ho deciso di sfogare con questo simpaticissimo capitolo.

Lasciatemi dire un po' di cose, allora ogni giorno della mia vita rimpiango di aver iniziato questa maledetta long in terza persona, davvero, mi viene da prendermi a testate nel muro.

Fact: il titolo del capitolo you can run away with me anytime you want viene dalla canzone dei my chemical romance summertime [che se non avete mai ascoltato, dovete ascoltare immediatamente.] e fa riferimento alla frase che Harry scrive sul cd "per ogni volta in cui vorrai fuggire e non potrai
Fact: 51779 è il T9 per larry, lo so, sono penosa, ma che ci vogliamo fare.

Lo so che questo capitolo non va a parare da nessuna parte, anche io mi sto chiedendo PERCHE' HARRY E' TORNATO A CASA? 
beh, appena ho un'ora di filosofia in cui posso cazzeggiare sappiate che plotterò la risposta.

Lo stesso discorso vale per "che minchia di fine ha fatto la crackship gemma/liam?" 

la verità è che nella mia mente è tutto molto confuso, e necessito di tempo per mettere in ordine le idee, detto ciò, come al solito vi ho fatto uno sproloquio immenso.

E infine, dedico questo capitolo a Irene <3

Vi lascio i miei soliti twitter e tumblr

much love,
chris-
 

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Capitolo 6
*** look at the stars, look how they shine for you. ***


 
 
look at the stars, look how they shine for you.
 


