Trois Chances di Emi Nunmul (/viewuser.php?uid=138947)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
1.
Nella vita di Oh SeHun ormai vi
erano delle costanti: il profumo di vaniglia, dei Mont Blanc al
bicchiere
serviti al tavolo di un bar ogni giorno, le lenzuola scure di un cotone
incredibilmente morbido, strade trafficate percorse sotto la pioggia
senza
ombrello. In tutto questo lui ci vedeva bellezza, quella per la quale,
nonostante la vita non gli desse molto da sorridere, lui continuava ad
alzarsi
dal letto.
«
Aspetta... »
Non che lui la bellezza l'avesse
sempre conosciuta, ma da quando gli era piombata sotto forma di cliente
al bar,
gli sembrava di poter capire.
«
La luce... »
Solo che colui che, probabilmente,
voleva insegnargliela, era praticamente cieco.
Quindi SeHun si ritrovava a dover
fare l'amore a metà ogni volta, perché Lu Han
aveva il terrore che lui potesse
vederlo. Non gli era consentito neanche uno spiraglio di luce
proveniente dalla
tapparella appena alzata, a parte qualche notte durante la quale Lu Han
sembrava aver preso un minimo di sicurezza. Ma ci aveva rinunciato,
perché
doveva spendere minuti preziosi a rassicurarlo, a ripetergli
« Sei bellissimo »
più che poteva, quando, in realtà, avrebbe voluto
che ci si spogliasse
completamente.
«
Scusami, Lu Han... Scusami... »
Quindi sì, Oh SeHun sentiva di fare
ogni volta l'amore a metà. Era solo un aggrapparsi alla
carne altrui e
sentirla, e per quanto lui vi impiegasse l'anima, senza alcun freno,
nel
volersi dare al compagno, l'altro, in quegli attimi, pareva solo un
involucro.
Non che in altri momenti della giornata fosse diverso, comunque.
Oh SeHun arrivava a sfiorare Lu Han sempre a metà.
--
Generalmente
sarebbe andato nel panico. Era pur sempre in
mezzo alla strada, la piega ai capelli gli si era rovinata ed il trucco
gli si
stava sciogliendo, lasciando delle righe scure a solcare le guance. Fra
l'altro,
non amava neanche la pioggia, ma tanto era contento che sembrava non
essersi
accorto del tremendo acquazzone che aveva preso il controllo di quella
parte di
Seoul. Voleva concedersi una trasgressione. Anche se a modo suo, Lu Han
stava
festeggiando.
« Lu Han, nato a
Pechino il venti aprile millenovecentonovanta.
»
Lo
avevano chiamato e lui, in riga assieme a tutti gli altri
candidati, non aveva avuto il coraggio di alzare lo sguardo verso la
giuria
seduta al lungo tavolo davanti a sé.
«
Sei stato scelto per entrare a far parte della Trois Chances Academy.
»
Pensava
d'aver capito male o che si fosse trattato di una
qualche specie di scherzo di pessimo
gusto ma, per sua fortuna, così non era stato. Si
era successivamente
ritrovato a firmare qualche scartoffia per l'iscrizione alla nuova
compagnia di
ballo di Seoul.
Per
una volta, Lu Han valeva qualcosa e, per una volta,
poteva concedersi di farsi vedere dai passanti in condizioni che lui
considerava pietose.
Non
aveva molti won in tasca - si era scordato di prendere
il portafogli intanto che usciva in fretta da casa, preso
dall'agitazione per
il verdetto dei provini. Avrebbe preso un cicchetto di qualche liquore
scadente, forse due, ma tanto sarebbe stato semplicemente un modo
simbolico di
festeggiare, da solo, la sua prima importante realizzazione. Non che a
lui
importasse, tuttavia, con chi si dovesse ritrovare a "festeggiare", e
non faceva molta differenza che lì, in Corea del Sud, da
ormai qualche anno
fosse praticamente da solo e che il suo sorriso si fosse risvegliato da
un
lungo torpore durante quella sera di metà settembre. Non
faceva differenza,
perché importava solo ciò che le persone
vedevano, così come i passanti che lo
guardavano straniti mentre attraversava le strade a passo svelto, con i
ciuffi
gocciolanti appiccicati al viso: un bellissimo ragazzo sulla ventina -
e
qualcuno gli avrebbe dato anche meno - con capelli biondi, occhi
ridenti,
tratti fanciulleschi, nessuna imperfezione di alcun genere, mai. Un tentativo disperato di
mascherare un'indicibile bruttezza.
