Tocco d'artista

di LyraB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto. ***
Capitolo 9: *** Nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Andata



Erano le otto e la radiosveglia sul comodino di Giorgia si azionò improvvisamente spandendo nella stanza la voce di Samuele Bersani. Giorgia tentò inutilmente di spegnerla a tentoni, costringendosi ad aprire gli occhi per allungare un dito sul tasto OFF.
Si alzò in piedi sospirando e spalancò la finestra della sua stanza: il sole splendeva nel cielo e l'aria di quel mattino di inizio maggio era già calda. Affacciata al davanzale ripensò a quanto amasse quel piccolo appartamento all'ultimo piano: era proprio un'oasi di pace nella caotica Roma. Giorgia amava la tranquillità di quel posto… anche se aveva sperato davvero di vedere quella pace solitaria interrotta da Simone.
Sospirò ancora, quando si accorse di stare pensando a lui per l'ennesima volta; si erano lasciati da meno di una settimana e qualunque cosa vedesse glielo ricordava: le presine bruciacchiate che lui lasciava sempre troppo vicino ai fornelli, il cassetto semivuoto del mobile del bagno, la mancanza del rasoio elettrico sulla mensola... dovunque posasse lo sguardo c'era qualcosa che le ricordava che non solo Simone non si sarebbe mai trasferito definitivamente da lei, ma che era proprio finita.
Il suono di una sirena la distrasse dai suoi pensieri tristi, riportandola alla realtà e alla giornata di lavoro che l'attendeva. Il suo ufficio, al centro di Roma, dipendeva dall'assessorato alla cultura della Capitale; l'agenzia in cui era stata assunta un anno prima era nota per i suoi eventi mondani in occasione dell'apertura dei nuovi siti archeologici e per la cura che metteva nei restauri.
- Buongiorno! - Esclamò entrando nel proprio ufficio, che divideva con due colleghi.
Si sedette alla scrivania e, come al solito, si dedicò a leggere le mail in arrivo.
La prima era scritta in un intenso verde smeraldo e riconobbe il mittente senza doverlo nemmeno leggere: Elisabetta era solita scrivere nei colori più assurdi solo per il gusto di essere alternativa:
"Ciao Giorgia! Oggi ho il turno al pomeriggio, ho dormito finora! Adesso mi faccio un giro in bicicletta al parco e poi vado a fare un salutino ai bambini. Fammi sapere quando ti va, mi prendo due giorni di ferie e ce ne andiamo al mare a Ostia per uno dei nostri weekend di chiacchiere e relax! Bacio. Tua Elie. "
Giorgia sorrise tra sé: l'idea di due giorni di mare senza pensieri e con la compagnia della sua migliore amica sarebbero stati un vero toccasana per i suoi nervi tesi e il suo cuore spezzato.
In quel momento - ma forse da quando si erano conosciute - l'unica persona di cui Giorgia sentisse il bisogno era proprio Elisabetta. Peccato che fosse a cinquecento chilometri di distanza e con una lista infinita di impegni ad occuparle la giornata.
Si ripropose di telefonare alla sua amica durante la pausa pranzo e tornò a leggere le mail. Non aveva ancora finito quando la segretaria si affacciò alla porta.
- Ha chiamato il capo. Devi andare subito da lui. -
Giorgia si alzò in piedi, specchiandosi nell'anta di vetro della libreria e cercando di ignorare la stretta che le chiudeva lo stomaco: era lì da solo un anno, non poteva già aver ottenuto una promozione. E se avesse combinato qualcosa di sbagliato?
Mentre si avviava all'ascensore pensava agli ultimi lavori che le erano stati affidati: non era mai successo niente di strano, o per lo meno niente che potesse giustificare una convocazione così improvvisa.
Salì al quinto piano del palazzo con il cuore che batteva impazzito.
- Buongiorno, sono la signorina Assisi. - Disse Giorgia alla ragazza all'ingresso.
- Buongiorno a lei, miss, mister Scotti la sta aspettando. - Cinguettò la ragazza.
Le fece cenno di entrare e la scortò fino all'ufficio privato del responsabile, chiudendole la porta alle spalle. Giorgia si ritrovò da sola nel grande ufficio dai mobili scuri, ferma su un folto tappeto davanti a una enorme scrivania coperta di fascicoli e piccoli oggetti d'arte. Il capo, un uomo stempiato sulla cinquantina vestito con un completo dall'aria molto costosa, era seduto su una grossa poltrona di pelle al di là del tavolo e la guardava da sopra le mani intrecciate. La stava soppesando con un'aria di tale superiorità che Giorgia sentì una punta di irritazione sostituirsi al disagio.
"Se continua a guardarmi come se fossi un pezzo di carne da comprare o no, mi giro e me ne vado."
Combattendo contro il suo istinto, però, si forzò di sorridere.
- Aveva chiesto di vedermi? - Domandò.
- Sì, Assisi. Siediti pure. -
A disagio, Giorgia si sedette su una delle grandi poltrone di fronte al suo capo, sentendosi molto piccola e molto fuori posto in quell'ufficio elegante.
- Ascoltami con attenzione. Un'organizzazione culturale della città di Monza ha chiesto una consulenza per una mostra all'aperto. Tu conosci già l'ambiente e hai affiancato diverse persone nell'organizzazione delle mostre. Credo che sia ora di farti provare da sola. -
- Io… io non so che dire… - Disse Giorgia, incerta: non aveva nemmeno capito bene di cosa si trattava.
L'unica cosa che le martellava in testa era la parola "sola". Provare da sola. Una mostra curata interamente da lei. L'idea la faceva sciogliere dalla contentezza.
Il capo riuscì a leggere quello che stava pensando dall'espressione stupita e felice dipinta nei suoi occhi, perché si lasciò andare ad un vago sorriso.
- Emily ti manderà via posta elettronica tutto il materiale in mattinata, le date e i numeri dei responsabili. Attenderò la sua conferma per il primo pomeriggio. - Disse. - Ma le dico subito che rifiutare non sarebbe una mossa intelligente. -
Giorgia si alzò, salutando educatamente, e tornò nel suo ufficio.
Solo quando fu seduta sulla sua sedia girevole azzurra si rese conto di quello che le era stato proposto: organizzare una mostra da sola. Era la sua occasione, non poteva sprecarla.
Il trillo della posta elettronica attirò la sua attenzione e quando si allungò per prendere il mouse lo sguardo le cadde sulla tartarughina di ambra marrone che Simone le aveva regalato per Natale: la usava come fermacarte per i biglietti da visita e in pratica doveva prenderla in mano duecento volte al giorno.
Un sorriso amaro si dipinse sul suo volto mentre il pensiero di Simone si sovrapponeva alla voglia che aveva di cambiare aria, di voltare pagina. Tornare a casa le avrebbe fatto bene e chissà, poteva anche essere l'occasione per rivedere Elisabetta: per una volta sarebbe andata lei a trovarla e non il contrario.
La mail arrivava direttamente dal suo capo e conteneva tutti i dettagli del lavoro che le sarebbe stato affidato: l'idea era quella di una mostra di giovani talenti tenuta nel centro storico della città.
Giorgia sapeva che se si fosse fermata a pensare ai pro e ai contro di quella situazione avrebbe perso un sacco di tempo. O, peggio, avrebbe rinunciato: Monza era una città che detestava e non le piacevano i giovani pittori, troppo spesso cercavano di vendere delle croste facendole passare per elevati capolavori d'arte concettuale.
E poi, se Simone avesse deciso di tornare da lei, lei non ci sarebbe stata.
Lo sguardo le cadde di nuovo sulla tartarughina d'ambra e si disse che era abbastanza da stupidi sbattere la porta in faccia a una proposta così interessante e promettente solo per la remota possibilità di vedere ricomparire alla sua porta un ragazzo che le aveva detto con molta chiarezza di "non provare più per lei le stesse cose di un tempo".
Alzò la cornetta e chiamò il centralino per farsi passare l'ufficio del capo.
- Pronto, signor Scotti? - Disse tutto d'un fiato, quando la voce burbera dell'uomo rispose al telefono. - Sono Assisi. Accetto il lavoro. - 

















Ho scritto questa storia alcuni anni fa, quando io e la mia migliore amica
eravamo in piena crisi universitaria post-maturità:
scegliere a diciotto anni la strada da percorrere per la tua vita non è facile.
Quindi questa storia è dedicata a lei, la mia meravigliosa Fra, e anche a tutti quelli che sono su EFP
invece che sui libri per la maturità.
Spero che questo incipit vi sia piaciuto.