Ancora euforico, Niall schiacciò il proprio viso contro il vetro ovale dell’aereo, gli girava la testa e il cuore batteva ad un ritmo fin troppo accelerato, un sorriso stupido e perso continuava a comparire e scomparire dalle sue labbra, irrequieto, catturò l’attenzione dell’hostess: “posso aiutarla, signore? Gradisce qualcosa da bere?”
La trovò parecchio affascinante, in divisa, impeccabile, di classe, un ottimo accento inglese, gli occhi ed i capelli castani, carina – pensò – molto carina; la fede sulla sua mano destra suggeriva che per quanto avesse sfoggiato tutte le sue doti di corteggiatore, non avrebbe potuto nulla contro un marito amorevole, che sicuramente attendeva quell’adorabile donna a casa.
“Grazie mille, – inclinò la testa per leggere il nome sulla targhetta che portava sul petto – uhm.. Katherine, giusto? Sto benissimo, volevo dirle che ho un lavoro, potremmo andare a vivere insieme e potrei mantenerla in una bellissima casa, potremmo avere tanti bellissimi e piccolissimi figli da accudire e amare insieme, che pensa? Vuole sposarmi?” Sorrise e gesticolando e la osservava ancora confuso, incapace di fermare la parole che fuggivano dalla sua bocca.
Istintivamente la donna si toccò la mano destra, “Sono vedova.” Lo sguardo si ghiacciò, “da poco.” Non aggiunse più nulla e andò via.
“Cazzo, cazzo, cazzo.” Sussurrò Niall a se stesso, una risatina isterica sfuggì dalle sue labbra, le mani gli sudavano, e decise che non avrebbe più fumato prima di un volo. Il segnale di allacciamento delle cinture si illuminò, sorrise ancora, a breve sarebbe tornato a casa; gli era mancata Londra, le persone impegnate e frenetiche, la routine al negozio, i soliti clienti, la città, tutta quella vita che lasciava fuori la porta ogni volta che andava in Irlanda a trovare la propria famiglia; aveva passato un bel Natale, sua madre aveva cucinato per almeno trenta persone, e Niall, per trenta volte, gradì la cena; raccontò al padre del suo lavoro, di quanto avesse imparato nell’ultimo periodo, gli disse di aver conosciuto un ragazzino che non credeva ai suoi occhi quando osservò quella polaroid condivisa con Paul McCartney, “quando ero giovane mi fingevo inglese per conquistare quelle poche ragazze che amavano il rock!” raccontò, e ancora una volta finirono sul divano, impegnati a ricordare epoche che Niall non aveva vissuto se non tramite i racconti del suo vecchio, con odori sempre nuovi provenienti dalla cucina ed Andy che giocava con la manica della sua maglietta. Andy era sempre la stessa, lo guardava ancora con un’aria apprensiva e amorevole, stava con lui da quando erano alle elementari, la madre di Niall le voleva bene come se fosse una seconda figlia, ed era certamente una persona che portava serenità in casa, fu felice di rivederla, sapeva che lei non meritava un disagiato come lui, ma si riteneva fortunato, e finché poteva l’avrebbe tenuta con sé. Andare via non fu facile, si faceva cullare dai vizi materni, dai racconti paterni e dalla delicatezza di una ragazza che lo amava incondizionatamente, ma l’autonomia che aveva guadagnato in città era fondamentale, e non ci avrebbe rinunciato facilmente.
Una volta atterrato ad Heathrow fu felice di ritrovarsi in quel labirinto londinese, quella sensazione di smarrimento lo faceva sentire vivo, alla perenne ricerca di qualcosa, e quel qualcosa sembrò averla appena trovata: Louis. Era nell’area degli arrivi, le mani in tasca, l’aria stanca, ma un sorriso di gratitudine sulle labbra, gli era genuinamente mancato. Non appena lo vide gli gettò le braccia al collo, impaziente di raccontargli per l’ennesima volta dell’Irlanda e di quanto la sua terra fosse diversa da quella in cui attualmente viveva. I due si diressero verso la macchina, le ruote del trolley di Niall facevano da brusio di sottofondo alla loro conversazione; “Lou, la vedi quella lì? – indicò l’hostess di volo al quale si era proposto – circa mezz’ora fa le ho chiesto di sposarmi.” Annuì.
Louis scoppiò in una risata, “quanto hai fumato prima di partire?”
“Troppo, decisamente troppo.”
“E lei? Lei cosa ti ha detto?” Aggiunse, ormai vittima della curiosità.
“È vedova da poco, mi ha tolto dieci anni di vita con un solo sguardo.” La frase gli uscì soffocata dalle risate, rievocando il momento si sentì ancora più stupido di prima.
Sistemarono le valigie in macchina e Louis si fece persuadere dall’amico, lasciando che fosse il più piccolo a guidare fino a casa, impaurito, terrorizzato, aveva gli occhi fissi sul volante, pronto a salvarsi la vita. “Niall! Non voglio morire oggi!” Gridò, “Guarda avanti!”
I due trascorsero l’intero viaggio verso casa ridendo, ma Niall, nonostante fosse ancora confuso dal viaggio, distingueva una leggera forzatura nella risata dell’amico, era fin troppo felice.
“Beh, come te la sei passata da solo per tre settimane?” Si voltò a guardarlo.
“Sono stat– La strada, Niall, la strada!” Soffocò una risata terrorizzata. “Bene! Sono stato bene prima che tu tentassi di ucciderci entrambi!” Si passò una mano tra i capelli, esasperando il proprio stress. “Non vedo l’ora di arrivare a casa.” Sussurrò per tranquillizzarsi.
“Non credevo riuscissi a sopravvivere senza di me.”
“È stato solo il cane ad aver sentito la tua mancanza.” Fece schioccare la lingua.
“Se non ci fosse stato il ragazzino a distrarti, anche tu avresti sentito la mia mancanza.” Rise sonoramente, ma capì di aver toccato un tasto dolente solo quando sentì che la risata di Louis non si aggiunse alla sua. “Uh.. niente più ragazzino?”
Il più grande alzò le spalle senza aggiungere nulla. Il desiderio di tornare a casa cresceva.
“Sul sedile di dietro c’è una sciarpa, ho pensato fosse ancora in giro.” Ancora una volta tolse lo sguardo dalla strada per osservare Louis.
“Beh no, non è più in giro da un po’. Non avevo nemmeno fatto caso a quella sciarpa.” Mentì, era in macchina da tre settimane, da quanto Harry l’aveva dimenticata lì; ricordava ogni dettaglio di quella sera, ma non l’avrebbe ammesso né a se stesso né a Niall.
“Pensavo fosse tua ma –”
“Lo sai che odio le sciarpe.”
Perché sono troppo da gay.” Gli fece il verso, e quando lo sentì ridere si ritrovò un briciolo di serenità.
Non appena Louis aprì la porta, Niall fu investito dall’odore della propria casa, si sentì finalmente un’altra volta nella sua vita, era improvvisamente scivolato nella realtà, ed ebbe un senso di sicurezza, fiducia; sistemò le valigie accanto alla porta e lasciò che il cane gli leccasse la faccia, scodinzolando, “Jay! Ti sono mancato? È vero che ti sono mancato?” Accarezzava il pelo morbido del pastore tedesco che da qualche anno gli faceva da amico fedele; si stese sul divano, espirando, godendosi un meritato ritorno alle origini.
“Hai dormito sul divano?” Lo sguardo confuso di Niall incontrò quello seccato del più grande.
“Uhm, si.” Non aggiunse altro, non dormiva nel proprio letto da quando Harry era andato via.
“Hai una sigaretta?” Chiese il più piccolo.
Cercò di non incrociare il suo sguardo quando gli passò il mezzo pacchetto di Marlboro. Niall non tardò ad aprirla e cacciò dal taschino della camicia a un filtro e una cartina.
“Quindi.. ne hai fatto fuggire un altro..” Il tono più che interrogativo risultò sarcastico.
“Non ho fatto fuggire nessuno!” protestò. “Per tutte le ragazze che ho visto fuggire dalla tua camera da letto non credo che tu possa parlare.” Un sorrisino spavaldo comparì sul suo volto. “E come fai a viaggiare con dell’erba addosso senza essere sbranato a sangue freddo dai cani della sicurezza?” Sorrise, pregando di riuscire a cambiare discorso.
Tutte le ragazze; non so di cosa parli.” Disse, la lingua ancora sfiorava il lato della cartina.
“Andy ancora ti crede il bambino con cui giocava nove anni fa.. quella ragazza è così ingenua.”
“Non sono stato con molte ragazze, non fare il solito drammatico.” Piagnucolò.
Louis era sicuro di averne viste almeno una ventina nell’ultimo anno, ma lasciò perdere, nello stato in cui si ritirava a casa era piuttosto normale che non ricordasse quello che faceva.
“Non sono drammatico, sono realista!”
“Sei drammatico.”
“Basta, vado a dormire, ne ho abbastanza delle tue cazzate.” Rise, allontanandosi e lasciandosi alle spalle l’odore acre che viaggiava con Niall.
“Lou, non siamo riusciti a crescere nostro figlio, siamo davvero dei pessimi genitori.” Il tono languido, “mi mancherà il ragazzino riccio che odora di anice.”
Salendo le scale, Louis scosse la testa, “Va’ a dormire!”
 