Spesso
si era ritrovato a maledire Seoul. Era troppo
affollata, era troppo grande, e gli sembrava che le sue ricerche,
proprio per
questo, fossero ancora più difficili. Lu Han cercava qualcosa di bello in ogni angolo che
superava, ogni vetrina nella
quale sbirciava, ogni casa nella quale spiava mentre sedeva in un bus,
intanto
che questo doveva stare fermo al semaforo. Sbirciava - se non vi erano
tende -
nelle cucine e nei saloni spesso vuoti ed illuminati da qualche luce
calda,
sbirciava delle vite belle ed
immaginarie. Per il cielo scuro ed infinitamente alto di Seoul lasciava
volare
un'utopia ogni volta, come origami a forma di gru che avevano preso
vita. E con
ogni gru, lasciava andare via una parte di sé che urlava. Lu
Han urlava tanto,
eppure le persone lo fissavano estasiate, meravigliate, ammaliate, ogni
qualvolta lui camminasse, perché, in realtà,
sembrava ciò che di più buono ed
inarrivabile vi fosse. Un tentativo disperato di mettere a tacere un
indicibile
dolore.
E
non vi era un solo giorno che facesse eccezione, così come
quella sera. Intanto che attendeva, da circa mezz'ora, di asciugarsi un
po',
seduto ai gradini di un negozio di abbigliamento vintage, fissava i
passanti,
ed in ognuno di questi non riusciva a vedere assolutamente qualcosa di
bello,
non riusciva a sentire alcun interesse nel voler sapere cosa facessero
nella
vita e di cosa pensassero di quest'ultima. Se qualcuno, tuttavia, si
fosse
avvicinato a lui ed avesse iniziato a raccontare tutto il suo trascorso
dalla
nascita fino a quel momento, così, dal nulla, probabilmente
avrebbe accettato
d'ascoltare di buon grado. Perché, nonostante guardasse
tutti con grande apatia
- sempre senza che questi se ne accorgessero - Lu Han perdeva ogni
corazza con
qualunque altro essere umano quando vi arrivava a contatto. Ed
attenzione, il
che è ben diverso dall'aprirsi,
dallo
spogliarsi. Semplicemente, diventava
estremamente comprensivo ed empatico, una grande volontà di
capire ed aiutare.
In una prima fase non riusciva proprio a soffrire nessuno, ma in
definitiva
credeva che nessuno meritasse di sentirsi brutto come lui.
Fumò
la quarta sigaretta da quando si era fermato. Le teneva
fra le dita ora in modo delicato e quasi femminile, ora in maniera
assolutamente
svogliata, scordandosi che qualcuno potesse guardarlo. Generalmente, il
tabacco, i vizi, non fanno pensare a qualcosa di bello.
Per Lu Han, invece, quelle stecche di carta e tabacco così
dannose, potevano benissimo esserlo, e non si trattava
dell’unico paradosso su
cui si costruiva la sua mente.
Da
qualche parte, forte ed incredibilmente chiara, sentiva
provenire Dear dei Mad Soul Child.
La
voce di Jinsil aveva momentaneamente fatto ridurre il brusio delle
persone ed
ogni altro rumore circostante ad un semplice flusso ovattato, che non
faceva
altro che far risaltare ancora di più la melodia di quella
canzone. Lu Han,
seduto a quei gradini bianchi, con i gomiti sulle ginocchia, chiuse gli
occhi,
ora concentrato in un rituale che non è esagerato definire
sacro. Ogni singola
nota si insediava - più o meno senza che lui se ne
accorgesse - all'interno del
suo corpo. Le sentiva scorrere una ad una nelle sue vene assieme al
sangue e le
assimilava perfettamente, diventando lui stesso la musica, diventando
una scia
di ricordi, sorrisi, promesse e lacrime che non lasciavano solchi
indelebili
sulle guance. Si trasformava nello spettatore ignaro ed involontario di
una
pellicola che, al momento, gli sembra surreale. Un passato che non gli
pareva
realistico. Il suo volto senza maschere ed un disegno sulle labbra
assolutamente armonioso e spontaneo, come un fiore che sboccia.