Grazie di aver letto, alla prossima!
Bacibaci
Flora

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Capitolo 2
*** Due. ***






Una settimana più tardi il panorama davanti agli occhi di Giorgia era più che familiare: ferma davanti alla stazione di Monza, a due passi dall'albergo dove avrebbe alloggiato, riconobbe il profilo dei tetti della città dove aveva trascorso la sua adolescenza, distinguendo il campanile del Duomo, i tetti rossi dell'Arengario e la linea bianca e dorata della Rinascente. L'idea che non fosse cambiato niente nonostante fossero passati anni la rassicurava e la infastidiva allo stesso tempo. Sospirando si avviò lungo il viottolo lastricato che portava al Royal Falcone, l'hotel dove avrebbe alloggiato.
Non aveva fatto in tempo a sistemare le proprie cose nella stanza che fu chiamata nella hall:  ad aspettarla c’era un signore sulla sessantina, stempiato e vestito in modo molto elegante con un completo nero e scarpe lucide. Appena la vide le si avvicinò.
- Signorina Assisi, piacere di conoscerla. Emilio Brigassi, sono l'ideatore della mostra. - Disse stringendole la mano.
- Giorgia. - Si presentò lei con un sorriso.
- Devo ammettere che non ci aspettavamo una ragazza così giovane. Anche se ammetto che sono piacevolmente colpito. Sarà un evento giovane dall'inizio alla fine! - Disse emozionato l'uomo. - Ma venga, possiamo parlare mentre camminiamo. La accompagno al luogo dove abbiamo pensato di allestire la mostra. Mi dica, conosce già la nostra città? -
- Sono cresciuta qui. Ho studiato allo Zucchi. - Disse Giorgia.
- Oh, ma davvero? E cosa l'ha spinta ad andare così lontano dopo il liceo? -
- Lavoro. -
“E il fatto che questa città provinciale mi fa venire l'orticaria.” Aggiunse mentalmente.
- Beh, è un vero peccato che si sia dovuta spostare tanto dalla nostra bella Monza. Chissà, magari dopo questa mostra riceverà offerte di lavoro così allettanti che le faranno venire voglia di tornare. -
- Vedremo. - Disse Giorgia, con un sorriso conciliante che nascondeva il ribrezzo che provava alla sola idea di tornare al nord.
Raggiunsero a piedi l'Arengario, luogo della mostra, attraversando l'isola pedonale ricca di negozi di alta moda e di firme, ancora più costosi ed eleganti di come li ricordava: Monza era diventata una piccola Milano, e il centro era la sua via Montenapoleone.
“Forse avrei dovuto mettere qualcosa di più elegante”. Pensò Giorgia, vendendo riflessi in una vetrina i suoi jeans aderenti, le anonime ballerine rosse e la camicetta traforata.
Arrivati all'Arengario, il signor Brigassi la presentò ai suoi collaboratori, affidandola al suo assistente perché le illustrasse il progetto. L'idea era quella di appendere opere d'arte ai vari pilastri dell'Arengario, illuminandole da faretti abilmente nascosti tra le arcate e i capitelli del soffitto. All'esterno ci sarebbero stati dipinti interessanti, ma il meglio doveva essere risparmiato per il piano superiore, dove i visitatori avrebbero potuto informarsi sulle attività dell'agenzia organizzatrice e chiedere di poter comprare i quadri esposti.
Al termine del giro visite le diede un grosso raccoglitore colmo di fotografie di dipinti tra cui Giorgia avrebbe dovuto iniziare a scegliere i quadri da esporre. La ragazza tornò in albergo per il pranzo barcollando sotto il peso del faldone di fotografie, delle parole di cui era stata sommersa e del caos che regnava per le strade di Monza.
Dopo pranzo, mentre dedicava qualche ora al riposo, pensò che forse era giunto il momento di annunciare ad Elisabetta la sua parentesi brianzola. Avrebbe fatto i salti di gioia, sapendolo... e sarebbe anche stato probabile vedersela comparire all'improvviso davanti alla porta della camera d'albergo.
Avviò la chiamata verso il telefono della sua amica e attese di sentire la sua voce trillare dall'altra parte della linea.
- Giò! -
- Elie, ciao. -
- Che bello sentirti! Come stai? Che fai di bello? -
- Lavoro, come sempre. Ma non indovinerai mai da dove ti sto chiamando. -
- Credo di poter escludere New York, altrimenti non avresti il coraggio di dirmelo. -
- No, infatti. È molto più vicino a dove abiti tu. Davvero molto. -
Elisabetta gridò di entusiasmo con un volume tale da obbligare Giorgia ad allontanare il cellulare dall'orecchio.
- Sei qui a Milano! -
- Indovinato. - Rise Giorgia. - Sono a Monza per una mostra. -
- Comecomecome? Sei a Monza per una mostra? E che aspettavi a dirmelo? -
- Volevo farti una sorpresa ma ho l'impressione che non avrò nemmeno un momento libero. Come stai, Elie? -
- Bene, ma non ho nessuna intenzione di parlarti al telefono quando posso averti dal vivo! Stasera alla Gelateria del Centro? -
- Non so se... - Iniziò Giorgia.
- Non accetto scuse! Non ci vediamo da mesi, ci dobbiamo incontrare! A costo di presentarmi alla porta della tua stanza d'albergo a picchiare i pugni finché non mi apri! - Esclamò Elisabetta, senza darle il tempo di finire.
Giorgia sorrise: se c'era una cosa che il tempo non aveva cambiato, nella sua migliore amica, era la totale mancanza di mezzi termini.
- D'accordo. Ci vediamo lì davanti. - Disse con un sorriso.
- Perfetto. A stasera! - Trillò Elisabetta con entusiasmo, prima di riattaccare.
Dopo il lungo pomeriggio di lavoro Giorgia si concesse una doccia tiepida prima dell'appuntamento con la sua migliore amica.
Non si vedevano da quando ad ottobre Elisabetta era scesa a Roma a trovarla: durante quelle settimane si erano scritte spesso e telefonate, qualche volta, ma vedersi era un'altra cosa.
Appena giunse in vista della gelateria, luogo di ritrovo dell'adolescenza di entrambe, Giorgia vide Elisabetta già lì davanti. Era la solita di sempre: portava un vestito a fiorellini, un golfino azzurro e un paio di ballerine.
- Elie! - Esclamò.
Elisabetta si voltò, la vide e le corse incontro per salutarla.
- Hai tagliato i capelli! - Esclamò Giorgia, vedendo che la lunga chioma color miele della sua amica era stata drasticamente accorciata, scalata e dotata di frangetta.
- Cambiare fa bene. - Replicò Elisabetta, scuotendo i capelli e sorridendo allegramente. - Tu invece sei bella come sempre. -
- Esagerata. - Rispose Giorgia sorridendo.
Si sedettero ai tavolini rotondi della gelateria godendosi il tepore della sera di maggio e il vociare delle famiglie che passeggiavano nella piazza di fronte al locale. Al di là del monumento che vi sorgeva in mezzo si vedeva la massiccia costruzione ocra del liceo dove avevano studiato entrambe.
- Allora, allora, raccontami. - Disse Elisabetta, sporgendosi sul tavolino avida di novità.
- Sono un po' stanca, lo ammetto: non ho ancora avuto un momento per realizzare di essere qui. -
- E pensare che avevi detto che non saresti mai tornata a Monza. Mai e poi mai. -
- Vero. Ma non ho intenzione di rimanere: tra una settimana la mostra sarà avviata e potrò tornare al mio ufficio a Roma. -
- Ti dà così fastidio potermi vedere tutti i giorni? - Rispose Elisabetta mettendo il broncio.
- Ma no, Elie, sai benissimo che non è per te. È proprio la città. -
- Lo so. - Disse Elisabetta con un sorriso. - Ed è per questo che mi chiedo come mai tu abbia accettato. Anche se una mezza idea ce l'avrei. -
Giorgia abbassò gli occhi, mescolando con il cucchiaino il suo marocchino bevuto a metà.
- Avevo bisogno di cambiare aria. - Rispose alla fine, in un sussurro.
- L'hai più sentito? -
Giorgia scosse la testa, alzando gli occhi per dire alla sua amica quanto le facesse ancora male affrontare quell'argomento.
- Non pensarci. - Disse in fretta Elisabetta. - Vedrai che ti passerà. -
- Non credo che sarà così facile. Lui era... beh, era perfetto per me. -
- Se ti ha lasciato non poteva essere perfetto per te. Gli mancava di sicuro qualcosa, per essere il massimo. -
- Davvero? E cosa, sentiamo. - Rispose Giorgia, punta sul vivo.
- Il fatto di amarti. - Replicò Elisabetta con un sorriso.
Giorgia sorrise a sua volta, pensando che la candida saggezza della sua migliore amica sembrava ancora uscita dai libri che lei tanto amava.
- Ogni volta che ci vediamo finiamo per parlare di me. - Disse. - Non mi hai più detto se l'affascinante infermiere di radiologia ti hai poi invitata ad uscire. -
- Giorgia! - Esclamò Elisabetta.
- Beh, che c'è? Me l'hai detto tu che vi incontrate ogni mattina alla macchinetta del caffè! Pensavo che dopo tutti quegli incontri casuali avrebbe trovato il coraggio di invitarti! -
- A parte un paio di cappuccini e un passaggio in macchina il giorno in cui la Cinquecento mi ha lasciato a piedi, Andrea non ha mai dimostrato di avere particolare simpatia per me. -
- Certo. -
- Non essere supponente! -
- È solo che non capisco come non ci sia mai nessun uomo nella tua vita. -
- Sto bene anche da sola, e lo sai anche tu. -
- Ma certamente... è solo che non mi sembra possibile che non ci sia nessuno che si accorga di quanto sei fantastica. Come ti ho sempre detto, forse sei tu che non lo noti. -
Elisabetta rimase in silenzio per un momento, poi alzò gli occhi verso Giorgia.
- Andrea è gay. - Aggiunse Elisabetta, con voce carica di delusione.
A quell'affermazione, a Giorgia morirono le parole in bocca.
- Me l'ha detto l'altro giorno, con serenità, mentre mi offriva l'ennesimo caffè. - Continuò Elisabetta con amarezza. - Forse si era accorto che iniziavo ad interessarmi troppo a lui. -
Giorgia si sporse per stringerle una mano, ma Elisabetta sfuggì al suo contatto e si guardò rapidamente intorno, per poi tornare a sorriderle.
- Sei andata a fare un giro allo Zucchi? - Le chiese.
- Oh, no. Non sono ancora pronta a un tour dei ricordi con tutti i crismi. -
- Dobbiamo assolutamente rimediare. - Disse Elisabetta alzandosi.
- Dove stai andando? -
- Alla scuola, ovviamente. Il cancello sarà chiuso, ma si vede benissimo anche da fuori. -
- No. Elie, no! - Esclamò Giorgia, prendendo anche le sue cose e protestando inutilmente mentre seguiva la sua amica verso la scuola.
Sui gradini dell'ingresso erano seduti dei liceali vestiti piuttosto eleganti. Giorgia si sentì i loro occhi addosso per tutto il tempo che impiegò a raggiungere Elisabetta vicino al cancello di ferro battuto.
All'interno la luce dei lampioncini rotondi era bianca e limpida e spandeva riflessi argentati sulle foglie delle siepi ben curate e tra i chiaroscuri dei grandi sempreverdi del cortile. Le rose canine vibravano nell'aria tiepida della sera di maggio e l'acqua che zampillava dalla fontana rendeva ancora più idilliaco il quadretto, incorniciato dal loggiato dai colori pastello. Visto così, sembrava lo scenario di un bel film medievale, non un liceo classico decisamente vecchio stile.
- Un po' mi manca, questo posto. - Disse Elisabetta.
- A me no. -
- Non ti piacerebbe tornare indietro? - Domandò l'amica, aggrappandosi alle sbarre del cancello per riuscire a vedere più lontano.
- E tornare ad essere un'adolescente imbranata che non sapeva vestirsi e non aveva idea di cosa fare della sua vita? No, grazie. Sto bene così. -
- A me manca. - Disse in un sussurro Elisabetta. - Però la parte migliore del liceo è stata di certo la nostra amicizia. E quella è ancora qui. -














Ecco qui il secondo capitolo.
Riscrivere questa storia è stato molto faticoso,
ma sono convinta che devo mettermi a sistemare ciò che non funziona,
invece di ignorare il lavoro fatto e ricominciare daccapo.
Quindi ecco qui, un altro capitolo del mio racconto originale dedicato ai maturandi di questo e di tutti gli anni a venire.
Come sempre, grazie per aver letto!


