Charmed: the great power

di alip16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1. ***





Era una strana sensazione tornare in quella casa dopo tanto tempo, erano passati anni da quando Blaine se n'era andato e non aveva mai dimenticato quel posto.

Da bambino adorava andare a trovare la Prozia Phoebe, era divertente, buona e gli dava sempre le caramelle ricoperte di zucchero. Amava anche villa Halliwell, grandissima per giocare e piena di misteri da risolvere.
Quando erano ancora bambini, lui e sua cugina Rachel giocavano spesso a nascondino e quando si nascondeva in cantina, la vecchia Prozia andava su tutte le furie. Diceva che quello non fosse un posto per bambini e sicuramente non un luogo sicuro in cui giocare. Non seppe mai il perché di tale accanimento contro quel posto, ma mai Blaine avrebbe osato disubbidire a Phoebe.

Però era piccolo e si sentiva davvero al sicuro in quel posto, era come se qualcosa gli trasmettesse tranquillità e forza, come se potesse fare tutto quello che avrebbe voluto.
E questo per un bambino non è poco.

Invece Rachel era sempre incuriosita dalla soffitta. Le avevano negato il permesso di entrare dicendo che fosse solo piena di polvere e cose da buttare, ma ovviamente a Rachel Berry non si poteva ordinare niente e un paio di volte era riuscita a sgattaiolare fin sù in soffitta e quello che aveva scoperto l'aveva lasciata senza parole.
Vicino alla grande finestra in fondo alla stanza, era posizionata una pentola grande e rotonda. Era circondata da strani libri, molto grandi e sicuramente molto antichi. Sullo stesso tavolo era appoggiata una grande mappa di San Francisco, e un cristallo trasparente era disteso su di essa.

Impiegò circa tre secondi la piccola bambina ad andare a raccontare tutto al cugino. Gli aveva detto che probabilmente in quella casa qualcuno usava la magia, che uno dei loro famigliari era sicuramente una strega. Ovviamente Blaine non le credette e di tutta risposta la piccola Rachel gli schiacciò il piede con tutta la forza che aveva nelle sue piccole ballerine, gli fece la linguaccia e corse al piano di sopra a rintanarsi sotto le coperte della camera della zia, piagnucolando di quanto i maschi siano stupidi e insensibili.

Che poi ad essere sinceri, il dubbio era venuto pure a lui quando uno strano signore con chissà quale malattia in viso, gli disse che i poteri della zia non potevano proteggerlo per sempre, ma in quel momento gli sembrò solo un pazzo con una faccia davvero strana.
Per non parlare della signora anziana che avrebbe giurato di aver visto, con sei braccia. Insomma, in quella casa ne succedevano di ogni, ma lui si era rifiutato di attribuire tutto ciò alla magia, anche se a volte riusciva a percepire strane presenze vicino a lui, cose che non riusciva e non voleva spiegarsi, al contrario di Rachel che cercava spiegazioni in tutto, facendosi trasportare dall'immaginazione.

Crescendo, i due cugini si allontanarono sempre di più, vivendo in due luoghi completamente opposti e costruendosi vite lontani l'uno dall'altro.

Rachel scelse New York per i suoi studi, avrebbe sempre voluto diventare una grande star di Musical e la scelta le sembrò piuttosto ovvia. Furono anni felici, nei quali si impegnò enormemente per raggiungere il successo, studiò con i migliori insegnati e lavorò con i migliori artisti, finché non si ritrovò all'età di 27 anni, in un ambiente fatto di superficialità e apparenza.

Nessuno avrebbe mai detto che le star di Broadway conducessero una vita ancora più sregolata degli attori di Hollywood, ma Rachel aveva scoperto esattamente questo.
Party che venivano considerati di alto livello culturale, anche se non differivano per niente da quelli normalissimi delle superiori, venivano dati quasi tutte le sere e le amicizie erano fatte di pura aria. Rachel, se ne accorse nel modo peggiore, quando scoprì la sua migliore amica del tempo, darci dentro con l'allora suo ragazzo, nel bagno delle ragazze a teatro, quando tutti insieme erano andati a vedere la prima di un amico comune, che comunque era troppo ubriaco per accorgersi della loro presenza o assenza.

Si prese una pausa da quel mondo e cercò un altro lavoro, qualcosa di più tranquillo e si ritrovò a dare lezioni di recitazione in una modesta scuola appena fuori New York.

L'unica cosa che non era realmente cambiata negli ultimi sei anni era la relazione che condivideva con Jessie St.James, ragazzo che aveva conosciuto a teatro e con il quale aveva inizialmente avuto non poche schermaglie. Tra alti e bassi, la loro vena competitiva li aveva visti condividere una complicità e una passione invidiabile per dei ragazzi così giovani e concentrati sulla carriera.

Negli anni avevano imparato ad abbassare la guardia l'uno dall'altro e questo permise loro di conoscersi nel profondo. I propri difetti e manie non sembravano più così importanti e la paura del futuro era sempre meno presente.
Per questo ci misero poco a decidere di condividere un piccolo appartamento a metà strada dalle classi alle quali Rachel dava lezioni e il teatro, che Jessie frequentava ancora, anche se molto meno assiduamente da quando la sua migliore rivale si ritirò.

Era un bellissimo posto, ma Rachel sentiva che le mancava ancora qualcosa, non si sentiva interamente a casa. Certo, vivere con Jessie era incredibile, quel ragazzo era un vulcano di idee e un concentrato di talento assoluto, però una parte di lei non aveva mai abbandonato San Francisco, luogo dove aveva passato la sua infanzia spensierata.
Alla fine anche Rachel Berry sentiva nostalgia di casa.

Fu anche per questo, che quando ricevette la telefonata dell'ospedale nella quale le dicevano che la vecchia prozia Phoebe, era in condizioni non certo rosee, prese il primo volo e si catapultò nella stanza dov'era ricoverata la vecchia donna, ovviamente mai abbandonata dal suo ragazzo.

Non altrettanto fortunato fu Blaine a Los Angeles.

Arrivato là, cercando di costruire la propria vita intorno ad una carriera musicale, si trovò presto a fare i conti con un mondo non esattamente gentile e giusto come pensava che fosse fino a quel momento.
Quello che vide furono corruzione e ipocrisia fino all'ultima sfumatura.

Volevano tutti cambiare quello che era, dal nome al look. Blaine era troppo naif per quegli anni, sia per i vestiti che portava, che per le canzoni che cantava e componeva. Era troppo poco alla moda per far sì che le agenzie di Los Angeles scommettessero su di lui. Semplicemente non andava bene.

Così passò molti anni a cantare nei Piano bar, sperando di essere scoperto da qualche talent scout, ma così non fu, e Blaine riuscì a vivere a malapena degnamente con le mance e le piccole somme che riusciva ad arraffare di qua e di là.

Fu con l'arrivo del primo dei suoi tanti ragazzi che le cose cambiarono.
Era il ricco figlio di un dirigente e gli facilitò di molto la vita in California, così Blaine mise da parte il suo sogno e diventò in qualche modo famoso per essere famoso nel giro delle persone importanti. Era sempre alle feste giuste, circondato dalla gente giusta e improvvisamente il suo look non era più naif, ma ricercato. Non era più un passo indietro, ma due metri avanti a tutti.

Più si trovava al centro dell'attenzione, più ne voleva. E per averne era sufficiente qualche piccolo scandalo, vero o non vero, che riusciva a far avere ai giornali di gossip.

Cambiò molti ragazzi e molti passatempi diversi, si sentiva in cima al mondo, finché non si trovava nella calma del suo appartamento, senza nessuno che tenesse davvero a lui, senza nessuno che gli mostrasse un sorriso autentico e affetto disinteressato. Solo come non si era mai sentito. Solo davvero, non come quando suo fratello l'aveva dimenticato al supermercato e lui aveva girato di scaffale in scaffale per trovarlo.

Ma poi indossava i suoi pantaloni attillati, il gel e il papillon, e tutto ritornava come prima, i paparazzi lo seguivano ovunque andasse e con qualcuno di loro scambiava anche qualche convenevole sul tempo o sull'ultimo film uscito al cinema.

Salutava, sorrideva e andava da qualche parte a far finta di divertirsi, e più mentiva, più migliorava nel mentire. Sapeva di vivere una vita fatta di nulla, ma non gli importava molto. Si sentiva importante e poteva avere tutto, poco importava se il prezzo di tutto ciò fosse perdere sé stesso.

Quando ricevette la telefonata da Rachel sapeva che quello che averebbe sentito avrebbe distrutto quella sorta di equilibrio che si era venuto a creare nella sua vita. Precario, ma pur sempre qualcosa.

Non rispose.

Non rispose a nessuna telefonata e passò quello che i Tabloid definirono “la settimana nera di Blaine Anderson”.
Nessuno seppe mai cosa successe in quei sette giorni. Nessuno seppe mai come Blaine si svegliava nel cuore della notte da incubi troppo vividi per essere solo sogni.

Di quel lasso di tempo si seppe solo la decisione che ne derivò, ovvero tornare nell'ultimo posto in cui si era sentito sereno, San Francisco.

Impacchettò le sue cose e si preparò a tornare a casa, senza dimenticare di ascoltare i messaggi in segreteria e accorgersi che sì, aveva avuto ragione, le telefonate di Rachel portavano tutto meno che belle notizie.

Era davvero giunto il momento di tornare a casa. Destinazione villa Halliwell.

 

 

-

 

 

Ci avevano messo qualche giorno, ma ce l'avevano fatta. Rachel e Jessie avevano messo a posto decine di scatoloni contenenti la loro vita di New York. Era stato estremamente difficile prendere quella decisione, ma entrambi avevano convenuto che la loro permanenza nella Grande Mela era giunta alla sua fine.

Al funerale di Phoebe, c'era tutta la famiglia. Tutti i nipoti, cugini e bisnipoti erano presenti. Tutti eccetto Blaine. In realtà, Rachel c'era rimasta davvero male per questa cosa. Sapeva che nel corso degli anni si erano allontanati parecchio, ma pensava che Blaine sarebbe rimasto il gentile e sensibile ragazzino che aveva lasciato più di dieci anni prima. Credeva che, nonostante Los Angeles fosse una città in cui è davvero facile perdere sé stessi, lui ce l'avrebbe fatta a preservarsi almeno un po'. Evidentemente sbagliava.

Ad ogni articolo che usciva sul conto del cugino, sperava che per una volta riguardasse il suo debutto nel mondo della musica e non su quale ragazzo frequentasse o che marca di scarpe indossasse, ma ogni volta la sua speranza fu mal riposta.

Sospirò all'ennesimo conto dell'ospedale e posò la penna sul grande tavolo da pranzo, lo sguardo rivolto alla finestra. Fuori pioveva e il vento non accennava ad abbassarsi, gli alberi erano quasi piegati a metà e un'aria fredda si era imposta sull'estate più frenetica che Rachel aveva mai passato dai tempi del suo debutto, quando passava intere giornate a provare e provare, davanti allo specchio, con partner improvvisati o da sola.

“Sta arrivando l'inverno” disse Jessie, raggiungendola alla finestra.
“Sì, direi che questa tempesta è la prova che l'estate è ormai finita.” Gli prese le mani e le intrecciò alle sue, in un abbraccio. Lui le mise la testa sulla spalla, com'era sua abitudine ed entrambi intonarono una melodia, dolce e intensa, ma in qualche modo molto malinconica.

I ricordi bussarono alla porta della loro mente, trasportandoli in un luogo a loro molto familiare, il palcoscenico. Entrambi avevano quella scintilla negli occhi che gli assicurò ruoli importanti e riconoscimenti di ogni tipo, entrambi avevano quella passione che si vede raramente in ragazzi così giovani. Entrambi riuscivano ad amarsi senza riserve ed entrambi volevano andare avanti.

“Ok” disse lui lasciando la presa, “mettiamo via questi assegni e decidiamo cosa mangiare”. Si sedette sulla sedia, prese in mano un mazzetto di volantini con segnati i numeri dei take away della zona e mise il telefono sul tavolo. Rachel, impreparata ad uno stacco così repentino, rimase in un primo momento alquanto sorpresa dall'allontanamento del ragazzo, per poi raggiungerlo subito al tavolo e sedersi sulle sue gambe. Gli strappò di mano quei fogli e iniziò ad analizzarli con foga.

“Allora” cominciò la ragazza facendo linee e croci rosse su quasi tutti i volantini gesticolando con fare drammatico, “pizza no, perchè l'abbiamo mangiata ieri, cinese no perchè è troppo pesante e sono ancora provata dal thailandese dell'altra sera, poi...” Jessie guardò uno a uno i volantini venire bocciati dalla mano della sua ragazza, come sempre esigente e maniaca del controllo.

“Eh no mia cara,” la interruppe lui, togliendole i fogli di mano, con un gesto deciso ed elegante, “questa sera decido io!”.

Si alzò di colpo, facendo quasi cadere la sua ragazza e portò le mani con volantini e telefono in alto, così da renderli irraggiungibili da Rachel, che però, con un salto e molta fortuna riuscì a strappargliene di mano uno. Lo guardò e cercando di dissimulare il suo nervosismo sorrise soddisfatta. “Giapponese! Esattamente quello che volevo!”.

Jessie alzò un sopracciglio “Sarai anche una brava attrice, ma a me non riesci a mentire! Sarà pure giapponese, ma non è quello che volevi!” la fissò con le braccia conserte, sicuro di farla cedere.

Lei sbuffò, non voleva perdere e non gliel'avrebbe data vinta.

Continuarono il duello di sguardi per qualche secondo, finché furono interrotti dal suono del campanello all'entrata.

“Salvata dal gong!” sorrise Jessie alla ragazza che ricambiò non soffermandosi troppo sulle sue parole e avviandosi verso l'uscita.
“Certo, certo. Ma indovina chi non verrà salvato dal dormire sul divano!” ridacchiò.
“Dormire sul divano? Ti hanno mai detto che sei davvero la regina del melodramma?” chiese ironico il ragazzo
“Sì tu! Un milione di volte e per i motivi più stup-” non finì la frase Rachel quando, aprendo la porta, vide chi le stava di fronte.