Ed
ora rimanevano solo le ceneri di tutto quello. Lui le
raccoglieva con cura ed attenzione, le richiudeva in una boccetta
dall'aspetto
delicato. Tuttavia sapeva di non poter raccogliere ogni singolo
granello, che
qualche frammento sarebbe andato perdendosi, e con questo qualche parte
di lui
stesso. Ne diventava ulteriormente consapevole man mano che Dear volgeva al punto culminante, quello
durante il quale gli diventava impossibile non farsi travolgere dai
brividi.
Dear
fu scritta nel 2010 dai Mad Soul Child per il film d'azione Ajussi. Il film racconta di un ex agente
delle forze segrete coreane ritiratosi dalla scena in seguito alla
morte della
moglie, allora incinta del loro primo figlio. Era sparito senza
lasciare alcuna
traccia di sé, come se, d'un tratto, si fosse
smaterializzato con uno sbuffo
senza che nessuno se ne fosse accorto. Ma in realtà si era
stabilito in un
banco dei pegni, dove ritirava regolarmente i "tesori" di coloro che
si rivolgevano a lui, ed intanto passava, abbastanza frequentemente,
del tempo
con una bambina di forse dieci o undici anni, sua vicina di casa.
Tuttavia, l’agente
dimostrava una certa riluttanza a volersi avvicinare alla piccola per i
più
disparati motivi, che essi fossero ovvi o meno. Un giorno lei, dopo una
serie
di avvenimenti, viene rapita da un gruppo di malavitosi e letteralmente
destinata al macello per alimentare il traffico di organi. Lui,
ovviamente,
come un film con un lieto fine che si rispetti, riesce a salvarla. Un
lieto
fine dal gusto agrodolce, in vero.
A
Lu Han non piaceva quel genere di film, anche se, doveva
ammetterlo, quello non era davvero niente male. Lo trovava un lavoro
più che
valido. E fra l'altro era riuscito a strappargli non poche lacrime.
Tuttavia,
lui era più per film del calibro de Il
Diario Di Bridget Jones.
Per
quanto quella canzone fosse nata con un preciso scopo,
nel caso di Lu Han questa aveva preso un fine diverso. Non era
strettamente
legata a quel film. A dirla tutta Ajussi
gli veniva in mente come ultimo collegamento a quelle note, ed essendo
la
colonna sonora di un "periodo" - di quelli che qualunque persona
possiede - aveva, per forza di cose, deciso di lasciarla riposare nel
suo iPod
e nel suo computer senza ascoltarla almeno per un anno. Proprio come si
fa con
dei vestiti che al momento vanno troppo stretti - o troppo larghi - e
si
attende di riacquistare la forma giusta per poterli indossare di nuovo.
Rimaneva lì temporaneamente, come tanti altri brani
musicali, come tante altre
colonne sonore e come tanti altri ricordi piacevoli. Perché
Lu Han aveva ancora
speranza e doveva solo attendere che quest'altro "periodo"
terminasse, preparandosi a combattere, sapeva, una battaglia con se
stesso che
avrebbe potuto lasciargli non poche cicatrici. E quel giorno era un
punto di
partenza. Mettere piede alla scuola di ballo sarebbe stato nient'altro
che l'input per fargli muovere i
primi passi.
Presto, forse, si sarebbe dimenticato di indossare maschere di
qualsiasi tipo,
avrebbe ripreso a ricordare senza troppi rimpianti e a tirar fuori Dear dai meandri dove l'aveva abbandonata.
Fu
solo quando iniziò a rassicurarsi con pazienza, e da
solo, che la musica prese ad affievolirsi, e poté riprendere
a guardarsi
intorno e a vedere, effettivamente, ciò che lo circondava.
Lentamente la
pellicola sbiadita ed ovattata di ricordi svanì, lasciando
posto al frenetico
passeggio ed all'asfalto bagnato, i palazzi ed i negozi illuminati
dalle luci.
Una veduta molto più chiara, concreta ed in qualche modo
rassicurante. Lu Han
sentì anche di poter toccare i suoni, per quanto li
percepì nuovamente nitidi e
lineari, non come se avesse avuto due bei tappi
per le orecchie e qualcosa ad interferire fastidiosamente
con ciò che
cercava di udire già a fatica. « E' tutto ok
», si era ripetuto, semplicemente.