Flora

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Capitolo 3
*** Tre. ***





I primi due giorni servirono a Giorgia per ambientarsi e iniziare la collaborazione con gli altri del comitato: erano tutti piuttosto gentili, anche se lei riusciva a percepire un sottile scetticismo nei suoi confronti. Forse era dovuto al fatto che veniva da Roma, forse alle sue ballerine e alle sue magliette anonime o forse alla sua età, ma quello che era certo era che tutte le sue idee venivano vagliate nel minimo dettaglio, come se i collaboratori di Emilio volessero a tutti i costi trovare un difetto nelle sue proposte.
Giorgia però era una che non si scoraggiava davanti alle difficoltà, e in più era stata dotata di una mente creativa e brillante: anche davanti alla peggiore critica riusciva a trovare un modo di far rivalutare la sua idea o di avere un'altra occasione per proporsi e alla fine quasi tutte le sue idee furono accolte favorevolmente.
Il mercoledì mattina sarebbero iniziati i lavori di allestimento pratico della mostra e Giorgia si presentò molto presto all'Arengario per presiedere la scelta dei quadri, delle luci e della preparazione della sala al primo piano.
- Buongiorno, signorina. - Disse il segretario di Emilio, raggiungendola con il suo tablet tra le mani. - La società che espone ha mandato qui il responsabile per la scelta delle opere. -
Sospirando all'idea di avere a che fare con l'ennesimo burocrate monzese, Giorgia si fece dire dove l'aspettava per raggiungerlo e iniziare a lavorare: prima avrebbe finito di parlare con lui, prima sarebbe riuscita ad andare a cena da Elisabetta. L'assistente le aveva detto che poteva trovare Tommaso Alfieri nella sala al primo piano, così Giorgia salì le scale.
Appena arrivò al piano di sopra rimase allibita: fino al pomeriggio precedente la grande sala era spoglia e fredda, piena solo dell'odore intenso dell'intonaco e dello stucco con cui avevano ritoccato i soffitti. Ma quel mattino le tende di lino ocra alle finestre ondeggiavano nella brezza mattutina, circondando le finestre da cui si riuscivano a intravedere ritagli di cielo turchese tra un palazzo e l'altro. Il soffitto risplendeva della luce riflessa dell'intonaco immacolato e il pavimento, di un caldo color mattone, si sposava stupendamente con gli arredi in legno scuro: gli scaffali per gli opuscoli, il tavolino per il rinfresco, la scrivania per le informazioni e gli sgabelli e le sedie per i sorveglianti della mostra.
In fondo alla sala c'era un uomo: le dava le spalle ed era molto impegnato a sistemare una piantina di edera su una mensola in modo che le sue foglie cadessero dal ripiano in modo grazioso. Era alto, slanciato, con le spalle larghe e le gambe snelle. Indossava una camicia azzurro chiaro a maniche corte, un bel paio di jeans dal taglio elegante e scarpe di tela.
Fece qualche passo avanti sforzandosi di fare rumore in modo da essere sentita, ma il ragazzo non si girò. Si schiarì la voce due o tre volte, sperando senza inutilmente di riuscire ad attirare la sua attenzione e alla fine lo raggiunse, scivolandogli di lato per entrare nel suo campo visivo e per guardarlo in faccia.
Era molto più giovane di come Giorgia se lo aspettava: doveva avere a malapena trent'anni. Aveva un bel viso dolce, grandi occhi castani con ciglia bionde e i capelli chiari scomposti in ciocche disordinate sulla fronte.
L'espressione sorpresa che si dipinse sul volto del ragazzo quando la vide fu giustificata dalla presenza degli auricolari nelle sue orecchie. Rapidamente il giovane si ricompose, si sfilò le cuffiette e sorrise elegantemente.
- Non ti ho sentita, scusami. - Disse. - Tommaso Alfieri, responsabile dell'associazione che espone i quadri. -
- Giorgia Assisi. La curatrice della mostra. -
Tommaso strinse la mano che Giorgia gli tendeva guardandola dritta negli occhi senza dare il minimo segno di imbarazzo.
- Allora sei tu la bella romana. Non l'avrei mai detto, non hai l'accento della capitale. -
- Sono a Roma da poco. - Tagliò corto Giorgia. Lo sguardo diretto di quel ragazzo la stava mettendo a disagio. Sciolse la mano dalla sua stretta e cambiò rapidamente discorso.
- Pensavo che potevamo iniziare a scegliere i quadri per l'esterno e la sala d'ingresso. L'idea è quella di lasciare il meglio per l'ultima sala, dove ci sarà lo stand di offerta per le opere. -
- È un'ottima idea! - Disse Tommaso con gli occhi che brillavano. - Hai già deciso cosa esporre per l'inaugurazione? -
- Ho diviso le foto dei dipinti in tre gruppi, uno per sala. Per fare la scelta definitiva volevo vedere i quadri dal vivo. Il signor Brigassi mi ha detto che li avresti portati tu. - Rispose Giorgia, rendendosi improvvisamente conto che non avevano nemmeno contemplato il “lei”, nella loro presentazione.
- Sono tutti al piano di sotto. Vieni, andiamo a dargli un'occhiata. - Disse Tommaso, facendole cenno di seguirlo con uno sguardo così affascinante che Giorgia fu tentata di rispondergli di no.
Mentre scendeva le scale, si impose di comportarsi con quell'affascinante ragazzo biondo come avrebbe fatto con qualunque manager brianzolo stempiato e brizzolato. Il fatto che fosse incredibilmente carino non gli avrebbe concesso di fare breccia nel suo cuore. Non dopo Simone.
- Ecco qui. Possiamo guardarli uno ad uno con tutta calma. - Disse Tommaso, mostrando cinque grossi bauli con le fibbie d'ottone aperti, ognuno contenente una decina di tele di ogni dimensione.
Giorgia gli scoccò uno sguardo che voleva essere professionale, ma che probabilmente non fu efficace: Tommaso si sedette vicino a lei e le mostrò i quadri ad uno ad uno, descrivendoli tutti con un tale entusiasmo da farla distrarre continuamente, incantata dal suono della sua voce e dal tocco delle sue dita che accarezzavano la tela.
Il risultato fu che dopo un baule e mezzo di quadri si sentiva completamente frastornata e non ricordava nulla di quello che aveva visto. Sbattendo le ciglia e realizzando di essere confusa, Giorgia decise di rompere l'incanto della voce di Tommaso dicendo qualcosa.
- Questo mi piace. - Disse prendendo in mano una tela ad olio di medie dimensioni.
Ritraeva un tramonto incredibile in cui si potevano vedere tutte sfumature di rosso e di arancione esistenti, e forse anche qualcuna che non aveva mai visto prima. Al centro della tela un sole di fuoco spandeva i suoi raggi scarlatti in ogni direzione, in un gioco di onde e linee stupefacente.
- È perfetto per la mostra. - Disse ancora, colpita dall'aver trovato per caso un'opera così incredibile. - Lo stile moderno, i colori accesi... è pieno della passione dell'esordiente ma già deciso e convinto. Potrebbe essere il dipinto ideale per la parete appena fuori dalle scale, sono convinta che colpirebbe la vista più di qualunque altra tela.-
- Non si può. - Disse Tommaso improvvisamente.
- Perché no? È il primo dipinto che mi colpisce davvero! -
- Non si può perché non si vende. -
- Ah no? - Sbottò Giorgia, mettendosi le mani sui fianchi e sfoderando la sua espressione più agguerrita. - E per quale motivo? -
Non si sarebbe fatta sfuggire il miglior quadro visto fino a quel momento - quadro che nelle foto del catalogo non c'era - per un capriccio di quel ragazzo dagli intensi occhi castani.
- Perché l'autore non vuole esporlo. - Replicò Tommaso con un sorriso meraviglioso, tanto affascinante che Giorgia ci mise un secondo a trovare il giusto tono piccato per rispondere:
- E come fai a saperlo? -
- Perché l'autore sono io. - Concluse il ragazzo, sfilando il dipinto dalle mani di Giorgia e riponendolo con gli altri nel baule.
Giorgia sbatté le ciglia per un istante, guardando Tommaso far scorrere i dipinti nel baule alla ricerca di un'altra tela da mostrarle.
- Se è veramente tuo hai talento. - Disse all'improvviso, parlando prima ancora di rendersene conto.
Tommaso sorrise, e i suoi occhi castani scintillarono.
- Non avresti detto che sono un pittore? Io l'ho capito subito che tu sei portata per l'arte. -
- Ah sì? E da cosa? - Disse Giorgia con un sorriso divertito, incrociando le braccia sul petto
- Si capisce da come ti vesti. L'arte è parte di te. -
Giorgia distolse lo sguardo, cercando di camuffare il sorriso e le guance rosse, ma Tommaso continuò imperterrito.
- L’arte fa parte delle persone… è come la musica. Quando una persona ama la musica o l’arte si vede. È come una luce che gli risplende intorno, come un profumo che si sente a distanza… da come mi vesto io non si vede, ma tu… tu risplendi proprio della creatività che hai dentro. -
- E sentiamo, genio, in cosa sarei diversa dalla gente che hai intorno? Non mi sembra di avere macchie di tempera sulla camicia o improbabili foulard multicolori al collo. - Replicò Giorgia, cercando di camuffare sotto un tono di voce scherzoso il vago piacere dovuto ai complimenti.
Indossava un paio di ballerine e pantaloni neri, una maglietta bianca a maniche a tre quarti e aveva raccolto i capelli con una molletta di osso sulla nuca. L'unico tocco di colore era una lunga collana di ciottoli d'ambra.
- Non è quello che indossi, ma come lo abbini. Bianco e nero sarebbe normale, ma l'ambra... scalda il colore dei tuoi occhi. - Disse Tommaso, avvicinandosi pericolosamente a lei e allungando una mano.
Paralizzata da una sensazione che le bloccava la bocca dello stomaco e le impediva qualunque movimento, Giorgia si limitò a deglutire, seguendo le dita di Tommaso che le accarezzavano i grani della collana.
- Se mettessi io questi tre colori assieme farei la figura dell’idiota, invece a te stanno d’incanto. Forse è merito del tuo incarnato e dei tuoi capelli bruni. - Continuò Tommaso con un sorriso, mentre alzava gli occhi e Giorgia poteva notare le screziature dorate delle sue iridi color cioccolata.
Un leggero capogiro rese Giorgia ancora più confusa, impedendole di distogliere lo sguardo, finché la voce di Emilio non ruppe il silenzio.
- Buongiorno Giorgia! Vedo che hai già conosciuto Tommaso. - Disse.
Tommaso distolse lo sguardo, facendo un passo indietro, e Giorgia si ricompose meglio che potè per poter augurare il buongiorno al responsabile della mostra.
Dopo i convenevoli Emilio si allontanò con Tommaso per sbrigare delle pratiche e Giorgia rimase sola con il suo catalogo e i bauli colmi di quadri. Accertandosi che Tommaso non fosse in giro, aprì il baule e riprese tra le mani l'intenso tramonto che aveva ammirato poco prima. Era meraviglioso, era pieno di forza e di colore.
Giorgia scosse rapidamente la testa, nascondendo per bene la tela dietro tutte le altre, sfregandosi poi le dita sui pantaloni come per eliminare anche la più piccola traccia di quel quadro dalla sua memoria.
Infuriata con sé stessa per il modo in cui aveva flirtato con Tommaso, aprì il catalogo per sfogliarlo di nuovo.
Ci era cascata di nuovo, proprio come l'ultima volta.
Tra lei e Simone era iniziata allo stesso modo: lei innocente, lui malizioso. Le sorrideva in modo così amabile da dietro il bancone della caffetteria sotto casa, sempre pronto a offrirsi per una chiacchierata! Era così carino e affascinante che in meno di un mese Giorgia aveva ceduto alla sua corte spietata, accettando i suoi inviti prima per scherzo, poi per piacere e infine con gioia, scoprendo di essersi lentamente innamorato di quel ragazzo così affabile e sorprendente.
Stava facendo la stessa cosa: stava di nuovo cadendo tra le braccia dell'ennesimo Casanova che pensava di poterla conquistare con qualche sorriso e un paio di commenti su colori e vestiti.
Sbattendo il catalogo sul tavolo, si guardò intorno sbuffando. Quella doveva essere la sua settimana di relax, dove pensare solo ed esclusivamente a sé stessa... e invece era di nuovo invischiata in capogiri, sorrisini e strette allo stomaco. Non esisteva. No e poi no.
Come richiamato dai suoi pensieri, Tommaso le comparve davanti.
- Devo andare. Ti lascio i quadri, così li puoi guardare con calma nel pomeriggio. - Disse. - Potremmo parlarne, prima di fare la scelta definitiva? Ho qualche idea da proporti. -
- Certamente. - Disse Giorgia col tono più professionale che le riuscì.
- Le mie giornate sono molto impegnate, e credo anche le tue. Che ne dici di stasera a cena? -
Giorgia sbatté le ciglia, costringendosi a rimanere presente a sé stessa.
- No, non posso. -
- Oh, peccato. Domani a colazione? Andiamo qui vicino, offro io. - Disse Tommaso con un sorriso suadente.
- Va... va bene. - Disse Giorgia.
- Stupendo. Ci vediamo al Bar del Centro domattina, otto precise. -
Quando Tommaso scomparve dalla sua visuale, Giorgia dovette ripetersi decine di volte che quello che le aveva lanciato non era un occhiolino, ma un normalissimo cenno di saluto.