“Ciao!” sorrise ad entrambi Blaine chiudendo l'ombrello ed entrando in casa al caldo.
“Blaine”, Rachel prese un grande respiro, cercando di non mettersi ad urlare dalla rabbia, “Che cosa fai qua?” lo fissò intransigente nei suoi occhi ambrati, ma non lo lasciò rispondere.
“Io ti posso dire cosa non ci fai qua. Non sei qua per aiutarmi ad assistere la zia all'ospedale, o con il funerale. Non sei qua per la veglia o per rispondere alle centinaia di telefonate e messaggi in segreteria che ti ho lasciato.”

Il ragazzo non risposte a nessuna di queste accuse, nemmeno tanto velate, e abbassò la testa farfugliando un qualcosa che somigliava tanto a delle scuse.

“Mi dispiace Rachel, è stato un brutto periodo e non-”
“Un brutto periodo?” lo interruppe la ragazza “un brutto periodo fatto di feste, ragazzi e soldi! Vuoi sapere com'è un brutto periodo? Vuoi sapere cosa è brutto? Vedere una persona alla quale tieni molto morire senza che tu possa fare nulla! Ecco cosa è brutto!”.

Le lacrime cominciarono a formarsi agli angoli dei suoi occhi, mentre Blaine abbassava la testa carico di dispiacere e di rabbia repressa che non riuscì più a trattenere.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto questo, so che non te lo meritavi, ma cosa ci posso fare? Mica ti ho chiesto io di mollare tutto e tornare qua! Mica ti ho obbligato io a farti carico di tutti questi problemi! Tu non puoi minimamente capire quello che ho passato io in questi anni, non sai che cosa è successo e cosa ho fatto. Non provare nemmeno lontanamente a giudicarmi sulla base di due articoli e un'intervista di chissà quanto tempo fa!”

Rachel lo fissava con grande incredulità, non aveva appena detto quello che aveva detto.

“Tu cosa? E sentiamo, se non avessi mollato tutto per tornare a prendermi cura della zia, chi l'avrebbe fatto? Tu?” gli puntò l'indice al petto, “E non è sicuramente colpa mia se in questi anni non ci siamo sentiti, Mr Anderson. Sbaglio o sono io quella che ha fatto per lo meno tre anni di telefonate a vuoto? Ma guardati, cosa sei diventato? Una specie di burattino nelle mani dei giornalisti, ecco cosa! Non hai più un briciolo di dignità o di credibilità, per questo sei tornato!”

“Senti, mi spiace che tu abbia dovuto abbandonare la tua grande carriera nel mondo dell'insegnamento agli aspiranti attori di serie Z, ma non è colpa mia e soprattutto non ho voglia di farmi fare la predica da una persona arrogante e presuntuosa come te!”

Entrambi erano paonazzi dalle urla e con le lacrime agli occhi dalla rabbia, avevano molto da sfogare e non avevano la minima intenzione di perdere questo scontro verbale.

“Dai ragazzi, così può bastare. Deponete le armi!” cercò di migliorare un po' la situazione Jessie, quando alla porta, rimasta aperta, intravide il muso di un gatto tutto nero.

“E tu da dove arrivi?” chiese fissandogli le iridi dal colore della Luna. Il gatto in tutta risposta iniziò a miagolare e a fare le fusa per tutte le attenzioni che stava ricevendo.
“Hai fame? Vuoi un po' di latte?” chiese al felino, accarezzandolo con delicatezza.

I due cugini si guardarono allarmati e prima che uno dei due avesse tempo di dire qualcosa, Jessie con tono rimproverante li precedette.

“Che nessuno dei due si azzardi a dire qualcosa. Viste quelle valigie all'entrata, sono più che sicuro che mi servirà aiuto per riuscire a sopravvivere a questa convivenza. Non è vero Nyx?”

Rachel aggrottò le sopracciglia e lo guardò di sbieco “Nyx? Che nome sarebbe Nyx?”

Il suo ragazzo non si prese nemmeno la briga di risponderle e dopo aver dato da mangiare alla gatta prese in mano il telefono e chiese a Blaine che pizza avrebbe voluto per cena.
Ovviamente la sua ragazza andò su tutte le furie e attuò quella che chiamava la 'punizione del silenzio' che durò tutta la cena, mentre Blaine raccontava a Jessie di quella volta che aveva incontrato il suo attore preferito ad una festa e si era fatto fare l'autografo su un fazzoletto di carta.

 

 

-

 

 

Era notte fonda e Rachel non riusciva a dormire, si rigirava continuamente nel letto cercando una posizione più comoda, senza riuscirci. Dall'altra parte, Jessie dormiva beato e in fondo alle coperte, in mezzo ai due, risposava la gatta, che dopo aver distrutto le tende della cucina e la poltrona del salotto, si appallottolò in quello che sarebbe stato il suo letto nella casa.

Rachel sorrise, per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva a casa e l'aver abbandonato New York non era più importante.

All'improvviso, la gatta alzò la testa e si mise a sedere sul letto, fissando gli occhi della ragazza che non poté fare a meno di ricambiare. Qualcosa in quel felino era diverso, era come se comunicasse con lei attraverso il suo sguardo. Come se vedesse qualcosa.
Si alzò in piedi, con un balzo raggiunse l'entrata della stanza ed uscì in corridoio.

Rachel la seguì fuori in punta di piedi cercando di fare il meno rumore possibile, sapeva quanto potesse diventare irascibile il suo ragazzo con una sveglia fuori programma, sopratutto dopo una giornata così stancante di trasloco.

Seguì la gatta fino alla scalinata che conduceva alla soffitta e fissò quegli scalini stretti, aveva la stessa strana sensazione e la stessa curiosità di quasi venti anni prima, con la differenza che quella notte ogni suo senso e l'istinto la trascinarono in quella soffitta senza che se ne rendesse conto.

Entrò facendo passi brevi e leggeri, come se non volesse farsi scoprire da qualcuno o come se non volesse svegliare un cane dormiente. Si avvicinò al fondo della stanza, guardandosi in giro con riluttanza. È incredibile come in tutti quegli anni di lontananza, la soffitta fosse rimasta esattamente la stessa, uguale a quando era una bambina di soli otto anni.

Una cosa mancava però, il grande pentolone e i libri che erano sul tavolo vicino alla finestra erano spariti. Di colpo le tornò in mente quando da piccolina era andata a raccontare tutto a Blaine e di come lui aveva riso di lei. Forse avrebbe attuato la punizione del silenzio per tutta la giornata successiva.

Senza che se ne rendesse conto, la micia la superò e raggiunse un vecchio baule di legno con rifiniture in metallo, posto sotto al tavolino posto al centro della stanza, illuminato lievemente dalla finestra appena dietro.

“Andiamo Nyx, non è il posto migliore per farsi le unghie!” esclamò la ragazza, appoggiando le mani sui fianchi e chiedendosi ancora una volta che gusti strani avesse il suo ragazzo per i nomi, “torniamo in camera” aggiunse. Ma ovviamente il gatto non ne voleva sapere, si sedette sopra il baule e prese a miagolare senza sosta.

Rachel si avvicinò allarmata, non voleva che i ragazzi si svegliassero e la trovassero in soffitta. Ignorava la motivazione, ma trovava quello un luogo dove passare del tempo in solitudine, o provare qualche canzone senza interruzioni e lamentele.

“Cerca di non fare troppo rumore, o sveglierai tutti!” bisbigliò mentre prendeva la gatta in braccio accarezzandola dolcemente. Quell'animale la faceva sentire strana. Non sapeva spiegarlo, era come se la guardasse dentro e vedesse ciò che fosse realmente, cosa che non capì subito, anzi.
Se ne stava andando, quando da lontano vide qualcosa brillare nel buio e ritornò sui suoi passi, lasciando che la curiosità la guidasse come sempre.

Aveva sempre avuto una certa dote nel ritrovare oggetti smarriti, come se solo pensandoli si materializzassero davanti a lei, ma aveva sempre attribuito questa capacità alla fortuna o al massimo al buon senso. Come tutte le persone normali, del resto.

Solo che a lei bastava concentrarsi e ritrovava spartiti creduti persi per sempre nella spazzatura, o addirittura microfoni abbandonati in qualche angolo del teatro, per non parlare dei libri di testo dimenticati nelle stanze che venivano ritrovati negli zaini a scuola. Bastava pensare ad un oggetto già visto, che si materializzava vicino a lei.
Non ebbe mai voluto dare una spiegazione a ciò e per questo non perse nemmeno tempo nel cercarla.

Lasciò andare il gatto, che si mise subito a sedere di fianco al grande e antico baule, facendo oscillare la coda a destra e a sinistra mentre la fissava con i suoi occhi chiari.

Rachel prese un grande respiro e con tutta la forza che aveva cercò di aprirlo e, notando che non fosse chiuso a chiave, riuscì nel suo intento quasi subito.

In un primo momento, si sentì delusa, perché trovò solo un vecchio tappeto con una sottospecie di vaso appoggiato sopra, ma una volta tolti entrambi gli oggetti, i suoi occhi s'illuminarono, perché sì, aveva trovato sia il grande pentolone, che l'antico libro.

Prese il contenitore in rame e lo poggiò sul tavolo, con un po' di fatica e si rimise in ginocchio davanti al baule per estrarne il libro, ricoperto di polvere.

La copertina era scura, in pelle, con il titolo che si vedeva a malapena, Rachel soffiò sulla superficie e ci passò la mano per pulirla leggermente, così da leggere meglio.

“Libro delle Ombre” sussurrò mentre lo aprì e un black-out colpì la casa, facendola rimanere senza elettricità. Rachel sussultò leggermente, colta dal buio improvviso ma non totale, data la luce della luna, sbucata nel cielo alla fine della tempesta, che entrava dalla finestra.

Le pagine erano consumate dal tempo, la carta giallo ocra. Ognuna mostrava delle immagini raccapriccianti e delle strane filastrocche, in rima. Passò le dita su alcune parole, sentendo la fibra della carta impregnata solennità.
Non credeva a quello che stava guardando, tutte le sue domande più nascoste stavano trovando risposta , o almeno cominciavano a trovarla e non era sicura le piacesse.

Ripercorse indietro tutte le pagine, tornando alla prima e lesse la dedica.

Alle generazioni future, che questo libro vi faccia trovare le risposte che cercate. Piper, Phoebe e Paige.”

Rachel sospirò.

“Come se fosse così facile” ridacchiò amara, ma la sua attenzione fu spostata sulla pagina dopo, la prima effettiva di quel libro pieno di rime.

Fu ammaliata così profondamente, che non si accorse del rumore al piano di sotto e del fatto che qualcuno stesse salendo le scale, chiamandola.

“Oh, eccoti qua! Ti ho cercata ovunque, ma dovevo immaginare di trovarti in soffitta, esattamente come quando eravamo piccoli!” esclamò Blaine, cercando di riprendere fiato dalla corsa appena fatta sulle scale.

“Stavo leggendo quando improvvisamente è andata via la corrente. Sai, mi sento molto in colpa per la discussione di questa sera e non riuscivo a dormire” sorrise leggermente. Si disse che evidentemente la cugina era ancora in regime di silenzio, finché non si accorse che lei nemmeno aveva notato la sua presenza.

“Ma cosa stai leggendo di così interessante? Rachel? Mi rispondi?” ma non ricevette risposta.

Gli occhi della ragazza si aprirono in sorpresa, mentre lei stessa rimase senza parole.
“Non ci credo!”

Il ragazzo si avvicinò un pochino, allungando il braccio, ma per qualche motivo si fermò subito, come se fosse la cosa giusta da fare, come se qualcun altro gliel'avesse sussurrato.

“Rach-”

Venne prontamente interrotto dalla cugina, che senza pensarci due volte lesse quella pagina ad alta voce.

Ascolta la parola delle streghe,
i segreti che abbiamo nascosto nella notte, 
i più antichi tra gli dei ho invocato,
la grande opera della magia ho cercato.
In questa notte e a quest´ora
l'antico potere ci onora. 
Manda i tuoi poteri a noi:
vogliamo i poteri, dacci i poteri!”

Nel momento esatto in cui Rachel finì di leggere quella che aveva capito essere una formula magica, una piccola scossa travolse la casa, un fascio di luce investì il lampadario al piano terra e il simbolo sul Libro delle Ombre s'infuocò qualche secondo attivandosi e attivando i poteri dei due cugini, confusi e leggermente impauriti.

La ragazza appoggiò il libro sul tavolo e si allontanò spaventata, mentre Blaine fece un paio di passi nella sua direzione, e nell'esatto momento in cui congiunsero le mani l'uno con l'altro, un'uomo apparse alle sue spalle.

Blaine sentì una voce mai sentita prima provenire dalle loro spalle e si girò, abbassandosi prontamente per evitare quella che sembrava una palla infuocata.

“Che cos'hai fatto?” chiese spaventato alla cugina, in preda ad un attacco di panico.
“Io-io non ho fatto niente!” deglutì “ho solo letto una filastrocca in quel libro!”
“Beh, annullala!” gridò spaventato “annullala!”
“Tutto questo non può succedere davvero!” gli rispose.

Lo strano uomo lanciò un'altra sfera di fuoco che sfiorò leggermente la ragazza e rise malignamente.

“A giudicare dal nostro divanetto che sta bruciando, lo è!” urlò il ragazzo.

La ragazza sbuffò, sperando che tutto ciò fosse solo un altro dei vividi incubi che popolavano i suoi sogni da quando la zia era ricoverata all'ospedale. Eppure sembrava fin troppo reale per essere davvero un sogno.

Chiuse gli occhi, quasi credendo che la risposta a tutto ciò piovesse dal nulla.
Ovviamente quando li riaprì vide che nulla era cambiato e che, al contrario, Blaine era sul pavimento con un braccio ustionato e sopra di lui quell'essere intento a dargli il colpo di grazia.

All'improvviso, nelle mani di Rachel si materializzò per magia, una spada e a metà tra la sorpresa e la paura la scagliò contro il nemico, separandogli il collo dalla testa. Nel giro di pochi secondi, il mostro si dissolse nell'aria come fosse vapore.

La ragazza si avvicinò velocemente al cugino, lanciando la spada lontana, in un angolo della soffitta.

“Tutto bene? Sei intero?” gli chiese aiutandolo ad alzarsi.

“Sì! Mi pare di sì!” rispose, prima di sentire un dolore acuto arrivargli dal braccio sinistro, dove nella confusione generale era riuscito a prendersi una sfera di fuoco.
Per qualche secondo non ebbe il coraggio di guardare in basso, verso l'ustione. Aveva paura di quello che avrebbe potuto trovare, una volta controllato. Ma con sua grande sorpresa, sembrava che quell'essere l'avesse preso solamente di striscio e appena se ne accorse, sospirò sollevato.

