Lost and Found

di Rurouni_Star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Forse Dormire ***
Capitolo 3: *** Sangue e Ricordi ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


* Ehilà! La fanfiction che vi propongo è una che personalmente ho apprezzato tantissimo, non ho mai letto fic a pairing Sirius/Hermione prima di un paio di sere fa - a voler ben vedere non immaginavo nemmeno che esistesse come coppia - e questa mi ha veramente conquistata quindi ho chiesto all'autrice originale di poterla tradurre.
E' un po' triste nei primi capitoli ma va riprendendosi, vale davvero la pena buttarci un occhio ;) anche lo stile è un po' diverso tra i capitoli "tristi" e il resto, per cui non scoraggiatevi! Inoltre è una ff completa, quindi avrete tutti e 22 i capitoli nel tempo più breve possibile!
Spero che vi piacerà quanto è piaciuta a me!
~La vostra umile traduttrice

P.S. ovviamente nè io nè Rurouni Star possediamo alcun tipo di diritto su Harry Potter e compagnia bella... ma ci è concesso di sognare ;)
P.P.S. non starò ad ammorbarvi per le recensioni perchè, in fin dei conti, non è un lavoro mio, però anche solo un paio per sapere se volete il secondo capitolo mi farebbero comodo se qualcuno ha la voglia di lasciarle. Peace



Prologo.
 
 
Era vuota.
 
Inizialmente, pensava che fosse accaduto in quella notte. Una semplice assenza di pensiero,  un’assenza d’interesse. Ma poi capì che era successo molto, molto tempo prima.
 
Quando era arrivata la fine.
 
Oh, ovviamente avevano vinto. Voldemort non aveva speranze di farcela fin da prima d’iniziare a riprendersi – troppe persone erano consapevoli ora, troppe persone pronte a lottare, e stavolta avevano esperienza e allenamento.
 
No, non era stata la fine del mondo magico. La vita era continuata per tutti quelli che non erano là, che non avevano visto il tempo fermarsi. Ma per lei era ancora quel giorno e stava ancora guardando mentre cercavano di riprendersi disperatamente, cercando di non pensare ai corpi pallidi e scomposti che giacevano a terra di fronte a loro mentre capivano…
 
… che avevano vinto.
 
Hermione era ancora lì quando era sceso un silenzio stupefatto.
 
Niente urla di vittoria, niente grida di “Voldemort è morto!”, nessuno che saltellava, si abbracciava o piangeva i morti.
 
Solo… silenzio.

Era ancora lì quella notte, quando avevano realizzato di aver perso. Il tempo si era fermato non appena aveva visto i suoi due migliori amici che la fissavano senza vita. Perché lei non poteva ancora comprenderlo.

Diciassette anni.

Che cos’era? Un numero. Non aveva alcuna importanza.

Hermione bevve un sorso della sua cioccolata calda, fissando fuori dalla finestra mentre ascoltava la pioggia cadere e i tuoni fragorosi e il vento che soffiava così delicato. E nonostante cercasse di inebriarsi di quella visione, delle tempeste che un tempo aveva amato così tanto, non. Stava. Funzionando.

Con un sospiro, abbassò la tazza e si strofinò gli occhi. C’erano dei cerchi neri lì, ne era certa, perché certe volte, a notte fonda, fissava le loro facce ed era certa che se l’avesse fatto abbastanza a lungo, di sicuro loro avrebbero sbattuto le palpebre e le avrebbero chiesto perché lo stesse facendo.

Era in momenti come quello, in cui si sentiva così incredibilmente svuotata, che pensava a cosa le mancasse. Non era la magia. Non la magia per cui aveva perso ogni interesse, o la bacchetta che aveva nascosto in soffitta, o il libro di canti latini che era finito lì quando si era resa conto di non riuscire a costringersi a leggere abbastanza a lungo da imparare qualcosa. Non era nemmeno Hogwarts, dio, Hogwarts, il posto che le sembrava di vedere ovunque, superimposto sulla realtà mentre loro ridevano e scherzavano e si facevano i dispetti mentre parlavano di quanto fosse stata terribile la lezione di pozioni che avevano appena avuto.

La donna sospirò e si alzò dal suo posto alla finestra, quello che aveva costruito apposta per poter guardar fuori, e decise, quasi per capriccio, di scoprirlo.
 
Scoprire cosa le mancasse.

Salì le scale lentamente, spostando i capelli da davanti agli occhi – i capelli che non si era degnata di tagliare per anni, capelli che avevano lentamente perso la loro definizione, che si erano allisciati ed erano cambiati e si erano messi a posto mentre lei non l’aveva fatto – e si fermò sotto la porta della soffitta, allungando la mano per afferrare la maniglia e chiedendosi se questa stupida idea avrebbe veramente portato a qualcosa oltre che a dirle dove diavolo fossero finite le chiavi della macchina che non trovava da una settimana.

Hermione tirò delicatamente, con cautela per evitare che la scala la colpisse alla testa, l’altra mano che d’istinto era salita ad afferrare la scala tirandola giù piano piano. Poteva vedere la polvere ora, fluttuava giù con la scala, fine come la nebbia in una notte fredda, e la colpì il fatto che avrebbe potuto tenere la bacchetta, se non altro per tenere pulita la casa, perché sarebbe stato carino.

E mentre saliva, ricordava…

Stava salendo la scala fino all’aula di divinazione, tossendo quando l’incenso le aveva invaso i sensi e la luce si era fatta fioca. Stava guardando male la professoressa con gli occhiali per farle sapere chiaro e tondo che non era qui per lei.

“Harry”, aveva chiamato piano. “Silente vuole vederti.”

La Cooman aveva storto il naso mentre il ragazzo con quegli incredibili occhi verdi si era mosso per seguirla, ed Hermione l’aveva ignorata apposta. Le labbra di Harry si erano increspate mentre cercava di trattenersi dal ridere, ed avevano iniziato a scendere le scale.

Stanotte… qualcuno morirà.”

Le labbra di Hermione si erano ridotte ad una linea sottile e aveva sbattuto la porta dell’aula con un sonoro slam.

Era morta anche lei quella notte? Non riusciva a ricordarselo. Era stato più tardi, quando avevano tirato fuori quella lista di nomi. Hermione era rimasta lì, con lo sguardo fisso, persa nella sua mente. Non ne aveva sentito nemmeno uno.

Aveva allungato la mano ora, per spazzolare via la polvere da un vecchio baule malconcio.