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Capitolo 4
*** Quattro. ***





L'argomento principale della cena a casa di Elisabetta fu, naturalmente, Tommaso.
- Non ci vedo niente di male: fa il carino con te, tutto qui. -
- Se questo è il modo in cui comprendi il linguaggio maschile, Elie, non mi stupisco che tu non abbia un uomo. Ci stava provando, e nemmeno con troppa discrezione! Invitarmi a cena, ma dico! -
- Parliamo di lui da due ore e ancora non mi hai detto la cosa principale. - Disse Elisabetta, sorridendo dolcemente alla sua amica da sopra le mani intrecciate.
- E cioè? -
- Che ne pensi di lui? -
Giorgia aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di rispondere.
- È carino. -
- Carino nel senso grazioso o carino nel senso che ti piace? -
- C'è differenza? -
- Abissale. -
Giorgia le lanciò un'occhiataccia e poi scoppiò a ridere.
- Dovresti smetterla di atteggiarti da eroina di romanzo ottocentesco e scendere coi piedi per terra, Elie: Tommaso è carino, affascinante ed è un artista. Ma a me lui non interessa e non voglio avere niente a che fare con lui. Non esistono le “inclinazioni”, le “affinità elettive” e tutta quella roba lì, buona solo per le interrogazioni di letteratura del liceo. -
- Aha. - Disse Elisabetta. - Certo. Interrogazioni a cui tu andavi fortissimo e io facevo pena. -
- Forse per farmi capire da te devo iniziare a parlare in greco antico. -
- Prova per formule matematiche, Giò. Sai che capivo mille volte meglio la fisica dell'aoristo. -
- La sola idea di pensare a equazioni, piani cartesiani e parametri mi fa rabbrividire. -
- Lo so, è per quello che te li ricordo, di tanto in tanto. - Rispose Elisabetta con un sorrisetto.
- Perfida. Mi domando come i tuoi bambini possano amare tanto una volontaria così acida e cattiva. - Rispose Giorgia, ricambiando il sorriso.
- A proposito di bambini. Venerdì sera abbiamo uno spettacolino con gli ospiti del Mamma Oca, per me sarebbe veramente bello sapere che verrai a vederlo. - Disse Elisabetta.
- Ma certo che verrò. - Disse, un po' sorpresa: di solito lo spettacolo della casa famiglia dove Elisabetta faceva la volontaria si teneva alla fine di giugno, oppure a Natale. Era strano vederlo a metà maggio. In più a Giorgia non era sfuggito il tono di tristezza con cui Elisabetta aveva parlato, così diede voce ai suoi pensieri: - Tutto bene? -
- Sì. - Disse Elisabetta, guardando intensamente il cesto della frutta rimasto sul tavolo. Poi voltò lo sguardo verso Giorgia e sospirò. - No, non è vero. Chiudono la casa famiglia, per questo facciamo lo spettacolo così presto. Ai bambini piace e non sopportavano l'idea di non farlo, quest'anno. -
- Chiude? -
- La struttura è vecchia e servono troppi soldi per rimodernarla, non è più a norma e i bambini non possono rimanerci. Nicole ha affrettato le pratiche di affido e adozione, chi non avrà una famiglia verrà spostato in un'altra comunità. -
- E tu? -
Elisabetta sorrise.
- Troverò un altro modo per rendermi utile. Adesso però voglio sentire ancora qualcosa di questo affascinante pittore che ha fatto breccia nel tuo cuore in tempo zero. A quanto pare non potrò godermi la mia migliore amica nemmeno nella sua trasferta qui, se fa conquiste in così poco tempo. Prima o poi dovrò chiederti un corso accelerato. -
- Smettila, lo sai benissimo che non sono una mangiauomini. - Rise Giorgia, arrossendo.
- No, certo. Vogliamo ricordare... mmm, fammi pensare ai ragazzi che hai avuto al liceo. Uno, due, tre... - Iniziò Elisabetta, contando sulla punta delle dita.
- E basta. - Sbottò Giorgia. - Tre ne ho avuti, non trenta. Questi discorsi falli alla tua amicona Emma, quella che al posto di un ragazzo ha un alce su due gambe. -
Elisabetta scoppiò a ridere e Giorgia rise con lei.

Il sole della mattina splendeva sull'Arengario, colorando i suoi mattoni rossi di mille sfumature di amaranto, bronzo e scarlatto. Giorgia si guardava nervosamente intorno mentre le campane del Duomo, poco lontano, rintoccavano per l'ottava volta.
“Giuro che se mi ha dato buca...” Pensò Giorgia.
Era già piuttosto irritata con sé stessa solo per il fatto di essere andata all'appuntamento, se poi lui non fosse arrivato non avrebbe risposto delle proprie azioni.
- Buongiorno, Giorgia. - Disse una voce suadente alle sue spalle.
- Buongiorno a te. - Replicò Giorgia, cercando di sorridere in modo distaccato e non con quella smorfietta ebete che le spuntava sempre fuori quando il ragazzo carino di turno le rivolgeva la parola.
Tommaso la guidò lungo l'isola pedonale fino alla Piazza Trento e Trieste, risplendente nella luce del mattino. Le aprì la porta del Caffè della Piazza e le fece cenno di entrare.
Il locale non era cambiato affatto e il profumo di caffè e brioches avvolse Giorgia proprio come faceva nei lunedì mattina di liceo quando entravano alla seconda ora e si godevano la colazione al bar. Seguendo un antico schema non del tutto rimosso, Giorgia si sedette al tavolo nell'angolo, vicino alle finestre, quello da cui si poteva guardare meglio la televisione.
- Cosa prendi? - Le disse Tommaso, prima di sedersi.
- Un marocchino e una treccia al cioccolato. - Rispose Giorgia, cercando di mantenere l'attenzione rivolta più alle news di Mtv sullo schermo che allo scintillio degli occhi del ragazzo.
- Uao, mai vista ragazza tanto convinta. Torno in un attimo. -
Giorgia lo vide allontanarsi e si rese conto di essere rimasta troppo sulla difensiva: cercare di proteggersi era giusto, ma non voleva sembrare scortese. Così, quando Tommaso tornò, gli sorrise gentilmente.
- Era la mia colazione classica, quando venivo qui al liceo. - Rispose, mescolando il caffè.
- Ma dai? Venivi qui al liceo? -
Francesca indicò l'edificio rosso che si intravedeva al di là della vetrina alle sue spalle.
- Liceo Ginnasio Bartolomeo Zucchi. Sezione A. -
- Non ci posso credere! Anche io sono andato allo Zucchi! - Replicò Tommaso, spalancando occhi e bocca in un'espressione di così deliziosa sorpresa che Giorgia sorrise con più naturalezza.
- Ero nella E… non sono mai stato un grande studente, lo ammetto, ma questo liceo è stato uno dei miei ricordi migliori. Anche se il mio sogno era andare al Caravaggio… -
Parlare con Tommaso era stranamente naturale: era spiritoso e sincero, sapeva quando tacere e quando intervenire per non far calare imbarazzati silenzi. C'era sempre qualcosa da dire e più lo conosceva più lo apprezzava: sebbene i suoi genitori non l'avessero supportato, nella sua scelta di studiare restauro all'università, lui si era organizzato e si era barcamenato da solo. Dopo cinque anni di scuola di restauro a Brescia era tornato a casa... ma era ancora alla ricerca di un lavoro e nel tempo libero (il molto tempo libero dei disoccupati) si prendeva cura dell'associazione di giovani pittori di cui faceva parte da anni. Le raccontò che dipingeva da quando aveva sedici anni e che non aveva mai preso lezioni:
- I miei non avrebbero mai speso per farmi “imbrattare una tela”... ma ammetto di esserne contento: così la mia creatività non sarà omologata a quella di tutti gli altri ragazzi del circondario, ma sarà mia e basta. -
Come per ricambiare la fiducia e l'apertura, ben presto Giorgia si ritrovò a raccontargli dello Zucchi, dei combattimenti che aveva dovuto affrontare contro i suoi genitori.
- Insistevano per farmi studiare legge. Legge, ma io dico! Mi ci vedi ad arringare le folle in tailleur e tacchi a spillo, con gli occhialetti sul naso? -
- Perché no? La verve non ti manca. - La interruppe Tommaso, alzando le sopracciglia in un'occhiata ammirata.
- Ma per carità. - Sbottò Giorgia - Così alla fine l'ho spuntata e mi sono iscritta a beni culturali. Ho vinto il concorso a Roma e da lì è stato tutto più facile. -
- Non trovi strano che la tua nuova vita lì ti abbia riportato qui? -
- È una città come un'altra. -
- Io invece credo sia stato il destino. -
Giorgia alzò gli occhi, e le iridi castane di Tommaso lampeggiarono verso di lei.
In fretta, Giorgia si pulì la bocca col tovagliolo e si alzò in piedi.
- Credo sia ora di mettersi al lavoro. Si chiederanno dove siamo finiti. -
- Possono aspettare. -
- No, io non credo. - Disse lei, affrettandosi a sfuggire al raggio d'azione di Tommaso, nel caso l'avesse voluta afferrare per convincerla a rimanere ancora un po'.
Stavano tornando verso l'Arengario in uno spiacevole silenzio, quando Tommaso esordì, stranamente serio.
- C'è una cosa che ti devo chiedere. -
- Dimmi. - Rispose Giorgia, già spaventata da quell'introduzione.
- Tu pensi davvero che i miei quadri meritino di essere esposti? -
Presa in contropiede da quella domanda inaspettata, Giorgia sbatté le ciglia, confusa: non era certo quella, la domanda a cui si era preparata a rispondere
- I quadri? -
- Sì. Una parte di me non vuole farli vedere a nessuno, ma dall'altra... beh, dall'altra ti chiedi “perchè faccio cose belle, se non le posso condividere con nessuno?” -
- Parole sante. -
- La verità è che come responsabile non posso esporre niente di mio, sarebbe poco adeguato. Così mi chiedevo… se regalassi il quadro che ti piaceva tanto, quello con il tramonto? Lo potremmo appendere e il ricavato non verrebbe nelle mie tasche. Sarebbe sicuramente più onesto. -
- Io… io non so se si può fare. -
- Pensaci, ok? Magari senti Emilio, parla con lui, vedi se si può fare. Potrebbe essere la volta buona che dalle mie croste venga fuori qualcosa di buono. -
- Lo farò. - Disse Giorgia.
- Grazie. - Le disse, scoccandole un sorriso così pieno d'affetto che Giorgia avvampò.