Abbassò
lo sguardo verso la punta delle sue scarpe di tela
ancora umide, e si rese conto che aveva trattenuto il fiato per tutto
quel
tempo senza accorgersene o in qualche modo risentirne.
Espirò profondamente ed
a lungo, provando un insolito piacere nel sentire i polmoni svuotarsi.
Chiuse
anche gli occhi, cercando di non badare troppo a quello che gli era
successo,
perché sapeva che non gli avrebbe fatto bene stare a
rimuginare ulteriormente
su qualsiasi cosa passata ed ormai andata persa, ed anche volendo,
quello non
era il posto né, soprattutto, il momento adatto per farlo.
Premette due dita su
entrambe le tempie e, poco dopo, sospirò di nuovo.
Sollevò la testa e riaprì
gli occhi. Li strizzò per un attimo, sentendo che le lenti a
contatto gli si
erano spostate e gli stavano dando fastidio. Erano lenti a contatto
azzurre.
Alla fine si alzò. Passò le mani sui pantaloni,
dietro, per pulirsi. Chi
l'avesse visto, avrebbe potuto vedere un ragazzo dall'aria per qualche
motivo
tranquilla e probabilmente soddisfatta. Lu Han riprese quindi a
camminare, stavolta
con calma e stando attento a rimanere sotto i balconi.
NdA: Non mi
sembra vero di star pubblicando questo.
Il mio intento era quello di non pubblicarla affatto, questa
storia, perché è il lavoro che ha di me stessa
molto più di tanti altri e, ad ora - tralasciando questo
capitolo scritto ancora con parecchia incertezza - è anche
quello scritto meglio. Invece di metterla qui, avrei voluto terminarla
e cercare di farla pubblicare da qualche casa editrice, se mai avessero
dovuto accettare e, ovviamente, con le dovute revisioni.
In ogni caso, questo capitolo è solo un preambolo, nulla di
particolare. Quando m'andrà, se m'andrà,
pubblicherò il secondo.
Bye.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2. ***
NdA
Scrivo le note prima perché... Boh, è meglio,
immagino. Leggerle dopo a me ogni tanto rovina quello che m'aveva
lasciato il capitolo, so...
Non c'è stato chissà quale responso
alla pubblicazione, ma, onestamente, sono più contenta
così. Quasi quasi lo speravo.
Questo è un capitolo di stallo, come il precedente. Diciamo
che si tratta di una sorta di introduzione al personaggio di SeHun e,
quando l'ho scritta mesi fa, solo Dio può sapere quanto mi
sia divertita a stenderla. In più, è una delle
parti che mi rende più soddisfatta, per qualche motivo.
Ho da ringraziare kateryna
per la recensione che m'ha lasciato e che è quasi riuscita a
darmi un po' di motivazione, nonostante non riesca ancora a trovarne
abbastanza per continuare a scrivere - e a fare circa qualsiasi altra
cosa. Ma, insomma, si vedrà...
Spero il capitolo sia di vostro gradimento. Buona lettura.~
2.
Oh SeHun non aveva una vita assolutamente movimentata. Non
era noiosa, ma semplicemente regolare. Lui cose da fare ne aveva, in
quantità
giusta da tenerlo occupato. Prima di tutto, quando la mattina si
svegliava, a
momenti senza neanche pettinarsi, accompagnava il suo Jack Russell di
due anni
a fare la sua passeggiata delle cinque e mezza. Il cane si presentava
sul suo
letto, seppur discretamente, ogni mattina, senza mai sgarrare una
volta, a parte
quando capitava che non si sentisse bene. SeHun lo aveva rimproverato
spessissimo, per i primi tempi. Aveva cercato di fargli capire in tutti
i modi
che sul suo letto non doveva salirci, ma alla fine ci aveva rinunciato.
In
fondo quella visita mattutina risultava solo un ulteriore incentivo per
svegliarsi, assieme alla sveglia sapientemente lasciata dall'altra
parte della
camera col volume impostato al massimo. Così lui si alzava,
con gli occhi che
per almeno un quarto d'ora non volevano assolutamente saperne di stare
almeno
un po' aperti, e si metteva seduto sul bordo del letto per quasi cinque
minuti,
ripetendo flebilmente una sequela di « Va bene » di
« Solo un attimo, ora
usciamo » di « Dammi solo il tempo di svegliarmi
» e di, soprattutto « Scendi da
questo cavolo di letto! ». Non che, comunque, SeHun avesse
effettivamente la
forza di alzare la voce. Venivano fuori solo delle parole arrancate e
dette con
voce rauca e poco convincente.