Non avevano protestato, quando se n’era andata. Quando aveva ignorato tutte le borse di studio e i complimenti e i posti al ministero. Silente aveva semplicemente sorriso, un sorriso vuoto, niente più di uno sforzo, per lei, e le aveva posato una mano sulla spalla dicendole qualcosa di vagamente confortante. Se lo ricordava, questo. Silente poteva vedere attraverso tutti i tuoi pensieri e i tuoi strati e lasciarti scoperto, nudo, per questo se lo ricordava.

Aprì il baule, non era chiuso a chiave. Non si era mai degnata di farlo.

La copertura si aprì con un cigolio e vide che dentro non c’era polvere. No, non poteva essercene, la magia era ancora lì anche se lei non c’era. Le pagine dei suoi libri di scuola, ancora perfette, ancora immacolate; la sua bacchetta, esattamente come il giorno che l’aveva comprata.

Agitare e colpire, agitare e colpire – oh guardate, Miss Granger c’è riuscita!

Un piccolo sorriso triste le sfuggì dalle labbra.

Che cos’era? L’infastidiva, ora, cos’aveva detto Silente?

Le sue dita si chiusero attorno all’impugnatura della bacchetta e il modo in cui si adattava ancora perfettamente alla sua mano era allo stesso tempo confortante e spaventoso, come se per tutto questo tempo avesse semplicemente aspettato, certa che sarebbe tornata.

Che cos’era?

Agitare e colpire. Sì, quello poteva ancora farlo.

Ma cosa aveva… sì!

E se ci provava, poteva ancora vedere, poteva ricordare com’era la lavagna e le equazioni e gli incantesimi e il numero delle pagine…

“Hai fatto abbastanza. Vai e vivi.”

Ma i suoi occhi avevano incontrato quelli di lui e lei era morta dentro.

“Mi… mi manca qualcosa…” sussurrò a se stessa.

Il libro era aperto ed era su quell’esatta pagina – pagina 264, precisamente, del libro di incantesimi del quarto anno. Alla fine, li aveva tenuti tutti, in caso… in caso…

In caso avessi voluto studiare, giusto? In caso la smania m’avesse presa di nuovo. Come ha fatto.

Ma era solo un esperimento, un capriccio, un ultimo debole respiro prima di abbandonare la speranza, perché qualcosa dentro di lei aveva quest’irritante tendenza, un’inclinazione naturale. Non era del tutto certa da dove l’avesse presa.

Magari da Harry.

Si sistemerà tutto Hermione, vedrai, e quando avremo vinto, andremo tutti a festeggiare nel negozio di Fred e George e tireranno fuori quei fuochi d’artificio a cui stanno lavorando…” la sua mente si era persa a quel punto e lei era andata nel panico, ma aveva comunque raccolto pezzetti qua e là “…burro birra… è da un po’ che Ron vuole… whisky incendiario… faremo…”

Ah, sì. L’incantesimo.

Lo stava ancora fissando.

Mihi requiendum…

Aveva un vuoto dopo quello. Che cosa stava cercando?

Qualcosa di cui ho bisogno…

La sua mente era all’opera per ricordare le coniugazioni. Desiderium… mihi requienda desiderium…

La sua presa sulla bacchetta si fece ancora più forte, realizzando che non aveva idea di cosa stesse facendo. E se avesse fatto qualcosa di strano? E se non si fosse ricordata l’ultima parola e avesse finito col procurarsi qualcosa di pericoloso… o di già morto…

Ma un momento più tardi realizzò che non importava.

Quindi alzò la bacchetta e la tirò indietro, portandola giù e dicendo in quello che era appena un sussurro, “Mihi requienda desiderium…”

La magia le scorse attraverso e la sentì, quella luminosità vuota che ti dà i brividi e ti rende giovane di nuovo… la magia per cui aveva lentamente perso interesse…

E…

Si fermò.

Le scintille svanirono.

E fu buio di nuovo.

“Stupida magia,” esclamò Hermione, rigettando la bacchetta nel baule e girando sui tacchi per tornare dabasso. Ovviamente non aveva funzionato. Perchè avrebbe dovuto? La magia non lasciava spazio al vago, richiedeva sempre che si nominasse ciò che si voleva, dire stupidamente “qualcosa di cui ho bisogno” non avrebbe portato a nulla!

Rabbia e autocommiserazione crescevano dentro di lei mentre si avvicinava al tavolo e buttava la tazza di cioccolata per terra. Sentì uno strano senso di soddisfazione nel vederla frantumarsi, il liquido caldo si riversava all’esterno, lasciano scie di calore e vapore dove passava.

Avrebbe lasciato una macchia, lo sapeva. Ma si poteva lavare facilmente e lei non avrebbe mai saputo che era successo proprio come tutto le altre cose che si erano succedute negli ultimi diciassette anni.

Ma si stava calmando, guardando la sua bevanda che si espandeva pigramente sul linoleum, facendosi strada verso il tappeto. Poiché detestava il disordine, è quello che era, quello che sarebbe sempre stata, Hermione si chinò con mano tremante per raccogliere i frammenti della tazza e trasalì tagliandosi su con un bordo. Un piccolo rivolo di sangue iniziò a formarsi, trasformandosi poi in una perlina ed infine in una goccia che andò a mischiarsi alla cioccolata. Sospirò e prese uno straccio, ignorando il suo dito per il momento.

La cioccolata venne via, come sapeva che avrebbe fatto. Un po’ d’acqua e sapone ed era sparita di nuovo, l’unica prova che ci fosse mai stata erano uno straccio sporco e un pollice insanguinato.

“Quindi la magia non può rimettere tutto a posto,” mormorò tra sè e sè, portandosi la mano al petto. “Nessuno diceva che potesse” ma lei l’aveva sempre pensato. Sempre, prima d’allora, aveva avuto questa sensazione che la magia fosse… beh… magica. Non solo un semplice strumento o un’arte, ma una panacea, un rimedio miracoloso. Ora, però, si sentiva come se stesse offendendo un vecchio amico, uno che non se lo meritava.

Era inginocchiata a terra ora, rotta e non ancora in via di guarigione, nonostante la magia. Ma non era mai stata la magia, era sempre stata lei.

La bacchetta era ancora in soffitta, avrebbe potuto portarla giù, guardare i libri, perdersi un po’ nei ricordi, forse. “Magari dovrei-”

Un colpo alla porta d’ingresso la fece alzare. Hermione deglutì.

Che cosa ho fatto, ho fatto un casino, sapevo che non avrei dovuto-

Ma non fu seguito da altro, solo i tuoni e la pioggia.

Deglutì, pensando che sarebbe stato saggio andare a prendere la bacchetta, ma sapeva che non l’avrebbe fatto. Non poteva dare le spalle alla porta, per nulla al mondo.

