1.
Nella vita di Oh SeHun ormai vi
erano delle costanti: il profumo di vaniglia, dei Mont Blanc al
bicchiere
serviti al tavolo di un bar ogni giorno, le lenzuola scure di un cotone
incredibilmente morbido, strade trafficate percorse sotto la pioggia
senza
ombrello. In tutto questo lui ci vedeva bellezza, quella per la quale,
nonostante la vita non gli desse molto da sorridere, lui continuava ad
alzarsi
dal letto.
«
Aspetta... »
Non che lui la bellezza l'avesse
sempre conosciuta, ma da quando gli era piombata sotto forma di cliente
al bar,
gli sembrava di poter capire.
«
La luce... »
Solo che colui che, probabilmente,
voleva insegnargliela, era praticamente cieco.
Quindi SeHun si ritrovava a dover
fare l'amore a metà ogni volta, perché Lu Han
aveva il terrore che lui potesse
vederlo. Non gli era consentito neanche uno spiraglio di luce
proveniente dalla
tapparella appena alzata, a parte qualche notte durante la quale Lu Han
sembrava aver preso un minimo di sicurezza. Ma ci aveva rinunciato,
perché
doveva spendere minuti preziosi a rassicurarlo, a ripetergli
« Sei bellissimo »
più che poteva, quando, in realtà, avrebbe voluto
che ci si spogliasse
completamente.
«
Scusami, Lu Han... Scusami... »
Quindi sì, Oh SeHun sentiva di fare
ogni volta l'amore a metà. Era solo un aggrapparsi alla
carne altrui e
sentirla, e per quanto lui vi impiegasse l'anima, senza alcun freno,
nel
volersi dare al compagno, l'altro, in quegli attimi, pareva solo un
involucro.
Non che in altri momenti della giornata fosse diverso, comunque.
Oh SeHun arrivava a sfiorare Lu Han sempre a metà.
--
Generalmente
sarebbe andato nel panico. Era pur sempre in
mezzo alla strada, la piega ai capelli gli si era rovinata ed il trucco
gli si
stava sciogliendo, lasciando delle righe scure a solcare le guance. Fra
l'altro,
non amava neanche la pioggia, ma tanto era contento che sembrava non
essersi
accorto del tremendo acquazzone che aveva preso il controllo di quella
parte di
Seoul. Voleva concedersi una trasgressione. Anche se a modo suo, Lu Han
stava
festeggiando.
« Lu Han, nato a
Pechino il venti aprile millenovecentonovanta.
»
Lo
avevano chiamato e lui, in riga assieme a tutti gli altri
candidati, non aveva avuto il coraggio di alzare lo sguardo verso la
giuria
seduta al lungo tavolo davanti a sé.
«
Sei stato scelto per entrare a far parte della Trois Chances Academy.
»
Pensava
d'aver capito male o che si fosse trattato di una
qualche specie di scherzo di pessimo
gusto ma, per sua fortuna, così non era stato. Si
era successivamente
ritrovato a firmare qualche scartoffia per l'iscrizione alla nuova
compagnia di
ballo di Seoul.
Per
una volta, Lu Han valeva qualcosa e, per una volta,
poteva concedersi di farsi vedere dai passanti in condizioni che lui
considerava pietose.
Non
aveva molti won in tasca - si era scordato di prendere
il portafogli intanto che usciva in fretta da casa, preso
dall'agitazione per
il verdetto dei provini. Avrebbe preso un cicchetto di qualche liquore
scadente, forse due, ma tanto sarebbe stato semplicemente un modo
simbolico di
festeggiare, da solo, la sua prima importante realizzazione. Non che a
lui
importasse, tuttavia, con chi si dovesse ritrovare a "festeggiare", e
non faceva molta differenza che lì, in Corea del Sud, da
ormai qualche anno
fosse praticamente da solo e che il suo sorriso si fosse risvegliato da
un
lungo torpore durante quella sera di metà settembre. Non
faceva differenza,
perché importava solo ciò che le persone
vedevano, così come i passanti che lo
guardavano straniti mentre attraversava le strade a passo svelto, con i
ciuffi
gocciolanti appiccicati al viso: un bellissimo ragazzo sulla ventina -
e
qualcuno gli avrebbe dato anche meno - con capelli biondi, occhi
ridenti,
tratti fanciulleschi, nessuna imperfezione di alcun genere, mai. Un tentativo disperato di
mascherare un'indicibile bruttezza.