Il
suo cane si chiamava semplicemente Bob.
Sapeva che non si trattava di un nome originale, ma lui non
aveva alcun particolare interesse in cose come quelle e, fra l'altro,
non usava
mai il suo nome per chiamarlo. Piuttosto fischiava o faceva
riecheggiare un «
Bello, vieni qui! » per tutta la casa. E quello rispondeva
senza alcun
problema. Quel nome era solo per dargli una certa dignità e
scrivere qualcosa
sulla targhetta del collare che non fosse "Nessuno".
Bob
gli era stato regalato da una sua amica del liceo
qualche giorno dopo la cerimonia per il loro diploma. Aveva chiesto a
SeHun con
un sms se potessero vedersi al parco vicino la scuola quella domenica,
e lei si
era presentata con un fagotto grande quanto il suo avambraccio chiuso
con un
fiocco di raso rosso. Lui era letteralmente impazzito quando aveva
visto quel
musetto peloso sbucare dalla stoffa. Era un affare minuscolo che
dormiva
avvolto nella sua copertina. Notò subito che aveva una
macchia color caramello
proprio in mezzo agli occhi. Per questo, ogni tanto, SeHun lo chiamava
anche "Piccolo
Buddha".
Quella
sua amica, sorridendo, glielo porse. - Il mio cane ha
avuto dei cuccioli di recente. E' già sverminato, ma devi
stargli dietro, visto
quanto è piccolo, - aveva detto con la voce che a SeHun
parve affievolirsi
verso la fine. - Mi piaci, - aggiunse dopo qualche secondo che lui non
aveva
detto nulla, ma stava ad osservare il cucciolo ora fra le sue braccia.
A
SeHun dispiacque sinceramente. Lei non era una cattiva
ragazza, anzi, gli era stata sempre piuttosto simpatica. A scuola lui
era
abbastanza conosciuto e spesso aveva gruppetti di ragazze -
generalmente più
piccole - che lo seguivano per il corridoio. Solitamente non dicevano
nulla,
facevano dei commentini fra di loro sottovoce. Lui non vi badava la
maggior
parte delle volte, ma capitavano dei giorni, in cui magari si era
soltanto
svegliato col piede sbagliato, che faticava a non rivolgersi a loro in
maniera
scortese.
Quella
sua compagna di classe, invece, si era sempre
comportata in maniera discreta. Era discreta lei stessa in senso
più generale,
che fosse nel vestire, fino ai semplici movimenti che si ritrovava a
fare. Ed
essendo SeHun una persona abbastanza controllata anche durante quelle
giornate
in cui si svegliava con la luna di traverso, non avrebbe potuto
risponderle
male. Non ne avrebbe avuto alcun motivo. Tuttavia, si
ritrovò a rifiutarla.
Intavolò un discorso non troppo lungo, ma pensava fosse ben
calibrato per non
ferirla eccessivamente, con magari qualche frase di circostanza qua e
là, in
quei punti nei quali non avrebbe saputo davvero cosa dire. A quanto
pare era
riuscito nel suo intento di non apparire falso o insensibile, dato che
continuarono a sentirsi regolarmente anche dopo quel pomeriggio.
SeHun
non era nel periodo adatto per pensare a qualunque
tipo di relazione. Per lui, i "periodi" andavano aperti e chiusi, a
parte casi eccezionali. Non rivangava mai avvenimenti passati a meno
che non
fosse strettamente necessario o capitasse per caso, senza averlo
esplicitamente
chiesto al suo cervello. Non perché trovasse doloroso farlo,
perché fosse stato
segnato da chissà quale crudeltà la vita gli
avesse riservato, ma perché,
semplicemente, lo trovava inutile. Il presente, per lui, andava vissuto
così
com'era e guardando, tuttavia, al futuro. Quindi, una volta terminato
il liceo,
sapendo di doversi trasferire nel giro di pochi mesi nella capitale per
frequentare l'università, magari ingiustamente, aveva deciso
che i suoi amici
di scuola sarebbero rimasti confinati in quell'ambiente ed in quegli
anni.