Quindi, pensando di essere almeno un po’ ragionevole, si mosse silenziosamente verso di essa, la testa che rimbombava a ritmo con la pioggia. Probabilmente era solo un cane randagio o qualcosa del genere, niente di cui avere paura…

Hermione aveva raggiunto la porta ora e doveva fermarsi. Si morse nervosamente il labbro inferiore. Di certo questa era solo una coincidenza-

Prima di potersi fermare, forzò la sua mano ad andare alla maniglia e a tirare.

La porta si aprì facilmente verso l’interno.

E il respire di Hermione le si mozzò in gola mentre fissava, pietrificata. Perchè…

Quail altri significati ci sono? Desiderium, qualcosa che desidero, di cui ho bisogno, qualcosa che vorrei…

Qualcosa di cui rimpiango la perdita.

“È impossibile,” sussurrò con voce roca. “Tu sei impossibile!”

Ma la figura bagnata e priva di sensi di Sirius Black non rispose.

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Capitolo 2
*** Forse Dormire ***


Capitolo 1. Forse dormire

L'aveva superata, in qualche modo. L'aveva messo sul divano, coperto con una delle coperte per gli ospiti che non usava mai e controllato se avesse delle ferite. Non molte, ovviamente, eccetto per il punto in cui era stato colpito dalla maledizione in pieno petto. Febbre? Un pochino. C'era da aspettarselo visti gli abiti inzuppati.
Nessun osso rotto, qualche piccola lacerazione, forse, e quella barba incolta che si era sempre rifiutato di radere (se ne ricordava). Era...

Esattamente come era allora.

"Maledetto," mormorò. "Sei morto. Sei morto invano e hai l'ardire di-" Era un molliccio. Sì, era così, doveva essere così. Avrebbe preso la bacchetta e l'avrebbe immaginato mentre cadeva attraverso quella tenda, urlato riddikulus e riso amaramente mentre moriva di nuovo.

Perchè nessun incantesimo era così pulito, pensò mentre risaliva le scale della soffitta, ancora aperta. Nessun piccolo incantesimo potrebbe portare a qualcosa di così potente, anche se era doloroso. Le avrebbe dato un'imitazione da poco conto, qualcosa dalla sua memoria...

La bacchetta era ancora lì doveva l'aveva lasciata, nel baule aperto. Riluceva fiocamente nel buio, un incantesimo che le aveva imposto per ritrovarla se avesse dovuto caderle di notte. Di notte, quando uscivano per mettersi nei guai...

Hermione si morse forte il labbro, ignorando il dolce sapore metallico che le toccava la lingua. Se l'era ricordato per tutta la vita, non aveva bisogno di ricordarlo ancora adesso. Avrebbe sempre potuto farlo dopo aver sconfitto questo nemico, questo promemoria di qualcosa di precedente al suo tempo, rivissuto ancora una volta...

Tornà al divano con un'espressione accigliata, chiedendosi se l'incantesimo avrebbe funzionato contro un molliccio privo di sensi. Perchè lui stava dormendo e la sua febbre si era alzata, infinitesimamente, e lui era... era...

Respirava affannosamente. Mormorava. Continuava a rigirarsi come se stesse avendo un incubo quando lei sapeva che i mollicci non dovrebbero- non possono-

Contro ogni logica, si ritrovò alla ricerca di una salvietta, dopo averla trovata la inumidì e la portò fino al divano prima di notare la macchia di cioccolata e sangue, ridendo. Ne prese un'altra, pulita, e gliela mise sulla fronte. Aveva ancora l'aspetto... beh, il suo.

Hermione avvertì una pericolosa tentazione crescere in lei - la sua mano era a metà strada verso la bacchetta, le sua labbra già mormoravano l'incantesimo per guarire i lividi e i dolori (quante volte l'aveva usato in passato?) ma si fermò bruscamente.

"Cosa sto facendo?" sussurrò.

Magia. La magia aveva portato a questo. No, non l'avrebbe usata. Poteva guarire con un po' d'aspirina e qualche cerotto una volta che si fosse svegliato. Se non era un molliccio. Le sue labbra s'incurvarono, deridendolo.

"Tonks?"

La saliva le andò di traverso mentre guardava giù.

Due occhi vitrei le restituirono lo sguardo, a malapena consapevoli.

"No," disse. Anche Nymphadora Tonks era morta.

"Oh." Lui richiuse gli occhi è imprecò. Perchè se questa cosa pensava che sarebbe bastato un piccolo promemoria perchè lei lo guarisse-

Aveva ragione.

Un incantesimo, un rapido colpetto, un affondo, e vide tutte le lacerazioni minori guarire. Un'altra veloce mossa con la bacchetta e il suo corpo si rilassò sotto la coperta, la sua espressione solo leggermente sofferente.

"Vaffanculo," disse lei a nessuno di preciso. Magari alla magia. Magari a lui - esso - o magari era solo amareggiata col mondo ancora per averla messa in una posizione in cui non voleva essere.

Hermione sussurrò.

"Ho bisogno di altra cioccolata calda."
.
.
.
.
.
Inizialmente, pensò di andare a letto. Lui di certo non se ne sarebbe reso conto. E non è che potesse fare molto se anche fosse rimasta sveglia a fissarlo. Ma, come aveva potuto notare prima, il suo tanto famoso raziocinio era andato giù per lo scarico dopo aver tirato lo sciacquone. Quindi tornò con un romanzo, bevendo cioccolata calda da una tazza nuova, seduta sulla sedia dall'altro lato del tavolino.

Dopo qualche ora passata a fissare la stessa pagina cercando di capire cosa dicesse, si arrese e guardò l'uomo addormentato sul suo divano.

Lui era... identico. Esattamente uguale. La stessa faccia appena rianimata, gli zigomi appena migliorati da quando erano emaciati, la pelle pallida che stava lentamente riprendendo colore. I suoi capelli corvini era stati tagliati recentemente - e malamente, si ricordò il giorno in cui aveva cercato di farlo da solo. E... emanava le stesse sensazioni. Era circondato dalla stessa strana sensazione che ti faceva capire che c'era lui dietro di te prima ancora che parlasse. La connessione che un gruppo di persone così unito aveva provato era ancora lì, anche con la morte di così tante di loro.

Hermione sospirò. Sarebbe stato tanto più facile - così tanto più facile - se solo fosse riuscita a trovare qualcosa di sbagliato in lui. Qualcosa che sembrasse strano, anche una cosa sola, così da poter dire che era un'imitazione, per quanto buona. Perchè nessuna creatura e nessun incantesimo potevano creare una replica perfetta - nemmeno un molliccio, che attinge direttamente dalla tua mente. Era semplicemente troppo tutto insieme, troppo intricato e intangibile per creare un'imitazione.