“A parte il braccio un po' bruciacchiato, direi che me la sono cavata abbastanza bene. Certo però, peggio di te che ne sei uscita come nuova!” rispose sollevato. Anche se avevano appena litigato, non voleva certo che alla cugina accadesse qualcosa.

“Ma da dov'è uscita quella spada?” chiese, indicando l'oggetto abbandonato a terra, con una certa curiosità negli occhi. Di certo non era una cosa che poteva trovarsi in quella soffitta sgangherata, ma chi poteva dirlo, ormai non c'erano più grandi certezze nella sua vita.
“Se te lo dicessi, non ci crederesti mai” rispose titubante.
“Sono sicuro, dopo tutto quello che è successo questa notte, di sì!” cercò di tranquillizzarla prendendole la mano, cercando di darle sicurezza.

Per tutta risposta Rachel sorrise, chiuse gli occhi e prese un grande respiro “Semplicemente ho provato una grandissima paura e ho visualizzato nella mia mente qualcosa che speravo potesse essere utile. Tutto qua.”

Blaine non rispose, limitandosi a fissare il proprio braccio, con le lacrime che iniziavano a farsi vedere, agli angoli degli occhi.

La ragazza, pensò che il cugino non le avesse creduto minimamente e che l'avesse presa per una squilibrata. Magari lo era davvero. Magari aveva appena avuto delle allucinazioni alquanto vivide e in realtà non era successo niente. Magari stava sognando e si sarebbe svegliata accanto a Jessie che dormiva profondamente al suo fianco. Magari.

Aprì gli occhi, speranzosa, ma quello che trovò fu Blaine che cercava di assimilare tutto l'accaduto.

Non le aveva risposto, si era semplicemente limitato a fissare il nulla per qualche secondo mentre cercava di non pensare al dolore che gli provocava l'ustione al braccio.

Rachel sospirò e andò diretta verso al tavolo con il libro.
Da lì erano arrivati i problemi e probabilmente in una di quelle pagine ci sarebbe stata una soluzione, o se non altro una spiegazione a tutto quello che era appena accaduto. Non aveva bisogno di nuove sfide, quelle che aveva appena superato erano più che sufficienti e aggiungere altro stress al suo sistema nervoso non avrebbe fatto bene né a lei, né alle persone che le stavano intorno.

“Pensiamoci domani” la fermò Blaine dopo pochi passi.

Si girò, cercando lo sguardo del ragazzo e lo trovò subito, le sorrideva tranquillo. Rachel alzò le sopracciglia sorpresa e prima che potesse dire niente venne preceduta.

“Andiamo a letto e pensiamoci domani, ok?” le disse.

Lei lo guardò un po' scettica, ma si disse che tanto l'indomani sarebbe stato ancora tutto uguale e che una bella dormita avrebbe fatto bene ad entrambi. Se fossero riusciti ad addormentarsi, certo.

“Vuoi una mano con quel braccio? A disinfettarlo intendo” si avvicinò la ragazza.
“No grazie, faccio da solo. Torna pure a letto dal tuo ragazzo e cerca di dormire se riesci”
“Come vuoi, ma domani vediamo di capire cosa succede, non voglio fare un giro in psichiatria così giovane!”

Risero insieme. Per spezzare la tensione, o per fingere che fosse tutto normale e per circa tre secondi lo sembrò, poi la consapevolezza che ormai più nulla di normale era rimasto di loro li prese alla sprovvista e, mentre Rachel sorrise amara e tornò a letto come l'era stato suggerito, Blaine andò al bagno del primo piano a disinfettarsi la ferita.

Si guardò allo specchio, e dopo tanto tempo ci intravide qualcosa di suo, qualcosa di vero; nonostante la situazione a dir poco incredibile, passare la giornata a villa Halliwell gli restituì qualcosa della sua essenza, un pezzo di sé stesso che mancava da molto tempo.

Forse era anche arrivato il tempo di fare un giro in cantina dopo tutti questi anni di vieto. Rise eccitato dall'idea, il bambino che era in lui non stava più nella pelle, ma era stanco ed era stata una giornata molto lunga e strana. Probabilmente quella di andare a letto non era affatto una brutta idea.

Aveva tempo, aveva tutto il tempo del mondo per cercare di rimettere a posto la sua vita.

 

-

 

Quelle ore non furono tranquille per nessuno dei due cugini. I loro sogni furono infestati da immagini raccapriccianti ed entrambi sentivano che c'era qualcosa in più, come se la loro mente avesse voluto comunicare con loro.

E mentre Rachel si ritrovò in un luogo oscuro a combattere contro sé stessa, o una copia di sé molto aggressiva e abile con la sciabola, Blaine era intrappolato in un labirinto, inseguito da un branco di lupi, mentre una scia di smeraldi lo conducevano verso quella che sperava fosse l'uscita.

Fu una lunga notte per entrambi, speranzosi di svegliarsi e di continuare la loro vita normalmente, facendo finta che la notte appena passata non fosse mai esistita.







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Ed ecco finalmente il primo capitolooo!!! *fa la ola*
Vi sono mancata? Ceeerto!

Bando alle ciance!!
Come avrete -certamente- capito questa non è una ff incentrata su storie d'amore (che non mancheranno), ma sulle avventure di questi due cugini (o almeno, ci prova!!)

Ringrazio ufficialmente la Mirma per il supporto (nel senso che mi ha dovuta sopportare... porella) e la Clà per la fiducia u_u
Ringrazio Aaron Spelling per aver creato il mio tf preferito ever, ringrazio Murphy per aver rovinato Glee e avermi spronata a scrivere (perchè tanto peggio di così!) e ringrazio chiunque capiterà qua, anche per caso.
Vi lascio il link della mia pagina che va sempre bene per spoiler e affini.

A presto con nuovi personaggi (alcuni conosciuti -Sebbu-, altri no -Ariel-) e altre belle cose!! =w=
ali
 

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Capitolo 2
*** 2 ***





“Caffè?” chiese la pimpante Rachel al cugino appena entrato in cucina.

Blaine sbadigliò e si portò una mano tra i capelli liberi dal gel; non gli dispiaceva lasciarli liberi di tanto in tanto. Le sorrise e si sedette.
“Grazie” rispose non appena la ragazza gli appoggiò la tazza sotto al naso, l'aroma forte e penetrante gli arrivò fino al cervello e si levò di dosso un po' di sonnolenza che gli era rimasta dalla notte non troppo tranquilla appena passata.

“Che occhiaie! Passata una brutta nottata?” gli chiese Rachel, utilizzando non esattamente troppa delicatezza. A volte avrebbe voluto tanto strozzarla, poi però lasciava correre. Dopotutto era l'unica parente che gli rimasta e un po' ci teneva a lei.

“Uhm sì, più o meno.. Direi più che altro strana.” rispose guardando un punto non preciso nel caffè fumante “ho fatto un sogno piuttosto bizzarro e-” non fece in tempo a finire di raccontare che fu bruscamente interrotto dalla cugina.
“Anche io ho fatto un sogno stranissimo! Pensa, ho sognato di combattere contro me stessa... con la spada! Una uguale a quella che ho materializzato ieri!” urlò le ultime parole, sperando di lasciare Blaine senza parole, ancora confuso dal proprio sogno e abbastanza seccato dall'ennesima interruzione.

“E questo non è tutto.”
Blaine alzò lo sguardo e fissò la ragazza, che messa da parte l'eccitazione iniziale, si fece sempre più cupa.

“Ero senza bocca, capisci? Non avevo la bocca!” iniziò a gesticolare allarmata e a parlare a perdifiato del sogno, di quello successo la notte prima. Continuò per almeno venti minuti, impedendo al cugino di dire la sua. Poi, si alzò di scatto dalla sedia e dopo alcuni passi verso una direzione indefinita si girò verso il ragazzo.

“Tu che ne pensi di quello che è successo questa notte in soffitta?” gli chiese leggermente più rilassata da quel monologo infinito.

Blaine era ancora seduto e sorseggiava il suo caffè indeciso se dire alla cugina che aveva perso il filo molto tempo prima e che di conseguenza non aveva ascoltato più niente, ma si rese conto quasi subito, mentre lei lo fissava negli occhi speranzosa di una risposta, che tutto quel discorso era servito più ai suoi nervi che a fare il punto della situazione.

Aveva imparato, mentre era a Los Angeles, che dei discorsi e delle discussioni, le persone ricordano ben poco. Magari com'è iniziato, qualche insulto a metà e alcune parole finali, ma niente di più. Le parole, inconsistenti come il vento, lasciavano il tempo che trovavano e soprattutto non lasciavano segni tangibili. Quindi gli era bastato poco per capire che, sotto a tutte quelle parole ansiose e terrorizzate, a Rachel eccitava l'idea di avere poteri magici, di essere una strega.
Lui in realtà, non sapeva bene cosa pensare. Dopotutto, anche se tutta quella storia fosse stata vera, non sapeva nemmeno se avesse dei poteri e in caso, quali fossero. Insomma, per lui era ancora tutto molto surreale, ma era come se sentisse qualcosa dentro che avesse voluto uscire ad ogni costo, come una scarica di energia che impaziente aspettava il momento giusto per mostrarsi.

Sospirò. “Non so Rachel, è stato tutto così...incredibile”
“Ma non per questo meno reale” rispose quasi subito “il tuo braccio ne è la prova”

Il braccio. Quella era l'unica prova rimasta dalla notte precedente. Ma avrebbe potuto tranquillamente essere mille altre cose. Una scottatura da ferro da stiro, o da piastra per capelli. Oppure no?

Cosa potrebbe spiegare una bruciatura di quella portata, cosa potrebbe spiegare lo stato della soffitta, cosa potrebbe spiegare i sogni assurdi quanto terrificanti. Tutte domande con una risposta - oltre all'infermità mentale - e tutte domande alle quali in cuor suo, Blaine non avrebbe mai voluto rispondere. Né alla cugina, né a se stesso.

Abbassò la testa, in direzione della ferita. In realtà il braccio gli faceva ancora male, pulsava e ogni due ore doveva cambiare le bende per non farla infettare.
“Forse hai ragione” sorrise, visto che si trovavano dentro a questo vortice di cose, tanto valeva fare buon viso a “curioso” - e mortale - gioco.

“Bene, strega, cosa suggerisci di fare, ora?” chiese con evidente tono ironico. Tono che non fu minimamente riconosciuto da Rachel che partì in quarta.
“Allora, per prima cosa io direi di studiarci per bene il libro che è in soffitta. Giusto per capire se riusciamo a... capire! Poi direi di iniziare anche di cercare di padroneggiare meglio i nostri...em, poteri”. Non poteva farci niente, ma un po' stupida si sentiva a pronunciare certe parole con così tanta naturalezza, come se fossero cose di tutti i giorni. Poi guardò il cugino, con un'espressione tra il divertito e il confuso “e forse è meglio capire se anche tu hai qualche... potere... come il mio!”

Tossì, per riprendere il discorso, comunque in imbarazzo per aver usato ancora quella parola.

“Io credo di aver più o meno capito come funz-” non finì la frase, che un grande rumore all'entrata la interruppe.

Nonostante la notte appena passata, le congetture e i pensieri, i cugini non erano comunque preparati ad affrontare una qualsiasi minaccia, in più, Blaine aveva anche il braccio ancora inutilizzabile dall'ultima visita inattesa.

Si guardarono per una frazione di secondo, confusi e impauriti, e corsero verso al rumore di porta sfondata e vetri rotti.

Il cuore di Rachel batteva fortissimo, era certa che se non ci fosse così tanto rumore, si potesse sentire rimbombare per tutta la casa. Cercava di rimanere con la mente fredda, mentre il suo istinto o spirito di sopravvivenza, le diceva di scappare dalla parte opposta; respirava a fondo per riuscire a calmare i suoi nervi.

Cosa che non servì a molto, quando arrivò all'entrata e lo vide.
Non era troppo spaventoso, infatti il suo aspetto era piuttosto normale, tranne per qualche dettaglio. Era un uomo – o almeno lo sembrava – molto alto, quasi un gigante, dalla stazza enorme, senza un pelo o capello che fosse. Ma più di tutto, ne tradivano l'identità i suoi occhi, completamente neri, completamente oscuri. Erano due pozzi infiniti di crudeltà e paura.
Non esattamente chi vorresti davanti alla porta di casa tua.

Erano tutti e tre in piedi senza muoversi, cercando di studiarsi l'un l'altro, ma Blaine e Rachel erano più che altro paralizzati dalla paura e nessuno si azzardava a fare una mossa o a dire una parola.
Fino a quel momento.

“Hahaha!! Siete ridicoli” rise in un modo così angosciante che venne la pelle d'oca ad entrambi. “Siete pietrificati dalla paura. Lui aveva ragione, non sapete nemmeno cosa state facendo. Beh, questo mi porta in netto vantaggio.”

Al contrario del mostro incontrato la notte prima, non lanciava palle di fuoco, ma quelle che avevano l'aria di essere sfere fatte di elettricità.

“Lui?” chiese Rachel, cercando di mantenersi lucida, benché fosse paralizzata dal terrore. Sì, doveva cercare di prendere tempo per pensare a qualcosa. Anche se era molto difficile pensare al da farsi con quel 'coso' che continuava a lanciare sfere in continuazione.

Serviva qualcosa per proteggersi, qualcosa che dava il tempo di respirare un attimo e pensare, le serviva uno -
“Scudo!” gridò Blaine, in direzione della cugina.
“Prego?” lo guardò confusa, strizzò gli occhi, per sentire meglio “cosa?”
“Cerca di materializzare uno scudo! Io ti copro!” le rispose
“Tu cosa? Non ci provare! Sei ancora ferito da ieri sera! Non mi sembra il caso! Non sai nemmeno quali siano i tuoi poteri! Pensiamo a qualcosa d'altro!”, ma il cugino non aveva la minima intenzione di ascoltarla, questa volta.

Le sorrise e fece uno scatto verso la poltrona più vicina.
Rachel era sbalordita dalla rapidità con cui arrivò al salotto e scosse la testa. Doveva concentrarsi.