Aprì la porta della sua camera e la vide vuota, la sentì vuota, spenta, senza nessuna risata roca che riempisse l’aria, tutto quello che gli risultava familiare era la bottiglia mezza vuota di sambuca che era accanto al suo letto, quella che beveva ogni volta per rievocare il sapore di Harry sulle sue labbra, chiudeva gli occhi, inspirava, si ubriacava di false speranze, e gli piaceva quell’illusione, ormai ci viveva di illusioni; le spalle ancora incollate alla porta, incapace di avvicinarsi al letto, apriva gli occhi e rivedeva Harry dormire con un braccio attorno alla sua vita, sentiva l’odore di shampoo e anice, il mento appoggiato sulla sua spalla, la punta delle dita sulla sua schiena; fu scosso da un brivido appena il pensiero attraversò la sua mente, si avvicinò lentamente, intimorito dal peso di quei ricordi che gli confondevano la mente, e si consentì di viverli un’altra volta.
 
“Ho freddo!” Piagnucolava Harry, assonnato e ancora confuso dalle diverse ore di viaggio, detestava i posti chiusi. “Dove siamo?” sbuffò.
“Non te lo posso dire.” Rispose per la terza volta a quella domanda, il tono di Louis voleva essere calmo, l’intento fallì.
“Tra quanto arriviamo?”
“Harry!” Tolse una mano dal volante e catturò le sue guance tra il pollice e l’indice, “dormi! Per l’amor di Dio, dormi!” la voce rotta da una risata.
Non ebbe la possibilità di terminare la frase che le dita del più piccolo cominciarono a giocherellare con i comandi della radio.
“È necessario cambiare stazione ogni venti secondi?” La nota di acidità fece rinascere le fossette tra le guance di Harry, che incurante delle lamentele del più grande, continuava ad ascoltare solo pochi secondi di ogni canzone.
“Questa mi piace, non camb– ” lo colpì sulla spalla, “rimetti quella di prima! Cosa c’è che non va con i Green Day?” si lamentò Louis.
“Sono loro che non vanno.” Sussurrò, e soffocò una risatina, portandosi le ginocchia al petto e le mani sulla testa. “Scusa! Scusa! Scusa!”
“Scendi immediatamente dalla mia macchina.”
“Rimetto i Green Day! Senti, senti che bravi! Don’t wanna be an American idiot!” Canticchiò per convincerlo, “sono bravissimi, li adoro, sempre amato i Green Day.”
Il più grande lo guardò furtivamente, indeciso se ridere o avvilirsi a causa della sua scarsa cultura musicale.
Abbassò le spalle in segno di resa ed espirò, “io perché perdo il mio tempo con te? A te piacciono i Beatles, è inutile provare a discutere con uno come te.” Farfugliò più a se stesso che ad Harry. A volte realizzava quanto fossero incompatibili, quanto fossero evidentemente sbagliati l’uno per l’altro, non erano né uguali né complementari, erano semplicemente diversi, non erano l’estate e l’inverno, ma l’inverno e la primavera, non erano fatti per unirsi o per separarsi, ma per andare insieme verso la stessa direzione, erano paralleli, uno accanto all’altro ma mai l’uno con l’altro.
Si ritrovarono in piena notte, investiti dall’aria salata, litigando con il tempo che li gelava dall’esterno, il vento freddo e l’aria scura, a stento riuscivano a vedersi.
“Beh, hai guidato tutta la notte per portarmi a Brighton?” Le mani in tasca e il collo che affondava nelle spalle, saltellava per riscaldarsi.
Louis aprì la portiera della macchina, utilizzando la seduta del guidatore per arrampicarsi, era seduto sul tettuccio della macchina, con le gambe incrociate e un ghigno furbo, “muoviti, sali.” Gli tese una mano, disposto ad aiutarlo.
“Ho freddo!”
“Muoviti!” Agitò la mano sotto i suoi occhi.
Riluttante, Harry tirò la mano fuori dalla tasca e afferrò quella Louis. Uno accanto all’altro si stesero, circondati dalle stesse stelle che Londra, a Dicembre, non aveva mai conosciuto.
“Perché siamo qui?”
“Appena ho preso la patente ho cominciato a venire qui almeno una volta alla settimana, quando ero piccolo la mia famiglia passava qui le vacanze estive e quelle di Natale, la notte ero sempre sulla spiaggia, a volte leggevo, a volte canticchiavo da solo, altre rimanevo ad osservare il cielo per ore. Quando sono andato via di casa ho smesso di venire qui, e sono potuto ritornare solo due anni dopo. Poi tu hai iniziato a girarmi intorno e non ho più avuto la possibilità di venire qui.” Rise e si voltò a guardarlo nella penombra, aveva il cappuccio della felpa in testa, batteva i denti, le guance rosse e gli occhi più chiari del solito.
“Oh, grazie.” Il suo gomito colpì il fianco di Louis, “sul serio venivi qui in piena notte a guardare le stelle?”
“Già..”
“E tua madre davvero credeva che potessero piacerti le ragazze?” Ci provò, provò in tutti i modi a reprimere la risata che gli scalava la gola, ma non ci riuscì.
Alzò gli occhi al cielo, “non ti racconterò mai più nulla.”
“Dai!” Il petto di Harry era ancora scosso dalle risate, si allungò a baciargli la guancia, e il più grande lo lasciò fare, con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
 