E mentre lo fissava, poteva ancora ricordarsi di quando lui era ancora più di un ricordo...

"Cosa succederebbe se, una di queste volte, non ci fossi?"

Alzò lo sguardo dal suo lato del tavolino, dove stava guardando il suo sandwich. Sirius stava seduto immobile, i suoi occhi concentrati sul caffè che girava nella sua tazza.

"Cosa succederebbe se, una di queste volte, qualcuno morisse e io avrei potuto essere lì per evitarlo?"

Hermione realizzò che stava parlando con lei. Sospirò e guardò altrove.

"Sai che non puoi uscire," gli disse, con solidarietà.

Lui corrucciò la fronte verso la tazza di caffè. "Lo so," le disse.


"Avresti dovuto aspettare," mormorò tristemente. "Ci saresti stato quando era importante, stupido." Forse non era equa ma a questo punto non sapeva nemmeno se fosse sana, stava parlando al fantasma fin troppo solido di un uomo svenuto sul suo divano dopo diciannove anni.

Gli occhi di lei lo scrutarono di nuovo, alla disperata ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che fosse fuori posto. Ma nulla era fuori posto. Solo i suoi capelli bagnati che ricadevano in tutti i punti giusti, mettendo in ombra tutti i punti giusti, dove una volta era sembrato così spaventoso. Fu allora che si accorse che stava tornando ad essere un bell'uomo - in fondo lo era stato - e che lo stress aveva quasi abbandonato la sua faccia.

Avrebbe indubbiamente avuto qualcosa di intelligente da dire, una volta sveglio. Se era lui.

Hermione sbadigliò, stiracchiandosi stancamente mentre il suo corpo si lamentava delle sue abitudini notturne. Sembrava dire che lei poteva star sveglia per giorni, volendo, ma lui - il suo corpo - si sarebbe presto arreso, coperta o non coperta. Ma lei aveva già combattuto il sonno, l'aveva fatto così a lungo da sembrare un'eternità, e questa non era una novità.

Si voltò verso la finestra e capì perchè era così stanca: il sole era sorto, appena appena, da qualche parte tra le nuvole. La luce che filtrava tra le nuvole era fioca e umida e grigia - quasi non illuminava il cielo in tempesta là fuori, e riusciva ad illuminare ancora meno il soggiorno.

Un suono alle sue spalle la fece sussultare e girare sulla sedia.

Lui ora la stava fissando con quegli stessi occhi - occhi che ricordavano Azkaban - scuri e tormentati nel profondo. Ma erano chiari ora, e svegli, e non davano cenni di riconoscimento.

"Chi sei"

Lei si immobilizzò.

Cosa dire? Cosa poteva dire? Non vedeva quest'uomo da diciannove anni. Non ci aveva parlato, non aveva provato a capirlo per tutto quel tempo. Infatti... le ultime memorie che aveva di lui erano di un uomo vagamente sorpreso che cadeva nell'oscurità.

Sirius la studiò, forse cercando di comprenderla prima di doverle parlare.

Dopo un attimo, le sue labbra s'incresparono sardonicamente. "Per caso hai un nome?" le chiese. "O dovrò indovinarlo?"

Beh. Quella era una domanda. Una a cui forse avrebbe dovuto rispondere.

Ma... non riuscì a dire nulla.

Sirius sembrava vagamente annoiato, ma continuò in ogni caso. "Perchè non iniziamo da qualcosa di più semplice, allora. Dove sono?"

Lei deglutì e la sua voce le tornò. "A casa mia," riuscì a dire. "Sul mio divano."

"Ah. Vedo." Il suo sguardo si poso sui vestiti incredibilmente banali, incredibilmente babbani, che stava indossando e riusciva a sentire l'opinione che lui aveva di lei che si abbassava. Oh, vedo. Non era parte della famiglia ma nemmeno così lontano dai suoi pregiudizi. 

La tirò quasi fuori dal suo silenzio stupefatto. Quasi.

"E…" continuò lentamente, come se stesse parlando a un bambino, "Dove sarebbe casa tua?"

Oh, questo restringeva il campo.

"Scusa," gli disse, d'un tratto di nuovo in grado di articolare meglio le frasi. "Avrei dell'aspirina per quel taglio lungo il tuo petto, ma forse dovremmo aspettare finchè non ritrovi le buone maniere." Si girò, a labbra strette, e si mosse verso la cucina.

Quello... ingrato! No, il fatto che fosse un amico non aveva importanza. Il fatto che non lo vedesse da un'eternità, il fatto che lei, come tutti gli altri, l'avesse creduto morto da tempo, niente di tutto questo aveva importanza. L'aveva accolto nella sua casa - aveva rotto il suo tabù per curarlo - e lui aveva il coraggio di trattarla come una qualunque creaturina senza cervello solo perchè era una babbana!

"Incrocio! Mezzosangue! Abominio! Come osi infangare la mia casa con la tua sozzura-"

Lo scoppio d'ira fu inaspettato - Hermione boccheggiò in orrore al ritratto che aveva scoperto, una donna la cui faccia era contorta in una maschera di rabbia. La donna le gridava contro e lei indietreggiò shockata, spaventata e vergognandosi...

"Fuori! FUORI! Porta il tuo sangue sporco lontano da casa mia!"

La sua bocca si muoveva senza emettere suono mentre si guardava attorno disperatamente alla ricerca di un posto in cui nascondersi - in qualche modo, aveva fatto qualcosa di sbagliato e aveva portato a questo-

"FUOOORIIIIII!" strillò la donna.

 Hermione realizzò di essersi stretta in un angolo, con le mani a coprire la bocca.

"Oh perchè NON TACI una volta per tutte?"

La donna nel ritratto tacque momentaneamente per lo stupore. Dalla sala oltre la porta proveniva uno scalpiccio furioso - e improvvisamente, la porta si spalancò e un Sirius Black furioso si mosse direttamente verso il ritratto.

"Senti, donna infernale, se non la smetti una buona volta-"

"TU! Tu creatura abominevole, tu delusione! Non sei figlio mio-" Sirius richiuse la tenda ferocemente.

Per un momento ci fu silenzio mentre lui si appoggiava al muro, i palmi ai lati della testa abbandonata stancamente. Hermione s'irrigidì nel suo angolo, non sapendo cosa fare.

"Wow, che parenti meravigliosi che ho. E' un miracolo che riesca a dormire..."

Lei deglutì, desiderando in quel momento più che mai, di poter svanire nel pavimento. Sirius sospirò e si voltò.

S'irrigidì.

"Ah- Hermione?"