Spesso
si era ritrovato a maledire Seoul. Era troppo
affollata, era troppo grande, e gli sembrava che le sue ricerche,
proprio per
questo, fossero ancora più difficili. Lu Han cercava qualcosa di bello in ogni angolo che
superava, ogni vetrina nella
quale sbirciava, ogni casa nella quale spiava mentre sedeva in un bus,
intanto
che questo doveva stare fermo al semaforo. Sbirciava - se non vi erano
tende -
nelle cucine e nei saloni spesso vuoti ed illuminati da qualche luce
calda,
sbirciava delle vite belle ed
immaginarie. Per il cielo scuro ed infinitamente alto di Seoul lasciava
volare
un'utopia ogni volta, come origami a forma di gru che avevano preso
vita. E con
ogni gru, lasciava andare via una parte di sé che urlava. Lu
Han urlava tanto,
eppure le persone lo fissavano estasiate, meravigliate, ammaliate, ogni
qualvolta lui camminasse, perché, in realtà,
sembrava ciò che di più buono ed
inarrivabile vi fosse. Un tentativo disperato di mettere a tacere un
indicibile
dolore.
E
non vi era un solo giorno che facesse eccezione, così come
quella sera. Intanto che attendeva, da circa mezz'ora, di asciugarsi un
po',
seduto ai gradini di un negozio di abbigliamento vintage, fissava i
passanti,
ed in ognuno di questi non riusciva a vedere assolutamente qualcosa di
bello,
non riusciva a sentire alcun interesse nel voler sapere cosa facessero
nella
vita e di cosa pensassero di quest'ultima. Se qualcuno, tuttavia, si
fosse
avvicinato a lui ed avesse iniziato a raccontare tutto il suo trascorso
dalla
nascita fino a quel momento, così, dal nulla, probabilmente
avrebbe accettato
d'ascoltare di buon grado. Perché, nonostante guardasse
tutti con grande apatia
- sempre senza che questi se ne accorgessero - Lu Han perdeva ogni
corazza con
qualunque altro essere umano quando vi arrivava a contatto. Ed
attenzione, il
che è ben diverso dall'aprirsi,
dallo
spogliarsi. Semplicemente, diventava
estremamente comprensivo ed empatico, una grande volontà di
capire ed aiutare.
In una prima fase non riusciva proprio a soffrire nessuno, ma in
definitiva
credeva che nessuno meritasse di sentirsi brutto come lui.
Fumò
la quarta sigaretta da quando si era fermato. Le teneva
fra le dita ora in modo delicato e quasi femminile, ora in maniera
assolutamente
svogliata, scordandosi che qualcuno potesse guardarlo. Generalmente, il
tabacco, i vizi, non fanno pensare a qualcosa di bello.
Per Lu Han, invece, quelle stecche di carta e tabacco così
dannose, potevano benissimo esserlo, e non si trattava
dell’unico paradosso su
cui si costruiva la sua mente.
Da
qualche parte, forte ed incredibilmente chiara, sentiva
provenire Dear dei Mad Soul Child.
La
voce di Jinsil aveva momentaneamente fatto ridurre il brusio delle
persone ed
ogni altro rumore circostante ad un semplice flusso ovattato, che non
faceva
altro che far risaltare ancora di più la melodia di quella
canzone. Lu Han,
seduto a quei gradini bianchi, con i gomiti sulle ginocchia, chiuse gli
occhi,
ora concentrato in un rituale che non è esagerato definire
sacro. Ogni singola
nota si insediava - più o meno senza che lui se ne
accorgesse - all'interno del
suo corpo. Le sentiva scorrere una ad una nelle sue vene assieme al
sangue e le
assimilava perfettamente, diventando lui stesso la musica, diventando
una scia
di ricordi, sorrisi, promesse e lacrime che non lasciavano solchi
indelebili
sulle guance. Si trasformava nello spettatore ignaro ed involontario di
una
pellicola che, al momento, gli sembra surreale. Un passato che non gli
pareva
realistico. Il suo volto senza maschere ed un disegno sulle labbra
assolutamente armonioso e spontaneo, come un fiore che sboccia.
Ed
ora rimanevano solo le ceneri di tutto quello. Lui le
raccoglieva con cura ed attenzione, le richiudeva in una boccetta
dall'aspetto
delicato. Tuttavia sapeva di non poter raccogliere ogni singolo
granello, che
qualche frammento sarebbe andato perdendosi, e con questo qualche parte
di lui
stesso. Ne diventava ulteriormente consapevole man mano che Dear volgeva al punto culminante, quello
durante il quale gli diventava impossibile non farsi travolgere dai
brividi.
Dear
fu scritta nel 2010 dai Mad Soul Child per il film d'azione Ajussi. Il film racconta di un ex agente
delle forze segrete coreane ritiratosi dalla scena in seguito alla
morte della
moglie, allora incinta del loro primo figlio. Era sparito senza
lasciare alcuna
traccia di sé, come se, d'un tratto, si fosse
smaterializzato con uno sbuffo
senza che nessuno se ne fosse accorto. Ma in realtà si era
stabilito in un
banco dei pegni, dove ritirava regolarmente i "tesori" di coloro che
si rivolgevano a lui, ed intanto passava, abbastanza frequentemente,
del tempo
con una bambina di forse dieci o undici anni, sua vicina di casa.