Durante la nottata insonne, aveva provato ad esercitarsi con i suoi poteri e se all'inizio si era solo innervosita dalla sua incapacità di controllare il proprio dono, poco alla volta riuscì a padroneggiarlo con grande abilità. Prima un fiore, poi una forchetta infine un microfono. Era riuscita più o meno a capire il meccanismo. Solo che uno scudo in grado di proteggere due persone, o addirittura crearne due, era uno sforzo incredibilmente impegnativo. Aveva bisogno di tempo e calma per concentrarsi al meglio. Insomma, non era esattamente la situazione ideale con quelle sfere che stavano distruggendo la casa e Blaine che scattava di qua e di là come una volpe.

“Concentrati Rachel, ce la puoi fare! Sei uscita viva dalla prima di Chicago, puoi fare anche questo. Ce la puoi fare.” Chiuse gli occhi, avvertendo qualcosa dentro di sé, come una scintilla, che si espanse per tutto il corpo. Energia che le scorreva in ogni vena, in ogni nervo, una sensazione orribile e fantastica nello stesso tempo. E poi la sentì, tutta concentrata nelle mani, nelle dita e con grande sforzo riuscì a generare uno scudo. Un bellissimo scudo, fatto di pura energia, con fronzoli e ornamenti degni di un artista del Rococò. Ghirigori e fiori che si intrecciavano creando un pattern elegante e vivace, che andava a confluire in cima dove, sovrana, era incisa la triscele disegnata sul libro delle ombre. Di certo era bellissimo, ma non era certa fosse grande abbastanza per entrambi.

Si alzò di scatto chiamando il cugino, felice della prova appena superata, ma probabilmente muoversi così velocemente era stata una pessima idea, perché nell'istante in cui lo fece, tutta la forza che aveva nelle gambe venne meno e si ritrovò ancora per terra, a respirare affannosamente allo stremo delle forze.

“Rachel!” la chiamò Blaine, “Rachel, cos'hai?” la raggiunse preoccupato. Con suo grande stupore, vide lo scudo per terra. Lo prese e per assicurarsi che era davvero in grado di respingere gli attacchi del demone, si alzò e se lo mise davanti. Tutto quello che riuscì a sentire fu un grande caldo e qualcosa che rimbalzava sullo scudo stesso.

Fiero di quella protezione, la usò per portare la cugina al riparo, dietro al grande tavolo che aveva ribaltato in precedenza, a creare un'ulteriore protezione.

Il demone ghignò e con la sua voce profonda si scagliò sui ragazzi ancora una volta.
Lui sarà così felice quando gli porterò i vostri corpi senza vita, soprattutto quando gli porterò il tuo!” aggiunse indicando nella direzione del ragazzo, che si sorprese non poco.

“Scusa?” chiese indicandosi “Il mio? cosa vorrebbe dire questo?” era una minaccia? Un modo per spaventarlo? O peggio?

Il demone si limitò a ridere in maniera alquanto inquietante, poi Blaine la sentì.

Una rabbia mai provata prima e un odio talmente freddo che credeva di sentire le proprie ossa congelarsi come fosse in un freezer. Di certo non erano emozioni sue, ma di chi? Per quanto potesse essere petulante e strana, Rachel non era sicuramente così fredda. Era rimasta solo un'opzione. Il demone. Ma com'era possibile che riuscisse a sentire ciò che provava quell'essere? I demoni provavano emozioni?

Non fece in tempo a cercare risposta queste domande che un'altra scarica di sfere arrivarono nella sua direzione e riuscì ad alzare lo scudo appena in tempo per proteggersi.
Percepiva ancora tutta quella rabbia, come una grande energia che lo caricava. Energia.
Dal momento in cui lo capì, successe tutto automaticamente.
Si concentrò su quella rabbia, aprì una mano e generò una sfera elettrica. La mosse in direzione del demone, che troppo sorpreso non riuscì a scansarsi in tempo e si ferì alla spella destra.

Stava per contrattaccare, quando una voce fece eco per tutta la casa.
“Basta così Bardok, puoi tornare. Sono molto soddisfatto.”
“Ma, signore. È sicuro?” rispose con tono sommesso.
“Sì. Hai fatto un'ottimo lavoro.” e l'eco sparì.

Blaine era immobilizzato con un'espressione indecifrabile in volto, il suo corpo attraversato da una forte pelle d'oca e la bocca troppo secca, senza più salivazione. Cosa che Rachel non ignorò.
“Blaine!” disse correndo verso il ragazzo, “stai bene?”
“I-Io...Sì, sto bene. Ho una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma per il resto tutto bene” non capiva perchè si sentisse così. Forse era una reazione all'energia negativa di quel demone, o forse era stata quella voce.

Quella voce.

Era sicuro di averla già sentita da qualche parte, solo non si ricordava dove. Non si ricordava di averla sentita ogni notte, da qualche mese a questa parte, in ogni suo sogno.

“Aaargh” l'urlo di Rachel lo riportò alla realtà molto velocemente.
“Che c'è? Un altro demone?” chiese allarmato.
“La casa! La nostra casa è un disastro!” rispose la ragazza.

Blaine sospirò. “Stai scherzando?” la guardò con un pizzico di delusione e amarezza. “La casa? Ti stai preoccupando dello stato della casa? Che esagerata.”

“Non trattarmi come una stupida! È l'unica cosa che ci rimane della nostra famiglia. Sì, oltre a tutta questa storia dei demoni, ovvio. Dobbiamo tenerla in piedi!”
“Non sei una strega? Fai un incantesimo e metti tutto a posto!” le rispose allargando le braccia, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Dopotutto, avevano dei poteri ed il minimo che potessero fare era usarli.

Rachel spalancò gli occhi, effettivamente era un'ottima idea.
“Ma non so come si fa!”
“Sei un'attrice, improvvisa!” le sorrise, se esisteva qualcuno con le capacità, quello era Rachel e la sua parlantina paralizzante.

Lei sospirò.
“Ok, fammi pensare”, prese carta e penna e si sedette circondata da un silenzio quasi religioso.

“Fai pure con calma” disse il ragazzo, mentre faceva un giro per controllare lo stato dell'entrata, del salotto e della sala da pranzo. La porta era sfondata e in frantumi, il salotto in fiamme e della sala da pranzo era rimasto qualche pezzo di legno, utile per un falò in spiaggia.

Raccolse una foto da terra che ritraeva loro due, molti anni prima, in braccio alla loro nonna, morta due giorni dopo lo scatto. Un velo di malinconia gli riempì gli occhi di lacrime appena accennate; date le ultime novità sulla famiglia Halliwell, chissà com'era morto il resto della famiglia, in verità.
Ormai non riusciva più a credere alla storia dell'incidente che gli portò via i genitori e gli zii. Troppe stranezze, troppe coincidenze. Ma era davvero troppo stano per pensarci in quel momento.

Ributtò la foto per terra e continuò il giro in quella che prima era la sala da pranzo.

“Eureka!” gridò la ragazza dall'altra parte del corridoio. Si girò verso di lei giusto il tempo per sentire il primo incantesimo ufficiale di quel curioso duo.

Il disordine in questa stanza passato diventi,
così che l'ordine all'istante faccia tutti contenti”

Blaine alzò un sopracciglio con fare deluso, davvero sperava in qualcosa di più...elaborato, ma l'effetto fu quello sperato.

Mentre la porta si ricomponeva di ogni suo pezzo, come fosse un puzzle intricato, il tavolo e le sedie della sala da pranzo ritornarono al loro originario aspetto, la carta da parati si rimise al suo posto e la fodera delle poltrone riprese il suo squillante e vibrante colore.
Era come se una brezza leggera, riordinasse tutto, come se la casa non aspettasse altro; di certo era abituata a queste cose.

Rachel si guardò intorno soddisfatta.
“Ecco fatto” sorrise radiosa. Il suo primo incantesimo. Era davvero orgogliosa di quel che riusciva ad affrontare sotto pressione. A volte si faceva prendere dal panico, ma riusciva a calmarsi e poi dava il meglio di sé. Questa era una delle qualità che possedeva che amava di più. Nonostante attacchi di panico e nervi a fior di pelle, nulla le impediva di combattere per il suo obiettivo e niente e nessuno le impediva di ottenerlo. Amici, familiari, Jessie.

Jessie.

Il suo sorriso si ripiegò su se stesso molto velocemente e con una sensazione sgradevolissima alla bocca dello stomaco si lasciò cadere per terra, una mano sulla bocca e una sulla pancia, come a trattenere un conato di vomito. Le lacrime arrivarono non seppe da dove e iniziavano ad offuscarle la vista, con la porta d'entrata che si sfocava sempre di più.

Blaine, accorse subito e cercò di capire cosa stesse succedendo, se fosse ferita o esausta o se fossero lacrime di gioia. Capì subito che quelle, erano tutte meno che lacrime di gioia. Dalla ragazza sentì solo alcuni singhiozzi e brontolii, non capiva davvero che cosa stesse dicendo e di cosa stesse parlando.

“Come farò?” piangeva la ragazza.
“Rachel, come farai a fare cosa? Spiegati!” cercava di essere d'aiuto, ma in qualche modo, sentiva che non avrebbe potuto fare niente per quello che provava la cugina. In qualche modo, nel suo profondo, sentiva chiaramente quello che la ragazza provava e fu investito da un'onda di emozioni terribili. Angoscia, paura, rammarico e senso da colpa. Ma ancora non capiva il perché.

Quel perché, rientrò in casa in quel preciso momento, sorridente e all'oscuro di tutto.

“Hey, ragazzi! Finito di litigare?” salutò allegro Jessie. Allegria che durò circa due secondi quando vide la sua ragazza accasciata sul pavimento all'entrata, in lacrime.
“Rachel!” si affrettò verso di lei, “cos'è successo? Perché stai piangendo?” tentò di chiedere, mentre l'aiutava ad alzarsi. Girò leggermente la testa verso Blaine, che non aveva ancora aperto bocca, insicuro su cosa dire. Lui scrollò lentamente le spalle mimando un 'non lo so' e cercò una scusa plausibile, che ovviamente non trovò.

“Non è niente” rispose Rachel, cercando di rimettersi in sesto, “un crollo nervoso, credo. Ma ora sto bene. Grazie” sorrise debolmente e si alzò in punta di piedi per baciare il suo ragazzo, ancora visibilmente preoccupato.

“Ok, perché io ho ottime notizie.” sorrise.
Oh, quel sorriso. Funzionava contro ogni malessere di Rachel. Secondo lei, sicuramente sarebbe riuscito a guarire anche un cancro. Niente la faceva stare meglio. Si alzò ancora sulle punte e gli rubò un altro bacio, felicemente e confusamente ricambiato.

“Quali?” chiese ricambiando il sorriso, come nulla fosse accaduto.
“Ho trovato lavoro al New Conservatory Theatre!” spiegò entusiasta.

Impiegò l'ora successiva a fare la ricostruzione di come si era presentato negli uffici del direttore del teatro e gli avesse fatto un provino così su due piedi. Ovviamente l'uomo l'aveva subito adorato e dopo venti minuti di contrattazioni sullo stipendio, sulle ore settimanali e su alcuni cambiamenti che voleva apportare ai test di ingresso, fu assunto ufficialmente come nuovo insegnante di recitazione.
Raccontava di com'era felice di tornare a dare lezioni in teatro e di come la sua vita stesse tornando alla normalità, mentre si adattava alla nuova città.

Mentre ascoltava quelle parole, gli occhi di Rachel ricominciarono ad appannarsi leggermente e con una scusa abbandonò quell'avvincente conversazione, direzione soffitta.

Entrò e ritrovò la stanza esattamente come la sera prima, quando il demone non aveva distrutto o mandato a fuoco tutti i loro ricordi. Probabilmente l'incantesimo di poco prima, aveva funzionato su tutta la casa, non solo sul piano inferiore. Sorrise all'eventualità di non dover mai pulire tutta quella villa.

Si avvicinò con passi veloci al tavolo con il Libro delle Ombre e riprese a sfogliarne le pagine, più in sovrappensiero che altro. Vedeva scorrere uno dietro l'altro, disegni di esseri infernali e creature assurde cercando di costringere il cervello a prendere tutto per vero.
Demoni, stregoni, unicorni, fate, sirene, tutto quello che la sua mente pensava come fantasia infantile, si rivelava esistere. Pensava a questo e a come avrebbe fatto con la sua vita. Non sapeva cosa fare, dire a Jessie la verità o tenerlo all'oscuro. Ma questo, l'avrebbe messo di sicuro in pericolo e Jessie era la persona alla quale teneva di più, era la cosa più preziosa che possedeva. Stare con lui significava privarlo di una vita normale o addirittura di una vita.

Era così concentrata nei suoi pensieri, che ancora una volta non sentì Blaine che entrò in soffitta.
“Il tuo ragazzo sa essere anche più petulante di te, se s'impegna!” cercò di sdrammatizzare l'aria pesante formatasi nella stanza, a vuoto.
Poteva sentire la disperazione della cugina, ne provava il tormento.
Aveva capito quale fosse il suo potere, ma quello non era proprio il momento adatto per parlarne. Le mise una mano sulla spalla e cercò di sussurrare nella maniera più gentile possibile.
“Cosa c'è, Rachel?” la risposta gli arrivò in un sospiro.
“Sai che di me ti puoi fidare, dimmi cosa ti affligge. Sono diventato bravo ad ascoltare.”

Come prima, l'unica cosa che riusciva a sentire erano brontolii e versi ambigui.
“È...è per lui, vero?” chiese serio, ma in qualche modo gentile “per Jessie”

La ragazza respirò singhiozzando e si asciugò le lacrime che le rigavano il viso; cercò di calmarsi, ma più pensava e più cadeva nella depressione.
Insomma, un segreto era aver macchiato i cuscini del divano con il pomodoro della pizza, un altro è essere una strega e rischiare ogni giorno la vita. Tua e quella delle persone che ti circondano.

“Ok, ascoltami” le disse il cugino, appoggiandole le mani sulle spalle, sostenendola sia con i gesti che con le parole. “Senti, non ti dirò cosa devi fare, non ti darò consigli inutili su cosa è meglio e cosa no. Ma devo dirti che ci sono cose nella vita che sono estremamente difficili da guadagnare. La fiducia, l'amore, il rispetto. Sono le cose più complicate da donare a qualcun altro, non sottovalutarle. Ci sono persone che muoiono prima di aver la possibilità di trovare qualcuno che le meriti,o prima di potersi rendere conto che magari quel qualcuno è sempre stato lì. Perciò davvero, pensa bene prima di prendere una decisione, ma non costringerti a scegliere cosa è meglio e per chi. Segui quello che ti dice il cuore, e se ne hai bisogno, temporeggia. Non c'è nulla di male nel prendere tempo quando si tratta di seguire quello che dice il cuore, specialmente se si tratta di vita o di morte.”