Lei si sforzò ad assentire, le mani ancora sulla sua bocca tremante.

"O-oh," disse, "Immagino che sia stata tu a farla schizzare... pensavo che Kreacher avesse richiuso la tenda…"

Ci fu un silenzio imbarazzato.

Sirius distolse lo sguardo e le si avvicinò, porgendole la mano. Lei la strinse con la sua, tremante, e incespicò sui suoi piedi.

"Io… spero che tu non le abbia dato retta," le disse, a disagio. "E' fatta così." La guardò di sottecchi. "Non le hai dato retta, vero?"

Hermione annuì. "S-sì. Ero solo… spaventata." In questi giorni stava mentendo parecchio… doveva essere l'influenza di Ron e Harry…

"Oh bene." La sua faccia si rilassò visibilmente. "Davvero, non dovresti. Sei una delle streghe migliori che conosca - e non credere che Moody e gli altri non mi darebbero ragione." Le fece un sorrisetto e lei rilasciò il fiato che non sapeva d'aver trattenuto, un po' sollevata.

"Sì, grazie, io- io penso di star bene." La guardò attentamente, come valutando qualcosa, poi lasciò la sua mano.

"Beh, se hai fame, la cena è di sotto. Molly si è davvero superata stavolta..."

Si era fermata alla finestra. Stava fissando fuori di nuovo, col mento sulle ginocchia, mentre continuava a piovere. Era davvero stanca, ma non aveva più alcuna importanza. Se avesse dormito, avrebbe sognato. Se fosse rimasta sveglia, avrebbe ricordato. Se si fosse privata del sonno, sarebbe stato come se se ne fosse andato mentre lei si concentrava sul rimanere sveglia. Se fosse rimasta sveglia...

"Mi spiace."

Hermione sbattè le palpebre stancamente. "Sì, beh, sono stanca. E' stata... una lunga nottata."

Alzò lo sguardo e, vedendolo poggiato al muro della cucina, si maledisse. Ovviamente stava soffrendo, aveva ancora una grande bruciatura sul petto. Idiota.

"Oh, siediti e basta," sospirò. "Vado – vado a prendere l'aspirina."

Lui la  fissò mentre lei lo superava e sentì quella stessa sensazione, la sensazione di essere soppesata in qualche modo. Magari lui si stava facendo qualche domanda sulla sua sanità mentale.

"Ho notato che non mi hai chiesto come mi chiamo," disse piano.

Lei si arrestò. Diglielo.

"So chi sei," disse.

Le sue sopracciglia s'arcuarono, era ovviamente scettico. "Chissà, ma ne dubito."

Lo ignorò e prese la confezione, prendendo due pillole per sè prima di darne un paio anche a lui. Lo sforzo che fece nel trovare e riempire un bicchiere d'acqua fu più di quello che sarebbe dovuto essere. Era stanca.

"Alla goccia," mormorò, passandoglielo. Lui fece una smorfia e buttò già le pillole e lei si ritrovò a desiderare improvvisamente di tirargli via quel sorrisetto dalla faccia, dirgli che non avrebbe dovuto essere divertito, dirgli perchè avrebbe dovuto star morendo dentro, come lei.

Ma si trattenne.

"Vado a dormire," annunciò, con tono stanco. "Solo… non uccidere niente." Poi, come ripensandoci, "E non me ne andrei, nemmeno."

Non rimanendo a vedere se avesse connesso il suo avvertimento con la sua conoscenza su di lui, si avvicinò al divano e si raggomitolò nelle coperte che lui aveva lasciato lì, gli occhi che già le si chiudevano mentre si raggomitolava a palla.

L'udì vagamente mentre si sedeva delicatamente su una sedia, gli sfuggì un piccolo lamento per via della ferita.

"Poteva andare peggio," mormorò tra sè e sè mentre perdeva il senso della realtà e sentiva di nuovo le loro voci in un miscuglio di suoni indistinti…

"Cosa?"

Un velo lacero che che fluttuava a malapena - voci che non riusciva a sentire, ma poteva sentirle ora e sapeva cosa stavano dicendo…

Seguì un tuono più a fondo nell'oscurità.

Persi. Alla ricerca di un modo per tornare. Oh, se solo potessero sentirla quando li chiamava
.
.
.
.
.
Sventura... morte... mia cara, hai il gramo!

Riesci a crederle? Che mucchio di idiozie. Chi pensa di prendere in giro, è la quinta volta nello stesso giorno…

Hermione?

Hermione?

Andiamo, Hermione, svegliati, non morire Hermione, non puoi morire ora-

"Sei sveglia?" la chiamò una voce semi addormentata.

Non è corretto lasciarmi così, Hermione, lo sai cosa mi farebbe…

E cosa ne dovrebbe essere di me? Da quando mi hai lasciata da sola?

"Immagino di no…" La scosse gentilmente.

Hermione mormorò un'imprecazione, sperando di riuscire a trovare la sua maledetta bacchetta per riuscire a farlo star zitto così avrebbe smesso di disturbarla.

"Senti, mi spiace, temo di avere un bisogno piuttosto pressante di sapere dove mi trovo."

In una stanza fredda dove non c'era vento ma le tende sussurravano silenziosamente… (NdT: no, nemmeno io ho idea di come si possa sussurrare silenziosamente)

"Oppure potresti startene lì come un bozzolo inanimato. Non sia mai che riesca a farti alzare dal tuo dannato divano…"

I suoi occhi erano spalancati e shockati e giusto un po' rassegnati... ma dovette guardarli per un solo secondo prima che sparissero dietro quel velo malmesso…

"Non puoi," sussurrò stancamente. "Non puoi fare niente. Sei morto."

Le mani di lui stavano cercando di nuovo quelle di lei, per scuoterla ancora un po'. In quel momento, però, si fermarono, poggiate delicatamente contro il fianco di lei.

"Cosa?" chiese.

Hermione nascose la testa tra le braccia. "Lasciami stare."

Tolse esitantemente le mani, poi si girò, più certo stavolta. "Suppongo di doverlo fare, allora. Grazie mille per la calorosa ospitalità (grugnì) e credo che andrò ora."

C'era qualcosa di sbagliato in questo, lo sapeva. Lui non sarebbe dovuto uscire.

Ma era troppo stanca e lui era troppo perso e troppo spaventoso e troppo sbagliato.

Quindi tornò a dormire e scoprì di poter quasi fingere che lui non fosse mai tornato.
 