Tralasciando qualche ipotetica rimpatriata una volta diventati
cinquantenni più
o meno insoddisfatti, non aveva neanche calcolato l'ipotesi di poter
prolungare
qualsiasi rapporto che non facesse parte del presente o del futuro. Con
lei, comunque,
decise di fare una specie di eccezione, seppur blanda e non finalizzata
ad
intaccare in alcun modo la sua vita di lì in poi.
A
parte il suo essere concentrato su faccende differenti -
come, appunto, il lasciare casa dei genitori al più presto -
si aggiungevano
altre "questioni" che stava ancora cercando di risolvere da almeno un
paio d'anni. Era, comunque sia, quasi arrivato alla soluzione. Non fu
un
percorso travagliato, per quanto per moltissimi ragazzi della sua
età processi
del genere fossero in qualche modo traumatizzanti, portandoli a crisi
interiori
ulteriormente estese. Con tutta probabilità lui era
bisessuale. « Oh, bene »,
si era detto, quando il possibile chiarimento gli era arrivato senza
preavviso
durante una mattinata a scuola. Dopodiché aveva solo avuto
bisogno dei suoi
tempi per accertarsene. Non era una cosa che lo tormentava. Gli
capitava di
pensarci nei momenti in cui gli sarebbe effettivamente dovuto passare
per la
mente, come quando incrociava per i corridoi della scuola un tale Kim
JoonMyun.
Si passavano quasi esattamente due anni di differenza. Non si erano mai
parlati, ma SeHun sapeva che lui si chiamava JoonMyun, e JoonMyun
sapeva che
l'altro si chiamava SeHun. JoonMyun era il ragazzo dell'ultimo anno con
il
miglior rendimento di tutta la scuola, quello con la migliore voce nel
coro,
quello con le migliori capacità di recitazione, quello con i
migliori modi di
fare, quello con la migliore famiglia, quello con il migliore tutto. E SeHun era il miglior giocatore
della squadra di calcio, grazie al quale la scuola si ritrovava con
svariati
trofei nella teca di vetro nel salone d'ingresso. Volenti o nolenti,
erano
sulle bocche di tutti e, volenti o nolenti, sapevano perfettamente
associare i
nomi reciproci ai reciproci volti.
La
prima volta che SeHun incontrò JoonMyun fu al bar della
scuola, durante la pausa pranzo.
Era
in fila per pagare alla cassa la sua lattina di
Coca-Cola e gli si era ritrovato dietro, senza, tuttavia, sapere di chi
si
trattasse e senza neanche curarsene, a dire il vero. Non aveva notato
alcun
particolare della persona che gli stava davanti. Era, appunto, solo una
persona
che gli stava davanti nella fila per poter pagare alla cassa del bar
della
scuola. Questo perché, in linea generale, SeHun non badava
per nulla alle
persone, specialmente se facenti parte dell'ambito scolastico. Fu solo
un caso
che lui avesse alzato lo sguardo quando lo aveva sentito dire alla
cassiera un
« Grazie a lei, buona giornata ». Quando si
voltò per andare via, aveva subito
capito che si trattava di Kim JoonMyun, per via dei capelli rosso
scuro, la
pelle incredibilmente chiara e dei tratti gentili, seppur abbastanza
maturi,
descritti da molti. E JoonMyun parve riconoscerlo a sua volta, quindi
lo salutò
con un semplice « Ciao », che sembrava celare una
punta di stupore,
accompagnato da un sorriso gentile. SeHun, una volta alla cassa, si
scordò di
prendere il resto, di salutare e ringraziare.
Lo
incontrò svariate volte e svariate volte fu colpito, in
seguito, da un qualsiasi tipo di lapsus.
Solo verso la fine dell'ultimo anno di scuola di JoonMyun - e quindi
del suo
terzo anno di liceo - quella domanda gli saltò in mente:
« E se mi piacesse? ».
Ci rifletté un attimo, poi scrollò le spalle e
riprese a camminare nuovamente
verso la sua classe. Per i due mesi successivi si accertò
che effettivamente
provasse quel genere di interesse per JoonMyun. E così era.
Dall'inizio
dell'estate, invece, si dedicò a delle "verifiche" con uno
scopo più
generale.
Nel
suo discorso di scuse a quella ragazza non fece
riferimenti al suo orientamento sessuale ancora senza un chiarimento
definitivo.