Ritornare alla realtà fu una doccia fredda, si toccò il viso, sentendo ancora le sue labbra sulla guancia. Si chiedeva quale fosse il momento in cui avesse iniziato a pensare ad Harry in quel modo, come qualcuno da avere, non da volere; si chiedeva quando quel ragazzino fosse diventato la realtà e non un gioco. E per quanto non l’avrebbe mai ammesso, sapeva che nulla di tutto ciò aveva a che fare con un inizio; la realtà era che non aveva mai smesso di pensare ad Harry in quel modo.
 
“Smetterai di pensarci..” lo rassicurò Liam, gli occhi sereni, svuotati di quella preoccupazione che li attanagliava da mesi, “è stata solo una parentesi, stasera andiamo a bere in un bel posto, e si ricomincia.” Lo incoraggiò con un occhiolino, nulla, alle orecchie di Harry, sembrava ridargli la quiete che aveva trovato in passato. Non voleva andare avanti, voleva tornare a battere i denti in piena notte steso sul tettuccio della macchina, voleva ascoltare vecchie cover seduto per terra con le gambe incrociate, voleva svegliarsi con il petto di Louis premuto contro la sua schiena; ma fece spallucce e si lasciò persuadere, “va bene” gli disse, per niente impaziente, ma ancora una volta fiducioso nei confronti del fratello.
“Lasciami guidare!” Si lamentò Harry, Zayn lo scrutò riluttante, poco intenzionato ad affidare la propria macchina al diciassettenne perennemente ubriaco. Lo guardò negli occhi, ancora poco convinto, “hai quattro vite nelle tue mani.” Disse dandogli le chiavi; una risatina nervosa attraversò le labbra di Gemma, che si strinse al braccio di Liam, “almeno ce l’ha la patente?” sussurrò vicino al suo orecchio.
“Beh, no.” Sorrise.
 