Non osò rispondere a quel bellissimo discorso, ma Rachel notò che verso metà, gli occhi d'orati e brillanti di Blaine, erano diventati ancora più lucidi del solito e si limitò ad annuire man mano che sentiva quelle parole, sempre più convinta fossero giuste.

“Ok” tirò su con il naso. “Ok hai ragione, devo pensarci un po' su. Non sono decisioni da prendere così su due piedi. Ne va comunque di due vite.” disse, trovandosi d'accordo con sé stessa.
“Fai anche tre.” rispose un po' stizzito Blaine. Dopotutto, loro erano la sua famiglia e l'ultima cosa che avrebbe mai voluto era quella di vedere la propria famiglia in pezzi.

“Senti” chiese la ragazza “secondo te chi è quel lui di cui parlava quel demone... Barlock?”
Blaine alzò le sopracciglia, curioso e si diresse verso il Libro Delle Ombre. “Non ne ho idea, ma magari il libro potrà risponderci, dopotutto è a questo che serve, no?” chiese retorico. “A proposito, mi sa che dobbiamo studiarlo un pochino. Può essere utile.” disse girando le pagine delicatamente.

“Hai ragione, focus.” annuì.

Sfogliare il Libro Delle Ombre era come immergersi nei desideri più profondi di una persona. C'erano incantesimi per ogni cosa; per creare porte, muri o passaggi. Incantesimi d'amore, per soggiogare le menti e per leggere nel pensiero. Furono incuriositi da quello della verità e intrigati da quello del sapere. Rime che potevano donargli fortuna, fama e chissà cos'altro.
Sicuramente avrebbero dovuto stare attenti a non farsi tentare troppo, perché sicuramente esistevano regole da rispettare che non comprendevano il poter utilizzare quegli incantesimi per delle sciocchezze.

“Fermo, fermo, fermo!” gridò Rachel all'improvviso “torna indietro!” e il cugino ubbidì, certo di aver perso qualche decimo di udito dall'orecchio destro.

Barlock
Demone di grande potere.
Di lui si sa poco, se non che è sotto il controllo di un potente stregone o angelo nero.
Alla ricerca di grandi poteri, non uccide quasi mai le sue vittime, preferendo invece lasciarle alla mercé di altri demoni. Non lavora né per il bene, né per il male.
Si sconfigge grazie al Grande Potere.”

“Mh, è un bene?” chiese Blaine grattandosi la testa “non capisco”.
“Non lo so, fatto sta che siamo ancora vivi. Probabilmente il suo compito era solo di testarci. Forse non erano sicuri del fatto che noi avessimo ricevuto i poteri. Oppure non lo so. In ogni caso mi domando cosa sia questo grande potere” disse preoccupata.
“Potrebbe essere qualsiasi cosa, non saprei.”

Dopo vari minuti di domande senza risposte, Blaine sospirò e sorrise.
“Meglio non impuntarci troppo su questa cosa, se no è addirittura peggio, ok? Sono sicuro troverai presto una soluzione.”

Rachel, che aveva le mani sul viso, con le dita sulle tempie cercando di concentrarsi e di pensare a qualcosa che non fosse vivere senza di lui o vederlo morire per mano di qualche demone, annuì per niente convinta e abbracciò il cugino. Sicuramente sarebbe ridotta molto peggio se non ci fosse stato lui. Esattamente come quando erano piccoli e i suoi nervi erano messi a dura prova, bastava qualche parola gentile del cugino a farla stare subito meglio.

Al piano di sotto intanto, Jessie stava mettendo a posto la spesa fatta sulla via del ritorno dopo essere stato al teatro, quando un inserzione sul quotidiano gli balzò all'occhio.
Il locale P3 era, dopo una grande serie di sventurati investitori, appena ritornato sul mercato.

Si ricordò di tutti i racconti della sua ragazza su quel posto, che apparteneva alla sua famiglia da qualche generazione. Questo finché i suoi genitori morirono in un'incidente insieme ai suoi zii e la gestione del locale passò da un proprietario all'altro molto velocemente, dato che nessuno rimaneva al timone per più di un paio di mesi. Un peccato, secondo lui, perché quel posto era perfetto. Ottima posizione, ottime possibilità di profitto e con gli alcolici e le band che suonavano in live, aveva il potenziale di essere un'ottima fonte di guadagno.

Cerchiò l'inserzione con la penna e iniziò a pensare come potesse convincere i cugini a investire in un così grosso affare. Era comunque sicuro che, grazie al suo carisma, la fortuna sarebbe stata dalla sua. Doveva solo pensare alle mosse giuste da fare e alle cose giuste da dire. Dopotutto, se era riuscito a convincere Rachel a fare il bagno nuda qualche anno prima al mare, era sicuramente capace di tutto. Gli serviva solamente un po' di preparazione.

Tornò in sala da pranzo, e notò un foglietto giallo sul tavolo. Lo raccolse e ne lesse una strana filastrocca in rima. Si chiedeva da dove uscisse e non sapeva bene perché, aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se qualcosa di brutto fosse successo, ma non gli diede troppa importanza.

Sentì un miagolio provenire dalla finestra, e vide la gatta appallottolata su sé stessa. Si avvicinò e iniziò ad accarezzarla. Sorrise al suono delle fusa che arrivò dal felino e dimenticò la brutta sensazione appena avuta.

“Sai Nyx, ho come l'impressione che saranno mesi duri, quelli a venire.” disse in tono quasi solenne, mentre l'aria fredda autunnale entrava dalla finestra facendo oscillare le tende nuove scelte appositamente dalla mania del controllo di Rachel.

La gatta di tutta risposta, miagolò e continuò a fare le fusa, quando qualcosa o qualcuno, catturò la sua attenzione sulla strada. Si alzò sulle quattro zampe, bloccando Jessie dalla sorpresa e miagolò balzando sull'erba.

“Nyx! Nyx, dove vai?” urlò, ma il gatto era già sparito chissà in quale giardino del vicinato.

Sospirò. Quante prime donne vivevano in quella casa. Quanta pazienza.
Ma almeno una di loro sapeva come prenderla.

“Jessie” si avvicinò Rachel “cosa guardi?” chiese curiosa.
“Niente, solo la gatta che è andata a fare un altro giro di perlustrazione nel vicinato” le rispose.

Lei sorrise, doveva dimenticare tutto e pensare solamente alla sua felicità. Sua e del suo ragazzo. Era troppo importante, non avrebbe mai permesso che gli accadesse qualcosa e avrebbe preferito morire che lasciarlo. Blaine aveva ragione, per ora avrebbe fatto bene a lasciare le cose come stavano. Dopotutto, non era scritto da nessuna parte che avrebbe dovuto decidere in quel momento.

“Sono felice di questo trasferimento” sorrise Rachel, “sono felice di essere tornata qua dopo questo tempo. Con te.” lo abbracciò. Jessie sorrise e la strinse tra le braccia appoggiando la sua testa su quella della ragazza.

Blaine scese le scale e vedendoli non poteva fare a meno di provare un pizzico di invidia.
Sicuramente la cugina aveva trovato la sua anima gemella. Colui con il quale passare tutta la vita, e lui si era trasferito a San Francisco senza dirlo a nessuno, senza che qualcuno lo accompagnasse per questo nuovo capitolo della sua vita. Ma forse era meglio così.
Poteva ricominciare da capo. Fare le scelte giuste e magari aprirsi un po' di più. Dopotutto quella era casa sua, non c'era posto al mondo che gli dava la stessa sicurezza e la stessa sensazione come villa Halliwell.

Andò ad aprire la porta, sicuro non sapendo bene come, che da lì a poco, il campanello sarebbe suonato.
Era deciso ad imparare tutto ciò che avrebbe potuto dal Libro delle Ombre, ma anche dai suoi poteri. Aprì la porta lentamente, lasciando che i suoi pensieri fluissero liberi.
Sì, per la prima volta si sentiva al sicuro e protetto, senza paura che qualcosa andasse storto. Come se fosse protetto.

“Blaine Anderson, giuro che ti ammazzo!”






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TAM TAAM TAAAAAAAAAM
Blaine, dovresti saperlo che non si devono pensare certe cose o ci si tira addosso la sfiga più nera!
Te le devo dire io queste cose? Come osi pensare di essere al sicuro?? muahahaha

Comunque, amici, dopo avervi lasciato con questo grandissimo ''wtf è finito così? Ma davvero? Sei ubriaca?'' (ovvio che lo sono!), non posso far altro che ringraziarvi per la vostra pazienza e il vostro supporto.

In questo capitolo scopriamo parte del potere di Blano che, come tutti voi sapete DI CERTO, si tratta dell'empatia. All'inizio ero davvero indecisa tra premonizioni ed empatia, poi pensando al musino e agli occhioni di Blano, ho optato per quest'ultima. Sorpreeesaaaa!
Quelli di Rach, invece, sono molto più simili a quelli di Billie (8^ Stagione) e li trovo molto adatti a lei, non chiedetemi perchè. \(ˆ–ˆ)/

Con queste due cosine a cavolo vi saluto e vi lascio l'appuntamento per il prossimo capitolo che risponderà a domande importanti:
- Chi vuole ammazzare Blaine? (Oltre a me e alla Mirma)
- Chi è lui? (So che tanto lo sapete già tutti)
- Ma davvero il P3? (Sì! ERETICI!! u.u)

Come sempre ringrazio Aaron Spelling per aver creato il mio tf preferito e Ryan Murphy per aver rovinato quello che poteva essere Glee.

Ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa.. boh!! 
Aspetto i vostri pareri come sempre (anche sul nuovo bannerino obv) e vi lascio la mia pagina per nuovi spoiler con l'ashtag #TheGreatPower (Ogni tanto li lascio mascherati da post a caso, ma non lo sono hahah)
Lov'ya
ali

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Capitolo 3
*** 3 ***





“Tu...tu qui?” chiese sorpreso alla ragazza sulla porta.
Sembrava davvero arrabbiata, o offesa, accarezzava la gatta di casa che faceva le fusa tra le sue braccia, beatificandosi di tutte quelle attenzioni.
“Sai Anderson” gli rispose fissandolo cupa, “si salutano gli amici quando si decide di lasciare lo stato”.
Era decisamente arrabbiata e decisamente offesa. Tanto che Blaine sentì un forte dolore allo stomaco. Era qualcosa di molto familiare. Senso di colpa.
La gatta continuava a fare le fusa nelle sue braccia, finché non sentì la voce del suo padrone arrivare dalla sala da pranzo. Alzò le orecchie e con un balzo atterrò agile sulle quattro zampe, per corrergli incontro.
Alla porta, Blaine, era ancora sotto lo sguardo accusatorio di quella ragazza, che in un attimo impercettibile addolcì l'espressione e si buttò al collo dell'amico, subito ricambiata.
“Sei un'idiota! Perché non mi hai detto che partivi?” chiese non mollandolo un attimo. “Almeno un saluto potevi anche farlo.”

Vennero subito raggiunti da Rachel e Jessie, seguito a vista dalla gatta, entrambi avevano uno sguardo incuriosito e confuso.
La straniera si staccò dall'abbraccio di Blaine, e sorrise ad entrambi. Si spostò una ciocca che l'era ricaduta sul viso, allungò la mano e sorrise in direzione di Jessie, lasciando Rachel a bocca aperta e con un lampo di gelosia facilmente notabile negli occhi.

“Ragazzi, questa è Ariel. È una mia amica direttamente da Los Angeles. Potrei anche dire che senza di lei non so dove sarei a questo punto.” sorrise gentilmente, ma non aggiunse altro.
“Ariel?” chiese il ragazzo mentre le strinse la mano. “Come..” aggiunse Rachel subito dopo, “come la Sirenetta?”. Erano entrambi senza parole. Davanti a loro una ragazza, Ariel, dai capelli rossi e con gli occhi azzurri, li stava fissando consapevole dei loro pensieri.
Sospirò e borbottò qualcosa a bassa voce.

“Avanti” sospirò di nuovo con aria meno seccata, ma rassegnata. “Fatelo pure. Prego” fece un segno con la mano.
I due guardarono prima Blaine che fece un cenno con la testa e poi si guardarono, quasi a comunicare telepaticamente e si misero a ridere. Blaine sorrise, la sua amica non era cambiata di una virgola. Ricordò con nostalgia il giorno in cui si presentarono e gli disse le stesse identiche parole, solo che lui non rise, anzi, aveva trovato la cosa alquanto carina.
Come dal nulla, delle risate fragorose riempirono la grande villa. Era prevedibile dopotutto, era una scena quasi surreale, mancava la pinna e potevano benissimo essere stati trasportati nel “magico mondo Disney”, un pensiero che fece tremare un pochino Rachel e la fece smettere di ridere a crepapelle. Con tutto quello che stava succedendo nella loro vita, era comunque impossibile una cosa del genere pensò, o meglio, sperò. Dopotutto le fiabe sono solo fiabe, non esiste un universo alternativo, cercò di tranquillizzarsi.
“Lo so, lo so” disse la ragazza “mia madre aveva un'ottimo senso dell'umorismo.”

Al finire di tutte quelle risate, quando la calma riprese il suo posto, tutti e quattro i ragazzi si ritrovarono in salotto, a chiacchierare tranquillamente davanti ad una tazza di tè. Ariel raccontò episodi esilaranti, per non dire imbarazzanti, della vita californiana.
“Ti ricordi quella volta, che siamo riusciti ad intrufolarci a quel party di beneficenza? Quella sì che è stata fortuna!”.Blaine annuì con il capo e appoggiò la tazza sul proprio piattino, visibilmente elettrizzato.
“Dovevate vederla! Mentre, del tutto incapace, cercava di flirtare con l'addetto alla sicurezza all'entrata secondaria! Era così pessima che ho dovuto fingere un attacco allergico e attirare l'attenzione su di me per farla entrare!” sorrise ricordando la scena, come fosse un film.
“Dai! Non ero così malaccio! Alla fine ci è andata bene dato che ti hanno portato nella piccola infermeria che si trovava proprio in quell'edificio!”, sorseggiò lentamente il suo tè e aggiunse sorridendo maliziosamente, “poi se non sbaglio, tutto il flirtare di questo mondo non mi avrebbe mai portata da nessuna parte, visto che a fine serata vi ho ritrovati a risucchiarvi le gole in quella stessa infermeria!”.
A tutti gli altri, non si sa bene come, andò di traverso il tè.
“Prego?” chiese Rachel confusa e si girò verso Blaine “È vero?”
Blaine si schiarì la gola e con il viso tutto rosso provò a biascicare qualche parola. “Sì, no, insomma...passiamo oltre?” sorrise platealmente provocando ancora una volta le risate di tutti. La serata passò senza problemi, tra risate, ricordi e qualche battibecco tra cugini, che Ariel e Jessie si godettero come fosse uno spettacolo di cabaret.