Dopo
aver accompagnato Bob, SeHun ritornava a casa sempre
con un'incontrollabile voglia di tornarsene a letto. Era la parte della
giornata che più detestava. Era quella durante la quale
sentiva di faticare a
prendere una decisione, quando, in vero, lui era sempre assolutamente
certo di
ogni cosa. C'era il suo buon senso che gli diceva « Devi
andare a lavorare »,
oppure « Devi andare a scuola di danza », mentre il
suo istinto gli urlava,
schifosamente persuasivo, qualcosa come « Bevi una caraffa di
cioccolata calda
e mangia tre brioches, quindi tornatene sotto le coperte; fuori fa
così
freddo... ». Ma in linea generale lui era anche piuttosto
diligente. Così,
sganciava il guinzaglio dal collare di Bob, preparava la macchinetta
per il suo
caffè rigorosamente amaro, senza neanche un cucchiaino di
zucchero, ed intanto
si infilava sotto la doccia. Fino ai primi di maggio, lo scopo
dell'acqua della
doccia era esclusivamente quello di svegliarlo un po'.
Il
martedì ed il giovedì mattina non lavorava.
Andava ad una
scuola di ballo a poco meno duecento metri da casa sua. Non era una
scuola per
nulla seria né conosciuta. Lì insegnavano
principalmente balli di gruppo o di
coppia a uomini e donne - ma maggiormente donne - di mezza
età o anche anziani.
Poi c'era anche l'orario di danza classica - se tale poteva definirsi -
per i
bambini. In determinati orari e determinati giorni si poteva prenotare
una sala
di discrete dimensioni per permettere a chiunque di potersi esercitare
per
fatti propri. Ovviamente sempre pagando l'entrata. C'era anche la
possibilità
di avere un abbonamento settimanale, mensile o annuale. SeHun lo aveva
acquistato annuale. Tutto ciò che gli veniva da pensare ogni
volta che varcava
la soglia di quella sottospecie di scuola era « Qui non ci
viene proprio un
cane ». E a lui conveniva.
I
suoi orari erano tutti perfettamente incastrati fra di
loro. Ogni attività era anche inframezzata da un'ora o una
mezz'ora di respiro.
Tralasciando la sua innata capacità di organizzazione, tutto
quello non gli
sarebbe stato possibile senza la flessibilità del titolare
del bar nel quale
lavorava. Un certo Hwang ZiTao, un ragazzo cinese più grande
di lui di solo un
anno. Si erano conosciuti alle elementari, e facendo qualche calcolo -
o
semplicemente mente locale - ZiTao era l'unica vera eccezione alla
"regola
dei periodi" che SeHun s'era imposto. Non sapeva bene neanche lui per
quale motivo. Se gli capitavano cose come quelle qualche domanda se la
faceva.
Era come se la sua vita fosse un puzzle - un puzzle piuttosto semplice,
a dire
il vero - e vi rimanessero dei buchi che non riusciva a riempire con
nessun
pezzo. E lui si tormentava per cercare di trovare una motivazione a
quello
squilibrio. Tuttavia, nel caso di Oh SeHun, tormentarsi equivaleva a
pensare a
qualcosa con intervalli regolari di una volta al giorno e per non
più di un
paio di minuti. Solo che in qualche modo gli pesava, rimaneva stanco da
tutto
quel pensare e per questo cercava di evitare il più
possibile qualsiasi tipo di
eccezione. Credeva che avrebbe dovuto trovarne solo una in tutta la sua
vita e
concentrarsi su quella, ma probabilmente non era proprio possibile.
Quel
giovedì di metà settembre, SeHun s'era
svegliato incredibilmente allegro. Non che generalmente fosse sempre
arrabbiato
o uggioso, ma Bob, quando lo vide dargli il buongiorno con una specie
di
sorriso, rimase pietrificato ai piedi del letto con la testolina
inclinata di
lato, rendendo facile l'immaginazione di un grande punto interrogativo
sopra di
essa. Tanta fu la sorpresa che, una volta fuori casa, a momenti non
s'astenne
dal fare i suoi bisogni. I ruoli parvero invertiti. Era SeHun a voler
respirare
un po' d'aria fresca mattutina, per una volta, senza mostrarsi
contrariato a
lasciare le coltri.