“Samb–” si corresse, “Jack Daniel’s” informò il barman.
“Quanti anni hai?” chiese il ragazzo, il tono saccente e presuntuoso.
“Sono maggiorenne.” Replicò Harry, infastidito e per niente entusiasta di quella domanda. Si sentì gli occhi del barista addosso, intenti ad osservare la sua figura, un fisico deciso, di presenza e un viso dolce, gli occhi che parlavano, e delle fossette che incorniciavano il suo sorriso, si sentiva un’eterna contraddizione.
“Hai dei documenti?”
“No?” si accigliò, seccato da quella conversazione. Fece per andarsene, ma fu bloccato da una presa sulla spalla.
“Due Jack per me.” La voce di Niall suonò subito familiare alle orecchie di Harry, il sorriso che era sulle sue labbra, però, si spense in pochi secondi.
Cosciente dell’imbroglio, il barista non poté fare a meno di servire i drink.
“Harry da solo in un bar? Come mai?” indagò portandosi il bicchiere alle labbra.
“Sono con mio fratello, la sua r– Gemma, e Zayn” si strinse nelle spalle, “non mi lascia un attimo per respirare, mi segue ovunque.” Indicò suo fratello con il mento. “Voi– Tu, tu come te la passi?”
Niall non sembrò troppo sorpreso, osservò Harry con un mezzo sorriso, il ragazzino era in difficoltà, si stringeva nella camicia a quadri che indossava, giocava con le maniche, scuoteva la testa per aggiustarsi i capelli, si guardava alle spalle per controllare se suo fratello lo stesse tenendo d’occhio.
“Tutto okay, solite cose…”
Il silenzio calò tra i due, il più piccolo posò il proprio bicchiere, ormai vuoto, sul bancone, mise le mani in tasca e inspirò. “Beh.. allora..”
“Stasera è di turno al Jack.” Niall rispose ad una domanda implicita.
“Io non –”
“Va’ al Jack, parlo io con tuo fratello.”
Fu scosso da un brivido offerto dall’adrenalina, sorrise, nervoso.
“Ci rivediamo presto, Harry.” Ridacchiò Niall.




heya.
dunque, mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, fin dall'inizio volevo che tutta la fanfic fosse un'alternanza tra momenti del presente e vari flashback, ma ho potuto farlo sono negli ultimi capitoli. Ci stiamo avvicinando alla fine, non conto asslutamente di arrivare oltre i dieci capitoli, (anche perchè non potete capire l'avversità che ho verso la terza persona, sta diventando difficilissimo scrivere, e ci metto davvero troppo tempo.) ad ogni modo, per quanto riguarda il capitolo, adoro l'accoppiata nouis; e mi piace pensare che niall abbia la situazione molto più chiara di louis.
Il titolo del capitolo viene (obvs) da yellow dei coldplay, e rappresenta un po' i pensieri di louis nei confronti di harry. 
girls, insomma, fatemi sapere cosa ne pensate, e già che ci siamo, buon natale a tutte e passate delle buone vacanze ;-; 

come sempre vi lascio twitter e tumblr.
 

love
chris- 

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Capitolo 7
*** heal their brokenness. ***


Heal their brokenness.


Dal bancone in legno del Jack aveva la visuale completa dell’intera sala, osservava le persone sedute ai tavolini, intente a soffocare nelle proprie abitudini, a stringersi nelle proprie vite; con un ghigno sulle labbra si arrotolava le maniche della camicia nera fino al gomito, agitava la testa per aggiustarsi i capelli, si passava il dorso della mano sulla fronte, sbuffava, era irrequieto, ma quella non era una novità; la novità stava entrando proprio in quel momento dalla porta principale, concentrata in un corpo impacciato, nascosta tra le ciocche ricce dei suoi capelli e intricata tra le venature verdi dei suoi occhi, la novità poteva vederla nell’aria tormentata che non aveva mai fatto parte di Harry, nelle sue mani che tremavano e nello sguardo che lo cercava come un cieco cerca la luce.
Si sentiva morire dentro, ogni momento che passava si sentiva privato di qualcosa di essenziale, andava in giro trascinandosi una perenne risata, la sua perenne attitudine al sarcasmo, e nessun cenno di cedimento, mai, fuori dalle mura di casa, aveva concesso a qualcuno di cogliere le sue ferite; aveva raccolto i pezzi e ci aveva costruito un muro.
“Non so perché sono qui.” Louis non vedeva nulla se non confusione nell’espressione del più piccolo.
“Sambuca?” gli offrì, lasciando che un sorriso gli scoprisse i denti.
Il più piccolo si accigliò, cercando di fare ordine tra il caos che aveva dentro. “No.”
“Come non detto, come posso aiutarti?”
“Volevo, volevo parlare, credo.” Si guardava attorno, per la prima volta chiedendosi cosa diavolo ci facesse in quel bar, realizzando che quella di andare lì era stata la scelta più stupida che potesse fare.
“Sono impegnato adesso, magari un’altra volta?”
“Io– io non sarei dovuto venire qui.. magari un’altra volta, si.” le unghie grattavano la superfice in legno del bancone, alimentando la sua frustrazione.
Non appena Harry voltò le spalle, il peso che premeva sul petto del più grande sparì. Si passo entrambe la mani sulla faccia, inspirò e si ricompose, mordendosi il labbro inferiore, ancora tormentato internamente dal ragazzino.
Non appena fu fuori, l’aria pungente gli tolse il respiro, per istinto incrociò le braccia stringendosi nelle spalle, provando a raccogliere il suo stesso calore; ma per quanto lo volesse, non riusciva a muoversi, era sempre stato troppo testardo, troppo ostinato per lasciare che qualcun altro vincesse una partita, si guardò attorno, scrutando la stessa strada desolata in cui cinque mesi prima aveva trascinato un ragazzo fin troppo gentile nel disastro che era la sua vita. E non sarebbe affondato da solo, non avrebbe mollato la presa così facilmente, si sarebbe aggrappato a Louis fino alla fine, ne avrebbe tirato fuori i lati peggiori se fosse stato necessario, ma non gli avrebbe permesso di voltargli le spalle.
Rientrò con le idee meno chiare di prima; aspettandosi il peggio ed augurandosi il meglio. Ricoprì l’intera sala in una manciata di passi, ostentando una sicurezza che non gli apparteneva.
“Ho dovuto farlo, mi dispiace.”
Fece un respiro profondo prima di alzare lo sguardo, il disastro, il ragazzino fin troppo incasinato era dispiaciuto, soffocato da quell’aria desolata e tormentata, pietosa. “Dispiace anche a me.” Replicò il più grande.
“Sai che mio fratello è–”
“Dispiace anche a me.” Ripetè.
“Sto cercando di darti una spiegazione!” Quasi si lamentò di non essere ascoltato.
“Sto lavorando! Va’ via, non mi interessano le spiegazioni.” Impostò la voce, per la prima volta più alta del solito, quella reazione sorprese sia se stesso che Harry, che fece un passo indietro, stranito, realizzando per la prima volta di non avere avanti agli occhi la stessa persona che gli accarezzava i capelli prima di andare a dormire. Aprì la bocca per ribattere, ma fu fermato da uno sguardo che non ammetteva repliche; mise le mani in tasca, imbarazzato, e andò via.
Louis aveva le mani sudate, tremanti, la schiena rigida e un nuovo peso sulle spalle.
 