Dopo cena, mentre Rachel e Jessie erano in camera a “provare una nuova canzone”, Ariel e Blaine si ritrovarono in salotto, a conversare del più e del meno, di come si trovasse il ragazzo di nuovo a casa e ricordando vecchie avventure che li videro protagonisti.
“Alla fine stai meglio di quel che credessi” disse Ariel dal nulla, con un'espressione incredibilmente seria.
Blaine, spalancò gli occhi e la guardò confuso “e questo cosa vorrebbe dire?” le chiese.
“Vorrebbe dire che te ne sei andato in fretta e furia senza dire niente a nessuno. Sai, mi sono preoccupata un sacco. Credevo ti fosse successo di tutto, non sapevo nemmeno come comunicare con te, dato che al telefono il tuo numero risulta inattivo.”
Il ragazzo la ascoltò con gli occhi lucidi, mai avrebbe creduto di trovare un'amica del genere. Le sorrise mentre lei continuava a dirgli di quanto fosse stato idiota a sparire così nel nulla, le sorrise quando gli disse che gli amici non si lasciano così, e le sorrise quando la ramanzina finì.
“Perché stai sorridendo ora? Ti ho appena dato dell'idiota!” sorrise anche lei, contenta di averlo comunque trovato. Dopo i primi minuti di rabbia, si era calmata e aveva pensato dove potesse essere, senza telefono e con tutte le sue cose. Alla fine non era stato troppo difficile capirlo.
“Comunque non mi hai detto perché te ne sei andato, so che quella non era la vita che avevi sognato per te, ma non credevo volessi tornare nella tua vecchia casa, o in quella della tua, permettimi di dirtelo, non così insopportabile cugina.
Blaine si concentrò, doveva dire qualcosa, ma non tutto. Di sicuro non poteva dirle di essere il prescelto e di avere poteri magici o cose del genere. Come minimo, Ariel avrebbe pensato che avesse cominciato a drogarsi. Scelse con cura le parole da dire, cercando di non farle capire che c'era dell'altro.
“In un certo senso è proprio per questo. Non era la vita che avevo sognato per me e di certo non una che desideravo. Era tutto..” si corresse subito, quando i suoi occhi incrociarono quelli della ragazza, “.. quasi tutto sbagliato. Ci siamo trovati in situazioni incredibili ed imbarazzanti, abbiamo condiviso momenti divertenti, ma anche momenti neri. E ne sono grato, tu eri... sei, una persona incredibile, ma...” abbassò lo sguardo, non poteva reggere quegli occhi così calmi e pieni di vita tristi per colpa sua, “... ma non era la vita che volevo per me, non era giusto. Così, mentre tu eri fuori per lavoro e io passavo i giorni più bui che avessi mai attraversato, ho preso questa decisione. E ovviamente avrei tanto voluto salutarti, ma non sapevo cosa dirti senza che tu pensassi che la tua amicizia non contasse nulla per me, o qualcosa del genere, perché tu sai che non è così. È solo.. è solo che era diventato tutto troppo da sopportare, i paparazzi, gli articoli del tutto inventati, fan, persone che mi odiano senza un perché. Avevo dimenticato chi fossi veramente finché la chiamata di Rachel non mi ha portato alla realtà e ho deciso di tornare a casa.” aveva detto tutto senza fermarsi per un secondo, nemmeno per respirare, mentre l'amica lo ascoltava con attenzione. “E poi sono tornato qua, in questo posto, che racchiude tutti i momenti più belli della mia infanzia, circondato dalle cose e dalle persone che amo di più, sentendomi a casa. Avrei voluto chiamarti appena arrivato, ma ero troppo imbarazzato e mi sentivo tremendamente in colpa. Dopotutto sei la mia migliore amica”.
Ariel ridacchiò, “Non pensare di salvarti così!” e sospirò, poi si chinò leggermente verso il suo amico e lo abbracciò “Sai che non resisto quando fai gli occhi da cucciolo! Per farti perdonare dovrai fare la mia lavanderia per i prossimi tre mesi!E pulirai anche la mia stanza!” ridacchiò.
Blaine rise “non cambierai mai...affare fatto!” ed incrociarono i mignoli, in segno di promessa.

Di sopra, nella stanza da letto, le cose non andavano altrettanto bene per Rachel, che cercava di zittire la voce nella sua testa che le diceva che non era giusto mentire così alla persona che amava, che a stare con lei, Jessie correva un grande pericolo. E quasi ci riusciva, poi lo guardava negli occhi e le veniva istintivamente da piangere, ma Blaine aveva ragione. Doveva concentrarsi ed imparare tutto quello che poteva su quel nuovo mondo fatto di magia ed assurdi mostri che arrivavano da chissà dove, in quel modo avrebbe potuto proteggere Jessie per sempre, doveva solo sforzarsi un po' di più e tutto sarebbe andato a posto.
“Rachel?” sentì una voce in lontananza “Rachel mi stai ascoltando?” chiese il ragazzo preoccupato. “Che ne dici della mia idea?”.
La ragazza cercò di balbettare qualcosa, non aveva ascoltato una sola parola di quello che le aveva detto e non sapeva assolutamente a cosa si stesse riferendo. Aveva un velo di lacrime che le offuscava leggermente la vista e il sorriso più forzato mai visto, probabilmente. E pensare che era un'attrice, avrebbe dovuto controllare le sue emozioni, ma quando era intorno a Jessie, sembrava perdere questa capacità. Almeno quando erano loro due da soli, quando l'ambiente diventava così intimo e importante ed ogni parola riusciva ad avere un peso tutto suo, anche quando ridevano e scherzavano come bambini per delle sciocchezze. Come avrebbe potuto nascondere una cosa così grande così a lungo. Doveva impegnarsi di più. A mentire. A mantenere il controllo. Doveva anche imparare in fretta ad usare la sua magia, doveva imparare a fare in fretta ad eliminare i demoni che d'ora in poi si sarebbero catapultati inesorabilmente nella sua vita. Doveva imparare in fretta a distaccarsi e a mentire all'amore della sua vita. Doveva imparare in fretta a diventare due persone diverse.
“Hey” si avvicinò in fretta Jessie, prendendo il mento della ragazza tra l'indice e il pollice, costringendola a guardarlo negli occhi, “è successo qualcosa? Stai bene?” chiese preoccupato.
La ragazza sorrise, o almeno le sembrò di farlo, e appoggiò la propria mano su quella del ragazzo, era un gesto così naturale e intimo che per un centesimo di secondo le fece cambiare idea e la convinse a raccontargli tutto, ma un centesimo di secondo non era sufficiente per una cosa del genere. Doveva rilassarsi, doveva ignorare tutte quelle emozioni negative e concentrarsi sul suo amore. Quello sarebbe bastato a darle la forza per qualsiasi cosa.
“Non è niente” lo tranquillizzò, “troppe cose in troppi pochi giorni. Probabilmente sono leggermente sopraffatta.” In qualche modo, era riuscita a raccontargli la verità, o almeno una parte. Si staccò dal ragazzo e cercò la sua spazzola preferita nello scatolone appoggiato sul pavimento appena fuori dal bagno, si mise davanti allo specchio e cominciò a pettinarsi i capelli. “Allora, sentiamo questa grande idea”, sorrise all'immagine riflessa del ragazzo.
Jessie le sorrise e si sedette sul letto, ammirando la chioma folta della ragazza. Una cascata color cioccolato scendeva morbida lungo la sua schiena e scintillava rispecchiando le luci della stanza lasciando dietro di sé una scia dolce e delicata.
“Ok, visto che lo chiedi,” la ragazza lo guardava curiosa dallo specchio, notando come i suoi occhi chiari brillassero intensi, nonostante fosse solo un'immagine riflessa “ho deciso di comprare il P3!”
Rachel spalancò in simultanea sia gli occhi che la bocca “Tu cosa?” gridò girandosi di scatto, lanciando la spazzola chissà dove. Iniziò a blaterare cose a caso davvero preoccupata “Come, 'hai deciso'?! E non mi dici nulla? Sono decisioni importanti queste! E poi non hai letto tutti gli articoli relativi al pub? In questi anni nessun compratore si è mai tenuto quel posto per più di un mese! Alcuni hanno addirittura lasciato il paese! Cosa ti è venuto in mente? Non voglio traslocare ancora! Pensa allo stress! Pensa alle cose da rimettere negli scatoloni! Non sono pronta! E non voglio lasciare questa villa in mano a Blaine! Si trasformerebbe in...in...in non so cosa!” gridava e respirava affannosamente, senza sentire cosa stesse dicendo in realtà. Il suo cervello correva come un treno ad alta velocità e non era ben sicura di dire parole reali o se stesse semplicemente facendo versi strani.
Jessie si avvicinò di corsa e prese la sua ragazza per le spalle “Respira Rach, respira!” e aspettò qualche secondo, mentre lei riprendeva una colorazione che non fosse rosso pomodoro, “Pensaci, è un'idea magnifica! Ho visto l'annuncio sul giornale e ho chiamato per fare un'offerta. A quanto pare sono stato l'unico.” Rachel alzò entrambe le sopracciglia “E questo non ti ha detto niente?” ma Jessie nemmeno l'ascolto e continuò “È perfetto! Se non erro quel posto è appartenuto alla tua famiglia per molti anni e sono convinto che è proprio per questo che nessun altro sia riuscito a tenerlo. In più ti dirò, sono davvero curioso di vedere quel posto e scoprire il perché di tutti quegli incidenti!”. Rachel si fermò a pensare. Effettivamente quel posto era appartenuto alla sua famiglia per decenni, quindi molto probabilmente tutti i casi misteriosi che giravano intorno al club non erano di natura umana. Sospirò. “Okay” pensò che probabilmente fosse venuto il momento di cominciare la sua carriera da strega, anche se la cosa la spaventava non poco. Doveva assolutamente studiare un po' il libro delle ombre e allenarsi a controllare meglio il suo potere. E doveva farlo anche Blaine, ne andava della vita di entrambi. Chissà cosa ne pensava Blaine di tutta questa storia, specialmente ora che era arrivata la sua amica dalla California.
A pensare a tutte queste cose le era venuto mal di testa e una sgradevolissima sensazione stava nascendole alla bocca dello stomaco. In realtà avrebbe solo voluto mettersi a letto, sotto le coperte con Jessie al suo fianco, sperando che l'indomani mattina, appena sveglia si sarebbe resa conto che era stato tutto un sogno e la sua vita sarebbe continuata normalmente.
“Okay?” chiese Jessie sorridendo in conferma. La ragazza gli sorrise, per nulla convincente e lui semplicemente l'abbracciò, stretta, cullandola con i battiti del suo cuore. Lui sapeva che qualcosa non andava, ma sentiva che quello non fosse il momento giusto per fare domande e, senza dire una parola la condusse a letto, la sua missione era quella di farla rilassare e starle vicino come meglio poteva. E quando Jessie St. James si metteva in testa una cosa, nulla gli faceva cambiare idea.

L'indomani mattina, Rachel si svegliò sola nel letto e sfruttando quel momento decise di andare in soffitta a sfogliare il Libro delle Ombre, cercando di incanalare l'aura di positività che Jessie le aveva dato la notte prima.
Con grande stupore, in soffitta trovò il cugino chino sul libro, con un cristallo in mano e la mappa della città sul tavolino di fronte. Alzò le sopracciglia e spalancò gli occhi. “Cosa stai facendo?” gli chiese curiosa, cercando di capire a cosa servissero tutte quelle cose.
Blaine alzò il capo, sorrise e appoggiò il cristallo sul tavolo con la cartina. “Buongiorno anche a te, cugina” sorrise “Sto cercando di capire come utilizzare questo cristallo come localizzatore o gps, ma non so perché, non ce la sto facendo. Vuoi provare?” Rachel sorrise di rimando, sollevata di non essere l'unica a voler capire di più della situazione e dei poteri. La ragazza rispose con un cenno, si avvicinò al tavolo e prese il cristallo in mano. Si mise di fronte alla mappa e girò lo sguardo verso il cugino, “E ora?” chiese impaziente. “Ora devi concentrarti su qualcuno che vuoi rintracciare e incanalare i tuoi poteri verso la punta del cristallo, qualsiasi cosa voglia dire...” disse leggendo una pagina del libro, cercando di capire cosa volessero dire quelle due righe.
“Umm” rispose Rachel “...proviamo”, chiuse gli occhi e provò a concentrarsi al massimo delle sue possibilità, ma non successe nulla. Li riaprì, delusa, e fissò quella cartina. Sbuffò. Blaine la guardò dispiaciuto, era certo che la cugina avesse tutte le carte in regola per riuscirci, durante quella prova aveva avvertito in qualche modo tutta la determinazione che aveva impiegato per cercare di muover quel cristallo. Mancava qualcosa, ma non capiva cosa. Mancava una scintilla che andava da Rachel al cristallo stesso. “Ok” le disse “Ora riprovaci, ma non concentrarti troppo nella tua testa, senti il potere scorrere dentro di te”, lei lo guardò seria e annuì. Richiuse gli occhi, cercando di avvertire il flusso di potere dentro di lei. Ad un certo punto, sentì come una scintilla andare dalle sue dita, alla catenina che reggeva il ciondolo, che cominciò ad oscillare. Cercò di non perdere quel momento. “Ottimo, ottimo” gridò Blaine, “Ora immagina la persona come se fosse davanti a te, visualizzala come se fosse qui ora... Non mollare!” la incitò.
Dopo qualche secondo, il cristallo cominciò a dondolare, ricoprendo tutta la mappa, in lungo e in largo, finché ad un certo punto, il cerchio si fece molto più ristretto. La punta era stata attirata verso un punto preciso come fosse attaccato ad una calamita.
Rachel strizzò gli occhi e impiegò qualche secondo ad aprirli, spaventata dall'esito del tentativo.