Avevo deciso di sistemare questa storia per partecipare a un concorso letterario.
Purtroppo il limite era di 25.000 battute, meno di un terzo di quelle che ho impiegato io...
onde per cui, niente concorso: non tagliuzzo una mia storia che reputo bella solo per farla giudicare.
Anche perchè, comunque, il giudizio non direbbe la verità.

L'ho sistemata tutta per poterla condividere, però:
e questo è il motivo per cui continuerò a pubblicare fino a che non sarà terminata.

Grazie di aver letto anche questo capitolo (nonostante l'attesa) e alla prossima!
Bacibaci
Flora

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Capitolo 5
*** Cinque. ***





Quel pomeriggio era seduta all'ombra, su una sediolina pieghevole vicino a una colonna dell'Arengario, e sfogliava una rivista di arredamento per interni su cui scegliere le luci per la sala superiore.
Un'ombra si allungò sulle pagine e quando alzò gli occhi per capirne la provenienza gli occhi castani di Tommaso le sorrisero allegramente.
- Ciao, Giorgia. -
- Pensavo ti fossi dato alla macchia. E non è un'allusione a qualche tecnica pittorica. -
- Spiritosa. Avevo da fare, ho avuto un'idea… ho altri impegni, nel pomeriggio, ma ho pensato di passare per invitarti a cena fuori. Pensavo di andare all'Irish Pub qui dietro, è molto carino. -
- È ancora aperto?! - Esclamò Giorgia allibita.
- Ha cambiato gestione, ora è veramente un gioiellino. Allora, ci sei? -
- Spiacente, ma non posso. - Fu la risposta.
Tommaso rimase immobile mentre lei si rimetteva più comoda sulla sua sedia e riprendeva a sfogliare il giornale. Il ragazzo non sembrava deciso a demordere: si accucciò davanti a lei e posò le mani sul libro, spalancando gli occhi castani in quella che doveva essere un'espressione convincente.
- Neanche se ti guardo così? -
Giorgia rise e gli scostò il viso con una mano, affrettandosi a cambiare discorso.
- Stavo scegliendo le luci per le sale superiori. -
- Non saranno quattro faretti e un paio di lampadine a distrarmi dal mio intento. -
Giorgia gli scoccò un'occhiata supplichevole, sperando di ricordargli che erano colleghi e che erano lì per lavorare. Lo sguardo fu abbastanza eloquente, perché Tommaso sospirò e dedicò la sua attenzione al lavoro.
- Andiamo su a vedere la stanza. - Propose poi.
- Ma la conosciamo, a che serve? -
- Avere sott’occhio la tela bianca è molto utile quando bisogna scegliere il colore per iniziare. Non sei tu a mettercelo sopra, viene fuori da solo. -
- Ma sentilo. Michelangelo in confronto è un dilettante. -
Tommaso le scoccò un sorriso affascinante e la precedette al piano superiore. Quando arrivarono Giorgia si fermò davanti alla grande parete con i mattoni, l'ultima in fondo al locale, e dandole le spalle squadrò l’intera lunghezza della grande sala bianca e spoglia. Tommaso si girò in quell’istante.
- Però sai, forse hai ragione, dei faretti non sarebbero male. - Disse lei.
Tommaso le fece segno di non parlare, e Giorgia gli lanciò uno sguardo interrogativo, facendo un passo verso di lui.
- No, non ti muovere! -
- Ma che diavolo succede? - Sbottò Giorgia.
Tommaso le si avvicinò, e la guidò contro la parete di mattoni. Appoggiata al muro e bloccata dalle mani del giovane sulle proprie, oltre che dai suoi occhi fissi nei propri, Giorgia si rese conto di essere in trappola.
- Sei perfetta per questo posto. - Sussurrò Tommaso, avvicinandosi pericolosamente a lei.
- Sono perfetta per stare contro un muro? Mi stai facendo paura. -
- Questo è il posto per il quadro più bello. E io credo che non ci sia quadro, in quei bauli ammuffiti, che possa reggere il confronto con te. -
Bastò una frazione di secondo.
Forse era il colore del sole che entrava dalla finestra e disegnava un rettangolo d’oro sul muro accanto a loro. Forse erano gli occhi di Tommaso. Forse il suo buon profumo, o quel sorriso sulle sue labbra. Forse era semplicemente perché Giorgia amava il modo in cui la faceva sentire a suo agio.
Chiuse gli occhi e annullò la distanza tra i loro visi, posandogli le labbra sulla bocca.
- Sei ancora convinta che uscirai con quell’altro, stasera? - Mormorò lui un attimo dopo.
Giorgia rispose senza aprire gli occhi.
- Non ho detto che è un altro. -
- Solo un ragazzo terribilmente affascinante potrebbe convincerti ad uscire con lui e non con me. -
Giorgia alzò gli occhi al cielo, sorridendo.
- Esco con la mia migliore amica. - Disse lei, sciogliendosi dal suo abbraccio e allontanandosi da quel muro, che dubitava avrebbe visto ancora con gli stessi occhi.
- Mmm. Tu e una tua amica. Andrete in qualche locale di malaffare, già lo so… -
- Ma certo. Siamo proprio le tipe da postacci del genere. - Rise Giorgia.
- Tu forse no, ma la tua amica ti porterà di certo sulla via della perdizione. -
- Guarda che se una delle due diventerà santa, quella è Elisabetta. - Rispose Giorgia. - E comunque le ho promesso che vado da lei alla casa famiglia e poi andiamo a prendere un tè. -
- Posso almeno darti un passaggio? -
- Solo se la smetti di assillarmi. -
Tommaso annuì, sorridendo allegramente.

Alle nove Tommaso e Giorgia erano davanti al Mamma Oca: Elisabetta era nell'atrio, attorniata da una dozzina di bambini vocianti che le impedivano categoricamente di raggiungere la porta.
- Lei è Elisabetta. - Esclamò Giorgia, indicandola.
Tommaso la guardò con le sopracciglia alzate, probabilmente chiedendosi se quella ragazzina bionda attorniata da marmocchietti urlanti fosse davvero sana di mente.
- Ciao, Giò! - Salutò la ragazza quando li vide. - E tu devi essere... -
- Tommaso, piacere. - Disse lui, allungando inutilmente una mano: quelle di Elisabetta erano troppo impegnate per potergliela stringere
- Bambini, adesso basta! - La voce di una signora corpulenta dai capelli color rame fece immediatamente tacere il baccano. - Salutate Elisabetta e tornate tutti di là. -
Elisabetta si chinò per baciarli uno ad uno sulla testa e in un confuso coretto di saluti e commenti, i bambini la lasciarono libera di respirare. La ragazza si riordinò i capelli e la camicetta, prima di stringere la mano a Tommaso.
- Non è sempre così. - Si scusò con un sorriso.
Dalla porta alle spalle di Elisabetta emersero una ragazza giovane dai riccioli bruni e un ragazzo alto e bruno con gli occhiali. Scoccarono un sorriso ad Elisabetta e uscirono salutando.
- Puoi andare a casa, adesso. - Disse Giorgia a Tommaso.
- Non sono invitato alla vostra seratina? -
- Mi pareva di essere stata chiara. -
- Ok, ok. Vi lascio sole con i vostri pettegolezzi. Certo che mi sento un po' sfruttato, a farti solo da maggiordomo. -
- Non te l'ho chiesto io. - Fu la risposta di Giorgia, mentre incrociava le braccia e sorrideva divertita.
Tommaso le scoccò un sorriso complice, salutò Elisabetta e fece per allontanarsi. Aveva appena messo la mano sulla porta quando però tornò indietro, posò un bacio sulla guancia di Giorgia e poi uscì, chiudendosi l'uscio alle spalle.
- Apperò. - Disse Elisabetta maliziosa. - Siamo già arrivate ai baci? E meno male che ci volevi andare piano. -
“Se tu sapessi...” Pensò Giorgia.
- Come vanno le cose, qui? - Domandò invece guardandosi intorno.
Era tutto piuttosto spoglio e si vedevano i riquadri chiari lasciati dai poster e dai quadri staccati da poco dalle pareti.
- Te l’ho detto, non molto bene. Il comune ha dovuto fare molti tagli e il primo fondo che hanno abolito è stato quello per la casa famiglia. Troppe spese e nessuna resa. Agata e Cristiano si sono battuti, Nicole ha fatto quello che poteva, abbiamo anche tentato di chiedere aiuto alla gente, ma non ha funzionato. -
- È un vero peccato. -
- Non dirlo a me. -












Non sprecherò molte parole per questo capitolo.
Voglio solo ringraziare di cuore chi ha letto le mie parole
e chi sta seguendo la storia: Kasabian e Milady Ophelia.