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Capitolo 3
*** Sangue e Ricordi ***


*chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornare, ho avuto qualche problema a casa e il lavoro mi ha tenuta occupata ma adesso dovrebbe tornare tutto a posto :)

 

Capitolo 2. Sangue e Ricordi



Svegliarsi la disorientava sempre - perchè ogni volta doveva controllare cosa fosse vero e cosa no e cosa fosse già successo e non poteva essere cambiato.

Questa volta, ricordava i suoi sogni. Di solito non erano che una matassa di ricordi ed emozioni che si confondevano tra di loro e continuava finchè non smettevano di avere senso e tutto ciò che facevano era ferirla. Ma questa volta si ricordava. L'aveva visto morire di nuovo (così chiaramente!) e lei era proprio di fianco a lui e avrebbe potuto salvarlo ma non l'aveva fatto. Se lo ricordava. Si ricordava di aver scelto di non allungarsi a fermare la sua caduta perchè quello avrebbe reso lei sbagliata e lui giusto. Non era certa di come o perchè funzionasse così, ma lui era già morto quindi non aveva una gran importanza.

Hermione represse uno sbadiglio e si stropicciò gli occhi, lottando per liberarsi dalla coperta - e realizzò di essere sul divano.

Oh, già. Ho fatto un altro sogno, un sogno ad occhi aperti...

Trasalì rendendosi conto di averlo lasciato andare.

Beh... ma cosa poteva succedere? Qual era la peggiore delle ipotesi? Che qualcuno l'avrebbe riconosciuto? Oh insomma, dopo diciannove anni, di certo nessuno gli avrebbe dato retta. E poi, lui era meno di un ricordo (un ricordo postumo, ma pur sempre un ricordo) e la gente detestava riportare quel tipo di memorie a galla. Lo sapeva fin troppo bene.

Hermione scacciò il sonno dai suoi occhi e guardò fuori per vedere che stava ancora piovendo. Di sicuro avrebbe smesso presto, anche se era difficile stabilire quanto fosse durata.

Si alzò stiracchiandosi e guardò in cucina. Esattamente come l'aveva lasciata. Nessuna persona extra in casa sua, nemmeno un cane randagio che aveva creduto di non vedere mai più. Quindi forse, forse, lo aveva sognato.

Felice di quella decisione, sicura di poter ora continuare a sprecare il resto della sua vita in pace e solitudine, Hermione tornò al suo posto alla finestra e guardò il paese oscurato.

Era stato molto facile fare gli investimenti giusti per procurarsi denaro a sufficienza per ignorare il mondo. Dopo anni di Aritmanzia, era stato pateticamente semplice capire quali stock avrebbero fruttato e quali sarebbero falliti entro il primo anno. Poi, si era ritirata e aveva ignorato il fatto di essere mai stata magica.

I suoi pensieri, però tornarono a Sirius, indipendentemente da quanto lei non lo volesse. Si ricordava le volte in cui era rimasta a Grimmauld Place, anche quando nessun altro l'aveva fatto, semplicemente per fargli compagnia. Come le vecchie gite a Hogsmeade per Harry...


"Scacco, Sirius," aveva mormorato, assentemente, mangiucchiando gli snack che lui aveva portato. Lei aveva sempre bisogno di masticare qualcosa.
L'uomo di fronte a lei si corrugò, guardando intensamente la scacchiera. Sapeva che a lui mancava una sola mossa per fare scacco matto a lei - doveva star contemplando come lei avesse fatto a cambiare le carte in tavola così velocemente. Sirius sorrise, allora, e mosse la mano-
"Non puoi farlo," disse Hermione senza pensare. Aveva immaginato che ci avrebbe provato

Per un momento lui ebbe un'espressione sorpresa, poi rise. "Santo cielo, Hermione, hai fatto scacco matto di nuovo. Non te ne sei accorta?" mosse il dito ad indicare la line che lei aveva aperto muovendo la sua torre e lei notò che il suo alfiere ora era in vista del re. (NdT se questa frase ha poco senso, mi scuso, ma di scacchi ne so più o meno quanto ne so di Aritmanzia: zero.)

"Oh. Mi spiace," disse docilmente. Aveva sperato di poterla far durare di più, magari anche lasciarlo vincere questa volta.

"Non scusarti per aver vinto," le disse sorridendo. "Sul serio, devi iniziare ad essere più aggressiva."

Hermione sorrise, accarezzandosi il braccio, imbarazzata. "Ok allora," gli disse, alzando la voce "giochiamo di nuovo," ordinò con autorità.

Lui le fece l'occhiolino. "Brava ragazza. Sono ai tuoi ordini."

Anche se lui non la sapeva, la rendeva raggiante, perchè il fatto di essere necessaria e condividere qualcosa di privato con qualcuno, con una sola persona, la faceva star bene. Era, per una volta, la prima priorità di qualcuno, ed era bellissimo.



Si ricordava di essere stata in lutto per lui. Era assolutamente possibile (se fosse stato vero) che l'incantesimo avesse tratto da quel lutto, indipendentemente da quanto tempo fa fosse stato.

Non era stato manifesto. Non come Harry che aveva urlato e singhiozzato o Ron che aveva balbettato impallidendo. Non era mai stata come loro. No, lei non era affatto come loro. Il suo lutto consisteva in un freddo diniego e il rifiuto di lasciarsi andare.


"Scacco," sussurrò, muovendo il suo alfiere dove aveva una chiara vista del re.

"Ah… quello è scacco matto, Hermione," disse Ron. "Davvero, se non avessi un aspetto tanto orribile penserei che hai giocato senza di me. Come hai fatto a migliorare tanto all'improvviso?"

"Scacco matto, allora," gli disse stancamente. "Senti, ho giocato la partita che volevi, posso andare a letto ora?"

"Ma 'Mione, sono solo le nove-"

"Sono stanca stasera," l'aveva interrotto.

Se ne andò di sopra, nel dormitorio femminile, lasciandolo a mettere in ordine il suo set di scacchi. Ne aveva comprato uno per lei a Natale ma lei non l'aveva ancora aperto. Non voleva ricordare e nessuno poteva obbligarla.



Non aveva mai aperto quel set. Era ancora di sopra, con il resto della magia che non voleva toccare. Ma, ovviamente, ormai l'aveva toccata. Che differenza avrebbe fatto riportare alla luce altri ricordi dolorosi, già che c'era?

Si alzò con un sospiro, andando ancora una volta verso la soffitta polverosa. Questa volta si permise anche di lanciare l'incantesimo per far sparire la polvere - adesso sembrava come nuovo e lei si chiese se non avrebbe fatto meglio a lasciarlo impolverato. Passare tra cose tanto vecchie che ora però sembravano nuove la faceva sentire stranamente fuori posto...