“Umm” disse Blaine pensieroso, “...chiunque tu stia cercando si trova a Broadway road”, sorrise alzando il capo. La ragazza aprì prima un occhio per accertarsi che il cugino non la stesse prendendo in giro, guardò in direzione della mano che teneva la catenina e vedendo che effettivamente era riuscita nell'intento, aprì anche l'altro. Tirò un sospiro di sollievo e sorrise in direzione del cugino. Ce l'aveva fatta, era effettivamente riuscita ad attivare quel GPS sovrannaturale.
“Wow, ce l'hai fatta! Questo è uno dei primi incantesimi indicati nel libro come 'di base'! Dobbiamo allenarci a padronarli a dovere, non si sa mai quando potrebbero venirci utili!” esclamò il ragazzo sfogliando le pagine del vecchio libro.

Più le sfogliava e più si meravigliava, cose che non avrebbe nemmeno mai immaginato gli stavano passando davanti agli occhi e lui non si capacitava nemmeno di come si fosse trovato in quella delicata situazione, in prima linea a rischiare la vita per qualcosa di più grande. In un certo senso la cosa lo eccitava in modo quasi assurdo, ma al contempo lo spaventava a morte. Non era un gioco, o uno scherzo, in cui bastava cambiare città per scappare. Ormai ci era dentro fino al collo, e volente o nolente non avrebbe fatto marcia indietro.
La cosa che lo preoccupava maggiormente, era di riuscire a conciliare la sua vita da mortale con quella da strega, e ovviamente del problema che affliggeva Rachel. Si chiedeva cos'avrebbe fatto al posto suo, avrebbe rischiato tutto dicendo la verità, o avrebbe rischiato tutto tenendosela per se'. Questo gli fece pensare che effettivamente ora era anche lui nella stessa posizione, forse non così scomoda, ma comunque adesso aveva qualcuno alla quale sarebbe valsa la pena raccontare tutto. Era qualcuno più prezioso di un'amante e più vicino di un amico, o almeno lui così pensava.

“Ragazzi!” una voce femminile che proveniva dal piano di sotto lo riportò al mondo reale, “siete in casa? C'è nessuno?”
Blaine e Rachel si guardarono allarmati e la ragazza gli fece segno con le braccia, ma anche con tutto il viso, di andare di sotto e fermarla prima che arrivasse in soffitta e lui, con un cenno del capo, seguì le direttive mollando le cose che aveva in mano e si precipitò da basso.
“Ariel!” gridò correndo, “sono in camera mia!”. Corse a tutto fiato per il corridoio e una volta arrivato in stanza si lanciò in malo modo sul letto e afferrò il libricino che teneva sul comodino appena in tempo, perché qualche secondo dopo, una chioma rossa sbucò dalla porta.

“B! Ti sembra il momento di leggere? Con una città intera da scoprire?” lo rimproverò.
Blaine, storse il naso. “Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così, sai che non mi piace per niente!”. La ragazza ridacchiò. “Ok Blaine, scusa Blaine, non lo faccio più Blaine.” E avviandosi verso il salotto aggiunse un'altra cosa inaspettata “Ah, Blaine, quando hai finito di far finta di leggere quel libro mi raggiungi in sala da pranzo che ho comprato una cosa? Ci sono alcune tradizioni che vanno portate avanti anche qua!”.
Blaine guardò sbigottito in direzione della porta e subito dopo posò di nuovo gli occhi sul suo libro non notando nulla di strano. Riguardò la porta e ritornò al libro, poi come a leggergli nella mente, dal piano di sotto l'amica gli urlò di guardare bene le parole. Come aveva fatto ad essere così stupido, come aveva potuto aprire il libro al contrario. Si maledì mentalmente e ricordandosi della loro tradizione preferita raggiunse Ariel in sala da pranzo, dove avrebbe in qualche modo, provato a farsi perdonare.

Non appena scese l'ultimo gradino, notò subito nell'aria un buonissimo odore di torta e affrettando il passo, prese subito posto intorno al grande tavolo dove Ariel, decisamente di ottimo umore, aveva disposto una grande fetta di torta coperta di fragole e panna. Blaine la guardava meravigliato, come fosse la prima volta, e senza farselo dire due volte iniziò a mangiare la sua metà.
Questa loro tradizione, era decisamente la loro preferita e aveva origine direttamente dal loro primo incontro.

Era un giorno di pioggia e Blaine, musicista di strada appena approdato a LA, era rimasto senza un soldo. Il suo stomaco brontolava già da qualche ora e grazie a quel tempaccio gli era molto difficile guadagnare qualche spicciolo dai passanti in quei giorni; quindi riuscì a passare la giornata solo grazie ad un caffè che qualche buona anima gli aveva offerto, con la speranza che l'indomani sarebbe stato migliore. Però, ovviamente, la pioggia non aveva dato segno di smettere e anzi, quasi a volerlo schernire di più, era addirittura aumentata, portando la gente a non passare in quella via quasi per nulla.
Ad un certo punto però, una sconosciuta dagli occhi color dell'oceano, si abbassò e gli sorrise, coprendo entrambi con il suo ombrello a pois bianco e nero. “Ti va una fetta di torta?” gli chiese “Ho sentito che qua vicino hanno aperto una nuova pasticceria e muoio dalla voglia di provare le loro torte, voglio scoprire se sono davvero le più buone della città o è solo falsa pubblicità!”
Blaine non seppe mai dire a parole la felicità provata in quel momento, sentiva che non sarebbe mai riuscito a ricambiare quel gesto. In pratica, quella sconosciuta gli aveva salvato la vita.
Da quel momento in poi, iniziarono ad uscire insieme, o per meglio dire, iniziarono ad incontrarsi sempre più spesso per strada e nelle piazze dove il ragazzo cantava, finché un giorno, Ariel arrivò contenta e soddisfatta dicendogli semplicemente “Ho parlato di te ad un mio amico e ha detto che vuole conoscerti.” Praticamente, per la seconda volta nel giro di un paio di mesi Ariel, la non più sconosciuta, gli aveva salvato l'esistenza. Nemmeno a dirlo, la scintilla scoccò tra lui e l'amico, e la famosa scalata sociale di Blaine cominciò in quel momento. Non sapeva se chiamarlo destino o coincidenza, fatto sta che non avrebbe mai dimenticato quello che la ragazza fece per lui così tanti anni fa in quella strada bagnata.

“Blaine?” chiese d'un tratto la ragazza, “tutto bene?”
Il ragazzo sorrise “certo, perché lo chiedi?”
“Non fare quella faccia da cane bastonato allora! Non è il caso davanti a questa delizia!”
Il tono della ragazza era rimproverante, ma al tempo stesso preoccupato. Sapeva bene che l'amico le stesse nascondendo qualcosa, solo che questa volta era difficile dire cosa, si conoscevano bene l'un l'altro, ma per queste cose erano troppo uguali. Erano troppo preoccupati di non dare alcun peso alla persona di fronte a loro e nascondevano sempre il loro disagio o le loro maggiori preoccupazioni. Anche se, nel caso di Blaine lui riusciva a dissimulare abbastanza bene ciò che provava, Ariel al contrario, era davvero limpida. Nonostante la sua espressione calma, si poteva capire se qualcosa era andato storto, almeno così era per lui, lo sentiva sempre. Però c'era qualcosa in lei che non aveva mai trovato in nessuno, non sapeva bene cosa, ma accanto a lei si sentiva al sicuro.
Risero insieme. Non che fosse una battuta molto divertente, ma erano entrambi rilassati e stavano dividendo una fetta di torta, niente poteva andare storto.
Niente a parte un grosso scoppio proveniente dal piano di sopra. I due ragazzi si guardarono allarmati e dal piano di sopra la voce di Rachel arrivò forte e chiara.
“Ehm, Blaine?! Potresti venire su a darmi una mano? Un..un.. vaso... sì... un vaso è caduto e si è rotto in mille pezzi!” sembrava piuttosto allarmata e frettolosa. Se quello fosse stato un “allarme demone in casa”, sarebbe stato davvero palese se non fosse che al sovrannaturale non ci crede nessuno.
“Va pure, tanto io esco ora. Devo trovare una piscina senza troppi bambini!” rise.
Blaine la salutò e si precipitò in soffitta, dove prima aveva lasciato la cugina.

La scena che gli si era parata davanti, sarebbe stata alquanto bizzarra prima, ma ora non troppo. Adesso era quasi giornaliera.
Rachel, davanti a lui, teneva in mano tre boccette dai colori squillanti, piene di liquido fino al bordo e intanto stava cercando di evitare sfere di energie.
“Non sarebbe meglio creare uno scudo come l'altra volta?” le chiese rotolando in avanti con più agilità possibile.
“In teoria sì! In pratica è più facile a dirsi che a farsi! È stato uno sforzo grandissimo e non sono nemmeno tanto sicura di come abbia fatto!”
“Oh, perfetto!” rispose sarcastico il ragazzo. “E che mi dici di te? Cerca di utilizzare il suo potere o almeno di deviare la traiettoria di quelle cose!!”
“Sai che non sono ancora capace di usare i miei poteri a comando!” urlò schivando una successione quasi infinita di palle di energia, “poi ci vuole un sacco di forza emotiva per farlo e io sono già distrutto così!” sbuffò.
“Beh, qualcosa dobbiamo inventarcela, se no qua finiamo arrostiti!” replicò la ragazza. “Non sono fiale quelle che hai in mano?” puntualizzò Blaine, “serviranno a qualcosa!”
“Non ne ho idea! Erano già qui, pensavo le avessi fatte tu!” rispose confusa.
“Beh, ci pensiamo dopo! Ora lanciale a quel mostro, sono stanco di saltare a destra e sinistra!”
“Ok! Spero di non saltare in aria anche io, però! O la casa.”. Non fece in tempo a finire la frase che il mostro attaccò la sua gamba destra e lei inciampò. Nella caduta, una delle tre boccette, le scivolò di mano e cadde per terra, rompendosi in mille pezzi. “No, no, no, no! Non può essere vero! Ora cosa facciamo?” gridò a se' stessa.
“Prova a lanciare le altre, magari qualcosa succede!” le suggerì Blaine. Lei annuì, e con tutta la forza che aveva, lanciò le due bottigliette. Non successe nulla. Magari facevano parte di un set, e senza la terza non avrebbero funzionato. La ragazza guardò Blaine negli occhi in cerca di una risposta, ma quello che trovò fu terrore, seguito da un aggrottamento di sopracciglia e da uno sguardo risolutivo.
Lui la guardò, “Ok Rach, è il momento di concentrarti al massimo delle tue possibilità, devi riuscire a creare una boccetta tale e quale a quella andata distrutta, so che è difficile, ma hai visto anche tu che se ti concentri nel modo giusto, riesci a fare quello che devi. Non pensare di essere qua. Pensa di essere altrove, libera la tua mente. Riempi la testa con immagini felici e tranquille, io sono qua e mi occuperò del resto, ok?”
“Ok, ma come facciamo per quello che c'era dentro?” chiese preoccupata.
“Ascolta, devi concentrarti sulla bottiglietta che avevi in mano, ok? Non ad una copia. Devi concentrarti sull'essenza della fialetta che avevi in mano prima, non cercare di duplicarla. Cerca di fare la proiezione astrale di quella.”
“Ok! ho capito, almeno credo... Ci provo!” rispose alquanto titubante.
Il mostro di tutta risposta fece un verso e caricò una sfera proprio contro la ragazza, che senza accorgersene era diventata il suo bersaglio. Lanciò la palla di energia, che però si fermò fluttuante in aria, Blaine, dall'altra parte con una mano protesa in avanti l'aveva intercettata.
“Fai presto!” urlò alla cugina “non credo di poter resistere ancora molto!”
“Ci sono quasi, solo un altro po'!”
A sorpresa, il demone fece un sorriso maligno e staccò una mano per creare un'altra sfera di eguale potenza. Blaine sapeva che mai avrebbe potuto vincere contro un avversario del genere e nel momento stesso in cui egli lanciò la palla di energia chiuse istintivamente gli occhi. Li riaprì quasi subito, convinto di essere ormai nell'aldilà, ma quello che trovò, fu il demone con le mani sul collo, come se stesse soffocando e cercasse aria. Lo guardò confuso e si guardò intorno in cerca della causa. Ovviamente in soffitta non c'era nessun altro, ma lui poteva percepire chiaramente il potere di qualcuno molto vicino. Non sapeva se fosse per i suoi poteri da empatico o se semplicemente quel qualcuno era davvero potente. Si girò verso la cugina, determinato a restare in vita.
“Rach?” la chiamò.
“Ci sono, ci sono... ecco!” un flusso di energia passò per le mani della ragazza, che grazie ad un ultimo sforzo, riuscì ad evocare l'ultima fialetta. “Ce l'ho... ce l'ho davvero fatta!” sorrise.
“Ottimo! Che ne dici di controllare se funziona ora?” le disse indicando il demone. Rachel annuì e nel momento in cui si girò verso di lui, quell'essere si liberò della propria presa al collo, nuovamente capace di respirare normalmente. Purtroppo per lui, si accorse troppo tardi della fialetta, ma curiosamente prima di dissolversi in una nube di fumo grigio, sorrise.
“C'è mancato poco” esclamò Rachel ad un confuso Blaine.
“E quello cos'era?”
“Quello cosa?” chiese curiosa la ragazza. “Quel sorriso. E poi l'unica cosa che ho percepito alla sua morte è stata... pace.”
“Sei certo che non hai sentito quello che provavi tu?”
“Ti assicuro che in quel momento ho provato tutto meno che pace!” rise.
“Non pensarci, pensa invece che abbiamo sconfitto un'altra minaccia! Siamo imbattibili!”.
Mentre scendevano le scale per andare verso il salotto, Blaine non disse una parola. Era immerso nei suoi dubbi e nei suoi pensieri. Era sicuro che non fosse stato merito loro, qualcuno li aveva certamente aiutati: le fialette pronte in soffitta, il demone che stava soffocando... Non erano di certo coincidenze, ma anche a cercare di investigare un pochino, questi erano indizi troppo vaghi, sarebbe potuto essere qualsiasi cosa. Tra l'altro, la cugina non se n'era minimamente accorta, troppo concentrata sulla ricreazione della boccetta. Forse chiunque fosse, aveva fatto apposta a farsi percepire da lui, forse stava cercando di comunicare qualcosa. Stava decisamente diventando paranoico.
Rise schernendo se' stesso, pensando che forse sarebbe stato meglio rilassarsi. Dopotutto i poteri, specialmente i suoi, scaturiscono dalle emozioni, quindi era essenziale che Blaine stesse il più calmo e concentrato possibile.
Con la testa immersa nei suoi pensieri, non riuscì a finire l'ultima porzione di scale, perché sbatté contro qualcosa, o per meglio dire, qualcuno.
“Wooo, Rach, avvisa quando ti stoppi così all'improvviso!”
Non ricevendo risposta, guardò in direzione della cugina, che aveva un'espressione tutto meno che calma. Guardò anche lui nella stessa direzione e spalancò gli occhi sorpreso.