Prima di
tornare a casa, passò da Mary's,
una piccola pasticceria all'angolo della via, dove terminava la
pendenza della
strada ed iniziavano incroci trafficati. Non amava particolarmente
andarci per
questo, nonostante ci fossero dei graziosi tavolini in ferro battuto,
fosse
pulito e i proprietari fossero decisamente cordiali. Tuttavia, almeno
per
quanto lo riguardava, lì avevano i dolci migliori di tutta
la zona, per cui, se
ne sentiva la necessità, quello che voleva lo acquistava e
se lo portava a
casa. Insomma, se si concedeva qualche sfizio, almeno preferiva
gustarselo in
tranquillità. Non che SeHun fosse un patito della linea.
Semplicemente non
aveva un particolare interesse nel mangiare. Ogni tanto poteva anche
saltare un
pasto per dimenticanza e sentire i crampi della fame solo qualche ora
dopo. A
proposito di questo, spesso s'era sentito dire che lo invidiavano, ma
lui non
capiva per quale motivo, neanche fosse chissà quale talento
per cui essere
effettivamente gelosi.
Sedette alla
penisola della sua cucina, le serrande alzate poco meno della
metà, una piacevole penombra ed un canale di musica alla TV,
dove avrebbero
trasmesso video ancora per una mezz'ora, un sorso del cappuccino dal
bicchiere
in cartone, un morso di quel delizioso croissant al cioccolato, tutto
nella più
assoluta tranquillità. Si concesse anche di pensare qualche
minuto extra senza
per questo sentirsi turbato o spossato.
Pensò
a JoonMyun. Quello che si chiese, per prima cosa - fra le tante che
avrebbe potuto domandarsi - fu dove potesse essere in quel momento.
Come già
precisato, Oh SeHun confinava le persone e le situazioni in determinati
periodi
di tempo, quindi non aveva mai voluto prendersi la briga di stare a
chiedere in
giro di lui a qualunque altro conoscente del periodo del liceo. Fra le
altre
cose, di JoonMyun non sapeva assolutamente nulla, se non nome, cognome,
anno di
nascita e le materie in cui eccelleva - visto che il suo nome era
perennemente
presente nelle graduatorie della scuola, in bella vista nella sala
d'ingresso.
Probabilmente, facendo due calcoli, Kim JoonMyun poteva essere ancora
benissimo
a Seoul, a studiare diligentemente, com'era suo solito. Ce lo vedeva in
qualche
facoltà che riguardasse la letteratura o forse anche la
medicina. Ma lui era
primo sia nelle materie scientifiche che in quelle umanistiche, quindi
SeHun
non riusciva a darsi una risposta precisa a tale quesito. Per qualche
motivo,
comunque, non se la sentiva di incastrarlo in nessuno di quegli ambiti.
Poteva starci bene come poteva anche non starci per nulla.
Prendendo un
altro morso del croissant, le briciole a ricadere su un piattino
in ceramica, gli tornò in mente di quando, in fondo
all'hangar della scuola, si
era appostato per ascoltare il concerto di fine anno. Fu un bel
concerto. Non
s'era mai sentito più adolescente di quelle due ore. Due ore
durante le quali
non aveva fatto altro che pensare, senza sentirsi stanco, stranamente.
Non si
sistemò in prima fila perché, appunto, era
lì per ascoltare. JoonMyun cantava
molto bene. E quello era il giorno in cui SeHun stava lasciando la sua
prima
vera cotta. Non s'era mai sentito più adolescente di quella
volta, decisamente.
Riportando
alla mente quelle due ore - e specialmente i minuti durante i quali
lo sentì cantare Layla di Eric
Clapton - pensò che il posto dove JoonMyun non avrebbe
potuto stonare sarebbe
stato un bel palco. Tuttavia, per quanto ne sapeva, poteva anche essere
diventato un idraulico. E chissà che un giorno, trovandosi
la casa allagata e
con la necessità di un aiuto, non si fosse trovato Kim
JoonMyun in persona,
alla porta, con la cassetta degli attrezzi.
Concluse con
questo pensiero - che cercò di allontanare dalla mente il
più in
fretta possibile, visto che lo trovava al limite della
comicità - si alzò,
sciacquò il piattino, buttò bicchiere e
fazzoletti ed andò a fare una doccia.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2219109
|