 
Vedere la figura di Liam poggiata sulla portiera della sua macchina fu un caso più unico che raro; fasciato in un trench nero, lo sguardo puntato verso il basso sui propri stivaletti scuri; Louis gonfiò il petto e si avvicinò, consapevole della sua scarsa presenza fisica e di quella dannata costituzione che faceva degli Styles una famiglia di uomini con fisici fin troppo imponenti.
“A cosa devo l’onore?” Louis, come al solito, eccedeva in sarcasmo.
Il viso indecifrabile di Liam si sciolse in un’espressione inquieta, umiliato. “Quel maledetto incosciente ha deciso di partire.”
“Come, scusa?”
Ignorò la sua domanda, “Non lo capisco quando fa così; so che riesci a gestire quelle sue maledette scene da ragazzino viziato molto meglio di me, quindi digli di restare.”
C’erano almeno trenta cose in quella frase che non gli erano chiare, e l’espressione accigliata che si dipinse sul suo volto anticipò la sua domanda, “partire?”
“Si, non ti ha racc– ” certo che non gli aveva raccontato nulla, ovviamente, era di Harry che stavano parlando, quel ragazzino non avrebbe mai raccontato nulla, e capì in quell’istante quante bugie fosse in grado di raccontare quel maledetto incosciente. “Lui non ti ha detto nulla?” Espirò incredulo.
“Uhm, no. Io e Harry non parliamo..” Louis alzò le spalle ancora accigliato e ancora confuso dalla presenza di Liam, ed era seccato dalle impronte che le sue mani stavano lasciando sul finestrino della macchina. Incrociò le braccia, esasperando la totale assenza di volontà nel voler affrontare quella discussione.
“Mio– nostro padre è stato convocato, per lavoro, in Francia, resterà lì fino al prossimo anno, e avevo bisogno che Harry tornasse a casa, non volevo che mia– nostra madre rimanesse sola, e gli ho chiesto di stare con lei, di far parte della vita di casa, ma ovviamente, quel maledetto incosciente non fa che rendere la mia vita ancora più complicata.” Cercò di giustificare in quel modo la sua presenza.
Partire?” Ripeté. Massì, perché no? Che altro? La sua vita era fin troppo facile ultimamente, per fortuna quel ragazzino non tardava mai a compiere qualche cazzata che immediatamente lo riportava con i piedi per terra.
“Sapevo che non avevi frequentato l’università, ma non credevo che un concetto del genere ti risultasse così difficile da assimilare.” Liam sputò veleno.
“Sta’– sta’ zitto.” Non aveva prestato attenzione ad una singola parola, tutto ciò che aveva attirato il suo interesse era la parola partire, ‘bene’ pensò, si ripeté che non gli importava, perché era quello faceva da mesi, ripetersi che non gli importava.
Aveva visto Harry poche ore prima, consumato dall’imbarazzo, irrequieto, testardo come sempre, ma nulla gli aveva lasciato credere che avesse potuto prendere una decisione del genere, eppure era sicuro di aver imparato a leggere ogni suo gesto.
“Da quanto non lo vedi?” Chiese Louis, velando la preoccupazione con una finta curiosità.
“Due giorni.”
“Oggi era al Jack, se dovesse tornare gli dirò che lo cerchi.” Si strinse nelle spalle, indifferente.
Liam piegò la testa, sapendo che avrebbe potuto fare molto di più. “Avanti..”
“Che altro vuoi che faccia?”
“So che nemmeno la più piccola parte di te vuole che parta per quella maledetta Francia.” Incrociò le braccia sul petto, ancora difensivo nei confronti di Louis.
“Uhm, cosa te lo fa pensare?” Sussurrò più a se stesso che a Liam.
“Voi due siete– eravate” si corresse, “così..”
“Ti prego, basta.” Scacciò le sue parole con le mani, “ti prego, non voglio sentirti parlare di noi.
Entrambi rimasero in silenzio al suono di quella parola. “Lo chiamerò e gli dirò di tornare a casa. È tutto quello che posso fare.”
Liam annuì, stringendogli la mano e lasciando che le loro spalle di scontrassero, “grazie” disse dandogli una pacca sulla schiena.
Il respiro di Louis tremò, fu completamente sovrastato dal suo fisico imponente, “n– nessun problema” riuscì a dire, ormai completamente incollato al petto di Liam, gli toccò la spalla con le poche forze che gli erano rimaste, entro soli due secondi quell’ abbraccio tra amici sarebbe stato inondato di imbarazzo. Beh, ecco come doveva sentirsi Gemma, pensò, in fondo avevano lo stesso fisico, entrambi fin troppo piccoli per essere abbracciati da Liam, i due secondi erano passati ed era ancora incatenato in quell’abbraccio, tossì, sperando di distrarlo. Tirò un sospiro di sollievo quando finalmente fu liberato da quella presa.
“Ho sempre saputo che non eri un totale stronzo.”
“È la cosa più carina che tu mi abbia mai detto.” Replicò Louis.
 