“Bene, bene... cos'abbiamo qui? I super cugini!”
Davanti a Blaine c'era un ragazzo, più o meno della sua età. Era longilineo, molto più alto di lui, e aveva gli occhi più verdi che avesse mai visto. Era in piedi di fronte a loro, davanti all'entrata e li guardava con un sorriso beffardo che avrebbe tanto voluto levargli di dosso con ogni mezzo.
In qualche modo però, sentiva che non fosse la prima volta che quello sguardo si posasse su di lui. Era familiare, una sensazione strana alla bocca dello stomaco. Si sforzò di ricordare, ma era come se la sua mente fosse annebbiata, come se in quel momento non riuscì a concentrarsi abbastanza sui suoi ricordi. Ma era sicuro di aver già provato qualcosa di simile, nella realtà o forse in un sogno.
Rachel lo guardò seria e scontrosa, un braccio proteso in avanti, per proteggere Blaine o bloccarlo dal fare qualche stupidaggine.
“Chi sei? Cosa vuoi da noi?” chiese in direzione dello sconosciuto.
“Chi sono io?” rise maligno. “Sono qualcuno molto interessato al vostro potere.”
“Questo cosa vorrebbe dire?” chiese Rachel confusa.
“Vedete, voi possedete qualcosa di prezioso e molto raro. In origine, il potere che condividete, era diviso in tre prescelte. Le vostre prozie possedevano quello che veniva chiamato “Il Potere del Trio”, nulla poteva reggere il suo confronto. Ogni essere magico sapeva bene gli effetti della magia della vostra famiglia. Però, è con la vostra generazione che si è arrivati a qualcuno di tanto potente capace di usufruire metà della sua essenza, infatti ora bastate solo voi due per incanalare tutta la sua potenza. In molti stanno cercando di capirne il motivo, maghi, druidi, stregoni, sibille. Ognuno sta facendo il possibile per riuscire a carpire il vostro segreto.”
I due ragazzi si erano persi in un mare di parole che per loro non avevano significato. Erano confusi e spaventati. In caso fossero davvero così potenti come quel ragazzo aveva detto e se così tanti esseri li stavano studiando come delle cavie, significava che la loro vita sarebbe stata costantemente alla mercé di ogni creatura. Significava che non avrebbero mai potuto vivere delle vite tranquille e serene.
“Te compreso?” chiese Blaine.
“Me compreso, Blaine” rispose tranquillamente, mentre l'altro spalancò gli occhi per la sorpresa, non si era presentato eppure sapeva il suo nome. “Anche se probabilmente, la causa è che nel corso delle generazioni, ci sono stati degli avvenimenti che mai nessuno avrebbe creduto possibile prima. Il matrimonio tra un umano e un angelo bianco, o un demone e un umano, fino ad arrivare ad un mezzo angelo bianco e un mezzo angelo nero. Vedete, nelle vostre vene scorre così tanto potere derivante dal vostro corredo genetico che è un miracolo che voi riusciate a contenerlo. Ma tutto questo sfugge a chi non è predisposto a capire qualcosa come l'amore o la famiglia. Un demone non potrà mai pensare ad una soluzione del genere. Continueranno a cercare sperando di trovare la fonte di questa grande energia.”
“Un demone? Quindi tu cosa sei?”
“Oh, Blaine. Sono così tante cose che non me lo ricordo nemmeno più!”
“Perché ci stai raccontando tutte queste cose?” parlò finalmente la ragazza. “Vedi Rachel, quando il gioco è troppo semplice mi annoio subito” spostò lo sguardo su Blaine e sorrise ancora malizioso “e ho come l'impressione che mi divertirò un mondo con voi due.”
“Se stai cercando di spaventarci non sta funzionando granché. L'hai detto tu stesso che il nostro potere è molto più forte. Sono sicura che, chiunque tu sia, non rischieresti invano la pelle solo per giocare un po'.”
“Ho detto che è un gioco divertente, non che non sia importante. E poi, potete avere tutto il potere di questa terra, ma se non sapete come usarlo, non serve a niente. E al contrario vostro, io so bene come usarlo.”
“Che... cosa vorrebbe dire questo?” chiese la ragazza innervosita. “Blaine, non ascolt- Blaine?”
Si girò verso il cugino che sembrava perso nel vuoto. Aveva lo sguardo fisso, era leggermente rosso in viso ed era come pietrificato. Non rispose alla ragazza, gli sembrava di avere il cuore in gola e la testa gli pulsava come se la stessero prendendo a martellate. Si girò verso quello strano ragazzo.
“Lo sento” disse senza nemmeno rendersene conto. “Sento tutto”.
Scese lentamente le poche scale che mancavano alla fine e percorse lo spazio che li divideva quasi in punta di piedi. Sentiva chiaramente quell'emozione, ne era attratto come una calamita, non aveva mai sentito nulla del genere. Un pozzo senza fondo, un buco nero. Ecco dove gli sembrava di essere. Era circondato da pensieri, ricordi, tutti indecifrabili. Non ne conosceva e non ne comprendeva il significato, riusciva solo a distinguerne i colori o il calore. Non sentiva più il suo corpo, era come camminare nel cielo o fluttuare in un sogno, dove non c'è nulla di fisico e tutto è fragile come una bolla di sapone. Era immerso in un colore caldo e acceso, un tepore piacevole che lo attraversava e sembrava abbracciarlo serenamente, ma un attimo dopo tutto quel calore svanì e al suo posto lo attraversò la sensazione peggiore che avesse mai avuto. Aveva freddo, si sentiva solo ed era tutto buio. Sentiva il panico e il dolore crescergli dentro fino ad esplodere in una rabbia quasi accecante, era come se si fosse impossessata di lui, come se tutto quello di cui fosse composto fosse ira pura. Ma anche questo finì quasi subito e il tutto lasciò spazio ad un vuoto incolmabile, come se qualcosa si fosse rotto e tutto ne fosse stato risucchiato senza pietà. Era rimasto il nulla, solo Blaine e l'eco di una voce che non riusciva a distinguere.
Tutto svanì presto, come se fosse stato rinchiuso da qualche parte, e presto si ritrovò nella realtà a pochi centimetri dal viso di quel ragazzo. Così vicino che poteva contare le ciglia che incorniciavano gli occhi verdi. Così verdi che gli sembravano quasi infiniti.
Blaine uscì da quella specie di trance, aprì gli occhi il più possibile e li richiuse subito, per poi riaprirli ancora, poco a poco il mondo tornò nitido e gli oggetti ripresero le loro forme.
“Cosa staresti facendo? È il tuo modo strano di flirtare con uno sconosciuto?” gli chiese scherzoso.
Blaine spalancò gli occhi e fece un balzo indietro.
“Cosa...cosa è successo?” chiese allarmato, girandosi verso la cugina.
“Dimmelo tu! Sei tu quello che fa cose strane!” rispose Rachel guardandolo preoccupata.
“Io davvero, non ne ho idea” si rigirò, cercando di capire se lo sconosciuto ne sapesse qualcosa in più. Ovviamente non era così, perché l'espressione sul suo viso era molto più preoccupata della sua. Era di sicuro uno dei momenti più strani di tutta la sua vita.
“Oh beh, direi che per oggi possa bastare” esclamò il ragazzo. Blaine era certo che lui sapesse molto di più di quello che desse a vedere e che ci fosse qualcosa di strano in lui, qualcosa che stonava con il resto.
Lo guardò uscire dalla porta come se niente fosse, come se fosse una cosa totalmente normale per lui, come se fosse abituato. Blaine fece automaticamente qualche passo in avanti, cercando di seguirlo, non solo con lo sguardo, ma con tutto il corpo.
“Blaine, cosa stai facendo?” sentì da lontano Rachel chiamarlo e chiedergli qualcosa che non gli arrivò mai alle orecchie. Il suo unico obiettivo era quella figura alta che gli dava le spalle e che si stava allontanando abbastanza velocemente. Si accorse del fatto che lo stesse seguendo improvvisamente e si fermò, quasi a dirsi da solo che era una scemata, ma qualcosa doveva pur farla.
“Aspetta” cercò di gridare. In realtà la voce gli era uscita come un sibilo, troppo debole per essere sentita. O almeno così credette, perché l'altro si fermò subito e si girò. L'aveva sentito.
“Come ti chiami? Tu sai chi siamo noi, ma noi non sappiamo chi sei tu. Non è... non è giusto. Dimmi il tuo nome.” chiese quasi pregandolo.
Vide quella figura tornare indietro sui suoi passi e per una frazione di secondo ebbe paura di essere incenerito lì sul posto, ma a sua sorpresa davanti a se' vide comparire un braccio, pronto per una stretta di mano.
“Blaine Anderson, io sono Sebastian Smythe.”
Era certo che quel momento sarebbe rimasto dentro alla sua testa per sempre.

“Ecco, ora, vorresti gentilmente spiegarmi cosa è successo in questi ultimi minuti?” Rachel chiese in un tono quasi supplicante, era davvero confusa. Non era certa fosse accaduto tutto realmente, era scettica al solo ricordo. Aveva avuto informazioni sulla sua famiglia certo, ma non sapeva come doveva prendere il fatto che alcuni si erano sposati con demoni, angeli neri e forze del male. Non capiva cosa fosse lecito e cosa no. C'erano regole o era tutto dettato dal caso. Tra quanti anni nascerà un'essere in grado di incanalare da solo tutta la magia che già si era divisa in due. Sarà una forza del bene o un'emissario del male. Queste domande ovviamente non potevano trovare risposta, ma in cuor suo Rachel non poteva fare a meno di porsele. E questo, aggravava ancora di più la sua posizione, aggiungeva problemi a quello più grande, ovvero il suo rapporto con Jessie. Sentiva che il momento di prendere una decisione era incredibilmente vicino, ma ancora non riusciva a pensare lucidamente, ancora non aveva il coraggio di compierla.
Sbuffò, a se' stessa, a Blaine, alla situazione, al vento, e sospirò.
“Almeno oggi abbiamo capito che il tuo potere, si sta sviluppando molto in fretta! Sei stato grande contro quel demone in soffitta!”
“A proposito di quello... Sono sicuro che qualcuno ci abbia aiutati. In quale altro modo spiegheresti la comparsa casuale delle fiale con le pozioni? O il fatto che il demone stesse soffocando nonostante non ci fosse niente e nessuno di strano?”
“Il demone...affogando?” chiese realizzando tutto.
“Sì insomma, non deve essere male se ci ha aiutati, no? Chiunque sia sta dalla nostra parte, giusto?”
“Sbagliato!” rispose la ragazza quasi bacchettandolo con la voce. “Magari c'è un motivo dietro a tutto ciò, non dobbiamo dare per scontato che qualcuno ci aiuti senza volere niente in cambio, o che sia automaticamente dalla nostra parte. Dobbiamo stare attenti, perché in questo momento là fuori c'è qualcuno che sa di noi, e non sappiamo minimamente chi possa essere.”

Nel frattempo, appena fuori dalla villa, l'indecifrabile Sebastian fece un incontro inaspettato.
“Rossa?” esclamò sorpreso.
“Spaghetto!” lo salutò.
“Quindi sei stata tu ad aiutarli! Credevo avessimo un accordo!” la guardò nei suoi limpidi occhi azzurri.
“Lo abbiamo. Solo che... Sei pronto a rischiare tutto per loro due? Dopotutto non sanno ancora bene come controllare il loro potere.”
“Dici così ma tu hai già deciso, vero? Mi stai mettendo alla prova? Poi sei tu quella che deve imparare a controllare meglio il proprio potere, o sbaglio Ariel?” sembrava che stesse parlando in tono aggressivo e sarcastico, ma la ragazza sapeva bene cosa intendesse dire.
“Devo solo allenare un po' la resistenza, era davvero un energumeno e a differenza di altre specie non era fatto per la maggior parte d'acqua! Cercare di farlo affogare si è rivelato più difficile del previsto, ma alla fine è andato tutto bene. I loro poteri stanno aumentando sempre più!”
“Vero. E arriverà il giorno in cui questo ci sarà molto utile.” sorrise malizioso.
Ariel rise. “Dì un po' Spaghetto, non ti sarai preso una cotta?”
“Ti sembro per caso una tredicenne?”
“Ogni tanto sì!” lo punzecchiò. “Ora scusami, ma c'è qualcuno che mi sta aspettando là dentro. Fatti vivo, ma non troppo”.
Sebastian le fece un cenno col capo e svanì in un luccichio nero, mentre la ragazza sorridendo tornò a casa trovando un Blaine più agitato del solito, proprio come una tredicenne alle prese con una cotta colossale.



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YAAAH!! Eccoci qua con questo terzo capitolo!! Devo dire che mi sono divertita un sacco a scriverlo!! 
Abbiamo due nuovi personaggi! E che personaggi!!
Finalmente è comparso Sebbu, che ovviamente deve farsi riconoscere se no non è lui! Approfondimenti e flashback nel prossimo capitolo! (sono già a buon punto ohoh)
E nel prossimo capitolo avrà anche posto nel bannerino ^o^
E veniamo ad Ariel, la mia Ariel. Mi è piaciuto un sacco scrivere di lei e darle finalmente un po' di carattere!! Nei prossimi capitoli si capirà qualcosina in più su e avremo altri flashback sulla vita sua e di Blaine a Los Angeles. Ci si può fidare o no di lei? Siete curiosi di sapere chi sia (o cosa sia), che poteri abbia e come conosce Sebastian? Se è buona o cattiva?
Che sta succedendo? 
Rachel vuoterà mai il sacco al povero Jessie che è all'oscuro di tutto?
Alla prossima!!! Aspetto i vostri pareri come sempre (plsssss) e vi lascio la mia pagina per domande, insulti e quant altro haha!
Lov'ya
ali

 

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