al prossimo capitolo
Flora

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Capitolo 6
*** Sei. ***





Le giornate successive si prospettavano piene di impegni: Giorgia e Tommaso dovevano incontrare uno a uno tutti gli artisti che volevano esporre una delle loro opere alla mostra e passarono intere ore a guardare i loro quadri. C’erano croste clamorose, brutte copie di quadri famosi, disegni davvero belli e dipinti esageratamente colorati. Nel giro di qualche giorno i dipinti per la mostra erano stati scelti quasi tutti ma mancava ancora il più importante, quello che sarebbe stato appeso sulla parete di fondo.
Giorgia insisteva perché usassero il tramonto dipinto da lui, ma Tommaso era irremovibile: non avrebbe esposto un suo dipinto se non avesse trovato prima qualcuno a cui devolvere il ricavato della vendita. Sapendo che c'era un dipinto come quello nel baule, però, Giorgia non riusciva a sceglierne un altro.
- La vuoi smettere di fare ostruzionismo? - Disse Tommaso all'ennesimo dipinto bocciato.
- Sono qui per far venire bene questa mostra, no? Perciò o mettiamo il tuo quadro, o non mettiamo niente. - Replicò Giorgia.
Tommaso le si avvicinò e sporse il viso verso di lei, ma Giorgia si sottrasse al bacio.
- È la mia ultima parola. - Disse.
Tommaso la guardò di traverso, senza capire, ma lei si limitò ad allontanarsi, cercando un posto in cui la compagnia di uno dei noiosissimi assistenti di Emilio potesse impedirle di pensare a Tommaso.
L'aveva baciato, era vero, ed era vera anche quella sensazione di follia e di piacere che l'aveva fatta sentire su una nuvoletta rosa per il resto della giornata… ma quando si era ritrovata nella sua camera d'albergo, da sola, si era resa conto che aveva di nuovo incasinato tutto: non sarebbe riuscita ad essere distaccata e professionale, adesso che aveva dato a Tommaso un buon motivo per sperare.
E sulla base di cosa, poi? L'aveva baciato stordita dalle sue lusinghe, dai colori della stanza in quel pomeriggio, dalle ciglia dorate attorno ai suoi occhi color cioccolata. Non era su quello, che si basava una relazione, l'aveva sperimentato con Simone e la ferita le bruciava ancora.
Così si era imposta di rimettere Tommaso al suo posto: un collega. Un semplice collega, niente di più: non gli avrebbe dato nessun'altra occasione di illudersi.
Però accidenti, se ci stava male.
Lo vedeva con la coda dell'occhio aggirarsi tra i quadri esposti, sistemare un angolo sbilanciato, una foglia di edera fuori posto e si chiedeva cosa stesse pensando.
Per fortuna Tommaso sparì per l'intero pomeriggio, lasciandola padrona dei suoi pensieri e in grado di lavorare serenamente. A fine giornata i preparativi per la mostra erano quasi ultimati, c'era proprio tutto.
“Tutto tranne questo maledetto quadro”. Pensò Giorgia con un sospiro, osservando la grande parete vuota con le mani sui fianchi. Aveva ormai rinunciato a convincere Tommaso a mettere il suo tramonto sulla parete di fondo, ma era ancora certa che non ci fosse opera migliore.
- Eccoti! - Esclamò una voce alle sue spalle, facendola sussultare.
Tommaso era dietro di lei, con i capelli scompigliati e una grande tela coperta da un lenzuolo tra le mani.
- Vedo che hai seguito il mio consiglio. -
- Ma dai. E quale? -
- Quello di tenere sott'occhio la tela bianca per decidere cosa dipingerci. - Poi fece un cenno con la mano, invitandola a non fare caso al suo commento. - Ma ho qui la soluzione a tutti i nostri problemi. -
- E sentiamo, genio, quali problemi avresti risolto? -
- Cosa mettere sul muro della mostra, come evitare che i soldi vengano in tasca a me… e come salvare la casa famiglia a cui la tua amica tiene tanto. -
Con un gesto teatrale voltò la tela che portava in mano, mostrandole il sole al tramonto che aveva tanto ammirato.
- Hai cambiato idea? -
- Esattamente. -
- E salverà il Mamma Oca? - Disse Giorgia.
- Ho intenzione di portare alla tua amica un foglio con cui si prenderanno tutti i contributi, nel caso l'opera venisse venduta. - Disse Tommaso trionfante. - E adesso che ne dici di appenderlo? -
Giorgia annuì senza parlare: trovava quasi impossibile che Tommaso avesse trovato un modo di risolvere tutti i problemi. Sembrava una delle storie di Elisabetta, una delle favole che inventava per i bambini della casa famiglia, uno di quei racconti in cui tutto era un gran pasticcio ma che all'improvviso si sistemava nel migliore dei modi.
Mentre guardava Tommaso affiggere il quadro sulla parete di mattoni rossi, sorrise tra sé: i colori erano simili e sembrava che il sole sfavillasse direttamente sulla parete su cui era appeso, attirando l'attenzione di chiunque fosse stato nella sala. Era un dipinto meraviglioso, e Tommaso aveva avuto la più generosa e geniale delle idee: oltre ad essere così affascinante, galante e artistico era anche un ragazzo dal cuore d'oro. Scrollò violentemente i capelli, rendendosi conti che stava perdendo di nuovo la compostezza e il controllo sui suoi stessi pensieri, e si obbligò a mantenere la sua aria distaccata.
- Vieni con me al Mamma Oca, stasera. - Disse poi. - Fanno uno spettacolo e sono certa che Elisabetta sarà felice di avere la notizia direttamente da te. -
Immaginava a stento quanto sarebbe stata felice la sua migliore amica all'annuncio che non avrebbero dovuto chiudere la casa famiglia.












Grazie per aver letto. Al prossimo capitolo.
Flora

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Capitolo 7
*** Sette. ***





Alle otto precise Tommaso e Giorgia erano davanti alla casa famiglia: il grande salone col palcoscenico era stato decorata con festoni di carta crespa, disegni dei bambini e decorazioni di cartone e cartapesta.
Elisabetta li accolse con un sorriso che camuffava la tristezza che le si leggeva negli occhi, invitandoli a sedersi sulle piccole panche davanti al palchetto improvvisato dietro a un paio di lenzuola appese a un filo. Giorgia si guardò rapidamente intorno, vedendo un pubblico adulto prevalentemente femminile, tra cui riconobbe Agata e Cristiano, seduti in prima fila.
Nicole fece una piccola presentazione, ringraziando tutti e condividendo la tristezza per la notizia della chiusura della Casa Famiglia e poi invitò a godersi lo spettacolo.
- Chissà cosa diranno quando sapranno che possono tenere aperto questo posto. - Le sussurrò Tommaso.
Giorgia gli scoccò un sorriso complice, poi le luci della stanza si spensero e i piccoli faretti che illuminavano il palco si illuminarono, dando il via allo spettacolo.
Fu un piccolo show artistico, in cui tutti i bambini cantarono, recitarono, ballarono e qualcuno dimostrò perfino le sue abilità musicali con flauti e pianole. Il pubblico era così intenerito e affascinato dalla passione messa in scena che gli applausi scrosciavano senza sosta anche quando i bambini si erano inceppati o sbagliati durante la loro esibizione.
Al termine della serata, Elisabetta e Nicole invitarono tutti nella stanza vicina, dove era stato sistemato un piccolo buffet. E fu proprio durante il buffet che Giorgia lo notò: il modo affettuoso con cui Cristiano si rivolgeva ad Elisabetta, la sua capacità di farle avere quello di cui aveva bisogno prima ancora che lei glielo chiedesse, il fatto che cercava la sua compagnia e sorrideva ogni volta che lei gli rivolgeva la parola.
“Oh per la miseria.” Disse, spalancando gli occhi quando vide Cristiano sorridere in un modo adorabile mentre Elisabetta lo prendeva per mano per portarlo a conoscere qualcuno, del tutto indifferente al modo in cui lui la guardava.
- Sembri molto interessata a quello che stai guardando. Un possibile quadro per la mostra? - Scherzò Tommaso.
- Ho notato la completa mancanza di spirito d'osservazione di Elie. - Fu la risposta.
Tommaso la guardò senza capire e Giorgia si limitò ad accennare col capo al ragazzo bruno accanto al tavolo del buffet.
- Cristiano? - Domandò Tommaso.
- Ed Elisabetta. -
- Cristiano ed Elisabetta? - Esclamò lui, scettico.
- Osservali per solo due minuti e capirai cosa intendo. - Disse Giorgia, trascinandolo verso una finestra per farsi notare meno e permettere a entrambi di guardare meglio i due ragazzi.
Giorgia riusciva a sentire il respiro di Tommaso accarezzarle una guancia a causa della vicinanza che aveva con lui e dovette nascondere un brivido alla spina dorsale. Alzò gli occhi verso di lui, osservando il suo volto serio che fissava il tavolo del buffet.
- Ma sai che hai ragione? - Disse lui.
Abbassò gli occhi verso di lei e sembrò accorgersi del fatto che Giorgia lo osservava trattenendo il respiro.
Sorrise, chinando il capo e sfiorando con il proprio naso quello di Giorgia, avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra. Giorgia si affrettò a passsarsi una mano tra i capelli, ottima scusa per fare un passo indietro ed allontanarsi dalla meravigliosa minaccia di annullare la distanza - già sottile - che la divideva da lui.
Poco più tardi la sala del buffet era quasi vuota. I bambini erano stati mandati tutti a dormire e gli ospiti erano tornati a casa: nel salone erano rimasti solo Giorgia e Tommaso, che aspettavano che Elisabetta finisse di riordinare per parlarle del quadro.
Giorgia, però, aveva altre intenzioni: al lieto fine della sua parentesi monzese mancava il principe azzurro dal cavallo bianco e Giorgia era certa che quello di quel racconto si chiamava Cristiano.
Il ragazzo era rimasto ad aiutare Elisabetta e ora si stava occupando di portare in cucina le stoviglie da lavare. Quando lo vide diretto verso la porta, Giorgia lo raggiunse appena prima che uscisse dalla porta, parandoglisi davanti e guardandolo negli occhi. Intimidito, Cristiano fece per evitarla e continuare la sua strada, ma Giorgia lo apostrofò senza troppi preamboli.
- Senti, diglielo. - Esclamò spazientita.
- Dire cosa? E a chi? -
- A Elisabetta! Dille che ti piace! -
- Non so di cosa tu stia parlando. -
- Anche un cieco si sarebbe accorto di come la guardi! -
Cristiano abbassò lo sguardo, guardando fuori dalla finestra come per cercare le parole giuste per rispondere, poi parlò senza avere il coraggio di guardare Giorgia negli occhi.
- Lei non si accorge nemmeno che esisto. -
- Si accorge di te più di quanto non immagini. - Rispose Giorgia con un sorriso, addolcendo il tono di voce. - E credimi, lei non cerca il grande attore del cinema, l'imprenditore o il super modello. Lei cerca uno come te. -
Cristiano scosse la testa, poi la superò e sparì al di là della porta del salone.
Giorgia non aveva fatto in tempo nemmeno a spostarsi che Elisabetta la raggiunse.
- Ti devo parlare. - Le disse con aria seria.
- Anche io. Tommaso ti deve dire una cosa. - Disse Giorgia, alzando gli occhi per intercettare lo sguardo di Tommaso e invitarlo ad avvicinarsi.
- Prima io. - Disse. Prese un bel respiro e poi annunciò: - Vado in Africa. -
- Cosa? - domandò Giorgia, sicura di non aver capito bene.
- Il parroco ha dei contatti con una comunità dell'Etiopia dove hanno bisogno di una infermiera. Per ora il mio visto sarà di tre mesi… ma potrei anche decidere di non tornare. -
Giorgia barcollò come se Elisabetta le avesse dato un pugno, invece che una notizia.
Tommaso le si avvicinò, ma Giorgia non se ne accorse nemmeno. Elisabetta era davanti a lei, impassibile, che aspettava una qualunque reazione della sua migliore amica.
Forse a mente fredda Giorgia avrebbe provato a capire, a domandare, a farsi spiegare… ma così all'improvviso, non riuscì ad avere una reazione diversa da un impeto di rabbia.
- Sei impazzita? Molli tutto così? E le persone che lasci qui? I posti, le cose, il lavoro? -
- Non avrò bisogno di molto, lì: mi pagherò il soggiorno con il mio lavoro. Mia mamma mi ha capito e mio papà ha accettato la cosa. Rimarremo in contatto, anche se non ci vedremo più tanto spesso. È la mia vita, Giò, e credo che a questo punto andarsene sia l'unica cosa intelligente da fare. -
Giorgia sbatté le ciglia, sentendo la rabbia pungerle gli occhi assieme a un groppo in gola che somigliava molto a quello del dispiacere e del disappunto.
- E… e io? -
- Continueremo a sentirci come abbiamo sempre fatto. Che io sia a Milano o in Etiopia non cambierà granché, non trovi? - Disse Elisabetta con un sorriso.
- E gli altri lo sanno? I tuoi bambini? I tuoi colleghi, Agata, Nicole… Cristiano? Lo sanno che te ne vai in Africa e hai intenzione di non tornare mai più? - Esclamò Giorgia.
Elisabetta scosse la testa:
- Sei la migliore dei miei amici, e volevo che tu fossi anche la prima di loro a saperlo. Ho chiesto da un paio di settimane l'aspettativa in ospedale, partirò a fine mese, credo, il tempo di sbrigare le formalità. - Elisabetta tacque un momento e poi disse, con voce più bassa. - Cerca di capirmi, Giò. Non c'è più niente per me, qui. -
Giorgia aprì la bocca per parlare, ma era come se le corde vocali le si fossero annodate. Cercò inutilmente di emettere un qualunque suono, ma Elisabetta colse proprio quel momento per andarsene.
Il tocco gentile del braccio di Tommaso attorno alle spalle fu quello che fece crollare Giorgia, che accettò il suo conforto abbracciandolo di slancio e nascondendo il viso nella sua camicia a quadretti, cercando di impedire alle lacrime di scivolarle sulle guance: aveva sempre odiato piangere. Si rese conto della debolezza che stava mostrando un momento troppo tardi, quando l'abbraccio di Tommaso si era fatto così affettuoso da toglierle il fiato. Avrebbe voluto non muoversi di lì, avrebbe voluto rimanere aggrappata alla sua spalla, così solida e sicura quando lei si sentiva su un mondo che era tutto tranne che certo, ma sapeva di non poterlo fare. Facendo violenza perfino a sé stessa, Giorgia si sciolse dall'abbraccio di Tommaso e ravviò i capelli attorno al viso, cercando di ignorare che il giovane cercava di catturare il suo sguardo per controllare se stesse bene.
In quel momento Cristiano entrò nella sala con un'espressione sconvolta sul viso. Si diresse da Elisabetta senza nemmeno fare caso alle altre persone in sala e le si fermò davanti, obbligandola ad alzare gli occhi per guardarlo. La ragazza gli rivolse uno sguardo interrogativo, chiedendosi cosa ci fosse di tanto importante da giustificare una reazione così.
- È vero? È vero quello che hai detto? Che te ne vai? - Disse solamente.
Giorgia vide Elisabetta abbassare gli occhi, raccogliendo un ultimo bicchiere sporco e gettandolo nel sacco della spazzatura aperto accanto a lei.
- Sì. - Fu l'asciutta risposta.
Senza degnare di un altro sguardo Cristiano, si voltò per controllare che tutto fosse in ordine; quando fu certa che quello che c'era da fare era stato fatto, si avviò decisa verso la porta.
La aprì e fece per uscire, ma Cristiano la raggiunse, afferrandola per un braccio.
“Ecco, adesso la bacia e tutto va a posto: Elie non parte, salvano il Mamma Oca e si rendono conto di quanto si amano.” Pensò Giorgia sollevata.
Ma Cristiano afferrò Elisabetta per le spalle e la aggredì:
- Sei una maledetta egoista! - Gridò. - Te ne vai, preoccupandoti solo di te stessa. -
- Non c'è nessuno che ha bisogno di me, qui! - Gridò Elisabetta, liberandosi dalla stretta di Cristiano. - Nessuno! -
- Ah no? Ne sei sicura? Sei certa di aver guardato bene di non aver lasciato niente qui? - Sbottò lui, accennando alla stanza vuota - Di non averci lasciato nessuno? -
- Non capisco di cosa tu stia parlando. -
- È proprio per questo che dico che non vedi altro che te stessa. Non vedi me. Non mi hai mai visto e forse è per questo che per te non è un problema se non ci rivedremo mai più. -
Le lanciò solo un ultimo, intenso sguardo, poi uscì dalla porta senza dire altro.
Elisabetta rimase per un solo istante immobile, dando le spalle a Giorgia e Tommaso, poi si voltò verso di loro con gli occhi pieni di lacrime e un maldestro sorriso.
- Grazie per essere venuti. - Disse, uscendo e chiudendosi la porta alle spalle, lasciando i due ragazzi nel silenzio della grande stanza deserta.