Quando aprì la porta di casa, in piena notte, non gli parve vero che quella giornata fosse finita, non era mai stato una di quelle persone che perdono la calma, era sempre stato troppo furbo, astuto, per perdere la calma, ma chi aveva davanti non era la solita persona, non era mai stato in grado di prevedere le sue azioni quando era con il ragazzino, era costantemente irrazionale, incoerente con i suoi principi.
Non fu per nulla sorpreso nel sentire qualcuno bussare alla porta alle quattro del mattino; stanco, si avvicinò alla porta, quando la aprì fu investito dall’aria congelata che rivestiva Londra a febbraio; quel concentrato di tenacia e ingenuità era sulla soglia, gli occhi bassi, le dita tamburellavano sulle proprie cosce, probabilmente aveva pianto, ma Louis non poteva esserne sicuro.
“Posso entrare?” Si schiarì la voce.
Avrebbe voluto avere la forza di smettere di guardarlo, avrebbe voluto reprimere quell’istinto di abbracciarlo fino a sentirsi morire, e per l’ultima volta provò a difendersi.
“Sai una cosa?” Una risatina nervosa scappò dalle sue labbra, “se ti lascio entrare, un’altra volta, e poi tu vai via, un’altra volta, a quel punto è colpa mia; sono io il coglione che ti fa rientrare, che ti permette di entrare e uscire quando vuoi, e dovrei prendermela solo con me stesso, dovrei guardarmi allo specchio e dirmi ‘complimenti, questo è quello che hai voluto per te stesso’ e non è così, questo non è quello che voglio, non mi va di dover scegliere tra l’avere te e l’avere me.” Quella scelta lo spaventava, perché forse, per la prima volta, non avrebbe scelto se stesso. Si chiese quand’avesse iniziato a fare quel genere di monologhi, quando avesse abbandonato l’idea del poche parole ma buone, ma ancora una volta non trovò risposta se non: perché è di Harry che stiamo parlando.
Si allontanò dalla porta, lasciandola aperta, non aggiunse più nulla, lasciando che l’aria invernale entrasse: privilegio che il ragazzino non aveva ancora ottenuto. Era seduto sul divano, il mento appoggiato sulle ginocchia piegate al petto e le braccia incrociate, lo sguardo verso l’entrata, che riusciva solo ad intravedere, sentiva la presenza di Harry ancora sotto l’arco della porta; si morse il labbro inferiore e poi parlò, “hai deciso di morire di freddo lì fuori? Muoviti, entra.”
Sentì i passi di Harry anticipare la sua figura, avanzò con calma chiudendo la porta alle sue spalle, alzò lo sguardo per la prima volta da quando era lì, e vide Louis raggomitolato su se stesso, incazzato, reprimendo quel sorriso accennato che stava per nascere sulle sue labbra, l’aria stanca dopo una giornata di lavoro, quella stessa aria stanca che si trascinava dietro dalla mattina in cui era andato via, lo guardava e di più grande ci vedeva solo l’età, era indifeso e distrutto, e si sentiva la causa di tutte quelle crepe sul muro che proteggeva la sua personalità.
“Mi dispiace.” Riuscì a dire.
“Smettila di scusarti.”
Capì che sentirsi a casa non aveva nulla a che fare con i luoghi, sentirsi a casa aveva a che fare con le persone, casa era permettere a qualcuno di aprire una fessura nel muro che si era costruito attorno e concedergli di far parte di sé, sapendo che se stesso era tutto ciò che aveva; tornò a guardare il viso di Harry, le labbra tremanti che si opponevano ad un sorriso ma le fossette sulle guance lo anticipavano, tradendolo; e decise che nessuno nella sua vita aveva avuto tanto potere su di lui, a nessuno era stato concesso di andare e tornare, di non dare spiegazioni, di rovinare la sua vita, di risvegliare quel senso di attesa disperata, di ricerca, e guardava quel disastro che aveva davanti, la bellezza, il gusto, la fiducia che aveva dimostrato e pensò che dopotutto aveva tutto il diritto di rovinargli la vita; e gli andava bene così, gli sarebbe sempre andata bene così.
Avrebbe voluto essere in grado di spiegare almeno a se stesso cosa lo spingesse a gravitare attorno quel ragazzino, avrebbe voluto darsi delle spiegazioni, spiegazioni che non avrebbe mai trovato, perché nessuno dei loro legami era sottoposto ai principi della razionalità. “Vieni qui.” Tese il braccio invitandolo a sedersi accanto a lui sul divano, il sonno stava per prendere il sopravvento; poggiò la testa sulla spalla del più piccolo, il tessuto della felpa era ancora freddo, un brivido lo scosse lungo la spina dorsale. Harry passò un braccio attorno alle sue spalle, accarezzandogli la schiena, “mi dispiace.” Ripeté poggiando il mento sulla testa di Louis.
“Sta’ zitto.”
Tutte le spiegazioni di cui aveva bisogno erano accanto a lui, incorniciate da due fossette, con delle spalle fin troppo larghe, e le labbra arrese in un sorriso. E alla fine lo sapeva, anche nei momenti peggiori, sapeva che il tempo gli avrebbe ridato il ragazzino.
Gli prese il viso tra il pollice e l’indice, sentendo le sue dita affondare nelle guance gli sorrise prima di baciarlo, lo baciò finché non vide le sue labbra rosse in contrasto con la carnagione pallida, e avrebbe continuato per ore, avrebbe guardato il sole sorgere e ancora non si sarebbe separato da quelle labbra, “ti odio.” Disse il più grande, le dita gli sfioravano il mento e viaggiarono fino a fermarsi sulla sua clavicola.
“Ti odio anche io.” Sorrise contro la sua bocca.
Alla fine erano solo esseri umani, ubriachi dell’idea che l’amore, solo l’amore, potesse curare le loro ferite.