Tuttavia, l’agente
dimostrava una certa riluttanza a volersi avvicinare alla piccola per i
più
disparati motivi, che essi fossero ovvi o meno. Un giorno lei, dopo una
serie
di avvenimenti, viene rapita da un gruppo di malavitosi e letteralmente
destinata al macello per alimentare il traffico di organi. Lui,
ovviamente,
come un film con un lieto fine che si rispetti, riesce a salvarla. Un
lieto
fine dal gusto agrodolce, in vero.
A
Lu Han non piaceva quel genere di film, anche se, doveva
ammetterlo, quello non era davvero niente male. Lo trovava un lavoro
più che
valido. E fra l'altro era riuscito a strappargli non poche lacrime.
Tuttavia,
lui era più per film del calibro de Il
Diario Di Bridget Jones.
Per
quanto quella canzone fosse nata con un preciso scopo,
nel caso di Lu Han questa aveva preso un fine diverso. Non era
strettamente
legata a quel film. A dirla tutta Ajussi
gli veniva in mente come ultimo collegamento a quelle note, ed essendo
la
colonna sonora di un "periodo" - di quelli che qualunque persona
possiede - aveva, per forza di cose, deciso di lasciarla riposare nel
suo iPod
e nel suo computer senza ascoltarla almeno per un anno. Proprio come si
fa con
dei vestiti che al momento vanno troppo stretti - o troppo larghi - e
si
attende di riacquistare la forma giusta per poterli indossare di nuovo.
Rimaneva lì temporaneamente, come tanti altri brani
musicali, come tante altre
colonne sonore e come tanti altri ricordi piacevoli. Perché
Lu Han aveva ancora
speranza e doveva solo attendere che quest'altro "periodo"
terminasse, preparandosi a combattere, sapeva, una battaglia con se
stesso che
avrebbe potuto lasciargli non poche cicatrici. E quel giorno era un
punto di
partenza. Mettere piede alla scuola di ballo sarebbe stato nient'altro
che l'input per fargli muovere i
primi passi.
Presto, forse, si sarebbe dimenticato di indossare maschere di
qualsiasi tipo,
avrebbe ripreso a ricordare senza troppi rimpianti e a tirar fuori Dear dai meandri dove l'aveva abbandonata.
Fu
solo quando iniziò a rassicurarsi con pazienza, e da
solo, che la musica prese ad affievolirsi, e poté riprendere
a guardarsi
intorno e a vedere, effettivamente, ciò che lo circondava.
Lentamente la
pellicola sbiadita ed ovattata di ricordi svanì, lasciando
posto al frenetico
passeggio ed all'asfalto bagnato, i palazzi ed i negozi illuminati
dalle luci.
Una veduta molto più chiara, concreta ed in qualche modo
rassicurante. Lu Han
sentì anche di poter toccare i suoni, per quanto li
percepì nuovamente nitidi e
lineari, non come se avesse avuto due bei tappi
per le orecchie e qualcosa ad interferire fastidiosamente
con ciò che
cercava di udire già a fatica. « E' tutto ok
», si era ripetuto, semplicemente.
Abbassò
lo sguardo verso la punta delle sue scarpe di tela
ancora umide, e si rese conto che aveva trattenuto il fiato per tutto
quel
tempo senza accorgersene o in qualche modo risentirne.
Espirò profondamente ed
a lungo, provando un insolito piacere nel sentire i polmoni svuotarsi.
Chiuse
anche gli occhi, cercando di non badare troppo a quello che gli era
successo,
perché sapeva che non gli avrebbe fatto bene stare a
rimuginare ulteriormente
su qualsiasi cosa passata ed ormai andata persa, ed anche volendo,
quello non
era il posto né, soprattutto, il momento adatto per farlo.
Premette due dita su
entrambe le tempie e, poco dopo, sospirò di nuovo.
Sollevò la testa e riaprì
gli occhi. Li strizzò per un attimo, sentendo che le lenti a
contatto gli si
erano spostate e gli stavano dando fastidio. Erano lenti a contatto
azzurre.
Alla fine si alzò. Passò le mani sui pantaloni,
dietro, per pulirsi. Chi
l'avesse visto, avrebbe potuto vedere un ragazzo dall'aria per qualche
motivo
tranquilla e probabilmente soddisfatta. Lu Han riprese quindi a
camminare, stavolta
con calma e stando attento a rimanere sotto i balconi.
NdA: Non mi
sembra vero di star pubblicando questo.
Il mio intento era quello di non pubblicarla affatto, questa
storia, perché è il lavoro che ha di me stessa
molto più di tanti altri e, ad ora - tralasciando questo
capitolo scritto ancora con parecchia incertezza - è anche
quello scritto meglio. Invece di metterla qui, avrei voluto terminarla
e cercare di farla pubblicare da qualche casa editrice, se mai avessero
dovuto accettare e, ovviamente, con le dovute revisioni.
In ogni caso, questo capitolo è solo un preambolo, nulla di
particolare. Quando m'andrà, se m'andrà,
pubblicherò il secondo.
Bye.