Non era nel baule con il resto delle sue cose magiche. Il suo viso si corrucciò ma lei si spostò verso un’altra scatola e l’aprì. Ingredienti per pozioni… quando se n’era andata, aveva in mente di studiare alter pozioni per conto suo… Hermione richiuse la scatola velocemente, ricordandosi dell’incidente con la Polisucco. Un’altra scatola conteneva altri libri – sempre più libri e non erano mai del tipo che avrebbe letto felicemente. E poi-

E poi-

Una foto.

Hagrid l’aveva scattata prima del loro terzo anno, prima che iniziasse tutto, prima ancora che fossero consapevoli dell’esistenza di un uomo chiamato Sirius Black. Prima di Lupin, prima dei Mangiamorte e del Marchio Nero e del torneo Tremaghi dove avevano visto la morte per la prima volta. Prima che Voldemort rinascesse.

Ron ed Harry erano in piedi dietro di lei, ognuno a braccetto con lei. Le sorridevano, salutando e saltando per richiamare la sua attenzione mentre lei li guardava con rimprovero cercando di farli star fermi per la foto. Ron le faceva l’occhiolino in quel suo modo speciale ed Hermione dovette distogliere lo sguardo. Queste persone non esistevano più, ma lei voleva credere il contrario con tutta se stessa…

Come lo specchio di Erised, pensò. Potrei star seduta qui e soffrire per il resto della mia vita, cercando di credere…

Ma non era esattamente ciò che aveva fatto fino a quel momento?

Ripose la foto in una tasca e subito dopo trovò il set di scacchi, dopodiché lasciò la soffitta, richiudendaola stavolta. Non voleva essere tentata di ritornarvi.

Poggiò il set sul tavolo ed aprì la scatola che conteneva i pezzi per la prima volta.

Erano bellissimi, tanto belli da far male. Questo – questo era meglio del set di Ron, di cui si era perso cura così tanto negli anni. I vestiti dei pezzi (maghi e streghe storici, che bel pensiero) sventolavano all’unisono, come se del vento fosse passato per la scacchiera in quel momento. Stavano orgogliosamente sull’attenti, come se aspettassero i suoi ordini…

Sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime mentre realizzava che Ron doveva aver speso una bella somma per quel set. Era reso ancora più prezioso dal fatto che lui non aveva molti soldi, e lei non l’aveva mai nemmeno usata…

Quando riprese la foto, lui stava mettendo un braccio sulle spalle dell’altra Hermione, ridendo mentre lei cercava di spostarsi senza troppa convinzione. Le lacrime riuscirono a sfuggirle e lei dovette mettere da parte la foto per poggiare la testa sulla scacchiera.

Non avrei dovuto… avrei dovuto lasciarla…

Non alzò lo sguardò quando si spalancò la porta. Non disse neppure una parola mentre dei passi pesanti si dirigevano verso di lei.

Una mano forte la tirò su dalla maglietta, girandola per fronteggiare un Sirius Black estremamente livido, bagnato ed incredulo.

“Cos’è questo!” le chiese, mettendole di fronte un quotidiano.

Non era un giornale magico, ed era un po’ floscio perché bagnato, ma poteva vederlo chiaramente tramite le lacrime.

“Cosa?” gli chiese con voce roca, desiderando che lui l’avesse lasciata in pace e che fosse stato tutto un brutto sogno. “Che c’è, sei interessato su come va la borsa ora? Ti infastidiscono i prezzi del petrolio?” sentì le sue labbra arricciarsi in un ghigno, ma stava ancora piangendo. A lui non sembrava interessare.

“Molto divertente,” le sibilò, e lei potè vedere che c’era della paura nei suoi occhi. Questo è Sirius, il mio Sirius, lo stesso di quando è morto… è solo che non ho mai visto questo lato di lui prima d’ora… “Non puoi dirmi di non saperlo!”

Ah, sì. Giusto. Siccome era ancora lui, la data l’avrebbe sconvolto.

“Avanti,” gli disse, in parte arrabbiata ed in parte ferita ed in parte desiderosa di abbracciarlo e pregarlo di non sparire. “Avanti, chiedimelo. Ti dirò la verità, lo giuro, anche se cercherai di farmi mentire.”

La faccia di lui era rossa di rabbia. “Perché il giornale dice che l’anno è il duemilaquindici?” disse con voce bassa e minacciosa.

E lei lo guardò dritto negli occhi e continuò a piangere. “Perché è il duemilaquindici.”

La sua bocca si serrò come lei sapeva che avrebbe fatto e la spines contro il muro con una forza che non sapeva lui possedesse. “Stai mentendo!” gridò, il suo volto incredibilmente vicino ora. “Dimmi la verità!”

Era shockata ed era certa che fosse visibile sul suo volto, perché anche se sapeva che era diversa ora, sapeva che probabilmente non l’avrebbe riconosciuta (non avrebbe voluto, non ci avrebbe creduto se anche l’avesse pensato) non aveva mai davvero creduto che Sirius Black avrebbe potuto fare del male a lei.

“Tu-” lei sussurrò. “Tu…”

Lui impallidì e si allontanò da lei, apparentemente realizzando cosa aveva fatto. E forse, solo forse, sospettava chi lei fosse – o forse era per il profondo tradimento che le si leggeva negli occhi.

Ci hai lasciati. Te ne sei andato quando avevo bisogno di te e nemmeno lo sai e non posso farti del male per questo ma voglio-

E lei tirò fuori la sua bacchetta dalla tasca, le lacrime che ancora scendevano sulle tracce rosse di rabbia sulla sua faccia e gridò “Sterno!”

Lui sembrò sorpreso per un momento prima di venir spinto lontano da lei e gettato per terra. Le diede un orrendo senso di soddisfazione perché lui non sapeva che lei era una strega o che fosse capace di una cosa simile. “Vulnero!” gridò, abbassando la bacchetta con uno sforzo – lui gemette quando le ferite sul suo petto iniziarono a sanguinare di nuovo.

Ed Hermione lasciò cadere la bacchetta, impallidendo alla realizzazione di ciò che stava facendo.

Si portò una mano alla bocca e cadde sulle ginocchia, mentre le lacrime continuavano a scendere.

“Porca miseria,” disse lui un momento dopo, tirandosi su contro il muro, malfermo.

Lei pensò che sintetizzasse il tutto piuttosto bene.

Era divertente, però, pensò Hermione. Perché lei stava di nuovo piangendo in un angolo ma stavolta lui lo sapeva. E, a differenza dell’altra volta, probabilmente non gli sarebbe importanto del forte dolore nel suo petto, il dolore di cui non era stata capace di liberarsi per tutto il tempo in cui lui non c’era stato. Era nello stesso punto dove c’era il cuore ma lei sapeva logicamente che il dolore proveniva dalla sua mente e non dal suo cuore. Ma allora perché le faceva male lì?