Ancora non ho deciso come fare finire questa storia.
Voglio dire, ho in mente due finali e non so proprio quale sarebbe meglio...
Mi dò tempo ancora due capitoli, dopodichè mi sa proprio che devo prendere una decisione.
Nel fratempo, grazie per esservi fermati a leggere! c:

Flora

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Capitolo 8
*** Otto. ***





Quando arrivarono davanti all’Hotel Royal Falcone, Tommaso si fermò e spense la macchina. Il ticchettio delle frecce di segnalazione fu l'unico suono a rompere il silenzio che regnava nell'abitacolo da quando se n'erano andati dalla casa famiglia.
- Dovremmo togliere il quadro. - Disse Giorgia. - Non voglio più che sia esposto. -
- Domani pomeriggio ci penso io. - Disse Tommaso.
- No. Posso pensarci io. Metterò quello indaco, era passabile. -
- D'accordo. -
Il silenzio scese di nuovo, così denso che Giorgia cercava di respirare nel modo più silenzioso possibile per non romperlo.
- Ci vediamo domani sera all'inaugurazione? - Domandò Tommaso.
Giorgia annuì senza sorridere.
- Oh, avanti, non fare quella faccia. Sono certa che Elisabetta non partirà. -
- Tu non la conosci. Quando dice una cosa è quella e basta. -
- E anche se fosse? Siete amiche, lo rimarrete anche quando invece che ci saranno cinquecentomila chilometri a dividervi, invece che cinquecento. -
- Non è la stessa cosa! - Sbottò Giorgia. - In questi anni che siamo state separate non ci siamo viste molto, ma ammetto che era bello sapere che due ore di aereo, un po' di macchina o un viaggio in treno mi avrebbe riportato da lei... pensare che sarà così lontana da non poterla incontrare mi spezza il cuore. -
Tommaso le accarezzò teneramente una guancia, ma Giorgia decise che ne aveva abbastanza.
- Ciao. - Disse bruscamente, aprendo la portiera e chiudendosela violentemente alle spalle, entrando nella hall dell'albergo a passo svelto e ignorando Tommaso che la chiamava.
Entrò nella sua stanza e buttò la giacca e la borsa sul letto, lanciandosi sul materasso e chiudendo gli occhi.
Non era andato tutto come nelle favole di Elie.
Era andato tutto nel modo in cui andava la realtà: nel verso sbagliato. Elisabetta se ne sarebbe andata, il Mamma Oca avrebbe chiuso e la mostra non avrebbe avuto un quadro degno di questo nome a renderla indimenticabile.
E, a coronare il tutto, Giorgia si era resa conto che tenere la distanza tra sé e Tommaso era un'impresa più ardua del previsto, almeno a giudicare da come il suo corpo reagiva quando abbassava la guardia e lui ne approfittava per avvicinarsi di più a lei. Non voleva permettergli di diventare importante e poi sparire, esattamente come era successo con Simone.
- Non può funzionare. - Disse Giorgia ad alta voce. - Semplicemente non può funzionare. -























Piccolissimo flash pre-finale.
Giusto per tenere la storia aggiornata e darmi il tempo di riflettere sulla conclusione.
Grazie per aver letto!