*ultimo angolo dello squilibrio mentale,
e quindi è finita così ;-; ho sempre ammesso di aver avuto problemi con la terza persona, e questa cosa mi ha rallentata tantissimo nel processo di scrittura e molte molte molte delle cose che ho scritto non raggiungono assolutamente i miei standard, questo è l'unico motivo per cui sono felice che questa fanfic sia finita, per il resto sono completamente depressa. Mi mancheranno questi Harry e Louis, mi mancherà il mio Niall perennemente fatto, mi mancherà immaginara Liam e Gemma, il Jack bar e la sambuca, ci sono tantissime cose che mi mancheranno e non posso ancora credere che questa fanfic sia arrivata alla fine. 

Non volevo che finisse con il solito "ti amo" "ti amo anche io" quindi ho deciso di concludere così il capitolo e l'intera storia. L'ultima riga (Ahimé) non è farina del mio sacco, ma gentilmente presa in prestito da francis scott fitzgerald, la frase originale dovrebbe essere "and in the end we were all just humans, drunk on the idea that love, only love, could heal our brokenness" è stata tradotta da me e adattata al contesto, quindi è leggermente cambiata, ma insomma, il senso e quello ed è assolutamente troppo bella per essere mia. (grazie fitz) 

Grazie a tutti quelli che hanno letto, e a chi ha recensito, un immenso e gigantesco grazie a Irene che è stata con me fin dall'inizio ^^
tornerò con qualche os, ma non credo che ci saranno (molte) nuove longfic. 

preghiamo tutte che il coming out arrivi presto, aspettiamo nuovi tatuaggi e aVEVO QUASI DIMENTICATO DI DIRVI CHE IERI HO PRESO I BIGLIETTI PER I RAGAZZI QUINDI O MF CI SARO' ANCHE IO AAAAAAAAAAHHH

come sempre lascio i miei twitter e tumblr.  



e per l'ultima volta, 
much love,
chris -

 

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