“Fottiti,” singhiozzò. “Anche se non è colpa tua!”

Lui incespicò fino alla bacchetta, senza nemmeno preoccuparsi di non darlo a vedere. La sua mano le si chiuse intorno e lei non lo fermò.

“Dimmi cosa sta succedendo,” sibilò. “E come fai a conoscermi.”

Hermione non rispose. Aveva già deciso che se la morte fosse arrivata a guardarla in faccia, le avrebbe lasciato fare il suo corso.

“Dimmelo!” ripetè, ma non riuscì ad usare un tono più alto di un basso sussurro.

E prima che lui riuscisse a fare qualunque cosa, lei lo stava abbracciando e piangeva e diceva in continuazione, proprio come aveva sentito prima – la cosa che aveva cercato di dire per anni senza mai riuscirci. “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, ho fallito…”

Non era certa del perché lui non l’avesse semplicemente respinta e chiesto una spiegazione di nuovo. Forse era per la strana connessione che aveva notato, o forse c’era ancora un po’ di quella bontà di spirito anche dopo dodici anni ad Azkaban che avevano eroso la sua sanità mentale. Ma rimase assolutamente immobile… finchè, infine, non chiuse le sue braccia tremanti attorno a lei e la sua testa si posò a riposare sulla spalla di lei.

“Perché?” le chiese, dolcemente. Era una domanda che aveva tanti significati, ma lei la considerò come perché ti dispiace, perché hai fallito…

“P-perché non ho potuto salvarti,” gli disse. “E non ho p-potuto salvarli…” perché dovrei essere la so-tutto-io, la miglior strega del mondo magico, ma non ho potuto fare niente…

“Quando hai mai…” esitò, come incredulo, “dovuto salvarmi?”

Hermione tirò su col naso. “Quando s-sei caduto oltre il v-velo… eri morto, lo credevamo tutti…”

Lui s’irrigidì e lei poteva sentire la sua mente lavorare. Noi? Sembrava pensare. E poi, più probabilmente, sa di quella cosa.

“Quanto-“ gli si spezzò la voce. “Quanto tempo fa?” chiese, rocamente. “Diciannove anni?”
Lei non riuscì a rispondere però, perché lui era reale, era solido e non era morto. Aveva davvero riportato indietro qualcuno, solo una persona e per ora era abbastanza.

Sirius sembrò realizzare che lei aveva raggiunto il limite perchè rimase zitto mentre lei l’assorbiva e piangeva.

Fu quando la sua mano si poso sul suo petto, però, che lei realizzò che qualcosa di caldo, bagnato ed appiccicoso era passato attraverso la sua maglietta ed era colpa sua.

“Io-“ si staccò improvvisamente, guardando il sangue sulla sua mano.

“Non ti preoccupare di quello,” mormorò lui, che adesso era un po’ arrossato ed esausto. “Sono stato peggio – credimi.”

Oh. Azkaban.

“Lo so,” Hermione deglutì. “Ma lasciami fare.” Prese la sua mano e lo guidò verso il divano, poi si precipitò in cucina a prendere il suo kit di primo soccorso. “Non ho pozioni mediche a disposizione, mi spiace – a-avrai notato che vivo in un quartiere babbano…” gli sorrise debolmente. “Ma farò il meglio che posso con quello che ho e preparerò qualcosa stanotte.”

Lui sbattè le palpebre pigramente, come a dire stanotte? Rimango? Esattamente quando l’hai deciso, quando mi hai lanciato in giro come una bambola di pezza o quando hai iniziato a piangermi addosso?

Lei l’ignorò educatamente ed iniziò a togliergli la maglia.

E lui, essendo l’immodesta persona che era, se la tolse facilmente. Il respiro le si bloccò in gola e sussultò.

Era molto peggio di quanto avesse immaginato. Bellatrix aveva davvero fatto del suo peggio – ovviamente, la magia oscura era la sua area di studio, ma Hermione non aveva mai visto un danno tanto devastante causato da quel particolare incantesimo.

“Ahi,” mormorò lei tirando fuori l’antisettico.

Sirius sorrise. “Già.”

Il sangue secco venne via facilemente ma Hermione si fermò per mordicchiare il taglio sul pollice, come faceva quand’era nervosa. Pensò per un momento se avrebbe dovuto avvisarlo dell’antisettico, ma sembrava meglio farlo e basta quindi ne versò un po’ sul suo fazzoletto e lo passò sulla ferita aspettandosi quantomeno una sequela di parolacce considerando con chi aveva a che fare.

Ma Sirius non battè ciglio.

Beh, in effetti l’ha presa senza nemmeno sussultare, immagino che me lo sarei dovuto aspettare…

Hermione tolse il fazzoletto, trasalendo alla vista della macchia rossa su di esso. Doveva fare davvero male.

Seguivano garza e nastro, il più delicatamente possibile, anche se non si era mai lamentato, e il bendaggio tutto attorno per essere certa che non passasse niente.

Quando ebbe finito, fece per passarsi la mano sulla fronte – dovette sbattere le palpebre un secondo per realizzare che le aveva preso il polso.

“Questo quand’è successo?” le chiese seriamente.

Hermione guardò in basso e quasi rise. Il taglio che aveva mordicchiato si era riaperto e il suo pollice era sporco di sangue. Prima che potesse rispondere, però, lui prese il fazzoletto e tamponò il sangue delicatamente, mettendoci un cerotto piuttosto velocemente per uno che dovrebbe essere un purosangue. Ah, ma è stato in fuga per qualche anno, deve aver imparato…

“Là,” le disse. “Molto meglio, mia cara pazza il cui nome inizia con “H”.” Per un momento si chiese come facesse a saperlo – poi vide il fazzoletto, che aveva le sue iniziali ricamate. Il suo volto era accigliato – chiaramente, stava cercando di trovare del comico nella situazione.

Raccolse tutto il suo coraggio, guardando oltre i suoi occhi nella piccola parte tormentata, la parte che probabilmente non l’avrebbe mai lasciato. Perché ne aveva viste di peggiori e aveva il diritto di sapere.

Allora bisbigliò la parola più spaventosa che avesse mai dovuto dire “Hermione.”

Lui sbattè le palpebre.

“Cosa?”

Oh ti prego signore fa che abbia sentito, non farmelo dire di nuovo. Ma lo fece comunque. “Il mio nome è Hermione, Sirius. Diciannove anni.”

Gli occhi di lui corsero alle iniziali sul fazzoletto. H.G.

Hermione Granger.
 

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