Flora

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Capitolo 9
*** Nove. ***






Il sonno decise di non benedire Giorgia con il suo effetto ristoratore e dopo una notte in bianco la ragazza si sentiva di umore se possibile peggiore di quello che aveva avuto la sera precedente. Telefonò ad Emilio dicendogli che non si sentiva bene e che avrebbe preso qualche ora di permesso per rimettersi in vista della grande inaugurazione della serata. Gli raccomandò di controllare che il quadro in fondo alla sala fosse sostituito con quello azzurro e si rese disponibile a raggiungerli se ci fosse stato bisogno.
Riattaccò e si rimise sotto le coperte, accendendo l’I-pod. Meno di mezz’ora dopo, il cellulare squillò rumorosamente. Giorgia non pensava di ricevere una telefonata così presto, così rispose senza nemmeno guardare chi la stava chiamando.
- Pronto. -
- Non mi starai evitando, spero. - disse la voce di Tommaso, dall'altra parte dell'apparecchio.
- Non mi sento bene, tutto qui. -
- Allora è per questo che ieri sera mi hai lasciato senza nemmeno salutare. -
Giorgia si passò una mano sugli occhi, prevedendo una discussione spiacevole.
- Ti ho salutato. -
- Sì, certo. “Ciao”. Bel saluto. Non era esattamente quello che mi aspettavo. -
- E cosa ti aspettavi? -
- Tra noi c'è qualcosa, Giorgia, pensavo che ormai fosse chiaro anche a te. -
- Io e te passiamo del tempo assieme, ci divertiamo, abbiamo interessi simili e simili gusti, ci piace l’arte, la musica… ci assomigliamo, ma questo non vuol dire che tra noi ci sia “qualcosa”. O per lo meno il “qualcosa” che intendi tu. - Prese un bel respiro e decise di chiarire la cosa fino in fondo. - Voglio essere sincera con te, Tommaso. Non voglio stare con te. Non voglio stare con nessuno. -
Dall'altra parte della cornetta regnava un tale silenzio che Giorgia pensò che Tommaso avesse riattaccato.
Poi, proprio mentre stava per chiudere la linea, Tommaso parlò:
- In tutta la mia vita non ho mai creduto di saper dipingere. Le mie opere mi sembravano così banali e mediocri da non meritare l'attenzione di nessuno. Ma questo è stato prima di conoscere te. Volevo solo che tu lo sapessi. -
Il click del telefono fece capire a Giorgia che Tommaso aveva riattaccato.
Gettò il telefono sulla coperta, si rannicchiò abbracciando il cuscino e cercò di non piangere, perché piangere avrebbe voluto dire ammettere di aver perso qualcosa a cui teneva.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma fu di nuovo il telefono a farla tornare alla realtà.
Questa volta controllò il display, prima di rispondere: non era ancora pronta a un'altra discussione con Tommaso.
Per fortuna il nome sullo schermo era quello di Elisabetta.
- Ti raggiungo in albergo, Giò. - Le disse solamente.
Mezz'ora e una doccia veloce più tardi, Giorgia apriva la porta ad Elisabetta. La sua amica non disse niente, limitandosi a tirare fuori un tubo di patatine dalla borsa.
- Ho pensato fosse il caso di rispolverare una vecchia tradizione. - Disse con un sorriso.
E come sempre, come se il tempo non fosse passato, come se non ci fossero mai stati chilometri a dividerle e come se nulla fosse successo, Giorgia capì cosa la sua amica intendeva e sorrise. Si sedettero sul letto a gambe incrociate, aprendo il tubo di patatine e lasciandosi sommergere dai ricordi.
- Queste patatine mi ricordano le nostre estati a S. Martino, piene di Pedro, Dani e pettegolezzi sul mio vicino di casa… - Iniziò Giorgia, infilando in bocca cinque patatine contemporaneamente.
- E andavamo in Val di Mello per dormire sul prato ascoltando la musica. -
- E quando avevamo deciso che avremmo preso lezioni di musica e avremmo fondato una nostra rock band? -
Ricordi di ragazzine, di quando si pensava di poter sfondare con la musica, sposare il proprio cantante preferito e trascorrere le vacanze ad Orange County con la stessa semplicità con cui quelle cose si potevano sognare.
- Sembra passata un'eternità. - Disse Elisabetta, rovesciandosi sulla mano le ultime briciole di patatine.
- E adesso, Elie? - Domandò Giorgia, diventando improvvisamente seria. - Che facciamo della nostra vita? -
- Non lo so. -
Giorgia abbassò lo sguardo, guardando il cellulare e ripensando alla discussione avuta con Tommaso.
- Pensavo di avere tutto dalla vita. Ho un bel lavoro, una vita tranquilla, una casa che tengo in piedi da sola… Sono sopravvissuta perfino alla rottura con Simone e invece adesso… -
- Adesso ti chiedi perché hai costruito tutto questo se non hai nessuno con cui condividerlo. -
- Già. -
Il silenzio scese per un istante nella camera d'albergo, un silenzio così pieno di pensieri che Giorgia poteva quasi leggere quelli della sua amica, mentre fissava i disegni del copriletto con aria assente. Sapeva che stava pensando all'ospedale, al Mamma Oca e a Cristiano.
- Ho detto a Tommaso che non c'è niente tra di noi. - Disse poi, rompendo il silenzio.
- Ma come? Ti piace così tanto! -
- Non me la sento di avere già un'altra storia. So che Tommaso è speciale e che potrei perderlo, ma non posso farlo. Non così presto. -
- Credi che esista un momento giusto per darti un'altra possibilità? -
- E tu credi che esista un momento per darti una possibilità? -
La domanda era molto più di quello che poteva sembrare ed Elisabetta lo capì senza bisogno di spiegazioni.
- È che ho paura. - Mormorò lei.
Non c'era bisogno di altre parole, perché quell'affermazione racchiudeva tutto quello che entrambe stavano pensando. C'era la paura di concedere di nuovo la propria fiducia e la paura di farlo per la prima volta, la paura di mettere in discussione tutto quello che si aveva per tentare di far prendere alla vita una svolta diversa. La paura di concedere a qualcuno di avere un potere nella propria vita, permettendogli quindi anche di distruggerla.
Giorgia sorrise, mentre un ricordo si faceva largo tra i suoi pensieri. Un ricordo legato ad ogni cosa spaventosa, che fosse l'esame di guida o una versione di greco, un messaggio al ragazzo per cui si aveva una cotta o un colloquio di lavoro.
- Ma noi abbiamo un modo per vincere la paura. - Disse, stupita del suo stesso tono trionfante.
Elisabetta alzò gli occhi verso di lei e Giorgia le tese una mano. La sua amica si illuminò, riconoscendo il gesto, e la prese con la sua. Chiusero gli occhi, stringendo forte la mano dell'altra nella propria, e assaporarono la forza di quella stretta.
Una volta Elisabetta l'aveva chiamata il “tocco magico” e forse qualcosa di magico l'aveva davvero, perché quando riaprì gli occhi, Giorgia prese il telefono e compose il numero di Tommaso senza nessuna esitazione.
Appena sentì la sua voce dall'altro capo, si precipitò ad anticipare qualunque sua parola.
- Non riattaccare, ti prego. Ti devo parlare. -
 






















Penultimo capitolo.
Ho deciso come la storia terminerà, anche se l'ultima parte ancora non l'ho scritta.
Ad ogni modo, finalmente questa storia giunge alla sua conclusione...
grazie per aver letto, come sempre. Grazie di cuore.

Flora

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Capitolo 10
*** Dieci. ***


Ritorno



L'aeroporto di Fiumicino era gremito di persone nonostante l'ora tarda. La gente andava e veniva, la folla si avviava verso i banchi dei check-in o ai cancelli scivolando quasi in silenzio sui pavimenti lucidi.
L'aereo proveniente da Beica aveva fatto quasi quattro ore di ritardo e Giorgia era appoggiata alla balaustra davanti all'uscita sbadigliando sempre di più ogni ora che passava.
Non aveva quasi dormito, al pensiero di chi avrebbe riabbracciato quel giorno, dopo tre lunghissimi anni… ma in quel momento la stanchezza aveva sopraffatto perfino l'emozione ed era certa che, se non fosse rimasta in piedi, si sarebbe addormentata miseramente su una delle sedioline metalliche della sala d'attesa, perdendo il tanto amato appuntamento.
Si era sfregata violentemente gli occhi e quando aveva ripreso la vista si era accorta di una tazza di cartone colma di caffè proprio davanti a lei.
- Mi sa che ti ci vuole proprio un po' di caffeina. - Disse Tommaso con un sorriso malizioso.
- Non sono fatta per stare sveglia così tanto. -
Un sorso al caffè e la bevanda calda e amara lungo la gola la fece riprendere un po', abbastanza da rendersi conto che la voce metallica dello speaker aveva annunciato finalmente l'atterraggio del volo che stavano aspettando.
Pochi minuti più tardi i primi viaggiatori iniziarono a defluire dall'uscita e Giorgia si mise più dritta, sistemando golfino e capelli specchiandosi nelle porte a vetri.
- Ehi, non pensavo che saresti stata nervosa! -
- Non sono nervosa! - Replicò Giorgia.
- Sicura? -
Per tutta riposta la ragazza gli diede una gran gomitata nelle costole, ma poi gli lanciò un sorriso.
Al suo ritorno da Monza non si era accorta di quanto Tommaso le mancasse fino alla mattina in cui il suono del campanello l'aveva buttata giù dal letto. Scalza, spettinata e in pigiama andò ad aprire e si ritrovò davanti Tommaso e le sue valigie, assieme alla richiesta di avere un po' di ospitalità perché si era appena trasferito a Roma.
Da allora vivevano assieme in una casa disordinatissima, coloratissima e spesso decisamente rumorosa, visto che i bisticci tra loro erano all'ordine del giorno. Bisticci che finivano sempre con una dichiarazione di pace eterna e duratura… fino al battibecco successivo.
Ma, discussioni o meno, Giorgia sapeva che Tommaso era esattamente quello che mancava alla sua vita perché fosse perfetta. E a sentire lui pareva che fosse reciproco.
In quel momento, Tommaso fece cenno a Giorgia di guardare verso la porta degli arrivi.
Quando la ragazza si voltò, quasi non riconobbe la giovane donna bionda vestita di rosa che si era fermata vicino a loroo. Per un lungo momento rimasero immobili a guardarsi, poi Elisabetta le sorrise e Giorgia corse verso di lei, abbracciandola come non si erano mai abbracciate prima.
Erano passati tre anni dal loro ultimo incontro a Monza e nonostante le telefonate e le mail Giorgia era felice di poter riavere la sua migliore amica vicino.
- Sei bellissima! - Le disse allegramente.
- Anche tu. - Replicò Elisabetta, ravviandosi la frangetta con un dito e sorridendole, gettandosi un'occhiata nervosa alle spalle.
Fu solo in quel momento che Giorgia si rese conto che la sua amica non era da sola: alle sue spalle, con una valigia in mano e l'aria sana e abbronzata di chi non passava più tutte le sue ore in un ufficio c'era un uomo. E non un uomo qualunque: era Cristiano.
Giorgia guardò prima Elisabetta, poi Cristiano e poi di nuovo Elisabetta.
- E lui cosa ci fa qui? - Esclamò.
- È venuto a trovarmi per Natale. - Disse Elisabetta, arrossendo. - E non è ritornato. -
Allungò una mano verso di lui e Cristiano la strinse con un sorriso.
Giorgia era ancora a bocca aperta e Tommaso le si avvicinò passandole un braccio attorno alle spalle.
- Modera il tuo stupore, tesoro. Credo ti si stia slogando la mascella. -
- Si slogherebbe anche a te si ti ritrovassi davanti l'ultima persona che pensavi di vedere! - Esclamò Giorgia. - Al confronto la nostra notizia è veramente una sciocchezza! -
- Notizia? Quale notizia? -
- Le ho chiesto di sposarmi. - Replicò Tommaso con un sorriso. - E mi ha risposto di sì. Beh, in realtà mi ha detto più o meno “ommioddiosantocielooggesù”, ma il significato credo fosse lo stesso. -
- Quindi adesso mi ritrovo a gestire il mio lavoro, un fidanzato pasticcione, disordinato e assolutamente incapace di vivere da solo e i preparativi per un matrimonio. -
- Aha, allora era per questo che continuavi a chiedermi di tornare il prima possibile! - Esclamò Elisabetta. - Hai bisogno di qualcuno su cui scaricare l'ansia dei preparativi! -
Giorgia le sorrise, prima di rispondere.
La proposta di Tommaso era caduta come un fulmine a ciel sereno, durante una innocente discussione sul futuro durante una passeggiata. Per poco non era caduta nel Tevere per lo stupore, ma alla fine aveva accettato. Non ci aveva nemmeno dovuto pensare molto, sapeva che era la cosa giusta da fare.
Quando si era resa conto di quello che aveva deciso, però, si era sentita sommergere dalla paura. Paura a cui aveva deciso di non arrendersi, ma di sconfiggere. E allora aveva chiamato Elisabetta e le aveva chiesto con insistenza di tornare, di rivedersi finalmente.
Vederla davanti a sé, con le guance abbronzate, il sorriso sincero e gli occhi finalmente pieni d'amore le faceva capire che avere coraggio era veramente la cosa giusta da fare.
- No, Elie. Ho bisogno del nostro Tocco Magico. -






















Ed ecco qui, il finale della storia.
Dedicata come sempre alla mia meravigliosa Fra,
con l'augurio che tutti i suoi sogni si realizzino.
E ovviamente auguro lo stesso a chiunque abbia trovato tempo e voglia di leggere questa storia.

Bacibaci
Flora

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